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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 727 di lunedì 3 dicembre 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 16.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 26 novembre 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Bergamini, Borghesi, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, Della Vedova, Dozzo, Dussin, Aniello Formisano, Franceschini, Ghiglia, Giancarlo Giorgetti, Guzzanti, Iannaccone, Lupi, Margiotta, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Mogherini Rebesani, Nucara, Pisacane, Pisicchio, Pistelli, Rigoni, Stefani, Stucchi e Valducci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,06).

RAFFAELE VOLPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, avevo chiesto e preannunciato su che cosa sarei intervenuto: intendo dire due parole su quanto è accaduto ieri nella città di Genova, dove il mio movimento, la Lega Nord, ha tenuto un suo incontro con i soliti militanti e le nostre famiglie. Ebbene, questo incontro si è tenuto in un centro congressuale, quindi peraltro in una situazione di assoluta tranquillità. Ieri nella città di Genova qualcuno, che poi è stato penso senza grosse difficoltà identificato come i soliti appartenenti ai centri sociali e all'anarchia, ha voluto darci un segnale di quello che intende come democrazia assaltando due pullman, che sono stati praticamente quasi distrutti, e ancor peggio, purtroppo, aggredendo nelle vie della città alcuni militanti del nostro movimento. Purtroppo due di questi militanti hanno anche dovuto ricorrere poi alle cure mediche presso gli ospedali.
La risposta è stata: «Togliete le bandiere, per sicurezza, dai vostri pullman» e questo è un segno ancora di amarezza che porto, signor Presidente. Infatti, se in un Paese che si dice democratico, ad un movimento che comunque ha tenuto nella sua storia manifestazioni sempre assolutamente pacifiche - in assenza di atti di violenza o cose del genere -, la risposta è quella di dire: «Abbassate le vostre bandiere e andatevene nascosti, perché quattro delinquenti potrebbero aggredirvi», io credo che vi sia una preoccupazione comune. Dovrebbe esserci una preoccupazione comune.
È strana anche una cosa, infatti nella serata di ieri, tornato a casa dalla nostra Pag. 2manifestazione, mi sono collegato ad un social network, credo il più importante a livello mondiale, ed ho potuto riscontrare chiarissime avvisaglie di ciò che poi sarebbe accaduto. Già da due giorni nei siti di questi centri sociali si riportavano frasi di questo genere: «Puliamo Genova dalla fogna leghista» e tutto il resto. Io penso che, signor Presidente, la riflessione la dovremmo fare al di fuori e ovviamente nella reciproca stima che deve avere chiunque fa politica in un certo modo, ma la mia amarezza continua. Continua perché vede, io questa mattina venendo a Roma ho comprato all'aeroporto quattro quotidiani nazionali. Su tre di questi non vi era assolutamente nulla. Lo dico con simpatia: è chiaro che la notizia di oggi erano le primarie del Partito Democratico, che peraltro sono state la notizia degli ultimi 15 giorni a qualsiasi ora del giorno. È chiaro anche, peraltro, che, come ho letto dalla stampa, il Ministro Cancellieri ha ricevuto uno del comitato dei garanti del Partito Democratico per assicurare che vi fossero le regolarità penso di sicurezza all'interno di questa manifestazione ampiamente democratica e di partecipazione, ma esprimo amarezza per il fatto che la stampa non riporti nemmeno che vi sono state delle violenze anche fisiche verso persone tranquillissime, alcune delle quali addirittura assalite da venti persone all'interno di un ristorante, semplicemente perché appartenenti ad un movimento politico. Credo che sia scandaloso. Penso anche che si potesse evitare.
Faccio un inciso e vorrei portare la solidarietà del nostro movimento agli agenti che sono stati feriti sempre da queste persone negli scontri di Livorno, scontri di Livorno che lei signor Presidente forse conoscerà di più.
Infatti, tali scontri sono cominciati venerdì sera nel tenere lontano questa teppaglia dal comizio che il segretario Bersani stava facendo a Livorno. Sono continuati, poi, ieri, e ci sono stati degli agenti feriti. Quindi, la nostra solidarietà va anche a loro.
Concludo, signor Presidente, con un'ultima amarezza. Noi, ieri, non abbiamo avuto, come movimento politico, ma nemmeno per le persone che sono state ferite, la solidarietà di nessuno, né dalle istituzioni, né da un partito politico, né da un movimento, né da un leader. La democrazia è una cosa che si esercita con i fatti, ma, qualche volta, anche le parole hanno un significato. Finisco con una provocazione: se ieri questi fatti avessero avuto come vittime militanti di un altro partito politico, militanti di una comunità religiosa o, magari, di una comunità etnica, oggi, i giornali cosa direbbero? Direbbero che c'è stata una violenza inaudita, si alzerebbero le voci di indignazione.
Ebbene, mi dispiace dirlo, ma è stata fatta passare una cosa che non è normale: secondo il silenzio che ho visto e le pagine non scritte, sembra che sia normale picchiare i militanti della Lega (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Volpi, mi consenta di esprimerle la solidarietà mia personale e di unirmi alla condanna di qualunque forma di violenza esercitata soprattutto nei confronti di chi veramente esprime il proprio pensiero. Quindi, se questo può servire anche a colmare il silenzio di ieri, lo consideri un atto di autentica e profonda solidarietà.
Saluto il Circolo ACLI del Reventino «Soveria Mannelli», in provincia di Catanzaro, e gli studenti e i docenti del II Circolo didattico di Cortona, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo per condividere le sue parole su quanto accaduto e sui gesti di violenza dei quali sono stati fatti oggetto i militanti della Lega Nord, di cui l'onorevole Volpi ha testé informato l'Assemblea. Intervengo per unirmi alla solidarietà che la Presidenza ha espresso nei confronti di queste persone e alla condanna di questi fatti gravi di violenza che, pur tuttavia, Pag. 3ancora oggi, signor Presidente, siamo costretti a testimoniare in quest'Aula e fuori.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, sottoscrivo, ovviamente, le sue parole. Prendo la parola semplicemente perché non vorrei che apparisse, poi, che non volevamo farlo esplicitamente e, invece, lo faccio esplicitamente. È del tutto evidente, signor Presidente, che nella lotta politica, anche nei momenti più aspri, ogni volta che si manifesta la violenza, per quanto ci riguarda, noi siamo sicuramente dall'altra parte. Quindi, non posso che unirmi alle sue parole e, ovviamente, esprimere la solidarietà anche da parte del Partito Democratico.

Discussione della proposta di legge: Froner ed altri; Anna Teresa Formisano; Buttiglione ed altri; Della Vedova e Cazzola; Quartiani ed altri: Disposizioni in materia di professioni non organizzate (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 1934-2077-3131-3488-3917-B) (ore 16,14).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato: Froner ed altri; Anna Teresa Formisano; Buttiglione ed altri; Della Vedova e Cazzola; Quartiani ed altri: Disposizioni in materia di professioni non organizzate.
Avverto in proposito che, con lettera del 30 novembre 2012, la presidente della Commissione attività produttive, onorevole Dal Lago, ha sottoposto alla Presidenza la richiesta di proporre all'Assemblea il trasferimento del provvedimento in sede legislativa, essendosi realizzati i presupposti di cui all'articolo 92, comma 6, del Regolamento.
Conseguentemente, come già preannunziato in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, la discussione sulle linee generali di tale proposta di legge non avrà più luogo.

Proposta di trasferimento a commissione in sede legislativa di una proposta di legge (ore 16,15).

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, della seguente proposta di legge, della quale la sotto indicata Commissione, cui era stata assegnata in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:
alla X Commissione (Attività produttive): S. 3270 - Froner ed altri; Anna Teresa Formisano; Buttiglione ed altri; Della Vedova e Cazzola; Quartiani ed altri: «Disposizioni in materia di professioni non organizzate» (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 1934-2077-3131-3488-3917-B).

Discussione della proposta di legge: Melchiorre ed altri; Gozi ed altri; Di Pietro ed altri; Bernardini ed altri: Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 1439-1695-1782-2445-B) (ore 16,17).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge di iniziativa dei deputati Melchiorre ed altri; Gozi ed altri; Di Pietro ed altri; Bernardini ed altri, già approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato: Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale. Pag. 4
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1439-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare della Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Rao, ha facoltà di svolgere la relazione.

ROBERTO RAO, Relatore. Signor Presidente, non l'ho fatto prima per non prendere la parola due volte, ma colgo l'occasione per associarmi totalmente alle sue parole di ferma condanna rispetto ai fatti che il collega Volpi ci ha illustrato oggi e che per nostra colpevolezza, non certo per dolo, non ci siamo trovati a rilevare ieri sulle agenzie e sui giornali di questa mattina. Ovviamente, da parte del nostro partito, vi è la piena e totale solidarietà che deve essere non soltanto a parole ma anche nei nostri comportamenti e, soprattutto, in quelli di chi rappresenta le istituzioni e il Parlamento, in quest'Aula e fuori; occorre fare minore demagogia possibile e, rispetto agli atti di violenza, anche verbale, bisogna fare un fronte comune ed essere tutti dalla stessa parte. Il silenzio su queste questioni non è ammesso; credo che sollevare queste questioni sia dovuto e se da parte nostra c'è la responsabilità di non averle colte per tempo sicuramente spero che questa sia sanata, almeno nella giornata di oggi, in quest'Aula. Spero, inoltre, che tutte le persone che sono rimaste offese, anche fisicamente, da questa vergognosa intimidazione possano avere da parte sua, onorevole Volpi e da parte dei suoi colleghi, la conferma che da parte nostra, in quest'Aula, c'è la totale unanimità della condanna.
Mi scuso ancora, signor Presidente, e vado, invece, all'argomento per cui mi è stata data la parola: l'adeguamento dell'ordinamento italiano allo statuto istitutivo della Corte penale internazionale. Siamo alla terza lettura, la proposta di legge reca disposizioni rispetto ad un argomento ratificato dall'Italia con la legge n. 232 del 12 luglio 1999, ed entrata in vigore il 1o luglio 2002; quindi, sono passati dieci anni. Il provvedimento nasce alla Camera dei deputati dal testo unificato delle proposte di legge A.C. 1439 ed abbinate, approvato dall'Assemblea l'8 giugno 2011. Nel corso dell'esame al Senato, che si è concluso il 19 settembre 2012, il testo è stato in parte modificato. La Commissione Giustizia della Camera, in terza lettura, ha ritenuto di non modificare il testo trasmesso dal Senato in ragione dell'urgenza di approvare il provvedimento prima della conclusione della legislatura e tenuto conto che le modifiche apportate dal Senato appaiono sostanzialmente condivisibili. Vi è stato un dibattito, in Aula, in sede di Commissione e, dopo tutti gli anni trascorsi dalla ratifica di questo importantissimo statuto, che peraltro è stato firmato proprio qui a Roma nella capitale d'Italia, abbiamo cercato di dar conto dell'urgenza più che di piccole modifiche che potevano essere ulteriormente previste; tuttavia, tenendo sempre conto che le modifiche che sono state apportate al Senato le consideriamo, comunque, sicuramente migliorative.
Vado ad elencare tali modifiche per i colleghi che con attenzione hanno seguito questo provvedimento e che riguardano i seguenti profili: la valorizzazione del ruolo del Ministro della giustizia come autorità nazionale competente a curare i rapporti con la Corte penale internazionale, vedi l'articolo 2; interventi di natura penale sostanziale volti ad equiparare il procedimento penale nazionale con il procedimento presso la Corte penale internazionale, al fine di consentire l'applicazione delle fattispecie penali a tutela della pubblica Pag. 5amministrazione e dell'amministrazione della giustizia, di cui al nuovo articolo 10, inserito, appunto, con una modifica al Senato; disciplina della procedura da seguire in caso di richiesta di libertà provvisoria da parte del soggetto sottoposto a misura cautelare in Italia, di cui all'articolo 11.
All'articolo 2 la modifica del Senato attribuisce al Ministro della giustizia il ruolo di autorità centrale per la cooperazione con la Corte penale internazionale; ai sensi del comma 1, modificato al Senato, spetta quindi al Ministro, in via esclusiva, la cura dei rapporti di cooperazione con la Corte previo accordo, ove ritenga che ne ricorra la necessità, con i Ministri interessati, altre istituzioni o altri organi dello Stato. Spetta, altresì, al Ministro ricevere le richieste di cooperazione provenienti dalla Corte e presentare ad essa atti e richieste; quindi, un'ulteriore centralità data al Ministro della giustizia.
L'articolo 4, modificato al Senato - riporto, ovviamente, solo degli articoli modificati, di cui parleremo e discuteremo in quest'Aula - disciplina le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale.
Al riguardo, se il Ministro della giustizia si configura come l'autorità di riferimento dal punto di vista politico-amministrativo - come abbiamo appena detto - la corte d'appello di Roma concentra su di sé le competenze giudiziarie. A tale autorità giudiziaria vanno sostituite le corrispondenti autorità giudiziarie militari (il procuratore generale presso la corte d'appello militare di Roma e la corte d'appello militare di Roma) se la richiesta di collaborazione riguarda reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali ai sensi dell'articolo 23 del codice militare di pace. Ai sensi del comma 1, in cui è confluito anche l'originario comma 6 del testo approvato alla Camera, le richieste formulate dalla Corte penale internazionale sono trasmesse dal Ministro al procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, perché vi dia esecuzione, ovvero assista il procuratore della Corte penale internazionale nel compimento di attività da seguire nel territorio italiano, ai sensi dell'articolo 99, paragrafo 4, dello statuto. Ai sensi del comma 5, il testo modificato dal Senato prevede che le citazioni e le altre notificazioni richieste dalla Corte penale internazionale siano direttamente eseguite dal procuratore generale presso la corte di appello di Roma. Solo qualora sussistano motivate ragioni esse debbono essere trasmesse al pubblico ministero presso il tribunale del luogo in cui devono essere eseguite, che, ad ogni modo, deve provvedere senza ritardo. Il comma 6, introdotto al Senato, prevede che possono essere accompagnati coattivamente davanti la Corte penale internazionale coloro che, testimoni, periti, persone sottoposte ad esame del perito, consulente tecnico, interprete o custode di cose sequestrate, sebbene citati, non siano spontaneamente comparsi davanti alla Corte. L'articolo 5 - anche questo modificato dal Senato -, nel disciplinare la trasmissione di atti e documenti, al comma 1 vieta la trasmissione alla Corte penale internazionale di atti e documenti acquisiti all'estero, e dichiarati riservati al momento dell'acquisizione, senza il necessario consenso dello Stato da cui provengono, facendo salva l'applicazione dell'articolo 73 dello statuto della Corte. Il testo approvato dalla Camera faceva riferimento agli atti o documenti riservati senza la precisazione relativa alla dichiarazione di riservatezza. Il comma 2 consente al Ministro della giustizia, previa intesa con i Ministri interessati, di sospendere la trasmissione di atti e documenti alla Corte penale internazionale, ovvero l'espletamento di atti di indagine e di acquisizione di prove, quando ritenga che tali attività possano compromettere la sicurezza nazionale. In tal caso si procede alle consultazioni stabilite all'articolo 72 dello statuto della Corte penale internazionale; il Senato ha inserito l'espresso riferimento all'attività di indagine o di acquisizione delle prove. L'articolo 6 disciplina il caso in cui, in esecuzione di una richiesta di assistenza della Corte penale internazionale, sia necessario citare in Italia una persona che si trova all'estero. Si tratta di Pag. 6un argomento a lungo dibattuto anche in prima lettura. In tale evenienza, per garantire il buon esito della cooperazione, il comma 1 stabilisce, così come modificato dal Senato, che la persona imputata, ma anche eventualmente testimone, perito, consulente o custode che entra nel nostro territorio, non potrà essere sottoposta a qualsivoglia restrizione della libertà personale per fatti antecedenti la notifica della citazione. Il Senato ha modificato la disposizione introducendo il riferimento agli altri soggetti oltre al testimone imputato, e prevedendo che il discrimine temporale riguardi fatti anteriori alla notifica della citazione, non più all'ingresso nel territorio dello Stato.
In base al comma 2, tale immunità temporanea cessa se la persona permane in Italia trascorsi cinque giorni e non più quindici, come previsto dal testo approvato dalla Camera - quindi si tratta di una riduzione dei due terzi -, dal momento in cui sono venute meno le ragioni per le quali era richiesta la sua presenza, ovvero da quando egli, pur uscito dal Paese, vi abbia fatto volontario ritorno. L'articolo 10, introdotto nel corso dell'esame al Senato, novella il codice penale. Il comma 1 novella l'articolo 322-bis del codice penale in tema di peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi e di funzionari dell'Unione europea e di Stati esteri. Si ricorda che l'articolo 322-bis è stato recentemente novellato dall'atto Camera recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, definitivamente approvato il 31 ottobre 2012; chiaramente parliamo della cosiddetta legge anticorruzione.
Il disegno di legge, inserendo il numero 5-bis, inserisce tra coloro che possono compiere delitti di peculato, peculato mediante profitto dell'errore altrui, concussione e corruzione, anche i membri della Corte internazionale di giustizia, i suoi funzionari ed i soggetti equiparati. Conseguentemente, si allargano anche i possibili destinatari dell'esborso corruttivo previsto dal secondo comma dell'articolo 322-bis. Il comma 2 della disposizione in commento introduce nel codice penale l'articolo 343-bis, che estende ai membri della Corte penale internazionale, nonché ai suoi funzionari e ai soggetti equiparati, l'applicabilità delle disposizioni di cui agli articoli 336 (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 337 (resistenza a un pubblico ufficiale), 338 (violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario), con le relative circostanze aggravanti (articolo 339), nonché dei delitti di interdizione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità (articolo 340), oltraggio ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario (articolo 342) e oltraggio ad un magistrato in udienza (articolo 343).
I commi dal 3 al 10 novellano varie disposizioni del codice penale con l'obiettivo di equiparare al nostro procedimento penale il procedimento che si svolge presso la Corte penale internazionale, così da consentire l'applicazione di alcuni delitti. Si tratta, in particolare, delle seguenti novelle: l'articolo 368, relativo alle fattispecie di calunnia; l'articolo 371-bis, in tema di false informazioni al pubblico ministero; l'articolo 372, in tema di falsa testimonianza; l'articolo 374, in tema di frode processuale; l'articolo 374-bis, relativo alla fattispecie di false dichiarazioni e attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria; l'articolo 377, in tema di intralcio alla giustizia; l'articolo 378, in tema di favoreggiamento personale e l'articolo 380, in tema di patrocinio o consulenza infedele.
In base all'articolo 11, modificato dal Senato, se la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto, ovvero una sentenza di condanna a una pena detentiva a carico di una persona che si trovi sul territorio italiano, il procuratore generale della Corte d'appello di Roma chiede alla stessa Corte d'appello l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere (comma 1). La Corte d'appello provvede con ordinanza ricorribile in Cassazione, in base all'articolo 719 del codice di procedura penale. La presentazione del ricorso non sospende l'esecuzione Pag. 7della misura cautelare (comma 2). Il testo approvato alla Camera, invece, prevedeva solamente che la Corte d'appello decidesse con ordinanza ricorribile per Cassazione anche per il merito.
Il comma 3, ampiamente modificato dal Senato, disciplina la possibile richiesta, da parte di colui che è sottoposto alla custodia cautelare in carcere, di libertà provvisoria, ai sensi dell'articolo 59 dello Statuto, delineando il seguente iter: richiesta di libertà provvisoria; trasmissione della richiesta dal procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma al Ministro della giustizia e, da ultimo, alla Corte penale internazionale; decisione sulla richiesta, da parte della Corte d'appello di Roma, con ordinanza ricorribile in Cassazione, ai sensi dell'articolo 719 del codice di procedura penale.
In caso di concessione della libertà provvisoria, la Corte d'appello di Roma può imporre prescrizioni tipo il divieto di espatrio, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, il divieto e l'obbligo di dimora per evitare il pericolo di fuga. È possibile la sostituzione della custodia in carcere con altre misure cautelari in presenza di gravi misure di salute. Eseguita la misura della custodia cautelare in carcere, entro tre giorni - nel testo approvato dalla Camera erano cinque - il presidente della Corte d'appello identifica la persona e verifica il suo eventuale consenso alla consegna alla Corte penale internazionale. Si applicano, in questo caso, le disposizioni previste dal codice di procedura penale per l'estradizione.
L'articolo 13, modificato dal Senato, riguarda la procedura per la consegna. Il comma 1 disciplina la fase delle conclusioni del procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, prevedendo che questi depositi la sua requisitoria nella cancelleria della Corte, che dovrà comunicare il deposito e la data dell'udienza alle parti. Il comma 2 stabilisce che la Corte d'appello decide con procedimento in Camera di consiglio, in base ad una modifica introdotta dal Senato, con la partecipazione necessaria del difensore.
Il comma 3 disciplina le ipotesi nelle quali il giudice italiano può negare la consegna, e cioè quando la Corte penale internazionale non ha emesso una sentenza irrevocabile di condanna o un provvedimento restrittivo della libertà personale; quando non vi è corrispondenza tra l'identità della persona richiesta e di quella oggetto della procedura di consegna; quando la richiesta alla Corte penale internazionale contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Questi sono i casi in cui il giudice italiano può negare la consegna. Sia nell'ipotesi di consenso dell'interessato sia in quello di favorevole pronuncia della Corte d'appello di Roma, spetta al Ministro della giustizia, con proprio decreto, provvedere entro 20 giorni - nel testo approvato alla Camera erano 45, quindi tutti gli interventi sono in senso di snellimento e di accelerazione della procedura - prendendo accordi con la Corte penale internazionale sul tempo, il luogo e le concrete modalità.
L'articolo 21 del provvedimento - ed è l'ultimo modificato dal Senato, signor Presidente - dispone in ordine all'esecuzione delle pene pecuniarie. Su richiesta del procuratore generale, la Corte d'appello di Roma può provvedere all'esecuzione della confisca dei profitti e dei beni, disposta dalla Corte internazionale, compresa, se del caso, la cosiddetta confisca per equivalente. I beni confiscati, fatti salvi i diritti dei terzi di buona fede, vengono messi a disposizione della Corte penale internazionale per il tramite del Ministero della giustizia, che agirà in base a modalità da individuare con il decreto (comma 5). Il rinvio al decreto ministeriale è stato introdotto al Senato.
Come vedete, signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, sono state fatte una serie di modifiche che potrebbero indurre alla prudenza, ma sono state analizzate in Commissione con grande scrupolo dal sottoscritto e dai colleghi e le abbiano ritenute sicuramente migliorative, a parte quelle necessarie proprio all'adeguamento della novella del codice e relative all'introduzione del nuovo Pag. 8strumento del decreto-legge «anti-corruzione». Abbiamo valutato alcune ipotesi emendative, ma sono state all'unanimità scartate in Commissione, perché riteniamo che questo sia un passo molto importante, ossia raggiungere l'unanimità su una proposta di legge così delicata, che ha dovuto aspettare tanti anni per vedere la sua trasformazione in legge dopo la firma avvenuta proprio a Roma di uno Statuto storico della Corte penale internazionale.
Adeguare il nostro ordinamento significa fare un passo avanti anche nel nostro Paese nel campo del diritto internazionale su un tema così delicato e metterci al riparo da quelle che possono essere questioni (le abbiamo sollevate nel momento in cui c'era la crisi libica e noi abbiamo approvato alla Camera in prima lettura questa norma) ed eventuali speculazioni o eventuali inadempimenti in campo internazionale o da una situazione di particolare disagio o ambiguità che sicuramente il nostro Governo - e tanto meno il nostro Parlamento - non vuole avere. Quindi, credo che sia uno strumento utile e spero che venga al più presto approvato da questo ramo del Parlamento in maniera definitiva.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANTONINO GULLO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo non intende intervenire.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pastore. Ne ha facoltà.

