CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 28 aprile 2009
169.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per le questioni regionali
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991 (S. 1474 Governo).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
esaminato, per i profili di propria competenza, il disegno di legge S. 1474, in corso di esame presso la 3a Commissione del Senato, recante «Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991»;
considerato che la Convenzione è finalizzata a perseguire la salvaguardia a lungo termine dell'ecosistema naturale delle Alpi ed il loro sviluppo sostenibile, nonché la tutela degli interessi economici delle popolazioni ivi residenti, sancendo i principi cui dovrà conformarsi la cooperazione transfrontaliera tra i Paesi dell'Arco alpino;
considerato che l'oggetto del provvedimento rientra nell'ambito di materia dei «rapporti internazionali dello Stato» che la lettera a) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione riconduce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato;
preso atto che il comma 3 dell'articolo 1 del disegno di legge stabilisce che lo Stato, le Regioni e gli enti locali adottano gli atti e le misure previsti dai Protocolli di cui si autorizza la ratifica, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 3 della legge 14 ottobre 1999, n. 403, relativa alle attribuzioni della Consulta Stato-Regioni dell'Arco alpino;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

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ALLEGATO 2

Indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione in relazione al nuovo assetto di competenze riconosciute alle regioni ed alle autonomie locali in materia di federalismo fiscale.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

INDICE

1. Introduzione. Quadro di riferimento.
2. Riferimenti culturali ed egemonia costituzionale.
3. Obiettivi dell'indagine conoscitiva.
4. Profili d'interesse e criticità emerse.
4.1 La necessaria attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
4.2 Opportunità di una parallela attuazione del Codice delle autonomi locali.
4.3 Esigenza di una verifica del costo complessivo della riforma.
4.4 Coordinamento finanziario dei diversi livelli di governo del territorio.
4.5 Finanza degli enti territoriali e patto di stabilità.
4.6 Passaggio dalla spesa storica ai costi standard.
4.7 La perequazione.
4.8 Tributi propri delle Regioni a statuto speciale.

5. Spunti e note conclusive.

1. Introduzione. Quadro di riferimento.

L'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione ha avuto ad oggetto il nuovo assetto di competenze riconosciute, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, alle Regioni ed alle autonomie locali in materia di federalismo fiscale. L'indagine è stata attivata nel quadro dell'attività istruttoria connessa all'esame, in sede consultiva, del disegno di legge del Governo in materia di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale.
La Commissione, nello svolgimento della propria attività istituzionale, è sovente chiamata ad esprimere pareri su progetti di legge vertenti su materie in cui il riparto di competenze tra Stato e Regioni incide su profili di carattere finanziario e talvolta sull'interpretazione di disposizioni che rientrano nell'ambito normativo di cui all'articolo 119 della Costituzione. L'indagine ha inteso acquisire, al riguardo, elementi informativi e conoscitivi sugli aspetti più controversi e problematici e sulle criticità che afferiscono alla compiuta attuazione del cosiddetto federalismo fiscale, con particolare riferimento al

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ruolo specifico ed alle competenze riconosciute alle Regioni ed alle autonomie locali dalla vigente normativa.

2. Riferimenti culturali ed egemonia costituzionale.

La Commissione, nel condurre con metodo analitico la fase cognitiva dei rilievi e delle valutazioni proposte dal sistema delle autonomie territoriali ha registrato una favorevole disponibilità da parte degli organi responsabili degli enti constatando un «idem sentire» su tematiche che da diversi anni sono presenti nel dibattito politico ed istituzionale.
La Commissione ha registrato che la stagione delle riforme, in modo particolare l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, è ormai matura e consente di affrontare questioni che interessano il funzionamento dello Stato democratico.
Si è registrata una storicizzazione crescente nel sistema degli enti locali di un maggiore protagonismo nel porre in essere quelle modifiche migliorative di una Costituzione per taluni aspetti ancora formalisticamente concepita.
Inoltre si è avvertito che l'evoluzione normativa e l'implementazione costituzionale debba avvenire intramoenia, cioè nel corpo vivo della Costituzione vigente che non deve essere considerata materia oltre modo codificata ma res istituzionale da arricchire senza stravolgimenti, nella processualità storica e secondo la metodologia delle opportunità poste e i ritmi di un crescente sistema delle autonomie sempre più coprotagoniste nel realizzare, nel quadro del regionalismo storico, le riforme più opportune.
Inoltre l'ermeneutica giuridica odierna, all'interno di una dottrina che si è sempre più arricchita di studi sul federalismo concreto, e la cultura giurisprudenziale hanno sempre più evidenziato, in maniera concorde, una forte istanza del sistema delle autonomie di essere e di sentirsi più sovrane nella azione legislativa e nella prassi amministrativa. Del resto non solo la cultura giuridica ma anche quella delle dottrine politiche e sociali, attraverso non solo il Cattaneo ma anche Salvemini e pur tramite l'opera di Don Sturzo, non ha mai mancato, seppur con accenti diversi, di evidenziare unitariamente la necessità storica che le autonomie locali e le stesse Regioni fossero dotate di ampia autodichia e di ampi margini di autogoverno, pur anche di rilievo normativo esclusivo: tutti costoro condannando, in un modo o nell'altro, l'eccesso di centralismo.
La Commissione ha registrato peraltro che la sfida politica tra le due macro aree coalizionali e post-ideologiche che hanno sconvolto il sistema politico vigente fino al 1994 ha posto in essere, tra i punti essenziali dei loro rispettivi programmi, il tema delle modifiche del Titolo V e l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. Tale sfida, sostenuta anche da nuove visioni culturali tutte finalizzate a valorizzare il sistema della sussidiarietà orizzontale, si delinea peraltro quale sfida istituzionale, che è nel cuore delle fenomenologie sociali e partecipative della moderna società democratica.

