CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 24 settembre 2008
60.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Ambiente, territorio e lavori pubblici (VIII)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Interrogazione n. 5-00331 Tommaso Foti: Adeguamento dello svincolo autostradale di Castel San Giovanni.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con riferimento a quanto puntualmente richiesto relativamente al progetto di adeguamento dello svincolo autostradale di Castel San Giovanni (Piacenza) sulla strada provinciale della Val Tidone, l'ANAS S.p.A. ha fatto conoscere che la Concessionaria SATAP S.p.A. nel mese di luglio 2008 ha presentato alla stessa ANAS il progetto definitivo dell'intervento in questione. Tale progetto è stato quindi approvato dalla società stradale nello scorso mese di agosto.
Successivamente, la Concessionaria ha trasmesso il progetto esecutivo ai fini della sua approvazione da parte ANAS che si assicura in tempi brevi.

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ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-00332 Tommaso Foti: Condizioni della strada statale n. 45 di Val Trebbia.

TESTO DELLA RISPOSTA

L'ANAS S.p.A. ha fornito i seguenti elementi informativi in merito ai singoli punti critici lungo la strada statale n. 45 della Val di Trebbia che sono stati evidenziati nell'interrogazione.
La manutenzione della pavimentazione all'ingresso della galleria di Bobbio è inserita nell'ambito dei «lavori urgenti di consolidamento del corpo stradale e ripristino opere di protezione ai km 63+700, 77+400, 99+000 e 101+000, per un importo euro 1.000.000,00» già finanziato. Tali lavori saranno appaltati entro il prossimo mese di ottobre.
La sistemazione dei giunti dei viadotti di Perino è stata prevista nell'ambito della manutenzione ordinaria delle opere d'arte. I lavori sono attualmente in fase di gara, con esecuzione prevista entro l'anno in corso.
I lavori di manutenzione ordinaria degli impianti, in particolare dell'impianto di illuminazione e semaforico di Bobbio, sono stati aggiudicati di recente e saranno eseguiti nel prossimo mese di ottobre.
La pulizia delle opere idrauliche (canaline di scolo, ecc..) è stata già eseguita nel tratto di Rivergaro. Nell'ambito dei lavori di manutenzione ordinaria di prossimo appalto sono previsti gli altri tratti nella restante parte della Statale.
La riparazione delle calotte delle gallerie Barberino e San Salvatore e la relativa impermeabilizzazione, che richiederebbero interventi radicali sui manufatti, al momento non rientrano tra i piani compartimentali. Sono previsti, invece, interventi mirati a risolvere le criticità mediante lavori di manutenzione ordinaria.
Gli impianti di illuminazione delle gallerie saranno oggetto di manutenzione programmata nei mesi di ottobre e novembre 2008.
L'ANAS precisa di avere tenuto informati i soggetti interessati facendo presente che lo scorso 4 settembre si è tenuta una riunione presso la Prefettura di Piacenza nella quale è stata illustrata la situazione della statale in parola cui hanno partecipato un rappresentante della Provincia di Piacenza, il Presidente della Comunità Montana, il Prefetto ed il Capo Compartimento ANAS di Bologna.

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ALLEGATO 3

Interrogazione n. 5-00355 Guido Dussin: Interpretazione delle norme sulle materie prime secondarie.

TESTO DELLA RISPOSTA

Per quanto indicato nell'interrogazione a risposta immediata presentata dall'onorevole Dussin ed altri, con la quale si chiede di sapere se è intenzione del Ministro emanare una circolare interpretativa del decreto legislativo 152/06 volta a specificare che, se le materie prime secondarie prodotte ad esito di un'operazione di recupero di rifiuti possono avere le caratteristiche indicate nel decreto ministeriale di cui all'articolo 181-bis del citato decreto legislativo, a maggior ragione esse possono anche presentare le caratteristiche individuate nelle singole autorizzazioni rilasciate ex articoli 208-213 del medesimo provvedimento normativo, si riferisce quanto segue.
L'articolo 181-bis del decreto legislativo n. 152/06, come modificato dal decreto legislativo n. 4/08, prevede che non rientrano nella definizione di rifiuto le materie, le sostanze ed i prodotti secondari definiti dal decreto ministeriale previsto al comma 2 del medesimo articolo, a condizione che vengano definiti i metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenerli, nonché le caratteristiche dei materiali ottenuti.
Il medesimo articolo 181-bis prevede che, in ogni caso, tale esclusione è subordinata al rispetto di una serie di requisiti.
In particolare, è necessario verificare che i materiali rispettino le seguenti condizioni:
a) siano prodotti da un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;
b) siano individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre;
e) siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse;
d) siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l'immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l'utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all'ambiente e alla salute derivanti dall'utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario;
e) abbiano un effettivo valore economico di scambio sul mercato.