MARIA PIERA PASTORE. Signor Presidente, il provvedimento di cui stiamo discutendo detta norme per l'adeguamento dell'ordinamento interno allo Statuto della Corte penale internazionale. Il provvedimento è stato approvato dalla Camera dei deputati l'8 giugno 2011, poi è stato modificato dal Senato nel settembre del 2012 e ora torna all'attenzione di quest'Aula. Lo Statuto della Corte penale internazionale è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 ed è entrato in vigore il 1o luglio 2002. L'Italia ha ratificato lo statuto con la legge 12 luglio 1999, n. 232.
Ad oggi gli Stati che hanno ratificato lo Statuto della Corte sono 121. Altri 32 Stati lo hanno solo firmato, ma non ratificato, 41 non lo hanno neppure firmato. Israele e gli Stati Uniti, dopo aver firmato lo statuto, hanno dichiarato che non lo avrebbero ratificato, vanificando quindi i pochi effetti che il diritto internazionale riconosce alla firma di un trattato. Le preoccupazioni espresse da alcuni paesi, come gli Stati Uniti, la Cina e Israele, sono legate al timore che tale organismo possa, in realtà, essere condizionato, nel decidere o nel promuovere eventuali azioni, anche da aspetti politici che non dovrebbero, invece, interferire con la giustizia internazionale.
È opportuno evidenziare che la Corte penale internazionale è un organo giudiziario a carattere permanente ed è composta da 18 giudici eletti per un mandato di nove anni dall'Assemblea degli stati membri. Fino ad ora la Corte ha aperto 15 casi e per sei di questi è stato avviato il processo, ma nei dieci anni di attività la Corte ha pronunciato una sola sentenza. A fronte, però, di questa scarsa produttività, i costi della Corte sono veramente rilevanti: il bilancio annuale è di oltre 140 milioni di dollari necessari per far fronte alle attività della Corte e per pagare gli stipendi al personale amministrativo e giudiziario per un totale di 766 persone originarie di 90 paesi. Quindi, dalla sua istituzione la Corte è costata oltre 900 milioni di dollari.
C'è anche chi sostiene che la Corte realizzerebbe un sistema discriminatorio, in quanto il processo dinnanzi alla Corte è possibile solo nei confronti di cittadini di Stati membri della Corte stessa oppure, se il crimine è stato nel loro territorio, anche nei confronti di cittadini di Stati che non sono parti contraenti dello Statuto di Roma. Altrimenti occorre il deferimento alla Corte da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Su questo aspetto, però, occorre evidenziare che tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza Pag. 9dell'ONU (Cina, Federazione Russa e Stati Uniti) non hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale e sarebbero pronti a porre il veto, impedendo il deferimento alla Corte non solo quando i loro cittadini siano coinvolti, ma anche quando cittadini di paesi loro amici abbiano commesso un crimine.
Ma, in più, gli Stati Uniti nel 2002 hanno addirittura approvato un atto con il quale stabiliscono un divieto di aiuti militari agli Stati che ratificano lo Statuto della Corte penale internazionale e questo aspetto credo che meriti una attenta riflessione. Veniamo, però, al testo sottoposto all'attenzione dell'Aula, rispetto al quale la II Commissione (Giustizia) della Camera ha evidenziato come il Senato abbia ampiamente modificato un testo su cui pareva essere stata raggiunta una sintesi adeguata. Ciononostante, la Commissione giustizia ha convenuto di non modificare il testo trasmesso dal Senato.
Le modifiche apportate dal Senato riguardano soprattutto la valorizzazione del ruolo del Ministro della giustizia come autorità nazionale competente a curare i rapporti con la Corte penale internazionale, alcuni interventi di natura penale volti ad equiparare il procedimento penale nazionale con il procedimento presso la Corte penale internazionale al fine di consentire l'applicazione delle fattispecie penali a tutela della pubblica amministrazione e dell'amministrazione della giustizia, e poi la disciplina della procedura da seguire in caso di richiesta di libertà provvisoria da parte del soggetto sottoposto a misura cautelare in Italia.
In particolare l'articolo 10, introdotto nel corso dell'esame al Senato, novella l'articolo 322-bis del codice penale in tema di peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi e funzionari dell'Unione europea e di Stati esteri. Sempre l'articolo 10 introduce nel codice penale l'articolo 343-bis che estende ai membri della Corte penale internazionale l'applicabilità di determinate disposizioni. Lo stesso articolo 10 novella varie disposizioni del codice penale con l'obiettivo di equiparare al nostro procedimento penale quello che si svolge presso la Corte penale internazionale, così da consentire l'applicazione di alcuni delitti.
In generale sul testo sono state avanzate, dal gruppo Lega Nord Padania al Senato, alcune perplessità relative all'istituzione di un ulteriore organismo penale internazionale che limita in modo sostanziale la sovranità degli Stati e comporta costi di funzionamento così elevati, ed altre relative all'opportunità di adottare un atto di straordinaria portata politica, che avrà conseguenze negative per il Paese dal punto di vista dell'ordinamento interno, in quanto la Corte penale internazionale avrà un grande margine di discrezionalità nel perseguire anche cittadini italiani per fattispecie di reato non ben tipizzate; inoltre sul piano delle relazioni internazionali proprio visto che gli Stati Uniti hanno intenzione di negare gli aiuti militari ai Paesi che cooperano con la Corte penale internazionale; altre perplessità riguardano il fatto che il procuratore capo della Corte penale internazionale ha un potere straordinario, potrà emettere mandati di cattura per crimini gravissimi come quello di genocidio, sul quale chiaramente siamo tutti d'accordo, ma anche per reati che non sono definiti in maniera precisa, anzi sono definiti in maniera un po' «sibillina», quali ad esempio la persecuzione per motivi politici. Quindi entriamo in un campo dove la scarsa tipizzazione delle fattispecie di reato lascia dei margini di discrezionalità assoluta ad una persona fisica.
L'ultimo atto che è stato fatto è stato il mandato di cattura nei confronti di Gheddafi, ma occorre tenere conto che la prima denuncia che è stata presentata alla Corte penale internazionale, è stata fatta nei confronti di George Bush e questo forse fa capire come mai gli Stati Uniti si siano opposti a questo trattato e non abbiano alcuna intenzione di ratificarlo.
È necessario quindi ripensare al sistema della giustizia penale internazionale; il problema principale resta quindi non solo la definizione dei crimini ma soprattutto la loro repressione. Di fronte Pag. 10al proliferare dei tribunali penali internazionali, il sistema repressivo deve essere attentamente ripensato, tenendo presente che è inconcepibile una Corte penale che «rompa lo schermo» delle sovranità statali, senza che sia operato un ripensamento del sistema complessivo.
Quindi condividiamo certamente il massimo impegno sul perseguimento di reati come il genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, rimane però il dubbio circa la necessità di un ulteriore organismo come la Corte penale internazionale, con tutti i costi che comporta. È comunque bene discuterne, approfondire il dibattito su un provvedimento come questo, che presenta notevoli problematiche (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, stiamo scrivendo una bella pagina nella storia della giustizia internazionale e nella storia della giustizia italiana, oggi, con la discussione e l'imminente adozione di questo provvedimento.
È veramente una bella giornata per la giustizia internazionale e per il nostro Paese, tanto più bella se la si confronta con il rischio che abbiamo corso di non riuscire, neppure in questa legislatura, ad adottare questo importantissimo provvedimento.
Io non voglio esagerare, ma veramente quello che stiamo facendo oggi, signor Presidente, è un contributo alla pace perché la pace presuppone l'edificazione della giustizia e la pace internazionale presuppone l'edificazione della giustizia internazionale. Non può esistere pace durevole senza giustizia e la pace non si può perpetuare se i diritti umani non vengono riconosciuti e, per esserlo, occorrono una giustizia e norme universali, ma anche coerenza e adeguamento da parte degli Stati membri e, certamente, di poca coerenza e di non adeguamento aveva dato prova, purtroppo, in tutti questi anni, il nostro Paese. Quindi, certamente l'adeguamento allo statuto della Corte penale internazionale è un contributo alla pace, ed è anche un contributo ad una globalizzazione più democratica. La risposta all'esigenza di democrazia e di giustizia, che viene dal fenomeno storico della globalizzazione, è fatta di tante risposte e di tanti elementi e oggi ne stiamo inserendo uno molto, ma molto importante perché è un provvedimento che rivela anche, finalmente, una nuova consapevolezza giuridica di cui fa parte questo Parlamento, che si basa sull'esistenza e sulla volontà di promuovere attivamente la tutela dei diritti umani. Del resto, erano questi i toni che avevano accompagnato l'avvio e la firma dello statuto della Corte penale internazionale: scrivere una nuova pagina nella storia dei diritti umani nel mondo. È un provvedimento - va ricordato anche in questa terza lettura - che viene da lontano, che viene da Norimberga, dalle vittime di Sarajevo, dal Srebrenica, dal Ruanda, dalla Zaire, dal Darfur, dalla Repubblica Centrafricana, da quanto è successo in Uganda, in Vietnam, in Cile, in Argentina, in Cambogia e - lo dico a titolo personale, che impegna solo me stesso, signor Presidente - da quello che è accaduto in Libia e da quello che sta accadendo in Siria.
Quindi, certamente è un provvedimento che permette all'Italia di non tacere più, perché tacere rende corresponsabili, quanto meno e soprattutto sul piano morale, ma anche, con questo statuto, sul piano giuridico. L'impunità dei responsabili di orrendi crimini, oltre a risultare un'ennesima onta nei confronti delle vittime, spesso porta l'opinione pubblica internazionale a dimenticare le gravi atrocità commesse. Inoltre, proprio l'esistenza di un'impunità, specie ai più alti livelli di uno Stato, ha come conseguenza - lo abbiamo visto anche di recente - vendette e faide senza fine. Ecco perché occorre garantire in maniera operativa - cosa che stiamo facendo - la giustizia internazionale ed il ruolo della Corte penale internazionale. Gli individui devono muoversi e gli Stati che si definiscono democratici altrettanto. Noi lo stiamo facendo e voglio Pag. 11anche sottolineare l'ottimo lavoro che il relatore, nella prima e nella terza lettura, ha svolto, e lo voglio ringraziare a nome del gruppo del Partito Democratico.
La democrazia non può annientare se stessa, e la democrazia non è legittimata a voltare le spalle ai crimini internazionali. C'è un principio fondamentale a cui noi finalmente diamo un adeguamento operativo: il principio della responsabilità penale internazionale degli individui, qualsiasi carica essi ricoprano. Questo è il dato rivoluzionario dello statuto del 1998. La Corte penale internazionale è la prima ed unica giurisdizione penale internazionale a carattere permanente, e potenzialmente universale; potenzialmente perché purtroppo abbiamo ancora varie questioni aperte, di cui dobbiamo continuare a discutere e lavorare con i nostri partner americani o con potenze importanti come la Cina. La caratteristica di essere una Corte permanente permette di superare la logica dell'emergenza, che ha caratterizzato le analoghe esperienze sinora esistenti. Tale principio ha come conseguenza diretta la precostituzione dell'organo incaricato a giudicare sul reato e, quindi, costituisce un passo fondamentale verso una compiuta legalità internazionale. Il funzionamento della Corte - anche questo va ricordato - si fonda sul principio della complementarietà.
Il che vuol dire che nell'ipotesi in cui lo Stato in questione, lo Stato che può essere incriminato, non abbia lo volontà, la cosiddetta unwillingness, nel testo originale dello Statuto, e la capacità (unability) di procedere, in base alle leggi nazionali e in armonia con il diritto internazionale, solo in quei casi, di mancanza di volontà o di incapacità, interviene, in via complementare, lo Corte penale internazionale. Da un lato, ciò sottolinea certamente il carattere rivoluzionario legato alla possibilità, per un organismo internazionale, di sostituirsi, per la prima volta nella storia, sistematicamente ai giudici nazionali nella giurisdizione penale. Ma anche, d'altra parte, ribadisce la responsabilità primaria, giuridica e politica, degli Stati nel fare giustizia di fronte a crimini contro l'umanità, di fronte al genocidio, di fronte a quell'elenco di orribili gross violation, orribili violazioni dei diritti fondamentali a cui fa riferimento, appunto, lo Statuto della Corte internazionale.
Quindi, si tratta di un vero e proprio obbligo che ci siamo assunti e, del resto, il Preambolo dello Statuto è chiaro in materia e richiama il dovere degli Stati di processare i responsabili di crimini internazionali. Ed è precisamente a questo obbligo fondamentale, indicato nello Statuto, che l'Italia oggi finalmente dà adeguamento, dà seguito, si adegua, attraverso questo provvedimento. Con lo Statuto della Corte agli Stati non è più permesso trattare i propri cittadini a loro piacimento, né farsi scudo del principio di non ingerenza negli affari interni. Credo che sia anche questo uno dei motivi di rifiuto, da parte della Cina, di firmare lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale ed uno degli elementi con cui con Stati come la Cina dovremo continuare a lavorare, perché il principio della non ingerenza non può essere più opposto di fronte a dei crimini contro l'umanità.
Questa è la lezione di Bobbio, ossia il problema dei diritti umani e la loro effettiva tutela, ed è in questo che la Corte penale internazionale costituisce uno dei maggiori successi della comunità internazionale. Di fronte a questa lezione noi dobbiamo continuare ad impegnarci. Adesso, come Italia, potremo farlo con ancora più credibilità nel momento in cui ci siamo adeguati allo Statuto, perché credo che da questo adeguamento possa, e debba, nascere una nuova politica estera dei diritti umani del nostro Paese che, certamente, è fondamentale e potrebbe essere un contributo molto importante alla pace e alla giustizia internazionale che l'Italia può portare, e perché, del resto, la costruzione della Corte penale internazionale è proprio un ulteriore tassello nella costruzione di un nuovo ordine internazionale e la battaglia che, intorno alla Corte penale internazionale si sta combattendo e si continua a combattere, è la battaglia sul criterio fondante di tale ordine, ossia la coscienza dell'interdipendenza Pag. 12nel mondo globale, la conseguente globalizzazione delle responsabilità, la lotta contro l'arroccamento nel fortilizio della sovranità nazionale che vorrebbe tutelare alcuni privilegiati e fare sfuggire alcuni privilegiati alla giustizia internazionale.
L'Italia, che da sempre è stata impegnata nella battaglia per la formazione dei diritti umani e nella promozione della giustizia internazionale, ha avuto un ruolo significativo, è stato ricordato, nella storica campagna che ha portato alla nascita della Corte penale internazionale. Nel 1994 il Governo italiano avanzò formalmente, al Segretario generale dell'ONU Kofi Annan, l'offerta di ospitare a Roma la conferenza diplomatica, entrando a pieno titolo nel novero dei Paesi fondatori. Il successo della conferenza diplomatica, tenutasi a Roma nel giugno-luglio 1998, e l'adozione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale è stato un significativo passo in avanti nella tutela dei diritti umani fondamentali. Poi «radio Italia» si è spenta. Poi, «radio Italia» si è spenta! Abbiamo ratificato lo Statuto nel 1999, ma da allora non abbiamo mai adeguato il nostro ordinamento e il nostro sistema penale agli obblighi che quello Statuto comportava.
Ancora oggi, infatti, in questo momento in cui stiamo discutendo, mancano le norme di adattamento interne dell'ordinamento italiano che ne possono consentire la reale operatività e questo blocco, questo impasse, impedisce, di fatto, che i tribunali nazionali possano efficacemente investigare per perseguire i responsabili dei crimini previsti dallo Statuto e, in particolare, che le autorità italiane possano cooperare con la Corte nelle sue indagini e nelle sue azioni giudiziarie. È questa la ragione della nostra scelta, scelta che noi del gruppo del Partito Democratico condividiamo, scelta che, come è già stato ricordato dal relatore, comporta di procedere rapidamente e di respingere tutti gli emendamenti, perché non possiamo permettercelo. «Il meglio è il nemico del bene»: mai, come in questo caso, questo detto è veritiero.
Non potevamo assolutamente permetterci di lasciare passare un'altra legislatura di cinque anni, di cinque anni, quindi nessuna giustificazione per questo Parlamento, senza adeguarci, adeguamento che è tanto più necessario perché, senza di esso appunto, la nostra adesione allo statuto rimane lettera morta, perché non potremmo rispettare nessuno degli obblighi che esso ci pone.
È quindi attraverso questa nuova pagina che l'immagine internazionale dell'Italia deve ritornare a cambiare. Dobbiamo riaccendere «radio Italia» ai diritti umani, dobbiamo ripartire da questo atto giuridico per rilanciare quella politica internazionale dei diritti umani che ci aveva caratterizzato alla fine degli anni Novanta. Questa legge di attuazione è poi fondamentale per consentire alle autorità competenti di rispondere tempestivamente ad eventuali richieste di cooperazione da parte di autorità giudiziarie di altri Stati. L'adeguamento potrebbe anche diventare cruciale qualora fosse un cittadino italiano a dover rispondere dei crimini di cui sopra. In assenza di una puntuale normativa di attuazione, cioè senza il provvedimento di cui stiamo parlando, infatti, si corre il rischio che il sistema italiano venga considerato carente nella sua capacità di procedere contro i crimini internazionali e si potrebbe addirittura essere esposti alla vergogna di essere «processati» dalla Corte penale internazionale.
Insomma, continuare a non adottare le norme di attuazione dello statuto significa soccombere ad una cultura dell'impunità e continuare ad accettare, se non a promuovere di fatto, anche in ambito sovranazionale, che il diritto del più forte vinca sulla forza del diritto. Parafrasando il giurista Niemeyer, il diritto internazionale è un bellissimo edificio costruito su un vulcano e quando si risveglia c'è un terremoto. Il vulcano è la sovranità statale e ogni volta che uno Stato non coopera vi è una scossa per l'edificio della Corte penale internazionale e per il sistema dei diritti fondamentali.
Concludendo, signor Presidente, queste sono le ragioni per cui noi certamente Pag. 13annunciamo la nostra piena soddisfazione per il lavoro che è stato svolto. È vero che in Senato sono stati apportati dei miglioramenti ed è vero anche che in Senato sono state accelerate e snellite alcune procedure, quindi le modifiche apportate dal Senato vanno certamente nella giusta direzione. Certo, si poteva fare ancora di più e del resto la proposta di legge del Partito Democratico, che porta la mia prima firma, introduceva nel nostro ordinamento interno un nuovo capitolo del codice penale internazionale dell'Italia.
Sappiamo che anche con la modifica dell'articolo 10 il problema della doppia incriminazione non è stato risolto, cioè non è stata soddisfatta pienamente l'esigenza di introdurre nel nostro ordinamento un catalogo completo di diritti, speculare a quello per il quale ha giurisdizione la Corte penale internazionale, attraverso una novella più ampia del codice penale. Era la caratteristica fondamentale della mia proposta di legge e credo che comunque il risultato che stiamo raggiungendo sia un risultato soddisfacente, sia un passo importante. Un secondo passo - lo auspico - sarà compiuto da chi lo vorrà, da chi potrà, e starà in questo Parlamento nella prossima legislatura (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, prima di iniziare vorrei affiancare la solidarietà personale e quella del gruppo dell'IdV alla Lega e all'amico Volpi per quanto accaduto a Genova, perché credo che in queste situazioni l'agibilità politica debba essere sempre garantita e credo che noi, attraverso il Parlamento, dobbiamo farcene strumento di garanzia e anche di tutela.
Arrivando al provvedimento - poi consegnerò l'intervento per intero - credo che alcune riflessioni vadano anche in qualche modo partecipate, ricordando alcuni capisaldi del provvedimento stesso, che a beneficio di chi ci ascolta, è importante anche in qualche modo ricordare, a partire dal dato che la Corte penale internazionale è un'istituzione permanente che può esercitare la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale, come recita l'articolo 1 dello statuto istitutivo della Corte, lo Statuto di Roma.
