CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 6 ottobre 2009
228.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giunta per il regolamento
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Relazione degli onorevoli Bressa e Leone su questioni concernenti il Comitato per la legislazione.

Nella seduta della Giunta per il Regolamento dello scorso 13 gennaio, la Presidenza ci ha affidato l'incarico di riferire sulla possibilità di chiamare il Comitato per la legislazione ad esprimersi nuovamente su un decreto-legge, con riguardo al testo modificato dalla Commissione di merito. Tale possibilità, allo stato delle norme regolamentari, non è infatti ammessa.
In base al Regolamento vigente, il Comitato è tenuto ad esprimersi entro 5 giorni sul decreto-legge nel testo originario presentato alla Camera ovvero in quello trasmesso dal Senato, svolgendo in sostanza sui decreti legge una funzione peculiare di verifica «preliminare». I pareri del Comitato sono sempre resi alle Commissioni (e non all'Assemblea). Quanto dunque all'attivazione della competenza del Comitato, la disciplina prevista dal Regolamento prevede la diretta assegnazione da parte del Presidente della Camera: essa costituisce una disciplina speciale rispetto a quella stabilita in via generale per i progetti di legge - diversi da quelli di conversione dei decreti legge - dall'articolo 16-bis, comma 4, che rimette ad un quinto dei membri della Commissione di merito la possibilità di richiedere il parere del Comitato.
È stato più volte sottolineato come l'attuale disciplina regolamentare comporta che, in caso di ampie modifiche del testo in Commissione, o di consistenti aggiunte di norme, il parere reso dal Comitato sul testo originario del decreto-legge possa risultare di fatto di ridotto significato e utilità non essendovi possibilità alcuna di svolgere un esame - secondo i parametri di qualità della legislazione indicati dal Regolamento - sulle parti nuove del testo; ne deriva un pregiudizio all'efficace perseguimento delle finalità istitutive dell'organo.
Abbiamo quindi affrontato la questione di come consentire al Comitato per la legislazione, in presenza di modifiche ai testi iniziali dei decreti-legge, di esprimersi anche sui contenuti introdotti nel corso dell'esame in sede referente; ed abbiamo ipotizzato una proposta di parere - che sottoponiamo alla Giunta - per una disciplina di carattere sperimentale, che consenta di verificare sul campo la fattibilità delle soluzioni individuate, con particolare riguardo a talune problematiche già indicate dal Presidente della Camera nella riunione della Giunta del 13 gennaio. Con l'occasione, cogliendo il senso del mandato ricevuto, abbiamo anche valutato alcuni, limitati ulteriori temi di riflessione in merito al ruolo ed alle funzioni dell'organo.
Ai relatori non sfugge che la soluzione del problema posto richiede di tenere in adeguata considerazione le caratteristiche del Comitato: anzitutto esso è composto paritariamente fra maggioranza ed opposizione e da un numero molto limitato di membri, che appartengono anche a Commissioni di merito. A ciò si aggiunga che il Regolamento contempla per il Comitato l'ipotesi della opinione dissenziente, quale strumento per far emergere eventuali dissensi. Dal complesso di tali caratteristiche la Giunta per il Regolamento del 28 febbraio 2007 ha fatto discendere l'esclusione del ricorso a votazioni a maggioranza in tale sede, con la conseguenza che, in ipotesi di contrasto non superabile, non viene reso alcun parere ed il Presidente del Comitato rappresenta alla Commissione

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di merito la posizione espressa dal relatore e quelle diverse manifestate da altri componenti dell'organo.
I relatori concordano sull'esigenza posta e sull'opportunità di prevedere la possibilità che il Comitato per la legislazione si esprima anche sul testo dei decreti-legge risultanti dall'approvazione degli emendamenti in Commissione, nell'interesse del pieno dispiegamento dell'istruttoria legislativa da parte della Commissione in sede referente ed al fine di fornire comunque alla Camera un contributo fondamentale per la migliore qualità della produzione legislativa (in particolare di quella frutto della decretazione d'urgenza).
Ciò, naturalmente, lascia ferma l'espressione del parere ex articolo 96-bis, comma 1, entro cinque giorni dall'assegnazione sul testo del decreto-legge, stanti le ragioni che ne hanno determinato l'introduzione nel 1997, legate all'esigenza di controllo sul rispetto dei requisiti di specificità, omogeneità e dei limiti di contenuto dei decreti-legge previsti dalla legislazione vigente ed al fatto che il primo parere appare comunque funzionale all'istruttoria legislativa della Commissione, che sarebbe diversamente privata di un contributo importante di cui oggi si arricchisce ai fini della verifica della qualità della legislazione e dell'appropriato uso delle fonti.
I relatori hanno valutato gli aspetti più rilevanti della conseguente disciplina del procedimento.
Un primo punto riguarda il presupposto della nuova attivazione del Comitato. Abbiamo ritenuto di proporre una disciplina coerente con il meccanismo previsto dal Regolamento al citato comma 4 dell'articolo 16-bis ai fini dell'attivazione ordinaria del Comitato sui progetti di legge, evitando un'attivazione in via automatica.
Coerentemente, quindi, si ipotizza di prevedere, quale presupposto che legittima la ulteriore convocazione del Comitato la richiesta in tal senso da parte di un quorum qualificato di deputati della Commissione competente. La soluzione appare coerente con la funzione di garanzia delle minoranze che connota le disposizioni concernenti il Comitato nonché quelle che attengono agli adempimenti legati all'istruttoria legislativa. Tale richiesta deve essere comunque avanzata entro la conclusione dell'esame e della votazione degli emendamenti in sede referente, in modo da consentire al Comitato la materiale possibilità di convocarsi prima che sia deliberato il mandato al relatore.
Non sarebbe invece coerente con la funzione che si intende dare al parere del Comitato l'ipotesi di rimetterne l'attivazione ad una deliberazione (a maggioranza) della Commissione: infatti, così facendo, si farebbe dipendere da una decisione della maggioranza della Commissione l'esercizio di una funzione sostanzialmente neutra, quale quella volta a verificare la qualità dei testi legislativi.
Come ha precisato il Presidente della Camera nella seduta della Giunta del 13 gennaio scorso, il secondo parere deve intendersi limitato alle sole modifiche introdotte dalla Commissione, sempre che tali modifiche coinvolgano aspetti di competenza del Comitato stesso, come stabiliti dal Regolamento. Il rispetto del principio del ne bis in idem non dovrebbe precludere tuttavia la possibilità di «ribadire» elementi contenuti nel parere precedentemente espresso o di rivalutare norme non modificate dalla Commissione ma sulle quali possano riflettersi le modifiche apportate ad altre parti del testo.
Un secondo punto su cui il Presidente della Camera ha chiesto ai relatori un approfondimento istruttorio riguarda l'individuazione dell'organo destinatario del secondo parere.
L'impianto generale previsto dal Regolamento configura il Comitato quale organo consultivo delle Commissioni: mantenere tale configurazione anche per il secondo parere sui decreti-legge consentirebbe alla Commissione di acquisire il parere prima di licenziare definitivamente il testo per l'Assemblea, potendo così valutare in che termini recepirne le indicazioni. I relatori hanno ben presente quanto possa risultare problematico conciliare questa soluzione con i tempi - di solito estremamente ristretti - imposti

