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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 635 di lunedì 21 maggio 2012

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 15,30.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 16 maggio 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Barbi, Caparini, Cicchitto, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Renato Farina, Franceschini, Lupi, Mecacci, Milanato, Leoluca Orlando, Stefani, Stucchi e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ventiquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Paniz e Carlucci; De Angelis ed altri; Amici e Giachetti; Borghesi ed altri: Modifiche all'articolo 191 del codice civile e all'articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di scioglimento del matrimonio e della comunione tra i coniugi (A.C. 749-1556-2325-3248-A) (ore 15,33).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati Paniz e Carlucci; De Angelis ed altri; Amici e Giachetti; Borghesi ed altri: Modifiche all'articolo 191 del codice civile e all'articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di scioglimento del matrimonio e della comunione tra i coniugi.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 749-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare della Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Paniz, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURIZIO PANIZ, Relatore. Signor Presidente, nel nostro ordinamento è stata introdotta, il 1o dicembre 1970, con la legge n. 898, la possibilità di divorziare. Nel 1974 il popolo italiano ha scelto di mantenere questa norma. Hanno partecipato Pag. 2alla consultazione referendaria l'87,7 per cento degli aventi diritto, quindi un numero assolutamente molto rilevante, e la proposta referendaria è stata bocciata con il 59,3 per cento dei consensi rispetto al 40,7 per cento di favorevoli. Quindi, un risultato che confermava che, già una quarantina d'anni fa, il popolo italiano era favorevole all'esistenza nel nostro ordinamento della normativa sul divorzio.
Nel 1987 il Parlamento ha ridotto da cinque a tre anni il tempo previsto per poter introdurre, dopo la pronuncia di separazione, la domanda di divorzio.
Nell'anno 2003 questa Camera ha affrontato la tematica di una contrazione di tale termine, ritenendo di non poter accogliere la proposta di legge che «passava» de plano da tre anni ad un anno il termine. Nella materia è stata poi introdotta, nel 2006, la legge sull'affidamento condiviso, che è diventata una realtà nella materia del diritto di famiglia per tutto il popolo italiano.
Oggi il Parlamento inizia in sede di Aula l'esame di questo testo unificato che prevede, attraverso un intervento mediatorio sul quale si sono spesi in molti, di ridurre da tre anni ad un anno i tempi per l'introduzione della domanda di divorzio nel caso in cui la coppia non abbia figli minori; in tale ultima eventualità il termine è invece di due anni.
Si tratta di una proposta che ha trovato in sede di Commissione un consenso tutto sommato molto ampio, tant'è vero che gli emendamenti sono stati respinti con votazioni quasi complessivamente plebiscitarie.
Questa normativa si inserisce in un quadro statistico che è profondamente cambiato nel panorama nazionale. È bene ricordare, infatti, che nel 1971, anno immediatamente successivo all'entrata in vigore della legge sul divorzio, in Italia sono stati celebrati 415.478 matrimoni. Il numero di matrimoni è andato progressivamente calando: nel 1980 erano già 323 mila, nel 1999 erano già 275 mila circa, nell'anno 2010 siamo scesi a 217.076 matrimoni.
Il calo è evidentissimo e rispecchia quello che è un orientamento del Paese. In questo contesto ci sono stati il 13,8 per cento di unioni in seconde nozze, circa 28 mila. Residuano, pertanto, un numero di primi matrimoni in ragione di 190 mila circa.
Il 62,8 per cento ha scelto il rito religioso concordatario e il 37,2 per cento il rito civile. Il 64,2 per cento nel 2010 ha scelto il regime della separazione dei beni, mentre il 35,8 per cento ha scelto il regime della comunione dei beni.
Se questi sono i dati relativi ai matrimoni, ci sono poi i dati statistici relativi alle separazioni e ai divorzi. Nel 1971 il numero delle separazioni era di 18.486. È andato progressivamente crescendo fino a raggiungere, nel 2009, le 85.945 separazioni pronunciate dallo Stato italiano. Il numero dei divorzi, originariamente di 17.134 nel 1971, è andato crescendo fino a raggiungere le 54.351 pronunce nell'anno 2009. Sono stati coinvolti, in quell'anno, in sede di separazione, circa 97 mila figli minori. In relazione alle pronunce di divorzio i figli minori coinvolti erano quasi 52 mila.
Su questo panorama si inserisce il quadro normativo che noi stiamo valutando se modificare.
È noto a tutti, peraltro, quale è la situazione in Europa. Non diciamo addirittura nel mondo perché è noto, ad esempio, che in Brasile si passa al divorzio attraverso una mera pronuncia di contenuto amministrativo con una firma apposta in sede di uffici di stato civile.
In Europa, nei Paesi omologhi (Germania, Spagna, Francia, Gran Bretagna e Svezia), la tempistica di divorzio è assolutamente breve e si esaurisce dai quattro ai sei mesi. In qualche Stato addirittura senza passare attraverso il vaglio del giudice, ma si passa soltanto attraverso un percorso di carattere amministrativo legato all'attività degli uffici di stato civile.
In gran parte dei Paesi d'Europa non esiste il duplice percorso della separazione e del divorzio, ma esiste un percorso unico per cui dal matrimonio si passa direttamente al divorzio. Pag. 3
In due soli Paesi, per quanto è noto al relatore, cioè l'Irlanda e la Polonia, esiste una tempistica per passare dalla separazione al divorzio, o meglio per passare al divorzio, più articolata sul piano cronologico rispetto a quello che avviene in Italia.
È noto, poi, che esiste un cosiddetto fenomeno del turismo divorzile per cui, oggi come oggi, vi sono coppie che, per accedere immediatamente al divorzio, ricorrono alla normativa di alcuni Paesi dell'ambito europeo, per esempio la stessa Romania che nell'arco di un bimestre consente di sciogliere integralmente un matrimonio ottenendo poi la convalida in Italia della relativa pronuncia.
Su questo tema va anche ricordato che il Consiglio di giustizia della Comunità europea a Strasburgo, il 4 giugno 2010, ha emesso una direttiva che ha semplificato moltissimo il percorso di definizione dei divorzi per le cosiddette coppie miste. Molti, in sede di interventi sui massimi organi mass media in Italia, sia radiotelevisivi che giornalistici, hanno auspicato ormai da tempo un intervento del Parlamento in questa materia. Ricordo, tra i tanti, gli interventi di Cesare Rimini sul Corriere della Sera. Ricordo una pluralità di segnalazioni per evitare che nel Paese si maturi uno scollamento tra il convincimento della maggior parte della società civile rispetto alla posizione del Parlamento.
Ricordo che stiamo discutendo soltanto il tema della contrazione dei tempi tra separazione e divorzio: in questa logica non è stato possibile esaminare la proposta dell'onorevole Bernardini per conto del mondo radicale che avrebbe voluto eliminare de plano la tempistica e il merito della separazione per passare immediatamente al divorzio. Per la stessa logica non potrà essere affrontato l'esame della proposta dell'onorevole Borghesi che dovrebbe porsi sulla stessa linea.
Quindi, in questo momento noi affrontiamo un testo unificato frutto di tre proposte di legge che sulla materia sono state presentate con impostazione leggermente diversificata nel testo iniziale, ma poi confluita attraverso il testo di mediazione che ho prima ricordato.
Su questo testo di mediazione, con il passaggio da tre anni a un anno, salvo per le coppie che hanno figli minori (per cui vi è il passaggio da tre anni a due anni), ricordo che ha influito non poco anche la constatazione che negli ultimi 10-15 anni vi è stato un aggravamento molto consistente dei tempi giudiziari per il conseguimento della pronuncia di divorzio. Oggi la media nazionale è di 582 giorni, che si aggiungono ai tre anni previsti dal quadro normativo attuale. Quindi, se tanto dà tanto, siamo quasi al quinquennio che la Camera e il Senato avevano ridotto fin dal 1987.
Il legislatore, con questa proposta, ha voluto tener conto, in maniera specifica, dell'interesse del minore. Qualcuno ha prospettato una questione di costituzionalità, perché la individuazione di una tempistica diversa per le coppie che abbiano o non abbiano figli minori potrebbe essere violatoria del principio di uguaglianza.
In realtà, noi non crediamo sia così, perché nella Carta costituzionale è prevista una forte attenzione per i figli, vieppiù se figli minori. Quindi, riteniamo che la divisione nelle due categorie sia ampiamente giustificata e consenta di pervenire ad una decisione nei termini che sono stati prospettati. I figli minori hanno una protezione costituzionale di rango significativo e riteniamo che tale protezione sia tale da poter giustificare la proposta che viene passata all'esame dell'Aula parlamentare.
Lo ricordo in termini molto chiari: questo è un provvedimento di mediazione tra diversi punti di vista. So perfettamente che nel nostro panorama nazionale esiste, ed è legittimo che esista, il convincimento di coloro che pensano che il divorzio rappresenti un'opportunità da non favorire.
