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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 707 di martedì 23 ottobre 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 14,35.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 15 ottobre 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Benamati, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cicchitto, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fallica, Fava, Gregorio Fontana, Anna Teresa Formisano, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, Lanzarin, Leo, Lombardo, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Monai, Mura, Nucara, Palagiano, Pecorella, Pisacane, Pisicchio, Paolo Russo, Stefani, Touadi e Valducci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 14,42).

MARIA COSCIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, intervengo per sottolineare gli episodi drammatici, che sono avvenuti qui a Roma, di aggressione da parte di gruppi neofascisti presso cinque licei romani. Ieri, questo è accaduto al Giulio Cesare e al Mameli, dove studenti del Blocco studentesco sono entrati nella scuola, dopo aver sostato fuori lanciando dei fumogeni; sono entrati nei corridoi, incappucciati, gridando: «viva il Duce». Oggi un ennesimo episodio da parte di Lotta studentesca è avvenuto, sempre con lanci di fumogeni, al Galileo, all'Azzarita e all'Alberti. Ieri, oltre al Giulio Cesare, anche al Mameli.
Io chiedo a lei, signor Presidente, di far sapere al Governo l'assoluta urgenza di venire a riferire in Aula e di capire se questi episodi sono avvenuti esattamente così come descritti, ma le chiedo, soprattutto, di sapere dal Governo quali provvedimenti intende prendere, perché qui ci troviamo di fronte a un reato di apologia del fascismo. Non si entra impunemente nelle scuole in modo aggressivo, mettendo anche a rischio l'incolumità del personale e, ovviamente, dei ragazzi e docenti, gridando: «viva il Duce».
Quindi, la pregherei di farsi interprete presso il Governo affinché venga al più presto a riferire in Aula e anche a dirci quali sono gli interventi di repressione che si intendono attuare nel rispetto della legge italiana, che, come è noto, prevede di punire il reato di apologia del fascismo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Coscia, sarà dato sicuramente corso alla sua richiesta.

Pag. 2

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, le ruberò pochi minuti davvero, ma era per informarla di aver già redatto - ed oggi la presenterò formalmente - un'interrogazione sul caso di Don Maurizio Patriciello, il prete impegnato in prima linea contro le cosche della camorra, che sabato scorso è stato «svillaneggiato» in prefettura a Napoli.
Il fatto è grave di per sé e non a caso se ne sono occupati figure e personaggi come Roberto Saviano e Massimo Gramellini, ieri sera, in televisione, a Che tempo che fa. E viene davvero da domandarsi che tempi siano questi, se per un prefetto è più importante apostrofare un sacerdote di strada, uno che meritoriamente affronta le asprezze del suo territorio, anziché dannarsi, come ogni uomo pubblico dovrebbe fare, per contrastare, mattina e sera, nelle sedi formali e in quelle informali, un'altra cultura: non quella del «lei non sa chi siamo noi», ma la cultura della camorra.
Si tratta di un groviglio di atteggiamenti, credenze e condotte, di un'idea gerarchica e ossificata della società, dove non manca solo la sicurezza, ma manca anche la libertà. Personalmente ho conosciuto il prefetto De Martino, a Livorno, a Firenze, e ha sempre operato bene e al meglio. Non capisco questa caduta di stile, che merita attenzione da parte del Ministro Cancellieri nei confronti, appunto, di un alto funzionario dello Stato, che ha dimostrato in questa occasione di non saper più leggere la società in cui dovrebbe agire per il bene e non contro di essa.

Discussione del disegno di legge: Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Testo risultante dallo stralcio dell'articolo 2 del disegno di legge n. 5019, deliberato dall'Assemblea il 9 ottobre 2012) (A.C. 5019-bis-A) e degli abbinati progetti di legge: Pecorella ed altri; Bernardini ed altri; Vitali e Carlucci; d'iniziativa del Governo; Ferranti ed altri; Ferranti ed altri (A.C.879-2798-3009-3291-ter-4824-5330) (ore 14,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Testo risultante dallo stralcio dell'articolo 2 del disegno di legge n. 5019, deliberato dall'Assemblea il 9 ottobre 2012); e degli abbinati progetti di legge d'iniziativa dei deputati: Pecorella ed altri; Bernardini ed altri; Vitali e Carlucci; d'iniziativa del Governo; Ferranti ed altri; Ferranti ed altri.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 18 ottobre 2012.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5019-bis-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Lega Nord Padania ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice per la maggioranza, onorevole Ferranti, ha facoltà di svolgere la relazione.

DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, chiedo sin d'ora l'autorizzazione ad allegare, poi, un testo scritto, anche perché il provvedimento è molto complesso e, quindi, Pag. 3forse, non riuscirò qui ad illustrare tutti i punti in maniera dettagliata, come, invece, abbiamo cercato di indicare, con il collega Costa, in questa nota illustrativa.
Il provvedimento è il frutto di un lavoro approfondito che ha visto coinvolti Commissione e Governo nell'intento di formulare un testo che possa servire a deflazionare concretamente, sia pure naturalmente in maniera non definitiva, il drammatico sovraffollamento delle carceri e il carico di lavoro, spesso insostenibile, degli uffici giudiziari, che si trovano impegnati per anni in processi che, a volte, finiscono, appunto, con la prescrizione del reato.
Il testo originario del disegno di legge del Governo si basava su quattro diverse deleghe aventi ad oggetto: depenalizzazione dei reati minori, messa alla prova, pene detentive non carcerarie e contumacia. La finalità deflattiva delle prime tre deleghe è evidente di per sé; per quanto attiene alla materia della contumacia, invece, la necessità dell'intervento normativo va letta in riferimento alle numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo relative al diritto dell'imputato, in base all'articolo 6 della Convenzione, ad essere presente al proprio processo e che, censurando l'Italia per la violazione del diritto anzidetto, impongono al nostro Paese un obbligo di conformazione della disciplina nazionale.
Sappiamo che rispetto al testo originario del disegno di legge è stata stralciata la parte in materia di depenalizzazione. La scelta è stata operata dalla Commissione, condivisa e confermata dall'Assemblea, proprio perché l'effetto deflattivo che avrebbe prodotto rispetto al numero dei processi penali pendenti si sarebbe fermato a cifre di poco superiori allo 0 per cento. E, quindi, si è ritenuto necessario un approfondimento ulteriore finalizzato all'elaborazione di un elenco dei reati da depenalizzare, che consentisse un'efficace deflazione del numero dei processi, senza il rischio di non punire più penalmente fatti, invece, meritevoli della sanzione penale.
Altra differenza notevole con il testo originario, che ci preme e che fa piacere ad entrambi i relatori sottolineare, è il dato della trasformazione delle deleghe in materia di messa alla prova e di contumacia in norme direttamente precettive. Si è trattato di un lavoro molto complesso, ma sicuramente utile, di cui siamo soddisfatti. Sarebbe stato più facile e meno rischioso lavorare sui principi e i criteri di delega, eventualmente specificandoli ulteriormente, ma, invece, si è scelta la strada di sostituire le due deleghe con norme sostanziali, penali e processuali per un duplice scopo: intervenire direttamente sulle predette materie senza attendere i tempi dell'attuazione delle deleghe sempre incerte in prossimità della fine della legislatura, e ridare al Parlamento il ruolo centrale nell'intera produzione legislativa di norme estremamente importanti.
Invece, per la parte del testo rimasta delega - quella relativa alle pene detentive non carcerarie - vi è stata una scelta, anche questa, ponderata, perché la Commissione non aveva i tempi necessari per trasformare quei principi in norme direttamente precettive. Inoltre, in ogni caso, è necessario procedere a coordinamenti normativi che da parte del Parlamento non sono sempre agevoli.
Nella specificazione dei principi e dei criteri direttivi si è tenuto conto, in quanto appunto compatibili, della legislazione già vigente intervenuta in materia simile, comunque, anche se diversa: mi riferisco in particolare alla legge n. 199 del 2010, che riguarda le pene detentive non superiori a 18 mesi, e ha oggetto misure alternative. Il testo al nostro esame comunque, si riferisce, invece, ad una pena principale comminata dal giudice della cognizione.
Proprio perché c'è stato un lavoro molto complesso, approfondito e veramente costruttivo in Commissione, all'esito anche di audizioni che si sono effettuate, con indagini conoscitive, ritengo sia doveroso ringraziare per il significativo contributo dato i professori Mario Chiavario, Claudia Cesari, Giulio Illuminati, Francesco Caprioli, nonché il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Pag. 4Tamburino, il presidente del tribunale di Torino, Panzani, il giudice del tribunale di Torino, Salvadori, e i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione camere penali italiane.
Sono stati molto utili anche i contributi scritti della dottoressa Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano, e di Claudio Castelli, presidente aggiunto dell'ufficio GIP presso lo stesso tribunale, proprio per verificare le esperienze positive che si sono svolte in materia di lavori di pubblica utilità.
Passo, ora, ad illustrare il testo partendo proprio dalla delega riguardante le pene detentive non carcerarie. Si tratta di una novità nel panorama del diritto penale italiano che si può dire epocale, senza correre il rischio di cadere in facili esaltazioni retoriche che sovente non hanno più, poi, alcuna giustificazione nella realtà dei fatti. La novità consiste nel prevedere che il giudice della cognizione, nel pronunciare la condanna per reati puniti con pene detentive non superiori a quattro anni, possa stabilire che in luogo della detenzione carceraria la reclusione o l'arresto siano eseguiti presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, anche per fasce orarie o per giorni della settimana, in misura non inferiore a quindici giorni e non superiore a quattro anni, nel caso di delitto, non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni nel caso di contravvenzione; è stato escluso da queste previsioni, per evidenti ragioni, il reato di stalking.
Come ha avuto modo di sottolineare il Ministro della giustizia nel corso dell'esame in sede referente si tratta di modifiche che intendono realizzare un'equilibrata politica di decarcerizzazione e dare effettività al principio del minor sacrificio possibile della libertà personale, che comunque viene privata, alla luce del principio di quell'articolo 27 della Costituzione che punta alla rieducazione e umanizzazione della pena e ha inteso bandire ogni trattamento disumano e crudele escludendo dalla pena ogni afflizione che non sia inscindibilmente connessa alla restrizione della libertà personale. Si tratta di un primo passo di avvicinamento a quei sistemi penali, specialmente anglosassoni, dove la pena si modula ogni volta, naturalmente con limitazioni legislative ben precise, sulle reali e concrete esigenze rieducative del condannato, senza mai perdere di vista le valenze retributive preventive che la pena deve comunque sempre mantenere. La delega non può non tenere conto soltanto del principio secondo cui il carcere deve essere considerato extrema ratio, ma anche delle esigenze di sicurezza sociale. Per assicurare queste ultime si è voluto evitare che l'esecuzione domiciliare della pena possa considerarsi un dato acquisito ex ante da colui che commette il reato, bensì il risultato di una specifica e particolare ponderazione effettuata dal giudice della cognizione sulla base di una serie di elementi che sono poi quelli richiamati dall'articolo 133 del codice penale. Non vi è, quindi, alcuna automaticità nel prevedere la reclusione o l'arresto domiciliare; questo è un punto importante, che deve essere tenuto ben presente quando, a torto, si critica questa riforma e questa delega «bollandola» come un indiscriminato «svuota-carceri». Alla base dell'applicazione della nuova pena vi è sempre una prognosi negativa di pericolosità del condannato. Le modifiche effettuate dalla Commissione sono state dettate proprio dall'esigenza di rafforzare questo profilo della delega e di sottolineare l'aspetto di tutela della sicurezza e della società. In questa ottica si è voluto dare risalto anche alle esigenze di tutela delle persone offese che potrebbero essere lese da una esecuzione domiciliare delle pene detentive non adeguatamente ponderata.
Altre modifiche significative attengono alle modalità di controllo che il giudice della cognizione non può, ma - la Commissione ha indicato - deve prevedere; si è previsto accanto ai mezzi elettronici, l'utilizzo di altri strumenti tecnici, in primo luogo i cosiddetti braccialetti, come strumenti di controllo ma non gli unici strumenti di controllo. Ciò consente di svincolare la riforma dalle questioni dei Pag. 5braccialetti elettronici che, oltre ad avere un costo notevole, potrebbero non garantire, se non adeguatamente individuati, i risultati di sicurezza sperati. Si è poi intervenuti nella parte relativa al luogo dove deve essere espiata la detenzione riproducendo la formula, che già indicavo prima, della legge n. 199 del 2010. È evidente che le nuove pene previste, evitando il carcere a chi del carcere non ha bisogno per finalità retributive o rieducative, sono dirette ad ovviare, sia pure in parte, alla drammaticità del problema del sovraffollamento carcerario di cui soffre il nostro sistema penitenziario e sono dirette, ovviamente, a reati di minore disvalore sociale.
Gli articoli da 2 a 6 prevedono il nuovo istituto della messa alla prova. Scopo della nuova disciplina, ispirata alla probation di origine anglosassone, è quello di estendere questo istituto, tipico del processo minorile, al processo penale per adulti in relazione ai reati di minore gravità.
Così si spiega nella relazione illustrativa: l'istituto offre ai condannati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo, e al contempo svolge una funzione deflattiva dei procedimenti penali, in quanto è previsto che l'esito positivo della messa alla prosa estingue il reato. Si tratta, come nel processo minorile, di una probation giudiziale che non presuppone una completa pronuncia con una sentenza di condanna. Anche in questo caso si coniugano esigenze diverse: rieducative della persona, sicurezza della società. Questo bilanciamento di interessi presuppone che anche in questo caso non vi debba essere alcuna automaticità dell'applicazione dell'istituto, ma un controllo da parte del giudice della pericolosità del soggetto, che potrebbe comportare la revoca della sospensione quando questa pericolosità dovesse emergere anche nel corso della probation stessa. Vorrei ricordare che la messa alla prova di maggiorenni è stata più volte presa in considerazione dal Parlamento e dalle commissioni ministeriali di studio, i cui lavori sono serviti, insieme alle proposte che sono abbinate, da spunto per alcune soluzioni tecniche normative adottate nel testo. Mi riferisco, con riferimento appunto alle commissioni di studio, a quelle presiedute dai professori Grosso, Pisapia, Nordio.
Per quanto attiene alla nuova disciplina, si è preferito trasformarla da delega in norma direttamente precettiva. L'appunto importante è che la messa alla prova è disposta dal giudice sentite le parti, e che l'applicazione dell'istituto è però a richiesta dell'imputato. C'è, appunto, il dato del consenso, il del dato della richiesta e della volontà dell'imputato.
Si è introdotto, quindi, l'articolo 168-bis del codice penale, volto a prevedere in via generale l'istituto della sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato, e, si è stabilito, nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta, alternativa alla pena pecuniaria. Questi sono i casi in cui l'imputato può chiedere la sospensione del processo. Ovviamente poi è stato disciplinato il contenuto dell'istituto, prevedendo che la messa alla prova comporta la prestazione di un lavoro di pubblica utilità, nonché condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato. Essa può comportare prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale, una struttura sanitaria, la dimora, la libertà di movimento, il divieto di frequentare determinati locali. È evidente che la messa alla prova può consentire quella realizzazione delle finalità rieducative e riparatorie che la pena detentiva non sempre riesce a garantire.
Si prevede poi in cosa debba consistere il lavoro di pubblica utilità, affermando che si traduce in una prestazione non retribuita di durata non inferiore a 30 giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, regioni, province o comuni o presso enti e organizzazioni non lucrative e di utilità sociale, le ONLUS. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, studio, famiglia, Pag. 6salute dell'imputato, e la durata giornaliera non può superare le otto ore. Si prevede, affinché l'istituto non sia strumentalizzato, che la sospensione dal processo con messa alla prova non possa essere concessa per più di due volte, né più di una volta se si tratta di reato della stessa indole. Inoltre, si prevede che non possa essere concessa a una serie di categorie di soggetti pericolosi, quali delinquenti contravventori abituali o per professione o delinquenti per tendenza. È previsto l'effetto della sospensione del procedimento con messa alla prova; in particolare durante il periodo di sospensione, è ovviamente sospeso il corso della prescrizione del reato per l'imputato che ne ha fatto richiesta e che la sta svolgendo. Si prevede che l'esito positivo della prova estingue il reato, per cui si procede senza pregiudicare applicazioni di sanzioni amministrative accessorie ove siano previste dalla legge.
Poi è stata disciplinata anche l'ipotesi della revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova, in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento e alle prescrizioni. Un principio fondamentale è quello secondo cui, in caso di revoca ovvero di esito negativo della prova, l'istanza di sospensione del processo con messa alla prova non può essere più riproposta per quel fatto e quel processo. Il fatto che il destinatario della sospensione abbia subito la revoca e i fatti in sé dimostrano, anche per il futuro, di non essere un soggetto meritevole di quell'affidamento e di quelle misure che comunque rappresentano un beneficio. Nel codice di procedura penale poi sono state inserite le norme che disciplinano tutte le modalità di applicazione dell'istituto medesimo. Mi riferisco in particolare all'articolo 464 del codice di procedura penale e ai nuovi articoli che vanno a individuare i tempi e i modi di presentazione dell'istanza.
Un ruolo importante da sottolineare è quello che viene in questa proposta affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna, affinché possa essere assicurata un'efficace applicazione dell'istituto. Si stabilisce, per l'appunto, che all'istanza dell'imputato sia allegato un programma di trattamento, elaborato d'intesa con l'ufficio di esecuzione penale esterna e tale allegato deve prevedere le modalità di svolgimento, il riferimento al nucleo familiare e all'ambiente di lavoro, il reinserimento sociale, le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità e a tal fine vengono considerate risarcimento del danno le condotte riparatorie e le restituzioni.
Da segnalare - io credo che sia molto importante - che, nei procedimenti relativi ai reati ambientali di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, ai reati previsti dalla normativa vigente in materia di circolazione stradale e di prevenzione degli infortuni e igiene del lavoro, tali indicazioni (cioè quindi il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni) sono richieste a pena di inammissibilità dell'istanza.
Al fine di decidere sulla concessione ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni, il giudice potrà acquisire, anche attraverso la polizia giudiziaria, i servizi sociali e gli enti pubblici, tutte le informazioni ritenute necessarie proprio in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari e sociali dell'imputato e devono essere portate tempestivamente a conoscenza anche del pubblico ministero e del difensore.
Una specifica ipotesi poi viene disciplinata nel caso in cui la richiesta di sospensione avvenga durante il corso dell'indagine preliminare. Qui è richiesto il consenso del pubblico ministero, insieme all'esercizio quindi dell'azione penale, in particolare la formulazione del capo di imputazione. È anche previsto il caso in cui, nel caso di dissenso, l'imputato può rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado.
Come si diceva, è un procedimento in cui non vi è un accertamento della responsabilità penale, perché il processo si sospende e si inizia questo percorso che è un percorso di affidamento sostanzialmente in prova alternativo alla pena, ma preventivamente il giudice deve escludere Pag. 7che sussistano esigenze o requisiti per il proscioglimento a norma dell'articolo 129 del codice di procedura penale.
In questo caso, quindi, vi è una garanzia che non esistano de plano evidenti ragioni di proscioglimento e quindi di processo che non può in ogni caso andare avanti. Sono stati fissati i limiti del periodo di sospensione, prevedendo che il procedimento non possa essere sospeso per un periodo: superiore a due anni, quando si procede per reati per i quali è prevista la pena detentiva, sola o congiunta con la pena pecuniaria; superiore ad un anno, quando si procede per i reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.
Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova devono poter ricorrere per Cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. Si è poi disciplinata l'esecuzione dell'ordinanza di sospensione del procedimento, prevedendo che il giudice debba stabilire il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi devono essere adempiuti.
Tale termine potrebbe essere prorogato su istanza dell'imputato non più di una volta e solo quando ricorrono gravi e comprovati motivi. Il giudice potrebbe, altresì, ma sempre con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno.
Durante la sospensione del procedimento il giudice, con il consenso dell'imputato, sentito il pubblico ministero, può anche modificare le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alla finalità della messa alla prova e fermo restando, ovviamente, il consenso dell'imputato.
Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dovrà dichiarare con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell'imputato, riterrà che la prova abbia avuto un esito positivo. A tal fine acquisirà le relazioni conclusive dell'ufficio di esecuzione penale esterna che avrà preso in carico l'imputato.
In caso di esito negativo, il giudice dispone con ordinanza che il processo vada vanti, anzi riprenda il suo corso e si è disciplinato, a questo punto, il computo del periodo di messa alla prova eventualmente già effettuato con esito negativo, prevedendo che il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, la pena finale, debba detrarre un periodo corrispondente a quello della prova eseguita, e qui sono stati individuati dei parametri di calcolo.
Con apposite norme in sede di attuazione, coordinamento e transitorie al codice di procedura penale sono state disciplinate le attività dei servizi sociali nei confronti degli adulti ammessi alla prova e su questo rimando alla specificità della relazione sul punto, proprio perché intendo poter arrivare alla conclusione della relazione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. Quindi, strettamente connesse con la specificità dei compiti, degli uffici di esecuzione penale esterna sono le esigenze di rafforzamento di questi uffici. Su questo punto si è previsto, all'articolo 6, che, entro 90 giorni dall'entrata in vigore dalla legge, il Ministro riferisca alle competenti Commissioni in merito alle necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica e anche tempi e modalità di realizzazione.
Gli articoli da 7 a 13, invece, hanno per oggetto la sospensione del processo nei confronti degli irreperibili. Anche in questo caso la Commissione ha sostituito la delega con una disciplina direttamente precettiva, volta a riformare la materia della contumacia, cancellando questo istituto. Si è tenuto conto, come dicevo all'inizio, della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il problema principale che abbiamo dovuto affrontare è stato quello di definire i casi di sospensione quando non si riesca a reperire l'imputato e, correlativamente, i casi in cui si possa procedere anche in assenza dell'imputato perché ragionevolmente si è Pag. 8certi che questi sia a conoscenza del fatto per cui si sta procedendo.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Ferranti.

DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. La ringrazio, Presidente, perché c'è la parte ulteriore, molto tecnica peraltro, e quindi ci riportiamo all'illustrazione della parte concernente la sospensione per il procedimento agli irripetibili.

PRESIDENTE. Il secondo relatore di maggioranza, onorevole Costa, ha facoltà di svolgere la relazione.

ENRICO COSTA, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Constato l'assenza del relatore di minoranza, onorevole Nicola Molteni: si intende che abbia rinunziato ad intervenire.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

PAOLA SEVERINO DI BENEDETTO, Ministro della giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, signora Ministro, il provvedimento di cui discutiamo oggi tratta un argomento delicato, e al contempo urgente, per il sistema giustizia con specifico riguardo all'aspetto processual-penalistico. È frutto di uno stralcio, che è stato richiesto e ottenuto proprio al fine di rispondere più velocemente al problema che ci pone, dandogli una soluzione immediatamente precettiva. Mi riferisco alle disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, che sono state estromesse dalla delega al Governo per essere trattate direttamente da quest'Aula.
Ma andiamo con ordine. Perché questo disegno di legge è stato giudicato da parte nostra con favore? Abbiamo dimostrato peraltro, anche in Commissione, ampia disponibilità nei confronti delle altre parti politiche proprio per raggiungere una soluzione efficace, che puntasse all'introduzione di norme immediatamente applicabili ed effettive. Il senso di tale atteggiamento è da riscontrarsi, per quanto mi riguarda, nello spirito generale delle norme che stiamo introducendo, le quali non sono altro che un mezzo di deflazione del sistema penale e processuale.
Si tratta - e mi soffermo per ora sul contenuto degli articoli 2 e seguenti - di permettere all'imputato di reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con pena edittale detentiva non superiore al massimo a quattro anni di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. È un istituto già noto al processo minorile, che non comporta, si badi, l'estinzione automatica del reato e del processo, anzi il corso della prescrizione del reato è sospeso durante il periodo di messa alla prova. L'estinzione del reato si verifica solo all'esito positivo della prova stessa, che consiste nella prestazione di un lavoro di pubblica utilità e di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato.
La prova può, inoltre, comportare l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria (prescrizioni relative alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali). Ci sono, peraltro, precisi limiti di accesso a tale tipologia di sospensione del procedimento. Pag. 9Ad esempio, non può essere concessa per più di due volte, più di una volta se si tratta di reato della stessa indole, ed è revocata, anche d'ufficio, in caso di grave o reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni imposte.
Queste, per grandi linee, sono le disposizioni che speriamo di introdurre, ma ciò che è più pregnante in sede di discussione sulle linee generali del provvedimento è, a mio parere, il discorso sotteso all'introduzione di un simile meccanismo di potenziale definizione del processo penale. Mi riferisco ai cardini fondanti la teoria della pena e del reato. Mi riferisco, come è stato ricordato dalla collega relatrice, all'articolo 27, comma terzo, della Costituzione, che dice che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.
Ad oggi, stante l'attuale drammatica situazione delle carceri del nostro Paese, stante anche l'indiscussa proliferazione di fattispecie penali che spesso non hanno rispettato il principio di extrema ratio del diritto penale, occorre interrogarsi sulla reale funzione della pena detentiva carceraria e sulle sue conseguenze. Mi spiego meglio: il provvedimento contiene anche all'articolo 1 la delega al Governo per l'introduzione di pene detentive non carcerarie per delitti e contravvenzioni che non superano determinate soglie di pena ed è questo un tema che si affianca a quello della sospensione del processo con messa alla prova per un motivo tanto semplice quanto essenziale: in Italia, è necessario ripensare il sistema sanzionatorio con specifico riguardo alle pene della reclusione, dell'arresto e, inoltre, della misura della custodia cautelare in carcere.
Dobbiamo farlo, ponendo mano a tutti i rimedi che riusciamo ad individuare. Bisogna agire sulle regole sostanziali, prevedendo ab origine pene non carcerarie oppure depenalizzazioni delle tante fattispecie che, ad oggi, costituiscono illecito penale e potrebbero tranquillamente essere trasformate in illeciti amministrativi, ad esempio. Bisogna agire sulle regole processuali, intervenendo su nuove modalità che, al contempo, riducano i tempi del procedimento penale e riducano al minimo le ipotesi di accesso al carcere.
Dico questo, signora Ministro, non perché io sia per un sistema nel quale l'autore di un reato debba restare impunito, giammai. Lo dico perché i principi penalistici originari lo dicevano ed in qualche modo li abbiamo nel tempo traditi attingendo al diritto penale in maniera spesso poco ponderata. Non siamo qui di fronte ad un provvedimento beneficiale, che sta nel solco dell'impunità. L'obiettivo vero è rendere effettive una sanzione e, in un certo qual modo, un'esigenza rieducativa che l'imputato dimostra di avere e, al contempo, di riconoscere.
Al di là degli eventuali correttivi e delle proposte di emendamento, che pure contribuiranno a migliorare il testo del disegno di legge in questione, credo fermamente che il giudizio nei confronti di tale provvedimento debba essere positivo per una ragione sostanziale. Il sistema nel suo complesso e la stessa esigenza rieducativa dell'ipotetico reato o dell'ipotetico autore di un reato «meno grave», lo dico tra virgolette, ricavano una utilità maggiore dal fatto che costui volontariamente si impegni nella conduzione di una prova, con le condizioni e i limiti previsti dall'articolo 2, rispetto all'utilità astratta che si ricaverebbe con una prosecuzione del procedimento.
Con i tempi che conosciamo, con i problemi in termini di carico degli uffici giudiziari e di collasso dei tempi prescrizionali, il processo, peraltro se - e sottolineo se - giungerà mai al termine, comporterà una condanna a pena detentiva non superiore al massimo a quattro anni, con un'efficacia reale ormai minima. Il tempo del processo e l'incertezza della pena rappresentano, già di per sé, motivi di dubbio sulla coerenza tra sanzione penale e reato commesso. Lo stesso principio, secondo cui la responsabilità penale per fatto proprio è personale, viene scalfito quando la pena viene eseguita a distanza di molti anni dalla commissione dell'illecito. Ne abbiamo parlato più volte in quest'Aula e in Commissione, anche con riferimento alla prescrizione del reato, Pag. 10sottolineando come i tempi siano troppo brevi per ragioni contingenti, legate a processi irragionevolmente lunghi, e non perché qualcuno abbia mai voluto negare il fondamento sostanziale del diritto all'oblio. Allora, mi chiedo: è meglio infliggere una pena inutile ad un soggetto che ormai è altro rispetto a quello che ha commesso il reato o è bene incentivare misure, come la messa alla prova, che non solo sono efficaci nella prevenzione speciale, ma sono anche fortemente deflattive del sistema processuale, con ricadute positive sul complesso dell'amministrazione della giustizia?
Analizziamo i soggetti che sono ammessi ad accedere a tale istituto, ossia gli imputati di reati puniti con pena detentiva non superiore, nel massimo, a quattro anni. Sicuramente non parliamo di delinquenti abituali, professionali o recidivi reiterati, perché la richiesta di sospensione del procedimento per messa alla prova può essere fatta solo due volte e, addirittura, una sola volta nel caso di reati della stessa indole. Parliamo, invece, di imputati che, pur non avendo subito un regolare processo con accertamento del fatto e della loro colpevolezza, dimostrano, sin da subito, la volontà di eliminare le eventuali conseguenze dannose del loro eventuale o ipotetico operato.
Penso che non sia più tempo di ragionare per ideologie e per stigmatismi. Occorre prendere atto della situazione di fatto in cui versa il sistema, cercando di rimediare agli errori fatti in passato. Ebbene sì, parlo di errori, perché non possiamo negare che sia stato un errore del legislatore quello di fare, per così dire, «traboccare il vaso» della legislazione penale. È stato un errore e lo definirei un errore conseguente l'allungamento dei tempi processuali e poi, come un cane che si morde la coda, da questi errori è derivato pure un inaccettabile status degli istituti penitenziari.
Che funzione rieducativa o risocializzante possono avere due anni in una delle carceri del nostro Paese? Siamo tutti entrati in un istituto penitenziario e abbiamo visto in che situazione si svolge la vita al suo interno. Sappiamo esattamente che sono stati riscontrati effetti cosiddetti «di ritorno» derivanti dalla permanenza in carcere, i quali addirittura indicano un potenziale effetto incentivante rispetto alla delinquenza (altro che articolo 27 della Costituzione!). Preferisco, senza alcun dubbio, che i soggetti, che in ogni caso non hanno dimostrato un alto indice di delinquenza, poiché si tratta di reati puniti con pene non elevate seppure detentive, e che magari sono stati autori di reati colposi e di reati di nuova generazione - e qui torniamo alla proliferazione della legislazione penalistica - possano svolgere un lavoro di pubblica utilità anziché, eventualmente, essere condannati, chissà quando e chissà se, ad una pena detentiva che sconteranno nei modi e nei termini che ho cercato di indicare prima.
Discorso analogo, in parte, vale per le disposizioni in materia di sospensione del procedimento per l'assenza dell'imputato. Parlo di assenza intesa in senso atecnico poiché si tratta, in realtà, degli imputati irreperibili, della sostanziale eliminazione del processo in contumacia.
Quest'ultimo si verifica quando, non solo l'imputato è assente, ma è anche sostanzialmente ignaro della pendenza di un procedimento a suo carico per l'impossibilità di notificargli l'avviso di udienza.
Processi praticamente celebrati a vuoto, senza un imputato che sia a conoscenza dell'imputazione a suo carico. Con le modifiche che l'articolo 5 del disegno di legge introduce, la disciplina cambierà nel senso che, salvo le ipotesi previste dall'articolo 420-bis del codice di procedura penale, ovvero le ipotesi di mera assenza fisica dell'imputato in udienza per sua espressa rinuncia a presenziare e salve le ipotesi di cui all'articolo 420-ter (impedimento a comparire dell'imputato o del suo difensore), il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente dalla polizia giudiziaria. Qualora la notificazione non risulti possibile, salvo che non debba essere pronunziata sentenza di proscioglimento per obbligo di immediata declaratoria di cause di non Pag. 11punibilità, il giudice non procede in contumacia, ma dispone la sospensione del processo nei confronti dell'imputato assente ed eventualmente acquisisce a richiesta di parte solo le prove non rinviabili.
Inoltre, secondo il nuovo articolo 420-quinquies, il giudice, annualmente o anche prima, quando se ne ravvisi l'esigenza, dispone nuove ricerche dell'imputato per la notifica dell'avviso. In ogni caso, qualora vi sia prova certa che l'imputato è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti, l'ordinanza di sospensione del processo è revocata. È un approccio questo - se vogliamo - pragmatico e costruttivo, che finalmente pone fine ad un'inutile dispersione di risorse da parte dell'apparato dell'amministrazione della giustizia già oberato dai molteplici processi pendenti, con imputati regolarmente avvisati e consapevoli dell'imputazione formulata nei loro confronti.
Siamo di fronte, a mio avviso, a norme ragionevoli, che permettono con poco di deflazionare il carico di processi penali pendenti senza ledere i principi fondamentali che informano il processo come, ad esempio, l'obbligatorietà dell'azione penale. Semmai, l'unico dubbio sorgerebbe sull'astratta violazione del principio di innocenza, poiché la prova viene richiesta in assenza di un accertamento del fatto e della responsabilità dell'imputato in assenza di condanna.
Su questo direi però anche che, in ogni caso, la prova non rappresenta una vera e propria sanzione, malgrado possa prevedere anche limitazioni della libertà personale del soggetto che vi si sottopone.
Quanto all'articolo 1, in materia di delega al Governo in tema di previsione di pene detentive non carcerarie, mi esprimo brevemente. Viene demandata ad un atto a parte, il 5019-ter, la delega in tema di depenalizzazione, argomento del quale ho già espresso le ragioni fondanti, e si mantiene nell'ambito di questo disegno di legge una delega avente ad oggetto l'introduzione delle pene detentive non carcerarie presso l'abitazione.
I principi ed i criteri direttivi prevedono che la detenzione domiciliare diventi la pena detentiva principale per i delitti puniti con la reclusione non superiore, nel massimo, a quattro anni. Gli arresti domiciliari diventano la pena detentiva principale per tutte le contravvenzioni punite con la pena dell'arresto, indipendentemente quindi dall'entità. Una deroga all'applicabilità della misura riguarda - come è stato ricordato - il delitto di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis del codice penale, cosiddetto stalking. Si fissano poi dei limiti minimi e massimi alle misure detentive non carcerarie da introdurre. Il giudice potrà inoltre prescrivere particolari modalità di controllo esercitate attraverso mezzi elettronici o altri strumenti tecnici.
Il limite forte introdotto nei principi di delega sta nel fatto che le misure detentive non carcerarie non potranno essere applicate ove risultino inidonee ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati ovvero quando possono ledere le esigenze di tutela delle persone offese dal reato. Il giudice poi, nel corso dell'esecuzione della pena, potrà sostituire le pene detentive non carcerarie con la reclusione o l'arresto, sia nel caso di indisponibilità di un'abitazione o altro domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato sia per esigenze di tutela della persona offesa.
Questo è il contenuto dell'articolo 1 che, per quanto detto sinora, è abbastanza agevole commentare soprattutto avuto riguardo al vero e proprio parallelismo tra articolo 1 e articolo 4. Si agisce in sostanza tanto sul processo per i reati puniti con pene di entità detentiva massima non superiore a quattro anni sia sull'aspetto sanzionatorio di tali reati. Il parallelo sta proprio nel fatto che laddove un imputato non abbia scelto di richiedere la sospensione del processo con messa in prova o l'abbia richiesta e gli sia stata negata, o ancora non vi fossero le condizioni per accedervi, la pena comunque prevista all'esito della condanna di regola consista in una pena detentiva non carceraria. Sottolineo di regola, perché come abbiamo visto Pag. 12il giudice più tramutare la pena da non carceraria a carceraria se necessario.
Ecco dunque che l'introduzione di pene detentive non carcerarie si ricollega a quello che ho già ampiamente trattato di sovraffollamento carcerario e di effettività della sanzione, ecco quindi che tutto il provvedimento dimostra la sua interna coerenza in una sorta di chiusura finale del cerchio. Noi del gruppo dell'Unione di Centro abbiamo molte ragioni per sostenere questo disegno di legge, anche perché si inserisce all'interno di una serie di provvedimenti che abbiamo sempre sostenuto nel tempo - soprattutto nel corso di quest'ultimo anno, con il Governo presieduto dal professor Monti - volti a deflazionare il sistema processuale penalistico ed affrontare gli aspetti controversi, ad oggi evidenti e dannosi, dell'ambiente carcerario.
Spero fortemente, signor Ministro, che il provvedimento di oggi rappresenti il modello di lavoro sul quale improntare i provvedimenti successivi, tenendo conto della necessità di affrontare realmente la soluzione dei problemi che di fatto ammorbano la giustizia penale. Il sistema deve ripartire e deve migliorare, superando gli ostacoli che in passato hanno rappresentato il sintomo più evidente di una vera e propria patologia cui è necessario trovare rimedio secondo l'adozione non più procrastinabile di riforme mirate e il più possibile condivise.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.

MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, partirò da una considerazione che è attuale in relazione a quanto è accaduto in queste ore in cui abbiamo registrato una decisione che non intendo ovviamente sindacare sotto il profilo dei poteri che spettano alla magistratura, ma che apre un ulteriore confronto in relazione a quanto accade nel nostro Paese. Noi non soltanto negli ultimi 12 anni abbiamo inflazionato il numero dei reati penali: è sufficiente prendere in esame l'opuscolo che la Camera ha predisposto per approfondire i temi di questo provvedimento per rendersi conto di come il legislatore dal 2000 ad oggi abbia inserito decine di pagine relative a nuove figure delittuose e a nuovi reati. Vi è quindi una sostanziale schizofrenia nell'andamento della politica criminale. Da un lato noi continuiamo a ritenere che la norma penale sia il presidio migliore a garanzia di alcuni interessi di rilievo pubblico, d'altro lato siamo costretti ad intervenire per mitigare gli effetti di quelle norme penali o attraverso scorciatoie che sono pur mutuate da altri ordinamenti oppure attraverso incidenti esecutivi che permettano di sostituire la pena detentiva a causa di un'inflazione anche degli istituti penitenziari.
Credo che questa schizofrenia debba essere affrontata con forza ed è evidente che questo Parlamento non lo potrà fare nell'ultimo scorcio di legislatura, ma mi augurerei che i programmi elettorali che si confronteranno nelle prossime occasioni tengano precipuamente conto di questo aspetto. Non è pensabile continuare in questo modo. Come Popolo della Libertà, all'interno del programma relativo alla giustizia, avevamo inserito anche la messa alla prova, che oggi trova corrispondenza nell'iniziativa del Governo e nel lavoro delle Commissioni parlamentari. Lo avevamo fatto perché ritenevamo che quella strada, già prevista in altri ordinamenti e conosciuta nel nostro per quanto concerne i minori, fosse una strada da utilizzare, non tanto per quanto concerne gli effetti sulla cosiddetta deflazione del sistema penitenziario, su cui tornerò, quanto perché, per ragioni di civiltà, riteniamo che anche in casi in cui una persona abbia sbagliato, di fronte a reati di portata minore rispetto alla gravità degli altri, questa strada possa essere utile per recuperare, sotto il profilo di ciò che prevede l'articolo 27 della nostra Carta costituzionale, quella persona alla società civile. Lo abbiamo fatto portando quindi il nostro contributo. Non nascondo in quest'Aula che alcune obiezioni le abbiamo formulate, quando ad esempio si è trattato di discutere se la messa alla prova dovesse essere concessa una volta sola o più di una volta, come nel Pag. 13caso la norma prevede almeno due volte. La nostra è stata un'obiezione anche sotto il profilo logico oltre che giuridico, perché abbiamo ritenuto - e riteniamo tuttora, pur essendo ovviamente disposti a votare questo testo - che la messa alla prova, come altri sistemi che sono previsti dal nostro ordinamento, debba essere meritata. Chi, già ottenuta la messa alla prova, magari commetta successivamente all'estinzione del reato un altro fatto delittuoso, riteniamo che dovrebbe essere valutato dal magistrato che procede con maggiore severità, perché diversamente questo strumento rischia di essere quello che noi non vorremmo, cioè un sistema per evitare il carcere e non invece un sistema per dimostrare di avere capito e compreso la lezione relativa all'errore commesso, attraverso quindi il lavoro di pubblica utilità, raggiungendo un nuovo riscatto sociale. Questa è l'intenzione, questa è anche la modalità con cui noi voteremo a favore di queste nuove disposizioni legislative a cui crediamo. Continueremo in questa direzione a farlo, perché anche le ragioni di sicurezza è giusto che vengano valutate. Quando attraverso il nostro emendamento abbiamo chiesto - devo dire che la Commissione lo ho accolto insieme al Governo - che questo sistema, per evitare la sanzione carceraria, fosse precluso a chi era delinquente per tendenza, abituale o professionale, abbiamo trovato anche qui naturalmente l'ascolto da parte del Governo e da parte degli altri gruppi parlamentari, quindi ponendo un altro tassello all'elemento che è oggetto di questa discussione. Cos'è che ci preoccupa, signora Ministro? Ci preoccupa l'attuazione di questo provvedimento. Lei sa che si prevede che il lavoro di pubblica utilità sia prestato presso regioni, province e comuni o presso enti e organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Noi la invitiamo a verificare per tempo, prima cioè che questo provvedimento diventi legge, se queste amministrazioni pubbliche, senza oneri, perché questo è un provvedimento, come lei mi insegna, che ha la clausola di non onerosità, siano in grado di dare risposte. La cosa peggiore, una volta varata questa disposizione, infatti, potrebbe essere un'applicazione a macchia di leopardo, cioè in quelle aree dove esistono le eventuali convenzioni per la messa alla prova la norma si applica, laddove queste possibilità non ci sono, la norma non trova applicazione. Ecco perché riteniamo di dover sottolineare anche questo aspetto, perché, a quanto ci risulta, nella fase in cui questo sistema viene applicato non con la messa alla prova, ma con il lavoro di pubblica utilità, ci sono purtroppo situazioni all'interno delle amministrazioni pubbliche in cui non vi sono questi protocolli e non vi è quindi la possibilità di ricorrere oggi a quel tipo di lavori socialmente utili, che sostituiscono quindi, ad esempio, le sanzioni irrogate dal giudice di pace, e non vorremmo che questo accadesse un domani anche con la messa alla prova.
Per quanto concerne, invece, la questione relativa alla sospensione del processo per irreperibilità dell'imputato, credo che il nostro adeguamento sia necessitato, come è stato ben ricordato, dalle pronunce della Corte europea per i diritti dell'uomo, e quindi anche dalla stessa Convenzione europea.
Anche qui vorrei dare un suggerimento: noi riteniamo che, una volta applicata questa disposizione, all'interno della Relazione sullo stato della giustizia vadano evidenziati i processi che sono stati sospesi per irreperibilità dell'imputato, perché non vorremmo, purtroppo, magari anche per reati gravi, che questa potesse diventare una situazione a cui ci si abitua facilmente, tanto il procedimento rimane sospeso, la prescrizione non corre, e quindi - ecco il punto - quel processo potrebbe essere celebrato anche a distanza di anni.
Non credo che sia questo il desiderio del Ministro, del Governo e delle forze politiche che si accingono a votare anche questo rimedio di carattere processuale, perché noi riteniamo sempre che l'imputato debba essere giudicato in termini ragionevoli, debba essere assolto, se merita di essere assolto, o condannato, e quindi scontare la pena, pur nell'ambito di quello Pag. 14che prevede l'ordinamento giuridico nazionale, se riconosciuto colpevole con sentenza definitiva.
Vorrei, invece, spendere alcune parole sulle altre due questioni. La prima riguarda l'attuale stesura della delega prevista dall'articolo 1 in materia di pene detentive non carcerarie. Il Popolo della Libertà, in sede di discussione in Commissione, ha già chiesto una modifica e sta discutendo con i colleghi degli altri gruppi parlamentari, e anche con il Governo, per ottenerla. Noi riteniamo che sia un errore, diciamo così, culturale, sul piano giuridico, prevedere, come fa l'attuale testo normativo, che per i delitti puniti fino a quattro anni la pena detentiva principale sia la reclusione presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza.
Questo lo diciamo perché, ancora una volta, noi riteniamo che un'eventuale riforma del codice penale debba essere affidata, come è stato fatto in passato, a delle apposite commissioni e debba, forse, essere finalmente affrontata con un confronto parlamentare ampio, che preveda, però, un intervento organico del sistema giuspenalistico, e non affidata, a mio giudizio, ad interventi che, pur avendo, come sottolineerò, un loro fondamento e pur essendo anche da noi accettati per quanto riguarda il confronto sotto il profilo culturale, rischiano di mettere in discussione uno degli elementi fondanti anche della tutela della sicurezza del nostro sistema.
Lei sa, signor Ministro, che i reati puniti con pene fino a quattro anni sono molteplici e alcuni di questi hanno anche delle situazioni alla base che sono delicate. Le dirò subito che non condivido l'esclusione prevista per il reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale. Non si è mai vista una disposizione di carattere generale che escluda, attenzione, la possibilità di potere essere condannati a scontare la pena al proprio domicilio anche, ad esempio, in una casa di cura, anche, ad esempio, in un istituto in cui la persona sia disponibile ad essere ricoverata per affrontare i problemi che naturalmente il procedimento penale ha evidenziato nei suoi confronti.
È un'esclusione, se mi consente, di quelle mediatiche, e siccome io continuo a combattere il confronto sulla giustizia - su questo torneremo anche in tema di corruzione - attraverso i mezzi di comunicazione, voglio dire anche in questa Aula che la norma deve essere di carattere generale, perché, da un lato, deve rimanere la previsione della pena come detenzione nell'istituto penitenziario, perché questo denota il disvalore della fattispecie, dall'altro lato, ancora una volta, deve essere il magistrato, che è chiamato a valutare il fatto nel processo, a giudicare se quella persona merita, attraverso il nuovo istituto, di essere affidata alla pena domiciliare piuttosto che al carcere.
Questo lo dico per un concetto di responsabilità che deve essere rimesso nelle mani del magistrato. È il magistrato il giudice del fatto, non il legislatore, anche perché, signor Ministro, me lo permetta, io sono stanco di vedere durante i dibattiti, anche in televisione, che la colpa è sempre del legislatore.
Quando qualcosa non funziona - mi riferisco alla sentenza che si sta discutendo in queste ore sui mezzi di comunicazione - la colpa è sempre del legislatore; quando qualcuno viene messo fuori, mentre meriterebbe di stare in carcere, la colpa è del legislatore, quando qualcuno, durante un permesso premio, effettua una rapina la colpa è del legislatore! Questo alibi deve finire, signora Ministro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! La responsabilità, nel nostro ordinamento, deve essere affidata esclusivamente al magistrato!
Noi del Popolo della Libertà siamo disponibili - come sempre, e lo dimostreremo anche in questa occasione - a votare dei provvedimenti che consentono a chi è responsabile di reati minori di non conoscere l'ignominia del carcere, ma quando esistono dei presupposti di garanzia per la collettività, quando la persona soggetta al processo dimostra, anche attraverso il suo atteggiamento, di meritare la sanzione sostitutiva Pag. 15e, quindi, quando quelle garanzie sono passate al vaglio di un magistrato che, attraverso il suo provvedimento, adotta la sua decisione.
Signora Ministro, l'altra questione - ma torneremo su questo - riguarda l'ampliamento dei reati. Come ho detto in apertura del mio intervento, credo sia arrivato il momento, nella prossima legislatura, di affrontare con forza questo aspetto per distinguere effettivamente le norme che richiedono l'intervento punitivo dello Stato da quelle che possono essere affrontate in altro modo, con altre misure.
Quello che mi preoccupa è, ancora una volta, quello che accade. Troppe volte, signora Ministro, devo registrare l'utilizzo di norme penali o processuali come elemento per raggiungere finalità completamente diverse. Ho anticipato che non voglio entrare in questa recente decisione. Trovo che quella data da parte di chi faceva parte - perdoni il bisticcio di parole - della Commissione grandi rischi sia una risposta corretta, perché quando la magistratura non ha limiti di giurisdizione è giusto che le persone che non sanno come comportarsi a difesa dell'incolumità pubblica rassegnino le dimissioni, perché in questo Paese, in molti casi ed in molte occasioni, siamo passati dalla certezza del diritto all'incertezza del diritto. Ho l'impressione che anche questo elemento debba essere affrontato con forza, attraverso un confronto, un dibattito, per evitare quello che io chiamo un eccessivo sconfinamento della giurisdizione, soprattutto di carattere penale.
Detto questo, nella parte conclusiva del mio intervento, signora Ministro, vorrei ribadire un aspetto su cui l'ho già intrattenuta in sede di Commissione e anche durante un confronto che abbiamo avuto come rappresentanti del Popolo della Libertà.
Ho chiesto che, come gesto di buona volontà, lei si faccia interprete di una volontà abbastanza diffusa tra i gruppi parlamentari della Commissione giustizia. Lei sa che tra gli obiettivi delle riforme del Ministro Angelino Alfano vi era anche la realizzazione dei nuovi istituti carcerari previsti da quel programma straordinario. Sa anche, visto che lo abbiamo ricordato nel relativo passaggio parlamentare, che il Comitato interministeriale per la programmazione economica, con una delibera dell'inizio di quest'anno, ha stabilito lo stanziamento di 122 milioni di euro per realizzare i primi quattro istituti carcerari previsti in quel programma straordinario. Purtroppo, in esito ad una mia specifica richiesta, il sottosegretario che ha risposto, nel mese scorso, alla Commissione ha ricordato che è previsto il trasferimento solo di una annualità, pari ad una quarantina di milioni di euro.
Signora Ministro, pur sommariamente ho esaminato il testo del disegno di legge di stabilità. All'articolo 8 dello stesso è inserita una serie di interventi riferiti ad esigenze indifferibili. Mi permetta di sottolineare che non posso accettare che, tra decine di interventi indifferibili, non vi sia il trasferimento integrale di quell'importo, anche perché per i suddetti quattro istituti carcerari vi è una progettazione di massima già predisposta sulla base delle assicurazioni fornite dal commissario incaricato. Sarebbe veramente drammatico che, mentre noi dobbiamo varare dei provvedimenti per rendere meno grave la situazione carceraria, il Governo non abbia la forza, signora Ministro, di imporre che quei 122 milioni di euro siano assicurati nel bilancio del 2013 per permettere che quei quattro istituti penitenziari vengano realizzati, senza ulteriori ritardi e senza ulteriori indugi!
Se dobbiamo agire su due fronti, non è più giustificabile che, da un lato, non vi siano risorse per realizzare almeno la fase iniziale di quel programma penitenziario e che, dall'altro, i gruppi parlamentari siano impegnati con senso di responsabilità (per carità, doverosamente) - aggiungo anche questo - ad affrontare dei provvedimenti che sono sostitutivi della detenzione in carcere, come la messa alla prova che porta all'estinzione e, naturalmente, la detenzione domiciliare.
Questo è, quindi, l'auspicio e l'invito che come Popolo della Libertà facciamo per garantire ai cittadini, che ascoltano Pag. 16anche questo dibattito e che vedranno tra breve l'inserimento nel nostro ordinamento di queste ulteriori misure alternative al carcere, quelle esigenze di sicurezza che, soltanto attraverso quell'investimento e soltanto attraverso la realizzazione di nuovi istituti, può essere assicurata.
Non è una buona risposta quella di dire che, se i posti in carcere non bastano, tutti torneranno a casa. La risposta seria è quella di affermare contemporaneamente che alla detenzione domiciliare ed alla messa in prova ci andrà chi lo merita, e se non rispetterà quelle che sono le leggi dello Stato, l'alternativa sarà l'istituto penitenziario. Per chi, invece, non merita queste misure alternative, la pena detentiva, conseguente alla sentenza divenuta definitiva, diventa l'unico riscatto che la società civile chiede a chi ha sbagliato dovendo saldare il suo debito.
Quindi, signora Ministro, ci aspettiamo da lei che, in sede di varo definitivo della legge di stabilità, si possa garantire quell'importo e la realizzazione, quindi, di quei primi quattro istituti penitenziari.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.

