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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 690 di lunedì 24 settembre 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

La seduta comincia alle 16.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 settembre 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Baccini, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cicchitto, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, Crosio, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Delfino, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Dussin, Evangelisti, Fogliato, Franceschini, Garavini, Giancarlo Giorgetti, Granata, Guzzanti, Iannaccone, La Malfa, Lombardo, Lorenzin, Lupi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Misiti, Moffa, Mura, Angela Napoli, Narducci, Nola, Nucara, Pianetta, Pisacane, Pisicchio, Rota, Stefani, Taddei, Tassone, Tempestini, Toto, Valducci e Zucchi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012 (ore 16,03).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'economia e delle finanze, in data 21 settembre 2012, hanno trasmesso, ai sensi degli articoli 7, comma 2, lettera b), e 10-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012 (Doc. LVII, n. 5-bis). Alla Nota sono allegate le relazioni sulle spese di investimento e sulle relative leggi pluriennali, previste dal predetto articolo 10-bis (Doc. LVII, n. 5-bis - Allegato I).
La Nota di aggiornamento e l'ulteriore documentazione richiamata sono state trasmesse alla V Commissione (Bilancio) e, per il parere, a tutte le altre Commissioni permanenti e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Discussione del documento: Proposta di modificazione al Regolamento (Articoli 14, 15, 15-ter e 153-quater: Modifica della disciplina relativa ai contributi ai Gruppi parlamentari). (Doc. II n. 24) (ore 16,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del documento: Proposta di modificazione al Regolamento (Articoli 14, 15, 15-ter e 153-quater: Modifica della disciplina relativa ai contributi ai Gruppi parlamentari).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 20 settembre.

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(Discussione sulle linee generali - Doc. II, n. 24)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il relatore, onorevole Bressa, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIANCLAUDIO BRESSA, Relatore. Signor Presidente, stante la delicatezza della relazione, anche ai fini di future interpretazioni, nel momento in cui dovessi esaurire il mio tempo, lei dovrebbe essere così gentile, non solo di avvisarmi, ma di consentirmi di depositare la parte non letta della relazione in modo tale che possa essere pubblicata.
Colleghe e colleghi, la presente proposta di modifica al Regolamento interviene sulla disciplina relativa ai contributi ai gruppi parlamentari. Essa trae origine da un'iniziativa presentata dai deputati questori della Camera il 5 luglio 2012, su sollecitazione dell'Ufficio di Presidenza.
Il dibattito in Giunta per il Regolamento è stato molto approfondito e fruttuoso, per quanto concentrato in un arco di tempo davvero limitatissimo: nella riunione della Giunta del 31 luglio è stato avviato l'esame con una relazione introduttiva del Presidente della Camera; il dibattito è poi proseguito il 12 settembre con l'incarico conferito ai relatori, di riformulare il testo, raccogliendo gli orientamenti rappresentati nella discussione e condivisi da tutti i colleghi intervenuti; infine, il 19 settembre - in un contesto nel quale la questione era venuta prepotentemente alla ribalta mediatica - l'esame si è concluso con un voto unanime della Giunta su un testo ulteriormente riformulato alla luce di un unanime orientamento sulla questione dei controlli. I tempi ristretti non hanno però impedito un esame approfondito delle varie questioni; anzi, lo sforzo compiuto ha prodotto un testo dall'impianto equilibrato, molto innovativo e rigoroso che, pur muovendosi nel solco del documento originario presentato dai questori, se ne differenzia e lo migliora.
La ratio dell'intervento è quella della trasparenza e della responsabilità, chiamandosi anche i gruppi parlamentari - in quanto destinatari di risorse finanziarie e materiali a carico del bilancio della Camera, ma anche in quanto soggetti indefettibili nel nostro ordinamento costituzionale e regolamentare - a partecipare al disegno complessivo nel quale il Parlamento si sta impegnando per corrispondere all'esigenza di massimo rigore e pubblicità nell'utilizzo di finanziamenti pubblici.
Si tratta di una svolta che si può definire epocale, poiché si inseriscono per la prima volta nel Regolamento della Camera, norme stringenti e rigorose sugli statuti dei gruppi, sull'utilizzo delle risorse ad essi trasferiti a carico del bilancio della Camera, sulla rendicontazione annuale e sui relativi controlli.
Con l'occasione, inoltre, si introduce, all'articolo 14 del Regolamento, un nuovo comma premissivo che chiarisce la definizione di gruppo parlamentare, riconoscendo espressamente i gruppi parlamentari quali associazioni di deputati la cui costituzione avviene secondo le disposizioni recate dal medesimo articolo 14 e prevedendo che ad essi, in quanto soggetti necessari al funzionamento della Camera, secondo quanto previsto dalla Costituzione e dal Regolamento, siano assicurate le risorse necessarie allo svolgimento della loro attività a carico del bilancio della Camera. Resta ferma, naturalmente, la loro piena autonomia rispetto alla Camera medesima e la titolarità di rapporti giuridici autonomi e distinti.
Si è chiarito, direi, in via definitiva, che il funzionamento, l'organizzazione e la disciplina dei lavori parlamentari non potrebbero essere garantite senza un coinvolgimento sostanziale dei gruppi parlamentari.
La proposta introduce poi all'articolo 15 del Regolamento una disposizione che impone a ciascun gruppo, entro trenta giorni dalla propria costituzione, l'obbligo di approvare lo statuto, da trasmettere al Presidente della Camera entro i successivi cinque giorni. Lo statuto indica in ogni caso l'organo competente ad approvare il rendiconto, e l'organo responsabile per la Pag. 3gestione amministrativa e contabile del gruppo. Lo statuto, pubblicato sul sito internet della Camera, prevede le modalità secondo le quali l'organo responsabile per la gestione amministrativa e contabile, destina le risorse alle finalità indicate espressamente nel nuovo ultimo comma dell'articolo 15, ossia agli scopi istituzionali riferiti all'attività parlamentare e alle funzioni di studio, editoria e comunicazione ad essa ricollegabili, nonché alle spese per il funzionamento degli organi e delle strutture dei gruppi, ivi comprese quelle relative ai trattamenti economici. In tale formulazione è ovviamente da ricomprendersi, come finalità generale, l'autonoma azione politica di ciascun gruppo.
L'articolo 15-ter, che la presente proposta introduce, prevede che ciascun gruppo approvi un rendiconto di esercizio annuale, strutturato secondo un modello comune approvato dall'Ufficio di Presidenza. In ogni caso il rendiconto deve evidenziare espressamente, in apposite voci, le risorse trasferite al gruppo dalla Camera, con indicazione del titolo del trasferimento.
Al comma 2 si stabilisce che, allo scopo di garantire la trasparenza e la correttezza nella gestione contabile e finanziaria, i gruppi si avvalgono di una unica società di revisione legale, selezionata dall'Ufficio di Presidenza con procedura ad evidenza pubblica, che verifica, nel corso dell'esercizio, la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili, ed esprime un giudizio sul rendiconto di cui al comma 1. La previsione dell'individuazione di un'unica società è finalizzata a garantire l'applicazione di criteri di controllo uniformi per tutti i gruppi; resta affidata all'Ufficio di Presidenza - oltre all'individuazione, con procedura ad evidenza pubblica, della società - la disciplina delle specifiche modalità attuative di questa disposizione anche quanto ai costi, che appare scontato siano posti a carico del bilancio della Camera.
Al comma 3 si prevede che il rendiconto è trasmesso al Presidente della Camera, corredato da una dichiarazione del presidente del gruppo che ne attesta l'avvenuta approvazione da parte dell'organo statutariamente competente e dalla relazione della società di revisione. I rendiconti sono pubblicati come allegato al conto consuntivo della Camera (il conto consuntivo - come è noto - è pubblicato anche sul sito internet della Camera). La scelta di questa forma di pubblicità è coerente con il fatto che il comma 1 dell'articolo 14 e l'articolo 15, comma 3, stabiliscono che le risorse necessarie allo svolgimento della loro attività sono assicurate ai gruppi a carico del bilancio della Camera. Tale forma di pubblicità-notizia comporta che, analogamente a quanto avviene per gli altri documenti allegati a solo scopo informativo al conto consuntivo (ossia il prospetto di sintesi degli inventari, il fondo di solidarietà fra i deputati e il fondo di previdenza per il personale della Camera), essi non sono - né potrebbero essere - sottoposti ad alcuna forma di deliberazione parlamentare.
Il controllo della conformità del rendiconto presentato da ciascun gruppo alle prescrizioni del Regolamento è effettuato a cura del Collegio dei questori, secondo forme e modalità stabilite dall'Ufficio di Presidenza. L'erogazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio della Camera a favore dei gruppi è autorizzata dal Collegio dei questori, subordinatamente all'esito positivo di tale controllo. Si prevede poi, raccogliendo lo spirito di una proposta emendativa presentata in Giunta dall'onorevole Favia, che il Collegio dei questori riferisca all'Ufficio di Presidenza sulle risultanze dell'attività svolta in proposito.
Ove il gruppo non trasmetta il rendiconto entro il termine individuato dalle successive deliberazioni attuative dell'Ufficio di Presidenza, esso decade dal diritto all'erogazione, per l'anno in corso, delle risorse finanziarie. Ove il Collegio dei questori riscontri che il rendiconto o la documentazione trasmessa a corredo dello stesso non sia conforme alle prescrizioni, entro dieci giorni dal ricevimento del rendiconto invita il presidente del gruppo a provvedere alla relativa regolarizzazione, Pag. 4fissandone il termine. Nel caso in cui il gruppo non provveda alla regolarizzazione entro il termine fissato, esso decade dal diritto all'erogazione, per l'anno in corso, delle risorse. La decadenza di cui al presente comma è accertata con deliberazione dell'Ufficio di Presidenza, su proposta del Collegio dei questori.
L'ultimo comma dell'articolo 15-ter assegna all'Ufficio di Presidenza il compito di disciplinare i termini e le modalità per l'attuazione dell'articolo stesso, ivi compresa la disciplina da applicare in caso di scioglimento di un gruppo. Prevede inoltre che apposite disposizioni debbano essere dettate per il gruppo misto. In proposito, si segnala che le deliberazioni che l'Ufficio di Presidenza dovrà assumere sono numerose e complesse e richiederanno inevitabilmente un denso lavoro istruttorio, propedeutico e indispensabile alla concreta operatività della nuova disciplina: si va dall'individuazione della società di revisione legale, selezionata con procedura ad evidenza pubblica (dunque nel rispetto delle regole e dei tempi stabiliti dalla normativa vigente), al modello comune di rendiconto annuale, alla disciplina delle forme e modalità di effettuazione del controllo ad opera del Collegio dei questori, alle disposizioni specifiche per il gruppo misto fino a quelle più generali - sopra accennate - sui termini e sulle modalità di attuazione dell'articolo 15-ter nel suo complesso.
La Giunta - nel prevedere, come logico e coerente, che le modifiche all'articolo 15 e le disposizioni dell'articolo 15-ter entrino in vigore non appena adottate le suddette deliberazioni propedeutiche (tale previsione non riguarda anche la modifica dell'articolo 14, che non richiede alcuna misura attuativa), che concorrono al completamento del quadro normativo in questa materia - ha comunque stabilito che tale termine non potrà andare oltre l'inizio della XVII legislatura, fra pochi mesi, e, al fine di accelerare il più possibile l'attuazione della riforma, garantendone l'operatività, ha assegnato all'Ufficio di Presidenza in carica nell'attuale legislatura, il complesso compito di predisposizione del pacchetto di misure attuative (evidentemente questa disposizione entra in vigore secondo i termini ordinari, e cioè, parallelamente alla sopra citata modifica all'articolo 14, il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per quanto detto, e confidando che in Assemblea si possa pervenire ad una decisione condivisa come quella assunta presso la Giunta, si raccomanda una rapida approvazione della importante riforma regolamentare in esame.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Bressa, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Leone.

ANTONIO LEONE, Relatore. Signor Presidente, una relazione introduttiva di questo importante dibattito, credo non possa omettere di fare chiarezza su alcuni passaggi istruttori del lavoro svolto dalla Giunta per il Regolamento e dai relatori in queste pochissime settimane in cui il tema è stato all'ordine del giorno di quell'organo. Chiarezza che deve rendere una corretta informazione su quanto accaduto a fronte di dichiarazioni, commenti e articoli di stampa spesso allusivi, a volte mistificatori, quasi sempre, purtroppo, superficiali e disinformati. Mi riferisco alle polemiche scoppiate la scorsa settimana, subito prima dell'ultima riunione della Giunta, sulla questione dei controlli sui rendiconti, rivelatasi poi una tempesta in un bicchiere d'acqua. Sull'onda del clima dell'antipolitica è stato infatti dipinto uno scenario, e soprattutto intenzioni, assolutamente lontani dal vero, smentiti anzitutto dal contenuto del nuovo testo presentato dai relatori venerdì 14 settembre. Nessuno ha avuto la cura di precisare che il testo presentato dai relatori era stato il frutto di un lavoro di parziale riscrittura del documento dei Questori, improntato all'esigenza di trasfondere, in alcune modifiche normative, orientamenti rappresentati Pag. 5e condivisi in Giunta da tutti i colleghi intervenuti nel dibattito, in rappresentanza di pressoché tutti i gruppi. Le esigenze manifestate in quella sede e registrate dai relatori, richiamavano l'opportunità di una disciplina normativa più aderente, rispetto al testo originario, alla realtà istituzionale dei gruppi, come configurata nel nostro ordinamento, nel quale essi sono attori essenziali e imprescindibili dei lavori parlamentari. Partendo dalla necessità di una norma definitoria chiara sulla natura dei gruppi, in quanto soggetti necessari al funzionamento della Camera, coerentemente con quanto già desumibile dalla lettura sistematica del Regolamento e della stessa Costituzione, uno dei punti condivisi di correzione del testo era dato dall'articolazione dei controlli sui rendiconti dei gruppi, ma non certo al fine di sottrarre questi soggetti ad un controllo efficace e rigoroso, ma al fine di prevedere - in luogo del controllo da parte di società di revisione esterne, liberamente scelte da ciascun gruppo e quindi non necessariamente terze - quello in capo al Collegio dei questori, con l'ausilio delle strutture della Camera, concentrando dunque l'attività di controllo in organi ex professo competenti sui bilanci della Camera, e qualificando tale attività in modo stringente e rigoroso. La trasparenza del controllo era poi rafforzata dalla previsione della pubblicazione dei rendiconti - anche on line - come allegati al conto consuntivo del bilancio della Camera stessa. Insomma, il testo già offriva le migliori garanzie per quanto riguarda il controllo dei rendiconti. Questa scelta è stata effettuata in coerenza con la particolare configurazione dei gruppi e con le funzioni che essi esercitano, ed in linea con il regime giuridico che assiste i controlli sul bilancio interno della Camera, dal quale provengono i contributi il cui utilizzo si impone ora di rendicontare. Non si è trattato dunque di un'invenzione dei relatori, ma di una scelta che è parsa a tutti colleghi della Giunta - nel momento in cui è stata formulata nel dibattito e condivisa all'unanimità - istituzionalmente coerente, corretta e qualitativamente efficace. Per questo, è falso che nel testo presentato dai relatori non fossero previsti controlli o che i gruppi abbiano cercato di farsi scudo dell'autodichia o di altri principi evocati spesso impropriamente in questi giorni - non vedo proprio cosa c'entri l'autodichia - per sottrarvisi.
Così com'è falso sostenere che i controlli previsti nel testo erano fragili e insufficienti, salvo dire lo stesso in relazione ai controlli sui bilanci delle Camere - o di altri organi costituzionali, quali Quirinale, Senato o Corte costituzionale - il che è francamente insostenibile.
È anche falso qualificare come una «inversione ad U» l'ulteriore modifica del testo che è stata introdotta mercoledì scorso nella riunione conclusiva della Giunta, anche sulla scia delle dichiarazioni rese in Aula il pomeriggio precedente da alcuni leader politici, subito dopo la pubblicazione di alcune agenzie di stampa e le conseguenti polemiche. Del resto, il testo che i relatori avevano sottoposto alla Giunta, è stato integralmente confermato da questa il 19 settembre. Esso è stato integrato con l'aggiunta di un'ulteriore misura di trasparenza, che però non vanifica né riduce la portata dell'altra, che resta comunque la più coerente con il sistema.
È stata, dunque, aggiunta la previsione che i gruppi si avvalgano di una società di revisione legale, individuata con regolare procedura ad evidenza pubblica dall'Ufficio di Presidenza, per verificare, nel corso dell'esercizio, la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili dei bilanci, con espressione di un giudizio sul rendiconto di esercizio annuale, e con la trasmissione al Presidente della Camera di una relazione.
Tale aggiunta è stata fatta con una decisione della Giunta, anche stavolta unanime. Tutti, infatti, abbiamo compreso e condiviso la necessità di fugare ogni sospetto di fronte ad una campagna mediatica così aspra e in malafede, evitando di dare alibi a chi la alimenta e cerca di seminare sospetti nell'opinione pubblica, Pag. 6una scelta però - tengo a precisare - che non altera l'impianto complessivo della riforma, ma anzi lo rafforza.
Ma attenzione! Guai a tentare di leggere questa riforma come una crepa aperta nell'autonomia della Camera come organo costituzionale! L'autonomia della Camera, dei suoi organi e di quei soggetti, che per il ruolo che la Costituzione e i regolamenti loro affida, in essa operano con una funzione essenziale per la vita stessa dell'istituzione rappresentativa, deve infatti essere preservata, difesa e valorizzata come garanzia essenziale della democrazia, pur nella trasparenza, naturalmente.
Non si può cercare di strumentalizzare questa riforma indicandola come un primo tassello di una più complessiva operazione politica che mira a squalificare il Parlamento, cercando di ridimensionare o addirittura eliminare surrettiziamente, attraverso operazioni poco trasparenti, le sue prerogative costituzionali.
Non può essere così. Se si vuole fare un'operazione di questa natura, lo si faccia pure: non surrettiziamente, però, ma in modo aperto e trasparente e con gli strumenti costituzionalmente appropriati, cioè proprio con una riforma costituzionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volpi. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, innanzitutto voglio ringraziare i colleghi ed i relatori, perché da una parte nella loro relazione hanno esposto con grande chiarezza il profilo tecnico della proposta regolamentare e, dall'altro - devo dire - sottoscrivo appieno la schiettezza con cui l'amico Antonio Leone ha voluto ricostruire non solo quello che è avvenuto nella scorsa settimana, ma tutto il processo che ci ha portati a condurre un ragionamento profondo sulla necessità di modificare il Regolamento.
Parto da un assunto, che mi sembra evidente, e di cui ha parlato il relatore Presidente Leone: ma quale marcia indietro? La marcia indietro, fatta dalla Camera attraverso la sua Giunta, quale sarebbe? Quella di avere modificato in maniera sostanziale la disciplina e la definizione dei gruppi, che prima non c'era? È questa la marcia indietro? Quella di portare un elemento di innovazione assoluto, rispetto a quello che è il rapporto fra i gruppi parlamentari e la Camera dei deputati, peraltro elidendo in maniera forte il rapporto che i gruppi hanno con i partiti?
Penso che queste innovazioni non possano essere solamente sottintese fra le righe di un provvedimento che noi ora stiamo esaminando, perché questa certamente non è la marcia indietro della Giunta e del Parlamento: è un enorme passo avanti, fatto con coraggio, fatto con grande coraggio. Infatti, si poteva accettare la proposta fatta dai questori - lo dico per parte del mio gruppo - assolutamente insufficiente, perché la proposta dei questori non dava nessun elemento né innovativo né di particolare attenzione ai controlli. La Giunta ha voluto approfondire ed ha fatto una proposta, stimolata da alcuni colleghi che - devo dire con una pervicacia assoluta - hanno voluto sottolineare a noi quali potevano essere le prospettive nell'individuare una nuova disciplina per i gruppi.
Questa non è una marcia indietro. Vi dirò di più. Noi addirittura (lo abbiamo detto, lo abbiamo detto quando qualcuno ha sollevato in Aula la questione la scorsa settimana) non ci poniamo certo il problema di una verifica fatta da una società di revisione esterna, anzi. Se si è ritenuto - come si è ritenuto - che ci debba essere una società esterna attraverso quell'assunto che ormai riterremo i gruppi parlamentari libere associazione (vi porto la riflessione che ho fatto in Giunta e la faccio per il mio gruppo ma credo che possa essere una riflessione seria per il futuro), se facciamo verificare i nostri bilanci dei gruppi all'esterno, ben venga anche una verifica della Corte dei conti. Perché se è vero che questa autonomia è stata in qualche modo riportata all'esterno non vedo perché dovremmo temere il Corriere della sera e non temere un controllo Pag. 7più efficace per esempio della Corte dei conti, o almeno pensare che la Corte dei conti possa, attraverso una proposta di griglia di ammissibilità delle spese, proporre alla Camera dei deputati, anzi ai gruppi, quali possano essere le spese ammissibili e la forma in cui redigere un bilancio.
Detto questo Presidente, credo che la proposta sia solida, assolutamente condivisibile. Mi permetto anche di aggiungere un ringraziamento a tutti i colleghi della Giunta perché il contributo è stato assolutamente efficace e fattivo: è stato efficace nei tempi in cui è stata fatta la proposta, elaborata e presentata: è stato efficace negli interventi di chi aveva anche sottoposto eventuali emendamenti che sono stati comunque recepiti attraverso il lavoro del relatore; è stato efficace nei tempi in cui noi pretendiamo, Presidente, che questa proposta diventi attuativa, perché poi non si dica che ci inventiamo i tempi, che ci inventiamo le cose. C'è scritto, si fa subito, si fa adesso. Quindi su questo credo sia stato dissipato in maniera assolutamente chiara quello che è successo. Mi permetta una digressione. Mi tocca in questi ultimi quattro-cinque mesi che mi aspettano in questo Parlamento. Credo che questa Camera in questa legislatura (era per me la prima legislatura) abbia subito degli attacchi assolutamente inauditi. Non vale la conta del parlamentare bravo e del parlamentare cattivo. Conta una situazione che sta mettendo di fronte al Paese l'immagine di una istituzione posta in negativo, strumentalmente molto spesso, perché vede, Presidente, se siamo stati capaci di fare il blitz della scorsa settimana con la comunicazione, ben poco ho visto in questi quattro anni oltre agli attacchi ai parlamentari raccontare cosa fanno veramente i parlamentari tutti i giorni (quelli che lavorano, certo, magari ci sono anche quelli che fanno meno).
Non ho visto raccontare le eccellenze e le professionalità che ci sono all'interno della Camera dei deputati, non le ho viste raccontate, ho visto fare la polemica su quanto potrebbero teoricamente guadagnare gli stenografi piuttosto che gli assistenti che sono alla barberia. Ebbene, su queste cose, Presidente, ho sentito sempre timide se non nulle risposte di chi avrebbe potuto raccontare il vero, di chi avrebbe potuto raccontare per esempio che i parlamentari si sono ridotti le indennità, che in questa legislatura è stato rivisto completamente il sistema previdenziale passando totalmente al contributivo. Però, Presidente, il fatto che lei annuisca non mi consola, e glielo dico semplicemente perché credo che lei sia il miglior rappresentante per raccontare queste cose, e quindi rispetto anche alle innovazioni che ci sono in questo Regolamento mi aspetto che insieme a quello che abbiamo fatto di buono racconti bene anche quello che è stato fatto oggi.
Un ringraziamento lo voglio fare anche fuori da quest'Aula. Lo faccio a quella stampa che racconta il vero, che non mette su cose che non conosce o mistifica colpevolmente alcune situazioni. Lo faccio in particolar modo a quei giornalisti, spesso delle agenzie, che magari salgono anche di due piani per vedere cosa succede nelle Commissioni.
Lo faccio a quei pochi giornalisti, fra i 400 e più accreditati alla Camera dei deputati, che la Camera la frequentano e non scrivono della Camera dei deputati, di Montecitorio, da Cortina o da Capri. Lo faccio a quelli che scrivono parlando di politica e non di gossip, che mi sembra stia diventando un elemento centrale della politica invece che la politica vera. E a quelli che ho conosciuto per primi; il primo che ho conosciuto è stato ed è un giornalista di agenzia, Bongarrà, che c'è sempre, come tutti gli altri delle agenzie. Quei giornalisti che si informano su quello che succede e non accettano le veline di quei pochi che magari pensano di contare qualcosa, ma contano niente oggi e probabilmente non conteranno domani. Nel momento in cui ci proponiamo di fare tutto ciò, colleghi, signor Presidente, sappiamo che molti di noi lo fanno per quelli che verranno dopo di noi, per dare all'istituzione quell'orgoglio che qualche volta è mancato, specialmente nei vertici (Applausi).

Pag. 8

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sereni. Ne ha facoltà.