È assolutamente fisiologico che esistano convincimenti di tipo confessionale, religioso cattolico, per i quali il matrimonio è indissolubile. Ma, nel nostro ordinamento il divorzio è ormai una realtà - mi Pag. 4permetto di dire - indiscutibile. Noi discutiamo soltanto se mantenere la tempistica attuale o vedere di favorire quelle coppie che intendono riaprirsi un nuovo percorso di vita matrimoniale, come testimoniano i numeri che ho ricordato in premessa, con circa 28 mila coppie che sono passate in sede di seconde nozze.
Come sempre, quando si lavora in termini di mediazione è chiaro che vi è qualcuno che rimane più contento e qualcuno che rimane meno contento. La considerazione è assolutamente fisiologica in casi di questo genere. Però, credo che il percorso che ha fatto la Commissione giustizia sia stato ampiamente meditato.
Noi abbiamo avuto e abbiamo la ferma convinzione che il passaggio da tre anni ad un anno o da tre anni a due anni non determini un aumento delle separazioni o dei divorzi e non impedisca, in alcun modo, le riconciliazioni. Le riconciliazioni se si verificano - e l'esperienza di chi lavora nel campo lo sa perfettamente - è per effetto di un convincimento personale dei protagonisti della vicenda e non per effetto di un intervento legislativo che imponga scelte di un certo genere o scelte di un altro genere.
Nel caso specifico, mi pare che la tempistica mediatoria che è stata individuata rappresenti un punto di equilibrio assolutamente corretto. Molti hanno pensato e pensano che i tre anni in vigore, aggiunti alla tempistica giudiziale che ho ricordato essere particolarmente appesantita nell'ultimo decennio, siano non solo eccessivi ma, addirittura, afflittivi per quelle coppie che vogliono rendersi nuovamente libere, soprattutto per poter contrarre un nuovo e diverso matrimonio.
La proposta, poi, oltre a considerare questa tematica cosiddetta cronologica ne affronta una seconda, che è quella della cessazione della comunione tra i coniugi. Il regime di comunione cessa, nel vigore della normativa attuale, con la pronuncia di separazione.
Si tende, con il testo che viene sottoposto all'esame dell'Aula, ad anticiparla al momento in cui i coniugi vengono autorizzati dal presidente del tribunale o dal magistrato delegato a vivere separati. Si vuole in tal modo evitare che ci possano essere posizioni «ricattatorie», come spesso avviene per coloro che allungano od ostacolano il percorso proiettato alla separazione, nella convinzione che, permanendo il regime della comunione dei beni, si possa «lucrare» qualcosa di più.
Queste sono le ragioni per le quali la Commissione giustizia ha proposto questo testo di mediazione, fermo restando che, se ci saranno delle opportunità di miglioramento, il relatore ed il Comitato dei nove non hanno assolutamente preclusioni a determinarle con il massimo della serenità e della disponibilità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

SALVATORE MAZZAMUTO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, preferisco dire due parole in questa prima fase della trattazione del testo unificato perché ritengo di dovermi complimentare per il lavoro svolto dalla Commissione.
Mi pare che, da parte del Governo, ci possa essere l'assoluta condivisione della scelta che è stata effettuata: ci si è sforzati di modernizzare il nostro sistema, ma non sulla scorta esclusivamente di quelle che potremmo definire visioni ideologiche perché - ahimè - sul versante dell'ideologia della famiglia le posizioni sono svariate nel nostro Paese, pertanto già è un segno di maturità l'essere riusciti a trovare un punto di mediazione.
Il testo unificato in discussione si fa apprezzare anche perché parte da un dato fattuale: i tempi della separazione nella nostra giustizia risentono - ahimè - delle lungaggini tipiche della nostra giustizia civile. Quindi, bisognava anche correggere da questo punto di vista, il dettato normativo, proprio per ovviare a quella cronica lentezza dei nostri processi, a cui finalmente dovremmo cercare di dare una risposta di carattere generale. Qui abbiamo dato una piccola, ma importante risposta specifica, con riferimento alle questioni della famiglia.

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Saltamartini. Ne ha facoltà.

BARBARA SALTAMARTINI. Signor Presidente, ovviamente nell'iniziare il mio ragionamento in sede di discussione sulle linee generali, ringrazio anche il relatore Paniz perché indubbiamente capisco e comprendo qual è stato il lavoro difficile che ha avuto di fronte e le tante mediazioni che inevitabilmente si sono presentate nel percorso e nel dibattito che c'è stato in Commissione giustizia. Ciononostante, non appartengo a quella che è stata definita la grande maggioranza quasi plebiscitaria - se non ricordo male - che ha approvato in Commissione il provvedimento.
Vi dico che, con altrettanta onestà, ritengo - come è ovvio che sia in democrazia - che anche quando si è in minoranza, valga la pena comunque di combattere le battaglie in cui si crede e questa è una di quelle, per quanto mi riguarda.
Noi stiamo vivendo un momento particolare, in cui siamo tutti preoccupati per gli effetti della crisi e per le crescenti ed inevitabili difficoltà che ci sono per le famiglie. Proprio in questo momento sono convinta che non dobbiamo e non possiamo contribuire a rendere più fragile la famiglia - di quanto già non lo sia - in nessun modo e questo, secondo me, ossia il ragionamento sul divorzio breve, è uno dei modi in cui possiamo rendere più fragile la famiglia.
In una cultura in cui tutto è provvisorio l'introduzione di istituti che, per loro natura, consacrano - se vogliamo - la precarietà affettiva e, a loro volta, possono contribuire a diffonderla, non sono, secondo me, né un aiuto alla stabilità dell'amore, né della società stessa.
La crisi del matrimonio, che è un fenomeno ciclico, ma in questo momento storico particolarmente acuto, come anche i dati che ci ha fornito l'onorevole Paniz dimostrano, va considerata con notevole preoccupazione, perché è la causa fondamentale della crisi della famiglia, quale fattore insostituibile di stabilità intergenerazionale e di tutela sociale dei soggetti più deboli. È l'unico vero ammortizzatore sociale - lo abbiamo detto un'infinità di volte in quest'Aula - che ha fatto sì, per esempio, anche in questo momento, che l'Italia reggesse meglio di altri Paesi la crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando.
Vedete, credo che un tema come quello del divorzio meriti un'ampia riflessione, che non può essere confinata nella discussione spesso semplicistica che ci porta a dire che, visto che la società cambia, allora noi dobbiamo adeguarci. Io sono fermamente convinta invece che la politica non possa piegarsi ad una simile logica. Sono convinta che la politica, se vuole recuperare il suo senso più profondo, dovrebbe interrogarsi su quale società vogliamo costruire nell'interesse comune e fare attenzione a non invertire i termini, dunque non ragionare su quali provvedimenti mettere in campo perché si è scelto di adattarsi a quanto accade, rincorrendo, come in questo caso, il singolo, l'individualità, con le sue necessità, anziché sostenere la famiglia in quanto istituzione.
La domanda di fondo riguarda il modo in cui interpretiamo e affrontiamo i cambiamenti della famiglia. Posta in termini molto semplici, la domanda che dobbiamo porci è: dobbiamo accettare gli attuali processi di cambiamento della famiglia come un processo di evoluzione inevitabile e necessaria, che non può e non deve essere guidato da altri che non siano gli individui stessi che la vivono, oppure dobbiamo darle un senso collettivo comune e governarla nell'interesse generale? Purtroppo, leggendo l'infinita documentazione che ci arriva dall'Europa, cui spesso si fa riferimento, la cultura dominante che si sta trasmettendo mi lascia assolutamente perplessa. Si saluta come progresso la tendenza di intendere la famiglia come una forma di convivenza quotidiana in cui gli individui definiscono liberamente i loro diritti e doveri e li affermano come scelte personali su cui solo loro possono decidere.
Si plaude all'idea che una coppia felice non possa durare più di un ragionevole lasso di tempo, dopo il quale si passa ad Pag. 6un'altra esperienza di coppia. Questo può essere fatto più volte affinché l'individuo si senta realizzato. Si parla di pluralizzazione delle forme familiari. Questa nuova frontiera viene salutata con la promessa di un mondo migliore, in cui ciascuno sarà più libero ed uguale agli altri nel cercare la propria felicità individuale. La famiglia, di fatto, viene ridotta alle relazioni affettive primarie, dimenticando che essa non è un semplice gruppo primario, ma è anche un'istituzione sociale. Questa è una cultura che non mi appartiene e che io voglio combattere anche in quest'Aula e su questo provvedimento, che mi porta a dire, tra l'altro, che non è certo questa l'Europa cui io guardo.
