Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 655 di lunedì 25 giugno 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 11,05.

MICHELE PISACANE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 21 giugno 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Antonione, Bergamini, Bindi, Bocchino, Bocci, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, Corsini, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Gianni Farina, Renato Farina, Fava, Tommaso Foti, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guzzanti, Iannaccone, Lombardo, Lucà, Malgieri, Mazzocchi, Melchiorre, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Mogherini Rebesani, Mura, Mussolini, Nucara, Leoluca Orlando, Pecorella, Pisicchio, Rigoni, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci, Vitali e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 3249 - Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita (Approvato dal Senato) (A.C. 5256) (ore 11,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 21 giugno 2012.

(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Avverto, inoltre, che sono state presentate, a norma dell'articolo 40, comma 1, primo periodo, del Regolamento, le questioni pregiudiziali di costituzionalità Donadi ed altri n. 1 e Dozzo ed altri n. 2, che sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - A.C. 5256).
Come stabilito dalla Conferenza dei presidenti di gruppo, l'esame e la votazione di tali questioni pregiudiziali avrà luogo dopo la conclusione della discussione sulle linee generali, a partire dalle ore 18.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Pag. 2
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Cazzola, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, signor Ministro, signor Viceministro, sottosegretario, la XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) propone all'Assemblea l'approvazione del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, nel medesimo testo trasmesso dal Senato.
Come è noto, si tratta di una decisione - quella di non apportare modifiche al provvedimento licenziato dall'altro ramo del Parlamento - che i gruppi di maggioranza in Commissione hanno adottato in ragione di una precisa scelta di natura politica, legata all'esigenza - segnalata dal Presidente del Consiglio dei ministri - di presentarsi all'importante appuntamento europeo del 28 e 29 giugno prossimi avendo già concluso l'iter di approvazione di tale riforma.
La Commissione, peraltro, ha seguito questo percorso dopo avere preso atto di un preciso e solenne impegno assunto dalla stessa Presidenza del Consiglio, che la sera del 20 giugno scorso ha diffuso una nota che - se mi è consentito - leggerei integralmente all'Assemblea: «Il Governo ha chiesto al Parlamento di accelerare l'esame sulla riforma del mercato del lavoro contenendolo entro tempi compatibili con l'esigenza che la legge sia approvata entro il 27 giugno, affinché il Consiglio Europeo del 28 giugno possa prendere atto del varo di questa importante riforma strutturale. Il Governo si impegna a risolvere tempestivamente, con appropriate iniziative legislative, altri problemi posti dai gruppi parlamentari: la questione dei cosiddetti esodati e alcuni aspetti della flessibilità in entrata e degli ammortizzatori sociali. Su questi temi il Governo sta lavorando anche sulla base delle costruttive proposte provenienti dai gruppi di maggioranza».
Se le parole del comunicato hanno un senso, questo lavoro di revisione non si effettuerà nel medio periodo di quel monitoraggio e di quelle successive verifiche previsti dal provvedimento, ma in tempi più ravvicinati ed utili a «risolvere tempestivamente» i problemi posti.
Ecco, credo che su questo punto non si debba aggiungere altro, se non che i gruppi che sostengono il Governo si attendono - subito dopo l'approvazione della riforma - un segnale concreto ed effettivo per poter affrontare le diverse questioni che avrebbero dovuto essere risolte nel corso della lettura del provvedimento alla Camera e che, ora, saranno rimesse a successivi interventi normativi, nella consapevolezza che molte delle nuove disposizioni diventeranno applicabili trascorso un anno dall'entrata in vigore della legge a firma del Ministro Fornero.
L'XI Commissione ha svolto la sua funzione referente nel corso di tre settimane caratterizzate, sia da un confronto serio tra i gruppi, attraverso una discussione ampia e partecipata, anche quando si prefigurava ormai la prospettiva di un'approvazione senza modifiche, sia da un atteggiamento contrario, ma responsabile e non ostruzionistico, delle opposizioni.
Voglio segnalare, in particolare, il contributo delle parti sociali e, più in generale, di tutti i soggetti interessati, che sono stati auditi dalla Commissione. Gli elementi acquisiti in quella sede, dunque, potranno costituire un valido materiale da utilizzare per i successivi passaggi legislativi di cui parlavo prima.
Sarà possibile avvalersi - nei prossimi interventi normativi - anche dei pareri espressi dalle Commissioni competenti in sede consultiva. Tutte le Commissioni, infatti, si sono pronunziate favorevolmente sul provvedimento, sia pure formulando, in generale, osservazioni legate a specifiche parti del testo. Pag. 3
Una questione a sé riguarda, invece, il parere del Comitato per la legislazione, dove sono contenute ampie ed articolate indicazioni sui profili di coordinamento normativo e di redazione formale del testo, che per le oggettive ragioni politiche di cui ho detto in precedenza non hanno potuto essere accolte dalla Commissione, ma che rappresentano un severo richiamo al Governo anche per quanto riguarda la qualità legislativa del testo stesso.
Senza dilungarmi oltre su questo profilo, avverto che, avendo la Commissione licenziato per l'Aula il medesimo testo trasmesso dal Senato, per l'analitica e puntuale descrizione dell'articolato del provvedimento faccio rinvio - come già avvenuto in diverse altre precedenti occasioni in cui la Commissione ha riferito all'Assemblea - alle relazioni introduttive svolte in Commissione all'inizio dell'esame in sede referente, richiamandone esclusivamente le principali linee di fondo.
L'articolo 1 investe i temi della cosiddetta «flessibilità in entrata» e dei licenziamenti, cercando di riordinare le diverse tipologie contrattuali esistenti, ognuna delle quali è regolata da leggi specifiche e da un'ampia giurisprudenza consolidata.
Gli articoli 2 e 3 operano una significativa revisione normativa dei vigenti strumenti di tutela del reddito, in particolare attraverso la creazione di un unico ammortizzatore sociale, denominato ASPI.
L'articolo 4, nel cui ambito si interviene sulle politiche attive del lavoro e sul ruolo dei servizi per l'impiego, nonché sugli incentivi per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro (anche mediante misure in tema di genitorialità e di contrasto delle dimissioni in bianco), detta disposizioni per il complessivo finanziamento del provvedimento.
Ho voluto, signor Presidente, signora Ministro, poco fa, richiamare il contributo emerso nel corso delle audizioni, non solo per le considerazioni di merito svolte che potranno orientare il nostro lavoro di miglioramento della legge, una volta che sia stata approvata, ma soprattutto per averci aiutato ad affrontare e a risolvere il nodo politico di queste ore: quello cioè di accogliere o meno l'appello del Governo a votare, senza modifiche, un testo benché lo si ritenga meritevole di importanti cambiamenti.
Nel corso delle audizioni si è potuto prendere atto di una larga convergenza tra organizzazioni imprenditoriali e sindacali, che - pur essendo consapevoli dei problemi che questa legge non solo non risolve, ma crea - hanno ritenuto doveroso garantire al Governo l'appoggio richiesto in una fase delicata come l'attuale. Tale convergenza ha aiutato le forze della maggioranza ad affrontare questo difficile passaggio.
Non tocca a me, da «strano» relatore per conto di una «strana» maggioranza, anticipare le conclusioni del dibattito, ma il voto favorevole della maggioranza è ampiamente condizionato dall'impegno assunto dal Governo di modificare, come indicato nel comunicato di Palazzo Chigi, il provvedimento in esame in tempi politicamente sostenibili.
Voglio aggiungere che respingiamo - credo di poterlo dire anche a nome del collega Damiano - una interpretazione della nostra linea di condotta secondo la quale i partiti, con la testa rivolta all'indietro, opporrebbero resistenze conservatrici allo spirito innovatore impersonato dal Governo.
Non ho dubbi, invece, a confermare che il provvedimento in esame è stato migliorato dal Senato (spero che la Camera farà altrettanto), non secondo una linea di resistenza al cambiamento, ma in base a criteri di ragionevolezza, specie per la cosiddetta flessibilità in entrata, e secondo una valutazione responsabile e concreta degli andamenti dell'economia per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali. Infatti, sono le leggi a dover essere fatte per le persone e non le persone per le leggi.
È stato così anche per il contributo dei gruppi nel caso delle pensioni. Nel decreto «milleproroghe» il Parlamento ha portato alcune indispensabili correzioni al decreto «salva Italia», rendendolo socialmente più sostenibile, anche se non si è potuto risolvere compiutamente in quella sede la questione dei cosiddetti esodati, che è Pag. 4parte integrante del confronto da aprire con il Governo dopo il voto del 27 giugno.
Su questa complessa problematica la Commissione lavoro sta predisponendo un testo dopo un ampio confronto con le organizzazioni sindacali.
Riflettendo - e concludo - sugli avvenimenti degli ultimi mesi, mi viene da svolgere un'ultima considerazione a proposito di questa «strana» maggioranza. Chi avrebbe mai detto, soltanto un anno fa, che i partiti che la compongono sarebbero stati capaci di ascolto reciproco e di confronto operativo - pur tra mille ostacoli, diffidenze e differenze - su temi delicati come il welfare e il lavoro?
In sostanza, grazie alle difficoltà e alle assunzioni di responsabilità a cui siamo stati costretti, si è fatto strada un processo di normalizzazione dei rapporti tra forze che restano alternative, ma che possono collaborare nell'interesse generale del Paese: un processo, signor Presidente, onorevoli colleghi, che non deve andare disperso (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. Il relatore, onorevole Damiano, ha facoltà di svolgere la relazione.

CESARE DAMIANO, Relatore. Signor Presidente, Ministro, signori del Governo, l'intervento del collega, onorevole Cazzola, mi solleva da molte considerazioni. Voglio ricordare l'ottimo lavoro svolto dalla XI Commissione della Camera, che propone all'Assemblea l'approvazione del disegno di legge sul mercato del lavoro.
Si tratta di un orientamento assunto dai gruppi che sostengono il Governo che si basa su una precisa scelta politica: noi avremmo voluto correggere questo provvedimento per trovare un equilibrio più avanzato, ma abbiamo deciso politicamente di prestare ascolto alla richiesta del Presidente del Consiglio per senso di responsabilità, perché capiamo e comprendiamo la gravità del momento, perché vogliamo che il Consiglio Europeo del 28 e 29 giugno prossimi veda l'Italia protagonista di un processo riformatore che porti i risultati per il nostro Paese e per l'Europa. Lo facciamo anche se nel provvedimento vediamo luci ed ombre, direi molte ombre. Lo facciamo perché siamo in primo luogo stati ascoltati dal Governo e dal Presidente del Consiglio.
Anch'io voglio sottolineare che c'è un impegno forte e autorevole per affrontare i problemi posti dai partiti che sostengono il Governo, e non soltanto, ed è un problema da risolvere, come ha detto il Presidente del Consiglio, «tempestivamente». Pertanto, dopo l'approvazione della riforma del mercato del lavoro, chiediamo di aprire da subito un cantiere per passare dalle parole ai fatti e affrontare concretamente le proposizioni che sono state dette. Saremo aiutati dalle audizioni e dai pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva, dopo il prezioso lavoro svolto dalla XI Commissione.
Non voglio anch'io dilungarmi sul merito del provvedimento; avverto che avendo la Commissione licenziato per l'Aula il medesimo testo trasmesso dal Senato, per l'analitica e puntuale descrizione dell'articolato del provvedimento faccio anch'io rinvio, come è già avvenuto in diverse altre occasioni in cui la Commissione ha riferito all'Assemblea, alle relazioni introduttive che i relatori hanno svolto in Commissione all'inizio dell'esame in sede referente, richiamandone esclusivamente le principali linee di fondo.
L'articolo 1 investe i temi della cosiddetta flessibilità in entrata e dei licenziamenti, che ha trovato a mio avviso un utile compromesso al Senato; gli articoli 2 e 3 operano un'ampia revisione normativa dei vigenti strumenti di tutela del reddito e di ammortizzazione sociale, in particolare attraverso la creazione di un unico ammortizzatore sociale, l'ASPI; l'articolo 4, nel cui ambito si interviene sulle politiche attive del lavoro e sul ruolo dei servizi per l'impiego, nonché sugli incentivi per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche mediante misure Pag. 5in tema di genitorialità, detta disposizioni per il complessivo finanziamento del provvedimento.
Come ho detto, noi non disconosciamo anche gli aspetti positivi, le cosiddette «luci» del provvedimento, riconosciamo che un passo avanti è stato fatto dal Senato.
Per noi le questioni positive sono: l'affermazione di stampo europeo che il contratto di lavoro a tempo indeterminato debba essere il contratto di riferimento; il fatto che l'apprendistato sia il contratto prevalente; che si sia sostanzialmente difeso l'articolo 18, con la previsione di reintegrazione nel caso di licenziamenti anche per motivi economici; che ci sia, ad esempio, un salario di riferimento per il lavoro a progetto.
Però, Ministro, non ci esimiamo dal sottolineare un aspetto negativo di queste riforme sociali. Per me e per noi esiste un errore di progettazione sul quale occorre riflettere: l'assenza di gradualità nell'innalzamento dell'età pensionabile, con l'eliminazione delle quote, che si combina con una riduzione delle coperture degli ammortizzatori sociali a regime, in un momento nel quale continua la recessione dell'economia, che può dare il via, quindi, a fenomeni negativi sul piano sociale e sul piano occupazionale.
Da qui le nostre richieste, che sono state assunte come base di discussione, di confronto e di risoluzione dal Presidente Monti e che sono in gran parte condivise con gli altri partiti che sostengono il Governo. In primo luogo, vogliamo tempestivamente affrontare il problema dei lavoratori che rimangono senza lavoro e senza pensione. Abbiamo già detto che non intendiamo più rincorrere dei numeri, ma vogliamo partire dai diritti. Quando parliamo di intervento immediato, pensiamo anche ad un decreto che risolva la situazione. Vogliamo ricordare che abbiamo una proposta unitaria in Commissione lavoro, alla quale bisogna fare riferimento, perché è anche il frutto di un confronto positivo con le organizzazioni sindacali.
Sul tema degli ammortizzatori sociali, anch'esso ripreso nel comunicato di Palazzo Chigi, ribadiamo la nostra preoccupazione circa l'entrata in vigore del nuovo regime dell'associazione sociale per l'impiego in un tempo nel quale la crisi si prolunga. Le nostre richieste sono molto semplici: ad esempio, quella di spostare di un anno l'ingresso nel nuovo sistema e, nell'ambito di questo, guardare soprattutto ai giovani, ai quali dobbiamo in qualche modo avere la capacità di dare delle risposte positive, ad esempio migliorando la mini-Aspi, quella dei requisiti ridotti; ad esempio, consentendo un più facile accesso al bonus precari, nel caso di un lavoratore a progetto licenziato; ad esempio, considerando le conseguenze della diminuzione di tutele dei contributi figurativi nel lavoro stagionale.
Infine, per quanto riguarda le cosiddette partite IVA autentiche, non riteniamo che l'innalzamento al 33 per cento sia una misura giusta. Preferiremmo che non si andasse in questa direzione e chiediamo di mantenere le vecchie normative, perché, altrimenti, c'è il rischio di equiparare questo autentico e sincero lavoro autonomo ad un lavoro dipendente mascherato.
Quindi, per quanto riguarda il tema degli ammortizzatori sociali, un tema sicuramente cruciale, riteniamo che il primo provvedimento utile che si presenterà alla Camera sia quello necessario sul quale concentrare la nostra attenzione per apportare queste correzioni.
In sostanza, noi vorremmo una politica che si assuma la responsabilità, ma che al tempo stesso guardi ai problemi reali delle persone più deboli, in sostanza, a quell'equità sociale alla quale non vogliamo rinunciare (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Popolo della Libertà, Unione di Centro per il Terzo Polo e Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare l'onorevole Pelino. Ne ha facoltà.

Pag. 6

PAOLA PELINO. Signor Presidente, signor Ministro, Viceministro, sottosegretario, onorevoli colleghi, il testo che abbiamo oggi al nostro esame è stato il frutto di un lungo e complesso iter parlamentare, che ha visto impegnati gli schieramenti politici in un confronto articolato.
La Commissione lavoro, come detto anche dai relatori, ha scelto di non apportare modifiche al testo approvato dal Senato, che comunque aveva già individuato, rispetto all'originario provvedimento del Governo, soluzioni normative ragionevoli ed efficaci da far coesistere all'interno di complessi equilibri politici. Faccio notare, infatti, che è stato già possibile al Senato, laddove il disegno di legge, esaminato in prima lettura in quel ramo del Parlamento, è stato sottoposto a significative modifiche. Questo ha indotto il Governo a chiedere alla Camera di accelerare l'esame della riforma del mercato del lavoro, contenendolo entro tempi compatibili con l'esigenza che la legge sia approvata entro il 27 giugno, affinché il Consiglio europeo dei giorni seguenti possa prendere atto del varo di questa riforma.
Proprio per queste ragioni mi preme evidenziare in ogni caso che il passaggio in sede referente presso l'XI Commissione non è stato meramente formale ed ha consentito anch'esso, attraverso lo svolgimento di una complessa ed approfondita istruttoria, incentrata sullo svolgimento di un ampio ciclo di audizioni informali con i soggetti interessati, di mettere a fuoco le questioni di merito più problematiche ancora non del tutto risolte, sulle quali ritengo che il Parlamento ed il Governo debbano mantenere elevato il grado di attenzione, anche in vista della predisposizione di misure future sulle quali lo stesso Presidente del Consiglio si è impegnato.
Desidero sottolineare il grande senso di responsabilità mostrato dai gruppi parlamentari presenti in Commissione, compresi quelli di opposizione, che hanno consentito di concludere l'iter di esame in tempi coerenti con l'iscrizione del provvedimento nel calendario dell'Assemblea, pur a fronte delle legittime posizioni politiche di parte, spesso anche critiche rispetto a taluni aspetti del testo.
Entrando nel merito specifico del provvedimento, osservo che esso intende, nello spirito del Governo, rispondere all'esigenza di ammodernare il mercato del lavoro del nostro Paese, intervenendo su alcuni elementi di criticità strutturali riguardanti le tematiche della flessibilità in entrata ed in uscita, del lavoro giovanile e femminile e degli ammortizzatori sociali. Si tratta di argomenti che negli ultimi tempi, con l'approfondirsi della crisi economica e sociale, sono stati a più riprese evocati anche al livello comunitario, laddove si è posto l'accento sull'esigenza di un'accurata revisione delle norme che regolano la flessibilità in uscita, che siano accompagnate sia da un adeguato sistema di assicurazione dalla disoccupazione sia da un funzionamento efficace delle politiche attive per il mercato del lavoro, in funzione di una riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.
Va rilevato poi che il provvedimento dedica una particolare attenzione al sostegno del lavoro giovanile contrastando l'utilizzo distorto delle forme di contrattazione flessibile. Si tratta di un tema di estrema attualità, che coinvolge il rapporto con le giovani generazioni, confinate da troppo tempo in un limbo di precarietà, che ne mette in discussione i loro progetti di vita, anche per quanto concerne le loro aspettative previdenziali. In proposito rilevo tuttavia l'opportunità di coordinare meglio le previsioni volte a limitare gli abusi degli strumenti atipici - così come evidenziato a più riprese dai soggetti auditi in Commissione - con le legittime esigenze di flessibilità delle aziende, chiamate spesso a fare i conti con variabili economiche sempre più imprevedibili.
Faccio poi presente che, nell'ambito di una razionalizzazione delle tipologie contrattuali esistenti, il provvedimento configura innanzitutto il contratto a tempo indeterminato quale contratto prevalente, disincentivando il ricorso ai contratti a tempo determinato. In tale quadro, un Pag. 7istituto di rilievo strategico è l'apprendistato, che si configura quale contratto tipico per l'accesso al mercato del lavoro.
Osservo, quindi, che il provvedimento si muove verso una redistribuzione delle tutele dell'impiego da un lato contrastando, come già detto, l'uso improprio degli elementi di flessibilità relativi a talune tipologie contrattuali, dall'altro adeguando la disciplina dei licenziamenti. In relazione a tale secondo aspetto si interviene rivedendo l'impianto dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, lasciando inalterata la disciplina dei licenziamenti discriminatori, ove si applica sempre la reintegrazione, e modificando il regime dei licenziamenti disciplinari per giusta causa o giustificato motivo soggettivo e dei licenziamenti economici per giustificato motivo oggettivo. Sotto tale profilo si introduce un regime sanzionatorio differenziato, a seconda della gravità dei casi in cui si è accertata l'illegittimità del licenziamento, che si concretizza nella reintegrazione, nei casi più gravi, o nel pagamento di indennità risarcitoria, nei casi meno gravi, definita in termini certi nel suo ammontare massimo. Inoltre, al fine di assicurare un rapido svolgimento dei processi, si introduce uno specifico rito per le controversie giudiziarie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti.
Il provvedimento opera un'ampia revisione normativa dei vigenti strumenti di tutela del reddito, in primo luogo attraverso l'attuazione di un unico ammortizzatore sociale (ASPI), in cui confluiscono l'indennità di mobilità e l'indennità di disoccupazione, ad eccezione di quella relativa agli operai agricoli, ampliando sia il campo soggettivo dei beneficiari sia i trattamenti soprattutto a favore dei giovani lavoratori atipici.
Il provvedimento tende anche a rinnovare e a rafforzare le politiche attive del lavoro e il ruolo dei servizi per l'impiego, per i quali vengono individuati i livelli essenziali di servizio omogenei su tutto il territorio nazionale, prevedendo inoltre incentivi per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con l'introduzione di norme di contrasto alle cosiddette dimissioni in bianco e misure per il sostegno della genitorialità. Una particolare menzione merita poi il sostegno al lavoro autonomo previsto nel provvedimento laddove, riprendendosi talune iniziative normative assunte dalla Commissione lavoro, si favorisce la destinazione di una parte delle risorse destinate al sostegno al reddito e all'avvio di microimprese nell'ottica di incentivare lo spirito d'impresa dei giovani.
In conclusione, ritengo che sul presente provvedimento si sia raggiunta un'importante e ragionevole convergenza politica, che occorre mantenere anche durante l'esame in Assemblea, anche al fine di rafforzare la posizione dell'Esecutivo rispetto alle istituzioni europee, in vista dei prossimi impegni internazionali del Paese. Resta inteso tuttavia che su talune importanti questioni emerse soprattutto nel corso dell'esame in sede referente presso la Commissione lavoro, riguardanti la flessibilità in entrata e le deroghe al sistema pensionistico vigente per talune categorie di lavoratori in difficoltà, sarà necessario continuare a lavorare a stretto contatto con il Governo, nell'ambito di un confronto serio e approfondito che conduca all'individuazione di misure normative adeguate ed efficaci.
Appare evidente inoltre che il Parlamento sarà chiamato a monitorare con attenzione gli effetti che tale riforma produrrà sul sistema produttivo e occupazionale del Paese, dando attuazione al sistema di controllo previsto dallo stesso provvedimento in questione, anche in vista di un'eventuale correzione di quelle che si dimostreranno meno efficaci ed adeguate a favorire il rilancio occupazionale del Paese. Su tutti questi versanti il gruppo del Popolo della Libertà continuerà a fare responsabilmente la sua parte.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedriga. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, ringrazio ovviamente il Ministro ed il Viceministro della presenza per ascoltare gli interventi del Parlamento, Pag. 8anche se sappiamo già che saranno inutili e non porteranno alcuna modifica al testo. Ringrazio i relatori che sono intervenuti, in quanto hanno sottolineato le criticità che questa riforma del mercato del lavoro rischia di produrre nel Paese. Vorrei iniziare, Presidente, sottolineando la scusa che ha utilizzato questo Governo per far approvare in tempi rapidi questa riforma. Come Lega la reputiamo una scusa, perché dire che in Europa bisogna andare con una riforma approvata, una cattiva riforma approvata (non lo dice uno gruppo di opposizione quale è la Lega, ma lo dicono tutte le categorie economiche e sociali che abbiamo avuto modo di audire in queste settimane)... penso che l'Europa non apprezzerà una cattiva riforma approvata.
Era meglio, signor Ministro, dire all'Europa che la riforma sarebbe stata approvata la settimana successiva, ma una riforma con tutte le correzioni necessarie e senza il bisogno di dover approvare pochi mesi dopo o poche settimane dopo una controriforma. Sta avvenendo esattamente quello che ha prodotto la sua riforma delle pensioni, che necessita adesso di una controriforma per andare a tutelare tutte quelle categorie di lavoratori abbandonati, che rischiano di rimanere e alcuni sono già rimasti - Ministro, a differenza delle sue dichiarazioni che fa ai giornali - senza stipendio e senza benefici previdenziali. Le dico che alcuni sono già rimasti in tale condizione, perché sono arrivate moltissime segnalazioni - lo possono testimoniare tutti i colleghi deputati - di persone che sono già senza reddito da lavoro, senza reddito da pensione, senza alcun tipo di ammortizzatore sociale.
Ministro, lei forse essendo nuova dell'attività parlamentare e dell'attività di Governo, è venuta a confrontarsi con il Parlamento con il preconcetto che chiunque le muovesse una critica o un suggerimento volesse lavorare contro la sua attività. Non è così. Le dico chiaramente che se avesse ascoltato con attenzione tutte le problematicità sollevate forse ne sarebbe uscita meglio come Ministro e sicuramente ne sarebbe uscito meglio il Paese. Scorrerò velocemente alcuni punti della riforma che lei ci ha proposto.
Velocemente perché li abbiamo analizzati, seppur inutilmente, ma in modo approfondito in Commissione. Lo farò in ordine rispetto all'articolato, iniziando, per esempio, dall'equiparazione dipendenti pubblici-privati. Qui, signor Ministro, aveva l'occasione di fare una grande riforma del mercato del lavoro. Aveva l'occasione finalmente di dare gli stessi diritti e gli stessi doveri ai lavoratori del comparto pubblico e del privato. E le dico di più: se vorrà prendere in mano, insieme al collega Patroni Griffi, in modo serio la questione, la invito anche a farlo in relazione alle competenze, per esempio, che ci sono nel territorio nazionale dei diversi enti locali e in relazione soprattutto al numero di dipendenti rispetto al numero di popolazione amministrata. Non è possibile che ci siano aree del Paese dove vi è cinque, sei, sette, dieci volte il numero di dipendenti rispetto ad altre che sono addirittura più efficienti. Dunque, non si può fare un taglio lineare o un'equiparazione generale dei dipendenti pubblici, ma bisogna intervenire dove ci sono gli sprechi.
Poi, signor Ministro, lei ha voluto intervenire in modo forte sui contratti a tempo determinato, per esempio con una norma, che noi riteniamo sbagliata, che è quella di allungare i tempi per il rinnovo del contratto. Questo glielo dico perché posso capire i buoni intenti di andare a disincentivare, però sa come si riverserà realmente nella vita quotidiana, soprattutto di giovani lavoratori? Che i giovani lavoratori a contratto a tempo determinato, invece di stare a casa venti giorni, staranno a casa novanta giorni per vedersi rinnovato il contratto. Infatti, le aziende, soprattutto in un periodo di difficoltà economica, non andranno a tramutare il contratto a tempo indeterminato, ma lasceranno a casa i giovani.
Ma andando avanti, parliamo dei titolari delle partite IVA. Anch'essi lei li ha colpiti, con una misura ideologica, mettendo delle condizioni per essere considerati Cococo. Anche in questo caso - dobbiamo Pag. 9sempre confrontarci con la realtà dell'economia e delle attività produttive - si tratta di una questione assolutamente irrealistica, perché sappiamo che vi sono tantissime vere partite IVA che, magari, in questo periodo, si sono tenute il loro cliente forte, che gli garantisce magari l'80-85 per cento del reddito, e poi quel 15-20 per cento restante cercano di garantirselo con lavoratori ovviamente minori, ma che li aiutano a far quadrare i bilanci familiari. In questo caso lei li considererà già Cococo soltanto se hanno una postazione fissa dove svolgono l'attività principale.
Non solo, detto questo lei cosa ha deciso di fare? Di aumentare i contributi per le partite IVA, portandoli al 33 per cento. In un momento, cioè, dove i nostri lavoratori non riescono ad arrivare a fine mese, lei porta al 33 per cento i contributi. Non solo, aumenta i costi del lavoro per l'impresa con i contratti a tempo determinato, aumentando dell'1,4 per cento il costo del lavoro. In tutto il mondo si capisce che siamo in un momento di recessione e che, oltretutto, dobbiamo competere con economie estremamente competitive dal punto di vista del costo del lavoro e nelle quali, inoltre, non vengono rispettate norme ambientali, di lavoro minorile e via dicendo, come, per esempio, nei Paesi dell'Estremo Oriente, vedi Cina ed India. Detto questo, noi cosa facciamo? Invece di aiutare le nostre imprese ad essere competitive e ad alleggerirgli il costo del lavoro, con questa riforma lei lo va ad aumentare.
Continua oltretutto, con l'articolo 4, commi 8 e 11, una pratica che noi come Lega, riteniamo sbagliata e che, come devo ammettere, c'era anche in passato e che, anche in passato, abbiamo contrastato, ma oggi lo facciamo con ancora più vigore, visto il periodo di difficoltà che esiste anche nel nord del Paese. Mi riferisco agli incentivi per le donne del sud, come se le donne del nord non avessero necessità di essere aiutate in modo incisivo e forte nel trovare posto di lavoro. Avete prolungato il permesso di soggiorno per gli stranieri che perdono l'occupazione. Quando nemmeno la nostra gente riesce a trovare occupazione, voi andate a creare un'altra sacca di disoccupazione aumentando i tempi del permesso di soggiorno. In un momento, cioè, in cui non c'è una forte richiesta nel mondo del lavoro di forza occupazionale, dove abbiamo tassi di disoccupazione che raggiungono e superano addirittura la media europea, prima volta da 15 anni a questa parte, dove la disoccupazione giovanile raggiunge cifre allarmanti, voi cosa dite? Creiamo una nuova sacca di disoccupazione, manteniamo cittadini stranieri sul nostro territorio andando a modificare la legge precedente, prolungando e prolungando i tempi.
Ma poi anche nelle coperture avete deciso di andare a colpire imprese e cittadini. Un esempio su tutti (ce lo hanno segnalato, ad esempio, molti rappresentanti di imprese edili, della ANCE): avete diminuito dal 15 al 5 per cento la riduzione applicabile ai canoni dei fabbricati concessi in locazione. Quindi, di nuovo avete questo preconcetto di voler colpire l'impresa e l'apparato produttivo del Paese. Per non parlare poi anche di quelle tasse a cui il vostro Governo ci ha abituato: ad esempio, avete messo una tassa sull'imbarco dei passeggeri sugli aeromobili. Insomma l'unica cosa che siete riusciti a fare è stata quella di riuscire a scontentare tutte le categorie economiche e sociali. Ministro, si ponga un problema, perché lei è stata l'unica ad essere contenta, cioè la riforma Fornero è stata apprezzata soltanto dal Ministro Fornero. Deve prenderne atto di questo, signor Ministro. Porsi un problema. La capacità di un Ministro è anche quella di saper riconoscere errori e correggerli in tempo. Lei crede veramente che qualcuno apprezzerà una riforma che lei stessa ha detto che deve essere corretta dopo le critiche che sono arrivate da tutti? Pensa veramente che sui mercati internazionali le diranno che l'Italia sta cambiando, che è un grande Paese delle riforme quello che, ancora prima di votare in via definitiva una riforma, decide già che deve essere modificata? Pag. 10
Ministro, non mi rivolgo esclusivamente a lei, anzi principalmente al Presidente del Consiglio ed anche a tutti i colleghi parlamentari, forse abbiamo perso un po' di vista l'obiettivo per il quale siamo chiamati, voi siete chiamati a governare e noi a rappresentare i cittadini in Parlamento, ovvero i cittadini stessi. Noi non rappresentiamo l'Europa in Parlamento o al Governo, rappresentiamo l'interesse legittimo dei cittadini e le nostre politiche devono andare in quella direzione e, forse, il 28 e il 29 di questo mese bisognerebbe andare in Europa invece che a farsi dettare un compito su come tagliare le pensioni e creare gli esodati o un compito su come aumentare la pressione fiscale, bisognerebbe forse andare in Europa a dire, anzi a pretendere, ad esempio, che i nostri mercati vengano difesi, che non possiamo sottostare alla concorrenza sleale dei Paesi europei ed extraeuropei e che le nostre imprese non possono essere lasciate allo sbando. Bisognerebbe andare in Europa a chiedere che i miliardi di euro dati alle banche dalla BCE non servano esclusivamente a comprare i titoli di Stato, ma a creare liquidità per le attività produttive del Paese.
Ministro, l'unica vera riforma del mercato del lavoro che si doveva fare era cercare le risorse per abbattere il cuneo fiscale. Era l'unica, reale riforma del lavoro che sarebbe servita al Paese e su questo, se si intenderà farlo e se i colleghi della maggioranza intenderanno farlo, la Lega sarà a disposizione perché, le ripeto, non siamo un'opposizione preconcetta, ma un'opposizione critica che vuole sollevare i problemi di fronte al Paese.
Concludo, signor Ministro, sollevando una nota positiva di questo disegno di legge. La nota positiva è l'emendamento della Lega Nord approvato al Senato che finalmente crea una reale giustizia, malgrado le risorse ricavate non siano immense, anzi saranno molto limitate ma perlomeno risponde a senso di giustizia e equità. Finalmente vengono tagliate le pensioni ai condannati per mafia e per atti di terrorismo. Nel nostro Paese, ancora avveniva che chi era condannato per mafia o atti di terrorismo poteva, ad esempio, percepire l'indennità di disoccupazione. Grazie all'emendamento Lega, che proviene da una proposta sempre della Lega Nord approvata da questa Camera, ciò non avverrà più. E, proprio per dimostrare che non abbiamo preconcetti, ringrazio il Viceministro Martone che ha dato parere favorevole a quell'emendamento perché - devo dire oggettivamente - che alcuni colleghi al Senato non avevano fatto lavorare con estrema celerità le Commissioni referenti per far approvare questa norma - ripeto - già approvata ormai quasi due anni fa da questo ramo del Parlamento.
Queste misure che - ripeto - non portano risorse, ma perlomeno lanciano un messaggio di equità sono importanti da dare ad un Paese che, invece, vive nell'iniquità, soprattutto dopo le pesanti e, dal nostro punto di vista, drammatiche riforme che questo Governo sta portando avanti e malgrado le rassicurazioni dell'inizio del vostro mandato, quando il Presidente del Consiglio Monti aveva fatto dell'equità un punto di battaglia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berretta. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE BERRETTA. Signor Presidente, signora Ministro e rappresentanti del Governo, circa tre mesi or sono, per la precisione lo scorso 23 marzo, è iniziato l'iter del provvedimento in esame con la presentazione da parte sua, Ministro, al Consiglio dei ministri di una relazione, poi tradotta in articolato normativo. In tale relazione - giova ricordarlo - per quel che concerne il tema della disciplina del licenziamento, erano previste drastiche modifiche sul fronte delle tutele apprestate a favore del lavoratore illegittimamente licenziato, modifiche in base alle quali la tutela reale non avrebbe più dovuto trovare applicazione nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Tale ipotesi è stata avversata dal Partito Democratico e il segretario Pier Luigi Bersani ha richiesto ed ottenuto una modifica Pag. 11sostanziale al proposito. Il Partito Democratico rivendica il merito di aver ottenuto il mantenimento della cosiddetta tutela reale anche nel caso del licenziamento economico, con la conseguente funzione deterrente che a tale tutela corrisponde, sia pure per i soli casi di evidente pretestuosità del recesso. Abbiamo arginato il tentativo di destrutturare la tutela reale, nella convinzione che essa rappresenti un punto di equilibrio avanzato tra capitalismo e democrazia e che in realtà altri siano gli ostacoli che si frappongono ad una sempre maggiore presenza di investitori stranieri nel nostro Paese.
Nei giorni scorsi lei, Ministro, ha sollecitato il mondo degli imprenditori ad utilizzare cum grano salis le opportunità che la nuova disciplina offre. Le sue preoccupazioni ci inquietano e pure molto e vorremmo essere rassicurati, ma da lei, e non dal presidente Squinzi. Invero, il combinato disposto tra modifiche legislative, annunziate da mesi, con il naturale effetto annunzio (gli imprenditori potrebbero aver deciso di procrastinare i licenziamenti al momento in cui entrerà in vigore la nuova disciplina meno restrittiva) e crisi economica dovrebbe indurre ad un certo allarme e noi certamente siamo in allarme. Il provvedimento è zeppo di quelle che gli anglosassoni definiscono wishful thinking. Speriamo di non dover constatare la realizzazione di soli effetti negativi e non di queste buone intenzioni.
Nel merito è opportuno segnalare alcune evidenti incongruenze contenute nel testo normativo approvato dal Senato e che oggi questa Camera si appresta a votare senza modifiche per un doveroso ossequio alla ragion di Stato, limiti di ordine tecnico, evidenti ed irrazionali disparità di trattamento che sarebbe stato il caso di risolvere tempestivamente, prevenendo questioni di legittimità costituzionale che potrebbero essere sollevate, e ancor di più incertezze interpretative che certamente verranno causate.
Al proposito è giusto richiamare, come è giustamente è stato fatto dai relatori, i rilievi contenuti nel parere reso dalla Commissione giustizia e dal Comitato per la legislazione. Nel nuovo assetto normativo, il potere datoriale di licenziare viene rafforzato sì, ma a fronte di questo rafforzamento vengono introdotte delle procedure che devono essere rispettate e degli obblighi tra i quali spicca l'obbligo di contestuale motivazione dell'atto di recesso. Perché l'atto datoriale sia legittimo, il potere deve essere esercitato nel rispetto delle procedure (comunicazione alla direzione del lavoro o procedure di cui alla legge n. 223 nel caso di licenziamenti collettivi) e in modo trasparente, cioè vi è l'obbligo di contestuale motivazione prevista al comma 37 dell'articolo 1. Se questo è l'assetto normativo, è evidente, signor Ministro, l'incongruenza della previsione recante una tutela meramente risarcitoria - da 6 a 12 mensilità - nel caso in cui la motivazione non venga fornita, una tutela inferiore a quella prevista per il licenziamento giudicato illegittimo per carenza di giusta causa o giustificato motivo, con l'evidente corollario che, in tal caso, non trova applicazione il proverbio «fatta la legge, trovato l'inganno», ma è la legge stessa a suggerire l'inganno: il datore di lavoro potrà limitarsi a licenziare senza precisare i motivi e correrà il rischio di pagare, al più, un anno di retribuzione. A nulla vale il riferimento alla possibilità per il lavoratore di dimostrare un difetto di motivazione. Il lavoratore, in assenza di motivazione del licenziamento, cosa dovrebbe attaccare? In che modo? Con quali strumenti? Con quali prove? Altrettanto incongrua, a mio avviso, è la sanzione meramente risarcitoria in materia di licenziamenti collettivi nel caso di violazione delle procedure. Infatti, come noto, il Governo col presente disegno di legge intende ridurre il dualismo che caratterizza il mercato del lavoro, ma in realtà, a ben vedere, la complessità e la segmentazione aumentano con inevitabili incertezze.
Alla ripartizione tra tutela forte e tutela debole prevista per le aziende con più o meno di quindici dipendenti dell'unità produttiva, oggi si assomma anche la subdistinzione tra tutela forte reale e tutela forte risarcitoria. Pertanto, il medesimo Pag. 12vizio dal punto di vista giuridico - l'annullabilità del licenziamento - potrà dar luogo alla reintegra o al risarcimento del danno, non solo in base alla dimensione dell'impresa, ma anche a seconda che i fatti posti a fondamento del licenziamento non sussistano o non sussistano manifestamente: distinzione labile e foriera di dubbi interpretativi.
Per concludere, uno dei padri del diritto del lavoro italiano, Umberto Romagnoli, ci ha insegnato che il diritto del lavoro non nasce per cambiare il mondo, ma per renderlo più accettabile. Con il disegno di legge oggi in discussione, non cambieremo il mondo, certo, ma mi domando: lo renderemo più accettabile? Io non lo credo e mi auguro che si intervenga rapidamente in ossequio agli impegni assunti dal Presidente Monti per limitare o, perlomeno, realizzare un minimo di maggiore equità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, il provvedimento in discussione è atteso, tutti ne attendono le disposizioni, le novità, gli aspetti riformatori, come se fosse la premessa di un sistema in evoluzione o, meglio, di un sistema - quello del mercato del lavoro - che necessita di un'evoluzione, non più facoltativa o auspicabile, ma obbligatoria. E questa volta, la demagogia lasciamola in un angolo, perché serve veramente a poco: ora servono i fatti.
Sono anni che invochiamo una riforma del lavoro che consenta la modernizzazione del Paese, che definisca i presupposti per il rilancio della crescita e della competitività del sistema, ma, fino ad ora, non abbiamo ottenuto molto: i dati quotidiani che vengono forniti sull'andamento dell'occupazione, segnatamente tra i giovani, non fanno che confermare tutto questo. Ed è proprio con questa consapevolezza ed esigenza di un passo in avanti che abbiamo affrontato questa riforma, certi che i veti incrociati e le speculazioni parlamentari ne avrebbero congelato l'iter. Con quale faccia ci saremmo, poi, rivolti agli italiani? Il Paese sta aspettando risposte da troppo tempo: penso ai giovani senza lavoro e a quelli con contratti fantasma; penso ai disoccupati maturi che il mercato del lavoro considera invisibili o ai tanti sfiduciati, donne o uomini di varia età e formazione, che ormai non credono più in un futuro lavorativo. Ma penso anche alle aziende italiane, asfissiate da un sistema fiscale farraginoso e da una crisi che non allenta la sua morsa e che prima di assumere un lavoratore ci pensano anche mille volte. È a questi soggetti che dobbiamo rivolgere il nostro pensiero.
Certo, non è una riforma perfetta, molti sono i nodi lasciati in sospeso, ma non si poteva pretendere una risoluzione dei mali dell'Italia in poche disposizioni. Siamo consapevoli anche di questo, ma, proprio per tale ragione, riteniamo che un confronto ulteriore con il Governo debba essere auspicabile, perché certe questioni possano essere affrontate in provvedimenti affini. Noi vogliamo vedere concretamente un mercato del lavoro dinamico ed inclusivo, idoneo a contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, come suggerisce il provvedimento.
Condividiamo anche lo spirito che sottende il provvedimento, che segna una demarcazione tra il concetto di lavoro, abbandonando la logica del posto fisso come massima aspirazione e tentando di rimettere al centro la professionalità e il lavoro. La flessibilità non è un dramma, ma un'opportunità: questo, purtroppo, si fa fatica a comprenderlo e, sicuramente, l'impianto normativo finora vigente non ha aiutato. La tutela del posto di lavoro deve trasformarsi in tutela del lavoratore e, in questa ottica, dovrebbero mutare tanto le aziende, quanto i lavoratori e le parti sociali, ancora ingessate intorno ad un modello che, di certo, è superato, se contestualizzato nella realtà attuale.
E proprio perché «contestualizzabile» dovrebbe essere la parola d'ordine, dobbiamo renderci conto che troppo poco è stato fatto per categorie cosiddette fantasma come quelle dei disoccupati over Pag. 13quaranta. Parliamo di circa un milione e mezzo di lavoratori con un'età compresa tra i quaranta e i sessanta anni, i quali, dopo un licenziamento, si trovano inoccupati e respinti dal mercato del lavoro.
Nel provvedimento sono previsti incentivi all'occupazione. Certo, le misure incentivanti sono da applaudire, anche perché si configurano come l'intervento più immediato sul versante della tutela dei lavoratori. Ma sempre perché contestualiziamo, essi vanno a cumularsi con altre forme incentivanti riconosciute nello stesso provvedimento ad altre categorie di lavoratori - ricordiamo, ad esempio, per le donne e i giovani - con il rischio che si arriverebbe al paradosso dello svilimento dell'effetto stimolante dell'incentivo perché previsto su troppe categorie.
Quindi, l'azienda, davanti a questo ventaglio di formule chiamiamole incentivanti, mi chiedo cosa dovrebbe fare. Sul versante giovani è stato fatto un importante passo avanti con il riconoscimento del contratto di apprendistato, che è lo strumento principale per i giovani fino ai ventinove anni per inserirsi nel mondo del lavoro. Anche qui, però, non ci siamo calati nella realtà. Non sono pochi i casi di giovani che, a diversi anni dalla laurea e avendo superato i trenta anni, tra stage e piccole collaborazioni, non sono più appetibili per le aziende. Questa formula contrattuale dovrebbe essere prevista per i giovani fino ai trentacinque anni. Soltanto in questo modo potrebbe rappresentare un incentivo reale al coinvolgimento lavorativo dei giovani.
Quando parliamo di tutela del lavoratore e di incentivo all'occupazione non intendiamo bypassare le esigenze delle aziende, come ho già avuto modo di accennare. Sarebbe un atteggiamento di antichità sindacale. Le imprese che hanno maggiori potenzialità e che intendono crescere ed investire, dovrebbero essere maggiormente tutelate. Abbiamo l'obbligo di snellire l'inutile burocrazia e le sbavature amministrative. È, inoltre, necessario procedere con un rinnovamento degli ammortizzatori sociali, che si adegui finalmente alla situazione attuale e che coinvolga tutte le categorie dei lavoratori, anche quelli finora lasciati ai margini di qualsiasi iniziativa, signor Ministro.
Crediamo che il primo passo sia stato fatto, ma che questa riforma non possa e non debba prescindere anche da un'evoluzione culturale del Paese e del suo tessuto produttivo, che spinga a riformulare i canoni previgenti e a valorizzare quanto di nuovo oggi il mercato del lavoro offre.
Crediamo anche, come già evidenziato dal Ministro Fornero, che la riforma non si chiuda qui, ma che debba partire da qui. Il lavoro che ci attende è lungo e deve vedere noi tutti attivi su più fronti, in una dinamica costruttiva di confronto, analisi e approfondimento. Con questa consapevolezza abbiamo condiviso l'esigenza di non speculare sul testo, riservandoci di suggerire migliorie a tempo debito. Crediamo che le responsabilità di fronte al Paese e alla sua parte più sana, parta proprio da questa scelta. Non possiamo fare calcoli e analisi di professori. Qui si tratta di cambiare la vita delle persone e questo pesa profondamente sulla nostre coscienze.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Poli. Ne ha facoltà.

