CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 13 ottobre 2009
231.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione
ALLEGATO
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ALLEGATO

RELAZIONE SULLA MISSIONE SVOLTA IN SVIZZERA DA UNA DELEGAZIONE DEL COMITATO
(1o ottobre 2009)

Conformemente a quanto deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, giovedì 1o ottobre 2009 una delegazione del Comitato si è recata in missione in Svizzera.
Giunta a Lugano, la delegazione del Comitato ha incontrato il parlamentare del Canton Ticino Fulvio Pelli, il quale ha inteso preliminarmente sottolineare che l'associazione della Svizzera agli accordi di Schengen risale a circa un anno fa, ma che deve ancora trovare completa applicazione per quanto riguarda l'esercizio dei controlli ai varchi di confine terrestri: qui sono venuti meno i controlli di polizia, ma restano ancora quelli di natura doganale, che peraltro non risultano appesantire più di tanto le procedure di ingresso nella Confederazione. Risultano anzi semplificati i procedimenti di rilascio dei visti per motivi di turismo.
Il beneficio più evidente ed innovativo scaturito per la Svizzera dall'associazione alla cd. area Schengen consiste nell'integrazione della polizia elvetica nei sistemi europei di controllo dei dati che compongono il Sistema Informativo Schengen (cd. SIS), che consente l'accesso ad un ampio spettro di elementi e dati conoscitivi: l'implementazione dei compiti di prevenzione permette quindi alle autorità di polizia di razionalizzare l'impegno ai confini del Paese e di concentrare maggiori sforzi operativi dentro il territorio federale.
Rispondendo ad alcuni quesiti, l'on. Pelli ha precisato che l'ingresso elvetico in area Schengen non ha prodotto, al momento, un deterioramento delle condizioni di sicurezza per la popolazione, né innescato situazioni di tensione sociale, pur rivoluzionando le modalità di spostamento e stabilimento delle persone. Non si registra, in particolare, un incremento della cd. immigrazione passiva, neppure dai Paesi dell'Europa orientale: è piuttosto aumentato il flusso di tedeschi, molto attivi nel mercato del lavoro e dell'imprenditoria, specie nel circuito alberghiero e della ristorazione, ma anche nei settori ospedaliero ed universitario. Ciò forse si spiega anche con l'elevato costo della vita in Svizzera, che oltre tutto scoraggia la permanenza nei confronti di chi non dimostra un'adeguata capacità di sostentamento economico.
Anche la delegazione italiana, dopo avere ricordato il senso e l'importanza delle precedenti missioni effettuate recentemente dal Comitato nei Paesi del cd. Gruppo Quadro nell'attuale fase del dibattito politico sui temi dell'immigrazione e dell'asilo, ha espresso apprezzamento per la decisione della Svizzera di associarsi agli accordi di Schengen, così allargando gli spazi di libertà di cui godono i cittadini europei: la visita, ispirata da sentimenti di storica amicizia che da sempre connotano i rapporti tra i due Paesi, intende sottolineare la positiva svolta voluta dalla Svizzera nella direzione della sempre maggiore integrazione europea.
Al termine dell'incontro con l'on. Pelli la delegazione si è trasferita a Bellinzona, dove è stata accolta nel Palazzo Governativo dal Presidente del Gran Consiglio del Ticino, Riccardo Calastri, che ha introdotto le relazioni del Colonnello Romano Piazzini, comandante della polizia cantonale, e del Colonnello Mauro Antonini, comandante delle Guardie di confine.
Il Col. Piazzini ha innanzitutto espresso gratitudine per l'eccellente cooperazione in essere con le autorità italiane di polizia,

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e per le importanti funzioni «di filtro» da esse svolte al di là confine ticinese nelle quotidiane attività di prevenzione.
Con l'adesione all'area Schengen si sta progressivamente implementando la cooperazione con le altre polizie europee, dovuta all'integrazione nel SIS, che sta sortendo effetti positivi: allo stato, infatti, non sembrerebbe in aumento la criminalità di importazione (anche grazie al forte controllo sociale esercitato dai cittadini, il 60 per cento dei quali è naturalizzato o figlio di stranieri nato in Svizzera), pur se si intravedono all'orizzonte alcuni fenomeni, nuovi per il Paese, come l'accattonaggio e la mendicità di strada. Si tratta comunque di un processo ancora in fieri, come dimostra l'elevato numero di accordi che la Confederazione tuttora sta ancora stipulando, anche con l'Italia.
È quindi intervenuto il Col. Antonini, il quale ha illustrato i compiti cui è preposto il Corpo delle Guardie di Confine, operante (a differenza dei corpi di polizia cantonali, che sono diversi per ciascuno dei 26 Cantoni) in ambito federale in materia doganale, migratoria e di sicurezza federale.