Tale previsione, presupponendo una valutazione caso per caso della sussistenza delle condizioni elencate, in aggiunta alla verifica del rispetto delle previsioni del decreto ministeriale, fa sì che non sia sufficiente, come prospettato dall'interrogante, di «cristallizzare», semplicemente, nel decreto di cui all'articolo 181-bis, comma 2, una lista di materiali esclusi in via generale dal regime di rifiuti, in quanto tale impostazione rischierebbe di porsi, comunque, in contrasto con la disciplina comunitaria.
In altre parole, il decreto rappresenta la disciplina tecnica di riferimento per l'individuazione delle attività di recupero e delle caratteristiche delle materie ottenute, ma non fonda una presunzione assoluta di esclusione dei prodotti derivanti dal recupero dal regime dei rifiuti, essendo sempre necessario verificare in concreto di caso in

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caso la sussistenza delle altre condizioni indicate da garantire a cura del produttore o dell'operatore.
La norma citata non prevede espressamente che le autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208 e seguenti del decreto legislativo n. 152/06, quando indichino i metodi di recupera dei rifiuti utilizzati per ottenerli, nonché le caratteristiche dei materiali ottenuti, possano legittimare l'esclusione in assoluto dei prodotti derivanti dall'attività di recupero autorizzata dal regime dei rifiuti, bensì può di fatto verificarsi di volta in volta per singoli casi.
Non di meno, nonostante l'assenza di una previsione espressa in tal senso, deve ritenersi che, sulla base dei principi della Corte di Giustizia, anche in questa ipotesi, non potendosi comunque riconoscere una presunzione «assoluta» di esclusione dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti per i prodotti derivanti da un'attività di recupero autorizzata, è in ogni caso necessario che l'operatore possa dimostrare che le operazioni effettuate costituiscono un'attività di recupero completo, che i materiali ottenuti rispondono alle specifiche tecniche corrispondenti alla materia prima che si intende sostituire e che sussistono le ulteriori condizioni indicate dall'articolo 181-bis.
In conclusione, è possibile che il decreto citato elenchi una serie di prodotti «riutilizzabili o recuperabili», seguendo le indicazioni previste dalla legge, ma una circolare ministeriale che precisi che i prodotti derivanti da un'attività di recupero di rifiuti autorizzata non sono rifiuti, creando per tali materiali una presunzione di esclusione dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti, si porrebbe in contrasto con la normativa comunitaria e nazionale.

