CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 9 luglio 2009
200.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Bilancio, tesoro e programmazione (V)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

5-01614 Baretta ed altri: Ricorso a strumenti finanziari derivati.

TESTO DELLA RISPOSTA

Occorre in primo luogo premettere che l'attività in derivati della Repubblica Italiana nasce già nella metà degli anni '80, quando si incominciò ad emettere in valuta sui mercati internazionali, al fine di coprire il rischio di cambio. La norma che inizialmente disciplinava questa attività (articolo 8 della legge n. 887/1984) venne poi integrata nel 1996 (articolo 2 comma 165/1996), al fine di consentire un'attività non meramente ristretta alla copertura del rischio di cambio. Tuttavia, tale copertura è un filone di attività prudenziale che a tutt'oggi rappresenta una componente molto rilevante della gestione dei portafoglio swap dello Stato.
Infatti, a differenza di altri paesi europei citati nell'interrogazione, che ricorrono all'emissione in valuta in maniera sporadica e limitata (Germania), o addirittura non emettono per nulla in valuta estera (Francia), l'Italia ha fatto ricorso a tale canale di finanziamento, in maniera abbastanza frequente e regolare, perseguendo il duplice obiettivo di ottenere condizioni di funding più vantaggiose(1) e, al tempo stesso, penetrando in nuovi mercati è allargando la propria base di investitori, in modo da assicurare nel tempo la ricettività della domanda alle sempre cospicue necessità di finanziamento dello Stato.

(1) Si fa presente che la valutazione di tale convenienza viene sempre fatta all in, ossia considerando la differenza tra quanto sarebbe costata l'emissione di un titolo domestico con analoghe caratteristiche ed il costo complessivo del titolo in valuta riportato sinteticamente in euro con lo swap.

Le operazioni in cross currency swap (derivati di copertura), eseguite contestualmente o non ad una emissione, permettono di essere neutrali alle oscillazioni dell'euro nei confronti delle altre valute. Attraverso questi strumenti è possibile trasformare un'emissione in dollari, per esempio, in un flusso cedolare in euro, eliminando completamente l'esposizione ai tassi d'interesse non domestici e al tasso di cambio. Tuttavia, l'andamento di quest'ultimo negli ultimi anni (soprattutto nei confronti del dollaro), a partire dal 2001 e fino al luglio 2008 (con brevi e modeste inversioni di tendenza nel primo trimestre dei 2004 e nel 2005) ha registrato un consistente e perdurante apprezzamento dell'euro, che ha fatto sì che, per le posizioni debitorie coperte, la spesa per interessi comprensiva degli swap di cambio fosse superiore a quella che vi sarebbe stata senza tale copertura.
Un secondo filone di attività è poi rappresentato da posizioni che tendono ad allungare la durata finanziaria del debito della Repubblica, attraverso l'utilizzo di Interest Rate Swap (IRS) ovvero derivati sui tassi d'interesse, al fine di ridurre l'esposizione al rischio di rifinanziamento. Un IRS è costituito da uno scambio di flussi cedolari a pagare e a ricevere, in particolare nel contratto stipulato ci si impegna a scambiare flussi a tasso fisso con flussi a tasso variabile secondo le condizioni di mercato vigenti al momento della stipula del derivato stesso. Pertanto, in una situazione di mercato con tassi relativamente contenuti risulta economicamente conveniente pagare un tasso fisso per un arco temporale lungo, per esempio 30 anni, e ricevere un tasso variabile per