3. Obiettivi dell'indagine conoscitiva.

L'indagine conoscitiva rientra in un filone di interesse istituzionale per la Commissione, anche facendo seguito a procedure informative svolte nel corso delle precedenti legislature. Obiettivo dell'indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione nell'ottica regionalistica ed in relazione al profilo di competenza assegnato alle autonomie territoriali è stato quindi la valutazione del percorso normativo finora intrapreso, del contesto di riferimento e delle prospettive cui accedono le diverse iniziative per una legge di attuazione.
In particolare, la Commissione ha approfondito alcuni aspetti connessi all'attuazione del cosiddetto federalismo fiscale quali il finanziamento delle funzioni delle regioni, il superamento della spesa storica, la perequazione, le compatibilità finanziarie ed il ruolo delle regioni a statuto speciale.

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Il finanziamento delle funzioni delle Regioni è un profilo di particolare rilievo. Il principio del federalismo implica un riconoscimento della diversità in relazione al finanziamento ed alla gestione di tutte le funzioni che non rientrano nel novero della lettera m) dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione riguardante le funzioni afferenti alla tutela costituzionale dei livelli essenziali di esclusiva competenza dello Stato in materia legislativa. Il tema dell'estensione interpretativa della predetta lettera m) ha costituito quindi un punto dell'indagine.
Il superamento della spesa storica, che potrebbe avvenire mediante l'utilizzo di indicatori standardizzati di costo, ha rappresentato un ulteriore profilo di interesse dell'indagine. L'attuale distribuzione delle risorse tra le autonomie territoriali si basa sulla stratificazione e storicizzazione del sistema dei tributi devoluti e dei trasferimenti che risale al 1976. Nel tempo è emersa l'esigenza di allocare le risorse in base ad indicatori standard di costo e di fabbisogno finanziario, mediante un passaggio graduale dall'attuale al nuovo sistema.
La perequazione e la prospettiva di attivare un apposito fondo alimentato dalla fiscalità generale che assicuri il finanziamento dei fabbisogni standard per tutte le Regioni, ed il cui impatto sul sistema regionale è da valutare con attenzione, si pone come profilo dirimente rispetto all'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione ed è stato oggetto di approfondimento nel corso dell'indagine.
Il profilo delle compatibilità finanziarie richiede un'accurata riflessione: l'assetto definitivo delle relazioni finanziarie tra i livelli di governo dovrà essere coerente con il vincolo di bilancio dell'intero settore pubblico. L'indagine ha inteso valutare se il prospettato disegno di federalismo fiscale, ed il margine di autonomia connesso all'iniziativa delle Regioni in materia, sia in prima istanza neutrale rispetto all'uso delle risorse pubbliche, e che si collochi nel percorso di contenimento della spesa pubblica.
Il ruolo delle regioni a statuto speciale ha rappresentato un ulteriore tema di approfondimento nel quadro delineato dall'indagine.
La Commissione ha svolto le seguenti audizioni connesse all'indagine:
Presidente dell'Unione Province d'Italia (UPI): Fabio Melilli (24.09.08).
Presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI): Leonardo Domenici (25.09.08).
Rappresentanti di Legautonomie: Cesare Beggi, sindaco del comune di Quattro Castella (RE); Loreto Del Cimmuto, direttore di Legautonomie (30.09.08).
Presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (UNCEM): Enrico Borghi (1.10.08).
Rappresentante della Conferenza delle Regioni e Province autonome: Romano Colozzi, assessore alle risorse, finanze e rapporti istituzionali della regione Lombardia e coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (8.10.08).
Coordinatrice della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome: Monica Donini (23.10.08).
Presidente di Confedilizia: Corrado Sforza Fogliani (29.10.08).
Rappresentante di Confcommercio: Costante Persiani, vice direttore generale (29.10.08).
Rappresentante di Confcooperative, Maurizio Ottolini, vice presidente (30.10.08).
Rappresentante di Confartigianato, Cesare Fumagalli, segretario generale (6.11.08).
Rappresentante di Confindustria, Luca Garavoglia, presidente del Comitato tecnico per il fisco (12.11.08).

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Rappresentante di Confagricoltura Giorgio Buso, responsabile del servizio legislativo (12.11.08).
Presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Prospero De Franchi (19.11.08).
Rappresentante della Giunta regionale della Toscana: Gianfranco Simoncini, assessore all'istruzione, formazione e lavoro (20.11.08).
Presidente della regione autonoma della Sardegna, Renato Soru (20.11.08).
Vice Presidente vicario del Consiglio regionale del Veneto, Carlo Alberto Tesserin (25.11.08).
Rappresentante del Consiglio regionale delle Marche: Giuliano Brandoni, Presidente della II Commissione consiliare bilancio-finanze (26.11.08).
Presidente del Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano, Dieter Steger (04.12.08).
Presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Giulio De Capitani (11.12.08).
Presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Edouard Ballaman (11.12.08).
Presidente della Regione autonoma Valle d'Aosta, Augusto Rollandin (04.02.09).
Segretario generale dell'Unione Nazionale Cooperative Italiane (UNCI), Sara Agostini (11.02.09).
Presidente del Consiglio regionale della Valle d'Aosta, Alberto Cerise (18.03.09).
Commissario dell'Ente italiano della montagna, Luigi Olivieri (22.04.09).

4. Profili d'interesse e criticità emerse.

Molteplici sono i profili di criticità emersi dalle audizioni svolte e rilevati nelle note e nei documenti acquisiti nel corso dell'indagine.
Il dato che, in premessa, si delinea chiaro ed appare condiviso nel dibattito politico-istituzionale è rappresentato dall'esigenza che si attivi, nel quadro dell'attuazione del federalismo fiscale, un processo di autentico decentramento e di forte autonomia degli assetti finanziari delle autonomie territoriali tale da coniugare l'indispensabile profilo dell'efficienza dell'impiego delle risorse economico-finanziarie con gli aspetti distributivi dell'allocazione delle medesime, nel tentativo di perseguire un equilibrio dinamico tra efficienza ed equità, più consono alle complessive esigenze del Paese e delle diverse articolazioni e specificità territoriali e regionali.
La riforma deve quindi privilegiare soluzioni normative e misure tese ad incentivare la ricerca di una maggiore efficienza nella gestione dei servizi e di una effettiva trasparenza nei flussi finanziari che attraverso il bilancio dello Stato transitano da un'area all'altra del Paese, nonché una piena responsabilizzazione degli amministratori locali nei diversi livelli di governo del territorio in cui si articola la Repubblica.