NEDO LORENZO POLI. Signor Presidente, signor Ministro, iniziamo oggi in quest'Aula a discutere di una riforma complessa, che rappresenta un passaggio necessario, un vero e proprio impegno morale di responsabilità verso l'intero Paese, prima che impegno economico verso l'Europa.
Il testo giunto all'esame di quest'Aula è stato caratterizzato, per il suo non agevole iter che ha visto contrapporsi sindacati ed imprese, da punti critici, ma anche da aperture al nuovo, che hanno portato, in Senato, ad ottenere quattro fiducie interamente sostitutive del provvedimento varato originariamente dal Governo.
La riforma è nata dalla necessità di riscrivere le regole e per questo motivo ci siamo trovati, prima in Senato e ora qui alla Camera, ad affrontare una priorità, condividendo con il Governo la necessità Pag. 14di porre mano ad un mercato come quello del lavoro, enormemente tartassato e caratterizzato dal peggioramento della disoccupazione e dalla riduzione dei redditi medio-bassi.
Siamo davanti alla drammatica realtà che ci mostra che il reddito cresce lentamente, peggiorando la condizione delle classi sociali più povere, e che si infittisce la fascia di giovani tagliati fuori dal mercato del lavoro. I dati di Bankitalia e dell'ISTAT sono chiari in tal senso: mentre diminuisce il potere di acquisto delle famiglie, aumentano la precarietà e la disoccupazione, soprattutto giovanile. Infatti, i contratti a tempo determinato, nelle fasce di età tra i 35 e i 64 anni, nel primo trimestre 2012 sono cresciuti del 44 per cento, mentre il tasso di disoccupazione giovanile dai 15 ai 24 anni è salito dal 29,6 per cento del primo trimestre del 2011 al 35,9 per cento nel primo trimestre del 2012.
È dunque una riforma necessaria e la necessità è dettata dai mercati, dalla crisi in atto e dal dovere che abbiamo verso i nostri figli di tentare di fare il meglio per porre basi solide per il loro futuro. È solo l'inizio, ma il nostro dovere è dare un segnale. Ma è anche la storia dei continui mutamenti subiti dal mercato del lavoro che necessita di un passo in avanti per adeguarsi ai tempi. Questa riforma è un passaggio obbligato per far crescere il Paese, anche perché dopo la riforma del mercato pensionistico, che ha abolito le pensioni di anzianità e aumentato l'età di pensionamento, quello che stiamo oggi discutendo è un passaggio consequenziale e di completamento.
La riforma delle pensioni presupponeva che si parlasse successivamente di riforma degli ammortizzatori sociali e di contratti di lavoro, oltre che di mobilità in uscita dei lavoratori, premesso che una vita lavorativa più lunga porta necessariamente alla creazione di nuove tutele per chi perde il posto di lavoro in età avanzata. Stiamo affrontando una riforma che cerca di attenuare il dualismo tra lavoratori protetti e lavoratori senza alcuna protezione, di favorire l'installazione di rapporti di lavoro stabili, di offrire alle imprese regole più chiare e un quadro di minore incertezza giuridica.
Certo, poteva essere fatto di più. Da tempo, ad esempio, parliamo della necessità di ridurre le numerose formule contrattuali di flessibilità all'ingresso, su cui un lavoro consistente è stato fatto, ma salvando al contempo la flessibilità buona di potenziare l'apprendistato e di sostenere chi è troppo giovane per la pensione ma troppo anziano per un posto di lavoro (parlo della categoria dei quarantenni), di favorire la nascita di un nuovo assetto dei rapporti tra imprese e lavoratori, in cui le imprese assumono un impegno stabile di occupazione e formazione, investendo nel capitale umano, e il lavoratore accetta di vedere tutelata la sua professionalità e la sua occupabilità e non il posto di lavoro.
Purtroppo, com'è evidente, sul provvedimento approvato al Senato, sulla base delle decisioni politiche assunte dai gruppi che sostengono il Governo, non vi sono possibilità di intervenire nonostante vi siano taluni passaggi problematici sui quali sarebbe auspicabile un intervento più decisivo. Tuttavia, è per senso di responsabilità che il gruppo dell'Unione di Centro non si opporrà alla tempestiva conclusione dell'iter di esame al fine di conferire maggiore credibilità all'azione di Governo italiano nelle sedi comunitarie in occasione del prossimo vertice dell'Unione europea.
Siamo convinti che i nostri aspetti di criticità verso la riforma, da noi evidenziati, vengano presi adeguatamente in considerazione in futuro attraverso anche il prezioso contributo della Commissione lavoro, che ha ritenuto di potersi fidare degli impegni assunti dal Presidente del Consiglio Monti che, la sera del 20 giugno scorso, in una nota, ha chiesto al Parlamento di accelerare l'esame della riforma del mercato del lavoro in modo che la legge fosse approvata entro il 27 giugno per dare la possibilità al Consiglio europeo del 28 giugno di prendere atto del varo di questa importante riforma strutturale.
Siamo fiduciosi che su temi di rilievo, dove ancora ci sono delle criticità (parlo Pag. 15degli esodati, della flessibilità in entrata, degli incentivi all'occupazione e degli ammortizzatori sociali), si torni a discutere in futuri provvedimenti sottoposti all'attenzione del Parlamento, a cominciare dal cosiddetto decreto sviluppo, introducendo in materia di lavoro quei correttivi necessari. Stiamo procedendo verso un percorso che ci impone una scelta di serietà e responsabilità, ma che non ci impedisce di segnalare che vi sono alcuni importanti temi critici ancora aperti che sono emersi anche dalle audizioni che abbiamo svolto in Commissione con le parti sociali e i rappresentanti dei diversi interessi coinvolti.
In primo luogo, ricordo che ci sono ancora delle categorie non del tutto tutelate dalla riforma, anzi che vedrebbero peggiorare il loro status quo nel caso in cui non si apportassero degli correttivi futuri.
Mi riferisco ai lavoratori autonomi non rappresentati da ordini professionali o rappresentati da ordini professionali senza cassa, non riconducibili alle tradizionali categorie del commercio e dell'artigianato e che esercitano la loro attività in regime di partita IVA. Si tratta di posizioni svantaggiate, anche perché, in quanto autonomi, scontano della presunzione di colpevolezza dell'evasione fiscale, pur non essendo per loro possibile, dal momento che lavorano con imprese e pubbliche amministrazioni e, tuttavia, in quanto iscritti alla gestione separata, sono definiti parasubordinati e, come tali, assimilati a chi non è realmente autonomo.
Il disegno di legge prevede alcune norme di contrasto alle finte partite IVA, che così come formulate, con un rigido meccanismo di presunzioni, rischiano di danneggiare anche le vere partite IVA, mettendole nelle condizioni di dover dimostrare a priori ai propri clienti di avere un fatturato adeguato o altri clienti importanti. In questo caso, paradossalmente, sono danneggiate le categorie di lavoratori che dovrebbero essere sostenute e che il Governo dice di voler sostenere. Chiediamo, quindi, di rivedere il sistema di presunzioni, in modo che nelle maglie non finiscano anche situazioni di vero lavoro autonomo.
In questo contesto, credo che nei prossimi mesi dovremo lavorare insieme, per la semplificazione del contratto di apprendistato, rendendolo più funzionale alle esigenze per le quali è stato pensato e soprattutto più agevolmente fruibile dalle imprese. Solo attraverso una riduzione dei vincoli e degli oneri burocratici inutili ed una maggiore chiarezza e semplificazione, il contratto di apprendistato potrà rivestire l'auspicato ruolo di modello per l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro che il Governo si proponeva di realizzare.
Inoltre, al fine di aprire ulteriori possibilità di utilizzo dell'apprendistato e a seguito della cancellazione della possibilità di assumere apprendisti in somministrazione a tempo determinato, è necessario chiarire, prevedendolo espressamente, che è possibile assumere apprendisti in somministrazione a tempo indeterminato, allargando una siffatta possibilità.
Occorrerà rimodulare le norme sulla collaborazione a progetto. Il disegno di legge modifica in modo generale diverse disposizioni del lavoro a progetto, con l'intento di evitare l'utilizzo distorto della tipologia contrattuale. Le modifiche positive riguardano: la definizione più stringente del progetto; l'eliminazione di qualsiasi riferimento al programma di lavoro o fase di esso; la limitazione della facoltà del datore di lavoro di recedere dal contratto prima della realizzazione del progetto. Tuttavia, la mancanza di una specifica definizione normativa di «idoneità professionale» comporterà inevitabilmente un aumento del contenzioso in materia.
Inoltre, riguardo alle indennità previste una tantum per le collaborazioni coordinate e continuative e alle norme di contrasto all'utilizzo improprio dell'istituto, riteniamo lodevole l'intenzione del Governo, ma continuiamo a sostenere che la migliore soluzione sia quella di ricondurre tali rapporti di lavoro nell'alveo della genuina autonomia.
Per quanto riguarda il contratto a tempo determinato, apprezziamo l'introduzione Pag. 16di un primo contratto acausale, che può rivelarsi utile al fine di prevenire il contenzioso in materia e l'allungamento del termine per tale contratto, passato da sei mesi ai dodici attuali. Riteniamo, però, imprescindibile aggiornare la normativa dei contratti di lavoro di coloro che operano in settori soggetti a frequenti oscillazioni delle attività ed ad una elevata stagionalizzazione, dove il ricorso al lavoro a termine è una necessità, non un vezzo, ed è fisiologico, in particolare nel settore del turismo, avvicinando il periodo intercorrente fra un contratto a termine e l'altro, eliminando i costi aggiuntivi e cercando di favorire, anziché ostacolare, una forma di lavoro che negli ultimi anni ha prodotto ottimi risultati per imprese e lavoratori.
Sempre in questo contesto, apprezziamo l'intervento ragionato sul lavoro intermittente, che ne ha razionalizzato l'utilizzo e introdotto un nuovo obbligo di comunicazione necessario in funzione preventiva di possibili abusi, evitando, peraltro, una sua abrogazione, che avrebbe ricondotto nel lavoro irregolare molte figure lavorative.
La riforma così com'è rischia di creare un turn over con la sostituzione della manodopera anziana con quella a più basso costo, con impatto sociale drammatico a causa delle difficoltà di ricollocare la manodopera anziana.
È fortemente sentita la preoccupazione proveniente dall'eliminazione del contratto di inserimento, che ha rappresentato fino ad oggi uno dei pochi ma buoni strumenti che i soggetti svantaggiati hanno avuto per fare il loro ingresso nel mondo del lavoro. Nel disegno di legge vengono previste misure volte ad incentivare l'assunzione di una parte dei soggetti destinatari di tale tipologia contrattuale.
Tuttavia, l'abrogazione di tale contratto comporta due tipi di problemi. Il primo è l'esclusione di una platea di soggetti svantaggiati per i quali è più difficile l'ingresso nel mercato del lavoro, quali i disoccupati di lunga durata, i giovani dai 29 ai 32 anni, e soprattutto i portatori di handicap fisico, psichico, mentale e le persone affette da dipendenza. Si tratta di gruppi di persone che nel contratto di inserimento hanno visto uno strumento incentivante il loro ingresso e l'inserimento nel mondo del lavoro e che domani, in assenza di tale contratto o di altri interventi a loro destinati, avranno minori probabilità di trovare un'occupazione.
Il secondo problema è riferito alle novità in tema di incentivi per l'assunzione di over 50 e donne ed è connesso ad uno squilibrio tra gli incentivi che si intende dare alle imprese che assumeranno tali soggetti e l'aleatorietà per tali soggetti di una effettiva stabilizzazione. Chiediamo di investire su contratti di somministrazione delle agenzie che assumono personale a tempo indeterminato, ricordando che questo è uno dei contratti che rappresentano la cosiddetta «flessibilità buona», ossia quella che fornisce maggiori garanzie ai lavoratori e utili elementi formativi alle imprese. Ricordo che si tratta di rapporti regolari, assistiti da una tendenziale stabilità, e che per di più comportano per le imprese un maggiore costo, aspetto quest'ultimo di per sé sufficiente a scongiurare il pericolo di abusi.
Rinnoviamo anche in questa sede, poi, la richiesta al Governo di risolvere il problema riguardante, in particolare, i cosiddetti esodati. Non ha senso parlare di numeri che non coincidono, se non si decide immediatamente il da farsi, stanziando le risorse adeguate.
Occorrerà ragionare su un possibile differimento dell'entrata a regime della nuova ASPI, cercando di capire se, in questa fase di crisi, la traslazione in avanti della riforma non consenta di tutelare meglio i lavoratori, consentendo ancora per un po' di usufruire degli ammortizzatori sociali esistenti, il cui utilizzo è ormai rodato e quindi sicuro ed efficiente.
Non mi stancherò mai di richiedere un intervento incisivo e atto a recepire in tempi rapidi le risorse in grado di incrementare i fondi disponibili per aumentare la detassazione per i premi di produttività a livello di contratti territoriali e aziendali, dal momento che il decreto attuativo concernente Pag. 17la detassazione dei premi produttività 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ha ridotto la soglia del reddito e il limite massimo di importo agevolabile. Stiamo parlando di uno strumento, che è quello della detassazione, che ha consentito un incremento dei redditi dei lavoratori negli anni scorsi e che è stato molto applicato nella gestione dei rapporti di lavoro.
Quanto alla flessibilità in uscita, ossia alla disciplina dei licenziamenti, riteniamo importante e apprezzabile il passo in avanti fatto dal Governo che, dopo decenni di stallo e di veti, è riuscito a trovare un buon compromesso sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e a riportare razionalità al sistema; anche la soluzione del nuovo canale processuale per le controversie in materia di licenziamenti potrà portare a buoni risultati.
In conclusione, questi sono i nostri aspetti critici che abbiamo fiducia verranno considerati con il giusto peso sui futuri provvedimenti, anche se apprezziamo quanto è stato fatto in Senato attraverso anche l'approvazione di emendamenti presentati dall'UdC, che ci ha fatto desistere, per senso di responsabilità, dal ripresentarli di nuovo qui alla Camera. È stata la nostra una scelta motivata dalla consapevolezza che i nodi irrisolti verranno presto affrontati, come assicurato dal Governo.
Apprezziamo il lavoro, che è frutto anche della condivisione con le parti sociali, della responsabilità dei partiti e della disponibilità dell'Esecutivo al confronto con il Parlamento. Ci rendiamo conto che non è risolutiva della complessità delle problematiche lavorative, ma abbiamo dato un segnale significativo in un momento altamente delicato per il nostro Paese.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

NEDO LORENZO POLI. Ho finito, signor Presidente. Intendiamo con ciò porre le basi per una nuova cultura del lavoro che risponda alle esigenze di perfezionare, oltre che a rendere possibile, l'incontro tra la grande domanda di servizi alle famiglie e alle comunità locali e l'altrettanto grande offerta potenziale di manodopera che può essere posta in grado di svolgerli (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo, Popolo della Libertà e Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fabbri. Ne ha facoltà.

LUIGI FABBRI. Signor Presidente, signora Ministro, signor sottosegretario, colleghi, fin dalla sua nascita noi deputati di Alleanza per l'Italia siamo stati critici nei confronti di questo provvedimento. Quando si discuteva se fosse meglio per il Governo emanare un decreto o presentare un disegno di legge, noi abbiamo sostenuto sulla stampa che la cosa migliore sarebbe stata una legge delega. Ce n'era una aperta dai suoi due predecessori fino a ottobre di quest'anno. Questo avrebbe consentito di discutere con le parti sociali in seconda battuta, all'atto dell'emanazione dei decreti delegati, risparmiandoci mesi di polemiche prevedibili sui giornali, tensioni sociali e prese di posizione sull'argomento «articolo 18» che non era né l'unica, né la più importante materia del provvedimento.
Sul metodo, quindi, abbiamo avuto opinioni differenti.
Sul merito, mi permetto di dire che la logica e la finalità di questa legge di riforma del mercato del lavoro sono espresse già nelle disposizioni generali. È una norma che in fondo si prefigge di ridurre i costi e, nel contempo, vuole fornire all'Europa e ai mercati un segnale di modernità. L'obiettivo dichiarato - quello di promuovere i meccanismi di sviluppo per favorire la crescita nel nostro Paese in un momento in cui tutti gli indici sono di segno negativo - difficilmente verrà colto.
Signor Ministro, questo è un argomento da parti sociali dove, in un Paese coeso e civile, Governo e Parlamento non dovrebbero neanche entrare. Parlamento e Governo dovrebbero essere arbitro, anzi notaio, perché l'arbitro può influenzare il Pag. 18risultato, mentre il notaio, invece, ratifica e basta. Sarebbe stato auspicabile che le parti sociali - sindacali e datoriali - con un gesto di responsabilità e sensibilità, dato il momento, fossero venuti da lei, signor Ministro, con una proposta comune e lei, che è un Ministro tecnico, avrebbe dovuto accoglierla senza obiettare (cosa che magari un ministro politico non potrebbe fare). Forse questa è un'utopia, ma intanto il processo decisionale ancora una volta non è cambiato.
Il Governo si è impantanato nei soliti rituali della trattativa con le parti sociali e con i partiti. Ai vari tavoli i partecipanti hanno potuto sostenere tutto e il suo contrario secondo le proprie convenienze. Noi da un Governo tecnico, che sosteniamo convintamente e lealmente, ci saremmo aspettati innovazione oltre che nel prodotto anche nel processo (come si dice nel mondo dell'industria).
Nel merito, lei ha lanciato un segnale per la pubblica amministrazione ai commi 7 e 8 dell'articolo 1, dove afferma che le disposizioni della legge costituiscono un insieme di principi e criteri per la regolamentazione del lavoro pubblico. Ma il rapporto di lavoro pubblico ha delle regole peculiari che vanno casomai modificate. Questo è un terreno sul quale si potrebbe fare molto, se si avesse il coraggio di stabilire una maggiore equivalenza tra rapporti di lavoro privato e quelli pubblici, ai quali comunque va garantita la peculiarità dell'ingresso per concorso previsto dalla Costituzione.
Per quanto riguarda le tipologie contrattuali, lei mi insegna che è lo sviluppo che fa crescere l'occupazione, non le tipologie contrattuali. Nel provvedimento si afferma, all'articolo 1, che il contratto a tempo indeterminato è dominante e vengono adottate misure burocratiche ed economiche dissuasive rispetto al tempo determinato, parziale, lavoro intermittente e viene abrogato il contratto di inserimento e potenziato quello di apprendistato.
Signor Ministro, i contratti sono troppi. Noi avremmo preferito l'allungamento del patto di prova. Abbiamo presentato un progetto di legge in proposito. Sarebbe stato sufficiente modificare un articolo del codice civile.
All'articolo 4 si dà una delega al Governo per le politiche attive e per i servizi all'impiego. Dobbiamo augurarci che i decreti che verranno possano essere in grado veramente di incidere su questa materia, che è di fondamentale importanza - questa sì - per rendere davvero il mercato del lavoro più dinamico e inclusivo. Con la «legge Biagi» avevano dato la possibilità di incrociare domanda e offerta di lavoro alle scuole, alle università, ai sindacati, agli enti bilaterali, ma non è successo nulla.
La formazione poi ha un ruolo determinante per chi cerca lavoro o per chi, invece, deve ricollocarsi.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, la prego di concludere.

LUIGI FABBRI. Nel nostro Paese la formazione è insufficiente. Voglio ricordare che in Italia soltanto il 6 per cento dei lavoratori fa oggi un corso di formazione all'anno e la metà di questi corsi sono quelli obbligatori per legge che riguardano la sicurezza sul lavoro (pronto soccorso, antincendio, carrelli elevatori, carri ponte, eccetera).
È apprezzabile che lei abbia messo in questo provvedimento il sostegno alla genitorialità e il contrasto per le dimissioni in bianco, ma si tratta di argomenti che la stessa Commissione lavoro stava discutendo e alla quale sono scippati.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, deve concludere...

LUIGI FABBRI. Ho finito, signor Presidente. Voglio pregarla di non dare eccessiva enfasi al monitoraggio statistico, perché anche la «legge Biagi» la prevedeva e non è successo nulla. Sembra un organismo pletorico che non porterà a nulla di buono.
Quindi, bisogna essere un ottimista inguaribile per pensare che questo provvedimento possa veramente sviluppare un sistema dinamico e inclusivo idoneo a Pag. 19contribuire alla crescita e all'occupazione di qualità. Noi speriamo che si possa centrare l'obiettivo, l'unico che si può raggiungere a breve, cioè convincere l'Europa che il Governo italiano ha saputo intervenire in questo settore così come richiesto dalla lettera «Draghi-Trichet» dell'agosto scorso. Sarebbe consolatorio anche per la Camera dei deputati, a cui è stato sottratto il diritto-dovere di migliorare il provvedimento (Applausi di deputati del gruppo Misto).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà, per due minuti.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, la crisi internazionale e la concorrenza di nuove potenze economiche ci stanno costringendo a cambiare. Non potremmo più reggere a questa pressione conservando le nostre abitudini e le nostre vecchie regole.
La crisi in cui versa l'Italia si può superare solo attraverso l'attuazione di riforme coraggiose. Ora, la domanda che mi pongo è: questa lo è o è il frutto di un compromesso?
Il Presidente del Consiglio, sulla riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dichiarò che essa non era negoziabile. Si prese gli applausi della Comunità europea e internazionale. E poi? Poi tutto è stato negoziato.
Vedremo come nei fatti reagiranno le imprese. Se dobbiamo vederlo dalle prime dichiarazioni, il tempo non è sicuramente favorevole.
Signor Presidente, lei sa che avendo poco tempo a disposizione non posso entrare nel merito e devo passare alla conclusioni. Le chiedo anche di poter allegare al mio intervento il contributo di merito che ho voluto dare. Ecco perché, appunto, nelle conclusioni avrei voluto poter dire che occorre dare una maggiore certezza alle imprese e ai lavoratori. Ci siamo riusciti solo parzialmente. La tentazione a tirarsi fuori è forte e a non essere coinvolto, in questa responsabilità verso le generazioni future, pure. Ma non lo farò. Avevo presentato una proposta di legge, l'Atto Camera n. 4546. L'urgenza di chiudere entro il 27 ci impone di fare in fretta.
Signor Ministro, bisognava puntare al bersaglio grosso, ora, subito, perché è in gioco il destino di un'intera generazione.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. Concludo, signor Presidente. Oggi su questa riforma facciamo una scommessa, pur consapevoli che per certi aspetti è ancora eccessivamente rigida. Manca ancora una svolta vera. L'impegno del Governo di apportare delle modifiche c'è. Vedremo quali saranno. Intanto, in questo momento mi assumo la responsabilità di sostenere questo disegno di legge, così come ho fatto il 16 dicembre scorso. Tra gli interessi di parte e gli interessi del Paese scelgo il Paese.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Santori. Ne ha facoltà.

ANGELO SANTORI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, spiace dover sottolineare, prima di tutto, che il voto di fiducia non consentirà a quest'Assemblea di contribuire a migliorare il testo in votazione, ma ci permetterà solo di arrivare formalmente con le carte in regola al Consiglio europeo che si svolgerà il 28 e il 29 giugno prossimi.
Avremmo voluto dare il nostro responsabile contributo alla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Pag. 20Si tratta di una riforma che non era più rimandabile e che deve fornire certezze al Paese e al sistema. È evidente come in momenti come questo ognuno debba rinunciare a qualcosa perché - è bene ricordarlo - in tempi di crisi economica non è solo il benessere ad essere messo in crisi, ma anche la tenuta del tessuto democratico, istituzionale e sociale.
Si tratta di un provvedimento che, secondo quanto dichiarato dal Governo, è teso a creare una maggiore mobilità, che protegga il lavoratore, ma non renda sclerotico il mercato del lavoro, e che favorirà la distribuzione più equa delle tutele dell'impiego, contenendo i margini di flessibilità progressivamente introdotti negli ultimi venti anni e adeguando, all'attuale contesto economico, la disciplina del licenziamento individuale.
Nonostante queste convinte dichiarazioni, permangono molte perplessità sulla reale efficacia delle riforma e sulla risposta che questa darà all'occupazione. Voglio brevemente ricordare i dubbi, relativi all'incremento contributivo dell'1,4 per cento destinato a finanziare l'ASPI, che peserà sulle aziende, e quello relativo all'irrigidimento delle norme sulla flessibilità in entrata, che favoriranno il ricorso al lavoro nero e indeboliranno anche la flessibilità in uscita.
Discorso a parte merita la formulazione dell'articolo 18, che in versione più drastica avrebbe dimostrato maggiore efficacia, attirando nuovamente in Italia gli investitori esteri che da anni evitano il nostro Paese. Ebbene, bisognerà convincersi che l'articolo 18 e le tutele in esso contenute, tese a proteggere la parte più debole del rapporto di lavoro, hanno ormai esaurito il proprio ruolo e che il mercato del lavoro è profondamente cambiato, anche grazie all'agire degli stessi soggetti che resero possibile la stesura dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Signor Presidente, signor Ministro, un breve cenno è indispensabile per un settore quale quello agricolo, spesso dimenticato e che, invece, riveste notevole importanza.
Come lei saprà, signor Ministro, il settore agricolo non ha partecipato sistematicamente al lavoro di confronto tra Governo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, che si è tenuto nei mesi scorsi, anche se ha avuto altre occasioni per rappresentare al Ministro ed alle forze politiche che sostengono il Governo Monti la posizione su tale delicato tema per gli equilibri sociali ed economici del nostro Paese. Si tratta infatti di temi che per gli imprenditori agricoli rivestono particolare interesse in ragione della natura delle imprese agricole datoriali di medie o grandi dimensioni, spesso condotte in forma societaria, che occupano manodopera dipendente in modo strutturale e rilevante.
Non può infatti essere sottaciuto che l'occupazione dipendente del settore agricolo rappresenta una quota importante del mercato del lavoro del nostro Paese, sia in termini quantitativi che qualitativi, come dimostrano i dati INPS. Il lavoro agricolo merita dunque la massima attenzione e considerazione all'interno del contesto economico-sociale del nostro Paese. In tale ottica, si possono formulare le seguenti considerazioni: per quanto concerne il contratto a tempo determinato, le modifiche alla disciplina di questa tipologia contrattuale contenute nel disegno di legge appaiono eccessivamente restrittive sia rispetto alla normativa europea, sia rispetto alle esigenze del mondo produttivo e segnatamente di quello agricolo, caratterizzato da necessità occupazionali ricorrenti e di breve periodo.
Per quanto concerne la flessibilità in uscita è opportuno ricordare preliminarmente che in agricoltura l'articolo 18, nella vecchia e nella nuova formulazione, trova applicazione per le imprese che occupano più di cinque lavoratori e non più di quindici, come negli altri settori.
Per quanto concerne il lavoro autonomo agricolo, l'articolo 2, comma 57, del disegno di legge estende anche agli imprenditori agricoli professionali, a partire dal 2013, il progressivo aumento delle quote contributive pensionistiche, previsto Pag. 21dalla legge n. 214 del 2001 per i coltivatori diretti, i coloni ed i mezzadri. L'incremento della pressione contributiva su tali categorie di soggetti, che nel 2018 sarà pari al 24 per cento del reddito imponibile - sto per concludere, signor Presidente - preoccupa fortemente, anche perché si tratta di aumenti che vanno a sommarsi ad altri pesanti interventi di carattere fiscale come l'IMU, che colpiranno duramente le imprese familiari.
Vorrei concludere con l'auspicio che il Ministro Fornero valuti quali saranno i reali benefici per il Paese e - se necessario - predisponga eventuali provvedimenti integrativi alle norme che ci accingiamo a votare, al fine di ridare...

PRESIDENTE. Onorevole Santori, la prego di concludere.

ANGELO SANTORI. Ciò al fine di ridare - signor Presidente mi avvio alla conclusione - opportunità concrete ai giovani che si affacciano sul mondo del lavoro, alle donne, che continuano a pagare un prezzo troppo alto ed ai lavoratori che, per usare la definizione data dallo stesso Ministro...

PRESIDENTE. Onorevole Santori, deve concludere. Ha superato di un minuto il tempo a sua disposizione.