GUIDO MELIS. Signor Presidente, come è noto e come è stato qui ricordato dalla relatrice onorevole Ferranti, l'istituto della messa in prova di cui oggi ci occupiamo deriva dall'ordinamento della giustizia minorile, essendo stato introdotto nel 1988 (Decreto del Presidente della Repubblica n. 488 del 1988, specificamente agli articoli 28 e 29). Ma se ne può individuare un modello più remoto, sperimentato nell'antico istituto anglosassone della probation e anche, come è stato suggerito con maggiore esattezza da qualche studioso, nell'istituto simile - ma lo stesso più specifico - della diversion.
Nel caso italiano della giustizia minorile si potrebbe forse dire che c'è stata una sintesi di questi due istituti perché il primo, la probation, interviene a sentenza già pronunciata e non esplica quindi effetti né sulla decongestione dell'attività giudiziaria né sul devastante impatto psicologico del minore con la sentenza di condanna; mentre il secondo istituto, la diversion - più simile in ciò all'istituto italiano anche se se ne differenzia come dirò - agisce nel corso dello stesso processo, ma sottraendo interamente il minore al circuito giudiziario prima della celebrazione del processo stesso, ciò che al contrario non accade, o comunque non altrettanto drasticamente, nella legge italiana del 1988.
In ogni caso questi istituti hanno, negli ordinamenti anglosassoni da cui derivano, le loro radici ed anche una lunga storia positiva, che qui non è il caso che io ripercorra. Ricordo solo che negli Stati Uniti il primo caso capitò ad un illuminato giudice di Boston nel 1841 (un episodio di alcolismo molesto) e che in Inghilterra la prima normativa risale al 1847.
Molto più tardi si sono radicati nell'Europa continentale del secondo dopoguerra (specificatamente negli anni Cinquanta) e solo negli anni Settanta sono stati finalmente fatti oggetto di un importante dibattito in Italia, finché finalmente la legge delega del 1987, riguardante il nuovo rito penale, non ha richiamato il dovere del giudice di valutare compiutamente la personalità del minorenne sotto l'aspetto psichico, sociale ed ambientale anche ai fini dell'apprezzamento del risultato degli interventi di sostegno disposti, conferendo la facoltà di sospendere il processo per un tempo determinato.
Sul tema del resto ricordo ancora il Consiglio d'Europa che, nella raccomandazione R(2010)1, ha emanato 108 meticolosi punti, dai quali emergono con chiarezza condizioni, estensione, limiti peculiari e modalità di attuazione di questi istituti, sia pure nella ribadita autonomia di modularli, a seconda della propria tradizione, nei singoli ordinamenti nazionali che intendano adottarli.
Siamo oggi però, con questo provvedimento in discussione, di fronte a qualcosa di inedito per l'Italia, cioè ad una significativa estensione della messa in prova alla realtà dei detenuti adulti in ragione di motivazioni tutte di grande rilievo. Pag. 17
Non sottovaluterei questa novità che non esito, insieme a Donatella Ferranti, a definire storica, né sottovaluterei gli effetti benefici che potrebbe produrre in futuro sull'ordinamento penale nel suo complesso l'introduzione di questo istituto. Il dibattito in Commissione ha posto in evidenza, nella linea del resto, come riconosciamo, più volte enunciata dal Ministro Severino, come occorra oggi introdurre concrete misure di deflazione del sistema penale, di sfoltimento dell'insopportabile situazione di sovraffollamento delle carceri.
La misura in discussione, sotto questi profili, avrebbe dovuto accompagnarsi, come è stato già detto, ad un drastico intervento di depenalizzazione sul codice, ciò che per il momento non è avvenuto essendo stato stralciato, per rispettare i tempi dell'esame in Aula, l'articolo relativo a quello specifico punto. E, comunque, avrebbe dovuto inquadrarsi in un provvedimento più vasto, impegnativo e anche ambizioso comprendente la depenalizzazione dei reati minori e misure sulla pena detentiva domiciliare, cioè far parte di un percorso complessivo che è andato via via assottigliandosi nel corso dell'iter parlamentare per varie ragioni, certamente valide, che, tuttavia, ne hanno - riconosciamolo - in parte alterato la natura complessiva e temo anche limitato gli effetti sul piano generale.
In ogni caso, noi deputati del Partito Democratico vogliamo esprimere, pur con queste considerazioni, sul provvedimento in esame, anche così com'è, un convinto giudizio positivo. Comprendiamo e apprezziamo le obiezioni e i timori, in particolare quelli espressi nel corso dei lavori della Commissione giustizia, ma ci rassicura la dichiarazione del Ministro che, attraverso il provvedimento, il Governo non intende adottare alcun tipo di automatismo, sì da incoraggiare indirettamente chi compie un reato nella convinzione poi di poter evitare il carcere. Il testo che discutiamo contiene, in questo senso, ci sembra, delle precisazioni puntuali, sia per quanto riguarda la valutazione da parte del giudice della buona riuscita della prova, condizione sine qua non per l'estinzione del reato, sia per quanto attiene alla non pericolosità sociale del beneficiario. Confidiamo che, come già accaduto nell'ambito della giustizia minorile, sia il prudente apprezzamento del giudice caso per caso, con attenta valutazione delle circostanze, a garantire la realizzazione più coerente dei fini del provvedimento, senza con ciò ledere i sacrosanti diritti delle parti lese, né tantomeno introdurre elementi di confusione nell'intero sistema.
Il testo, poi, prevede espressamente, direi meticolosamente, le cause dell'eventuale sospensione e revoca della messa in prova. Del resto, a margine, mi sia consentito di osservare che, specie nel caso di cui si discute - pene sino a quattro anni, non parliamo, quindi, di delinquenti socialmente ultrapericolosi, anche se, naturalmente, parliamo pur sempre di delinquenti - il carcere costituisce spesso una sede non idonea per la riabilitazione, dovendosi ammettere, una volte per tutte, che, nelle condizioni storiche date, in Italia oggi il sovraffollamento, lo stato dei luoghi, le condizioni materiali della detenzione ostacolano enormemente, per non dire che impediscono e vanificano, le attività riabilitative rivolte ai detenuti. Può capitare a chi entri in carcere di radicalizzarsi nel crimine piuttosto che di essere aiutato a riscattarsene. È una verità amara della quale dobbiamo prendere atto.
Anche per queste ragioni, signor Presidente, noi sosteniamo il provvedimento, pur consapevoli - e voglio concludere con una nota di realismo - dei suoi effetti necessariamente parziali e limitati, soprattutto perché questa misura, come ripeto, fa parte di un complesso più ampio, vorrei dire di una politica penale complessiva e unitaria volta alla risocializzazione e al recupero; una politica che si compone e dovrà comporsi in futuro di altri tasselli non realizzati e, purtroppo, destinati a non realizzarsi in quest'ultimo scorcio di legislatura.
Ma, votando questo provvedimento, noi prendiamo anche l'impegno di proseguire questa linea nella legislatura che verrà e contiamo di poterlo fare con maggiore forza di quanto non sia stato possibile in Pag. 18questa legislatura che si chiude. E, tuttavia, noi, approvando la legge, una legge, come ripeto, ancora limitata, daremo comunque un segnale molto importante: è finita la lunga notte che ha caratterizzato la prima parte di questa legislatura nella quale si sono moltiplicati i reati, si sono riempite fino all'inverosimile le carceri, si è fatta una politica inutilmente repressiva. Penso solo a tutta la politica nei confronti dell'immigrazione che ha creato sostanzialmente criminalità dove non ce n'era e che ha prodotto sovraffollamento carcerario dove non v'era bisogno di produrlo.
Penso che noi possiamo dedicare la prossima legislatura ad una seria politica di depenalizzazione, di razionalizzazione del sistema penitenziario e di attuazione della Costituzione. Questo istituto che ci viene dalla migliore tradizione europea credo che ci possa aiutare ad incamminarci su questa strada. Mi auguro che questo provvedimento prepari e aiuti questo processo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolini. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, la Lega Nord è contraria a questo provvedimento per una serie di ragioni, in buona parte già espresse da qualche collega. In particolare, mi riferisco all'intervento dell'onorevole Contento, parlare dopo il quale è sempre difficile perché, condividendo spesso molte posizioni, si corre il rischio di ripetere pedissequamente quello che egli in parte ha già anticipato; tuttavia, non posso esimermi dal condividere buona parte delle cose che ha detto.
Questo provvedimento è senz'altro singolare, perché parla di efficienza del sistema e cerca di «contrabbandare» una cosa che non ha poi l'efficienza che prevede; i numeri, infatti, ci dicono tutt'altro: e cioè, che dei 66 mila detenuti attualmente in carcere - o, grossomodo questo numero - solo 1.000-1.200 rientrerebbero nella fascia che, eventualmente, usufruirebbe dei benefici deflattivi di questo provvedimento. Quindi, in realtà, essendo ampiamente superiori alla capienza tollerabile i rimanenti 64-65 mila detenuti, che eventualmente resterebbero in carcere, avremo comunque il problema delle carceri sovraffollate e avremo comunque leso un principio fondamentale, che è quello della funzione generale preventiva della pena. È questo il punto filosofico che la Lega Nord non condivide.
Infatti, con questo provvedimento, noi diciamo al potenziale delinquente - che magari, forse, non è ancora un delinquente, ma che da questa norma verrà senz'altro incoraggiato a diventarlo - che fino a quattro anni, sempre che venga colto con le mani nel sacco e, quindi, scoperto (percentuale che per certi reati assomma il 2-3 per cento), comunque, per quanto grossa possa farla, non andrà in carcere. Nella peggiore delle ipotesi, troverà una giustizia molto comprensiva che, fino a due volte - che, poi, con le sospensioni e le condizionali che si susseguono sempre sono diventate, di fatto, quattro -, gli consentirà di essere prima messo alla prova ovvero condannato alla detenzione domiciliare, cioè a stare a casa sua. Poiché notoriamente chi delinque, chi ruba, chi si approfitta delle risorse pubbliche e private ha case molto confortevoli, non so fino a che punto questa sanzione sia così afflittiva.
Pertanto, mi chiedo già sotto questo profilo, con quale criterio si possa vedere con favore, con quale prospettiva e, soprattutto, con quale rispetto della volontà del popolo italiano - quello che, tutto sommato, dovrebbe essere sovrano - si possa plaudire ad una norma del genere. Inoltre, adesso, guardavo velocemente qualche reato, e questa norma non è che riguarda questioni bagatellari: stiamo parlando tutti i giorni, stanno parlando tutti i giorni nelle piazze di norme anticorruzione e, poi, vediamo che in questa normativa rientrano, ad esempio, la malversazione (con pena da sei a quattro anni), la corruzione per atti d'ufficio (da sei a tre), l'indebita percezione di erogazioni a Pag. 19danno dello Stato, l'oltraggio a pubblico ufficiale, il falso giuramento, la falsa informazione al pubblico ministero.
In altri termini, qui parliamo di reati in una forma - veramente, mi ha rubato poco fa la parola l'onorevole Contento, ma ne parlavo poco prima con il collega Volpi, che può testimoniare -, in un atteggiamento veramente schizofrenico. Infatti, lo Stato, da un lato, sta blaterando che vuole inasprire alcune sanzioni per certi reati - parla di anticorruzione - mentre, poi, dall'altro, introduce queste norme, con riferimento alle quali, comunque, se io fossi un corrotto, sarei abbastanza contento. Infatti, direi: accidenti, faccio malversazione, corruzione per atti d'ufficio, percepisco indebite erogazioni, magari, do anche false informazioni al pubblico ministero, e se mi va proprio male, male, sto quattro anni a casa mia; sto un bel periodo di periodo di tempo a casa mia, salvo, invece, essere messo alla prova e superarla. Infatti, quando uno si è arricchito indebitamente può anche fare per qualche mese, per qualche giorno, per qualche ora, il bravo e, magari, andare servire anche i piatti alla mensa dei poveri o fare il commercialista per associazioni no profit, dopo aver rubato miliardi, però avendoli ben nascosti chissà dove. Avrei, quindi, un'ottima via d'uscita.
È vero che tutto è revocabile; è vero che il giudice, comunque, può dire la sua; questo, evidentemente, non lo nascondo, però è anche vero che contro ogni provvedimento di revoca può essere presentato ricorso in Cassazione e di conseguenza l'eventuale revoca, ove non sia ampiamente e in modo inequivocabile motivata, potrà essere sempre impugnata e comunque, ancora una volta, il reo potrà avere una via d'uscita giudiziaria. Il punto vero, guardate, è questo; a noi sembra, in generale, che prevedere questo limite edittale di pena così alto sia già, di per sé, un fatto non positivo. Ancora un riferimento a quello che ha detto Contento e che condivido: gli unici esclusi da questi benefici, con dubbi anche di costituzionalità, sono quelli che hanno commesso il reato di stalking - che tra l'altro non è solo quello che comunemente la gente immagina dell'ex marito che molesta la moglie o l'ex fidanzata ma può essere anche commesso tra vicini di casa e così via - e quindi abbiamo una situazione in cui una particolare tipologia di rei - non dico di criminali ma, certamente di colpevoli, riconosciuti tali o presunti tali - viene esclusa da un beneficio a cui tutti gli altri possono accedere. Mi chiedo se sia più grave uno che commette il reato di stalking oppure uno che rompe la faccia di botte ad un altro però, magari, non produce lesioni gravissime e quindi rientra nel limite edittale di pena per cui può eventualmente usufruire di questi benefici.
In generale, inoltre, la nostra visione negativa di questo provvedimento deriva anche da una considerazione generale, vale a dire lo Stato sta, sempre più, rinunciando alla propria pretesa punitiva; allora, siccome non riesce a fare le carceri, non riesce ad assumere guardie e agenti di polizia penitenziaria - tra l'altro, mi risulta che un concorso sia bloccato per un ricorso di sole sette persone e quindi più di alcune centinaia di vincitori di concorso non possono essere assunti, ma glielo dirò in una specifica interrogazione, signor Ministro - seppure abbia promesso cento volte di realizzare il piano carceri, lo Stato stesso non riesce né a fare le carceri, né ad assumere personale che è gravemente sotto organico, quindi, cosa fa? Elimina il problema, non manda più in carcere nessuno. Credo che questa sia veramente una resa di fronte all'illegalità che, al di là del numero di persone che incapperanno nei benefici di questa norma e che, lo ripetiamo, secondo i nostri calcoli è abbastanza modesto, è veramente sul piano filosofico discutibile.
Lo Stato non può dichiarare: io non riesco a fare le carceri, non assumo gente e quindi non punisco più nessuno, ti mando a casa. All'interno di questa norma c'è una cosa che, a mio avviso, fa sorridere: addirittura, lo sconto della pena ai domiciliari può essere anche articolato per ore, cioè dalle 8 di mattina alle 12 sei libero, poi dalle 12 alle 18 torni carcerato. Penso che se la gente comune, quel popolo Pag. 20che si indigna, capisce una cosa del genere si mette a ridere. Ne capisco la finalità, per l'amor di Dio, è chiaro, se questo lavora e lo vuoi recuperare, lo devi mandare a lavorare ma, insomma, mi sembra una cosa addirittura singolare; francamente mi sembra sminuire; che tipo di deterrenza ha una norma di questo genere presso chi vuole commettere reati tra cui lesioni personali, percosse, diffamazione, truffa? Uno dei vantaggi di questa norma è che, ove entrasse in vigore subito, il buon Sallusti non finirebbe più in carcere, ma andrebbe magari da qualche altra parte, verrebbe messo alla prova.
Un ultimo passaggio sul tema; noi abbiamo definito questa norma «salva delinquenti», l'espressione sarà un po' colorita, ma, in buona sostanza, riflette quello che è l'effetto di questa normativa che, come anche qui ricordava Contento - purtroppo per me ha parlato prima, ma alcune cose le avevo notate ovviamente - addirittura viene reiterato. Uno viene messo alla prova, la fallisce e poi può essere rimesso alla prova; e sono già due, poi se ci aggiungiamo il fatto che anche qui pare che possano cumularsi questi benefici con il beneficio della condizionale, abbiamo sulla carta che quattro più quattro anni più due più due, teoricamente un signore potrebbe avere anche dieci anni da scontare senza farsi un giorno di galera. Forse ho sbagliato i conti, ma il concetto credo sia chiaro.
L'ufficio esecuzioni penali esterne è gravemente sotto organico, dal 1999, se non ricordo male, non viene rimpinguato di personale e ora si chiede da un lato di favorire questo tipo di esecuzione penale esterna, salvo poi non prevedere come concretamente far eseguire queste pene.
Ricordo un pochino anche la stessa procedura seguita per chiudere i tribunali: normalmente un bottegaio, quando chiude la vecchia bottega, prima si procura il nuovo negozio, per poter poi quindi non perdere neanche un giorno gli affari; chiude quella e ha trovato aperta quest'altra. Con i tribunali, invece, si è deciso, in molti casi, almeno in quelli di cui ho diretta conoscenza, di chiudere le vecchie sedi o le sedi distaccate senza avere ben chiaro già da ora e senza aver già predisposto le sedi in cui il personale, i fascicoli e tutto il resto dovrà andare a finire, e quindi sicuramente con costi e disfunzioni organizzative e funzionali notevoli.
Naturalmente anche un provvedimento in buona parte negativo ha qualcosa di buono: assolutamente condivisibile è la sospensione del procedimento per gli irreperibili. Peccato che in Francia lo facciano da 15 anni e noi italiani siamo arrivati, come sempre, buoni ultimi. Infatti, chiunque ha una minima esperienza penale sa che è desolante vedere processi a fantasmi che si concludono con sentenze a fantasmi, che non verranno mai applicate. Io stesso ho avuto conoscenza di un processo in cui un signore è stato condannato, ma siccome il nome non era suo è stato condannato un fantasma, che nessuno scoprirà mai più, perché nessuno si è premurato di accertare se quel nome, quell'alias, fosse veramente corrispondente ad una persona fisica. Quindi, come dicevo, la sospensione del procedimento per gli irreperibili è senz'altro una cosa positiva. Altrettanto positiva - e direi, grazie a Dio - è l'esclusione da questo beneficio di delinquenti abituali e professionali e per tendenza. Ci mancherebbe che questi signori, che vivono di crimine o abitualmente vivono di crimine, possano poi anche contare sulla benevolenza dello Stato.
Inoltre, trovo discutibili le fasce orarie e giornaliere. Aggiungo anche, tra parentesi, che qualcosa, sempre in senso favorevole a chi delinque e mai alle vittime, questo Governo aveva fatto, perché con la legge 17 febbraio 2012, n. 9, era stata già estesa la fruibilità della detenzione domiciliare, già prevista con la legge n. 199 del 2010, per tutti coloro che devono scontare meno di 18 mesi di carcere. Concordo ancora una volta con l'onorevole Contento dicendo che, siccome abbiamo dei giudici in grandissima parte competenti e professionali, a nostro avviso dovrebbe essere il giudice colui che alla fine decide o no anche il tipo di sanzione, e che questa non deve essere una decisione rimessa al Governo Pag. 21con una legge delega per la quale il Comitato per la legislazione ha già osservato - e leggo per essere preciso - che: laddove si dice che entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi di cui al presente articolo, utilizzando dunque una formulazione che genera incertezza circa il termine ultimo per l'esercizio della delega integrativa e correttiva, salvo che nell'unico decreto legislativo o nell'ultimo di essi, in caso di pluralità di regolamenti, non vi sia un'autoqualificazione del provvedimento in termini di ultimo decreto legislativo. In parole poverissime, significa che il Governo può procrastinare sine die, a sua discrezione, il termine, il fine dell'esercizio della delega, perché semplicemente gli basterà non qualificare mai come ultimo decreto quello oggi emesso, per poter poi tenersi una delega che sarà sicuramente più longeva rispetto alla durata di questo Governo che, per Costituzione, comunque, volenti o nolenti, finirà alle prossime elezioni politiche.
Quindi, il giudizio è sostanzialmente negativo: si tratta di un palliativo che non risolve il problema; si tratta di un messaggio dato alla criminalità, non solo italiana, ma anche straniera, che qui, in questo Paese, tutto si può fare; si tratta di un messaggio che va in controtendenza anche rispetto a taluni reati quali appunto la corruzione, su cui tutti i giorni sentiamo chiunque scagliarsi contro, ma poi introduciamo una norma che esclude gli stalker ma non esclude i corrotti, coloro che dovrebbero, secondo noi per primi, affrontare la durezza del carcere, proprio perché sono coloro che più facilmente possono delinquere. Purtroppo così non è o così non sembra che sia; speriamo che nell'esercizio della delega il Governo possa eventualmente attenuare questi effetti negativi della norma che si è chiesta.
Certo, l'istituto nasce dal diritto minorile, non c'è dubbio.
Ma la nostra perplessità è quella relativa al fatto che il mondo della delinquenza minorile generalmente è di tipologia ed anche pericolosità ben diversa da quella che, invece, si riscontra nel mondo degli adulti, diciamo così.
Quindi una cosa positiva c'è senz'altro nel momento in cui si prevede che, per usufruire del beneficio, il condannato o l'imputato - perché il beneficio può anche essere chiesto addirittura in fase di indagini preliminari - debba risarcire, o comunque attenuare, od elidere le conseguenze negative del reato. Questo è senz'altro un fatto positivo, direi doveroso. Ma è altresì vero che - anche qui - il delinquente capace di occultare le proprie risorse economiche o il frutto della sua criminale attività, evidentemente, non avendo nulla, potrà al massimo chiedere scusa al povero cittadino danneggiato, ma oltre lì non andrà. Ci sarà una bella stretta di mano, una letterina compassionevole per avere certe attenuanti, ma anche lì non andremo molto più in là.
Quindi, con questo concludo il mio intervento, ricordando che la Lega Nord voterà contro questo provvedimento, auspicando che altri deputati che hanno una coscienza facciano la stessa cosa, quantomeno per dare un segnale, non tanto al Governo, che su questi temi è sordo e cieco, ma soprattutto a quei cittadini che probabilmente, ove e quando capiranno di cosa si tratta, non saranno molto contenti di vedere approvata, in loro nome e per loro conto, una norma di questo genere.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, signora Ministra, consentitemi di manifestare subito il mio disagio nel momento in cui ci troviamo nella discussione generale di questo disegno di legge delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e, invece, di disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.
«Disagio», perché immagino coloro che da Radio Radicale nelle carceri o perché conoscono, o perché vivono alcuni momenti, spesso molto lunghi, con turni massacranti, Pag. 22nelle carceri, stanno ascoltando questo nostro dibattito. Allora, mi chiedo, da cittadina democratica che, essendo anche radicale, cerca di corrispondere alle esigenze di giustizia e di rispetto delle regole con la non violenza, cosa debba fare io, debbano fare i miei amici e compagni radicali, debba fare Marco Pannella nelle prossime ore.
Vedete, come già si è capito dal dibattito e dai primi interventi che ci sono stati, qui si spaccia il provvedimento in esame come un testo che possa in qualche modo intervenire sulla illegalità e sulla mancanza di Stato di diritto nelle nostre carceri e nella giustizia per come viene amministrata, e come un provvedimento unito a quello che lei, signora Ministra, ha voluto definire «salva carceri» e che io mi sono permessa di definire «salva carceri illegali».
Allora, cosa fare nelle prossime ore, di fronte ad un dibattito così lunare? Già l'onorevole Paolini, ma anche l'onorevole Contento, ed alcuni che sono intervenuti, sembra che vogliano alzare le barricate di fronte a questo disegno di legge che viene definito «salva delinquenti». Allora, una qualche verità l'ha detta lo stesso onorevole Paolini: ma di cosa stiamo parlando? Quando si parla di delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie questo significa che il Governo si è dato un anno - perché c'è scritto un anno - di tempo per poter poi dare attuazione a questa delega, ma sappiamo tutti che mancano quattro mesi allo scioglimento delle Camere e sei mesi al voto.
Quindi questa parte già la dobbiamo mettere da una parte, così come abbiamo messo da una parte, in un altro binario che mi sembra sempre più morto, la parte riguardante le depenalizzazioni. Ma la verità di cui parlava Paolini chi riguarda? Quando parliamo di pena massima edittale di quattro anni, riferendoci per esempio alle persone che sono in questo momento in carcere, parliamo di non più di mille persone. Di cosa stiamo parlando rispetto a un problema così grave, per il quale siamo costantemente condannati in sede europea?
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha evidenziato come l'articolo 3 della Convenzione impone allo Stato di assicurare che tutti i carcerati siano detenuti in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento non provochino all'interessato uno sconforto e un malessere di intensità tale da eccedere l'inevitabile livello di sofferenza legato alla detenzione e che, tenuto conto delle necessità pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati in modo adeguato.
Ecco che mi viene in mente, non posso non dirlo in questa sede, che nei quattro anni, come pena massima edittale, non è compresa quella percentuale altissima, che si avvicina al 40 per cento, di coloro che sono tossicodipendenti detenuti nelle nostre carceri. Allora, penso a quel sms, che mi è arrivato l'altra notte, di una ragazzina, di una minorenne che mi dice: mio padre ha paura perché è andato a trovare mio fratello di 22 anni, tossicodipendente in carcere, e l'ha trovato molto dimagrito, con i pantaloni che gli cadevano, però al posto della cinta aveva una corda. Pensando ai quarantotto che già si sono suicidati nelle carceri italiane, quella ragazzina mi mandava l'sms di notte per paura che suo fratello si impiccasse. Questa è la realtà delle nostre carceri.
Con questo provvedimento - voi lo sapete benissimo - non riusciremo a rispondere minimamente al persistente stato di violazione della Costituzione italiana, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, della Dichiarazione universale ONU dei diritti umani. Certo, noi diciamo parole gravi, ma ditemi se non corrispondono alla realtà dei fatti, voi tutti che le avete visitate le nostre carceri, che siete andati, forse raccogliendo un nostro invito, negli istituti penitenziari: abbiamo uno Stato criminale. Stiamo ai fatti, perché citerò dei numeri. Dal 1959 al 2010 la Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia 2.121 volte per violazioni della Convenzione. Siamo al secondo posto, ma in fondo alla classifica, su 47 Stati membri e siamo dietro la Turchia. Allora, Pag. 23mi riferisco anche al Presidente della Repubblica, lui che è il garante della Costituzione - è questo il punto di vista che non volete accettare - e che ha denunciato la violazione della Carta costituzionale, ma che non ha ritenuto, non ha sentito la necessità di inviare un messaggio al Parlamento oppure di convocare in seduta straordinaria il Parlamento di fronte a questa grave violazione che persiste da anni. E non è solamente il carcere, è anche l'irragionevole durata dei processi alla quale non stiamo dando alcuna risposta.
Evidentemente sì, c'è un abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale, ma che separa anche la giustizia, per come viene amministrata, dal dettato costituzionale. Allora, per non doverci sentire nello stesso modo come quando c'era chi non voleva vedere i campi di sterminio e girava la testa dall'altra parte, un cittadino democratico, un cittadino non violento, un leader politico come Marco Pannella, ma in questo momento parlo per me, che cosa deve fare di fronte a questa resa dello Stato?
La resa dello Stato sta nel non rispettare le sue stesse regole! Questa è la resa dello Stato! Per questo, inizierò un'azione non violenta. La comunicherò nelle prossime ore e sarà molto dura e molto ferma. Ma non dovete prenderla - perché spesso la prendete così - come un ricatto.

PRESIDENTE. Onorevole Bernardini, la prego di concludere.

RITA BERNARDINI. Ma, vedete, stiamo con i cappellani, con i detenuti, con quella comunità penitenziaria, con gli agenti che stanno soffrendo e che oggi manifestavano qui davanti e vogliamo dialogare con voi per quanto voi intendiate accettare questa forma di dialogo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, stiamo parlando di un provvedimento annunciato, con attese rispetto ad un problema drammatico fatto di numeri drammatici che ovviamente non starò qui a ripetere. Quando si parla di carceri, si parla di 67 mila detenuti su 47 mila posti disponibili. Di questi 23 mila sono extracomunitari e nell'ultimo anno ci sono stati oltre 72 suicidi, ai quali va aggiunto il suicidio anche di agenti della polizia penitenziaria.
Quindi, l'obiettivo annunciato con questa legge - si è detto - è che dobbiamo intervenire sul sistema giustizia e sul sistema penitenziario. In realtà, però, la montagna ha partorito un topolino. L'Italia dei Valori attribuisce importanza decisiva e deflazionante solo ad una depenalizzazione seria, in modo che si sappia prima se un fatto è reato o meno e non si debba intervenire poi sull'esecuzione della pena. Questa è cosa seria e deve essere seguita fino in fondo.
Quindi, noi riteniamo che il Governo avrebbe dovuto insistere su questa parte del provvedimento, che, invece, ha pensato di stralciare, e chiediamo che insista ancora su questa parte del provvedimento, sia pure stralciata, perché riteniamo che l'opera di depenalizzazione sia la più importante tra tutte. Infatti, è quella che, tra l'altro, consente di osservare il principio dell'effettività della pena e consentirà anche di ridurre la pressione carceraria.
La parte sulla detenzione domiciliare come pena principale, che è fortemente imprecisa e lacunosa, ci lascia perplessi. Dichiariamo che il nostro gruppo è disponibile a discutere dell'applicazione del principio secondo cui il carcere deve essere l'extrema ratio purché si tenga conto che per molti reati il carcere ha un effetto deterrente, che il legislatore non può cancellare come invece avverrebbe qualora venisse attuata la delega prevista dall'articolo 1 del testo relativo alla pena detentiva non carceraria.
A tal proposito, non consideriamo per nulla sufficiente la garanzia prevista dal testo secondo cui il giudice della cognizione deve verificare volta per volta la Pag. 24pericolosità del soggetto condannato, non concedendo la detenzione domiciliare nel caso in cui questo risulti pericoloso.
Osserviamo che, tra i reati puniti con la pena massima fino a quattro anni di reclusione, ve ne sono alcuni di particolare gravità - vi invito a riflettere su questo - per i quali in alcun modo si può prendere in considerazione la possibilità che la persona condannata espii normalmente la condanna presso la propria abitazione. Riteniamo che la disposizione in esame rischi anche le stesse censure di legittimità costituzionale che hanno colpito la norma che prevedeva l'applicazione della misura cautelare detentiva nei confronti di coloro che avessero commesso un reato di violenza di gruppo, facendo salvo il caso in cui gli stessi avessero provato la non ricorrenza dei criteri previsti dalla legge per poter applicare tale misura. In sostanza, viene affidata al giudice della cognizione una discrezionalità che rischia di confliggere con il principio di legalità della pena. Esprimiamo, inoltre, fortissime perplessità nei confronti degli strumenti elettronici di controllo che finora, per la verità, non hanno dato alcun risultato positivo.
Per le ragioni esposte, quindi, insisteremo nell'approvazione degli emendamenti diretti a ridurre il danno derivante dell'introduzione nell'ordinamento della pena detentiva non carceraria quale pena principale, sia pure in relazione ad alcuni reati. La sospensione del processo rientra tra le nostre proposte. Abbiamo presentato alcuni emendamenti sensati e alcuni di questi, per la verità, sono stati «scippati» dai relatori. Altri emendamenti non sono stati accolti ma vedremo che cosa l'Assemblea accoglierà e quali miglioramenti apporterà.
Il provvedimento, a seguito dello stralcio disposto nella seduta del 9 ottobre 2012, si compone di dieci degli undici articoli del disegno di legge originario. L'articolo 2 di quest'ultimo, recante delega al Governo in materia di depenalizzazione, costituisce il disegno di legge n. 5019-ter. L'intervento normativo, presentato dal Ministro della giustizia, contiene una delega al Governo per adottare una serie di decreti legislativi in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova e sospensione del processo per assenza dell'imputato nonché per l'introduzione, nel codice penale e nella normativa complementare, delle pene detentive non carcerarie.
Il provvedimento si ispira al principio di residualità della sanzione penale, secondo il quale la sanzione penale deve operare solo laddove non esistano altri adeguati strumenti di tutela. Essa non è giustificata se risulta sostituibile con una sanzione amministrativa, dotata di pari efficacia e spesso di maggiore effettività, poiché si applica anche alle persone non fisiche, non può essere sospesa condizionalmente e ha tempi di prescrizione più lunghi. Conseguentemente, quindi, nei casi in cui la condotta si ritenga penalmente rilevante, la reclusione in carcere deve essere ridotta ai soli casi in cui una pena detentiva, presso il proprio domicilio, non possa essere considerata altrettanto efficace sotto il profilo specialpreventivo.
La finalità perseguita dall'intervento è, pertanto, quella di realizzare un'equilibrata - così dite voi - decarcerizzazione e di dare effettività al principio del minor sacrificio possibile della libertà personale. In tale prospettiva, può anche essere apprezzato il fatto che il condannato non sia chiamato a subire l'inadeguatezza del sistema penitenziario e la relativa ingiustificata compressione del diritto ad un'esecuzione della pena ispirata al principio non solo di rieducazione ma anche di umanità.
Gli istituti che si vogliono introdurre con l'intervento non sono presenti nel vigente sistema penale e costituiscono, ad eccezione della depenalizzazione già più volte utilizzata nel corso degli anni, delle assolute novità nel panorama normativo italiano. Si inseriscono, quanto alla depenalizzazione e alle pene detentive non carcerarie, all'interno della legislazione penale vigente e, quanto alla sospensione del procedimento con messa alla prova e Pag. 25alla sospensione del processo per assenza dell'imputato, nella disciplina redatta dal vigente codice di procedura penale.
Il disegno di legge disciplina la sospensione del procedimento con messa alla prova. Quindi, non si applica la pena se il colpevole supera un periodo di prova controllata e assistita. L'istituto è previsto per reati di minore allarme sociale. Si tratta dell'estensione di un istituto già applicato nel processo penale. Come già qualcun altro ha detto, siamo di fronte a numeri che sono davvero risicati e che non affrontano al cuore il problema, invece, del sovraffollamento carcerario né affrontano davvero la certezza della pena e, quindi, anche una vera riforma del sistema giustizia.
Il nostro voto, il voto del gruppo dell'Italia dei Valori, sarà subordinato al testo che complessivamente uscirà dall'Aula, in cui peseranno anche le perplessità che abbiamo espresso riguardo a questo provvedimento che - lo voglio dire - non dà una risposta complessiva al problema che rischia invece, ancora una volta, di dare fiato ai furbi, che utilizzeranno la pena alternativa per sfuggire, invece, alla certezza della pena.
Io mi auguro che il Governo possa rivedere, nell'arco della discussione in Aula, il provvedimento e soprattutto ascoltare ciò che all'esterno di quest'Aula ci viene detto, perché forse dovremmo imparare ad ascoltare di più i cittadini. Per quanto concerne il sistema giustizia, Ministro, nella giornata di oggi, ci sono state fuori ben due manifestazioni, che hanno riguardato il funzionamento del sistema giustizia e del sistema carcerario. Le forze dell'ordine hanno manifestato questa mattina e questo pomeriggio hanno manifestato i magistrati onorari, dimenticati da questo Governo, dimenticati nelle loro funzioni, che hanno addosso il peso di milioni di procedimenti civili e penali di piccole quantità, ma che sono indispensabili al funzionamento del sistema giustizia.
Ecco perché noi dobbiamo, se vogliamo rimettere al centro il funzionamento del sistema giustizia, prima di tutto ripartire dal farlo funzionare bene, mettendo al centro innanzitutto i cittadini, la loro sicurezza e la dignità umana e investendo risorse. Se non investite risorse, il sistema giustizia resterà sempre indietro, con i problemi che conosciamo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossomando. Ne ha facoltà.

ANNA ROSSOMANDO. Signor Presidente, signor Ministro, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, con l'ultimo intervento, si può partire molto brevemente dalle obiezioni per andare poi su alcuni principi generali.
Le obiezioni provengono, in particolar modo, dai gruppi della Lega Nord, dell'Italia dei Valori e da altri e sono relative al fatto che questo provvedimento nel suo complesso inciderebbe su un numero esiguo di persone attualmente detenute, quantificate in 1.200.
Nell'obiezione c'è una contraddizione e ne traggo già una risposta che mi porta alle questioni di principio e cioè che, evidentemente, se il provvedimento incide solo su 1.200 persone, non c'è il problema che improvvisamente sono libere e non incorrono nella sanzione chissà quante persone e non si pone il problema della forza intimidatrice della norma perché è evidente che tutte queste persone che non sono in carcere, se l'unica pena è il carcere, sono tranquillamente libere, vuoi perché il processo non è arrivato al termine nei tempi della prescrizione, vuoi perché hanno usufruito della sospensione condizionale.
Quindi, sgombriamo il campo da una prima obiezione, che invece è un punto di forza: questo provvedimento - a mio avviso - tiene conto di un'evoluzione del pensiero, di un'analisi della realtà e del problema dell'effettività della pena. Allora, se si vuole affrontare seriamente il problema dell'effettività della pena, non penso che, ammesso e non concesso che si possa aderire ad un carcere über alles, costruendo un numero infinito di istituti penitenziari, si possa risolvere il problema. Sappiamo tutti che non è così, seppure il problema dell'edilizia carceraria lo abbiamo Pag. 26presente e, da questo punto di vista, siamo propositivi e sensibili, perlomeno noi del Partito Democratico. Quindi, il problema dell'effettività della pena consiste nel fatto che ci devono essere delle pene differenziate che, in alcuni casi, possono essere più sanzionanti ed anche più rieducative, ed è questo che ci interessa. Ci interessa affrontare il tema della sicurezza dei cittadini in termini realistici ed efficaci.
Amici e colleghi della passata maggioranza, non è che in questo scorcio di legislatura nella quale abbiamo introdotto moltissime figure di reato, sia diminuita appunto la tendenza a delinquere in modo generalizzato, e abbiano avuto un effetto deterrente. Perché questo è avvenuto? Qui c'è un cambiamento di impostazione a mio avviso rilevante, consistente nello spostamento dell'attenzione e dell'intervento dal processo nel senso di depotenziamento del processo e di tensioni che vengono buttate su di esso processo - per poi di fatto non farlo funzionare - per poi invece ritornare ad una tensione anche riformatrice sulla parte sostanziale del diritto penale, con due principi informatori che sono quello del carcere come extrema ratio e quello della personalizzazione della pena, intesa come adeguatezza. In questo senso, secondo me, si può maggiormente poi ancora approfondire e limare riguardo ad una maggiore restituzione al giudice del momento cardine della giurisdizione e della valutazione, che peraltro è già molto presente in questo articolato; sicuramente nell'istituto della messa alla prova il giudice interviene con una valutazione progressiva e anche successivamente se ci sono delle violazioni, così come anche nel caso della detenzione domiciliare.
Quindi personalizzazione della pena, carcere extrema ratio e deflazione del carico processuale con delle soluzioni alternative, non per arrivare a nessuna soluzione, perché fino ad ora, lo dico in maniera asettica, evidentemente c'è stato un fallimento da questo punto di vista, perché molti processi non arrivano ad una soluzione o, quando vi arrivano, lo fanno con estremo ritardo e quindi con una pena che, quand'anche debba essere eseguita, non avrebbe più il carattere dell'attualità e quindi della sua utilità; o anche, nell'inefficienza dello strumento processuale, qui abbiamo una personalizzazione in senso perverso della pena, nel senso che se sei in condizioni svantaggiate, se versi in una determinata categoria di persone, facilmente la pena ti raggiungerà; se invece non versi in quella categoria di persone, a cagione del non funzionamento dello strumento processuale, la pena non ti raggiungerà; o anche a cagione di una disomogenea organizzazione dell'efficienza della giustizia sul nostro territorio.
Quindi, da questo punto di vista, l'altro elemento al quale guardiamo in modo diverso rispetto al passato, è la questione del tempo, cioè intanto migliorando l'efficienza del sistema - questo ha anche a che vedere con il terzo gruppo di norme che riguarda la contumacia degli irreperibili, con la sospensione in quei casi ben individuati - quindi ripristinando una maggiore efficienza dei tempi del processo e un approccio al tempo come categoria, come anche un metro di giudizio progressivo che rimette anche in discussione e che adegua progressivamente il trattamento, e che non isola in un determinato momento una decisione o una sanzione, quindi anche con l'introduzione del concetto di controllo e di adeguamento del trattamento sanzionatorio.
Vengo rapidamente più allo specifico. Per quanto riguarda la sospensione con messa alla prova, vorrei osservare che la questione della messa alla prova con obbligo di esibire e produrre un trattamento che prevede il lavoro di pubblica utilità e la condotta riparatoria, è una novità che ha avuto una sperimentazione sul campo, che ci rimanda - per quella sperimentazione, dove si è potuta compiere meglio e con maggiore risultati - ad un'esigenza di organizzazione degli uffici giudiziari, e al fatto che appunto c'è un'attività di recupero della persona e di recupero alla collettività.
Anche questa è una questione molto importante, perché da questo punto di vista anche l'efficacia dissuasiva e retributiva Pag. 27della pena deve entrare in contatto con la collettività. Sappiamo infatti che non serve a niente, ad esempio, per un reato di vandalismo o di danneggiamento la sanzione di un mese o due mesi con la condizionale, serve molto di più che questa persona venga impiegata in lavori di pubblica utilità. Da questo punto di vista, vi sono situazioni in cui si sono avuti risultati assolutamente positivi, con un numero grande di convenzioni con associazioni e con enti locali, addirittura anche con le circoscrizioni, che vedono un altro elemento importante, che è il collegamento della commissione del reato con il fatto che venga sanato proprio nel luogo dove la lesione alla collettività si è consumata. In sostanza, credo che ci siano questioni su cui bisogna mettersi d'accordo e avere anche un obbligo di verità. La prima è cosa pensiamo che sia possibile e vogliamo fare in questo scorcio di legislatura che ci separa dalla prossima scadenza elettorale. Vogliamo finalmente invertire la marcia e fare un'inversione ad U, avendo verificato, indipendentemente dalle posizioni politiche che ci caratterizzano, il fallimento di una serie di provvedimenti e di non provvedimenti e provare a risolvere qualche problema, provando a mettere in campo ed approvare qualche provvedimento di legge che ha già un risultato e che, comunque, si inserisce in un quadro generale e, quindi, ci traccia una via anche per il lavoro futuro del Parlamento? Credo che in questo metodo vada anche introdotto l'elemento di un patto di onestà con i cittadini, con gli elettori, che sta nell'analisi vera dei problemi e nel proporre delle soluzioni. Altrimenti, non vorrei che tutti visitiamo le carceri sotto Ferragosto, con o senza gli amici e colleghi radicali, e poi o non diamo nessuna soluzione o diamo soluzioni assolutamente discordanti e disparate. A questo proposito, vorrei anche dire alla collega Bernardini che il problema della tossicodipendenza non trova e non può trovare in gran parte direttamente soluzione in questo provvedimento - lo sappiamo bene - ma intanto l'introduzione del principio del carcere come extrema ratio è assolutamente dirimente. Sappiamo anche che abbiamo in discussione un provvedimento che riguarda proprio l'abolizione di quella parte di norma, perché è da lì che nasce il problema, cioè dal progressivo peggioramento della normativa che riguarda la tossicodipendenza, dove non si distingue, come si faceva un tempo, tra lo spaccio criminale organizzato e il trattamento che deve essere invece riservato al consumatore che, con le progressive modifiche, è diventato un reo a tutti gli effetti. Allora, oggi possiamo fermarci e fare una verifica su questo e dire che quel tipo di normativa non è servita neanche dal punto di vista dei più securitari del mondo, perché non recupera nessuno e anzi aggrava le condizioni delle nostre carceri. Quindi, bisogna intervenire su quel tipo di legge abrogando e modificando quelle parti che hanno criminalizzato il consumatore di sostanze stupefacenti e intervenire anche nella parte della custodia cautelare che riguarda questo tipo di persone. Credo - e ho concluso, signor Presidente - che la fase che stiamo attraversando dovrebbe consegnare a tutti una grande responsabilità, una grande sobrietà e un grande realismo nei toni delle nostre discussioni e nel metodo che adottiamo. Il momento delicato per la democrazia del Paese, dove assistiamo a più riprese alla denuncia e all'emergere di fenomeni diffusi di illegalità per chi ricopre cariche pubbliche, impone innanzitutto un dovere, che è quello di verità e di impegno con i cittadini, perché la pena è che si rompa quel patto con i cittadini che è alla base della democrazia liberale, di cui credo tutti dobbiamo e pensiamo di far parte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 5019-bis-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori rinunziano ad intervenire in sede di replica. Pag. 28
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ANTONINO GULLO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo non intende replicare.