MARINA SERENI. Signor Presidente, portiamo oggi in Aula per l'approvazione una modifica importante del Regolamento della Camera che non a caso il presidente del mio gruppo, Dario Franceschini, aveva sollecitato e caldeggiato con una lettera al Presidente Fini nella primavera scorsa. Proprio mentre si discuteva di una riforma per ridurre i fondi e le modalità di finanziamento dei partiti, avvertimmo infatti la necessità di intervenire per introdurre nuovi criteri di trasparenza e responsabilità anche per quanto attiene alla vita dei gruppi parlamentari e, in particolare, l'utilizzo delle somme messe a loro disposizione dal bilancio della Camera. Questa nostra discussione avviene in un momento quanto mai drammatico. Gli scandali che hanno investito il consiglio regionale del Lazio in particolare sconcertano e alimentano nei cittadini - e vorrei dire nei politici onesti - un sentimento di disgusto e di allarme. Avvertiamo tutto il disagio perché noi stessi, che pur siamo abituati a conoscere queste patologie, come diceva nei giorni scorsi il presidente della Corte dei conti, Giampaolino, non pensavamo si potesse giungere a tanto.
Non ci riguarda la dimensione giudiziaria, ma il profilo etico e politico. Un fiume di denaro messo direttamente o indirettamente nelle mani dei gruppi consiliari regionali, usato senza alcun criterio e senza controlli, rappresenta, per usare le parole del cardinal Bagnasco, una cosa vergognosa, la dimostrazione di una distanza siderale tra quel modo di intendere e praticare la politica e la vita reale delle persone, delle famiglie, del territorio dentro una crisi economica e sociale senza precedenti. Anche in questa indecente vicenda non tutti si sono comportati e stanno reagendo allo stesso modo e se oggi possiamo considerare realistica l'ipotesi dello scioglimento del consiglio della regione Lazio e la restituzione della parola agli elettori lo dobbiamo all'iniziativa dei consiglieri del PD e delle altre forze di opposizione che hanno già sottoscritto la lettera di dimissioni. Ci auguriamo che anche altri abbiano in queste ore un sussulto di dignità per mettere fine a questo brutto, bruttissimo spettacolo. Proprio nel pieno di questi scandali, proprio per favorire la pulizia e il rinnovamento, bisogna reagire e fare le necessarie distinzioni. Dobbiamo dimostrare con i comportamenti e le scelte concrete che la politica sa autoriformarsi anziché rifugiarsi in quella specie di autoassoluzione che è il «sono tutti uguali». Anche le regioni non sono tutte uguali. Basta guardare le cifre per vedere come in alcune realtà ci sia stato il coraggio di fare tagli, di controllare spese, di abolire privilegi.
Ogni giorno di più è evidente che per restituire fiducia ai cittadini verso le istituzioni e per recuperare credibilità dobbiamo stabilire ad ogni livello regole nuove e più stringenti: meno soldi, più controlli, più verifiche su come si utilizzano le risorse pubbliche per lo svolgimento dell'attività politica. Tanto più siamo convinti dell'importanza delle istituzioni rappresentative e tanto più crediamo nella democrazia parlamentare, tanto più abbiamo il dovere di imprimere una svolta in direzione di una politica sobria e trasparente, che spende meno e meglio, che si dà regole e le rispetta, che seleziona una classe dirigente onesta e seria.
Il provvedimento di cui ci occupiamo oggi è un tassello importante di un disegno di riforme che necessariamente deve essere più ampio e trovare nella nuova legge elettorale un pilastro essenziale. Non è questa la sede per soffermarci su questo punto. Mi permetto tuttavia di segnalare che anche le cronache di questi giorni suggerirebbero una riforma elettorale che, mentre restituisce ai cittadini il potere di scegliersi il proprio rappresentante in Parlamento, riesca a contenere i costi della politica evitando il rischio di fenomeni di corruzione, di clientelismo ed opacità nei rapporti tra politica ed interessi consolidati. Continuo a pensare che tra preferenze e collegi uninominali la seconda opzione sia largamente preferibile per il sistema politico italiano, tanto più oggi. Pag. 9
La proposta di modifica del Regolamento che oggi esaminiamo interviene sulla vita interna dei gruppi parlamentari, introducendo a nostro avviso una piccola ma significativa rivoluzione. Nella dottrina, il dibattito sulla natura giuridica dei gruppi parlamentari pone quesiti delicati e non è mai approdata ad una definizione univoca. Roberto Bin sostiene che manuali e trattati convergono nel definire i gruppi parlamentari come l'espressione dei partiti politici, la loro proiezione nelle istituzioni pubbliche. Sono formulazioni metaforiche, che celano la difficoltà di una stringente definizione della natura giuridica del gruppo parlamentare, tema che ha a lungo impegnato la dottrina senza che sia stato possibile giungere ad una conclusione condivisa. Ma non è di questo problema dogmatico - dice Bin - che intendo occuparmi. La metafora della proiezione del partito sul piano delle istituzioni esprime tutta l'ambiguità del rapporto tra partito politico e gruppo parlamentare. Che cosa significa esattamente? Può significare che il partito, organizzazione spontanea della società civile, che non va al di là, per quanto attiene alla veste giuridica, dell'associazione privata non riconosciuta, attraverso la costituzione del suo gruppo parlamentare si solidifica ed assume la trasparenza e la tipicità delle istituzioni costituzionali. Insomma, è attraverso i gruppi che i partiti si fanno istituzioni, partecipano alla formazione degli organi parlamentari e decidono dei programmi di lavoro delle Commissioni e dell'Aula. È attraverso la consultazione dei gruppi che il Presidente della Repubblica comunica con i partiti, ne conosce gli umori politici. È attraverso i gruppi che i partiti possono talvolta difendere davanti alla Corte costituzionale, attivando il conflitto di attribuzioni, le proprie prerogative contro gli abusi della maggioranza parlamentare.
Ma quella proiezione può significare, al contrario, che il partito politico proietta la sua ombra su un segmento delle istituzioni parlamentari, i gruppi appunto, e li avvolge quindi con il velo di opacità, di privatezza, di mancanza di evidenza pubblica che caratterizzano il proprio ordinamento privatistico. Le questioni interne ai gruppi, la loro organizzazione ed il loro modo di funzionare, i loro rapporti con i partiti tenderebbero dunque a sottrarsi alle regole di trasparenza, pubblicità, controllabilità che devono invece applicarsi alle istituzioni costituzionali. La proiezione dei partiti non servirebbe dunque ad accrescere il livello di istituzionalizzazione di essi, ma opererebbe piuttosto nel senso di diminuire il livello di giuridicità delle istituzioni più vicine alla politica. Verso quali di queste due visioni ci stiamo muovendo con questa modifica del Regolamento? È evidente che una risposta compiuta a questa domanda necessiterebbe di una riflessione più approfondita sulla natura dei partiti e sulla possibilità, per me necessità, di una legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione. Tuttavia credo si possa dire che con questa nuova formulazione del Regolamento noi scegliamo la prima opzione, quella di gruppi parlamentari attraverso cui i partiti si fanno istituzioni, assumendo perciò la caratteristica della trasparenza.
Scrive ancora lo studioso: «Se indubbiamente il costituente non ha tracciato una strada che obblighi a considerare i partiti titolari di attribuzioni costituzionali, sono state le scelte successive del legislatore ordinario e dei Regolamenti parlamentari a impedire di farlo.
Com'è possibile riconoscere la titolarità di attribuzioni costituzionali ad un soggetto che non possiede i requisiti minimi di legalità, o, per dirla con Rescigno, operano nella sfera del lecito e non della legittimità? La contiguità e continuità del partito nel gruppo parlamentare ha portato anch'esso ad attenuare tali requisiti. Ha osservato» - nel 2004 - «la Cassazione che, nell'analizzare la natura giuridica dei gruppi parlamentari, bisogna tenere distinti due piani di attività: "uno squisitamente parlamentare, in relazione al quale i gruppi costituiscono gli strumenti necessari per lo svolgimento delle funzioni proprie del Parlamento, come previsto e disciplinato dalle norme della Costituzione, dalle consuetudini costituzionali, dai Regolamenti delle Camere e dai Pag. 10regolamenti interni dei gruppi medesimi; l'altro, più strettamente politico, che concerne il rapporto, molto stretto, ed in ultima istanza di subordinazione, del singolo gruppo con il partito di riferimento". Con riferimento a tale secondo piano di attività» - concludeva la Cassazione - «"i gruppi parlamentari sono da assimilare ai partiti politici, ai quali va riconosciuta la qualità di soggetti privati". Con questa distinzione sulla loro natura è risolta scolasticamente la contraddizione insita nella "natura" dei gruppi parlamentari». Dice ancora Bin: «Ma si dimostra anche come l'ambivalenza di essi ne faccia una zona di passaggio tra il sistema delle istituzioni, delle regole, della legalità formale e il sistema dei rapporti privati: non i partiti, ma i gruppi sono propriamente segnati da una natura "anfibola"».
A me pare che, nei limiti e negli spazi che l'attuale Costituzione ci offre, le modifiche che noi oggi proponiamo alla Camera di approvare intendono muoversi nella direzione di ampliare lo spazio, di risolvere in una certa direzione l'ambiguità della natura dei gruppi. Il lato privato dei gruppi parlamentari toglie trasparenza al lato pubblico: con queste norme noi intendiamo guardare dentro ai gruppi, illuminare il lato pubblico dei gruppi, costruire delle regole che obblighino alla trasparenza. Questo lo facciamo - lo hanno detto benissimo i relatori, che ringrazio, sia il collega Bressa che il collega Leone per il lavoro ottimo che ci hanno portato e per il lavoro istruttorio che hanno fatto -, quando definiamo i gruppi «soggetti necessari al funzionamento della Camera» e solo in questo motiviamo e giustifichiamo l'attribuzione di risorse dal bilancio del Parlamento.
Ancora: prevedere l'obbligo dello statuto per ciascun gruppo è una grande novità. Uno statuto che deve essere trasmesso al Presidente della Camera, deve contenere l'indicazione sia dell'organo competente per approvare il rendiconto, sia dell'organo responsabile per la gestione amministrativa e contabile.
Infine, vorrei sottolineare altre due novità. La prima riguarda il vincolo alla finalizzazione delle risorse della Camera assegnata a ciascun gruppo. Esse possono essere - recita il testo - destinate esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all'attività parlamentare e alle funzioni di studio, editoria e comunicazione ad essa ricollegabili, nonché alle spese per il funzionamento degli organi e delle strutture dei gruppi. Di fronte alle cronache di queste ore, il valore di questa norma mi sembra assolutamente evidente. Non un euro del bilancio della Camera potrà essere usato per attività private dei singoli parlamentari e nemmeno per finanziare i partiti politici, allineando così le nostre regole interne a quelle introdotte, a livello europeo, con il regolamento della comunità europea n. 2004/2003.
Infine, con riferimento ai controlli, c'è stata su questo ultimo punto una polemica giornalistica - che hanno ricordato prima di me sia il relatore Leone sia il collega Volpi - che ha rischiato di offuscare il valore di queste nuove norme. Poco male, visto il punto di approdo positivo che abbiamo raggiunto all'unanimità nella Giunta per il regolamento e che consente di integrare l'esigenza di rispetto dell'autonomia costituzionale della Camera con anche l'indicazione di un soggetto esterno. Vedo dalle agenzie di stampa, in questo momento, che c'è anche una proposta del nostro collega Baretta, che ci suggerisce di costituire l'albo dei certificatori: forse possiamo studiare questo, signor Presidente, considerando che, una volta fatta questa procedura di evidenza pubblica, rimarrà un patrimonio anche per le successive legislature.
Vorrei concludere, signor Presidente, leggendovi un trafiletto che, anche ieri, domenica, Monsignor Ravasi ci ha regalato dalle pagine culturali di un grande quotidiano italiano: «Molto più importante accendere una piccola candela che maledire l'oscurità»; «Non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, così fa luce a tutti quelli che sono nella casa». Molti ricordano queste parole di Cristo nel Vangelo di Matteo 5.15, affidate ad una immagine quotidiana, ma illuminante. La prima Pag. 11frase invece è di Confucio e ripropone il contrasto luce-Dio in un'altra applicazione. La litania è facile da intonare anche perché non è retorica, ma reale: la politica è corrotta, la società è alla deriva, la religione è in crisi, l'immoralità impera, i delitti si moltiplicano, la stupidità dilaga. Ebbene, ammonisce l'antico sapiente cinese: una candelina accesa nella tenebra vale più di mille fiammeggianti proteste contro l'oscurità; ed è solo moltiplicando le gocce di acqua pulita - diceva madre Teresa di Calcutta - che si purifica il mare inquinato. Ecco, mi piace pensare che noi oggi abbiamo acceso una piccola candelina.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà, le ricordo che ha 20 minuti di tempo a sua disposizione.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, la puntuale illustrazione dell'importante testo di riforma regolamentare che giunge al nostro esame e la ricostruzione del dibattito che si è svolto in seno alla Giunta per il Regolamento, ricordate dai due relatori, mi consentiranno di svolgere il mio intervento in un tempo anche inferiore a quello che lei ha indicato.
Innanzitutto, vorrei ricordare che questa proposta nasce nell'ambito di un percorso di autoriforma che tutti i partiti qui hanno intrapreso; è questo un fatto estremamente importante e da sottolineare perché se i partiti hanno commesso i loro errori e hanno le loro responsabilità, credo che quando vengono intraprese delle iniziative di autoriforma sia, a maggior ragione importante, sottolinearne l'efficacia. Credo che il provvedimento che abbiamo tutti quanti, qui, approvato per dimezzare, già da quest'anno, i contributi ai partiti politici e per prevedere dei meccanismi molto rigorosi per la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti - tra cui anche è prevista, lo voglio subito dire, la verifica da parte di società di revisione legale - rappresenti una tappa estremamente importante. Immediatamente collegata con questa nell'ambito dello stesso percorso di autoriforma, è stata avanzata - inizialmente, come è stato ricordato, nell'ambito dell'Ufficio di Presidenza, e poi con una proposta dei questori - questa proposta di riforma del Regolamento che propone finalmente una nuova disciplina che riguarda il controllo dei bilanci dei gruppi parlamentari e che poi è stata arricchita nel dibattito in seno alla Giunta. Infatti, se è vero che la proposta dei questori conteneva già una serie di controlli, e forse il collega Volpi ha esagerato nel dire che essa non conteneva nessun controllo, sicuramente, tuttavia, nel dibattito in seno alla Giunta la proposta è stata nettamente migliorata, con una serie di altre previsioni. Innanzitutto, come è stato ricordato, quella della definizione della natura giuridica dei gruppi stessi che invece finora non era stata prevista neanche nella proposta dei questori. Tali gruppi, come è stato ricordato, hanno una natura giuridica particolare; voglio ricordare che nel nostro Regolamento, già oggi, i gruppi parlamentari sono previsti nel Capo III della prima parte del Regolamento della Camera che riguarda appunto l'organizzazione e il funzionamento della Camera. Quindi, prevedere che i gruppi siano associazioni di deputati e soggetti necessari al funzionamento della Camera, credo che sia stata e sia una innovazione di particolare rilevanza che fa salvo però - ed ecco l'altra caratteristica - quello che è l'ambito di autonomia politica dei gruppi, del fatto che i gruppi siano una parte politica.
Ciò perché, evidentemente, non sono organi della Camera. Infatti, quella di organo è una qualificazione che si addice solo per quei soggetti che sono titolati a rappresentare la Camera, e quindi l'Assemblea, la Commissione, l'Ufficio di Presidenza, la Giunta per il Regolamento e così via. I gruppi sono evidentemente parte politica. Quindi, abbiamo questo doppio ruolo dal punto di vista della natura istituzionale dei gruppi, e credo che la proposta che giunge al nostro esame è frutto di un bilanciamento di questi due ambiti, estremamente importanti. Il dibattito in seno alla Giunta ha consentito di Pag. 12arricchire l'originaria proposta dei questori, prevedendo una serie di controlli molto più significativi e penetranti, e questo anche prima che fosse aggiunta la società di revisione.
Come tutti gli interventi in seno alla Giunta avevano sottolineato, in modo unanime, la proposta che aveva formulato inizialmente proprio il collega Bressa, mutuando in parte questa normativa da quella dei gruppi della Repubblica federale tedesca, aveva lo scopo, appunto, di migliorare e rendere più efficace il tipo di controlli, che nell'ambito di quella definizione della natura giuridica dei gruppi erano interni, quindi lo stesso controllo previsto per gli stessi bilanci della Camera. Quindi, si trattava di un controllo sicuramente adeguato. Tuttavia, si è voluto, con una polemica che ha offuscato - è già stato sottolineato - la volontà di riforma della Camera, sollevare la questione delle società di revisione. Ripeto, noi avevamo espresso una riserva di carattere istituzionale, per la coerenza dell'impostazione della riforma.
La stessa questione era stata posta negli interventi - lo si può vedere andando a guardare gli atti parlamentari e i resoconti della Giunta - dei colleghi Dionisi, Volpi - che lo ha ripetuto qui in Aula -, Gava e Buttiglione: tutti hanno sottolineato che quell'impostazione era la più coerente dal punto di vista istituzionale. Poi, credo ragioni evidenti di opportunità politica - perché dobbiamo sottolinearlo - hanno suggerito di inserire anche - non tornando all'impostazione dei questori, ma aggiungendo alla nuova impostazione che era stata predisposta dai relatori - una società di revisione e, quindi, il nostro testo giunge al nostro esame. Tuttavia, vorrei ricordare che, quando per i partiti abbiamo previsto le società di revisione - lo ricordo perché ero relatore -, molti organi di informazione, molti giornalisti, sono venuti a dirmi che tanto il controllo che può essere svolto e la verifica che può essere fatta dalle società di revisione serve a poco. Improvvisamente, nel dibattito, invece, sembrava essere la questione decisiva. Comunque, abbiamo tagliato la testa a tutte le polemiche e unanimemente abbiamo inserito anche il controllo delle società di revisione. Tuttavia, vorrei sottolineare questo aspetto: credo che se per coerenza avessimo voluto mantenere l'impostazione prevista dai relatori all'inizio, sarebbe stato comunque assolutamente legittimo e capace di assicurare un controllo assolutamente idoneo.
Poi, intendo sottolineare un'altra questione - e anche in questo caso l'intervento del collega Bressa mi consentirà di farlo abbastanza rapidamente -, che avevo posto anche in seno alla discussione in Giunta, vale a dire che se inseriamo questa definizione sulla natura giuridica dei gruppi, dall'altra parte dobbiamo rimarcare che, comunque, i gruppi hanno un'autonomia e sono liberi di scegliere le proprie iniziative politico-parlamentari e di caratterizzarsi, come parti politiche, assumendo autonome iniziative politiche. Questo credo che sia da sottolineare.
Perché, nel momento in cui noi andiamo a dire, nel nuovo Regolamento, che i contributi sono destinati esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all'attività parlamentare e alle funzioni di studio, editoria e comunicazione ad essa ricollegabili - come ha già detto il collega Bressa in Giunta e ha ripetuto qui nel suo intervento - tra queste funzioni sono assolutamente da ricomprendere anche l'azione e l'iniziativa politica dei gruppi.
Credo che tutto questo, onorevole Bressa, dovrà tradursi anche in voci ad hoc del modello di rendiconto che dovrà essere predisposto in base all'articolo 15-ter, comma 1. Il rendiconto di esercizio annuale, secondo un modello comune approvato dall'Ufficio di Presidenza, dovrà evidentemente contenere anche esplicitamente le voci che fanno riferimento al fatto che i gruppi svolgono funzioni di studio, editoria, comunicazione ed azione politica con riferimento alle iniziative parlamentari da essi assunte.
Signor Presidente, concludo l'intervento con una proposta che non è strettamente inerente al nostro dibattito e all'esame della proposta della Giunta. Siccome sono convinto della bontà del percorso riformatore Pag. 13che abbiamo intrapreso sia con la legge sui partiti (che ha dimezzato i contributi e ha previsto i controlli sui bilanci), sia con questa riforma del Regolamento, rispetto alle vicende a cui assistiamo in questi giorni, credo che la stessa identica iniziativa debba essere suggerita a livello regionale.
Mi auguro che ci possa essere un'iniziativa del mio stesso partito e di tutti i partiti anche per investire magari la stessa Conferenza Stato-regioni, affinché a livello regionale si adottino proposte di autoriforma, se non identiche, vista la natura diversa dell'istituzione, ma comunque molto simili a quelle che abbiamo visto qui e che quindi si prevedano, anche a livello regionale, per i gruppi consiliari l'obbligo di adozione di uno statuto da parte dei gruppi che deve indicare l'organo competente ad approvare il rendiconto annuale e l'organo responsabile per la gestione amministrativa e contabile, l'obbligo della pubblicazione dello statuto sul sito Internet della regione e io direi anche l'abolizione dei gruppi composti da un solo consigliere, perché non mi sembra possano avere la configurazione di gruppo.
Inoltre, occorrerebbe un taglio dei contributi. Certamente ogni regione ne prevede in misura diversa, ma credo che vada previsto un tetto massimo a questi contributi, una destinazione dei contributi stessi agli scopi istituzionali riferiti all'attività consiliare e alle funzioni di studio, editoria, comunicazione e azione politica ad essa ricollegabili, come abbiamo previsto qui ora per la riforma al nostro esame, un modello comune per la redazione del rendiconto, la verifica della regolare tenuta contabile e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili dei gruppi da parte di una società di revisione legale selezionata dall'ufficio di presidenza della regione con procedura ad evidenza pubblica, l'attestazione del presidente del gruppo dell'approvazione del rendiconto da parte dell'organo statutariamente competente, il controllo della conformità del rendiconto di ciascun gruppo da parte di un organismo di revisione della regione, la pubblicazione dei rendiconti come allegati al conto consuntivo del consiglio sul sito Internet e l'erogazione dei contributi subordinata alla presentazione della conformità dei rendiconti alle prescrizioni stabilite.
Ho ripetuto le stesse regole che sono contenute in questa proposta di riforma del Regolamento e che non vedo perché non debbano essere la guida per assumere un'iniziativa analoga a livello regionale. Con questo e con le precisazioni che ho voluto rendere e mettere agli atti, concludo il mio intervento, signor Presidente, augurandoci quindi una rapida approvazione, il più possibile unanime, della proposta da parte della nostra Assemblea (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dionisi. Ne ha facoltà.

ARMANDO DIONISI. Signor Presidente, colleghi, nel corso di questa legislatura il dibattito politico-istituzionale sulla riforma del Regolamento della Camera ha acquisito un ruolo importante. In proposito, la Giunta per il Regolamento, su indicazione del Presidente Fini, si è posta l'obiettivo ambizioso di procedere, entro la fine di questa legislatura, ad una profonda revisione del Regolamento per migliorare i lavori dell'Aula.
È maturata nel corso del tempo in tutti noi la consapevolezza di una revisione organica delle norme per rendere più snelli e produttivi i lavori parlamentari e, se mi consentite, più aderenti alla velocità decisionale oggi necessaria alla realtà economica e sociale che ci circonda. La proposta di riforma in materia di disciplina dei contributi ai gruppi si inquadra come il giusto e necessario completamento della legge sui rimborsi elettorali ai partiti, già approvata da questa Assemblea.
In più occasioni l'Ufficio di Presidenza aveva sottolineato la necessità di intervenire su questo argomento per rispondere alla domanda di rigore e pubblicità sulla utilizzazione dei soldi pubblici, che sale sempre più forte da un'opinione pubblica sempre più confusa e indignata. La proposta Pag. 14di modifica regolamentare agli articoli 15 e 15-ter, elaborata dai questori, ai quali va il mio ringraziamento per il lavoro svolto, è stata presentata il 5 luglio scorso alla Presidenza della Camera, la Giunta si è riunita il 31 luglio per un primo esame, e oggi approda in quest'Aula.
Ho fatto questa breve premessa per ricordare che il superamento dell'attuale disciplina non nasce dalla spinta emotiva dell'incalzare dei vergognosi eventi che in queste ore hanno investito il Consiglio regionale del Lazio, ma da una maturata consapevolezza che fosse giunto il momento di disciplinare le modalità di funzionamento dei gruppi e un rigoroso controllo sull'impiego delle risorse. È necessario adottare regole e procedure rigorose dei contributi pubblici che devono essere utilizzati per le finalità dell'attività parlamentare.
La crisi profonda di credibilità della politica ci impone una forte e coraggiosa assunzione di responsabilità per evitare di allargare il solco che separa i cittadini dalla politica e dalle istituzioni. Il recupero dell'etica politica in questo particolare momento è determinante per arginare il fenomeno del populismo che si va diffondendo in tutta l'Europa e nel nostro Paese. La sfida riguarda anche il Parlamento, che deve assumere provvedimenti per modificare regole e comportamenti con rapidità e serietà. La stampa negli ultimi giorni si è occupata di queste modifiche regolamentari, additando ai gruppi la responsabilità di non voler accettare l'intervento esterno di revisione.
La legge n. 96 del 6 luglio 2012, all'articolo 9, stabilisce che i partiti, i movimenti politici, le liste dei candidati, al fine di garantire la trasparenza e la correttezza della propria gestione contabile e finanziaria, si avvalgono di una società di revisione. Se torniamo indietro di qualche mese, le polemiche allora riguardavano, nel caso dei partiti, il fatto che l'affidamento del controllo a società di revisione era una risposta non adeguata. Mi sembra di cogliere qualche piccola contraddizione. Oggi insistere sulla disquisizione e le differenze tra i partiti e i gruppi parlamentari e sul tema della natura giuridica dei gruppi parlamentari, che restano comunque soggetti costituzionali che concorrono al buon funzionamento della Camera, se essi abbiano una natura privatistica o pubblicistica, mi sembra una distinzione, una sottigliezza inutile, che finirebbe per fare perdere di vista l'obiettivo fondamentale: la trasparenza e la correttezza dell'utilizzazione dei finanziamenti pubblici.
Del resto, le sollecitazioni venute dall'Aula nella seduta del 21 settembre, dopo l'intervento dell'onorevole Casini e condivise da tutti i gruppi, hanno determinato una ulteriore riflessione da parte dei relatori, che ringrazio per la qualità del lavoro svolto, e della Giunta, elaborando un testo condiviso da tutta la Giunta. Non ci sono passi indietro, c'è stato una approfondimento ulteriore che ha determinato la scelta di avvalersi di una società di revisione esterna.
Tale società di revisione deve essere individuata dall'Ufficio di Presidenza con procedura ad evidenza pubblica e dovrà verificare la corretta tenuta della contabilità ed esprimere un giudizio sul rendiconto annuale. La proposta di individuazione di una sola società di revisione, garantisce omogeneità e uniformità di giudizio sulla tenuta contabile e sui rendiconti.
Alla luce di queste brevi considerazioni, a nome del gruppo dell'Unione di Centro per il Terzo Polo, auspico un rapido esame, e l'approvazione da parte dell'Aula, delle modifiche regolamentari proposte dalla Giunta per dare una risposta forte all'opinione pubblica sul tema della legalità e della trasparenza (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, intanto alla luce delle sconcertanti notizie che giungono dalla regione Lazio, che speriamo venga sciolta al più presto e che si ritorni a votare, mi viene da dire che, se non si recupera un po' di etica e un senso dell'istituzione e dello Stato, ho timore che Pag. 15nessuna norma, per quanto restrittiva, possa svolgere il ruolo che tutti auspichiamo. Comunque, ben vengano le norme restrittive se possono aiutare nella direzione che tutti auspichiamo venga intrapresa.
Anzitutto, dico che siamo abbastanza soddisfatti del testo che alla fine è uscito dalla Giunta per il Regolamento. Il nuovo comma 01 dell'articolo 14 innova in maniera importante, nel momento in cui introduce una sorte disciplina privatistica nei confronti dei gruppi parlamentari. Si tratta di una disciplina che consente di non far gridare allo scandalo i cultori dell'autodichìa e degli interna corporis nel momento in cui abbiamo introdotto il regime del controllo da parte della società di revisione alla quale noi siamo estremamente favorevoli, tanto che mi corre l'obbligo di ringraziare il Presidente e i colleghi della Giunta per il Regolamento in quanto gli unici emendamenti presentati sono stati i miei e, in realtà, sono stati tutti approvati.
Francamente non vedo nemmeno male la proposta che ha fatto il collega Volpi, cioè il regime contenuto nella disciplina prevista in Germania, alla quale il collega Bressa ha attinto, ma non in maniera completa. Certamente, come è stato nella discussione per il finanziamento pubblico dei partiti, ricordo a me stesso che stiamo trattando di un contesto economico che è superiore, per quanto riguarda i gruppi, al terzo dell'intero finanziamento, come di recente diminuito, assentito ai partiti. Quindi, stiamo parlando di una cifra rilevante.
Credo che, come Giunta per il Regolamento, sicuramente l'approfondimento in quel contesto del controllo da parte della Corte dei conti, avrebbe comportato un incancrenirsi e incrudelirsi del dibattito, che già era abbastanza approfondito ed acceso. Però, lo dico a lei signor Presidente come rappresentante di tutti noi, non sarebbe male, fra breve, riunirci nuovamente per esaminare eventualmente anche questa ulteriore forma di controllo, che sicuramente non cozza con la normativa alla quale siamo arrivati, che ricordo essere quella della creazione di uno statuto del gruppo come figura privatistica, della sottoposizione dei conti del gruppo a questa società di revisione che verrà individuata dall'Ufficio di Presidenza in un'unica società di revisione, per evitare che i parametri dei controlli siano diversi, come avrebbe potuto essere nel caso di un albo di società decisa per bando dall'Ufficio di Presidenza, al quale ogni gruppo avesse poi attinto.
Dopodiché è prevista un'ulteriore istruttoria da parte dei questori, i quali presentano una loro proposta - e anche questo è un emendamento da me presentato, che è stato accolto - e successivamente una relazione all'Ufficio di Presidenza, che ha la parola finale. Perché così è meglio? Perché il Collegio dei questori ha una rappresentatività inferiore rispetto all'Ufficio di Presidenza, nel quale sono ovviamente rappresentati tutti i gruppi. Se oltre a questo si arrivasse, come dicevo prima, anche ad un imprimatur definitivo da parte della Corte dei conti, non sarebbe male.
Ovviamente, salutiamo con favore anche le previsione di cui al comma 3-bis dell'articolo 15, cioè quella relativa alla precisa elencazione delle voci per le cui finalità i soldi - assentiti ai gruppi - possono essere spesi. Credo che l'onorevole Calderisi abbia ragione quando dice che questa previsione deve essere riportata «pari pari» dall'Ufficio di Presidenza, nel momento in cui si occuperà proprio del cartaceo dei documenti, che poi i gruppi devono presentare proprio per individuare i vari capitoli di spesa. Ovviamente l'Ufficio di Presidenza ha la facoltà, nel caso in cui si avveda di irregolarità, di non consentire l'erogazione dei fondi ai gruppi. Quindi, possiamo dire che questa è una normativa accettabile, che non lede in nessun modo l'autodichia ma - lo ripetiamo - a nostro avviso siamo arrivati, grazie anche alla spinta da noi fornita, ad un punto accettabile che, però, si può senz'altro migliorare.
Non voglio fare nessun tipo di polemica, però mi sia consentito spendere due parole su una parte dell'intervento del Pag. 16collega Leone. Il 12 settembre, allorché è stato dato mandato ai relatori di presentare un testo, non mi sembra che fosse ravvisabile nessun mio intervento di adesione alla filosofia che era sottesa a questo testo - e che non era stata enunciata neppure in maniera chiarissima in quella seduta -, tanto è vero che poi sono stato l'unico a proporre degli emendamenti. Quindi, in un certo senso, pregherei il collega Leone di limitarsi nel gioire perché alla fine siamo riusciti a tirar fuori un testo condiviso da tutti e, tutto sommato, più che accettabile.
Da ultimo, mi sia consentito ringraziare il Presidente ed i colleghi per aver avuto pazienza con le mie parole relative all'entrata in vigore di questa normativa. A seguito di una condivisione da parte di tutti, che saluto ovviamente con grande favore, si è pervenuti a una sostanziale e immediata entrata in vigore, una volta adempiuti, da parte dell'Ufficio di Presidenza, quel minimo di adempimenti che vanno fatti, con il limite massimo dell'entrata in vigore della nuova legislatura. Questo perché se occorre dare risposte chiare occorre darle anche in fretta.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà per dieci minuti.

FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, cari colleghi, penso che il momento sia importante e, quindi, anche non facendo parte dell'Ufficio di Presidenza, intendevo partecipare lo stesso a questa discussione, per sottolinearla in maniera adeguata e, in qualche maniera, per dichiarare la soddisfazione per aver introdotto alcuni elementi di novità e di maggiore trasparenza nell'uso dei fondi pubblici da parte dei gruppi parlamentari.
Contemporaneamente, intervengo per introdurre nelle nostre riflessioni, nel nostro dibattito e nelle votazioni dei giorni futuri, nelle materie che andremo comunque a trattare per omogeneità, quegli elementi che corrispondono, comunque, ad altrettanti bisogni che provengono dalla società e che si stanno anche trasformando in un dibattito virulento, «sul collo» della cronaca di questi giorni. Il riferimento fatto poc'anzi è alle vicende della regione Lazio, che rimbalzano su altre regioni e che, probabilmente, coinvolgono, almeno da un punto di vista della improprietà dell'uso dei fondi pubblici, cioè del giudizio soggettivo che può dare un cittadino rispetto agli stessi, praticamente tutte le istituzioni, forse nessuna esclusa.
Quindi, bene ha fatto la Camera dei deputati, attraverso l'Ufficio di Presidenza, ad entrare nel merito dell'uso di questi fondi e ad accettare - peraltro all'unanimità - la cessazione di alcuni principi conservativi e l'introduzione di una società esterna di revisione per verificare e per mettere comunque tutti nella condizione di essere soddisfatti dei livelli di trasparenza che si possono garantire.
Penso che un altro elemento - come ascoltavo anche dalle parole di altri colleghi poco fa - possa essere ulteriormente introdotto: si tratta di una maggiore pubblicità, perché la trasparenza, senza la capacità di rendere accessibili le informazioni, è raggiungibile sino ad un certo punto.
Questa domanda che viene dall'esterno di quest'Aula è una domanda che - a mio avviso - dobbiamo saper cogliere ed accogliere anche perché - se così non fosse - avremmo poche possibilità di farci comprendere ed evidentemente anche di sintonizzarci sulla lunghezza d'onda del dibattito che sta intorno a noi. Penso alla pubblicità di tutte le spese che vengono fatte dai vari livelli istituzionali - nessuno escluso - e considero certamente non soltanto i gruppi parlamentari di Camera e Senato, fermo restando che esistono ovviamente autonomie che vanno rispettate, ma anche la Corte costituzionale, la Presidenza della Repubblica, piuttosto che la Camera dei deputati in quanto tale, e non soltanto i gruppi parlamentari. Considero anche quei riferimenti che faceva il collega Calderisi poco fa e che potrebbero rappresentare, attraverso il nostro lavoro, anche le linee guida per gli enti locali e per i gruppi consiliari, fermo restando che, Pag. 17almeno nei comuni e negli enti territoriali, esiste una sorta di possibilità di controllo da parte della Corte dei conti. Ma qui abbiamo già scavalcato la fattispecie del controllo. Dicevo poco fa che è importante, da una parte, imprimere una certa velocità al regime dei controlli, ma dall'altra bisogna mettere i cittadini nelle condizioni di sapere come vengono spesi i propri quattrini. Questo è fondamentale.
Sappiamo che nei Paesi anglosassoni, nelle cosiddette democrazie avanzate, questo regime è stato trattato in maniera diversa e più incisiva e non sotto la spinta degli scandali, come troppe volte capita in Italia, ma secondo una visione dello Stato e del rapporto tra cittadini ed istituzioni che, viceversa, dalle nostre parti, stenta a decollare e soprattutto anche ad aggiornarsi, ad ammodernarsi e ad utilizzare nuovi strumenti tecnologici per dare la possibilità della partecipazione.
Abbiamo - e mi avvio a concludere - qualche mese fa affrontato, almeno in quota parte, la problematica della riforma dei partiti: ci siamo lasciati con degli ottimi propositi, che poi abbiamo regolarmente disatteso, sulla possibilità di approfondire e di non trattare soltanto la questione della riduzione del finanziamento pubblico, ma di entrare nel merito di come i partiti debbano funzionare e debbano svolgere il loro ruolo di cerniera tra cittadini e istituzioni, la qual cosa, negli ultimi diciotto anni, non mi pare sia accaduta, e non mi pare sia un problema ascrivibile alla parte alla quale sono iscritto, scusate il bisticcio di parole. Penso che sia una crisi sistemica, quella che afferisce al rapporto tra cittadini e partiti e quindi tra partiti ed istituzioni e, su questa crisi, dobbiamo mettere le mani perché non possiamo immaginare - come è accaduto in questi anni - che, con il finanziamento pubblico, questo regime che vige in Italia, per quanto sia stato corretto e per quanto le quantità siano state riviste al ribasso, attraverso i soldi dei cittadini poche persone possano determinare scelte politiche o anche scelte in termini di selezione di classe dirigente, di candidature monocratiche o di composizione degli organi parlamentari, del tutto arbitrarie.
Io penso che si debba avere il coraggio - e do atto all'Ufficio di Presidenza e al Presidente Fini di aver svolto un lavoro che, almeno dal mio punto di vista, è un ottimo lavoro - e che sia indispensabile accentuare ancora, e non farlo sotto la spinta degli scandali di questi giorni, da un lato l'accesso alle istituzioni da parte dei cittadini, arrivando al 100 per cento di democrazia nella scelta da parte dei cittadini di chi li rappresenta nelle istituzioni, e dall'altro il 100 per cento di trasparenza, che significa 100 per cento di accessibilità e pubblicità, relativamente al modo con cui tutte le istituzioni, nessuna esclusa, utilizzano i soldi dei contribuenti.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori - Doc. II n. 24)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori rinunziano alle repliche. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 17.17).

FRANCESCO BARBATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, la ringrazio anche per il contributo che ha dato per spingere su questo provvedimento in modo da dare più trasparenza ai bilanci dei gruppi parlamentari, però voglio ribadire un concetto: oggi i cittadini chiedono alla politica soprattutto pulizia e chiarezza. Io ritengo che per dare il massimo della chiarezza - soprattutto noi come Parlamento, quindi è una richiesta specifica che rivolgo a lei, signor Presidente, in modo pubblico - poiché, come dicono spesso, non diamo abbastanza informazioni ai cittadini, allora io vorrei che Pag. 18i gruppi parlamentari della Camera esponessero i loro bilanci in modo pubblico e analitico. Che significa? Che ogni fattura che viene pagata, bisogna renderla nota, perché se anziché certificare le spese i deputati questori le certificano società esterne, non cambia nulla se, ad esempio, Fiorito spende 19 mila e 500 euro per stare in un albergo in Sardegna, perché sono spese di rappresentanza, e quindi nessuno gli può dire diversamente. Se invece questa fattura viene resa pubblica, allora i cittadini sapranno che i 19 mila 500 euro spesi in un albergo in Sardegna non sono serviti per un convegno, per un'iniziativa politica, per una manifestazione, ma sono serviti a ben altro.
Pertanto, signor Presidente, poiché voglio mettere in pratica - e lo sta già facendo - una «democrazia» liquida - se ne parla molto in questi giorni - allora sul mio sito, che è www.francobarbato.com, voglio essere la voce e gli occhi dei cittadini in Parlamento, per cui oltre a questa richiesta di tipo generale - come vorrei che i gruppi parlamentari si comportassero all'interno del Parlamento, cioè rendendo pubblici i bilanci in modo che i soldi pubblici che hanno, i cittadini possono sapere, ed essere loro i veri controllori delle spese che fanno i gruppi parlamentari - in via subordinata le chiedo, signor Presidente, di poter avere copia delle spese analitiche che hanno sostenuto i gruppi parlamentari, in modo da sapere ogni gruppo parlamentare quante fatture ha pagato e di chi sono queste fatture; e non solo per quanto riguarda le fatture, ma anche per il personale, perché nelle segreterie così si sa anche quali sono le persone che vanno nelle segreterie e nei partiti, perché molte volte abbiamo visto come viene selezionato questo personale. Allora così ritengo che si abbia il massimo della trasparenza.
Così voglio avviare una stagione di «democrazia liquida», nel senso che voglio interagire con gli italiani per dare loro voce, ma soprattutto per far arrivare gli occhi degli italiani all'interno delle istituzioni e del Parlamento.

PRESIDENTE. Ovviamente, come lei sa, onorevole Barbato, è ai presidenti di gruppo che deve rivolgere il quesito che ha posto alla Presidenza. La Presidenza comunque farà pervenire ai presidenti di gruppo il resoconto del suo intervento.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,20)

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Codurelli ed altri; Cazzola ed altri: Disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i loro collaboratori (C. 2438-5382-A) (ore 17,21).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge: Codurelli ed altri; Cazzola ed altri: Disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i loro collaboratori.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 20 settembre 2012.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2438-5382-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, presidente della Commissione lavoro, onorevole Silvano Moffa, ha facoltà di svolgere la relazione.

SILVANO MOFFA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Commissione lavoro riferisce oggi all'Assemblea per assolvere al compito, ricevuto a seguito Pag. 19di un'unanime richiesta della Conferenza dei presidenti di gruppo, di proporre all'Aula un testo normativo diretto a disciplinare i rapporti di lavoro tra i parlamentari e i loro collaboratori. Si tratta di un compito che la Commissione ha svolto con molta serietà pur a fronte di tempi di esame molto stretti. Basti pensare che l'inizio dell'iter in Commissione è datato al 6 settembre scorso. Nella consapevolezza di dover trovare soluzioni equilibrate...

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, presidente Moffa, mi accorgo testé che manca il Governo. Ritengo di sospendere la seduta e di mandare avanti un'azione di ricerca del Governo.

SILVANO MOFFA, Relatore. Mi auguro che riesca.

PRESIDENTE. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa alle 17,35.

RAFFAELE VOLPI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, credo che stiamo arrivando veramente a situazioni imbarazzanti, perché con un provvedimento in Aula l'assenza del Governo, che senz'altro era stato avvertito, non trova assolutamente giustificazione.
Certamente non ho intenzione di prendermela con il viceministro Martone, che non credo ne sia responsabile, però vorrei sottolineare che questo, fino a prova contraria, è il Parlamento della Repubblica ed anche il Governo tecnico deve avere rispetto per questi presenti, che sono stati eletti dal popolo.
Vi sono dei passaggi in cui la democrazia diventa sostanza. La sostanza è rispetto per le altre istituzioni e questa istituzione si chiama Parlamento: se ne ricordino bene anche i tecnici.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Volpi. È chiaro che ognuno è chiamato a svolgere il suo ruolo ed anche a tenere conto della propria responsabilità.
Riprendiamo l'esame del provvedimento. C'è anche la presenza del Governo. Invito, pertanto, il relatore e presidente della Commissione lavoro, onorevole Moffa, a riprendere lo svolgimento della sua relazione.

SILVANO MOFFA, Relatore. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la Commissione lavoro riferisce oggi all'Assemblea per assolvere al compito, ricevuto a seguito di un'unanime richiesta della Conferenza dei presidenti di gruppo, di proporre all'Aula un testo normativo diretto a disciplinare i rapporti di lavoro tra i parlamentari ed i loro collaboratori.
Si tratta di un compito che la Commissione ha svolto con serietà pur a fronte di tempi molto ristretti di esame - basti pensare che l'inizio dell'iter in Commissione è datato il 6 settembre scorso - nella consapevolezza di dover trovare soluzioni equilibrate per un tema che investe in parte anche l'autonomia degli organi interni di ciascuna Camera.
Il risultato che portiamo oggi all'attenzione dell'Assemblea è il testo unificato delle proposte di legge A.C. 2438, a prima firma Codurelli e sottoscritto da altri deputati del gruppo del PD, e A.C. 5382, a prima firma Cazzola e sottoscritto da deputati di tutti i gruppi che sostengono l'attuale maggioranza.
Esso reca disposizioni per la definizione del rapporto di lavoro dei collaboratori parlamentari. Si tratta di un provvedimento volto a regolamentare alcuni aspetti peculiari del rapporto di lavoro tra deputati, senatori e loro collaboratori, nonché a consentire il pagamento diretto della retribuzione dei collaboratori da parte della Camera di appartenenza del singolo parlamentare.
Più in generale il provvedimento intende introdurre nell'ordinamento alcune norme di rango legislativo, necessarie a garantire il corretto svolgimento del rapporto Pag. 20di collaborazione, evitando incertezze interpretative circa la titolarità del contratto e la giurisdizione competente.
In proposito, peraltro, ricordo che il tema è affrontato anche da una proposta di legge a mia prima firma (A.C. 4889), recante lo statuto dei componenti del Parlamento, che ovviamente è assegnata, vista la sua portata generale, alla I Commissione (Affari costituzionali), ma che contiene uno specifico articolo che attribuisce ai componenti del Parlamento la facoltà di essere assistiti da collaboratori personali da loro liberamente scelti, prevedendo che le Camere assicurino la copertura delle spese effettivamente sostenute per l'impiego di tali assistenti.
Prima di passare all'illustrazione del contenuto del testo unificato delle due proposte di legge, vorrei ricostruire brevemente il lavoro istruttorio svolto in Commissione ed alcuni passaggi preliminari, che stanno alla base di quest'intervento normativo.
Anzitutto vorrei ricordare all'Aula che l'esigenza di regolamentare la figura del collaboratore parlamentare non è certo nuova, ma prende le mosse fin da alcune legislature fa, quando il problema, prima ancora di assurgere agli onori delle cronache giornalistiche e, direi, anche scandalistiche, era stato affrontato con estrema serietà dagli organi di governo interni delle due Camere.
Dopo un'approfondita riflessione sulle più opportune modalità di azione, si crearono allora due distinte linee di pensiero: da una parte coloro che ritenevano sufficiente prevedere apposite delibere degli Uffici di Presidenza delle Camere per disciplinare i requisiti minimi dei contratti di lavoro dei collaboratori parlamentari, ferme restando le modalità di retribuzione di tali soggetti che avvengono per il tramite di un contributo erogato direttamente al singolo deputato.
Dall'altra, coloro che prospettavano l'esigenza di ricorrere ad una legge ordinaria, non soltanto per definire alcuni aspetti comuni alle due Camere, ma anche per chiarire la natura e gli eventuali vincoli giuridici del rapporto di lavoro tra i parlamentari e i propri assistiti. Ebbene, la prima delle due linee di pensiero fu quella seguita in origine dalla Camera, che adottò determinazioni atte proprio a regolamentare questi rapporti e a circoscrivere nei limiti della possibile intromissione all'interno di un rapporto bilaterale tra le parti, che rimane sostanzialmente di natura fiduciaria, i profili di possibile esondazione di tali rapporti rispetto alla legge ordinaria.
Questo è dunque il regime attuale che regola la materia. Tuttavia da qualche mese tra i gruppi parlamentari è emersa una convinzione differente, che risponde alla seconda delle linee di pensiero che ho prima evocato, e cioè che la legge è necessaria se si vuole assicurare un regime tendenzialmente omogeneo di tali rapporti di lavoro e chiarire al contempo i confini del contratto che lega il parlamentare ai propri collaboratori. Si tratta di una convinzione che deriva non soltanto da astratte linee teoriche di diritto del lavoro ma anche da numerosi atti di indirizzo accolti nel corso dell'esame del bilancio interno della Camera negli anni scorsi. Solo per completezza di informazione peraltro occorre ricordare che pressoché negli stessi anni in cui le Camere intervenivano con proprie delibere specifiche sull'argomento anche il Parlamento europeo con un Regolamento interno di soli tre articoli ha definito un nuovo regime per gli assistenti dei parlamentari. Il cosiddetto modello europeo, come costruito nel 2008, poggia oggi su tre pilastri: il pagamento diretto da parte dell'istituzione; un vincolo di destinazione dei fondi per lo staff al loro utilizzo effettivo; la definizione di tipologie contrattuali standard e di relativi limiti.
Ed è proprio questo modello europeo che sembrerebbe ispirare, almeno in parte, la legge ordinaria su cui la XI Commissione, come detto prima su pressante invito della Conferenza dei presidenti di gruppo, ha portato a compimento il suo lavoro istruttorio. Lavoro istruttorio che, sempre per completezza di informazione, vorrei ricordare come sia stato caratterizzato da diverse fasi di approfondimento. Pag. 21In particolare vorrei segnalare che la Commissione lavoro prima ancora di aprire la fase emendativa ha svolto un'audizione informale con le due associazioni che rappresentano i collaboratori parlamentari. In questa audizione una delle due associazioni ha in realtà prospettato diverse questioni problematiche sino a giungere alla conclusione - cito testualmente dal loro documento consegnato alla Commissione - che «non si ritiene che la via legislativa possa rappresentare la soluzione del problema». In sostanza l'associazione audita ritiene che la legge rischi di essere inutile: in primo luogo perché non essendo di rango costituzionale potrebbe presentare problematiche di recepimento da parte delle Camere in virtù del principio di autonomia regolamentare di cui all'articolo 64 della Costituzione; in secondo luogo perché rinvia a delibere degli Uffici di Presidenza che invece potrebbero già, in piena autonomia e senza bisogno di una legge, intervenire com'è già avvenuto sulla materia.
Al contempo c'è da dire che l'altra associazione presente all'audizione informale, pur non esprimendo particolare entusiasmo per la formulazione del testo originariamente all'esame della Commissione, ha invece auspicato l'approvazione della legge. Ecco perché il sottoscritto in qualità di relatore ha oggi il dovere di dire che la proposta di legge che portiamo all'attenzione dell'Assemblea è stata ben studiata ed approfondita, ha subito numerose modifiche e integrazioni rispetto alla versione originaria, ha individuato soluzioni interessanti a taluni profili emersi nel corso dell'istruttoria, ma lascia impregiudicato il quesito che non possiamo che sottoporre all'intera Assemblea sull'esigenza o meno di ricorrere all'intervento normativo primario.
Poiché peraltro la convinzione della maggioranza dei gruppi presenti in Commissione è quella di andare avanti con la legge e dunque di proseguire nell'iter di esame, come relatore non posso che confermare che a fronte di questa scelta maggioritaria abbiamo al momento ritenuto di costruire un percorso di perfezionamento dell'intervento normativo che oggi rassegniamo all'Aula. Prima però di illustrare il testo unificato mi sia consentito di svolgere due ultime considerazioni preliminari, l'una di procedura e l'altra di merito. Quanto alla procedura ci sentiamo rassicurati dal fatto che tutte le Commissioni competenti in sede consultiva hanno espresso un parere favorevole.
Ogni rilievo formulato da queste Commissioni è stato recepito nel testo per l'Aula e l'unica condizione che non è stato possibile recepire in Commissione è quella contenuta nel parere della II Commissione (Giustizia) che fa riferimento alla previsione di un regime speciale di recesso da applicare ai contratti che non siano di lavoro subordinato. Su tale questione, infatti, si è deciso di rinviare ad opportuni approfondimenti nella fase di discussione in Assemblea nell'ambito del Comitato dei nove. Quanto al merito, vorrei ribadire che la proposta di legge che portiamo all'attenzione dell'Assemblea deve essere inquadrata per quella che è la sua natura effettiva. Si tratta di un testo che disciplina i rapporti di lavoro degli assistenti dei parlamentari e ne fissa alcuni principi di base, ma non vi è nessuna intenzione di trasformare questo testo in un provvedimento che mira in qualche misura a stabilizzare o a rendere speculare il compito, pur preziosissimo, svolto dai collaboratori parlamentari rispetto a quello dei dipendenti delle amministrazioni parlamentari. Su questo punto, voglio sgomberare il campo da possibili equivoci. Gli uffici della Camera, come sappiamo, hanno una funzione precisa basata su principi di indipendenza e di imparzialità nello svolgimento delle proprie mansioni e che non a caso poggia i suoi presupposti sull'accesso solo per concorso. I collaboratori dei parlamentari, che sono legati da un rapporto fiduciario con i propri deputati o senatori, svolgono, senza dubbio bene e con passione, il proprio importante lavoro che, tuttavia, è al diretto servizio del singolo parlamentare e non degli organi delle Camere.
Quest'ultima riflessione mi consente, quindi, di concludere la mia relazione Pag. 22introduttiva con la descrizione del contenuto del provvedimento come risultante al termine dell'esame in Commissione. Anzitutto, ricordo che il testo unificato parte proprio dalla previsione per cui il rapporto di lavoro tra parlamentare e collaboratore ha natura fiduciaria e, salvo diverso accordo delle parti, ha una durata commisurata a quella della legislatura. Il rapporto, peraltro, cessa di diritto in caso di cessazione anticipata del mandato parlamentare rispetto alla conclusione della legislatura. L'altro principio cardine del provvedimento è quello che prevede che gli Uffici di Presidenza delle Camere disciplinano le modalità del pagamento diretto della retribuzione dei collaboratori, nonché le modalità dell'assolvimento dei relativi oneri fiscali e previdenziali da parte dell'amministrazione della Camera di appartenenza del membro del Parlamento, datore di lavoro, nei limiti delle somme destinate per tali specifiche finalità a ciascun membro del Parlamento dalle deliberazioni degli Uffici di Presidenza medesimi.
Il testo unificato dispone che le delibere siano adottate d'intesa tra le due Camere tenendo presente l'esigenza che la nuova disciplina entri in vigore fin dall'inizio della XVII legislatura. Inoltre, si precisa che la responsabilità della Camera di appartenenza è limitata all'erogazione della retribuzione in base al contratto stipulato tra il singolo membro del Parlamento e il proprio collaboratore, nonché all'assolvimento degli oneri accessori nei limiti stabiliti dagli Uffici di Presidenza. La Commissione ha altresì ritenuto opportuno dettare una disposizione che prevede che i membri del Parlamento, ove intendano avvalersi dell'erogazione diretta della retribuzione da parte delle Camere, non possono stipulare contratti di lavoro con il coniuge ovvero con propri parenti o affini entro il secondo grado. Inoltre, è precisato che per le controversie relative ai rapporti di lavoro sia competente l'autorità giudiziaria ordinaria. Con un emendamento approvato in Commissione, inoltre, si prevede che la retribuzione del collaboratore non possa essere inferiore ai minimi contrattuali o definiti dalla legge ovvero all'equo compenso. Una specifica richiesta formulata dalle associazioni rappresentative dei collaboratori è stata poi accolta con un comma inserito all'articolo 3 che dispone che gli Uffici di Presidenza delle Camere, d'intesa tra loro, possono altresì disciplinare ulteriori condizioni per lo svolgimento dell'attività dei collaboratori presso le sedi e gli uffici del Parlamento.
Infine, si prevede che i membri del Parlamento possano avvalersi, nel rispetto dei contratti collettivi e della legislazione vigente in materia di diritto di lavoro, di ulteriori collaboratori con retribuzione e con oneri accessori a proprio esclusivo carico. In conclusione, auspico che il dibattito parlamentare ci consenta di approfondire tutti gli aspetti ancora aperti di cui ho dato conto senza omissioni o reticenze nella mia relazione per giungere all'adozione di una decisione ponderata e realmente efficace sulla quale la Commissione si attende un contributo vero da parte di tutti i gruppi.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare l'onorevole Munerato. Ne ha facoltà.

