CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 23 giugno 2009
192.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (XI e XII)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (Atto n. 79).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEI DEPUTATI DAMIANO ED ALTRI

Le Commissioni riunite XI e XII,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 recante attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123 in materia di tutela della salute e delle sicurezza nei luoghi di lavoro»;
premesso che:
il decreto legislativo 81 del 2008, varato con un ampio consenso anche in sede di espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti, è stato il frutto di un lungo e laborioso lavoro, che ha visto un confronto serrato con le organizzazioni sindacali e datoriali, al fine di pervenire ad un testo il più possibile condiviso;
nel corso della precedente legislatura era stato sottoscritto il «Patto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro» con le regioni e le province che aveva tra i punti qualificanti: la definizione di standard di attività di vigilanza definiti per i Servizi della Asl che prevedono complessivamente a livello nazionale la realizzazione di 250.000 interventi ispettivi/anno; il potenziamento operativo dei Servizi delle ASL, coerente e funzionale in rapporto ai LEA e alle esigenze territoriali riferite alla struttura produttiva/occupazionale, ai fattori di rischio, ai dati epidemiologici sui danni alla salute della popolazione lavorativa; l'aggiornamento continuo degli operatori, al fine di adeguare l'attività di prevenzione alle esigenze di tutela della salute all'interno del mercato del lavoro in continua evoluzione.
il triste bollettino quotidiano delle morti sul lavoro è una vera e propria emergenza nazionale sulla quale, più volte, vi è stato l'illustre richiamo del Presidente della Repubblica;
solo nei primi mesi di quest'anno si sono registrati 250 lavoratori morti per cause di lavoro, un dato ancora allarmante e, nonostante si registri negli ultimi due anni un leggero calo di incidenti, - 1.342 decessi per cause di lavoro nel 2006 e 1207 nel 2008 - l'incidenza di infortuni gravi e gravissimi rimane ancora molto alta per un paese che vuol dirsi civile;
nel corso della presente legislatura il Governo ha portato avanti un preciso processo di depotenziamento delle tutele dei lavoratori e di sostanziale dequalificazione del fattore lavoro, con una concomitante deresponsabilizzazione dello Stato e del sistema delle imprese. Si è assistito, infatti, a un sistematico intervento sul decreto legislativo in oggetto volto a procrastinare l'entrata in vigore di norme importanti per la sicurezza ora con il pretesto dell'urgenza, - come in occasione della conversione in legge del decreto

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emergenza rifiuti, - ora nel corso dell'esame del decreto-legge 112 e, infine, con il decreto cosiddetto «proroga termini»: tutti interventi volti a ridurre 1'efficacia delle disposizioni miranti alla tutela, alla sicurezza, alla salute e all'integrità dei lavoratori, contenute nel decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, spesso giustificate dalla volontà di «semplificare» le procedure ivi contenute;
dal Documento di programmazione dell'Attività di Vigilanza nel 2009 predisposto dal Ministero del Lavoro della salute e delle Politiche Sociali si evince che nel 2009 l'attività ispettiva sarà complessivamente ridotta del 24 per cento con punte del 50 per cento nelle regioni meridionali e, secondo la direttiva emanata dal Ministro Sacconi il 18 settembre 2008, tale attività sarà programmata a livello territoriale sulla base delle direttive del Ministro medesimo;
lo schema di decreto legislativo in oggetto concerne la modifica di circa 136 articoli su un totale di 306 di cui si compone il decreto legislativo n. 81 del 2008; si tratta dunque non di una semplice correzione, ma di un intervento complessivo che, in alcuni casi, trasforma significativamente il testo vigente, incidendo sui principi generali della sicurezza nei luoghi di lavoro e sulla disciplina particolare applicabile ai singoli settori e alle diverse attività;
il testo di decreto correttivo proposto, inoltre, incide significativamente sul tema della valutazione dei rischi svilendone notevolmente la natura tramite una serie di interventi che ne limitano la portata. Le previsioni contenute all'articolo 14 e 16, solo per fare un esempio, derogano dall'obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi in determinate casi, il primo, mentre il secondo rimanda al datore di lavoro i criteri per la redazione del medesimo; anche le sanzioni in caso di omissione della valutazione dei rischi hanno subito una significativa riduzione;
il sistema sanzionatorio previsto, inoltre, viene ridefinito sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, attraverso la riduzione delle pene e delle ammende (rimodulandone il minimo e il massimo previsto) e tramite la reintroduzione dell'alternativa tra arresto e ammenda, in taluni casi, ritornando alle insufficienti previsioni previgenti il decreto legislativo 81; al contrario, l'attuale testo prevede la pena dell'arresto in via esclusiva nei casi di violazioni più gravi compiute dal datore di lavoro e dai dirigenti; mentre le violazioni della normativa antinfortunistica nelle aziende cosiddette ad alto rischio, viene punita oggi con l'arresto da sei mesi ad un anno e sei mesi, mentre nel testo correttivo le medesime violazioni sono sanzionate con la pena alternativa dell'arresto da quattro ad otto mesi ovvero con l'ammenda da quattromila a ottomila euro;
di contro la riduzione del sistema sanzionatorio non riguarda le ammende applicabili al lavoratore per le violazioni poste a suo carico, che viceversa registrano un aumento dei minimi e dei massimi; tali interventi sono la conseguenza dell'approccio che ispira l'azione del presente governo, volto a scaricare sui fattori soggettivi la responsabilità della sinistrosità sul lavoro, piuttosto che sull'organizzazione del ciclo produttivo;
si è voluto, in conclusione, rimettere mano all'impianto stesso che è alla base del sistema sanzionatorio del decreto legislativo 81, che era stato ispirato ai principio della modulazione delle sanzioni in relazione all'effettiva rischiosità della norma omessa;
relativamente al settore dei trasporti, marittimo, portuale e ferroviario, non vi è stata ancora da parte dell'esecutivo la volontà di affrontare il tema della vigilanza che vede più soggetti operanti nello stesso ambito lavorativo, anche in riferimento alla sorveglianza sanitaria che attualmente viene esercitata da soggetti