(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 5019-bis-A)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Dozzo ed altri n. 1 e la questione pregiudiziale di merito Dozzo ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 5019-bis-A).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Grassi ed altri; Brigandì; Miglioli; Nunzio Francesco Testa ed altri; Di Virgilio ed altri: Disposizioni in materia di utilizzo del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica. (A.C.746-2690-3491-4251-4273-A) (ore 16,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge: Grassi ed altri; Brigandì; Miglioli; Nunzio Francesco Testa ed altri; Di Virgilio ed altri: Disposizioni in materia di utilizzo del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 746-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Lega Nord Padania ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Grassi.

GERO GRASSI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il testo all'attenzione dell'Assemblea è volto a disciplinare l'utilizzo del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica. Dico subito che questo provvedimento, ove approvato, sarebbe, ovviamente, tutto a vantaggio dei vivi e delle persone.
In proposito, si segnala che in Italia la pratica della dissezione dei cadaveri a scopo di studio e ricerca è poco frequente. Ciò si ripercuote negativamente soprattutto sugli studenti di medicina italiani, ai quali manca un'effettiva possibilità di approfondire le proprie conoscenze anatomiche, così come non è data la possibilità al cittadino di donare il proprio corpo affinché possa essere utilizzato per fini di alto valore etico e umano, quali lo studio e la ricerca scientifica.
Anche la ricerca scientifica, infatti, riceverebbe grande aiuto da quanto previsto dal provvedimento in esame, in particolare per quel che riguarda lo studio di tutte quelle malattie su cui è più impegnata e per la pratica delle nuove tecniche chirurgiche, microscopiche e mininvasive.
In sostanza, attraverso il provvedimento in oggetto si propone l'estensione di quel diritto a fare «dono di sé» che è già stato sancito dalla legge n. 91 del 1999 sulla donazione degli organi e dei tessuti a fini di trapianto.
Per quanto concerne l'ambito di intervento normativo e il rapporto con la legislazione vigente, in assenza di norme ad hoc l'utilizzo del corpo post mortem per finalità di studio, di ricerca e di formazione è disciplinato dal regolamento di polizia mortuaria, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, che dedica il capo VI al rilascio di cadaveri a scopo di studio.
Le prescrizioni del regolamento di polizia mortuaria si basano sull'articolo 32 Pag. 29del Testo unico delle leggi sull'istruzione superiore del 1933, che ha imposto un vincolo di legge sui cadaveri il cui trasporto non avvenga a spese dei congiunti compresi nel nucleo familiare fino al sesto grado o a cura di confraternite e sodalizi, nonché di quelli provenienti dagli accertamenti medico-legali che non siano richiesti da congiunti compresi nello stesso gruppo familiare, eccettuati comunque i casi di suicidio.
Tali cadaveri, in virtù della suddetta norma, vengono destinati all'insegnamento e alle indagini scientifiche. In particolare, la consegna dei cadaveri alle sale anatomiche universitarie può avvenire trascorso il periodo di osservazione prescritto dallo stesso Regolamento di polizia mortuaria. I direttori delle sale anatomiche universitarie devono annotare in apposito registro le generalità dei deceduti messi a loro disposizione. Il prelevamento e la conservazione di cadaveri e di pezzi anatomici devono essere di volta in volta autorizzati dall'autorità sanitaria locale.
Nell'ordinamento italiano risultano del tutto assenti, allo stato attuale, norme specifiche sulla manifestazione di volontà in ordine all'atto di disposizione post mortem del proprio corpo. Di converso, la legge n. 91 del 1o aprile 1999, recante disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti, ha disciplinato il prelievo di organi e di tessuti da soggetto di cui sia stata accertata la morte ai sensi della legge n. 578 del 29 dicembre 1993, e ha regolamentato le attività di prelievo e di trapianto di tessuti e di espianto e di trapianto di organi.
Ciò premesso, si fa presente che la materia della quale discutiamo era già stata oggetto di alcuni progetti di legge al Senato il cui esame parlamentare era stato avviato dal Senato stesso a partire dal marzo 2009. Tuttavia, a seguito dello svolgimento della procedura delle intese, ai sensi dell'articolo 51, comma 3, del Regolamento del Senato, tale ramo del Parlamento si è espresso favorevolmente sulla trattazione della materia da parte della Camera.
Si ricorda, inoltre, che nel corso della XIV Legislatura, la XII Commissione della Camera aveva iniziato l'esame del progetto di legge n. 5083, Battaglia ed altri, recante disposizioni in materia di donazione del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica, senza tuttavia concluderne l'iter.
Il testo in oggetto è il frutto di un approfondito esame in sede referente al quale hanno contribuito i gruppi sia di maggioranza, sia di opposizione. Il Comitato ristretto all'uopo costituito ha elaborato un testo unificato delle cinque proposte di legge all'esame della XII Commissione che, su proposta del relatore in Commissione, è stato adottato come testo base.
Il Comitato ristretto, al fine di approfondire la tematica del provvedimento e di elaborare una proposta di testo unificato dei progetti di legge in esame, ha svolto l'audizione informale di rappresentanti della Lega nazionale contro la predazione di organi e la morte a cuore battente, del professor William Arcese, responsabile U.O.C. trapianto cellule staminali Policlinico universitario, università degli Studi di Roma Tor Vergata, di rappresentanti del Consiglio universitario nazionale, della Società italiana di anatomia e istologia, nonché di ulteriori docenti universitari ed esperti della materia.
La XII Commissione ha approvato diversi emendamenti tesi a recepire i pareri espressi dalle Commissioni competenti in sede consultiva. Oggetto di particolare considerazione è stata, in quest'ambito, la lettera con cui il Presidente della V Commissione ha rilevato una serie di problematiche attinenti alla quantificazione degli oneri derivanti dalla proposta di legge ed alla loro copertura finanziaria, emersi nel corso dell'esame in sede consultiva, sollecitando pertanto una revisione complessiva del testo del provvedimento al fine di assicurare una più puntuale definizione degli oneri da sostenere, individuando altresì le risorse per la loro copertura finanziaria.
La XII Commissione ha quindi provveduto a revisionare il testo al fine di Pag. 30superare i citati rilievi della V Commissione, apportando in tale senso modifiche agli articoli 2 e 5 e sostituendo gli articoli 7 e 8. A seguito di tali significative modifiche, la V Commissione ha espresso un nuovo parere, favorevole con una condizione di carattere formale, anch'essa recepita.
La XII Commissione (Affari sociali) ha recepito, altresì, le osservazioni apposte al parere espresso dalla I Commissione, la condizione e le osservazioni contenute nel parere espresso dalla II Commissione nonché parte della prima e l'ultima delle tre condizioni apposte al parere della VII Commissione. Anche le osservazioni contenute nel parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali sono state implicitamente recepite attraverso le modifiche apportate al testo. Devo dire che la Commissione ha fatto un oggettivo sforzo onde evitare gli ostacoli nel percorso di questo provvedimento.
Il testo all'esame dell'Assemblea si compone di otto articoli.
L'articolo 1 qualifica come oggetto del provvedimento l'utilizzo del corpo umano e dei tessuti, a fini di studio e di ricerca scientifica, dei soggetti dei quali sia stata accertata la morte ai sensi della legge n. 578 del 1993, che abbiano espresso in vita il consenso informato. L'utilizzo del corpo umano e dei tessuti post mortem è informato ai princìpi etici e di solidarietà, nonché a quelli dettati dall'ordinamento giuridico dello Stato, ed è disciplinato in modo da assicurare il rispetto del corpo umano.
L'articolo 2 stabilisce che il Ministro della salute, le regioni e le aziende sanitarie locali promuovono, sulla base delle rispettive competenze, campagne informative dirette a diffondere la conoscenza delle disposizioni recate dal presente provvedimento.
Viene precisato, altresì, che le iniziative informative sono promosse dal Ministero utilizzando le risorse disponibili a legislazione vigente per la realizzazione di progetti di comunicazione istituzionale.
L'articolo 3 disciplina le modalità attraverso le quali deve essere manifestato il consenso concernente l'utilizzo del corpo umano e dei tessuti post mortem, prevedendo che esso debba essere espresso nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, perché non ci sia alcuna possibilità di commercio in una materia così delicata. Una copia di tale dichiarazione deve essere consegnata al centro di riferimento di cui al successivo articolo 4, che ha precisi obblighi informativi nei confronti dell'ufficio di stato civile del comune di residenza del donatore del corpo, ovvero all'azienda sanitaria di appartenenza, cui spetta comunque l'obbligo di riconsegnarla al predetto centro.
L'articolo 4 concerne l'individuazione, da parte del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca, e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, delle strutture universitarie e aziende ospedaliere di alta specialità da utilizzare quali centri di riferimento per la conservazione e utilizzazione delle salme ai fini di cui al presente provvedimento.
L'articolo 5 obbliga i citati centri di riferimento alla restituzione della salma in condizioni dignitose, entro un anno dalla consegna della stessa per fini di studio e di ricerca scientifica. Viene altresì stabilito che gli oneri per il trasporto della salma dal decesso alla restituzione, le spese relative alla tumulazione e quelle per l'eventuale cremazione sono a carico delle istituzioni in cui hanno sede i centri di riferimento che l'hanno presa in consegna, entro il limite massimo di spesa di cui al successivo articolo 8, comma 1. Questa ipotesi determinata nel provvedimento sta a dimostrare che lo Stato si fa carico delle spese, quale postumo ringraziamento alla persona che cede, post mortem, il suo corpo ai fini della ricerca scientifica. È la risposta ad una donazione che lo Stato fa caricandosi le spese, le quali altrimenti non potrebbero essere imputate al de cuius.
L'articolo 6 sancisce il principio per cui l'utilizzo del corpo umano e dei tessuti post mortem non può avere fini di lucro. Eventuali donazioni di denaro effettuate da privati a fini di studio e di ricerca Pag. 31scientifica mediante uso delle salme o derivanti dalla finalizzazione di progetti di ricerca sono destinate alla gestione dei predetti centri di riferimento.
L'articolo 7 prevede che il Ministro della salute, con proprio decreto, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, adotti, entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente proposta di legge, il regolamento di attuazione delle disposizioni ivi contenute. L'articolo 8, ultimo, infine reca le norme per la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 5, comma 2, per la quale è autorizzata la spesa di un milione di euro nell'anno 2012 e di 2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ADELFIO ELIO CARDINALE, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli parlamentari, il Governo vede con favore l'intervento normativo in esame. Aggiungo che, dal punto di vista personale, c'è tutto il mio pieno sostegno culturale ed operativo in quanto, per lunghi anni, da professore universitario di medicina e da preside, ho visto, come sempre più, è diminuita la possibilità di avere cadaveri per fini dissettori o scientifici e si è sostituito o con l'anatomia radiografica o con dei succedanei artificiosi con la plastinazione delle strutture. Per cui, ben venga questa proposta.
E, allora, esprimo tale interesse, anche come sottosegretario, in considerazione del fatto che va promossa e sostenuta, ai fini della tutela della salute pubblica, ogni idonea iniziativa volta a promuovere ed affinare le attività di ricerca scientifica, con riguardo anche all'attività formativa degli studenti di medicina il cui percorso a oggi si confronta con la mancata possibilità di approfondire le conoscenze anatomiche del corpo umano. Va, infatti, segnalato che il nostro ordinamento non prevede una specifica disposizione finalizzata a disciplinare l'utilizzo del corpo post mortem ai fini di studio e ricerca scientifica. Il decreto in esame, pertanto, è finalizzato a colmare la citata lacuna. L'interesse e il merito del decreto in esame vanno visti anche in coerenza alle disposizioni normative vigenti finalizzate a promuovere la donazione degli organi. È anche, appunto, un contributo generale alla donazione che si vuole dare come segnale culturale a tutto il Paese.
Vale la pena ricordare che quest'Aula ha approvato, in data 8 maggio ultimo scorso, il disegno di legge volto a consentire il trapianto parziale del polmone, del pancreas e dell'intestino fra persone viventi, che va a integrare le altre disposizioni finalizzate a promuovere la donazione di organi tra viventi. Orbene, la proposta normativa oggi in esame va considerata come un ulteriore strumento, un ulteriore tassello che estende il diritto di ognuno di noi a fare dono di sé, con atto unilaterale e a titolo gratuito, a sostegno dell'evoluzione scientifica per il benessere della collettività, strumento che è diverso rispetto al testamento proprio per non interferire con le procedure della pubblicazione e dell'esecuzione del testamento medesimo.
Si coglie l'occasione per garantire che il Ministero avvierà, nei tempi e nei modi prescritti dalla proposta normativa in esame, ogni utile iniziativa per promuovere, nel rispetto di una libera e consapevole scelta, l'informazione volta a diffondere tra i cittadini la conoscenza della legge e, come ripeto, anche la cultura della donazione.
Sarà cura, inoltre, del Ministero della salute, di concerto con il MIUR, previa intesa della Conferenza Stato-regioni, individuare le strutture universitarie e le aziende ospedaliere di alta specialità da utilizzare quali centri di riferimento per la conservazione e l'utilizzazione delle salme, nonché adottare il prescritto regolamento per assicurare la compiuta attuazione della legge.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli Pag. 32colleghi, occorre preliminarmente constatare come in Italia, gradualmente, la pratica della dissezione dei cadaveri a scopo di studio e di ricerca sia diventata meno frequente.
Io ricordo personalmente con grande emozione quando all'università de La Sapienza di Roma, giovanissimo studente, per la prima volta, entrai in una sala anatomica e mi furono insegnati i primi elementi. Erano gli anni Sessanta, poi, man mano, più nulla. E i nostri studenti e i nostri specializzandi devono andare all'estero per poter conoscere quanto noi, invece più fortunati, abbiamo constatato di persona.
In Italia, le prescrizioni del regolamento di polizia mortuaria - qui ripeto quanto così egregiamente detto dal relatore - si basano sull'articolo 32 del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore del 1933, che ha imposto un vincolo di legge sui cadaveri il cui trasporto non avvenga a spese dei congiunti compresi nel nucleo familiare fino al sesto grado o a cura di confraternite e sodalizi, nonché di quelli provenienti dagli accertamenti medico-legali che non siano richiesti da congiunti compresi nello stesso gruppo familiare, eccettuati comunque i casi di suicidio. Tali cadaveri, quindi, vengono destinati all'insegnamento e alle indagini scientifiche. In particolare, la consegna alle sale anatomiche universitarie dei cadaveri destinati all'insegnamento e alle indagini scientifiche può avvenire trascorso il periodo di osservazione prescritto dallo stesso regolamento di polizia mortuaria.
Occorre ricordare che nel corso della XIV legislatura - come ha fatto il nostro relatore - la XII Commissione della Camera aveva iniziato l'esame del progetto di legge n. 5083, Battaglia ed altri, recante, appunto, lo stesso argomento di questo provvedimento.
La scarsa diffusione della pratica della dissezione dei cadaveri è riconducibile sia alla cultura medica sia all'assenza di una disciplina adeguata della manifestazione di volontà sulla donazione del cadavere a fini di ricerca, diversamente da quanto avviene per la donazione degli organi a fini di trapianto.
Il progresso tecnologico consente, ormai, di far fronte alle esigenze formative dei medici chirurghi senza ricorrere necessariamente ai cadaveri: la tecnologia, ormai, mette a disposizione degli studenti dei manichini, che però non possono assolutamente sostituire la visione diretta di come è formato il corpo umano. Tuttavia, la medicina è una scienza che richiede precise conoscenze teoriche e pratiche e, spesso, studenti, medici e specialisti, soprattutto quelli in chirurgia, chiedono di migliorare ed approfondire le proprie conoscenze attraverso corsi di formazione in anatomia umana. Molti di questi medici, attualmente, per raggiungere un'adeguata formazione professionale sono costretti - come dicevo - a recarsi all'estero, seguendo corsi di anatomia estremamente costosi.
Per potenziare tale attività anche nel nostro Paese, occorre una presa di coscienza - come ha detto il sottosegretario, giustamente - circa la necessità di promuovere la donazione del corpo umano post mortem per finalità di studio e di ricerca scientifica. Si tratta di una donazione liberale che avviene secondo precise procedure giuridiche, nel pieno rispetto della volontà individuale, sia dal punto di vista etico che religioso.
Certo, l'opinione pubblica potrebbe dividersi su tale argomento: da un lato, infatti, vi è l'assenso pressoché unanime di chirurghi e medici legali, dall'altro, vi sono associazioni che definiscono «macabro» questo provvedimento. Ora, vorrei dire a tutti coloro che sono contro questo genere di donazione che tale decisione è presa in vita dall'interessato con un testamento olografo e, quindi, in piena coscienza e volontariamente: quindi, perché non considerare una tale decisione come il rispetto di una libertà individuale liberamente scelta?
Il testo unificato votato dalla Commissione affari sociali, a mio parere, è un buon testo e devo dare atto al relatore di aver lavorato per giungere ad un testo Pag. 33condiviso, recependo anche le indicazioni dei colleghi degli altri gruppi parlamentari, nonché dei molti soggetti ascoltati nel corso delle audizioni.
I problemi non sono comunque mancati in relazione alla copertura. La Commissione bilancio nel suo parere aveva mostrato riserve per la carenza di un'adeguata copertura finanziaria. Certo, viviamo una grande crisi economica, ma l'eliminazione di ogni impegno economico stabilito dalla Commissione bilancio rendeva difficoltoso definire un provvedimento teso ad incentivare la donazione del corpo, ponendo tutte le spese a carico del donatore.
È stato importante aver specificato, all'articolo 1, che l'oggetto del provvedimento non è semplicemente la donazione del corpo, ma del corpo umano e dei tessuti, a fini di studio e di ricerca scientifica, dei soggetti dei quali sia stata accertata la morte ai sensi della legge n. 578 del 1993, e che abbiano espresso in vita il consenso informato.
La donazione è informata ai principi etici e di solidarietà, nonché a quelli dettati dall'ordinamento giuridico dello Stato, ed è disciplinata in modo da assicurare il rispetto del corpo umano.
Il contenuto degli articoli è stato così ben illustrato dal relatore che ciò mi esime dall'obbligo e dalla possibilità di esaminarli ancora. Spero che questo provvedimento sia approvato il prima possibile, anche dall'altro ramo del Parlamento (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini. Ne ha facoltà.

MARCO RONDINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel mio intervento non intendo entrare nel merito delle singole disposizioni presenti nell'articolato del presente testo unificato di proposte di legge, ma voglio affermare con convinzione un principio cardine: ritengo che si possa parlare di post mortem soltanto quando sia chiaro cosa si intenda effettivamente per morte, ossia quando vi sia l'interruzione contemporanea delle due funzioni vitali, cardiocircolatoria e respiratoria, osservate per almeno 24 ore.
Il presente testo unificato di proposte di legge, all'articolo 1, introduce, quale condizione per la donazione del corpo di soggetti dei quali è stata accertata la morte, il rimando normativo alla legge 29 dicembre 1993, n. 578. Tale provvedimento, recante «Norme per l'accertamento e la certificazione di morte», tratta della cosiddetta morte cerebrale a cuore battente cioè dichiarata nei soggetti affetti da lesioni encefaliche sottoposti a misure rianimatorie in sole 6 ore sulla base di protocolli variabili su indicazioni ministeriali.
Dunque, questo testo unificato di proposte di legge si basa, in sostanza, sulla dichiarazione autoritaria di morte cerebrale e rischia di permettere, su corpi vivi, esercitazioni chirurgiche, chimiche e radiologiche; infatti, le esercitazioni verrebbero praticate su persone dichiarate morte sulla base della citata legge n. 578 del 1993 che ridefinisce la morte in termini pseudoneurologici. Si tratta, dunque, di donazione di corpi vivi di persone che hanno perso la coscienza e che, sulla base dei protocolli previsti dalla legge n. 578 del 1993, tre funzionari della medicina tecnica dichiarano d'autorità in morte cerebrale, nonostante, magari, il cuore batta autonomamente mantenendo il circolo ed il respiro ausiliati.
Che l'intento sia quello che denunciamo è esplicitato, anche se in maniera non chiara, nella premessa del testo che recita: «In proposito, si segnala che in Italia la pratica della dissezione dei cadaveri a scopo di studio e ricerca è poco frequente. Ciò si ripercuote negativamente soprattutto sugli studenti di medicina italiani ai quali manca un'effettiva possibilità di approfondire le proprie conoscenze anatomiche, così come non è data la possibilità al cittadino di donare il proprio corpo affinché possa essere utilizzato per fini di alto valore etico e umano, quali lo studio, appunto, e la ricerca scientifica».
Ora, se il fine fosse solo quello di garantire agli studenti di medicina un'effettiva possibilità di approfondire le proprie conoscenze anatomiche, perché non inserire nel testo che la donazione del Pag. 34corpo possa avvenire solo dopo l'arresto cardiocircolatorio e respiratorio di ventiquattro ore? La morte che si conosce sin dall'inizio dei tempi è quella per arresto cardiocircolatorio.
Il dichiarato morto di questa legge che si vorrebbe a disposizione è invece persona il cui sangue è caldo e il cui cuore batte. Anche se la legge n. 578 del 1993 è fatta per altri fini, ai fini del trapianto, e postula l'esistenza del dichiarato morto in morte cerebrale, non possiamo non evidenziare che nel caso oggetto del presente provvedimento non è sufficiente che un encefalogramma sia piatto, valutato magari due volte in sei ore, per dire che non c'è vita in un uomo, considerato che ha ancora una respirazione, pur se supportata, il sangue caldo che circola ritmicamente e senza alcun intervento esterno, il cuore, quindi, che pulsa e batte autonomamente. Dall'embriologia sappiamo che il cuore è il primo organo a presentarsi in vita pulsando e l'ultimo a fermarsi quando la vita termina.
In sostanza, per concludere, con questo provvedimento rischiamo di introdurre una assurdità palese.
Stiamo parlando di malati sottoposti a trattamenti di sostegno della vita, in questi casi non è giusto parlare di morte. Legiferare in questi termini significherebbe commettere una grave ingiustizia. Quest'ingiustizia, di fatto, si palesa prevedendo, in modo del tutto originale, un concetto di morte che si discosta nei fatti da quello fino ad oggi normato.
Il diritto vigente, infatti, evidenzia in modo esplicito che per cadavere si intende il corpo umano rimasto privo delle funzioni cardiorespiratorie e cerebrali, come disposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990 e dalla circolare n. 24 del 1993.
Infine, permettetemi di aggiungere qualche ulteriore riflessione: se questa ingiustizia è così esplicitata nel diritto positivo lo è di più per il diritto naturale. Come non accorgersi del rischio in cui stiamo incorrendo dal momento che con questo provvedimento andiamo a smantellare il principio che si fonda su «ciò che respira è vivo»? È assurdo procedere in questi termini. Se da un lato, infatti, è comprensibile, sia sul piano scientifico che etico, trovare una giustificazione di equilibrio fondata sulla volontà, in potenza, di attivare sistemi finalizzati comunque al bene della vita in riferimento alla dichiarazione di morte cerebrale per quanto concerne la legge sull'espianto degli organi, dall'altro lato è assurdo applicare questa semplificazione scientifica e giuridica al solo fine di facilitare la ricerca.
Non possiamo noi legislatori, chiamati al servizio del bene comune, operare nell'interesse esclusivo delle lobby dei ricercatori scientifici. Non possiamo e non dobbiamo legiferare senza tener conto del rispetto di quel principio etico sul quale in sostanza si uniforma anche il nostro dettame costituzionale e dal quale un allontanamento forzoso comporterebbe conseguenze disastrose. Sto parlando di quel bene primario, il rispetto della vita dal suo concepimento fino alla morte naturale, che in quanto tale non può essere in nessun modo soggetto a nessun tipo di limitazione, sia anche essa frutto dell'esercizio democratico del normare, perché, come ribadito recentemente anche da Sua Santità Benedetto XVI, le ingiustizie, pur se elevate a diritto, rimangono tali. Sono certo che i membri quest'Aula, comprese le mie parole, vogliano riaffermare il principio sacrosanto del rispetto della vita approvando le proposte emendative che ho presentato, finalizzate a vincolare la pratica di studio e ricerca solo su cadaveri veri in arresto cardiaco.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, signori Ministri, onorevoli colleghi, dopo un breve ed intenso dibattito su di un tema di grande rilievo dal punto di vista etico, scientifico e sociale, oggi il Parlamento affronta un tema certamente importante: la possibilità di donare il proprio corpo alla scienza dopo la morte. Si tratta di un provvedimento che nasce dalla convergenza di proposte diverse analizzate Pag. 35dalla Commissione affari sociali con l'obiettivo di rilanciare lo studio diretto del corpo umano attraverso la dissezione, antica pratica alla base degli studi di anatomia, da sempre considerata come essenziale soprattutto nel training chirurgico. Ne resta traccia - e si tratta di una traccia importante - anche nella storia dell'arte.
Uno dei quadri più famosi della storia dell'arte è la «Lezione di anatomia del dottor Deyman» di Rembrandt. Rembrandt, nel 1656, su sollecitazione della comunità scientifica del suo tempo e su incarico diretto del professor Deyman, dipinge il ritratto di un gruppo dei più illustri membri della gilda dei chirurghi di Amsterdam. Sappiamo con certezza chi era il soggetto studiato con tanta attenzione: Johann Fonteyn, originario di Diest, un delinquente impiccato nel gennaio del 1656. Conosciamo quindi sia il nome del chirurgo che interviene direttamente sul cadavere, sia il nome del soggetto che sta per essere analizzato.
Il quadro era originariamente destinato all'ala di anatomia dove era già presente un altro dipinto di Rembrandt con il medesimo soggetto, realizzato nel 1632: «Lezione di anatomia del dottor Tulp». Anche questo dipinto fu commissionato al pittore dalla gilda dei medici di Amsterdam. Esso rappresenta il professor Nicolaes Tulp, titolare della cattedra di anatomia, mentre esegue la dissezione del corpo di un giustiziato, di cui, grazie ai documenti, conosciamo l'identità: Adrian Adrianeszoon, detto «Het Kindt», famigerato criminale impiccato ad Amsterdam nel gennaio del 1632. In un'epoca in cui non esisteva ancora la refrigerazione per conservare i cadaveri, le anatomie si potevano tenere solo poco dopo l'impiccagione.
Due quadri famosi, due committenze illustri: prima gli anatomici e poi i chirurghi, a conferma che né gli uni, né gli altri, potevano fare a meno dello studio dei cadaveri per la loro formazione, ma che sia gli uni che gli altri utilizzavano per il loro studio il cadavere di persone morte per impiccagione, persone quindi che non avrebbero potuto disporre di sé neppure dopo la loro morte.
In Italia, nelle facoltà di medicina più antiche e prestigiose, è ancora possibile vedere le famose aule di anatomia, su cui si sono formate intere generazioni di studenti di medicina e in cui hanno preso forma alcuni degli studi più importanti per la conoscenza del corpo umano. Alcune di queste aule sono tuttora dei capolavori, anche dal punto di vista architettonico. Per una serie di ragioni, attualmente, però, in Italia, a differenza di quanto si verifica in altri Paesi, la pratica della dissezione per gli studenti di medicina è diventata assai meno frequente.
Quindi, per noi si tratta di un ritorno alle origini, del recupero di una tradizione didattica e scientifica, di cui ho personalmente piena memoria nei miei studi. L'anatomia macroscopica, con le lunghe ore di esercitazione pratica nelle sale settorie, per noi studenti di medicina dell'Università cattolica era prassi ordinaria e non si poteva affrontare l'esame di anatomia senza aver mostrato la nostra perizia anche in questo campo. Ricordo chiaramente come l'addestramento tecnico in sala di anatomia era sempre accompagnato e preceduto da una intesa formazione umana che aveva come oggetto specifico la necessità di trattare con il massimo rispetto il cadavere a cui ci saremmo accostati. Venivamo sollecitati a pensare all'uomo che era stato e ad immaginarne la vita e la storia personale, che solo parzialmente avremmo potuto cogliere attraverso l'esperienza diretta dello studio del suo stesso corpo. Questo cadavere è stato un uomo e la cura con cui oggi trattate questo cadavere è un segno di rispetto per l'uomo che lui è stato: uomo come ognuno di noi. I nostri professori di allora, gli assistenti, richiedevano a tutti noi un atteggiamento formale serio: i nostri camici - i primi che indossavamo - dovevano essere perfettamente in ordine, abbottonati e puliti. Non ci era concesso di sporcarci, perché sarebbe stato considerato un segno di imperizia. E non ci concedevano battute sciocche, o atteggiamenti Pag. 36leggeri, neppure per esorcizzare quel certo timore che comunque assaliva noi giovani studenti poco più che ventenni, per la prima volta in assoluto a stretto contatto con la morte.
Poi le cose sono cambiate e sarebbe interessante capire perché, ma ancor più interessante è capire quali conseguenze sono scaturite dal cambiamento e dalla perdita del contatto diretto con l'uomo morto. È vero che oggi con le moderne tecnologie di imaging è possibile insegnare agli studenti l'anatomia del vivente, così come appare con l'intenso dinamismo che la caratterizza, con i suoi colori e con la sua vibrante pulsatilità. Basta pensare non solo alla TAC e alla risonanza magnetica, ma anche all'ecografia e tutte le varie forme di endoscopia. Il vedere dello studente di oggi sembra più prossimo alla realtà dell'essere vivo, in un certo senso dell'essere in movimento. Con l'avvento della chirurgia mininvasiva e di quella robotica, vi è la possibilità di esercitarsi non solo su video-trainer, ma perfino su simulatori a realtà virtuali, che consentono di salvare e riprodurre il video dell'esercitazione, permettendo di individuare ed analizzare eventuali errori, nonché di verificare i miglioramenti attraverso strumenti obiettivi di valutazione.
Nonostante tutti i nuovi ritrovati, però, è opinione diffusa tra studenti e specializzandi che la modalità di apprendimento su cadaveri sia di gran lunga migliore delle altre tecniche. Quel vedere di ieri, quella esperienza diretta a tu per tu con la morte di un uomo nella sua concretezza, aveva un impatto formativo indimenticabile per chi lo sperimentava, soprattutto perché si coglievano immediatamente alcuni dei rischi in cui saremmo potuti scivolare successivamente: il rischio di considerare il corpo umano una cosa come tante altre; il rischio di nasconderci in un anonimato relazionale in cui il soggetto smarrisce totalmente la sua identità, il rischio di rassegnarci alla morte senza comprendere le infinite strade per cui si può morire: ma anche e soprattutto il rischio della tremenda solitudine del morto.
La medicina è scienza eminentemente pratica, costituita di atti medici che per essere espletati debbono essere prima visti e provati individualmente. Il saper fare in medicina è un valore aggiunto rispetto al mero sapere teorico e le clinical skills, fatte di abilità acquisite esercitandosi ripetutamente in laboratorio, in aula di simulazione, al letto del paziente, sono parte essenziale delle competenze che uno studente deve acquisire negli anni della sua formazione.
Appartiene però alla formazione del medico anche un'altra domanda di senso, che affonda le sue radici nel sapere deontologico del medico, nel suo stesso essere medico, una domanda eticamente forte che il medico non può mai eludere e che riguarda il chi è del paziente, la sua identità personale prima ancora della diagnosi della sua malattia.
La domanda importante infatti, che dobbiamo porci oggi come allora, riguarda l'identità di quegli uomini il cui corpo diventa per noi un libro aperto di medicina, in particolare di anatomia e di chirurgia. I due quadri di Rembrandt ci aiutano a cogliere un aspetto della questione. A noi, giovani studenti di medicina della Cattolica negli anni Sessanta, veniva detto che quei cadaveri appartenevano a persone sole, per lo più anziani provenienti dal vicino ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà, oppure erano stati trovati morti lungo la strada, sempre e comunque in condizioni di abbandono, erano morti in ospedale e nessuno più li aveva reclamati. Quegli uomini non avevano donato il loro corpo alla scienza, ma la scienza o la medicina legale ritenevano necessario poter studiare quei corpi per trasmettere ai futuri medici informazioni preziose per il bene dei futuri malati, ma si serviva di uomini di cui nessuno avrebbe rivendicato la presenza: persone senza famiglia e senza genealogia, per evitare rivendicazioni di qualsiasi tipo.
Oggi, con questo disegno di legge, al centro della ricerca e della didattica fatta attraverso il corpo umano c'è la sua precisa volontà, la sua intenzione libera e consapevole di contribuire al progresso Pag. 37della scienza e della tecnica. Nessuno sarà più steso su un tavolo di studio anatomico un po' per caso. Ci starà solo perché lo ha chiesto e lo vuole all'interno di un sistema di regole e di principi ben codificati. E questo è uno dei punti fondamentali dell'attuale disegno di legge. È un'applicazione forte, concreta, di quel consenso informato che sta diventando il vero e proprio fattore organizzativo della relazione medico-paziente. Il consenso in vita del soggetto è prerequisito essenziale per la sua donazione post mortem e segna il filo conduttore che lega sempre e comunque il suo essere persona, che impegna gli altri in una relazione di rispetto che non può mai venire meno. Si tratta di una norma già diffusa in molti altri Paesi europei, dove è possibile donare il proprio corpo alla scienza con una prassi chiara, ma molto semplice. In Belgio, ad esempio, il dono del proprio corpo alla scienza è piuttosto diffuso. In Francia le facoltà di medicina e gli istituti di sanità possono accettare il corpo solo se l'interessato fa una dichiarazione scritta, debitamente firmata. Analogamente in Inghilterra e in Spagna. Negli Stati Uniti la donazione del cadavere a scopo scientifico risale alla fine degli anni Sessanta ed è strettamente collegata con lo sviluppo della chirurgia dei trapianti.
In Italia attualmente nelle nostre università disporre di cadaveri per motivi di studio è diventato piuttosto complicato, nonostante le società scientifiche considerino tale esercizio indispensabile per lo specializzando, per cui è frequente che gli specializzandi delle aree chirurgiche si rechino all'estero. Dobbiamo riappropriarci della nostra stessa tradizione e fare delle esercitazioni in sala settoria delle opportunità di formazione a tutto campo degli specializzandi, non solo un luogo e un mezzo per sviluppare competenze tecniche. La sala settoria può tornare ad essere anche luogo di formazione estrema nella relazione medico-paziente, simbolo concreto di una relazione di rispetto per la dignità umana che non viene mai meno, neppure dopo la morte.
L'ordinamento italiano, prima dell'approvazione di questo disegno di legge, non prevedeva una norma specifica che disciplinasse la manifestazione di volontà del soggetto in ordine all'utilizzo del proprio corpo dopo il decesso. Ed è proprio questa lacuna che il testo che stiamo esaminando vuole colmare. La legge attuale prevede che l'utilizzo del corpo post mortem a scopo di ricerca sia consentito o sulla base di una semplice disposizione scritta da parte del soggetto o con un atto più formale, che consegna ad un notaio la propria volontà. Il consenso però deve essere chiaramente espresso e l'utilizzo non può includere fini di lucro. Una volontà personale, libera, che potrà far parte del proprio testamento biologico e in questo caso dovrà essere consegnata ai centri di riferimento, strutture universitarie e aziende ospedaliere, individuati dal Ministro della salute. Gli uffici di stato civile, su comunicazione dei centri di riferimento, iscriveranno i donatori in un elenco speciale. Si tratta di un punto essenziale perché non si può escludere il fatto che, a fronte della volontà esplicita del soggetto di lasciare per un anno il proprio corpo a disposizione della scienza, i familiari possano esprimere delle riserve e in alcuni casi anche un aperto dissenso.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 17,30)