EMANUELA MUNERATO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, consideriamo il provvedimento in discussione in quest'Aula un atto di giustizia nei confronti dei tanti giovani e meno giovani che da anni ci supportano nella nostra attività parlamentare. La figura del cosiddetto portaborse o collaboratore parlamentare è surreale e fittizia: tanto rincorsa ed ambita da chi è fuori da questi palazzi, perché considerato ruolo di privilegio e prestigio, quanto ingannevole per chi questo ruolo ricopre, ritrovandosi privo di alcuna tutela normativa e contrattuale, alle mercé delle esigenze, talvolta volubili, dei parlamentari e, dopo un paio di legislature, precario a vita.
In passato le denunce, attraverso servizi televisivi ed organi di stampa, di collaboratori pagati in nero o sottopagati Pag. 23rispetto alle mansioni attribuitegli ed agli orari di lavoro richiesti sono state tantissime. Da questo punto di vista noi della Lega Nord siamo tranquilli, perché per nostra organizzazione interna non abbiamo il cosiddetto portaborse personale, bensì ci avvaliamo di un pool di segretarie e di tecnici laureati con regolare contratto, ciascuno in base alle proprie competenze e professionalità, in carico al gruppo. Ci spiace quindi constatare che oggi, con i problemi che affliggono questo Paese, ci troviamo a dover legiferare su questa materia, causa la condotta morale di qualche collega. Alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva avremmo dovuto piuttosto occuparci - e rapidamente - di misure per la ripresa economica del nostro Paese, di incentivi per le nuove assunzioni ed abbattimento del costo del lavoro. Invece, per volontà del Presidente della Camera, legiferiamo su una problematica che avrebbe potuto trovare soluzione a livello di Ufficio di Presidenza, deliberando e regolamentando in maniera più stringente e severa le modalità della gestione del cosiddetto contributo forfettario.
Peraltro, se questa legge venisse approvata, ci suonerebbe come una norma di facciata, tanto per far fare a questa maggioranza la bella figura di aver messo le cose a posto e sistemato una complessa materia. Così non è, perché il testo che ci accingiamo ad esaminare è pieno di criticità e non risolve i problemi connessi al ruolo di assistente parlamentare, in primis quello di essere un precario a vita. Il comma 1 dell'articolo 2, ad esempio, non esplicita le tipologie contrattuali applicabili, ma ipotizza solo l'eventualità di poter stipulare contratti di lavoro subordinato, lasciando ambiguità sulle altre modalità di rapporti di lavoro che potrebbero instaurarsi.
Parimenti ambigua è la formulazione del comma 3 dell'articolo 3, laddove si prevede che i membri del Parlamento possano avvalersi di ulteriori collaboratori con retribuzione a proprio carico, pur conoscendo l'importanza del rapporto fiduciario che si instaura tra il collaboratore ed il parlamentare e la necessità e libertà del parlamentare stesso di avvalersi di quante persone ritenga di aver bisogno per l'espletamento del suo mandato. L'intento di questa legge è regolamentare il rapporto di lavoro tra collaboratore e parlamentare, per evitare gli scandali di lavoratori sottopagati e in nero. Il primo periodo del citato comma 3 dell'articolo 3 lascia a chi volesse approfittarne ampio margine di raggirare la legge.
Altra criticità è per noi riscontrabile nel comma 1 dell'articolo 3, laddove si dispone che il contratto stipulato tra il singolo membro del Parlamento ed il proprio collaboratore non debba essere inferiore ai minimi contrattuali. Scusate, ma a quali minimi contrattuali si fa riferimento? Qual è il contratto collettivo da utilizzare a parametro? Vedete, cari colleghi: tante belle enunciazioni di principio e nessuna soluzione concreta, nessun parametro, nessun criterio o principio esplicitamente definito per legge. A questo punto, crediamo che l'ambiguità e l'indeterminatezza siano una scelta voluta per lasciare ampio margine di manovra interpretativa e di comodo agli Uffici di Presidenza di Camera e Senato. A noi non piace scherzare quando si tratta di tutelare il lavoratore e per questo, a nome della Lega Nord, auspico che quest'Aula licenzi un testo che non sia soltanto fumo negli occhi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mannucci. Ne ha facoltà.

BARBARA MANNUCCI. Signor Presidente, Viceministro, onorevoli colleghi, la presente iniziativa legislativa ha l'obiettivo di disciplinare, come è stato ampiamente spiegato dal presidente Moffa, il ruolo dei collaboratori parlamentari, cioè quelle persone che aiutano deputati e senatori nello svolgimento del loro mandato.
È bene ricordare che si tratta, molto spesso, di ragazzi giovani tra i venti e i trent'anni. Da tempo, è sorta l'esigenza di regolamentare questa figura, anche tenendo conto delle esperienze di altri Parlamenti europei e dello stesso Parlamento dell'Unione. Pag. 24
Con la nuova disciplina, si ribadisce il diritto dei parlamentari di essere assistiti da collaboratori da loro scelti nelle attività politiche connesse all'esercizio del mandato parlamentare. Il rapporto di lavoro resta tra deputati e senatori e i loro collaboratori, che avranno lo status di personale esterno delle amministrazioni delle Camere. I rapporti di lavoro di natura fiduciaria sono fondati sull'accordo tra le parti e sono commisurati alla legislatura in cui sono stati avviati. I contratti si risolvono automaticamente in caso di cessazione anticipata del mandato del parlamentare rispetto alla conclusione della legislatura.
Di notevole rilievo - come è già stato ricordato - è la norma che vieta al parlamentare di stipulare contratti di lavoro, ai sensi della presente legge, con il proprio coniuge, con i propri parenti o affini fino al secondo grado. Questi contratti di lavoro non producono alcun rapporto di impiego o di servizio con le amministrazioni dei due rami del Parlamento ed è evidente che per le eventuali controversie di lavoro tra i collaboratori e i parlamentari è competente l'autorità giudiziaria ordinaria.
La novità sostanziale recata dal testo in discussione consiste nel pagamento diretto della retribuzione dei collaboratori dei parlamentari da parte delle amministrazioni del ramo del Parlamento a cui appartiene il parlamentare datore di lavoro del collaboratore. Gli Uffici di Presidenza delle due Camere provvederanno, con proprie delibere adottate d'intesa, ad applicare la nuova disciplina all'inizio della XVII legislatura. Le amministrazioni delle due Camere provvedono anche all'assolvimento degli obblighi fiscali e previdenziali connessi alle retribuzioni predette.
È chiaro che siamo di fronte a norme di buonsenso, dirette a disciplinare in modo chiaro e trasparente i rapporti di lavoro tra i parlamentari e i cosiddetti portaborse. Si tratta di disposizioni utili ed opportune, che eliminano completamente ogni margine di comportamenti opachi e non in linea con la legislazione vigente nel campo del lavoro. Come poco fa ha affermato il presidente Moffa, sulla questione ci sono state numerose prese di posizione da parte delle varie associazioni di categoria; alcune criticità, forse, ancora ci sono, ma è stato fatto il possibile per cercare la giusta sintesi tra le varie proposte. Riteniamo, quindi, utile e opportuno, anche per migliorare l'immagine della politica, che questo testo sia approvato da entrambi i rami del Parlamento prima della conclusione della XVI legislatura.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Codurelli. Ne ha facoltà.

LUCIA CODURELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi, personalmente, non posso nascondere una mia soddisfazione, oltre a quella che ha anche bene espresso il presidente Moffa per il lavoro che è stato svolto in Commissione, per il dibattito, per la discussione, per il confronto, per il recepimento anche delle proposte che sono arrivate da altre Commissioni, oltre che per le audizioni fatte con i rappresentanti dei collaboratori.
Perché è anche soddisfazione personale? Perché è datata 14 maggio 2009 la presentazione della proposta di legge a mia prima firma per la disciplina della professione del collaboratore parlamentare e, finalmente, almeno, ci siamo a questo punto. Anche se allo scorcio della legislatura, io ritengo - e rivolgo un appello - che l'importante sia approvarlo in tempi brevi. È un atto dovuto a mio avviso, un atto di trasparenza - ne abbiamo parlato anche prima rispetto al Regolamento -, atteso da molto tempo per porre fine ad una situazione ancora non regolamentata.
Un'istituzione che legifera, che chiede il rispetto delle leggi ai cittadini ha il dovere di non lasciare vuoti normativi, affinché non possano esistere anche in questo palazzo forme contrattuali irregolari e non sempre rispettose delle leggi vigenti, come purtroppo è avvenuto. Tutti i principali Paesi europei - come è già stato sottolineato - hanno da tempo regolato queste figure e il Parlamento europeo, all'inizio Pag. 25della legislatura vigente, ha approvato lo statuto degli assistenti degli eurodeputati.
Ricordo a quest'Aula che questi ragazzi e ragazze si occupano di moltissime cose, dalla preparazione degli atti di sindacato ispettivo, ai progetti di legge, alle lettere, ai comunicati stampa, alla gestione della segreteria o alla pianificazione dell'agenda, ai rapporti con i media e con gli elettori secondo le esigenze del singolo deputato, poiché ognuno ha delle esigenze diverse, e mi riferisco a quelli che svolgono fedelmente il mandato parlamentare, e che da soli non potrebbero svolgere, visti i ritmi serrati tra Aula, Commissioni e territorio.
Appena rieletta, all'inizio di questa legislatura, anche per l'esperienza vissuta nella precedente, pur breve, di enorme difficoltà per adempiere alla regolarizzazione del collaboratore - cosa che ho fatto, ho continuato a fare, anche se le difficoltà sono presenti, ognuno di noi deve avvalersi di un commercialista, diventare sostituto di imposta, e sono consapevole che non è così per i tanti colleghi che ci sono qui dentro - ho ritenuto doveroso presentare una proposta di legge al fine di ottenere un servizio dalla Camera, invece delle risorse economiche uguali per tutti.
Pur apprezzando l'iter veloce, come ha detto il presidente Moffa, del provvedimento assunto in poche settimane dopo la presentazione della proposta di legge unitaria elaborata dal gruppo di lavoro - vorrei che si ricordasse e si sottolineasse che è lo stesso gruppo impegnato per l'abolizione dei vitalizi già dal gennaio 2012, e a tal proposito ricordo che si è passati al contributivo - si poteva e si doveva affrontare molto prima, oltre a quello, anche questa regolamentazione dei collaboratori, evitando così i tanti attacchi e l'antipolitica dilagante che purtroppo trova riscontri per i comportamenti non edificanti che in questi giorni sfortunatamente sono ancora sottolineati dalla cronaca quotidiana.
Signor Presidente, spesso ci sentiamo accusare di beneficiare di privilegi che non esistono, che sono già stati cancellati da tempo, senza avere, da parte sua, una puntuale e doverosa rettifica dimostrando, con i documenti, che ciò non corrisponde al vero. Ciò che è già stato modificato va comunicato e, a fronte di tale situazione, cerchiamo di comunicare con chiarezza almeno il contenuto del provvedimento in discussione, perché ritengo che questo sia un passaggio molto importante e dico: meglio tardi che mai.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 18,04)