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molteplici, cosa che spesso determina conflitti di competenze tra diversi medici; nessun riferimento, inoltre, alla necessità che valutazione dei rischi venga effettuata anche per i diversi mezzi di trasporto;
il testo proposto reca in particolare due norme aggiuntive che modificano profondamente la natura e il senso del decreto legislativo n. 81 del 2008, compromettendone fortemente l'efficacia: l'articolo 2-bis e l'articolo 10-bis, che insiste sull'articolo 15 del decreto legislativo vigente; tali disposizioni, oltre alla scarsa chiarezza della formulazione proposta, determinano nei fatti una crescente difficoltà da parte del lavoratore per una chiara e determinata esigibilità in caso di infortunio grave o gravissimo per omissione delle norme sulla sicurezza da parte del datore del lavoro, oltre che una crescente deresponsabilizzazione di quest'ultimo in ordine agli obblighi in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro; peraltro, la direttiva 89/391/CE, con la quale le norme in esame si pongono chiaramente in contrasto, esclude esplicitamente sia il ricorso a competenze esterne, sia che gli obblighi posti a carico dei lavoratori possano escludere la responsabilità del datore di lavoro;
l'articolo aggiuntivo, articolo 2-bis, (Presunzione di conformità) - che richiama anche al comma 5-bis dell'articolo 18 - stabilisce il principio della presunzione di conformità alle disposizioni di corrispondente contenuto di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008, sia per quanto riguarda la corretta attuazione delle norme tecniche e delle buone prassi, sia in riferimento alla certificazione della correttezza dei sistemi di gestione in materia di salute e sicurezza che vengono ora affidati agli enti bilaterali e alle università. A tale riguardo si osserva che la previsione in oggetto snatura il decreto legislativo attualmente vigente, in quanto gli enti bilaterali e le facoltà universitarie non hanno le competenza necessarie per svolgere tale tipo di certificazione con efficacia e contrasta con tutti i sistemi europei ed internazionali in materia che affidano ad un ente terzo, specializzato, con elevate competenze tecniche la certificazione richiesta;
inoltre appare difficile che la presunzione di conformità possa riferirsi all'avvenuto rispetto di centinaia di norme che compongono il testo e, dunque, a tutta la normativa concernente la sicurezza e la salute dei lavoratori. La conformità non può essere presunta ma deve essere accertata caso per caso in relazione alle valutazioni che devono essere svolte per verificare la esatta corrispondenza alle norme;
particolarmente grave, infine, la presunzione di conformità alle prescrizioni del decreto legislativo 81, attribuita dallo schema di decreto correttivo, alle macchine marcate CE. Tale previsione contrasta con la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione che ha più volte espresso il principio che il datore di lavoro, acquirente di macchine marcate CE, ha comunque l'obbligo di verificarne la sicurezza e, dunque, versa in colpa qualora non elimini vizi rilevabili con ordinaria diligenza, prudenza, perizia e vizi non occulti;
la presunzione di conformità, in conclusione, stabilita dal nuovo articolo 2-bis nei fatti solleva il datore di lavoro da responsabilità in caso di infortunio sul lavoro con una macchina marcata CE, pur se si tratti da vizi non occulti ma rilevabili con l'ordinaria diligenza, prudenza e perizia;
l'articolo 10-bis (Obbligo di impedimento), insiste sull'articolo 15 dell'attuale testo prevedendo un articolo aggiuntivo. Su tale norma si è levata anche la voce del Presidente della Repubblica che ne ha chiesto un'attenta revisione, nonché il parere negativo della Conferenza delle Regioni, che ha espresso la sua contrarietà alle correzioni proposte dal Governo;
l'articolo aggiuntivo, al comma 1, lettere c) e d), infatti, oltre ad agire al di fuori di quanto previsto dalla legge delega 123/2007, nei fatti deroga all'articolo 40