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dall'iscrizione dei decreti-legge nel calendario dei lavori dell'Assemblea, anche considerando che il parere del Comitato, stante la natura stessa dell'organo, ha necessariamente carattere analitico e puntuale, quindi bisognoso di un'istruttoria complessa, che richiede i suoi tempi.
Appare conseguentemente opportuno, nel confermare quale fisiologica destinataria del nuovo parere la Commissione competente in sede referente, prevedere che, ove i tempi concretamente disponibili non consentano al Comitato di rendere il parere sul disegno di legge di conversione e sul relativo decreto-legge alla Commissione (cioè entro la deliberazione del mandato al relatore), questo possa essere utilmente reso anche direttamente all'Assemblea (appunto, ove utile al prosieguo dei lavori e cioè ove vi siano le condizioni procedurali per potervi dare un seguito attraverso gli emendamenti del comitato dei nove). In tal modo, sia pure in ipotesi residuali, sarebbe quindi previsto per il Comitato un ruolo consultivo nei confronti dell'Assemblea analogo a quello di altre Commissioni (la Commissione bilancio e, per alcuni profili, la Commissione affari costituzionali). La soluzione proposta conserverebbe al Comitato il ruolo consultivo prevalentemente nei confronti delle Commissioni, compatibilmente però con i tempi previsti per la conclusione dell'esame in sede referente in sede di programmazione dei lavori. E consentirebbe comunque all'Assemblea di disporre del parere sul testo del decreto-legge quale elemento utile ai fini del prosieguo dei suoi lavori.
Il Presidente della Camera ha precisato che «resterebbe fermo che, anche ove il Comitato non si esprimesse, non ne conseguirebbe comunque alcun impedimento alla prosecuzione dell'esame in Assemblea». Ciò al fine di impedire che l'eventuale impossibilità del Comitato di pervenire utilmente ad una decisione tempestiva (ad esempio quando i tempi disponibili per l'esame alla Camera siano particolarmente ristretti, ovvero quando nel Comitato - stante l'esclusione della possibilità di deliberazioni a maggioranza in quella sede - non si pervenga ad una decisione) possa compromettere la realizzazione degli obiettivi della programmazione. A tal fine, andrebbe stabilita una esplicita clausola di salvaguardia nel senso che, in ogni caso ed in via generale, dalla mancata espressione del parere non discende un impedimento alla Commissione a concludere l'esame in sede referente nei tempi stabiliti o un ostacolo all'avvio (ed eventualmente anche alla conclusione) dell'esame in Assemblea.
Il Presidente della Camera, nella Giunta del 13 gennaio, ha osservato che l'ampliamento delle competenze del Comitato potrebbe indurre una riflessione sul numero dei suoi componenti (10 membri) - come anche sul numero dei suoi vicepresidenti - che potrebbe risultare nei fatti insufficiente a garantire un efficace e tempestivo assolvimento delle nuove funzioni, dato che saranno necessarie sedute aggiuntive. I relatori, pur comprendendo la fondatezza della questione, ritengono tuttavia opportuno rinviarne l'approfondimento ad un momento successivo, una volta avviata la sperimentazione del nuovo schema procedurale ed al fine di disporre di ogni elemento utile che la prassi potrà fornire.
Un'ulteriore questione che potrebbe essere risolta in questa sede - pur non attinente al procedimento di conversione dei decreti-legge - riguarda la possibilità di escludere la rigorosa applicazione delle norme regolamentari sul regime di ammissibilità degli emendamenti in Assemblea sui provvedimenti collegati alla manovra di finanza pubblica (il Regolamento, come è noto, limita l'ammissibilità ai soli emendamenti respinti in Commissione e a quelli riferiti a parti del testo nuove o modificate dalla Commissione), quando gli emendamenti presentati direttamente in Aula siano univocamente volti a recepire condizioni poste nel parere del Comitato e formulate in modo testuale, così da non lasciare alcun margine di discrezionalità in ordine alle modalità di accoglimento. La questione da ultimo è stata posta anche nella seduta dell'Assemblea del 24 giugno scorso. Anche tale possibilità andrebbe inquadrata in una prospettiva di rafforzamento

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dell'efficacia dei pareri espressi dal Comitato per la legislazione e ne differenzierebbe la disciplina, per questo aspetto, da quella relativa ai pareri resi dalle Commissioni di merito, considerandone la peculiare natura e finalità. Questa soluzione è stata del resto già prefigurata dalla Presidenza in Assemblea, sia pure in via eccezionale e rimettendo alla Giunta una riflessione più compiuta della questione (si rimanda alla seduta delle Commissioni riunite I e V, del 24 settembre 2008 ed alla seduta dell'Assemblea del 10 febbraio 2009).
Ciò posto, si sottopone alla Giunta una proposta di procedura sperimentale, fermo restando che, ove la fase sperimentale - di durata limitata - abbia esito positivo, i relatori stessi si faranno carico di presentare sollecitamente una proposta di modifica complessiva delle norme regolamentari relative al Comitato, volta - oltre che a codificare la disciplina sperimentale - anche a recepire nel Regolamento più risalenti pronunce della Giunta e prassi consolidate.
Un'ulteriore questione riguardante il Comitato - che ci è stata rimessa dal Presidente della Camera nella riunione della Giunta del 16 giugno - è stata posta dal Presidente del Gruppo dell'Italia dei valori con una lettera del 6 aprile scorso.
Si tratta di una questione interpretativa dell'articolo 16-bis del Regolamento, alla luce della pronuncia assunta all'unanimità dalla Giunta per il Regolamento il 16 ottobre 2001, che riguarda la successione dei turni di presidenza presso il Comitato per la legislazione al fine di pervenire, senza porre in discussione le regole fin qui osservate, ad una revisione della disciplina vigente.
In particolare - tenendo conto degli effetti che dall'applicazione dei criteri indicati dalla Giunta derivano in ordine all'accesso alla presidenza da parte del rappresentante del Gruppo Italia dei valori subentrato lo scorso 11 febbraio all'onorevole Costantini - si prospetta l'esigenza di un'integrazione dei suddetti criteri al fine di prevedere che, nell'ambito di ogni legislatura, sia assicurato almeno un turno di presidenza a ciascun Gruppo, nell'alternanza tra rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione.
Come è noto, l'articolo 16-bis, comma 2, del Regolamento prevede che il Comitato sia «presieduto, a turno, da uno dei suoi componenti, per la durata di sei mesi ciascuno».
Ricordiamo che la Giunta per il Regolamento si è occupata in due occasioni della definizione dei criteri per la successione dei deputati nei turni di presidenza del Comitato:
1. il 10 dicembre 1997, nell'imminenza dell'entrata in vigore della riforma del Regolamento che ha previsto l'organo, quando fu individuato «l'ordine di anzianità dei componenti per la presidenza e la vicepresidenza, e l'inverso per la segreteria».

2. Soprattutto, il 16 ottobre 2001, quando all'unanimità fu stabilito che:
«I deputati membri del Comitato si succedono alla presidenza, alternandosi tra appartenenti a gruppi di maggioranza e di opposizione, secondo il criterio di anzianità di nomina nel Comitato e in via sussidiaria dell'anzianità parlamentare e, quindi, dell'anzianità anagrafica. Le funzioni di vicepresidente sono assunte dal deputato cui spetta il successivo turno di presidenza secondo i criteri di cui al punto precedente, e quelle di segretario dal deputato con la minore anzianità parlamentare e, in via sussidiaria, anagrafica, salvo che nei periodi in cui sia chiamato ad assumere le funzioni di presidente o di vicepresidente. La durata del turno di presidenza, stabilita dal comma 2 dell'articolo 16-bis del regolamento in sei mesi, è fissata in via sperimentale in dieci mesi».

Da allora questi criteri sono stati costantemente applicati. Essi dunque costituiscono un parametro certo di riferimento, idoneo a fondare aspettative giuridicamente rilevanti, talché non appare senz'altro opportuno, ad avviso dei relatori, mutarli in corso di legislatura.