LUCIA CODURELLI. A scanso di equivoci, appunto, voglio essere chiara soprattutto per la stampa, poiché invece di valutare il contenuto dei provvedimenti tanti cercano solo gossip. Sottolineo, è già stato detto ma lo ribadisco, che non si sta regolarizzando l'ennesimo privilegiato e nemmeno si chiede l'assunzione diretta dalla Camera; non si sta incidendo sul bilancio dello Stato, visto che queste sono risorse oggi destinate al parlamentare e non saranno più destinate se il parlamentare non presenterà il contratto come sarà definito dal Regolamento. Soprattutto, non si stanno creando figure che un domani saranno assorbite dall'amministrazione: assolutamente non si tratta di questo.
La proposta che mi vede prima firmataria, come ormai anche il testo unificato, si prefigge di regolamentare la figura del collaboratore ossia di quella persona che non appartiene né alla amministrazione della Camera né a quella del Senato e che sostiene il parlamentare nell'espletamento del mandato attraverso lo svolgimento dei diversi compiti; nemmeno hanno tutti la stessa professionalità, dipende da ciò di cui il parlamentare ritiene di avere bisogno.
L'esigenza di regolamentare in via definitiva la figura del collaboratore parlamentare nasce da un duplice ordine di fattori: cancellare ogni accezione negativa del termine «portaborse» con il quale sono appellati i collaboratori parlamentari che in realtà sono professionisti, nella maggior parte dei casi laureati; rispondere all'esigenza di trasparenza. Oggi più che Pag. 26mai il rapporto di lavoro tra parlamentare e collaboratore ha natura fiduciaria e la sua cessazione può avvenire nel momento in cui tale fiducia venga a mancare o a causa della fine della legislatura. Si tratta quindi di un rapporto di lavoro soggetto alla disciplina privatistica in materia di contratti di lavoro subordinato o lavoro autonomo.
È prevista l'impossibilità per i congiunti fino al terzo grado del parlamentare - così nella mia proposta, ora diventato, nel testo unico, fino al secondo grado, comunque importante - di essere assunti quali collaboratori del medesimo e, soprattutto, non si istituisce alcun rapporto lavorativo tra collaboratore e amministrazione delle Camere.
Per evitare il rischio di condizione di incertezza giuridica nel rapporto di lavoro tra deputato e collaboratore, nonché per evitare che in un luogo come il Parlamento possano esistere forme contrattuali irregolari, la presente proposta di legge andrebbe a modificare l'articolo 2 della legge n. 1261 del 1965, che disciplina, appunto, le indennità spettanti ai membri del Parlamento, prevedendo che siano gli Uffici di Presidenza delle due Camere a stabilire l'ammontare del contributo spettante ai parlamentari per quel che riguarda la retribuzione dei propri collaboratori. Inoltre, la presente proposta di legge introduce un'importante novità, consistente nell'attribuire - come è stato ribadito - direttamente agli Uffici di Presidenza delle Camere il compito di pagare il compenso pattuito e i contributi. La funzione attribuita agli Uffici di Presidenza non inficia la natura privatistica del rapporto di lavoro suddetto, poiché essi compiono le operazioni enunciate per conto e per nome e su dichiarazione dei parlamentari, attraverso i contratti stipulati.
Infine, nella mia proposta era presente anche una valorizzazione della professionalità e della figura del collaboratore parlamentare e l'istituzione di un albo. Tuttavia, questo è stato superato anche, proprio, su richiesta, come veniva ricordato, pervenuta durante le audizioni delle associazioni dei collaboratori. Sottolineo che la sottoscrizione del contratto da parte di un consulente del lavoro - che sarebbe richiesto anche ora ai parlamentari - non ha impedito in alcun modo, nell'attuale legislatura, una giungla contrattuale, né un'indagine che è avvenuta da parte dell'ispettorato provinciale del lavoro di Roma.
L'Ufficio di Presidenza, dall'inizio di quest'anno, ha fatto importanti passi in avanti, già ricordati: la modifica del vitalizio, con l'introduzione del sistema contributivo; ha definito regole vincolanti per una parte del rimborso ai parlamentari, cioè solo dietro presentazione di documentazione riguardante segreterie o iniziative politiche. Nulla a che vedere, però, con la regolamentazione richiesta con questa proposta, che invece chiede un fondo vincolato al contratto dei collaboratori attraverso la scelta fiduciaria dei deputati e la sua tipologia, ma con garanzie e tutele definite e l'individuazione di un compenso minimo, al fine di evitare il proliferare di forme e condizioni di lavoro non sempre dignitose.
Sottolineo che l'aspetto rilevante e più importante è che saranno pagati, appunto, direttamente dalle Camere. Una simile riforma andrà sicuramente a vantaggio della tutela lavorativa dei lavoratori, ma soprattutto del prestigio dell'istituzione parlamentare. I collaboratori parlamentari sono persone chiamate a svolgere mansioni direttamente connesse alla nostra attività. Si tratta, quindi, di dare piena e completa attuazione, anche da parte di questo Parlamento, al dettato costituzionale. Oggi l'Aula è impegnata su un progetto di legge che per i suoi contenuti definirei personalmente urgente, fondamentale e dovuto senza ulteriori ritardi. Scuse e magari ancora remore sarebbero veramente percepite all'esterno ancora come un privilegio che vorremmo mantenere. Doveroso è approvare questo testo unificato, che ha avuto il parere favorevole - come veniva ricordato - dalle Commissioni competenti, e sono stati accolti rilievi importanti da loro esplicitati. I punti salienti affinché esso non venga assolutamente percepito in modo diverso all'esterno: Pag. 27la natura fiduciaria del rapporto di lavoro tra parlamentare e collaboratore, salvo diverso accordo delle parti; il pagamento diretto da parte dell'amministrazione e l'assolvimento dei relativi oneri amministrativi, fiscali e previdenziali; l'introduzione di un minimo retributivo proprio allo scopo di porre fine a episodi di lavoro nero, sottopagato e senza diritti per i lavoratori; che nel minor tempo possibile la Presidenza della Camera debba emanare il regolamento.
In sintesi: i deputati possono continuare ad essere assistiti, scegliere rispetto alle loro esigenze, non possono stipulare contratti di lavoro con il coniuge, ovvero con i propri parenti o affini entro il secondo grado; le modalità del pagamento - come dicevo prima - della retribuzione del collaboratore, nonché la modalità di assolvimento degli oneri, sono dirette e tale pagamento viene effettuato da parte dell'amministrazione della Camera nel limite - anche questo dobbiamo dirlo - delle somme destinate per tali specifiche finalità, a ciascun membro del Parlamento, con deliberazione degli Uffici di Presidenza, ferma restando la titolarità del rapporto di lavoro tra le parti contraenti in base al contratto stipulato dal singolo deputato.
La retribuzione del collaboratore non può essere inferiore, come è stato detto prima, ai minimi contrattuali e, in base alla legislazione vigente, e si può trattare di lavoro subordinato o anche lavoro autonomo. Sono certa che l'Aula saprà ben valutare, come il presidente ha opportunamente sottolineato, anche l'opportunità e la necessità di questo provvedimento.
Si tratta di una questione etica che il Parlamento in primis ha il dovere di accogliere e che, a mio avviso, non è più rinviabile. Inoltre, lasceremo ai deputati della prossima legislatura una regolamentazione che faciliterà il loro lavoro. È un impegno che ci dobbiamo assumere, un impegno molto importante, aggiunto a quello assunto precedentemente, relativo alla modifica della disciplina dei contributi ai gruppi parlamentari, consapevoli che questo è un provvedimento assolutamente non alternativo alle grosse aspettative dei cittadini nei nostri confronti, che da noi esigono molto, molto di più (vedi: legge elettorale e leggi istituzionali, riforme, anche queste non più rinviabili).
Questa proposta, che disciplina il rapporto di lavoro della figura del collaboratore, oggi in discussione, ritengo sia un pezzo del grande puzzle urgente e necessario per la trasparenza, insomma un atto dovuto e non più rinviabile.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, la riforma istituzionale del lavoro parlamentare oggi comincia da qui: dal riconoscimento della dignità del lavoro dei collaboratori parlamentari tra legalità, equità e competenze, misurato nel tempo, ma soprattutto da un recupero di quella dimensione etica del lavoro parlamentare, che personalmente da tempo vado chiedendo, anche attraverso una mozione consegnata tempo fa e sottoscritta da oltre centocinquanta colleghi, e da altri documenti che in qualche modo hanno richiesto proprio una riflessione e un dibattito dell'Aula parlamentare intorno a questo grande tema dell'etica pubblica che coinvolge, in modo particolare, il nostro lavoro di parlamentari.
Si tratta, in altri termini, di recuperare la dignità del lavoro parlamentare. Il disegno di legge che stiamo discutendo, è un disegno di legge molto scarno che sottolinea il diritto del parlamentare ad essere assistito per le attività connesse all'esercizio delle funzioni inerenti al proprio mandato, un diritto che può esercitare attraverso collaboratori scelti personalmente, per cui non ci stupisce che questa relazione non possa che essere una relazione di natura fiduciaria, fondata sull'accordo tra le parti.
Questa dimensione - potremmo dire - sottolinea la centralità del parlamentare, la centralità della sua responsabilità e anche la centralità di una sorta di sua autonomia personale, anche all'interno del Pag. 28gruppo di riferimento. Apprezzo quello che hanno detto prima i colleghi della Lega Nord Padania. Mi sembra che nella legislatura precedente anche i colleghi di Rifondazione Comunista avevano questo sistema del pool delle competenze a cui tutti attingono.
Però, io sottolineo che la relazione personale, quindi quella per cui io scelgo il mio collaboratore, sottolinea la mia libertà, sottolinea la mia responsabilità, sottolinea anche la mia autonomia nell'ambito dell'esercizio del mio lavoro parlamentare. Per questo mi sembra un valore molto importante che sia personale e fondato sul rapporto fiduciario.
L'elemento forse che richiama poi maggiormente l'attenzione di tutti, anche penso dell'opinione pubblica, sarà quello che riguarda il pagamento diretto della retribuzione, compreso l'assolvimento degli oneri fiscali e previdenziali. Quello sembra un fatto importante dal punto di vista della legalità complessiva, perché rappresenta davvero una cancellazione di un'ombra, che è quella di una sorta di lavoro in nero, particolarmente drammatico se si applica all'organizzazione del lavoro parlamentare nel luogo che dovrebbe essere il tempio trasparente di ciò che deve essere chiesto a tutto il Paese e che, quindi, dobbiamo essere in condizione di fare noi in prima persona.
Il pagamento diretto, però, dicevo che sembra il punto centrale di questa proposta di legge e forse così può apparire a chi immagina, alla luce della più recente crisi etica ed amministrativa della politica, l'arroganza di certi politici che non riconoscono ai loro collaboratori diritti che spettano loro e che, invece, li trattano con una serie di piccole umiliazioni che creano imbarazzi ai giovani collaboratori nei casi in cui si renda loro necessario sollecitare i propri diritti. In realtà, il vero snodo della proposta di legge non è - insisto - il rapporto di pagamento diretto quanto, piuttosto, l'esplicito riconoscimento della dignità del lavoro del collaboratore parlamentare e, quindi, del lavoro dello stesso parlamentare.
In tempi di antipolitica ci viene da questa proposta di legge, da questo riconoscimento della dignità del lavoro del collaboratore, di riflesso, anche una luce che illumina il nostro lavoro di giustizia, di equità e di competenza. Per questo è importante e urgente prestare la massima attenzione a questa proposta di legge, una delle ultime possibilità con cui la politica in questa legislatura può invertire la campagna denigratoria lanciata dall'antipolitica a tutti livelli. Si tratta di dire «no», con fatti e gesti concreti, all'immagine di un politico avido e profittatore, che intasca quanto non gli compete. Ma si tratta anche di dire «no» ad un collaboratore di orge e festini, che rivela un'immagine deleteria della politica di sottobosco, attenta solo ai propri vantaggi e distratta dalle necessità reali del Paese.
Lo scandalo di queste ultime settimane mette in evidenza come il cambiamento radicale di cui la politica ha bisogno, passa attraverso un recupero del livello di professionalità del lavoro parlamentare, con un aumento deciso della sua produttività e, quindi, con una ricostituzione dell'alleanza tra parlamentari e cittadini. Da questo punto di vista, il collaboratore parlamentare può essere la giusta cerniera che opera in tal senso. Vogliamo ricominciare da qui. Vogliamo ricominciare dando dignità a questa esperienza in modo che ogni collaboratore parlamentare possa essere orgoglioso di scrivere nel suo curriculum che per cinque anni ha fatto il collaboratore parlamentare. Non deve vergognarsi di scriverlo, non deve cercare sotterfugi, deve sapere che poterlo scrivere significa competenze acquisite, conoscenza del meccanismo con cui si svolge il lavoro nelle Aule e nelle istituzioni, significa possibilità, qualsiasi altra cosa decida di fare, di prestare un servizio più qualificato alla società.
Con riguardo ai termini oggettivi del problema, nel marzo 2007, in occasione di una puntata de Le Iene, un servizio svelò che soltanto 54 tra i 683 collaboratori dei 630 deputati con in tasca il tesserino per accedere alla Camera erano in regola, vale a dire che il 92 per cento dei nostri Pag. 29deputati si avvaleva di assistenti irregolari. Qualcuno fu condannato a risarcire un collaboratore perché pagato in nero. A distanza di due anni i collaboratori in regola sono arrivati a 194 su un totale di 516. Il giro di vite è scattato quando il Presidente della Camera Gianfranco Fini ha stabilito che i battenti del Palazzo sono aperti solo per gli assistenti in regola. Questo conferma che le leggi, i regolamenti e così via, possono anche ottenere davvero miglioramenti sostanziali anche con piccole ma concrete norme da far rispettare.
I collaboratori parlamentari a titolo non oneroso, o coloro il cui servizio è assimilato al tirocinio formativo, sono ancora molti. Ma la cosa grave è che si tratta molto spesso di persone giovani, brillantemente laureate, con indubbie capacità, anche se di tipo molto diverso tra di loro, che hanno bisogno di lavorare e che accettano anche dei «non contratti» purché consentano loro di avere un minimo di autonomia e di poter fare delle esperienze interessanti. È questo lo snodo più drammatico, è lo sfruttamento che nasce, da un lato, dal bisogno di lavorare e, dall'altro, forse anche da un senso, perlomeno iniziale, di orgoglio relativamente alla possibilità di dire di lavorare in un contesto come questo, che può metterli in condizione di essere in fondo sfruttati, considerando che il solo fatto di circolare per questi corridoi è sufficientemente premiante per ognuno di loro.
Il paradosso è che si trovi in Parlamento un'importante fascia di giovani precari non tutelati dalla legge, proprio nel luogo che dovrebbe essere il cuore stesso della legalità, della giustizia sociale e del riconoscimento dei diritti individuali. Diventa, invece, il contesto della retorica e di una sorta di schizofrenica contraddizione per cui si parla di giovani, senza parlare con i giovani, si parla di opportunità di lavoro e si ignorano quelle opportunità che per la loro prossimità meriterebbero un corridoio privilegiato. Si parla di allungamento dei tempi di lavoro, ma si rendono inesigibili proprio i primi anni di lavoro.
Si parla di fondamento etico della crisi economica attuale e si tollera che alcuni incassino quanto è di spettanza di altri. Ci si scandalizza degli scandali che accadono a livello regionale e si ignorano quelli che accadono in casa propria. Si oscilla tra la compiacenza verso persone che hanno il tesserino di collaboratori parlamentari più per un fatto estetico che non per un fatto funzionale e l'esigenza severità nei confronti di persone che macinano moltissime ore di lavoro senza che nessun sindacato possa difenderli perché per certi aspetti sono collaboratori invisibili.
Forse è bene che questa legislatura lasci in consegna alla prossima, almeno in questo campo, una piccola, ma concreta, riforma, forse non di carattere istituzionale, ma sì strutturale, tenendo conto che le grandi riforme cominciano sempre con piccoli gesti, purché siano fermi e concreti. Voglio fare adesso riferimento ad un piccolo esperimento che ho voluto fare contando sulla collaborazione del mio collaboratore parlamentare che è giovane, sveglio, attivo, capace di entrare in relazione con molti altri suoi colleghi collaboratori parlamentari e al quale ho chiesto: «Ma che fanno i tuoi colleghi collaboratori parlamentari? Perché io so quello che fai tu, ma non so che cosa fanno gli altri». È venuto fuori un identikit di alcune funzioni che cerco di leggere rapidamente per capire proprio quanto è complesso il lavoro del collaboratore parlamentare e quanto è difficile avere un profilo di competenza (molto) e quanto, invece, è ricco e fruttuoso poter fare una di quelle esperienze in cui si parla proprio apprendimento sul campo, learning in action.
Il collaboratore parlamentare si occupa dell'agenda del deputato; sa cosa fa, dove sta, in che contesto si muove; sulla base di una scala di priorità, fissa gli appuntamenti, prepara le visite, prende nota degli impegni presi, ricorda scadenze; in altri termini, lo aiuta a mantenere la rotta ferma in situazioni spesso molto complesse e sottoposte a rapidi cambiamenti. Contribuisce a creare, in questo caso, una scala di priorità da sottoporre al parlamentare Pag. 30anche in funzione di eventuali richieste ed inviti a partecipare a diverse iniziative.
Collabora alla promozione stessa delle iniziative: convegni, seminari e conferenze stampa, in cui si rifletta in modo adeguato il lavoro del parlamentare per promuovere la diffusione di idee e principi, ma anche per dare vita ad un forte movimento di sensibilizzazione su determinate problematiche. Segue i disegni di legge in esame in Commissione; conosce lo scadenzario per la presentazione degli emendamenti, con particolarissima attenzione a quelli di cui il parlamentare è relatore o, per i quali per esempio, fa parte del Comitato dei nove.
Seleziona la corrispondenza - tutti noi sappiamo quanta ce ne arriva - per valutare a chi dare risposte dirette e circostanziate e a chi è sufficiente trasmettere informazioni già codificate e standardizzate; aggiorna costantemente la mailing list delle persone alle quali far arrivare informazioni, articoli e inviti. Conduce ricerche per supportare nuovi disegni di legge, mozioni e interrogazioni parlamentari, anche sulla base delle richieste che arrivano dai cittadini, o di fatti che emergono dalla stampa. Funge da trait d'union tra cittadini e il parlamentare. Tiene aggiornato il sito del parlamentare, inserendo di volta in volta i fatti salienti della sua agenda, i suoi interventi sulla stampa, in televisione, convegni, interviste, libri. Monitora la rassegna stampa, Facebook e Twitter per evidenziare i punti concreti in cui il parlamentare debba intervenire tempestivamente.
Facilita i rapporti con la stampa per cercare di mantenere un profilo sempre corretto del parlamentare e selezionare gli interventi a seconda dei temi di cui si parla, delle testate e delle caratteristiche del momento. Evidentemente si tratta di compiti diversi, che si collocano prevalentemente in tema di tre macroaree di intervento: l'area giuridico-economica (disegni di legge, emendamenti, interrogazioni, mozioni, interpellanze); l'area della comunicazione istituzionale e dell'organizzazione di eventi; l'area dei rapporti interpersonali (con il territorio, nella Camera e al di fuori).
Si tratta di campi di lavoro che richiedono competenze diverse che è impossibile vedere coincidere nella stessa persona.
Però, sia il parlamentare sia il potenziale collaboratore, devono potersi spingere con la massima chiarezza possibile, spiegando, da un lato, che cosa ci si aspetta dal collaboratore e, dall'altro, che cosa si ritiene di sapere e di potere fare. Non a caso, si tratta di un rapporto fiduciario, fondato sull'accordo tra le parti. Ma qualsiasi funzione deve essere svolta con la massima competenza possibile, arricchendo progressivamente il profilo delle proprie competenze, compensando eventuali lacune, studiando, imparando dai colleghi più esperti, senza mai sottrarsi alle sfide che provengono da nuove sollecitazioni e, a volte, anche da nuove emergenze.
A questo punto, è necessario chiedersi chi è il collaboratore e che cosa definisce la sua identità. Prima di tutto, l'identità è definita dal rapporto fiduciario con il deputato, con cui condivide molte cose importanti, spesso cose che attengono alla sua vita anche privata e, comunque, all'ampiezza del suo impegno pubblico. Definisce la sua identità la disponibilità, la flessibilità di orario e le buone dosi di pazienza. Ma lo definisce anche la condivisione delle scelte, delle scelte di valore, delle linee programmatiche del lavoro concreto di quel parlamentare e, molto spesso, anche delle linee del partito in cui questo parlamentare è inserito (altrimenti verrebbe meno la motivazione).
A questo punto, di che natura può essere il rapporto di questo lavoro? Il job title preciso e politicamente corretto è: collaboratore parlamentare, anche se poi non si capisce di quale figura professionale si stia parlando. Il primo punto da chiarire è la natura specifica di questo tipo di lavoro. Si tratta di un lavoro autonomo o subordinato? Può essere considerato un lavoro a progetto o no? Evidentemente, è un lavoro a progetto e, di fatto, può essere considerato il più vicino Pag. 31possibile a un lavoro parasubordinato, del genere di quello che ricorda la legge Biagi, che ha introdotto l'obbligo di ricollegare l'instaurazione del rapporto alla realizzazione di uno o più specifici programmi di lavoro. Di fatto, si caratterizza per l'assenza del vincolo di subordinazione, per la continuità della prestazione, per il coordinamento con il committente, per la natura prevalentemente personale dell'attività prestata. Ricordo che proprio la legge Biagi, con la sua successiva circolare, chiedeva, per essere applicata, la presenza di un progetto consistente in un'attività ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale, ovvero ad un programma di lavoro. Prevedeva l'autonomia del collaboratore nello svolgimento della propria attività e, ovviamente, la necessaria coordinazione con il committente.
Quindi, la collaborazione parlamentare-collaboratore è finalizzata alla realizzazione di un progetto preciso. Pertanto, nel contratto a progetto si deve indicare una durata, che coincide con la realizzazione del progetto e, nel caso considerato, con la durata stessa del mandato parlamentare. Devono identificarsi non solo il progetto e il programma da realizzare, ma anche l'attività a cui viene indirizzato questo progetto e il profilo concreto di ciò che ci si aspetta dal proprio collaboratore. Inoltre, si deve stabilire, ovviamente, il corrispettivo, proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Questa figura sembra, quindi, costituire il giusto punto di equilibrio fra l'eccesso di chi ha una visione pansubordinante dei rapporti di lavoro e il corrispondente eccesso di chi ha una visione improntata all'assoluta libertà di forme.
Volevo, poi, ritornare un po' su un'osservazione che ha fatto la collega della Lega intervenendo prima, cioè sulla genericità. In realtà, tra l'articolato del provvedimento e la relazione tecnica che lo accompagna, volendo interpretare e, in qualche modo, quantificare quello che si dice e partendo dal fatto che in Italia ogni mese il parlamentare riceve circa 4 mila euro destinati a spese di segreteria e che l'indennità forfettaria non richiede giustificazioni di spesa, si dice, però, che da questa indennità si deve ricavare uno stipendio adeguato per il proprio collaboratore, tenendo conto del tempo che dedica al lavoro, delle funzioni e delle competenze specifiche. Nell'ipotesi prevista dalla legge per i collaboratori potrebbero andare circa 1.900 euro, ossia la metà complessiva della cifra di cui dispone il parlamentare, che potrebbe investire il resto, documentandolo, in effettive spese di segreteria, in eventuali altre collaborazioni e promozioni. Questa cifra di circa 1.900 euro mi ha colpito perché, venendo da un ambiente come è la facoltà di medicina, si tratta del corrispettivo di quanto prende lo specializzando. È il corrispettivo di un dottorando o quello in cui un giovane brillante, che ha recentemente concluso il suo iter di studi, affronta gli step successivi della specializzazione e di un inserimento professionale a un certo livello.
È una soluzione, quindi, che si avvicina al modello europeo.
A Bruxelles i fondi erogati al deputato - come ricordava prima l'onorevole Moffa - sono pagati attraverso un contratto di lavoro per cui il Parlamento europeo paga direttamente l'assistente assunto dall'eurodeputato, come la proposta di legge in esame prevede.
Che prospettive hanno i collaboratori parlamentari? Chi impara a svolgere bene l'attività di collaboratore, con una competenza effettiva e ben documentata, cosa tutt'altro che semplice per quell'elenco di funzioni che, di fatto, svolgono molti di loro, può inviare il proprio curriculum, all'inizio di una nuova legislatura e sperare di proseguire l'incarico con nuovi parlamentari. Con il passare degli anni, la competenza parlamentare specifica dovrebbe crescere anche come rete di conoscenze. Può continuare a dedicarsi all'attività politico-istituzionale all'interno di altre strutture o organismi, a cominciare dagli enti locali, provinciali e regionali o può lavorare in aziende che hanno bisogno di creare e mantenere i contatti istituzionali. Dobbiamo dire che è una competenza Pag. 32specifica ricca, è un investimento, è qualcosa che lui potrà, in un secondo momento, spendere in moltissimi altri campi. Sono schemi professionali di altissima qualità. Molto però dipende dal profilo professionale a monte: può svolgere attività di ricerca all'università, può fare il giornalista, l'addetto stampa, può occuparsi di comunicazioni istituzionali. In ogni caso, saranno stati cinque anni interessanti e costruttivi, soprattutto se il giovane collaboratore parlamentare ne avrà ricavato fiducia nelle istituzioni, volontà di mettersi al servizio delle istituzioni, rispetto per il sistema del complesso di una democrazia come quella che noi viviamo.
Per concludere, chiunque si trovi a lavorare in Parlamento, a qualunque livello, ma soprattutto i più giovani devono sperimentare che le leggi sono rispettate, prima di tutto, lì dentro e che si fa di tutto per creare un modello di vita sociale e professionale ispirato alla giustizia, al rispetto delle persone e delle istituzioni.
Per i giovani deve diventare un'occasione di formazione politica straordinaria, al di là delle tante scuole di educazione politica, peraltro importanti. Ma questa è proprio una formazione sul campo, che ha la maggiore concretezza, la maggiore ricchezza e contribuisce a creare non solo idee, ma abiti e stili di lavoro. Per tutti, comprendere come funziona la macchina amministrativa e legislativa dello Stato deve rappresentare un'occasione di crescita personale e deve offrire l'occasione di apprendere l'etica pubblica direttamente sul campo dove si dovrebbe vivere. Noi vogliamo non tanto parlare di etica, ma vivere in un contesto eticamente strutturato.
Per i giovani, infine, in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, deve essere motivo di speranza che il sistema politico non vende fumo quando parla della valorizzazione del talento, ma sa assumersi le necessarie responsabilità nei loro confronti e nei confronti dell'intero sistema sociale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, dopo le ultime modifiche alla proposta di legge, ancora una volta, siamo di fronte ad una solenne presa in giro dei cittadini italiani, non degli assistenti parlamentari, ma anche di loro. I cittadini italiani erano stufi di sapere e di vedere quello che è successo in questi ultimi anni con gli assistenti parlamentari diventati, il più delle volte, uno strumento per un deputato per mettersi in tasca i soldi che dovevano servire per poter avere l'assistente parlamentare. Sono stufi di vedere avvalersi di un assistente parlamentare pagato in nero a 500 euro al mese, oppure di veder fare delle nefandezze, come persino, in qualche caso, assumere una colf e pensare che con quella assunzione abbiano assolto al dovere di tipo non diciamo sindacale, ma contributivo e di regolarizzazione del rapporto di lavoro.
Invece cosa succede? Succede che, se questa proposta di legge sarà approvata in questa forma, saremo esattamente punto e a capo: non c'è più obbligo, né alcuna imposizione delle modalità di questo rapporto e solo il parlamentare che decide di far gestire il rapporto, dal punto di vista amministrativo, dagli uffici della Camera avrà la facoltà di farlo, ma non l'obbligo. I cittadini italiani saranno, ancora una volta, ulteriormente indignati da una formulazione come questa, che stravolge qualunque idea di controllo su ciò che i deputati fanno con le somme, che sono somme dei cittadini italiani che devono servire ad un certo scopo. Non ci dobbiamo poi lamentare dell'antipolitica. L'antipolitica la stiamo facendo in questo Parlamento, in questo momento, con un provvedimento come questo.
Dovevamo andare verso il modello europeo in base al quale il parlamentare non vede neanche i soldi destinati al collaboratore familiare perché automaticamente - chiedo scusa, intendevo dire collaboratore parlamentare - sceglie il collaboratore ma poi la gestione è effettuata dalla Camera di appartenenza. Non è così perché Pag. 33questa mattina il testo precedentemente previsto - questa mattina o ieri, adesso non ricordo quando è avvenuto questo - all'articolo 1 non recita più come prima, ma dice semplicemente che i parlamentari possono essere assistiti e, più avanti, dove si faceva divieto che si potessero assumere - cosa che sembrerebbe, dal punto di vista logico, assolutamente adeguata - parenti e affini entro il terzo grado e del coniuge oggi dice solo che ove intendano avvalersi dell'applicazione della norma; ciò, vuol dire che se non se ne avvalgono potranno fare esattamente tutto quello che fanno oggi, potranno non avere collaboratori - almeno formalmente - e intascarsi quel denaro, potranno utilizzarlo per rapporti di lavoro assolutamente inimmaginabili e privi di qualunque tutela per il collaboratore parlamentare, potranno continuare ad assumerli con il rapporto di lavoro delle colf - come accadeva in passato -, ma prevalentemente succederà quello che succede oggi, perché su mille parlamentari mi pare di ricordare che solo il 20 per cento ha un regolare rapporto di lavoro con il collaboratore parlamentare.
Ancora una volta, ribadisco, non entro neanche nel dettaglio, ci sono dei dettagli che mi paiono persino assurdi perché forse non tutti sanno - io me ne sono occupato quando sono stato eletto nel 2006 - che c'era già un protocollo tra l'INPS e la Camera per regolarizzare queste situazioni, tant'è che l'INPS assegnava un numero, una numerazione, un codice già previsto al parlamentare che assumesse in modo assolutamente regolare il suo collaboratore e stabiliva semplicemente una cosa che è normale - come in tutti i casi in cui si tratta di persone fisiche e non di chi svolge un'attività di tipo professionale o aziendale, sto parlando del deputato in questo caso -, cioè che non assumesse la veste di sostituto d'imposta, per cui semplicemente non era costretto a tutto il lavoro che fanno i normali datori di lavoro per calcolare le imposte perché il collaboratore avrebbe dovuto poi, con la dichiarazione dei redditi, versarle.
Adesso con questa norma invece gli imponiamo - sembrerebbe, da come è fatta la norma - d'ora in avanti di assumere anche la veste di sostituto d'imposta, con nuove ulteriori complicazioni, per cui potrà eventualmente demandare alla Camera, ma solo come facoltà.
Concludo, signor Presidente, dicendo che noi abbiamo presentato degli emendamenti perché volevamo che ci fosse davvero un modello europeo, trasparente e che non potesse dar luogo ad alcuna discussione per cui il parlamentare avrebbe indicato la persona, dopodiché non avrebbe visto neppure - come ribadisco e ripeto - il denaro destinato a quella persona. Abbiamo fatto tutta questa rivoluzione perché tutto resti esattamente come prima; noi abbiamo presentato questi emendamenti che probabilmente saranno respinti, ma vorrei dire che su questo testo sicuramente non potrà esserci il parere favorevole del mio gruppo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2438-5382-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Moffa.

SILVANO MOFFA, Relatore. Signor Presidente, brevemente anche perché poi avremo modo di riprendere l'argomento, vorrei tranquillizzare l'onorevole Borghesi sul fatto che all'interno di questo articolato, che riproduce esattamente il modello europeo, è previsto proprio il principio in base al quale il pagamento avviene direttamente dalla Camera senza che il deputato maneggi o veda denaro. Credo che vada sottolineato questo aspetto altrimenti si crea anche un equivoco nel dibattito che si sta sviluppando.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

Pag. 34

ANTONIO MALASCHINI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo si rimette alla valutazione della Commissione e dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge costituzionale: Luciano Dussin: Distacco del comune di Lamon dalla regione Veneto e sua aggregazione alla regione Trentino-Alto Adige, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione (C. 1698) e dell'abbinata proposta di legge costituzionale: Bressa (C. 455) (ore 18,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale d'iniziativa del deputato Luciano Dussin: Distacco del comune di Lamon dalla regione Veneto e sua aggregazione alla regione Trentino-Alto Adige, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, e dell'abbinata proposta di legge costituzionale d'iniziativa del deputato Bressa.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1698)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Lega Nord Padania e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Pastore, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARIA PIERA PASTORE, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento del quale l'Assemblea inizia oggi la discussione si compone di un solo articolo, ai sensi del quale il comune di Lamon è distaccato dalla regione Veneto ed è aggregato alla regione Trentino-Alto Adige, nell'ambito della provincia autonoma di Trento. Dico subito che la proposta di legge è stata esaminata dalla Commissione affari costituzionali nella scorsa legislatura e poi ripescata all'inizio della legislatura corrente con la procedura speciale di cui all'articolo 107, comma 3, del Regolamento, il quale prevede che entro sei mesi dall'inizio della legislatura ciascuna Commissione, previo sommario esame preliminare, può deliberare di riferire all'Assemblea su progetti di legge approvati dalla Commissione stessa in sede referente nel corso della precedente legislatura e di adottare la relazione allora presentata. La norma è intesa a garantire continuità tra le legislature e ad evitare che progetti di legge condivisi anche dalla nuova maggioranza debbano retrocedere allo stadio di esame iniziale. La proposta di legge costituzionale Atto Camera n.1698, d'iniziativa dell'onorevole Luciano Dussin, riproduce appunto il testo di un progetto di legge che la Commissione aveva esaminato e sottoposto all'Assemblea nella scorsa legislatura, che non era però stato discusso dall'Assemblea. Farò quindi riferimento in questa relazione ad un'istruttoria svolta nella precedente legislatura, le cui risultanze la nuova Commissione affari costituzionali, costituitesi dopo il rinnovo delle Camere, ha ritenuto di poter riprendere. È vero infatti che oggi siamo più vicini alla fine che all'inizio della legislatura, ma la proposta di legge in questione è pronta per l'Assemblea da ottobre 2008. Ad essa è abbinata la proposta di legge costituzionale A.C. 455, d'iniziativa dell'onorevole Bressa, il cui contenuto è sostanzialmente identico a quello della proposta A.C. 1698, da cui differisce solo per un dettaglio, vale a dire il richiamo all'articolo 132 della Pag. 35Costituzione. Prima di entrare nel merito del provvedimento, è necessario soffermarsi sul quadro normativo. Lo spostamento di comuni o province da una regione ad un'altra è consentito dall'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, il quale prevede a questo scopo un apposito procedimento. Il comma citato stabilisce infatti che: «Si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della provincia o delle province interessate e del comune o dei comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i consigli regionali, consentire che province e comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una regione ed aggregati ad un'altra». Il testo vigente del comma in questione è quello risultante dalla riformulazione operata dall'articolo 9, comma 1, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ossia della legge che ha riformato il Titolo V della parte II della Costituzione. L'originaria formulazione del comma si limitava genericamente a richiedere lo svolgimento di un referendum, senza specificare né se l'esito dovesse essere favorevole né quali popolazioni dovessero essere interpellate. La novella introdotta dalla citata legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha precisato che, per la modifica territoriale, è necessaria l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della provincia (o delle province) e del comune (o dei comuni) interessati al distacco. È stato in tal modo circoscritto alle popolazioni interessate al distacco l'ambito territoriale al cui interno deve aver luogo la consultazione referendaria. A parte la disposizione costituzionale occorre tenere presenti le norme di attuazione che sono contenute nel Titolo III (articoli 41 e seguenti) della legge n. 352 del 1970, la quale reca le norme di attuazione sui referendum previsti dalla Costituzione e sull'iniziativa legislativa del popolo.
Nel corso della XIV legislatura la Camera dei deputati ha approvato una proposta di legge per adeguare la legge n. 352 del 1970 al nuovo testo costituzionale, ma il provvedimento non ha completato la lettura del Senato.
L'articolo 42, secondo comma, della legge n. 352 del 1970 prevede - o meglio prevedeva, come vedremo - che la richiesta del referendum per il distacco o aggregazione di enti locali da una regione ad un'altra deve essere corredata delle deliberazioni, identiche nell'oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle province e dei comuni di cui si propone il distacco, nonché di tanti consigli provinciali o comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione, dalla quale è proposto il distacco delle province o dei comuni predetti, nonché di tanti consigli provinciali o comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della regione, alla quale si propone che le province o i comuni siano aggregati.
Tale disciplina era stata da tempo denunciata come incostituzionale dalla dottrina, in quanto impone per la richiesta del referendum adempimenti non previsti dal testo costituzionale, dal quale risulta chiaramente che a fare richiesta del distacco devono essere solo i comuni o le province che vogliono staccarsi. L'incostituzionalità in questione è stata accertata con la sentenza della Corte costituzionale n. 334 del 2004. Secondo la disciplina che ne risulta la richiesta di referendum deve essere corredata delle deliberazioni dei soli consigli provinciali o comunali delle province o dei comuni di cui si propone il distacco.
Il successivo articolo 44, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, non toccato espressamente dalla sentenza della Corte, prevede tuttora che il referendum sia indetto sia nel territorio della regione, dalla quale le province o i comuni intendono staccarsi, sia nel territorio della regione, alla quale le province o i comuni intendono aggregarsi.
Nella già menzionata sentenza n. 334, tuttavia, la Corte costituzionale ha affermato il principio secondo cui l'espressione popolazioni della provincia o delle province interessate e del comuni o dei comuni interessati, utilizzata dall'articolo 132, secondo comma, nel testo ora vigente, Pag. 36deve intendersi riferita soltanto ai cittadini degli enti locali direttamente coinvolti nel distacco o aggregazione.
Oggi, pertanto, il referendum sulle proposte di distacco o aggregazione di comuni o province da una regione ad un'altra sono indetti soltanto nel territorio dei comuni o delle province in questione.
Ai sensi della legge n. 352 del 1970 agli accertamenti preliminari e successivi al referendum provvede l'ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione. In particolare la proposta referendaria è dichiarata approvata se il numero dei voti attribuiti alla risposta affermativa al quesito referendario non è inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni, nei quali è stato indetto il referendum, altrimenti è dichiarata respinta (ciò in base all'articolo 45, primo e secondo comma).
Per quanto riguarda il caso in esame, la richiesta di referendum è stata formulata dal comune di Lamon con la delibera n. 6 dell'8 marzo 2005 ed è stata dichiarata legittima con ordinanza dell'ufficio centrale per il referendum del 3 maggio 2005. Il referendum è stato indetto con il decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2005 e si è svolto il 30-31 ottobre 2005. Come risulta dal comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 novembre 2005, n. 264, al referendum ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto ed il risultato è stato favorevole al distacco del comune di Lamon dalla regione Veneto ed alla sua aggregazione alla regione autonoma Trentino-Alto Adige.
In caso di approvazione di un referendum di questo tipo, la legge n. 352 prevede che il Ministro dell'interno, entro sessanta giorni dalla pubblicazione del risultato del referendum nella Gazzetta Ufficiale, deve presentare al Parlamento un disegno di legge che dispone la variazione territoriale. All'indomani del referendum il Governo non ha, però, presentato il provvedimento in questione nel termine anzidetto. La Commissione Affari costituzionale della Camera dei deputati, già nella XIV legislatura, ha quindi deciso di procedere su proposte di legge di iniziativa parlamentare che disponevano lo spostamento del comune di Lamon.
Nella XV legislatura accanto alle proposte di legge di iniziativa parlamentare che erano state ripresentate c'è stata la presentazione di un disegno di legge del Governo. Più precisamente il Governo, cioè il Governo Prodi «numero 2», ha presentato un disegno di legge costituzionale (si tratta dell'Atto Camera n. 1427). Infatti nel corso dell'esame svolto alla Camera sia nella XIV sia nella XV legislatura è stato discusso il problema se la legge ordinaria, prevista dal secondo comma dell'articolo 132 per provvedere allo spostamento di comuni in generale, sia idonea anche quando tale spostamento modifichi confini di regioni ad autonomia speciale. Dal momento infatti che gli statuti di queste ultime sono adottati - come è noto - con legge costituzionale si può ipotizzare che quando nelle variazioni di confine è coinvolta una regione a statuto speciale sia necessaria la legge costituzionale. Per questa conclusione si sono orientate sia la maggioranza della Commissione affari costituzionali sia il Governo che - come detto - ha nella scorsa legislatura presentato il disegno di legge Atto Camera n. 1427. Per completezza aggiungo che nella presente legislatura il Governo non ha presentato un nuovo disegno di legge su Lamon.
Come ho detto, l'articolo 132 richiede l'acquisizione dei pareri dei consigli regionali sulla richiesta di distacco e aggregazione. La Commissione affari costituzionali, in coerenza con l'assunto secondo cui la modifica dei confini in questione deve essere stabilita con legge costituzionale in quanto incide indirettamente sullo statuto del Trentino-Alto Adige, ha ritenuto di dover acquisire, oltre al parere del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e ugualmente del Veneto, anche il parere dei consigli provinciali delle province autonome di Trento e di Bolzano. Infatti l'articolo 103 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige prevede che sui progetti di modifica dello statuto siano sentiti, oltre al consiglio regionale, anche i consigli Pag. 37provinciali. La Presidenza della Camera, su impulso del Presidente della I Commissione, ha provveduto nel 2006 a chiedere ai due consigli regionali e ai due consigli provinciali interessati di esprimere entro due mesi il parere sui progetti di legge che disponevano il distacco e aggregazione di Lamon.
In mancanza di indicazione nella Costituzione e nella legge di attuazione si è ritenuto di stabilire questo termine di due mesi sulla base di una estensione analogica del termine dall'articolo 103 dello statuto del Trentino-Alto Adige per l'espressione dei pareri sui progetti di modifica dello statuto stesso. Il consiglio regionale del Trentino-Alto Adige ha espresso parere contrario all'aggregazione nella seduta del 16 gennaio 2007, sostenendo fra l'altro che l'articolo 132 della Costituzione non è applicabile alla regione Trentino-Alto Adige e alle province autonome di Trento e di Bolzano in quanto regioni a statuto speciale, e che la modifica del loro territorio può avvenire solo con espressa modifica dello statuto di autonomia, e previa intesa con i consigli regionali e provinciali. La tesi secondo cui l'articolo 132 non sarebbe applicabile alle regioni a statuto speciale è stata peraltro confutata dalla Corte costituzionale, la quale con la sentenza n. 66 del 2007, pronunciata in relazione ad un altro caso di distacco - aggregazione, quello del comune di Noasca dal Piemonte alla Valle d'Aosta, ha chiarito che l'articolo 132, secondo comma, si applica indistintamente a tutte le regioni, comprese quelle a statuto speciale.
La Corte non ha peraltro preso posizione sul punto se in caso di coinvolgimento delle regioni a statuto speciale sia necessaria una legge costituzionale. Quanto al Consiglio regionale del Veneto, questo non si è mai espresso. Il 14 novembre 2006 la I commissione consiliare si è espressa a maggioranza in senso favorevole al distacco e la proposta di esprimere parere favorevole è stata rimessa al plenum del consiglio regionale. Qui c'è stato un acceso dibattito in quanto il Presidente della regione, l'onorevole Galan, era contrario al distacco di Lamon, ed è arrivato - a quanto risulta - a minacciare le proprie dimissioni. Sta di fatto che il Consiglio regionale, nella seduta del 14 dicembre 2006, ha rinviato la questione alla commissione consiliare per un supplemento di istruttoria e la questione non è stata mai più ripresa. Come ho ricordato, la Presidenza della Camera nel richiedere il parere regionale aveva fissato il termine di due mesi dalla richiesta.
Trascorsi diversi mesi da tale richiesta, senza che la regione Veneto si fosse espressa, la Commissione affari costituzionali - parliamo sempre della XV legislatura - ha ritenuto, anche alla luce di quanto era accaduto nel consiglio regionale del Veneto, che sussistessero le condizioni per proseguire l'esame. Decidere di procedere senza il parere regionale, che è previsto dalla Costituzione, è stata una scelta importante. Sottolineo che non esistono precedenti di un altro caso come questo, in quanto nell'unico altro caso di distacco e aggregazione esaminato dal Parlamento, quello relativo al passaggio di sette comuni dell'Alta Valmarecchia dalle Marche all'Emilia Romagna, i pareri regionali risultavano espressi. La scelta della Commissione è stata basata sulla considerazione che non procedere a causa della protratta inazione del consiglio regionale veneto avrebbe di fatto significato conferire al consiglio regionale stesso un potere di veto sul procedimento, il che è però del tutto estraneo alla ratio dell'articolo 132 che prevede, da parte dei consigli regionali, l'espressione di un parere non vincolante per il legislatore.
La Commissione affari costituzionali ha pertanto deciso di andare avanti espletando sui testi in esame l'ordinaria fase emendativa ed acquisendo sul testo risultante da questa fase i pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva. Quindi, il 26 luglio 2007 ha conferito al relatore il mandato di riferire all'Aula in senso favorevole. Si segnala, peraltro, che la Conferenza dei presidenti di gruppo aveva iscritto il provvedimento nel calendario dei lavori dell'Aula per lunedì 30 luglio 2007, anche se poi la discussione Pag. 38non si è tenuta. La XV legislatura si è poi interrotta anticipatamente e, come ho detto, il testo elaborato nel 2006 è stato ripreso all'inizio della nuova legislatura con la procedura di ripescaggio. Infatti, il 28 ottobre 2008, ormai quasi quattro anni fa, la Commissione ha deliberato di adottare, come testo base, la proposta di legge costituzionale Dussin Atto Camera n. 1698 che, come ho detto, differisce dalla proposta di legge costituzionale Bressa Atto Camera n. 1455 solo per un dettaglio di forma e di adottare per essa la procedura prevista dall'articolo 107, comma 3, del Regolamento, deliberando, quindi, di conferire a me, in qualità di relatrice, il mandato di riferire all'Assemblea in senso favorevole sul testo.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, questa proposta di legge costituzionale ci lascia molto perplessi. Si tratta di una norma vecchia che ha il sapore di una sorta di captatio benevolentiae di fine legislatura. Peraltro, riteniamo che fosse più opportuno occuparsi della normativa di riforma dell'articolo 132, sotto forma ovviamente di proposta di legge costituzionale, che è all'attenzione della I Commissione. Siamo abbastanza perplessi perché, arrivati a questo punto della legislatura, quattro passaggi ci sembrano piuttosto improbabili e, quindi, il pensiero di cui parlavo prima della captatio benevolentiae si fa sempre più strada dentro di noi.
Anche questo richiamo al terzo comma dell'articolo 107 del Regolamento, cioè di andare ad affrontare ora, in questa sede, a questo punto della legislatura, una normativa che la I Commissione della Camera non ha esaminato, se non nelle forme, come dicevo prima, del terzo comma dell'articolo 107, depone per una situazione un po' particolare. Andando nel merito, è vero - e questo lo voglio dire come prima cosa - che i cittadini di Lamon, sebbene parecchio tempo fa, si sono espressi con forza e con chiarezza. Abbiamo incontrato il sindaco di Lamon che ci ha fatto presente che quasi tutto il corpo elettorale possibile, essendo una buona fetta dei cittadini di Lamon all'estero, si è presentato alle urne e che il 90 per cento si è espresso a favore di questo distacco.
Ma questo ci fa più che altro pensare di aprire il dibattito sul senso che possano ormai avere le province autonome, ma anche le regioni autonome, nel momento in cui stiamo ripensando ad una ristrutturazione di tutta l'architettura costituzionale ed anche delle regioni e degli enti locali. Inoltre, visto che la collega Pastore ha citato en passant la «tragedia» del distacco di sette comuni del Montefeltro, faccio anche presente che tante volte ciò che sembra luccicare come oro, oro non è, perché i sette comuni del Montefeltro ora probabilmente, mentre pensavano di andare nel «paese del bengodi» della provincia di Rimini, rischiano di ritrovarsi nella grande provincia della Romagna con capoluogo a Ravenna, quando lamentavano che Pesaro era troppo lontana, mentre se fossero rimasti nelle Marche sarebbero rimasti parte della provincia di Pesaro, che rimane tale. Ma detto questo, che è poco più di una battuta, mi corre l'obbligo di ricordare che la provincia di Trento, come ricordava correttamente la collega relatrice, si è espressa contrariamente. Ciò ha fatto anche la provincia di Bolzano, così chiudendo la contrarietà, per quella che è la struttura della regione Trentino-Alto Adige, dell'intero territorio regionale. Altra particolarità, anche se in qualche modo condivido quello che diceva l'onorevole Pastore, è che non c'è il parere della regione Veneto. Ci limitiamo a considerare il parere, tra l'altro vetusto, della I commissione consiliare della regione Veneto, anche se effettivamente non si può ritenere che il parere non vincolante ma necessario della regione abbia poi la facoltà di ostacolare la procedura. Però anche questo è un ulteriore problema sulla strada dell'analisi di questa problematica.
Così come, anche se la Corte costituzionale ha già risolto questa problematica, l'essere superiore della legge costituzionale Pag. 39rispetto al rango costituzionale dello statuto della provincia di Trento, che prevede che il proprio territorio deve essere previsto - ed in questo caso quindi ci vorrebbe una modificazione che la provincia di Trento non avrebbe intenzione di fare, se non al passaggio, quindi obbligata e coartata da questa legge costituzionale - come dicevo ci vorrebbe una modifica dello statuto della provincia.
Allora, francamente io ritorno a quello che dicevo all'inizio: probabilmente prima di occuparci, dopo quasi dieci anni, in questo momento della legislatura, delle volontà del comune di Lamon, dovremmo forse occuparci in primo luogo della revisione dell'articolo 132 della Costituzione, in secondo luogo forse della revisione dell'architettura dello Stato, che diventa quanto mai urgente in quanto abbiamo effettivamente bisogno di ridurre drasticamente i comuni, di azzerare - come noi diciamo da tempo, ma come molti, in maniera molto meno coerente di noi, hanno detto in quest'Aula - le province e accorpare - vivaddio! - le regioni, per snellire una struttura che funziona male e costa troppo. In quest'ambito probabilmente sarebbe il caso di porsi il problema di cosa fare delle regioni a statuto speciale e delle province autonome che forse, e lo vediamo con il comune di Lamon, in maniera a volte falsa fungono da specchietto per le allodole, da attrattiva che forse non è poi così attraente, sì da creare problematiche come questa, che - come ho iniziato concludo - ci lasciano estremamente perplessi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gidoni. Ne ha facoltà.