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comma 2 del codice penale (in base al quale non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo) che costituisce oggetto di vasta giurisprudenza, anche nel settore della sicurezza del lavoro, delimitandone l'applicabilità ad esclusivo vantaggio dei datori di lavoro, dirigenti, operatori ed altri a scapito di altri soggetti tra i quali, in primo luogo, i lavoratori;
le disposizioni contenute alla lettera c), si presentano come estremamente insidiose, proprio perché incidono in maniera significativa anche sull'articolo 2087 del codice civile poiché, secondo quanto previsto dalla lettera in oggetto, gli obblighi la cui violazione determina la responsabilità penale, sono solo quelli previsti tassativamente dalla legge per le singoli posizioni di garanzia; in tal modo la norma proposta deroga dagli obblighi generali di tutela delle condizioni di lavoro di cui all'articolo citato del codice civile;
nella norma, in oggetto, infine, si ravvisa anche un principio di incostituzionalità, laddove finisce per trattare in maniera diversa la salute nei luoghi di lavoro rispetto ad altri di eguale rilievo costituzionale, quale l'ambiente; il medesimo imprenditore risponderebbe di un reato ambientale, in riferimento all'articolo 40, comma 2, codice penale, mentre per quanto concerne i reati legati alla salute e sicurezza del lavoro, si gioverebbe di una legislazione, in base alla formulazione proposta dall'articolo 10-bis del testo correttivo, a lui più favorevole;
quanto previsto dalle lettera d), inoltre, deresponsabilizza, nei fatti, il datore di lavoro a scapito di altri soggetti tra i quali, i lavoratori; in tal modo si opera un ribaltamento dell'accertamento delle responsabilità, dato che comunque la giurisprudenza ha più volte affermato che il datore di lavoro non può essere chiamato a rispondere di infortuni di cui non ha colpa, cosa che non esclude che il datore medesimo debba essere chiamato alle sue responsabilità anche quando alla omissione di importanti norme sul terreno della salute e della sicurezza abbiano concorso anche altri soggetti. La formulazione della norma così come proposta stravolge, invece, l'impianto stesso del decreto legislativo vigente, modificando nei fatti anche il codice penale in materia, laddove prevede che per processare il datore di lavoro o il responsabile della sicurezza, l'evento non deve essere imputabile a una serie di soggetti, tra i quali anche il lavoratore, «per le violazione delle disposizioni ivi richiamate» esonerando, nei fatti, i datori di lavoro in caso di concorso di colpa; tale modifica, inoltre, rischia di compromettere i processi penali in corso, in quanto, trattandosi di norma favorevole al reo, al momento dell'entrata in vigore, opera in maniera retroattiva;
si rammenta, infine, che la direttiva 391/1989/CE, volta a stabilire le prescrizioni minime per promuovere il miglioramento in particolare dell'ambiente di lavoro, per garantire un più elevato livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, all'articolo 5, paragrafo 3, stabilisce che «gli obblighi dei lavoratori nel settore della sicurezza e della salute non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro» specificando poi al paragrafo 4 che «La presente direttiva non esclude la facoltà degli Stati membri di prevedere l'esclusione o la diminuzione della responsabilità dei datori di lavoro per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze delle quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata»;
osservato che:
all'articolo 4 la sostituzione del comma 4 reca modifiche nel settore agricolo in particolare sul computo dei lavoratori stagionali che in luogo di essere computati a prescindere dalla durata del contratto sulla base dell'orario di lavoro effettuato vengono adesso computati per frazioni di unità lavorative annue. Questo significa che, per la composizione tipica