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Nel valutare la questione, è opportuno richiamare alcune delle ragioni che portarono a questa soluzione, ragioni dalle quali non si può prescindere nella valutazione della richiesta avanzata. In particolare:
a) il criterio della necessaria alternanza tra deputati di maggioranza e di opposizione era originato dall'intento di assicurare «nell'arco di una legislatura una compiuta rotazione tra presidenze di deputati appartenenti a un congruo numero di gruppi, di maggioranza e di opposizione in numero eguale».
b) La scelta del criterio di anzianità parlamentare per la presidenza e la vicepresidenza (seduta della Giunta per il Regolamento del 10 dicembre 1997), ulteriormente affinato nella XIV legislatura con l'adozione del principio di anzianità di nomina nel Comitato e, solo in via sussidiaria, di quella parlamentare (e, quindi, dell'anzianità anagrafica) risulta espressamente fondata sull'esigenza di privilegiare l'esperienza parlamentare maturata da ciascun membro nell'attività dell'organo. Quest'esigenza sarebbe infatti sacrificata ove la presidenza dell'organo fosse assegnata a prescindere dall'esperienza nel Comitato, in base alla sola appartenenza al gruppo.
Come ebbe modo di chiarire la Presidenza della Camera, l'introduzione del criterio di anzianità di nomina nel Comitato (in luogo di quella meramente parlamentare) consente l'assunzione dell'incarico prioritariamente «ai deputati più avvertiti rispetto all'attività dell'organo rispetto ad altri che, pur vantando maggiore anzianità parlamentare, potrebbero esserlo meno, in ragione della minore esperienza maturata nel suo ambito; il meccanismo ipotizzato rappresenterebbe inoltre un deterrente rispetto a sostituzioni eventualmente finalizzate in modo strumentale ad acquisire la presidenza del Comitato alterando la successione conosciuta dei turni» (Presidente Casini, seduta della Giunta per il Regolamento del 16 ottobre 2001).
c) A fronte dei sei mesi stabilita dal comma 2 dell'articolo 16-bis del Regolamento, la fissazione, in via sperimentale, della durata del turno di presidenza, in dieci mesi è avvenuta in accoglimento della proposta del Presidente, adottata dalla Giunta per il Regolamento nel corso della citata seduta del 16 ottobre 2001, allo scopo di rafforzare la continuità nella direzione dell'organo, come suggeriva l'esperienza maturata sino a quel momento.
La Presidenza, nella citata Giunta del 16 ottobre 2001, sottolineò che «alla luce dell'esperienza maturata in quattro anni di suo funzionamento, è emersa un'esigenza di una maggiore continuità nella direzione dell'organo, rispondente ad una finalità di stabilizzare gli indirizzi presidenziali, che in un orizzonte temporale di sei mesi non hanno modo, per l'oggettiva ristrettezza dell'arco temporale previsto, di consolidarsi e di affermarsi..... La durata potrebbe essere opportunamente fissata in dieci mesi, al fine di garantire nell'arco di una legislatura una compiuta rotazione tra presidenze di deputati appartenenti a un congruo numero di gruppi, di maggioranza e di opposizione in numero eguale.»

I tre aspetti che si sono evidenziati muovono da esigenze reali, relative alla conduzione di un organo del tutto originale nel panorama parlamentare, stanti la peculiare composizione (paritaria e limitata), la regola dell'alternanza nella presidenza nonché la particolare tecnicità dell'attività del Comitato ed il suo rilievo istituzionale.
Ad avviso dei relatori, non appare coerente con l'impianto vigente l'introduzione di un correttivo nel senso richiesto dal gruppo dell'Italia dei valori: tale correttivo ridurrebbe considerevolmente l'impatto del criterio dall'anzianità nel Comitato, poiché porterebbe alla presidenza anche il membro subentrante in corso di legislatura, per il solo fatto di appartenere al gruppo cui spetterebbe la presidenza; esso inoltre risulterebbe difficilmente compatibile con i criteri di composizione dell'organo, che non sono vincolati né alla proporzionalità

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né alla rappresentatività, e ciò sia nella formazione originaria sia per ogni mutamento successivo (nell'attuale composizione tutti i gruppi sono presenti nel Comitato, ma la rappresentanza non è proporzionale: i gruppi del Popolo della libertà e del Partito democratico hanno tre rappresentanti, quelli dell'Italia dei valori, della Lega nord Padania, dell'Unione di centro e del Misto hanno un rappresentante ciascuno; nella precedente legislatura, non tutti i gruppi erano presenti nel Comitato).
Naturalmente queste valutazioni sono compiute a quadro normativo invariato e tenendo conto dell'ispirazione alla base delle interpretazioni fornite dalla Giunta in passato.
Una diversa soluzione potrebbe ovviamente discendere ove si intendesse perseguire un più complessivo processo di riforma del Comitato per la legislazione, prendendo in considerazione una apposita modifica del Regolamento, che riconsideri i criteri di composizione dell'organo o di successione alla presidenza. La Giunta, ove fossero presentate apposite iniziative in tal senso, non potrà che sviluppare una riflessione sulla base delle opzioni che dovessero essere formulate.

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ALLEGATO 2

Relazione degli onorevoli Bressa e Calderisi su questioni concernenti le procedure di raccordo tra la Camera dei deputati e le Istituzioni europee.

È stata posta in più occasioni, dal Presidente della Camera (in particolare nell'incontro con il Presidente del Comitato delle Regioni dell'Unione europea, Luc Van den Brande, svoltosi a Roma il 22 gennaio scorso, oltre che nella riunione della Giunta del 16 giugno scorso) e in atti parlamentari d'indirizzo di recente approvati in Assemblea, l'eventualità di una revisione delle procedure parlamentari di collegamento con l'Unione europea, in particolare alla luce della intervenuta ratifica da parte italiana del Trattato di Lisbona e della sua auspicata entrata in vigore. Il processo di ratifica è ancora in corso, ma potrebbe concludersi in tempi brevi (come previsto dall'articolo 6 delle disposizioni finali del Trattato, il processo di ratifica si compirà comunque dopo che tutti gli strumenti di ratifica saranno stati depositati).
Ma più in generale, l'eventualità di una revisione delle procedure parlamentari si può ricollegare alla necessità di un arricchimento degli strumenti di intervento delle Camera nelle decisioni comunitarie, anche in ragione della riforma intervenuta con la legge n. 11 del 2005.
Inoltre, alla luce dello sviluppo assunto dall'esame dei progetti di atti e di altre iniziative dell'Unione europea (cosiddetta 'fase ascendente') e del progressivo consolidarsi del rapporto con il Parlamento europeo e con la Commissione europea, attraverso la regolare trasmissione a tali istituzioni dei documenti finali adottati ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento e dei relativi pareri della XIV Commissione, il Presidente della XIV Commissione Politiche dell'Unione europea, on. Pescante, assieme ai rappresentanti dei gruppi in Commissione, ha trasmesso lo scorso 24 luglio al Presidente della Camera alcune considerazioni - condivise in quella sede - su ipotesi di riforma regolamentare finalizzate ad assicurare un più proficuo contributo della Camera nei processi decisionali dell'Unione europea alla luce sia dell'evoluzione del quadro normativo di riferimento interno, sia dell'imminente entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Questi sono dunque i punti di partenza della riflessione da condurre in sede di Giunta per il Regolamento al fine di pervenire a degli adeguamenti delle procedure parlamentari.
Quanto al metodo da seguire per pervenire a questi adeguamenti, in una prima fase - anche considerando la portata limitata delle integrazioni proposte e, soprattutto, al fine di poter disporre di una modalità di verifica dell'idoneità delle soluzioni proposte prima di procedere a vere e proprie riforme regolamentari - si potrebbe procedere in via sperimentale, mediante una pronuncia interpretativa della Giunta per il Regolamento (chiamata cioè ad una interpretazione estensiva delle norme vigenti).
Questo modo di procedere corrisponde, peraltro, ad una prassi già sperimentata in passato. È infatti accaduto più volte che la Giunta abbia deliberato - all'unanimità - di procedere in via sperimentale all'adozione di schemi procedurali innovativi rispetto alle previsioni letterali del Regolamento, in attesa di apportare le effettive modifiche alle norme (v. la procedura sperimentale del question-time, adottata nel 1996, nonché il parere sulla durata del turno di presidenza del Comitato per la legislazione).