ANGELO SANTORI. Signor Presidente, va bene. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Santori, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, questa doveva essere la grande riforma, la riforma dei miglioramenti e doveva essere anche finalizzata a realizzare un mercato del lavoro più efficiente, equo, inclusivo. Si doveva pensare alla riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, che comprendeva - soprattutto per noi - la tutela della famiglia, delle pari opportunità, nella quale dovevano essere inclusi i giovani e la crescita e nella quale doveva esserci il contrasto alla povertà e alle disuguaglianze.
Credo che invece il voto di fiducia, che oggi non ci permetterà neanche di dare il nostro contributo positivo a questo provvedimento, e tutti gli emendamenti bocciati in Commissione, anche quelli della maggioranza, che peraltro non è riuscita neanche a farli approvare, ci fa invece capire il prezzo che dovranno pagare i lavoratori per questo provvedimento.
In questo provvedimento le politiche attive del lavoro non si vedono, come non è presente, anzi direi, come è molto distante l'unificazione del mercato del lavoro, non solo perché i contratti sono troppi e perché alla formazione accede solo il 6 per cento dei lavoratori, non solo perché questo argomento che doveva essere delle parti sociali - voi dovrete andare a portare questo provvedimento in Europa - ci porta in un'Europa dove non c'è nessun segnale di modernità, non solo, è un provvedimento fatto di compromessi, dove sono assenti le politiche del lavoro attive e dove manca il tema prioritario, l'unificazione del mercato del lavoro, perché la grande riforma doveva essere anche la riforma dei miglioramenti, ma soprattutto quello che ci dispiace è proprio l'aspetto ideologico di questo provvedimento, un approccio incentrato e basato sull'articolo 18, un approccio basato sull'articolo 18 e sulla flessibilità in uscita, che erano due temi essenziali, con gli esodati tre, quindi proprio l'approccio ideologico che avete voluto con l'articolo 18.
Noi avevamo presentato anche degli emendamenti per cercare di sopprimere le modifiche che avete fatto sull'articolo 18, come la possibilità per i lavoratori di optare, in alternativa alla reintegrazione nel posto del lavoro nella tutela reale, per un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale che l'articolo 18, Pag. 22nel comma 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 nella nostra formulazione che avevamo evidenziato - che è attualmente vigente - riconosceva in tutti i casi in cui il giudice dispone per la reintegrazione nel posto di lavoro. Noi sull'articolo 18, che è un tema essenziale e fondamentale per i lavoratori, abbiamo cercato di diversificare il vostro approccio ideologico, ma abbiamo lavorato anche sulla flessibilità in uscita, però anche su questo si vede che per voi il prezzo che pagheranno i lavoratori non è importante, sono importanti forse altre cose, come non è importante l'allungamento dei contratti a termine. Sono tutti temi che credo, anzi ne sono sicuro, che con questi provvedimenti voi determinerete il conflitto con le parti sociali, ne sono estremamente sicuro, è evidente che quello che state facendo oggi è un tema da conflitto con le parti sociali, è evidente.
Questa non è una riforma, ma un intervento normativo, le riforme sono ben diverse, c'è una partecipazione più ampia e attiva e ci hanno insegnato comunque cinquant'anni di storia su questo tema. Questo è stato il Paese che per primo ha portato avanti anche un modello sindacale, politico, ideologico, di rapporto con i cittadini, con i lavoratori, con le parti sociali. È stato un modello questo sistema negli anni, oggi invece non esiste più, lo cancelliamo in un solo momento perché arrivate voi che fate i tecnici e quindi secondo voi questi modelli di confronto non esistono più.
Con questo provvedimento - che secondo noi non è una riforma, inoltre per un Governo tecnico la tecnica dovrebbe essere una cosa qualificante, certo non lo è nel testo che avete posto in essere - avete posto in essere un complesso farraginoso di norme che basta guardare l'ampiezza di questo complesso, di tutti i temi per capire cosa avete combinato. Questo è il vostro modello di riforma, poi basta guardare i temi essenziali, quelli che magari qui dentro dovevano esserci in maniera preponderante ed evidente.
Ho letto con molta attenzione e ho visto che il tema del Mezzogiorno per voi non esiste. In questo provvedimento vedo che non c'è niente su questo. Credo che anche questo dovesse essere un modello per quanto riguarda le problematiche del Mezzogiorno. Devo dire che questo provvedimento è fatto di incapacità, di incapacità politica, un'incapacità da parte del Governo di dialogare con il Parlamento, con le parti sociali e con i cittadini.
Il tema essenziale, importante e determinante è quello che riguarda gli ammortizzatori sociali. Quando togliete le garanzie ai lavoratori, quando un Paese come il nostro, un Paese parlamentare, non ha ben chiaro che cosa sia la mancanza di protezioni, sono veramente molto preoccupato. Se fossimo in tema di marketing, signor Ministro, e questa fosse un'azienda, direi che questo è un prodotto deludente, estremamente deludente. Anche nelle proposte che si fanno, infatti, ci vuole comunque la ragionevolezza. In un momento come questo, di recessione, che si prolunga purtroppo, perché non è un momento a noi favorevole, per i lavoratori avere una pensione che si allontana sempre di più e degli ammortizzatori sociali che a regime avranno minore durata provoca sicuramente tensioni difficili da gestire. Questo riguarda anche il problema sugli accordi della mobilità, già riconosciuti e anche questi accorciati. Questo è un Paese in cui si fanno accordi tra parti sociali, Governo e lavoratori e il giorno gli si dice: ma chi siete, da dove venite, cosa rappresentate? Oppure ci si sbaglia con i numeri. È veramente difficile per i lavoratori riuscire a concepire il prezzo che dovranno pagare.
Non parliamo poi dei problemi legati alla contribuzione volontaria. Anche questo è un tema sottovalutato. La contribuzione volontaria qui non è nemmeno prevista, sotto il profilo dei problemi specifici e dei temi essenziali che dovrebbero essere affrontati in questo provvedimento. Le criticità le conosciamo tutti, le conoscete anche voi, le conoscono i cittadini, le conoscono i lavoratori: la tipicità dei contratti, la dinamica, così come evidenziata: dai contratti di disoccupazione, alle politiche attive del lavoro, alle false partite Pag. 23IVA. Anche sulle false partite IVA ci sarebbe da dire molto ma, come diceva il collega prima, il tempo è breve, per cui non posso, ma vorrei fortemente soffermarmi su ogni singolo argomento di questa riforma, per cercare di far comprendere la difficile applicabilità, per alcuni aspetti, di alcune norme e la semplicità invece che si è avuta nel trattarne delle altre, specialmente in tema di appalti.
Signor Ministro, avrei voluto vedere in questa riforma, al di là della responsabilità solidale prevista all'articolo 2, porre rimedio alla cosa che è la vergogna del nostro Paese. Il nostro Paese, l'unico Paese d'Europa, l'unico Paese al mondo, ha una vergogna assoluta, quella degli appalti al minimo ribasso. Mi riferisco alla pubblica amministrazione, ma anche coloro che sono deputati a fare gli appalti, quindi anche alle controllate, per alcuni aspetti e non per altri, che sono esenti dal fare gli appalti attraverso il percorso dinamico della pubblica amministrazione.
Questo è un Paese in cui si fa una gara di appalto e la vince quello che fa lo sconto maggiore. E, a proposito di riforma del lavoro, lei mi deve dire, signor Ministro, se ha il coraggio, come sia possibile che in Italia si verifichi una situazione del genere, unica in tutto il mondo, cioè che noi permettiamo alle aziende che lavoreranno per lo Stato di vincere degli appalti non solo sottocosto, ma addirittura, purtroppo, - dico purtroppo - senza neanche la possibilità di pagare attraverso quell'appalto i lavoratori. Se un appalto vale 50 milioni di euro, 5 milioni di euro o 1 milione di euro, lo vince comunque la ditta al massimo ribasso, cioè si potrebbe vincere anche un appalto di 1 milione di euro, con il 30 per cento, il 40 per cento o il 50 per cento in meno.
Lei mi deve dire, signor Ministro, quella ditta come fa poi a garantire il pagamento degli stipendi di quell'azienda, come fa a sostenere il pagamento dell'IVA di quell'azienda e come fa a sostenere il pagamento delle tasse di quell'azienda. L'Italia è un Paese, unico, in cui la pubblica amministrazione combatte la mafia, la 'ndrangheta e la camorra e poi, attraverso gli appalti, permette proprio a loro, che sono gli unici che possono vincere gli appalti in questa maniera, di lavorare tranquillamente. E voi questa la chiamate riforma del mercato del lavoro? Nella parte appalti avete il coraggio di dire «la responsabilità solidale». Questo è il vostro unico tema in termini di appalti in una riforma del lavoro, conosciuta in tutta Europa per la sua falsificazione nel rapporto con gli appalti.
Io non so se lei, signor Ministro, questo lo comprende, ma credo che gli appalti oggi nel nostro Paese siano il vero problema del Paese. Se il mercato del lavoro prevede 11 euro l'ora per un lavoratore e ci sono aziende che hanno 100 lavoratori e che vincono l'appalto, vuol dire che vincono l'appalto mettendo a lavorare 100 dipendenti al 30 per cento in meno del valore del contributo che devono dare, in termini economici, con il pagamento dello stipendio. E poi venite qui a dire che noi combattiamo la criminalità organizzata? Ma quale azienda può competere in Italia con un sistema del genere, fatto dalla pubblica amministrazione? Nessuno. Nessuno! Perché nessuno può permettersi di pagare un appalto violando le leggi dell'ispettorato del lavoro, violando le leggi del mercato attraverso tutte le certificazioni che vengono fatte dalle aziende, violando tutti quelli che sono i principi nella normativa in materia d'appalto.
Questo era il vero tema della riforma del lavoro ed oggi io mi sarei aspettato qualcosa di diverso, al di là di tutte le altre problematiche e delle criticità che noi conosciamo, dell'articolo 18, dei contratti di disoccupazione, delle politiche attive del lavoro, delle false partite IVA, del fondo di solidarietà per mutui acquisto prima casa. Questo era l'altro tema che, da parte del Governo, doveva essere portato oggi qui e che i cittadini si aspettavano: il fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa. Anche a tale riguardo, nel mercato del lavoro, ci dovete spiegare qual è la vera riforma su questo tema. Questi sono i punti essenziali ed i veri temi, non l'approccio ideologico che avete avuto a questo provvedimento. E voi siete i tecnici? Pag. 24Meno male! Pensiamo se eravate dei politici cosa combinavate! Pensiamo se eravate dei politici che cosa combinavate, qui, in questo Parlamento!
Non vorrei poi parlare della strategia per la crescita, signor Ministro, e della modernizzazione delle politiche del lavoro.
Mi sarei aspettato in questo grande, grandissimo miglioramento della riforma del mondo del lavoro, il miglioramento dei meccanismi di determinazione dei salari, tema molto sentito da parte del centrosinistra (è stata la sua battaglia). La battaglia del centrosinistra verteva sul miglioramento dei meccanismi di determinazione dei salari. Credo che voi abbiate centrato in pieno questo tema e l'avete affrontato nelle migliore delle condizioni: cioè, peggio di così non potevate fare. Vi è anche il problema della riduzione del cuneo fiscale. Anche questo è un altro tema di questo grande paciugo di provvedimento (sono toscano, mi piace particolarmente il paciugo, un gelato dove ci si mette di tutto), che prevede in modo evidente la riduzione del cuneo fiscale. È evidente ed è la prima materia su cui incentrate tutta la riforma del mercato del lavoro. Poi ho visto che avete avuto anche molta attenzione sul lavoro irregolare. Anche questo è un altro tema che credo sia essenziale in una riforma del mercato del lavoro. Come ho visto il grande impegno che avete messo per la ripresa del pacchetto occupazionale. Questo paciugo non è facile leggerlo, perché io non sono professore però devo dire che solo un professore può leggere questo paciugo perché se uno non è professore è difficile interpretarlo. Calcolate che non tutti sono professori quelli che girano per la strada, sono anche cittadini normali che magari vorrebbero anche capire che cosa facciamo sulla loro pelle. Credo che questa sia la vera essenza. Volevamo anche capire come siete stati bravi per dare un salario dignitoso e sostenibile evitando le trappole dei bassi salari.
Signor Ministro, le trappole dei bassi salari erano al punto n. 2; quando ho letto ho detto: ehilà, ci siamo, hanno fatto una bella cosa e mi riferisco agli appalti. Purtroppo, facendo gli appalti - così come ho detto - al minimo ribasso, la trappola del basso salario è già evidente, perché il 100 per cento delle aziende che vincono gli appalti della pubblica amministrazione li vincono con il minimo ribasso. Quindi, è chiaro che il problema dei salari dignitosi e sostenibili, evitando le trappole dei bassi salari, non si può assolutamente risolvere se non ci si preoccupa del tema primario dell'Italia, cioè gli appalti al minimo ribasso, che li vincono esclusivamente e solamente le aziende che naturalmente hanno grandi possibilità (lei, quando dico questo, capisce benissimo cosa le voglio dire).
Voi volete creare così un mercato europeo del lavoro, volete mandare in Europa questo provvedimento e porre in essere questa riforma di miglioramenti senza tener conto del tema primario dell'Italia che è quello degli appalti. Voi praticamente scrivete tutta questa cosa e poi vi dimenticate del tema primario, gli appalti. È come se uno va in banca e gli viene detto: non ti preoccupare, domani ti presto i soldi, e poi il direttore dice che c'è un problema. Quale? Non ci sono i soldi, come faccio a prestarteli? Voi fate uguale, fate la riforma del lavoro, poi ci mettete tutto (contratti di disoccupazione, politiche attive del lavoro, false partite IVA, strategie per la crescita, modernizzazione, tutto quanto), e poi sul punto primario, gli appalti dite: ma che roba è questa qua?
Responsabilità solidale negli appalti: articolo 4, comma 31, due righe. Bene, bel tema, complimenti! Ma andiamo avanti perché di chicche ce ne sono parecchie, come l'assicurazione sociale per l'impiego, la cosiddetta ASPI, che molti conoscono, purtroppo, per loro sfortuna. E, poi, ho visto che avete anche sostanzialmente tenuto in considerazione temi importanti come quello del lavoro degli immigrati, del progetto a tempo parziale e il tema agricolo. C'è molto sul tema agricolo. Più che altro chi lo ha determinato, è più agricolo lui di coloro che naturalmente lavorano per il nostro Paese e che sono i veri produttori di questo Paese, gli agricoltori. Infatti, sono coloro che portano avanti il Pag. 25nostro Paese per alcuni aspetti. Meno male che non ci siete voi tecnici che vi interessate anche dell'agricoltura, di come si deve seminare, perché altrimenti da domani tutti dovremmo scappare dal nostro Paese. Sono convinto, infatti, che, in agricoltura, moriremmo tutti di fame - ne sono pienamente convinto - se dovessimo gestire gli agricoltori anche dal punto di vista seminativo. Sono convinto che sarebbe meglio andarcene perché domani ci sarebbe una grande crisi per reperire nel mercato prodotti primari. Anche gli autonomi devono stare tranquilli, li avete sistemati, non ci sono problemi, avete fatto molto bene, così come avete sistemato i disabili e la questione femminile. Vedo, cioè, che in questa riforma avete finalmente risolto il problema femminile.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Paladini.

GIOVANNI PALADINI. E anche quello giovanile. Il pubblico credo che lo sistemerete tra qualche giorno e, quindi, anche in quel caso attendiamo il vostro intervento. E gli anziani, anch'essi con questo provvedimento sono a posto. Non parliamo poi della tutela dei lavoratori sul tema dell'amianto che non è proprio neanche considerato. Il tema cardine, secondo dopo gli appalti, era l'amianto e nel provvedimento non c'è proprio. Gli esodati poi sono a posto con le regole fondamentali, quelle di assicurare un adeguato periodo di transizione a tutela, non già dei diritti acquisiti, ma delle legittime aspettative di fatto delle persone a costruirsi piani di vita affidabili. E voi siete assolutamente «affidabili». Non c'è problema, anche su questo gli esodati con voi sono tranquilli perché il loro piano di vita affidabile glielo avete reso voi. Quindi, questo tema l'avete già risolto.
Concludo, signor Ministro, dicendole questo: lei ha una competenza riconosciuta, non posso assolutamente esimermi dall'affermare ciò e quello che fa per il Paese cerca di farlo per il suo bene. Ma da questa riforma lei, signor Ministro, purtroppo, ne esce sconfitta sul suo territorio. Noi volevamo migliorarla, non ci siamo riusciti, facciamo parte dell'opposizione, ma penso che questo «paciugo» di provvedimento farà pagare a tutti i lavoratori un prezzo molto alto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mottola. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CARLO FRANCESCO MOTTOLA. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, quello che viene affrontato dalla Camera è uno dei passaggi più delicati del percorso del cosiddetto Governo tecnico in quanto attiene a uno degli argomenti che sono centrali nella vita del Paese, ma che assumono una centralità anche in riferimento al prossimo Consiglio d'Europa e agli impegni dell'Italia nei confronti dei partner europei in relazione alle risposte da dare alla crisi. È del tutto evidente che, se il Governo e la maggioranza che lo sostiene, deve proseguire nella sua azione, arrivando sino alla scadenza della legislatura, approvare il disegno di legge in esame diventa un passaggio obbligato. Mai come nell'iter di questo disegno di legge si è evidenziato che la volontà del Governo e della maggioranza di ricorrere al voto di fiducia, comprimendo così i tempi di discussione e approfondimento e, non ultimo, di miglioramento dei testi, è stata in passato una scelta sbagliata. Si è potuto verificare come il contributo della Commissione lavoro, ad esempio sulla spinosa e delicata questione degli esodati, sia stato determinante, non solo nel far riflettere il Governo, ma anche per dare una risposta concreta alle esigenze poste dagli esodati. Certo, risposte non esaustive e con ancora margini di approfondimento.
Anche in questo caso si è potuto verificare come l'azione parlamentare, i contributi delle Commissioni e l'ascolto delle forze sociali e, in questo caso, dei lavoratori interessati, è stato utile per acquisire informazioni determinanti per affrontare in maniera più compiuta la questione. Ma il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, di cui oggi l'Aula della Camera Pag. 26avvia l'esame, è un atto molto complesso e articolato con evidenti chiaroscuri. Il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro è stato presentato dal Governo all'inizio del mese di aprile al Senato che ha approvato il disegno di legge il 31 maggio. Con il disegno di legge il Governo ha inteso rispondere alle esigenze di ammodernamento del mercato del lavoro italiano, intervenendo su alcune criticità strutturali riguardanti, tra le altre, le tematiche della flessibilità del lavoro giovanile e femminile, degli ammortizzatori sociali, tematiche e argomenti che non solo sono al centro delle discussioni del Paese ma che hanno avuto un'accelerazione con la crisi economica e sociale. Come non ricordare in tale contesto il punto di partenza ovvero la lettera della BCE al Governo dello scorso agosto che evidenziava l'esigenza di riformare il sistema di contrattazione salariale collettivo permettendo accordi a livello di imprese in modo da ritagliare i salari alle condizioni di lavoro ed esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di associazione. La lettera della BCE richiamava la necessità di un'accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la ricollocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi. Ciò avviene in un quadro generale europeo dove si segnala che i livelli occupazionali hanno raggiunto cifre assai preoccupanti. Questi riferiti al 2010 dicono che il tasso di occupazione media ha raggiunto il 68,6 per cento nella UE a 27 e il 68,4 per cento nell'Eurozona. Oggi certamente questi dati sono ancora più bassi. Tra i principali interventi del disegno di legge, quello dove si sancisce positivamente che il contratto a tempo indeterminato è il contratto prevalente: si tratta di un'importante scelta che tende ad affrontare la questione annosa della precarietà e del ricorso a contratti a tempo determinato disincentivandoli. Il disegno di legge prevede che l'apprendistato debba essere considerato il contratto tipico per l'accesso al mercato del lavoro e si amplia il suo utilizzo: infatti viene innalzato il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall'attuale 1 a 1 a 3 a 2, attribuendo un valore di impronta formativa all'apprendistato.
Altro versante importante affrontato dal provvedimento è quello del contrasto all'uso improprio della flessibilità relativa a talune tipologie contrattuali. Per i contratti a tempo determinato è stata elevata da 6 a 12 mesi la durata massima del primo contratto a tempo indeterminato stipulabile senza causale. Per quanto attiene all'apprendistato è stato stabilito che il rapporto apprendisti-professionisti non può superare il 100 per cento per le aziende che occupano lavoratori inferiori a 10 unità, fermo restando il rapporto 3 a 2 per le aziende di dimensioni maggiori.
Per il lavoro a chiamata ovvero il lavoro intermittente è prevista la possibilità di stipulare contratti con lavoratori over 55 anni e under 24. Per i collaboratori a progetto con il disegno di legge è stato introdotto il cosiddetto salario di base ed è stabilito che il compenso non potrà essere inferiore ai minimi stabiliti per ciascun settore professionale. Laddove non vi fosse un contratto collettivo di riferimento il compenso in ogni caso non potrà essere inferiore alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali. Uno degli argomenti che maggiormente hanno acceso forti contrasti e discussioni è stato quello riferito ai licenziamenti individuali. Il disegno di legge ha rivisto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, lasciando inalterata la disciplina dei licenziamenti discriminatori per i quali resta la reintegra sul posto di lavoro ma si modifica il regime dei licenziamenti disciplinari relativi alla giusta causa o giustificato motivo soggettivo e quello dei licenziamenti economici; in questi casi si introduce un regime sanzionatorio che va, tenuto conto della gravità dei casi di accertata illegittimità del licenziamento, dalla reintegrazione sul posto di lavoro, ma solo nei casi più gravi, ovvero si ha diritto ad una indennità risarcitoria. Pag. 27
Il provvedimento interviene anche nel tentare di assicurare il rapido svolgimento dei processi introducendo uno specifico rito per le controversie giudiziarie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti. Altro elemento che si deve sottolineare attiene all'indennità di disoccupazione, una tantum, per ora in via sperimentale della durata di tre anni che ammonta a seimila euro per almeno sei mesi di lavoro in un anno. A tale scopo sono state individuate le risorse aggiuntive pari a 60 milioni di euro. Sulla questione dei tirocini formativi di orientamento il ruolo delle regioni è stato rafforzato e, infatti, il disegno di legge prevede che, in sede di Conferenza unificata, si trovi un accordo che definisca le linee guida condivise tra Stato e regioni. Per gli stagisti il disegno di legge prevede l'obbligo di corrispondere un'indennità superando la pratica di utilizzo degli stagisti che in realtà fornivano e forniscono spesso lavoro gratuito ma in effetti è un vero e proprio lavoro. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali il provvedimento opera una profonda innovazione normativa relativa alla tutela del reddito. Quanto espresso in precedenza, anche se in sintesi, riguarda alcuni tra i più importanti elementi che contraddistinguono il provvedimento che ha avuto modifiche anche importanti al Senato e che auspichiamo possa essere oggetto di ulteriori modifiche se non nell'iter dell'approvazione alla Camera, anche in questo caso caratterizzata da un voto di fiducia, almeno subito dopo.
Come anche affermato recentemente dal presidente di Confindustria Squinzi, sul provvedimento in esame pesano in maniera determinante i tempi di approvazione e l'imminente Consiglio europeo, ma sono indispensabili ulteriori modifiche per far sì che questo disegno di legge non sia solo un parziale intervento sul mercato del lavoro. Noi che pure abbiamo in passato avuto giudizi critici per l'utilizzo disinvolto e non coerentemente rispettoso delle prerogative parlamentari del voto di fiducia, in questo caso non possiamo che condividere la necessità di procedere all'approvazione in tempi rapidi del provvedimento in esame, ma non possiamo esimerci e non vogliamo esimerci dal segnalare alcune criticità, ad esempio sul sistema degli ammortizzatori sociali. In questo caso abbiamo assistito all'accorciamento dell'estensione e del periodo delle tutele. Da più parti si è rilevato che su questo versante, pur comprendendo i possibili problemi di copertura finanziaria, si potrebbero prendere in considerazione una dilazione dei tempi di entrata a regime dell'ASPI.
Tutta da verificare resta l'effettiva accessibilità per i giovani del cosiddetto bonus precari, nonché la congruità della disposizione che ha esteso l'abrogazione della cassa integrazione a decorrere dal primo gennaio 2016 anche nei casi di aziende sottoposte, ai sensi della disciplina contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, a sequestro o confisca. Così come non è possibile ritenere chiusa la questione esodati: anche se riconosciamo al Ministro Fornero di aver fatto passi avanti non si è certo conclusa, in quanto probabilmente il numero che abbiamo di fronte per quanto riguarda i lavoratori interessati è ancora più ampio di quanto è stato dichiarato in questi giorni.
Ma in fondo resta una questione che è centrale e che è dirimente e strategica: qualsiasi intervento sul mercato del lavoro, anche il migliore, che tenda a dare certezza ai lavoratori e tenda a dare stabilità, che punti al superamento del precariato e alla riforma della precarietà lavorativa, cozza contro il muro. Il muro che abbiamo davanti è che la riforma del lavoro deve accompagnarsi necessariamente con programmi di sostegno che puntino a creare lavoro. Se non si affronta il tema della disoccupazione per la parte dell'ampliamento delle offerte di lavoro non ci può esser alcuna discussione sugli ammortizzatori sociali e sul sostegno al reddito. Ecco perché riteniamo che, pur con spunti positivi che comunque rileviamo nel disegno di legge, si dovrà presto tornare su questi argomenti e a breve l'impegno che va richiesto al Governo è quello di tener conto della disponibilità del Parlamento ad approvare il disegno di legge in esame Pag. 28e con questo si ottemperi agli impegni presi in sede di Unione europea. Al contempo il Governo deve impegnarsi da subito, dopo la riunione del Consiglio europeo, ad intervenire nuovamente sulla tematica del mercato del lavoro. Questo è essenziale non solo per giungere alla fine del mandato, ma anche per rispondere alle richieste dei nostri cittadini, oppressi da una grave crisi economica e che hanno finora visto solo tasse e sacrifici, ma di crescita e sviluppo nulla o davvero poco (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo e Territorio e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonino Foti. Ne ha facoltà.

ANTONINO FOTI. Signor Presidente, signor Ministro e onorevoli colleghi, la Camera si appresta ad approvare definitivamente, nel testo licenziato dal Senato, il disegno di legge del Governo che reca la riforma del mercato del lavoro, dopo averlo discusso in Commissione in sole tre settimane, seppur caratterizzate da un impegno continuo ed un confronto serio e leale. Si tratta di una scelta politica molto precisa, che discende direttamente dalla richiesta formulata in modo solenne dal Presidente del Consiglio Monti in vista dell'importante appuntamento europeo del 28 e del 29 giugno prossimi. Vorrei quindi precisare, in premessa al mio intervento, che il gruppo del Popolo della Libertà ha accettato una compressione delle prerogative di questo ramo del Parlamento e in definitiva una sostanziale lesione del principio del bicameralismo, soltanto perché richiesto da un significativo evento internazionale e a condizione che lo stesso Presidente del Consiglio rispetti l'impegno che ha assunto con la sua dichiarazione pubblica dello scorso 20 giugno. Ricordo infatti che in quella nota diffusa alla stampa il Governo si è impegnato a risolvere tempestivamente e con appropriate iniziative legislative altri problemi posti dai gruppi parlamentari, tra cui quello della flessibilità in entrata, sulla base delle costruttive proposte provenienti dai gruppi di maggioranza. Dunque noi siamo oggi disponibili a votare il testo che viene fuori dal complesso lavoro del Senato, che ha comunque molto migliorato il provvedimento del Governo, ma non rinunciamo a porre in evidenza i numerosi problemi di merito che ancora permangono.
Mi riferisco, in particolare, al rischio che il disegno di legge possa seriamente compromettere, con il forte irrigidimento delle norme sui contratti di entrata nel mondo del lavoro, la già difficile situazione in cui versa il sistema imprenditoriale italiano, non soltanto con riferimento alla grande industria, ma anche alle piccole e medie imprese, che rappresentano il tessuto vitale del nostro Paese. Ricordo che il 94,5 per cento delle imprese è sotto i 9 dipendenti e che il 97,7 per cento è sotto i 15; ciò per confermare che solo lo 0,6 per cento è rappresentato dalla grande industria. In altri termini, il 99,4 per cento delle imprese è costituito da aziende con meno di 49 dipendenti. Purtroppo, devo ripetere - lo abbiamo già fatto in un'altra occasione qui in Aula - che il nostro Parlamento, negli ultimi trent'anni, ha legiferato per un mondo produttivo irreale, come se tutte le aziende avessero 100, 500, mille dipendenti e che, quindi, abbiamo creato nuovi burocratismi inosservabili per le nostre piccole aziende.
Vogliamo far capire, in tutte le sedi, l'importanza di modificare il testo, anche in una fase successiva, proprio per dare forza all'esigenza di una semplificazione del sistema contrattuale e dei rapporti di lavoro, in un contesto che deve favorire, e non demonizzare, coloro che fanno impresa e sono disposti a dare lavoro. Si tratta di entrare nella logica che richiede interventi straordinari imposti dalla gravità della crisi economica e produttiva che sta coinvolgendo il nostro Paese, oltre che altri Paesi industrializzati.
La crisi rende sempre più urgenti alcune riforme strutturali per il rilancio dello sviluppo e per risolvere il problema della perdita della competitività. Molte imprese sono al collasso, i pagamenti della pubblica amministrazione ritardano, la classifica del tasso di occupazione giovanile nelle 271 regioni d'Europa fa registrare, Pag. 29fra le ultime dieci regioni d'Europa, ben quattro regioni italiane: la Calabria, la Campania, la Basilicata e la Sicilia. Dunque, all'Italia serve tutto fuorché una complicazione di quelle forme flessibili di impiego che tanto hanno dato ai nostri giovani in termini di opportunità, consentendo anche alle imprese di operare con flessibilità.
Ecco perché, su questi argomenti, attendiamo segnali precisi sin dall'esame parlamentare del cosiddetto decreto sviluppo. Come i colleghi sanno, le Commissioni X e XI della Camera hanno da poco licenziato il testo, che ora è oggetto dei pareri delle Commissioni, che promuove il sostegno dell'imprenditoria giovanile e femminile; un testo che sostiene l'avvio di nuove microimprese giovanili e femminili, adottando un regime speciale di agevolazioni e di incentivazioni, il cui obiettivo principale è quello di risolvere una significativa criticità del mercato del lavoro giovanile, costituita da oltre un milione di giovani fra i 15 e i 29 anni che non hanno trovato un lavoro, non sono in cerca di occupazione e neppure studiano, provocando un fenomeno di marginalità sociale che è assai rilevante. Queste sono le misure che noi ci aspettiamo e che il Governo deve sostenere, se davvero vogliamo operare per il bene del Paese.
Al contrario, mi domando chi possa avere scritto un testo così confuso e contraddittorio, come quello che è all'attenzione ora dell'Aula. In questo testo, la logica burocratica risulta prevalente, a svantaggio dello spirito creativo e innovativo delle nostre imprese. Pur prendendo atto, a malincuore, che non esiste alcuna possibilità di modificare il testo, il mio gruppo non può rinunciare ad evidenziare le principali criticità. L'Esecutivo, nei mesi scorsi, ha tenuto le parti sociali impegnate in un lungo ed inutile confronto sulla flessibilità in uscita - il famigerato articolo 18 -, elaborando un testo che sarebbe stato totalmente incomprensibile, se non vi fossero state talune importanti modifiche apportate durante l'iter al Senato. Senza contare che, sempre in assenza di modifiche importanti volute dall'altro ramo del Parlamento, la flessibilità in entrata sarebbe stata totalmente azzerata.
Credo, quindi, che il Governo debba assumersi in pieno le proprie responsabilità, perché il Parlamento non può essere ritenuto responsabile di un simile intervento legislativo, che è suscettibile di determinare problemi ai cittadini, alla stregua di quanto avvenuto per la recente riforma delle pensioni.
Inoltre, pur rilevando alcuni elementi di positività nel testo, che vanno nella direzione del sostegno alle imprese, soprattutto laddove si disciplina la materia dell'apprendistato o il lavoro a chiamata, appare inefficace anche quella parte del provvedimento che si prefigge l'obiettivo di favorire il lavoro autonomo attraverso l'immediata erogazione di una parte del sostegno al reddito riconosciuto in caso di disoccupazione.
Questa misura - che riprende sostanzialmente lo spirito di una mia proposta normativa approvata dalla Camera e bloccata al Senato (non per motivi di bilancio della Ragioneria generale dello Stato, ma per un atteggiamento pregiudizialmente ostile del presidente della Commissione competente in materia finanziaria) - non appare efficace, così com'è stata inserita nella proposta del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, perché non definisce alcun percorso agevolato per la creazione di microimprese, a differenza di quanto era previsto nel provvedimento che ho testé richiamato.
Vorrei anche ricordare, in questa sede, che la Commissione lavoro ha svolto un intenso confronto con le parti sociali e gli altri soggetti interessati: sarebbe una vera e propria bugia sostenere che i soggetti che abbiamo ascoltato siano favorevoli alla riforma!
Non c'è stata neanche una delle parti sociali che non abbia denunciato alcune carenze del testo e il suo scarsissimo spirito riformatore: insomma, non si provi a dire che il Governo ha ottenuto il consenso delle forze imprenditoriali e sindacali, perché questo non è avvenuto! Pag. 30
In conclusione, affinché si possa tornare ad affrontare con maggiore serenità le questioni che riguardano il destino delle imprese e dei lavoratori, credo che in futuro sia necessario un intervento correttivo, sul quale il Governo si è peraltro solennemente impegnato. Ed io ritengo che tale intervento debba riguardare i seguenti punti: semplificare il contratto di apprendistato, che può rappresentare - se viene rinnovato nella sua impostazione - un utile strumento soprattutto per le imprese medio-piccole; correggere le incredibili norme che presumono che le partite IVA siano lavoratori dipendenti se impiegano l'80 per cento del loro fatturato per un solo committente; rafforzare i contratti di somministrazione delle agenzie che assumono personale a tempo indeterminato, soprattutto ampliando la flessibilità del «vincolo causale»; modificare la normativa per le aziende del turismo, avvicinando il periodo intercorrente tra un contratto a termine e l'altro, nel lavoro stagionale; esonerare dalle nuove norme sulle collaborazioni a progetto le aziende di call center, le quali - e vorrei ricordarlo a tutti, ma principalmente al Governo che è già informato sull'argomento - hanno minacciato più volte in audizione, e ritengo che lo faranno, di operare da subito 30 mila licenziamenti; sostenere l'allungamento dell'entrata a regime della nuova ASPI; trovare una soluzione al problema dei cosiddetti esodati, ossia i salvaguardati della riforma del Ministro Fornero; incrementare la detassazione del salario di produttività, anche a livello di contratti territoriali o aziendali, in questo caso, aumentando i relativi stanziamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Foti, la invito a concludere.

ANTONINO FOTI. Signor Presidente, sulla base di queste argomentazioni, il gruppo del Popolo della Libertà, con grande senso di responsabilità, si adeguerà all'esigenza di approvare tempestivamente il provvedimento, al fine di rafforzare la posizione dell'Italia in Europa.
Tuttavia, al di là del valore simbolico che l'approvazione della riforma potrà rappresentare a livello europeo, vanno celermente adottati i correttivi necessari, con il contributo di tutte le forze politiche presenti in Parlamento e che sostengono il Governo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gatti. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA GATTI. Signor Presidente, le norme su cui intervengo sono quelle contenute nell'articolo 4 del provvedimento, relative all'occupazione femminile, a misure di sostegno per la genitorialità e a misure di contrasto al fenomeno delle dimissioni in bianco.
Noi del Partito Democratico pensiamo che i due interventi essenziali per riattivare la crescita nel nostro Paese siano, da una parte, l'innalzamento dell'occupazione femminile fino a raggiungere nel 2020 il 60 per cento, ossia circa 3 milioni di donne occupate in più rispetto ad oggi, e, dall'altra, l'innalzamento della specializzazione produttiva nel nostro Paese. Più donne al lavoro determinerebbero per l'Italia un significativo aumento del PIL, ma le statistiche ci dicono, con i dati ISTAT, che il 51,8 per cento delle giovani donne del Sud sono disoccupate ed altri dati ci parlano dell'aumento della povertà femminile e infantile.
L'esperienza dei Paesi del Nord Europa ci dimostra che le donne che lavorano fanno più figli e che i figli sono accuditi meglio, eppure il grave calo demografico in Europa diventa drammatico in Italia e specialmente al Sud. Insomma, le donne della mia generazione, forse della nostra, Ministro, in altri tempi avrebbero detto: dobbiamo decidere in che modo intervenire per affrontare e risolvere il rapporto tra riproduzione e produzione nel nostro Paese, come risolverlo in modo armonico e in un tempo dove il lavoro non c'è.
Interverrò per prima sui commi da 16 a 23, quelli relativi alle dimissioni in bianco, che la relazione dice hanno l'obiettivo di contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco. In questi commi viene rafforzato il regime della convalida, che Pag. 31diviene condizione sospensiva della risoluzione del rapporto di lavoro, e viene aumentato il periodo entro cui la convalida può avvenire. È molto importante che la Ministra Fornero abbia inserito norme per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco nel provvedimento, perché si riconosce che esiste l'abuso e si indicano degli strumenti per contrastarlo.
Il fenomeno, cioè quello delle dimissioni volontarie postdatate, sottoscritte all'atto dell'assunzione del lavoro, è diffuso su tutto il territorio nazionale e interessa numerosi lavoratori e, soprattutto, lavoratrici. Si tratta di un abuso che si registra soprattutto nelle piccole aziende e coinvolge i lavoratori più deboli. La richiesta delle dimissioni firmate in bianco al momento dell'assunzione, allo scopo di essere utilizzate successivamente, per esempio all'inizio di una gravidanza, nel caso di una lunga malattia oppure in caso di rivendicazioni particolari da parte del lavoratore, costituisce un abuso grave, lesivo della dignità e dei diritti dei lavoratori.
La prioritaria tutela della lavoratrice o del lavoratore viene affermata attraverso il rafforzamento del meccanismo della convalida e nel disegno di legge del Governo questo meccanismo si estende portandola da un anno di vita del bambino, nel caso della maternità, attualmente previsto, fino a tre anni. L'attuale formulazione prevede tre possibilità di contrasto: la prima, la conferma della volontà di dimissioni in una sede terza, come l'ufficio provinciale del lavoro; la seconda, la firma del lavoratore su una ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro (su questo meccanismo io ho molti dubbi); infine, viene prevista una revoca scritta entro sette giorni dalla ricezione o dell'invito a presentarsi presso la sede terza per la convalida oppure a sottoscrivere la ricevuta di ritorno.
La procedura proposta presenta difficoltà di lettura e di interpretazione che potrebbero aprire la strada a seri problemi di applicazione. In particolare, non emerge con chiarezza l'accertabilità in tutte le fasi della procedura della volontà della lavoratrice o dal lavoratore, che costituisce il presupposto essenziale per escludere ogni forma di discriminazione. In questo caso, l'XI Commissione della Camera aveva da tempo incardinato numerose proposte di legge, una a mia prima firma sottoscritta da circa cinquanta parlamentari del Partito Democratico, in materia di disciplina delle modalità di sottoscrizione della lettera di dimissioni volontarie e della lettera di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, che ha visto un confronto approfondito con l'intento condiviso di rendere più efficace la normativa di contrasto per le diverse tipologie contrattuali, assicurando pari garanzie indipendentemente dal vincolo di subordinazione.
Io penso sia stata persa l'occasione per valorizzare il lavoro fatto in Parlamento. Resto convinta, infatti, che la strada migliore sarebbe intervenire in fase di sottoscrizione della lettera fissando una procedura che non permetta falsificazione di data, piuttosto che la strada della convalida successiva. È per questo che auspico che il previsto decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali individui utilmente ulteriori modalità, utilizzando anche le potenzialità dei sistemi informatici, per accertare la veridicità della data e l'autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice e del lavoratore, risolvendo il rischio di aggiramento della norma che è chiaramente individuabile nel comma 19.
Ora rapidamente passerei al comma 11, concernente l'assunzione di donne in particolari condizioni. Al fine di diminuire il divario, che è particolarmente acuto nelle regioni meridionali, nel comma si riconoscono sgravi contributivi in favore dei datori di lavoro che assumono donne di qualsiasi età prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi e che risiedono in aree svantaggiate. Tali sgravi vengono inoltre riconosciuti ai datori di lavoro che assumono donne di qualsiasi età prive di impiego da almeno 24 mesi, ovunque esse siano residenti. Si tratta di una misura giusta, ma piuttosto debole. Il punto è che vi sarebbe stato bisogno di un Pag. 32intervento più organico ed adeguatamente finanziato, per l'attuazione della delega di riordino della normativa in materia di occupazione femminile della legge n. 247 del 2007, in modo da tentare di raggiungere gli obiettivi fissati dalla strategia «Europa 2020». Abbiamo preso atto con favore dell'approvazione al Senato dell'ordine del giorno a prima firma della senatrice Ghedini che va in questa direzione.
L'ultimo comma concerne il congedo parentale obbligatorio ed i voucher sostitutivi. Sul congedo parentale obbligatorio rilevo soltanto che si prevede il congedo parentale per un giorno, con la possibilità, previo accordo con la madre, di utilizzare ulteriori due giorni. Ministra, abbiamo una direttiva europea - che è «bloccata», in questo momento - che ne prevede 15, di giorni, e in Commissione avevamo prodotto un testo unificato sui congedi parentali che ne prevedeva quattro, anche con una serie di difficoltà per riuscire a trovare le coperture: forse si poteva valorizzare anche in questo caso il lavoro parlamentare. Anche in questo caso faccio riferimento all'approvazione al Senato di un ordine del giorno a prima firma Vittoria Franco. L'ultimo punto, Presidente - e procederò in fretta -, è quello relativo ai voucher sostitutivi del congedo parentale. Si tratta anche in questo caso di una misura sperimentale, consistente nella corresponsione dei voucher alla madre lavoratrice per l'acquisto di servizio di baby sitting, ovvero per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati di cui usufruire in alternativa al congedo parentale; vi sarà, fra un mese, il decreto ministeriale per capire come tutto ciò si attuerà.