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ALLEGATO 4

Interrogazione n. 5-00356 Tortoli: Inquinamento di un bacino nel complesso del Monte Amiata.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con riferimento all'interrogazione a risposta immediata presentata dagli onorevoli Tortoli e Ghiglia, riguardante l'impatto ambientale provocato dall'attività delle centrali geotermiche esistenti nella zona del Monte Amiata, occore in premessa doverosamente precisare che, per quanto concerne l'attività di coltivazione delle risorse geotermiche sulla terraferma, la competenza è attribuita alla Regione (ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 settembre 1999, nonché ai sensi della nuova normativa nel frattempo intervenuta di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, come modificato dal decreto legislativo n. 4/2008).
Per inquadrare il caso in oggetto si parte dal dato che nel territorio del monte Amiata sono attualmente presenti e operanti impianti geotermici gestiti dall'ENEL.
Dagli elementi acquisiti agli atti e forniti dalla Regione Toscana, ARPAT e amministrazioni interessate, è emerso quanto segue.
Sulla base di un incarico conferito all'Associazione EDRA di Roma, condotto nell'anno 2006, rientrante nell'ambito di uno studio più generale affidato al CNR di Pisa e rivolto alla costruzione di un bilancio idrico del Monte Amiata, si è ipotizzata un'interazione esistente tra il bacino geotermico e quello acquifero superficiale, che comporterebbe rischi imminenti per la popolazione amiatina derivanti dalla geotermia. Questo pericolo è stato segnalato nel febbraio del 2008, da uno dei componenti dell'associazione EDRA all'Assessore Regionale competente.
La Regione Toscana per verificare l'attendibilità dell'allarme ha conferito (mediante bando pubblico) un ulteriore incarico, questa volta all'Università di Pisa, con lo scopo di approfondire lo studio di EDRA e analizzare se l'interazione esiste, le sue dimensioni, quali effetti può produrre nell'ambiente circostante e come incide sulla produzione geotermoelettrica in essere sull'Amiata.
Quello che è in discussione, infatti, è l'esistenza o meno di una relazione tra la miscela di acqua e vapore estratta ad oltre tremila metri di profondità e l'acquifero superficiale che alimenta la quasi totalità della Toscana meridionale e parte dell'Alto Lazio, ed in particolare se è vero quanto segnalato dall'interrogante, cioè che: «la maggiore concentrazione di sostanze inquinanti rinvenute nelle acque dell'Amiata è favorita dalla sempre più ridotta portata del bacino potabile, il cui prosciugamento è causato dallo sfruttamento geotermico eccessivo».
In base ad un esame più attento, condotto dalla stessa Università di Siena, i rischi imminenti sono risultati infondati, tuttavia l'indagine conoscitiva dovrebbe concludersi entro il 30 settembre 2008 e, sulla scorta delle risultanze che emergeranno la Regione Toscana si è impegnata ad assumere, in accordo con le istituzioni locali presenti, le conseguenti determinazioni relative alla coltivazione geo-termo-elettrica condotta dall'ENEL.
L'attività di coltivazione dei fluidi geotermici nell'Amiata si inserisce in un territorio che per le sue caratteristiche minerarie è stato sede, in passato, di attività estrattive e metallurgiche e nelle tubazioni

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dei vecchi impianti dismessi era stato utilizzato l'amianto come isolante, per cui si spiega anche la presenza di tale inquinante nei suoli, rilevato dalle demolizioni di alcune tubazioni, e non riferito all'attività degli attuali impianti. Questi vecchi siti industriali richiedono e sono oggetto di interventi di messa in sicurezza o di piani di bonifica.
Allo stato attuale risulta che, in data 28 febbraio 2005 è stato sottoscritto un Accordo di programma tra il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, la Regione Toscana, la Provincia di Siena, il Comune di Abbadia San Salvatore e l'ARPAT per la bonifica ed il recupero ambientale dei siti ex estrattivi minerari del comprensorio minerario del Monte Amiata.
L'Accordo, siglato ai sensi del comma 20 dell'articolo 114 della legge n. 388/2000, prevede un quadro programmatico finanziario finalizzato alla messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale e recupero ai sensi del decreto ministeriale n. 471/99 delle aree afferenti alle miniere del Comune di Abbadia San Salvatore (Provincia di Siena).
Nello specifico, il progetto di bonifica prevede una serie di interventi mirati alla bonifica dell'area contaminata dalla presenza di residui di mercurio derivante dalla pregressa attività minerometallurgica: asportazione dei terreni contaminati, demolizione di manufatti contaminati, impermeabilizzazione di aree non diversamente trattabili, interventi specifici di decontaminazione, controllo idraulico di tutta l'area oggetto della bonifica, formazione di un sito per la «messa in sicurezza permanente» dei materiali contaminati.
Il costo complessivo dell'accordo è di euro 2.485.450,73 di cui euro 1.400.000 stanziate a favore della Regione Toscana dal Ministero per l'Ambiente e della Tutela del Territorio e euro 1.085.450,73 a carico del Comune di Abbadia San Salvatore.
A tutt'oggi, il Comune di Abbadia San Salvatore (soggetto attuatore dell'intervento di bonifica) ha approvato il progetto di bonifica con relativa variante e la ditta aggiudicataria dei lavori sta procedendo secondo le tempistiche previste dal progetto che si sta avviando alla fase conclusiva.
Questo Accordo consente di monitorare lo stato di salubrità del territorio.
Con riferimento alla sostenibilità della geotermia come attività mineraria, occorre prendere atto del fatto che sul piano normativo essa risente ancora della situazione monopolistica in precedenza riservata all'ENEL e che, pertanto, necessita di nuove disposizioni e nuovi indirizzi sul piano della tutela ambientale e della concorrenza al fine di superare alcune lacune presenti nella vigente legislazione.
A questo proposito, in data 20 dicembre 2007, la Regione Toscana, unitamente agli enti locali interessati, ha sottoscritto con l'ENEL un Protocollo di Intesa sulla geotermia, incentrato sulle problematiche della tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente. Tale protocollo contiene una moratoria per l'Amiata, stabilendo che qualunque intervento, di qualunque natura, potrà essere programmato nelle centrali amiatine soltanto a seguito dell'esito dello studio commissionato all'Università di Siena. Allo stesso tempo, con riferimento questa volta all'intero territorio geotermico toscano, comprendente parti del territorio di Pisa, Siena e Grosseto, è stato commissionato uno studio, ancora in corso, all'Agenzia Regionale della Sanità per verificare gli eventuali effetti dell'attività geotermoelettrica sulla salute dei cittadini. Da tale protocollo, infine, è scaturito l'impegno da pare dell'ENEL a far predisporre all'ARPAT un progetto di rilevamento delle emissioni di ammoniaca ed acido borico, in quanto si tratta di sostanze non normate dalla legislazione vigente.
Riguardo alla presenza di fattori inquinanti, in base al rapporto dell'ARPAT del 2006, risultato dagli studi condotti, non si sono evidenziati superamenti dei limiti di legge.
Sulla presenza di ammoniaca e acido borico, vi è l'impegno dell'ENEL a far predisporre dall'ARPAT un progetto di rilevamento, anche se dai rilevamenti già