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In sostanza, l'analisi deve considerare i seguenti punti:

1. Legge n. 11 del 2005.

La legge n. 11, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari», ha previsto un rafforzamento notevole del ruolo di interlocuzione del Parlamento nella fase di formazione delle decisioni comunitarie. Basti considerare che essa prevede, ad esempio, che, in caso di inizio di esame da parte delle Camere dei progetti di atti comunitari e dell'Unione europea, nonché degli atti preordinati alla formulazione degli stessi (e le loro modificazioni), il Governo appone in sede di Consiglio dei ministri dell'Unione europea la riserva di esame parlamentare, potendo procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti soltanto a conclusione di tale esame, e comunque decorso il termine di venti giorni dalla comunicazione alle Camere dell'apposizione della riserva (in tal senso recependo una prassi consolidata che già consente ai Governi nazionali di porre in sede di Consiglio europeo la riserva di esame parlamentare).
Alcune delle innovazioni introdotte dalla legge (ad esempio, in materia di tipologia di atti comunitari trasmessi alle Commissioni) sono già state attuate nella prassi parlamentare.
Altre non ancora (non si trasmette, ad esempio, al Governo alcuna comunicazione circa l'avvenuto inizio dell'esame parlamentare di un progetto di atto comunitario ai fini dell'apposizione della riserva in sede comunitaria).
La Commissione per le politiche dell'Unione europea, come rappresentato dal presidente Pescante nella citata lettera del 24 luglio 2009, sottopone l'esigenza di introdurre nel Regolamento «disposizioni volte ad assicurare la piena attuazione di alcuni strumenti previsti dalla legge n. 11 del 2005 - quali la riserva di esame parlamentare - al fine specifico di rendere più sistematico ed efficace il raccordo tra il Parlamento ed il Governo nella formazione e nell'attuazione delle decisioni europee».
Si potrebbero dunque introdurre alcune limitate modifiche nella procedura di esame degli atti (e dei progetti di atti) normativi dell'Unione europea, in particolare in relazione alla apposizione della riserva di esame parlamentare.
In particolare, si tratterebbe, con un parere della Giunta:
di confermare la prassi del deferimento alle Commissioni competenti per materia, con il parere della XIV Commissione Politiche dell'Unione europea, non solo delle tipologie indicate dalla lettera dell'articolo 127, comma 1, del Regolamento, ma più in generale di atti e progetti di atti dell'Unione europea, nonché di atti preordinati alla formazione degli stessi (v. articolo 3, commi 1 e 2 della legge n. 11 del 2005), trasmessi alle Camere dal Governo o pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea o trasmessi alle Camere dalle Istituzioni comunitarie.
prevedere che per l'esame di tali atti da parte delle Commissioni competenti, si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 79, commi 4, 5 e 6, relative all'istruttoria legislativa;
stabilire che, su richiesta della competente Commissione di settore, il Presidente della Camera comunichi al Governo l'avvenuto inizio dell'esame parlamentare di un atto ai fini degli adempimenti di sua competenza (ossia per l'apposizione della riserva di esame parlamentare, di cui all'articolo 4 della legge n. 11). Perché l'esame possa considerarsi effettivamente iniziato, ai fini della comunicazione al Governo, non è sufficiente la mera iscrizione all'ordine del giorno della Commissione competente, occorrendo l'effettivo avvio della discussione.

La Commissione competente, che in base all'articolo 127 del Regolamento dispone di trenta giorni per concludere l'esame dell'atto, dovrà tenere conto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge

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n. 11/2005, che, in caso di apposizione della riserva di esame parlamentare da parte del Governo, fissa in venti giorni il termine entro il quale gli organi parlamentari competenti possono utilmente pronunciarsi e, decorso tale termine, consente al Governo di procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare.

2. Trattato di Lisbona.

Il Trattato (con i relativi protocolli allegati) rivede il ruolo dei Parlamenti nazionali nel contesto europeo e richiede l'adozione da parte di ciascun Parlamento e ciascuna Camera delle opportune procedure interne. Una volta entrato in vigore, esso cambierà l'impostazione complessiva dei rapporti fra Parlamenti e Istituzioni comunitarie e renderà necessario, anche al fine di dotare il Parlamento nazionale di strumenti più avanzati e aggiornati di partecipazione ai processi decisionali europei (in particolare in relazione alla cosiddetta fase ascendente), un modello di confronto diverso rispetto al passato. Infatti, al di là di un arricchimento del flusso informativo e di interlocuzione con i Parlamenti nazionali, l'entrata in vigore del Trattato comporterà il riconoscimento in capo alle Camere nazionali di incisivi poteri di intervento sulle decisioni comunitarie, attraverso veri e propri poteri di blocco delle decisioni in alcune materie.
Tali effetti, molto significativi, rendono necessaria una riflessione in termini di individuazione dell'organo parlamentare competente ad esercitare tali poteri. Inoltre, prevedendo il Trattato, in alcune ipotesi, che debbano essere le Camere nel loro complesso a manifestare in sede europea la volontà del Parlamento, si prefigura la necessità di una riflessione anche al fine di individuare le forme di opportuno raccordo con il Senato (attualmente, le procedure parlamentari in materia sono invece costruite secondo uno schema che vede Camera e Senato, e relativi organi specializzati, del tutto autonomi).
Si segnala che la risoluzione Gottardo ed altri n. 6-00017, approvata dalla Camera il 22 aprile 2009, richiamava l'attenzione sull'attuazione delle disposizioni relative al ruolo dei Parlamenti nazionali previste dal Trattato di Lisbona, posta come una priorità assoluta per la Camera, con particolare riferimento alla procedura di allerta precoce per il controllo di sussidiarietà.
L'esercizio del controllo di sussidiarietà e degli altri poteri di intervento diretto non potrà comunque che muoversi nel solco dell'impostazione attuale delle procedure, che vede sempre un'interlocuzione diretta delle Commissioni (o dell'Assemblea) con il Governo.
In dettaglio, gli aspetti su cui concentrare l'attenzione sono:
a) il meccanismo cosiddetto di allerta precoce sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà. Si tratta della possibilità per ciascun Parlamento nazionale (o ciascuna Camera) di sollevare obiezioni (nella forma di un parere motivato), entro un termine di otto settimane dalla data di trasmissione di un progetto di atto legislativo europeo, sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà (cosiddetto early warning o allerta precoce) in relazione alle proposte legislative (articolo 6 del Protocollo sull'applicazione del principio di sussidiarietà).

«Ciascuno dei parlamenti nazionali o ciascuna Camera di uno di questi Parlamenti può, entro un termine di otto settimane a decorrere dalla data di trasmissione di un progetto di atto legislativo nelle lingue ufficiali dell'Unione, inviare ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà. Spetta a ciascun Parlamento nazionale o a ciascuna camera dei parlamenti nazionali consultare all'occorrenza i parlamenti regionali con poteri legislativi».

Il Trattato di Lisbona, riprendendo la procedura prevista dal Trattato costituzionale,

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prevede che qualora i pareri motivati rappresentino almeno un terzo dell'insieme dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali il progetto deve essere riesaminato (cosiddetto «cartellino giallo»).
A tal fine, ciascun Parlamento nazionale dispone di due voti, ripartiti in funzione del sistema parlamentare nazionale; in un sistema parlamentare nazionale bicamerale ciascuna delle due Camere dispone di un voto. Ciascun Parlamento nazionale o ciascuna Camera può consultare all'occorrenza le Assemblee regionali con poteri legislativi. La soglia per l'obbligo di riesame è abbassata a un quarto nel caso di proposte della Commissione o di iniziative di un gruppo di Stati membri relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Al termine del riesame il progetto in questione può essere - con una decisione motivata - mantenuto, modificato o ritirato.
Laddove il progetto di atto sottoposto al controllo di sussidiarietà sia una proposta legislativa presentata dalla Commissione europea secondo la procedura legislativa ordinaria, si prevede la possibilità di ulteriori conseguenze procedurali (meccanismo cosiddetto del «cartellino arancione»), non contemplate dal Trattato costituzionale.
In particolare, qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di una proposta legislativa rappresentino almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali, è previsto che:
la proposta sia riesaminata dalla Commissione, che può decidere di mantenerla, modificarla o ritirarla; qualora scelga di mantenerla la Commissione deve spiegare, in un parere motivato, perché ritiene la proposta conforme al principio di sussidiarietà;
il parere motivato della Commissione e i pareri motivati dei parlamenti nazionali sono sottoposti al legislatore dell'Unione (Consiglio e Parlamento europeo) affinché ne tenga conto nella procedura: prima della conclusione della prima lettura, il legislatore esamina la compatibilità della proposta legislativa con il principio di sussidiarietà, tenendo particolarmente conto delle ragioni espresse e condivise dalla maggioranza dei parlamenti nazionali, nonché del parere motivato della Commissione; se, a maggioranza del 55% dei membri del Consiglio o a maggioranza dei voti espressi in sede di Parlamento europeo, il legislatore ritiene che la proposta non sia compatibile con il principio di sussidiarietà, la proposta legislativa non forma oggetto di ulteriore esame.