PAOLA BINETTI. Il rispetto della volontà del defunto non può però ignorare quel senso di pietà, così diffuso in Italia, che si esprime attraverso il compianto familiare. Il valore della famiglia resta sempre valido e assume caratteristiche diverse a seconda dei diversi momenti della vita. Proprio per questo il disegno di legge prevede che i centri in cui si svolgeranno le attività di studio e di ricerca restituiscano la salma alla famiglia entro un anno in condizioni dignitose. Spese di trasporto e sepoltura o cremazione sono a carico dello Stato.
Rispetto alla versione iniziale il testo che stiamo per votare è stato modificato. Pag. 38In Commissione sono stati approvati alcuni emendamenti che ne hanno specificato, migliorandolo, il contenuto sotto vari aspetti, sintetizzabili in modo schematico.
Questo disegno di legge serve per gli studenti della facoltà di medicina e chirurgia perché è una modalità di formazione indispensabile a tutti i livelli, sia nei primi anni del corso di laurea, che negli anni successivi della specializzazione, soprattutto se di natura chirurgica. La donazione del corpo post mortem deve rappresentare una possibilità di apprendimento, di formazione e di perfezionamento del tutto insostituibile per tutti i chirurghi, di tutte le specialità e a tutti i livelli del loro iter formativo per l'acquisizione di determinate capacità e competenze. Rappresenta un'opportunità di sperimentazione avanzata di nuove tecniche e tecnologie per i chirurghi che vogliono intraprendere interventi di grande complessità, ma di relativa scarsa frequenza, consentendo successivamente a questi stessi chirurghi l'insegnamento di queste tecniche ai propri allievi, perché a loro volta ne facciano esperienza.
Rispetto alla norma giuridica esistente, la proposta in esame, diventando legge, va a colmare un vuoto normativo gravemente penalizzante, perché in assenza di norme specifiche, l'utilizzo del corpo post mortem per finalità di studio, di ricerca e di formazione è ancora disciplinato dal regolamento di polizia mortuaria, le cui prescrizioni si basano sul regio decreto del 1933.
Completata la normativa relativa alla donazione degli organi in vigore con la legge n. 91 del 1999, che ha regolamentato le attività di prelievo e di trapianto di organi, in questo caso, per la donazione del corpo, la norma, oltre all'ovvio accertamento della morte ed all'assenza di interessi giudiziari, richiede solo l'espressa volontà del donatore in sede testamentaria. In questo senso, vorrei però aggiungere due parole di rassicurazione per il collega della Lega che ha appena parlato. Non credo che lo spirito di questo provvedimento abbia mai preso in considerazione l'ipotesi che si possano fare esperimenti sul vivente in fin di vita, perché non si è mai quasi morti: o si è morti o non lo si è, e la diagnosi di morte a cui si fa riferimento nel disegno di legge è quella prevista effettivamente nella legge sui trapianti. Si tratta di una diagnosi di morte che sancisce la morte del soggetto. Ora, se è vero che per il soggetto che deve essere sottoposto ad un prelievo di organi è fondamentale intervenire all'inizio del processo della morte, quando il paziente è appena morto, non c'è dubbio che per fare lezione di anatomia o di chirurgia questo paziente deve giustamente essere stato un congruo tempo in questa famosa cella frigorifera di cui si parlava e comunque il tempo non sarà mai inferiore alle ventiquattro ore che in Italia sono previste anche semplicemente per la dichiarazione di morte. Questo lo dico per rassicurarlo, perché questo è un buon disegno di legge, ma certamente pagherà pegno proprio su una sensibilità molto viva e molto sviluppata nell'opinione comune, che è il timore che si possa intervenire su una persone ancora viva. Allora, a noi non è lecito destare preoccupazioni che in qualche modo non hanno fondamento scientifico, però è lecito tener conto del pregiudizio e intervenire per rassicurare la popolazione, se vogliamo che la popolazione diventi a sua volta donatrice del proprio corpo.
Per questo, rispetto all'opinione pubblica, la norma prevede l'adozione di adeguate campagne di informazione non solo tra i cittadini, ma anche nella classe medica per la diffusione della possibilità di donazione. La comunicazione dovrà evidenziare contestualmente il valore scientifico della ricerca in atto e il rispetto assoluto per il corpo della persona, inteso come diafania del suo essere. Parte integrante di questo rispetto è la garanzia assoluta che si tratta di una persona morta. Le famiglie debbono sapere che la riconsegna del corpo un anno dopo il decesso può rappresentare ugualmente una grande opportunità di memoria e, quindi, anche una grande opportunità per il compianto familiare.
Potrà essere una buona legge se, come tutte le leggi, sarà applicata correttamente, Pag. 39rispettando anche lo spirito che l'ha animata durante il nostro dibattito in Commissione e che può essere sintetizzato così: «La scienza per l'uomo e non l'uomo per la scienza, neppure dopo la sua morte!» (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, inizio anch'io un breve intervento su questa iniziativa parlamentare. Sono così poche le iniziative parlamentari che penso vadano valorizzate. Quindi, anche quando il signor sottosegretario ha parlato di «decreto» è stato, in verità, un piccolo lapsus. Infatti, noi qui siamo di fronte ad una iniziativa di carattere parlamentare e va valorizzato il lavoro che è stato fatto.
Peraltro, il relatore lo ha bene descritto nella sua relazione introduttiva.
Inizio anche io ricordando che stiamo parlando della pratica settoria, che ha secoli di storia anche nel nostro Paese. Il teatro anatomico dell'università di Padova è considerato, anche oggi, uno dei più antichi nel mondo. Risale al 1595 ma, certamente, non è il primo perché, come abbiamo sentito già da altri interventi che hanno preceduto il mio e come ci consegnano ricerche interessanti, risalgono a molti decenni prima e, forse, anche a qualche secolo prima, sicuramente altre testimonianze importanti.
Penso che sia significativo che ricordiamo qui le caratteristiche dell'innovazione che questo progetto di legge porta. L'innovazione riguarda, innanzitutto, la volontà di disporre del proprio corpo senza finalità di lucro; riguarda la disciplina delle modalità per esprimere questa volontà; come sono organizzati i servizi sanitari e, in particolare, l'individuazione dei centri di riferimento (consegnati alle regioni); in quarto luogo, il compito e l'obbligo della restituzione alla famiglia della salma, in condizioni dignitose ed entro un anno; per ultimo, l'indicazione che gli oneri per il trasporto e per la tumulazione sono a carico delle istituzioni che hanno preso in consegna il corpo. Queste sono le innovazioni che il provvedimento ha introdotto e che sono - lo ripeto - state descritte dal relatore.
Inoltre, voglio aggiungere, a mio modo di vedere, due importanti segnalazioni che ci sono arrivate in sede di audizione, sulla necessità di innovare la normativa perché non solo in questo modo si dà un grande aiuto alla ricerca, ma anche un grande aiuto alla formazione dei medici. Qualcuno ha parlato - in particolare il collegio italiano dei chirurghi - dell'insostituibile aiuto nella formazione. Mi riferisco alla comparazione con altre strutture didattiche, delle nostre università con altri Paesi europei. Il CUN, nell'audizione, ci ha ricordato che per aprire una nuova facoltà di medicina e chirurgia in Europa la sala settoria è considerata fra gli strumenti didattici fondamentali e che per accreditare e consentire scambi di studenti, convenzioni o riconoscimenti di parti del corso di medicina, molte università nordamericane richiedono la dotazione della sala settoria. Se uno studente, iscritto a medicina e chirurgia in Italia, si trasferisce in un'altra facoltà di medicina in Europa deve nuovamente sostenere l'esame di anatomia umana, in quanto in Italia manca completamente la parte pratica di anatomia macroscopica. Sarebbero sufficienti queste ragioni per dire che va colmato il ritardo del nostro Paese rispetto ad altri Paesi europei.
Ma penso che sia altrettanto significativa la lettura della situazione che ci è stata consegnata dalla società italiana di anatomia e istologia riguardo alle ragioni dei ritardi che il nostro Paese ha accumulato, fin dagli anni Sessanta, ritardi che sono legati, sostanzialmente, a un aumento degli studenti prima dell'introduzione del numero programmato, a una minore disponibilità di salme a causa di norme legislativamente restrittive, allo smantellamento delle sale settorie degli istituti anatomici per la necessità di acquisire nuovi spazi didattici, all'impossibilità di applicare le nuove norme igienico-sanitarie di sicurezza, all'abolizione delle figure professionali dei tecnici settori e alla mancanza Pag. 40di una legislazione nazionale sulla donazione dei corpi, lacuna che ci apprestiamo, con questi progetti di legge e con il testo unificato della Commissione che è stato presentato, a colmare.
A me pare che il provvedimento, da questo punto di vista, sia importante e sia meritevole di sostegno da parte di tutto il Parlamento, al pari del lavoro concorde che si è sviluppato all'interno della Commissione XII.
Voglio ricordare la modifica che è intervenuta con una recente legge, che ha esteso la donazione ai fini del trapianto tra viventi, e l'importante attuazione della legge n. 91 del 1999 sulla donazione degli organi ai fini di trapianti. Queste tre norme, in verità, arricchiscono il sistema normativo del nostro Paese e ci consentono di mettere anche l'Italia alla pari delle Nazioni europee e - devo dire - nel mondo più evolute (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, Governo, onorevoli colleghi, la materia di cui ci occupiamo oggi in questo consesso riguarda il progresso e la ricerca medica. Riguarda gli strumenti che possiamo mettere a disposizione degli studenti di medicina per migliorare il loro apprendimento, la conoscenza e le tecniche chirurgiche. Riguarda la possibilità di fare pratica attraverso la ricerca diretta sul cadavere.
È certamente capitato di imbatterci in raffigurazioni pittoriche, nelle quali un medico, un ricercatore o un professore fossero davanti ad un cadavere sezionato, mentre tengono lezioni a studenti universitari. Non citerò qui quadri e pitture citati da altri. Studenti attenti a conoscere l'anatomia del corpo umano, la sua composizione, i suoi organi, le deformazioni e le patologie: tutto questo accadeva attraverso la conoscenza diretta del cadavere che veniva sezionato.
Questa pratica sul corpo post mortem ha permesso, nel tempo, di arricchire la medicina di conoscenze, di sempre nuove scoperte sul corpo umano in tutti i suoi segreti, fino recentemente ai risultati in merito ai trapianti di tessuto da cadavere. Questa pratica con il tempo si è persa, perse e diminuite le camere settoriali nelle università, difficile burocraticamente anche reperire i cadaveri. A tal riguardo, va dato atto all'unica esperienza di Torino che, in questo senso, si è distinta per questa unicità e che forse, anzi certamente, ha aperto il varco a questa legge.
Tutto questo rappresenta un danno, questa perdita di patrimonio rappresenta un danno alla conoscenza ed alla possibilità che la ricerca possa avanzare: conoscere meglio il corpo umano, trovare tecniche chirurgiche sempre più all'avanguardia e affinare tecniche operatorie.
La normativa nel nostro Paese è ferma ad un regio decreto del 1933 ed è complicata anche sul piano burocratico. C'è anche una cultura della donazione del corpo che possiamo definire arretrata. Pensare che il corpo possa ancora esserci dopo la morte, come se fosse proprietà personale, è certamente un modo sbagliato di vivere il corpo e, soprattutto, il rapporto con la morte.
Questa legge, oggi in discussione alla Camera dei deputati, aiuta tutti noi a superare queste barriere culturali e a sostenere la cultura della donazione del corpo post mortem, un atto di donazione per la ricerca affinché possa arricchire di conoscenza i medici, i giovani, gli studenti ed i ricercatori. Pertanto, è una legge che adegua finalmente la nostra normativa a quella di tanti Paesi occidentali, come il Belgio, la Francia, Spagna, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che, già da tempo, hanno approvato leggi sulla donazione del corpo post mortem, sul suo utilizzo, sulla sua restituzione alla famiglia e sui procedimenti di donazione. Ci siamo arrivati anche noi e questo è un passo importante, un passo di civiltà.
Questo provvedimento nasce dal consenso di tutte le forze politiche parlamentari e il gruppo dell'Italia dei Valori vi ha contribuito con due emendamenti approvati in Commissione. Il dato più significativo Pag. 41di questo provvedimento, però, è certamente l'inserimento di una norma legislativa sulla manifestazione di volontà in ordine alla donazione del corpo post mortem perché, fino ad oggi, la donazione è stata regolamentata per i trapianti dalla legge n. 91 del 1999, mentre per il corpo post mortem si fa riferimento - come detto - al regolamento di polizia mortuaria.
In questo modo, stiamo certamente aiutando la ricerca e lo studio a migliorarsi, ad affinare nel campo chirurgico le proprie tecniche, ad approfondire l'utilizzo degli organi nei trapianti da cadavere. Potete comprendere quindi - possiamo comprendere - l'importanza di questo provvedimento.
Infine questo provvedimento consente certamente di invertire un preoccupante trend nelle nostre università di medicina, ovvero la scomparsa delle sale settoriali di anatomia dove gli studenti, e anch'io da giovane medico qual ero, hanno avuto modo di imbattersi e di apprezzare. Questo provvedimento aiuta anche a cambiare il nostro atteggiamento nei confronti del corpo e del principio di donazione, non come atto di egoismo ma come appunto donazione a che la conoscenza migliori.
Resta tuttavia un limite al provvedimento: le poche risorse. Un provvedimento che affronta un tema così importante, dove si interviene anche sul cambiamento di cultura del nostro Paese, prevedendo campagne di informazione, iniziative di sensibilizzazione per agevolare la donazione rischia di vanificarsi davanti alla pochezza delle risorse finanziarie, all'assenza di risorse finanziarie. Le buone intenzioni di una buona legge quindi potrebbero pertanto restare inapplicate.
Dobbiamo pertanto uscire - è l'invito che faccio - dalla logica del «meglio poco che niente», una legge deve essere una buona legge che, approvata, deve essere poi applicata nell'interesse della comunità e per far funzionare una legge ovviamente, oltre alla legge, servono anche i soldi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 746-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Grassi.

GERO GRASSI, Relatore. Signor Presidente, soltanto qualche considerazione aggiuntiva. Condivido quasi tutti gli interventi che hanno seguito la relazione, specifico ulteriormente - nel caso in cui ce ne fosse bisogno - soprattutto in riferimento all'intervento dell'onorevole Rondini con il quale peraltro abbiamo lavorato in Commissione, quindi lui sa bene che il dubbio espresso non esiste né nella volontà ma nemmeno nella mente né del relatore né dei colleghi che con me hanno elaborato e composto questo testo.
Noi parliamo di post mortem, non abbiamo mai ipotizzato che la discussione avvenisse in una materia diversa dal post mortem e abbiamo sottolineato in Commissione - ma lo facciamo anche in Assemblea - che una delle ultime posizioni prima contrarie ad una legge del genere, oggi favorevole, è quella della Chiesa cattolica che, da parecchio, ha considerato la donazione del corpo e la ricerca scientifica sul cadavere come l'esaltazione del dono. Se così è, lungi da noi pensare che qualcuno possa non realizzare ma nemmeno dubitare che si vada incontro ad un percorso legislativo che serva a legittimare - perché ove ci fossero, sarebbero illegittime - sperimentazioni su persone in vita. Lo escludiamo non perché non è chiaro nel testo, ma è chiaro nel testo ed è nella mente e nel cuore del relatore e di tutti i colleghi che con me hanno portato avanti questo procedimento, e della Camera spero. Concludo riprendendo giustamente un flash della collega Miotto.
Mi rivolgo al Governo: non ho la bontà d'animo della collega Miotto e, non avendo quella bontà d'animo, pur avendo apprezzato Pag. 42e condiviso l'impostazione che il Governo ha voluto dare a questo provvedimento - tra l'altro la collaborazione con il sottosegretario Cardinale è quasi quotidiana - mi auguro che il riferimento al decreto non sia un lapsus freudiano, perché il tentativo del Governo di delegittimare quest'Aula - non è il caso suo, sottosegretario - e di espropriare a quest'Aula la potestà legislativa è un tentativo che subiamo spesso. Mi auguro che il suo sia stato soltanto un lapsus, senza il riferimento freudiano.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ADELFIO ELIO CARDINALE, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, vorrei innanzitutto chiarire e tranquillizzare. Si tratta di un lapsus dovuto ad una mia scarsa conoscenza. Chiedo scusa ma in questo senso sono un dilettante che si avvicina a questo sacrario della politica. Credo e confermo che anche in questa discussione ampia e approfondita, sostanzialmente non si siano trovate differenze, ma vi siano state semplicemente richieste di qualche particolare su alcuni punti, perché questo è certamente un passo avanti. Bene ha fatto l'onorevole Miotto a ricordare il teatro anatomico che c'è nell'università di Padova, ma vorrei dire che per secoli il teatro anatomico è stato l'emblema stesso delle facoltà mediche, perché era lì che si costruiva il medico, che veniva a conoscenza ed a contatto nel modo più profondo con la struttura del corpo umano. Mi pare che anche le altre considerazioni di carattere generale che ha fatto l'onorevole Binetti, vadano tutte verso l'apprezzamento non solo del Governo, ma mio personale, anche come medico e docente di medicina, perché questo provvedimento di iniziativa parlamentare certamente fa fare un passo avanti in un settore pratico della medicina, ma soprattutto in un settore ideale, perché spinge alla cultura della donazione, nel senso più ampio della parola. Questo certamente è un merito etico, oltre che scientifico e professionale.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Dionisi ed altri n. 1-01087, De Angelis ed altri n. 1-01071, Morassut ed altri n. 1-01086 e Piffari ed altri n. 1-01173 concernenti iniziative a favore degli inquilini degli immobili di proprietà degli enti previdenziali (ore 17,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Dionisi ed altri n. 1-01087, De Angelis ed altri n. 1-01071, Morassut ed altri n. 1-01086 e Piffari ed altri n. 1-01173, concernenti iniziative a favore degli inquilini degli immobili di proprietà degli enti previdenziali (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Cazzola ed altri n. 1-01175 e Di Biagio ed altri n. 1-01176 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto, altresì, che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Morassut ed altri n. 1-01086. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Carlucci, che illustrerà anche la mozione Dionisi ed altri n. 1-01087, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, il caso che stiamo per esporre con questa mozione è emblematico e rispecchia Pag. 43quello che succede nel nostro Paese: il sovrapporsi di leggi, di interpretazioni autentiche di leggi e di decreti che si accavallano l'una sull'altra, rendendo la vita del cittadino un inferno. In questi anni si è tentato, purtroppo inutilmente, di semplificare le norme, e l'intento era quello di venire incontro al cittadino. Ebbene, la mozione rappresenta esattamente tutto il contrario: una norma che doveva avere un obiettivo economico importante, si trasforma in un calvario in questo grave momento di crisi economica che colpisce in particolare le famiglie. Non ci dimentichiamo che in Italia ci sono molte famiglie monoreddito e molte famiglie di pensionati, che hanno poco denaro a disposizione.
Quindi, siamo in presenza di un'emergenza abitativa a causa dell'aumento improvviso di un affitto o del prezzo di vendita di un immobile in cui si è vissuto tutta una vita. All'improvviso, anziché costare quello che è giusto ed equo, perché le case, quando sono state costruite, erano in periferia e non hanno mai avuto la possibilità di essere ristrutturate dagli enti che le possedevano, vi è la triplicazione o la quadruplicazione degli affitti o il raddoppio, se non di più, del costo di vendita di queste case.
Tutto questo mette in crisi tantissime famiglie: si parla di 60 mila famiglie in tutta Italia. Il problema riguarda, sostanzialmente, le città di Roma e di Milano, che sono quelle interessate maggiormente dalla questione delle case di proprietà di enti che sono, nel frattempo, da pubblici, diventati di proprietà mista pubblica-privata. Quindi, ripeto, questa mozione tenta di scongiurare un disastro sociale.
Io credo che il Governo abbia tutto l'interesse, in questo momento così difficile, a mettere una «pezza» a questo problema. A dire il vero, io mi sono occupata di questo problema insieme all'onorevole Angeli, quando è stato sottoposto all'attenzione di alcuni parlamentari, con una proposta di legge, che, purtroppo, presentata il 21 luglio 2010, dorme sonni tranquilli nella Commissione di riferimento.
Questo per dire che il problema era presente a tutti noi e che la sottoscritta e l'onorevole Angeli avevano sollecitato la Commissione di riferimento; purtroppo, fino ad oggi, nulla è stato fatto. Un primo passo, però, possiamo dire che oggi è stato fatto, perché viene calendarizzata questa mozione. Come avete visto, tutti i gruppi parlamentari hanno presentato una mozione analoga: questo dovrebbe far ben sperare nell'accoglimento da parte del Governo delle nostre richieste.
Il Governo, però, ha altri strumenti - adesso li indicherò - per poter immediatamente risolvere questo problema e il Governo deve assolutamente mettere mano a questo problema, che si trascina ormai da anni. In effetti, come dicevo prima, il problema riguarda gli inquilini degli immobili di proprietà degli enti previdenziali privatizzati.
Come dicevamo prima, esso riguarda, sostanzialmente, le città di Roma e di Milano. Tutto origina dall'entrata in vigore del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, che ha trasformato gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza in enti pubblici di diritto privato. Tra questi enti vi sono l'Enpaia, l'Enasarco, l'Enpam, l'Enpaf, l'Enpav, la Fimit, la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense ed altri, proprietari di un numero enorme di immobili in tutta Italia, ma sostanzialmente a Roma e Milano.
In effetti, l'intento era quello della liberalizzazione del mercato: si pensava di poter ottenere un guadagno nel mettere sul mercato queste case degli enti. Vi ricordo ancora che queste case avevano l'obiettivo di costituire edilizia popolare, cioè di venire incontro a persone che non avevano la possibilità di vivere altrove.
Infatti, queste case inizialmente furono costruite in zone marginali della città, anche se, naturalmente, Roma e Milano sono città enormi, che si sono espanse nel frattempo, e quindi oggi queste case hanno assunto un valore di mercato più alto, anche se sono spesso case vecchie, che non Pag. 44sono state ristrutturate, e che quindi non meritano il valore di mercato che è stato, invece, loro attribuito.
Diciamo che però l'intenzione del legislatore, che era quella della liberalizzazione e vendita di questi mobili al miglior prezzo possibile, doveva essere mitigata dal decreto-legge n. 41 del 2004, convertito dalla legge n. 104 del 2004, che fissava, quali termini di riferimento per la determinazione del prezzo degli immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione e di locazione, i valori di mercato rilevati nel mese di ottobre 2001.
Successivamente però - noi avevamo cercato di intervenire con la proposta di legge di cui vi ho parlato prima - per effetto di una discussa norma di interpretazione autentica - di nuovo, come complicare la vita al cittadino! - introdotta dal comma 38, dell'articolo 1, della legge n. 243 del 2004, gli enti privatizzati hanno disapplicato completamente questo obbligo di vendita e di fissazione dei canoni di affitto ai valori del 2001.
Quindi, hanno cominciato, come dicevamo prima, a triplicare, in alcuni casi addirittura a decuplicare, il canone di affitto. Se le case dei ferrovieri che vennero costruite negli anni Trenta nelle vigne dei Parioli, quando i Parioli erano periferia estrema della città, oggi sono all'interno di un quartiere tra i più cari, dal punto di vista immobiliare, di Roma, è evidente che non è colpa di quelli che ci abitavano al tempo in cui erano case popolari.
Quindi, quella casa oggi non può valere dieci volte tanto o anche di più, perché chi vi abita è un pensionato, una famiglia monoreddito, qualcuno che non ha la possibilità né di vedersi decuplicato l'affitto né di vedersi triplicato o quadruplicato il prezzo di vendita.
Quindi, diciamo che viene completamente disapplicato l'obbligo di attenersi ai canoni di affitto del 2001.
L'assenza, dunque, di obblighi di locazione ed alienazione degli immobili a tariffe calmierate ha prodotto un aumento dall'80 al 100 per cento, con conseguente richiesta di sfratto immediato per tutti gli inquilini che non erano in grado di sostenere questo nuovo canone. Gli inquilini dell'Enasarco, della Sara assicurazioni, dell'Enpaia - per citare solo alcuni dei casi e delle persone che abbiamo incontrato - hanno denunciato la dismissione degli alloggi a prezzi speculativi e gli aumenti dei canoni a prezzi insostenibili per moltissimi di loro che saranno, ben presto, se non si interviene immediatamente, costretti a lasciare gli alloggi che hanno abitato per decenni.
Va ricordato ancora che le persone che vivono in queste abitazioni sono, in sostanza, soggetti anziani, pensionati, come dicevamo prima, famiglie monoreddito, disabili e categorie disagiate varie per le quali, nell'attuale contesto di grande crisi economica - che sta colpendo tutti, quindi figuriamoci se non colpisce ancora più duramente chi è già in partenza svantaggiato -, gli aumenti rappresentano l'anticamera certa dello sfratto.
Cosa chiediamo, dunque, al Governo? Innanzitutto di bloccare immediatamente gli sfratti. Questo è il primo provvedimento che va adottato immediatamente. Devo dire che il mio gruppo, insieme a me, ha presentato una serie di emendamenti al disegno di legge di stabilità, quindi vi forniamo anche uno strumento immediato visto che le suddette proposte emendative riguardano, appunto, il blocco immediato dello sfratto.
Chiediamo inoltre di bloccare l'aumento dei canoni o l'aumento del prezzo di vendita di queste case.
Vogliamo anche un chiarimento sulla natura giuridica di questi enti, proprio perché nel futuro non si possa continuare ad insistere con la disapplicazione delle norme che avrebbero invece visto la calmierazione dei prezzi.
Chiediamo di approvare i nostri emendamenti, se volete, ma comunque di assumere delle iniziative normative per rimediare immediatamente a queste procedure di sfratto in corso. Dico «in corso» perché stiamo parlando di oggi, di questi giorni. Noi abbiamo incontrato proprio in questi giorni le famiglie che hanno ricevuto l'avviso di sfratto. Si tratta, quindi, di Pag. 45provvedimenti da adottare immediatamente e di dare vita ad un atto immediato, non solo approvando le nostre mozioni, il che rappresenterebbe un pensiero positivo, come a dire «Sì, avete ragione, faremo qualcosa». Il «faremo qualcosa» deve essere immediato.
Ora sto per recarmi presso la Commissione di cui faccio parte per parlare del disegno di legge di stabilità e delle sue eventuali modifiche. Abbiamo presentato delle proposte emendative. Vi sarebbero quindi già gli strumenti immediati necessari per fare quello che chiediamo.
Ripeto che solo a Roma vi sono 40 mila famiglie in questa condizione. È un argomento ed un problema enorme di questo momento.
Chiediamo al Governo quindi di adottare decisioni immediate e, subito dopo, dopo aver risolto il problema degli sfrattati, di istituire un tavolo tecnico al quale siederanno tutti i soggetti interessati, anche gli inquilini, perché è importante capire la condizione di questi immobili. Ho portato l'esempio del quartiere Parioli perché è quello più calzante: vi sono case costruite quando questo quartiere faceva parte dell'estrema periferia della città, mentre oggi si trovano nel quartiere più costoso di Roma dal punto di vista immobiliare. Quindi è opportuno avere oggi una risposta immediata, e subito dopo istituire un tavolo tecnico al quale esporre i tanti problemi di queste categorie.
Al Governo chiedo queste cose veramente con il cuore in mano. Si tratta di un'emergenza, di un problema enorme dal punto di vista sociale, ancora più enorme viste le condizioni economiche di grande crisi nelle quali versa non solo l'Italia, ma in particolare le famiglie italiane (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Angelis, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01071. Ne ha facoltà.