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effettuati dall'ARPAT stessa non sono risultati superamenti dei limiti consentiti, mentre per l'acido solfidrico e il mercurio, a partire dal 2000, sono stati progressivamente introdotti dei sistemi di abbattimento delle emissioni più efficaci, denominati AMIS, che attualmente sono impiegati in tre delle cinque centrali presenti sul Monte Amiata.
Questi dispositivi consentono di abbattere circa l'80 per cento dell'acido solfidrico e circa il 70 per cento di mercurio presenti nelle emissioni.
Certo è che per gli inquinanti oggetto del monitoraggio non sono presenti norme nazionali o comunitarie che ne fissino le concentrazioni massime nell'aria e, pertanto, risulta che l'ARPAT ha preso a riferimento i valori guida per la tutela sanitaria fissati dall'OMS. Dalle risultanze di tale monitoraggio è emerso che nel periodo 1997-2007, nell'area dell'Amiata vi è stato un solo superamento di tali valori guida per l'acido solfidrico, mentre nessun superamento è stato rilevato per il mercurio.
In ordine al degrado in cui verserebbero le centrali geotermiche e alle rilevanti modifiche apportate senza procedura di VIA, la Regione ha fatto presente che i controlli effettuati dall'ARPAT e dagli altri organi preposti non hanno evidenziato condizioni di degrado e che, sulla scorta della legislazione regionale in materia di valutazione di impatto ambientale, non è possibile apportare rilevanti modifiche sostanziali ad un'attività sottoposta a VIA senza procedere ad una nuova valutazione.
A conferma di ciò, risulta che per la centrale denominata Bagnore 4 è sospeso il parere di VIA in attesa del completamento dello studio commissionato all'Università di Pisa; nonché nel corso del 2007 è stata prorogata fino al 2013, anziché fino al 2017, come richiesto dall'ENEL, la concessione denominata Bagnore, al fine di consentire il completamento del programma dei lavori a suo tempo approvato dal Ministero dello sviluppo economico e che, in questo caso, la vigente normativa non prevedeva l'espletamento della procedura di VIA.
Vista la complessità del problema, anche se monitorato dagli enti locali, il Governo si impegna a seguire con la massima attenzione l'evoluzione della vicenda, avvalendosi, se del caso, anche delle competenze tecnico-scientifiche dell'ISPRA.

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ALLEGATO 5

Interrogazione n. 5-00357 Libè: Effetti ambientali del recente incendio verificatosi in una raffineria nel comune di Busalla.