Noi purtroppo con questo provvedimento rischiamo seriamente di avvalorare queste tesi relativiste, riducendo la famiglia ad una convivenza puramente affettiva tra persone che possono revocare in ogni momento e senza perdere troppo tempo questa appartenenza. In tal senso, è più che mai doveroso da parte nostra come legislatori riflettere prima di stravolgere una nostra tradizione giuridica consolidata e orientata al favor familiae. Dobbiamo interrogarci sul valore sociale della stabilità matrimoniale contrapposta a quel «liquido» che sembra affermarsi nel nostro Paese. Stiamo di fatto privatizzando le relazioni familiari. È evidente che le scelte personali sono e restano tali, ma è altrettanto evidente che hanno implicazioni di primaria importanza per i figli, evidentemente coinvolti, per la coppia in quanto tali, per la società nel suo insieme e per la sua crescita economica. Per questo, nel rispetto delle diverse opinioni che ci sono tra noi, ritengo che questa non sia una norma di civiltà, ma siamo di fronte in questo momento ad uno strano paradosso: da un lato, abbiamo una Costituzione che sancisce in maniera inequivocabile l'importanza della famiglia fondata sul matrimonio, dall'altro, abbiamo un Parlamento che tenta di trasformare il contratto matrimoniale in carta straccia. Vedete, qui ognuno di noi potrebbe usare le proprie esperienze personali e, se sono legittime quelle per cui un divorzio lampo è preferibile, potrei portarne tante altre in cui potrei dimostrare invece che proprio quel periodo di tempo previsto dalla attuale legge è stato utile per prendere una decisione più responsabile e matura.
Sono convinta che una società che semplifica il divorzio è una società che getta la spugna dinanzi alle difficoltà della coppia. Facilitare, velocizzandolo, il divorzio, significa, a mio giudizio, rendere meno consapevole la scelta del matrimonio; significa avvalorare la tesi di deresponsabilizzazione di fronte ad una scelta che all'origine dovrebbe essere compiuta con la massima serietà e consapevolezza.
Mi chiedo quale sentimento stiamo generando nelle generazioni più giovani, offrendogli, di fatto, un modello in cui si può mettere su famiglia allegramente, senza troppo pensarci, perché altrettanto facilmente si può fare marcia indietro. Guardate, voglio sgombrare il campo da qualsiasi equivoco e anche da inevitabili e, magari, banali attacchi.
Il mio non è né vuole essere assolutamente un intervento di natura confessionale, ma vuole essere un ragionamento, un contributo, mirato non a mettere in discussione l'istituto del divorzio, così come previsto dal nostro ordinamento, né ho la benché minima idea di mettere i bastoni tra le ruote alle coppie che decidono, in modo irrevocabile, di dividersi, né tanto meno voglio svolgere un ruolo punitivo nei confronti di chi compie questa scelta, spesso anche molto dolorosamente, ma quello che voglio mettere in discussione è proprio la necessità di riduzione dei termini.
Perdonatemi, ma non ci sto a piegarmi al ragionamento che ho sentito fare anche dall'esponente del Governo e da molti colleghi e opinionisti, secondo i quali, viste le lungaggini burocratiche legali, tanto vale ridurre i tempi, perché se questo è il vero problema che abbiamo di fronte - in alcuni casi, lo abbiamo visto, lo è - allora perché, mi chiedo, non impegnarci nella battaglia per la certezza dei tempi processuali, invece che utilizzare scorciatoie?
Se questo è il problema, allora credo che l'Aula del Parlamento abbia il dovere Pag. 7di far sì che ognuno svolga il proprio dovere e il proprio compito secondo i tempi previsti dalla legge e, semmai, dovremmo adoperarci per eliminare gli ostacoli affinché ciò sia possibile.
In tal senso, sono convinta che, prima di lavorare con l'unico obiettivo di riduzione dei tempi del divorzio, dovremmo potenziare, anche attraverso adeguati servizi sociali, i percorsi di prevenzione, di mediazione e di riconciliazione che oggi in Italia sono ridotti a mera formalità.
Credo che sia più opportuno lavorare affinché in Italia siano potenziate le procedure attraverso cui risolvere i conflitti familiari. Penso, per esempio, ai tribunali, alle risorse da destinare agli stessi, ai servizi di accompagnamento per le coppie. Questi sì dovrebbero funzionare meglio, ma la velocizzazione del divorzio mi sembra comporti innumerevoli rischi.
Allora, avviandomi alla conclusione, non vorrei che, siccome non siamo stati capaci, negli ultimi decenni, di adottare politiche a favore della famiglia, tant'è che oggi siamo a medie di nuclei familiari tra le più basse a livello internazionale, stiamo qui cercando di rendere più facili le barriere di uscita.
Per concludere, ritengo che su questo tema, cioè sul divorzio breve, il Parlamento debba meditare di più e avviare una riflessione più attenta e meditata. In tal senso, mi auguro che vi sia pieno diritto in quest'Aula di sostenere con convinzione e forza anche un punto di vista differente da quello che mi è sembrato prevalere nei lavori della Commissione, nella convinzione che le responsabilità contratte con il matrimonio, sia esso civile o religioso, e la formazione della famiglia non siano condizioni momentanee, cui sottrarsi con comodità e, se possibile, con il rapido benestare della legge (Applausi della deputata Capitanio Santolini).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, colleghi, voglio iniziare, come ha fatto la collega Saltamartini, ringraziando il relatore. Lo ringrazio soprattutto per il tono asciutto e per niente retorico della sua relazione, che ha dato conto di un percorso legislativo e sociale che è sotto gli occhi di tutti, così come ringrazio anche il sottosegretario per il commento assolutamente favorevole al lavoro della Commissione, al quale, peraltro, non ho partecipato, appartenendo ad un'altra Commissione, la Commissione affari costituzionali.
Ricordo - era già indicato nella lunga relazione del collega Paniz - che le proposte in campo erano tante e che il testo in discussione sicuramente è un testo che difendiamo. Lo difendono anche i gruppi, a partire da quello del Partito Democratico, che avevano non un'altra impostazione, ma un'altra tempistica, nel senso che nella proposta del mio gruppo si trattava di ridurre gli anni da tre a uno in tutte le ipotesi, sia in presenza di figli minori sia in loro assenza o in presenza di figli maggiorenni.
Quindi, diciamo che siamo qui, oggi, per discutere non della legge migliore possibile, perché ciascuno di noi, da questo punto di vista, potrebbe esprimere una sua opinione personale, più o meno in libertà, o di gruppo, ma del testo che è stato licenziato dalla Commissione giustizia e che è arrivato alla discussione dell'Aula.
Ringrazio anche la collega Saltamartini che, nell'ultima parte del suo intervento, ha precisato che non intende mettere in discussione la legge sul divorzio.
La ringrazio perché, per la verità, in tutta la prima parte del suo intervento - sicuramente sincero ed appassionato - ho risentito tutte quelle discussioni che riecheggiavano, all'epoca della legge sul divorzio, non tanto nelle Aule parlamentari, che io certamente non frequentavo, quanto tra la popolazione, tra gli studenti. Vi era la paura, delle volte anche sincera, della novità che doveva essere rappresentata dalla legge sul divorzio che, tra l'altro, non faceva altro che consacrare con legge una situazione che, di fatto, esisteva tra la popolazione, ma che veniva ignorata.
Vi erano tantissimi matrimoni falliti che avevano determinato anche situazioni Pag. 8di conflittualità permanente, a volte anche pericolosa, che, però, non riuscivano a trovare uno sbocco perché non vi era ancora questa possibilità.
Allora, all'epoca è stato il popolo italiano, soprattutto con il referendum del 1974, a dire che il legislatore era andato nella direzione giusta, che la legislazione sullo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio era in sintonia con il volere del popolo italiano.
Sono d'accordo con la collega Saltamartini sul fatto che non è sempre il caso di seguire l'umore popolare, che non è questo il compito del legislatore, ma quando si tratta di scelte di civiltà, che incidono sulla libertà dei cittadini, di mutamenti epocali - come è avvenuto nel caso della legge sul divorzio e come può essere anche per la proposta di legge in esame che, certamente, non comporta lo stesso livello di riforma, perché incide molto meno, ma che può facilitare le scelte dei cittadini -, allora bisogna stare molto attenti anche a quello che succede sul territorio.
Non è irrilevante neppure capire fino in fondo quello che succede nelle cause di separazione e divorzio. Dire - come ha fatto il relatore e come vorrei ribadire anch'io, forte di un'esperienza vissuta dall'altra parte, come giudice di un tribunale dove ho visto tante separazioni e tanti divorzi - che molto spesso le cause di separazione prima e di divorzio dopo hanno carattere afflittivo, significa dire assolutamente la verità, significa conoscere fino in fondo come si svolgono le cause, quali sono le tematiche che riecheggiano nelle aule di giustizia e riconoscere che sarebbe il caso che, proprio per salvaguardare anche la dignità delle persone che si mettono in discussione chiedendo la separazione e poi il divorzio, di legiferare in modo da facilitare non un percorso semplice e banale, che porti velocemente allo scioglimento e alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma un percorso meno ipocrita, più rispondente alla realtà e che prenda atto di quello che succede alle coppie. Direi che una proposta di legge di questo genere non solo non è contro il matrimonio, ma è addirittura a favore dello stesso perché agevola anche la ricostituzione di matrimoni possibili e futuri.