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della forza lavoro delle nostre aziende agricole, il computo dei lavoratori risulta estremamente ridotto e di conseguenza risultano ridotti particolari obblighi relativi alla salute e alla sicurezza;
le modifiche apportate all'articolo 9, mediante l'articolo 7 del decreto correttivo dovrebbe prevedere che l'erogazione di prestazioni di assistenza sanitaria devono essere sempre svolte in strutture abilitate secondo criteri prefissati dal sistema sanitario nazionale per le strutture equipollenti;
l'articolo 10 interviene sull'articolo 14 dell'attuale decreto legislativo con particolare riguardo al contrasto del lavoro irregolare. La sospensione dei lavori non avviene più in caso di «gravi e reiterate violazioni», ma solo nel caso di «plurime», stabilendo contestualmente che, per le violazioni plurime si intendono almeno 3 violazioni contestuali o la ripetizione nel biennio della stessa violazione; nel contesto della generale deresponsabilizzazione del datore di lavoro, inoltre, si prevede che la sanzione interdittiva viene ridotta al solo periodo di sospensione dei lavori nel caso in cui l'impresa sia sospesa perché occupa meno del 50 per cento dei lavoratori in modo irregolare;
l'articolo 12 modifica le disposizioni contenute all'articolo 18, ed in particolare al comma l, lettera aa), cancellando la disposizione che attualmente obbliga il datore di lavoro a comunicare all'Inail il nominativo del Rls interno prevedendo, in mancanza, che la rappresentanza sia esercitata dal Rappresentante territoriale dei lavoratori; con la modifica introdotta si prevede che siano i lavoratori a dover comunicare al datore di lavoro di non aver eletto il proprio Rls interno all'impresa e che il datore di lavoro comunichi ciò non più all'Inail ma agli organismi paritetici, che ancora non sono stati costituiti su gran parte del territorio nazionale; tale misura, laddove accolta, determinerebbe, di fatto, l'esclusione di tanta parte dei lavoratori delle piccole e medie imprese - ovvero della stragrande maggioranza del sistema produttivo nazionale - dall'applicazione delle norme in materia di Rls;
l'articolo 13 prevede la riformulazione della lettera c) e l'abolizione della lettera f) dell'articolo 25 del decreto 81/2008. La presunta semplificazione, in realtà, comporterà un onere maggiore per le imprese: il datore di lavoro avrà l'obbligo di mantenere la cartella sanitaria di rischio del lavoratore in busta chiusa per 10 anni, in luogo dell'attuale procedura che prevede l'invio all'Ispesl della cartella medesima. Il risultato sarà che le imprese dovranno conservare migliaia di cartelle sanitarie, dove saranno ripetute le stesse informazioni, cosa che aumenterà le difficoltà e i rischi, per quei lavoratori che cambiano diverse volte datore di lavoro nel corso dell'anno. Sarà dunque difficile ricostruire, per questi lavoratori, la storia personale e sanitaria cosa ora garantita dalla conservazione presso 1'Ispesl dei dati in questione;
l'articolo 14 inserisce due nuovi commi all'articolo 26: il comma 3-bis stabilisce l'esonero per i datori di lavoro committenti del documento di valutazione dei rischio per lavori riferiti alle mere forniture di materiali, ai servizi di natura intellettuale ed ai lavori la cui durata non sia superiore ai due giorni, ad eccezione delle esposizioni ad agenti cancerogeni, biologici e atmosfere esplosive. Da tali esposizioni, comunque, non è incluso l'amianto e la previsione di due giorni non esclude che in quel medesimo arco temporale possano verificarsi incidenti gravi o gravissimi;
la correzione apportata dall'articolo 15 al comma 2 all'articolo 27 del decreto legislativo, modifica l'obbligo per le imprese che partecipano a gare o appalti di possedere i requisiti per ottenere la qualificazione. Il possesso di tali requisiti, fino ad ora «vincolante» per la partecipazione a gare ed appalti, diviene adesso «elemento preferenziale», sminuendo

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nei fatti, l'importanza dei requisiti medesimi;
la previsione inserita con l'articolo 16 che aggiunge il comma 3-bis all'articolo 28, stabilisce che le imprese di nuova costituzione sono tenute ad effettuare entro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività l'elaborazione del documento di valutazione dei rischi, in luogo dell'attuale contestualità; correlata alla precedente disposizione, la riformulazione della lettera a) al comma 2 del medesimo articolo, laddove si rimanda al datore di lavoro la redazione del documento di valutazione di rischi «secondo criteri di semplicità, brevità e comprensibilità» stabiliti, dunque, secondo il testo correttivo, dalla personale valutazione del datore medesimo:
la visita medica preassuntiva è oggetto delle modifiche dell'articolo 24 che incide sull'articolo 41 del vigente decreto legislativo. L'abrogazione al comma 3 della lettera a) abolisce il divieto che la visita medica preassuntiva sia effettuata da un medico interno all'azienda. La norma attuale, infatti, prevede che la visita per l'accertamento dell'idoneità del lavoratore a particolari mansioni deve essere effettuata solo presso strutture pubbliche, e non dai medici privati dell'azienda medesima. Si rileva, inoltre, che tale disposizione contrasta con l'articolo 5 della legge 300/70;
l'articolo 20 reca modifiche all'articolo 37 del testo unico, ed in particolare al comma 14 ove inserisce una formulazione che nei fatti snatura il libretto formativo del lavoratore, stabilendo che le competenze acquisite a seguito delle attività di formazione sono registrate nel libretto formativo, se concretamente disponibile in quanto attivato nel rispetto delle vigenti disposizioni;
gli articolo 27 e 28, che modificano gli articoli 47 e 50 del decreto vigente, incidono in maniera significativa sulla rappresentatività dei lavoratori, anche in relazione a quanto stabilito dallo Statuto dei lavoratori. Il primo rimette agli organismi paritetici l'assegnazione dei rappresentati per la sicurezza territoriali laddove i lavoratori comunicano la mancata elezione del rappresentante al datore di lavoro; viene a mancare, in questo caso, la rappresentanza espressa dai lavoratori poiché gli organismi paritetici sono espressione anche delle organizzazioni datoriali, e come già detto al riguardo all'articolo 12, tali organismi non sono stati ancora costituiti su gran parte del territorio nazionale; con la modificazione introdotta dall'articolo 28, nei fatti gli RLS si sostituiscono agli RSU, precludendo alle rappresentanze sindacali la possibilità di intervenire su materie di loro stretta competenza quali ritmi, carichi di lavoro, turni, riposi eccetera;
con l'articolo 30 si interviene, invece, sull'articolo 52 snaturando il Fondo di sostegno alla piccola e media impresa, spostando la maggior parte delle risorse dagli RLST (costituzione, formazione e attività) agli organismi paritetici e eliminando la quota di finanziamento proveniente dalle sanzioni; anche in questo caso la conseguenza di tali modifiche è la riduzione dell'incisività e della rappresentatività degli RLST;
particolare attenzione dovrebbe essere rivolta nei confronti dei lavoratori esposti all'amianto per i quali all'articolo 110, che incide sull'articolo 259, si dovrebbe prevedere una periodicità nei controlli, almeno annuale, mentre sempre in campo sanitario, l'articolo 111 che incide sull'articolo 261 del testo vigente, dovrebbe prevedere, oltre ai casi accertati di mesotelioma anche le patologie dell'apparato genitourinario per quei lavoratori che prestano la loro opera con sostanze nocive quali vernici tossiche, collanti, solventi eccetera sarebbe utile in questi casi la predisposizione di un elenco;
per quanto riguarda il sistema sanzionatorio si rileva una generale diminuzione delle sanzioni, laddove l'intervento modificativo pare veicolare l'idea che la sicurezza sul lavoro rimane un costo a carico delle imprese anziché un elemento

