CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 29 ottobre 2008
84.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giunta per le autorizzazioni
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

EMENDAMENTI

A pagina 4, al paragrafo 2 in fine, aggiungere i seguenti periodi:
«A tale ultimo proposito, occorre anzi menzionare che una recente giurisprudenza della Corte costituzionale italiana conferisce speciale valore alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
È noto che l'articolo 117, primo comma, della Costituzione prevede che il legislatore nazionale - e con lui il giudice che applica le leggi - è astretto dal rispetto non solo della Costituzione ma anche dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Questi ultimi consistono in impegni che lo Stato ha assunto sul piano delle relazioni estere con la sottoscrizione di trattati internazionali con altri Paesi sovrani.
Tra questi trattati - e quindi tra i relativi vincoli - occorre certamente annoverare la Convenzione europea dei diritti e la giurisprudenza applicativa di essa che promana dalla Corte di Strasburgo.
Secondo la Corte costituzionale italiana, allora (vedi le sentenze nn. 348 e 349 del 2007), leggi nazionali la cui lettera o la cui interpretazione nel diritto vivente contrastassero con la Convenzione sono illegittime costituzionalmente per contrasto con l'articolo 117, primo comma, della Costituzione, che assume valore di parametro costituzionale interposto (similmente alle leggi delega rispetto ai decreti delegati ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione).
Ne deriva che, se sono incostituzionali addirittura le leggi del Parlamento approvate in contrasto con i consolidati orientamenti interpretativi della Convenzione, a maggior ragione lo saranno delibere parlamentari in materia di insindacabilità che trascurassero completamente le esigenze di giusto processo, imparzialità del giudice e ragionevole durata del processo.».
Ferranti

A pagina 7, al paragrafo 5, aggiungere in fine i seguenti periodi:
«A quest'ultimo proposito appare doversi anche specificare che l'ambito d'applicazione dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione inevitabilmente deve considerarsi in parte sovrapposto a quello dell'articolo 49 della Carta fondamentale. Quest'ultimo, come noto, reca: "Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".
Per unanime dottrina l'associazione partitica, sebbene non esaustiva delle forme associative del Paese (tutte riconducibili all'articolo 18 della Costituzione), rappresenti la forma privilegiata del concorso popolare e partecipativo alla vita del Paese.
La Corte costituzionale, nella sua costante giurisprudenza, ha sì negato il rilievo dei partiti quali veri e propri poteri dello Stato (sentenza n. 79 del 2006) ma ha anche affermato il nesso stretto che esiste tra l'attività parlamentare e quella interna ai partiti (sentenza n. 58 del 2004).
L'autonomia del Parlamento - dunque - e delle sue articolazioni, quali innanzitutto i gruppi parlamentari, trova alimento e protezione nell'articolo 68 della Costituzione anche in collegamento con il predetto articolo 49. Non si spiegherebbe altrimenti perché gli articoli 72, terzo comma, e 82, secondo comma, della Carta costituzionale facciano riferimento alle

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proporzioni tra i gruppi rappresentati in Parlamento così mostrando di considerare essenziale per la composizione e la funzione rappresentativa del Parlamento stesso la pluralità dei partiti.
Se tanto è vero, ne deve conseguire che la proiezione esterna dell'attività funzionale al mandato elettivo vive e si materializza anche nella vita dei partiti. Sono questi che redigono le liste per le elezioni della Camera e del Senato; essi ricevono finanziamenti pubblici sotto forma di rimborsi elettorali; essi possono essere responsabili della stampa di quotidiani e periodici finanziati col concorso dello Stato.
D'altronde, la misura dei rimborsi elettorali viene decisa dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati e dal Consiglio di Presidenza del Senato e le certificazioni sulle dichiarazioni dell'esistenza del vincolo tra gruppo parlamentare e stampa di partito promanano proprio dai Segretari generali delle Camere.
Con quel che precede, si è dimostrato come sia difficile trovare un confine tra attività del parlamentare interna alle sedi proprie delle Camere e quella di partito, specialmente quando si tratta di esponenti apicali del partito stesso. Autorevole dottrina ha detto efficacemente al proposito che "è divenuto più arduo circoscrivere l'area della politica [poiché] l'espansione delle attività di ispezione e di inchiesta conduce le Assemblee parlamentari a scendere sul terreno dell'apprezzamento di situazioni particolari e a misurarsi anche con vicende puntuali della società e di segmenti di essa" (P. RIDOLA, Le parole della politica e l'insindacabilità parlamentare, in Giurisprudenza costituzionale, 2004, p. 1225).
A ulteriore e recente conferma di quanto qui sostenuto vale la pena citare una pronuncia del tribunale di Roma dell'11 settembre 2007 (in Foro italiano, 2007, I, c. 2922) con cui il giudice ha respinto la doglianza di Marco Pannella che intendeva ottenere dal tribunale l'ordine al Partito democratico di farlo partecipare alle elezioni primarie per l'indicazione del segretario di partito. Il Pannella contestava l'articolo 7, comma 4, del regolamento sulle primarie del PD, che prevede che "non è ammessa la candidatura di persone notoriamente appartenenti a forze politiche o a ispirazioni ideali non riconducibili al progetto dell'Ulivo-Partito democratico". Tale valutazione, secondo il giudice, espressiva dell'autonomia e dell'identità dell'associazione politica, si sottrae al controllo giurisdizionale.
Per questi motivi si ritiene che la Giunta debba adottare un criterio per cui anche le attività interne di partito, ove recanti evidenti riflessi elettorali e parlamentari, rientrino nella guarentigia dell'insindacabilità parlamentare.».
Lo Presti