Ricordo a voi e a me stessa che stiamo discutendo di scelte fatte da persone che hanno già scelto il matrimonio. Dalla casistica che abbiamo davanti, dai numeri che possiamo portare qui in Aula in sede di discussione sulle linee generali, emerge che oggi sempre più coppie convivono prima ancora del matrimonio e, delle volte, convivono senza mai contrarre matrimonio. Noi, invece, siamo davanti ad un'esperienza di vita di coppie che hanno scelto il matrimonio, che hanno creduto nel matrimonio e che, evidentemente, hanno dovuto trarre la conclusione che il loro matrimonio non è andato bene e che non è più possibile convivere e portare a termine questa esperienza sino alla fine, come magari avevano sperato.
Ho molto rispetto di sentimenti di tipo diverso, per esempio di donne o uomini che, coinvolti in questioni di questo genere, si sentono vittime perché credono nell'indissolubilità del matrimonio, ma questo è un altro tema. Qui non stiamo discutendo di scelte o di convinzioni personali, stiamo discutendo di un'altra cosa, ossia di una coppia che, chiedendo la separazione e affidandosi al tribunale per l'omologazione della separazione consensuale o, peggio, per ottenere una sentenza di separazione giudiziale, ha già dichiarato, di per sé, il fallimento di un'esperienza di vita.
Allora contano molto le circostanze e contano molto le statistiche ed anche i numeri che prima ha presentato nell'ambito della discussione il relatore. Infatti, in realtà, sono decine i casi di coniugi che tornano indietro sulla loro decisione, decine in confronto a centinaia di migliaia di casi che finiscono invece come iniziano, con la separazione e cioè la cessazione della comunità familiare.
Dire poi che si è a favore della famiglia: ho dovuto riflettere su questo punto in questi giorni. Voi tutti sapete che c'è stato anche un messaggio, che è partito tra l'altro dalla Calabria. Bagnasco ha lanciato Pag. 9un messaggio, di cui tutti noi dobbiamo avere rispetto e di cui io sicuramente ho rispetto per quello che rappresenta la Chiesa e per quello che rappresenta Bagnasco. Lo ha lanciato da Locri. È quindi un discorso che si è tenuto nella mia Calabria. Bagnasco ha detto che effettivamente il divorzio breve potrebbe rendere ancora più fragile la famiglia. Io mi sono posta una domanda e non la porrei a Bagnasco. Non ho questo ardire perché siamo in un altro campo ed egli è un interlocutore che non ne fa parte e ovviamente non può essere un interlocutore politico ed istituzionale, come sono invece i colleghi ed il Governo in questo momento.
Vorrei chiedere a voi di quale famiglia stiamo parlando, perché delle volte noi stessi ci contraddiciamo. Stiamo parlando della famiglia ideale? Stiamo parlando della famiglia nucleo, di quella coesione sociale che tutti noi vorremmo costruire e che tutti noi vogliamo difendere? Stiamo parlando di quel luogo di solidarietà, di quella famiglia, dove si è acconsentito molto spesso di affrontare le crisi e di fare fronte alle spese familiari anche con le sole pensioni dei nonni e di quant'altro? No, non stiamo parlando di questa famiglia, perché non c'è la possibilità di parlare di una famiglia ideale.
Non stiamo parlando neanche di una di quelle famiglie in cui si generano violenze, a cui tante volte facciamo riferimento quando parliamo per esempio del femminicidio. Ecco allora i discorsi che si contraddicono: anche quando parliamo delle violenze sulle donne molto spesso siamo costretti a prendere atto che molte delle violenze vengono perpetrate ed hanno come luogo in cui maturano e si consumano proprio le famiglie, le famiglie in senso lato e le famiglie in senso stretto. Tantissimi di questi casi, tante violenze, tanti omicidi, sono portati a termine dal coniuge, dal padre, dal fratello, dal fidanzato o dall'ex fidanzato, quindi, all'interno di un nucleo che in senso lato si potrebbe chiamare in qualche modo familiare.
Allora non stiamo parlando neanche di quella famiglia. Stiamo parlando di una famiglia che probabilmente può essere la più diversa. Stiamo parlando di una coppia che si è messa insieme ed ha pensato di farlo fino in fondo, contraendo anche un vincolo matrimoniale, un vincolo matrimoniale che per tantissime ragioni può non essere andato bene. Non parlo tanto delle ragioni che sono codificate anche nella legge sul divorzio, al n. 1, e che quindi rappresentano casi specifici. Parlo, invece, più in generale del fatto che una coppia ha dovuto prendere atto che le cose non sono andate bene.
Allora cosa cambia? Cosa cambia con questa legge? Infatti, se non capiamo bene cosa cambia con questa legge, non si capisce neanche perché dovremmo ideologizzare questa nostra discussione o dovremmo fare le crociate, contro o per la famiglia. Io mi schiero subito per la famiglia, dicendo che ho molto rispetto di tutte le scelte che fanno gli altri, coppie di fatto e non. Io personalmente faccio parte di una famiglia fondata sul matrimonio e mi sento anche soddisfatta della scelta che ho fatto. Ma non è questo il punto.
Qui stiamo parlando semplicemente di un'abbreviazione dei termini utili. Dopo avere ottenuto una sentenza di separazione giudiziale o dopo avere ottenuto l'omologazione di una sentenza di separazione consensuale, chiediamo di abbreviare il termine previsto oggi. All'inizio era di cinque anni, dal 1987 è diventato di tre anni ed oggi noi pensiamo che sia arrivato il momento che diventi di un anno o, per la mediazione che è stata operata, nel caso di presenza di figli minori, di due anni.
In tutto questo ha senso parlare di quanto si verifica nei tribunali italiani. Ha senso riflettere sul fatto che per ottenere una sentenza di separazione ci vogliono molto spesso un paio di anni. Ha senso anche riflettere sul fatto che l'anno di cui noi parliamo è un periodo minimo che molto spesso sarà superato dai fatti. Infatti, quando per ottenere una sentenza di separazione ci vogliono circa due anni, è chiaro che l'anno dalla comparizione davanti al presidente del tribunale è già trascorso da un pezzo, quando si può addivenire ad una richiesta di divorzio. Pag. 10
Siamo parlando, in parole povere, di sciogliere questo nodo, di rendere meno afflittivo questo periodo, di consentire a entrambi i coniugi di rifarsi una vita, se lo desiderano, magari contraendo anche un nuovo matrimonio, ovviamente con il rito civile, di consentire a dei nuclei familiari di vivere civilmente, di ristabilire quelle regole anche di civiltà e di coesione, che sono proprie, e che devono rimanere proprie, della famiglia.
Nella stessa direzione va la seconda modifica che viene introdotta dalla normativa oggi in discussione, perché quando si dice che lo scioglimento della comunione familiare parte non più dall'omologazione della separazione consensuale o dalla sentenza di separazione giudiziale, ma parte dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale, si toglie alle parti in causa una serie di discussioni e si fa in modo anche che i provvedimenti provvisori, che molto spesso sono afflittivi per tutti, e sono il frutto di lungaggini anche giudiziarie, si toglie la possibilità anche di speculare su tutte queste vicende che sono assolutamente economiche, e come tutte le vicende economiche sono degne di attenzione ma non possono essere quelle che attraggono l'attenzione più di altre in casi di questa natura.
E allora entrambe le modifiche tendono in fondo principalmente, a mio parere, ad introdurre modifiche che sono in sintonia con il Paese, che sicuramente sono in sintonia anche con un'esigenza di civiltà che è maturata oramai stabilmente - e da tempo - nel Paese. Già nel 2003 l'allora gruppo dei DS presentò una proposta in merito, e già allora, per noi, il tempo era maturo per queste modifiche. Sono passati quasi nove anni da quando, con un voto segreto, è stata affossata quella legge. Penso che oggi invece il Parlamento si debba assumere la responsabilità di discuterne fino in fondo, come diceva la collega Saltamartini, serenamente ma senza ipocrisie, perché è troppo facile liquidare provvedimenti di questo genere che costano fatica e discussioni, e per i quali bisogna mettersi in ascolto anche dei tanti che fuori dall'Aula del Parlamento discutono di questi temi; è facile liquidare tale provvedimento, magari con un voto segreto o con un voto ideologico, per poi, nella propria vita quotidiana, contraddirne i relativi principi, perché tanti di noi, tanti politici, hanno poi questo vezzo, di alzare bandiere ideologiche su tante questioni che hanno a che fare con l'etica, ma poi alla prima occasione utile, hanno il privilegio di poter trovare scorciatoie di altro genere.