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necessario ed integrante del processo produttivo medesimo;
in riferimento alle sanzioni previste a carico del datore di lavoro l'articolo 31, che sostituisce interamente all'articolo 55 del testo unico (Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente), contiene una generale diminuzione delle ammende originariamente contemplate nonché l'esclusione dell'arresto, laddove previsto;
al contrario, si registra un aumento delle sanzioni a carico del lavoratore di cui all'articolo 35 che modifica l'articolo 59 del testo proposto,

esprimono

PARERE CONTRARIO

«Damiano, Livia Turco, Boccuzzi, Pedoto, Berretta, Bellanova, Bobba, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Letta, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, Argentin, Binetti, Bossa, Bucchino, Burtone, Calgaro, D'Incecco, Grassi, Lenzi, Miotto, Mosella, Murer, Sbrollini».

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (Atto n. 79).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEI DEPUTATI DONADI ED ALTRI

Le Commissioni riunite XI e XII,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
premesso che:
lo schema di decreto legislativo correttivo del decreto legislativo n. 81 del 2008 opera un sostanziale ribaltamento della «filosofia» del Testo Unico, dei contenuti fondamentali e delle prospettive essenziali dello stesso;
la stessa ampiezza del testo proposto (136 articoli), le modifiche talora assai rilevanti, la riformulazione di intere parti o settori, sotto un profilo sistematico, assumono in concreto l'aspetto di un provvedimento che corrisponde assai poco a ciò che intendeva il legislatore quando conferiva una delega anche per limitati interventi correttivi e integrativi ed ancora meno alla ratio ed alle finalità complessive desumibili dal testo del decreto legislativo n. 81;
le disposizioni che prevedono l'abbassamento di protezione rispetto alle previsioni della normativa precedente sono da ritenersi incostituzionali per eccesso di delega: la legge n. 123 del 2007 prevede infatti, all'articolo 1, comma 3, che i decreti delegati non possano «disporre un abbassamento dei livelli di protezione, di sicurezza e di tutela o una riduzione dei diritti e delle prerogative dei lavoratori e delle loro rappresentanze»;
tra le norme di più dubbia costituzionalità vanno segnalate:
a) la forte riduzione dei casi in cui sussiste l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi da interferenza correlati agli appalti, già prevista dall'articolo 7, decreto legislativo 626 del 1994, come modificato dall'articolo 3 della legge n. 123 del 2007;
b) l'abrogazione del comma 2 dell'articolo 42 fa scomparire il diritto del lavoratore divenuto inidoneo alla mansione per motivi sanitari alla conservazione della qualifica originaria, consentendo di fatto un demansionamento, in deroga all'articolo 13 della legge n. 300 del 1970 e oltretutto senza distinguere i casi di inidoneità temporanea da quelli di inidoneità permanente, con il rischio di compromettere gravemente la professionalità del lavoratore;
c) la previsione, per molti versi ambigua contenuta nell'articolo 28 (che modifica l'articolo 50 del decreto legislativo n. 81 del 2008), in base al quale il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) «svolge le funzioni di cui all'articolo 9 della legge 30 maggio 1970, n. 300», realizza una riduzione dei livelli di tutela