FRANCO GIDONI. Signor Presidente, è evidente che prima di esaminare il caso Lamon vanno fatte alcune considerazioni, va disegnata una cornice.
Tra l'altro, ringrazio la collega Pastore per averlo fatto, ma credo che alcune cose vadano poi puntualizzate. Ad esempio, l'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, che recita, e lo richiamiamo: «Si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della provincia o delle province interessate e del comune o dei comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i consigli regionali, consentire che province e comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una regione ed aggregati ad un'altra». Pertanto, questo è un principio assolutamente previsto dalla Costituzione.
Tra l'altro, le disposizioni attuative della norma costituzionale, in particolare lo svolgimento del referendum, sono contenute nell'articolo 41 e seguenti della legge 25 maggio 1970, n. 352. In particolare, la citata legge prevede che l'ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, accerti la legittimità della richiesta del referendum, indetto con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei ministri. L'ufficio centrale per il referendum procede, quindi, all'accertamento e alla proclamazione dei risultati. La proposta è dichiarata approvata se il numero dei voti attribuiti alla risposta affermativa del quesito del referendum non sia inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il referendum.
Ora, dobbiamo anche cercare di capire perché Lamon, ad un certo punto, decide di fare questo. E ci viene in aiuto, credo, anche per chiarire i termini della questione, il recente Libro bianco sulla montagna veneta, redatto dall'Unione artigiani e piccola industria di Belluno. Cosa emerge da questa indagine per il comune di Lamon? Emerge questo. Per quanto riguarda le variabili socio-demografiche, il comune di Lamon ha un tasso di natalità - sono dati del 2010 e, quindi, abbastanza recenti - del 6,31 per cento, un tasso di mortalità del 17,08 per certo - quindi, si muore tre volte di più rispetto a quanto si nasce -, un tasso di emigrazione di quasi il 20 per cento, un'immigrazione del 14 per cento, un indice di vecchiaia del 321, un indice di dipendenza degli anziani del 50, un indice di dipendenza dei giovani del 15, una struttura di popolazione attiva di Pag. 40140,84, una percentuale di anziani oltre i 75 anni del 16 per cento, un indice di invecchiamento del 30, una percentuale di giovani del 9, con un tasso di crescita della popolazione del meno 8 per cento.
Ma andiamo a vedere anche quali sono i dati delle variabili socio-economiche strutturali. Lamon ha un reddito medio dichiarato pro capite di 18.312 euro, un tasso di attività del 51 per cento, un tasso di occupazione del 50 per cento, un bassissimo tasso di disoccupazione, dello 1,70 per cento; 37 addetti ogni mille abitanti nei settori dell'industria, 105 ogni mille abitanti nei servizi; 1,50 arrivi turistici per abitante, le presenze turistiche sono 18 per abitante, 0,96 alberghi per abitante - quindi, sicuramente, non è un territorio a vocazione turistica - e, sto per chiudere la statistica, 0,64 sportelli bancari ogni mille abitanti; quindi, anche da un punto di vista economico, sicuramente, non vi è una grande presenza del sistema bancario.
Ma questo quadro cosa porta? Porta a definire il comune di Lamon come un comune totalmente montano, con un indice di sviluppo demografico e socio-economico di meno 5,6 per cento, un indice di sviluppo economico strutturale del meno 3 per cento, un indice di sviluppo generale del meno 4,8 per cento. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che il comune di Lamon si colloca, in quella che è la statistica della montagna veneta, nel «gruppo 1», ovvero la montagna del malessere demografico ed economico strutturale. Ovvero, tutti gli indicatori di sviluppo, sia quello demo-socio-economico, sia quello economico strutturale che quello di sviluppo generale, hanno valori inferiori ai corrispondenti indicatori regionali.
Si tratta, in definitiva, di un sistema montano che ha ancora, al suo interno, valide potenzialità di sviluppo, che necessitano però di essere valorizzate e sostenute in primis favorendo il recupero demografico. Allora, è chiaro che una popolazione che si vede invecchiare, una popolazione che deve immaginarsi un futuro diverso, una popolazione che risiede ed è incuneata tra la bassa Valsugana e il Primiero, che sono due aree del Trentino, si ponga il problema, si guardi intorno e cerchi di costruirsi un futuro. E come fa questa ricerca di un futuro diverso?
Su questo ci aiuta Annibale Salsa, l'ex presidente del CAI, fine conoscitore della antropologia, specie della montagna, che nel sul libro «Il tramonto delle identità tradizionali. Spaesamento e disagio esistenziale nelle Alpi » ben descrive quello che succede: Si parla spesso a proposito o a sproposito di identità alpina con l'intento di capire se esista una specificità culturale o etnica tale da giustificare una sorta di idealtipo alpino. Posto che un approccio siffatto si configura come antropologicamente discutibile e legato a stereotipi datati, se vogliamo cogliere il focus di una qualche identità alpina, esso va evidenziato proprio in rapporto alla transfrontalierità. La parola in questione fa riferimento a quel concetto di frontiera fra Stati che la storia moderna d'Europa è andata via via sostituendo alla nozione più pertinente di confine fra territori. Si pensi ai termini della nomenclatura contadina: colla dei termini, plan de cunfin e così via. Il fronteggiarsi sulle linee displuviali o su quelle di cresta appartiene a una cultura nazionalistica e sciovinistica che si è andata affermando con la nascita degli Stati-nazione e che si è tramutata in una cultura di guerra di cui le Alpi sono state teatro ad ovest come ad est. Vivere nelle Alpi significa di nuovo mettersi in relazione simbiotica tra opposti versanti e praticare quella cultura dell'interazione di cui ci si era dimenticati.
Questo è quello che fa la popolazione di Lamon: cancella il confine tracciato tra la provincia di Trento e la provincia di Belluno, lo cancella, riscopre le antiche culture, riscopre di avere dei rapporti con la vicina bassa Valsugana, di averli avuti con il vicino Primiero, di parlare una lingua di un ceppo uguale, di avere gli stessi usi e tradizioni. Di più, Lamon faceva parte della diocesi di Feltre e la diocesi di Feltre gestiva il Primiero come la bassa Valsugana e quindi è un ritorno all'origine. Da qui scatta la molla; da qui scatta quell'elemento che fa dire alla popolazione di Lamon: perché non tornare a Pag. 41riunirsi a quelle popolazioni che stanno al di là del displuvio? Qui entra in ballo l'articolo 132. Il comune fa una delibera, viene autorizzato il referendum e chi, come me, era lì ha assistito, in quei primi giorni di autunno, al fervore nel comune di Lamon, un comune dove tanta è l'immigrazione, i cittadini andavano a ricercare gli emigranti in Francia, in Svizzera e in Germania, addirittura organizzavano delle auto che andassero a prenderli; un grande scatto di orgoglio di questa popolazione che vuole partecipare a un futuro diverso. Vi è poi stata felicità, quel 30 ottobre 2005, di vedere il 61,6 per cento dei propri cittadini aventi diritto al voto a partecipare al referendum e quindi superare di un balzo il quorum della maggioranza e il voto favorevole al distacco del comune da parte del 92,9 per cento dei votanti. Questo sembrava un risultato, una specie di inizio di un cammino gandhiano che portasse alla riunione di questa popolazione con le popolazioni del vicino Trentino. È chiaro che la corsa comincia a diventare ad ostacoli, nel senso che stiamo parlando del 2005 e qui ormai siamo giunti al 2012. Il primo ostacolo forse, da cui si capisce che la cosa non sarebbe stata così facile e che sarebbe stato un percorso tutto in salita, lo si vede già nelle previsioni dell'articolo 45 della legge n. 352 del 1970: il Governo avrebbe dovuto, entro 60 giorni presentare un disegno di legge, in realtà questo non avviene e nell'inerzia del Governo, era allora in carica il Governo Berlusconi, si era attivata l'iniziativa dell'onorevole Boato alla quale era seguita la presentazione di un disegno di legge costituzionale del Governo in data 20 luglio 2006, di iniziativa del Ministro Amato e del Ministro Lanzillotta, che però non approdò ad approvazione.
È chiaro che la questione giuridicamente più rilevante e che noi condividiamo, è costituita dalla necessità di ricorrere allo strumento della legge costituzionale allorché si tratti di aggregazione ad una regione a statuto speciale. In tal caso il Governo ha ritenuto imprescindibile il ricorso ad una fonte di pari grado rispetto allo statuto speciale e quindi alla fonte costituzionale anche in considerazione del fatto che la variazione territoriale, distacco-aggregazione che interessa il comune di Lamon, andrebbe ad incidere anche sul territorio di una regione ad autonomia differenziata. Tale scelta non è tuttavia pacifica poiché il secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione fa riferimento ad una legge ordinaria e non sembra autorizzare una distinzione allorché la modifica territoriale riguardi una regione a statuto speciale.
Tale considerazione sembra confermata dalla sentenza n. 66 del 2007 della Corte costituzionale, che ha respinto la diversa prospettazione alla regione Val d'Aosta. Quindi, giustamente, il collega Dussin opta per un progetto di legge di tipo costituzionale, che noi, evidentemente, condividiamo, perché vogliamo evitare che vi siano ostacoli tecnici a una sua definitiva approvazione. Come e per quanto detto, evidentemente, la Lega Nord esprime una posizione favorevole alla proposta in esame, in quanto corrisponde esattamente alla volontà manifestata chiaramente dalla popolazione di Lamon. Condividiamo le preoccupazioni del collega Favia sul fatto che la cosa arrivi in zona Cesarini: evidentemente, in piena fase di chiusura della legislatura, difficilmente si riuscirà ad avere le quattro letture tra Camera e Senato. Però, evidentemente, quello che interessa alla Lega Nord è sollevare il problema, e già con le votazioni dei prossimi giorni - se ci sarà permesso - arriveremo quanto meno a definire i contorni della vicenda, quanto meno a capire chi su questo progetto ci sta oppure chi intende avere un'opinione diversa. È chiaro che questa discussione va oltre. Infatti, vi ho citato i dati del Libro bianco sulla montagna veneta: è chiaro che questo è un discorso che coinvolge una parte del nostro territorio, nel mio caso la montagna veneta, ma coinvolge anche tante altre parti d'Italia. Viene quasi da dire che oggi, in Aula, se Maometto non è andato alla montagna è la montagna che è venuta a Maometto, nel senso di porre questo Parlamento di fronte alla difficoltà e alle varie Pag. 42realtà che la montagna vive e alle risposte che essa attende da questo Parlamento, in termini di politiche per lo sviluppo e la sopravvivenza delle genti delle Alpi. Che il tema della montagna non sia, evidentemente, un tema solo e prettamente di questo Parlamento o dell'Italia lo dimostra, in merito, il Trattato di Lisbona. Vorrei ricordare che l'Unione europea, con il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ha riformato l'articolo 174 e lo ha riscritto nel modo seguente: «Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna».
Quindi, il Trattato ha ben presente il problema. Tra l'altro, l'articolo 175 stabilisce: «Gli Stati membri conducono la loro politica economica e la coordinano anche al fine di raggiungere gli obiettivi dell'articolo 174. L'elaborazione e l'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, nonché l'attuazione del mercato interno tengono conto degli obiettivi dell'articolo 174 e concorrono alla loro realizzazione».
Dunque, l'impatto di tali enunciati è evidente: i contenuti dell'articolo 174, in particolare il rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale delle zone che soffrono gravi e permanenti svantaggi, come è il caso delle zone montane, rappresenta un obiettivo primario del Trattato e informano le politiche degli Stati membri. Allora, sottosegretario, viene da chiedere quali sono queste politiche che l'Italia vuole applicare nei confronti di queste zone più deboli. Evidentemente le stiamo ancora attendendo, anche perché - non spetta a me dirlo -, come lei saprà, a valle del referendum di Lamon, a testimoniare il malessere che si vive in montagna, non solo quella veneta, si sono succeduti i referendum di sette comuni dell'Altipiano di Asiago - che anche loro chiedono di andare sotto il Trentino - e i referendum di Colle Santa Lucia, di Livinallongo e Cortina, che vogliono tornare ad essere riuniti alla Ladinia storica e tornare sotto Bolzano, da cui sono stati separati nel 1923.
Ricordo, inoltre, il referendum dell'enclave germanofona di Sappada che chiede di tornare sotto Udine.
Quindi, vede, il problema non è solo Lamon, ma di dare risposta a tutte queste realtà che non trovano nelle politiche applicate da questo Governo una risposta. Noi, come Lega, un tentativo lo avevamo fatto. Noi eravamo convinti che con l'applicazione del federalismo fiscale anche queste situazioni con i fondi perequativi si sarebbero potute perequare per dare a loro un futuro diverso rispetto a queste forze centrifughe che le portano ad andare verso le regioni autonome.
È chiaro che la questione delle regioni autonome confinanti con il Veneto è un problema aperto. Su questo condivido il parere del collega Favia. Restano due i temi principali a cui bisognerebbe dare risposta. Bisognerebbe dare risposta a chi sostiene che è sbagliato criticare i privilegi di Bolzano perché, anche se venissero aboliti, a chi ci sta vicino non ne verrebbe niente, oppure bisognerebbe dare una risposta a chi sostiene che criticarle è un errore, perché il nostro obiettivo deve essere quello di tenerli a nostra volta, essendo quello l'unico modo per far vivere la montagna.
Sono due quesiti che in quest'Aula lascio a lei, sottosegretario, ricordandole, nella revisione dei confini provinciali che la provincia di Belluno, insieme a Sondrio, è l'unica provincia montana così definibile nell'ambito del territorio italiano. La provincia di Belluno, tra l'altro, rappresenta il 20 per cento dell'intero territorio del Veneto, seppur abitato da soli 220 mila abitanti che ne fanno il presidio della sicurezza idraulica della sottostante pianura Pag. 43veneta. Questa provincia rischia di sparire per venire fagocitata non si sa bene in quale altro riordino.
Ripongo il tema a lei, perché so che a ottobre questa cosa dovrà essere discussa e mi auguro che come Lamon fa sentire oggi la sua voce all'interno di quest'Aula, anche la provincia di Belluno possa cogliere da lei un assenso e possa portare questa problematica all'interno del Consiglio dei Ministri (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, desidero ringraziare la relatrice, la collega Pastore, per la ricostruzione puntuale e lucida che ha fatto della questione Lamon. Vedete, noi ci troviamo di fronte ad una palese omissione da parte del Parlamento di quelli che sono i compiti che Costituzione e ordinamento gli assegnano. Non ripeterò le cose dette dalla collega Pastore. Sottolineerò solo un fatto: noi, come Parlamento, non diamo una risposta alla popolazione del comune di Lamon che ha celebrato nel novembre del 2005, a norma di legge, un referendum che ha visto una partecipazione di oltre il 61 per cento degli abitanti, con un consenso del 93 per cento alla ipotesi di passaggio dalla regione del Veneto alla regione del Trentino-Alto Adige e, nella fattispecie, alla provincia autonoma di Trento.
Quindi noi siamo omissivi rispetto ad un percorso che Costituzione e ordinamento tracciano in maniera non equivoca. Si potrà non essere d'accordo su questo tipo di percorso, ma questa è la legge. Il principio di legalità dovrebbe soccorrerci in questi casi. Così come è stato omissivo il Governo Berlusconi ed è omissivo per conseguenza, non avendo assunto alcuna iniziativa, il Governo Monti. L'unico Governo che si fece carico del rispetto delle norme fu il Governo Prodi nel 2007, anche in quel caso in ritardo e - devo dire, per ragione di verità - sollecitato dalla presentazione di una proposta fatta dall'allora collega Marco Boato.
Il Governo Prodi presentò, a firma dei Ministri Amato e Lanzillotta, una proposta di legge che contestava, diciamo così, il principio al quale si faceva riferimento, dicendo che l'articolo 132, secondo comma, andrebbe in qualche modo modificato, e conseguentemente la legge ordinaria di attuazione andrebbe modificata, ma seriamente lo applicava. Fintantoché non si cambierà il secondo comma dell'articolo 132 la popolazione di Lamon e tutte le popolazioni che faranno ricorso a un procedimento analogo dovranno vedersi garantito il diritto e il Parlamento e il Governo avranno il dovere di rispettare, per il principio di legalità, la norma attualmente vigente.
Ecco perché è difficile sottrarsi a questo tipo di responsabilità parlamentare. Si possono utilizzare argomenti di tipo politico per dichiararsi non d'accordo, ma non si può, credo, strumentalizzare un atto che tardivamente arriva a compiere un percorso che è, invece, chiaramente segnato. Detto questo, vorrei però che noi facessimo una riflessione un po' più larga, anche per rispondere ad alcune preoccupazioni che il collega Gidoni ha poc'anzi illustrato all'Aula.
Il collega Gidoni ha posto seriamente un problema, ma ha utilizzato degli argomenti che sono scarsamente credibili per sostenere la soluzione del problema e, quindi, per favorire il passaggio del comune di Lamon dal Veneto al Trentino- Alto Adige. Giustamente il collega Gidoni ha posto la questione del problema della montagna, che, nel caso particolare, è il problema della montagna veneta, ma è il problema complessivo della montagna nella nostra Repubblica.
Quando fu approvata la riforma del Titolo V non fu, a caso, introdotto il terzo comma dell'articolo 116, quello che recita che condizioni e forme particolari di autonomia possono essere affidate alle regioni a statuto ordinario. L'estensore di quell'emendamento sono stato io e mi sono battuto a lungo. Mi ricordo che, in Commissione bicamerale, la prima volta, quindi era il 1996, che lo presentai non raccolsi un grande consenso. Votammo a Pag. 44favore di quell'emendamento io, il collega Boato e il collega Zeller. Tutti gli altri si dichiararono contrari a introdurre per le regioni a statuto ordinario forme particolari di autonomia.
Fortunatamente il tempo è passato e in quei cinque anni il Parlamento ha maturato una convinzione diversa, al punto che ha approvato il terzo comma dell'articolo 116, attualmente vigente, che consente alle regioni a statuto ordinario di dotarsi, di chiedere funzioni particolari, competenze particolari su alcuni temi, ed è evidente che il tema della montagna veneta costituisce uno di questi temi. Era questo il punto dal quale ero partito, avendo avuto l'esperienza di essere stato il sindaco di una città, di un capoluogo montano come Belluno e avendo avuto la possibilità di confrontarmi con le potenzialità che avevano i miei colleghi sindaci di Trento, di Bolzano, di Pordenone, di Udine. Partendo dalla mia esperienza diretta avevo elaborato un'ipotesi che consentisse alle regioni a statuto ordinario di favorire forme e condizioni particolari di autonomia.
C'è da dire che questo tipo di opportunità non è stata utilizzata da alcuna regione. Se probabilmente l'allora presidente Galan, che, diciamo così, in maniera dura e convinta si è sempre opposto a che il Consiglio regionale del Veneto si esprimesse sul passaggio di Lamon da Belluno a Trento, avesse provveduto a proporre al Parlamento una legge che consentisse di attribuire al Veneto condizioni e forme particolari di autonomia, in particolar modo con riferimento ai temi della montagna veneta, oggi noi non saremmo qui a fare questo tipo di discussione.
Ma dirò di più: se l'attuale presidente della regione Veneto, il presidente Zaia, si fosse fatto carico di questo problema e - anche in costanza di maggioranza, perché la maggioranza che sostiene il presidente Zaia è quella che ha sostenuto il Governo Berlusconi fino alla sua caduta - avesse proposto una legge che avesse consentito al Veneto di dotarsi di poteri, forme e condizioni di autonomia particolari che potessero rispondere ai bisogni della montagna veneta, non saremmo in queste condizioni e questa sera non saremmo qui a fare questo tipo di ragionamento.
Perché - è vengo al mio motivo di dissenso argomentativo, non sul merito rispetto al collega Gidoni - il problema, onorevole Gidoni, non è la condizione statistica, demografica, economica e sociale del comune di Lamon, il motivo per cui tale comune chiede di passare nel Trentino. Quella è la condizione della stragrande maggioranza dei comuni della provincia di Belluno, perché quella è la stragrande condizione dei comuni montani in questa nostra Repubblica.
Quindi, non ha senso immaginare una fuga dal Veneto verso regioni a statuto speciale per motivazioni di carattere demografico, economico, sociale e - per parlare fuori da qualsiasi possibile equivoco - per ragioni di carattere economico e finanziario, stante la situazione di chiaro maggior favore da parte delle regioni a statuto speciale rispetto alle regioni a statuto ordinario. Allora, non è questo il motivo per cui Lamon ha chiesto di passare. Non è questo il motivo per cui Cortina, Livinallongo e Colle Santa Lucia chiedono di passare. Infatti, questi quattro comuni - e se vogliamo si potrebbe fare un discorso meno forte, ma comunque accettabile anche per il comune di Sovramonte - hanno delle motivazioni altre rispetto al disagio demografico economico e sociale che è terreno comune della realtà socio-economica e demografica della provincia di Belluno. Infatti, hanno delle particolarità che altri comuni non hanno. I tre comuni ladini storici Cortina, Livinallongo del Col di Lana e Arabba sono sempre appartenuti storicamente al grande Tirolo. Sono popolazioni a maggioranza di lingua ladina e che solo un'operazione avvenuta negli anni Venti per opera del fascismo hanno annesso alla provincia di Belluno. Il comune di Lamon non ha questo tipo di storia, ma ha altre particolarità che fanno sì che il comune di Lamon sia qualcosa di diverso dagli altri comuni. Infatti, è il settimo comune di una valle, la valle del Tesino che è tutta in territorio del Trentino-Alto Adige. Pag. 45
Nella valle del Tesino ci sono 6 comuni trentini e l'ultimo comune della valle, che comunque appartiene orograficamente a quel versante, che è il comune di Lamon, è nella provincia di Belluno. Allora c'è una storia di comunanza, di consuetudine e di interessi comuni che fanno che quella parte di quella valle, che è un tutt'uno con il resto della valle, appartenga ad un'altra regione, con la particolarità ancora più grave che sono due regioni a statuto diverso: una ordinario, l'altra speciale. Questa è la motivazione che ha fatto sì che il comune di Lamon abbia chiesto di passare. Questo ha fatto sì che i tre comuni di Colle Santa Lucia, Livinallongo del Col di Lana e Cortina abbiano chiesto di passare. Questa è la motivazione, anche se meno forte, della richiesta del comune di Sovramonte, che appartiene ad un'altra valle che è tutta orograficamente spostata in un territorio, quale quello del Primiero, che appartiene ad un'altra regione. Qui si potrebbero fare altri discorsi di carattere geografico, storico ed economico che non mi premuro di fare in questa occasione e in questo momento.
Ma se noi escludiamo questi cinque comuni - e per ordine di importanza io li definisco quattro più uno - circoscriviamo anche i comuni che, ai sensi e ai fini dell'articolo 132, comma 2, hanno delle motivazioni storicamente e geograficamente fondate per poter chiedere un passaggio. Infatti, se le motivazioni fossero quelle di carattere demografico, economico e sociale noi rischieremmo di arrivare a Reggio Calabria per un effetto di trascinamento di comuni che chiedono di essere annessi al Trentino-Alto Adige. Ma è del tutto evidente che questo non avrebbe senso.
È del tutto evidente, anche perché alcune scelte sono state fatte a favore di alcuni comuni ma non di altri. Il comune di Sappada, che ha una sua storia assolutamente interessante e importante perché è l'unico comune della provincia di Belluno che ha una comunità trilingue, italiana, tedesca e ladina, ha molto più in comune con la regione di Santa Maria Luggau, che è in Austria, che non con il Friuli Venezia-Giulia. In quel caso effettivamente c'è da chiedersi perché chiedano di passare da una provincia all'altra. Questo si potrebbe fare per altri comuni del Veneto. È per questo che bisogna avere anche la capacità di distinguere quali sono le motivazioni che portano alcuni comuni a chiedere di passare da una regione ad un'altra. Ed è per questo che, per quanto mi riguarda, il mio parere e la mia posizione è favorevole perché questo avvenga.
Ho presentato, all'inizio di questa legislatura, il testo del quale ero relatore nella passata legislatura e l'ho fatto per una mia coerenza personale. Ma, ricordo che in quell'occasione la Commissione si era pronunciata a maggioranza. Il partito della Lega, il Partito Democratico, altri partiti e la maggioranza dei partiti presenti in Commissione si erano espressi favorevolmente e avevano dato il mandato al relatore. Vi era una proposta del Governo che, pur criticando la problematicità del secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione, però conseguentemente lo attuava, perché non è pensabile che si possa immaginare che siccome non ci piace un articolo della Costituzione, e vogliamo cambiarlo, quell'articolo della Costituzione venga disapplicato. Stiamo attenti, perché se questa è la logica che sorregge alcune scelte politiche, dal punto di vista della politica istituzionale e costituzionale corriamo il rischio di creare precedenti pericolosissimi.
Per di più, in questo caso specifico, vi è una sentenza, ricordata dalla collega Pastore, della Corte costituzionale, che ha chiaramente spiegato che l'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, si applica a tutti e non vi è nessun tipo di eccezione per le regioni a statuto speciale. L'unica eccezione possibile per le regioni a statuto speciale è esattamente quella che è contemplata sia nella proposta di legge costituzionale d'iniziativa del deputato Dussin sia in quella da me presentata: sarà la provincia di Trento, in attuazione dell'articolo 103 dello statuto speciale di autonomia per il Trentino-Alto Adige, a definire le modalità con cui questo passaggio avverrà. Quindi, non vi è nemmeno Pag. 46una possibilità che il Parlamento vada oltre quello che è il compito costituzionalmente assegnatogli.
Allora, i termini della questione come correttamente - molto correttamente e per questo la ringrazio - ha illustrato la collega Pastore sono esattamente questi. Se non si vuole dare corso a questo provvedimento lo si fa solo perché vi sono motivazioni di carattere politico diverse, tutte assolutamente legittime. Ma sia chiaro che se non si vuole dare corso a questo provvedimento la motivazione è una motivazione di tipo politico, perché questo Parlamento è tenuto a rispettare il dettato costituzionale e il principio di legalità del nostro ordinamento che prevede che 60 giorni dopo la pubblicazione dell'effetto positivo di un referendum il Governo presenti un disegno di legge e il Parlamento lo approvi, per dare sostanza reale a quella che è stata una volontà popolare, espressa a norma di Costituzione e di leggi dell'ordinamento.
Questi sono i termini della realtà e della discussione di questa sera! Altro - lo ripeto - appartiene ad altro tipo di valutazioni, su cui non mi dilungo oltre. Sono tutte valutazioni legittime, ma è giusto che ciascuno si assuma la responsabilità della posizione che intende assumere in questo Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dionisi. Ne ha facoltà.