Un'ultima notazione, sempre richiamando la relazione, che è così compiuta e che veramente merita di essere sottoscritta. Il relatore faceva riferimento alle normative europee e non è una cosa di poco conto, perché la normativa europea, ovvero il Regolamento europeo del 2000, che dal primo marzo del 2001 ha consentito una velocizzazione e la possibilità di omologare le sentenze di divorzio che vengono emesse in altri Stati, mette in difficoltà chi si trova in queste situazioni e crea anche non tanto una conflittualità, quanto una disparità, perché basta spostarsi di poco, basta andare in una delle nazioni vicine dove il divorzio è semplice, dalla Romania alla Francia, alla Germania, per ottenere anche in pochi mesi, come diceva il relatore facendo riferimento al caso della Romania, una sentenza rapidamente; ma per tutto questo ovviamente bisogna avere la possibilità economica e i mezzi per farlo. Allora anche qui si tratta di una giustizia che diventa una giustizia di classe, diventa una discriminazione. Io credo che invece possiamo serenamente prendere atto dell'evoluzione della legislazione e delle esigenze che via via sono emerse, e credo che con questo provvedimento facciamo un primo passo perché, anche rispetto alle lungaggini, il problema non si esaurisce certamente con questo provvedimento. Non voglio insistere, non voglio portare nella discussione opinioni personali perché, per esempio, non vedo la necessità di mantenere ancora nella legislazione italiana i due istituti della separazione e del divorzio, ma questa è un'altra cosa. Pag. 11
È un fatto però che se nell'immediato, dopo l'entrata in vigore di questa normativa, ci sarà ovviamente un carico di lavoro maggiore per un aumento delle richieste di divorzio per i tanti che si troveranno nelle condizioni di poterlo ottenere (perché sono in tanti probabilmente che avranno maturato il tempo stabilito in questa legge), sono convinta che questa legge avrà un altro effetto molto importante sulla giustizia italiana. Avrà cioè effetto deflattivo, perché eviterà tutta una serie di lungaggini, tutta una serie di tensioni sociali, che si rifletteranno anche nelle aule di giustizia, ed eviterà tutta una serie di modifiche continue dei provvedimenti provvisori a cui si è costretti durante i processi, eliminando il problema a monte della decorrenza dello scioglimento della comunione familiare, e sopratutto riducendo i tempi minimi necessari per una sentenza di divorzio. Credo che siamo nella direzione giusta. Credo soprattutto che questa scelta il Parlamento italiano (intanto la Camera dei deputati) la debba fare non in maniera ideologica, ma in maniera coraggiosa e senza quel ricorso alle facili ipocrisie che allontana dai sentimenti popolari, dai sentimenti della gente - ma non tanto dai sentimenti e dalla volontà delle persone, quanto dai problemi che si vivono sul territorio. Quindi non creiamo barriere ideologiche su questo fatto, non dividiamoci tra chi vuole un matrimonio fragile e chi lo vuole invece meno fragile. Da questo punto di vista sarebbe un falso problema. Io non voglio affatto un matrimonio fragile, voglio nel mio privato, e auspico per tutti quelli che fanno la scelta di un matrimonio, un matrimonio duraturo e felice, ma questa è altra cosa.
Oggi stiamo discutendo di un'altra vicenda, cioè di rimedi e soluzioni e di come facilitare la vita a chi questo matrimonio ideale, o semplicemente normale, non lo ha avuto, e che cerca una soluzione di vita che probabilmente si riflette anche su altre persone, perché molto spesso ad attendere le sentenze di divorzio ci sono coppie che si sono già formate e che magari hanno figli e che avrebbero anche diritto, in un uno Stato civile come l'Italia, a vedere che anche i loro problemi venissero affrontati con la dovuta sensibilità, ma anche con i tempi adeguati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, si tratta di un provvedimento importante sul quale la Lega in Commissione aveva depositato proposte soppressive. Nel 2003 - ricordo - ci fu un tentativo della Camera di approvare un testo più o meno analogo, con un percorso poi risolto da un emendamento di Lega Nord e Unione di Centro, che di fatto, sostanzialmente, cancellava il provvedimento. Ricordo il collega Rutelli che dichiarò (un tempo sostenitore): nell'agenda delle priorità italiane il divorzio breve è al cinquecentesimo posto.
Intervengo pertanto a titolo soprattutto personale. Vorrei prima di tutto sciogliere il dubbio su quale tipo di famiglia sia quello in discussione. Questo è un Governo tecnico, che si doveva occupare di cose tecniche, e invece apparentemente si occupa di cose sostanziali, fondamentalmente politiche. Fondamentalmente è politica questa, fondamentalmente è politico l'intervento del Ministro Fornero dell'altro giorno, in questo consesso, con il quale ha definito la famiglia come un grumo emotivo di persone conviventi. È un'affermazione su cui non sono assolutamente concorde e che penso non veda titolato il Ministro Fornero. Se il Ministro fosse in qualche modo stato eletto in un partito, o in questo consesso, avrebbe sicuramente diritto ad esprimere un'opinione, in quanto rappresentante di una volontà popolare. Lo stesso si sarebbe potuto dire se essa fosse stata in qualche modo nominata con un incarico politico, ma se ci si deve attenere a determinati contenuti, credo che la definizione sia poco rispettosa non solo del suo mandato, il che poco conta, ma sopratutto della Costituzione della Repubblica. Pag. 12Perché la Costituzione della Repubblica, fino a prova contraria, è quella che fa testo ed essa definisce la famiglia in un determinato modo.
L'articolo 29 riconosce i diritti della famiglia come società naturale - società naturale è un termine importante - fondata sul matrimonio. E il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare. Gli articoli 30 e il 31 della Costituzione, poi, affermano che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei relativi compiti; protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù. Si parla, quindi, di una famiglia e, soprattutto, di una cosa molto semplice: di società naturale.
Non stiamo parlando di un sondaggio. Se noi facessimo un sondaggio tra i nostri amici sicuramente avremmo, non solo plauso, ma forse di più. Se, però, facessimo lo stesso sondaggio di simpatia nei confronti del Parlamento, dovremmo essere fucilati a poca distanza. Non credo, quindi, che la legge si debba attenere, se non altro non per motivi di convenienza, ai sentimenti. Non è compito del giudice giudicare il sentimento del reato. Ci possono essere rei che sono simpaticissimi. Abbiamo avuto delinquenti incalliti e omicidi che suscitavano ondate di simpatia; ricordiamoci, senza far nomi, il numero incredibile di lettere che ricevevano alcuni delinquenti, di proposte di matrimonio e quant'altro. Non è perché il reo è simpatico o non simpatico, perché ha agito per odio, per calcolo o anche mosso da un sentimento di pietà - se non per le aggravanti o per altre forme previste dalla legge - che possono entrare in campo i sentimenti. A noi non interessa se le persone possono provare sentimenti più o meno piacevoli. Non importa. La famiglia è quella definita, le altre relazioni sentimentali attengono alla sfera privata, attengono alla sfera dei diritti - per carità soggettivi -, ma non attengono alla sfera delle istituzioni. Questo è un dato di fatto di cui dobbiamo tenere conto.
Circa il contenuto, tutti sicuramente sappiamo delle difficoltà che ci sono per le coppie. Il termine minimo, ad esempio; tutti abbiamo parlato della difficoltà delle spese legali, si è parlato della difficoltà, anche dal punto di vista procedurale, nel momento in cui parte il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, anche se sul solo addebito, per la mancanza di strumenti da parte dei tribunali. Su questo tutti concordiamo, tutti sappiamo che è un evento traumatico, però di fatto dobbiamo porci alcune domande e la prima domanda è, appunto, quella su cui ho iniziato a ragionare, se, cioè, dobbiamo discutere del desiderio individuale, ossia se la legge in qualche modo sia volta a registrare quello che è un desiderio individuale, o della maggioranza, cosa che fa anche il testo della II Commissione (giustizia) il quale, infatti, afferma che la disciplina del divorzio nel nostro Paese appare molto rigida rispetto alle effettive dinamiche sociali e culturali che il legislatore deve saggiamente accompagnare, senza la pretesa di imporre comportamenti né di intralciare l'autonomia dei soggetti. È un esempio di etica fenomenologica la prassi che determina cosa è giusto o sbagliato sotto l'aspetto giuridico, non vi è altra fonte normativa. Non ci si può attenere a una fonte come il diritto naturale sancito dall'articolo 29 della Costituzione, una fonte che attiene alla ragione e in qualche modo ad una verità che può essere svelata, non con i canoni della religione, ma con i canoni - ripeto - del buonsenso e della condivisione. Ed è un atteggiamento pericoloso, che si basa, appunto, sul fare legge di quella che è la volontà generalizzata, sul fare legge in qualche modo di quello che è il desiderio individuale, se questo diventa maggioranza.