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esempio l'Euribor a 6 mesi. Ma anche queste strutture, le più semplici nel mercato dei derivati, hanno come contropartita la possibilità che, a seconda delle fluttuazioni dei tassi di interesse di mercato, tale «assicurazione» porti talora ad una maggiore spesa per interessi, in quanto il singolo flusso cedolare della cosiddetta «gamba» a pagare risulta più alto di quella a ricevere.
In generale, al momento di stipula di un derivato il valore attuale dei flussi della gamba a pagare e di quella a ricevere sono uguali pertanto il valore dei derivato è pari a zero, ovvero nessuna delle due controparti swap deve pagare o ricevere qualcosa all'altra controparte. Con il trascorrere dei tempo i movimenti dei tassi d'interesse portano ad avere un mark-to-market, ovvero il differenziale tra il valore attuale della gamba a pagare verso quella a ricevere, non più nullo. Naturalmente, lo stesso tornerà ad essere nullo alla scadenza dell'operazione. Quindi, il portafoglio derivati in essere in termini di nozionale è rappresentato principalmente da operazioni finanziarie plain vanilla volte a coprire il rischio tasso e cambio sulle emissioni in curo ed in valuta, rispondendo quindi alla necessità di protezione da andamenti sfavorevoli dei cambi o dall'eventuale rialzo dei tassi di interesse (allungamento della durata finanziaria del debito).
La eventuale conseguente maggiore spesa per interessi non può dunque essere definita una «perdita», altrimenti si dovrebbe parimenti affermare, ad esempio, che la spesa per la RCA sostenuta dal possessore di un'automobile rappresenta una perdita, quando, invece, altro non è che il costo per la protezione da un rischio.
Peraltro, una gestione accorta nel corso del tempo ha fatto sì parte di questo costo potesse talora essere compensato, cogliendo favorevoli condizioni di mercato, dalla rimodulazione dinamica di posizioni esistenti e, infatti, fino al 2006 l'attività in derivati ha prodotto un beneficio ai saldi di finanza pubblica, come evidenziato nella tabella sottostante, che riporta gli ultimi dati ufficiali trasmessi alla Commissione Europea e certificati da Eurostat in occasione della notifica di aprile scorso, confrontati con quelli di altri paesi europei.

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Peraltro, tali dati, come tutti quelli comunicati nell'ambito della procedura di controllo dei disavanzi eccessivi, sono espressi in termini di competenza economica, e non di cassa, come invece sono i dati di fabbisogno mensili, quale quello del febbraio 2008, citato nell'interrogazione in tale specifica occasione, il miliardo di euro di maggiore spesa per interessi di cassa di quel mese si riferisce a scelte di gestione del debito che nulla hanno a che vedere con l'utilizzo dei derivati. Esso consegue, invece, alla scelta di concentrare le date di godimento dei titoli a più lungo termine (10, 15 e 30 anni) nei mesi di febbraio e agosto, al fine di assicurare un'adeguata massa critica al mercato degli stripping(2). Tale scelta produce, col passare del tempo, un maggior pagamento di interessi nei due mesi in cui, appunto, scadono le rispettive cedole e questo è il fenomeno registrato nel febbraio 2008.

(2) Separazione e negoziazione separata di cedole mantello di titoli con cicli cedolari omogenei, operabile sul mercato secondario.

Come anche evidenziato nella tabella sopra riportata, non risulta corretta l'affermazione che l'Italia è l'unico paese europeo ad avere un'attività significativa in derivati: dalle informazioni disponibili, essa è piuttosto importante e diffusa nella generalità degli stati europei, ma essendo il debito dell'Italia il terzo del mondo e di gran lunga il più alto d'Europa, è evidente che anche i conseguenti flussi prodotti dalle, operazioni di swap sono mediamente più importanti (ma sempre molto limitati, se rapportati al Pil o, ancor più, al debito).
Riguardo alla selezione delle controparti, queste vengono scelte, di norma, fra gli Specialisti in titoli di Stato e, comunque, solo con chi rispetti stringenti condizioni di merito di credito. Infatti, in base al merito di credito, misurato dal rating attribuito dalle principali agenzie internazionali, viene determinato l'affidamento di ogni singola controparte, vale a dire il limite dell'esposizione creditizia per ciascuna. Tale esposizione si realizza unicamente nel caso in cui il valore di mercato complessivo delle posizioni in essere con una stessa controparte è positivo. Le singole operazioni vengono assegnate solo a seguito del confronto fra le condizioni praticate da diverse banche e dopo aver verificato che le modalità di pricing adottate coincidano coi risultati prodotti dall'autonoma valutazione dei funzionari del Tesoro (pochi, ma dotati di grande preparazione tecnica e professionalità), i quali a loro volta si avvalgono di tecnologie è modelli di valutazione avanzati, continuamente aggiornati e arricchiti, per rimanere in linea con quelli usati dagli operatori del mercato.
Lehman Brothers era uno Specialista molto qualificato, con grandi capacità professionali e che, almeno nelle relazioni con il Tesoro italiano, aveva tenuto nel tempo una condotta continuativamente caratterizzata da correttezza e competenza, che non poteva in alcun modo lasciar presagire particolari problemi. Peraltro, al di là delle situazioni critiche presenti nella gestione del gruppo che hanno poi portato al fallimento, il fatto che le operazioni in derivati bilaterali in essere con questa controparte (escludendo, dunque tutti i problemi connessi ai titoli Lehman o alle componenti derivate inserite in prodotti strutturati) fossero oltre un milione in tutto il mondo, conferma sia la buona reputazione della banca sia la gravità delle ripercussioni prodotte dal suo fallimento a livello globale.
In ogni caso, l'ultima operazione conclusa con questa controparte risaliva a inizio giugno 2007, quindi prima dell'inizio della crisi manifestatasi nell'agosto 2007 (la prima, non più in essere da tempo, risale al 1997).
Nello specifico, il fatto che il mark to market delle posizioni Lehman fosse negativo ha permesso di non soffrire alcuna perdita. Infatti si è potuto riassegnare tutte le posizioni in essere senza sostenere alcun onere proprio per il segno che presentavano. Se il mark to market fosso stato positivo si sarebbe invece certamente incorsi in una perdita effettiva, perché un ente fallito non è in grado di onorare interamente i propri impegni.
Infine, merito ai quesiti e perplessità espressa in relazione all'operazione SCIP 2, si precisa quanto segue.