4.1 La necessaria attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
La Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 370 del 2003, rileva che «appare evidente che l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione sia urgente al fine di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, poiché altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni; inoltre, la permanenza di forme di finanziamento delle Regioni e degli enti locali contraddittorie con l'articolo 119 della Costituzione espone a rischi di cattiva funzionalità o addirittura di blocco di interi ambiti settoriali». La Corte costituzionale ha statuito che il legislatore, in sede di attuazione, è tenuto a predisporre norme volte a coordinare l'insieme della finanza

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pubblica, fissando a tal fine i principi cui i legislatori regionali dovranno conformarsi, determinando le linee generali dell'intero sistema tributario e definendo il perimetro entro il quale potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali.
L'urgenza dell'intervento statale trae rilievo dall'opportunità, in particolare, di superare le criticità che la Corte costituzionale ha, in più occasioni, annesso alla «perdurante inattuazione» dell'articolo 119 della Costituzione, ai sensi delle pronunce nn. 98 e 194 del 2007: il legislatore statale detiene la potestà di incidere, anche nel dettaglio, sulla disciplina dei tributi «fino alla definizione delle premesse del nuovo sistema impositivo delle Regioni e degli enti locali». Si segnala che con la sentenza n. 381 del 2004 si è altresì affermata la legittimità della sospensione, disposta dall'intervento statale, del potere delle Regioni di esercitare spazi di autonomia nel prelievo tributario in attesa di una complessiva disciplina dell'autonomia tributaria delle Regioni, nel quadro dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. La Corte non ritiene possibile, in carenza della legislazione di coordinamento in materia tributaria, lo svolgimento di una piena esplicazione di potestà regionali autonome; il che profila una vistosa deroga al consolidato principio secondo cui le Regioni possono legiferare in materie concorrenti anche in assenza di disposizioni statali di principio, altrimenti desumibili dalla normativa vigente.

4.2 Opportunità di una parallela attuazione del Codice delle autonomie locali.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 159 del 2008, ha evidenziato il rilievo dei profili organizzativi in merito alle problematiche attinenti all'assetto istituzionale e finanziario degli enti locali. La Corte ha peraltro sancito, con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, che spetta al legislatore statale disciplinare i profili organizzativi concernenti l'ordinamento degli enti locali (sentenza n. 377 del 2003) ed adottare la disciplina quadro entro cui si esplicherà l'autonomia finanziaria degli enti medesimi.
È stata a più riprese evidenziata, nel corso dell'indagine, l'esigenza che l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione possa opportunamente avvenire contestualmente all'adozione del cosiddetto Codice delle autonomie locali e, disegno ben più ambizioso, possa coniugarsi con l'attuazione di auspicate riforme di carattere costituzionale in chiave federalista o connotate da spiccata autonomia regionalistica (UPI, Consiglio Regionale della Regione Veneto). In particolare si è rilevata, nell'articolato del disegno di legge di iniziativa governativa, la carenza di specifici riferimenti all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relativo ai cosiddetti livelli differenziati di competenze regionali (Lega delle Autonomie, Confartigianato, Regione Valle d'Aosta). Si impongono pertanto norme che, in un quadro di razionalizzazione dell'assetto strutturale e funzionale delle autonomie territoriali, definiscano competenze e assegnino funzioni appropriate ai diversi livelli di governo del territorio. Si segnala, in tale ambito, che l'Ente Italiano della Montagna ha manifestato l'esigenza che sia data una chiara ed inequivoca definizione della nozione di comuni montani, affinché si superino i margini di incertezza in ordine a tale tipologia di amministrazioni territoriali, che versano sovente in condizione di disagio economico e necessitano pertanto di una normativa di salvaguardia anche nell'ottica dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
I rappresentanti della Regione Lombardia hanno riferito sui contenuti della proposta di legge di iniziativa del Consiglio regionale lombardo: testo di ampio respiro che contempla previsioni attuative dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione relative al trasferimento di alcune materie dal livello di competenza legislativa concorrente Stato-Regioni al livello di competenza esclusiva regionale. I rappresentanti della Regione Marche hanno auspicato un più profondo coinvolgimento

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delle Assemblee regionali nel processo di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

4.3 Esigenza di una verifica del costo complessivo della riforma.
Sono stati mossi rilievi ed osservazioni critiche in ordine alla problematica questione del costo complessivo della riforma in itinere. In particolare, sono state sottolineate presunte carenze metodologiche sotto il profilo della stima degli effetti economici e dell'impatto della riforma sui bilanci degli enti territoriali e degli stessi cittadini.
La mancanza di adeguati dati ed elementi informativi, anche di carattere statistico, sui «costi» della riforma costituisce un limite da più voci segnalato ed in audizione evidenziato con preoccupazione dai rappresentanti di Lega delle Autonomie. Nel corso degli incontri svolti in Commissione tale tema è stato affrontato con accenti critici; i rappresentanti di Confcommercio hanno auspicato il perseguimento di una condizione di invarianza del tratto tributario pro-capite al fine di razionalizzare le spese pubbliche senza ulteriori carichi tributari. I rappresentanti di Confcooperative hanno sostenuto la necessità di ridefinire e ridurre il peso fiscale pro-capite. Trattasi di un profilo critico su cui è in corso un'ampia riflessione e che potrebbe essere superato in sede di esercizio della delega fissando dei tetti percentuali ai margini di autonomia dell'utilizzo della leva fiscale nei diversi livelli di governo del territorio.
I rappresentanti della Regione Marche hanno ravvisato l'esigenza che si proceda ad una più profonda ed efficace valutazione dei costi dei servizi essenziali, registrando che il contenuto della legge delega, sotto tale profilo, appare incompleto e lacunoso. I rappresentanti di Confindustria hanno evidenzia i possibili rischi che si inneschi un circuito di spese non virtuose, spese improduttive, anomalie economiche di vantaggio per alcune regioni a discapito di altre. Per tali motivi si auspica da più osservatori la necessità di definire strumenti e metodi che consentano una realistica verifica dei costi economici della riforma e dell'impatto che ne deriverà sui bilanci pubblici dello Stato e degli enti territoriali. In definitiva da tutte le audizioni svolte sono emerse indicazioni rigorose in ordine all'esigenza di individuare quanto prima, quale dato imprescindibile per valutare la portata della riforma e modularne la disciplina anche nel dettaglio, l'esatta quantificazione dei «costi» che le amministrazioni territoriali e lo Stato nel suo complesso dovranno sostenere, soprattutto in una prima fase di transizione, per l'attuazione del federalismo fiscale.