Il medesimo Protocollo prevede inoltre la facoltà per ciascun Parlamento nazionale (o Camera) di presentare - attraverso la trasmissione effettuata dai relativi Stati membri - un ricorso alla Corte di giustizia per violazione del principio di sussidiarietà.

Art. 7 del Protocollo: «Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione e, se del caso, il gruppo di Stati membri, la Corte di giustizia, la Banca centrale europea o la Banca europea per gli investimenti, ove il progetto di atto legislativo sia stato presentato da essi, tengono conto dei pareri motivati trasmessi dai Parlamenti nazionali o da ciascuna Camera di uno di tali Parlamenti. Ciascun Parlamento nazionale dispone di due voti, ripartiti in funzione del sistema parlamentare nazionale. In un sistema parlamentare nazionale bicamerale, ciascuna delle due Camere dispone di un voto. Qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di un progetto di atto legislativo rappresentino almeno un terzo dell'insieme dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali ..., il progetto deve essere riesaminato. Tale soglia è pari a un quarto qualora si tratti di un progetto di atto legislativo presentato sulla base dell'articolo 61 I del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riguardante lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Al termine di tale riesame, la Commissione e, se del caso, il gruppo di Stati membri, la Corte di giustizia, la Banca centrale europea o la Banca europea per gli investimenti,

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se il progetto di atto legislativo sia stato presentato da essi, può decidere di mantenere il progetto, modificarlo o ritirarlo. Tale decisione deve essere motivata. Inoltre, secondo la procedura legislativa ordinaria, qualora i pareri motivati ......rappresentino almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali ...., la proposta è riesaminata. Al termine di tale riesame, la Commissione può decidere di mantenere la proposta, di modificarla o di ritirarla. Qualora scelga di mantenerla, la Commissione spiega, in un parere motivato, perché ritiene la proposta conforme al principio di sussidiarietà. Tale parere motivato e i pareri motivati dei parlamenti nazionali sono sottoposti al legislatore dell'Unione affinché ne tenga conto nella procedura:
a) prima della conclusione della prima lettura, il legislatore (Parlamento europeo e Consiglio) esamina la compatibilità della proposta legislativa con il principio di sussidiarietà, tenendo particolarmente conto delle ragioni espresse e condivise dalla maggioranza dei parlamenti nazionali, nonché del parere motivato della Commissione;
b) se, a maggioranza del 55 per cento dei membri del Consiglio o a maggioranza dei voti espressi in sede di Parlamento europeo, il legislatore ritiene che la proposta non sia compatibile con il principio di sussidiarietà, la proposta legislativa non forma oggetto di ulteriore esame».

Può essere opportuno fin da subito - cioè a prescindere dall'entrata in vigore del trattato di Lisbona - anticipare, in via sperimentale, il meccanismo dell'early warning quale strumento per la segnalazione diretta alla Commissione europea di questioni di sussidiarietà. Ciò nell'ambito della procedura di esame degli atti comunitari di cui all'articolo 127, come sopra interpretato, ed a prescindere dal dispiegarsi degli effetti procedurali dei pareri in sede comunitaria, previsti dal Trattato, che si potranno in concreto realizzare soltanto quando esso sarà entrato in vigore.
Ciò raccogliendo anche l'indicazione contenuta nella lettera del 24 luglio scorso del presidente della XIV Commissione politiche dell'Unione europea, nella quale si prospetta l'opportunità di una verifica se, in attesa dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, «non si possa procedere ad una applicazione immediata, ancorché soltanto sperimentale, di alcune procedure e meccanismi» ivi previsti, «in particolare quanto alla verifica del rispetto del principio di sussidiarietà».

La procedura sperimentale potrebbe essere la seguente:
la competenza in materia potrebbe essere affidata alla XIV Commissione politiche dell'Unione europea - invece che ad un'altra Commissione permanente e invece che volta per volta ad una specifica Commissione, a seconda della materia - al fine di assicurare l'uniformità dei principi e dei criteri di riferimento. La XIV Commissione diverrebbe pertanto organo specializzato per i profili di sussidiarietà.
Attraverso un'interpretazione adeguatrice del Regolamento, in relazione all'esame dei progetti di atti legislativi di cui all'articolo 6 del Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità - deferiti, ai sensi dell'articolo 127, alla Commissione competente per materia, con il parere della XIV Commissione politiche della Unione europea - può attribuirsi alla XIV Commissione, oltre ad un parere alla Commissione di settore, il compito di verificare la conformità dell'atto al principio di sussidiarietà.

Alla discussione su tale profilo presso la XIV Commissione potrebbe essere invitato il relatore sul progetto di atto comunitario nominato nella Commissione di settore (ove questa ne abbia avviato l'esame).
All'esame di tali atti, si applicherebbero, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 79, commi 4, 5 e 6, relative all'istruttoria legislativa. In tale ambito, la Commissione disporrebbe (oltre che di quelli informali) anche degli strumenti formali per consultare i consigli e le

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assemblee regionali specificamente sotto il profilo della sussidiarietà, attesa la previsione nel Protocollo della possibilità di consultare le Assemblee regionali con poteri legislativi.
La relativa decisione sarebbe trasmessa direttamente alla Commissione di settore ad opera della stessa XIV Commissione, nonché al Presidente della Camera.
Il Presidente della Camera trasmetterebbe alle Istituzioni europee il documento approvato dalla Commissione di settore, nonché, in ogni caso, la decisione della XIV Commissione sui profili di sussidiarietà. Entrambi i documenti sarebbero altresì comunicati al Presidente del Senato ed al Presidente del Consiglio.
Una volta entrato in vigore il Trattato, la Commissione, ai fini dell'organizzazione dei propri lavori, dovrà tenere conto di quanto in esso previsto in ordine ai termini entro i quali gli organi parlamentari possono utilmente pronunciarsi.

Peraltro, una volta entrato in vigore il Trattato, dati gli effetti (obbligo di riesame dell'atto) che i pareri potranno determinare sul processo decisionale europeo, la Giunta potrà compiere una specifica valutazione circa la possibilità, in presenza di talune circostanze, di investire l'Assemblea della decisione sui profili di sussidiarietà: ad esempio, quando ne facciano richiesta un quorum qualificato di deputati o di membri della Commissione o il Governo ovvero in tutti i casi in cui il parere della XIV Commissione sia contrario (ossia rilevi la non conformità dell'atto al principio di sussidiarietà).
b) Le procedure parlamentari per l'applicazione delle disposizioni del Trattato che conferiscono ai Parlamenti nazionali la facoltà di opporsi ad una decisione comunitaria (in materia di revisione semplificata del Trattato europeo o sulle proposte su aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali).
In base alla procedura di revisione semplificata del Trattato europeo (cosiddetta clausola passerella), ogni iniziativa del Consiglio europeo volta ad estendere, deliberando all'unanimità, la procedura legislativa ordinaria ed il voto a maggioranza qualificata ai settori cui si applicano procedure legislative speciali o il voto all'unanimità sarà trasmessa ai Parlamenti nazionali. In caso di opposizione di un Parlamento nazionale (non è prevista la competenza della singola Camera), notificata entro sei mesi dalla data di trasmissione, la decisione non potrà essere adottata (articolo 48, punto 7, del Trattato sull'UE).
«Quando il trattato sul funzionamento dell'Unione europea o il titolo V del presente trattato prevede che il Consiglio deliberi all'unanimità in un settore o in un caso determinato, il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata in detto settore o caso. Il presente comma non si applica alle decisioni che hanno implicazioni militari o che rientrano nel settore della difesa. Quando il trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede che il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta l'adozione di tali atti secondo la procedura legislativa ordinaria. Ogni iniziativa presa dal Consiglio europeo in base al primo o al secondo comma è trasmessa ai Parlamenti nazionali. In caso di opposizione di un Parlamento nazionale notificata entro sei mesi dalla data di tale trasmissione, la decisione di cui al primo o al secondo comma non è adottata. In assenza di opposizione, il Consiglio europeo può adottare detta decisione».
Analoghi effetti sono previsti per le proposte su aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali, con possibilità per ciascun Parlamento nazionale (anche in questo caso non è prevista la competenza della singola Camera) di comunicare la sua opposizione entro sei mesi dalla data di tale informazione, determinando, per conseguenza, la non adozione della decisione (ex articolo 65 del Trattato CE, ora articolo 81 testo consolidato Trattato sul funzionamento UE).