L'ottimale livello di cooperazione con le altre polizie, specie quella italiana, ha consentito di superare alcune difficoltà operative incontrate nella fase di prima applicazione dell'associazione all'area Schengen: da ricordare, in particolare, il nuovo centro, istituito a Chiasso, competente in materia migratoria, che vede una fattiva sinergia tra le polizie dei due Paesi.
Rispondendo ad un quesito del Presidente Boniver, il Col. Antonini ha precisato che l'apertura delle frontiere non ha fatto registrare, al momento, massicci arrivi in Svizzera di cittadini provenienti dell'Est Europa (specie Bulgaria e Romania), in quanto il loro status non è ancora del tutto equiparato a quello degli altri europei già ammessi alla libera circolazione: questa sorta di moratoria scadrà nel 2010.
In risposta ad alcune domande poste dal Sen. Stiffoni, ha preso la parola Giampiero Gianella, Cancelliere dello Stato del Canton Ticino, il quale ha ricordato che l'adesione elvetica allo spazio Schengen non è stata uniformemente approvata nei referendum tenutisi nei singoli Cantoni: in particolare, nel Ticino e in quelli più meridionali ha prevalso un voto contrario all'associazione, probabilmente per motivi economici (di cui peraltro non sfugge il significato politico).
Anche negli altri Cantoni, e non solo nel Ticino, è invece rimasto sostanzialmente invariato il tasso di criminalità, grazie alla prossimità della polizia al cittadino, all'efficacia dell'impiego del SIS ed alla rapida capacità di riconversione, metodologica ed operativa, mostrata dalle autorità di polizia all'indomani dell'ingresso della Svizzera nello spazio Schengen.
Rispondendo ad un quesito dell'on. Delfino, il Col. Piazzini ha ammesso che, nonostante i positivi riscontri finora avutisi in termini di impatto sull'ordine pubblico, è comunque necessario un maggior coordinamento intercantonale tra le diverse polizie, indispensabile per una piena cognizione di fenomeni criminali organizzati e complessi. Non è una strategia di facile attuazione, in quanto la Svizzera è un coacervo di lingue e culture diverse, ma serve un salto di qualità che vada al di là delle periodiche riunioni di coordinamento tra i comandanti delle polizie dei 26 Cantoni.
Anche il Col. Antonini ha ribadito l'esigenza di un miglior coordinamento, anche a livello transfrontaliero, tra i diversi corpi di polizia: più che pattuglie miste composte da agenti di diversi paesi, sarebbero auspicabili veri e propri team investigativi congiunti.
Nelle ore pomeridiane la delegazione ha incontrato il Consigliere di Stato e membro del governo del Cantone Avv. Luigi Pedrazzini, direttore del dipartimento delle Istituzioni; l'Incaricato cantonale della protezione dei dati Michele Alberini; il Coordinatore dipartimentale per le problematiche Schengen Francesco Catenazzi; il Capo della Sezione dei permessi e dell'immigrazione Attilio Cometta; il Direttore della Divisione dell'Azione sociale e delle famiglie Martino Rossi.

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Quest'ultimo ha illustrato le politiche dell'asilo, che in Svizzera possono considerarsi improntate ad un federalismo di esecuzione: la Confederazione è infatti competente a legiferare e a stipulare accordi internazionali in materia, assicurando la prima accoglienza dei richiedenti asilo, le cui procedure avvengono in appositi Centri di registrazione e durano mediamente un mese, dopo il quale si decide l'esito della domanda.
Spetta sempre al Governo federale distribuire i richiedenti asilo tra i 26 Cantoni ai fini della sistemazione alloggiativa e per la necessaria assistenza durante il seguito della procedura: dietro parziale rimborso dalla Confederazione, infatti, i singoli Cantoni ne curano l'assistenza materiale, l'accompagnamento ed il controllo amministrativo e di polizia. Laddove la domanda di asilo sia accolta, anche solo provvisoriamente, il Cantone promuove l'integrazione sociale e professionale dell'interessato.
Nella disciplina elvetica il candidato può essere ammesso in via provvisoria all'asilo per una durata inferiore o superiore ai 7 anni: in questo lasso di tempo è ospitato in centri collettivi gestiti dalla Croce Rossa svizzera per i primi due/tre mesi, quindi in appartamento con servizio di accompagnamento assicurato da un servizio sociale privato.
È interessante notare come, nei primi tre mesi, la Croce Rossa svizzera si fa carico della soluzione abitativa del candidato all'asilo, erogandogli altresì cure sanitarie, introducendolo alla conoscenza della lingua e della cultura del Paese, avviando la scolarizzazione dei bambini: inoltre, mentre il richiedente può essere avviato allo svolgimento di lavori pubblica utilità, gli è preclusa ogni attività professionale, che tuttavia, dopo il primo trimestre, può comunque essere autorizzata a condizione che l'opzione lavorativa non sia sottratta ad altri cittadini in cerca di occupazione.