4.4 Coordinamento finanziario dei diversi livelli di governo del territorio.
Sussistono zone d'ombra e margini d'incertezza, a parere di rappresentanti di Lega delle Autonomie, in ordine agli strumenti di coordinamento tra i diversi livelli di sintesi tributaria. I rappresentanti di Uncem hanno sostenuto la necessità di pervenire a parametri di virtuosità ed efficienza con riguardo ai servizi locali collocandoli in un livello intermedio tra comuni e provincie. Assume rilievo al riguardo la delicata questione dei servizi di area vasta e del ruolo che potrebbero svolgere le città metropolitane quali nuovi poli di aggregazione di funzioni amministrative connesse a servizi intracomunali.
I rappresentanti della regione Toscana hanno paventato il rischio che il nuovo sistema di relazioni finanziarie tra autonomie territoriali, se non calibrato e coordinato rispetto alle specificità dei diversi livelli di governo regionale e degli enti locali, conduca ad una condizione di pregiudizio per i territori economicamente deboli. Da più osservatori, ed in particolare dai rappresentanti del Consiglio regionale Veneto, è stato quindi formulato l'auspicio che si dia corso ad un più stretto coordinamento tra la finanza regionale e quella degli enti locali.

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4.5 Finanza degli enti territoriali e patto di stabilità.
L'articolo 119 della Costituzione sancisce che le autonomie territoriali stabiliscono ed applicano «tributi propri» e dispongono della compartecipazione al gettito di «tributi erariali», riferibili al loro territorio. La distinzione tra tributi propri (rispettivamente di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) e tributi erariali assume un particolare rilievo ai fini della determinazione del livello territoriale di competenza. La Corte costituzionale definisce i «tributi propri regionali», nella sentenza n. 381 del 2004, quelli stabiliti dalle Regioni con propria legge e non anche quelli il cui gettito sia «attribuito» alle Regioni ma siano stati istituiti con legge statale. Tributi propri delle Regioni sono quindi i soli tributi istituiti dalle Regioni nel rispetto dei principi del coordinamento con il sistema tributario statale. Si osserva che l'esercizio del potere esclusivo delle Regioni di autodeterminazione del prelievo è ad oggi circoscritto alle sole ipotesi di tributi, per la maggior parte «di scopo» o «corrispettivi», aventi presupposti diversi da quelli dei tributi statali. Oltre ai tributi propri, le altre entrate potrebbero assumere, a seconda delle modalità di impiego e quantomeno in parte, natura di trasferimento, inteso come flusso finanziario che transita dal bilancio dello Stato a quello dell'ente territoriale.
L'articolo 119 della Costituzione impone il venir meno di un sistema di finanza derivata basato sui soli «trasferimenti» a carico del bilancio dello Stato e induce all'affermazione di un modello di finanziamento della finanza regionale incentrato sul sistema della compartecipazione a quote dei tributi statali. In tale quadro si evidenzia che la Corte ha stabilito che la legittimità della destinazione di fondi a finalità specifiche, operata da leggi dello Stato, è condizionata dalla finalizzazione dei finanziamenti ad opere o servizi di competenza statale; al contrario, la finalizzazione a scopi connessi a materia di competenza delle Regioni o anche di competenza concorrente comporta la illegittimità costituzionale delle relative norme statali. La finalità che tale orientamento intende perseguire consiste nell'evitare che la previsione di interventi finanziari dello Stato a favore degli enti territoriali, vincolati nella destinazione, possa tradursi in uno «strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza» dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli enti territoriali. La Corte ha anche enucleato le condizioni alle quali sono consentiti interventi finanziari dello Stato in favore degli enti territoriali vincolati nella destinazione: si richiede che tali interventi insistano nell'ambito dell'attuazione di discipline dettate dalle legge statale nelle materia di propria competenza esclusiva o nell'ambito di materie oggetto di «chiamata in sussidiarietà» da parte dello Stato, ai sensi dell'articolo 118, primo comma, della Costituzione, il che si verifica ove sia necessario attribuire con legge statale funzioni amministrative a livello centrale, per esigenze di carattere unitario, e regolare al tempo stesso l'esercizio di tali funzioni, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, mediante una disciplina «che sia logicamente pertinente e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tali fini».
La riforma delinea un sistema per cui i tributi regionali, ispirati ai principi della flessibilità, della manovrabilità e della territorialità, vengono distinti in tributi propri e tributi propri derivati (istituiti con legge statale, ma con il gettito assegnato alle Regioni). I primi dovranno garantire la manovrabilità dei bilanci e la responsabilità degli amministratori, mentre le compartecipazioni ai tributi erariali garantiranno la stabilità del volume delle risorse finanziarie, affinché si persegua l'equilibrio tra stabilità ed autonomia. Peraltro l'autonomia finanziaria degli enti territoriali sancita dall'articolo 119, primo comma, della Costituzione riguarda non solo il profilo delle entrate ma anche quello della spesa. Su tale versante non è tuttavia emersa una questione di «attuazione» della norma costituzionale. Le disposizioni