PRESIDENTE. Onorevole Gatti, la prego di concludere.

MARIA GRAZIA GATTI. Penso che bisognerebbe fissare dei criteri con cui valutare e certificare - e concludo, signor Presidente - la qualificazione anche delle baby sitter coinvolte, perché non stiamo parlando di custodia, ma di primi servizi educativi all'infanzia. Ciò, Ministro, penso sia uno dei valori che dovremo portarci nel futuro del Paese, anche dopo questa crisi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sospendo a questo punto la discussione sulle linee generali, che riprenderà alle ore 15.

La seduta, sospesa alle 13,25, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bongiorno, Castagnetti, Fallica, Jannone, Leone, Paniz e Stucchi sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 5256)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il lavoro è l'elemento fondante della nostra Repubblica. Nel corso degli anni il lavoro è stato oggetto di fondamentali riforme per garantire la sua disponibilità, per affermare la sua dignità, per valorizzare il suo esplicarsi nelle sue diverse espressioni.
Oggi si rende necessario, in ragione dell'evolversi degli scenari economici internazionali, Pag. 33provvedere alla riforma del mercato del lavoro per superare le anomalie che si sono accumulate negli anni e per affrontare alcuni nodi che nel tempo sono stati oggetto di forti contrapposizioni, quali la rigidità del lavoro, l'abuso della flessibilità degenerata in precarietà permanente, il dualismo degli ammortizzatori sociali tra inclusi ed esclusi, il tema della flessibilità in uscita e quant'altro.
Siamo davanti - lo diciamo con franchezza - ad una riforma che certamente presenta luci ed ombre, nel senso che, per il suo forte impatto sulle imprese e sui lavoratori, affronta temi sui quali - come ha già pienamente rilevato il mio collega di partito, l'onorevole Nedo Poli - vi sono larghi margini di miglioramento.
Noi abbiamo affrontato la discussione di questa riforma con grande senso di responsabilità e siamo convinti che gli impegni presi dal Governo costituiscono un impegno che nel tempo prossimo, nel medio periodo, dovrà portare al pieno riconoscimento dei principi fondamentali della riforma in esame.
Purtroppo, la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali si inserisce in un contesto economico molto debole. E allora noi siamo consapevoli che le molte criticità che abbiamo rilevato non sono però tali da impedire che questa riforma vada in porto.
Abbiamo contribuito, alla Camera e al Senato, a rilevare quelli che erano gli elementi che costituivano ulteriore fonte di preoccupazione nel corpo sociale, nelle imprese e nel mondo del lavoro, ma abbiamo anche con forza dichiarato che dobbiamo trovare una composizione alta che possa, da un lato, dare fiato alle imprese e, dall'altro, non far venire meno le tutele essenziali dei lavoratori e di chi si appresta a lavorare.
È una riforma strutturale importante, è una riforma nella quale, come da molte parti e anche in questo dibattito oggi è emerso, potevano essere messi in conto altri elementi di approfondimento.
Pensiamo sia alla riduzione del fenomeno della precarietà, sia all'estensione all'universalità dei lavoratori di una forma di copertura di reddito in caso di perdita del lavoro, sia al miglioramento delle condizioni di occupabilità di particolari categorie di persone, sia ai temi che vedono alcune parti del nostro territorio nazionale con aree molto gravate dal fenomeno della disoccupazione.
Proprio perché questa riforma non può essere considerata una riforma immutabile, ma proprio per le capacità di questo Governo (ma io ritengo di dover dire le forze politiche che sostengono questo Governo), noi dovremo riflettere sui vari temi che questa riforma affronta, dalla questione della flessibilità in uscita all'eliminazione del contratto di inserimento, che per noi è un elemento di grande preoccupazione, così come sui contratti a tempo determinato.
Lo ha già detto il collega Nedo Poli, ma lo voglio qui ribadire: ritengo che l'eliminazione della causale in caso di primo contratto rappresenti un elemento di grande difficoltà per il mondo del lavoro e credo, quindi, che avere eliminato questa causale sia un dato che possa incidere negativamente sul mondo del lavoro. Infatti, la causale è la condizione essenziale affinché possa attivarsi un rapporto di lavoro, poiché - è bene ribadirlo - senza una motivazione ben definita il tempo determinato rischia di non poter essere un'ipotesi contrattuale assolutamente pregnante e significativa.
Questa novità - cioè la «acausalità» del primo contratto - ci spinge a dire che siamo davanti ad un elemento che ci preoccupa, ma non ci impedisce di lavorare seriamente con questo Governo per arrivare ad una soluzione nei passaggi ulteriori che ci saranno sulla verifica di questo provvedimento.
Voglio richiamare un altro elemento: il tema del nuovo apprendistato. Evidentemente c'è l'esigenza di valutare in termini positivi la possibilità e la proposta delle parti sociali di far diventare l'apprendistato una tipologia contrattuale tendenzialmente stabile, il canale privilegiato per l'ingresso al lavoro dei giovani, dove si riscopre anche fortemente l'aspetto formativo che c'è in questo tipo di contratto. Pag. 34Quindi, anche su questo riteniamo che si sia fatto un significativo passo in avanti, rispetto al quale riteniamo senza timori di poter affermare che c'è ancora ulteriormente da coinvolgere le parti sociali, le organizzazioni sindacali e le imprese per far sì che questa riforma sia ancor più incisiva e condivisa e per questo abbia ancora maggiori effetti sul piano occupazionale.
Voglio dire anche una parola sulla riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, che rappresenta indubbiamente un elemento dei fondamentali di questa riforma. Sono convinto che noi avevamo troppe categorie di persone nel nostro Paese che, quando perdevano il lavoro, rimanevano senza tutela e, quindi, l'approccio che è stato fatto merita di essere perseguito. Naturalmente anche su questo noi riteniamo che ci sia la possibilità di dare una risposta più completa a tutte le categorie che in qualche misura non sono ancora coinvolte in questa riforma.
Vorrei concludere richiamando alcuni aspetti che questa riforma ha come impatto nel mondo dell'agricoltura.
È una riforma strutturale che incide anche parecchio nel settore del campo agricolo. Vi è stato un grande approfondimento, soprattutto al Senato, perché i limiti del dibattito alla Camera già sono stati evidenziati da altri interventi e dal collega Poli. Però, sulle norme che interessano il settore agricolo credo che abbiamo avuto un momento in cui vi era veramente il rischio di fare un passo indietro.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Delfino.

TERESIO DELFINO. Mi riferisco, Signor Presidente - e concludo -, alla questione dei voucher in agricoltura. Quello era uno strumento che, in verità, ha funzionato largamente nel centro-nord. Però, era uno strumento di flessibilità, di garanzia, di sicurezza, di opportunità per i giovani, per i ragazzi, per le donne e per tutti coloro che volevano raccogliere questa impostazione. Quindi, abbiamo la convinzione che questo elemento debba essere rafforzato. Abbiamo contribuito a questo miglioramento che vi è nel provvedimento, ma sicuramente vi sarà la necessità di arrivare a dare una risposta.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Delfino.

TERESIO DELFINO. Richiamo qui - e concludo, signor Presidente - questa riflessione. Quando il Governo si è insediato aveva detto, questo Governo, che non avrebbe lasciato nessuno senza lavoro e senza tutele. Noi siamo impegnati, come gruppo dell'Unione di Centro per il Terzo Polo, perché questo impegno del Governo, che è anche un impegno della maggioranza che ha dato la fiducia, possa esplicarsi nei prossimi provvedimenti (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ceccacci Rubino. Ne ha facoltà.

FIORELLA CECCACCI RUBINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sicuramente questa riforma del lavoro non soddisfa le nostre aspettative, ma il gruppo parlamentare cui appartengo, il Popolo della Libertà, anche questa volta darà una grande dimostrazione di responsabilità nazionale permettendo l'approvazione, in tempi record, di un provvedimento che, anche se non soddisfacente, è comunque migliorabile. Per questo abbiamo risposto convintamente all'appello del Presidente Monti di consentire al nostro Paese di presentarsi al prossimo Consiglio europeo con la riforma del lavoro approvata, perché siamo una forza politica che ha a cuore gli interessi del Paese che sono, innanzitutto, gli interessi delle nostre imprese e dei nostri lavoratori.
Questo atteggiamento di responsabilità, invece, sembra non appartenere ad altri soggetti istituzionali che, invece, preferiscono gettare il Paese nel caos, proclamando, per il 26 e per il 27 giugno, scioperi e manifestazioni in tutta Italia e, Pag. 35addirittura, paventando l'idea, se dovesse passare questa riforma, di uno sciopero generale che sarebbe, nell'attuale quadro economico del Paese, una vera sciagura. Noi non abbiamo questa cultura dell'irresponsabilità e abbiamo sempre l'interesse nazionale come priorità da perseguire. Ma, come abbiamo ampiamente dibattuto in Commissione lavoro, ci sono modifiche necessarie da apportare in questo disegno di legge e siamo certi che dai primi monitoraggi che saranno effettuati sulla sua efficacia emergeranno con forza le criticità da noi più volte denunciate, in primis gli aumenti indiscriminati delle aliquote contributive per i lavoratori autonomi e i meccanismi eccessivamente presuntivi che fanno scattare l'automatismo del tempo indeterminato.
Il pericolo di questa normativa, troppo farraginosa e complicata nella sua applicazione, è quello di far aumentare i contenziosi fra imprese e lavoratori, di far aggravare il già delicato equilibrio fra esigenze imprenditoriali e diritti dei lavoratori. Solo a titolo di esempio, pensiamo all'impatto che queste norme possono avere nei settori della cultura, della formazione, dello spettacolo, nei settori delle cosiddette professioni intellettuali e culturali, costituiti prevalentemente da micro e piccole-medie imprese. Pensiamo che impatto può avere la disciplina dei contratti a termine in questo settore. I limiti sulla prorogabilità e la ripetibilità dei contratti a termine imposti dalle norme, presenti all'articolo 1, comma 9, del provvedimento, nel caso dello spettacolo finirebbero per costituire una causa di restrizione dei livelli occupazionali del settore nonché di diminuzione della già incerta possibilità, soprattutto per i nostri giovani, di raggiungere i requisiti contributivi minimi annui stabiliti per l'accesso ai trattamenti previdenziali erogati dall'Enpals. Si tratta di un parametro che moltissimi giovani lavoratori dello spettacolo non riescono a raggiungere e, perciò, non avranno diritto, in futuro, ad alcun trattamento pensionistico.
Secondo i dati dell'Enpals nei comparti cinema, musica e teatro, i lavoratori discontinui, che lavorano con contratto a tempo determinato, rappresentano, nel 2011, circa l'85 per cento del totale degli iscritti al fondo pensioni. Nello spettacolo e nella cultura si lavora per progetti e per produzioni di durata limitata nel tempo, ma che possono essere replicati più volte nel medio periodo, con il coinvolgimento e la partecipazione dei medesimi datori di lavoro e lavoratori.
Per questo, il restringimento della facoltà di prorogare o reiterare i contratti di lavoro a termine nel settore costituirebbe il presupposto per una serie di effetti negativi per le imprese e per gli altri datori di lavoro, che sarebbero inevitabilmente esposti al rischio di continui contenziosi con conseguenze economiche drammatiche.
Durante la breve istruttoria della Commissione Lavoro, ho chiesto al Governo in un mio intervento il riconoscimento per il settore dello spettacolo di una deroga alle norme sui contratti a termine prevista nel disegno di legge perché, se così non fosse, le imprese del settore sarebbero costrette a interrompere immediatamente moltissimi rapporti di lavoro. Purtroppo, non c'è stata data la possibilità di apportare modifiche migliorative a questo provvedimento, ma dobbiamo capire, una volta per tutte, che per il mondo dello spettacolo e della cultura la discontinuità costituisce la dimensione naturale del settore. Per questo motivo, presenterò un ordine del giorno prevedendo un'eccezione che consenta alle imprese di utilizzare, anche per i lunghi periodi, personale con contratti a tempo determinato ed ai lavoratori di combinare la natura temporanea del proprio lavoro con una certa continuità occupazionale e mi auguro che il Governo si assuma questo impegno.
Per quanto riguarda l'aumento delle aliquote previdenziali, che per le partite IVA ed i parasubordinati vengono uniformate ai lavoratori a tempo indeterminato, il problema si pone per le lavoratrici ed i lavoratori della conoscenza, della cultura, della comunicazione, della formazione e della ricerca, insomma per tutto il variegato mondo delle professioni intellettuali Pag. 36che lavorano con partita IVA, contratti di collaborazione, in regime di diritto d'autore e borse di studio nelle forme della microimpresa e dell'economia collaborativa. Questi si troveranno a dover pagare un'aliquota contributiva parificata a quella dei lavoratori subordinati senza però avere diritto all'ASPI, che non è che il vecchio sussidio di disoccupazione, inaccessibile a chi svolge un'attività indipendente, inoltre con il rischio di rivalsa da parte del committente e quindi di riduzione del reddito disponibile.
Mi avvio alla conclusione con una nota di merito al Ministro Fornero per aver accolto la richiesta di una mia interrogazione in Aula che abroga la norma del regio decreto del 1935 che, di fatto, escludeva dall'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria il personale artistico, teatrale e cinematografico, ma sappiamo anche - Ministro Fornero, mi dispiace di non vederla in Aula - che questa norma verrà applicata ai soli lavoratori subordinati, che rappresentano nel settore un'esigua minoranza. Dobbiamo invece intervenire individuando delle soluzioni per i tanti lavoratori autonomi dello spettacolo, che rappresentano la stragrande maggioranza degli artisti e dei tecnici operanti nella cultura. Per questo, mi auguro che il Governo sostenga il nostro provvedimento ancora in discussione in Commissione Lavoro sulle disposizioni per la tutela professionale previdenziale, nonché interventi di carattere sociale in favore dei lavoratori dello spettacolo di cui sono relatrice.
Il mio appello - e concludo veramente - è di valorizzare la cultura tutelando i tanti operatori del settore che contribuiscono al prestigio internazionale del nostro Paese perché l'Italia rimane purtroppo ancora l'unico Paese europeo, insieme alla Grecia, a non garantire protezioni sociali per tutti i lavoratori ed è questa la vera lacuna di questa riforma, che è partita con roboanti promesse, come quella del reddito di cittadinanza, ma che alla fine rischia di produrre effetti contrari a quelli auspicati (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gnecchi. Ne ha facoltà.

MARIALUISA GNECCHI. Signor Presidente, questa settimana verrà approvato il disegno di legge sul mercato del lavoro, come approvato dal Senato. Il Presidente Monti ha chiesto di poter arrivare al Consiglio europeo con la riforma sul mercato del lavoro approvata. In questo modo, la Camera non può intervenire sul testo: non siamo ovviamente contenti di ciò, ma accettiamo responsabilmente questa richiesta, contando sull'impegno del Presidente Monti di risolvere i problemi che si sono creati con la prima manovra economica di questo Governo, il decreto cosiddetto Salva Italia. Ho notato con grande piacere che è stato richiamato da tutti questo impegno e quindi viene sicuramente rafforzato.
Ci tengo a sottolineare che, rispetto a questo impegno da assolvere, non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale previsto dal comma 15 dell'articolo 24 del decreto-legge «salva Italia». In quest'Aula mercoledì scorso la Ministra Fornero ha riconosciuto che i 65 mila salvaguardati sono una prima parte delle persone che hanno diritto al mantenimento dei requisiti pensionistici previgenti. Quindi, ci sembra importante ripartire dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, decreto-legge cosiddetto milleproroghe, perché la nostra disponibilità al voto di fiducia e all'urgenza sul provvedimento in discussione è strettamente legata alla soluzione delle ingiustizie che si sono create e che si stanno creando in materia pensionistica. Tutta la manovra «salva Italia» per quanto riguarda il diritto a pensione rimarrà nella storia come grande lotteria, come gara di numeri, di cifre, di responsabilità scaricate su altri, ma soprattutto per le differenze incredibili anche nella valutazione dei risparmi, dei costi e delle previsioni.
Il perfetto contrario di ciò che ci si sarebbe aspettati da tecnici, cito solo un esempio, per non cadere anch'io nel balletto delle cifre: l'A.C. 4829, il decreto- Pag. 37legge «salva Italia» come è arrivato alla Camera, prevedeva come risparmio per l'abrogazione totale delle quote per poter andare in pensione età anagrafica più anni di contributi, che riguardava tutti, pubblici, privati e autonomi, meno di 14 miliardi di euro fino al 2018. Cito la relazione bollinata della Ragioneria generale dello Stato a pagina 99 AC 4829, come è possibile che solo 65 mila persone da salvaguardare possano costare 5 miliardi e gli altri eventuali 55 mila altri 4 miliardi? Sarebbe come dire che se queste 120 mila persone andranno in pensione con i vecchi requisiti il risparmio fino al 2018 sarebbe di soli 5 miliardi? E per 5 miliardi fino al 2018 si può avere la responsabilità di aver creato sei mesi di panico, di sfiducia nelle istituzioni, di dispersione, di guerra tra aspiranti pensionati? No, è evidente che i conti non tornano e che bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi e ricominciare ad analizzare e monitorare realmente la situazione. Rimangono gli impegni assunti dal Presidente Monti nel discorso di fine anno e anche recentemente, nessuno sarà abbandonato e lasciato senza lavoro, senza ammortizzatore sociale e senza pensione. Vogliamo credergli e solo per questo accettiamo anche di votare la fiducia sulla riforma del mercato del lavoro.
Rimane comunque incomprensibile la penalizzazione per le donne, spostare l'età per la pensione di vecchiaia fino al 31 dicembre 2011, requisito a 60 anni, dal giorno dopo 62 anni, in modo da creare la rincorsa per cui l'innalzamento è stato repentino, da un giorno all'altro, di cinque anni, quando nel 1992 l'innalzamento è stato di un anno ogni due anni solari. Era proprio necessario? Per un risparmio, sempre pagina 99 dell'A.C. 4829, di 157 milioni nel 2013 e 775 milioni nel 2014, crescenti, ma sulla pelle di chi avrebbe avuto entro pochi mesi una pensione media di 642 euro mensili, perché di questo stiamo parlando, di pensioni basse, che per la singola donna sono un valore inestimabile ma come risparmio sono una goccia nell'oceano.
Espongo quindi le seguenti note al decreto ministeriale, in attesa di pubblicazione, previsto dal comma 15 dell'articolo 24 della legge 22 dicembre 2011, n. 214; si evidenziano le seguenti violazioni, in termini di gerarchia delle fonti, qualora dovesse essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale come da testo su carta intestata del Ministero che sta circolando: l'articolo 24 comma 14 della legge 22 dicembre 2011, n. 214, deroghe con mantenimento dei previgenti requisiti, prevede: alla lettera a), lavoratori in mobilità ordinaria a seguito di accordi stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 e che maturano i requisiti pensionistici entro il termine del periodo di mobilità; alla lettera b), lavoratori in mobilità lunga per accordi stipulati entro il 4 dicembre 2011; non è corretto che il decreto-legge prevede arbitrariamente la cessazione dell'attività lavorativa alla data del 4 dicembre 2011, la legge prevede la stipula dell'accordo non la cessazione del lavoro, si penalizzano tutti quei lavoratori e lavoratrici che, pur rientrando in accordi di mobilità, hanno cessato l'attività lavorativa in base all'accordo firmato dopo il 4 dicembre 2011.
Va segnalato inoltre che ad oggi il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non ha ancora emanato, nonostante diverse sollecitazioni sia da parte sindacale che politica, il decreto-legge di copertura per i derogati della legge 30 luglio 2010, n. 122, che non rientravano nei cosiddetti 10 mila lavoratori e che hanno il diritto al pensionamento con i requisiti ante legge 30 luglio 2010, n. 122. Ad oggi quindi i lavoratori che maturano il trattamento pensionistico nel 2012 sono ancora senza alcuna forma di reddito, per il 2011 era stato registrato con il numero 63.655 il 5 gennaio 2012, colpevole ritardo del Ministro Sacconi, la Ministra Fornero aveva firmato a pochi giorni dalla sua nomina questo decreto-legge. Questo le è stato riconosciuto, ma adesso si è in ritardo sul 2012.
Alla lettera c), lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 sono titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà (articolo 28 della legge n. 662 Pag. 38del 1996 - bancari, ferrovieri eccetera), nonché ai lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre l'accesso ai predetti fondi di solidarietà. In questo caso il lavoratore rimane a carico del fondo fino al compimento dei sessanta anni di età.

PRESIDENTE. Onorevole Gnecchi, la prego di concludere.

MARIALUISA GNECCHI. Signor Presidente, finisco la frase e poi chiedo di consegnare il testo del mio intervento, perché ci tengo molto anche a ripercorrere la storia previdenziale e del mercato del lavoro in parallelo per come si sono intrecciate in questi anni. Il decreto, comunque, per questi lavoratori del fondo di solidarietà prevedeva il mantenimento dei requisiti precedenti per coloro che hanno avuto l'accesso al fondo entro o dopo il 4 dicembre, invece il decreto prevede sessantadue anni, anziché sessant'anni, e prevede anche altre restrizioni rispetto al diritto per questi lavoratori. Quindi, in base a queste cose - le prime che ho detto - noi riteniamo assolutamente e speriamo che il fatto che questo decreto non sia ancora stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, pur firmato ormai da ventitré giorni, voglia dire che anche altri, oltre noi, si sono resi conto che è un decreto assolutamente illegittimo rispetto alla legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Gnecchi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Vincenzo Antonio Fontana. Ne ha facoltà.

VINCENZO ANTONIO FONTANA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, noi vogliamo approvare la riforma del mercato del lavoro, perché serve all'Italia, soprattutto per essere più credibile anche sui mercati internazionali, ma serve farla bene. Ed è per questo che abbiamo insistito per modificare alcune norme troppo gravose e negative, soprattutto per quanto riguarda la parte relativa alla flessibilità in entrata. Voglio iniziare così il mio intervento per chiarire subito che daremo leale sostegno al Governo, affinché Monti possa recarsi a Bruxelles con la riforma del lavoro approvata, auspicando che nel decreto sviluppo si possano inserire quelle modifiche da noi richieste e che il Governo si è impegnato a fare. Diversamente, la riforma rischia di rimanere un'occasione mancata, anche se necessaria, per motivi di immagine e di sostegno aprioristico al Governo Monti davanti all'Unione europea, che continua a sollecitare l'approvazione del provvedimento, perché ben presto potremo vedere purtroppo, senza opportuni miglioramenti, gli effetti negativi per le imprese e per l'occupazione. Per questo, con grande senso di responsabilità, abbiamo deciso di non far mancare il nostro appoggio al Governo, per consentire a questo provvedimento di essere approvato entro il 28 giugno, nonostante le non poche perplessità da noi avanzate e in parte superate dal risultato ottenuto al Senato sulla flessibilità in entrata, grazie alla nostra fermezza e alla nostra risolutezza. Per questo, con i colleghi della Commissione lavoro abbiamo fatto il massimo sforzo per rispettare i tempi ristretti a disposizione della Camera per dire sì al disegno di legge sul lavoro, nella certezza che il Presidente Monti utilizzi la forma del decreto come strumento per apportare le modifiche alla riforma stessa del mercato del lavoro. Si tratta per noi di punti irrinunciabili nei confronti dell'impianto di una legge sulla modifica del mercato del lavoro che abbiamo contestato in modo profondo, prima di avere ottenuto dal Governo l'impegno ad affrontare tre questioni fondamentali: la flessibilità in entrata, che è stata migliorata, come dicevo prima; il problema degli esodati; la detassazione dei salari legati alla produttività. Gli impegni assunti in materia dal Presidente Monti, che vanno resi concreti in un altro provvedimento Pag. 39di legge, costituiscono un risultato positivo dell'azione da noi condotta, anche perché fanno riferimento a precise proposte elaborate dal Popolo della Libertà. Di conseguenza, anche se in un contesto negativo, con l'azione condotta dal nostro gruppo al Senato, poi con quella condotta alla Camera, qualche significativo passo in avanti è stato fatto proprio sul terreno richiesto dalle imprese, dagli artigiani e dalle organizzazioni agricole, ai fini della crescita e dell'occupazione.
Ancora una volta, con il nostro impegno, ci siamo confermati una forza politica responsabile, capace di farsi carico dei problemi più acuti e gravi del Paese ed in grado di offrire contributi qualitativamente validi per superare gravi momenti d'empasse.
Ci auguriamo che da parte del Governo - e segnatamente del Ministro Fornero - vi siano apertura e disponibilità a prendere atto dei contenuti della riforma, laddove dovessero dimostrare limiti vistosi. Pertanto, prendiamo per buone le sue parole, quando afferma: se non va, si cambia.
Ma ancora meglio è evitare di sbagliare. Del resto, l'ultimo monitoraggio, signor Viceministro, è durato sette anni. Si è promesso, appunto, di monitorare la situazione, ma volevo ricordare proprio che l'ultimo monitoraggio è durato sette anni. C'è poi il fatto che votiamo senza esultare per le misure del disegno di legge. Non c'è bisogno di ribadirlo: anche se non arriviamo a dire, come il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che la riforma è «una boiata», sappiamo che va approvata entro il 28.
Quando parliamo degli impegni assunti dal Governo per far sì che potessimo votare la riforma prima del Consiglio europeo, ci riferiamo soprattutto alla vicenda degli esodati ed al balletto di cifre che caratterizza quest'affaire, dopo che la fondazione studi dei Consulenti del lavoro ha quantificato il fenomeno in almeno 370 mila soggetti.
Il Ministro Fornero - che mi dispiace non sia qui presente questo pomeriggio - riferendo in Aula al Senato ha assicurato che i lavoratori interessati meritano di essere salvaguardati dagli effetti del recente inasprimento dei requisiti per l'accesso alla pensione. Il Ministro ha garantito di voler dare chiarimenti al Paese su un tema che genera forte interesse e forte apprensione.
Intanto dall'informativa del Ministro emerge che i lavoratori di Termini Imerese in cassa integrazione straordinaria, che hanno i requisiti per la pensione con le vecchie regole entro i due anni di cassa integrazione guadagni straordinaria e i quattro di mobilità, saranno salvaguardati dal nuovo provvedimento che il Governo intende adottare. Anche su questo impegno vigileremo con molta attenzione.
Quanto poi al disegno di legge sul lavoro, è mia opinione che quel complesso di norme rischia comunque di determinare meno occupazione e più licenziamenti e di creare non pochi problemi alle imprese, in una fase di grande difficoltà come quella attuale, perché il mercato del lavoro diventerà più rigido.
Il Ministro spiega che per far fronte al problema dei lavoratori esodati, oltre a quelli già salvaguardati, che il Governo intende salvaguardare appunto con prossimi provvedimenti, l'Esecutivo potrebbe estendere il trattamento di disoccupazione o pensare alla partecipazione a lavori di pubblica utilità. Un'altra ipotesi per la soluzione del problema potrebbe essere una deroga alla nuova disciplina pensionistica. Indubbiamente la situazione, come ammette lo stesso Ministro, richiede un confronto serrato con le parti sociali per interventi più approfonditi, per individuare situazioni di criticità, per misure tempestive e per interventi finanziari modulati nel tempo, anche attraverso una sede permanente di monitoraggio del problema appunto degli esodati.
Confermando comunque un giudizio critico sul disegno di legge, ma facendoci carico nello stesso tempo dell'esigenza di fare forza al Governo sulla scena europea, come ha dichiarato il nostro segretario, il gruppo PdL dà il suo ok all'approvazione di una riforma, che non condividiamo in Pag. 40alcuni punti e che vogliamo assolutamente correggere. Ma il nostro vuole essere principalmente un gesto di grande amore per il nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Madia. Ne ha facoltà.

MARIA ANNA MADIA. Signor Presidente, senza ripresa non ci può essere lavoro buono per le generazioni più giovani, ma è anche vero, io penso, che, se le generazioni più giovani non trovano lavoro, con grande difficoltà il nostro Paese si potrà riprendere e soprattutto potrà riprendere la via di uno sviluppo sano, sostenibile e di qualità per il futuro.
Oggi il dato è che anche chi ha studiato, quindi anche chi ha fatto il suo dovere, con sacrificio e spesso con sacrifici della propria famiglia, non riesce a trovare una strada.
È per questo, è per tutte queste persone che attendono delle risposte concrete per la loro vita e per il loro futuro, che il gruppo del Partito Democratico ha deciso di non apportare modifiche a questa proposta di legge in questo ramo del Parlamento. Perché noi confidiamo davvero nel vertice europeo dove il Presidente Monti andrà a rappresentare tutte queste istanze, perché noi crediamo davvero che una prospettiva vera e duratura per tutte queste generazioni che oggi sembrano perdute possa arrivare soltanto dall'Europa. Lo dico in un momento in cui anche per i più europeisti c'è il rischio di perdersi in questi mesi di dibattiti che sembrano sterili, che sembrano non dare delle risposte adeguate. Eppure ancora oggi qui il Partito Democratico crede proprio che attraverso gli Stati Uniti d'Europa le generazioni più giovani possano avere un futuro, e lo crede perché l'Europa è il 7 per cento oggi della popolazione mondiale e quindi probabilmente solo una voce unica europea può determinare politicamente un vero piano, un vero modello di sviluppo per un continente che sembra, anzi che è stanco e affannato.
Quindi solo da scelte concrete ma anche coraggiose in sede europea si può uscire da questa spirale austerità - recessione, debito -, che ci sta strozzando, che sta aumentando le disuguaglianze. Soltanto quindi approvando dei grandi piani di utilizzo dei bilanci europei per finanziamenti per l'occupazione, soltanto quindi decidendo per una tassa sulla finanza locale (come ancora ci ha ricordato il Presidente Hollande qualche giorno fa qui a Roma), soltanto decidendo che alcuni grandi investimenti debbano uscire dalle regole del rigore, ma soprattutto - io penso - soltanto scegliendo la via coraggiosa dello spalmare i debiti dei diversi Paesi in tutta l'area euro, soltanto così noi possiamo davvero dare delle risposte concrete a tutte queste persone.
Perché in caso contrario questa crisi che stiamo vivendo si allargherà ancora di più, e questa crisi che stiamo vivendo toccherà ancora di più tutti coloro che già sono vittime di disuguaglianza, tutti coloro che già da troppi anni pagano il prezzo di questa disuguaglianza, e penso soprattutto a tutti coloro che hanno iniziato a lavorare versando alla gestione separata dell'INPS. Mi riferisco a quei trenta-quarantenni (ancora ieri il più importante quotidiano nazionale il Corriere della sera dava proprio enfasi all'aspetto della precarietà che non tocca più i giovanissimi ma quei non più giovanissimi ma ancora giovani), che ancora possono fare scelte di vita importanti e definitive per il futuro del nostro Paese ma che devono sentirsi sostenuti da scelte concrete che li sostengano nelle loro vite che oggi invece sembrano abbandonate dal decisore pubblico.
Questa generazione che è precaria da quando lavora oggi è incastrata nella trappola della precarietà. Questa generazione di cui tutti parlano, di cui tutti da sempre parlano, di cui sembra che tutti si facciano carico prima di affrontare le riforme, poi diventa sempre invece la generazione dimenticata, rimane sempre invece la generazione perduta. Dobbiamo stare attenti perché purtroppo anche all'inizio del dibattito su questa riforma su questa generazione si sono create delle aspettative che Pag. 41purtroppo oggi l'articolato di questa proposta di legge tende a non rispettare. Aspettative, come ad esempio quando il Ministro Fornero parlò del reddito minimo di cittadinanza, che oggi purtroppo per la situazione nella quale siamo e che anche noi constatiamo e riconosciamo non si possono attuare. Allora questa generazione di trenta-quarantenni rimane ancora dopo questa riforma la generazione che aspetta un'ennesima riforma. È una generazione che aspetta ancora, che rimane in attesa della riforma degli ammortizzatori sociali.
Infatti, non si prevede alcuna misura strutturale per gli atipici, né ammortizzatori sociali, né l'idea dell'ASPI in prospettiva, neanche di una mini-ASPI, addirittura neanche la volontà concreta di allargare i requisiti del bonus precari oggi vigente per cercare quanto meno, quel bonus una tantum e non strutturale, di darlo, appunto, ai precari, almeno per le risorse che sono state stanziate.
E, poi, ancora, probabilmente una generazione che rimarrà precaria, anche perché in questa riforma i contratti rimangono troppi e, quindi, questi trenta-quarantenni, che soffrono il peso della crisi e che da troppi anni già soffrono una situazione di disuguaglianza, potranno ancora, dopo l'approvazione di questa riforma, essere contrattualizzati con tanti contratti diversi.
L'unico aspetto che c'è, è quello sulle partite IVA, ma questo rischia di essere un boomerang perché, per tutti coloro che guadagnano meno di 18 mila euro lordi l'anno - sono 800 euro netti -, l'unica cosa che si fa è alzargli la contribuzione, portarla al 33 per cento. Contribuzione che, scientificamente - noi lo diciamo, ma è matematica -, andrà a ricadere sul salario netto di quelle persone che non sono delle persone ricche, che hanno un alto reddito, perché guadagnare più di 800 euro netti al mese, non vuol dire essere ricchi e guadagnare tanto. Su queste persone, quindi, la presente riforma fa cassa e la relazione tecnica lo dice chiaramente. Si arriva, dall'incremento delle aliquote agli iscritti alla gestione separata, a prendere, nel 2021, 1 miliardo e 800 milioni di euro. Per tutti questi aspetti e per la necessità vera di creare davvero un'universalità dei diritti, noi crediamo che, dopo l'approvazione di questo disegno di legge e dopo il vertice europeo che, come ripeto, auspichiamo sia davvero una svolta per le giovani generazioni, sia importante rivedere almeno questi aspetti, per far sì che la generazione per cui viene fatta questa riforma, non diventi paradossalmente la generazione penalizzata da questa riforma (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, vorrei partire rivolgendole una domanda: me lo spiega lei com'è possibile, dopo aver ascoltato tutti gli interventi che si sono svolti nella mattinata e nel pomeriggio, e non avendone trovato uno a favore, scoprire poi che mercoledì sera questo provvedimento sarà licenziato con una larghissima maggioranza? Non lo so, però forse il motivo è che viene imposta la fiducia. Lei lo sa, signor Presidente, che, in questi mesi, ogniqualvolta il povero Ministro Giarda si doveva alzare dal banco del Governo per porre la questione di fiducia, non ho avuto difficoltà a prendere la parola e a ricordare che era un atto contro il Parlamento, contro la possibilità di approfondire i temi e la discussione e che era un modo vergognoso per tagliare ogni forma di discussione? Questa volta spendo una parola a favore del Governo in questo senso perché, se la scorsa settimana abbiamo battuto il record, con ben tre voti di fiducia in un giorno solo, questa settimana il Governo sobrio ha deciso di non esagerare per cui soltanto quattro voti, ma divisi in due mezze giornate.
Ma la novità qual'è? Che questa volta non è il Governo che pone la questione di fiducia, questa volta sono le forze politiche che chiedono al Governo di porre la questione di fiducia perché dietro il voto di fiducia possono nascondere le loro ipocrisie. Il PD, il PdL, il Terzo Polo (UdC Pag. 42e FLI) e chiunque altro voterà a favore di questo documento. Così si potrà andare domani mattina in piazza, a Montecitorio, davanti ai sindacati e dire: questo documento, è vero, è una schifezza. Oppure, davanti all'assemblea degli industriali, a dire: si è vero, come dice Squinzi, questo provvedimento è una boiata, ma l'abbiamo dovuto votare perché il Governo ha posto la questione di fiducia. Questione di fiducia che, come ripeto, questa volta non è stata posta, ma è stata richiesta dalle forze politiche che sostengono il Governo.
Ma di questo parleremo meglio più tardi quando, discutendo la nostra pregiudiziale di costituzionalità sul provvedimento in esame, ne denunceremo anche i limiti costituzionali. Riprendendo la traccia di quello che avevo immaginato di dire quest'oggi, signor Presidente, parto da quello che è il comune senso, l'opinione pubblica, quello che si sente dire nei bar, negli autobus, in metropolitana. La politica è l'arte del possibile, si sente spesso dire. Nella politica fortunatamente tutto è reversibile e, quindi sicuramente, ci sarà rimedio anche a questa boiata, a questa schifezza che si sta approvando. Ciò nondimeno, in questa circostanza, la maggioranza che sostiene il Governo Monti sta compiendo uno scempio che sarà duro da riparare.
Tale questione mi ferisce anche personalmente perché si riesce là dove neanche Berlusconi aveva osato arrivare, cancellando di fatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori con il concorso dei miei colleghi, coloro che una volta erano i miei compagni di partito, che erano, insieme a me, al Circo Massimo, in piazza, con tre milioni di italiani, lavoratori, pensionati, insieme a Sergio Cofferati, a dire che quella sciagura non sarebbe stata fatta passare. E, invece, dopo dieci anni, questa sciagura passa. Vero, collega Damiano? Vero, collega Bellanova? Eravamo insieme in piazza a dire «no» a quell'attacco all'articolo 18.

TERESA BELLANOVA. No, no!