Una volta ammesso provvisoriamente, il candidato all'asilo ha diritto ad alloggiare in appartamento, all'accompagnamento sociale, a cure sanitarie pagate se non ha i necessari mezzi di sostentamento; beneficia inoltre di programmi di facilitazione dell'integrazione sociale e professionale, e può esercitare attività lucrative dietro autorizzazioni analoghe a quelle riconosciute ai lavoratori comunitari.
Ancora migliore è parso il regime di trattamento dei «rifugiati riconosciuti», ovvero dei richiedenti ammessi all'asilo a titolo definitivo: in questo caso l'interessato avrà un permesso di dimora fino al quinto anno dall'ingresso in territorio elvetico, che si trasforma in permesso di domicilio dopo tale termine. Il rifugiato, alla bisogna, può sempre contare sull'assistenza sociale per l'erogazione di un sussidio minimo vitale analogo a quello corrisposto ai cittadini svizzeri e agli stranieri dimoranti o domiciliati, e fino all'ottenimento del domicilio gode anche dell'accompagnamento sociale.
In pratica, una volta acquisito il permesso di domicilio, il rifugiato è equiparato ai cittadini elvetici ed agli stranieri regolarmente residenti, sia per quanto concerne il diritto al lavoro, sia per l'assistenza materiale.
Quando invece il richiedente asilo non presenta i requisiti necessari all'accoglimento della domanda, si aprono due strade: o viene respinto con la prescrizione di un termine di partenza dal territorio nazionale, oppure è direttamente escluso dalla procedura ordinaria in quanto questa non entra neppure nel merito dell'istruttoria.
Nel primo caso lo Stato dispone un aiuto al rientro, ma se questo non è attuabile (o a causa di situazioni sfavorevoli nel Paese di origine, o per mancanza di un accordo di riammissione) e, soprattutto, se il candidato presenta caratteristiche di vulnerabilità (minore non accompagnato, malato, invalido, anziano, ecc.), allora scatta il già visto programma di accoglienza: la Croce Rossa lo ospita in un centro collettivo erogandogli una assistenza minima, ma stimolandolo, al contempo, a collaborare ai fini del successivo rimpatrio. Da evidenziare che il ricorso alla detenzione amministrativa, senza altra misura di sostegno, è contemplato nei soli

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casi in cui il soggetto non presenta condizioni di vulnerabilità e non coopera all'espletamento delle procedure di rimpatrio.
Quando invece il richiedente non è neanche ammesso alla procedura di esame ordinario della domanda, l'istruttoria non entra nel merito ed il soggetto viene subito avviato al rientro con trattamento analogo a quello già descritto per i «respinti con termine di partenza».
Al termine dell'illustrazione, il dott. Rossi ha fornito alcuni dati statistici relativi alle procedure di asilo nel Canton Ticino: nel gennaio 2009 si è toccata la punta massima delle domande: 1500, di cui 730 tuttora in procedura, 680 ammesse provvisoriamente, e 90 respinte con termine di partenza. In particolare, 170 candidati sono stati ospitati in centri collettivi della Croce Rossa, 180 in pensioni a causa della saturazione di tali centri, e ben 1150 in appartamenti.
Nello scorso mese di agosto il numero complessivo di domande di asilo ammontava a 1390; di queste una ventina sono classificabili come «casi Dublino», ovvero di soggetti che avevano avanzato una prima istanza di asilo in altri Paesi dell'area Schengen, per poi trasferirsi in Svizzera e rivendicare il medesimo diritto in territorio elvetico: in questi casi troverà applicazione il Trattato di Dublino, che impone che la domanda di asilo sia esaminata - ed eventualmente accolta - dal Paese in cui per primo sia stata presentata e richiede pertanto che il richiedente sia fatto rientrare dalla Svizzera nel Paese di inoltro della prima istanza.
In conclusione, la relazione ha evidenziato come una virtuosa gestione delle politiche di asilo si scontra comunque, anche in Svizzera, con i problemi di sempre, già riscontrati in altri Paesi: la scarsa vocazione delle autorità locali all'accoglienza, il coinvolgimento degli asilanti respinti in episodi di microcriminalità, la difficoltà a reperire e mantenere strutture di accoglienza ricettive a costi sostenibili, e soprattutto le note criticità nel rendere effettivo il rimpatrio di coloro che sono respinti, sia per la mancanza dei necessari documenti sia, spesso, per l'assenza o l'inadeguatezza degli accordi di riammissione con i Paesi di origine dei candidati all'asilo.