MARCELLO DE ANGELIS. Signor Presidente, ringrazio la collega Carlucci per avere già adeguatamente illustrato il percorso storico-legislativo, così abbrevieremo l'intervento, dal momento che le cinque mozioni all'ordine del giorno, come avrà notato anche il rappresentante del Governo, convergono sia nelle premesse, sia, in buona parte, anche nelle proposte.
Nell'intervento dell'onorevole Carlucci è stato anche chiarito a sufficienza che gli enti a cui ci riferiamo, anche per interventi europei, hanno visto riconfermata la loro vocazione pubblicistica e non lucrativa.
È stato anche ricordato che il patrimonio immobiliare di questi enti nasce da condizioni di particolare vantaggio, sia nei costi sia nei carichi fiscali, e con finalità che erano eminentemente sociali e previdenziali. Quindi, il fenomeno non può, a nostro avviso, in alcun modo essere considerato alla stregua degli immobili costruiti da privati, anche proprio per una questione di correttezza di mercato. Questo vale sia che si parli di prezzi di vendita o di canoni d'affitto.
Va anche sottolineato, in realtà, che i canoni d'affitto, come i prezzi di vendita, come è stato detto, sono anche tarati su un periodo del mercato immobiliare che ora non è più attuale. Io vivo in un appartamento dell'Inpgi, l'istituto di previdenza dei giornalisti, dove pago un affitto che, oggi come oggi, a volte è anche del 30 per cento superiore agli affitti dello stesso quartiere e degli immobili della strada accanto, perché c'è stata una contrazione, dovuta anche all'IMU e ad altre situazioni di oneri ulteriori nei confronti dei proprietari di casa.
Va ricordato che questi enti - che in realtà avevano investito nel patrimonio immobiliare perché era l'unico patrimonio sicuro e sostanzialmente era il bene rifugio per eccellenza - hanno bruciato milioni di patrimonio, svuotando le casse - in particolare negli anni Novanta e successivi - per un'infatuazione per il mercato finanziario. Per cui, abbandonando l'atteggiamento conservativo, che è tipico degli enti previdenziali di tutto quanto il mondo e che appunto si rivolgeva all'investimento immobiliare, questi enti, a cominciare dall'INPS, Pag. 46hanno, se vogliamo, giocato in borsa ed hanno bruciato interi patrimoni. Adesso vengono chiamati, anche con un certo senso di responsabilità da parte di questo Governo, a reintegrare le proprie casse, ahimè liberandosi dell'unico patrimonio sicuro che avevano realizzato.
Dobbiamo a questo punto anche considerare che la nostra mozione ed alcune delle mozioni, che sono state presentate parecchio tempo fa - la nostra per esempio è stata scritta all'inizio di giugno - sono state concepite altrimenti e prefiguravano una potenziale crisi sociale che nel frattempo è esplosa e si è enormemente aggravata, come ricordava la collega Carlucci.
In tempo di crisi - ahimè lo sappiamo tutti ed anche il rappresentante del Governo - non è vero che tutti si impoveriscono. I poveri diventano più poveri e, generalmente, i ricchi diventano più ricchi, perché ricorrono al meccanismo speculativo, che in questa fase di crisi e di sofferenza collettiva è da considerarsi un vero e proprio crimine a nostro avviso.
Ne abbiamo fatto le spese noi, come Paese, come Stato e come popolo, nei confronti degli attacchi speculativi della finanza e oggi come oggi ne fanno le spese vasti settori di cittadini che, davanti all'opportunità per alcuni di arricchirsi sulle loro difficoltà e sulle difficoltà che stiamo esperendo tutti, rischiano veramente di mettere a repentaglio la propria vita e la vita dei propri cari.
La storia delle cartolarizzazioni ci evoca un nome - che è quello di Ricucci - che indipendentemente dai suoi meriti e demeriti ci è servito da luce di allarme su queste eventualità. Si parlava di sfratti. Non c'è bisogno di sottolineare che la casa è veramente il bene primario per eccellenza. La casa viene prima di tutto: si può sopravvivere ad una temporanea perdita del lavoro, si può riuscire in qualche maniera a salvare la propria famiglia, l'educazione dei propri figli e in qualche modo, attraverso delle difficoltà, a riprendere poi una vita che può essere considerata normale. Se si perde la casa, tutto questo è finito. Non c'è più possibilità di riflessione, non c'è più possibilità di ripartenza, non c'è più possibilità neanche di ragionare sul domani, perché non si sa dove far dormire i propri figli.
Questa è un fenomeno che, ahimè, si diffonde per varie eventualità, che non sono strettamente connesse a questo problema degli enti previdenziali. Sappiamo che al nord c'è stata un'esplosione - lo sappiamo dai dati del Ministero dell'interno - degli sfratti e, per la prima volta, quasi il 90 per cento degli sfratti è per intervenuta morosità, perché le famiglie non sono in grado di pagare gli affitti. È un fenomeno che ha investito il nord in particolare per la chiusura di numerosi stabilimenti, la chiusura di società, che portano chiaramente ad un incremento della perdita del lavoro e, di conseguenza, alla non possibilità di pagare l'affitto.
Ci troviamo davanti - e mi si scusi se uso un termine che al Governo sostanzialmente dovrebbe essere oramai familiare - ad una situazione, che stiamo creando, di esodati della casa che sono consequenziali, se vogliamo, agli esodati dal lavoro. Nel tentativo di intervenire con una misura razionale che era e che è finalizzata a riempire le casse delle previdenze per garantire il prosieguo dei pagamenti delle pensioni, noi attualmente stiamo mettendo a rischio di perdita dell'alloggio, in base a ciò di cui si parla, decine di migliaia di soggetti. È difficile incrociare i dati perché i dati recenti non ci sono e i dati del Ministero dell'interno risalgono a quasi un anno fa, ma sappiamo da vari osservatori che a Roma siamo a dieci sfratti al giorno circa. Basta fare dei calcoli aritmetici e rendersi conto che ci troviamo davanti ad una vera e propria bomba sociale. E non vorrei essere nelle scarpe di chi, da qui a sei mesi, dovrà fare fronte a una situazione del genere, con decine di migliaia di famiglie per strada.
Le nostre mozioni, tutte quante, chiedono un congelamento della situazione, un congelamento degli sfratti, un congelamento degli aumenti dei canoni, che possa permettere di riunire un tavolo interistituzionale per fare chiarezza su una giungla normativa. Ci sono una serie di leggi Pag. 47che dicono non necessariamente la stessa cosa ed è nell'interesse di tutti trovare effettivamente un quadro di riferimento più chiaro. È pur vero che io, per esempio, mi sono reso conto adesso, rileggendo la nostra mozione, che, proprio perché è stata scritta in giugno, probabilmente non marca in maniera sufficientemente esplicita la necessità, che oggi è urgentissima, come diceva la collega prima, del blocco degli sfratti che, a nostro avviso, può essere anche inserito dal Governo in un'eventuale proroga che in questi giorni è fortemente richiesta sui media, sui giornali, sulle televisioni, anche dalle associazioni degli inquilini, una proroga del blocco degli sfratti che va in scadenza il prossimo 31 dicembre 2012 e che riguarda solo gli sfratti per finita locazione. Potrebbe essere un atto immediato e, a mio avviso, efficace, efficiente ed estremamente responsabile se il Governo potesse considerare pure di inserire un'eventuale proroga di questo strumento anche per lo sfratto per morosità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01086 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, finalmente dopo un po' di tempo giunge in quest'Aula una discussione che mi sembra abbastanza condivisa un po' da tutte le forze politiche - spero che possa trovare sensibilità anche nel Governo, ma ritengo di sì e devo ritenere di sì - per un provvedimento che, seppure nella forma di un indirizzo del Parlamento con delle mozioni, tratta il tema della dismissione e non solo della vendita ai conduttori, ma anche il tema di un riordino della materia dei contratti di locazione, in modo più giusto e sostenibile socialmente, del patrimonio immobiliare abitativo degli enti previdenziali, sia pubblici che privatizzati, delle casse, dei fondi pensione e degli enti assicurativi. Qui c'è il Viceministro Martone con il quale ormai, forse da più di due anni, cerchiamo di trovare insieme le modalità per una via di uscita di questo problema veramente drammatico. Si è partiti ovviamente in Commissione con iniziative e provvedimenti differenziati perché la normativa induce a seguire binari diversi per gli enti previdenziali pubblici e altri per gli enti previdenziali privatizzati. Ma devo dire che, nonostante il reciproco sforzo, i risultati sono stati ben scarsi, anche perché questa materia si incrocia con un momento particolarmente difficile del bilancio dello Stato e con una manovra economica e finanziaria particolarmente drammatica e ciò ha reso più complicata l'individuazione di una soluzione normativa che fosse al tempo stesso socialmente giusta, ma anche non punitiva per le esigenze delle casse pubbliche.
Si tratta, però, di un problema che, ad oggi, interessa - come è stato qui ricordato dalla collega Carlucci e dal collega De Angelis - in modo assai preoccupante almeno 50 o 60 mila famiglie, che sono in gran parte concentrate a Roma, che ne ospita almeno il 60 per cento. Ciò per estensione territoriale, per quantità di popolazione, ma anche perché Roma è una città di ceto medio impiegatizio, di dipendenti della pubblica amministrazione che, molto spesso, hanno trovato una parziale soluzione al problema della casa proprio attraverso un contratto di locazione con le case degli enti.
È un problema che riguarda fasce sociali assai ampie, assai diversificate: dalle famiglie di estrazione più popolare e di condizione media, fino a famiglie che oggi diremmo di ceto medio - anche se è un'espressione ormai abbastanza astratta, per certi aspetti -, cioè, teoricamente, più solide e garantite. Ma, ad oggi, per le particolari conseguenze della crisi economica e finanziaria che colpisce proprio i corpi sociali intermedi, queste famiglie vengono repentinamente coinvolte da una crescente emergenza abitativa, di cui questa vicenda del patrimonio degli enti è parte importante.
Senza dilungarmi troppo, vorrei cogliere anche questa occasione per una riflessione più complessiva, brevemente, sul tema dell'emergenza abitativa in questo Paese. Vorrei iniziare da una considerazione Pag. 48nella quale si colloca l'argomento che qui trattiamo, perché, altrimenti, forse, non riusciremo a trovare fino in fondo una seria soluzione al problema, se non collocandolo nel quadro di un indirizzo più generale, che, comunque, è giusto che il Governo assuma finalmente.
L'Italia, tra i tanti record negativi, se così si può dire, ha quello di essere uno dei Paesi europei nei quali il problema dell'emergenza abitativa assume oggi forme gravi, per quantità e per estensione sociale delle famiglie interessate e per la mancata risposta delle autorità, per l'assenza di un'organica politica per la casa che trovi riscontro in un'adeguata iniziativa di riforma legislativa, che dovrebbe agire, da un lato, in direzione di un'iniziativa legislativa sul tema del governo delle aree urbane e del territorio e, dall'altro lato, sulla leva fiscale e di una sana politica di decentramento e di responsabilizzazione delle amministrazioni locali.
Oggi, l'Italia, tra questi record negativi, ha anche quello di essere il Paese che detiene una percentuale, che produce una quantità di edilizia residenziale pubblica che oscilla, a seconda degli anni, tra l'1 e l'1,5 per cento, quando abbiamo Paesi europei più avanzati in questo settore che arrivano ad una produzione di edilizia residenziale sociale, sul complessivo del prodotto industriale edilizio per le abitazioni, che sfiora il 40 per cento.
Per anni, a partire dagli anni Settanta e Ottanta, dopo decenni di aspre lotte e scontri sociali proprio sul tema di quello che una volta si chiamava il diritto alla casa, si è giunti a considerare l'emergenza abitativa, che aveva seguito la crescita e lo sviluppo della nostra città nel dopoguerra fino, almeno, appunto, agli anni Settanta, di fatto, esaurita. Si calcolava, e ancora si calcola, che intorno al 70 per cento delle famiglie italiane sono proprietarie dell'alloggio nel quale vivono. Tuttavia, oggi, si tratta di fare una riflessione un po' più approfondita, perché buona parte di quel 70 per cento è, poi, gravato da onerosissimi mutui che le famiglie debbono faticosamente onorare - e, a volte, non ce la fanno -, e quindi, si potrebbe considerare un dato molto, molto lordo dal punto di vista della quantità.
Poi, si è scoperto, negli ultimi dieci, quindici anni, che non era così: che l'emergenza abitativa non era affatto finita, ma che è tornata a manifestarsi in altre forme, anche più gravi. Infatti, la mutazione del carattere della rendita urbana - cioè, di chi governa fondamentalmente lo sviluppo della trasformazione delle grandi città -, della rendita urbana ed immobiliare, che sempre ha condizionato le politiche urbane e, conseguentemente, abitative, e la sua saldatura con gli interessi del grande capitale finanziario a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, ha ristrutturato in senso antisociale - se posso usare un'espressione che si capisce bene, anche se, per forza di cose, è generica - il mercato immobiliare, spingendo le famiglie nel gorgo sempre più oneroso del mercato privato e libero della casa.
Ciò anche per il progressivo, costante e rapido deterioramento degli strumenti pubblici di edilizia residenziale pubblica e di edilizia convenzionata che a partire dagli anni Sessanta erano stati faticosamente messi in atto per calmierare il mercato, offrire valide e praticabili alternative al mercato edilizio privato e garantire il diritto alla casa per milioni di lavoratori e di famiglie dei ceti medio bassi.
Questo declino dell'iniziativa pubblica nell'edilizia, di cui fa parte anche la politica di questo dopoguerra dell'acquisizione di patrimonio immobiliare da parte degli enti previdenziali finalizzata all'investimento delle risorse destinate alla previdenza sociale e al potenziamento delle politiche di edilizia residenziale pubblica, è un grande tema dell'oggi, le cui ragioni vanno ricercate nel declino di una legislazione, come ho detto, urbanistica vecchia, ormai obsoleta, compromessa da continue manomissioni settoriali che ancora continuano, settore per settore, e dall'abbandono di ogni interesse delle classi dirigenti per questi temi.
Un abbandono, una distanza, un disinteresse che in parte sono stati di tipo Pag. 49culturale; in parte, per motivi molto più pratici, per così dire, legati anche ad un trasversalismo tra gli interessi dei grandi poteri economici che sono riusciti a stabilire con tanti livelli politici nel corso degli anni della cosiddetta globalizzazione rapporti di maggiore forza gerarchica in cui la forza e la scala organizzativa delle lobby economiche e finanziarie si è strutturata, si è rafforzata, mentre la politica di livello nazionale, in ogni Paese, ha vissuto un crescente e irreversibile declino e indebolimento; ma per parlare di questo, forse, ci sono sedi più dettagliate, diverse.
Il fatto è che oggi in Italia, Paese povero di materie prime, storicamente segnato da uno sviluppo industriale sorretto dallo Stato, con scarsa capacità di capitalizzazione della propria macchina produttiva e in cui, quindi, lo sfruttamento del suolo ha sempre costituito una leva per generare risorse private ma anche pubbliche, siamo giunti ad un punto limite dal quale non sembra esservi via d'uscita per tante famiglie e soprattutto per le famiglie del futuro, i giovani, i nuovi italiani che vogliono sposarsi, avere dei figli e fare una vita normale.
L'accesso alla casa ha un costo enorme per il peso che esercitano elementi nocivi come la rendita finanziaria, il costo della corruzione, la farraginosità amministrativa e il costo dei suoli. Non esiste più un'organica politica per la casa e il mercato dell'affitto non esiste perché tutto il sistema ruota intorno al principio assoluto della proprietà, che è la garanzia incomprimibile, imprescindibile del meccanismo che lega rendita urbana e capitale finanziario.
In questo quadro la vicenda degli enti e della dismissione del patrimonio abitativo è esemplare, come ricordava la collega Carlucci; agli inizi degli anni Novanta assistiamo ad una politica di dismissione di questo patrimonio, legata alla necessità di fare politiche di risanamento finanziario e di venire incontro, anche, ad esigenze di manutenzione di questo immenso patrimonio che costa e che purtroppo non viene manutenuto e, sempre più, negli anni non è stato manutenuto. Sono intervenute diverse iniziative legislative, alcune molto importanti; una di queste è la legge n. 410 del 2001 che trattava di varie questioni ma che coglieva un punto importante, che vale soprattutto per quegli enti previdenziali di natura ancora totalmente pubblica che sono stati ormai raccolti quasi completamente nell'INPS, che stabiliva, per essere molto sintetici, la possibilità dei conduttori di acquistare l'alloggio in attesa del rinnovo dei canoni di locazione con una valutazione sociale, con forti vantaggi sociali, cioè con un forte abbattimento dei costi che erano stabiliti dalla legge. Perché questa iniziativa era giusta? Era giusta perché prendeva atto della necessità di affrontare la crescente emergenza abitativa che nasceva anche all'interno del mondo degli enti previdenziali, ed inoltre prendeva atto del fatto che questi immobili non potevano essere messi sul mercato e fatti acquistare ai conduttori sulla base di un prezzo di mercato perché il prezzo di mercato questi non lo potevano avere.
Perché il loro valore reale rispetto a quello di mercato era un valore abbattuto dalla scarsa manutenzione, dall'abbandono e dal fatto che le famiglie, che vivevano in questi complessi, non avevano la possibilità di acquistare questi alloggi a quel prezzo.
Questo riguarda sostanzialmente il comparto degli enti previdenziali pubblici, che poi sono andati in vendita nel 2001, anche se battaglie ci sono state, con la costituzione della «SCIP 1» e della «SCIP 2», per tentare, diciamocelo francamente, di strappare nuovamente questo patrimonio alla loro tutela sociale e di ricondurlo ad una logica di mercato.
Si è tentato con quelle operazioni di immobiliarizzare, di rendere le vendite, ancora una volta, sorrette da un meccanismo di puro mercato, ma le battaglie fatte da tutte le forze politiche - lo ricordo - lo hanno impedito ed hanno consentito di andare avanti con le vendite per il 90 per cento ai cittadini e alle famiglie conduttrici degli alloggi di edilizia, degli immobili di enti previdenziali pubblici, finché, con lo scioglimento delle Pag. 50SCIP, è rimasta oggi - e questo è uno dei temi - una quota di 10-12 mila famiglie, in gran parte concentrate a Roma, che abitano in quegli alloggi, spesso senza titolo, perché non hanno neanche il contratto di locazione essendogli scaduto e non rinnovato dagli enti. Tuttavia, non possono acquistare perché, sciolte le SCIP, questo patrimonio è tornato ormai in proprietà dell'INPS, che attende dal Governo un indirizzo sul cosa fare. Cosa fare? Vendere, proseguire il processo di vendita sulla base degli indirizzi di una legge esistente, la n. 410 del 2001; ma si risponde - e qui c'è il problema normativo che non si è riusciti a risolvere - che nel frattempo sono intervenute altre normative che trattano il tema della vendita del patrimonio immobiliare pubblico che prevedono che questi immobili debbono essere venduti attraverso l'attribuzione ad SGR, che poi penserà a collocarle sul mercato. Ma questo sarebbe un'ingiustizia per queste famiglie, sarebbe un trattare a livello di mercato un patrimonio immobiliare che non può essere venduto a livello di mercato, sarebbe aggravare l'emergenza abitativa.
Per questo noi, nella mozione, tra i primi punti, chiediamo il rispetto della legge n. 410 e chiediamo che l'INPS - che lo ha già chiesto ai Ministeri vigilanti, cioè al Ministro del lavoro e al Ministero dell'economia e delle finanze, con una lettera del presidente Mastrapasqua del febbraio 2012 - abbia indirizzi chiari su come riprendere il processo di vendita e che esso vada avanti con gli indirizzi della legge n. 410.
Altra cosa - e concludo - è invece tutto l'universo mondo che si muove intorno agli enti previdenziali cosiddetti privatizzati, cioè quegli enti - come l'Enasarco, l'ENPAM, l'ENPAIA, le casse, i fondi pensione e così via - che hanno visto mutare la loro natura giuridica all'inizio degli anni Novanta, e con successivi provvedimenti (non li ricordo, ma sono stati perfettamente ricordati dai colleghi intervenuti prima di me) sono stati trasformati in enti naturalmente soggetti a vigilanza pubblica, ma privatizzati, in quanto finalizzati, proprio per onorare la loro funzione di enti di previdenza sociale, a valorizzare con il massimo profitto possibile - ovviamente schematizzo, ma questo è il cuore della questione - il loro patrimonio immobiliare.
Qui si è creata un'enorme e drammatica contraddizione, perché si vuole valorizzare questo enorme patrimonio immobiliare con indici di mercato, cioè basandosi su una valutazione di mercato degli immobili, magari abbattuta, come in alcuni accordi sindacali si è fatto, cercando di inserire delle tutele, che però si sono rivelate insufficienti, perché quegli accordi sindacali, che sono stati sottoscritti, non sono andati avanti perché le famiglie non sono stati in grado di onorarli.
Questo meccanismo sta diventando il classico cane o gatto che si morde la coda - adesso non ricordo se è un cane o un gatto, mi sfugge -, perché si mettono sul mercato questi alloggi che debbono essere venduti ai conduttori, ma in realtà i conduttori non possono comprarli perché non hanno le risorse, non hanno agevolazioni di mutuo e le banche non danno mutui, così si aggrava l'emergenza abitativa e non si vende il patrimonio, e gli enti non riescono a ricaricare le batterie per svolgere ed onorare la loro funzione di previdenza sociale; tant'è vero che si sta discutendo, in altra Commissione, sul fatto che questi enti rischiano di essere commissariati perché non garantiscono il flusso finanziario necessario per pagare le pensioni.
Qui ci vuole un'iniziativa politica e l'intenzione del Parlamento, nelle nostre mozioni, è esattamente questa, quella di mettere insieme la grande esigenza sociale, il dare risposta a un pezzo largo del ceto medio, dare risposta ad una domanda sociale fortissima, e innescare un meccanismo che finalmente consenta anche allo Stato di introitare le risorse necessarie e importanti per affrontare l'emergenza finanziaria.
Come? Nella mozione noi fissiamo dei principi, dei capisaldi di movimento. In primo luogo, questi sono enti previdenziali privatizzati, perché è cambiata la loro Pag. 51natura giuridica, ma attenzione, perché gli immobili di cui sono proprietari e che sono stati realizzati nei decenni passati sorgono su aree che sono state date spesso in concessione, aree di edilizia residenziale pubblica con suoli pagati a basso costo e dati in concessione agli enti che, quindi, rientrano negli indirizzi strategici e storici dell'edilizia residenziale pubblica.
In secondo luogo, sono enti che comunque hanno una funzione pubblica. Sono enti che comunque le sentenze della Cassazione e dei TAR hanno messo in discussione dal punto di vista del loro profilo privatistico; quindi, è arrivato il momento di ridare a tutti questi enti un carattere normativo più chiaro, anche in relazione al tema della dismissione del loro patrimonio.
Per questo nella mozione noi chiediamo - insieme e coralmente - una moratoria. Mentre per i pubblici chiediamo di ripartire con le vendite, per quanto riguarda i privati noi chiediamo una moratoria e un tavolo tecnico e sindacale molto rapido che rimetta in linea il carattere giuridico degli enti, e crei condizioni sociali sostenibili.
Ciò innanzitutto per la vendita ai conduttori sulla base - io dico - degli indirizzi almeno della legge n. 410 del 2001. Se poi si riesce a fare di più in senso sociale, benissimo, ma occorre almeno recuperare l'utilizzo della legge n. 410 del 2001, anche per gli enti previdenziali privatizzati.
Il secondo scopo è quello di agevolare l'accesso al mutuo di queste famiglie, perché molte famiglie vogliono comprare, ma non hanno il mutuo dalle banche perché sono ultrasessantacinquenni o perché non hanno garanzie da offrire. Anche qui siamo in una condizione di assurdità, di comma 22, perché le banche non erogano i mutui, non si mette in circolazione denaro, lo smobilizzo degli appartamenti non va avanti, e quindi non c'è un beneficio per nessuno.
Nell'esame del disegno di legge di stabilità chiederemo, con un emendamento, di istituire un fondo di garanzia dello Stato per le banche che erogano mutui per queste dismissioni, facilitando queste famiglie. In terzo luogo, occorre che ci sia una revisione dei contratti di locazione non così punitiva. Io ho partecipato a tante assemblee di cittadini e di inquilini, insieme a tanti colleghi, e francamente mi sono trovato di fronte a delle situazioni paradossali.
Si tratta di famiglie del ceto medio, famiglie che in fondo hanno fatto sempre una vita normale, senza eccessi, senza potersi permettere grandi cose, ma facendo una vita normale e che oggi vedono raddoppiare il canone di locazione che gli mangia lo stipendio, gli mangia la pensione, tanto che non ce la fanno a fare null'altro che pagare il canone di locazione, non arrivando neanche a pagare le bollette.
Si può non prendere atto di questa situazione drammatica? Può uno Stato, un Governo, un parlamentare non farsi carico di una revisione normativa, di un punto e a capo in una situazione così difficile che accentua la gravissima crisi di emergenza abitativa che c'è nelle nostre città?
Ecco, finalmente, dopo una lunga discussione nelle Commissioni e dopo una lunga battaglia che noi - come Partito Democratico - abbiamo fatto nelle città e nelle Commissioni competenti, si arriva con una mozione di indirizzo che non è una legge, però dà un indirizzo e se il Parlamento dà un indirizzo così unitario, forse avrà un peso.
Si chiede al Governo di fare un provvedimento rapido ed efficace, di istituire una moratoria per quanto riguarda la situazione degli enti previdenziali privatizzati per dare una quadratura più sociale a tutta la questione e di riattivare, attraverso un indirizzo chiaro all'INPS, la vendita del patrimonio degli enti previdenziali pubblici.
Però - e qui concludo - un progetto di legge (pure ne sono stati presentati) è giocoforza un provvedimento che ha un tempo lungo: deve andare alla Camera, deve andare al Senato, ha un tempo che non è quantificabile con i tempi della scadente legislatura. E allora forse, il treno, il vagone migliore, lasciando un Pag. 52saldo economico che non cambi e non comprometta i conti che sono stati stabiliti dal Governo, è quello di agganciarci alla legge di stabilità.
Faccio appello al Viceministro Martone e, attraverso di lui, a tutto il Governo, perché gli emendamenti che noi presenteremo in Commissione bilancio, in Commissione ambiente e nelle Commissioni competenti possano essere accolti dal Governo per inserire già lì norme vincolanti che consentano di riaccendere il motore su tale questione, dare una speranza ai cittadini e anche una prospettiva alla difficile situazione economica dello Stato per rimettere in moto un flusso economico, e vincere anche la resistenza delle banche a dare credito a queste famiglie, contenendo anche, in questo modo, la difficile situazione di emergenza abitativa.
Si è parlato degli sfratti. Avremmo voluto trattare in questa sede della questione più generale degli sfratti, ma ci sarà, mi auguro, un'altra occasione complessiva in quest'Aula per trattare il drammatico problema degli sfratti. Ci sarà bisogno anche questa volta di una proroga, non solo per la fine della locazione, perché la fine della locazione è soltanto una percentuale ormai minima del problema, ma soprattutto per la morosità incolpevole, per quelle categorie soggettive e oggettive di morosità incolpevole che rientrano negli indirizzi della legge n. 9 del 2007, cioè chi ha in casa una persona diversamente abile, chi ha problemi di anziani fragili e così via, coloro che si trovano in situazioni di difficoltà e non riescono a pagare il loro affitto perché hanno perso il lavoro. Questo è un dramma che poi ricade anche sui piccoli proprietari. Ci vuole un provvedimento di proroga e l'istituzione di un fondo di garanzia anche per i piccoli proprietari, se l'inquilino non paga perché non può pagare.
Quindi è necessario un approccio un po' organico, non complessivamente organico, al tema della casa, perché un approccio organico deve - e ho concluso davvero - riguardare il complesso delle politiche di Governo dei nostri territori e dei suoli nelle grandi aree urbane. Stiamo trattando in Commissione ambiente anche questo aspetto e spero che si possa arrivare ad un primo testo unificato sul tema del governo del territorio. Ma per arrivare a questo obiettivo bisogna metterci dentro il problema della emergenza abitativa, della necessità di ricostituire un demanio immobiliare pubblico attraverso il quale fare ripartire il meccanismo della produzione dell'edilizia residenziale pubblica.
Il demanio, il demanio consolidato, non si può solo dismettere. Certo, bisogna valorizzare per fare cassa; certo, bisogna affrontare i temi dell'equilibrio economico e finanziario. Tuttavia dobbiamo, attraverso una nuova legge dei suoli, consentire di tassare la rendita urbana attraverso la cessione di grandi patrimoni immobiliari liberi che possono essere incamerati dalle amministrazioni comunali e offrire in cambio al mondo immobiliare, dell'economia edilizia, la velocizzazione delle procedure, l'accorciamento dei tempi per «arrivare a dama» in un procedimento edilizio. Infatti, la tassa che la grande impresa immobiliare, l'impresa edilizia non paga allo Stato in termini di oneri, in termini di cessione di valori immobiliari, la paga molto spesso alle banche, la paga, a volte, a un sistema di corruzione, la paga ai tempi lunghi.
Affrontare anche questo punto e ricaricare la ricchezza pubblica di demani, di suoli per fare edilizia residenziale pubblica, è la via maestra per fare ripartire una più complessiva politica per la casa. Ma intanto affrontiamo queste emergenze ravvicinate e diamo una risposta a queste famiglie, che sono famiglie che, dissanguate dagli alti canoni di locazione, dagli alti mutui, sottraggono anche risorse ai consumi perché sono ceto medio (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01173. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, vorrei partire dal citare l'articolo 2 della Pag. 53Costituzione sui principi fondamentali, a norma del quale «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo» e «richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Stiamo parlando di un'emergenza. La parola emergenza il Governo e il Parlamento l'hanno sempre usata in situazioni come il terremoto de L'Aquila, il terremoto in Emilia Romagna, il terremoto nelle isole in cui ancora oggi abbiamo un commissario straordinario. L'abbiamo usata quando, l'anno scorso, in primavera, c'è stato lo sbarco dei profughi che arrivavano dalla Libia, quei quarantamila, e la utilizziamo comunque in situazioni di gravissima emergenza, di gravissimo pericolo per le persone e per le famiglie.
In questo caso parliamo di emergenza abitativa. Sono 60 mila le famiglie che oggi vengono coinvolte in tale questione legata agli enti previdenziali, ma ce ne sono altre 65 mila che sono sotto sfratto in questo momento. Ce ne sono altre 200 mila che per i prossimi tre anni sono già in graduatoria per ottenere il decreto di sfratto.
Il guaio è che l'85 per cento di questi sfratti sono per morosità, non per altri motivi (come per esempio perché deve subentrare il figlio o qualche altro parente del proprietario dell'immobile). Non ce la fanno più a pagare. Ci sono 430 mila famiglie in difficoltà che non riescono a pagare i mutui. È stata fatta la moratoria, ma a fatica, e gli sfratti per morosità. Infatti, sono sempre più in aumento le famiglie che non pagano i mutui e le banche mettono in vendita gli appartamenti.
Queste persone sono in parte anche rappresentate qui fuori. Sono davanti al Parlamento in piazza Montecitorio (in realtà ormai lo abbiamo trasformato in un muro del pianto) e diamo loro sempre meno risposte, sempre meno speranze. La questione che abbiamo evidenziato con queste mozioni da parte di più gruppi, in realtà la trasciniamo purtroppo da troppo tempo. Già nel luglio 2010 abbiamo sottoposto una serie di questioni in Commissione lavori pubblici e abbiamo segnalato questa situazione di disagio negli enti.
In particolare, vorrei ricordare che gli inquilini che si trovano in questi enti sono cittadini e famiglie italiane che, per pura casualità, sono in questi immobili di proprietà di tali enti, anziché essere negli immobili dell'INPS o dell'INAIL o negli immobili di proprietà dei comuni ex Gescal o, quindi, in altri enti come le case dei «piani Fanfani» degli anni sessanta o settanta e, quindi, di proprietà del Ministero delle finanze. Quindi, vi si sono trovati perché in base alle graduatorie vi era disponibilità in questi immobili, oggi Enasarco, ENPAIA e quant'altro, già allora.
L'accesso alla casa è avvenuto per un diritto che la Costituzione e le leggi italiane ed europee riconoscono ancora oggi. Però, chi si trovava in quegli immobili ha potuto accedere attraverso norme e leggi alla proprietà perché vi è stata una serie di dismissioni. Sono state citate esattamente per filo e per segno prima dal collega Morassut: SCIP 1 e SCIP 2, però poi c'è la coda, ossia quegli immobili che più nessuno ha voluto comprare sono ritornati in possesso dello Stato. Il Governo si era impegnato comunque ad intervenire per sciogliere questo limbo in cui sono collocate queste 10-12 mila famiglie perché non possono più accedere alla proprietà, ma nello stesso tempo non sanno se hanno ancora il diritto a stare lì.
Però si è voluto trascinare tutta questa situazione. Abbiamo ottenuto risposte del tipo: ormai la norma ha trasformato questi enti previdenziali in enti di diritto privato, anche se soggetti al pubblico (questo lo ha sancito in diverse sentenze anche la Corte costituzionale), però poiché sono di diritto privato devono garantire la giusta remunerazione pensionistica di questi contribuenti che non si trovano lì per volontariato, ma perché lo Stato, con delle leggi, aveva ed ha imposto loro l'obbligatorietà al versamento dei contributi a tali enti.
Quindi, fino ad ora questi enti, da un lato, garantivano un accesso pensionistico integrativo alle pensioni a queste persone Pag. 54e, nello stesso tempo, però supportavano lo Stato nell'affrontare il disagio abitativo, rispondendo, quindi, all'esigenza di un diritto sacrosanto che è quello di avere un tetto sopra la propria testa. Siamo intervenuti più volte nell'agosto 2011 (quindi dal 2010 l'anno dopo abbiamo ripreso la questione), perché, nel frattempo, le procedure acceleravano e ci si rendeva conto che, in realtà, gli affitti si sono raddoppiati e in alcuni casi anche purtroppo triplicati e, quindi, chi non voleva comprare la casa non era in grado comunque di sostenere l'affitto della stessa.
Ci siamo accorti che, nel frattempo, quelle banche, di livello nazionale ed europeo, avevano partecipato alle gare, affermando che avrebbero erogato i mutui e, quindi, offrivano agli eventuali potenziali acquirenti di queste case, a questi inquilini, mutui quarantennali. Ma, ci siamo avveduti che, invece, i mutui quarantennali non ci sono più, perché si tratta di persone che hanno 70 o 75 anni e perché la banca non è più in grado di garantire le condizioni di cui alle offerte iniziali. Insomma, anche laddove dovevamo garantire e dare una spalla a questi inquilini, nel senso di potersi appoggiare su un qualcosa, siamo sempre venuti meno.
Questo è successo anche con riferimento ai fondi sull'accesso alla casa e sul sostegno all'affitto: se, nel 2008, ammontavano a più di 200 milioni, man mano, invece, si sono assottigliati per giungere, nel prossimo bilancio dello Stato, chiamato di stabilità, all'azzeramento di questo fondo, di questo capitolo di spesa. Quindi, non siamo in grado neanche di sostenere l'affitto a queste famiglie che si trovano, invece, a dover pagare 1.000-1.400 euro al mese per l'affitto di una casa.
Si tratta, inoltre, di case che sono state valutate, dal punto di vista patrimoniale, in un momento in cui il mercato sembrava ancora in crescita (negli anni 2007 e 2008), negando, di fatto, un calo del valore patrimoniale, ancora più sostenuto da un calo della domanda di abitazioni perché non vi sono soggetti in grado di comprarle e perché le banche non sono in grado di erogare i mutui per accedere alla proprietà delle case. Quindi, vi è, di fatto, un valore che non è effettivamente pari alla media attuale degli atti di compravendita ma si tratta, invece, di valori molto più alti. Quindi, abbiamo alterato queste situazioni.
Siamo intervenuti anche segnalando al Governo che vi era una situazione non proprio corretta in ordine all'elezione degli organi collegiali che gestiscono questi enti. In particolare, mi riferisco all'Enasarco, dove consistenti rappresentanze delle loro categorie erano escluse dal consiglio di amministrazione di questo ente. Successivamente, sono stati presentati dei ricorsi al TAR da parte anche dell'associazione inquilini, proprio per opporsi. Siamo poi arrivati ad attivare altre interrogazioni, rivolgendo richieste anche direttamente al Ministro già nel febbraio 2012. Però, la stessa Ministra Fornero che, lo ricordo, rappresenta uno dei due Ministeri che, comunque, sono per legge preposti al controllo (si tratta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'economia e delle finanze) ci risponde da Ponzio Pilato e, cioè, ci dice che la legge è questa, che questi ormai sono enti di diritto privato e che, quindi, devono fare il loro percorso, ossia devono garantire la remunerazione ai contribuenti di questi fondi, a questi lavoratori che hanno come riferimento questi enti e che, quindi, non si può intervenire perché andremmo a creare un disagio a questi soggetti. In realtà, il disagio a questi enti lo hanno creato gli speculatori che hanno investito in derivati o in altre forme di speculazione che nulla hanno a che vedere con la valorizzazione del patrimonio immobiliare.
Dinanzi ad una situazione come questa, quindi, si chiede al Governo, attraverso questa moratoria, la presa visione, forte e chiara, di questa situazione. Non possiamo, dunque, rimandare. Chiediamo, come primo punto, la convocazione del tavolo interistituzionale, che già si è riunito. Però, non deve essere un tavolo di facciata, che poi non conclude niente. Il tavolo deve avere delle scadenze precise e Pag. 55degli obiettivi precisi. Non si deve rinviare di tre mesi in tre mesi, mentre, all'interno dei grandi muraglioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, questi piccoli uomini, che rappresentano queste famiglie disperate, scompaiono in mezzo ai corridoi e non sanno più cosa sono lì a fare: questo è ciò che sta avvenendo. Quindi, questa è la prima questione. Vi è questo strumento? Allora usatelo con cadenza settimanale, se è il caso, per valutare anche casi singoli, se non si riesce ad affrontare la vicenda con una visione più ampia. Ma bisogna assolutamente ascoltare e cercare di fornire le risposte.
L'altra questione che poniamo con questa mozione e quello che chiediamo è di poter assumere delle iniziative che blocchino oggi quelle procedure di vendita in attesa di raggiungere - come abbiamo citato prima - degli accordi che possano accompagnare in modo sereno queste famiglie ad un passaggio in altre abitazioni, ad avere un sostegno all'affitto, o ad avere la garanzia che le banche, comunque, eroghino mutui a chi decide di subentrare nella proprietà di questi immobili.
Inoltre, bisogna intervenire presso questi enti - l'INPS, l'INAIL e l'INPDAP - per affrontare la questione dei 2 mila o più appartamenti che non sono stati venduti e di cui non sappiamo cosa fare; poi ci sono altre 8 o 10 mila persone che pagano l'affitto, ma non sanno se potranno entrare in possesso di questi immobili, così come hanno fatto altri inquilini attraverso le SCIP e, quindi, chiediamo di dare una risposta anche a queste famiglie per equità rispetto alle altre famiglie.
Inoltre, infine, vorremmo che il Governo - non ci è stata data la possibilità di inserirlo nel testo della mozione perché non proprio inerente, ma lasciatemi almeno fare un appello in sede di discussione sulle linee generali - intervenisse con una moratoria sugli sfratti: infatti, i comuni, nella situazione di bilancio che presentano, non sono in grado di dare delle risposte, non hanno più il sostegno sull'affitto, non sono in grado di far partire i progetti di housing sociale paralleli con altre associazioni o enti che sono sui territori.
Quindi, almeno in quelle grandi città, in quelle metropoli nelle quali vi è un'alta densità abitativa, chiediamo di intervenire con la moratoria sugli sfratti. Se non si è in grado di farlo in modo complessivo, almeno chiediamo che si intervenga nelle città metropolitane.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola, che illustrerà la sua mozione n. 1-01175. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, ho presentato questa mozione assieme ad alcuni colleghi, dopo aver letto le altre mozioni che, a mio avviso, non tenevano adeguatamente conto del concorso di diversi interessi che ci sono e che emergono nella vicenda degli immobili degli enti previdenziali privatizzati.
Poi devo dire che oggi, in questa discussione sulle linee generali, soprattutto da parte degli ultimi interventi degli onorevoli Morassut e Pifferi, ho sentito dei toni ragionevoli e diversi, che mi fanno ritenere possibile trovare delle soluzioni equilibrate anche cercando di formulare - come sempre avviene in questi casi - un testo unitario.
Sono assolutamente d'accordo che occorra tutelare i locatari - questo va fatto e va garantito e farò anche delle proposte che sono scritte nella mozione a mia prima firma - però non possiamo vedere solo una parte del problema e soprattutto credo che un Parlamento non possa ridursi a trovarsi in una situazione nella quale quello che fa la mano destra è ignorato da quello che fa la mano sinistra.
Io ho l'onore e la fortuna di far parte della Commissione di vigilanza sugli enti previdenziali, la quale ha addirittura fatto delle indagini, delle audizioni ed ha lavorato a lungo, arrivando anche a formulare una relazione in maniera unitaria sulla gestione del patrimonio delle casse privatizzate, che sono casse che hanno una figura privata - sono fondazioni o associazioni - ma esercitano una funzione Pag. 56pubblica, prevista dall'articolo 38 della Costituzione, in quanto assicurano la tutela pensionistica e previdenziale ai liberi professionisti. Non voglio fare dei paragoni, o mettere a confronto gli iscritti alle casse con gli inquilini - qui si è parlato di decine di migliaia di inquilini e di locatari delle casse privatizzate - ma teniamo conto che, dall'altra parte - lo dico anche a chi, più di me, è attento alla battaglia elettorale dell'anno prossimo - gli iscritti alle gestioni pensionistiche per i liberi professionisti sono più di un milione, sono un milione e qualche centinaia di migliaia. Per cui, il Parlamento deve cercare di guardare a tutto.
Io posso ricordare che proprio la Commissione parlamentare di vigilanza sugli enti previdenziali ha espresso forti critiche, e nella mia mozione è contenuta anche una tabella che include i rendimenti dei patrimoni immobiliari delle casse di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, dove si vede assolutamente che questi rendimenti non rendono. Il Parlamento, in sede di Commissione parlamentare di vigilanza sugli enti previdenziali, critica queste Casse perché hanno rendimenti mobiliari che hanno avuto quella sorte che è stata ricordata - in quanto sono stati vittime della speculazione -, ma immobili che hanno rendimenti ritenuti inadeguati per beni immobili che non sono di proprietà di un palazzinaro o di alcuni palazzinari romani ma sono stati acquistati dalle Casse per proteggere il loro patrimonio e garantire la sostenibilità dei loro sistemi pensionistici e il pagamento delle pensioni agli iscritti a queste Casse.
Potrei portare un'altra tabella, sempre presente nelle relazioni svolte dalla Commissione parlamentare di vigilanza sugli enti previdenziali, dove addirittura si vede qual è la sostenibilità dei sistemi delle casse pensionistiche delle libere professioni: includendo il rapporto fra entrate contributive e prestazioni si arriva avanti, a seconda delle casse, di alcune decine di anni, mentre includendo anche il patrimonio mobiliare e immobiliare si arriva grosso modo a metà del secolo, un pochino più in là. Poi c'è il salto nel buio, non si sa quello che succede, tanto che il Governo Monti, nella riforma delle pensioni, ha imposto a queste casse un obbligo molto preciso: fare bilanci attuariali in una dimensione di cinquant'anni. C'è stato un grosso dibattito, probabilmente l'abbiamo svolto anche qui o se non lo abbiamo fatto qui lo abbiamo fatto in altre circostanze, sono stati presentati ordini del giorno, cercando di fare in modo che nell'elaborare questi bilanci a dimensione cinquantennale le casse privatizzate potessero avvalersi dei rendimenti del patrimonio mobiliare e immobiliare. Il Governo ha consentito di farlo soltanto se si tiene conto del rendimento netto.
Signor Presidente, così si torna al problema del rendimento di questo patrimonio, noi non possiamo chiudere gli occhi davanti ad un problema enorme come quello del destino pensionistico di questi lavoratori le cui casse devono fare un bilancio che tiene conto del patrimonio netto, solo rendimento netto del patrimonio mobiliare e immobiliare, e poi nello stesso tempo venire qui sostanzialmente ad adottare mozioni e provvedimenti che tagliano le gambe a uno sforzo per migliorare quel rendimento netto.
Credo quindi che queste cose vadano tutte considerate anche nel formulare una mozione unitaria, tenendo conto peraltro che noi rappresentiamo e abbiamo il dovere sacrosanto di tutelare gli inquilini che oggi si trovano in difficoltà, come quello di tutelare gli iscritti alle gestioni pensionistiche che pagano i contributi e hanno diritto ad avere la pensione nel lungo periodo, che sarà assicurata anche dalla migliore gestione del loro patrimonio immobiliare.
Come si può conciliare allora questa situazione? Io credo che - come hanno già detto i colleghi intervenuti prima di me - abbiamo davanti a noi un esempio, quello della cartolarizzazione degli immobili dei grandi enti previdenziali pubblici dove erano indicati criteri molto precisi per quanto riguarda il diritto alla prelazione dell'appartamento abitato dalle famiglie, peraltro erano anche previste procedure Pag. 57che agevolano l'acquisizione di mutui, era previsto il diritto al mantenimento per un certo numero di anni del contratto d'affitto dei locatari che non erano in condizione di acquistare per ragioni economiche l'appartamento che abitavano, quindi io credo che si possano trovare - non solo con un'azione di moral suasion ma anche con un'azione più sostenuta da parte del Governo, magari anche con un'azione di carattere normativo - degli equilibri migliori e delle risposte che salvaguardino tutti gli interessi che sono in campo.
Credo che siano tutti interessi meritevoli di attenzione e di tutela, perché abbiamo a che fare con diritti sicuramente importanti, come il diritto ad avere una casa in cui vivere, ma nello stesso tempo anche come il diritto di avere un sistema pensionistico che assicuri a quelli che pagano i contributi e sono iscritti a queste case un futuro garantito quando lasceranno il lavoro. Signor Presidente, queste sono le considerazioni che volevo fare. Credo che il Governo possa fare molto e possa verificare i piani di dismissione. Se non ricordo male, queste casse non possono fare quello che pare loro, in quanto sono sottoposte alla vigilanza del Ministero del lavoro. Quindi, anche i piani di dismissione devono in qualche modo aver un'autorizzazione da parte del Governo. Poi credo che il Governo sia assolutamente in condizione, attraverso un tavolo interistituzionale, soprattutto se aperto a trovare un giusto equilibrio fra gli interessi e le esigenze di tutti, di andare incontro alle esigenze degli inquilini che qui sono state ricordate.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01176. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, Viceministro, la questione che abbiamo illustrato nella mozione in esame si presenta certamente complessa e con notevoli ripercussioni sotto il profilo sociale, economico ed amministrativo, oltre che a mio parere emergenziale. In una congiuntura economica non facile, segnata da criticità che condizionano in maniera vistosa la qualità oltre che le potenzialità di vita dei cittadini italiani, l'emergenza abitativa rappresenta un aspetto non trascurabile - questo deve essere chiaro al Governo - soprattutto se si tiene conto della difficoltà normativa e amministrativa che la condizionano. Noi di Futuro e Libertà, con la nostra mozione, abbiamo inteso pertanto soffermarci sulla situazione degli inquilini degli immobili di proprietà degli enti previdenziali attualmente privatizzati proprio per sottolineare quanto la confusione normativa e interpretativa possa arrivare a pesare sugli utenti e per aprire un confronto con il Governo su alcuni aspetti di questa vicenda, che si trascinano da ormai troppi anni e che in congiunture difficili come questa acquistano una risonanza maggiore e sicuramente più gravosa per gli utenti direttamente coinvolti. Per tale ragione, sarebbe auspicabile una maggiore attenzione nei confronti dei profili tecnico-normativi di questa vicenda, che rischia di mettere spalle al muro oltre 60 mila famiglie in tutta Italia. Appare interessante partire da un dato: secondo un recente rapporto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, gli enti previdenziali dispongono di un patrimonio di circa 50 miliardi di euro fra immobili e titoli. Nello specifico, gli enti privati hanno un patrimonio di 42 miliardi di euro, costituito per il 30 per cento da immobili. Nel 1996, con il decreto legislativo n. 104, è stata prevista la possibilità per gli enti previdenziali di procedere alle dismissioni degli immobili di loro proprietà, secondo dettagliati piani di alienazione e specifici criteri per la vendita. In quella circostanza, veniva riconosciuto il diritto di prelazione ai conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale. Successivamente, con il decreto-legge 23 febbraio 2004, n. 41, si è intervenuti in materia di determinazione del prezzo di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione. Con queste disposizioni è stata definita la modalità di individuazione del prezzo delle unità immobiliari ai conduttori, facendo riferimento ai valori di mercato vigenti al Pag. 58momento della manifestazione di volontà di acquisto, vale a dire ottobre 2001. Paradossalmente, sempre nel 2004 le cose cambiano: con la legge n. 243 del 2004, con una norma di interpretazione autentica, veniva stabilito che le disposizioni di riferimento nel decreto legislativo del 1996 non si applicassero agli enti privatizzati, legittimando quindi una deroga che avrebbe avuto delle conseguenze significative.
La deroga riguarda quegli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza trasformati in persone giuridiche private con il decreto-legge n. 509 del 1994. Di conseguenza, questi enti hanno proceduto alla vendita e rinegoziazione dei canoni di affitto non tenendo conto della normativa prevista in materia, la quale impone condizioni e modalità di locazione e alienazione degli immobili a tariffe calmierate; ovviamente, tutto questo si è ripercosso sugli inquilini.
Molti di questi hanno subìto notevoli aumenti dei canoni di affitto, spesso più che raddoppiati rispetto a quelli di mercato, oltre che applicati in maniera retroattiva, determinando, così, condizioni spesso insostenibili per la maggior parte dei bilanci familiari, già duramente provati dalla crisi in atto.
Sul versante delle vendite la situazione non è migliore. Infatti, i prezzi degli immobili facevano riferimento al mercato con valori correnti non più riferiti al 2001, cambiando completamente lo scenario originario e lasciando emergere una palese disparità di trattamento tra gli inquilini degli enti previdenziali pubblici e quelli appartenenti agli enti che si sono successivamente privatizzati.
Fa riflettere, per prima cosa, di fatto, che l'applicazione di tali dinamiche di gestione immobiliare vada a stridere con la fondamentale funzione sociale e solidaristica che il patrimonio immobiliare di questi enti dovrebbe svolgere, soprattutto nei confronti delle fasce di popolazione più deboli. Anche per questo appare alquanto illegittima ogni eventuale dinamica speculativa che potrebbe celarsi dietro importanti iniziative di alienazione immobiliare.
E non vi dimenticate che Goldman Sachs e altre realtà che sono interessate a questo mercato sono vigilate a vista. Appare quanto mai urgente evitare proprio questo genere di manovre speculative su questo versante, soprattutto se si tiene conto della gravosa situazione economica in cui versano molti degli inquilini coinvolti.
Resta evidente il dramma degli sfratti, a cui si aggiungono le aste giudiziarie per insolvenza. Sarebbe necessaria, allora, una moratoria di queste procedure, almeno fino a quando non sarà fatta chiarezza o non arrivi un'iniziativa politica, che auspichiamo, dal Governo, anche, se ritenesse, nel disegno di legge di stabilità.
Sarebbe auspicabile rafforzare le funzioni sociali degli immobili ad uso residenziale di proprietà degli enti previdenziali, garantendo agli inquilini maggiori tutele e garanzie, anche rendendo pienamente esercitabile il loro diritto di prelazione. Tutto questo anche attraverso il più attento monitoraggio pubblico della gestione patrimoniale, che assicuri, oltre ad una maggiore trasparenza, dei prezzi più equi sia nelle vendite che negli affitti, anche a salvaguardia della stabilità finanziaria degli enti medesimi.
La funzione sociale e solidaristica degli enti, così come è citato, sicuramente non è da intendersi opposta rispetto all'esigenza di procedere a dinamiche di dismissione e gestione del patrimonio in maniera armonica. Lo dico chiaro anche a chi è intervenuto prima di me: questo è un punto necessario di partenza per qualsivoglia intervento che parta da una chiarificazione, in tempi celeri, del complesso quadro normativo che sottende alle dinamiche di alienazione del patrimonio immobiliare dei vari enti previdenziali e privatizzati, senza mai dimenticare le opportune e doverose garanzie agli inquilini, le cui tutele, soprattutto sul versante del controllo sui prezzi di vendita da parte degli enti e sull'entità dei canoni degli affitti, non possono essere schiacciate in Pag. 59nome della speculazione immobiliare, con il rischio di mettere il futuro di questo patrimonio nelle solite mani sporche dei soliti palazzinari.
Allo stesso tempo, ritengo che l'eccesso di demagogia a cui si sta assistendo in queste ultime ore sia altrettanto deprecabile, soprattutto da parte di alcuni amministratori locali, ai quali verrebbe da dire: dove siete stati fino ad ora (Applausi del deputato Carlucci)? L'emergenza abitativa legata al patrimonio degli enti è un problema antico, che non ha bisogno di chiacchiere al vento, ma di fatti, né di eccesso di attenzione in fase pre-elettorale, ma di condivisioni e di confronti con gli organi deputati.
Oggi vogliamo fare proprio questo: partire dagli errori del passato per riformare il sistema vigente, con tutti i suoi acciacchi e limiti.
Un po' di buonsenso, senza pensare alle campagne elettorali e al consenso del cittadino. Per quello bisogna investire in altro.
In questa fase appare quanto mai urgente e doveroso intervenire tempestivamente, al fine di garantire che il processo di dismissione degli immobili avvenga secondo chiarezza ed efficacia procedurale che assicurino, da un lato, la concreta tutela delle famiglie interessate, salvaguardando in particolar modo le fasce sociali più deboli, dall'altro, l'effettiva sostenibilità economica dello Stato in generale e degli stessi enti previdenziali in particolare.
Secondo noi è questa la razionalizzazione vera, quella che tende alla valorizzazione massima del bene senza danneggiare il diritto dell'utente. Noi chiediamo questo, per ridare ossigeno a questo Paese e agli italiani e per evitare in maniera risolutiva che non siano sempre gli italiani a pagare lo scotto di una politica superficiale, supportata da un'amministrazione troppo distratta (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,15).