ARMANDO DIONISI. Signor Presidente, intervengo brevemente sul provvedimento al nostro esame, che ha avuto già un percorso definito nel corso della passata legislatura. Stiamo parlando della proposta di legge costituzionale che dispone il distacco del comune di Lamon dalla regione Veneto, in cui è attualmente compreso, e la sua aggregazione alla regione Trentino-Alto Adige e, per la precisione, nell'ambito della provincia di Trento.
Ricordo che la richiesta di referendum, ai sensi dell'articolo 132 della Costituzione, fu formulata, con delibera del comune di Lamon, nel marzo 2005.
Successivamente, fu dichiarata legittima in data 3 maggio 2005. Ricordo che anche il risultato del referendum, che ha visto partecipare la maggioranza degli aventi diritto, svoltosi il 30 ed il 31 ottobre 2005, è stato favorevole al distacco territoriale del comune di Lamon.
C'è da dire che il Governo, nella XV legislatura, in occasione della presentazione del disegno di legge conseguente al referendum, aveva ritenuto necessaria la presentazione di un disegno di legge costituzionale, in quanto - oltre ad ulteriori rilievi riguardanti l'applicazione dell'articolo 132 della Costituzione - la variazione territoriale (distacco o aggregazione) che interessava il comune di Lamon andava ad incidere anche sul territorio di una regione ad autonomia differenziata.
Al riguardo, dobbiamo dire che se, da una parte, si era espressa in merito anche la Conferenza unificata - che, nel suo parere, precisava che per le modifiche territoriali relative alle regioni a statuto speciale si doveva far riferimento alle procedure specificatamente previste al riguardo dai rispettivi statuti e ciò in quanto, secondo il citato parere, l'articolo 132 della Costituzione non troverebbe applicazione per i loro rispettivi territori - la delimitazione di questi sarebbe asseritamente garantita e condizionata all'avvenuta costituzionalizzazione dei medesimi confini, ossia da specificate previsioni inserite negli statuti di specialità. Dall'altra, la suddetta linea interpretativa, diretta - in altre parole - a prevedere sempre il meccanismo della revisione statutaria per ogni ipotesi di distacco e di aggregazione che coinvolga una delle regioni speciali, è stata successivamente e categoricamente disattesa dalla Corte costituzionale, che - con sentenza n. 66 del 2007 - ha affermato che l'articolo 132, primo e secondo comma, della Costituzione si riferisce pacificamente a tutte le regioni, ossia a quelle indicate nell'articolo 131, nel cui elenco sono previste anche le regioni a statuto speciale.
Il meccanismo della revisione statutaria, quello - si intende - delle regioni a Pag. 47statuto speciale non potrebbe valere anche ai fini delle modificazioni territoriali che riguardino altre regioni.
Vorrei ricordare che la Camera dei deputati trasmise i due testi ai consigli regionali del Veneto e del Trentino-Alto Adige, ai fini dell'acquisizione del parere previsto all'articolo 132 della Costituzione e che - mentre il consiglio regionale del Trentino-Alto Adige rese il proprio parere in senso contrario all'aggregazione, sostenendo appunto la non applicabilità alla regione Trentino-Alto Adige e alle province autonome di Trento e di Bolzano dell'articolo 132 e che la modifica del territorio degli enti medesimi potrebbe avvenire solo con espressa modifica dello statuto di autonomia e previa intesa con i consigli regionali e provinciali - il consiglio regionale del Veneto non rese, invece, il parere, rinviando la questione alla I commissione, che si era espressa invece a maggioranza a favore della proposta di delibera del distacco, per un supplemento di istruttoria.
Sappiamo anche che la I Commissione della Camera approvò il disegno di legge e lo trasmise all'Assemblea, che però non ne iniziò l'esame anche per la fine anticipata della legislatura.
Ora noi ci troviamo in Aula grazie al disposto dell'articolo 107, comma 3, del Regolamento della Camera con le due proposte di legge costituzionale, che riproducono il testo del disegno di legge presentato dal Governo nella precedente legislatura, senza che però che le criticità che ne hanno accompagnato l'iter siano state completamente eliminate, in primis il gradimento della regione accogliente.
Infine non può essere sottaciuta l'impressione che non vi sia il tempo sufficiente, nello scorcio residuo dell'attuale legislatura, per portare a termine la riforma costituzionale in favore del comune di Lamon e che il voto favorevole finirebbe per, inutilmente e pericolosamente, accentuare quel fenomeno egoistico e disaggregatore, come pure segnalato autorevolmente dal Capo dello Stato, che può portare ad una fuga di molti comuni verso le più protette regioni a statuto speciale e ai diversi vantaggi economici e fiscali. Un federalismo fai da te, inaccettabile e pericoloso, tanto più dinanzi allo straordinario impegno del Governo e del Paese per contrastare gli sprechi delle caste locali ed i fenomeni di disaggregazione.
In conclusione, il gruppo dell'Unione di Centro si riserverà di esprimersi definitivamente al riguardo, nel prosieguo dell'esame, e in fase di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, trovo che sia assolutamente legittimo che in un Parlamento le decisioni e le valutazioni abbiamo natura politica e non necessariamente di altro tipo. Se noi seguiamo i confini geografici o l'orografia di tutte le province italiane noi scopriamo che ci sono decine di storie, di situazioni, di vallate che sono di fatto quasi incluse in un'altra provincia, per cui se bastasse quello per una motivazione di cambiamento di una provincia probabilmente ci sarebbero tanti altri casi.
Perché - è questo l'interrogativo che dobbiamo porci - quei casi non si sono verificati - salvo situazioni, come ricordava il collega Favia, nella provincia di Pesaro - e in generale non ci troviamo di fronte a queste situazioni? Perché la spinta spesso è stata dettata da altre motivazioni ed è chiaro che tutti i comuni che vivono nelle vicinanze di regioni a statuto speciale o province autonome, come in questo caso, si trovano a convivere con forti differenze, non solo di autonomia, ma anche di amministrazione, diverse, ed i confronti si rendono facili, si rendono così facili perché altrimenti non si spiegherebbe come ci siano state leggi nel nostro Paese per assegnare a quei comuni di confine dei fondi da spendere proprio per superare il differenziale. Mi dispiace che il collega Bressa dica che è una motivazione che non dovrebbe essere presa in considerazione, abbiamo fatto leggi dando 20 milioni, 40 milioni, ora non ricordo le cifre, proprio ai comuni di confine, confinanti con le regioni a statuto Pag. 48speciale e con le province autonome, in particolare di Trento e di Bolzano, a significare il differenziale, il gap in termini finanziari che quei comuni hanno rispetto a comuni contermini.
D'altronde, basterebbe andarsi a prendere un po' di dati per capire che nelle regioni a statuto speciale... cioè voglio dire che questa è anche l'occasione per raccontarci e dirci se nell'Italia del 2012 ha ancora senso che sussistano delle differenze, che sussistano regioni di «serie A» e regioni di «serie B». Mi rendo conto che stiamo affrontando - e lo affrontiamo a quest'ora - un tema che richiederebbe certamente ben altro tempo, ben altri studi di base e ben altri ragionamenti, mentre questo è un ragionamento molto semplice e semplificato, ma anche lì vi furono ragioni storiche che portarono alla concessione di una speciale autonomia ben prima di quelle motivazioni; addirittura per le province autonome di Trento e di Bolzano siamo blindati dentro degli accordi internazionali, quindi addirittura ancora più difficilmente scalfibili.
Però in astratto ha ancora senso che nell'Italia del 2012, che si trova nell'Europa del 2012, che non è la stessa degli anni Cinquanta, sussistano così differenti condizioni di autonomia che portano necessariamente differenti condizioni di finanza e di trasferimenti non sono dallo Stato oppure non trasferimenti, semplicemente perché a quei luoghi si dà la possibilità di trattenere sul territorio le tasse che si producono, mentre nelle altre regioni a statuto ordinario questo non avviene? Questo va al di là del giudizio di merito sull'utilizzazione delle somme che ricevono o che hanno da gestire in più proprio per effetto di questa speciale autonomia queste regioni e queste province, ma la disparità di disponibilità finanziaria e di disponibilità ad investire e, quindi, a creare condizioni di vita assolutamente diverse tra un cittadino che sta al di qua o al di là del confine sono così evidenti che non ci sarebbe neppure bisogno di ricordarlo. C'è un bel piccolo particolare infatti: quelle province autonome e quelle regioni non concorrono alle spese generali del Paese, perché non si è mai fatta realmente una imputazione che tenesse conto anche delle spese generali; le spese generali non sono mai state addebitate a quei luoghi. È come se in un'azienda dicessi: adesso tu fai sempre parte dell'azienda, però faccio finta di niente, non ti addebito le spese generali aziendali e ti trasferisco quello che ti viene senza addebitarti queste spese. Questo è avvenuto ed è ciò che sta avvenendo nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome. Dopodiché - ribadisco - per chiunque abbia modo di vivere per motivi personali e familiari - io sono nato a Bolzano, dove ha vissuto per una parte della mia vita e ho vissuto per una parte della mia vita a Trento, poi mi sono spostato da lì, ho parenti che frequento mensilmente in queste zone - è evidente la disparità di trattamento, al di là - ripeto - della capacità che poi le amministrazioni hanno avuto di utilizzare bene o meno bene quel denaro. Certo anche in Sicilia resta una quota pressoché totale della tassazione sul territorio, così come resta nelle province autonome di Trento e Bolzano, dopo però andiamo a scoprire anche che dei presidenti delle due province, uno addirittura guadagna 25 mila euro al mese e la provincia ha la potenzialità economica del Molise, perché questa è la provincia di Bolzano dal punto di vista economico. Ci sono sindaci di piccoli paesi, di poco più di cento abitanti, che percepiscono delle indennità assolutamente in contrasto con i colleghi che vivono dall'altra parte del confine. Ci sono servizi che vengono concessi ai residenti in termini di aiuti per l'acquisto alle giovani coppie che si sposano, in termini di servizi resi dentro le università agli studenti, in termini di servizi di assistenza agli anziani, che sono praticabili solo ed esclusivamente perché esse differiscono dalle corrispondenti regioni ordinarie, che non hanno la possibilità di trattenere sul territorio le tasse come questi luoghi. Non voglio farla lunga e dire che la riflessione vera che dovrebbe essere fatta sta nel capire se non sia arrivata l'ora. Pag. 49
Non sto dicendo che si debba togliere qualcosa in termini di autonomia a questi territori, ma sto valutando che, forse, sarebbe l'ora che anche gli altri territori, quelli delle regioni a statuto ordinario, avessero gli stessi livelli di autonomia. Dopodiché, però, certi trasferimenti, che sono concessi da parte dello Stato alle regioni a statuto speciale o alle province autonome di Trento e Bolzano, evidentemente non sarebbe più possibile realizzarli, ove tutte le altre regioni godessero degli stessi livelli di autonomia. Basti pensare, per esempio, che noi siamo qui a discutere dell'abolizione delle province e alla provincia di Trento - ripeto - stesse dimensioni, più o meno anche da un punto di vista economico di produzione e di valore aggiunto, del Molise, si permette di avere le comunità di valle, che sono un altro livello istituzionale intermedio, che costa milioni e milioni di euro.
Allora, alla luce di un quadro come questo, il nostro voto, il voto dell'Italia dei Valori, sarà contrario e lo sarà per motivazioni assolutamente politiche - quindi non discuto di questo - che sono legate essenzialmente ad una riflessione che noi facciamo sul fatto che esistono italiani di «serie A» e italiani di «serie B» e che è evidente e normale che i cittadini di «serie B» cercheranno in tutti i modi di diventare cittadini di «serie A»: lo faranno soprattutto quelli che sono ai confini con questi ultimi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paniz. Ne ha facoltà.