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limitando così la possibilità riconosciuta da tale norma ai lavoratori di controllare, mediante proprie rappresentanze la sicurezza degli ambienti di lavoro;
d) la riduzione dei casi in cui è possibile procedere alla sospensione dei lavori per gravi violazioni in materia di sicurezza costituisce un abbassamento del livello di protezione: anche in questo caso si può configurare un eccesso di delega, essendo tale sospensione già prevista anche dalla disciplina antecedente alla legge n. 123 del 2007;
i rischi di una operazione come quella che emergerebbe dallo schema del decreto al nostro esame appaiono evidenti e possono essere così sintetizzati:
un abbassamento dei livelli di tutela;
una minor chiarezza ed efficacia del dettato complessivo;
lo svuotamento di alcune misure e di alcuni istituti essenziali;
la deresponsabilizzazione di alcuni dei principali responsabili della sicurezza;
la riduzione dei poteri e delle funzioni degli organismi di vigilanza;
alcuni messaggi negativi sotto il profilo della cultura della prevenzione;
serie possibilità di contrasto, su punti tutt'altro che secondari, con disposizioni e direttive comunitarie e con norme costituzionali;
con tali proposte di modifica:
si interviene a limitare i diritti individuali dei lavoratori mettendone in discussione strumenti fondamentali;
si interviene a limitare i diritti collettivi e di rappresentanza, si snatura la funzione di rappresentanza assegnandole compiti e funzioni improprie, si opera una sostanziale deresponsabilizzazione del datore di lavoro;
si svuota il sistema sanzionatorio;
infatti, sul piano dei diritti individuali, lo schema di decreto interviene su tre principali strumenti di tutela preventiva ed assicurativa di cui dispone il singolo lavoratore:
il divieto di visita preassuntiva da parte del medico di fiducia dell'impresa;
la cartella sanitaria di rischio;
il libretto formativo che, con il Decreto 81 avevano trovato una loro sistematizzazione;
mettere in mora ed anzi svuotare questi strumenti della loro funzione significa privare il singolo lavoratore e l'organizzazione sindacale che dovrebbe tutelarlo di strumenti fondamentali di conoscenza e di controllo su due diritti fondamentali tutelati dal TU: la tutela sanitaria e la formazione ed addestramento;
il testo si configura anche come un ridimensionamento dei diritti collettivi di tutela del lavoro attraverso norme che intervengono direttamente sui principali capitoli del controllo sociale del rischio. Il testo configura, infatti, un ridimensionamento del ruolo della rappresentanza e della contrattazione di secondo livello (aziendale e territoriale), dei diritti ed delle prerogative di tutte le rappresentanze dei lavoratori (Rls, Rsu/a, Rls territoriali) attraverso una serie di norme disseminate lungo numerosi articoli del Titolo I. In particolare quelli che vanno dall'articolo 47 al 52 del decreto legislativo 81;
con gli articoli 2-bis e 15-bis (articolo 10-bis dello schema di decreto legislativo) si deresponsabilizzano di fatto i datori di lavoro e i dirigenti, cioè i primi destinatari dell'obbligo di prevenzione per la salute e sicurezza nel lavoro;
pesa la mancata attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 che si è concretizzata con due procedure:
a) le proroghe per l'entrata in vigore di alcuni importanti obblighi (con l'articolo 4 del decreto legge n. 97 del 2008; con il decreto legge n. 112 del 2008 che ha

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ridotto la possibilità di controllo e sanzioni; l'articolo 32 del decreto legge n. 207 del 2008);
b) i ritardi nell'emanazione dei decreti attuativi: per il coordinamento della nuova normativa con quella relativa a settori particolarmente pericolosi; per mettere in funzione il nuovo sistema istituzionale di prevenzione e vigilanza; per il sostegno alle PMI; eccetera;
il testo del Governo si configura, dunque, come una vera e propria controriforma;
in particolare:
non è condivisibile l'intero articolo 2-bis che conferisce presunzione di conformità alle prescrizioni contenute nel decreto legislativo (e quindi di legge), sia alla corretta attuazione delle norme tecniche e delle buone prassi, sia alla adozione dei modelli di organizzazione e di gestione delle imprese, addirittura certificabili dagli enti bilaterali. Si segnala al riguardo che le norme tecniche e le buone prassi a cui si riferisce la norma sono disposizioni diverse da quelle stabilite nel decreto legislativo 81/08. Per altro, mentre le norme tecniche hanno carattere specifico e ulteriore rispetto a quelle stabilite nel decreto legislativo 81/08, le buone prassi sono soluzioni organizzative o procedurali che devono essere coerenti con la normativa ma che possono essere adottate solo volontariamente;
il nuovo articolo 2-bis e, con esso, le modifiche introdotte all'articolo 30 del decreto legislativo 81 affievoliscono la responsabilità del datore di lavoro e delle persone giuridiche, società e associazioni anche prive di responsabilità giuridiche, introducendo non condivisibili sistemi di presunzioni e certificazioni;
la nuova stesura dell'articolo 4 del decreto legislativo 81 che contiene disposizioni volte a limitare il campo di applicazione della normativa, attraverso la riduzione del numero dei lavoratori da computare ai fini dell'applicazione del decreto stesso è di assai dubbia legittimità sul piano comunitario, contraddicendone i principi di fondo. La Corte di giustizia ha infatti sempre affermato che le definizioni contenute nelle direttive devono essere interpretate in senso ampio e non restrittivo, per evitare che un numero significativo di lavoratori non possa beneficiare della protezione accordata;
l'articolo 14 del decreto legislativo 81 era già stato depotenziato con l'articolo 41 del decreto legge 112 del 2008, e non si possono condividere le ulteriori numerose modifiche tese alla riduzione delle ipotesi di sospensione dei lavori. Si riduce così ulteriormente un importante strumento di contrasto al lavoro irregolare e alle gravi irregolarità nel lavoro;
l'articolo 15-bis del decreto legislativo 81 (articolo 10-bis dello schema di decreto legislativo) nei fatti deroga ai principi generali del diritto penale, introducendo dei limiti alla responsabilità omissiva del datore di lavoro e dei dirigenti nell'ambito della salute e sicurezza nel lavoro. Con esso si dà una interpretazione di chiusura dell'articolo 2087 del codice civile, norma basilare nel diritto prevenzionistico. Con questa modifica verrebbe meno l'obbligo dell'imprenditore ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori. Cioè vincolerebbe l'imprenditore alle sole norme di legge esonerandolo di fatto dall'adeguamento al progresso scientifico. Con la lettera d) dell'articolo 15-bis, si stabilisce che il datore o il dirigente non risponde della morte o dell'infortunio se l'evento è ascrivibile al fatto dì un preposto, progettista, medica competente, lavoratore, lavoratore autonomo cioè al fatto di uno qualsiasi degli altri soggetti operanti nel contesto produttivo. In altri termini: se è intervenuto il fatto colposo di un altro soggetto subordinato, il vertice per definizione non ne risponde, anche se il datore o il dirigente abbiano contribuito causalmente all'infortunio. Si ravvisa qui un chiaro eccesso di delega che introduce nel sistema una norma che, per la sua