È diventato realtà in alcune parti di Europa, un pensiero relativista, un pensiero, a mio giudizio, nichilista, che ha accompagnato un'ulteriore fase di disgregazione sociale, come è avvenuto sicuramente in alcuni Paesi quali la Spagna. Fatte queste premesse, vorrei dare alcuni dati sul dramma effettivo del fenomeno Pag. 13divorzio, che non sono stati ancora ricordati. Eurispes dichiara che divorzi e separazioni costano allo Stato 440 milioni di euro l'anno, mentre l'associazione per la difesa e l'orientamento dei consumatori, ci parla di un costo minimo di 3 mila 300, che può giungere fino a 23 mila euro.
C'è un nuovo fronte drammatico: l'agenzia Dire Minori, stima che su 4 milioni di padri separati, 800 mila siano sulla soglia della povertà. C'è un mondo che si sta dispiegando, che ho avuto modo di conoscere anche personalmente, un mondo delle nuove povertà, un mondo di frequentatori della Caritas, soprattutto padri, padri divorziati che perdono il lavoro, che incominciano in qualche modo ad avere comportamenti di abuso alcolico, che perdono l'abitazione, che perdono la stima sociale e finiscono poi alla deriva. Ce ne sono molti che frequentano i centri di recupero. Stiamo parlando di 800 mila persone, quindi di una soglia di povertà consistente.
Ci sono ripercussioni in tema di spesa sociale e ferite psicologiche dovute alle separazioni e ai divorzi. Nell'anno 2005-2006, il bilancio del Canada, l'unico Paese che in qualche modo ha tentato un monitoraggio, ha effettuato un'indagine con un costo di 4,5 miliardi di euro. Vi sono ripercussioni sicuramente sui figli: i bambini con un solo genitore, in qualche modo hanno la possibilità di avere un cattivo risultato accademico, tre volte superiore rispetto agli altri; sono dati che vengono riferiti in alcuni articoli di stampa, in alcuni studi psicologici; il doppio dei rischi di contrarre malattie psico-somatiche e il triplo di probabilità di avere problemi nelle relazioni amicali. Negli USA, un altro studio che è stato fatto, ha evidenziato un aumento della percentuale dei suicidi. Questo per dimostrare come in qualche modo il tema non è confinato soltanto nella sfera individuale, ma è un tema che attiene molto di più a quello che è il bene comune e, quindi, alla preoccupazione dello Stato.
In questo senso lo Stato riconosce un favor nei confronti del mantenimento e della stabilità del matrimonio, come previsto dall'ordinamento giuridico. Possiamo dire che il nostro ordinamento giuridico considera il matrimonio come un patto di vita che per natura giuridica, per come viene «confezionato», deve durare per sempre. Con l'articolo 108 del codice civile il divorzio, in qualche modo, è qualificato come un'anomalia giuridica, come un evento eccezionale. L'articolo 108, infatti, dispone che il matrimonio non può esser sottoposto a termine temporale alcuno. Stiamo parlando della norma che individua qual è il bene dello Stato e il bene giuridico o razionale del corpo sociale. Hillary Clinton diceva che come un corpo umano non può rimanere senza un numero minimo di cellule sane affinché funzioni, così anche il corpo dello Stato non può funzionare senza un numero minimo di «famiglie naturali» che possano mantenere il peso dello Stato. L'evento che in ipotesi provoca la fine giuridica del matrimonio, viene considerato accidentale, anzi quasi imprevedibile e non può essere presente nel momento del consenso, perché sarebbe in contraddizione con la sua natura giuridica, che è quella di mantenere in qualche modo le relazioni tra le generazioni, di proteggere la donna e di proteggere la prole.
Il dato giuridico dell'ordinamento giuridico è confortato poi dall'articolo 103 del codice civile, che prevede anche come primo dovere dei coniugi quello della fedeltà, e ovviamente, senza entrare nel merito delle colpe o altro, è evidente che la promessa in quanto tale deve essere mantenuta. Quindi, il divorzio è considerato un'eccezione giuridica e non una prassi che in qualche modo debba essere incoraggiata o resa agevole. Lo Stato anzi, rappresentato nella figura del giudice, fa di tutto e questo è previsto dalla normativa, dall'articolo 707 del codice di procedura civile: «Il presidente del tribunale deve sentire i coniugi, prima separatamente, poi congiuntamente, procurando di conciliarli». Questa è un'azione obbligatoria. Oggi prassi è quella della domanda semplice fatta a tanti coniugi, di un tenore molto semplice: «Siete sicuri che volete separarvi?». È evidente che non possiamo Pag. 14pensare che il giudice possa risolvere i problemi immediatamente di una coppia in crisi, ma è evidente che l'assetto normativo però prevede questa formula di conciliazione come un momento fondamentale. Quindi, il vantaggio della famiglia è sottolineato da questi articoli e non dalle scelte personali, che in qualche modo tendono a comprometterla.
Altra norma che vorrei citare è il caso dell'articolo 154 del codice civile, che disciplina l'istituto della riconciliazione, e sempre nell'articolo 157 del codice civile si prevede che a far cessare gli effetti della separazione è sufficiente «un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione, senza che sia necessario l'intervento del giudice». Questo è significativo: per rompere un matrimonio la legge esige un iter burocratico a più fasi, articolato, lungo; per far rivivere il rapporto matrimoniale per cui è stata chiesta la separazione basta un semplice comportamento concludente, cosiddetto concludente, senza bolli, senza dichiarazione ufficiale. La legge compie evidentemente un'opera di deterrenza verso i coniugi che vogliano marciare speditamente verso il divorzio e cerca, nel limite del possibile, di trattenerli il più possibile, facendoli ponderare sul passo che stanno compiendo.
Tutti sappiamo che poi la legge non comporta un assetto di proposta, su cui poi magari avremo a dire. È evidente quindi che tutto ciò che intacca il matrimonio intacca in qualche modo anche il consesso civile. Ora noi sappiamo che i tempi non sono tempi semplici, sappiamo e siamo consci delle difficoltà che vengono, ma come ripeto quello su cui vorrei attirare l'attenzione dell'Aula e su cui vorrei lasciare in qualche modo traccia scritta è che la solidità dell'istituto matrimoniale rischia in qualche modo da questo provvedimento - che non affronta tutta un'altra serie di misure - di uscirne minato, uscirne minato dei tempi; per rendere l'idea ripeto alcune frasi, che sono state dette anche dal Forum Famiglia: una società che semplifica il divorzio è una società che getta la spugna dinanzi alle difficoltà delle coppie e che le abbandona alle loro crisi e ai loro problemi. Oggi significa in qualche modo non dare una possibilità di una mediazione; tutti siamo intervenuti: oggi noi possiamo prendere atto che in altri consessi civili, per esempio la Svezia, è valido un principio di mediazione, sono valide le istituzioni di una mediazione nei momenti di crisi. Oggi effettivamente lo Stato non c'è: non c'è prima, non c'è mentre ci sono dei corsi preparto che preparano in qualche modo l'avvenimento e oggi non abbiamo un'offerta formativa in questo senso. Poi uno può essere libero - ovviamente, ci mancherebbe - di aderire o di non aderire.
Ma il costo sociale di una famiglia in crisi è un costo - già evidenziato da altri colleghi - di un ammortizzatore non più presente e, in qualche modo, anche di una mancanza di futuro. Oggi, vi è un'Italia senza figli, ma che vorrebbe avere più figli: le donne vorrebbero avere almeno 2,1 punti di fertilità, e non possono per una serie di motivi, economici, culturali e molti altri. Su ciò, a mio giudizio, si sarebbe dovuto intervenire, e su tutta una serie di misure economiche che non sono mai state attuate dal passato Governo, di cui sicuramente abbiamo avuto parte, ricordo alcuni provvedimenti come, per esempio, l'aumento dei contributi per i familiari a carico. Si tratta di aiuti economici, ma anche di aumenti di strutture di assistenza. Non è un caso che dove funziona un servizio sociale ben radicato, come in Trentino Alto Adige, vi sia stato uno switch, un miglioramento del tasso di natalità, mentre in altre realtà, con magari un senso familiare più consolidato, come nel sud Italia, dove, in qualche modo, si aveva una tradizione familiare più radicata o, quantomeno, una maggiore tendenza ad avere figli, con un degrado maggiore della rete di sostegno sociale si stia conoscendo un momento di inversione di tendenza.
Quindi, a mio giudizio, non era il momento per poter intervenire su questo tema. Si interviene sotto un aspetto temporale senza fare una riflessione su quello che è lo stato della famiglia oggi. Non Pag. 15basta per il legislatore e non basta per lo Stato - a mio giudizio -, proprio per rispettare la Costituzione, intervenire con una «formuletta», che è quella della riduzione del tempo della separazione. Non basta prendere atto di quella che è una difficoltà della maggioranza che, sicuramente, vorrebbe un percorso più agevole, dal punto di vista burocratico; non basta, a mio giudizio, guardare il dito e non guardare la luna.