Lo Statuto, lo ricordo, è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite ed è entrato in vigore il 1o luglio del 2002, in conformità con quanto disposto dall'articolo 126 dello Statuto stesso, che ha fissato la condizione del deposito di almeno sessanta strumenti di ratifica, adesione o accettazione dello Statuto di Roma. L'Italia ha ratificato lo Statuto mediante la legge 12 luglio 1999, n. 232. Gli Stati che attualmente hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale sono centoventuno.
Il provvedimento in esame reca norme per l'adeguamento alle disposizioni dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale. La Corte penale internazionale, lo ricordo, è un'istituzione permanente competente ad esercitare, a livello internazionale, la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale.
Lo Statuto della Corte è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza convocata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. L'Italia ha ratificato lo Statuto mediante la legge n. 232 del 1999 che, all'articolo 3, ha valutato il connesso onere nel limite massimo di 774 mila euro annui, a decorrere dal 2000. La legge n. 213 del 2005 ha autorizzato, da ultimo, l'integrazione del contributo dell'Italia nella misura di 3 milioni 240 mila euro annui, a decorrere dal 2004.
La Corte penale internazionale è la prima giurisdizione internazionale creata per giudicare crimini gravissimi, che vanno dal genocidio, ai crimini di guerra, a quelli contro l'umanità. In effetti, con l'istituzione della Corte si è concretizzato lo sforzo di imporre anche in ambito sovranazionale la forza del diritto contro il diritto del più forte. Pag. 14
Il provvedimento nasce alla Camera e le modifiche apportate dal Senato riguardano in particolare i seguenti profili: valorizzazione del ruolo del Ministro della giustizia come autorità nazionale competente a curare i rapporti con la Corte penale internazionale (articolo 2); interventi di natura penale sostanziale volti ad equiparare il procedimento penale nazionale con il procedimento presso la Corte penale internazionale, al fine di consentire l'applicazione delle fattispecie penali a tutela della pubblica amministrazione e dell'amministrazione della giustizia (nuovo articolo 10); la disciplina della procedura da seguire in caso di richiesta di libertà provvisoria da parte del soggetto sottoposto a misura cautelare in Italia (articolo 11).
In generale, il provvedimento reca disposizioni volte all'adeguamento dell'ordinamento interno allo Statuto della Corte penale internazionale. Lo Statuto costituisce lo strumento normativo primario per disciplinare le finalità, la struttura ed il funzionamento della Corte penale internazionale. Esso individua i principi posti alla base dell'attività giurisdizionale in materia, e disciplina, in particolare, le procedure di cooperazione tra la Corte e gli Stati ai fini dello svolgimento di atti di indagine sul territorio di uno Stato, nonché il ruolo degli Stati nell'esecuzione delle pene irrogate dalla Corte.
Il Capo I del provvedimento (articoli da 1 a 10) contiene disposizioni generali, individuando le autorità competenti e le modalità di cooperazione con la Corte penale internazionale.
In particolare, l'articolo 1 afferma che la cooperazione dello Stato italiano con la Corte penale internazionale avviene sulla base delle disposizioni contenute nello Statuto della Corte stessa, nel limite del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico nazionale.
L'articolo 2 attribuisce al Ministro della giustizia il ruolo di autorità centrale per la cooperazione con la Corte penale internazionale.
L'articolo 3 stabilisce che in materia di consegna, cooperazione ed esecuzione di pene si osservano le norme contenute nel codice di procedura penale (rapporti giurisdizionali con autorità straniere).
L'articolo 4 disciplina le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale individuando nella corte d'appello di Roma l'autorità giudiziaria competente.
L'articolo 5 disciplina la trasmissione di atti e documenti, consentendo al Ministro della giustizia di non procedervi quando ritenga che tali attività possano compromettere la sicurezza nazionale. Non si applica l'obbligo, invece, del segreto sugli atti d'indagine previsto dall'articolo 329 del codice di procedura penale.
L'articolo 6 disciplina il caso in cui, in esecuzione di una richiesta di assistenza della Corte penale internazionale, sia necessario citare in Italia una persona che si trovi all'estero. La disposizione stabilisce che colui che entra nel nostro territorio non potrà essere sottoposto a qualsivoglia restrizione della libertà personale per fatti antecedenti la notifica della citazione.
L'articolo 7 stabilisce l'applicabilità delle disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato anche alle procedure di esecuzione di richieste della Corte penale internazionale.
L'articolo 8 disciplina l'ipotesi di richieste da parte dell'autorità giudiziaria italiana alla Corte internazionale. La richiesta è formulata per il tramite del procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, che si rivolgerà a sua volta al Ministero della giustizia. Se il Ministro non ottempera entro trenta giorni, si può trasmettere presso la Corte d'appello direttamente la richiesta alla Corte internazionale.
L'articolo 9 prevede che il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, e il procuratore generale militare presso la corte militare d'appello, assistano, se richiesti, alle consultazioni con la Corte penale internazionale previste dallo Statuto.
L'articolo 10, pur senza risolvere il problema della cosiddetta doppia incriminazione, ovvero l'esigenza di introdurre nel nostro ordinamento un catalogo di Pag. 15delitti speculare a quello per il quale ha giurisdizione le Corte penale internazionale, novella il codice penale. La disposizione: novella l'articolo 322-bis, in tema di peculato, concussione, corruzione ed istigazione alla corruzione di membri degli organi e funzionari dell'Unione europea e di Stati esteri, inserendo tra coloro che possono compiere i delitti anche i membri della Corte internazionale di giustizia, i suoi funzionari e soggetti equiparati e, conseguentemente, si allargano anche i possibili destinatari dell'esborso corruttivo previsto dal secondo comma dell'articolo 322-bis; introduce nel codice penale l'articolo 343-bis, che estende ai membri della Corte penale internazionale (nonché ai suoi funzionari e soggetti equiparati) la applicabilità delle disposizioni di cui agli articoli 336, 337 e 338, con le relative circostanze aggravanti, nonché dei delitti di interdizione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, oltraggio a un corpo politico, amministrativo e giudiziario e oltraggio a un magistrato in udienza; novella varie disposizioni del codice penale con l'obiettivo di equiparare al nostro procedimento penale il procedimento che si svolge presso la Corte penale internazionale. Si tratta, in particolare, delle seguenti novelle del codice penale: all'articolo 368, relativo alla fattispecie di calunnia; all'articolo 371-bis, in tema di false informazioni al pubblico ministero; all'articolo 372, in tema di falsa testimonianza; all'articolo 374, in tema di frode processuale; all'articolo 374-bis, relativo alla fattispecie di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria; all'articolo 377, in tema di intralcio alla giustizia; all'articolo 378, in tema di favoreggiamento personale; all'articolo 380, primo comma, in merito al delitto di patrocinio o consulenza infedele.
Il Capo II (articoli da 11 a 14) disciplina la consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovino sul territorio italiano.
Il Capo III (articoli da 15 a 24) del provvedimento disciplina l'esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale.
La Corte potrà giudicare solo i crimini commessi in questa fase dopo l'entrata in vigore dello Statuto. La Corte avrà inizialmente competenza verso i cosiddetti core-crimes ossia sul genocidio e sui crimini contro l'umanità e di guerra.
La Corte potrà esercitare il proprio potere giurisdizionale anche sul crimine di aggressione, ma solo successivamente all'adozione della disposizione che, in accordo con le relative norme della Carta dell'ONU, definirà il crimine stesso, stabilendone le condizioni di perseguibilità. Tale definizione dovrebbe essere adottata con la Conferenza di revisione dello Statuto, la prima delle quali si prevede dopo almeno sette anni dalla data di vigenza dello stesso.
Il crimine di genocidio viene definito secondo quanto già previsto dalla convenzione ONU del 1948. Nei crimini contro l'umanità rientrano diverse fattispecie criminose commesse contro le popolazioni civili, nonché numerosi reati a sfondo sessuale, come lo stupro, la schiavitù sessuale, la costrizione alla prostituzione ed alla sterilizzazione e la gravidanza forzata.
Per la configurazione dei crimini di guerra rientranti nella giurisdizione della Corte è necessario l'inserimento di tali atti in un piano o disegno politico, mentre per l'individuazione dei relativi comportamenti illeciti si fa riferimento alla violazione della Convenzione di Ginevra del 1949 ed alle regole ed usi applicabili nei conflitti armati. Ricadono nell'ambito dei crimini di guerra anche gli atti commessi in conflitti armati interni, escluse le rivolte ed i disordini isolati.
La Corte è poi competente per la perseguibilità di una serie di reati contro l'amministrazione della giustizia, come falsa testimonianza resa innanzi alla stessa Corte, la subornazione di testimoni, la presentazione volontaria di prove false, l'intimidazione o la ritorsione, la corruzione attiva o passiva nei confronti di un funzionario della Corte.
È necessario dunque questo adempimento, perché aver ratificato lo statuto della Corte penale internazionale senza offrire poi collaborazione con gli strumenti Pag. 16necessari per l'adeguamento interno avrebbe comportato un grave pregiudizio.
È un provvedimento che noi riteniamo importante, che forse meritava una studio più approfondito e che non risponde a tutte le esigenze. Sarebbe stato da implementare. Rimane, in ogni caso, un decisivo passo avanti ad un punto di svolta, un gesto significativo nel segno della collaborazione con gli organismi internazionali, che ci stiamo sicuramente avviando verso una disciplina del processo e anche del diritto sostanziale, che gradualmente, anche se lentamente, si avvicina all'obiettivo finale.
In conclusione, voglio dire che sono in perfetta sintonia con il collega Gozi e con il relatore nel definirla una bella pagina ma - dico ancora di più - una buona, necessaria e utile pagina per quanto riguarda l'allineamento dell'Italia con gli altri Paesi e soprattutto l'aver trovato finalmente, a distanza di tanto tempo, con grande difficoltà e anche con grande lentezza, coerenza nell'adeguamento e una nuova e diversa consapevolezza giuridica che ci modernizza e ci mette in piena e pari dignità con gli altri Stati, poiché finalmente questo provvedimento tutela tutti i diritti umani, nessuno escluso. Siamo passati alla fase in cui dal colpevole silenzio l'Italia diventa protagonista finalmente attraverso questo provvedimento e la sua approvazione. Credo che finalmente siamo passati ad una fase di complementarietà e di omogeneità che non ci vede relegati all'ultimo posto ma che ci mette in prima fila e in uno stato in cui la nostra responsabilità diventa un punto di affidabilità importante a livello internazionale.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Di Stanislao, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, senza entrare nel merito del testo che noi stiamo esaminando, perché lo ha fatto già egregiamente il relatore con dovizia anche di particolari, con impegno, e con una conoscenza approfondita della materia appunto penale e internazionale, penso sia opportuno, in fase di discussione sulle linee generali, fare un riferimento al quadro storico politico entro cui si è arrivati all'istituzione della Corte penale internazionale per inquadrare anche meglio l'ambito in cui ci si sta muovendo e anche la portata politica, significativa dell'intervento normativo di cui si sta discutendo in questa Aula oggi. La Corte penale internazionale è la prima giurisdizione internazionale creata per giudicare crimini gravissimi. I colleghi che mi hanno preceduto hanno fatto riferimento con concretezza al genocidio, ai crimini di guerra, ai crimini contro l'umanità, ed è importante che noi ci accingiamo - come dice anche il testo del nostro provvedimento - ad adeguare l'ordinamento interno allo statuto della Corte penale internazionale su questi crimini gravissimi di cui abbiamo parlato, di cui si sta parlando.
In effetti, con l'istituzione di questa Corte si è concretizzato lo sforzo di imporre, anche con una cornice sopranazionale, un principio, anche qui richiamato dai colleghi che mi hanno preceduto, ossia quello di mettere la forza del diritto contro il diritto del più forte. È uno slogan, è un gioco di parole, ma dà l'idea di quello che vogliamo fare con questo adeguamento o con questa cooperazione dello Stato italiano con la Corte penale internazionale. L'esigenza di istituire una giurisdizione a livello internazionale si è manifestata fortemente già in un congresso internazionale che si è tenuto a Parigi tanti anni fa subito dopo il processo di Norimberga, che si è concluso - lo ricordo - il 1o ottobre del 1946. Da quel congresso è uscita decisa la volontà di adottare un codice penale internazionale e di istituire, appunto, una Corte penale internazionale. Poi la guerra fredda, che è cominciata subito dopo la guerra, in qualche modo ha impedito la realizzazione di questo obiettivo, e ciò che poi ha dato un Pag. 17impulso fortissimo all'istituzione e anche al funzionamento della Corte è dovuto ad alcune missioni di pace che hanno avuto tra i protagonisti - lo ha detto il collega Gozi nel suo intervento prima - l'Unione europea e in particolare quanto accaduto in Bosnia Erzegovina nel 1992.
Finalmente in una conferenza tenuta poi qualche anno dopo a Roma nel giugno e nel luglio del 1998, alla quale hanno partecipato 160 Stati, è stato adottato lo statuto con 120 voti a favore.
Tra gli Stati che hanno votato contro - i colleghi che mi hanno preceduto lo hanno detto, ma lo ricordo - abbiamo avuto il Sudan (per le note ragioni che spiegherò dopo), la Cina, la Nigeria, gli Stati Uniti e Israele.
Tra l'altro, questo fa parte un po' anche dell'attualità, se pensiamo a quanto è accaduto nei giorni scorsi con il voto italiano - che io penso positivo - per dare la possibilità allo Stato palestinese di essere ammesso comunque, anche senza diritto di voto, all'Assemblea dell'ONU e se penso anche alla risposta che il Governo israeliano ha dato sulle colonie nella striscia di Gaza. Quindi, è importante che su questo tema vi sia chiarezza, anche sull'ordinamento internazionale, se vogliamo far sì che vi sia un funzionamento reale di questa Corte penale e soprattutto che serva a prevenire conflitti che possono spesso degenerare in crimini di guerra o quant'altro.
In questo senso, penso che sia importante ricordare che il primo Stato a ratificare lo Statuto è stato il Senegal e l'Italia lo ha ratificato poco dopo nel luglio del 1999, mentre gli Stati Uniti - dopo aver firmato in favore del Trattato istitutivo della Corte nel dicembre 2000 - nel maggio 2002, con una lettera inviata al Segretario generale delle Nazioni Unite, dichiararono di non voler diventare parte del Trattato e di non sentirsi in alcun modo vincolati dalla firma apposta nel 2000.
Quindi la Corte è stata istituita all'AIA, come tutti sappiamo. La competenza del tribunale è limitata ai crimini che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, come appunto - lo ricordo, poiché l'ho già detto prima - il genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra e il crimine di aggressione (articolo 5, paragrafo 1). Obiettivo della Corte è l'attuazione del diritto internazionale penale e, in particolare, del diritto internazionale umanitario.
La Corte ha una competenza complementare in qualche modo a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire solo se, e solo quando, gli Stati non vogliono e non possono agire per punire i crimini internazionali. La giurisdizione della Corte è esercitata nel caso di crimini commessi sul territorio di uno Stato, oppure di un cittadino di uno Stato che fa parte in qualche modo della Corte penale. Ne consegue, quindi, che anche i crimini commessi sul territorio di uno Stato, da un cittadino di uno Stato non parte, rientrano nella giurisdizione della Corte, quindi penso che ci sia una estensione dell'applicabilità della operatività della Corte penale.
La Corte sappiamo che, in tutto questo periodo, ha ricevuto denunce per crimini di sua competenza da 139 diversi Paesi. Il procuratore della Corte ha aperto ufficialmente 4 inchieste che hanno per oggetto le drammatiche vicende del nord Uganda, della Repubblica democratica del Congo, della Repubblica Centro-africana e del Darfur-Sudan. Il 4 marzo 2009 la prima Camera preliminare della Corte, accogliendo la richiesta del procuratore Luis Moreno Ocampo, ha emesso un mandato d'arresto a carico del Presidente sudanese Omar al-Bashir per crimini internazionali commessi in Darfur.
Anche in quest'Aula si è parlato, quando si affrontavano tematiche di politica estera, del Darfur e della crisi del Darfur, però dico queste cose - anche il lavoro fatto dal procuratore Ocampo e il lavoro fatto dalla Corte con questi 139 casi - per sottolineare l'importanza della Corte penale internazionale e l'importanza che anche noi ci possiamo in qualche modo allineare, come hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, all'ordinamento anche Pag. 18di altri Paesi che hanno aderito all'ordinamento complessivo della Corte penale internazionale.
L'esigenza, quindi, di adeguare il nostro diritto nazionale al funzionamento della Corte rappresenta una sorta di priorità, alla quale non si può non dare una risposta concreta, ed è per questo che noi ci accingiamo - oggi, domani, dopodomani, quando proseguiremo la nostra discussione - ad affrontare questo progetto di legge e ad approvarlo.
Io vorrei fare anche un appello a tutti i colleghi in quest'aula, oggi e anche nei prossimi giorni, a fare in modo, non dico di non presentare emendamenti, però a considerarlo; sappiamo infatti che la legislatura volge al termine (forse prima di quanto non ci immaginiamo, se teniamo in considerazione le pagine dei giornali e le dichiarazioni di vari leader politici). Allora mi pare che sia opportuno chiudere questa partita nel più breve tempo possibile, nei prossimi giorni, evitando emendamenti, per far sì che questo testo, così come ci è stato consegnato dal Senato, diventi legge dello Stato. Infatti, è necessario adeguarci all'ordinamento della Corte penale internazionale con questo provvedimento, così come è stato modificato dal Senato.
Voglio ricordare i tre punti principali, i profili che in qualche modo hanno riguardato l'intervento del Senato rispetto al testo che la Camera ha consegnato al Senato in prima lettura: la valorizzazione del ruolo del Ministero della giustizia come autorità nazionale a curare i rapporti con la Corte penale internazionale; il secondo profilo sono gli interventi di natura penale sostanziale volti ad equiparare il procedimento penale nazionale con il procedimento presso la Corte penale internazionale; infine, la disciplina della procedura da seguire in caso di richiesta di libertà provvisoria da parte del soggetto sottoposto a misura cautelare in Italia.
Con questi tre provvedimenti secondo me si può procedere anche con l'approvazione e far sì che questo progetto di legge che noi stiamo discutendo in aula possa essere approvato così come è stato approvato dal Senato, in modo tale che diventi già nei prossimi giorni legge dello Stato.
In questo senso penso che la sola ratifica non sia sufficiente a dare piena attuazione agli obblighi di consegna e agli obblighi di concretezza che caratterizzano l'operatività della Corte. Dico altresì che dobbiamo considerare come la Corte penale internazionale non abbia una propria polizia giudiziaria né una propria struttura carceraria (lo ricordo per quelli che non stanno in quest'aula), cosicché la collaborazione degli Stati parte è indispensabile per il suo funzionamento. Per questo motivo penso che noi abbiamo con questo provvedimento sanato un'inadempienza politicamente e giuridicamente molto rilevante, che avrebbe rischiato di mettere in forse la credibilità del nostro Paese. Pertanto, per evitare questo, è giusto che noi ci adeguiamo in tempi molto rapidi. Per approvare questo testo si sono mobilitate tutte le forze politiche e vi è stato un forte impulso dal gruppo parlamentare che rappresento, l'Unione di Centro, attraverso anche l'operato del relatore, l'onorevole Rao, che molto minuziosamente ha elencato un po' tutto lo spirito di questo provvedimento, accogliendo le proposte di modifica che sono arrivate dal Senato e facendo sì che il provvedimento possa essere, in maniera molto semplice e anche molto rapida, approvato da questo ramo del Parlamento. Io penso che sia importantissimo approvare così com'è il testo, così come ci è stato consegnato e così come l'onorevole Rao ha egregiamente fatto nella sua relazione che ha svolto poc'anzi (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1439-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Rao.