LAURA MOLTENI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAURA MOLTENI. Signor Presidente, il mio intervento è volto ad introdurre in quest'Aula il disagio e le pesanti difficoltà in cui versano le forze dell'ordine.
Questa mattina ero lì con loro, con le forze dell'ordine, davanti alla sede della regione Lombardia. Ero lì con loro e sono qui in Parlamento convinta che il nostro Paese, oggi, soprattutto oggi, debba garantire ai suoi cittadini la migliore sicurezza possibile e che questa debba essere espressa nel rispetto dell'uomo, della democrazia e dei diritti costituzionali, perché vi siano condizioni migliori di vivibilità e tutela dei e nei territori e nella quotidianità.
Queste cose le ho lette sui loro volantini, le ho sentite direttamente da loro. Chi opera in tal senso, gli appartenenti alle forze dell'ordine, chiedono parimenti rispetto, dignità e strumenti adeguati per continuare a seguire e a servire i cittadini e il Paese.
Questa mattina ho percepito una rabbia urlata, fatta di grandi sacrifici, di pochi riconoscimenti, di pochi soldi in busta paga, della necessità di revisione ed ammodernamento dell'attuale modello di sicurezza, difesa e soccorso pubblico, della necessità di provvedere alla riforma ordinamentale delle carriere e dei percorsi professionali che è rimasta lettera morta, della mancata valorizzazione della funzione del loro lavoro, della mancata stabilizzazione dei precari, della mancata introduzione di misure di sostegno per i nuclei familiari del personale con i redditi Pag. 60più bassi, del mancato avvio della previdenza complementare, del mancato processo di ammodernamento del sistema delle relazioni e degli strumenti rappresentativi sindacali, del Cocer, in linea con le decisioni delle norme europee. Una rabbia pesante.
Erano lì a manifestare per dire «no» agli sprechi di denaro pubblico, «no» ai politici corrotti che usano le risorse pubbliche come bene di loro proprietà e incapaci di realizzare il bene comune e l'interesse dei cittadini, «no» al servirsi con disonore dello Stato, degli enti locali e delle istituzioni e per finalità privatistiche o per l'interesse degli appartenenti ad una o all'altra parte politica, «no» ai tagli lineari e indiscriminati alla sicurezza, alla difesa e al soccorso pubblico, «no» ai nonni in divisa a causa dell'eccessiva elevazione dell'età anagrafica per il personale dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico, «no» al blocco del turnover nel settore della sicurezza, difesa e soccorso pubblico, «no» al precariato nelle Forze armate, nelle forze di polizia e nei vigili del fuoco, «no» ai 20 mila tagli di donne e uomini impegnati nella sicurezza e nelle Forze armate.
Hanno manifestato per dire che la sicurezza è un diritto che non si taglia, che non deve essere tagliato, hanno manifestato per dire «no» ad una logica di tagli da ragioniere (mi riferisco alla legge di stabilità 2013), slegata dal contesto di riferimento nel quale poi debbono tradursi gli interventi volti alla sicurezza e alla tutela dei cittadini.
Il Governo cosa fa? Cosa aspetta a fornire le giuste risposte che un Paese civile merita? Credo che volere è potere. Non prosegue nella logica dei tagli nel comparto sicurezza. I soldi il Governo potrebbe recuperarli, ad esempio, dai quei 98 miliardi di euro di evasione e multe, soldi certi legati al gioco.
Il Governo, se vuole, può fare in modo che vi siano condizioni di vita migliori, più civili ed anche più adeguate ai tempi moderni, per chi opera in questo settore. Ma, nonostante tutti e nonostante tutto, questi lavoratori continueranno con grande senso di responsabilità la loro missione e continueranno a lavorare per assicurare l'ordine, la sicurezza pubblica ed il soccorso pubblico a tutti i cittadini di questo Paese.
Ma oggi questi lavoratori stanno lavorando con una grande rabbia dentro, una rabbia di fronte ad un Paese che deve essere riformato, una rabbia che spero non si traduca in altro, una rabbia a cui questo Governo deve dare risposte concrete, certe e, ormai, non più differibili.
Le cose che ho detto, le ho tradotte da volantini che mi sono stati dati questa mattina. Io sto con loro e li capisco, perché anche io vengo dal settore pubblico e so, da prima di entrare in Parlamento, cosa vuol dire arrivare a fine mese con grandi sacrifici e so che chi opera deve essere rispettato e tutelato nel proprio lavoro e nel proprio operato.

FRANCESCO BARBATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signora deputato Presidente, voglio segnalarle che a Napoli e provincia la Chiesa da tanto tempo sta svolgendo un ruolo di supplenza rispetto ad istituzioni troppo spesso colluse con la camorra ed espressione di mala politica e di illegalità. Abbiamo dei parroci di frontiera, a Napoli e nella provincia, che sono un vero punto di riferimento e sono un simbolo per quei cittadini che si battono ogni giorno contro ogni forma di illegalità e di mafia.
Ne ricordo alcuni: don Luigi Merola, nel centro storico di Napoli, don Aniello Manganiello, a Scampia, e don Maurizio Patriciello, un prete anticamorra, che si batte soprattutto contro l'inquinamento e l'avvelenamento dei territori napoletani. Si trovava nella prefettura di Napoli con un comitato di cittadini per rappresentare che a Caivano c'è addirittura inquinamento da amianto.
Signor Presidente, questo prete anticamorra volgarmente è stato attaccato dal prefetto di Napoli. Il prefetto di Napoli ha Pag. 61attaccato un simbolo dell'anticamorra a Napoli. È gravissimo, signora Presidente, perché quando un pezzo dello Stato, strumentalmente, va ad attaccare la Chiesa, un prete anticamorra, un simbolo dei napoletani nel contrasto ad ogni forma di mafia, è qualcosa davvero di insopportabile, che non può passare in alcun modo, così, semplicisticamente con delle scuse.
Ma la motivazione retrostante è più forte, perché non a caso questo prefetto ha attaccato un simbolo dell'anticamorra. Signora Presidente, le voglio fare notare che questo prefetto, ahimè, scientificamente - penso - abbia attaccato un simbolo dell'antimafia, un prete anticamorra, perché questo prefetto, da tre anni che si è insediato a Napoli, ha sciolto un solo comune per infiltrazione camorristica: il comune di Gragnano. E sa perché? Perché la magistratura partenopea ha emesso dei provvedimenti cautelari nei confronti del sindaco, a cui è stato addirittura interdetto di risiedere nel comune di Gragnano.
Ma l'elenco è lungo dei comuni su cui non è intervenuto il prefetto di Napoli, che ha chiuso un occhio, anzi tutte e due gli occhi.
Penso a comuni come Afragola - ve ne ho già parlato in alcune interrogazioni -, a comuni come Brusciano, a comuni come Crispano, a comuni come Giugliano, a comuni come Pozzuoli. In altre parole, in questi comuni addirittura ci sono degli amministratori che sono stati rimossi precedentemente per infiltrazione camorristica e che sono tornati a fare i sindaci, i consiglieri, gli assessori. Insomma, ci sono tanti mascalzoni, delinquenti, camorristi nei comuni della provincia di Napoli e il prefetto, non dobbiamo dimenticarlo, ex articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000, ha compiti di vigilanza preventiva sui comuni e sugli enti locali. Ebbene, tutto questo non succede, anzi questo prefetto di Napoli, da quando si è insediato, ha letteralmente deabilitato e smontato, sia gli uffici della struttura antimafia, sia l'ufficio enti locali.
Signor Presidente, concludendo le chiedo di informare immediatamente il Ministro dell'interno. Sono abituato e voglio dei prefetti come il prefetto Dalla Chiesa, ma non perché voglio che faccia la fine del prefetto Dalla Chiesa, ma prefetti che lottavano contro la mafia, che volevano la legalità a Palermo e in ogni altra parte d'Italia, non dei prefetti come questo che abbiamo a Napoli che ha chiuso tutti e due gli occhi e ha consentito un humus di illegalità e di connivenza con la camorra. Per questa ragione, chiedo che venga immediatamente destituito. Chiedo la destituzione immediata del prefetto di Napoli ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 nonché la riduzione dello stipendio perché pezzi dello Stato così non devono avere neanche un euro di denaro pubblico e devono andare a casa.

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, lei sa che può presentare un atto di indirizzo e di sindacato ispettivo e, quindi, se intende confrontarsi con il Governo, questo è lo strumento che ha a disposizione. Per quanto riguarda il resto, si assume la responsabilità di quello che ha detto, delle sue considerazioni.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo in modo fulmineo solo per esprimere la mia personale solidarietà, ovviamente non certo politica, ma personale sì, nei confronti dell'onorevole Maroni per il duro e violento attacco che l'onorevole Laura Molteni gli ha rivolto in Aula poco fa. Atteso che l'onorevole Laura Molteni si è svegliata oggi, forse è utile che qualcuno le ricordi chi per quattro anni è stato il titolare del Ministero dell'interno. Gran parte delle vicende nelle quali oggi si vengono a trovare la sicurezza pubblica e i servitori dello Stato sono state determinate ovviamente dal Governo nel quale stava anche l'onorevole Laura Molteni e che l'onorevole Laura Molteni appoggiava e che aveva luminare Ministro dell'interno l'onorevole Maroni.

Pag. 62

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, saranno sicuramente gradite le sue espressioni di solidarietà all'onorevole Maroni.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 24 ottobre 2012, alle 11,30:

1. - Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

(ore 16)

3. - Discussione della proposta di legge:
S. 3354 - D'iniziativa dei senatori: MARCENARO ed altri: Ratifica ed esecuzione del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002 (Approvata dal Senato) (ove conclusa dalla Commissione) (C. 5466).

e dell'abbinata proposta di legge: MECACCI ed altri (C. 4765).

4. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 601-711-1171-1198 - D'iniziativa dei senatori: GIULIANO; CASSON ed altri; BIANCHI ed altri; MUGNAI: Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (C. 3900-A).

e delle abbinate proposte di legge: CONTENTO; PECORELLA; CAVALLARO; CAPANO ed altri; BARBIERI; MANTINI ed altri; FRASSINETTI ed altri; CASSINELLI ed altri; MONAI; RAZZI ed altri; CAVALLARO ed altri (C. 420-1004-1447-1494-1545-1837-2246-2419-2512-4505-4614).
- Relatore: Cassinelli.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Bersani, Cicchitto, Casini, Misiti, Angela Napoli, Moffa, Belcastro e Mosella n. 1-01118, Di Pietro ed altri n. 1-01129 e Nucara ed altri n. 1-01170 concernenti iniziative a favore della Calabria.

6. - Seguito della discussione delle mozioni Dozzo ed altri n. 1-01146, Misiti ed altri n. 1-01158, Aniello Formisano ed altri n. 1-01159, Ossorio ed altri n. 1-01162, Fitto ed altri n. 1-01164, Boccia ed altri n. 1-01165 e Iannaccone ed altri n. 1-01167 concernenti criteri di riparto delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

7. - Seguito della discussione delle mozioni Fiano ed altri n. 1-01140, Di Pietro ed altri n. 1-01147, Di Biagio ed altri n. 1-01157, Galletti ed altri n. 1-01160, Gidoni ed altri n. 1-01161 e Mantovano ed altri n. 1-01163 concernenti iniziative per garantire adeguate risorse ai comparti della sicurezza, della difesa e del soccorso pubblico, con particolare riferimento all'assunzione di nuovo personale.

8. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità e della questione pregiudiziale di merito presentate):
Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Testo risultante dallo stralcio dell'articolo 2 del disegno di legge n. 5019, deliberato dall'Assemblea il 9 ottobre 2012) (C. 5019-bis-A).

e degli abbinati progetti di legge: PECORELLA ed altri; BERNARDINI ed altri; VITALI e CARLUCCI; D'INIZIATIVA DEL Pag. 63GOVERNO; FERRANTI ed altri; FERRANTI ed altri (C. 879-2798-3009-3291-ter-4824-5330).
- Relatori: Costa e Ferranti, per la maggioranza; Nicola Molteni, di minoranza.

9. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
GRASSI ed altri; BRIGANDÌ ed altri; MIGLIOLI; NUNZIO FRANCESCO TESTA ed altri; DI VIRGILIO ed altri: Disposizioni in materia di utilizzo del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica (C. 746-2690-3491-4251-4273-A).
- Relatore: Grassi.

10. - Seguito della discussione delle mozioni Dionisi ed altri n. 1-01087, De Angelis ed altri n. 1-01071, Morassut ed altri n. 1-01086, Piffari ed altri n. 1-01173, Cazzola ed altri n. 1-01175 e Di Biagio ed altri n. 1-01176 concernenti iniziative a favore degli inquilini degli immobili di proprietà degli enti previdenziali.

11. - Seguito della discussione delle mozioni Borghesi ed altri n. 1-00866, Terranova ed altri n. 1-00990, Rao, Briguglio ed altri n. 1-00991, Romani ed altri n. 1-00992, Caparini ed altri n. 1-00994, Oliveri ed altri n. 1-00995, Pionati ed altri n. 1-01002 e Peluffo ed altri n. 1-01005 concernenti iniziative in relazione al piano nazionale di assegnazione delle frequenze, con particolare riferimento all'emittenza locale.

La seduta termina alle 19,25.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO DONATELLA FERRANTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 5019-bis-A.

DONATELLA FERRANTI, Relatore per la maggioranza. Il provvedimento oggi in esame è il risultato di un lungo approfondito lavoro che ha visto coinvolti Commissione e Governo nell'intento di formulare un testo che possa servire a deflazionare concretamente, sia pure naturalmente in maniera non definitiva, sia il drammatico sovraffollamento delle carceri sia il carico di lavoro spesso insostenibile degli uffici giudiziari che si trovano impegnati per anni in processi che poi molte volte finiscono con la prescrizione del reato.
Il testo originario del disegno di legge del Governo si basava su quattro diverse deleghe aventi ad oggetto la depenalizzazione dei reati minori, la messa alla prova, le pene detentive non carcerarie e la contumacia. Le finalità deflattive delle prime tre deleghe è evidente di per sé. Per quanto attiene alla materia della contumacia, invece, la necessità dell'intervento normativo va letto in riferimento alle numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo relative al diritto dell'imputato, ex articolo 6 della Convenzione, ad essere presente al proprio processo e che, censurando l'Italia per la violazione del diritto anzidetto, impongono al nostro Paese un obbligo di conformazione della disciplina nazionale.
Rispetto al testo originario del disegno di legge la prima differenza che troviamo nel testo al nostro esame è data dallo stralcio che si è operato in merito alla delega in materia di depenalizzazione. La scelta di stralciare questa materia è stata presa dalla Commissione, condivisa dal Governo e confermata dall'Assemblea, dopo che si è verificato, grazie a dati forniti dal Governo stesso, che l'effetto deflattivo che questa avrebbe prodotto rispetto al numero dei processi penali pendenti si sarebbe fermato a cifre di poco superiori allo zero per cento. Considerato che un approfondimento della questione, finalizzato all'elaborazione di un elenco di reati da depenalizzare che consentisse una efficace deflazione del numero dei processi senza il rischio di non punire più penalmente fatti che invece sono meritevoli della sanzione penale, avrebbe comportato un aggravio notevole dei tempi di approvazione finale del disegno di legge e quindi anche di quelle parti di esso estremamente Pag. 64urgenti, essendo dirette a deflazionare il sovraffollamento carcerario, si è preferito separare la depenalizzazione dal resto. Ciò consente sia di procedere all'approfondimento richiesto sia di approvare nel frattempo il resto del disegno di legge.
Altra differenza notevole con il testo originario è dato dalla trasformazione delle deleghe in materia di messa alla prova e di contumacia in norme direttamente precettive. Si è trattato di un lavoro tanto complesso da farne dubitare a qualcuno la sua opportunità. Sarebbe stato sicuramente più facile e meno rischioso, sotto il profilo tecnico, lavorare sui principi e criteri direttivi di delega, eventualmente specificandoli ulteriormente. Sono state invece sostituite le deleghe con norme penali sostanziali e processuali con un duplice scopo: intervenire direttamente sulle predette materie senza attendere i tempi di attuazione delle deleghe, sempre incerti in prossimità della fine della legislatura, e ridare al Parlamento un ruolo centrale nell'intera produzione legislativa di norme estremamente importanti.
È quindi rimasta nel testo una sola delega: quella relativa alle pene detentive non carcerarie. Non si è trattato di una scelta, quanto piuttosto della constatazione che la Commissione non aveva i tempi necessari per poter trasformare i principi in norme direttamente precettive. Queste avrebbero dovuto toccare diversi settori dell'ordinamento (diritto penale sostanziale e processuale nonché diritto penitenziario) e comportare una serie di coordinamenti normativi che effettivamente per il Parlamento non sono sempre agevoli. Per evitare di formulare una normativa incompleta, si è scelta quindi la via della specificazione dei principi e criteri direttivi di delega facendo riferimento, per quanto possibile e compatibile, alla legislazione vigente che ultimamente è intervenuta su una materia simile, ma comunque diversa. Mi riferisco alla legge 26 novembre 2010, n. 199, recante disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi, che ha per oggetto misure alternative. Il testo al nostro esame, invece si riferisce ad una pena principale comminata dal giudice della cognizione.
Prima di passare al contenuto del testo vorrei sottolineare come momento centrale dell'istruttoria legislativa siano state le audizioni svolte nell'ambito dell'indagine conoscitiva che, attraverso l'apporto tecnico-giuridico di professori universitari e di operatori del diritto, quali magistrati ed avvocati, ha consentito, tra l'altro, di compiere un lavoro sicuramente delicato e complesso: la trasformazione di alcune deleghe in disposizioni direttamente precettive. Ritengo che sia doveroso ringraziare, per il significativo contributo dato, i professori Mario Chiavario, Claudia Cesari, Giulio Illuminati e Francesco Caprioli nonché il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, il presidente del Tribunale di Torino, Luciano Panzani, il giudice del Tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, ed i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle Camere penali italiane. Sono stati molto utili anche i contributi scritti della Dott.ssa Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Torino, e di Claudio Castelli, Presidente aggiunto Ufficio GIP presso il Tribunale di Milano.
Passo quindi ad illustrare il testo partendo proprio dalla delega relativa alle pene detentive non carcerarie, che il testo originario collocava all'articolo 5, che invece ora si trova all'articolo 1, quale unica delega rimasta.
Si tratta di una novità nel panorama del diritto penale italiano che si può definire epocale senza correre il rischio di cadere in facili esaltazioni retoriche che sovente non hanno poi alcuna giustificazione nella realtà dei fatti.
La novità consiste nel prevedere che il giudice della cognizione nel pronunciare la condanna per reati puniti con pene detentive non superiori a quattro anni possa stabilire che, in luogo della detenzione carceraria, la reclusione o l'arresto siano eseguiti presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, anche per fasce Pag. 65orarie o per giorni della settimana, in misura non inferiore a quindici giorni e non superiore a quattro anni, nel caso di delitto, ovvero non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni, nel caso di contravvenzioni. Tra i delitti puniti con pene detentive non superiori a quattro anni è stato escluso, per evidenti ragioni, il reato di stalking di cui all'articolo 612-bis del codice penale.
Come ha avuto modo di sottolineare il Ministro della Giustizia nel corso dell'esame in sede referente, si tratta di modifiche che intendono realizzare un'equilibrata politica di «decarcerizzazione» e dare effettività al principio del minor sacrificio possibile della libertà personale, che comunque viene privata.
È innegabile che per il nostro ordinamento il carcere deve essere considerato come una extrema ratio, alla quale ricorrere quando altre sanzioni sono inefficaci.
Come si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge, «attraverso le nuove pene detentive non carcerarie, il condannato non dovrà più subire l'inadeguatezza del sistema penitenziario e la relativa ingiustificata compressione del diritto a un'esecuzione della pena ispirata al principio non solo di rieducazione, ma anche di umanità. Si tratta, pertanto, di disposizioni che conciliano i fondamentali obiettivi di un moderno sistema penale ispirato ai principi non soltanto di necessità, legalità, proporzionalità, personalità della pena, ma anche di rieducazione e umanizzazione della stessa secondo il disposto dell'articolo 27 della Costituzione, che ha inteso bandire ogni trattamento disumano e crudele, escludendo dalla pena ogni afflizione che non sia inscindibilmente connessa alla restrizione della libertà personale».
La valenza epocale della riforma, alla quale ho prima fatto riferimento, sta nel fatto che non si tratta di una misura che viene applicata in fase di esecuzione all'esito dell'osservazione del comportamento del detenuto in carcere, ma in una pena principale che si affianca alla reclusione ed arresto in carcere e che, come tale, è comminata dal giudice della cognizione. Si tratta di un primo passo di avvicinamento a quei sistemi penali, specialmente anglosassoni, dove la pena si modula ogni volta (naturalmente con limitazioni legislative ben precise) sulle reali e concrete esigenze rieducative del condannato, senza mai perdere di vista le valenze retributive e preventive che la pena deve comunque sempre mantenere.
La delega non tiene conto solo del principio secondo cui il carcere deve essere considerato come una extrema ratio, ma anche delle esigenza di sicurezza sociale. Per assicurare queste ultime, si è voluto evitare che l'esecuzione «domiciliare» della pena detentiva possa essere considerata un dato acquisito ex ante da colui che commette il reato, bensì il risultato di una specifica e particolare ponderazione effettuata dal giudice della cognizione sulla base di una serie di elementi che poi non sono tanto diversi da quelli individuati dall'articolo 133 del codice penale. Non vi è, quindi, alcuna automaticità nel prevedere la reclusione o l'arresto domiciliare. Questo è un punto molto importante che deve essere tenuto ben a mente quando, a torto, si critica questa riforma bollandola come un indiscriminato «svuota carceri». Alla base dell'applicazione della nuova pena vi è sempre una prognosi negativa di pericolosità del condannato.
Le modifiche effettuate dalla Commissione sono state dettate dall'esigenza di rafforzare proprio questo profilo della delega, al fine di sottolineare l'aspetto di tutela della sicurezza della società. In questa ottica si è voluto dare risalto anche alle esigenza di tutela delle persone offese, che potrebbero essere lese da una esecuzione domiciliare delle pene detentive.
Altre modifiche significative attengono alle modalità di controllo che il giudice della cognizione non può (come previsto nel testo originario) ma deve prevedere. Inoltre si è previsto che i mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (in primo luogo, i cosiddetti braccialetti) siano uno degli strumenti di controllo ma non gli unici. Ciò consente di svincolare la riforma dalla questione dei braccialetti elettronici che Pag. 66oltre ad avere un costo notevole potrebbero non garantire i risultati di sicurezza sperati.
Si è poi intervenuti sulla parte relativa al luogo ove può essere espiata la detenzione, riproducendo la formulazione della già citata legge n. 26 novembre 2010, n. 199, che sul punto sembrava più completa rispetto al testo originario del disegno di legge, che si limitava all'abitazione o un altro luogo di privata dimora, escludendo di fatto dalla applicazione del nuovo istituto tutti coloro che non disponessero di tali luoghi. In luogo della dimora sono stati previsti i luoghi pubblici o privati di cura, assistenza e accoglienza.
È infine evidente che le nuove pene previste, evitando il carcere a chi del carcere non ne abbia bisogno per finalità retributive ed educative, sono dirette anche ad ovviare, sia pure solo in parte, alla drammaticità del problema del sovraffollamento carcerario di cui soffre il nostro sistema penitenziario.
Gli articoli da 2 a 6 hanno per oggetto il nuovo istituto della messa alla prova. Scopo della nuova disciplina - ispirata alla nota probation di origine anglosassone - è quello di estendere il citato istituto, tipico del processo minorile, anche al processo penale per adulti in relazione a reati di minor gravità. Come si spiega nella relazione illustrativa, l'istituto «offre ai condannati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo e, al contempo, svolge una funzione deflattiva dei procedimenti penali in quanto è previsto che l'esito positivo della messa alla prova estingua il reato con sentenza pronunciata dal giudice». Si tratta, come nel processo minorile, di una probation giudiziale che non presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna.
Anche in questo caso si è cercato di coniugare due diverse esigenze: quelle rieducative della persona che potrebbe aver commesso un reato e quelle di sicurezza della società, che non può tollerare che non si svolgano processi quando questi potrebbero concludersi con condanne necessarie sotto i diversi profili che la pena deve avere secondo la costituzione. Questo bilanciamento di interessi presuppone che anche in questo caso non vi debba essere alcuna automaticità nell'applicazione dell'istituto, ma vi debba essere un controllo da parte del giudice della pericolosità del soggetto che potrebbe comportare la revoca della sospensione quando questa pericolosità dovesse emergere nel corso della probation.
Vorrei ricordare che la messa alla prova di maggiorenni è stata più volte presa in considerazione sia dal Parlamento che da commissioni ministeriali di studio, i cui lavori sono serviti come spunto per alcune soluzioni adottate nel testo. Mi riferisco alle Commissioni presiedute da Grosso, Pisapia e Nordio.
Per quanto attiene alla nuova disciplina si è preferito trasformarla da delega in normativa direttamente precettiva.
Mentre nel processo minorile, la messa alla prova è disposta dal giudice, sentite le parti, qui l'applicazione dell'istituto è richiesta dall'imputato.
In particolare, si introduce nel codice penale l'articolo 168-bis, volto a prevedere in via generale l'istituto della sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato. In tale articolo si stabilisce che nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. È poi disciplinato il contenuto dell'istituto, prevedendo che la messa alla prova comporta la prestazione di un lavoro di pubblica utilità nonché condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato. Può inoltre comportare l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. È quindi evidente che la messa alla prova può consentire quella realizzazione delle finalità rieducative e riparatorie che la pena non sempre riesce a garantire.
Si prevede poi in cosa debba consistere il lavoro di pubblica utilità, affermando Pag. 67che questa si traduce in una prestazione non retribuita, di durata non inferiore a trenta giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti od organizzazioni non lucrative di utilità sociale (le ONLUS). La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.
Si prevede, affinché l'istituto non sia strumentalizzato, che la sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato non possa essere concessa più di due volte né più di una volta se si tratta di reato della stessa indole. Inoltre si prevede che non possa essere concesso ad una serie di categorie di soggetti pericolosi quali i delinquenti e contravventori abituali o per professione ed i delinquenti per tendenza.
All'articolo 168-ter del codice penale sono disciplinati gli effetti della sospensione del procedimento con messa alla prova, prevedendo che durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il corso della prescrizione del reato è sospeso e che si applica l'articolo 161 del codice penale, relativo alla disciplina della sospensione e dell'interruzione della prescrizione.
Si prevede che l'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede senza pregiudicare l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge. Sempre con la finalità di evitare facili strumentalizzazioni dell'istituto, si stabilisce la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni.
Ai fini della revoca il giudice dovrebbe fissare apposita udienza per la valutazione dandone avviso alle parti e alla persona offesa almeno dieci giorni prima dell'udienza. Un principio fondamentale è quello secondo cui in caso di revoca ovvero di esito negativo della prova, l'istanza di sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato non può essere riproposta. Il fatto che il destinatario della sospensione abbia subito la revoca della medesima è un fatto che di per sé dimostra, anche per il futuro, di non essere un soggetto meritevole di misure che comunque rappresentano un beneficio.
Nel codice di procedura penale sono introdotte norme che disciplinano le modalità di applicazione dell'istituto. In primo luogo si prevede all'articolo 464-bis che nei casi previsti dall'articolo 168-bis del codice penale l'imputato può formulare richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.
La richiesta deve essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta dovrebbe essere formulata entro il termine e con le forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto la richiesta deve essere presentata con l'atto di opposizione. La volontà dell'imputato deve essere espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3.
È estremamente importante il ruolo da affidare all'Ufficio di esecuzione penale esterna affinché possa essere assicurata una efficace applicazione dell'istituto. Si stabilisce che all'istanza dell'imputato sia allegato un programma di trattamento elaborato d'intesa con l'Ufficio di esecuzione penale esterna. Tale allegato deve prevedere necessariamente: le modalità di coinvolgimento dell'imputato, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario; le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità, nonché quelle comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato. A tale fine vengono considerati il risarcimento del danno, le Pag. 68condotte riparatorie e le restituzioni. Nei procedimenti relativi a reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché a reati previsti dalla normativa vigente in materia di circolazione stradale e di prevenzione degli infortuni e di igiene sul lavoro, tale indicazione è richiesta a pena di inammissibilità dell'istanza.
Al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice potrebbe acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato. Tali informazioni devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato.
È poi disciplinata l'ipotesi di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari, prevedendo che il giudice, se è presentata una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, trasmette gli atti al pubblico ministero per esprimere il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni. Il consenso del pubblico ministero deve risultare da atto scritto unitamente alla formulazione della imputazione. Il pubblico ministero in caso di dissenso deve enunciarne le ragioni. In tal caso l'imputato dovrebbe poter rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado.
È stato poi necessario disciplinare il provvedimento del giudice e gli effetti della pronuncia, prevedendo che il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, decide con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonché la persona offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della cui fissazione è dato contestuale avviso alle parti e alla persona offesa. Si dovrebbe prevedere che il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, possa disporre la comparizione dell'imputato. Si prevede l'applicazione dell'articolo 127.
La sospensione del procedimento con messa alla prova deve essere disposta quando il giudice reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritenga che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Il giudice potrebbe integrare il programma di trattamento mediante la previsione di ulteriori obblighi e prescrizioni volti a elidere o ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato, nonché, ove lo ritenga necessario, obblighi o prescrizioni di sostegno volti a favorire il reinserimento sociale dell'imputato. Si precisa che le ulteriori prestazioni non possano essere disposte senza il consenso dell'imputato.
Sono stati poi fissati i limiti al periodo di sospensione prevedendo che il procedimento non può essere sospeso per un periodo: superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola o congiunta con la pena pecuniaria; superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.
Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova devono poter ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa.
Si è poi disciplinata l'esecuzione dell'ordinanza di sospensione del procedimento prevedendo che il giudice debba stabilire il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi imposti devono essere adempiuti. Tale termine dovrebbe poter essere prorogato, su istanza dell'imputato, non più di una volta e solo quando ricorrono gravi e comprovati motivi. Il giudice potrebbe altresì, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno. Durante la sospensione del procedimento il giudice, con il consenso dell'imputato e sentito il pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova. Pag. 69
Si prevede che durante la sospensione del procedimento il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili ed eventualmente quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato.
Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice dovrà dichiarare con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell'imputato, riterrà che la prova abbia avuto esito positivo. A tale fine dovrà essere acquisita la relazione conclusiva dell'Ufficio di esecuzione penale esterna che aveva preso in carico l'imputato.
In caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso. Le informazioni acquisite ai fini e durante il procedimento di messa alla prova non dovranno essere considerate utilizzabili.
Si è disciplinato il computo del periodo di messa alla prova dell'imputato in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, prevedendo che il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, debba detrarre un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione, dieci giorni di prova dovrebbero essere equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a euro 75 di multa o di ammenda.
L'articolo 464-octies disciplina la revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova prevedendo che sia disposta anche d'ufficio dal giudice con ordinanza.
Con un apposito articolo nelle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, sono disciplinate le attività dei servizi sociali nei confronti degli adulti ammessi alla prova. In tale norma si stabilisce che le funzioni dei servizi sociali per la messa alla prova, disposta ai sensi dell'articolo 168-bis del codice penale, sono svolte dagli uffici locali dell'esecuzione penale esterna del Ministero della giustizia, nei modi e con i compiti previsti dall'articolo 72 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. A tali fini l'imputato dovrebbe rivolgere richiesta all'ufficio di esecuzione penale esterna competente affinché predisponga un programma di trattamento. L'imputato depositerebbe gli atti rilevanti del procedimento penale nonché le osservazioni e le proposte che ritenga di fare. L'ufficio, all'esito di un'apposita indagine socio-familiare, dovrà verificare l'utilità e la praticabilità del programma di trattamento proposto dall'imputato integrandolo o rettificandolo, acquisendo su tale programma il consenso dell'imputato. L'ufficio trasmetterà quindi al giudice il programma, accompagnandolo con l'indagine socio-familiare e con le considerazioni che lo sostengono. Nell'indagine e nelle considerazioni, l'ufficio dovrebbe riferire specificamente sulle possibilità economiche dell'imputato, sulla capacità e sulla possibilità di svolgere attività riparatorie nonché, ove possibile, sulla possibilità di conciliazione con la persona offesa. Il programma deve essere integrato da prescrizioni di trattamento e di controllo che risultino utili, scelte tra quelle previste dall'articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.
Quando sia disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, l'ufficio dovrà informare il giudice, con la cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione e comunque non superiore a tre mesi, dell'attività svolta e del comportamento dell'imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione. Alla scadenza del periodo di prova, l'ufficio dovrebbe trasmettere al giudice che procede una relazione dettagliata sul decorso e sull'esito della prova medesima. Le relazioni periodiche e quella finale dell'Ufficio dell'Esecuzione penale dovrebbero essere depositate in cancelleria non meno di dieci giorni prima dell'udienza di cui all'articolo 464-septies con facoltà per le parti di prenderne visione ed estrarne copia.
L'articolo 5 del testo prevede che l'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova sia Pag. 70riportata nel casellario giudiziario affinché ne resti traccia in vista di eventuali successive richieste di applicazione dell'istituto per fatti diversi.
Strettamente connesso al rafforzamento dei compiti degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, si prevede all'articolo 6 che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministro della giustizia riferisce alle competenti Commissioni parlamentari in merito alle necessità di adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, in relazione alle esigenze di attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova.
Gli articoli da 7 a 13 hanno per oggetto la sospensione del processo nei confronti degli irreperibili. Anche in questo caso la Commissione ha sostituito la delega con una disciplina direttamente precettiva volta a riformare la materia della contumacia, cancellando tale istituto. Della ratio delle disposizioni in esame si è già detto facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Il problema principale è stato quello di definire i casi di sospensione, quando non si riesca a reperire l'imputato, e correlativamente i casi in cui si possa procedere anche in assenza dell'imputato, poiché si è ragionevolmente certi che questi sia a conoscenza del fatto che si sta procedendo. Ma quando si può essere certi di una tale conoscenza? E quando si può essere disposti a sospendere il processo, poiché si reputa o si teme che manchi tale conoscenza?
In linea di massima, l'unico modo per essere davvero certi che l'imputato sia a conoscenza del processo dovrebbe essere la notifica dell'avviso di udienza a mani dell'imputato (salve situazioni straordinarie ed imprevedibili in cui la certezza risulti aliunde). In tutte le altre ipotesi, a partire dalla notifica dell'avviso al convivente, tale certezza non si può dare. L'imputato potrebbe anche essere al corrente che vi è un procedimento aperto nei suoi confronti, ma essere ignaro della celebrazione del processo.
Tenendo conto anche delle audizioni svolte in materia dalla Commissione nell'ambito dell'indagine conoscitiva relativa all'esame dei progetti di legge abbinati, la disciplina della contumacia si dovrebbe articolare essenzialmente attorno a tre ipotesi: conoscenza certa dell'udienza del processo (udienza preliminare o udienza dibattimentale); conoscenza presunta dell'udienza per conoscenza certa del procedimento; non conoscenza dell'udienza e del procedimento. A queste tre ipotesi dovrebbero poi corrispondere tre situazioni: a) processo in assenza; b) processo in assenza, ma con rimedi ripristinatori per l'imputato che dimostri la incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo; c) sospensione del processo. In caso di conoscenza certa da parte dell'imputato della celebrazione del processo (per avere ricevuto a mani la notifica dell'avviso di udienza o per altri indici da cui si evinca «con certezza» tale conoscenza), il processo proseguirebbe in assenza dell'imputato che è rappresentato dal difensore. In caso di conoscenza presunta del processo per conoscenza certa del procedimento (per avere eletto domicilio, essere stato arrestato o fermato, o per avere nominato un difensore di fiducia), il processo proseguirebbe in assenza dell'imputato, ammettendo questo a provare di non avere avuto conoscenza della celebrazione del processo (pur avendo avuto conoscenza del procedimento) e in tal caso all'imputato viene comunque garantito il diritto ad un giudizio di primo o di secondo grado (con eventuale rimessione in termini per la richiesta di riti speciali consensuali, se la mancata conoscenza dell'avviso di udienza era riferibile anche all'udienza preliminare). Qualora sia stata pronunciata condanna passata in giudicato, il giudicato potrebbe essere rescisso e il processo riprendere col dibattimento di primo grado.
In caso di incertezza sulla conoscenza da parte dell'imputato del procedimento si Pag. 71prevede la sospensione del processo. In caso di sospensione, il giudice dovrebbe disporre nuove ricerche almeno allo scadere di ogni anno. La sospensione sospenderebbe il corso della prescrizione, ma non potrebbe protrarsi per un periodo superiore ai termini massimi di prescrizione, decorsi i quali riprenderebbe a decorrere il termine di prescrizione. Si devono poi prevedere rimedi ripristinatori nel caso di processo svolto in assenza, ove si dimostri la incolpevole mancata conoscenza. In questi casi se l'imputato compare nel corso dell'udienza preliminare l'udienza dovrebbe essere rinviata e nel caso (infrequente) in cui siano state assunte prove (con incidente probatorio o prove ex articolo 422 che si siano poi rivelate all'atto dell'assunzione sfavorevoli all'imputato) avrebbe diritto alla rinnovazione delle prove assunte in udienza preliminare e comunque all'acquisizione di prove. Se l'imputato si presenta all'inizio del dibattimento, essendo stato assente nel corso dell'udienza preliminare, deve poter rendere dichiarazioni spontanee ed essere riammesso nel termine per richiedere i riti speciali consensuali. Se l'imputato compare nel corso del dibattimento, si deve rinviare l'udienza, l'imputato essere riammesso nel termine per richiedere i riti speciali e può chiedere l'acquisizione di prove rilevanti e la riassunzione delle prove già assunte, ferma restando la validità degli atti (prove incluse) già compiuti. Se l'imputato viene a conoscenza di una sentenza di condanna in primo grado deve poter presentare appello, chiedendo l'annullamento della sentenza e la trasmissione degli atti al giudice di primo grado (anche in questo caso è rimesso in termini per presentare richiesta di riti speciali). Se l'imputato viene a conoscenza di una condanna in appello, deve poter presentare ricorso per Cassazione per l'annullamento della sentenza con trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Se l'imputato viene a conoscenza di una condanna passata in giudicato, deve poter chiedere alla Corte di cassazione la rescissione del giudicato (un istituto in cui si potranno poi innestare anche per i casi di processo dichiarato ingiusto dalla Corte europea dei diritti umani) e la ripartenza del processo dal giudizio di primo grado.
Per quanto attiene ai pareri espressi dal Comitato per la legislazione e dalle Commissioni competenti ci si è limitati ad accogliere i rilievi del Comitato relativamente all'esigenza di prevedere che i decreti correttivi in materia di pene detentive non carcerarie debbano rispettare i principi e criteri direttivi relativi alla delega principale. Per il resto le indicazioni delle altre Commissioni non sono state ritenute rilevanti.
In merito all'utilizzo del termine «rescissione del giudicato» utilizzato nel nuovo articolo 625-ter, si rileva che in realtà, al contrario di quanto indicato nel parere del Comitato, non si tratta di una indebita traslazione nell'ambito penale di una nozione civilistica, considerato che in dottrina viene utilizzato per individuare un effetto diretto a togliere efficacia al giudicato per ragioni sopravvenute. Qualora comunque si ritenesse di non utilizzare il termine della rescissione, si potrebbe utilizzare quello di revoca del giudicato.
Con riferimento ai rilievi della I Commissione non si è ritenuto che contrasti con il principio di uguaglianza il principio e criterio direttivo di delega secondo cui nella fase di esecuzione della pena il giudice può sostituire la pena detentiva non carceraria con quella carceraria qualora non risulti disponibile un luogo diverso dal carcere idoneo ad assicurare la custodia del condannato, ritenendo che l'ordinamento già conosca situazioni del genere senza che ciò abbia determinato alcuna censura di costituzionalità. In ordine alla eventuale violazione dell'articolo 36 della Costituzione a causa della mancata retribuzione del lavoro di pubblica utilità, si ricorda che l'istituto della messa alla prova è in realtà un affidamento in prova processuale, una misura alternativa, anticipata (rispetto alla sentenza di condanna) su base volontaria, - così come il patteggiamento, dal cui buon esito l'imputato ricava il beneficio dell'estinzione del reato. Si Pag. 72tratta di un istituto al quale non può essere applicata la disciplina lavoristica e tantomeno l'articolo 36 della Costituzione ma si deve inquadrare nell'articolo 27 della Costituzione.
Vi è in sostanza un accertamento affievolito di responsabilità (il giudice deve comunque escludere la sussistenza di cause evidenti di proscioglimento) compensato dalla richiesta volontaria e dal beneficio dell'estinzione del reato. A tale proposito si ricorda che quando viene revocato il beneficio, in ogni caso il lavoro di pubblica utilità viene convertito, calcolato e detratto dalla pena che verrà comminata.
L'altra osservazione che non è stata accolta ma che potrebbe essere valutata ai fini dell'esame in Assemblea riguarda l'opportunità di fare riferimento al nucleo familiare ed in particolare al suo ruolo ed alla sua pulsione per quanto attiene la definizione del programma di trattamento. Si potrebbe in particolare meglio specificare tale nozione in relazione alle specifiche ipotesi delittuose oggetto di messa alla prova, fino addirittura ad escluderla in riferimento a determinati reati.
Meritevole di attenzione è l'osservazione della Commissione affari sociali con la quale si chiede alla Commissione di merito di valutare l'opportunità di prevedere all'articolo 6 che il Ministro della giustizia non si limiti a svolgere un'attività di monitoraggio ma che indichi strumenti, risorse e tempi certi in relazione all'adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia.
In questo caso il vero problema è rinvenire la copertura economico-finanziaria.