CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 26 febbraio 2009
145.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

5-00217 Schirru: Situazione gestionale e occupazionale della compagnia Eurofly.

TESTO DELLA RISPOSTA

In merito all'interrogazione presentata dall'onorevole Schirru faccio presente quanto segue.
Nel gennaio 2007, la Società Eurofly SpA ha avviato, una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale a complessive n. 134 risorse, risultate in eccedenza rispetto alle esigenze tecnico-organizzative e produttive della società medesima.
Al fine di evitare il licenziamento dei predetti lavoratori, è stato stipulato un accordo tra i rappresentanti aziendali e le parti sociali, con il quale si è convenuto di ricorrere allo strumento del contratto di solidarietà.
In proposito l'INPS ha reso noto che il contratto di solidarietà in argomento è stato firmato dal gruppo Meridiana e dal Ministero che rappresento per un periodo di ventiquattro mesi, a decorrere dal primo aprile 2007, ed ha come destinatari tutti i lavoratori.
Per quanto concerne il versante dei finanziamenti, l'Inps ha reso noto che il finanziamento degli oneri per gli ammortizzatori sociali, tra i quali figura il contratto di solidarietà, avviene per metà a carico del Fondo Occupazione e, per la parte residua a carico del Fondo speciale per il trasporto aereo, al quale affluiscono i contributi a carico delle aziende del settore previsti dalla legge istitutiva di detto Fondo e da una tassa sui biglietti emessi in Italia.
La Direzione Provinciale del Lavoro di Milano a seguito di accesso ispettivo non ha riscontrato alcuna irregolarità in seguito all'applicazione del contratto di Eurofly.
Si fa, inoltre, presente che il Comitato di vigilanza sul Fondo di previdenza dei piloti (Fondo Volo) è competente sulle questioni inerenti ai contributi pensionistici del personale navigante e sui ricorsi concernenti i criteri di calcolo delle pensioni, ma non ha alcuna competenza in merito al riconoscimento degli ammortizzatori sociali, per i quali, come già indicato, è competente questo Ministero.
Per quanto concerne l'aspetto relativo alla riduzione dell'orario di lavoro, così come previsto dalla procedura di solidarietà, interessa tutte le categorie di lavoratori (piloti, assistenti e personale di terra), sia pure con percentuali differenziate.
Per quanto riguarda le giornate di riserva, si fa presente che sostanzialmente, si tratta dei periodi in cui il personale navigante si trova in condizioni di reperibilità, in attesa di essere impiegato in attività di volo, di posizionamento ovvero altro servizio riferito ad attività della Compagnia.
In primo luogo, si rimarca che l'attribuzione della solidarietà a giornate di riserva non impiegate è finalizzata all'esigenza di salvaguardare l'effettuazione dei voli per non perdere il diritto all'esercizio delle tratte di trasporto aereo.
In considerazione della complessità della questione e dei risvolti economici connessi, si è ritenuto opportuno sottoporre la problematica alla Direzione Generale competente per materia, che sul punto, con nota del 31 luglio 2008, ha ribadito la correttezza del comportamento dell'Eurofly.

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In particolare, si ritiene che l'attribuzione delle giornate di riserva non impiegate a solidarietà sia comunque conforme alle previsioni dell'accordo sottoscritto dalle O.O.S.S., laddove viene indicato che «le giornate di riduzione dell'attività potranno essere programmate nel turno mensile di ciascun pilota o assegnate in fase operativa in sostituzione di eventuali giornate di riserva non impiegabili»: proprio la previsione, nell'accordo sindacale, della possibilità di due diverse opzioni per la determinazione delle giornate di solidarietà (di cui la prima legata ad una imputazione a priori, mentre la seconda consente l'attribuzione della solidarietà nella fase operativa, successiva alla fase programmatoria) fa ritenere corretto il criterio adottato dalla società.
Per quanto riguarda le altre problematiche sollevate dall'interrogazione parlamentare, fermi restando gli esiti dell'accertamento ispettivo condotto dalla Direzione provinciale del lavoro di Varese, si espongono le informazioni assunte nella sede milanese di Eurofly. In merito ai turni di lavoro particolarmente pesanti sostenuti dai piloti, la direzione aziendale ha evidenziato che l'organo competente alla vigilanza (ENAC) ha regolarmente concesso deroghe al superamento del tempo massimo di servizio di volo (14 ore) nel periodo dal dicembre 2007 all'agosto 2008 per complessive 234 tratte.
Per quanto concerne il ricorso alla somministrazione di piloti stranieri mediante contratti di fornitura sottoscritti con agenzie comunitarie, i responsabili di Eurofly hanno precisato di avvalersi in modo limitato di tale strumento e che tale ricorso avviene nel rispetto delle percentuali fissate dal contratto aziendale sottoscritto con i rappresentanti delle singole categorie di lavoratori.