Pag. 19

ROBERTO RAO, Relatore. Signor Presidente, intervengo brevemente: ho ascoltato le riflessioni svolte dai miei colleghi in quest'aula ed ho ascoltato anche quella molto approfondita dell'onorevole Pastore in apertura di dibattito, che ha manifestato fondati timori sull'attuale assetto internazionale, relativamente alle questioni che riguardano gli organismi multilaterali ed al fatto importante che sia gli Stati Uniti, sia Israele, sia la Cina, sia la Russia, tanto per citare alcuni Paesi, non abbiano firmato questi trattati. Noi però sappiamo che questi Paesi, rispetto agli organismi multilaterali, hanno un atteggiamento diciamo quanto meno prevenuto, per usare un eufemismo e quindi raramente questi organismi vengono riconosciuti da questi Paesi, per diverse ragioni.
Il nostro Paese, però, proprio per questo motivo, per la sua tradizione giuridica e democratica, per il suo rispetto dei trattati e degli organismi internazionali, anche e, soprattutto, multilaterali (è una tradizione proprio diversa la nostra in campo di politica estera), deve porsi davanti e prima degli altri e non farsi, per così dire, intimidire dall'atteggiamento di altri Paesi; non ritenersi indietro e non nascondersi dietro questi tentativi di svilire e di svuotare il ruolo di tali organismi. Più ci si crede - e l'Italia è stata sempre capofila in questo campo - e più questi organismi hanno forza ed hanno anche la forza di condizionare i Paesi che si ostinano a non firmare. Quindi, non facciamoci velo di questo e andiamo avanti su questa strada, anche se, per tante ragioni o - io direi - per tanti torti, altri Paesi hanno tradizioni diverse in questo campo.
Vi è anche il discorso, che sottolineava l'onorevole Pastore, della genericità, della scarsa tipizzazione dei reati, ma questo chiaramente è un atto dovuto, proprio per evitare di infilarci in alcune questioni pregiudiziali rispetto ad un certo tipo di reati che, per alcuni Paesi, potrebbero comprendere anche determinati comportamenti, e per altri invece no. Quindi, lasciare la genericità ha consentito anche alla nostra Commissione di varare il provvedimento in maniera sostanzialmente unanime.
L'equiparazione del nostro ordinamento con uno statuto internazionale come questo è anche una risposta di libertà, di consapevolezza del proprio ruolo internazionale e di avanzamento giuridico (il collega Gozi ha parlato di provvedimento collegato alla legalità internazionale, e sicuramente questo ci fa compiere un passo in avanti), una nuova consapevolezza giuridica internazionale, con riferimento alla quale il nostro Paese non può che essere tra i capofila, proprio indirizzata alla tutela dei diritti umani, spesso quotidianamente, impunemente, calpestati nel mondo.
Quando sentiamo la parola genocidio, purtroppo, la sentiamo solo dalle parole della televisione o degli organi di informazione e risuona lontana, come gli spari o le immagini che vengono trasmesse. Ma quando, poi, si evocano parole come Srebrenica, Sarajevo, Uganda, Cile, Argentina, Cambogia, Libia, Siria, e ogni giorno ve ne sono, purtroppo, di diverse che si aggiungono o che si scoprono - e bene ha fatto a ricordarlo il collega Gozi -, possiamo far sì che in quest'Aula non vi sia soltanto l'eco di quelle parole, ma vi sia la messa in campo di provvedimenti, di azioni che queste orrende situazioni cercano di contenere e lì, sì, cercano di intimidire chi conta sull'impunità o, addirittura, sulla complicità in campo internazionale, magari, anche di Paesi amici.
Dobbiamo creare un circuito di difesa, di difesa dei diritti umani, e questo provvedimento, a mio giudizio, è un tassello in questo senso. Dobbiamo far sì che i responsabili di crimini orrendi si sentano intimiditi e non possano contare su complicità internazionali. Quindi, credo che questo sia un provvedimento che dà credibilità e forza internazionale al nostro Paese; credo che nel prosieguo del dibattito in Assemblea possa esserci una convinta motivazione su quanto è stato esposto in questo dibattito. Credo che - e lo rivela anche il fatto che non sono state presentate proposte emendative - ci sia Pag. 20già un buon viatico per una rapidissima approvazione di questo provvedimento, che, sicuramente, sarà uno dei punti a favore - non sono tantissimi, ma sicuramente sarà importante - del lavoro svolto, anche e, soprattutto, in Commissione giustizia, in questa legislatura.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ANTONINO GULLO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo non intende replicare.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Di Stanislao ed altri n. 1-01030 concernente iniziative per la tutela di militari e civili in relazione alle gravi conseguenze derivanti dall'esposizione ad uranio impoverito (ore 17,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Di Stanislao ed altri n. 1-01030, concernete iniziative per la tutela di militari e civili in relazione alle gravi conseguenze derivanti dall'esposizione ad uranio impoverito (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Rugghia ed altri n. 1-01203 e Dozzo ed altri n. 1-01204 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione. (Vedi l'allegato A - Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01030. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, è con soddisfazione che, finalmente, è possibile arrivare in Aula a discutere del tema dell'uranio impoverito, non per dimostrare chi ha torto o ragione ma perché l'intero Parlamento, finalmente, ne prenda piena consapevolezza, si pronunci e prenda le conseguenti decisioni. Le problematiche connesse all'uranio impoverito investono direttamente, in maniera concreta, il Ministero della difesa, che non può e non deve continuare ad occuparsi della questione come se fosse un atto squisitamente interno. Oggi, con questa mozione facciamo diventare pubblico un tema che era quasi diventato privato, tutto dentro al Ministero, tutto dentro alle vicende e alle questioni di quelle persone e di quelle famiglie che hanno subito una serie di trattamenti relativi da una parte all'esposizione all'uranio impoverito e dall'altra alle conseguenze che sono nate dalle situazioni che hanno colpito tali persone, e qui mi riferisco alle famiglie.
Vi sono stati anni di diniego, poi qualche ripensamento e poi la questione dei premi assicurativi per il personale che opera all'estero, e che dovrebbero essere estesi anche al personale che opera nei poligoni, di cui non si hanno informazioni sul come e quando siano stati elargiti. Ancora, vi è un numero imprecisato di casi di malattie che continua ad aumentare con il passaparola, tante le domande che, dopo anni, non trovano ancora risposta e poche le iniziative che, a singhiozzo, sono state messe in campo. Sebbene la strada sia lunga e complessa è arrivato il momento di accelerare e che il Ministero della difesa sia direttamente coinvolto, prenda in causa e si assuma per intero le proprie responsabilità.
La Commissione difesa della Camera dei deputati, nel corso della seduta dell'11 aprile 2012, ha unanimemente approvato la risoluzione n. 8-00171 a mia prima firma, sulle problematiche connesse ai gravi danni alla salute subiti dal personale Pag. 21militare in Italia e all'estero conseguenti all'esposizione all'uranio impoverito, dimostrando estremo interesse e, al contempo, preoccupazione, per le numerose problematiche connesse alla tematica in questione. L'approvazione del richiamato atto di indirizzo e le conseguenti iniziative che il Governo dovrà intraprendere in virtù degli impegni assunti, rappresentano un risultato politico importante, affinché, al più presto e senza riserve, vengano chiariti i dubbi che ancora oggi esistono su questa materia, accertate le responsabilità ed individuate le procedure e gli strumenti più efficaci per una futura prevenzione.
È importante, quindi, che prosegua a livello parlamentare, con serietà ed urgenza, il dibattito su tale materia e che siano forniti ulteriori indirizzi al Governo sempre sulla stessa materia.
Le questioni aperte sono complesse ed attengono a profili diversi, dalla sicurezza e protezione del personale esposto all'uranio impoverito, al tema dei risarcimenti, troppo spesso negati ai militari che hanno contratto gravi patologie in conseguenza dell'esposizione all'uranio impoverito, ai profili scientifici e normativi della questione. Secondo quanto riferito dall'Associazione nazionale italiana assistenza vittime arruolate nelle Forze armate, i casi accertati di militari contaminati da uranio impoverito e altri agenti patogeni sono 3.761, di cui 698 riguardanti personale militare che ha preso parte alle missioni militari all'estero e 3.063 riguardanti personale militare che non ha mai effettuato attività fuori area. Si tratta di dati drammatici, come tutti noi possiamo ben comprendere, anche in considerazione del fatto che si tratta di dati parziali perché riferiti ad un periodo di tempo limitato, dal 1991 al 2012, e riguardanti solamente il personale militare in servizio, mentre è escluso tutto il personale militare in congedo che ha lasciato il servizio ed il personale civile.
Il fenomeno dell'uranio impoverito non è limitato all'Italia, che si è occupata del fenomeno solo dopo il primo caso verificatosi in Bosnia (il caso del militare Salvatore Vacca, nel 1999), più di mezzo secolo dopo che della problematica si sono occupati ampiamente gli Stati Uniti e altri Paesi, soprattutto quelli anglosassoni.
Alcuni militari italiani impegnati nella missione Ibis in Somalia hanno fatto presente di aver visto militari USA che adottavano tute e maschere, ed altri ancora hanno riferito in merito alla presenza di carri armati Abrams dotati di armamento e armature all'uranio impoverito. Tale circostanza è stata riscontrata anche nella sentenza del tribunale civile di Firenze del 17 gennaio 2009, dove si legge che «al di là delle raccomandazioni che erano e dovevano essere note al Ministero della difesa, il fatto che ai militari americani fosse imposta l'adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva allertare le autorità italiane. Deve concludersi che, nel caso in discorso, vi sia stato un atteggiamento non commendevole e non ispirato ai principi di cautela e di responsabilità da parte del Ministero della difesa, consistito nell'aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e i pericoli per la salute dei soldati collegati all'utilizzo di tale metallo, nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell'aver ignorato le cautele adottate da altri Paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l'adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani».
Su tali fatti sarebbe utile conoscere, nei limiti stabiliti dalla natura di tali atti, le informazioni in possesso dei servizi segreti e dai comandanti delle diverse missioni, con particolare riferimento alla missione Ibis in Somalia, anche perché tali informazioni non risultano acquisite neppure dalle Commissioni d'inchiesta che, nel corso degli anni, sono state costituite su questi temi, sebbene tali organismi possono procedere alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e gli stessi limiti dell'autorità giudiziaria ed acquisire copia di atti e documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti. Pag. 22
Da un punto di vista normativo l'Italia è intervenuta tardi ed in maniera poco efficace ed efficiente. Le prime norme di protezione giunte ai nostri reparti furono quelle emanate dalla Kfor (la forza multilaterale nei Balcani) il 22 novembre 1999 in Bosnia. Queste norme precisavano chiaramente i pericoli dell'uranio impoverito, che così vennero riassunti nelle cosiddette regole d'oro che recitavano: «rimani lontano da carri o mezzi bruciati e da edifici colpiti da missili da crociera. Se lavori entro 500 metri di raggio da un veicolo o costruzione distrutti indossa protezioni per le vie respiratorie».
Per quanto riguarda, poi, il tema dei risarcimenti da riconoscere al personale militare colpito da gravi patologie conseguenti all'esposizione ad uranio impoverito, l'ANAVAFAF, che da molto tempo si occupa del tema in questione, ha posto in evidenza come in molti casi gli organi della difesa hanno negato qualsiasi forma di risarcimento, in quanto le patologie non sono risultate dipendenti da causa di servizio, sebbene commissioni di verifica abbiano espresso valutazioni contrastanti. Suscita, poi, perplessità il fatto che in sede di travaso delle disposizioni della legge n. 308 del 1981 nel codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, non si sia provveduto ad includere il personale militare in servizio permanente tra i beneficiari della speciale indennità di cui all'articolo 6 della richiamata legge n. 308 del 1981.
A livello scientifico, nel 2000, è stata istituita la commissione Mandelli, con il compito di condurre un'analisi osservazionale retrospettiva di tipo caso-controllo sui reduci del teatro operativo balcanico. Lo stesso professor Mandelli, in un articolo pubblicato a firma congiunta con il professor Mele sulla rivista Epidemiologia dell'ottobre 2001, ha scritto che non si può escludere che l'uranio impoverito sia la causa dei linfomi di Hodgkin, e il professor Grandolfo, della commissione d'inchiesta stessa, in un'intervista resa ad un quotidiano, ha affermato che non si può escludere che l'uranio sia letale.
Sempre a livello scientifico è stato, inoltre, evidenziato come i vaccini somministrati ai soldati italiani non possono essere considerati l'unica causa delle malattie e che le nanoparticelle dei metalli pesanti, sebbene nocive per la salute, non sarebbero letali. Ulteriori informazioni sui possibili danni provocati dall'uranio impoverito sono contenuti in uno studio di due scienziati americani, di fama internazionale, Marion Fulk e Leuren Moret, i quali precisano che il rischio dell'uranio impoverito riguarda tre diverse componenti così tipizzate: agente chimico; agente radiologico; agente particolato, cioè le particelle. La problematica non riguarda solamente il personale impegnato nelle missioni militari, ma anche il personale in destinazione fissa ed il personale che presta servizio nei poligoni militari o risiede nelle vicinanze di questi siti. Nei poligoni si svolgono, infatti, diverse attività, legate all'addestramento delle truppe, alle esercitazioni, alla sperimentazione degli armamenti e alla ricerca. In particolare, il poligono del Salto di Quirra ospita regolarmente sia la sperimentazione di armamenti, sia le attività dimostrative da parte delle aziende produttrici. È ormai noto, ad esempio, il problema dell'inquinamento legato alle attività militari svolte nel poligono di Quirra, dove sembra che i contaminanti potrebbero essersi annidati nel vasto sistema di grotte sottostanti l'area militare.