FABIO EVANGELISTI. Oggi, invece voi, lo votate e questo sarà duro da riparare. Che questa scelta venga dal partito di cui Berlusconi, oggi, in modo conclamato, è appena tornato ad essere il leader - soltanto Alfano non se ne è ancora accorto - è una cosa che si può comprendere. Nessuno poteva avere dubbi che sconfiggere l'epopea del bunga bunga sarebbe stato difficile. Berlusconi - e qui Berlinguer si rivolterebbe nella tomba - ci ha portato sin qui con il suo grottesco codazzo di nani, ballerine, olgettine. Egli ha logorato scientemente il tessuto civico ed economico del nostro Paese. Ha dichiaratamente rappresentato i corrotti, gli evasori fiscali e pervicacemente vuole scacciare dalla testa degli italiani l'idea di comunità, di nazione, di istituzione. Dicevo che ci possiamo aspettare dal PdL che possa votare un provvedimento così violentemente sbagliato: è nella natura delle cose. Che invece lo votino altri, a sinistra, è davvero una cosa che colpisce e fa male. Quel Partito Democratico che si vuole erede di due grandi tradizioni ideali e politiche italiane: quelle tradizioni che vengono da De Gasperi, Dossetti, Lazzati, Terracini, Togliatti, Longo, Berlinguer... davvero è incredibile (Commenti di deputati del gruppo Partito Democratico). Come hai detto?
L'articolo 1 della Costituzione dice che la Repubblica è fondata sul lavoro. «Fondata», Presidente Buttiglione, dice così la Costituzione, quella che a Bersani, a ragione, piace definire la più bella del mondo. Non so, signor Presidente, se lei abbia mai riflettuto su quel lemma. I costituenti (Dossetti, Lazzati, Moro, La Pira, Calamandrei, Gullo, Lussu) non usavano le parole a caso. In quel «fondata» - lo dico ai colleghi del PD che mi contestano - c'è tutto il sudore, la fatica, il coraggio, il sangue di quelli che avevano contribuito a fondare la Repubblica, scacciando con la lotta partigiana della Resistenza, sia i fascisti, sia i tedeschi, sia la monarchia codarda. Ma in quel «fondata» c'era anche la proiezione nel futuro. Lavoro come motivo fondante della vita associata: già, signori del Governo, il lavoro onesto, pulito, dignitoso. Infatti, Presidente Buttiglione, rammento che c'è un altro articolo che si dovrebbe ricordare in frangenti Pag. 43come questo, l'articolo 4, che afferma che il lavoro è un diritto e che la Repubblica promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto: sì, effettivo, signora Ministro Fornero e colleghi del PD. Come si rende effettivo quel diritto?
Con le leggi, certo, con l'iniziativa pubblica, con la fatica graduale delle conquiste del lavoro e la legge n. 300 del 1970, il cosiddetto «Statuto dei lavoratori», che era ed è proprio uno di quei tasselli legislativi densi di significato di carattere storico, che costituiscono attuazione della Costituzione, che il collega Bersani definisce giustamente la più bella del mondo. In quegli articoli 1 e 4 della Costituzione vi è un principio, quello della libertà dal bisogno, che è la prima libertà. Ma se quei due articoli rimangono lettera morta, allora la libertà muore, cari colleghi.
Quindi, questo provvedimento che voi state per licenziare è pericoloso per i lavoratori, per il lavoro, ma lo è anche per voi che vi apprestate a vararlo. Ma veramente pensate che i livelli di consenso sindacale e politico, edificato sui valori del lavoro e della comunità, possano sopravvivere senza l'articolo 18? Voi pensate davvero che sia indifferente per un lavoratore dipendente avere la mente sgombra da preoccupazioni quando timbra il cartellino alla mattina, o invece avere sempre addosso la paura di dire qualcosa fuori posto o di denunciare qualche irregolarità in tema di sicurezza sul lavoro o la presenza di amianto? Pensate davvero che lo sfruttamento sia un pericolo superato una volta e per sempre? Voi pensate che con il perenne ricatto di essere licenziato, un operaio dirà come la pensa al caposquadra o al capo reparto? E tutto questo è davvero indifferente per i vostri livelli di consenso e di interlocuzione con il tessuto sociale e con la vostra coscienza? Già la conosco la risposta, la replica alla Ichino o alla Nicola Rossi: l'articolo 18 non serve più, perché non ci sono più le fabbriche fordiste. L'Italia è fatta di imprese medie, piccole e piccolissime, con meno di 15 dipendenti, con cui l'articolo 18 che c'entra, che c'azzecca? Ecco, quei tre milioni di lavoratori, pensionati, giovani precari, gente del popolo che il 23 marzo del 2002 affollarono il Circo Massimo, allora si sbagliavano. Invece avevano ragione loro, i professori, Ichino e Rossi, come ce l'ha oggi la professoressa con la penna rossa Fornero.
No, non è così, e me ne rammarico, signor Presidente, così come mi rammarico che una legge sul lavoro sia scritta da persone che sicuramente conoscono la legislazione sul lavoro, ma non so se conoscono il lavoro. Perché il lavoro è dedizione, è progettualità, fiducia, intelligenza, creatività e può essere anche stanchezza, sofferenza, monotonia, demotivazione, perfino umiliazione e qualche volta anche morte. Il lavoro poi è spesso tutte queste cose insieme. È anche per questo che l'articolo 35 della Costituzione dice che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e le sue applicazioni. Quanta saggezza in queste parole della Costituzione. Ed è per questo che la tutela per il reintegro dei lavoratori illegittimamente licenziati era un tassello fondamentale per un Paese che si vuole civile. Ma certo, sono contento che sia rientrata signora Ministro, perché altrimenti avrei affidato questo mio sfogo allo sfigato sottosegretario che la rappresentava. Queste sottigliezze spesso sfuggono. Lei verosimilmente...

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, il sottosegretario non merita quella parola che lei gli ha dedicato (Applausi).

FABIO EVANGELISTI. Il sottosegretario lo ha detto a me «sfigato», che mi sono laureato a 31 anni perché lavoravo!

PRESIDENTE. Se il sottosegretario ha sbagliato, non è motivo per ripetere l'errore.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. È Viceministro!

FABIO EVANGELISTI. Va bene, però non posso considerare fortunato uno che faceva il portavoce del Ministro Brunetta: va bene così? Pag. 44
Riprendo: lei, signora Ministro, verosimilmente in una fabbrica, in una cava di marmo, in un cantiere non c'è mai stata. Lei l'ha mai vista una pressa? Lei lo sa che cos'è un forno? E la lastratura? E il panchetto di un'industria tessile, di quelle che in Italia ci sono ancora e non soltanto in Serbia? E la puzza dei solventi? E il rumore dei macchinari? E gli schermi dei computer sempre accesi? E le password da ricordare per le misure di sicurezza? E i turni di notte? E il neon che ti ronza nelle orecchie? Lei ha letto tanto, signora Ministro, ne sono sicuro, forse però non ricorda ad esempio i dialoghi tra 'Ntoni e Mena ne «I Malavoglia» di Verga. Di conseguenza, me lo lasci dire, il mio è uno sfogo di carattere politico e non ha niente di personale, ma quel suo piglio, che a volte appunto assume il carattere di quello della maestrina dalla penna rossa, appare a volte arido e negligente nella storia del lavoro e finisce per calpestare tutto.
Glielo dico, signora Ministro, perché se vengo alla questione dei cosiddetti esodati, devo dire che lei ha una responsabilità enorme di fronte al Paese e di fronte al mondo del lavoro. Pertanto, mi auguro che, alla fine, il linguaggio involuto, tortuoso, ambiguo di questo disegno di legge porti, comunque, il giudice a ritenere l'articolo 2 inapplicabile e, comunque, illegittimo dal punto di vista costituzionale. Del resto, l'ho detto prima, con riferimento alla sua riforma, perfino Squinzi ha detto che è «una boiata». Spero che, alla fine, tutto questo finisca nel nulla, perché la giustizia e la Costituzione hanno una loro forza intrinseca e perché il principio per cui la prima e migliore sanzione per un atto illegittimo è la riparazione in forma specifica - restitutio ad integrum - ha un'obiettiva radice che nessuno può trascurare. Questo lo dice sempre quella Costituzione a cui fa riferimento la Corte, e questo afferma la Corte europea dei diritti dell'uomo. Ma resta il fatto politico.
Oggi, chi vota a favore di questo provvedimento tradisce il lavoro, tradisce i lavoratori, si associa a Berlusconi e gli permette quello che non gli era riuscito dieci anni fa. Poi, cos'altro vi apprestate a regalare a Berlusconi, colleghi del Partito Democratico? La responsabilità dei giudici? La legge bavaglio sulle intercettazioni? Cos'altro? La CGIL, la FIOM, tutti gli onesti e civili lavoratori di questo Paese nel settore privato e in quello pubblico, le operaie e le impiegate sparse per la penisola, sappiano che non sono soli: la loro voce sarà ancora sentita qui dentro e fuori, perché è la voce dei lavoratori e del lavoro tutelato dalla nostra Costituzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Miglioli. Ne ha facoltà.

IVANO MIGLIOLI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, i dati dell'ISTAT della scorsa settimana ci dicono di un tasso di disoccupazione nel nostro Paese che ha superato le due cifre: oltre il 10 per cento. La disoccupazione giovanile è al 36 per cento, una cifra drammatica; così come lo è quel 23 per cento di giovani che non studiano e non cercano nemmeno più il lavoro, tanto sono scoraggiati. L'OCSE ci ha ricordato, poche settimane fa, che i salari italiani sono al ventitreesimo posto sui 34 Paesi industrializzati; siamo, invece, sesti per carico fiscale e, con un tasso di occupazione femminile del 46,4 per cento, l'Italia è in fondo alla graduatoria: peggio di noi, c'è soltanto la Turchia. Insomma, salari greci, tasse finlandesi e, soprattutto, per giovani donne, un lavoro che non c'è e, quando c'è, è un lavoro precario, visto che l'80 per cento delle assunzioni avvengono, ormai, con contratti a tempo determinato. Un Paese che, quest'anno, segna un meno 1 per cento nel PIL e che, dunque, non produce ricchezza: siamo, di fatto, in recessione.
Da questa sommaria fotografia dell'Italia, si comprende come la priorità non sia - non è - la regolazione del mercato del lavoro, che, nel migliore dei casi, ridistribuisce il poco lavoro che c'è. La catena da spezzare è quella delle politiche per lo sviluppo, della competitività delle nostre imprese nella sfida e nella competizione globale; la catena da spezzare è creare lavoro, un buon lavoro, recuperare potere Pag. 45d'acquisto per i salari, abbassare la tassazione su lavoro e impresa, cioè il cosiddetto cuneo fiscale; la catena da spezzare è un'Europa che, oltre ai vincoli di bilancio, oltre ai tagli alla spesa sociale, oltre all'aumento dell'età pensionabile, mette in campo una politica per la crescita. Per questo, guardiamo con particolare interesse al vertice europeo di questa settimana. Ma è in questo quadro che va affrontato il tema del mercato del lavoro, superando, certo, i dualismi e i problemi che abbiamo: tra chi ha un lavoro e chi non ce l'ha, tra chi ha un lavoro stabile e chi ha un lavoro precario, tra chi ha tutele e ammortizzatori sociali e chi no.
Ebbene, signor Ministro, nel disegno di legge in oggetto, vi sono luci ed ombre, ma, nel complesso, per il Paese si tratta di un'opportunità mancata. Vede, abbiamo assistito, per mesi, ad un accanimento ideologico sull'articolo 18: si è attribuita a quella norma, che è una norma di civiltà, la causa di tutti i mali del mercato del lavoro, persino, dei mancati investimenti dei capitali esteri.
Se si fosse seguita la strada del pragmatismo, io dico del riformismo, quello vero, quello fondato sulla capacità di leggere i problemi reali, superandoli e separandoli dalle ideologie, avremmo evitato tre mesi di contrapposizioni su un falso problema e saremmo approdati, come poi è avvenuto, ad una manutenzione delle norme, ad una soluzione ragionevole, così come tenacemente sostenuto dal nostro segretario Bersani; collega Evangelisti, non accettiamo lezioni da nessuno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Si tratta di una soluzione che ispirandosi al cosiddetto modello tedesco non può certo spaventare i mercati; qui sta l'errore del Governo: avremmo potuto farla, quella manutenzione, con un largo consenso delle forze sociali e sindacali. Il Paese ha perso l'opportunità perché si potevano e si dovevano chiamare tutte le forze sociali, in un momento di grande difficoltà del Paese, a lavorare insieme per cambiare, modernizzare, e certo, riformare, il mercato del lavoro; il Paese si sarebbe presentato all'Europa con una rinnovata coesione sociale, coesione per salvare l'Italia.
Abbiamo scelto un'altra strada e oggi siamo qui a discutere di un provvedimento che scontenta tutti: le organizzazioni sindacali, le associazioni sindacali delle imprese, grandi e piccole, le forze politiche di maggioranza e di opposizione. C'è chi ha definito questo disegno di legge una «boiata»; il nostro è un giudizio un po' più articolato. Vi è certamente, nel disegno di legge, una discontinuità con le politiche del lavoro perseguite dal precedente Governo; consiglio a tutti la lettura degli interventi del senatore Sacconi e le dichiarazioni di molti esponenti del PdL, anche in questo dibattito. Parlo di discontinuità perché si inizia ad imboccare una strada diversa sulla precarietà; si migliora l'ingresso al lavoro definendo l'apprendistato come forma principale di accesso e si cancellano alcune - secondo me, troppo poche - forme contrattuali precarie; si rende più conveniente per le imprese il lavoro stabile; si introduce un compenso minimo per i collaboratori a progetto; si ripristina la norma, sia pure con un procedimento farraginoso, contro i licenziamenti in bianco e si sono introdotte norme migliorative per i tirocini e per i voucher così come per la valorizzazione dell'accordo sulla contrattazione collettiva del 28 giugno del 2001. Luci, ma anche ombre. Gli strettissimi vincoli di bilancio di cui siamo consapevoli non hanno consentito di superare l'aumento pesante di sei punti di aliquota per i parasubordinati né di estendere tutele e ammortizzatori sociali che hanno ancora escluso sia da Aspi che da mini-Aspi; la strada che viene indicata, signor Ministro, quella della tutela universale, è una strada corretta e giusta ma gli avanzamenti e le soluzioni individuate sono insufficienti e si rischia un vuoto nella transizione tra vecchi e nuovi regimi da qui al 2015 e al 2016. In una situazione di crisi è necessario un passaggio graduale dagli attuali ai nuovi regimi; signor Ministro, occorre fare molta attenzione perché si rischia un'altra vicenda esodati e, francamente, se errare è umano, occorre evitare, Pag. 46mi rivolgo a lei Ministro, di perseverare, sarebbe diabolico. Luci ed ombre su di un testo che il Senato, anche grazie al nostro lavoro, ha decisamente migliorato; qui alla Camera ci apprestavamo ad esaminare tale testo in Commissione e per quanto ci riguardava avevamo avviato i lavori.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

IVANO MIGLIOLI. Ora ci apprestiamo a votare la questione di fiducia e a seguire, poi, il provvedimento. Ci orienta in questa scelta il motivo per cui sosteniamo lealmente il Governo Monti, la nostra bussola di questi mesi: prima di tutto l'Italia, l'interesse del Paese, il futuro dell'Italia. La nostra lealtà al Governo, anche in vista del vertice europeo, però, non ci impedisce di vedere, nel merito del provvedimento, che in parte significativa abbiamo contribuito a cambiare e a migliorare, a partire dall'articolo 18, ancora limiti, a partire dal fatto, lo sottolineava la collega Madia, che molti precari, molti atipici rimangono esclusi da diritti e da tutele. Vede Ministro, noi la faremo questa modifica, la faremo concertando con le parti sociali, la faremo - è un impegno che ci assumiamo oggi mentre votiamo la questione di fiducia, mentre vi diciamo sì - e coroneremo dalla prossima primavera quando torneremo al Governo di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rampi. Ne ha facoltà.

ELISABETTA RAMPI. Signor Presidente, ci sono momenti in cui un Paese è chiamato a sostenere prove molto dure, allora deve dimostrare grande capacità di coesione e forte senso di responsabilità.
Gli alti valori e il rinnovato orgoglio nazionale che ci hanno accomunato nelle celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità d'Italia devono darci la forza, oggi, di affrontare le sfide del presente, e costruire in Italia e in Europa un futuro meno egoista e più solidale. Anche per questo siamo grati al nostro Presidente della Repubblica, e respingiamo con forza la campagna denigratoria messa in atto nel tentativo di indebolirne la figura. A chi giova attaccare la più alta carica dello Stato, l'unica figura politica e istituzionale che gode non solo di grande prestigio e popolarità, ma di un fortissimo consenso? Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte nell'interesse del Paese - che per noi viene prima il tutto - perché l'Italia è il bene comune da salvare.
Le ragioni per cui, fin dal primo giorno, abbiamo sostenuto questo Governo sono le stesse che ci vedono oggi rinnovare la nostra lealtà, la nostra fiducia. È con questo spirito costruttivo, in un quadro di crisi economico-finanziaria aggravata da pesanti attacchi speculativi nei confronti l'Italia in un inquietante scenario internazionale, che abbiamo accettato di accelerare l'approvazione di importanti provvedimenti come la riforma del mercato del lavoro, affinché il Presidente Monti la possa presentare a Bruxelles il 28 e 29 giugno allo scopo di rafforzare la nostra posizione internazionale. Non dimentichiamo da dove siamo partiti e non dimentichiamo la pesante eredità ricevuta dal Governo Monti, che ha trovato un Paese sull'orlo del baratro, ma non vogliamo neanche dimenticare, e non possiamo dimenticare, le molte ombre e le poche luci di una riforma del sistema pensionistico attuata con il decreto «Salva Italia», che ha messo - è vero - in sicurezza i conti pubblici, ma, varata sull'onda dell'emergenza e senza il coinvolgimento delle parti sociali, ha creato problemi che sono sotto gli occhi di tutti, rischiando di compromettere la tenuta sociale.
Abbiamo visto molto rigore, ma ancora troppo poca equità. È bene il piano di 130 miliardi di euro, ma la crescita è ancora lontana. Per questo è importante dare subito un messaggio di speranza, di fiducia, di giustizia, a cominciare da chi con lo Stato aveva fatto un patto e poi, in qualche modo, si è sentito tradito. Mi riferisco al dramma degli esodati, termine che non conoscevamo fino a pochi mesi fa, e che Pag. 47oggi ha assunto un rilievo tale da evocare quasi scenari biblici. Apprezziamo i passi avanti fatti in questi giorni con le dichiarazioni fatte dal Presidente Monti, certi che un impegno solenne del Governo sia di grande aiuto. Noi non vogliamo fare una questione di numeri: si stabilisca il diritto e si parta da lì. Se, come dice il Ministro Fornero, la riforma del mercato del lavoro è da intendersi come continuità a quella pensionistica, allora solo correggendo alcuni errori di impostazione e criticità della prima potremo affrontare con maggiore serenità il provvedimento in esame. La riforma del mercato del lavoro che oggi siamo chiamati a discutere è stata modificata ed epurata dalla caratterizzazione ideologica iniziale. Penso al compromesso raggiunto, in particolare sull'articolo 18, che a noi non sembrava avesse mai costituito un freno agli investimenti o reso il Paese meno appetibile. Penso alle diverse valutazioni di elementi che nell'impianto della riforma costituiscono i punti di equilibrio da non sottovalutare.
Certo, vi sono limiti, anche importanti, da affrontare, come per esempio sugli ammortizzatori sociali, per cui chiediamo un intervento migliorativo, ma vi sono misure positive, che vanno comunque e giustamente riconosciute e valorizzate, come la centralità prevista per il contratto di apprendistato, per il quale il nuovo approccio deve essere l'investimento in capitale umano. Il baricentro attrattore deve essere il contratto a tempo indeterminato, per una buona e piena occupazione. Quindi giudichiamo positivi i filtri all'utilizzo dei contratti a progetto e delle partite IVA, così come giudichiamo positiva l'introduzione di un compenso minimo, la reintroduzione della norma contro le dimissioni in bianco, l'identificazione dei voucher nell'agricoltura. Nel contempo, non riteniamo sufficienti le misure a sostegno dell'occupazione giovanile e delle donne. Avremmo voluto di più. Il testo uscito dal Senato è frutto di un compromesso fra le forze politiche che sostengono questo Governo, e come tale non ci soddisfa completamente, ma rappresenta un passo avanti verso una migliore collocazione del nostro Paese. Con i colleghi del gruppo PD al Senato abbiamo lavorato alla costruzione di elementi di maggiore equità e significativi miglioramenti del testo, affinché le varie fasi che costituiscono il percorso lavorativo siano orientate ad un mercato del lavoro più dinamico, più inclusivo e più moderno, che non mortifichi il fattore umano svalutando il lavoro, ma, al contrario, ne sappia valorizzare ogni aspetto e la piena dignità.

PRESIDENTE. Onorevole Rampi, la prego di concludere.

ELISABETTA RAMPI. Mi accingo a chiudere, signor Presidente. Siamo consapevoli che il provvedimento è inserito nel contesto economico e politico europeo, improntato al rigore richiesto dalla BCE e, date le circostanze, giudichiamo positiva la sintesi raggiunta. Ma è importante che si intervenga al più presto per sanare i punti di maggiore sofferenza.
Per quanto ci riguarda, continueremo a lavorare. Ci assumiamo questo solenne impegno di fronte al Paese per il miglioramento dell'impianto normativo, per un sistema valoriale che torni a dare centralità al lavoro, riparando i danni prodotti da politiche neoliberiste esasperate.
Continueremo a lavorare per una maggiore coesione politica europea, per la buona e piena occupazione, per l'affermazione dei diritti del lavoro e dell'impresa in uno scenario di crescita, di sviluppo e di sicura maggiore giustizia sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mattesini. Ne ha facoltà.

DONELLA MATTESINI. Signor Presidente, signora Ministra, la riforma che ci accingiamo ad approvare presenta luci ed ombre, lo hanno già detto molti miei colleghi. Sulle ombre si sono, per l'appunto, già espressi sia i relatori, sia i colleghi che mi hanno preceduta sollevando, tra l'altro, questioni di rilievo, Pag. 48come ad esempio gli ammortizzatori sociali, sulla cui ulteriore soluzione registriamo sia il suo diretto impegno che quello del Presidente Monti.
Ma siccome sono abituata a vedere il bicchiere mezzo pieno, voglio dar voce anche alle luci, in primo luogo, per riconoscere i passi avanti compiuti dall'intenso e serio e vigoroso lavoro del Senato e per sottolineare anche l'impegno straordinario di Bersani, la cui posizione ha permesso di uscire dallo stallo del dibattito intorno all'articolo 18.
Voglio anche tener conto delle cose negative e delle riforme che dovremo ulteriormente apportare a questa riforma stessa, però ritengo che in questo clima di sfiducia nella politica e nelle istituzioni sia doveroso prendersi la responsabilità delle proprie scelte, senza dare il senso che queste scelte siano subite, ma rivendicando invece le battaglie fatte e i passi in avanti ottenuti. Anche questo è un modo, io credo, per rivendicare il ruolo del Parlamento e per dare senso al nostro lavoro. Dobbiamo sempre ricordare agli elettori in primo luogo da dove siamo partiti, ossia da quella proposta iniziale del Governo e dove siamo arrivati per precisare su quali altre strade vogliamo ancora percorrere la nostra battaglia, così come abbiamo fatto.
Credo che non abbiamo soltanto subito una proposta; abbiamo soprattutto migliorato quella proposta e - anche se naturalmente alla Camera avremmo già potuto e voluto introdurre le modifiche - rivendico quei miglioramenti ottenuti. Li rivendico, in primo luogo, al Partito Democratico. Si tratta di miglioramenti che non sono sufficienti, ma che comunque sono importanti da ricordare.
Lo dico con chiarezza, perché non dimentico il difficile contesto politico e questa strana maggioranza che stiracchia qua e là e che rende difficile anche fare le riforme, basti pensare a questa difficoltà sulla riforma elettorale. Penso inoltre al difficile contesto economico e ai vincoli di finanza pubblica. Siamo di fronte ad un testo che sicuramente ha molti limiti, ma io dico che avvia anche - solo avvia perché purtroppo non porta ancora a soluzione - nodi storici del mercato del lavoro che da anni sono oggetto di contrapposizioni frontali e di lacerazioni.
Basti pensare al contrasto agli abusi sulla flessibilità, al tema dell'apprendistato e - voglio dire una cosa importante - alla introduzione alla partecipazione dei lavoratori all'impresa. Ma, detto questo in modo assolutamente veloce e generale, mi voglio soffermare su uno specifico punto che nel dibattito, pur acceso, è stato ingiustamente non considerato.
Mi riferisco alle politiche attive del lavoro, ai sistemi dei centri per l'impiego, insomma al ruolo essenziale dei territori e dei livelli istituzionali decentrati, a partire dalle regioni. Non c'è stata attenzione da parte del Governo, tant'è che si è avuta inizialmente la sollevazione da parte di tutte le regioni e solo con le modifiche apportate dal Senato si è, ad esempio, superato e sanato quanto previsto dall'articolo 63 che attribuiva - con un atteggiamento antistorico e inefficace di neocentralismo - all'INPS le funzioni relative alla promozione di politiche attive e di intermediazione.
Eppure, signora Ministro, basterebbe conoscere e riconoscere - lo dico anche per il futuro - risultati positivi delle importanti attività di regioni ed enti locali e uso come esempio il risultato straordinario all'autorizzazione alla cassa integrazione in deroga, i cui tempi erano di circa sei mesi nel momento della gestione centralizzata e sono ad oggi - parlo per la mia regione, la Toscana, ma non solo - di soli dieci giorni.
Ma sul tema delle politiche attive del lavoro registro che vi è stata non soltanto l'arretratezza del Governo, ma anche una disattenzione da parte delle parti sociali e dei media.
Eppure le politiche attive del lavoro sono un elemento insostituibile accanto alle regole. Infatti, le politiche attive del lavoro sono capaci di rispondere alle diversificate esigenze di tutti i lavoratori e delle imprese, valorizzando nel contempo le competenze di programmazione proprie delle diverse istituzioni coinvolte e promuovendo Pag. 49nel contempo l'integrazione delle risorse e la complementarietà delle opportunità.
Tra l'altro, la dico così: questo quadro di intervento delle politiche attive consente anche una cosa importante; ad esempio di affrontare le problematiche dei lavoratori stranieri per i quali la costruzione di un'opportunità lavorativa è oggettivo elemento di contrasto alla clandestinità ed alla illegalità. In tal senso, ritengo molto importante il prolungamento del permesso di soggiorno nelle ipotesi di perdere il posto di lavoro. Infatti, anche così si produce sicurezza e lo sappiamo tutti bene quanto la percezione dell'insicurezza o della sicurezza - insomma il tema della legalità condivisa - sia l'humus necessario per affrontare l'uscita dalla crisi e dare prospettive reali di crescita.
Comunque con le riforme apportate dal Senato credo che sia importante riconoscere come abbiano preso centralità la questione dei centri per l'impiego e delle politiche attive, così come altrettanto importante è il sistema integrato dell'apprendimento permanente, sia quello formale che quello informale. Ciò è in linea con quanto proposto dall'Unione europea ed ha una finalità importante: migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze. Ritengo altrettanto un punto di innovazione reale la costituzione del sistema integrato perché lì trovo un approccio utile e innovativo che chiama a corresponsabilità collettiva e innesca anche l'utilizzo corretto delle risorse e dell'efficienza delle risposte a partire da una comune programmazione.
Voglio sottolineare rispetto al tema dell'apprendimento permanente il cambio di linea rispetto al precedente Governo che aveva invece cancellato qualunque riferimento all'educazione degli adulti e al relativo finanziamento. Però occorre rafforzare i centri per l'impiego perché essi costituiscono davvero una misura pregiudiziale al buon esito della riforma del lavoro.

PRESIDENTE. Onorevole Mattesini, la prego di concludere.

DONELLA MATTESINI. Concludo, signor Presidente. È anche per questo, signora Ministra, che sollecito lei e il Governo a procedere con urgenza a quanto previsto dall'articolo 4, attivando da subito il confronto con la Conferenza delle regioni per emanare rapidamente i decreti legislativi per il riordino delle normative in materia di servizi per l'impiego, incentivi all'occupazione ed apprendistato.
Occorre, in sintesi, risolvere il problema della governance tra Stato, regioni e province a partire dalla questione delle province che hanno svolto e svolgono un ruolo straordinario nella programmazione e nella promozione dell'integrazione delle politiche di formazione, di inserimento lavorativo e di reinserimento lavorativo.
Dico anche un'altra cosa e chiudo davvero: c'è bisogno di dare coerenza anche per esempio sulla questione dell'Aspi, che è una norma importante ma incoerente. Infatti, non si esplicita, nel mentre l'erogazione dell'Aspi spetta all'INPS, quali debbano essere, invece, i soggetti territoriali dentro la rete che hanno la responsabilità sul territorio della definizione sia dell'erogazione che dell'intervento formativo personalizzato di politica attiva.
Quindi, serve davvero mettere le mani anche su questa parte e dare subito risposta alla governance Stato, regioni e province, ma occorre trovare anche coerenza. Davvero serve che questo Governo e tutti insieme valorizziamo il territorio, perché la capacità di fare rete nei territori tra soggetti istituzionali, le forze sociali, le forze economiche e tutti i soggetti è un elemento che può fare la differenza anche nell'affrontare questa crisi, la sua uscita e le prospettive di sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Cazzola.