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Come noto l'articolo 43 bis del decreto legge n. 207/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 14/2009, ha disposto la chiusura anticipata delle operazioni di cartolarizzazione di immobili degli enti previdenziali trasferiti da questi alla società di cartolarizzazione SCIP srl, in forza di quanto disposto dall'articolo 3 della legge n. 410/2001.
La scelta operata dal legislatore, come peraltro evidenziato nella relazione che ha accompagnato la proposta di emendamento, si basa sulla constatazione che la crisi del mercato finanziario ha inciso in modo diretto e consistente sul trend del mercato immobiliare, registrando un'ulteriore contrazione dei prezzi di vendita e allontanando gli investitori cui talune porzioni di portafoglio erano destinate (come, ad esempio, le unità ad uso commerciale libere da offrire in asta).
Tale situazione, tradottasi in una contrazione dei proventi delle vendite con ripercussioni sulla struttura dell'operazione, con particolare riguardo alle criticità economico-finanziarie derivanti dall'allungamento dei tempi per il rimborso del debito contratto a suo tempo dalla SCIP al fine di acquisire la proprietà dei beni, ha posto in evidenza la necessità di non riflettere tali oneri sugli enti previdenziali, ovvero sul prezzo differito ad essi spettante a completamento delle vendite.
Con riguardo al quesito inerente «l'onere per l'erario pari a 1,7 miliardi di euro per l'erario e la possibilità, remota, e che comunque non potrà concretizzarsi a breve, di ottenere dagli enti previdenziali la restituzione del corrispettivo da corrispondere a SCIP attraverso un'anticipazione di tesoreria» vanno chiariti taluni aspetti alla luce del disposto dell'articolo 43 bis.
Comma 7 - «Al fine del pagamento del corrispettivo da versare dì cui al comma 6 la SCIP; in nome e per conto dei soggetti originariamente proprietari, versa tutte le somme presenti sul conto riscossione intestato alla stessa società presso la tesoreria centrale dello Stato in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato». La norma prevede che gli enti provvedano a corrispondere alla SCIP, per il riacquisto degli immobili non venduti dalla SCIP, alla data del 29 febbraio, un prezzo che è stato determinato dall'Agenzia del Territorio, con le modalità di cui al comma 4 dei predetto articolo 43 bis.
Gli immobili riacquistati dagli enti sono stati valutati, rispettivamente per ciascun portafoglio:
SCIP 1: euro 250.812.765 (totale unità invendute 2.299);
SCIP 2: euro 2.175.339.459,65 (totale unità invendute: 24.823).

Il comma 5 dispone che nessun corrispettivo è dovuto per il portafoglio residuo SCIP 1.
Il comma 6 invece dispone che, a fronte del trasferimento agli enti degli immobili (portafoglio SCIP2) è pagato un corrispettivo pari al valore degli immobili al netto del maggior valore individuato dall'Agenzia dei Territorio, limitato, quindi, solo all'Importo necessario all'estinzione del debito SCIP, pari a 1,732.600.037,49 di euro.
Pertanto, come previsto dal su richiamato comma 7 dell'articolo 43 bis, la SCIP ha prelevato dal conto di tesoreria un importo pari ad euro 1.460.438150,83, e lo ha accreditato all'entrata del bilancio dello Stato a nome e per conto degli Enti. Gli enti hanno provveduto a versare direttamente sul conto di tesoreria della SCIP un importo complessivo pari ad euro 265.885.238, come previsto dal comma 8.
Al fine di consentire alla SCIP di estinguere il proprio debito entro il 27 aprile 2009, data delle scadenze contrattuali, è stata autorizzata un'anticipazione di tesoreria pari all'importo di cui sopra, affluito al bilancio dello Stato. Tale importo unitamente all'importo complessivo versato direttamente dagli enti ha consentito l'estinzione del debito.
L'anticipazione di tesoreria è stata estinta in data 9 giugno.
Premesso che il tecnicismo dell'anticipazione è previsto dal comma 7, e che solo in forza di detta autorizzazione si è provveduto ad operare, non può sollevarsi