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statali al riguardo sono risultate immediatamente operative e stringenti nei confronti delle autonomie territoriali.
Il confronto tra autonomie territoriali e Stato sui profili di spesa si è incentrato soprattutto sul «Patto di stabilità interno», la disciplina con cui lo Stato dispone che il complessivo sistema delle territorialità partecipi e concorra al rispetto degli obblighi di carattere finanziario assunti in sede comunitaria. Si rileva che appare oggi consolidato l'orientamento per il quale il legislatore statale, mediante una disciplina di principio, impone agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, specifici vincoli alle politiche di bilancio che si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti. La compressione dell'autonomia di spesa delle Regioni può colpire anche le materie di loro competenza. Si osserva che affinché tali vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali essi debbono riguardare l'entità del disavanzo di parte corrente ovvero, in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale, la crescita della spesa corrente degli enti autonomi. La legge statale può stabilire solo un limite complessivo, che permetta agli enti territoriali ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
Occorre un'ampia riflessione, nell'ottica di una piena affermazione del federalismo fiscale, sulla specifica disciplina statale, vincolante per gli enti territoriali, in ordine al Patto di stabilità interno. Nel corso delle audizioni i rappresentanti di Confedilizia hanno espresso rilievi critici in ordine alle attività di verifica tributaria assegnate ai diversi livelli di governo del territorio. I rappresentanti della Regione Toscana e di Confcooperative hanno auspicato il riconoscimento di una chiara responsabilità di accertamento tributario a livello locale, anche in funzione di contrasto all'evasione fiscale.

4.6 Passaggio dalla spesa storica ai costi standard.
Una questione centrale della riforma attiene al previsto passaggio dalla spesa storica ai costi standard. In ordine alla definizione del concetto di costo standard, si prospettano diverse indicazioni. Nel corso delle audizioni, i rappresentanti di Confedilizia hanno sostenuto la necessità di dar corso ad un federalismo competitivo che si incentri sulla previsione di un parametro di costo per ciascuna unità di servizio prodotto con riguardo ai servizi essenziali e di base (istruzione, sanità, assistenza e trasporti locali); in tal modo si delinea un costo standard asettico, valevole per tutto il territorio nazionale. I rappresentanti di Confcooperative hanno evidenziato una utile dicotomia tra il fabbisogno di spesa per unità di prodotto-servizio e il costo standard della stessa unità di prodotto-servizio: in relazione ai servizi essenziali si segnala che il disegno di legge richiama il fabbisogno standard, che può essere commisurato alle esigenze dei singoli enti locali o anche a singole macro-aree del territorio nazionale. Si è opportunamente evidenziata, anche ad opera dei rappresentanti della Regione Toscana, la necessità di costruire un adeguato sistema di definizione delle unità di misura individuate in relazione al fabbisogno standard connesso a ciascun servizio essenziale attraverso una valutazione ponderativa di tutti gli indici di costo relativi.
Nel corso delle audizioni svolte è emerso il dato del pregiudizio che potrebbe sorgere da una incongrua proliferazione dei cosiddetti centri pubblici di spesa, di cui si richiede, invece, una razionale diminuzione ed una efficace azione di monitoraggio e vigilanza ad opera di Agenzie tecniche nazionali. Nel corso dell'indagine si è registrato un orientamento favorevole ad affermare la chiara diversificazione tra spese obbligatorie e spese facoltative per i diversi livelli di governo locale. I rappresentanti della Regione Lombardia hanno prospettato l'utilità di un assetto di relazioni finanziarie tra Stato ed enti territoriali basato su una

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incisiva flessibilità ed una forte autonomia tributaria riconosciuta agli enti locali ed alle regioni, con la riserva di ampi margini di discrezionalità in ordine alle cosiddette prestazioni non essenziali. I rappresentanti della Regione Sardegna hanno richiamato l'attenzione sul dato di relatività territoriale delle entrate tributarie in relazione alle specificità di produzione del reddito, non del tutto equiparabili tra territori regionali diversi; si è pertanto auspicata una riforma tributaria in senso regionale. L'indagine ha evidenziato la sussistenza di talune incertezze in ordine alla qualificazione dei tributi, come pure sostenuto dai rappresentanti di Lega delle Autonomie.
Si rende opportuno chiarire quale tipologia di cespiti patrimoniali siano riferibili alla potestà tributaria comunale, provinciale, delle città metropolitane, regionale, al fine di evitare distorsioni nel complessivo assetto delle relazioni finanziarie che intercorrono tra le autonomie territoriali. Occorre altresì delineare una griglia di parametri idonei a definire chiaramente le entità ed il profilo quantitativo relativamente a detti cespiti patrimoniali, al fine di rendere meno generica ed indefinita tale specifica materia cui è strettamente connesso il grado di concreta realizzazione della riforma in essere, accrescendo le capacità di incisione accertativa degli enti locali. Al riguardo si segnala che, sul punto, sono emerse perplessità da parte dei rappresentanti dell'Uncem in ordine alla asserita scarsa attenzione posta nei confronti della particolare posizione dei Comuni montani e delle Comunità montane. Sembra opportuno chiarire le percentuali delle più importanti imposte sia dirette che indirette che possano, nella relativa espressione assoluta di quantificazione, essere assegnate alle Regioni ed agli enti locali.
Appare opportuna la previsione del divieto di doppia imposizione, ancorché limitata al solo medesimo presupposto d'imposta e non anche alla medesima base imponibile. In concreto, ciò comporta la ricerca di un non semplice equilibrio tra l'obiettivo di ridurre le imposte e quello di assegnare alle autonomie un credibile spazio per esercitare una piena potestà impositiva. Si segnala che sarebbe necessario inserire, nei decreti legislativi delegati, degli indicatori di coerenza con la cosiddetta sostenibilità comunitaria dei conti pubblici in relazione agli obiettivi di bilancio a medio termine.