Sebbene tale problematica sia stata sollevata da diverso tempo, non risulta approntato alcun piano investigativo per vagliare l'ipotesi. Il semplice prelevamento di campioni di acque dalle sorgenti potrebbe fornire valori falsamente confortanti se non si procederà all'analisi dei sedimenti depositatisi all'interno delle grotte. Il sistema di cavità di Is Angurtidorgius consta di oltre 11 chilometri di gallerie solcate da un fiume e con numerosi laghi che costituiscono una riserva idrica di notevole valore.
I calcari si comportano come una sorta di gigantesca spugna che assorbe, senza filtrarla, qualunque sostanza rilasciata in superficie e, se non si procederà alla Pag. 23ricerca degli inquinanti nei depositi sedimentari delle grotte, si correrà il rischio che le persone continuino ad ammalarsi per cause «misteriose», lo dico tra virgolette. Peraltro, i tempi di transito degli inquinanti all'interno del sistema di cavità non possono essere determinati con certezza in virtù delle numerose variabili che ne governano il passaggio. Anche nella frazione di Quirra esiste un sistema di cavità, indipendente da quello dell'altopiano, in cui potrebbe essersi riversata una frazione delle sostanze dannose provenienti dal poligono. Se ciò risultasse vero, i tempi di permanenza degli inquinanti nel sottosuolo potrebbero dilatarsi a dismisura.
Come risulta dal Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da poli industriali, minerari o militari, nel Salto di Quirra è riscontrabile una percentuale di mielomi e leucemie superiore alle attese statistiche e, nell'insieme, un quadro di maggiore esposizione relativa ad alcune particolari patologie riconducibili a fattori ambientali. Il Rapporto, mettendo insieme competenze mediche e statistiche di diversi centri italiani, presenta una valutazione epidemiologica sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da attività industriali, minerarie o militari. I risultati mostrano un'indubbia maggiore incidenza di certe patologie nelle aree interessate da attività militari.
Recentemente c'è stata una svolta nell'inchiesta sul poligono di Quirra con il ritrovamento nei corpi dei pastori riesumati di torio radioattivo. Secondo la procura, nel poligono vi sarebbe una compromissione ambientale a causa della presenza, come indicato in uno dei provvedimenti di sequestro delle aree, di torio 232, elemento altamente radioattivo, che può provocare gravi danni alla salute degli uomini e degli animali anche dopo molti anni. L'area interessata è di circa 75 mila metri quadri. Gli esami fatti eseguire nel corso delle indagini dalla procura avrebbero evidenziato anche alte concentrazioni di antimonio, piombo e cadmio, metalli tossici molto pericolosi per la salute umana e animale.
Anche il poligono di Teulada insiste in parte su una zona carsica e, da più parti, si osserva che le attività dei poligoni in zone carsiche possono produrre effetti deleteri per la salute a parecchi chilometri di distanza, in aree apparentemente protette. Sotto questa luce le vittime delle attività dei poligoni potrebbero aumentare. Analoghe problematiche riguardano il poligono di Capo Frasca, utilizzato per esercitazioni militari, sia italiane che straniere. Alcune ricerche dimostrerebbero che, nelle comunità limitrofe all'area del poligono, sarebbero in crescita i tumori e i linfomi della tiroide. A Capo Frasca risulta esserci un pozzo artesiano e pare che anche i militari segnalino da anni tale problematica. Quest'ultima questione ha suscitato una polemica emersa anche nella stampa locale. Sul quotidiano L'Unione Sarda il 18 dicembre 2011 si legge che il comandante ha negato la presenza dei tre pozzi artesiani denunciati da anni dai militari in servizio a Capo Frasca.
Sempre con riferimento a Capo Frasca la stampa locale ha dato risalto al caso di Giovanni Madeddu, maresciallo che, tra il 1968 e il 1987, ha lavorato presso quel poligono con l'incarico di armiere nelle guerre simulate che in quegli anni venivano ospitate nel poligono. Madeddu ha un linfoma diffuso a grandi cellule. Altre persone che hanno operato nell'area di Quirra sono state colpite da un simile tumore. Il quotidiano La Nuova Sardegna ha intervistato il maresciallo Madeddu, il quale ha riferito che a Capo Frasca non sia stata mai effettuata una vera bonifica del territorio, sebbene in quel luogo siano stati lasciati per venti, trent'anni i residui delle esercitazioni delle Forze armate di tutto il mondo.
Ricorda, soprattutto, una radura dove si accumulavano i proiettili. Quando pioveva si creavano dei pantani e l'acqua poi filtrava nel terreno. La stessa acqua che poi, attraverso un sistema di pozzi artesiani, veniva utilizzata per ogni uso nel poligono o nei vicini poderi e in diversi Pag. 24casi l'ASL ha rilevato anomalie e impedito che venisse utilizzata per scopi alimentari. Nel poligono di Capo Frasca, inoltre, capi di bestiame si sono venuti a trovare nella zona dei mitragliamenti e sono stati colpiti dai proiettili realizzati con metalli pesanti e, quindi, dalle nanoparticelle degli stessi. Il bestiame colpito è stato poi macellato e cucinato. Al riguardo, andrebbe verificata se l'attività di macelleria era stata autorizzata o meno dalla ASL e se l'ASL abbia più o meno effettuato i dovuti controlli.
Di recente, anche il comune di Arbus ha chiesto all'assessorato regionale della sanità un nuovo impegno per accelerare al massimo l'avvio delle indagini epidemiologiche sui residenti in aree militari della Sardegna. Risulta, inoltre, che nei poligoni è stato impiegato personale non specializzato nei compiti di «sgombra bossoli» che ha operato a mani nude e senza maschere.
Ho depositato questa mozione insieme a tutto il mio gruppo e mi sono battuto affinché la stessa fosse discussa a stretto giro per impegnare il Governo su questioni che non possono più essere tralasciate: sono troppi i lati oscuri e anche diverse le inadempienze da parte del Ministero. Le tante vittime dell'uranio, le loro famiglie, i cittadini che vivono in zone a rischio contaminazione dell'ambiente sono vittime ormai consapevoli di un silenzio assordante che uccide e che calpesta la dignità e i diritti umani.
Per queste ragioni, alla luce degli impegni della sopraccitata risoluzione che la Commissione difesa ha approvato, chiediamo fermamente al Governo di impegnarsi: ad assumere ogni iniziativa di propria competenza affinché venga colmato il vuoto normativo creatosi a seguito della mancata previsione nel codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, della speciale elargizione già stabilita all'articolo 1 della legge n. 308 del 1981, in favore del personale militare che, a causa di servizio o durante il periodo di servizio, avesse subito un evento dannoso che ne avesse determinato una menomazione dell'integrità fisica; a verificare il motivo per il quale, come accertato dal tribunale civile di Firenze nella sentenza del gennaio del 2009, non sono state adottate le necessarie misure per tutelare la salute dei militari italiani impegnati nella missione Ibis in Somalia e sono state ignorate le cautele adottate da altri Paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l'adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani.
Impegniamo, inoltre, il Governo: a chiarire perché non sono mai state adottate misure di protezione adeguate nei poligoni e a dichiarare quali siano state le precauzioni messe in atto per tutelare i militari ed i civili dai rischi per la salute e per l'ambiente; a verificare e a chiarire se la resistenza dei carri armati prodotti in Italia sia stata mai testata contro i proiettili all'uranio impoverito; a verificare quanti sono i casi di persone ammalatesi nelle missioni all'estero, riguardanti non solo militari in servizio, ma anche militari in congedo e persone civili facenti capo a varie istituzioni come la Presidenza del Consiglio dei ministri, le organizzazioni di volontariato ONLUS, i Ministeri degli affari esteri, dell'interno, della difesa, dell'economia e delle finanze, della giustizia e delle politiche agricole, alimentari e forestali ed anche quanti sono i casi di militari e civili impiegati in Italia, nei poligoni, depositi, officine, a partire dal 1970, tenendo conto che il primo caso sospetto nei poligoni, di cui si è avuta notizia, è del 1997 (il caso di Lorenzo Michelini); a verificare e a chiarire in quali poligoni in Italia sono stati usati missili Milan e in che numero, tenuto conto dell'inchiesta recente del poligono di Quirra dalla quale è emersa la presenza di tracce di torio nei cadaveri dei pastori da attribuire probabilmente a questi missili, il cui impiego è stato accertato nel poligono di Teulada.
Impegniamo, altresì, il Governo: ad adottare tutte le necessarie disposizioni in ambito militare per individuare la presenza di torio nei territori in cui sono stati impiegati i missili Milan e a disporre, di conseguenza, misure di bonifica e ad evitare ulteriori rischi da contaminazione; a rendere noti i controlli a cui è sottoposto il personale di ditte civili eventualmente Pag. 25impiegato nei poligoni; a rendere note le caratteristiche delle apparecchiature usate per il controllo della sicurezza dell'ambiente e, in particolare, le capacità di queste apparecchiature di rivelare l'esistenza di particelle (nano o micro particelle) di metalli pesanti (di cui sono fatti i proiettili impiegati nei test e nelle esercitazioni). Impegniamo a valutare la possibilità di abolire le operazioni di brillamento periodicamente effettuate nei poligoni, perché la nube di polvere che si genera nel brillamento e che si rideposita sul terreno può avere effetti inquinanti (il materiale di scarto dei poligoni dovrebbe essere sistemato sotto terra, in appropriati depositi bunker);
Impegniamo, ancora, il Governo a valutare la possibilità di assumere iniziative per vietare alle ditte straniere di operare nei poligoni italiani, salvo casi eccezionali in cui la sperimentazione possa essere di grande importanza per interessi nazionali e, in questi casi eccezionali, proibendo agli enti di avvalersi di autocertificazione (in quanto, di fatto, impediscono i controlli sul loro operato); ad esaminare i documenti relativi ai test che sono stati eseguiti almeno negli ultimi venti anni previa desecretazione della documentazione stessa.
Impegniamo, da ultimo, ma non per ultimo, il Governo ad avviare ogni possibile verifica atta ad escludere categoricamente la possibilità che molti dei soldati italiani siano deceduti per mancanza di cure adatte alla loro contaminazione radioattiva interna non riconosciuta, così come accaduto per il soldato Acaries.
Credo che oggi sia un momento importante, non solo per la problematica all'esame, ma anche per quanti sono stati esposti all'uranio impoverito, perché, finalmente e pubblicamente, se ne può parlare in un'Aula di Parlamento, affinché ognuno si assuma le proprie responsabilità, non necessariamente cercando di trovare un capro espiatorio. Vorremmo capire e conoscere la storia, il presente e soprattutto la prospettiva di questa questione, e soprattutto in che modo e in che misura questo Parlamento, questo Governo e il Ministro, vogliano dare una risposta definitiva significando che tante famiglie, troppi morti stanno aspettando ancora una risposta che vada incontro alla loro dignità e al loro bisogno di certezza e di verità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rugghia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01203 . Ne ha facoltà.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, innanzitutto intendo ringraziare l'onorevole Di Stanislao che con la mozione che ha presentato - e noi stessi su questo argomento ne abbiamo presentata una - ha riproposto un tema di grande allarme sociale, molto dibattuto da questo Parlamento. Il collega Di Stanislao ricordava l'ultimo atto parlamentare, la risoluzione che è stata approvata in IV Commissione (Difesa), e che noi stessi abbiamo sostenuto. Parliamo degli effetti nocivi sulla salute dei militari e della popolazione civile a seguito dell'esposizione all'uranio impoverito e alle nanoparticelle, un tema che è da molto tempo all'attenzione dell'opinione pubblica e dei mass media. Ricordava il collega le varie iniziative che sono state assunte in Parlamento attraverso atti di indirizzo e proposte di legge a seguito di Commissioni di indagine che sono state prodotte per far luce, per cercare di tutelare la salute dei militari e della popolazione civile sulla base dell'esperienza che è stata verificata rispetto ai fatti che sono stati verificati nel corso di questi ultimi decenni, e anche per cercare in qualche modo di garantire il risarcimento alle vittime che hanno subito danni proprio in conseguenza dell'esplosione di proiettili all'uranio impoverito.
Più iniziative sono state assunte, alcune di queste hanno portato anche a dei risultati che naturalmente non sono definitivi per far luce su tutta questa materia, e in qualche modo nel recente passato è stato anche riconosciuto il diritto al risarcimento per le persone che hanno subito danni e gravi patologie per queste problematiche.
Nel corso della XIV, XV e XVI legislatura c'è stata, come dicevo, una rilevante Pag. 26attività parlamentare, su cui molte cose sono state ricordate nella mozione che ha letto il collega Di Stanislao. Io vorrei anche ricordare che proprio in questa fase di legislatura al Senato è attiva una Commissione parlamentare d'inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti, prodotti dall'esplosione di materiale bellico ed eventuali interazioni.
Questa della Commissione d'inchiesta del Senato è sicuramente un'iniziativa importante, che spero produrrà degli effetti di conoscenza e porrà anche in essere delle iniziative di precauzione, soprattutto per i nostri militari, ma ci sono anche stati altri fatti che hanno portato alla conoscenza più specifica intanto delle persone che sono state interessate a queste esposizioni.