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ALLEGATO 2

5-00799 Miglioli: Funzionalità dei servizi pubblici per l'impiego.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con riferimento all'interrogazione presentata dall'onorevole Miglioli, passo ad illustrare gli elementi acquisiti presso i competenti Uffici dell'Amministrazione che rappresento ivi compresi quelli forniti dall'agenzia tecnica «Italia lavoro».
L'evoluzione della normativa in materia dei servizi per il lavoro, messa in atto negli ultimi anni, ha portato all'allargamento del numero dei soggetti chiamati a svolgere detti servizi.
Partendo dalla verifica che i soli Centri per l'impiego pubblici presenti sul territorio nazionale non erano in grado di rispondere a tutta la domanda di servizi, la normativa ha provveduto a contemperare le esigenze di offrire servizi adeguati e diffusi con le esigenze di bilancio, con le precise sollecitazioni dell'Unione Europea e con gli input che provenivano dai numerosi studi di benchmarking effettuati sugli altri paesi europei.
Il legislatore ha, inoltre, provveduto ad ampliare, attraverso il decreto legislativo n. 276 del 2003, il numero di operatori presenti sul mercato del lavoro con soggetti deputati alle attività di erogazione di servizi di mediazione e intermediazione di manodopera, nonché di supporto alla riqualificazione e al reinserimento lavorativo delle persone (interinali, outplacement).
Si tratta, soprattutto, di soggetti pubblici, come università, scuole, comuni (si consideri, ad esempio come i programmi di attivazione dei placement universitari abbiano portato all'attivazione o al consolidamento del servizio in 70 sedi).
Questo percorso legislativo ha incrementato le potenzialità strutturali e operative del sistema per l'impiego, attraverso operatori privati e del privato sociale che operano con autorizzazione nazionale.
Sono, ad oggi, oltre 700 i nuovi soggetti (tra somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione e ricollocazione), con circa 6.000 sportelli che si affiancano ai 539 centri pubblici per l'impiego.
È auspicabile che il percorso legislativo intrapreso, che ha portato nel corso di alcuni anni all'incremento del 32 per cento dei soggetti attivi sul mercato, sia ulteriormente completato dall'azione concorrente delle amministrazioni regionali in tema di accreditamento a livello territoriale, necessario per contestualizzare - entro chiare regole di governance istituzionale - l'azione sinergica delle Agenzie con quella dei Centri per l'Impiego.
Al riguardo, è opportuno sottolineare che, tra le regioni che hanno legiferato in materia di servizi per il lavoro (Marche, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Emilia-Romagna, Sardegna, Lombardia, Piemonte, Liguria), l'accreditamento territoriale risulta operativo solo in Lombardia e in Toscana.
Nel merito della questione posta dall'onorevole interrogante, si rammenta che i servizi per l'impiego hanno operato, quasi ovunque, ricorrendo a supporto di personale qualificato, assunto con contratti di lavoro di durata temporanea e con la chiara finalità di far fronte ad una iniziale emergenza organizzativa nonché ad una mancanza di know-how del personale interno ai Centri per l'impiego.
Con la legge n. 133 del 2008, di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008, il legislatore ha voluto regolamentare e razionalizzare l'utilizzo di tali tipologie contrattuali da parte delle Amministrazioni