4.7 La perequazione.
Il tema della perequazione è evocato nel testo costituzionale in relazione all'articolo 117, comma primo, lett. e), che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva sulla perequazione delle risorse finanziarie, senza alcun riferimento specifico al sistema interterritoriale. L'articolo 119 della Costituzione statuisce invece che «la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante». Un tema della riforma che merita particolare attenzione riguarda proprio il sistema di perequazione delle risorse per i territori che versano in condizioni di maggiore disagio economico. I rappresentanti del Consiglio regionale della Toscana hanno sostenuto la necessità di attuare una corretta perequazione solidale tra tutte le aree del Paese al fine di rendere possibile in ogni territorio la soddisfazione dei bisogni collettivi essenziali. I rappresentanti della Regione Sardegna hanno manifestato riserve sulla effettiva portata del dato compartecipativo in relazione al principio di perequazione integrata per le regioni più deboli.
Il modello che la riforma prospetta potrebbe garantire il finanziamento integrale delle funzioni degli enti locali, grazie al fondo perequativo per i territori con ridotta capacità fiscale e con risorse aggiuntive che lo Stato potrebbe destinare per il raggiungimento di scopi comunque diversi dal normale esercizio delle funzioni e per favorire lo sviluppo economico e sociale. Occorre al riguardo definire e precisare la tipologia dei criteri che presiedono alla determinazione della maggiore o minore capacità fiscale per abitante di ciascun territorio, in quanto alla

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individuazione di parametri coerenti consegue la possibilità di attenuare e ridurre i divari, in termini sociali ed economici, attualmente presenti sul territorio.

4.8 Tributi propri delle Regioni a statuto speciale.
In ordine alla questione dei tributi propri delle Regioni a statuto speciale e dei connessi limiti, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 102 del 2008, ha rilevato che il Titolo V non prevede una forma di autonomia più ampia di quella riconosciuta sostanzialmente dagli Statuti speciali. Non si pone quindi, come per le Regioni a Statuto ordinario, un generale divieto di attivazione di tributi propri in carenza di una legislazione statale sui principi fondamentali di coordinamento. Nel corso dell'audizione dei rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome e della Regione Valle D'Aosta si sono registrati profili di criticità in ordine al rischio di un'eventuale lesione delle prerogative riconosciute alle Autonomie speciali con specifico riguardo alla funzionalità della spesa e dei relativi bilanci. Occorre segnalare al riguardo che il testo prescrive che alle autonomie speciali saranno applicabili i soli articoli 14, 21 e 25, peraltro la normativa delegata sarà applicata nei relativi territori all'esito di specifici accordi formali. I rappresentanti della Regione Friuli-Venezia Giulia si sono dichiarati pronti ad attuare la riforma a bilancio invariato, ma hanno ribadito la necessità di salvaguardare la cosiddetta specialità territoriale e di confine soprattutto in materia di fiscalità di sviluppo.

5. Spunti e note conclusive.

L'esigenza di regolare il passaggio dall'attuale finanza decentrata di tipo derivato ad un sistema fiscale e finanziario autonomo e responsabile superando progressivamente il criterio della spesa storica è ineludibile. La definizione dei costi standard rappresenta l'elemento centrale dell'intero impianto riformatore: il disegno di legge delega rimette ai decreti delegati il compito di darvi forma. Si rileva al riguardo che i dati e gli elementi valutativi, intesi quali indicatori oggettivamente utili, sono destinati a mutare in relazione alle diverse entità territoriali (peraltro anch'esse da mettere in relazione ad una vasta gamma di criteri definitori) ed in relazione alle plurime tipologie e categorie dei vari universi di soggetti da considerare posti in relazione con ogni specifico servizio essenziale. Alle varie qualificazioni del valore economico del costo standard o della sua «cifra» consegue, di norma, un'oscillazione proporzionale delle modalità quantitative di utilizzo degli investimenti relativi ad ambiti di risorse perequative. È poco probabile che ciò, date le responsabilità assegnate anche in termini tributari e amministrativi, finisca per attenuare l'innovativa portata di autonome politiche di bilancio sia sul lato delle entrate che su quello della funzionale razionalizzazione delle spese.
Il fulcro della disciplina è la determinazione dei costi standard e del parametro rispetto al quale definirne il perimetro. Il nodo da sciogliere consiste nella necessità di definire se il costo standard si debba delineare quale mera scelta formale ovvero se implichi, come auspicato dalla riforma, una valutazione anche in termini di efficacia ed efficienza dei servizi offerti in un dato territorio. Se si accede a tale impostazione metodologica è utile ricorrere al parametro del fabbisogno standard optando esplicitamente per un modello che riferisca il livello standard non al «costo» bensì al «fabbisogno»; il primo si delinea quale concetto formale e neutro, il secondo si pone quale valore sostanziale che impone una problematica valutazione delle spese in termini di congruità, efficienza ed adeguatezza dei servizi o delle prestazioni rese. Peraltro, risulta evidente che la definizione dei costi standard è strettamente connessa alle specifiche finalità perseguite con la riforma: la ristrutturazione, la riduzione e il controllo della spesa pubblica; la diminuzione della pressione fiscale complessiva; la semplificazione