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alcuna obiezione sulla modalità da parte degli enti di corrispondere il prezzo di riacquisto dei beni, risultati invenduti alla data del 29 febbraio. Si ricorda che al momento del trasferimento della proprietà dagli enti alla SCIP, sia nel 2001 sia nel 2002, il prezzo di acquisto è stato incamerato all'entrata del bilancio dello Stato e poi riassegnato sui conti vincolati degli enti conferenti.
Tale modalità, peraltro, ha consentito di registrare correttamente nei conti nazionali e nello stato patrimoniale degli enti le movimentazioni derivanti dall'alienazione dei beni e l'incameramento dei valori di vendita.
Infine, per quanto riguarda la menzionata operazione di cartolarizzazione dei proventi derivanti dal gioco del lotto e lotterie, si precisa che i titoli sono stati rimborsati nel 2004. I flussi nel tempo acquisiti nel conto di Tesoreria hanno dato luogo a minor fabbisogno per lo Stato, ancorché la natura degli stessi abbia comportato, al momento dei lancio dell'operazione un indebitamento pari a 3 miliardi, pari cioè all'ammontare dei titoli emessi dalla società veicolo.

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ALLEGATO 2

5-01552 Bitonci ed altri: Somme che le province devono versare all'entrata del bilancio dello Stato a compensazione della riduzione di trasferimenti.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione gli On.li Bitonci ed altri chiedono di escludere dai saldi utili per il rispetto del patto di stabilità interno le somme che, ai sensi della lettera b, del comma 12, dell'articolo 31, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, le Province devono versare all'entrata del bilancio statale a compensazione delle riduzioni dei trasferimenti previste dalle disposizioni dell'articolo 61, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (compensazione dell'istituzione dell'Imposta Provinciale di Trascrizione), dell'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (minori oneri di personale non docente degli Istituti tecnici statali) e dell'articolo 10, comma 11, della legge 13 maggio 1999, n. 133 (maggiore quota del gettito dell'imposta addizionale sui consumi energetici), a suo tempo non operate in tutto o in parte per l'inesistenza o l'insufficienza dei trasferimenti goduti dalle Province stesse. In alternativa, gli On.li interroganti chiedono l'ampliamento da 10 a 15 anni del periodo di restituzione delle predette somme da parte delle Province allo Stato.
Al riguardo, in merito alla richiesta di escludere dal patto di stabilità interno le somme in questione, si ritiene che la stessa non possa essere condivisa atteso che:
sotto un profilo generale, si verrebbe a creare un vulnus alla regola del patto, che, facendo riferimento al parametro del saldo finanziario, rende poco ragionevole l'esclusione di alcune voci;
sotto un profilo finanziario, l'esclusione di spese consentirebbe, a parità di obiettivo programmatico del saldo, di effettuare ulteriori spese, che porterebbero ad un peggioramento dei saldi di finanza pubblica, per cui sarebbe necessaria una adeguata compensazione finanziaria;
sotto un profilo equitativo, l'esclusione non appare condivisibile, atteso che, a fronte dei versamenti che le Province effettuano allo Stato, occorrerebbe considerare il vantaggio derivante alle stesse dall'attribuzione di un gettito dinamico del tributo che è sensibilmente maggiore dei predetti versamenti.

Per quanto concerne, infine, la richiesta di determinare in 15 anni la restituzione da parte delle Province delle somme dovute allo Stato - attualmente stabilita in 10 anni dal decreto interministeriale Interno/Economia 17 novembre 2003, n. 372 - si ritiene che la stessa non possa essere assentita, poiché potrebbe rivelarsi foriera di oneri per gli Enti locali non beneficiari della rateizzazione. Infatti, occorre considerare che la rateizzazione comporta una riduzione della misura delle erogazioni dei trasferimenti erariali a favore degli Enti locali esclusi dalla rateizzazione stessa, per cui l'allungamento della sua durata comporterebbe un corrispondente differimento dei termini per la completa erogazione dei predetti trasferimenti, con conseguenti effetti negativi sulla liquidità delle gestioni degli Enti stessi, che potrebbero tradursi nella necessità di ricorrere ad onerose anticipazioni di tesoreria.