Il dato che emerge è un dato drammatico. Io mi rifaccio, soprattutto, alla relazione che è stata depositata in Parlamento il 22 febbraio 2012 dal responsabile dell'Osservatorio epidemiologico della difesa, secondo il quale, per il personale militare, su un totale di 3.761 casi di malattie neoplastiche diagnosticate negli anni compresi tra il 1991 e la fine delle 2011, 698 casi riguardavano il personale che aveva preso parte a missioni all'estero, mentre 3.063 casi riguardavano personale mai uscito dal territorio nazionale nel periodo in cui aveva prestato il suo servizio. Complessivamente, ci sono stati 479 decessi, 96 dei quali si sono verificati tra persone che hanno operato in missioni all'estero, mentre i restanti 383 militari deceduti, sono persone che erano rimaste in patria.
Poi, recentemente, un ulteriore stimolo ed un approfondimento su questi temi è venuto dall'avvio, all'inizio del 2011, di un'inchiesta giudiziaria da parte della procura della Repubblica di Lanusei, relativamente alla situazione del poligono interforze di Salto di Quirra. Con questa inchiesta si è determinato il temporaneo sequestro preventivo dell'area del poligono e l'inchiesta si è conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio per 20 persone, con capi di imputazione che vanno dall'omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri, all'omissione di atti d'ufficio per motivi di igiene e sanità.
Quindi, la situazione merita non solo l'attenzione del Parlamento, ma anche l'impegno del Governo. Questo è lo scopo della nostra mozione: chiedere di assumere tutte le iniziative necessarie a tutela della salute dei nostri militari e delle popolazioni che sono esposte, come nel caso di Salto di Quirra, nelle vicinanze di poligoni militari, dove vengono realizzate attività che ormai possono essere considerate di rischio per la popolazione. È una situazione che si trascina ormai da più di 15 anni, cioè da quando, nella XIV legislatura, si è posta l'esigenza di fare chiarezza su questi temi e sono iniziate molte attività parlamentari. Questa situazione molto difficile, molto grave e molto drammatica è stata anche aggravata da dubbi molto forti sulla possibilità che una serie di vaccinazioni, alle quali sono stati sottoposti i militari successivamente inviati in operazioni fuori area, potrebbero avere influito sull'insorgenza di patologie tumorali o di altro tipo e, comunque, di particolare gravità.
Noi, attraverso la nostra mozione, chiediamo, in sostanza, un forte impegno al Governo per avviare con la massima tempestività le operazioni di bonifica nei poligoni militari, sui quali è già stata condotta la propedeutica attività di caratterizzazione dei luoghi contaminati (perché, nel frattempo, questa attività è stata svolta), a reperire a tal fine le risorse finanziarie necessarie per determinare la bonifica di questi siti e per consentire anche l'utilizzazione alternativa delle aree bonificate.
Sappiamo dell'impegno del Governo, un impegno assunto pubblicamente in occasione Pag. 27dell'approvazione della legge di stabilità, che noi apprezziamo particolarmente, di garantire, con uno stanziamento di 25 milioni di euro a disposizione del Ministero della difesa, la bonifica di Salto di Quirra e dei poligoni che hanno necessità di essere messi in sicurezza. Però, sappiamo anche che questi 25 milioni di euro non sono del tutto sufficienti. C'è bisogno di altri fondi che vanno stanziati dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero per la coesione territoriale e da quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per fare in modo di avere risorse necessarie ad affrontare una situazione che rischia di essere sempre più difficile da governare e che determina anche, dal punto di vista economico, degli effetti su territori che vivono con grande difficoltà questa situazione di crisi del Paese.
Ad esempio, a Salto di Quirra l'intervento della magistratura, dovuto anche all'incapacità di realizzare una bonifica del sito, ha determinato anche la crisi di attività della pastorizia e quant'altro. Quindi, vi è bisogno assolutamente di impiegare queste risorse per la salute dei cittadini, ma anche per determinare e realizzare delle misure a sostegno dell'economia.
Poi, noi chiediamo che vengano assunte tutte le iniziative necessarie per riconoscere il diritto al risarcimento delle persone colpite da gravi patologie, in relazione al servizio svolto in condizioni di possibile contaminazione. Il collega Di Stanislao ricordava quante pubblicazioni sono state presentate, quante relazioni, anche di alto livello scientifico, sono state prodotte su richiesta, molte volte appunto, del Parlamento. Vi sono anche, in un certo senso, conclusioni contraddittorie. Talvolta vi è la negazione, e alcune conclusioni arrivano a negare la possibilità di un certo nesso di causa-effetto fra l'esposizione alle nanoparticelle o, comunque, all'esplosione di uranio impoverito, e i conseguenti rischi per la salute dei cittadini. Ma altre conclusioni, invece, si spingono in una direzione esattamente contraria, e noi crediamo che i dati che sono stati presentati dall'osservatorio epidemiologico della difesa - quindi, dati ufficiali del Governo nel settore della difesa - invece ci impongano la scelta di dover riconoscere il risarcimento alle persone colpite e che hanno subito gravi patologie.
Dico questo sapendo che nel 2007, in occasione dell'approvazione della legge finanziaria, per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, sono stati stanziati complessivamente 30 milioni di euro per riconoscere questo risarcimento. Poi ci siamo occupati, con altri colleghi in Commissione, di questo problema, ma è necessario comprendere anche come questi fondi siano stati, diciamo, finalizzati, in effetti, a garantire lo scopo per cui sono stati stanziati ossia, appunto, il risarcimento a favore delle persone che hanno subito gravi patologie.
Poi, noi chiediamo che venga fornita alla Commissione competente un'analitica relazione sulle vaccinazioni cui è stato sottoposto il personale militare, anche a fini di precauzione. Allo stesso modo, riteniamo che sarebbe doveroso e giusto, sempre per precauzione, fornire ogni militare di una tessera sanitaria digitale, sulla quale vengano obbligatoriamente inserite le terapie e le vaccinazioni a cui egli è sottoposto da parte del Servizio sanitario nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volpi, che illustrerà anche la mozione Dozzo n. 1-01204, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, intendo spendere non molto tempo per dare un'indicazione generale al Governo su quello che abbiamo inteso proporre nella nostra mozione. Innanzitutto, lo facciamo sapendo già di condividere, tra l'altro, buona parte degli impegni che sono stati espressi dai colleghi degli altri gruppi parlamentari. Lo facciamo anche con una consapevolezza, ossia che la Lega Nord Padania può, diciamo, intervenire su questo argomento con molta serenità, essendo il movimento che si occupa di questo Pag. 28problema almeno a partire dalla XIII legislatura. Quindi, lo facciamo con serenità, scevri da pregiudizi e da qualsivoglia preoccupazione d'immagine, che sia prettamente politica, su un tema che ci sembra, invece, riservare degli aspetti umani più importanti, piuttosto che essere considerato una bandierina da piantare.
Peraltro, noi abbiamo cercato di fare anche quanto ci era possibile, già quando eravamo impegnati nel Governo. Direttamente, abbiamo fatto in modo di insistere all'interno degli specifici provvedimenti di rifinanziamento delle missioni di pace, con dei capitoli ad hoc che andassero, almeno in parte, con provvidenze importanti, a trovare spazio per il risarcimento e la salvaguardia dei militari colpiti da questa sindrome.
Come è già stato detto anche dai colleghi, il lavoro su questa tematica è lungo, corposo e, sicuramente, presenta molte incertezze. Non vi è dubbio che da quanto è stato fatto, sia alla Camera sia al Senato, nei momenti di studio, anche dalle stesse amministrazioni, ne perviene un risultato che non ci riempie di certezze, che ci lascia ancora molti dubbi e che, sicuramente, ci permette di esprimere una valutazione.
È vero che - questo va detto - sino ad ora c'è una range di casualità che può fare immaginare che le combinazioni o le specifiche criticità di alcuni aspetti, possano essere quasi inevitabilmente riconducibili alla questione dell'uranio impoverito. Lo sono per esempio le forme di vaccinazione intensive cui vengono sottoposte i militari, l'utilizzo di determinate sostanze per la manutenzione delle armi e dei mezzi, e poi c'è il dato, che indubbiamente in questo momento a noi interessa di più nella nostra illustrazione e discussione: la presenza inevitabile - credo che sia incontestabile - di una serie di elementi tecnici che sono sia i proiettili, sia le corazzature che contengono inevitabilmente, come abbiamo detto, l'uranio impoverito.
Ora noi su questo, che è la parte che fa un po' da cappello alla nostra mozione, ma che è anche significativo di una preoccupazione che si dovrebbe estendere, diciamo che innanzitutto è importante che si continui a lavorare sulla individuazione delle cause, perché crediamo che sia importante avere anche delle ulteriori certezze scientifiche, non tanto o non solo per quello che succede ora, ma perché è inevitabile che con l'evoluzione tecnologica dobbiamo immaginarci che sia sempre tutto più sicuro e non meno sicuro. Questo coinvolge un aspetto che non è mai facile, che è quello della collaborazione anche con tutti i Paesi che hanno avuto le stesse problematiche. Non so come dire: qualche volta su queste cose ci sono un po' di resistenze. Noi lo capiamo e immaginiamo che non siano certamente né le nostre Forze armate né il nostro Governo a porsi il problema di determinate riservatezze, però il lavoro che dobbiamo fare è anche di impegnarci per farle superare, anche agli altri Paesi alleati, che comunque collaborano con noi all'interno della ricerca tecnologica militare, come anche l'impiego di determinati materiali all'interno dei teatri di crisi, per raggiungere l'obiettivo di capire se veramente insieme riusciamo a raccogliere un dato scientifico certo sulla responsabilità di determinati materiali.
Peraltro, noi siamo anche sicuri di una cosa, perché poi qualcuno fuori tende ad adombrare anche cose diverse. Addirittura si è detto - lei lo sa bene sottosegretario - che hanno usato l'uranio impoverito perché è un'arma terza. Sappiamo che l'uranio impoverito è utilizzato per termini, costi, proprietà ad uno scopo come dire economico. È stato scelto anche per un motivo economico, oltre che per la bontà di alcune caratteristiche tecnologiche, tant'è vero che, senza voler spaventare nessuno, va detto che tutti i giorni, quando prendiamo un aereo di linea, troviamo probabilmente, anzi sicuramente, all'interno delle sue strutture, dell'uranio impoverito, utilizzato per la leggerezza e per l'economicità del materiale utilizzabile. Quindi, non penso che dovremmo arrivare al retropensiero dell'avere immaginato un'arma subdola realizzata utilizzando l'uranio impoverito per un motivo diverso da quello di cui stiamo parlando. Pag. 29
Noi pensiamo però che ci siano degli spazi su cui dobbiamo dare una certezza. Non pensiamo che ci possano essere linee di fuga dinanzi alla responsabilità. Noi chiediamo che, perché crediamo che ci siano tutti i presupposti, ci sia il riconoscimento fermo, senza l'applicazione di troppe burocrazie, delle cause di servizio a coloro che sono stati colpiti dalla sindrome relativa all'uranio impoverito. A questo, secondo me, non ci possiamo sottrarre. Questa è una cosa che noi chiediamo con certezza, perché, per quello che ho detto prima, è inevitabile che, seppure in combinazione, seppure in una determinata casistica, l'uranio impoverito c'entri qualcosa. Quindi noi, prima di dire che non è quella la causa, non avendone la certezza, dobbiamo impegnarci, come è stato, a ripagare chi questi danni li ha avuti, senza infingimenti e senza scorciatoie.
C'è un'altra cosa, e questa è proprio una competenza che credo sia importante per la Difesa. Abbiamo bisogno di riscrivere qualche protocollo, probabilmente, nel sistema di approccio a questi materiali. È evidente che questi materiali si trovano ormai all'interno di un contesto globale, come è vero che ormai si interviene - purtroppo per necessità, per scelta politica, per scelta strategica - in quei casi di crisi che sono ad un livello globale. Immagino, spero, voglio immaginare che sia così, che si ricominci a scrivere un protocollo di approccio quando si trova la carcassa di un mezzo corazzato per cui si sa che quel mezzo corazzato ha la corazzatura che utilizza l'uranio impoverito, piuttosto che l'approccio al sistema da arma che utilizza il proiettile che è in un certo modo. Credo che sia una cosa forse banale, ma altrettanto necessaria.
Poi c'è l'altro aspetto, che è quello che è stato citato anche dai colleghi, quindi prima l'aspetto militare, compreso i nostri operatori, e poi l'aspetto delle aree che hanno un dato epidemiologico evidente e che sono limitrofe a quelli che sono i poligoni militari. Questo è un dato evidente, riscontrabile. C'è un dato epidemiologico, ci sono situazioni che sono evidentemente, in qualche modo, condizionate dalla presenza dei poligoni e di quanto è stato usato all'interno dei poligoni.
Vado a concludere. Brevemente, cosa chiede la nostra mozione? In primo luogo il riconoscimento delle cause di servizio e l'assegnazione di ogni possibile supporto, sia ai militari colpiti sia alle famiglie che, inevitabilmente, devono seguire dei percorsi di malattia dolorosi e difficili.
In secondo luogo, direi esigiamo che questa forma di compartecipazione non trovi nessuna ambiguità. Dobbiamo essere vicini a chi ha avuto questi problemi e ha questi problemi perché temo, temiamo, non avendo ancora trovato la soluzione tecnica, che chi ha già avuto i problemi della sindrome da uranio impoverito c'era, c'è e probabilmente ci sarà, quindi non possiamo sottrarci. Crediamo che sia un dovere fare qualcosa per queste persone.
In terzo luogo, lo abbiamo ricordato prima, facciamo di tutto per cooperare con i Paesi che utilizzano gli stessi sistemi, con gli stessi proiettili, le stesse corazzature, e cerchiamo insieme a loro di carpire il segreto vero, che è quello che, invece, dovrebbe essere un segreto positivo, per sapere se veramente il sistema uranio impoverito causa, con certezza assoluta, determinate malattie.
Da ultimo, un doppio dispositivo, è quello di dire che dobbiamo mettere in condizione i nostri militari di operare in assoluta sicurezza, quindi la revisione dei protocolli e poi con fermezza, mi permetta di dirle, facciamo le bonifiche dei siti che sappiamo comunque, in qualche modo, inquinati e che causano vittime civili (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Angelis. Ne ha facoltà.