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delle funzioni amministrative e la razionalizzazione dell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni.
Obiettivi da raggiungere in un quadro di rispetto dei vincoli del patto di stabilità europeo. Il meccanismo della spesa storica è inadeguato a regolare la dinamica proteiforme delle diverse realtà economiche del Paese e delle sue specificità territoriali ancor più in un Paese che con la riforma costituzionale del 2001 ha ulteriormente aumentato la distanza tra la responsabilità impositiva e quella di spesa che ha reso ingovernabili i conti pubblici favorendo la duplicazione di strutture, l'inefficienza e la deresponsabilizzazione. Nella spesa storica ai fabbisogni reali (quelli standard) riferiti all'insieme dei beni e dei servizi offerti si sommano le vere e proprie inefficienze. Un modello incongruo, fonte di evidenti distorsioni del sistema e causa di anomalie ed inefficienze che nei casi più gravi producono dispersione e dissipazione della spesa pubblica.
Il passaggio ai costi standard è segno della volontà di razionalizzare e di ridefinire il complessivo quadro di riferimento. La chiave di volta potrebbe essere rappresentata dalla costruzione di un sistema basato sul patto di convergenza, un patto di congruità costruito su un metodo negoziale, quindi flessibile, incentrato sull'individuazione del valore del fabbisogno standard per ciascuna unità di prodotto-servizio essenziale unitariamente definito tra i diversi livelli istituzionali coinvolti. Evidentemente il fabbisogno standard ha una valenza economica e sociale significativa, conseguentemente andrebbe rilevato e calcolato non solo in base a criteri economici o meramente contabili, bensì in termini di efficacia-efficienza del servizio, commisurato alla congrua relazione tra i correlati costi e benefici. Ne deriva che al fine di calcolare il fabbisogno standard come delineato è necessario adottare specifici indicatori che definiscano, nelle diverse situazioni o categorie contemplate, le unità di misura omogenee necessarie a misurare gli aggregati relativi alle diverse specificità. In una prima analisi, gli indicatori indispensabili sono quelli riferibili al parametro territoriale o geografico (Nord, Centro e Sud), a quello morfologico (zone montuose, collinari o pianure), a quello demografico. Tra gli indicatori utili dovrebbe assumere un rilievo non secondario l'appartenenza alle aree del Paese oggetto degli interventi della politica di coesione economica e sociale programmati dall'Unione europea. Sono molteplici i fattori da considerare quali parametri da adottare come indicatori per definire il fabbisogno standard inteso come rapporto costi-benefici del servizio erogato, affinché il servizio stesso si configuri nei termini di efficienza, efficacia ed appropriatezza. Considerato un territorio e un dato profilo morfologico ed anagrafico, gli ulteriori parametri di valutazione possono essere le percentuali di prevalenza delle diverse fasce di età della popolazione, quelle di reddito, il numero di utenti, la prossimità del territorio ad aree regionali con servizi più o meno competitivi, le infrastrutture connesse e la distanza delle strutture e delle sedi amministrative che forniscono il servizio. Uno strumento utile a superare l'inefficienza amministrativa e gestionale potrebbe essere l'aggregazione in bacini di utenza ottimali per l'erogazione dei servizi, quali quelli attualmente previsti per l'acqua o per il gas ovvero i bacini di trasporto a livello locale. In tale quadro il patto tra enti territoriali e Stato potrebbe qualificarsi quale regola cogente dinamica di riforma economico-sociale in modo da impedirne soggettive interpretazioni, inadempienze e disapplicazioni.
Il patto di convergenza o di congruità andrebbe qualificato come accordo che definisce unanimemente, per un determinato periodo temporale, per ogni unità di servizio prodotto, il fabbisogno standard che convenzionalmente le parti ritengono congruo. Un aspetto di particolare rilievo, cui si dovrà porre adeguata attenzione nell'esercizio della delega, afferisce alla necessità di approntare, nell'ottica di un efficiente e solidale federalismo fiscale, misure tese a potenziare adeguatamente le infrastrutture materiali e la loro effettiva funzionalità, soprattutto in relazione alle aree del Paese che versano in condizioni di

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maggiore disagio socio-economico, in coordinamento funzionale con le specificità, non solo metodologiche ma anche teleologiche.
In ordine alla previsione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante si ravvisa l'esigenza che siano predisposte misure di verifica e monitoraggio «esterno» ai destinatari-gestori, Regioni ed enti locali, al fine di considerare i principi di territorialità, sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nel quadro di un necessario collegamento tra il prelievo fiscale e il beneficio fornito ai cittadini-utenti. Il sistema dovrebbe opportunamente contemplare l'attivazione di meccanismi premiali dei comportamenti virtuosi e di misure sanzionatorie tali da dissuadere il perseguimento di politiche di spesa contraddittorie o non adeguate rispetto all'esigenza di mantenere condizioni di equilibrio della finanza pubblica nel suo complesso.
Data la portata della riforma è evidente che la legge delegata appare di non semplice decodificazione in quanto il rapporto matematico tra principi, finalità e criteri prescritti ed enunciati nell'articolato consta di un tal numero di variabili da richiedere più di mille opzioni e combinazioni normative. Ne consegue l'opportunità che diversi siano i decreti legislativi delegati ed i tempi previsti per la loro adozione.
In relazione alla compatibilità della riforma con la normativa comunitaria sembrano fugati i timori relativi a possibili lesioni dei principi del trattato CEE. Infatti, le norme fiscali che paiono fornire margini di vantaggio in alcune regioni possono essere qualificate regole di carattere generale. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in base all'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE, sono vietati gli aiuti di Stato e tra questi, in particolare, quelli che gli Stati membri introducono con regimi fiscali disomogenei tali da creare vantaggi economici selettivi che alterano la pre-esistente situazione concorrenziale. Non rientrano invece nel divieto le misure generali. Nella fattispecie, la delega prevede che l'esercizio delle competenze sub-statali in materia fiscale si traduca in misure generali anziché selettive. Si può così avviare la costruzione di un federalismo fiscale con i caratteri di misura generale in accordo con i principi interpretativi ribaditi dai giudici di Lussemburgo. Inoltre, la delega sembra correttamente prevedere indicazioni per la necessaria «separazione» o «autonomia» fra i livelli di Governo interessati. Tale principio di «separazione» dei livelli di governo in ambito fiscale è conforme al criterio di autonomia economica e finanziaria che emerge dalla prassi e dalla giurisprudenza comunitaria e si accompagna all'autonomia istituzionale degli enti in questione e che pur discende in modo consonante anche dall'assetto costituzionale e dalle competenze attribuite, ad esempio, alle Regioni.
Occorre segnalare la necessità di dare maggior trasparenza logica alle norme tributarie contenute nel provvedimento: la formulazione di talune disposizioni, particolarmente complessa, potrebbe alimentare interpretazioni non in sintonia con la ratio della normativa.
L'articolo 119 della Costituzione, che sancisce l'autonomia di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, richiama l'esigenza di un solido ed adeguato coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. La valorizzazione dell'autonomia finanziaria non può essere quindi disgiunta dalla necessità di definire un equilibrato sistema di relazioni finanziarie tra diversi livelli di governo del territorio basato su un rafforzato coordinamento della finanza pubblica, quale strumento teso a garantire l'unità economica della Repubblica, a tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili. Tale quadro di riferimento induce alla necessità di procedere ad una graduale armonizzazione dei bilanci dello Stato e dei diversi livelli territoriali. A tale obiettivo risulta collegata l'opportunità di una revisione della legge di contabilità pubblica. Occorre altresì, in una prospettiva di potenziamento degli