TESTO DELLA RISPOSTA

In merito a quanto indicato nell'interrogazione a risposta immediata presentata dall'onorevole, Libè, concernente l'incendio che si è verificato nello stabilimento IPLOM di Busalla, si rappresenta quanto segue.
Lo Stabilimento di cui trattasi, è soggetto a notifica ai sensi dell'articolo 6 e a presentazione del rapporto di sicurezza ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 334/99, inerente i rischi di incendi rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose.
L'evento incidentale accaduto il 31 luglio 2008, ha interessato l'unità impiantistica U100 di distillazione atmosferica ed è riconducibile a diversi scenari incidentali previsti dal rapporto di sicurezza.
L'evento si è verificato a seguito di un rilascio da un accoppiamento flangiato a valle della valvola di regolazione posta sulla tubazione da 2 pollici nella parte bassa della colonna di predistillazione (topping), probabilmente causato dal cedimento della guarnizione di tenuta. Il fluido fuoriuscito, costituito da una miscela di olio combustibile e gasolio si trovava ad una temperatura superiore a 300o C ed a una pressione di 6 Bar ed è credibile che, anche in mancanza di un innesto, sia avvenuta un breve tempo l'autoaccensione del prodotto a contatto con l'aria. L'incendio che ne è seguito ha causato ulteriori danni alla tubazione, con l'incremento della portata di rilascio senza peraltro provocare un evento di particolare rilevanza. Infatti, in meno di un'ora l'incendio veniva estinto.
L'azienda ha stimato cautelativamente in circa 3 tonnellate la quantità di prodotto infiammabile rilasciato durante l'evento.
La squadra di emergenza IPLOM è intervenuta tempestivamente e ha attivato il piano di emergenza interno, coordinato dai vigili del fuoco di Busalla intervenuti in pochi minuti, provvedendo ad isolare l'area interessata, evitando ogni danno alle persone e controllando che l'incendio si propagasse. In meno di un'ora l'incendio veniva estinto.
L'area incidentata è stata presidiata e mantenuta in sicurezza fino alla mattinata successiva dalle squadre dei Vigili del Fuoco. Tutti gli altri impianti della raffineria sono rimasti in funzione e la mattina successiva i prodotti petroliferi sono stati caricati regolarmente.
La ricostruzione dell'evento fatta dall'Azienda e comunicata il giorno successivo è stata confermata dai tecnici dei Vigili del Fuoco e dall'ARPAL, intervenuti sul posto ciascuno per le incombenze di propria competenza.
In particolare è stato verificato dall'ARPAL che sulle apparecchiature coinvolte non erano stati effettuati interventi di manutenzione programmata, o straordinaria, e al momento dell'evento si trovavano nelle normali condizioni di marcia.
I controlli effettuati dall'ARPAL sulle matrici ambientali circostanti non hanno evidenziato segni di impatti sull'ambiente. Anche i fumi dell'incendio, che spesso sono fronte di disagio e manifestazione di panico nella popolazione, non hanno prodotto conseguenze riscontrabili, dal momento che le favorevoli condizioni di stabilità