A pagina 8, dopo le parole «Norme analoghe sono contenute nel regolamento del Senato (cfr. articoli 66, 87, 88 e 146)», aggiungere i seguenti periodi:
«In questo contesto, si constata dunque un tessuto normativo che testimonia l'esistenza di un principio generale per cui l'esercizio della funzione parlamentare necessita di forme corrette. Al riguardo, si consideri anche il Parere sullo svolgimento di richiami al regolamento o per l'ordine dei lavori e sull'osservanza dei limiti di correttezza negli interventi, approvato all'unanimità dalla Giunta per il regolamento della Camera in esito alla seduta del 24 ottobre 1996.
Al punto 4 di tale Parere, si legge precisamente che "la particolare tutela che l'articolo 68 della Costituzione accorda alla libertà di espressione dei parlamentari è fondamentale guarentigia di indipendenza nell'esercizio della rappresentanza politica. L'ampiezza di tale prerogativa richiede tuttavia un vigile senso di responsabilità da parte di coloro che ne sono titolari, affinché essa non si trasformi in arbitrario strumento per ledere diritti e posizioni soggettive, di persone fisiche e giuridiche come di organi dello Stato, parimenti garantiti da norme di rango costituzionale".

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Questa considerazione generale, riferita a tutti i parlamentari, porta poi come conseguenza che sia - come il Parere prosegue - "dovere della Presidenza garantire nei dibattiti parlamentari il pieno svolgimento della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica e di denunzia politica. Allo stesso modo, la Presidenza dovrà assicurare che tali fondamentali diritti siano esercitati nella forma adeguata al ruolo costituzionale del Parlamento e alle normali regole di correttezza parlamentare. Tale regola generale dev'essere fatta valere con particolare rigore a tutela dei soggetti esterni che, non essendo parlamentari, non possono avvalersi del diritto di replica né degli strumenti offerti dall'articolo 58 del regolamento ai deputati i quali, nel corso di una discussione, siano accusati di fatti che ledano la loro onorabilità. Di conseguenza, in considerazione del valore che riveste ogni dichiarazione pronunziata nelle sedi formali del dibattito parlamentare, sia nel rapporto fra la Camera e altri organi costituzionali, sia negli effetti sulla sfera personale dei singoli, è dovere della Presidenza assicurare che la libera manifestazione del pensiero e della critica non vada mai disgiunta dall'impiego dei modi corretti e delle forme appropriate al linguaggio parlamentare, e non abbia quindi a trascendere nella diffamazione personale o nel vilipendio di organi dello Stato. Essa richiamerà quindi, a norma dell'articolo 59, comma 2, del regolamento, i deputati che pronunzino parole sconvenienti, tali intendendosi anche le espressioni ingiuriose e le insinuazioni atte ad offendere, a recare discredito o comunque a ledere persone o istituzioni".»
Castagnetti

A pagina 8, dopo le parole «sedi della Camera», aggiungere i seguenti periodi:
«Se può condividersi la tesi che il criterio di cui avvalersi non può essere quello spaziale ma quello della natura di parlamentare, funzione a cui va garantita un'ampia tutela, occorre però che l'opinione espressa riguardi una materia di autentico interesse pubblico e che si mantengano nettamente distinti l'attribuzione di fatti a singoli soggetti e le opinioni espresse o i giudizi di valore. Sono incluse le dichiarazioni che possano irritare o offendere il pubblico o singoli che ne siano destinatari diretti o indiretti ma tale prerogativa non può essere invocata con riferimento ad allegazione di fatti relativi ad un singolo, né nel contesto di questioni private avulse da temi riconducibili al dibattito politico».
Ferranti, Samperi