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strumenti di coordinamento, attivare una sede permanente di cooperazione sui temi della finanza pubblica.
Un tema non secondario attiene al necessario potenziamento delle fonti informative sui dati e sui flussi di finanza pubblica, che risultino tuttavia omogenee tra i livelli territoriali, al fine di consentire un oggettivo confronto, aggregazione ed analisi.
Un particolare profilo di riflessione attiene all'opzione tra un modello di federalismo fiscale unico ovvero duplice in relazione ai due tipi di autonomia regionale ordinaria e speciale. La costruzione di un sistema fiscale e finanziario su più livelli risulta strettamente connessa alla questione del ruolo delle regioni a statuto speciale, in cui il rapporto tra entrate e spese pare non sempre aderente alle effettive esigenze del territorio. Su tale cruciale tema il disegno si legge sembra favorire una soluzione mediana. Le regioni ad autonomia differenziata, che di fatto sostengono le ragioni della non applicazione dell'articolo 119 della Costituzione, hanno trovato conferma della loro singolarità, in quanto per esse sono sanciti principi ad hoc che sembrano favorire prospettive di maggiore autonomia fiscale e finanziaria.
È auspicabile che venga accelerato il processo di razionalizzazione e codificazione complessiva delle funzioni delle autonomie locali tramite un nuovo codice che ne ridefinisca ruoli, competenze e funzioni evitando sovrapposizioni tra livelli diversi di governo del territorio e con l'intento di ottimizzare i servizi che risultino caratterizzati da profili di diseconomia ed inefficienza nella gestione. Occorre accompagnare tale provvedimento con altri urgenti processi di riforma, quali l'attuazione dell'articolo 117, comma 2, lettera p) della Costituzione ed il nuovo ordinamento degli enti locali, la disciplina delle funzioni delle città metropolitane e, nel più generale contesto di riforma istituzionale, il superamento dell'attuale bicameralismo.
La riforma, ispirata ai principi di responsabilità, efficienza, equità e solidarietà, deve necessariamente procedere attraverso un percorso condiviso tra autonomie locali, Regioni e Stato con particolare riferimento alla definizione dei LEA e dei LEP, alla determinazione dei fabbisogni standard, alla costruzione degli strumenti di perequazione territoriale, al fine di delineare un assetto di relazioni finanziarie coerente e sostenibile.
Un ulteriore aspetto di particolare delicatezza emerso nel corso del dibattito è quello riguardante la presunta genericità, sotto il profilo della compatibilità costituzionale, della delega e la mancata quantificazione della spesa. È da evidenziare che, alla luce della giurisprudenza costituzionale, la legge delega interviene in termini circostanziati e specifici fissando dei puntuali percorsi per tutti i decreti delegati. Per quanto riguarda la quantificazione dell'entità della spesa, basti osservare che secondo la prassi costituzionale, la relativa determinazione può essere posticipata in ragione del fatto che l'efficacia delle norme concrete sul tessuto economico sociale del paese e nell'ambito dei livelli istituzionale interviene solo per il tramite dei decreti delegati.
Uno dei profili più delicati nell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione attiene al ruolo di controllo e monitoraggio delle politiche da parte dei diversi livelli di governo del territorio. Occorre attivare e promuovere idonei strumenti di valutazione delle politiche e di valutazione degli effetti delle politiche stesse. L'attuazione del federalismo fiscale non deve pertanto essere accompagnata dal potenziamento di organismi di coordinamento e concertazione di tipo amministrativo, tecnico e contabile, ma deve indurre a valorizzare il ruolo delle sedi interistituzionali di coordinamento, in attesa di riforme costituzionali che conducano all'istituzione di una Camera delle autonomie ove comporre a sintesi le istanze derivanti dai diversi livelli territoriali. In tale prospettiva si pone l'opportunità, unanimemente condivisa e caldeggiata, che la composizione della Commissione parlamentare per le questioni

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regionali venga integrata dai rappresentanti delle autonomie territoriali ai sensi dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, affinché quest'ultima possa qualificarsi come organo consultivo ed esaustivamente rappresentativo delle molteplici istanze provenienti dalle autonomie territoriali e quale momento istituzionale per comporre i molteplici e differenziati interessi espressi dai diversi livelli di governo territoriale riconosciuti dalla Costituzione. Si ribadisce che tale indicazione è stata prospettata ed auspicata da tutti i soggetti ascoltati in audizione nel corso dell'indagine.
Cruciali per l'attuazione della riforma sono i tempi necessari per passare dalla spesa storica ai costi standard e la loro definizione. La differenza tra i costi storici e quelli standard è la variabile indeterminata che rende indefinite dimensioni e ricadute della riforma. È inevitabile, dunque, prevedere una fase di transizione da un sistema all'altro che sarà tanto più breve quanto più sarà condivisa, in termini di efficienza, da parte di tutti i livelli istituzionali, l'applicazione del federalismo fiscale quale fondamentale tappa del percorso che condurrà al federalismo istituzionale.