MAURIZIO PANIZ. Signor Presidente, debbo dire grazie al comune di Lamon e ai cittadini di Lamon, perché con la loro iniziativa hanno portato all'attenzione nazionale una problematica non di poco conto.
Credo che lo Stato debba scusarsi con i cittadini di Lamon per non essere stato in grado, a tutt'oggi, di avere dato risposte congrue, non solo dal punto di vista della forma, perché un'attesa di sette anni per dare una risposta positiva o negativa rispetto al referendum del 2005 è inaccettabile, ma perché, dal punto di vista sostanziale, non bastano i fondi Letta e i fondi Brancher - cioè interventi che pur sono stati fatti in questi anni - a colmare il disagio per una montagna che soffre.
Lamon è il primo di molti paesi, di molti comuni, non solo della provincia di Belluno - dove si trova la gran parte di quelli che hanno mosso iniziative referendarie - ma il primo anche di altri comuni siti in altre regioni, che si sono mossi per evidenziare quanto amara è la constatazione che esistono nel nostro Paese cittadini di «serie A» e cittadini di «serie B».
Si tratta di comuni della provincia di Belluno, comuni della provincia di Vicenza - pensiamo ai sette dell'altopiano di Asiago - e comuni della provincia di Venezia, quale Cinto Caomaggiore. Sono comuni che hanno in comune un'unica cosa: la constatazione che l'erba del vicino è assolutamente più verde, che esiste cioè un diverso trattamento verso i cittadini, operato dallo Stato pur a fronte della constatazione che i cittadini di qua o di là dei singoli confini vivono in territori omogenei, senza sostanziali differenze di natura storica, di natura territoriale, di natura produttiva e di natura economico-finanziaria.
Una decina di comuni ha già votato il referendum. In provincia di Belluno, oltre a Lamon, si è mossa Sovramonte, che ha chiesto di andare con Trento. Cortina d'Ampezzo, Colle Santa Lucia e Livinallongo del Col di Lana hanno chiesto di andare con Bolzano. Sappada ha chiesto di andare con Udine. Altri referendum, come ho accennato, vi sono stati in altre province.
Una trentina di comuni del bellunese stanno predisponendo, richiedendo o apprestando le iniziative referendarie, e sono comuni al confine con le province autonome di Trento o di Bolzano, o anche comuni non al confine (come nel caso di Feltre e di altri). Io dico che nel nostro Stato il principio dell'eguaglianza rappresenta un perno fondamentale della vita democratica. Dire «sì» ad uno significa dire «sì» a tutti. Non c'è una ragione per Pag. 50trattare in maniera diversa un comune referendario rispetto agli altri, perché il principio di eguaglianza è scritto tra i primi della nostra Costituzione, perché il principio di eguaglianza è il perno sul quale si fonda la vita democratica di un Paese. E tutti questi comuni, chi più chi meno, hanno ragioni storiche, ragioni culturali, ragioni amministrative, ragioni di vario genere per poter pensare ad un loro diverso posizionamento amministrativo.
È solo necessario andare un po' più indietro nel tempo, non parlare di decenni ma cominciare a parlare di secoli, e si trovano con molta facilità le ragioni che legano una all'altra comunità o che hanno legato l'una all'altra comunità. Ma chiunque comprende che se questo meccanismo viene attivato ogni comune potrà diventare un comune di confine, ogni comune potrà diventare titolare di un diritto a verificare immediatamente l'erba del vicino per vedere se è davvero più verde ed andare a tastarla attraverso un percorso referendario che sicuramente qualsiasi cittadino approverà con maggioranze schiaccianti e con una dedizione schiacciante, perché non può che essere così. La realtà purtroppo nel nostro Paese è semplice, ed il mio grazie a Lamon va perché permette di evidenziarla in termini molto chiari una volta di più o comunque una volta per tutte: ci sono cittadini che si sentono, sanno di essere e sono di serie A, ci sono cittadini che sanno invece di essere, si sentono e sono di serie B.
Per dirla con Pierfrancesco De Robertis, autore della recente opera «La casta invisibile delle regioni», ci sono italiani diversamente italiani, italiani che subiscono la concorrenza di altri, e italiani che fanno concorrenza agli altri. Basta leggere il Corriere della sera di oggi che contiene un inserto pubblicitario a favore di iniziative per il Trentino-Alto Adige, ma questo ormai è diventato un refrain quasi costante perché sulle massime testate nazionali questi inserti il Trentino-Alto Adige li pubblica con una assoluta sistematicità, e io mi chiedo con che coraggio i cittadini della vicina provincia di Belluno, che non hanno le stesse risorse economiche per fare pubblicità, devono subire in silenzio questa concorrenza sleale. Sono eroi, bravi, fin troppo bravi a reggere questo confronto.
Per qualcuno (è l'ipotesi di Cortina o di Sappada) vi è la dichiarata più o meno formale disponibilità del ricevente. Bolzano, sia pure non in modo formale, però ha dichiarato che sarebbe pronta ad accogliere Cortina. Lo credo bene, la perla delle Dolomiti, non rinuncia nessuno a prenderla. Anche Udine ha dichiarato che sarebbe pronta a prendersi Sappada. Credo bene, altrettanta perla turistica delle Dolomiti. Per altri, Lamon, c'è invece il dissenso e anche questa è una forma di disuguaglianza della quale ingiustamente soffrono i cittadini di Lamon, perché non c'è nessuna ragione perché a quella terra si dia un trattamento differenziato rispetto al trattamento che si dà ad altre realtà. Ma il dato di fatto è inequivoco in questo momento: non c'è una delibera di accoglimento da parte di Trento. È vero che il parere è obbligatorio ma non vincolante; se però è obbligatorio, non si può non notare che manca comunque il parere della regione del Veneto.
E la Lega Nord Padania, che si è proclamata favorevole a questa iniziativa, avrebbe dovuto attivare la sua presidenza della regione del Veneto per cercare di raggiungere un obiettivo, se questo davvero fosse stato l'obiettivo. Credo di no nella realtà. E, comunque, c'è un altro problema di contenuto formale che mi pare non sia di poco conto: manca la copertura finanziaria al provvedimento. Quindi, il testo, a mio avviso, dovrebbe ritornare in Commissione e subire il vaglio della Commissione bilancio in maniera concreta. Ma non è sugli aspetti formali che mi voglio soffermare, ma è solo sugli aspetti sostanziali, perché altrimenti mi ritornerebbe troppo facile dire dal punto di vista formale che una realtà come quella di Trento, che si è già espressa per il no con una propria delibera, certamente non emetterà mai le norme di attuazione che dovrebbero rendere concreta l'eventuale legge che questo Stato andrebbe a Pag. 51deliberare, ammesso che si arrivasse a tanto, attraverso il quadruplice voto tra Camera e Senato.
Vado alla sostanza. È chiaro che elettoralmente dovrei dire di sì alla proposta; sarebbe il modo più semplice per avere un consenso popolare. Ma il vero politico non deve pensare al suo consenso personale e men che meno al consenso elettorale personale, ma al bene di tutto il territorio e deve farlo con scelte non egoistiche. Qual è allora il bene dell'Italia? Ma, più in piccolo, qual è il bene della provincia di Belluno, che ho l'onore di rappresentare in questo Parlamento, di fronte al problema che questi referendum evidenziano? Operare, non scelte di comodo parziali, ma affrontare il tema delle scelte di fondo, quelle che risolvono una volta per tutte il problema che c'è dietro al malessere di queste popolazioni. E il problema di fondo è unico: territori totalmente omogenei sono trattati in modo diverso. Gli abitanti di Lamon, come ho accennato, sono eroi, vivono in montagna, non hanno provvidenze, moltissimi hanno dovuto negli anni - e sottolineo con molto onore - percorrere la strada dell'emigrazione. Sono lontani dai vertici politico-amministrativi della loro regione. Tutto vero questo. Sono eroi gli stessi sindaci e gli stessi amministratori dei comuni della provincia di Belluno, dei comuni contigui a Lamon e non contigui, che tutti i giorni devono rispondere ai loro cittadini che evidenziano storture, disuguaglianze, comportamenti assolutamente diversi per coloro che abitano appena al di là del confine. Lamon è la spia di un malessere, di un malessere di tutte le aree contigue a regioni a statuto speciale. È la spia del malessere di tutta la terra bellunese. Infatti, i confronti sono assolutamente facili ove si rifletta su alcuni dati che ormai sono agli occhi di tutti. E bastano pochi esempi per evidenziare quanto sia difficile il confronto.
Trento, per il rilancio dell'economia locale, ha stanziato e messo a disposizione dei suoi cittadini, negli ultimi anni, 500 milioni di euro. Se pensiamo che quella provincia ha 532 mila abitanti, capiamo perfettamente che ha dato circa 1.000 euro per ogni cittadino. Se l'Italia facesse la stessa cosa, dovrebbe mettere a disposizione dei suoi cittadini, per il rilancio dell'economia, 60 miliardi di euro.
Basta pensare a questo dato e avremmo il fallimento immediato della nazione italiana. Recentemente la provincia di Trento ha acquistato il Lido Palace Hotel di Riva del Garda al 51 per cento con il comune di Riva del Garda: altro che comuni indebitati, lì ci sono comuni ricchissimi, che non sanno dove mettere i soldi, questa è la realtà. L'ha acquistato pagando 16 milioni di euro e facendo un piano di investimenti di altri 17 milioni di euro. Diamo questi dati ai comuni che faticano a trovare i 50 euro da dare per ragioni di rispetto sociale o di esigenze della propria comunità.
La provincia di Trento paga le cure odontoiatriche ai suoi cittadini fino ai 18 anni. La provincia di Trento dà il bonus bebè e assegni mensili ai nuovi nati. Dà l'asilo gratis. Dà i libri di testo per tutto il ciclo della scuola dell'obbligo gratis. Dà borse di studio ai suoi cittadini che vogliono studiare all'estero. Sovvenziona a fondo perduto fino al 70 per cento coloro che vogliono mettere su un'impresa. Paga gli insegnanti il 30 per cento in più di quanto non vengano pagati nel resto del territorio nazionale. I cittadini di quella provincia hanno il bollo auto ed il bollo moto scontati, perché non pagano addizionali regionali. Ma voi come la chiamate questa? Io la chiamo concorrenza e mi permetto di aggiungere concorrenza sleale, perché non è giusto che cittadini che stanno appena di qui dal confine siano trattati, in condizioni territoriali assolutamente omogenee, in modo così differenziato.
Vogliamo andare a Bolzano? Anche qui il discorso è molto semplice. Potremmo cominciare dal governatore della provincia, Durnwalder: prende più di Barack Obama, prende 25.620 euro mensili. Punto e basta. La provincia di Bolzano, per l'esercizio del cosiddetto diritto allo studio dei suoi cittadini, mette a disposizione il 5,865 per cento in più rispetto, ad esempio, Pag. 52alla regione Lombardia, che viene indicata da tutti come un esempio straordinario di disponibilità verso lo studio. La provincia di Bolzano dà ai suoi cittadini prestiti a tasso zero, spesso senza limite, da restituire in vari decenni per l'edificazione di una casa nuova. E voi come la chiamate questa? Io la chiamo concorrenza sleale. Andiamo ancora più in là e poniamo il problema in termini ancora più significativi, come si conviene nel rapporto tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Ed allora pensiamo che ciascuno dei 9,1 milioni di cittadini di regioni a statuto speciale beneficia, in media, di 3.540 euro di trasferimenti contro i 1.530 destinati ai cittadini delle regioni a statuto ordinario - dati del 2011 - praticamente quasi un terzo. Chi abita negli enti a statuto speciale riceve il 228 per cento in più, in media, di chi abita negli enti a statuto ordinario. E se vogliamo andare ancora un po' nello specifico, quello specifico che torna d'attualità quando parliamo del rapporto Belluno-Trento o Belluno-Bolzano, allora il discorso diventa ancora più evidente: la spesa pro capite in euro - dati del 2009 - per i cittadini di Bolzano è di 10.013, per quelli di Trento è 8.465, per quelli del Veneto 2.669, un quarto rispetto a Trento, un quinto circa rispetto a Bolzano. Concorrenza sleale evidente. E i trasferimenti pro capite annuali, sempre relativi all'anno 2009? Nessuna difficoltà a descriverli.
Il Trentino-Alto Adige ha trasferimenti pro capite di 1.420 euro, il Friuli di 745: è una regione a statuto speciale che è dall'altra parte della provincia di Belluno rispetto a Trento e Bolzano, ma sempre al confine. Il Veneto? 319: come dire che il Friuli ha più del doppio e che il Trentino ha quasi cinque volte tanto. E volete che con questi dati Lamon, Sovramonte, Colle Santa Lucia, Livinallongo, Cortina, Sappada, Gosaldo, Falcade, Feltre e tutti gli altri comuni che hanno messo in moto iniziative referendarie non vogliano andare in Trentino-Alto Adige? Hai voglia le ragioni storiche e le ragioni culturali! Queste sono ragioni di pretta economia, ragioni finanziarie! E per le imprese a sostegno delle attività produttive il valore di spesa media, a Bolzano, è di 143 euro pro capite, a Trento 107, a Belluno 17: come dire che, rispetto a Belluno, Trento ha il 519 per cento in più e Bolzano ha il 730 per cento in più.
Con questi dati, tutti vorrebbero andarsene. Con questi dati, il confronto con l'erba del vicino non porta solo a dire che è più verde, è molto più verde del verde. Ma se noi accogliessimo l'istanza di Lamon, il problema non si risolverebbe ed un politico vero deve contribuire a farlo risolvere. Se tutti i cittadini italiani godessero del trattamento di quelli del Trentino, tutti i cittadini italiani non avrebbero più niente, perché lo Stato sarebbe in bancarotta da lungo tempo, fallito da lungo tempo.
Io non rinnego il valore dell'autonomia, lo apprezzo e lo ritengo indispensabile, ma lo voglio per tutti, non per qualcuno; lo voglio soprattutto in un'epoca nella quale si odiano i privilegi e non mi sta bene che vi sia qualcuno privilegiato. O tutti o nessuno, perché io mi sento cittadino di un'Italia unita, voglio che l'Italia rimanga unita, ma voglio che i cittadini di questo Paese possano contare su sostanze identiche, non così differenti. In un'epoca nella quale si odiano i privilegi, dire «sì» a Lamon significa alimentare un privilegio. Ed è per rispetto al principio di eguaglianza che io dichiaro tutto quello che ho dichiarato e sostengo la posizione che ho assunto.
Certo, ci sono varie soluzioni che il Governo può contribuire ad adottare - questo Governo -, come avrebbero potuto farlo altri che non hanno inteso farlo perché hanno trascurato il problema, che diventa sempre più evidente. Può essere creata una regione dolomitica, tutta autonoma o parzialmente autonoma; cittadini di territori omogenei abbiano lo stesso trattamento da tutti i punti di vista. È una posizione sostenuta non da pochi. Può essere creata una macroregione del nordest attraverso un riassetto complessivo delle regioni del nostro Paese, oppure può essere affrontato in maniera radicale il tema dell'esistenza o meno delle regioni a Pag. 53statuto speciale. Sono nate in un'epoca storica diversa che le giustificava: il tempo è passato, e oggi non esistono più quelle ragioni che ne avevano giustificato la loro esistenza. Io ho fatto proposte plurime, nel 2001, nel 2006, nel 2008, nel 2012: le ho fatte per raggiungere questi obiettivi, ma giacciono inascoltate. Oppure, molto più semplice, vi è una soluzione d'attualità, in questi tempi di riordino delle province: al Governo che, da un minuto all'altro, ha cancellato la provincia di Belluno, forse neanche sapendo dove esattamente si trova, quali sono i suoi confini e con chi si confronta tutti i giorni, dico: cominci a recuperare questa provincia e a darle un'autonomia che sia simile - uguale, se possibile, ma quantomeno simile - a quella che dà ai cittadini contigui.
In fondo, il Governo si è impegnato, nel 2005, con un ordine del giorno che ha accolto, un mio ordine del giorno, con il quale avevo chiesto il riconoscimento dell'autonomia per le province di Belluno, Sondrio e Verbania, lettera morta da anni. Questo è un modo concreto, diretto, per attuare l'articolo 116 della Costituzione. Certamente il problema di fondo non si risolve legittimando il passaggio di un comune perché ciò significa lo sfaldamento totale di tutto l'assetto attuale e di tutto l'assetto dello Stato, perché uno dopo l'altro, ogni comune diventa di confine. Non si può dire «sì» ad uno e non dire «sì» a tutti gli altri, altrimenti, si genera una guerra civile, si aggiungono diseguaglianze a diseguaglianze e io, francamente, non vedo perché si possa dire «sì» a Lamon e non dire «sì» a Sovramonte, dire «sì» a Lamon e non dire «sì» a Colle Santa Lucia o a Livinallongo del Col di Lana; il «sì» del resto genera un intento secessionista e un effetto secessionista a catena, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Il mio «no» all'accoglimento della proposta è un «no» sofferto, ma è un atto di serietà e di rispetto per tutti cittadini del bellunese e non solo, ma è anche un chiaro ennesimo, financo ultimativo invito al Governo perché rispetti il principio di eguaglianza e dia a tutti i cittadini della provincia di Belluno ciò che loro spetta per omogeneità di territorio, di storia, di cultura rispetto alle province di Trento, come di Bolzano, come di Udine. Il mio è un «no» in ossequio all'unità della terra bellunese e dei suoi valori, di quei valori che decine di migliaia dei suoi cittadini hanno diffuso e difeso con onore nel mondo, attraverso le difficili, tortuose e sofferte strade dell'emigrazione; tutti però, non solo quelli del comune di Lamon.
Il mio «no» è una spinta forte al Governo che recuperi nella sua unità la provincia di Belluno, che le dia quel ruolo che è nelle tradizioni e negli auspici dei suoi cittadini, per i quali si sono battuti, hanno sofferto e spesso hanno rinunciato a molti dei loro beni, tantissimi cittadini. Aggiungo che il mio «no» è un atto di serietà anche per un'altra motivazione: Lamon è stata illusa per sette anni di poter raggiungere un risultato, e viene portato all'esame di questa Camera il provvedimento tre mesi prima della fine della legislatura o poco più, quando si sa perfettamente che mai e poi mai questo percorso legislativo potrebbe completarsi attraverso il voto al Senato e poi un ulteriore voto alla Camera e al Senato, ultimi due voti che dovrebbero avvenire a maggioranza assoluta, perché così vuole la legge. Non si possono illudere i cittadini, non si può dir loro che potranno ottenere qualche cosa quando si sa che non la potranno ottenere. Lamon non va illusa, non lo merita. Il mio «no» è un atto sofferto ma doveroso per tutti i cittadini di quella terra che ho l'onore di rappresentare in quest'Aula perché per me quei cittadini sono tutti uguali e il rispetto del principio di uguaglianza è sinonimo di autentica libertà. Alla libertà non rinuncio.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1698)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice, onorevole Pastore, ed il rappresentante Pag. 54del Governo rinunziano alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 25 settembre 2012, alle 12,30:

1. - Svolgimento di interpellanze e di una interrogazione.

(ore 14)

2. - Seguito della discussione del documento:
Proposta di modificazione al Regolamento (Articoli 14, 15, 15-ter e 153-quater: Modifica della disciplina relativa ai contributi ai Gruppi parlamentari) (Doc. II, n. 24).
- Relatori: Bressa e Leone.

3. - Seguito della discussione della mozione Di Pietro ed altri n. 1-01123 in ordine alla costituzione di parte civile dello Stato nel procedimento penale in corso di svolgimento a Palermo relativo alla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

4. - Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
LUCIANO DUSSIN: Distacco del comune di Lamon dalla regione Veneto e sua aggregazione alla regione Trentino-Alto Adige, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione (C. 1698).
e dell'abbinata proposta di legge costituzionale: BRESSA (C. 455).
Relatore: Pastore.

5. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 71-355-399-1119-1283 - D'iniziativa dei senatori: LEGNINI ed altri; PASTORE ed altri; MUGNAI; CARRARA ed altri; VALENTINO: Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (C. 4041-A).
e delle abbinate proposte di legge: VITALI; GALATI; TORRISI e SISTO; DUILIO ed altri; MAGGIONI ed altri; GIAMMANCO ed altri (C. 541-2514-2608-3682-4139-4168).
- Relatore: Torrisi.

6. - Seguito della discussione delle mozioni Bersani ed altri n. 1-01118, Misiti ed altri n. 1-01124, Angela Napoli e Della Vedova n. 1-01125, Nucara ed altri n. 1-01126, Casini ed altri n. 1-01127, Cicchitto ed altri n. 1-01128, Di Pietro ed altri n. 1-01129, Moffa ed altri n. 1-01132, Belcastro ed altri n. 1-01133 e Mosella ed altri n. 1-01142 concernenti iniziative a favore della Calabria.

7. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 601-711-1171-1198 - D'iniziativa dei senatori: GIULIANO; CASSON ed altri; BIANCHI ed altri; MUGNAI: Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (C. 3900-A).
e delle abbinate proposte di legge: CONTENTO; PECORELLA; CAVALLARO; CAPANO ed altri; BARBIERI; MANTINI ed altri; FRASSINETTI ed altri; CASSINELLI ed altri; MONAI; RAZZI ed altri; CAVALLARO ed altri (C. 420-1004-1447-1494-1545-1837-2246-2419-2512-4505-4614).
- Relatore: Cassinelli.

8. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
CODURELLI ed altri; CAZZOLA ed altri: Disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i loro collaboratori (C. 2438-5382-A).
- Relatore: Moffa.

La seduta termina alle 20,25.

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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIANCLAUDIO BRESSA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DOC. II, N. 24

GIANCLAUDIO BRESSA. Onorevoli Colleghi! La presente proposta di modifica al Regolamento interviene sulla disciplina relativa ai contributi ai gruppi parlamentari; essa trae origine da un'iniziativa presentata dai deputati Questori della Camera il 5 luglio 2012 (doc. II, n. 22) su sollecitazione dell'Ufficio di Presidenza.
Il dibattito in Giunta per il Regolamento è stato molto approfondito e fruttuoso, per quanto concentrato in un arco di tempo davvero limitatissimo: nella riunione della Giunta del 31 luglio è stato avviato l'esame con una relazione introduttiva del Presidente della Camera; il dibattito è poi proseguito il 12 settembre con l'incarico conferito ai relatori di riformulare il testo raccogliendo gli orientamenti rappresentati nella discussione e condivisi da tutti i colleghi intervenuti; infine, il 19 settembre, in un contesto nel quale la questione era venuta prepotentemente alla ribalta mediatica, l'esame si è concluso con un voto unanime della Giunta su un testo ulteriormente riformulato alla luce di un unanime orientamento sulla questione dei controlli. I tempi ristretti non hanno però impedito un esame approfondito delle varie questioni; anzi, lo sforzo compiuto ha prodotto un testo dall'impianto equilibrato, molto innovativo e rigoroso che, pur muovendosi nel solco del documento originario presentato dai Questori, se ne differenzia e lo migliora.
La ratio dell'intervento è quella della trasparenza e della responsabilità, chiamandosi anche i gruppi parlamentari, in quanto destinatari di risorse finanziarie e materiali a carico del bilancio della Camera, ma anche in quanto soggetti indefettibili nel nostro ordinamento costituzionale e regolamentare, a partecipare al disegno complessivo nel quale il Parlamento si sta impegnando per corrispondere all'esigenza di massimo rigore e pubblicità nell'utilizzo di finanziamenti pubblici. Si tratta di una svolta che si può definire epocale, poiché si inseriscono per la prima volta nel Regolamento della Camera norme stringenti e rigorose sugli statuti dei gruppi, sull'utilizzo delle risorse ad essi trasferite e a carico del bilancio della Camera, sulla rendicontazione annuale e sui relativi controlli. Con l'occasione, inoltre, si introduce, all'articolo 14 del Regolamento, un nuovo comma premissivo che chiarisce la definizione di gruppo parlamentare, riconoscendo espressamente i gruppi parlamentari quali associazioni di deputati la cui costituzione avviene secondo le disposizioni recate dal medesimo articolo 14 e prevedendo che ad essi, in quanto soggetti necessari al funzionamento della Camera, secondo quanto previsto dalla Costituzione e dal Regolamento, siano assicurate le risorse necessarie allo svolgimento della loro attività a carico del bilancio della Camera. Resta ferma, naturalmente, la loro piena autonomia rispetto alla Camera medesima e la titolarità di rapporti giuridici autonomi e distinti. Ma si è chiarito, direi in via definitiva, che il funzionamento, l'organizzazione e la disciplina dei lavori parlamentari non potrebbero essere garantiti senza un coinvolgimento sostanziale dei gruppi parlamentari.
La proposta introduce poi all'articolo 15 del Regolamento una disposizione che impone a ciascun gruppo, entro trenta giorni dalla propria costituzione, l'obbligo di approvare lo statuto, da trasmettere al Presidente della Camera entro i successivi cinque giorni. Lo statuto indica in ogni caso l'organo competente ad approvare il rendiconto (disciplinato analiticamente all'articolo 15-ter, di nuova introduzione) e l'organo responsabile per la gestione amministrativa e contabile del gruppo. Lo statuto, pubblicato sul sito internet della Camera, prevede le modalità secondo le quali l'organo responsabile per la gestione amministrativa e contabile destina le risorse alle finalità indicate espressamente nel nuovo ultimo comma dell'articolo 15, ossia agli scopi istituzionali riferiti all'attività parlamentare e alle funzioni di studio, editoria e comunicazione ad essa Pag. 56ricollegabili, nonché alle spese per il funzionamento degli organi e delle strutture dei gruppi, ivi comprese quelle relative ai trattamenti economici. In tale formulazione è ovviamente da ricomprendersi, come finalità generale, l'autonoma azione politica di ciascun gruppo. La proposta opera poi alcune modifiche al comma 3 dell'articolo 15, in cui si prevede che per l'esplicazione delle loro funzioni ai gruppi parlamentari è assicurata la disponibilità di locali e attrezzature e sono assegnati contributi a carico del bilancio della Camera, tenendo presenti le esigenze di base comuni ad ogni gruppo e la consistenza numerica dei gruppi stessi, secondo modalità stabilite dall'Ufficio di Presidenza. Le dotazioni ed i contributi assegnati al gruppo Misto sono determinati avendo riguardo al numero e alla consistenza delle componenti politiche in esso costituite, in modo tale da poter essere ripartite fra le stesse in ragione delle esigenze di base comuni e della consistenza numerica di ciascuna componente.
L'articolo 15-ter, che la presente proposta introduce, prevede che ciascun gruppo approvi un rendiconto di esercizio annuale, strutturato secondo un modello comune approvato dall'Ufficio di Presidenza. In ogni caso il rendiconto deve evidenziare espressamente, in apposite voci, le risorse trasferite al gruppo dalla Camera, con indicazione del titolo del trasferimento. Al comma 2 si stabilisce che, allo scopo di garantire la trasparenza e la correttezza nella gestione contabile e finanziaria, i gruppi si avvalgono di una unica società di revisione legale, selezionata dall'Ufficio di Presidenza con procedura ad evidenza pubblica, che verifica nel corso dell'esercizio la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili ed esprime un giudizio sul rendiconto di cui al comma 1. La previsione dell'individuazione di un'unica società è finalizzata a garantire l'applicazione di criteri di controllo uniformi per tutti i gruppi; resta affidata all'Ufficio di Presidenza - oltre all'individuazione con procedura ad evidenza pubblica della società - la disciplina delle specifiche modalità attuative di questa disposizione anche quanto ai costi, che appare scontato siano posti a carico del bilancio della Camera.
Al comma 3 si prevede che il rendiconto è trasmesso al Presidente della Camera, corredato da una dichiarazione del presidente del gruppo che ne attesta l'avvenuta approvazione da parte dell'organo statutariamente competente e dalla relazione della società di revisione. I rendiconti sono pubblicati come allegato al conto consuntivo della Camera (il conto consuntivo - come è noto - è pubblicato anche sul sito internet della Camera). La scelta di questa forma di pubblicità è coerente con il fatto che il comma 1 dell'articolo 14 e l'articolo 15, comma 3, stabiliscono che le risorse necessarie allo svolgimento della loro attività sono assicurate ai gruppi a carico del bilancio della Camera. Tale forma di pubblicità-notizia comporta che, analogamente a quanto avviene per gli altri documenti allegati a solo scopo informativo al conto consuntivo (ossia il prospetto di sintesi degli inventari, il fondo di solidarietà fra i deputati e il fondo di previdenza per il personale della Camera), essi non sono - né potrebbero essere - sottoposti ad alcuna forma di deliberazione parlamentare.
Il controllo della conformità del rendiconto presentato da ciascun gruppo alle prescrizioni del Regolamento è effettuato a cura del Collegio dei Questori, secondo forme e modalità stabilite dall'Ufficio di Presidenza. L'erogazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio della Camera a favore dei gruppi è autorizzata dal Collegio dei Questori, subordinatamente all'esito positivo di tale controllo. Si prevede poi, raccogliendo lo spirito di una proposta emendativa presentata in Giunta dall'onorevole Favia, che il Collegio dei Questori riferisca all'Ufficio di Presidenza sulle risultanze dell'attività svolta in proposito.
Ove il gruppo non trasmetta il rendiconto entro il termine individuato dalle successive deliberazioni attuative dell'Ufficio di Presidenza, esso decade dal diritto all'erogazione, per l'anno in corso, delle Pag. 57risorse finanziarie. Ove il Collegio dei Questori riscontri che il rendiconto o la documentazione trasmessa a corredo dello stesso non sia conforme alle prescrizioni, entro dieci giorni dal ricevimento del rendiconto invita il presidente del gruppo a provvedere alla relativa regolarizzazione, fissandone il termine. Nel caso in cui il gruppo non provveda alla regolarizzazione entro il termine fissato, esso decade dal diritto all'erogazione, per l'anno in corso, delle risorse. La decadenza di cui al presente comma è accertata con deliberazione dell'Ufficio di Presidenza, su proposta del Collegio dei Questori.
L'ultimo comma dell'articolo 15-ter assegna all'Ufficio di Presidenza il compito di disciplinare i termini e le modalità per l'attuazione dell'articolo stesso, ivi compresa la disciplina da applicare in caso di scioglimento di un gruppo. Prevede inoltre che apposite disposizioni debbano essere dettate per il gruppo Misto. In proposito si segnala che le deliberazioni che l'Ufficio di Presidenza dovrà assumere sono numerose e complesse e richiederanno inevitabilmente un denso lavoro istruttorio, propedeutico e indispensabile alla concreta operatività della nuova disciplina: si va dall'individuazione della società di revisione legale, selezionata con procedura ad evidenza pubblica (dunque nel rispetto delle regole e dei tempi stabiliti dalla normativa vigente), al modello comune di rendiconto annuale, alla disciplina delle forme e modalità di effettuazione del controllo ad opera del Collegio dei Questori, alle disposizioni specifiche per il gruppo Misto fino a quelle più generali - sopra accennate - sui termini e sulle modalità di attuazione dell'articolo 15-ter nel suo complesso.
La Giunta - nel prevedere, come logico e coerente, che le modifiche all'articolo 15 e le disposizioni dell'articolo 15-ter entrino in vigore non appena adottate le suddette deliberazioni propedeutiche (tale previsione non riguarda anche la modifica dell'articolo 14, che non richiede alcuna misura attuativa) che concorrono al completamento del quadro normativo in questa materia - ha comunque stabilito che tale termine non potrà andare oltre l'inizio della XVII legislatura (che avrà inizio fra pochi mesi) e, al fine di accelerare il più possibile l'attuazione della riforma garantendone l'operatività, ha assegnato all'Ufficio di Presidenza in carica nell'attuale legislatura il complesso compito di predisposizione del pacchetto di misure attuative (evidentemente questa disposizione entra in vigore secondo i termini ordinari, e cioè, parallelamente alla sopra citata modifica all'articolo 14, il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).
Per quanto detto, e confidando che in Assemblea si possa pervenire ad una decisione condivisa come quella assunta presso la Giunta, si raccomanda una rapida approvazione della importante riforma regolamentare in esame.