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rilevanza sistematica, dovrebbe addirittura venire collocata nella parte generale del codice penale. Si opera in questo modo un vero e proprio ribaltamento nell'accertamento processuale: un conto infatti è affermare che il datore non può essere chiamato sempre a rispondere degli infortuni anche quando non ha colpa (principio mai negato dalla nostra giurisprudenza), altro è esentarlo da responsabilità anche quando è in colpa, solo perché con la sua concorrono altre responsabilità;
la modifica è ancora più grave, in quanto, trattandosi di norma favorevole al reo, opera in via retroattiva, e dunque incide anche sui processi in corso, imponendo l'assoluzione del datore quando vi sia la responsabilità anche di un altro soggetto. Si tratta in definitiva di una norma che contrasta radicalmente con le indicazioni provenienti dalle fonti normative comunitarie e con i principi da sempre affermati dalla nostra giurisprudenza;
emergono evidenti profili di incostituzionalità:
per eccesso di delega, visto che nella legge-delega non vi era alcun accenno a tale modifica;
per violazione della normativa comunitaria, che alla direttiva 391/89 limita l'esclusione della responsabilità del datore di lavoro all'intervento di fattori eccezionali ed imprevedibili;
nonché per violazione del principio di uguaglianza, posto che viene irragionevolmente istituito un regime di favore per il datore ed i dirigenti;
vengono modificate (nuova stesura dell'articolo 16 del decreto legislativo 81) le disposizioni relative alla valutazione dei rischi, che costituisce il principale e più delicato adempimento del datore di lavoro. Diversi decreti legge hanno posticipato l'entrata in vigore dei nuovi obblighi in materia e dalla valutazione dei rischi complessiva è stata, per così dire, scorporata quella relativa allo stress lavoro correlato. Lo schema di decreto correttivo prevede ora che la valutazione di questo rischio specifico ma tutt'altro che secondario debba avvenire «nel rispetto delle indicazioni fornite dalla Commissione di cui all'articolo 6 entro 180 giorni dalla emanazione delle stesse. Si tratta di un rinvio inaccettabile, da un lato perché i tempi di emanazione delle indicazioni da parte della Commissione saranno necessariamente lunghi, data la quantità di adempimenti affidata dal decreto legislativo 81 del 2008 a tale organismo, dall'altro perché sia la direttiva 89/391/CE, sia il decreto legislativo 626 del 1994 impongono già da tempo di valutare tutti i rischi connessi al lavoro. La violazione di quest'obbligo tra l'altro è già costata all'Italia una condanna per inadempimento da parte della Corte di giustizia CE (C-49/00);
si introduce, inoltre, con l'articolo 16, una norma secondo la quale «la scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l'idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi». La norma genera confusione perché l'articolo 28 del decreto legislativo 81 del 2008 prevede invece, al preciso scopo di supportare le imprese nella difficile attività in questione, che siano elaborate procedure standardizzate di valutazione dei rischi da parte della Commissione consultiva; essa rischia di risolversi in un danno per le imprese anziché in una semplificazione, perché la mancanza di criteri certi le espone maggiormente al rischio di affidarsi a soggetti non sufficientemente qualificati.
con le modifiche all'articolo 18 del decreto legislativo 81, il Governo mette in discussione il diritto di milioni di lavoratori e lavoratrici delle piccole e piccolissime imprese (sotto i 15 dipendenti) ad avere una rappresentanza certa in materia di salute e sicurezza nel lavoro. Infatti, vengono messi in discussione due punti fondamentali del Decreto 81: la certezza della rappresentanza in tutti i luoghi di