MARCELLO DE ANGELIS. Signor Presidente, ringrazio il rappresentante del Governo per la pazienza sin qui dimostrata, cercherò di non portare via ancora molto del suo tempo, del tempo della Presidenza, ovviamente.

Pag. 30

PRESIDENTE. Non c'è alcun problema, onorevole De Angelis.

MARCELLO DE ANGELIS. Era una formalità.

PRESIDENTE. Grazie, ma non si preoccupi. Ha a disposizione trenta minuti e noi ci affidiamo a lei.

MARCELLO DE ANGELIS. Mi corre un obbligo. Per quanto è ovvio che queste mozioni abbiano riproposto all'attenzione del Parlamento e all'attenzione del Governo quella che potrei definire l'annosa questione dell'uranio impoverito, sarebbe ingiusto nei confronti dell'istituzione parlamentare e di decine e decine di colleghi non ricordare che in realtà l'attenzione nei confronti di questo argomento da parte del Parlamento non è mai venuta meno.
Se non altro perché, come già ricordato anche dal collega Rugghia ad esempio, sin da quando il problema è giunto alle cronache, ed alle cronache giudiziarie in particolare, e cioè dopo la missione in Kosovo - quando si è cominciato a parlare di sindrome dei Balcani, appunto, ed a seguito di denunce avvenute in altri Paesi dell'Alleanza, negli Stati Uniti e in Canada in particolare - è stata istituita al Senato, da subito, già dalla XIV legislatura, quindi nel 2001, la Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e gravi malattie, che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale, presieduta allora, prima, dal senatore Rocco Salini e, poi, dal senatore Paolo Franco.
Leggo per esteso il titolo, che poi cambia, delle Commissioni che sono state successivamente riconfermate nella XV e anche nella legislatura attuale, perché l'attività di inchiesta, estremamente approfondita ma che, giocoforza, anziché circoscrivere il problema in realtà lo ha ampliato, ha avuto una storia parallela con delle vicende giudiziarie.
È inutile negarci che il nocciolo di questo dibattito è rappresentato dai risarcimenti. I Paesi che all'inizio si sono interessati a questo argomento (ho citato gli Stati Uniti e il Canada, ma ce ne sono stati anche altri come la Norvegia), che, durante la guerra nei Balcani, furono interessati da queste anomale patologie, risolsero il problema, abolendo, almeno nei teatri domestici, l'utilizzo di questi proiettili all'uranio impoverito (erano sostanzialmente messi sul banco degli imputati); pagarono degli indennizzi a tutto il personale che era stato in quel periodo alle dipendenze delle Forze armate e chiusero così una questione che invece in Italia si protrae senza apparente conclusione, diceva l'onorevole Di Stanislao da mezzo secolo o giù di lì. In realtà, mezzo secolo è eccessivo, ma sono almeno trent'anni circa che si parla dei problemi dell'uranio impoverito e, nel caso specifico dell'Italia, stiamo parlando almeno da un decennio.
Come dicevo, già la seconda Commissione parlamentare d'inchiesta aggiunse alla dizione iniziale: nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, nonché le popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotti dall'esplosione di materiale bellico.
Perché questo avvenne? Perché, come già citato più volte e reiterato, dagli esiti di tutte quante le Commissioni di inchiesta è sempre risultato che il numero di casi di militari poi deceduti, che avevano sviluppato delle malattie neoplastiche nel decennio interessato, era un numero inferiore rispetto alla totalità. L'ultimo dato, che è aggiornato al 21 febbraio 2012, già citato più volte, è di 698 casi di personale che aveva preso parte a missioni all'estero, rispetto ad un totale di 3.761 casi accertati.
Questo cosa significava? Significava che queste patologie si manifestavano più in territorio domestico che dopo una permanenza all'estero in missione. Di conseguenza, Pag. 31questo portò la Commissione ad approfondire maggiormente il dato della possibile esposizione delle popolazioni che vivevano intorno ai poligoni di tiro, in particolare quello di Salto di Quirra dove, malgrado a me risulti non sia mai stato in dotazione dell'esercito italiano, questo munizionamento invece veniva utilizzato da truppe alleate - in particolare gli americani - proprio per testare, come si faceva riferimento prima, la tenuta delle blindature. La caratteristica di questi munizionamenti è quella di sprigionare un immenso calore quando arrivano in contatto con le blindature. Questo di conseguenza aveva portato anche ad approfondire la possibilità che queste esplosioni producessero un pulviscolo tale da creare delle nanoparticelle (cioè degli agglomerati di microparticelle di metalli pesanti, che una volta assorbiti attraverso le vie respiratorie si inseriscono nel tessuto biologico) e attorno a queste nanoparticelle si potessero sviluppare appunto i linfomi.
L'attuale Commissione parlamentare d'inchiesta, che è presieduta dal senatore Giorgio Costa, ha ampliato ancora di più lo spettro dell'inchiesta parlando di relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici, radiologici, dal possibile effetto patogeno con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito, la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle minerali pesanti prodotte dall'esplosione di materiale bellico ed eventuali interazioni.
Questo per includere anche l'eventualità, già citata, che questi linfomi possano essere il prodotto di bombardamenti di supervaccini. Questo avvenne, sempre per ricordare la storia giudiziaria, perché la seconda Commissione parlamentare d'inchiesta, quella presieduta dalla senatrice Menapace (di cui al tempo io ero segretario), fu oggetto di attacchi da parte di associazioni di familiari che invece avevano perso i figli per malattie simili, che accusarono la Commissione di incentrarsi sull'uranio impoverito per stornare l'attenzione da quella che era la vera causa, e che erano cioè i vaccini, e di conseguenza accusando la Commissione d'inchiesta di voler proteggere le industrie farmaceutiche.
La Commissione - questo anche per notificarlo ai colleghi, in particolare ai colleghi che chiedevano particolare delucidazioni al Governo - continua la pubblicazione di relazioni; l'ultima è del 30 maggio 2012, quindi è piuttosto recente, e in questa relazione (dato importante), oltre a ricordare nuovamente la percentuale di contaminati sul territorio nazionale rispetto a quelli esposti all'estero, si annuncia, si fa presente che per quanto riguarda i poligoni, e non solo Salto di Quirra, la Commissione ha esteso le proprie indagini anche ad altri siti come il poligono di Capo Teulada, di Capo Frasca in Sardegna, e di Torre Veneri in Puglia.
Vorrei attirare l'attenzione anche del Governo, visto che dovrà rispondere a queste mozioni e dare un parere, su questa relazione, perché nello specifico si legge quanto segue: «Una profonda impressione ha destato nella Commissione la parte della comunicazione del dottor Fiordalisi relativa alla notizia del ritrovamento di una vera e propria discarica nella zona di Is Pibiris; qui sono stati interrati, su una superficie di circa un ettaro e per una profondità da 3 a 5 metri, rilevanti quantità di rifiuti pericolosi comprendenti amianto, impianti elettronici, gomme di camion, batterie e accenditori per missili, rocchetti di fili di rame di missili teleguidati e parti di missili anticarro; inoltre la discarica si trova sopra la testata di un asta fluviale che alimenta il fiume Flumendosa a non più di un chilometro e mezzo dall'abitato del comune di Perdasdefogu».
Questo per dire che la Commissione è stata indotta da questo rapporto a ritenere che la concentrazione di queste patologie nella zona giustappunto del territorio di Perdasdefogu, che è sempre stata ricollegata alla possibile attività del poligono con armamenti all'uranio impoverito, possano invece essere derivanti da questa orrenda discarica, assolutamente illegale, e su questa probabilmente andrebbe avviato un approfondimento. Pag. 32
Nella risposta scritta all'interrogazione presentata dal collega Di Stanislao in Commissione difesa, risposta scritta del Ministro, in data lunedì 6 agosto 2012, il Ministro - di conseguenza il Governo, il Ministero - riferiva quanto già detto e cioè: non si può escludere che l'uranio impoverito sia stata la causa dei linfomi di Hodgkin, ma non si può né sostenere né negare la sussistenza di un nesso di causalità; non è dimostrata relazione causale o correlazione probabilistica tra uranio impoverito e patologie umane; la posizione opposta non è al contrario suffragata da prove; l'anomala concentrazione temporale di casi di linfoma di Hodgkin verificatasi nell'anno 2000 non ha poi riscontrato ulteriori picchi anomali negli anni seguenti, suggerendo che esso verosimilmente potrebbe essere stato un evento casuale, e tra l'altro anche per quanto riguarda le nanoparticelle non è stato accertato alcun nesso di causalità tra queste e le patologie umane.
Questo per dire che, in realtà, la politica non può andare in senso inverso alla scienza. Gli approfondimenti scientifici di questi dieci anni hanno portato a non poter consentire un chiaro nesso di causa-effetto tra queste possibili origini denunciate e le patologie.
E qui arriviamo al problema delle cause di servizio, perché è questo oggetto delle questioni. Come sappiamo, la causa di servizio viene riconosciuta attraverso il giudizio espresso dalle commissioni mediche su diagnosi, natura, ascrizione tabellare ed idoneità del soggetto al servizio, e in seguito al parere tecnico del comitato di verifica delle cause di servizio sulla dipendenza delle infermità dal servizio medesimo. Questo comitato, basandosi sull'impossibilità di tracciare l'origine delle patologie, ha sempre dato parere negativo ai risarcimenti. È però previsto che il provvedimento negativo possa essere impugnato in sede giurisdizionale. In sede civile i ricorrenti hanno sempre vinto contro l'amministrazione militare, perché hanno sempre fatto valere come prevalente l'interpretazione, in particolare, dell'articolo 1 della legge n. 308 del 1981 che fa riferimento alla tabella A della legge 18 marzo 1968, n. 313, a cui faceva riferimento precedentemente l'onorevole Di Stanislao, in cui si prescrive un indennizzo in favore del personale militare che, a causa di servizio, o durante il periodo di servizio, abbia subìto un evento dannoso o una grave menomazione.
Quindi, la giustizia civile fa prevalere il secondo periodo, cioè «durante il periodo di servizio», mentre invece quella militare ha sempre cercato di rintracciare la causa di servizio. Per risolvere questo problema - lo ricordo al Governo - i due Governi precedenti hanno cercato di trovare una soluzione per quanto riguardava i risarcimenti, innanzitutto prevedendo, nel comma 79 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2008, uno stanziamento - a cui ha fatto riferimento precedentemente l'onorevole Rugghia - di 10 milioni per un triennio (dal 2008 al 2010). Esso è previsto con il comma 78 dell'articolo 2, al fine di pervenire al riconoscimento della causa di servizio di adeguati indennizzi al personale italiano impiegato nelle missioni militari all'estero, con un ampio spettro - nonché al personale civile nei teatri di conflitto - che abbia contratto infermità o patologie tumorali connesse all'esposizione e all'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e alla dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti, ovvero nel caso che queste patologie siano insorte durante il servizio.
Nel 2010 - il primo marzo 2010, in particolare e, di conseguenza, con il Governo successivo a quello precedente e sempre con un decreto del Presidente della Repubblica - si sono fissate le modifiche e integrazioni al regolamento già previsto per la disciplina dell'assegnazione di questi fondi, stabilendo un termine entro il quale presentare le richieste. Ora, più che chiedere al Governo ulteriori indagini - che d'altronde svolgono le Commissioni parlamentari di inchiesta in maniera assolutamente non solo buona, ma anche senza infingimenti, perché, come si ricordava, le Commissioni parlamentari d'inchiesta hanno i poteri dell'autorità inquirente - forse sarebbe il caso che Governo Pag. 33ci relazionasse, in sede di discussione di queste mozioni, su cosa sia avvenuto con quello stanziamento stabilito nel 2007 e poi sostanzialmente regolamentato per il 2008 e 2009. Infatti, noi non sappiamo esattamente questi 30 milioni se poi sono stati destinati a quella causa e se sono stati utilizzati, né come e secondo quali principi sono state o meno accolte le richieste di risarcimento. Qualcuna deve essere stata accolta, perché sennò poi nel 2010 il Governo non sarebbe stato indotto a fissare un termine oltre il quale non si sarebbero accettate richieste di indennizzo.
E, visto che era previsto che se fossero avanzate delle dotazioni da quello stanziamento ci sarebbe stato un effetto di trascinamento nel bilancio successivo, se effettivamente delle risorse sono avanzate, se sono state messe a bilancio poi dal Governo attuale, se il Governo attuale intende continuare a mantenere quella destinazione oppure se effettivamente intenda affrontare il problema degli indennizzi con la stessa ratio risolutrice dei due Governi precedenti, ma soprattutto la stessa ratio risolutrice di buonsenso adottata poi già dieci anni fa dai Governi delle truppe nostre alleate.
Riaprire contenziosi giudiziari o inchieste sulle responsabilità del personale militare nella missione Ibis o nella missione in Kosovo o in altre missioni ha già dato degli esiti negativi in passato, perché di fronte alla risposta effettivamente documentata dei vertici militari, che potevano dimostrare, come possono dimostrare, che in realtà i protocolli di protezione in uso alle Forze armate, in particolare nel caso di esposizione NBC, cioè nucleare, batteriologica e chimica, sono sempre stati imposti o quanto meno programmati per la nostre truppe, si finiva poi per procedere per responsabilità individuali contro gli ufficiali sul campo, ufficiali inferiori o responsabili di plotone, che erano accusati di non avere obbligato i propri soldati ad indossare le tute NBC quando andavano a raccogliere i detriti.
Quello che invece preme a tutti e che è effettivamente l'unico elemento di giustizia che possiamo chiedere, anche a distanza peraltro di così tanti anni, è che questi risarcimenti possano essere consentiti, indipendentemente dall'accertamento senza dubbio dell'origine, perché valga il concetto, che comunque è previsto dalla normativa, che chi si ammala o subisce un danno permanente o addirittura la morte mentre è in servizio presso le nostre Forze armate e le famiglie superstiti merita la vicinanza, l'attenzione e di conseguenza anche l'assistenza da parte dello Stato che ha servito.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la difesa.

FILIPPO MILONE, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire successivamente.

PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Misiti ed altri n. 1-01205. Il relativo testo è in distribuzione. (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 4 dicembre 2012, alle 10:

(ore 10 e dopo il punto 5).

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Testo risultante dallo stralcio Pag. 34dell'articolo 2 del disegno di legge n. 5019, deliberato dall'Assemblea il 9 ottobre 2012) (C. 5019-bis-A).

e degli abbinati progetti di legge: PECORELLA ed altri; BERNARDINI ed altri; VITALI e CARLUCCI; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; FERRANTI ed altri; FERRANTI ed altri (C. 879-2798-3009-3291-ter-4824-5330).
- Relatori: Costa e Ferranti, per la maggioranza; Nicola Molteni, di minoranza.