Pag. 50

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, ringrazio le colleghe e i colleghi che sono intervenuti. Nel trarre delle conclusioni - mi auguro anche a nome del collega Damiano che aveva un precedente impegno - mi rivolgo a lei, che notoriamente è una persona di cultura, per evocare qui un famoso pamphlet di un grande scrittore italiano Ennio Flaiano, che ad un certo punto immaginò che un marziano arrivasse a Roma e guardasse le cose strane e straordinarie che facevano gli italiani in quel momento. Probabilmente lo stesso marziano oggi troverebbe singolari e strane alcune cose che la politica in queste ore ha rappresentato.
Se vogliamo riassumere quello che stiamo vivendo, ci troviamo al cospetto di un Premier che ci ha chiesto di votare un provvedimento da portare ad un vertice importante dell'Unione europea, come risultato dell'azione del Governo, che si iscrive nel cammino riformatore che il Paese, dalla lettera della BCE del 5 agosto, ha dovuto, in qualche modo, intraprendere, nei compiti a casa, se così posso usare il termine, che ci sono stati affidati.
Ebbene, noi abbiamo risposto: «Obbedisco!». Ci siamo adattati, abbiamo accettato, come forze della maggioranza, di votare il provvedimento, con le modalità, poi, che saranno viste a suo tempo. Però, nello stesso tempo il Governo, perché noi facessimo questo passo, ha dovuto fare un comunicato molto chiaro, molto preciso - sinceramente non mi sarei aspettato un comunicato così chiaro e preciso quando ho partecipato al vertice dei capigruppo -, laddove si dice che «il Governo è impegnato a cambiare tempestivamente» - insisto sull'avverbio - «queste norme su alcuni punti che sono stati rappresentati dalle forze della maggioranza». Insisto sulla parola «tempestivamente», perché vi è differenza tra fare una cosa tempestivamente e farla in un quadro di un monitoraggio che, come è meritoriamente previsto nel disegno di legge, necessariamente traguarda alcuni anni, visto che le norme entreranno in vigore generalmente tra un anno e visto che per fare un monitoraggio occorre del tempo (non si può fare un monitoraggio ad horas o a settimane o a mesi). Quindi, vi è un cambiamento netto, preciso, della posizione del Governo di cui credo, onestamente e giustamente, possiamo chiedere conto.
Però, può sembrare una contraddizione e alcuni interventi dell'opposizione hanno fatto notare questo punto. Tuttavia, credo che il dibattito e gli interventi che sono stati fatti in un'Aula, che probabilmente meritava una presenza più ampia di quella qualificata che pure si è espressa negli interventi, abbiano chiarito i motivi di questa scelta difficile. Non ci troviamo di fronte al solito balletto della politica, a una giravolta di partiti a cui sono rimasti solo gli occhi per piangere. Credo, invece, che ci troviamo di fronte a una bella pagina di questa storia triste che sta vivendo questa nostra seconda Repubblica. Insisto su questo punto, che ho voluto indicare anche nella mia relazione introduttiva in termini molto chiari: le forze di maggioranza su questa posizione hanno raccolto un invito netto e chiaro, che è provenuto da una gran parte delle forze sociali che abbiamo audito. Si tratta di forze sociali che, come noi, hanno rivolto apprezzamenti, hanno visto luci e hanno, soprattutto, visto ombre in questo progetto di legge, chiedendo dei cambiamenti. Lo dico al collega Evangelisti, facendo notare che è importante quello che si dice in un'Assemblea, davanti a centinaia di imprenditori. Anche noi siamo capaci di fare demagogia, quando ci troviamo in mezzo alla nostra gente (anche lei credo, onorevole Evangelisti). Ma, il punto è che quello che si viene a dire in Parlamento, in una situazione come questa, anche se chi lo dice è solo un vicepresidente e non il presidente - è il vicepresidente incaricato delle relazioni industriali e non il presidente effervescente come quello che abbiamo avuto, che ha usato una parola «alla Fantozzi» - secondo me ha più valore ciò che viene detto in Commissione rispetto a quello che viene detto in un'assemblea.
Purtroppo, mi è scappata la pagina dall'ipad ma adesso sono riuscito a ritrovarla. Pag. 51La Confindustria, presente il vicepresidente Dolcetta, ha dichiarato quanto segue in Commissione lavoro: «Le indicazioni che seguono, pertanto, vogliono essere un contributo costruttivo, volto a migliorare il complesso quadro normativo risultante dalla riforma. Non chiediamo, però, che le modifiche proposte vengano sin d'ora prese in considerazione. Se, per motivi che non ci sfuggono, comprendiamo che occorra approvare immediatamente la riforma, chiediamo soltanto che vi sia la possibilità di riconsiderare, nel più breve tempo possibile, le criticità che vengono di seguito segnalate, perché sono di natura tale da non necessitare di un periodo di sperimentazione per essere evidenziate».
Questa è la nostra posizione. Questa è la posizione del Popolo della Libertà, del Partito Democratico, delle forze di maggioranza ribadite in questo dibattito.
Ho citato la Confindustria per citare la posizione più lontana perché potrei citare le vecchie imprese, potrei citare le organizzazioni del movimento cooperativo, potrei citare la CISL e la UIL, quelle che una volta il collega Sacconi, il mio amico Sacconi, definiva la piattaforma democratica di questo Paese. Ecco perché quindi noi siamo assolutamente sereni anche se ovviamente ci muoviamo in una situazione politica difficile, dove si naviga con la pertica e non certo con il vaporetto o con un incrociatore. Siamo assolutamente sereni non perché abbiamo fiducia nella nostra ideologia o in quella del Partito Democratico o di altre forze, ma perché abbiamo fiducia nella ragionevolezza.
Io sono assolutamente convinto - lo ha riconosciuto il senatore Treu pochi giorni fa a Brescia - che nei cambiamenti che sono stati fatti al Senato e che noi chiediamo alla Camera non c'è un fondamento di ideologia o di divisione particolare del lavoro - c'è anche questo perché siamo forze diverse che hanno anche delle culture diverse rispetto al lavoro - ma sono profondamente convinto di ciò: a cominciare dalla cessazione del salario legato alla produttività, per passare alla flessibilità in entrata, per passare agli ammortizzatori sociali e per passare - se vuole - anche alla questione degli esodati, portiamo avanti delle considerazioni che hanno la forza della ragionevolezza (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà), che sono soprattutto considerazioni ragionevoli contro l'irragionevolezza di certe norme, che sono state infilate nel disegno di legge.
Consentitemi di finire con la questione dell'articolo 18. Chi è l'interprete di quegli articoli della Costituzione che sono stati sciorinati anche con un grande sfoggio culturale in quest'Aula? L'interprete della Costituzione non è il collega Evangelisti, ma è la Corte costituzionale di questo Paese. Ebbene, la Corte costituzionale italiana più volte si è trovata ad esaminare la questione dell'articolo 18: ogni qual volta, per esempio, ha dovuto decidere se un quesito referendario, che proponeva l'abrogazione dell'articolo 18, fosse o meno compatibile con la Costituzione. La Corte costituzionale è arrivata a dire che in un Paese democratico e civile, che ha una Costituzione repubblicana, come quella entrata in vigore il 1o gennaio del 1948, si deve tutelare il licenziamento, ma che la reintegra è solo una modalità di questa tutela; la Corte ha peraltro detto che, anche se la reintegra venisse abrogata, resterebbe la tutela della legge n. 604 del 1966. Io credo che in uno Stato di diritto sia la Corte costituzionale che faccia stato anche su questi argomenti (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio ringraziare tutti gli intervenuti per le loro osservazioni anche molto critiche al disegno di legge «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», giunto all'approvazione in quest'Aula dopo avere già ottenuto l'approvazione al Senato.
Ringrazio la Commissione Lavoro, il presidente Moffa ed i due relatori, onorevoli Pag. 52Cazzola e Damiano, per aver accettato un procedimento accelerato che ha sacrificato la discussione in Commissione, nonché la presentazione di emendamenti in modo da consentire un'approvazione in tempi rapidi e permettere al Presidente del Consiglio di partecipare al Consiglio europeo del 28 giugno con la riforma approvata.
Molte cose sono state dette, non voglio ripercorrere tutto ciò che sta dietro questa riforma, che è articolata e complessa e tocca molti aspetti del mercato del lavoro. Non voglio neanche ripercorrere le ragioni che hanno indotto il Governo a scegliere una strada più difficile di altre, cioè quella del disegno di legge.
Vorrei dire che per arrivare a questa riforma il Governo ha svolto un dialogo con le parti sociali, ha svolto anche un importante dialogo con la Commissione lavoro del Senato e quindi si arriva a questo provvedimento con molta discussione che non è mai stata ideologica ma è sempre stata pragmaticamente sui problemi veri del nostro mercato del lavoro.
Questa riforma si propone di realizzare un mercato del lavoro, come ho sempre detto, inclusivo e dinamico; inclusivo significa un mercato che non esclude o non marginalizza. Oggi noi abbiamo un mercato del lavoro fortemente segmentato, con segmenti deboli che non sono piccoli segmenti della popolazione italiana ma che sono importanti segmenti della popolazione come i giovani, le donne e anche i lavoratori anziani. Quindi, un mercato che presenta questo tipo di segmentazione è un mercato che tende a escludere e non a includere, quindi la nostra riforma si è proposta di cercare di correggere le caratteristiche dell'attuale regolamentazione che hanno prodotto questa segmentazione o l'hanno in qualche modo ampliata.
L'altra caratteristica che noi vogliamo raggiungere è un mercato del lavoro più dinamico; la dinamicità di un mercato si misura sotto diversi profili ma in particolare nella rapidità delle transizioni; deve essere più facile passare dal mondo della formazione al mondo del lavoro, non deve essere richiesto un anno o un anno e mezzo o anche due o più per entrare, una volta usciti dalla formazione, nel mondo del lavoro, ma deve anche essere più rapida la transizione fra lo status di disoccupato e quello di occupato, e questo vuol dire non puntare sulla tutela del posto di lavoro e sulla garanzia di quel particolare posto di lavoro ma puntare sulla tutela del lavoratore nel mercato del lavoro. Questo è un principio forte a cui ci siamo ispirati nelle modifiche.
C'è un altro elemento del dinamismo, che ovviamente tocca i temi della flessibilità in entrata e di quella in uscita, ma c'è un altro elemento del dinamismo del mercato che tocca l'occupabilità delle persone; occupabilità vuol dire che le persone devono recuperare capitale umano se è stato per qualche motivo sprecato o non utilizzato in maniera adeguata, in modo da poter spendere sul mercato questo capitale umano. Questo vuol dire una cosa sola: formazione. Formazione, professionalità, conoscenza e competenza, per questo noi abbiamo così tanto insistito sull'apprendistato come modalità normale di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e per questo insisteremo o bisognerà insistere in fase di applicazione sul concetto di formazione permanente vissuta come, in effetti, adeguamento delle competenze e delle conoscenze dei lavoratori in un mondo che comunque cambia molto rapidamente.
Questi sono i principi; questa riforma era stata peraltro promessa dal precedente Governo ed è stata molto chiesta da istituzioni internazionali che sanno bene le cose che non vanno nel nostro mercato e penso di dover dire che se queste istituzioni internazionali hanno chiesto che il Parlamento approvi la riforma non è tanto per approvare una qualunque riforma ma perché hanno visto i tratti che alcuni di voi hanno chiamato le «luci» in questa riforma e ne hanno visto i lati positivi anche se nessuno ha mai giudicato questa riforma perfetta, ma tutti sappiamo che la ricerca della perfezione conduce a strade che non portano da nessuna parte mentre invece la seria consapevolezza dei problemi e l'intenzione di risolverli in maniera Pag. 53pragmatica è quello che può permettere anche al nostro Paese di acquisire nuovi traguardi in tema di occupazione.
Non voglio qui ripercorrere tutte le parti che, d'altronde, sono state molto esaminate negli interventi che si sono succeduti in questa giornata, vorrei però soltanto fare alcuni accenni al tema della flessibilità in entrata. L'ho detto sempre, fin dalle prime riunioni che abbiamo avuto con le parti sociali, che qui l'intervento era mirato a separare la flessibilità buona da ciò che è, in realtà, una cattiva applicazione di certe norme, oggi flessibili, che hanno condotto alla precarietà. Separare la flessibilità buona dall'uso cattivo di certe forme contrattuali non è operazione facilissima, perché l'uso cattivo di certe forme flessibili dipende anche dalla spregiudicatezza dei comportamenti di molti. Però, abbiamo avuto questo uso e in questo Paese abbiamo un'area di precarietà che non possiamo non riconoscere, ma al tempo stesso riconosciamo - lo abbiamo sempre fatto - che la flessibilità è un valore per le imprese, che la flessibilità è un fattore della produzione e non è mai stata intenzione di questo Governo - lo voglio dire in maniera molto convinta e quasi vibrante - penalizzare l'impresa, perché noi sappiamo che è dall'impresa viva, produttiva e con prospettive, e non dai sussidi pubblici che viene il lavoro buono. I sussidi pubblici possono essere o possono essere stati una strada in passato molto percorsa, ma è anche la strada che ha portato all'elevato debito pubblico che oggi abbiamo e che è un onere pesante sulle spalle delle giovani generazioni e con il quale oggi dobbiamo fare i conti. Quindi, l'obiettivo di «ritarare» questa flessibilità in entrata era l'obiettivo di dare alle imprese un giusto grado di flessibilità, per ragioni produttive e organizzative comprensibilissime e condivisibili, ma era anche quello di evitare e ostacolare un uso un po' cattivo di questa flessibilità che - ripeto - ha condotto al precariato. Lo stesso atteggiamento pragmatico ha condotto alla revisione dell'articolo 18. Qui lo voglio dire di nuovo con molta franchezza: questo Governo non ha mai posto l'articolo 18 al centro del dibattito sulla riforma del mercato - magari altri lo hanno fatto e il Governo ne ha preso atto - anzi, nei tre mesi di dialogo con le parti sociali, all'articolo 18 abbiamo riservato quasi l'ultimo posto tra i temi in discussione, proprio perché c'era la flessibilità in entrata come parte importante, cioè le tipologie contrattuali, perché c'era il tema degli ammortizzatori sociali, su cui dirò dopo qualche cosa, il tema delle politiche attive, il tema dell'apprendistato e così via. Non abbiamo mai visto né interpretato l'articolo 18 in chiave ideologica. Non appartiene alla cultura di questo Ministro e credo non appartenga alla cultura di questo Governo affrontare i temi in maniera ideologica. Però non c'è dubbio che il tema fosse scottante - lo era nei fatti - e che su questo tema si siano esercitate posizioni ideologiche anche molto forti. Su questo abbiamo cercato anzitutto di favorire la conciliazione. Questo è un aspetto importante su cui di nuovo la buona volontà e le energie di molti dovranno esercitarsi, perché è importante che, se c'è una ragione oggettiva per cui un posto di lavoro non è più vitale, impresa e lavoratore siano messi nella condizione di accordarsi.
Certamente bisogna, quindi, che l'imprenditore non licenzi per accanimento o per ragioni che non hanno giustificazioni oggettive. Il lavoratore, se messo nelle condizioni, può comprendere questo e può comprendere che un posto di lavoro, non più produttivo, non può essere difeso ad oltranza.
La conciliazione è un elemento forte, ma non sempre la conciliazione è, per così dire, la strada prescelta e quindi c'è il processo. Al riguardo il nostro intervento è di nuovo ispirato a criteri di pragmatismo, ma al tempo stesso di salvaguardia dei veri diritti, come il diritto a non essere licenziati per ragioni discriminatorie, che questo Governo condivide al 1.000 per cento. Questo punto è, quindi, riaffermato in maniera forte.
Tuttavia, le ragioni economiche e disciplinari per un licenziamento sono anche riconosciute e l'idea che vi possa essere Pag. 54una compensazione di tipo monetario per un licenziamento nel provvedimento è perseguita, secondo noi, in maniera molto equilibrata. Questo è stato fatto per avvicinare la legislazione del nostro Paese a quella di altri Paesi e, per così dire, togliere la scusa a quanti hanno sventolato la bandiera dell'articolo 18 per dire che in Italia non si investe. Infatti, oggi, l'articolo 18 modificato non consente più così facilmente che questa scusa sia utilizzata.
Vi è il tema del contratto di lavoro prevalente, che è incentrato sull'apprendistato. L'apprendistato già esiste ed è stato normato. Noi siamo partiti dal riconoscimento dell'importante lavoro già svolto su questo tema. Ma bisogna che sul punto siamo chiari: l'apprendistato non è soltanto una forma di entrata, che costa meno di altre, e che, quindi, viene utilizzata perché costa meno.
L'apprendistato deve essere un vero percorso di formazione professionale del lavoratore e deve avere una sorta di riconoscibilità in modo che, se il lavoratore non è confermato alla fine del percorso di apprendistato, possa utilizzare le competenze acquisite per cercare un altro lavoro. Questo richiede cambiamenti nei meccanismi formativi, richiede dei formatori che siano veramente in grado di formare - e non degli pseudoformatori - richiede che vi sia incisività nei percorsi di formazione e richiede che vi sia riconoscibilità, ossia una qualche forma di certificazione.
L'apprendistato implica, come sapete, delle decontribuzioni e, quindi, presenta per l'impresa un vantaggio economico. L'apprendistato non solo è confermato, ma con una valenza tale da capovolgere l'orientamento attuale. La formazione viene prima e la minore onerosità è il secondo punto: dai formazione, sei riconosciuta come un'impresa che, facendo formazione, fa investimento in capitale umano ed aiuta il mercato del lavoro a rendere i giovani un po' più strutturati, e questo ti viene riconosciuto con un minor costo del lavoro.
Questo deve diventare il percorso tipico di ingresso nel mercato del lavoro, nelle diverse articolazioni che oggi l'apprendistato presenta. La nostra richiesta di stabilizzazione va esattamente in coerenza con quanto previsto e cioè, se l'apprendistato è vera formazione, diventa per il datore di lavoro la convenienza a stabilizzare. Infatti, se l'impresa forma qualcuno, ha poi tutto l'interesse a non lasciarselo scappare, ma a confermarlo. È a questo che noi dobbiamo tendere, cioè a una buona stabilizzazione degli apprendisti.
Vi è poi il tema degli ammortizzatori sociali. Secondo me - di nuovo vorrei fosse percepito in questo modo - la nostra legislazione sugli ammortizzatori sociali è un tema di grande avvicinamento alle normative europee. C'è una riduzione della durata, che viene ovviamente scandita nel tempo, in modo da riconoscere che oggi siamo in una recessione e che questa recessione non terminerà, verosimilmente, nei prossimi mesi. Si tiene conto di questo con una transizione che va fino al 2017 e che, quindi, riconosce l'istituto della mobilità, sia pure in contrazione fino al 2017.
Ma il punto centrale è che questa ASPI (cioè Assicurazione sociale per l'impiego, e sottolineo per l'impiego e non per la disoccupazione) è un istituto fatto per attivare i lavoratori e per dare agli stessi lavoratori una percezione visibile che se perdere un posto di lavoro è una cosa brutta - e indubbiamente lo è - la società però non ti lascia solo e cerca di aiutarti a trovarne un altro. Questo è tipicamente quello che avviene all'estero. Le politiche attive si occupano della occupabilità delle persone e cercano di evitare che le persone, i lavoratori, si possano accontentare di una situazione che implica un mero trasferimento monetario magari prolungato nel tempo ma che non dà nessuna prospettiva di sbocco occupazionale. Tutto il discorso delle politiche attive è un discorso che andrà declinato in maniera molto attenta e molto articolata, con una grande sinergia fra le regioni che sono preposte a questo e lo Stato centrale che dovrà dare indicazioni su requisiti minimi. Pag. 55
Tutti sanno che oggi questo delle politiche attive è un tema affrontato nel nostro Paese con un eccesso di variabilità, sicché abbiamo alcune regioni che presentano standard di eccellenza comparabili con i migliori standard europei e regioni nelle quali invece le politiche attive sono semplicemente ignorate, e sembra che l'unica cosa che si riesca a fare sia un trasferimento monetario alle persone che hanno perso un posto di lavoro e non riescono a trovarlo. Quindi il passaggio dalle politiche passive alle politiche attive è nuovamente uno dei passaggi cruciali che sono individuati dalla riforma. C'è un tema che è quello del lavoro femminile sul quale ho già avuto modo di dire al Senato che - certo - mi sarebbe piaciuto fare più, però abbiamo avuto stretti vincoli finanziari. Il Paese oggi non è in grado di soddisfare tutte le domande che possono venire anche dai segmenti del mercato del lavoro oggi più in difficoltà. Quindi la nostra situazione di occupazione femminile, che richiede cambiamenti anche importanti di tipo culturale, richiederebbe soprattutto servizi in modo che il lavoro di cura dei bambini, degli anziani, dei disabili, che oggi è prevalentemente addossato alle donne, sia invece distribuito su centri che dispensano questi servizi in maniera efficiente come avviene in altri Paesi.
Questa è una strada che sicuramente bisognerà intraprendere, nuovamente con lo scopo di avvicinare il nostro Paese alle migliori pratiche europee, ma non era possibile oggi né trovare le risorse finanziarie né trovare un percorso rapido per fare in modo che questi servizi che oggi sono largamente carenti in molta parte del Paese potessero diventare invece effettivi ed efficienti a partire già dall'anno prossimo.
È stato anche detto che avremmo dovuto ridurre il costo del lavoro, e anche questo è uno dei temi importanti che mancano sicuramente in questa riforma, ma anche qui il vincolo delle risorse era tale oggi da non consentire di ridurre il cuneo fiscale e contributivo che è invece oggi ampiamente richiesto da tutta la spesa sociale che il Paese sostiene e che ancora oggi è abbastanza incentrata sul sistema pensionistico. C'è una parte della riforma che qualcuno ha detto c'era già e quindi finirà come tutte le migliori intenzioni del passato.
Voglio dire qui che mi impegnerò da subito per costruire e progettare un sistema di monitoraggio della riforma. Se riusciremo ad ispirarci, anche in questo caso, alla serietà del monitoraggio che è stato realizzato in Germania, credo che faremo un buon lavoro perchè quello è un monitoraggio, non solo serio, articolato e tempestivo, ma è fatto su basi scientifiche e, quindi, impedisce che ci sia, sulle singole valutazioni delle singole politiche, una dominanza di atteggiamenti magari ideologici che impedisce di vedere se un risultato è stato raggiunto o di vedere in quale misura non sia stato raggiunto. Anche questa parte del monitoraggio, quindi, mi sembra che sia una buona caratteristica della riforma e, anche per questo, credo che la riforma meriti di essere approvata (Applausi di deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico e Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Dovremmo a questo punto passare all'esame delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate. Avverto in proposito che la questione pregiudiziale di costituzionalità Donadi ed altri n. 1 è stata sottoscritta dall'onorevole Palomba. Ricordo che la Conferenza dei presidenti di gruppo ha previsto che l'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali avrà luogo a partire dalle ore 18.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,55).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, questa mattina in Afghanistan c'è stata l'ennesima vittima, l'ennesimo caduto del contingente italiano in quel Paese. È Pag. 56deceduto il militare e carabiniere Emanuele Braj. Aveva trent'anni, lascia una moglie di ventotto anni e un bambino di pochi mesi. Voglio da subito esprimere un sentimento di cordoglio alla famiglia e la vicinanza, ma intervengo soprattutto per chiedere a lei, signor Presidente, di farsi parte attiva nei confronti del Governo perché venga a riferire in Aula sugli avvenimenti. Inoltre, intervengo in modo particolare per capire se non è ancora giunta l'ora di ritirare il nostro contingente dall'Afghanistan. Di un ritiro ha già parlato esplicitamente Obama quando ha parlato di exit strategy; il Presidente Hollande, qualche settimana fa, appena eletto, ha detto che bisognava uscire dall'Afghanistan, per cui davvero è giunto il momento che il nostro Paese si interroghi su questa, che non è più una missione di pace, ma siamo in Afghanistan partecipi di una guerra tra bande. Questo non è in linea con lo spirito della Costituzione, per cui noi insistiamo che il Governo venga a riferire in Aula.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, certamente mi farò carico di presentare al Governo la sua richiesta di informativa urgente affinché possa essere svolta al più presto. Le ricordo che, come è stato già comunicato a tutti gruppi per le vie brevi direttamente, alla ripresa della seduta, prevista per le ore 18, il Presidente della Camera commemorerà il nostro militare ucciso oggi in Afghanistan. Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 18.

La seduta, sospesa alle 17, è ripresa alle 18.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

Preavviso di votazioni elettroniche.

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Modifica nella composizione della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa.

PRESIDENTE. Il presidente del gruppo parlamentare Popolo della Libertà ha chiesto, con lettera in data 21 giugno 2012, che l'onorevole Marco Martinelli sia nominato membro supplente della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, in sostituzione dell'onorevole Marco Zacchera, cessato dal mandato parlamentare.
Se non vi sono obiezioni, la Presidenza procederà in tal senso secondo la costante prassi applicativa dell'articolo 56, comma 4, del Regolamento.

Sul grave attentato verificatosi questa mattina in Afghanistan (ore 18,02).

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea e i membri del Governo) Onorevoli colleghi, con profondo dolore abbiamo appreso stamane la notizia della morte di un nostro militare dell'Arma dei carabinieri in Afghanistan. Si tratta del carabiniere scelto Manuele Braj, trent'anni, nativo di Collepasso in provincia di Lecce, appartenente al tredicesimo reggimento Friuli-Venezia Giulia, deceduto a seguito di un grave attentato avvenuto in un campo di addestramento della polizia afgana ad Adraskan, ad ovest di Kabul, mentre con grande professionalità e spirito di sacrificio stava compiendo il proprio dovere. Con lui sono rimasti feriti altri due militari italiani che fortunatamente non sono in pericolo di vita. Si tratta di Dario Cristinelli, 37 anni, di Lovere in provincia di Bergamo, ed Emiliano Asta, 29 anni, di Alcamo in provincia di Trapani. Ho già chiesto al Governo di riferire alla Camera circa la dinamica dell'accaduto. In questo Pag. 57momento di lutto esprimo a nome di tutta l'Assemblea, in primo luogo alla famiglia del caduto e all'Arma dei carabinieri, i sensi del più intenso cordoglio e della più viva partecipazione unitamente agli auguri di piena e pronta guarigione per i militari rimasti feriti.
Desidero altresì rivolgere un pensiero commosso alla memoria di tutti i nostri soldati che, come il carabiniere Manuele Braj, hanno in questi anni sacrificato la loro vita per difendere le ragioni della pace e della civile convivenza contro il terrorismo internazionale.
Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio - Generali applausi cui si associano i membri del Governo).

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 3249 - Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita (Approvato dal Senato) (A.C. 5256) (ore 18,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita.

(Esame di questioni pregiudiziali - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Ricordo che, ai sensi dell'articolo 40, comma 1, primo periodo del Regolamento, sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Donadi ed altri n. 1 e Dozzo ed altri n. 2, che sono pubblicate nell'apposito fascicolo in distribuzione.
Passiamo quindi all'esame e alla votazione delle questioni pregiudiziali presentate.
A norma dell'articolo 40, comma 3, del Regolamento, nel concorso di più questioni pregiudiziali ha luogo un'unica discussione. In tale discussione potrà intervenire, oltre ad uno dei proponenti (purché appartenenti a gruppi diversi), per illustrare ciascuno degli strumenti presentati per non più di dieci minuti, un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.
Al termine della discussione si procederà, ai sensi dell'articolo 40, comma 4, del Regolamento, ad un'unica votazione sulle questioni pregiudiziali presentate.
L'onorevole Palomba ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale di costituzionalità Donadi ed altri n. 1, di cui è cofirmatario.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, mi rivolgo anzitutto a lei che è il garante delle regole di questo Parlamento per chiederle di esercitare un più pressante controllo sul fatto che la Camera per le questioni di fiducia poste sulla conversione dei decreti-legge è ridotta oramai ad un mero ratificatore di decisioni assunte altrove.
Le partite si giocano al Senato. Noi deputati siamo soltanto relegati al ruolo di spettatori. Questo è un primo punto che vogliamo mettere in evidenza, perché ci sono delle ferite profonde alla Costituzione, innanzitutto all'articolo 70, che prevede che l'iniziativa legislativa viene esercitata collettivamente e collegialmente da entrambe le Camere. Non mi sembra che questo precetto sia osservato, perché arrivano qui provvedimenti già decisi altrove e noi siamo dei meri spettatori, dei meri osservatori di una partita giocata altrove. Inoltre, l'abuso dei decreti-legge e l'abuso delle questioni di fiducia sta facendo diventare ordinario quello che la Costituzione, all'articolo 77, considera assolutamente eccezionale.
Signor Presidente, siamo di fronte a torsioni della Costituzione che non sono ulteriormente sopportabili, ed io le trasmetto il senso di viva frustrazione e desolazione di molti deputati, i quali si sentono profondamente avviliti nel loro ruolo di legislatore, che non riescono ad esercitare in maniera corretta. Si può dire che in questo caso non si è presentato un decreto-legge perché si voleva aprire una discussione. Non fa niente: l'effetto è esattamente l'opposto, perché si è posta la Pag. 58fiducia al Senato e oggi si pone la fiducia alla Camera. Si dice che è l'Europa che lo vuole. Non scherziamo: un'Europa che chiedesse e ponesse imposizioni tanto sottili e sofisticate ad uno Stato sovrano, non sarebbe un'Europa credibile, non è l'Europa alla quale noi guardiamo; e non è l'Europa che certamente in questo momento, con le gatte da pelare che ha, si sta occupando di questo problema. Si tratta piuttosto del fatto che il Governo mette la fiducia perché non vuole che sia smentita la Ministra Fornero da una parte, e perché teme che vi sia una grande fronda nei confronti di un provvedimento che non viene accettato da tanti, dall'altra.
Signor Presidente, li abbiamo sentiti espressi i mal di pancia, abbiamo sentito le dissociazioni dal provvedimento in esame che vengono da illustri esponenti della maggioranza, a cominciare da uno dei relatori, l'onorevole Cazzola, che dice: «La riforma è un mezzo disastro». Non aggiungo di più. Per proseguire con il collega Damiano: «In un momento di recessione come questo rischiamo di essere tutti esodati». La Confindustria la definisce «una boiata» e non dico di più. I sindacati sono in subbuglio. I lavoratori si sentono assolutamente traditi. Le rappresentanze sindacali, con la modifica dell'articolo 18, vengono spazzate via nel momento in cui si consente che per ragioni oggettive un lavoratore possa essere estromesso, senza che possa neppure interloquire. Si scarica ancora una volta sulla magistratura e sui giudici il conflitto sociale, ma senza neanche canoni certi.
Noi oggi vogliamo parlare da qui non ad un'Aula che ha già deciso (e, per favore, nel momento in cui voterete risparmiateci le lacrimucce di coccodrillo: dite che votate «sì» ad un provvedimento che condividete completamente, perché altrimenti ci troveremmo di fronte all'ipocrisia più totale). Noi vogliamo parlare a chi sta fuori, ai lavoratori, ai pensionati, alle organizzazioni sindacali, per dire che l'Italia dei Valori è vicina a loro, li sostiene e non ritiene giusto che vengano adottati provvedimenti che sacrificano i lavoratori e le loro rappresentanze. Noi diciamo tutto questo perché vogliamo essere rassicuranti. Noi non siamo l'antipolitica, siamo anzi contrari all'antipolitica, perché lavoriamo nelle istituzioni. Vogliamo dire ai cittadini italiani che abbiamo un progetto generale della società che ci potrebbe consentire di uscire dalla crisi, alternativo a quello proposto da questo Governo e che le forze di maggioranza stanno sostenendo. Vogliamo rassicurare: noi non siamo dei guastatori, siamo persone che quando criticano lo fanno per il bene della società e per il bene dei cittadini.
Il provvedimento contro cui ci accingiamo a votare viola la Costituzione in numerose disposizioni che sono riportate nella nostra pregiudiziale di costituzionalità.
Ma soprattutto, signor Presidente, considerato che la Costituzione ha nel suo essere il problema del lavoro e dei lavoratori, tanto che ne parla in una decina di articoli, noi crediamo che questo provvedimento non violi tanto un singolo articolo della Costituzione, ma sia un attacco al cuore stesso della Costituzione, che strappi l'anima della nostra Carta costituzionale. Ecco la ragione per la quale, mentre il Governo ci chiede la fiducia su questo provvedimento inaccettabile, l'Italia dei Valori chiede agli italiani di darci fiducia su una cosa diversa: che si può cambiare e che si può uscire dalla crisi con modi diversi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Volpi ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale di costituzionalità Dozzo ed altri n. 2, di cui è cofirmatario, per dieci minuti.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, le chiedo già da ora l'opportunità di depositare il testo completo del mio intervento. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi siamo di fronte al tentativo di approvazione di un provvedimento che, addirittura, vuole assurgere al ruolo di riforma. Un provvedimento che palesa l'approccio tipico della teoria, che ben poco si conforma con la realtà politica e Pag. 59con la pratica; una pratica che si rivolge ad un mondo non fatto di numeri - elemento già di per sé stesso critico per questo Governo e per questo Ministro -, ma un provvedimento che si dovrebbe rivolgere a persone giovani e meno giovani, a progetti di vita, di speranze e di aspettative (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Si tratta di elementi non marginali nella nostra Costituzione, anzi. La Costituzione italiana, che tanto spesso viene citata come esempio da seguire in quest'Aula, ha proprio la particolarità di avere al suo interno una consistente parte economica, nella quale vengono elevati a principi fondamentali i diritti del lavoro e delle rappresentanze; una Costituzione che arriva proprio a definire il Paese «una Repubblica fondata sul lavoro». Io capisco anche il totale disinteresse del Ministro quando parlano le opposizioni... Signor Presidente, colleghi, loro sanno meglio di me che proprio sul lavoro i costituenti più autorevoli si confrontarono in un dibattito profondo; un confronto che vide le posizioni politiche e storiche misurarsi anche con forza per tradurre le necessità ideali in un dettato concreto, ma con un presupposto reale ed ancora assolutamente attuale: il lavoro è un diritto e su questo diritto si riconosce la conflittualità regolamentata come strumento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
E qui si arriva alla nostra contestazione del prodotto e del metodo. È secondo voi, colleghi, nell'alveo della filosofia della Costituzione l'approvazione di una così ampia riforma, proprio sul tema del lavoro, fatta a colpi di fiducia, con quattro fiducie al Senato e, certamente, altrettante alla Camera (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)? Signor Presidente e colleghi, è naturale superare i principi costituzionali della rappresentanza per arrivare all'approvazione di una riforma definita da qualcuno una «boiata» (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)? Riteniamo svilente, ma ancor più pericoloso, il metodo con cui si procede. La Costituzione è violata nei suoi principi, signor Presidente, è violata per codardia: sindacati, che dicono che la riforma non va bene, ma bisogna approvarla; organizzazioni datoriali, che dicono che fa schifo, ma bisogna approvarla; partiti politici, con i loro segretari e i loro gruppi parlamentari, che dicono che la riforma non va bene, ma bisogna approvarla (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Signor Presidente e colleghi, pensate che si immaginassero questo i costituenti, quando nella Carta inserirono le parti forti ed innovative sulla libertà della rappresentanza sindacale o quando dettarono, in modo così solenne, la libertà del mandato parlamentare? Non credo proprio, e voi tutti lo sapete, come lo so io e come lo sa lei, signor Presidente. E lo sanno i cittadini là fuori, che non si sentono ormai più rappresentai, e restano indifesi dinanzi alla codardia delle loro, ormai presunte, rappresentanze (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Lo sanno e si lacerano nelle loro intime convinzioni politiche, quando sentono proposte scellerate come: il voto a questo provvedimento in cambio di un inesistente intervento sugli esodati.
Uno scambio inaccettabile, specie se viene da sinistra, uno scambio diritto contro diritto, una cosa da restare senza parole; come da destra arriva sempre il «penultimatum»: «questa è l'ultima volta»; e intanto, votate insieme una riforma riprovevole che riguarda tutti i cittadini e tutti i lavoratori. Da rimanere veramente senza parole per il vostro cinismo che non è da meno di quello del Ministro. È con questo strumento, così poco condiviso, e già in aria di modifica, che il Presidente Monti intende andare in Europa? Beh, si accontenta veramente di poco; peccato che questo poco sia fatto sulla pelle dei lavoratori. Gi statisti hanno ben altro spessore, ben altro rispetto, ben altro coraggio (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), e di statisti, nonostante le personali illusioni di alcuni, non ne vediamo certo né tra le file della maggioranza, né tra le file del Governo.
La Costituzione viene calpestata anche quando si sente dire che il Parlamento voterà una legge che non va bene, perché Pag. 60bisogna darla in pasto all'Europa, tanto poi, «gabbata» l'Europa la cambieremo; è questo che i più importanti esponenti dei partiti di maggioranza, ovvero quelli che dicevo prima, gli statisti immaginari, pensano di questo Parlamento: che si tratti di assemblee truffaldine che, con la complicità di un Governo nullocratico, decidono di truffare i partner europei? Che delusione, colleghi, che grande delusione!
Facciamo appello, una volta per tutte, alle vostre coscienze personali e politiche, vi chiediamo di non essere conniventi con lo scempio del ruolo del Parlamento e quindi della Costituzione; vi chiediamo di ascoltare anche la voce pressoché univoca dei vostri elettori, che vi dicono di non votare, in questo modo, questo provvedimento; vi chiediamo di tornare, pur nelle differenze, a volare alto, non facendovi ricattare da situazioni esterne e strumentali; vi chiediamo di ridare un senso al Parlamento votando la nostra pregiudiziale di costituzionalità (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Volpi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà, per cinque minuti.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell'Unione di Centro voterà contro le pregiudiziali di costituzionalità sulla riforma del mercato del lavoro, per ragioni politiche e di merito. Le ragioni politiche sono di tutta evidenza: pensare di indebolire il Governo Monti, alla vigilia del vertice europeo di Bruxelles, equivale a un attentato contro l'interesse nazionale, in una fase assai delicata per l'Italia e per l'Europa. Nessuno Stato può salvarsi da solo, ha giustamente ripetuto in questi giorni il Capo dello Stato, a cui rinnoviamo la nostra gratitudine, ma gli estremisti nostrani, persino meno accorti di quelli greci, sembrano ignorarlo. Ciò riguarda non solo la riforma del lavoro, ma anche certe proposte di uscita dall'euro dell'Italia o della Germania, non si è capito bene, che irresponsabilmente vengono avanzate. Non ci siamo, onorevoli colleghi; una parte delle forze politiche - ed è bene che ciascuno risponda delle proprie posizioni dinanzi ai cittadini - si mostra ancora distante dalle necessità dell'Italia che vinse le sue sfide unendosi nella ricostruzione postbellica, nella lotta al terrorismo, nell'ingresso nell'euro; unendosi, non dividendosi.
Passando al merito dobbiamo affermare che la riforma del mercato del lavoro al nostro esame è l'esatto contrario di un provvedimento anticostituzionale; è invece un disegno di legge di piena attuazione dell'articolo 35 della Costituzione che recita: «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori (...)». Ecco scolpita in questo principio lungimirante dei Padri costituenti, l'essenza di questa legge: la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, ossia nella dimensione dinamica, evolutiva dei mercati del lavoro con i nuovi profili imposti dall'economia della conoscenza e dei servizi, dall'economia dei mercati globali, dalle multiformi esigenze che il lavoro richiede ed assume.
E la Repubblica tutela il lavoro entro questo quadro dinamico, alla ricerca di un lavoro vero, utile, produttivo, non frutto dell'assistenzialismo e degli sprechi pagati dalle generazioni future, ma privilegiando la formazione dell'elevazione professionale dei lavoratori, in particolare necessaria nei processi di mobilità. Ancora una volta dobbiamo compiacerci della straordinaria attualità della nostra Carta costituzionale e dispiacerci della pochezza dei suoi superficiali detrattori.
È una riforma perfetta? No, non è perfetta, e dovrà essere migliorata con l'attuazione, verificando il buon funzionamento delle nuove norme di accesso al lavoro, ed evitando di irrigidire il lavoro professionale. Come ha ripetuto il Ministro Fornero, siamo alla ricerca della buona Pag. 61flessibilità, non della precarietà, e dovrà essere risolta, come promesso dal Governo, la questione degli esodati, che è essenziale per l'equità sociale. Ora è il tempo di guardare con coraggio agli interessi dell'Italia e non ai modesti interessi delle botteghe di partito, all'elezione diretta del Presidente della Commissione europea e della seconda Camera federale degli Stati, alle garanzie delle riserve auree per gli eurobond. Idee ambiziose, innovative, coraggiose, da sostenere con mozioni unitarie, altro che uscita dell'Italia o della Germania dell'euro. È il tempo dell'incontro tra socialisti e popolari europei per fare presto la nuova Europa politica. È il tempo delle responsabilità comuni, ma ognuno sarà valutato per ciò che fa. Noi dell'UdC voteremo contro queste pregiudiziali, voteremo per l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bobba. Ne ha facoltà per cinque minuti.

LUIGI BOBBA. Signor Presidente, l'onorevole Palomba, illustrando la questione pregiudiziale dell'Italia dei Valori, ha detto che questa riforma è un attacco al cuore della Costituzione. Ma è vero che nel cuore della Costituzione vi è sicuramente l'articolo 1, il cui dettato tutti ben conosciamo, così pure come gli articoli 2 e 4, che certamente hanno a che fare con questo tema, in particolare l'articolo 4, che recita: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». In effetti, questa norma è quella che poi supporta, in termini interpretativi, l'esigenza che il Governo metta in campo politiche che puntino alla piena e finanche stabile occupazione. Orbene, se questi sono elementi caratterizzanti della nostra Carta costituzionale circa il riconoscimento del valore sociale e soggettivo del lavoro e delle finalità che devono ispirare la legislazione in materia di rapporti economico-sociali, farne discendere, come viene affermato nella questione pregiudiziale di costituzionalità, una supposta inconciliabilità con l'impianto e con le singole disposizioni del provvedimento in esame, appare arbitrario e in contrasto con una lettura sistematica e retrospettiva della legislazione in materia di lavoro. Infatti, se questa tesi fosse vera, evidentemente la pluralità di forme contrattuali per la regolazione dei rapporto di lavoro, che non nasce in questa legge, ma è già ben presente nell'ordinamento del nostro Paese, sarebbe essa stessa, già oggi, totalmente incostituzionale, ma così non è, ed è per questo che quella tesi appare del tutto arbitraria.
Inoltre, il tentativo della riforma di razionalizzare le regole del mercato del lavoro cercando un equilibrio tra flessibilità e sicurezza, si manifesta in forme diverse, come quella di tutelare meglio i contratti di lavoro flessibile, si pensi alla previsione di un salario minimo di riferimento per la determinazione del reddito di questi lavoratori o alle norme che tendono a colpire le false partite IVA, cioè quel modo elusivo che tende a usare una forma contrattuale in sostituzione di un'altra. Si può obiettare - e taluni lo hanno fatto - che tale provvedimento non produca quella semplificazione o riduzione delle tipologie contrattuali.
Ma appare totalmente infondata l'argomentazione secondo cui ci troveremmo di fronte ad una accentuazione dell'erosione del contratto di lavoro subordinato normale e perfino a una dilatazione della precarietà.
Così come, anche sulla flessibilità in uscita, credo che la soluzione trovata mantenga fermo l'impianto sostanziale dell'articolo 18, una mediazione alta, e produca invece dei cambiamenti riguardo alle pratiche, consentendo al giudice di avere a disposizione più rimedi e non solo l'alternativa secca tra reintegro o nient'altro. Ora ci sarà il reintegro, un possibile indennizzo o, se le motivazioni sono fondate, la conferma del licenziamento.
Infine, ancora sul tema degli ammortizzatori sociali, non mi sembra valga l'obiezione che è stata fatta che questa riforma condurrebbe a ridurre un sistema, Pag. 62anziché a renderlo più inclusivo, rendendolo meno inclusivo riducendo le possibilità di equità e di eguaglianza. Sicuramente questo capitolo della riforma contiene degli elementi ancora incerti e ancora non totalmente condivisibili, ma certamente alcune misure, come quelle che riguardano gli apprendisti o le imprese sotto i 15 dipendenti, ci dicono che c'è, semmai, un'estensione dell'universalismo degli ammortizzatori sociali.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LUIGI BOBBA. Concludo dicendo che, per tutte queste ragioni, il nostro voto sarà contrario alle questioni pregiudiziali sollevate dai gruppi dell'Italia dei Valori e Lega (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà per cinque minuti.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, il Popolo della Libertà voterà contro le questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate dai gruppi dell'opposizione. Ascoltando la discussione ho trovato - chiedo scusa ai colleghi - molta confusione tra il giudizio di merito politico al provvedimento e quello sulla possibile violazione dei diritti costituzionali che sono stati qui citati.
Ho trovato invece più congrua l'impostazione contenuta nelle questioni pregiudiziali che sono state presentate e, con il suo permesso signor Presidente, mi soffermerò a cercare di smontare i due argomenti che hanno un minimo di fondatezza nelle questioni pregiudiziali presentate. Il primo argomento riguarda la presunta violazione della Costituzione nella riforma annunciata dell'articolo 18. Io voglio ricordare che la giurisprudenza costituzionale ha stabilito più volte che la reintegra non è un diritto fondamentale del lavoratore perché, se lo fosse, si applicherebbe a tutti il lavoratori dipendenti, anche a quelli delle piccole imprese.
In secondo luogo, la Corte costituzionale ha stabilito più volte, con ammissibilità di quesiti referendari che volevano abrogare l'articolo 8, che l'abrogazione della reintegra per via referendaria non faceva venir meno la tutela dei licenziamenti che sarebbe stata comunque garantita dalla legge n. 604 del 1966.
L'altro argomento che ha un fumus di buon diritto presentato nelle questioni pregiudiziali è quello di mettere in avvertenza il Governo che parrebbe intenzionato a trattare i lavoratori privati in un modo e i lavori pubblici in un altro. Voglio ricordare che l'articolo 2 del provvedimento che voteremo in queste ore prevede che i principi del disegno di legge si applichino anche ai pubblici dipendenti.
Se poi c'è qualche Ministro che abbia intenzione di produrre una diversificazione del trattamento della licenziabilità dei pubblici dipendenti, lo vedremo quando queste intenzioni diventeranno effettive, perché il mio gruppo, per esempio, non sarebbe affatto d'accordo di vedere cancellata la riforma Brunetta (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà per due minuti.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, noi voteremo a favore delle questioni pregiudiziali di costituzionalità perché riteniamo che questa riforma sia in contrasto palese con numerosi articoli della Costituzione. A volte la migliore riforma è non fare riforme. Quando si interviene in un settore così delicato come quello del lavoro, stabilendo il principio che bisogna negare i diritti senza creare altre opportunità, vuol dire che il Governo del Paese sta andando in una direzione opposta rispetto alle esigenze dei cittadini.
Mi auguro che il Governo, che ricorre ancora una volta alla fiducia in assenza di posizioni che mettano in evidenza come il ricorso continuo alle fiducie di fatto espropri il Parlamento, possa ripensare ad una riforma dannosa per l'Italia. Noi non dobbiamo Pag. 63fare le riforme solo perché ce le chiede l'Europa. Non condivido il discorso del collega Mantini, mentre condivido molto quello che ha scritto recentemente Veneziani in un suo articolo. L'euro non è un fine, è un mezzo. Se l'euro è utile all'Italia e ai popoli dell'Europa, allora occorre fare tutto il possibile per salvare l'euro.