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«Il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che determina gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. I Parlamenti nazionali sono informati della proposta .... Se un Parlamento nazionale comunica la sua opposizione entro sei mesi dalla data di tale informazione, la decisione non è adottata. In mancanza di opposizione, il Consiglio può adottare la decisione».
L'esercizio dei poteri assegnati ai Parlamenti nazionali è subordinato all'entrata in vigore del Trattato stesso.
Ad avviso dei relatori, non si rende opportuno anticipare già ora l'individuazione delle relative procedure parlamentari, data la peculiare natura di tali facoltà e dati i rilevanti effetti delle relative decisioni parlamentari in sede europea.
Una volta entrato in vigore il Trattato, occorrerà svolgere una specifica riflessione sulle procedure da seguire, in particolare sugli aspetti che qui si richiamano.
Anzitutto, al fine di garantirne la tempestività, le procedure parlamentari dovranno assicurare (soprattutto in sede di decisioni nelle sedi addette alla programmazione dei lavori) che possa essere rispettato il termine stabilito nei trattati per la efficace comunicazione alle sedi comunitarie dell'opposizione del Parlamento nazionale, che deve intervenire entro sei mesi, che decorrono rispettivamente dalla data in cui l'iniziativa del Consiglio europeo è stata trasmessa al Parlamento nazionale (procedura di revisione semplificata del Trattato europeo - cosiddetta clausola passerella) o in cui il Parlamento è stato informato della proposta (decisione sugli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali).
Inoltre, stante anche la rilevanza degli effetti di blocco sulle procedure decisionali europee che derivano dal loro esercizio, occorrerà una riflessione in termini di individuazione dell'organo competente ad esercitarle e di opportuno raccordo con il Senato per assicurare - essendo prevista la legittimazione del Parlamento come organo complesso e non delle singole Camere - procedure coerenti nei due rami del Parlamento, idonee a produrre una eventuale deliberazione convergente delle due Camere.
Peraltro la cooperazione tra i due rami del Parlamenti appare ineludibile anche in relazione al controllo di sussidiarietà, anche se affidato dal Trattato a ciascuna Camera separatamente, in quanto la capacità di un Paese di incidere sulle scelte politiche e regolamentari dell'Unione europea sarà tanto più elevata quando le due Camere saranno in grado di definire e manifestare una posizione coerente.
1. Una soluzione di carattere generale (analogamente a quanto avviene da tempo in Spagna, Irlanda, Belgio) potrebbe essere quella - attraverso un'apposita legge - di creare uno specifico organo bicamerale cui attribuire i compiti previsti dal Trattato di Lisbona. Controindicazione a tale soluzione è il fatto che nel nostro sistema le competenze sulle politiche europee appartengono alle Commissioni di merito, che ne risulterebbero così private, mentre invece il processo di integrazione europea accresce la rilevanza di tali politiche.
2. Le altre opzioni in campo - fermo restando che un ruolo essenziale al fine del raggiungimento di una posizione comune delle due Camere dovrà necessariamente essere svolto dal Governo - potrebbero essere:
secondo un'intesa volta per volta assunta fra le Presidenze, una Camera potrebbe intervenire in successione rispetto all'altra; in sostanza la seconda Camera esaminerebbe il documento approvato dalla prima al fine di pervenire, se del caso, ad una deliberazione conforme. Questa procedura, implicando una sorta di navette fra le due Camere, potrebbe rallentare considerevolmente la decisione finale e sembra la meno indicata; ovvero
le due Camere potrebbero operare contestualmente - salva una procedura di reciproca informazione e/o riunioni congiunte degli uffici di Presidenza ai fini di

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una comune programmazione dei lavori e di una fase istruttoria comune (ad esempio per opera di riunioni congiunte delle Commissioni competenti) - e quindi dare luogo a deliberazioni distinte, su documenti coerenti (analogamente a quanto avviene, in via di fatto, per il DPEF).

La competenza potrebbe essere affidata alla Commissione di settore, sentita la XIV Commissione Politiche dell'Unione europea. Si tratterà di valutare però se prevedere a regime - data la rilevanza della decisione - la possibilità che su tali decisioni possa esprimersi anche l'organo plenario (cioè l'Assemblea).
Ove si ritenga di prefigurare un intervento dell'Assemblea in proposito, sono ipotizzabili le seguenti soluzioni:
competenza tout court dell'Assemblea, previa relazione della Commissione di settore, sentita la Commissione Politiche dell'Unione europea. La decisione dell'Assemblea dovrebbe comunque intervenire nel termine posto dal Trattato (sei mesi); ovvero
competenza della Commissione di settore, sentita la Commissione Politiche dell'Unione europea, salvo remissione all'Assemblea su richiesta di un quorum qualificato di deputati (questa soluzione si presta ad un utilizzo sistematico della richiesta di rimessione, con conseguenti effetti sull'agenda dei lavori dell'Assemblea) o del Governo o in caso di una decisione della Commissione contraria al progetto di atto comunitario (al fine di consentire una particolare ponderazione delle decisioni che producono effetti di blocco).

Quanto all'atto con il quale si conclude il procedimento, potrebbe ipotizzarsi:
un atto di indirizzo al Governo;
o, meglio, un documento contenente l'avviso della Camera oggetto di trasmissione diretta in sede europea, più coerentemente con la finalità del Trattato di instaurare un rapporto diretto fra i Parlamenti nazionali e le Istituzioni europee.

L'atto conclusivo sarebbe poi oggetto di trasmissione diretta alle Istituzioni europee e altresì comunicato al Presidente del Consiglio. Poiché ciò che rileva in sede comunitaria è la eventuale opposizione del Parlamento, potrebbe anche prevedersi la trasmissione congiunta dei due pareri da parte dai Presidenti delle Camere.
c) Infine la procedura conseguente alla introduzione della facoltà di ciascuna Camera di fare ricorso alla Corte di giustizia per violazione del principio di sussidiarietà (articolo 8 del Protocollo sull'applicazione del principio di sussidiarietà).

«La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi sui ricorsi per violazione, mediante un atto legislativo, del principio di sussidiarietà proposti secondo le modalità previste dall'articolo 230 del trattato sul funzionamento dell'unione europea da uno Stato membro, o trasmessi da quest'ultimo in conformità con il rispettivo ordinamento giuridico interno a nome del suo Parlamento nazionale o di una Camera di detto Parlamento nazionale».
In proposito sarà necessario un intervento legislativo per chiarire le modalità della trasmissione del ricorso da parte dello Stato (che propone il ricorso, in conformità con il proprio ordinamento interno, a nome del Parlamento o di una sua Camera) e di rappresentanza in giudizio.
Si tratterà poi di stabilire le modalità con le quali la Camera potrebbe assumere tale decisione.
In proposito, sul piano parlamentare occorrerebbe valutare:
se confermare la competenza della XIV Commissione, in quanto investita in via primaria della verifica della conformità degli atti comunitari al principio di sussidiarietà: v. lettera a);
a quali soggetti attribuire la legittimazione a provocare l'avvio della procedura (qualunque deputato? Un gruppo? Solo la Commissione competente?);

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quale procedura seguire e se prevedere una deliberazione dell'Assemblea.