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pubbliche, evitando, peraltro, di caricare oneri finanziari aggiuntivi sugli Enti territoriali, già toccati dalla crisi finanziaria e dai limiti introdotti dal patto di stabilità che impone, come è noto, un rigoroso controllo della finanza pubblica e delle spese degli enti territoriali.
Non è, peraltro, superfluo rammentare che, per quanto riguarda il numero degli operatori dei Centri per l'Impiego e il consolidamento delle piante organiche, la questione va comunque riportata all'interno delle regole definite dalla normativa che, nel prevedere la mobilità interna del personale della pubblica amministrazione, consente di utilizzare personale qualificato.
Tutto ciò, non va, però, interpretato come minore attenzione ai Servizi pubblici per l'impiego e al loro ruolo nel mercato del lavoro.
In primo luogo, si informa che è attualmente in fase di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale un decreto ministeriale che provvederà alla ripartizione tra le regioni e, successivamente, tra le province, di risorse finanziarie già stanziate per l'anno 2008 e non ancora assegnate, pari a 51.645.690,00 euro.
Inoltre, nell'ambito della nuova programmazione dei Fondi Strutturali 2007-2013, sono state previste azioni specifiche rivolte ai servizi pubblici per l'impiego e alla loro capacità di intervenire nel mercato del lavoro. Così, le regioni nell'ambito dei POR (Programmi Operativi Regionali) dovranno programmare interventi mirati per assicurare una reale capacità di risposta all'utenza e una sostenibilità delle azioni finanziate, anche attraverso azioni di cooperazione con altri soggetti operanti nel mercato del lavoro.
In particolare, per quanto, di competenza del Ministero che rappresento, informo che sono state messe a disposizione delle regioni, utilizzando le risorse dei PON (Programmi Operativi Nazionali) [PON Governance e Azioni di Sistema (Ob. Convergenza) e PON Azioni di Sistema (Ob. Competitività)] le due agenzie tecniche (Italia Lavoro e ISFOL), con l'intento di porre in essere azioni volte a razionalizzare e potenziare i servizi per il lavoro. Si tratta di azioni a sostegno delle amministrazioni regionali e provinciali, funzionali al consolidamento definitivo dei servizi per il lavoro entro il 2013, onde consentire una ottimale gestione dei servizi di politica attiva dei lavoro, quali necessario complemento all'erogazione delle misure di politica passiva che si stanno organizzando in questi giorni. Nel dettaglio, le azioni in parola riguardano:
la qualificazione del sistema dei servizi attraverso l'adozione di standard qualitativi;
la messa a punto delle procedure per l'accreditamento;
la qualificazione della rete degli operatori pubblici e privati, al fine di aumentare il livello di integrazione e cooperazione;
l'integrazione dei diversi servizi pubblici che incidono sul mercato del lavoro, gestiti nel rispetto delle diverse linee di competenza (sanità, formazione, sviluppo economico, eccetera);
l'incremento delle competenze professionali degli operatori;
la razionalizzazione delle azioni sui territori (affinché gli interventi dei servizi per l'impiego siano più rispondenti alle reali esigenze del mercato);
l'adozione di un sistema unificato di monitoraggio della gestione e dei risultati delle politiche attive e passive in corso di attivazione.

In conclusione, posso assicurare all'onorevole Miglioli la massima attenzione da parte dell'Amministrazione che rappresento alle questioni sollevate.

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ALLEGATO 3

5-00933 Cazzola: Sul lavoro notturno delle lavoratrici madri.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con riferimento all'atto parlamentare presentato dall'onorevole Cazzola si rappresenta quanto segue.
Nel gennaio del 2007, la Commissione europea aveva dato avvio ad una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano sostenendo che l'articolo 53 del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151, alla cui stregua «è vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6 dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di 1 anno di età del bambino», non sarebbe compatibile con la direttiva 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro e le condizioni di lavoro, nonché con la direttiva 92/85/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
Con riferimento alla direttiva 76/207/CE, la Commissione ha affermato che detta disposizione interna, violando il principio di parità di trattamento tra uomini e donne, verrebbe a configurarsi come una discriminazione nei confronti di queste ultime in relazione al diritto ad ottenere le stesse condizioni di lavoro e, a parità di lavoro, la stessa retribuzione. In ordine a tale ultimo aspetto, infatti, viene censurata dalla Commissione la norma italiana alla cui stregua, nel periodo di interdizione della donna dal lavoro notturno, verrebbe corrisposta una indennità pari all'ottanta per cento della retribuzione, con una decurtazione, quindi, del venti per cento degli emolumenti ordinariamente percepiti.
Con riferimento alla direttiva 92/85/CE, la Commissione ha ritenuto che la richiamata norma italiana violerebbe il disposto di cui all'articolo 7 della direttiva stessa a mente del quale «Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all'articolo 2 non siano obbligate a svolgere un lavoro notturno durante la gravidanza o nel periodo successivo al parto che sarà determinato dall'autorità nazionale competente per la sicurezza e la salute, con riserva della presentazione, secondo modalità stabilite dagli Stati membri, di un certificato medico che ne attesti la necessità per la sicurezza o la salute della lavoratrice interessata».
A giudizio della Commissione, dunque, il disposto di cui all'articolo 53 del citato decreto legislativo integrerebbe un «eccesso di tutela» rispetto a quella accordata dal diritto comunitario, in quanto travalicherebbe il «divieto di obbligare al lavoro notturno», previsto dal richiamato articolo 7 della direttiva, introducendo un «divieto di lavoro notturno» nel periodo intercorrente tra la fine del congedo obbligatorio di maternità ed il compimento di un anno di età del bambino, con una retribuzione del venti per cento inferiore a quella dei lavoratori di sesso maschile. Tale tutela automatica sarebbe, dunque, sproporzionata rispetto all'obiettivo perseguito dalla direttiva, e finirebbe per imporre un ingiustificato sacrificio del diritto alla parità di trattamento nelle condizioni di lavoro, altrettanto meritevole di tutela.
A tal proposito il Ministero che rappresento ha fatto presente che, ai sensi della direttiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario

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di lavoro, «l'organismo umano è più sensibile nei periodi notturni ai fattori molesti dell'ambiente nonché a determinate forme di organizzazione del lavoro».
Si è poi rilevato che la richiamata direttiva 92/85/CE, recita «le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento devono essere considerate sotto molti punti di vista come un gruppo esposto a rischi specifici» e dunque «devono essere adottati provvedimenti per quanto riguarda la protezione della loro sicurezza e salute». Le misure di tutela della salute e della sicurezza di tali lavoratrici devono essere correlate alla peculiarità ed alla specificità dei rischi cui le stesse sono esposte per la particolare condizione soggettiva in cui si trovano, e quindi devono essere proporzionalmente più forti rispetto a quelle previste per la generalità delle lavoratrici e dei lavoratori a fronte dei medesimi rischi. La direttiva da ultimo richiamata dispone, inoltre, che le lavoratrici in esame «non devono svolgere attività la cui valutazione abbia rivelato un rischio di esposizione, che metta in pericolo la sicurezza e la salute, a taluni agenti o condizioni di lavoro particolarmente pericolosi», con ciò chiarendo esplicitamente che a tali attività non può estendersi, in ogni caso, il rilievo mosso dalla Commissione alla normativa italiana.
In merito alle censure sollevate con riferimento alla misura della indennità speciale riconosciuta alla categoria in esame, ammontante all'ottanta per cento del salario percepito, si è segnalato che la stessa direttiva 92/85/CE recita che le misure di organizzazione del lavoro a scopo di protezione della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e le disposizioni concernenti il congedo di maternità «non avrebbero un effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o dal versamento di una indennità adeguata». Non viene, dunque, imposto il mantenimento della retribuzione, riferimento questo che non avrebbe lasciato spazio a seppur minime riduzioni del salario percepito, bensì il mantenimento di una retribuzione o il versamento di una indennità adeguata, espressioni che, per converso, non precludono la facoltà del Legislatore di contenere, appunto adeguatamente, e comunque di fatto in minima parte, la somma corrisposta alla lavoratrice gestante o puerpera, in relazione alla circostanza per cui la prestazione lavorativa rimane sospesa.
Con riferimento poi alla censura afferente la durata del periodo di sospensione dall'attività lavorativa della puerpera, fissata in un anno dalla nascita del bambino, si era fatto rilevare che, a mente dell'articolo 8 della direttiva medesima, «gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all'articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno 14 settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali». La stessa direttiva, dunque, fissa un termine minimo di sospensione - peraltro preceduto dall'espressione almeno - senza imporre un termine massimo.
Con riferimento alla non conformità della normativa italiana alla direttiva 2002/73/CE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro, si era rappresentato che l'articolo 2, paragrafo 7, della direttiva de qua recita testualmente «La presente direttiva non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità».
L'articolo stesso, al paragrafo 2, prevede che per discriminazione indiretta deve intendersi la «situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell'altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità

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legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».
La normativa italiana garantisce alle lavoratrici gestanti e puerpere:
il diritto di riprendere, al termine del periodo di sospensione, il medesimo posto di lavoro alle stesse condizioni precedentemente applicate;
il diritto di vedersi riconosciuto il periodo di sospensione ai fini dell'anzianità di servizio e ai fini pensionistici;
il diritto, in caso di rapporto di lavoro a termine, di vedersi sospesa la decorrenza del termine di conclusione del contratto durante detto periodo;
il diritto, qualora trattasi di prestazioni con turnazioni, di continuare a svolgere la propria attività lavorativa nelle ore non rientranti nella fascia che va dalle 24 alle 6 e di concordare con il proprio datore di lavoro lo spostamento dei turni rientranti in detta fascia in altri orari.