PRESIDENTE. Onorevole Iannaccone, la prego di concludere.

ARTURO IANNACCONE. Ma se questo non è, allora meglio uscire dall'euro. È per queste ragioni, perché riteniamo che questa riforma venga meno alla tutela dei diritti dei lavoratori, che noi voteremo a favore delle questioni pregiudiziali.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Scilipoti. Ne ha facoltà per due minuti.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione quanto detto dai colleghi all'interno di quest'Aula, ma resto leggermente confuso quando sento uno dei nostri colleghi affermare che non vuole indebolire il Governo Monti, cioè a dire che vota la fiducia per non indebolire il Governo Monti, cioè a dire che il Governo Monti proibisce la discussione all'interno di quest'Aula parlamentare, perché discutere all'interno di quest'Aula parlamentare potrebbe significare indebolire il Governo.
Allora io pregherei il collega e anche i colleghi presenti in quest'Aula di fare una riflessione e la riflessione dovrebbe essere che non è la discussione che indebolisce il Governo Monti, ma è la non discussione che indebolirà sicuramente questo Governo. Io mi aspettavo anche da parte sua, signor Presidente, perché mi ricordo benissimo una sua affermazione all'interno di quest'Aula ai tempi della Presidenza Berlusconi, quando lei giustamente si lamentò perché quel Governo applicava e portava in Aula molte decisioni che venivano prese dopo il voto di fiducia. Lei affermava cioè che il voto di fiducia non era quasi ammissibile per una forma di rispetto al Parlamento italiano e ai parlamentari presenti in quest'Aula.
Oggi, invece, signor Presidente, mi accorgo non dico che lei non se ne accorga o che non se ne sta accorgendo, ma non riesco a capire perché allora lei ha fatto quella riflessione che condividevo e condivido perché la stimo (apro le virgolette e dico che la stimo tanto) e oggi non prende una posizione nel richiamare democraticamente e nelle forme più corrette questo Governo affinché non ponga in continuazione la questione di fiducia e dia la possibilità al Parlamento di poter discutere su argomenti importanti come questo all'ordine del giorno, che è la riforma del lavoro.
Quindi, signor Presidente, invito lei, in qualità di Presidente della Camera, a far sì che segnali questa posizione e queste scelte che il Governo fa che non sono scelte né democratiche, né gratificanti per il Parlamento, ma mi permetto anche di fare una riflessione ad alta voce visto che lei rappresenta anche un partito politico all'interno di quest'Aula che fra qualche minuto si accingerà a dare il voto di fiducia di far sì che quelle parole che lei ha detto circa 18 mesi fa non siano delle parole dette soltanto in un momento particolare della vita politica di questo Paese, ma che siano un serio convincimento da parte sua che rispettare il Parlamento è una necessità e dovrebbe essere nella nostra mente e nel nostro modo di pensare prioritario ad ogni costo.
Signor Presidente, voterò a favore delle questioni pregiudiziali di costituzionalità, contro - dico - la questione di fiducia. Vale a dire che voterò a favore dei parlamentari che sostengono le questioni pregiudiziali di costituzionalità.

PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità.
Prego i colleghi di prendere posto.
Passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico. Pag. 64
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità Donadi ed altri n. 1 e Dozzo ed altri n. 2.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

I colleghi hanno votato? Onorevole Duilio...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:

Presenti 438
Votanti 432
Astenuti 6
Maggioranza 217
Hanno votato 60
Hanno votato no 372
(La Camera respinge - Vedi votazioni).

(Esame degli articoli - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge e delle proposte emendative presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 5256).
Avverto che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere sul testo del provvedimento, che è in distribuzione (Vedi l'allegato A - A.C. 5256).

(Posizione della questione di fiducia - Articoli 1, 2, 3 e 4 - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Dino Piero Giarda. Ne ha facoltà.

DINO PIERO GIARDA, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli deputati, a nome del Governo pongo la questione di fiducia sull'approvazione, nel testo della Commissione identico a quello approvato dal Senato, degli articoli 1, 2, 3 e 4 del disegno di legge n. 5256: Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita.

PRESIDENTE. A seguito della posizione della questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, degli articoli 1, 2, 3 e 4 del disegno di legge, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato, la discussione proseguirà a norma dell'articolo 116 del Regolamento, come costantemente interpretato dalla Giunta per il Regolamento.
Le votazioni di fiducia avranno luogo nella seduta di domani, martedì 26 giugno, a partire dalle ore 18,40, previe dichiarazioni di voto su ciascun articolo e proseguiranno nella parte antimeridiana della seduta di mercoledì 27 giugno.
Come stabilito dalla Conferenza dei presidenti di gruppo riunitasi il 21 giugno, nella stessa seduta di mercoledì 27 giugno, dopo l'esame degli ordini del giorno avranno luogo, a partire dalle ore 17, con ripresa televisiva diretta, le dichiarazioni di voto finale dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto. Seguirà la votazione finale.
Non essendovi richieste di intervento per illustrare gli emendamenti, il seguito dell'esame del provvedimento è rinviato alla seduta di domani.

Annunzio di una informativa urgente del Governo (ore 18,40).

PRESIDENTE. Avverto che nella seduta di domani, martedì 26 giugno, avrà luogo, alle ore 12,30, lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sul tragico attentato in Afghanistan che ha causato la morte del carabiniere scelto Manuele Braj e il ferimento di altri due militari.

In morte dell'onorevole Adolfo Facchini.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Adolfo Facchini, già membro della Camera dei deputati nella VII e VIII legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni Pag. 65della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ho conosciuto Adolfo Facchini sulla fine degli anni Settanta: ero un giovane appena avvicinatosi all'impegno politico attivo e, di fatto, è stato il primo parlamentare che abbia mai incontrato e mi colpì da subito per la sua vivacità intellettuale, lui che era proprio quello che si poteva definire un figlio del popolo, nato nel 1926 a Lione, in Francia perché la si erano rifugiati i suoi genitori ed i suoi parenti in fuga dal fascismo. Lì aveva iniziato a maturare una chiara coscienza politica e, rientrato in Italia, insieme al lavoro, aveva iniziato anche l'impegno politico.
Era stato segretario provinciale del partito comunista italiano nella provincia di Massa Carrara e, nel 1976, fu eletto alla Camera dei deputati all'età di cinquant'anni. Fu seduto tra questi banchi ed impegnato nel lavoro parlamentare per ben due legislature, fino al 1983. Dopo quell'esperienza parlamentare è stato anche un attivo amministratore sul piano locale, è stato infatti il presidente della fiera internazionale marmi e macchine che, in quella realtà, è particolarmente significativa.
Credo che lei abbia fatto bene - e la ringrazio, signor Presidente - ad esprimere qui pubblicamente i sentimenti di cordoglio, come ha già fatto privatamente alla sua famiglia.
Mi associo alle sue espressioni e voglio anch'io ricordare con affetto la figura di Adolfo Facchini.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 18,45).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Volpi. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, mi dispiace di dovere intervenire dopo il cordoglio, al quale ci associamo, ma il mio è un intervento legato alla posizione della questione di fiducia. Mi limito a domandarle questo - lo domando a lei, signor Presidente, anche se ovviamente non mi potrà rispondere - lei cosa ne pensa della posizione continuativa delle questioni di fiducia, alla luce delle raccomandazioni del Capo dello Stato rispetto all'utilizzo di questi strumenti? Lo domando a lei perché - fino a prova contraria - è anche il mio Presidente della Camera e dovrebbe farsi garante rispetto a questo Governo, che poi domani andrà in Europa con la «legge farlocca» da esibire ai nostri colleghi e partner europei, con la posizione di quattro questioni di fiducia.
Per fortuna, ci sono gli uffici della Camera che sanno suggerire ad un Governo, che non lo sa, come porre la questione di fiducia, che altrimenti sarebbe stata inammissibile, ma io le pongo questo quesito: le chiedo - e spero - che voglia in qualche modo confrontarsi con il Colle per capire se dobbiamo completare così la nostra legislatura, o eventualmente chiedere direttamente al Presidente della Repubblica se ritiene utile chiudere il Parlamento e venire qua lui con il Ministro Giarda per fare quello che vuole.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 18,47)

MARIO TASSONE. Signor Presidente, vorrei richiamare la sua attenzione su una vicenda che riguarda lo strumento del sindacato ispettivo. La scorsa settimana, il Governo è venuto in Aula a rispondere ad una nostra interpellanza - mia e del mio gruppo - la n. 2-01554, che riguarda il Pag. 66porto di Bari. Più volte ci siamo interessati di questa vicenda problematica e, per alcuni versi, inquietante attraverso analoghi strumenti di sindacato ispettivo ed altri interventi che abbiamo fatto in sede di Commissione trasporti. In queste interpellanze e in questi atti abbiamo denunciato una serie di illegalità da parte della gestione dell'autorità portuale di Bari, una serie di fatti indicati con grande circospezione e, a mio avviso, certamente con grande puntualità.
Ci saremmo attesi da parte del Governo una risposta ai quesiti che noi avevamo posto in essere, invece il Governo è venuto a riproporre una risposta; dico riproporre perché analoghe risposte sono state fornite in precedenza, e sono state chiaramente fornite da parte della stessa Autorità portuale di Bari.
È un fatto inusitato - mi sta ascoltando il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - tant'è vero che il sottosegretario Improta, mettendo qualcosa di suo - e per questo io lo ringrazio - nell'ultima parte della sua risposta ha fatto riferimento ad un'esigenza di maggiore chiarezza e monitoraggio e l'ultima parte della sua risposta contraddice tutto quello che lui aveva dichiarato riportando, lo ripeto, la risposta fornita dall'Autorità portuale.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, la invito a concludere.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Allora signor Presidente, io le chiedo di investire la Giunta per il Regolamento di questo, non è possibile che il Governo venga a riproporre risposte fornite da coloro che sono stati indicati come momento certamente di non trasparenza nella gestione amministrativa, tant'è vero - faccio un esempio ed ho concluso - che nella risposta non si parla assolutamente della Multiservizi, verso la quale noi abbiamo anche indicato una vicenda certamente da chiarire sul piano della legalità, perché ci sono fatti inquietanti che si collegano alla criminalità organizzata.
Ripeto, signor Presidente, ritengo che questo fatto dovrebbe essere oggetto di valutazione da parte della Giunta per il Regolamento, per correttezza, e anche in difesa della dignità ed del prestigio stesso del Parlamento. Se noi diamo l'autorizzazione, e cambiamo la Costituzione e le leggi, che venga il presidente dell'Autorità portuale e risponda direttamente al posto del Governo.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, vorrei sollecitare una risposta da parte del Governo ad un atto di sindacato ispettivo che ho presentato, si tratta di una interrogazione a risposta scritta presentata mercoledì 11 aprile, l'atto è il n. 4-15653, e tratta di Reteitalia internazionale Spa, che è stata, fino all'anno scorso, la società informatica in house dell'ICE, l'Istituto per il commercio estero.
Con la riforma dell'ICE e l'inaugurazione dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, di fatto Reteitalia internazionale Spa non ha più avuto commesse da questa Agenzia e sono ormai otto mesi che la società vive un periodo di grave crisi economica, appunto derivante dalla riduzione delle commesse affidatele dall'ex ICE.
Per questo ho chiesto, e chiedo ancora, al Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, di fornire risposte chiare ai lavoratori - qualificati, tra l'altro - e alle loro famiglie, che nella difficile situazione economica del Paese sono sul punto di perdere il lavoro per l'assenza di risposte da parte di quello che è non solo il maggior azionista, ma ha anche la triplice veste di decisore politico, di azionista e di committente.
Quindi vogliamo sapere quali sono gli orientamenti del Ministro in merito a quanto esposto nella nostra interrogazione.

Pag. 67

FABIO GARAGNANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, svolgo una breve considerazione che mi pare meritevole di attenzione da parte dell'Assemblea. Nel giorni scorsi la conferenza delle regioni, attraverso i propri assessori alla sanità, in sede di audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, ha fatto alcune affermazioni piuttosto preoccupanti che, alla luce dei disguidi e dei fenomeni di malasanità presenti in molte regioni italiane, trovano un loro preciso riscontro. Si è parlato di un processo - letteralmente la frase è questa - di «fidelizzazione» del personale medico e dei dirigenti medici alle decisioni politiche delle regioni e delle aziende sanitarie.
Credo che di fronte a questo fatto, del quale so che le associazioni dei medici si sono particolarmente preoccupate e si stanno attivando, occorre una riflessione adeguata non solo del Governo, ma anche del Parlamento. Occorre distinguere, infatti, il potere di governare la sanità dal punto di vista organizzativo e lasciare invece l'autonomia professionale, selezionando i migliori in campo medico. La confusione fra politica e sanità presente in troppe regioni credo abbia di fatto deteriorato questo clima e la situazione della sanità in tutta Italia. Io ho presente quella della mia regione, l'Emilia Romagna, ma anche in altre regioni è presente proprio per effetto di questa commistione con il potere politico, che condiziona il potere medico. Questa affermazione, fatta da tutte le regioni, non solo da una, credo necessiti di un chiarimento da parte del Ministero ed è giusto che in Parlamento sia sottoposta all'attenzione di tutti noi, perché altera grandemente gli equilibri fisiologici di una società civile.

PAOLA GOISIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, intervengo per informare lei Presidente e questa Assemblea sulla questione che è apparsa sulla stampa quotidiana dei nostri paesi in provincia di Padova, con riferimento al giallo della morte di Mauro Zanin, che è un intermediario di cinquantadue anni trovato morto martedì mattina scorso nel bagno della propria cella detentiva di Abuja, capitale della Nigeria. Zanin, residente a Ponso, è in Africa da tre anni per lavoro. Si sarebbe suicidato nella struttura in cui da tre settimane era rinchiuso per una presunta truffa commessa ai danni di un imprenditore. Noi abbiamo espresso grande vicinanza nei confronti della persona e della famiglia, ma soprattutto vogliamo sottolineare che siamo rimasti allibiti per la scarsa attenzione che è stata prestata dalle autorità governative all'episodio. Non abbiamo ricevuto alcuna informativa dagli uffici ministeriali, il che è abbastanza strano. A Roma l'eco della vicenda non è neppure arrivata. Non è possibile che un cittadino italiano muoia così in una cella nigeriana e che nessuno ne parli. Quindi, voglio richiedere ufficialmente un'informativa al Ministro degli affari esteri Giulio Terzi, per avere la certezza che i nostri funzionari stiano facendo quanto possibile per avere chiarezza sulla morte di Zanin e per trasferire in Italia in tempi brevi la salma dell'intermediario. Purtroppo, non abbiamo ancora assolutamente notizie, ma ci dichiariamo disponibili in prima persona a fare da tramite tra il territorio e i Palazzi romani. Purtroppo, nessuna novità sembra arrivare dalla Farnesina e dall'ambasciata italiana in Nigeria, dove peraltro l'ambasciatore è introvabile fino a fine mese. Anche questa è una cosa che vogliamo sottolineare, in modo particolare perché non riusciamo a metterci in contatto con Roberto Colamine, l'ambasciatore italiano in Nigeria, che sembra attualmente impegnato nelle sue tradizionali vacanze e che dovrebbe ritornare a fine mese. Nemmeno dal funzionario capo di gabinetto Nicola Bazzani riusciamo a sapere qualcosa. Quindi, faccio presente questa nostra preoccupazione a lei Presidente, perché si Pag. 68faccia da tramite con il Ministro, in modo da poter dare delle risposte alla famiglia Zanin.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 26 giugno 2012, alle 12,30:

1. - Informativa urgente del Governo sul tragico attentato in Afghanistan che ha causato la morte del carabiniere scelto Manuele Braj e il ferimento di altri due militari.

(ore 14)

2. - Discussione congiunta delle mozioni (per la discussione sulle linee generali):
Franceschini ed altri n. 1-01075, Cicchitto ed altri n. 1-01076, Moffa ed altri n. 1-01088, Nucara ed altri n. 1-01089, Cambursano e Brugger n. 1-01092, Donadi ed altri n. 1-01095, Dozzo ed altri n. 1-01096, Pisicchio ed altri n. 1-01097 e Galletti e Della Vedova n. 1-01098 sulla politica europea dell'Italia in vista del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012.
Dozzo ed altri n. 1-01065 concernente iniziative di competenza per l'indizione di un referendum consultivo sulla adesione al trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, noto come «fiscal compact».

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 3249 - Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita (Approvato dal Senato) (le votazioni fiduciarie per appello nominale avranno luogo a partire dalle ore 18.40, previo svolgimento delle dichiarazioni di voto) (C. 5256).
- Relatori: Cazzola e Damiano.

La seduta termina alle 18,55.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI LUIGI FABBRI, RENATO CAMBURSANO, ANGELO SANTORI E MARIALUISA GNECCHI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 5256

LUIGI FABBRI. Signor Presidente, signora Ministro, fin dalla sua genesi, noi deputati di API, siamo stati critici nei confronti di questo provvedimento.
Quando si discuteva se fosse stato meglio emanare un decreto o presentare una legge per il Governo, noi abbiamo sostenuto che la cosa migliore sarebbe stata fare una legge delega (ce n'è una aperta fino ad ottobre dei suoi due predecessori) e ciò avrebbe consentito di discutere con le parti sociali in seconda battuta, all'atto della emanazione dei decreti delegati, risparmiandoci mesi di polemiche prevedibili sui giornali, tensioni sociali e prese di posizione sull'argomento dell'articolo 18 che non era né l'unica né la più importante materia del provvedimento: già sul metodo quindi abbiamo avuto opinioni differenti.
Sul merito poi mi permetta di dire che la logica e la finalità di questa legge di riforma del mercato del lavoro sono espresse quasi nelle prime righe: è una norma che si prefigge di ridurre i costi e nel contempo fornire all'Europa ed ai mercati un segnale di modernità.
L'obiettivo dichiarato di promuovere i meccanismi di sviluppo per favorire la crescita del nostro Paese in un momento in cui tutti gli indici sono di segno negativo, difficilmente verrà colto.
Signor Presidente, questo è un argomento da «parti sociali» dove in un paese coeso e civile Governo e Parlamento non dovrebbero metter bocca ma essere arbitro, Pag. 69anzi notaio (perché l'arbitro può influenzare il risultato, il notaio ratifica).
Come sarebbe stato più giusto che le parti sociali (sindacali e datoriali) con un gesto di responsabilità e di sensibilità, dato il momento, fossero venuti da lei, Ministro, con una proposta comune, e Lei, Ministro tecnico, avrebbe dovuto accoglierla senza obiettare (cosa che un ministro politico non potrebbe fare). È utopia? Forse, ma intanto il processo decisionale, ancora una volta, non è cambiato, il Governo si è impantanato nei soliti rituali della trattativa con le parti sociali e i partiti. Ai vari tavoli i partecipanti hanno potuto sostenere tutto e il suo contrario a seconda delle proprie convenienze. Da un Governo tecnico che API sostiene convintamente e lealmente ci saremmo aspettati innovazione anche nel processo.
Nel merito: c'è un «segnale» per la P.A. ai commi 7 e 8 dell'articolo 1, quando si afferma che le disposizioni della legge costituiscono un assieme di principi e criteri per la regolamentazione del lavoro pubblico. Ma il rapporto di lavoro pubblico ha delle regole peculiari che vanno, casomai, modificate.
È un terreno questo sul quale si potrebbe fare molto se si avesse il coraggio di stabilire una maggiore equivalenza tra rapporti di lavoro pubblici (ai quali va garantita la peculiarità dell'ingresso per concorso previsto dalla Costituzione) e quelli privati.
Per quanto riguarda le tipologie contrattuali, è lo sviluppo che fa crescere l'occupazione, non i tipi di contratto.
Nel provvedimento si afferma all'articolo 1 (un po' demagogicamente) che il contratto a tempo indeterminato è dominante e vengono adottate misure burocratiche ed economiche dissuasive rispetto al tempo determinato, al tempo parziale, al lavoro intermittente; viene abrogato il contratto di inserimento e potenziato quello di apprendistato. I contratti sono troppi.
Noi avremmo preferito l'allungamento del patto di prova (abbiamo presentato un progetto di legge in proposito) ed è sufficiente modificare un articolo del Codice Civile.
All'Articolo 4 si da' una delega al Governo per le politiche attive e per i servizi all'impiego. Ci auguriamo che i decreti che verranno possano essere in grado di incidere su questa materia che è di fondamentale importanza per rendere davvero il mercato del lavoro più dinamico ed inclusivo. Al di là delle competenze ripartite tra Stato e Regioni, la formazione ha un ruolo determinante per chi cerca lavoro e per chi deve invece ricollocarsi. Nel nostro paese la formazione è insufficiente. Voglio ricordare che in Italia soltanto il 6% dei lavoratori fa oggi un corso di formazione all'anno e il 40% di questi corsi sono obbligatori per legge (quelli riguardanti la sicurezza sul lavoro); pochissimi fanno corsi per l'orientamento o la riqualificazione.
Una cosa giusta è il contrasto delle dimissioni in bianco e le misure a sostegno della genitorialità: materie scippate alla Commissione lavoro che già le stava discutendo ed inserite qui forse per dare maggiore dignità al provvedimento. Importante la delega per la definizioni di misure per la democrazia economica. Vorrei anche invitare il Ministro a non dare grande rilievo al monitoraggio della riforma previsto dall'articolo 1.
Già la legge Biagi prevedeva un monitoraggio statistico e la predisposizione di un rapporto annuale al Parlamento, che è rimasto del tutto inattuato. Enfaticamente si definisce: «Sistema permanente di monitoraggio e valutazione» (un Comitato? Un'agenzia? Altro?): è probabilmente un organismo pletorico (non meno di cinquanta persone) con criteri ovvi (come quelli che parlano della elusione fiscale) o generici (come quelli che parlano degli ammortizzatori). A questo proposito è sacrosanto spostare la tutela dal posto di lavoro al lavoratore. Bene l'ASPI, ma dove sono le risorse? Questi ammortizzatori tutelano meno degli attuali. In conclusione: bisogna proprio essere degli inguaribili ottimisti per credere che questa riforma realizzerà «un sistema dinamico e inclusivo, idoneo a contribuire alla crescita di occupazione e qualità» come si dice nelle finalità della riforma. Speriamo Pag. 70possa centrare l'obiettivo, l'unico che può raggiungere a breve, di convincere l'Europa che il Governo italiano ha saputo intervenire in questo settore così come richiesto dalla lettera Draghi-Trichet dell'agosto scorso. Sarebbe consolatorio anche per la Camera dei deputati cui è stato sottratto il diritto-dovere di migliorare il provvedimento.

RENATO CAMBURSANO. La crisi e la concorrenza di nuove potenze economiche, come la Cina e l'India, ci stanno costringendo a cambiare, perché esercitano una concorrenza terribile sulle nostre imprese, sul mercato del lavoro. Non potremo più reggere a questa pressione conservando le nostre abitudini «liquide», la nostra assuefazione al pressappochismo, a rinviare, a complicare i ritmi di lavoro, le nostre rigidità.
Le società che ci sfidano non sono liquide: sono solide, hanno ambizioni forti e ferrea disciplina. Resisteremo solo se diventeremo anche noi solidi. È nella crisi che emerge il meglio. Non possiamo perdere questa «occasione».
La crisi in cui l'Italia versa si può superare solo attraverso l'attuazione di riforme coraggiose. Sorge, allora, spontanea una domanda: questa riforma lo è o non è l'ennesimo compromesso? Il Presidente del Consiglio, a proposito della riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dichiarò che essa «non è negoziabile» e si prese gli applausi della Comunità europea ed internazionale. E poi? Tutto è stato negoziato e siamo arrivati ad un testo frutto di veti incrociati. La riforma del mercato del lavoro era necessario prima di ogni altra cosa, per restituire certezze ad un sistema e ad un Paese in cui l'incertezza è la regola, la condizione di vita: l'incertezza per le imprese, per le quali era ed è impossibile valutare ex ante i costi delle scelte di assunzioni, soprattutto per i più giovani, per i quali, nella maggior parte dei casi, era ed è impossibile pianificare percorsi di vita, in presenza di carriere lavorative spesso e volentieri discontinue, per motivi che non sempre hanno a che fare con esigenze della produzione o con l'ambizione dei singoli.
Restituire certezze al sistema richiedeva soprattutto che si riportasse la fisiologia del rapporto di lavoro nelle mani delle parti contraenti, e solo in quelle mani, lasciando la patologia del rapporto di lavoro nelle mani del giudice.
Questo non si è voluto (o potuto) fare, per le imprese rimarrà impossibile valutare ex ante i costi e i benefici di scelte produttive e d'investimento diverse.
La pianificazione del personale (come per quella fiscale o amministrativa) è, e purtroppo rimarrà, impossibile.
Avremmo dovuto dare maggiore certezza alle imprese e ai lavoratori. Con questi limiti, la tentazione è forte a tirarsi fuori da questo percorso, a non essere coinvolto in questa responsabilità verso le future generazioni. Non lo farò, non mi tiro indietro.
Un anno fa ho depositato una proposta di legge, l'Atto Camera n 4546, dal titolo «Disciplina dei rapporti di lavoro dipendente e disposizioni in materia di previdenza e di protezione sociale dei lavoratori». Nella relazione introduttiva, scrivevo: «un Governo che voglia veramente governare dovrebbe tener conto delle migliori esperienze straniere, per trarne insegnamenti utili, rispondendo alla particolare gravità della situazione del Paese».
Il Paese, infatti, non può permettersi di lasciare due milioni di giovani inattivi, senza futuro, che potrebbero dare energie nuove alla nostra stanca economia.
Allo stato attuale - con questa situazione delle finanze pubbliche - l'unica leva di cui disponiamo per aumentare gli investimenti produttivi e quindi aumentare la domanda di lavoro ed in particolare la domanda di buoni posti di lavoro, consiste nella apertura del sistema agli investimenti stranieri, rispetto ai quali l'Italia è invece oggi drammaticamente chiusa.
Dobbiamo chiederci perché il nostro Paese riesce ad attrarre così pochi investimenti dall'estero. Sicuramente i difetti di funzionamento delle amministrazioni pubbliche e delle infrastrutture vogliono dire qualcosa, così come i costi dei servizi Pag. 71alle imprese e dell'energia, la mancanza di una cultura delle regole e della legalità. Ma ci domandiamo: c'entra qualcosa il nostro Diritto del Lavoro?
Sicuramente sì, così come c'entra il nostro sistema delle relazioni industriali. Gli operatori economici stranieri ci chiedono quali sono i costi che deve affrontare un'impresa nel caso in cui debba ridurre il personale o chiudere uno stabilimento.
La situazione andava radicalmente rovesciata, con un nuovo patto tra produttori, i salari e l'occupazione e per ridurre la precarietà mediante un forte sistema di Flexsecurity.
L'Italia presenta una anomalia unica, consistente nella proliferazione di forme abnormi di contratti precari, false collaborazioni, partite IVA fasulle, stage distorti, eccetera.
In tutto in Italia sono 48 dopo l'entrata in vigore della legge 14 febbraio 2003, n. 30.
Ai lavoratori precari, in particolare ai giovani, non basta rivolgersi con proposte di ordinaria manutenzione del nostro diritto del lavoro, magari accompagnate da un immediato aumento dei contributi previdenziali.
Bisognava puntare al bersaglio grosso, ora, subito, perché è ignoto il destino di un'intera generazione e perché la grande recessione ci ha fatto toccare con mano l'intollerabilità etico-politica e l'inefficienza economica di un sistema di diritti e di tutele del lavoro così pesantemente discriminatorio verso la sua parte più debole. Non si trattava di intaccare o di modificare la posizione di chi ha già un rapporto di lavoro stabile.
Un Paese moderno non può accettare che metà dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, siano protetti dallo Statuto dei Lavoratori del 1970, mette l'altra metà non abbia alcuna garanzia e non può rassegnarsi alla perpetrazione di un modello iniquo.
Se non affrontiamo questo problema di adeguamento della struttura delle tutele e delle protezioni ad una realtà radicalmente cambiata, il gap tra la legislazione proposta e le esigenze effettive del tessuto produttivo non potrà che provocare deficit di effettività della legge.
Un Paese e una Politica, - soprattutto se si auto definisce riformista - che non sappiano riconoscere e rivendicare con orgoglio i risultati del proprio lavoro né, di conseguenza, porsi traguardi diversi e nuovi e neppure renderli come traguardi di una intera collettività, espongono in maniera impietosa la propria impotenza e la propria debolezza.
Temo proprio sia questo il messaggio che stiamo dando al Paese e agli Italiani.
Le critiche del mondo delle imprese, di chi crea posti di lavoro, esprimono le difficoltà del testo al nostro esame che, come sappiamo, è frutto di mediazioni e compromessi che hanno fatto sì che alla fine le buone intenzioni del Ministro Fornero siano state vanificate.
Ora leggo sui giornali che ci sabbierò dei ripensamenti in merito alla flessibilità in entrata, che - si dice - sarebbero oggetto di modifiche da inserire nel Decreto Sviluppo. Staremo a vedere!
Intanto qualche passo avanti nella direzione giusta è stato fatto, rispetto alle regole del mercato del lavoro. Sono state cambiate le premesse (alcune di queste buone, altre un po' meno) per modificare le relazioni di lavoro in funzione della ripresa.
Tra il «bicchiere mezzo pieno e quello mezzo vuoto» io prendo quello mezzo pieno.
C'è un cambiamento di prospettiva nella riforma: le relazioni di produzione vengono lette in funzione della necessità di correggere i vizi, le distorsioni, i parossismi con la volontà di affrontare uno dei problemi più gravi dei nostri anni: la precarietà del lavoro.
C'è un cambiamento di paradigma: il valore del lavoro, il valore sociale ed economico, diviene metro della qualità dello sviluppo. La scelta si andare verso l'allineamento progressivo dei costi delle diverse forme di lavoro, aumentando il costo dei rapporti discontinui, forieri di disoccupazione, risponde sia all'affermazione del valore della continuità occupazionale, Pag. 72contro il disvalore della precarietà, sia alla logica del finanziamento per via assicurativa degli strumenti di tutela.
Il paradigma valore-costo si regge però a due condizioni: che l'incremento del costo non gravi sulla parte debole del rapporto, sul prestatore, e che il costo del lavoro sia complessivamente sostenibile per la produzione, cioè non sia di ostacolo alla competitività.
Non ho certezza che queste due condizioni siano state rispettate nella riforma al nostro esame.
Gli indici di presunzione di subordinazione dovrebbero consentire la trasformazione dei rapporti in coerenza con la loro natura reale. Voglio sperarlo perché se così non fosse, i danni per i lavoratori e per le imprese rischierebbero di essere enormi. Nelle valutazioni che occorrerà fare c'è uno strumento per il monitoraggio che ci dovrebbe consentire di farlo - bisognerà considerare due questioni: quella previdenziale, in ordine alla quale, in vigenza del metodo di calcolo contributivo per le pensioni, un adeguamento delle aliquote appare necessario per garantire in prospettiva trattamenti previdenziali adeguati; quella del welfare di supporto alle diverse fasi della vita anche per i lavoratori autonomi, che necessita di interventi di estensione significativi ed adeguati alle specifiche necessità di un lavoro che non è subordinato.
È un problema aperto, sul quale occorre un impegno fermo e deciso del Parlamento, alla realizzazione di interventi maggiormente inclusivi soggettivamente sostenibili sia per il lavoro subordinato che per il lavoro autonomo.
Occorre dare certezza per i parasubordinati, nella scansione temporale per il passare dal riconoscimento di una indennità una tantum, presente nella riforma, ad un vero e proprio passaggio all'ASpI.
È stato prospettato per il 2016. Occorrerà confermarlo e dare certezza di copertura finanziaria.
Dovranno essere studiati anche meccanismi di funzionamento ed erogazione adeguati alla natura peculiare delle prestazioni autonome, oppure occorrerà valutare la scelta di universalizzazione delle tutele minime slegate dall'attività lavorativa. Sto parlando del salario di cittadinanza!
C'è un po' di tempo ma passerà in fretta. Occorrerà anche vedere e valutare se le prestazioni per la perdita del lavoro, l'ASpI, siano sufficientemente produttive e utili a sostenere i lavoratori in assenza di lavoro.
Gravi problematicità rimangono nel settore agricolo e quelle relative al superamento della discriminazione di genere in materia di lavoro e alla piena occupazione delle donne Su questo versante la riforma è debolissima. Occorre intervenire con assoluta urgenza per contrastare la vergognosa pratica delle dimissioni in bianco.
Oggi su questa riforma facciamo una scommessa, pur consapevoli che, per certi aspetti, irrigidisce il mercato del lavoro e, soprattutto, non libera dai vincoli di certi articoli dello Statuto dei lavoratori.
Le nostre imprese, temo, saranno ancora più in difficoltà rispetto alla concorrenza internazionale, non solo per il freno alla flessibilità in entrata e per il blocco in uscita. Infatti troviamo disseminati nel testo una serie di costi aggiuntivi, di adempimenti burocratici e procedurali che renderanno ancora più difficile fare impresa, in un tempo in cui si vuole perseguire una politica liberale, attenta alle esigenze di solidarietà e di coesione sociale.
Non mi sembra una forzatura affermare che la legge si soffermi poco o nulla sul come favorire l'occupazione, sia in termini di lavoro subordinato che autonomo.
Sull'effettiva copertura finanziaria della riforma, sorge qualche dubbio: in particolare ci si domanda se le risorse riservate al sussidio universale di disoccupazione saranno effettivamente in grado di renderlo universale.
Stesso dubbio si palesa sui finanziamenti destinati all'apprendistato. Se dovesse funzionare - ce lo auguriamo davvero - ma ci sono molti punti interrogativi, i relativi finanziamenti dovrebbero essere rafforzati e rimodulati. Pag. 73
Concludo Presidente: se questo disegno di legge è stato pensato come strumento per favorire quello sviluppo del Paese che tutti evocano, perché ciò avvenga, manca ancora la svolta vera: meno spesa pubblica, meno tasse e riduzione del cuneo fiscale per rilanciare i consumi e la ripresa.
La pressione fiscale, concentrata come è su lavoro e impresa, ammazza la crescita e avvantaggia l'illegalità e la criminalità, impedendo nei fatti la creazione di lavoro e facendo fuggire le imprese. Questo, onorevoli colleghi, è il momento della responsabilità. Ecco perché, nonostante tutte le magagne di questa legge, io ci sto. Io scelgo ancora una volta il Paese: scelgo l'Italia. Grazie.