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atmosferica ed i venti deboli hanno favorito la formazione di un pennacchio che ha guadagnato rapidamente quota con dispersione della nube.
In base ad un resoconto da parte del Comando dei Vigili del Fuoco della Provincia di Genova sulle varie fasi dell'intervento, sulle precauzioni assunte, e sui successivi controlli sulle parti di impianto coinvolte nell'incidente è emerso che le cautele del caso erano state adoperate, persino l'autostrada è stata chiusa in concomitanza dell'evolversi dell'incendio su ordine degli stessi Vigili del Fuoco, nonché è stato interrotto anche il traffico ferroviario per agevolare le operazioni. È stato accertato altresì che non sono emersi superamenti dei valori limite delle polveri nelle aree adiacenti ai centri abitati. In merito all'eventuale presenza di diossina nell'aria, è stata appurata la totale assenza di cloruri organici, potendosi escludere la contaminazione del suolo. È stato inoltre verificato, a cura di un sopralluogo effettuato da un funzionario della Direzione Qualità della Vita del Ministero dell'ambiente, lo stato delle strutture interessate dall'incidente e possibile contaminazione del fiume Scrivia, atteso il massiccio utilizzo di sostanze schiumogene ai fini dello spegnimento dell'incendio. Ebbene, i risultati delle analisi condotte su campioni prelevati nelle acque reflue di scarico non hanno evidenziato variazioni sui valori di COD e di idrocarburi.
La questione ha risollevato il tema della delocalizzazione della raffineria IPLOM di Busalla, già postasi nel 1999. La Regione Liguria, infatti, a quel tempo, nell'esprimere parere favorevole al rinnovo della concessione, aveva attivato un tavolo di concertazione con gli Enti locali, l'ARPAL e la stessa IPLOM, per valutare le problematiche legate all'attività dello stabilimento e le ipotesi di riconversione e ricollocazione dello stesso.
In tal senso si era prodotto uno studio elaborato da ARPAL con la collaborazione della fondazione Enrico Mattei, sul quale non si sono raggiunti accordi e la questione ha continuato a suscitare il dibattito fino all'istituzione di un nuovo tavolo istituzionale che, da ultimo, ha coinvolto vari soggetti pubblici (Regione Liguria, Provincia di Genova, Comune di Busalla, Comunità Montana Alta Valle Scrivia, nonché altre amministrazioni comunali della valle, e la Provincia di Alessandria).
Nel corso delle varie riunioni del tavolo, tra il marzo 2007 e il febbraio 2008, è stata affrontata anche la questione relativa ad una modifica impiantistica necessaria per adeguare il tasso di zolfo del gasolio ai nuovo standard stabiliti dalla normativa europea.
Il progetto di tale modifica soggetta alla procedura NOF (Nulla Osta di Fattibilità) prevista dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 334/99 (legge Seveso) è stata esaminata dal Comitato Tecnico Regionale dei Vigili del Fuoco della Liguria con esito positivo e potrà essere realizzata previa presentazione di un rapporto di sicurezza definitivo che recepirà tutte prescrizioni formulate dal Comitato stesso.
In questo contesto la delocalizzazione dello stabilimento rimane una prospettiva strategica che comunque deve tener conto degli aspetti occupazionali diretti ed indotti e non può prescindere da valutazioni tecniche relative all'evoluzione normativa europea che regola la composizione dei carburanti derivati dal petrolio.
Va in ogni caso evidenziato che lo stabilimento IPLOM è in regola con la procedura e gli obblighi imposti dalla legge Seveso e che attualmente è sottoposto a procedura di Autorizzazione Integrata Ambientale di cui al decreto legislativo n. 59 del 2005, che si svolge nell'ambito di una Commissione coordinata dal Ministero che rappresento.
Pertanto, l'esito della procedura citata potrà essere utile nel complesso iter decisionale di delocalizzazione che deve necessariamente coinvolgere, oltre che le amministrazioni locali, la società stessa, le Organizzazioni Sindacali e il livello politico nazionale.

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ALLEGATO 6

7-00039 Alessandri: Recupero ambientale dello stabilimento metallurgico di Servola.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

La VIII Commissione,
premesso che:
la società Servola SpA è proprietaria di uno stabilimento per la produzione di ghise, coke metallurgico ed altri prodotti da altoforno in provincia di Trieste, noto anche con la denominazione di «Ferriera di Servola», a ragione del fatto che gli impianti sono ubicati all'interno dell'antico e popoloso rione di Servola, che conta di oltre 50.000 abitanti;
la ferriera di Servola è negli ultimi anni assurta più volte alle cronache a causa del degrado ambientale che ha provocato nell'area costiera durante la sua lunga attività e dei danni da inquinamento che arreca al suolo, alle risorse idriche ed all'aria soprattutto per il cattivo o obsoleto funzionamento degli impianti di produzione;
l'area industriale su cui s'insedia lo stabilimento occupa una superficie di circa 700.000 metri quadrati, dei quali 343.000 metri quadrati in concessione del Demanio dello Stato, circa 200.000 mq ricavati con interventi di riempimento della costa e circa 104.000 mq di area coperta;
il ciclo produttivo dello stabilimento è diretto alla produzione di ghisa liquida, ghisa solida, coke metallurgico, sottoprodotti da ciclo integrale, quali loppa e catrame; gas siderurgici da altoforno e cokeria;
nello stabilimento sono presenti 16 punti di emissione autorizzati, 3 camini non soggetti ad autorizzazione ai sensi dell'articolo 269, comma 14 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e 20 camini giudicati scarsamente rilevanti a norma dell'articolo 272 del predetto decreto legislativo n. 152 del 2006;
durante il suo ciclo produttivo l'impianto genera emissioni diffuse di polveri, benzene e benzoapirene, le cui sorgenti principali sono: operazioni che comportano emissioni in area cokeria nei punti di caricamento fossile in tramogge caricatrice, nel caricamento del fossile nei forni, perdite dalle porte, perdite da colonne di sviluppo e coperchi, sfornamento del coke, spegnimento del coke, degrafitaggio; operazioni che comportano emissioni di polveri in area agglomerazione per la sinterizzazione, frantumazione e vagliatura a caldo e raffreddamento e vagliatura a freddo; operazioni che comportano emissioni di polveri in area altoforno per trafilamenti dalla bocca di carica, nel campo di colata durante lo spillaggio e la colata della ghisa, per soffiate durante transitori di sovrappressione (clapet di sfogo dell'altoforno); operazioni che comportano emissioni diffuse di polveri in area macchina a calore per il colaggio della ghisa in conchiglie e per il raffreddamento dei pani di ghisa;
nello stabilimento sono presenti 8 punti di scarico in mare, nonché 11 aree di stoccaggio rifiuti;
pur se in passato il complesso industriale triestino è stato più volte interessato da contestazioni e segni di malcontento a causa della sua scarsa sicurezza ambientale, è però dagli ultimi mesi del 2007 che la ferriera è divenuta il nodo