Questa parte potrebbe essere definita una volta approvata la legge ordinaria attuativa.

3. Audizioni.

È stata rappresentata dal Presidente della Commissione bilancio Giorgetti, con lettera del 4 febbraio 2009, l'esigenza di arricchire il flusso conoscitivo da e verso le istituzioni comunitarie, in quanto la lettera del Regolamento (all'articolo 127-ter) limita la possibilità di audizioni - in rapporto a questioni di competenza delle Commissioni e previa intesa con il Presidente della Camera - ai membri del Parlamento europeo (per «fornire informazioni sugli aspetti attinenti alle attribuzioni e all'attività delle istituzioni dell'Unione europea») ed ai componenti della Commissione europea (per «fornire informazioni in ordine alle politiche dell'Unione europea su materie di loro competenza»). In particolare, la Presidenza, con lettera del 6 febbraio, ha risposto negativamente alla richiesta di audire il vicepresidente della Banca europea per gli investimenti - allo stato della formulazione delle norme regolamentari - sia pure ritenendo che «la prospettata interpretazione estensiva dell'articolo 127-ter del Regolamento meriti di essere sottoposta alla Giunta per il Regolamento», cui si riservava di «far esaminare la questione nel quadro di una più ampia riflessione sull'adeguatezza delle previsioni regolamentari relative alla procedure di collegamento con l'attività di organismi comunitari internazionali».
Quest'ultima sollecitazione può essere accolta in via d'interpretazione estensiva dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento, in coerenza con il sempre più intenso confronto tra Istituzioni nazionali e comunitarie imposto dall'evoluzione dei rapporti fra ordinamenti nazionali e ordinamento comunitario.
Si tratterebbe di comprendere nell'ambito di applicazione della norma regolamentare, oltre ai componenti della Commissione europea, espressamente contemplati, anche tutte le istituzioni e gli organi riconosciuti dai trattati europei (tale dizione è idonea a comprendere, in particolare, Parlamento europeo, Consiglio, Commissione, Corte di giustizia, Corte dei conti, BCE e BEI).
Istituzioni in senso stretto - a norma del Trattato sull'Unione (articolo 5) e del Trattato CE (articolo 7) - sono il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia e la Corte dei conti. La Banca europea per gli investimenti (BEI) è un organo della Comunità europea, espressamente previsto e disciplinato dal Trattato istitutivo (Trattato CE) nonché dallo Statuto ad esso allegato. Il Trattato CE, in particolare, richiama la BEI (articolo 9) tra gli organi che godono di una specifica sfera di attribuzioni prevista dal Trattato stesso e ne riconosce all'articolo 266 la personalità giuridica.
Oltre alla BEI, sono comunemente riconosciuti come organi dell'UE, in quanto dotati di una propria sfera di attribuzioni espressamente prevista dai trattati: il Sistema europeo delle banche centrali e la Banca centrale europea (disciplinati in un apposito protocollo), il Comitato economico e sociale e il Comitato delle regioni (organi consultivi di Parlamento europeo, Consiglio e Commissione) e il Mediatore europeo.
Non sono invece qualificate come organi in senso stretto dell'UE, in quanto non espressamente previsti dai trattati e non dotate quindi di un'autonoma sfera di attribuzioni, le agenzie e i comitati, istituite di norma con atti legislativi delle Istituzioni dell'UE.
Il Trattato di Lisbona inserisce espressamente tra le Istituzioni dell'Unione europea la Banca centrale europea e conferma, con alcune variazioni, il ruolo e le competenza degli altri organi, inclusa la BEI.

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4. Ulteriore arricchimento delle procedure di collegamento con le Istituzioni comunitarie.

Vi è infine un'esigenza di carattere generale, sempre più avvertita da parte della XIV Commissione Politiche dell'Unione europea, di una revisione degli strumenti procedurali oggi previsti dal Regolamento, al fine di rafforzare il dialogo fra Camere e Istituzioni comunitarie.
Nella seduta dell'Assemblea del 20 maggio 2009, in sede di esame della relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2007, nella risoluzione approvata si precisava che «occorre rendere ancora più sistematico e tempestivo l'esame di progetti di atti comunitari e di questioni prioritarie all'attenzione delle Istituzioni europee, anche valutando la possibilità di rivedere i meccanismi previsti dal Regolamento della Camera, con particolare riferimento al ruolo della Commissione politiche dell'UE; la Camera ha altresì consolidato il dialogo politico con la Commissione europea, mediante la trasmissione diretta dei propri atti di indirizzo in materia europea e la ricezione delle relative osservazioni della medesima Commissione; il dialogo politico con la Commissione europea potrebbe essere ulteriormente rafforzato con l'introduzione nel Regolamento di procedure che consentano agli organi parlamentari di adottare atti o osservazioni specificamente e direttamente indirizzati alla Commissione stessa; in questo contesto l'attuazione delle disposizioni relative al ruolo dei Parlamenti nazionali previste dal Trattato di Lisbona deve costituire una priorità assoluta per la Camera dei deputati.»
Già in sede di discussione della relazione della XIV Commissione sul programma legislativo della Commissione europea per il 2009, nella seduta dell'Assemblea del 22 aprile 2009, era stata sottolineata la necessità - nelle risoluzioni approvate (risoluzioni Gottardo ed altri n. 6-00017 e Gozi ed altri n. 6-00019) - che il Parlamento riformi e ammoderni gli strumenti legislativi e regolamentari esistenti; migliori i tempi di avvio e di conclusione dell'esame dei progetti di atti comunitari, per adeguarli al ciclo decisionale dell'Unione europea; introduca una sessione comunitaria di fase ascendente da svolgersi nei primi mesi di ogni anno, ai fini della definizione di indirizzi al Governo sia su aspetti di carattere generale sia su questioni specifiche, abbinando l'esame del programma legislativo e degli altri strumenti di programmazione dell'Unione europea con quello della relazione annuale sulla partecipazione italiana all'Unione europea; introduca, al fine di consolidare il dialogo politico diretto con la Commissione europea, procedure che consentano agli organi parlamentari di adottare atti o osservazioni specificamente e direttamente indirizzati alla Commissione stessa.
Tale profilo è ora, tra l'altro, oggetto specifico di alcune considerazioni contenute nella citata lettera del 24 luglio 2009 del Presidente Pescante, in cui si prospettano alcune ipotesi di riforma:
a) La prima ipotesi è quella di prevedere che l'esame della relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea sia disgiunto da quello del disegno di legge comunitaria, come invece è attualmente previsto all'articolo 126-ter del Regolamento. Tale relazione, nell'ambito di una vera e propria «sessione di fase ascendente», dovrebbe essere esaminata con il programma legislativo della Commissione europea e del Consiglio dell'UE: «ciò consentirebbe alla Camera di definire indirizzi di carattere generale da perseguire nella formazione delle politiche dell'Unione europea». Resterebbe ferma, quanto alla procedura ed alle competenze, la disciplina dell'articolo 126-ter, in quanto compatibile.
Tale modifica - se la Giunta concordasse - potrebbe essere adottata in via sperimentale per questa legislatura, salvo intervenire con un'espressa riforma regolamentare una volta verificata la migliore resa del nuovo regime. Ciò anche considerando le modifiche apportate alla legge