ANGELO SANTORI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, spiace dover sottolineare, prima di tutto, che il voto di fiducia non consentirà a questa Assemblea di contribuire a migliorare il testo in votazione ma ci permetterà solo di arrivare formalmente con le carte in regola al Consiglio europeo che si svolgerà il 28 e 29 prossimi.
Avremmo voluto dare il nostro responsabile contributo alla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, riforma che non era più rimandabile e che deve fornire certezze al paese ed al sistema.
È evidente come, in momenti come questi, ognuno debba rinunciare a qualcosa perché - è bene ricordarlo - in tempi di crisi economica non è solo il benessere ad essere messo in crisi ma anche la tenuta del tessuto democratico, istituzionale e sociale (!).
Un provvedimento che, secondo quanto dichiarato dal Governo, è teso a creare «una maggiore mobilità che protegga il lavoratore ma non renda sclerotico il mercato del lavoro», e «favorirà la distribuzione più equa delle tutele dell'impiego, contenendo i margini di flessibilità progressivamente introdotti negli ultimi venti anni e adeguando all'attuale contesto economico la disciplina del licenziamento individuale».
Nonostante queste convinte dichiarazioni, permangono molte perplessità sulla reale efficacia della riforma e sulle risposta che questa darà all'occupazione.
Voglio brevemente ricordare i dubbi relativi all'incremento contributivo dell'1,4 per cento, destinato a finanziare l'ASPI, che peserà sulle aziende e quelli relativi all'irrigidimento delle norme sulla flessibilità in entrata che favoriranno il ricorso al lavoro nero ed indeboliranno anche la flessibilità in uscita.
Discorso a parte merita la formulazione dell'articolo 18 che, in versione più drastica, avrebbe dimostrato maggiore efficacia attirando nuovamente in Italia gli investitori esteri che da anni evitano il nostro paese.
Ebbene bisognerà convincersi che l'articolo 18 e le tutele in esso contenute - tese a proteggere la parte più debole del rapporto di lavoro - hanno ormai esaurito il proprio ruolo e che il mercato del lavoro è profondamente cambiato, anche grazie all'agire degli stessi soggetti che resero possibile la stesura dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Una nota positiva, a mio avviso, va registrata per ciò che concerne le norme che riguardano i contratti di apprendistato la cui durata è stata maggiorata, permettendo alle imprese di investire in risorse giovani.
Signor Presidente, signor Ministro, un breve cenno è indispensabile per un settore, quale quello agricolo, spesso dimenticato e che invece riveste notevole importanza. Come lei saprà, signor Ministro, il settore agricolo non ha partecipato sistematicamente al tavolo di confronto tra Governo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, che si è tenuto nei mesi scorsi, anche se ha avuto altre occasioni per rappresentare al Ministro Fornero - ed alle forze politiche che sostengono il Governo Monti - la posizione su tale delicato tema per gli equilibri sociali ed economici del nostro Paese.
Si tratta infatti di temi che per gli imprenditori agricoli rivestono particolare interesse in ragione della natura delle Pag. 74imprese agricole datoriali di medie-grandi dimensioni, spesso condotte in forma societaria, che occupano manodopera dipendente in modo strutturale e rilevante.
Non può infatti essere sottaciuto che l'occupazione dipendente del settore agricolo rappresenta una quota importante del mercato del lavoro nel nostro Paese, sia in termini quantitativi che qualitativi, come dimostrano i dati INPS.
Il lavoro agricolo merita dunque la massima attenzione e considerazione all'interno del contesto economico-sociale del nostro Paese.
In tale ottica si possono formulare le seguenti considerazioni.
Sul contratto a tempo determinato, le modifiche alla disciplina di questa tipologia contrattuale contenute nel disegno di legge appaiono eccessivamente restrittive, sia rispetto alla normativa europea e sia rispetto alle esigenze del mondo produttivo, e segnatamente di quello agricolo, caratterizzato da necessità occupazionali ricorrenti e di breve periodo.
Sul lavoro a progetto, le collaborazioni coordinate e continuative a progetto hanno rappresentato un interessante strumento contrattuale per le imprese agricole più moderne ed evolute, che hanno bisogno anche di prestazioni caratterizzate da un elevato grado di professionalità ed autonomia.
Pur comprendendo la necessità di introdurre disposizioni che evitino un uso improprio dello strumento contrattuale, appare francamente eccessiva la presunzione contenuta all'articolo 1, comma 23, lettera g) secondo la quale «i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l'attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell'impresa committente», con esclusione delle prestazioni ad alto contenuto professionale individuate dalla contrattazione collettiva.
Sulle altre prestazioni lavoro autonomo (partite IVA), anche questo tipo di rapporti hanno una certa frequenza nell'imprenditoria agricola più moderna ed evoluta.
Non si condivide dunque la presunzione contenuta all'articolo 1, comma 26 (che introduce alla legge n. 276/2003 l'articolo 69/bis) secondo la quale sono considerate collaborazioni coordinate e continuative le prestazioni rese da titolari di partita IVA caratterizzate da almeno due delle seguenti condizioni: durata della collaborazione superiore a sei mesi nell'anno solare; corrispettivo pari o superiore al 75 per cento del fatturato complessivo nell'anno solare; postazione di lavoro presso il committente.
In tal caso la prestazione si considera come collaborazione coordinata e continuativa con la conseguenza che, se manca il progetto o se il prestatore non è iscritto ad albi professionali, il rapporto è riconducibile al lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall'origine.
Sulla flessibilità in uscita, è opportuno ricordare preliminarmente che, in agricoltura, l'articolo 18 della legge n. 300/1970 - nella vecchia e nella nuova formulazione - trova applicazione alle imprese che occupano più di cinque lavoratori (e non più di quindici come negli altri settori).
Secondo i dati INPS le imprese agricole che superano tale soglia dimensionale sono oltre 20.000.
Con riguardo alle nuove norme sui licenziamenti appare eccessiva la discrezionalità riconosciuta al giudice nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, giacché il magistrato può applicare la reintegrazione nel rapporto di lavoro ogni qual volta accerti «la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo».
È necessario anche rivedere la procedura prevista dall'articolo 1, comma 40, del disegno di legge in commento che impone alle imprese che occupano più di 5 lavoratori (se agricole) o più di 15 (se di altri settori) di esperire una procedura obbligatoria dinanzi alla Direzione territoriale Pag. 75del lavoro prima di provvedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La durata del procedimento - che tra convocazione e tentativo di conciliazione può essere anche 27 giorni (salvo ritardi e inefficienze) - espone le imprese (e l'INPS) al rischio che il lavoratore possa utilizzare impropriamente la malattia per procrastinare gli effetti del licenziamento.
Deve essere quantomeno previsto che gli effetti del licenziamento retroagiscano al momento dell'intimazione del recesso da parte del datore di lavoro.
Sul lavoro autonomo agricolo, l'articolo 2, comma 57, del disegno di legge estende anche agli imprenditori agricoli professionali (IAP), a partire dal 2013, il progressivo aumento delle aliquote contributive pensionistiche previsto dalla legge 214/2001 per i coltivatori diretti coloni e mezzadri.
L'incremento della pressione contributiva su tale categoria di soggetti - che nel 2018 sarà pari al 24 per cento del reddito imponibile - preoccupa fortemente anche perché si tratta di aumenti che vanno a sommarsi ad altri pesanti interventi di carattere fiscale, come l'IMU, che colpiranno duramente le imprese familiari.
Vorrei concludere con l'auspicio che il Ministro Fornero valuti quali saranno i reali benefici per il Paese e, se necessario, predisponga eventuali provvedimenti integrativi alle norme che ci accingiamo a votare al fine di ridare opportunità concrete ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro, alle donne che continuano a pagare un prezzo troppo alto, ai lavoratori - per usare la definizione data dallo stesso Ministro - «che meritano di essere salvaguardati dagli effetti del recente inasprimento dei requisiti per la pensione».
Siamo tutti consapevoli dell'importanza di realizzare una riforma del mercato del lavoro ma bisogna preoccuparsi anche dei contenuti, altrimenti si rischia di deprimere ancora di più la nostra economia e di vanificare l'impegno del Governo e del Parlamento.

MARIALUISA GNECCHI. Questa settimana verrà approvato il disegno di legge sul mercato del lavoro come approvato dal Senato; il Presidente Monti ha chiesto di poter arrivare al Consiglio Europeo con la riforma sul mercato del lavoro approvata. In questo modo la Camera non può intervenire sul testo; non siamo ovviamente contenti di ciò, ma accettiamo responsabilmente questa richiesta contando sull'impegno del Presidente Monti di risolvere i problemi che si sono creati con la prima manovra economica di questo Governo, il Salva Italia.
Non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto ministeriale previsto dal comma 15 dell'articolo 24 del Salva Italia; in quest'aula mercoledì scorso la Ministra Fornero ha riconosciuto che i 65.000 salvaguardati sono una prima parte delle persone che hanno diritto al mantenimento dei requisiti pensionistici previgenti, ci sembra quindi importante ripartire dalla legge n. 214/2011 e dalla legge n. 14 del 2012 (mille proroghe), perché la nostra disponibilità al voto di fiducia e all'urgenza sul provvedimento in discussione è strettamente legata alla soluzione delle ingiustizie che si sono create e che si stanno creando in materia pensionistica. Tutta la manovra Salva Italia per quanto riguarda il diritto a pensione rimarrà nella storia come grande lotteria, come gara di numeri, di cifre, di responsabilità scaricate su altri, ma soprattutto per le differenze incredibili anche nella valutazione dei risparmi, dei costi, delle previsioni.
Il perfetto contrario di quello che ci si sarebbe aspettati da tecnici; cito solo un esempio, per non cadere anch'io nel balletto: l'atto Camera 4829, il Salva Italia, come è arrivato alla Camera, prevedeva come risparmio per l'abrogazione totale delle quote per poter andare in pensione, (età anagrafica più anni di contributi, che riguardava tutti, pubblici, privati e autonomi) meno di 14 miliardi di euro fino al 2018 (cito la relazione «bollinata» della Ragioneria a pagina 99 dell'Atto Camera 4829). Come è possibile che «solo» 65.000 persone da salvaguardare possano costare Pag. 765 miliardi e gli altri eventuali 55.000 altri 4 miliardi? Sarebbe come dire che se queste 120.000 persone andranno in pensione con i vecchi requisiti, il risparmio fino al 2018 sarebbe di soli 5 miliardi? E per 5 miliardi fino al 2018 si può avere la responsabilità di aver creato 6 mesi di panico, di sfiducia nelle istituzioni, di disperazione? Di guerra tra aspiranti pensionati? No, è evidente che i conti non tornano e che bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi e ricominciare ad analizzare e monitorare realmente la situazione. Rimangono gli impegni assunti dal Presidente Monti nel discorso di fine anno nessuno sarà abbandonato e lasciato senza lavoro, senza ammortizzatore sociale, senza pensione. Vogliamo credergli e solo per questo accettiamo anche di votare la fiducia sulla riforma del mercato del lavoro.
Rimane comunque incomprensibile la penalizzazione per le donne: spostare l'età per la pensione di vecchiaia (fino al 31.12.11 requisito 60 anni, dal giorno dopo 62) in modo da creare la rincorsa per cui l'innalzamento è stato repentino, da un giorno all'altro di 5 anni, quando nel 1992 l'innalzamento è stato di 1 anno ogni 2 anni solari, era proprio necessario? Tutto ciò per un risparmio, sempre pag. 99 dell'AC. 4829, di 157 milioni nel 2013 e 775 milioni nel 2014, crescenti, ma sulla pelle di chi avrebbe goduto entro pochi mesi di una pensione media di 642 euro mensili; perché di questo stiamo parlando, di pensioni basse, che per la singola donna sono un valore inestimabile, ma come risparmio una goccia nell'oceano.
Espongo quindi le seguenti note al decreto ministeriale in attesa di pubblicazione, previsto dal comma 15 dell'articolo 24 legge 214/2011, si evidenziano le seguenti violazioni in termini di gerarchia delle fonti, qualora dovesse essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale, come da testo su carta intestata del Ministero che sta circolando:
articolo 24, comma 14, della legge n. 214/2011, deroghe con mantenimento dei previgenti requisiti;
lettera a), lavoratori in mobilità ordinaria a seguito di accordi stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 e che maturano i requisiti pensionistici entro il termine del periodo di mobilità;
lettera b), lavoratori in mobilità lunga per accordi stipulati entro il 4 dicembre 2011; non è corretto che il decreto preveda arbitrariamente la cessazione dell'attività lavorativa alla data del 4 dicembre 2011; la legge prevede la stipula dell'accordo, non la cessazione del lavoro, pertanto si penalizzano tutti quei lavoratori che pur rientrando in accordi di mobilità hanno cessato l'attività lavorativa, in base all'accordo firmato, dopo il 4 dicembre 2011.

Va segnalato inoltre che ad oggi il Ministro del lavoro non ha ancora emanato, nonostante diverse sollecitazioni sia di parte sindacale che politica, il decreto di copertura per i derogati di cui alla legge n. 122/2010, che non rientravano nei cosiddetti 10.000 lavoratori e che hanno il diritto al pensionamento con i requisiti ante legge n. 122/2010. Ad oggi quindi, i lavoratori che maturano il trattamento pensionistico nel 2012, sono senza alcuna forma di reddito; per il 2011 è stato registrato il numero 63655 il 5.1.12, con il colpevole ritardo del Ministro Sacconi; la Ministra Fornero l'aveva firmato a pochi giorni dalla sua nomina; questo le è stato riconosciuto, ma adesso si è in ritardo sul 2012.
Lettera c), lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 sono titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà (articolo 28 legge n. 662/1996 - bancari, ferrovieri eccetera), nonché lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati prima del 4 dicembre, l'accesso ai predetti fondi di solidarietà. In questo caso il lavoratore rimane a carico del fondo fino al compimento dei 60 anni di età.
Il decreto prevede che per i lavoratori che hanno avuto l'accesso al fondo dopo il 4 dicembre 2011, la permanenza a carico del fondo di solidarietà venga portata fino al compimento di 62 anni di età, anziché, Pag. 77come previsto dalla legge, 60 anni, e non pone distinzioni tra chi ha avuto accesso al fondo prima o dopo il 4 dicembre.
Lettera d), lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione; non si tiene conto della normativa generale sulla prosecuzione volontaria; l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria vale per tutta la vita. È stato il messaggio legislativo di educazione previdenziale per cittadini e cittadine, stimolo a versare volontariamente i contributi nei periodi di inoccupazione per poter godere in futuro della pensione (una legge efficace, non spot televisivi) a questa categoria di cittadini e cittadine salvaguardati dalla legge. Il decreto impone arbitrariamente, (non essendo previsto dalla legge), che non abbiano svolto attività lavorativa nel periodo successivo all'autorizzazione per la prosecuzione volontaria dei contributi e che abbiano accreditato o accreditabile un contributo previdenziale alla data del 4 dicembre 2011 e che maturino la decorrenza del trattamento pensionistico entro 24 mesi dalla data del 4 dicembre 2011; ciò è previsto dalla legge per chi ha risolto il rapporto di lavoro entro il 31.12.11, ma non per i prosecutori volontari; non si tiene conto neppure delle deroghe previste dalle norme precedenti ed i cui costi erano già stati valutati nei vari provvedimenti. La legge n. 243/2004, all'articolo 1, comma 8 (modificata dalla legge n. 247/2007) in particolare dispone che gli autorizzati alla contribuzione volontaria entro il 20 luglio 2007 debbano mantenere le disposizioni previgenti in materia di pensione di anzianità; la norma cioè fa un esplicito rinvio alle disposizioni previste in materia di pensione di anzianità in ordine ai requisiti di accesso (35 anni di contributi e 57 anni di età) e in ordine alla decorrenza della pensione (finestra trimestrale). Non c'è alcun motivo per ritenere abrogata questa norma eccezionale. Domanda: se un autorizzato alla contribuzione volontaria ha cessato l'attività lavorativa con accordo individuale secondo quanto previsto alla lettera f), rientra nel numero degli esodati? Gli [e «le»] autorizzati alla prosecuzione volontaria ante decreto legislativo n. 503/92 mantenevano il requisito contributivo per la vecchiaia con 15 anni?
Stante l'elevazione dell'età prevista dalla legge n. 214 questi soggetti dovrebbero mantenere la deroga sul requisito contributivo. Il relativo dispositivo infatti non è stato abrogato e trattandosi di norma speciale in deroga, appunto, necessitava di un'esplicita rimozione. In conclusione gli autorizzati alla contribuzione volontaria devono essere stralciati dai limiti previsti per i derogati. Essi devono essere derogati in quanto autorizzati alla contribuzione volontaria per la presente norma, ma anche per le innumerevoli norme prodotte in precedenza. Il numero dei potenziali destinatari può essere elevato, ma non si possono calpestare diritti, senza neppure abrogare o sostituire le norme che li garantiscono o li hanno creati, e si dimostra in questo modo che l'inserimento di questa categoria in un limite di spesa, oltre ad apparire un errore, rende la norma ingestibile per l'ente previdenziale e per il ministero a meno che non si intenda modificare la norma stessa, e non certo tramite decreto ministeriale solo attuativo. È curioso che l'ente previdenziale non abbia posto con evidenza la questione degli autorizzati vista la possibile e diversificata platea, che richiede approfondimenti specifici. Gli autorizzati alla contribuzione volontaria per i motivi più vari (cessazione, aspettativa, part-time, assegno ordinario di invalidità, integrativi agricoli, sospensione, lavoro discontinuo), in assenza di un'esplicita disposizione di legge, mantengono tutti potenzialmente il diritto ad accedere con i vecchi requisiti. Il decreto semmai deve occuparsi di come scaglionare gli aventi diritto nel tempo e non come cancellare tale diritto.
Lettera e), lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 hanno in corso l'istituto dell'esonero dal servizio di cui all'articolo 72, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni con legge 6 agosto 2008, n. 133; ai fini della presente lettera l'istituto dell'esonero Pag. 78si considera, comunque, in corso qualora il provvedimento di concessione sia stato emanato prima del 4 dicembre 2011.
Il decreto anche su questo modifica la legge e anziché l'emanazione del decreto pretende che siano già in posizione di esonero dal servizio alla data del 4 dicembre 2011.
Lettera f), lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto entro il 31 dicembre 2011, in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile, o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, a condizione che ricorrano i seguenti elementi: la data di cessazione del rapporto di lavoro risulti da elementi certi e oggettivi, quali le comunicazioni obbligatorie agli ispettorati del lavoro o ad altri soggetti equipollenti, indicati nel medesimo decreto ministeriale; il lavoratore risulti in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla previgente disciplina pensionistica, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro un periodo non superiore a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011.
Per questa tipologia di deroghe, introdotte con il mille proroghe il decreto prescrive che fermo restando la cessazione del rapporto di lavoro entro il 31.12.2011, non deve esservi stata alcuna successiva rioccupazione in qualsiasi altra attività lavorativa, condizione non prevista dalla legge e che rischia di creare ingiustizie significative.
A tali interpretazioni gravi e restrittive per la platea degli aventi diritto alla salvaguardia dei requisiti previgenti seguono altre criticità che si erano già verificate.
Con la circolare Inps n. 35 del 14 marzo 2012 erano già state interpretate le norme in modo restrittivo e in modo non conforme alla legge; la deroga prevista dal comma 14 dell'articolo 24 è estesa anche alle lavoratrici che in via sperimentale, fino al 31.12.2015 optano, ai sensi dell'articolo 1, comma 9 della legge 23 agosto 2004, n. 243, per la liquidazione del trattamento pensionistico di anzianità secondo le regole del sistema contributivo.
Con la suddetta circolare si prevede che lo speciale regime delle donne operante nel periodo 2008-2015, sia consentito solo per coloro che maturano la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 31.12.2015 e ciò comporta che potranno fruire della suddetta possibilità già transitoria solo le donne che maturano i requisiti pensionistici entro il 30 settembre 2014, a cui appunto devono aggiungersi 12 mesi di finestra e 3 mesi per l'aspettativa di vita. Occorre ricordare che le finestre di 12 mesi vengono introdotte dalla legge n. 122/2010, articolo 12, solo per i lavoratori e le lavoratrici che accedevano a pensione ai sensi dell'articolo 1, comma 6, della legge n. 243/2004. Il regime speciale delle donne è disciplinato dall'articolo 1 comma 9 e pertanto fuori dall'ambito di applicazione delle regole di differimento enunciate. Sarebbe sufficiente una interpretazione autentica che chiarisca che alle donne in opzione non si debba applicare la finestra di 12 mesi e neppure la finestra semestrale introdotta dalla legge 243/2004.
Pensione di vecchiaia e requisito contributivo: la legge n. 214/2011 non ha abrogato il decreto legislativo n. 503/1992 che consentiva l'accesso alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi a coloro che avessero maturato almeno 15 anni di contribuzione entro il 31.12.1992 o avessero avuto a quella data l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria o avessero un'anzianità contributiva di almeno 25 anni con almeno 10 anni in cui risultassero occupati per meno di 52 settimane.
Con la circolare di cui sopra l'Inps sembra portare a 20 anni il requisito minimo contributivo per l'accesso alla pensione di vecchiaia senza che peraltro sia mai stato abrogato il decreto legislativo n. 503/1992. Si tratta ancora una volta di una norma speciale in deroga che necessitava eventualmente di un'abrogazione esplicita, non una modifica con circolare.
Mi sembra importante a questo punto richiamare l'intreccio tra la storia del sistema pensionistico e l'andamento dell'occupazione Pag. 79e le regole del mercato del lavoro. Se fossimo in un periodo di piena occupazione lo spostamento in avanti della possibilità di andare in pensione potrebbe risolversi in un periodo di lavoro aggiuntivo; qualcuno si lamenterebbe, ma si potrebbe affrontare. La tragedia è agire sulle pensioni, far cassa sulle pensioni, in un periodo di grave crisi economica, di mancanza di lavoro, quando, quindi, la pensione viene vista come unica speranza per avere un'entrata che permetta di vivere. La riforma degli ammortizzatori sociali era all'ordine del giorno, ma in un periodo come questo ci sarebbe bisogno di renderli universali, di aumentare gli importi e aumentare la durata, perché la pensione possa essere ritardata, perché la crisi rischia di lasciare troppa gente senza lavoro, senza ammortizzatore sociale e senza pensione e questo non può essere accettato.
Nel 1898 la previdenza sociale muove i primi passi con la fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Si tratta di un'assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch'esso libero degli imprenditori.
Nel 1919, dopo circa un ventennio di attività, la Cassa ha in attivo poco più di 700.000 iscritti e 20.000 pensionati. In quell'anno l'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia diventa obbligatoria e interessa 12 milioni di lavoratori. È il primo passo verso un sistema che intende proteggere il lavoratore da tutti gli eventi che possono intaccare il reddito individuale e familiare. Nel 1933 la CNAS assume la denominazione di Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma.
Nel 1939 sono istituite le assicurazioni contro la disoccupazione, la tubercolosi e per gli assegni familiari. Vengono, altresì, introdotte le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o ad orario ridotto. Il limite di età per il conseguimento della pensione di vecchiaia viene ridotto a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne; viene istituita la pensione di reversibilità a favore dei superstiti dell'assicurato e del pensionato.
Nel 1952, superato il periodo post-bellico, viene introdotta la legge che riordina la materia previdenziale: nasce il trattamento minimo di pensione. Lo Stato si rende conto che con la pensione si deve poter vivere e che guerre e difficoltà economiche possono aver portato ad avere contributi insufficienti per una pensione equa.
Nel periodo 1957-1966 vengono costituite tre distinte Casse, per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, per gli artigiani e per i commercianti.
Nel periodo 1968-1969 il sistema retributivo, basato sulle ultime retribuzioni percepite, sostituisce quello contributivo nel calcolo delle pensioni. Nasce la pensione sociale. Viene cioè riconosciuta ai cittadini bisognosi che hanno compiuto 65 anni di età una pensione che soddisfi i primi bisogni vitali. Vengono predisposte misure straordinarie di tutela dei lavoratori (Cassa integrazione guadagni straordinaria e pensionamenti anticipati) e per la produzione (contribuzioni ridotte e esoneri contributivi). È del 1971 anche il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre, n. 1432 che ha riordinato completamente la materia della prosecuzione volontaria, raccogliendo e coordinando in modo organico le norme precedenti e costituisce ancora oggi la norma di riferimento.
Non a caso si tratta degli anni delle grandi mobilitazioni del movimento dei lavoratori e delle donne: è del 1970 lo statuto dei lavoratori, è del 1971 la legge a tutela della maternità che prevede la non licenziabilità delle donne in gravidanza e fino ad un anno dopo la nascita e prevede l'erogazione dell'indennità per maternità; è la dimostrazione che le norme previdenziali si adeguano all'entrata delle donne in modo sempre crescente nel mondo del lavoro. Nel 1977 la legge di parità di retribuzioni tra uomini e donne (ma è ancora lontana, purtroppo, la reale applicazione). Nel 1978 la grande riforma sanitaria, il diritto all'assistenza sanitaria Pag. 80come diritto di cittadinanza e non solo legata al lavoro, all'essere o meno occupato o lavoratore autonomo.
Nel 1980 viene istituito il Sistema Sanitario Nazionale. Sono affidati all'INPS la riscossione dei contributi di malattia e il pagamento delle relative indennità, compiti assolti in precedenza da altri enti.
Nel 1984 il legislatore riforma la disciplina dell'invalidità, collegando la concessione della prestazione non più alla riduzione della capacità di guadagno, ma a quella di lavoro. Anche questa è stata una grande modifica che ha tenuto conto delle modificazioni nella società e nelle regole del mercato: fino alla legge n. 222/84 si consideravano le condizioni socioeconomiche del territorio in cui il lavoratore, la lavoratrice lavorava e quanto in quel territorio la situazione di invalidità che si presentava riduceva la capacità di guadagno quindi si verificavano le possibilità occupazionali e di reddito con cui avrebbe potuto vivere la persona che si trovava in situazione di invalidità. Il passaggio dal concetto di verifica della riduzione di un terzo della capacità di guadagno alla verifica di possibilità o meno di poter lavorare e nella condizione di inabilità liquidare la pensione come se il lavoratore o la lavoratrice avesse lavorato fino alla maturazione della pensione di vecchiaia è stata la dimostrazione reale dell'intervento previdenziale in una società in cui il lavoro è il mezzo per poter vivere e che deve garantire anche una vita da anziani e/o da invalidi con una pensione dignitosa.
Nel 1989 entra in vigore la legge di ristrutturazione dell'INPS, che rappresenta un momento di particolare importanza nel processo di trasformazione dell'ente in una moderna azienda di servizi; è stata la prima legge che ha cercato di separare la previdenza dall'assistenza, proprio per poter capire e monitorare costantemente l'equilibrio delle gestioni.
Nel 1990 viene attuata la riforma del sistema pensionistico dei lavoratori autonomi. La nuova normativa, che ricalca per vari aspetti quella in vigore per i lavoratori dipendenti, lega il calcolo della prestazione al reddito annuo di impresa.
Nel 1992 l'età minima per la pensione di vecchiaia viene elevata a 65 anni per gli uomini e a 60 anni per le donne; per la pensione di anzianità si alza il requisito da 35 anni a 40, ma con gradualità, la gradualità che abbiamo richiesto anche per il salvaitalia.
Nel 1993 viene introdotta in Italia la previdenza complementare, che si configura come un sistema volto ad affiancare la tutela pubblica con forme di assicurazione a capitalizzazione di tipo privatistico.
Nel 1995 viene emanata la legge di riforma del sistema pensionistico (legge Dini) che si basa su due principi fondamentali: il pensionamento flessibile in un'età compresa tra i 57 e 65 anni (uomini e donne); il sistema contributivo, per il quale le pensioni sono calcolate sull'ammontare dei versamenti effettuati durante tutta la vita lavorativa, anche questo passaggio con gradualità.
La Ministra Fornero ha operato una reale riforma strutturale: calcolo contributivo per tutti dal primo gennaio 2012. Su questo si è registrato un consenso unanime, ma sull'abrogazione delle quote altrettanto unanimemente tutti si sono espressi negativamente, tutti gli interventi qui in aula il 20 giugno lo hanno ampiamente motivato. Vanno tenuti in considerazione in particolare gli interventi di esponenti che sostengono l'attuale Governo, ma che sono stati fortemente critici; li cito in ordine di intervento: gli onorevoli Cazzola, Damiano, Nedo Poli, Muro e il presidente della Commissione lavoro onorevole Moffa; il Governo e la Ministra devono tener conto di queste posizioni.
Nel 1996 diviene operativa la gestione separata per i lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi, professionisti non iscritti ad altra previdenza obbligatoria e venditori porta a porta) che fino a quella data non avevano alcuna copertura previdenziale. Questa è stata un'altra dimostrazione molto significativa della capacità del sistema previdenziale di rispondere alle modifiche del mondo del lavoro: non esistevano più solo il lavoro dipendente o autonomo o professionale, Pag. 81ma tante altre forme di possibili lavori e quindi si è creata la gestione separata per permettere a tutti di avere una previdenza pubblica obbligatoria che porti alla pensione!
Nel 2003 sono stati approvati la legge e il conseguente decreto legislativo che hanno dato vita alla riforma del mercato del lavoro, ispirata alle idee e agli studi del professor Marco Biagi, anche se interpretati dal Ministro in carica.
Nel 2004 è stata approvata la legge delega sulla riforma delle pensioni. La maggior parte delle novità introdotte dalla riforma saranno operative dal 2008, mentre è entrato subito in vigore il provvedimento relativo all'incentivo per il posticipo della pensione.
Nel 2007 viene approvata una legge che modifica nuovamente i requisiti richiesti per l'accesso al trattamento pensionistico e le finestre di uscita dal lavoro. Tra i punti salienti della riforma la revisione automatica dei coefficienti di trasformazione che incidono sul calcolo della pensione e l'introduzione, a partire dal 2009, del cosiddetto «sistema delle quote» in base al quale il diritto alla pensione di anzianità si perfeziona al raggiungimento di una quota data dalla somma tra l'età anagrafica minima richiesta e l'anzianità contributiva; si era già arrivati all'età anagrafica minima, ma si sono salvaguardati i lavoratori che erano in mobilità, in prosecuzione volontaria, con chiare regole!
Nel 2009 una nuova legge di riforma dispone che i requisiti di età per ottenere la pensione vengano adeguati all'incremento della speranza di vita accertato dall'Istat. La diffusione del nuovo strumento dei buoni lavoro per il pagamento del lavoro occasionale accessorio e nuove norme e sinergie istituzionali rafforzano il ruolo dell'Istituto nel contrasto al lavoro nero e nel recupero dei crediti contributivi.
Nel 2010 vengono adottate ulteriori misure dichiarate «per stabilizzare il sistema pensionistico» a dire il vero già stabilizzato con tutte le riforme precedenti; a conferma di ciò si possono anche rileggere le relazioni annuali del Presidente Mastrapasqua alla Camera sul bilancio annuale dell'Inps. Viene confermato e accelerato il meccanismo di adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita e viene introdotta una finestra «mobile» per l'accesso alla pensione in sostituzione dei precedenti termini di decorrenza, 12 mesi per tutti i lavoratori e le lavoratrici privati e pubblici e 18 mesi per autonomi e chi si ritrovava ad utilizzare la liquidazione della pensione in totalizzazione. La legge n. 122/2010 ha anche reso onerose tutte le ricongiunzioni anche verso l'Inps, ma siamo ancora in attesa di risolvere ciò che era già stato riconosciuto come errore in quest'aula il 27 luglio del 2011.
La prosecuzione volontaria merita una particolare attenzione e va considerata come argomento a sé, la sua istituzione dimostra la serietà di un paese che invita cittadini e cittadine a tener conto che si vivrà anche dopo la fine del lavoro e che si deve pensare alla pensione durante tutta la vita. La possibilità di prosecuzione volontaria è il vero messaggio educativo, non gli spot televisivi che ci sono stati presentati il 29 maggio alla Camera in occasione della relazione annuale sul bilancio dell'Inps; la prosecuzione volontaria è ricordare a cittadini e cittadine che nei periodi di inoccupazione devono pensare alla pensione e versare i contributi; per incentivare questa scelta responsabile verso il futuro la legislazione ha sempre garantito sicurezza e vantaggi a chi si era ritrovato costretto a far domanda di prosecuzione volontaria perché aveva perso il lavoro o per tante altre situazioni particolari e personali che nella vita possono accadere. La prima legge che non ha riconosciuto il diritto alla salvaguardia dei requisiti previgenti è stata la n. 122/2010 che ha applicato a tutti i lavoratori dipendenti la finestra di 12 mesi e agli autonomi di 18 mesi per la decorrenza del trattamento pensionistico dopo la maturazione dei requisiti senza esentare i prosecutori volontari, il salva Italia ha posto tra i salvaguardati chi ha fatto domanda di prosecuzione volontaria entro il 4.12.11, ma il decreto ministeriale applicativo ha introdotto Pag. 82limiti aggiuntivi non previsti dalla legge; per fortuna il decreto ministeriale non è ancora stato pubblicato quindi forse qualcuno si è accorto che un decreto applicativo deve applicare la legge cui si riferisce e non inventare nuovi requisiti.
La disciplina della prosecuzione volontaria, introdotta nell'ordinamento previdenziale quasi contemporaneamente all'obbligo del versamento contributivo, ha subito nel corso degli anni numerose e profonde modifiche.
Il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1432 ha riordinato completamente la materia della prosecuzione volontaria, raccogliendo e coordinando in modo organico le norme precedenti e costituisce ancora oggi la norma di riferimento.
Le innovazioni più rilevanti introdotte dal decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1432, entrato in vigore in data 1.7.1972, hanno riguardato: l'introduzione del versamento dei contributi volontari a mezzo bollettini di c/c postale, con scadenza trimestrale, in sostituzione del precedente sistema di versamento con marche da applicare su tessere assicurative rilasciate dall'Inps; la completa parificazione dei contributi volontari a quelli obbligatori; la validità dell'autorizzazione alla prosecuzione volontaria sino al momento del pensionamento senza decadenza dall'autorizzazione concessa in caso di mancato versamento dei contributi volontari.
La Legge 18 febbraio 1983, n. 47, entrata in vigore il 12.3.1983, ha modificato i requisiti per il rilascio dell'autorizzazione alla prosecuzione volontaria e ha sancito il principio che non consente di effettuare i versamenti volontari per i periodi durante i quali l'assicurato è iscritto ad una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi ovvero a casse od enti comunque denominati che gestiscono forme di previdenza per i liberi professionisti.
Il decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184, entrato in vigore in data 12.7.1997, emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, contiene le norme che attualmente disciplinano i requisiti per la prosecuzione volontaria. La nuova disciplina, peraltro, come espressamente previsto dall'articolo 9 non si applica alle domande presentate in data anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo.
Il decreto legislativo n. 184/1997 ha esteso le disposizioni prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1432/1971 e dalla legge n. 47/1983 ai lavoratori iscritti: ai fondi sostitutivi ed esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria, abrogando in tal modo tutte le norme che disciplinavano la concessione dell'autorizzazione ai versamenti volontari nei singoli Fondi; alla gestione separata introdotta dall'articolo 2, comma 26 della legge n. 335/95.
Il decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278, disciplina i requisiti per il rilascio dell'autorizzazione alla prosecuzione volontaria, integrando e modificando quanto già previsto dal decreto legislativo 30 aprile 1987, n. 184.
Improvvisamente sembra che tutta la significativa storia della prosecuzione volontaria con l'elevato significato di sicurezza sociale che ha sempre rappresentato sia messa in discussione da un decreto ministeriale che non rispetta neanche la legge di cui dovrebbe essere applicazione.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO RAFFAELE VOLPI IN SEDE DI ESAME DELLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 5256

RAFFAELE VOLPI. Presidente, colleghe e colleghi, presentiamo oggi a questo provvedimento una pregiudiziale di costituzionalità che ha presupposti di merito ma inevitabilmente anche forti fondamenta politiche.
Nel merito evidenziamo alcuni passaggi.
Innanzitutto, la scelta del Governo di procedere ad una riforma del mercato del lavoro coprendone i relativi oneri attraverso nuove imposizioni fiscali e maggiori costi aziendali, colpendo cittadini e famiglie Pag. 83già drammaticamente lesi dalla crisi economica in atto, invece che percorrendo la strada dei tagli alla spesa pubblica, in un'ottica di risparmio e riduzione degli sprechi, evidenzia una violazione del principio di cui al secondo comma dell'articolo 54 della Costituzione.
Il provvedimento all'esame nulla attua in merito al superamento del dualismo tra sistema pubblico e sistema privato demandando, al comma 8 dell'articolo 1, in un futuro senza certezza dei tempi, l'armonizzazione della disciplina lavoristica del settore pubblico con quello privato.
Nessuna norma immediatamente precettiva che equipari, con l'obiettivo di aumentare la produttività a parità di salario, l'orario ordinario di lavoro applicato al comparto del pubblico impiego a quello del settore privato (oggi rispettivamente di 36 e di 40 ore); nessuna disposizione volta a prevedere e regolare anche nel pubblico impiego i licenziamenti individuali per giusta causa o giustificato motivo.
Questa esclusione del settore statale della riforma vìola palesemente il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione.
L'aumento del cuneo fiscale, ovvero la differenza tra costo del lavoro pagato dalle imprese e reddito percepito dal lavoratore, non genererà virtuosismi occupazionali, come utopicamente auspicato, perché il sistema delle imprese non è in grado oggigiorno di sostenere nuovi ed ulteriori oneri.
Si rischia invece che il maggior carico contributivo sia fatto pagare ai lavoratori sotto forma di salari più bassi in manifesta inadempienza del dettame costituzionale.
Si ravvisa, inoltre, una violazione del principio ex articolo 81, ultimo comma, della Costituzione, relativamente alle disposizioni sulla flessibilità in uscita dal punto di vista processuale, mancando ab origine una quantificazione degli oneri scaturenti dal nuovo carico di lavoro per la magistratura.
Ebbene, un provvedimento che palesa l'approccio tipico della teoria che ben poco si conforma con la realtà della pratica. Pratica che si rivolge ad un mondo non fatto di numeri, elemento già di per se stesso critico per questo Governo e per questo ministro, ma di persone, giovani e meno giovani, di progetti di vita, di speranze e di aspettative.
Elementi non marginali della nostra Costituzione. Anzi.
La Costituzione italiana ha proprio la particolarità di avere al suo interno una consistente parte economica nella quale vengono elevati a principi fondamentali i diritti del lavoro e delle rappresentanze.
Una Costituzione che arriva a definire il Paese una Repubblica fondata sul lavoro.
Presidente, colleghe e colleghi, loro sanno meglio di me che proprio sul «lavoro» i costituenti più autorevoli si confrontarono in un dibattito profondo.
Un confronto che vide le posizioni politiche e storiche misurarsi anche con forza per tradurre le necessità ideali in un dettato concreto.
Ma con un presupposto reale ed attuale: il lavoro è un diritto e su questo diritto si riconosce la conflittualità regolamentata come strumento.
E qui si arriva alla nostra contestazione del prodotto e del metodo.
È secondo voi, colleghi, nell'alveo della filosofia della Costituzione l'approvazione di una così ampia riforma, proprio sul lavoro, fatta a colpi di fiducia? Quattro fiducie al Senato e certamente altrettanto alla Camera.
Presidente e colleghi, è naturale superare i principi costituzionali della rappresentanza per arrivare all'approvazione di quella riforma già definita una boiata?
Riteniamo svilente ma ancora di più pericoloso il metodo con cui si procede.
La Costituzione è violata nei suoi principi. È violata per codardia!
Sindacati che dicono che la riforma non va bene ma che bisogna approvarla.
Organizzazioni datoriali che dicono che fa schifo ma bisogna approvarla.
Partiti politici, coi i loro segretari e i loro gruppi parlamentari, che dicono che la riforma non va bene ma bisogna approvarla. Pag. 84
Presidente, colleghi, pensate che si immaginassero questo i costituenti quando nella Carta inserirono le parti forti ed innovative sulla libertà di rappresentanza sindacale o quando dettarono in modo così solenne la libertà del mandato parlamentare?
Non credo proprio e voi lo sapete come me!
E lo sanno i cittadini, là fuori, che non si sentono, ormai, più rappresentati. Indifesi dinnanzi alla codardia delle loro ormai presunte rappresentanze.
Lo sanno e si lacerano nella loro intime convinzioni politiche quando sentono le proposte di baratti scellerati; il voto a questo provvedimento in cambio di un inesistente intervento sugli esodati.
Uno scambio inaccettabile specie se proviene da sinistra, uno scambio diritto su diritto, da restare senza parole.
Come da destra arriva sempre il «penultimatum»: questa è l'ultima volta! E intanto votate insieme una riforma riprovevole che riguarda tutti i cittadini.
Da rimanere senza parole per il vostro cinismo che non è da meno di quello del Ministro.
E con questo strumento così poco condiviso e già in aria di modifica che il Presidente Monti intende andare in Europa? Si accontenta di poco, però questo poco è fatto sulla pelle dei lavoratori.
Gli statisti hanno ben altro spessore, ben altro, rispetto ben altro coraggio. E di statisti, nonostante le personali illusioni di alcuni, non ne vediamo certo né tra le file della maggioranza né tra quelle del governo.
La Costituzione viene calpestata anche quando si sente dire che il Parlamento voterà una legge che non va bene perché bisogna darla in pasto all'Europa.
Tanto poi, gabbata l'Europa, la cambieremo.
È questo che i più importanti esponenti dei partiti di maggioranza, ovvero gli statisti immaginari, pensano di questo Parlamento?
Assemblee truffaldine che con la complicità di un Governo nullocratico decidono di truffare i partner europei.
Che delusione, colleghi.
Vi chiediamo appello alle vostre coscienze politiche e personali.
Vi chiediamo di non essere conniventi nello scempio del ruolo del Parlamento e quindi della Costituzione.
Vi chiediamo di ascoltare la voce pressoché univoca dei vostri elettori che vi dicono di non votare in questo modo questo provvedimento.
Vi chiediamo di tornare nelle differenze a volare alto non facendovi ricattare da situazioni esterne e strumentali.
Vi chiediamo di ridare un senso al Parlamento votando la nostra pregiudiziale di costituzionalità.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 5256 Quest. preg. cost. 1 e 2 438 432 6 217 60 372 40 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.