2. - Seguito della discussione della proposta di legge:
MELCHIORRE ed altri; GOZI ed altri; DI PIETRO ed altri; BERNARDINI ed altri: Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (C. 1439-1695-1782-2445-B).
- Relatore: Rao.

3. - Discussione del disegno di legge:
S. 3271 - Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia (Approvato dal Senato) (C. 5569).

(ore 13).

4. - Deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dal Tribunale ordinario di Roma - I sezione civile di cui all'ordinanza della Corte costituzionale n. 229 del 2012.

5. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge C. 1934-2077-3131-3488-3917-B.

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla X Commissione (Attività produttive):
S. 3270. - FRONER ed altri; ANNA TERESA FORMISANO; BUTTIGLIONE ed altri; DELLA VEDOVA e CAZZOLA; QUARTIANI ed altri: «Disposizioni in materia di professioni non organizzate» (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (1934-2077-3131-3488-3917-B).

La seduta termina alle 18,30.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO AUGUSTO DI STANISLAO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 1439-B ED ABBINATE

AUGUSTO DI STANISLAO. La Corte penale internazionale (CPI) è un'«istituzione permanente che può esercitare la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale», come recita l'articolo 1 dello Statuto istitutivo della Corte (Statuto di Roma).
Lo Statuto è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite ed è entrato in vigore il 1o luglio 2002, in conformità a quanto disposto dall'articolo 126 dello Statuto stesso, che ha fissato la condizione del deposito di almeno 60 strumenti di ratifica, adesione o accettazione dello Statuto di Roma. L'Italia ha ratificato lo Statuto mediante la legge 12 luglio 1999, n. 232.
Gli Stati che attualmente hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale sono 121.
Il provvedimento in esame reca norme per l'adeguamento alle disposizioni dello Statuto istitutivo delle Corte penale internazionale (CPI).
La Corte penale internazionale (CPI) è l'istituzione permanente competente ad esercitare a livello internazionale la «giurisdizione sulle persone fisiche per i più Pag. 35gravi crimini di portata internazionale». Lo Statuto della Corte è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza convocata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
L'Italia ha ratificato lo Statuto mediante la legge n. 232/1999 che, all'articolo 3, ha valutato il connesso onere (contribuzione alla CPI) nel limite massimo di euro 774.685 annui a decorrere dal 2000. La legge n. 213/2005 ha autorizzato, da ultimo, l'integrazione del contributo dell'Italia alla CPI nella misura di 3.240.995 euro annui a decorrere dal 2004.
La Corte Penale Internazionale (Corte) è la prima giurisdizione internazionale creata per giudicare crimini gravissimi che vanno dal genocidio ai crimini di guerra a quelli contro l'umanità. In effetti, con l'istituzione della Corte si è concretizzato lo sforzo di imporre anche in ambito sovranazionale la forza del diritto contro il diritto del più forte.
Il provvedimento nasce alla Camera e le modifiche apportate dal Senato riguardano in particolare i seguenti profili:
valorizzazione del ruolo del Ministro della giustizia come autorità nazionale competente a curare i rapporti con la Corte penale internazionale (articolo 2);
interventi di natura penale sostanziale volti ad equiparare il procedimento penale nazionale;
con il procedimento presso la Corte penale internazionale, al fine di consentire l'applicazione delle fattispecie penali a tutela della pubblica amministrazione e dell'amministrazione della giustizia (nuovo articolo 10);
disciplina della procedura da seguire in caso di richiesta di libertà provvisoria da parte del soggetto sottoposto a misura cautelare in Italia (articolo 11).

In generale, la proposta di legge reca disposizioni volte all'adeguamento dell'ordinamento interno allo Statuto della Corte penale internazionale, ratificato dall'Italia con legge 12 luglio 1999, n. 232, ed entrato in vigore il 1o luglio 2002.
Lo Statuto costituisce lo strumento normativo primario per disciplinare le finalità, la struttura ed il funzionamento della Corte penale internazionale; esso individua i principi posti alla base dell'attività giurisdizionale in materia e disciplina, in particolare, le procedure di cooperazione tra la Corte e gli Stati ai fini dello svolgimento di atti di indagine sul territorio di uno Stato nonché il ruolo degli Stati nell'esecuzione delle pene irrogate dalla Corte.
Il Capo I del provvedimento (articoli da 1 a 10) contiene le disposizioni generali, individuando le autorità competenti e le modalità di cooperazione con la Corte penale internazionale.
In particolare, l'articolo 1 afferma che la cooperazione dello Stato italiano con la Corte penale internazionale avviene sulla base delle disposizioni contenute nello Statuto della Corte stessa, nel limite del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano.
L'articolo 2 attribuisce al Ministro della giustizia il ruolo di autorità centrale per la cooperazione con la Corte penale internazionale.
L'articolo 3 stabilisce che in materia di consegna, cooperazione ed esecuzione di pene si osservano le norme contenute nel codice di procedura penale (rapporti giurisdizionali con autorità straniere).
L'articolo 4 disciplina le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale individuando nella corte d'appello di Roma l'autorità giudiziaria competente.
L'articolo 5 disciplina la trasmissione di atti e documenti, consentendo al Ministro della giustizia di non procedervi quando ritenga che tali attività possano compromettere la sicurezza nazionale. Non si applica invece l'obbligo del segreto sugli atti d'indagine previsto dall'articolo 329 codice procedura penale.
L'articolo 6 disciplina il caso in cui, in esecuzione di una richiesta di assistenza della Corte penale internazionale, sia necessario citare in Italia una persona che si trova all'estero. La disposizione stabilisce che colui che entra nel nostro territorio Pag. 36non potrà essere sottoposto a qualsivoglia restrizione della libertà personale per fatti antecedenti la notifica della citazione.
L'articolo 7 stabilisce l'applicabilità delle disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato anche alle procedure di esecuzione di richieste della Corte penale internazionale.
L'articolo 8 disciplina l'ipotesi di richieste da parte dell'autorità giudiziaria italiana alla Corte internazionale: la richiesta è formulata per il tramite del procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, che si rivolgerà a sua volta al Ministro della giustizia; se il ministro non ottempera entro 30 giorni, il PG presso la corte d'appello può trasmettere direttamente la richiesta alla Corte internazionale.
L'articolo 9 prevede che il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, e il procuratore generale militare presso la corte militare d'appello, assistano - se richiesti - alle consultazioni con la Corte penale internazionale previste dallo Statuto.
L'articolo 10, pur senza risolvere il problema della c.d. doppia incriminazione, ovvero l'esigenza di introdurre nel nostro ordinamento un catalogo di delitti speculare a quello per il quale ha giurisdizione le Corte penale internazionale, novella il codice penale.
La disposizione:
novella l'articolo 322-bis codice penale, in tema di peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi e funzionari dell'Unione europea e di Stati esteri, inserendo tra coloro che possono compiere i delitti anche i membri della Corte internazionale di giustizia, i suoi funzionari e i soggetti equiparati. Conseguentemente, si allargano anche i possibili destinatari dell'esborso corruttivo previsto dal secondo comma dell'articolo 322-bis;
introduce nel codice penale l'articolo 343-bis, che estende ai membri della Corte penale internazionale (nonché ai suoi funzionari e soggetti equiparati) l'applicabilità delle disposizioni di cui agli articoli 336 (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 337 (Resistenza a un pubblico ufficiale) e 338 (Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario), con le relative circostanze aggravanti (articolo 339), nonché dei delitti di interdizione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità (articolo 340), oltraggio a un corpo politico, amministrativo e giudiziario (articolo 342) e oltraggio a un magistrato in udienza (articolo 343);
novella varie disposizioni del codice penale con l'obiettivo di equiparare al nostro procedimento penale il procedimento che si svolge presso la Corte penale internazionale.

Si tratta, in particolare, delle seguenti novelle al codice penale:
all'articolo 368, relativo alla fattispecie di calunnia, per inserire tra le autorità che ricevono le informazioni volte ad incolpare di un reato un innocente ovvero a simulare a carico dell'innocente le tracce di un reato anche la Corte penale internazionale;
all'articolo 371-bis, in tema di false informazioni al pubblico ministero, in modo da equiparare al nostro pubblico ministero il procuratore della Corte penale internazionale;
all'articolo 372, in tema di falsa testimonianza, in modo da prevedere che il delitto possa essere commesso anche da colui che depone dinanzi alla Corte penale internazionale;
all'articolo 374, secondo comma, in tema di frode processuale, per consentirne l'applicazione anche in caso di procedimento penale dinanzi alla Corte penale internazionale;
all'articolo 374-bis, relativo alla fattispecie di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria, per estenderne l'applicazione agli atti destinati ad essere prodotti alla Corte penale internazionale; Pag. 37
all'articolo 377, in tema di intralcio alla giustizia, per consentire l'applicazione della fattispecie anche laddove le dichiarazioni debbano essere rese dinanzi alla Corte penale internazionale;
all'articolo 378, in tema di favoreggiamento personale, per estendere la fattispecie anche a colui che aiuta taluno a eludere le investigazioni svolte da organi della Corte penale internazionale ovvero a sottrarsi alle ricerche effettuate dagli stessi soggetti;
all'articolo 380, primo comma, in merito al delitto di patrocinio o consulenza infedele, per consentirne l'applicazione anche quando l'attività sia svolta dinanzi alla Corte penale internazionale.

Il Capo II (articoli da 11 a 14) disciplina la consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovino sul territorio italiano.
In base all'articolo 11, se la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva a carico di una persona che si trovi sul territorio italiano, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma chiede alla stessa Corte d'appello l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere. L'interessato dalla misura potrà richiedere, in base allo statuto della Corte, la libertà provvisoria.
L'articolo 12 disciplina la possibile revoca della misura.
La custodia cautelare è revocata se:
dall'inizio dell'esecuzione è trascorso un anno senza che la Corte di appello si sia pronunciata sulla richiesta di consegna;
la Corte d'appello si è pronunciata negando la consegna;
sono trascorsi 20 giorni dal consenso dell'interessato alla consegna e il Ministro della giustizia non ha ancora emesso il decreto per realizzare la consegna;
sono trascorsi 15 giorni dalla data fissata per la presa in consegna da parte della Corte penale internazionale ed essa non è avvenuta.

L'articolo 13 riguarda la procedura per la consegna prevedendo una decisione emessa in camera di consiglio dalla corte d'appello di Roma. Il giudice italiano può negare la consegna solo nelle seguenti ipotesi:
la Corte penale internazionale non ha emesso una sentenza irrevocabile di condanna o un provvedimento restrittivo della libertà personale;
non vi è corrispondenza tra l'identità della persona richiesta e di quella oggetto della procedura di consegna;
la richiesta della Corte penale internazionale contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico;
per lo stesso fatto e la stessa persona è stata pronunciata in Italia una sentenza irrevocabile.

Nel caso in cui venga eccepito il difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale, la Corte d'appello di Roma dovrà sospendere - salva la manifesta infondatezza - con ordinanza il procedimento, in attesa di una pronuncia della medesima Corte penale.
Sia nell'ipotesi di consenso dell'interessato sia in quella di favorevole pronuncia della corte d'appello di Roma, spetta al Ministro della giustizia - con proprio decreto - provvedere entro 20 giorni alla consegna, prendendo accordi con la Corte penale internazionale sul tempo, il luogo e le concrete modalità.
L'articolo 14 stabilisce che la misura della custodia cautelare in carcere può essere disposta provvisoriamente, anche prima che pervenga dalla Corte internazionale la richiesta di consegna. In tal caso, la custodia sarà revocata se entro 30 giorni la Corte penale internazionale non richiede la consegna.
Il Capo III (articoli da 15 a 24) del provvedimento disciplina l'esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale.
La competenza a conoscere dell'esecuzione del provvedimento ai sensi dell'articolo 665, Pag. 38comma 1, codice procedura penale è attribuita alla Corte d'appello di Roma (articolo 15).
Nel caso in cui l'Italia - a seguito di sentenza definitiva - sia individuata dalla Corte internazionale come Stato di espiazione di una pena detentiva, in base all'articolo 16 il Ministro della Giustizia deve chiedere alla Corte d'appello il riconoscimento della sentenza della Corte penale internazionale.
L'articolo 17 dispone che l'esecuzione della pena avverrà in base all'ordinamento penitenziario italiano (Legge n. 354 del 1975) e in conformità allo statuto e al regolamento di procedura e prova della Corte penale internazionale. Il Ministro della giustizia potrà disporre che il trattamento penitenziario del detenuto avvenga secondo il regime carcerario speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario.
Spetta alla Corte penale internazionale il controllo sull'esecuzione carceraria (articolo 18) e il Ministro della giustizia dovrà trasmettere immediatamente alla Corte ogni richiesta del detenuto di accesso a qualsivoglia beneficio penitenziario o misura alternativa alla detenzione; se la Corte internazionale ritiene di non consentire l'accesso ad una misura prevista dal nostro ordinamento, il Ministro può chiedere alla Corte di disporre il trasferimento del condannato in altro Stato.
L'articolo 19 disciplina gli ulteriori obblighi di tempestiva informazione alla Corte penale internazionale a carico del Ministro della Giustizia e riferiti alla situazione del condannato (morte, evasione, avvenuta espiazione della pena, nuovi procedimenti penali).
L'articolo 20 disciplina il luogo di espiazione della pena, prevedendo che questo possa consistere in una sezione speciale di un istituto penitenziario ovvero in un carcere militare.
L'articolo 21 del provvedimento dispone in ordine all'esecuzione delle pene pecuniarie: su richiesta del procuratore generale, la Corte d'appello di Roma può provvedere all'esecuzione della confisca dei profitti e dei beni disposta dalla Corte penale internazionale; i beni confiscati vengono messi a disposizione della Corte internazionale per il tramite del Ministero della giustizia, che agirà in base a modalità da individuare con decreto. La disposizione disciplina, altresì, l'esecuzione degli ordini di riparazione a favore delle vittime.
Nel caso di difficoltà nell'esecuzione di provvedimenti sopra indicati, l'articolo 22 disciplina la procedura di consultazione con la Corte penale internazionale, la cui finalità è anche la conservazione dei mezzi di prova.
L'articolo 23 reca una serie di disposizioni in materia di giurisdizione, prevedendo l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella penale militare. Per i fatti rientranti nella giurisdizione penale militare, le funzioni attribuite al Ministro della giustizia devono essere esercitate d'intesa con il Ministro della difesa, restando salva la competenza esclusiva del Ministero della difesa per quanto attiene all'ordinamento penitenziario militare.
L'articolo 24 reca la clausola di invarianza finanziaria.
La Corte potrà giudicare solo i crimini commessi dopo l'entrata in vigore dello Statuto. La Corte avrà, inizialmente, competenza sui cosiddetti core-crimes ossia sul genocidio, sui crimini contro l'umanità e di guerra.
La Corte potrà esercitare il proprio potere giurisdizionale anche sul crimine di aggressione, ma solo successivamente all'adozione della disposizione che, in accordo con le relative norme della Carta dell'ONU, definirà il crimine stesso, stabilendone le condizioni di perseguibilità. Tale definizione dovrebbe essere adottata con la Conferenza di revisione dello Statuto, la prima delle quali si prevede dopo almeno sette anni dalla data di vigenza dello stesso.
Il crimine di genocidio viene definito secondo quanto già previsto dalla convenzione ONU del 1948; nei crimini contro l'umanità rientrano diverse fattispecie criminose commesse contro le popolazioni civili, nonché numerosi reati a sfondo Pag. 39sessuale come lo stupro, la schiavitù sessuale, la costrizione alla prostituzione e alla sterilizzazione, la gravidanza forzata. Per la configurazione dei crimini di guerra rientranti nella giurisdizione della Corte è necessario l'inserimento di tali atti in un piano o disegno politico, mentre per l'individuazione dei relativi comportamenti illeciti si fa riferimento alle violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949 ed alle regole ed usi applicabili nei conflitti armati. Ricadono nell'ambito dei crimini di guerra anche gli atti commessi in conflitti armati interni («conflitti armati non di carattere internazionale»), escluse le rivolte e i disordini isolati.
La Corte è poi competente per la perseguibilità di una serie di reati contro l'amministrazione della giustizia come la falsa testimonianza resa innanzi alla stessa Corte, la subornazione di testimoni, la presentazione volontaria di prove false, l'intimidazione o la ritorsione, la corruzione attiva o passiva nei confronti di un funzionario della Corte.
È necessario, dunque, questo adempimento, perché aver ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale senza offrire poi collaborazione, con gli strumenti necessari per l'adeguamento interno, avrebbe comportato un grave pregiudizio
È un provvedimento importante che forse meritava uno studio più approfondito e che non risponde a tutte le esigenze. Sarebbe stato da implementare, rimane in ogni caso un decisivo passo avanti e un punto di svolta. Un gesto significativo nel segno della collaborazione con gli organismi internazionali, e ci stiamo sicuramente avviando verso una disciplina del processo, e anche del diritto sostanziale, che gradualmente, anche se lentamente, si avvicina all'obiettivo finale.