Da altre parti si è tornati indietro: per esempio, in Inghilterra, non molti anni indietro, nel 1996, è stata modificata la normativa sul divorzio, e si prevedeva l'ottenimento dello stesso in soli tre mesi, ma si è constatato che questa celerità non faceva che esasperare i conflitti familiari, che - ripeto - forse hanno bisogno di un intervento. Cito un articolo di Piero Ottone, che sicuramente si può consegnare al pantheon delle persone libere e liberali, il quale, il 28 novembre 1964, sul Corriere della Sera, si espresse in questi termini: «il divorzio uccide o riduce formalmente la volontà dei coniugi di compiere ogni sforzo per salvare un matrimonio pericolante; la possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera l'irresistibile desiderio di uscire, senza nemmeno tentare di rendere quella stanza più comoda e abitabile, così il divorzio: anche se ha il vantaggio di sanare ogni tanto situazioni insostenibili, ha anche il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini, i quali non affrontano più le difficoltà, ma le fuggono».
Oggi, in un tessuto fragile come quello attuale in cui nasce famiglia, la prospettiva forse di risolvere il conflitto con una semplice cesoia è adeguata, a mio giudizio, come una via di fuga. La famiglia è un capitale della società, da non sperperare a cuor leggero: ogni volta che una famiglia diventa più debole anche la società, in qualche modo, lo è di più. Credo che tutte queste riflessioni debbano essere consegnate al Parlamento, anche se, ovviamente - lo ripeto - sono svolte a titolo personale. Ricordo che Bossi, tanti anni fa, in un momento di crisi economica, prima della malattia, disse che dalla crisi economica si può uscire, ma quando si modificano alcune leggi fondamentali sulla famiglia, visto che «l'uomo non è una bistecca», non si torna più indietro.
Da un modello sociale alla Zapatero, dove prevale il desiderio individuale - che, se è condiviso a maggioranza, diventa legge - non deriva sicuramente un tessuto sociale più solido, più accogliente e che ci possa far uscire dalla crisi. Non si esce dalla crisi con idee deboli, non si esce dalla crisi economica - che, a mio giudizio, è anche una crisi di valori, è una crisi di assenza dello Stato, è una crisi di assenza delle istituzioni - minando l'istituzione fondamentale, che è la famiglia, ma riconoscendone il valore e mettendola al centro di una discussione parlamentare seria e non risicata come quella di oggi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Prima di andare avanti, sospendo per qualche minuto la seduta, per fare in modo che la Vicepresidente Bindi raggiunga la Presidenza, perché devo andare ad accogliere il Capo dello Stato, che è qui per un impegno presso la Camera.

La seduta, sospesa alle 16,45, è ripresa alle 16,50.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Perina. Ne ha facoltà.

FLAVIA PERINA. Signor Presidente, cari colleghi, dopo nove anni e tre tentativi andati a vuoto, la proposta di legge sul divorzio breve approda in quest'Aula con un sostanziale accordo in Commissione tra tutti i partiti. Il mio gruppo, Futuro e Libertà, non può che ringraziare il relatore e la Commissione ed esprimere la speranza che, entro la fine della legislatura, Pag. 16questo testo diventi legge e questo Parlamento riesca ad offrire agli italiani almeno una delle tante riforme promesse ad inizio della nostra esperienza in tema di diritti civili.
Spero altresì che gli interventi, che ho sentito adesso, della collega Saltamartini e del collega Polledri, non siano l'avvio di una ennesima contesa ideologica fuori tempo massimo su un tema che l'Italia ha già risolto negli anni Settanta e che non si sente alcun bisogno in questi giorni di utilizzare nuovamente per dividere il Paese. Non voglio entrare - lo dirò subito - in questo tipo di contesa «archeologica», anche perché dovrei fare riferimento a quella che è un po' l'ipocrisia costante dei vizi privati e delle pubbliche virtù, che affligge la nostra classe dirigente. Certamente non è il caso in cui periodo in cui la politica e già fortemente delegittimata.
Voglio stare ai fatti. La principale obiezione che ha interferito finora sulla modifica della legge del 1970 è stata quella secondo cui l'abbreviazione dei tempi di divorzio rende più fragile l'istituto familiare. In realtà c'è ormai la prova statistica che i tempi lunghi dello scioglimento del matrimonio alimentano il conflitto, più che la riscoperta di solidarietà tra i coniugi. Negli ultimi 15 anni la crescita dei divorzi, nonostante che le nostre norme siano tra le più restrittive d'Europa, è stata assolutamente costante.
Voglio aggiungere altri dati a quelli che sono stati citati qui. Se nel 1995 si verificavano 158 separazioni e 80 divorzi ogni mille matrimoni, nel 2008 si è arrivati a 286 separazioni e 179 divorzi, nel 2009, secondo gli ultimi dati in possesso dell'ISTAT, a 297 separazioni contate ogni mille matrimoni e a 181 divorzi. Quindi, io non credo, e mi sembra che ci sia davvero la prova statistica, che la lungaggine dei tempi incida su un'inversione di tendenza relativa alle separazioni, che è legata a tutt'altri dati.
Sicuramente non si può immaginare di far dipendere la solidarietà del rapporto tra due coniugi o addirittura la famiglia da elementi burocratici o, addirittura, costruttivi. Il divorzio lungo, tra l'altro, non giova sicuramente alle donne. In Italia mancano dati certi sulla connessione tra l'escalation dei femminicidi e le tensioni derivanti dalle liti giudiziarie sulla separazione, perché non è stata mai fatta un'analisi statistica di questo tipo, ma la cronaca ci rivela ogni giorno l'esistenza di collegamenti diretti tra lo scatenarsi di violenza e follia domestica e lo stress legato alle procedure di scioglimento del matrimonio.
Vorrei poi approfondire il discorso già fatto dal relatore e anche da altri colleghi. Soltanto in Italia, in Polonia e in Irlanda del nord esiste ancora la fase della separazione e non sono pochi gli italiani che cercano di ovviare recandosi in Francia, in Inghilterra, in Spagna, in Romania per separarsi in pochi mesi. La legislazione comunitaria consente alle coppie italiane, a determinate condizioni, di avvalersi del «divorzio espresso» spagnolo e di adire l'autorità giudiziaria iberica o di altra nazionalità per chiudere un'esperienza matrimoniale che non si vuole più portare avanti.
Anche la Grecia ha approvato una legge che rende possibile alle coppie sposate di divorziare in poche settimane. In Gran Bretagna, contrariamente a ciò che sentivo dire poco fa, il divorzio si può ottenere addirittura con una procedura che si avvia tramite Internet, con siti come divorce online, al costo di appena 65 sterline. In Svezia è ancora più facile: basta che la coppia prenda atto, sotto la propria responsabilità, che il matrimonio è finito e può andare direttamente in comune a porre una firma alla presenza di un semplice funzionario amministrativo.
Il ritardo italiano è evidente, ma qui non si tratta di analizzare un ritardo rispetto a qualcosa, si tratta di analizzare ancora una volta la nascita nel nostro Paese di una sorta di «democrazia censitaria».
Si tratta di una democrazia di tipo ottocentesco, dove chi ha i mezzi e le risorse economiche può comprarsi all'estero diritti che qui nel nostro Paese Pag. 17sono negati. Avviene lo stesso per la procreazione assistita e per il riconoscimento delle unioni di fatto.
Anche per questo, anche per una inversione di tendenza rispetto a questo dato, che è preoccupante per l'intera democrazia e non soltanto per le coppie che intendono separarsi o divorziare, Futuro e Libertà spera che questa riforma (che non è niente di epocale, ma una semplice riduzione dei tempi, non è niente che meriti neanche un nuovo conflitto ideologico) diventi presto legge dello Stato e non l'ennesimo tentativo fallito di semplificare e migliorare la vita delle persone (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, siamo a una discussione sulle linee generali che anch'io ritengo molto importante. Viene incardinato in Assemblea un testo che ha incassato il parere di altre Commissioni e che, quindi, dovrà essere votato in futuro. È costituito, come è stato correttamente detto, da due articoli. Il primo stabilisce una decisa riduzione dei tempi della durata della separazione necessaria prima di ottenere il divorzio, che, come noto, passa da tre anni a un anno e che può salire a due nel caso di presenza dei figli. Nel secondo articolo, invece, il testo unificato prevede, sul fronte matrimoniale, disposizioni per lo scioglimento altrettanto rapido del regime di comunione tra i coniugi.
Ho ascoltato attentamente quello che hanno detto i colleghi e credo che questo provvedimento abbia delle conseguenze molto, ma molto serie nei confronti della società italiana e mi stupisce che venga liquidato come una semplice abbreviazione dei tempi.