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cruciale di accese proteste e di dimostrazioni di contrarietà soprattutto da parte della popolazione locale e ciò non solo per il suo accertato e perdurante pericolo per l'ambiente, quanto anche per il sospetto di una presunta nocività per la salute pubblica;
già dal 2003 lo stabilimento, infatti, è stato posto sotto stretto controllo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ne ha accertato l'evidente grado di insicurezza ambientale intimando alla proprietà di provvedere con massima urgenza alla realizzazione di interventi di messa in sicurezza d'emergenza. Inoltre, nell'ottobre del 2007, da uno studio commissionato dalla magistratura al Centro Interdipartimentale di Gestione e Recupero Ambientale - CIGRA dell'Università degli Studi di Trieste, si sarebbe evinto che i livelli di polveri sottili emessi dagli impianti siano di molto superiori ai limiti di legge, soprattutto riguardo alla presenza del benzoapyrene che avrebbe raggiunto picchi di 90 nano grammi per metro cubo, mentre il limite è di 1 nano grammo per metro cubo;
si ha però il dubbio che le emissioni inquinanti dello stabilimento contengano anche diossina ed altre sostanze cancerogene;
il 29 settembre 2003 la Ferriera, per ordine del Tribunale di Trieste, fu posta sotto sequestro disponendo il blocco dell'attività dello stabilimento siderurgico;
l'8 ottobre 2003 il gruppo Lucchini, proprietario della Ferriera, depositò al Tribunale del riesame di Trieste, ricorso contro il sequestro degli impianti;
il 9 ottobre 2003, a Roma, fu firmato un accordo di massima tra il gruppo Lucchini e il ministro dell'Ambiente contenente un indice di iniziative da realizzare ed implementare in fasi successive;
il 14 ottobre 2003, a Trieste, fu sottoscritto un protocollo d'intesa tra il ministero dell'Ambiente, gruppo Lucchini, Regione Friuli-Venezia Giulia e istituzioni locali per giungere al dissequestro della Ferriera di Servola, denominato «Azioni per il miglioramento delle condizioni ambientali dell'area industriale di Servola». Il Protocollo di intesa fu sottoscritto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del mare, dal Presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dal Presidente della provincia di Trieste, dal sindaco di Trieste e da rappresentanti del Ministero delle attività produttive, dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, dalla società proprietaria e dall'azienda. Il protocollo prevedeva un percorso «ambientale» per tenere sotto controllo le emissioni diffuse della Ferriera e istituiva una Segreteria tecnica per definire le misure più urgenti da realizzare per il risanamento dell'impianto industriale, coordinata dallo stesso ministero dell'Ambiente;
il 16 ottobre 2003, il Tribunale del Riesame, al termine di una camera di Consiglio durata alcune ore, si riservò la decisione sul ricorso presentato dal gruppo Lucchini contro l'ordinanza di sequestro dello stabilimento triestino, accogliendo però parzialmente il ricorso stesso, riconducendo la competenza in materia al giudice Fabrizio Rigo che guidava un procedimento su presunte emissioni inquinanti in corso dal 2002;
il 28 ottobre 2003 fu disposto il dissequestro temporaneo della Ferriera di Servola per consentire lo scarico di 60 mila tonnellate di carbone necessarie per evitare lo spegnimento forzato dell'intero impianto;
va altresì fatto presente, a tal proposito, che già dagli inizi del 2003, su iniziativa del Ministero delle attività produttive furono assunte azioni per la definizione di un accordo di programma volto all'organico riassetto dell'area industriale in questione. Tali azioni erano svolte nell'ambito di un Protocollo di intesa «Sviluppo dell'area industriale di Servola (Trieste)» del 20 gennaio 2003 che prevedeva la dismissione delle attività siderurgiche nell'area di Servola entro il 2009;