La delegazione del Comitato ha espresso compiacimento sia per la collaborazione con le autorità italiane, sia per il livello di controllo sociale che la Svizzera sembra avere nella conduzione delle politiche di asilo: in Italia, invece, ancora si registrano in materia alcune criticità, nonostante l'incremento del numero delle Commissioni ministeriali deputate all'esame delle richieste ed il contestuale, drastico calo di afflussi di clandestini sulle coste italiane, dovuto all'entrata in vigore del recente accordo italo-libico, che ha reso possibili, da maggio scorso, attività di pattugliamento costiero congiunto ed azioni di riaccompagnamento dei natanti nei porti di partenza.
Non ci si può comunque nascondere che il rimpatrio effettivo di chi non ha titolo a permanere nel territorio nazionale è oltremodo difficoltoso allorché difettino, o risultino inadeguati o inattuati, i necessari accordi di riammissione con i Paesi di provenienza e transito, nonostante nella normativa italiana - conformemente al dettato comunitario - il termine di detenzione dei clandestini nei Centri per l'identificazione e l'espulsione (CIE) sia stato da poco innalzato a 180 giorni.
Il Cons. Pedrazzini ha osservato che, malgrado la positiva impressione ricevuta dalla delegazione italiana, anche in Svizzera sussistono problemi sociali e di ordine pubblico connessi alla gestione dei richiedenti asilo: le popolazioni locali sono spesso allarmate dal loro vagabondare in strada in attesa dell'esame delle domande, e a Lugano si può parlare di agglomerati frequentati da stranieri dediti, per lo più, ad attività illecite come lo spaccio di sostanze stupefacenti, al punto che le autorità stanno valutando se ricorrere, in caso di necessità, a misure di fermo amministrativo.
Ciò anche perché la massa di richiedenti asilo è in realtà costituita da un coacervo di categorie diverse: si va da veri e propri accessi di clandestini in territorio

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svizzero, al transito frontaliero dall'Italia, fino alla fattispecie, non residuale, del soggetto che si dichiara perseguitato pur essendo in possesso di regolare passaporto.
La visita della delegazione si è conclusa con un incontro con il Sindaco di Lugano, Giorgio Giudici, nella sede del Palazzo municipale, alla presenza del Capo della polizia di Lugano, Avv. Roberto Torrente. Il Sindaco ha sottolineato le storiche relazioni tra l'Italia ed il Ticino, auspicando che l'apertura svizzera allo spazio Schengen possa essere fattiva e serena.
Il Presidente del Comitato, nel ringraziare il Sindaco per l'accoglienza ricevuta, si è soffermata sugli esiti degli incontri tecnici che la delegazione ha avuto a Bellinzona, dai quali è sostanzialmente emerso che l'associazione elvetica all'area Schengen ha prodotto, al momento, solo effetti positivi, senza ricadute di criminalità o particolari tensioni sociali: la visita è risultata pertanto significativa e politicamente intensa e pregna di contenuti.
Il fenomeno migratorio può essere adeguatamente governato solo con un approccio europeo comune, con la consapevolezza che esso incide sui livelli demografici, gli equilibri economici e gli assetti democratici del Vecchio Continente, che solo ora inizia a misurarsi con l'immigrazione di seconda e terza generazione. L'Italia, storico Paese di emigrazione, coglie le motivazioni socio-economiche che stanno alle origini dei grandi flussi migratori provenienti dal sud del mondo: proprio per questo, non può rinunciare a politiche che, senza disdegnare l'accoglienza dell'immigrazione onesta ed operosa, sappiano anche contrastare le storture ed i risvolti illeciti del fenomeno, a salvaguardia dei valori democratici in cui il nostro Paese si radica.
Rispondendo ad un quesito dell'on. Delfino, ha infine preso la parola l'Avv. Torrente, Capo della polizia di Lugano, a giudizio del quale l'apertura della Svizzera allo spazio Schengen risponde alle esigenze di una mobilità europea sempre più integrata e globalizzata. La Confederazione cerca un'apertura sostenibile, anche rimodulando il proprio assetto normativo, ma appare oggi irrinunciabile un allineamento del Paese ai sistemi di controllo e di rilascio dei visti tipici dell'area Schengen, di cui la polizia elvetica sta apprezzando la capacità di coordinamento ed integrazione: fare parte di questo sistema - pensa innanzitutto all'accesso alle banche dati Schengen - è ormai indispensabile per la stessa sicurezza della Svizzera.
Accanto agli indubbi risvolti positivi finora riscontrati, non si può tacere che l'adesione agli accordi di Schengen ha portato con sé anche alcuni fenomeni deteriori sottesi alla liberalizzazione delle frontiere: si sono per esempio registrati, con grande sorpresa per gli svizzeri ticinesi, i primi episodi di accattonaggio e di mendicità su strada. Si tratta comunque di una sfida complessivamente stimolante, da raccogliere insieme ai partner europei, che richiederà nel tempo un progressivo adeguamento degli ordinamenti giuridici anche dei singoli Cantoni, che il Ticino ha già avviato modificando le prime ordinanze comunali.