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lavoro ed il sostegno alla rappresentanza territoriale dei lavoratori delle piccole imprese. In particolare, viene soppressa la disposizione del Decreto 81 che sancisce l'obbligo del datore di lavoro (articolo 18 c1 lettera aa)) a comunicare all'Inail il nominativo (ove presente) del Rls interno prevedendo, in mancanza di questa comunicazione, che la rappresentanza sia esercitata in questi casi dal Rappresentante territoriale dei lavoratori. A questo meccanismo, semplice ed efficace e per il quale l'Inail aveva già predisposto procedure e moduli, lo schema di decreto correttivo sostituisce un meccanismo che prevede che siano i lavoratori di queste realtà a dover comunicare al datore di lavoro di non aver eletto il proprio Rls interno all'impresa, prevedendo poi che il datore di lavoro comunichi ciò non più all'INAIL ma agli Organismi Paritetici, peraltro non ancora costituiti in larghissima parte del territorio nazionale;
con le modifiche e le cancellazione di commi dell'articolo 25, presentate sotto il segno della semplificazione di misure formali, il Governo attua il sostanziale svuotamento della cartella sanitaria di rischio del lavoratore;
nella nuova stesura dell'articolo 26 del decreto legislativo 81 relativo agli appalti non è condivisibile in primo luogo la riduzione delle ipotesi di redazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze (DUVRI). Non è infatti possibile stabilire a priori se le interferenze delle lavorazioni sussistono o sono irrilevanti. Si sottolinea inoltre che le norme di cui agli articoli 2-bis e 15-bis hanno una potenziale incidenza anche nel campo degli appalti, in quanto hanno anche l'effetto di esonerare il committente dalle proprie responsabilità per gli infortuni avvenuti ai dipendenti dell'appaltatore, anche quando tali infortuni siano conseguenza dell'ambiente di lavoro predisposto dal committente e quando siano dovute al mancato coordinamento dei sistemi di sicurezza delle diverse aziende operanti nello stesso ciclo produttivo. In altri termini, si rischia di svuotare di contenuto le disposizioni di cui all'articolo 26. Il fatto è ancora più grave se si considera che il sistema degli appalti e del decentramento produttivo costituiscono notoriamente uno dei principali fattori di rischio;
con la nuova versione dell'articolo 41 del decreto legislativo 81 si cancella il divieto della visita medica preassuntiva, violando lo Statuto dei lavoratori (Legge 300 del 1970). Inoltre, si istituisce l'obbligo della visita medica alla ripresa del lavoro, dopo una lunga malattia (almeno sessanta giorni continuativi), al fine di verificare l'idoneità alla mansioni. Non si può condividere l'abrogazione del divieto di visita preassuntiva (articolo 41 comma 3, lettera a)) da parte del medico di fiducia dell'azienda, poiché in contrasto con l'articolo 5 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori);
la modifica dell'articolo 50 del decreto legislativo n. 81 esclude, attraverso una interpretazione riduttiva dell'articolo 9 dello Statuto dei lavoratori, le rappresentanze aziendali (Rsu/a) dalla possibilità di intervenire su materie di loro stretta competenza (quali ritmi e carichi di lavoro, turni, riposi, riposi notturni e settimanali, ferie eccetera) e demanda questa funzione e responsabilità ai soli Rls. Con questo si nega ai lavoratori ed alle loro rappresentanze il diritto di contrattare l'organizzazione del lavoro, determinando nel contempo l'isolamento dell'Rls. Va ricordato, inoltre, che l'Organizzazione del Lavoro è esplicitamente richiamata tra le misure generali di tutela previste dall'articolo 15 del decreto legislativo 81;
lo schema di decreto legislativo interviene sull'articolo 52 spostando la maggioranza della risorse dagli Rlst (costituzione, formazione e attività) agli Organismi Paritetici e eliminando la quota di finanziamento proveniente da parte delle sanzioni: il rischio è quello di ridurre l'incisività degli Rlst e di snaturarne la funzione di rappresentanza;
è prevista in numerosi articoli la riduzione generalizzata delle sanzioni. Al

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di là del merito, ciò che risulta inaccettabile è il significato simbolico della riforma: in un momento in cui la politica del governo in materia penale è tutta tesa ad un generalizzato inasprimento della reazione penale sulla scorta della invocazione di pene esemplari (tra i settori oggetto delle modifiche più recenti: immigrazione, circolazione stradale, molestie, eccetera) la sicurezza sul lavoro è l'unico settore in cui, invece, si ritiene preferibile diminuire il carico sanzionatorio. Il chiaro messaggio simbolico è che la sicurezza dei lavoratori non è dunque un interesse meritevole di tutela. Da notare inoltre che, in questo quadro di generalizzata diminuzione, solo per i lavoratori invece le sanzioni vengono aumentate (vedi il nuovo articolo 59 del decreto legislativo 81): anche qui il messaggio simbolico è chiaro, il vero responsabile degli incidenti sul lavoro è il lavoratore stesso e non chi organizza la produzione;
la riduzione delle sanzioni che si propone nello schema di decreto legislativo al nostro esame è stata realizzata non soltanto diminuendo alcune delle pene previste per singoli reati, ma anche incidendo, negativamente, sulla concreta praticabilità del sistema, sulla sua effettività, sui poteri degli organi di vigilanza; infine, intervenendo anche sul meccanismo di sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria nelle ipotesi di contravvenzioni punite con la sola pena dell'arresto (articolo 302 del decreto legislativo 81 del 2008), sostituzione che è oggi possibile pagando una somma più bassa rispetto a quanto previsto in precedenza, e anche nelle ipotesi di recidiva, prima escluse dall'applicabilità del beneficio,

esprimono

PARERE CONTRARIO

«Donadi, Evangelisti, borghesi, Paladini, Palagiano, Porcino, Mura».