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n. 11 del 2005 dall'ultimo disegno di legge comunitaria (approvato dalla Camera e all'esame del Senato).
In questo senso - come detto - si erano già espresse le risoluzioni approvate in Assemblea in occasione dell'esame della relazione della XIV Commissione sul programma legislativo della Commissione europea per il 2009 (seduta del 22 aprile 2009, risoluzioni Gottardo ed altri n. 6-00017 e Gozi ed altri n. 6-00019), nonché la risoluzione approvata nella seduta del 20 maggio 2009, in sede di esame della relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2007: questa, segnalando la lunga distanza dell'esame parlamentare della relazione rispetto alla sua predisposizione, sottolineava la necessità di «promuovere una partecipazione più attiva del Parlamento italiano al processo di formazione delle politiche e della normativa europee, avvalendosi sia degli strumenti previsti dai trattati e dalla normativa nazionale vigente che delle nuove procedure prospettate dal Trattato di Lisbona; la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea assume in questo contesto una particolare importanza in quanto consente di realizzare un più stretto raccordo tra Parlamento e Governo nella definizione degli orientamenti e delle posizioni che il nostro Paese dovrà assumere, per partecipare in modo efficace e coerente alle varie fasi di elaborazione delle decisioni comunitarie e per acquisire a consuntivo elementi di informazione e valutazione sulle posizioni assunte e gli obiettivi conseguiti dal Governo nelle competenti sedi europee; è opportuno avviare un'attenta riflessione su una possibile revisione delle attuali procedure regolamentari, in maniera da rendere più tempestivo l'esame della Relazione annuale, eventualmente anche in vista di un abbinamento dell'esame della Relazione annuale e di quello degli strumenti di programmazione politica e legislativa della Commissione europea e del Consiglio dell'UE, in modo da concentrare in un'unica sessione comunitaria, collocata ad inizio d'anno, la definizione degli indirizzi di carattere generale da perseguire nella formazione delle politiche dell'Unione europea».
Si ricorda, in proposito, che il testo del disegno di legge comunitaria 2009 (A.C. 2449), approvato dalla Camera il 22 settembre scorso ed ora pendente al Senato (S. 1781) contiene (oltre ad obblighi di relazione alle Camere sul seguito dato agli indirizzi espressi dalle Camere in ordine alla posizione del Governo in sede europea) la novella dell'articolo 15 della legge n. 11 del 2005, stabilendo due distinte relazioni del Governo al Parlamento in luogo di quella unica attualmente prevista.
L'articolo 15 oggi vigente prevede che «Entro il 31 gennaio di ogni anno il Governo presenta al Parlamento una relazione sui seguenti temi:
a) gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riferimento alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, alle questioni istituzionali, alle relazioni esterne dell'Unione europea, alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell'Unione;
b) la partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario con l'esposizione dei princìpi e delle linee caratterizzanti della politica italiana nei lavori preparatori in vista dell'emanazione degli atti normativi comunitari e, in particolare, degli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale;
c) l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità europee per ciò che concerne l'Italia;
d) i pareri, le osservazioni e gli atti di indirizzo delle Camere, nonché le osservazioni della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di

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Trento e di Bolzano, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, con l'indicazione delle iniziative assunte e dei provvedimenti conseguentemente adottati;
e) l'elenco e i motivi delle impugnazioni di cui all'articolo 14, comma 2.

2. Nella relazione di cui al comma 1 sono chiaramente distinti i resoconti delle attività svolte e gli orientamenti che il Governo intende assumere per l'anno in corso».
La prima, da presentare entro il 31 dicembre di ogni anno, di carattere programmatico.
Essa indica:
a) gli orientamenti e le priorità che il Governo intende perseguire nell'anno successivo con riferimento agli sviluppi del processo di integrazione europea, ai profili istituzionali e a ciascuna politica dell'Unione europea, tenendo anche conto delle indicazioni contenute nel programma legislativo e di lavoro annuale della Commissione europea e negli altri strumenti di programmazione legislativa e politica delle istituzioni dell'Unione. Nell'ambito degli orientamenti e delle priorità, particolare e specifico rilievo è attribuito alle prospettive e alle iniziative relative alla politica estera e di sicurezza comune e alle relazioni esterne dell'Unione europea;
b) gli orientamenti che il Governo ha assunto o intende assumere in merito a specifici progetti di atti normativi dell'Unione europea, a documenti di consultazione ovvero ad atti preordinati alla loro formazione, già presentati o la cui presentazione sia prevista per l'anno successivo nel programma legislativo e di lavoro della Commissione europea;
c) le strategie di comunicazione del Governo in merito all'attività dell'Unione europea e alla partecipazione italiana all'Unione europea.

La seconda relazione, da presentare entro il 31 gennaio di ciascun anno, a carattere consuntivo.
Essa indica:
a) gli sviluppi del processo di integrazione europea registrati nell'anno di riferimento, con particolare riguardo alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea nonché alle relazioni esterne dell'Unione europea, alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell'Unione;
b) la partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario con l'esposizione dei princìpi e delle linee caratterizzanti la politica italiana nei lavori preparatori e nelle fasi negoziali svolti in vista dell'emanazione degli atti normativi comunitari;
c) l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità europee per ciò che concerne l'Italia;
d) il seguito dato e le iniziative assunte in relazione ai pareri, alle osservazioni e agli atti di indirizzo delle Camere, nonché alle osservazioni della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome;
e) l'elenco e i motivi delle impugnazioni di cui all'articolo 14, comma 2.

Ove tale previsione normativa fosse confermata dal Senato si tratterà di stabilire la procedura di esame delle suddette relazioni, in particolare se esse debbano o meno essere oggetto di esame congiunto,

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se debba mantenersi la competenza istruttoria della XIV Commissione (articolo 126-ter) ed entro quale termine la Commissione debba riferire all'Assemblea.
b) La seconda ipotesi di riforma riguarda la revisione delle procedure di esame del disegno di legge comunitaria annuale, introducendo, sul modello della sessione di bilancio, «termini stringenti», soprattutto con riferimento all'esame in Assemblea, e rendendo «maggiormente incisivo» il ruolo della XIV Commissione Politiche dell'Unione europea.
Si tratta evidentemente di materia ampia e complessa, che tocca la procedura e il ruolo delle diverse Commissioni e della XIV Commissione: tale questione implica una più generale riflessione sulle disposizioni regolamentari che oggi disciplinano l'esame della legge comunitaria da avviare separatamente.
c) Infine, nella lettera si pone - anche nel contesto del mutato quadro istituzionale conseguente al Trattato di Lisbona e della possibile applicazione sperimentale di alcune procedure e meccanismi previsti dal Trattato quanto alla verifica del rispetto del principio di sussidiarietà - «la questione del rafforzamento delle competenze della Commissione Politiche dell'Unione europea, che, per il suo ruolo e la sua specializzazione, può assicurare maggiore sistematicità ed organicità all'intervento della Camera nella formazione delle politiche e della normativa dell'Unione europea». In particolare, si prospetta in via generale l'ipotesi di «prevedere, in analogia con l'articolo 144, comma 5, del Regolamento del Senato, la facoltà per la XIV Commissione di chiedere la trasmissione diretta al Governo e alla Commissione europea dei pareri da essa espressi qualora le Commissioni competenti per il merito non si pronuncino in via definitiva entro un certo termine».
L'articolo 144, commi 1, 3 e 5, del Regolamento del Senato, modificato il 6 febbraio 2003, attribuisce alle Commissioni di settore la competenza ad esprimersi in via principale ed assegna alla 14o Commissione una funzione solo consultiva. Tuttavia si prevede che quest'ultima possa chiedere che i suoi pareri, osservazioni e proposte siano inviati al Governo, qualora, entro quindici giorni dalla data in cui essi sono pervenuti alla Commissione competente, quest'ultima non si sia ancora pronunziata.
Tale eventualità peraltro non appare coerente con la ratio che ispira, nel quadro regolamentare vigente, l'attuale sistema dei rapporti fra Commissioni e, in particolare, fra queste e la XIV Commissione. Quest'ultima infatti dispone di funzioni di natura consultiva, e dunque strumentale, rispetto alle Commissioni competenti in via primaria, come risulta in modo univoco dal dettato regolamentare dell'articolo 127.
Non apparirebbe congruo dunque prevedere in via interpretativa una modifica di tale quadro di rapporti fra le Commissioni, sia pure per la sola ipotesi in cui la Commissione di settore non si pronunci sull'atto comunitario. Infatti una simile opzione appare confliggente con il Regolamento poiché prevederebbe una competenza primaria sia delle Commissioni di settore sia della XIV Commissione, sia pure in via residuale.
Ciò rebus sic stantibus.
Tale questione potrà ovviamente essere oggetto di ulteriore valutazione ove fossero presentate a tal fine apposite iniziative di modifica regolamentare.