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il 22 settembre 2004 la sopra citata segreteria tecnica concluse le attività previste dal Protocollo d'intesa con la sottoscrizione, da parte di tutti i componenti, della relazione tecnica finale che, ai sensi del Protocollo stesso, avrebbe costituito la base tecnica per la sottoscrizione, da parte di tutti i firmatari del Protocollo, di un accordo volontario;
il 7 dicembre 2007 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel dar seguito a delle deliberazioni assunte nel corso delle conferenze di servizi decisorie e concernenti le attività di caratterizzazione e messa in sicurezza d'emergenza, nel ricapitolare le varie deliberazioni formulate dal 19 maggio 2003 al 14 febbraio 2007, evidenziava come la Servola Spa avesse dichiarato di presentare dei primi risultati delle indagini di caratterizzazione sulle aree demaniali entro il mese di ottobre 2007, non esprimendo però alcun cenno in merito agli interventi di messa in sicurezza d'emergenza dei suoli e delle acque di falda precedentemente ad essa imposti sin dal 2004;
per tali omissioni il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato alla società mediante diffida che avrebbe attivato i poteri sostitutivi in danno della stessa e che in presenza di inerzie sarebbero stati integrati gli estremi del reato previsto dall'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006, contestualmente interessando formalmente l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste perché si attivasse con ogni iniziativa volta a tutelare le pretese erariali dell'amministrazione in relazione sia agli obblighi del risarcimento del danno ambientale derivato e derivante dalla fuoriuscita di inquinanti dai terreni e dalle falde sottostanti la proprietà sia alla rivalsa dai costi sostenuti per la messa in sicurezza e la bonifica della medesima, chiedendo altresì l'iscrizione dell'ipoteca legale sulla proprietà a garanzia dei erediti azionabili;
consta ai firmatari del presente atto di indirizzo che lo stesso 7 dicembre 2007 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha altresì inoltrato alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Trieste una informativa per gli eventuali provvedimenti del caso in cui si evidenziavano le inadempienze della Servola Spa in tema di caratterizzazione e messa in sicurezza d'emergenza nelle aree di proprietà ed in concessione;
nel mese di luglio 2008, il Presidente del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, anche a seguito di una visita nel quartiere e della presa coscienza dell'effettivo degrado che provoca la Ferriera, ha espresso la volontà regionale di chiudere l'impianto mettendo in risalto anche la previa esigenza di salvaguardare l'occupazione del personale che lavora nello stabilimento;
è ormai improcrastinabile un intervento mirato, promosso principalmente dal Governo e dalla regione Friuli-Venezia Giulia e condiviso dalle associazioni per la difesa dei cittadini e del territorio che operano nel quartiere, che porti alla urgente chiusura e contestuale conversione della ferriera di Servola, ponendo alla base di ogni possibile azione che vada in tal senso, la necessità di ridare sicurezza e vivibilità alla popolazione del quartiere e di garantire la piena occupazione ai lavoratori che vi sono impiegati;
tra le proposte avanzate in sede locale in ordine alla chiusura e riconversione dello stabilimento siderurgico di Servola vi è l'opzione che prevede la trasformazione del sito industriale in una piattaforma logistica per il porto. La stessa Regione Friuli-Venezia Giulia sarebbe pronta ad agire per decidere la chiusura entro il 2009 della ferriera, come così già concordato in precedenza, dal 2003, tra la proprietà dell'impianto, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le istituzioni locali,

impegna il Governo

a favorire, nel rispetto delle proprie competenze e fatte salve le prerogative della

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regione Friuli-Venezia Giulia in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati di cui al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, la messa in atto di ogni più utile misura che si renda necessaria per conseguire, con il consenso della popolazione del rione di Servola, il rapido avvio della procedura di riconversione, cui seguirà l'eventuale chiusura della ferriera di Servola, allo scopo anche valutando l'opportunità di procedere ai sensi dell'articolo 252-bis del predetto decreto legislativo n. 152 del 2006, all'attuazione di un programma di riconversione, da adottare entro sessanta giorni, contenente interventi mirati allo sviluppo economico produttivo nel quale vengano previste anche soluzioni intermedie e di lungo periodo per i lavoratori che nella riconversione dovranno trovare adeguata ricollocazione.
(8-00009)
«Alessandri, Fedriga, Monai, Libè, Mariani, Braga, Compagnon, Rosato».