Si è, infine, osservato che ai sensi del quarto capoverso del paragrafo 7 del citato articolo 2, «la presente direttiva lascia altresì impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34/CE». Quest'ultima, con riferimento ai congedi parentali, sancisce la necessità fondamentale di conciliare la vita professionale con quella familiare.
Al riguardo, la competente Direzione generale condividendo i principi riaffermati dalla Commissione, ha rappresentato che «non si può contestare che l'articolo 53 citato configuri un automatismo (il divieto tout court di lavoro notturno per le categorie in questione) - sia pure voluto dal legislatore per le ragioni protettive sopra esposte - che, per l'effetto, comporta una riduzione della retribuzione per le donne rispetto agli uomini, dando luogo, ad avviso della Commissione, ad una disparità di trattamento. Alla luce di quanto sopra esposto, la materia oggetto della procedura di infrazione n. 2006/2228 potrebbe essere rivisitata nell'ottica di una nuova struttura del welfare, che renda l'occupazione delle donne uno strumento effettivo di sviluppo ovvero, nell'immediato, attraverso un apposito provvedimento legislativo che, superando l'automatismo, renda non obbligatorio l'esonero dal lavoro notturno».
La Direzione generale competente in materia ha, peraltro, rappresentato che «in ottemperanza a quanto previsto nel Protocollo d'intesa del 25 giugno 2007, siglato dalla Rete Nazionale delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità e dalle direzioni generali del mercato del lavoro e per l'attività ispettiva, è stato costituito, con apposito decreto, un tavolo tecnico di studio, avente il compito di dare impulso agli strumenti di parità, allo scopo di assicurare l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in ambito lavorativo».
Il Governo è pertanto impegnato a valutare la predisposizione di una norma che modifichi l'attuale formulazione dell'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo n. 151 del 2001.

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ALLEGATO 4

5-00984 Vannucci: Sull'applicazione dell'articolo 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996.

TESTO DELLA RISPOSTA

In relazione all'atto ispettivo presentato sulla questione della doppia contribuzione previdenziale, passo ad illustrare gli elementi informativi forniti dai competenti Uffici del Ministero che rappresento e quelli pervenuti dalle altre Amministrazioni interessate.
La problematica in parola interessa, in particolare, i soci delle società a responsabilità limitata che svolgono presso una stessa azienda la duplice attività di amministratore e di lavoratore.
L'obbligo previdenziale presso l'INPS, relativo a detti soggetti, è stato finora regolato mediante l'iscrizione sia alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, per quanto concerne l'attività di lavoratore, sia attraverso l'iscrizione alla Gestione separata, ex articolo 2, comma 1, legge n. 335 del 1995, per ciò che concerne l'incarico di amministratore.
Si ritiene, infatti, che la contemporanea iscrizione di un soggetto alle due citate gestioni non sia in contrasto con il comma 208 della legge n. 662 del 1996 recante «Misure di armonizzazione della finanza pubblica», in ragione di un doppio ordine di motivazioni.
In primo luogo, la legge n. 335 del 1995 prevede che l'obbligo contributivo alla gestione separata discenda dal reddito realizzato e l'iscrizione alla predetta gestione non richieda il requisito della prevalenza dell'attività previsto per altre Gestioni di lavoratori autonomi laddove sono, appunto, imposti dalla legge i caratteri della prevalenza e dell'abitualità.
Inoltre, in presenza di duplice attività, l'iscrizione alle due gestioni non concretizza una «doppia contribuzione» poiché i due diversi redditi sono sottoposti, ciascuno singolarmente, a contribuzione verso la gestione previdenziale competente.
Attualmente la problematica è all'attenzione della Suprema Corte a Sezioni Unite che esaminerà la materia al fine di pervenire ad una definitiva e univoca conclusione.
A tal fine, per quanto di competenza del Ministero che rappresento, posso garantire il massimo impegno di approfondimento delle competenti Direzioni nelle more delle decisioni della Cassazione a Sezioni Unite.