Mi stupisce anche, mi sia consentito dirlo, l'intervento del Governo (che per carità è assolutamente legittimo: questo è fuori discussione) che dovrebbe in questa occasione, a mio avviso, assistere doverosamente al dibattito parlamentare. Tuttavia, questo non è un decreto del Governo, non è un'iniziativa del Governo, ma un testo unificato che nasce in Parlamento e, quindi, una tale difesa in Aula di questo provvedimento mi lascia semplicemente stupita. Fa un po' il paio, come è stato richiamato, con le dichiarazioni del Ministro Fornero pochi giorni fa in occasione della celebrazione della giornata internazionale della famiglia. Debbo correggere il collega Polledri: non è stato il Ministro Fornero a parlare del «grumo di empatia tra conviventi», ma il Ministro Barca. Il Ministro Fornero si è limitata a registrare - sono testuali le sue parole - che «la famiglia tradizionale non esiste più». Evidentemente, io frequento moltissime famiglie tradizionali e il Ministro Fornero no. Evidentemente frequentiamo mondi completamente diversi, perché io di famiglie tradizionali ne conosco una quantità enorme: molte, ma molte di più rispetto a quelle che tradizionali non sono.
Ciò detto e premesso, credo che una società che affronta il problema del divorzio in questa maniera è una società che la dice lunga sulla sua incapacità di guardare in maniera seria al bene comune (parola assolutamente desueta di cui nessuno sa più l'esistenza).
Non è, come ha detto la collega Perina, una ennesima contesa ideologica. Noi non avremmo sollevato nessuna contesa ideologica. È stata una proposta nata in un certo ambito da certe persone e da certi colleghi che potevano non sollevare questo problema. Sono io che sostengo che questo attacco e la riduzione dei tempi del divorzio rappresentano un discorso ideologico. Non è il contrario.
Ricordo a chi difende la separazione e il divorzio a tre anni che quando fu approvata la legge sul divorzio gli anni erano cinque. Sono già stati ridotti a tre, non è una novità.
Dopodiché, andava benissimo così. Se si solleva il problema io sono legittimata a dire che questo è un problema ideologico e non di necessità delle coppie che lo richiedono. Quindi, non vedo perché, se si Pag. 18deve discutere di questa cosa, bisogna essere immediatamente tacciati di oscurantismo o di contese archeologiche.
Bastava semplicemente non porre il problema. Una volta che il problema è stato posto - e lo stiamo discutendo - mi sembra che sia legittimo non etichettare tutti quelli che intervengono a favore o contro. Io non mi permetto di farlo, ma mi domando semplicemente se tra i tanti guai che affliggono l'Italia in questo momento, se tra i tanti problemi che il Governo deve affrontare e che in molti casi in maniera encomiabile affronta - e noi siamo tra quelli che sostengono il Governo senza riserve, sapendo bene il grande lavoro che lo stesso sta facendo -, se con tutti i problemi che ha la società in questo momento dobbiamo assolutamente vedere come prioritaria e come urgente la semplificazione di quello che è uno strappo doloroso, una vicenda che certamente è difficile per tutti quelli che la devono attraversare; e mi domando se sia necessaria questa sorta di «anestesia sociale» del divorzio per cui debba essere una assoluta priorità mentre, viceversa, non si fa nulla - ma, dico, nulla - per sostenere le coppie nella loro innegabile fatica e nel loro innegabile compito quando attraversano dei momenti bui, per superare questi momenti bui sempre a favore di quel famoso bene comune e sempre a favore dei figli che spessissimo ci sono.
Dunque, non si fa assolutamente nulla per le famiglie e quello che ha detto il Ministro Fornero l'altro giorno ne è la prova. Si stanno affrontando temi come quelli che stanno arrivando al nostro esame, quali la delega fiscale e la riforma dell'ISEE. Si tratta di un comparto molto sensibile per le famiglie ma in cui non si parla, neanche lontanamente, di tener conto dei carichi familiari né si parla lontanamente di tener conto delle fatiche che le famiglie fanno per crescere i figli; mentre, bisogna rendere ancora più fragile e ancora più problematico il tessuto sociale dicendo: non va bene, io vi aiuto lungo un pendio scivoloso che si sa dove comincia ma non si sa dove finisce.
Ricordo che ci sono delle realtà, in giro per l'Italia, estremamente efficaci ed efficienti, come suole dirsi, che raccolgono delle coppie in difficoltà e in crisi e compiono un'opera straordinaria di accompagnamento rispetto a queste difficoltà con un recupero di oltre il 70 per cento dei casi. Vi posso citare nomi e cognomi. Esiste la «Casa della tenerezza», vicino Perugia, che fa esattamente questo lavoro. Essa raccoglie dei matrimoni a pezzi e li accompagna, per il bene dei figli e della società, in nome di una stabilità sancita dalla Costituzione.
Ebbene, lo Stato non si occupa di imitare queste iniziative private encomiabili ed eroiche, perché vanno avanti con i pochi soldi che il volontariato mette a loro disposizione. Non dico il comune - attenzione - o la regione, ma i volontari e le persone che girano intorno a questo mondo. Lo Stato non si occupa di imitare queste forme di accompagnamento e di sostegno. No! Dice semplicemente: «Hai problemi? Benissimo! Liquidiamo la questione in meno di un anno». Probabilmente i Radicali non volevano neanche un anno e, per le ragioni opposte alle nostre, voteranno contro questo provvedimento, perché ritengono che assolutamente bisogna spicciarsi per risolvere questi problemi.
Allora, la risposta è che lo Stato agisce in senso assolutamente opposto a un mare di persone che accompagnano questa gente in difficoltà e ricomprendono una forma di matrimonio estremamente positiva, ma hanno bisogno di tempo. Non si può fare in pochi mesi.
Quindi, la mediazione familiare, la famosa mediazione familiare di cui nessuno si occupa, né preoccupa, è una cosa molto seria, che andrebbe presa in considerazione dallo Stato. Lo Stato non dovrebbe abbandonare le famiglie e le coppie a se stesse dicendo: «Va bene, ti è andata male? Non importa, ti andrà meglio la prossima volta. Non ti preoccupare».
Di famiglie e di aiuti concreti alle famiglie non si discute, ed io mi domando: la stabilità è un valore o no in questa nostra società? È una cosa seria o no? Se Pag. 19io ho fatto un percorso con mio marito di tanti anni - sono venti o trent'anni che sto con mio marito, faticando: non è certo una passeggiata o una cosa semplice - e poi mi devo prendere cura di mia suocera che ha l'Alzheimer, o di un anziano disabile, in forza di questa stabilità e di questa alleanza, mi prendo cura di un anziano debole e di un anziano sofferente che fa fatica. Ma se io questa stabilità non la vivo, non la capisco e non la comprendo, ma anzi c'è una società che mi aiuta a distruggere questa stabilità in nome di un egoismo degli adulti che non riesco a qualificare, voglio sapere cosa farà lo Stato con tutti questi anziani, con questi disabili e con queste difficoltà sociali, che sono affrontate sul fronte della stabilità dei legami.
La stabilità dei legami è una cosa fondamentale per questa società: in quest'Aula non se ne occupa, né preoccupa, nessuno. Evidentemente, lo Stato tra vent'anni pagherà conseguenze molto serie sul piano sociale per quello che succede qua dentro e mi fa piacere che, a futura memoria, almeno qualcuno avrà detto che stiamo andando verso un pendio scivoloso, che è molto, ma molto pericoloso per lo Stato, non per questioni ideologiche, ma perché non gli conviene, perché è sconveniente, non da un punto di vista morale, sbarazzarsi in fretta del matrimonio. Il legislatore deve seguire giustamente sentimenti, desideri ed idee, ma la domanda è la seguente: è questo il bene della società, o no?
Io sono un'insegnante e non posso dimenticare lo sguardo dei ragazzi, quando i loro genitori si stavano separando. Non me lo posso dimenticare: improvvisamente crollava il rendimento scolastico, improvvisamente avevano problemi di tutti i tipi e generi, ed era così e questi ragazzi sognavano che i genitori si rimettessero insieme, era la grande aspirazione della loro vita, era il sogno che li guidava notte e giorno. I ragazzi vivevano per tutto il tempo dell'anno scolastico e per tutta la durata del liceo, per anni - io ero un'insegnante di liceo - nella speranza che i genitori si rimettessero insieme e ricostruissero una famiglia. Cosa fa lo Stato? Dice loro: «Non vi preoccupate: tra un anno i vostri genitori saranno separati, ognuno per la sua strada. Va bene così. Non vi preoccupate, è tutto ok! Vi potrete rifare una famiglia».
L'articolo 24 della Carta di Nizza parla dei diritti dei figli e la loro protezione è un valore prioritario rispetto a qualsiasi altra determinazione. Noi stiamo proteggendo i figli con questa discussione e con questo testo unificato, o no? La mia risposta è «no», e noi ci assumiamo una responsabilità colossale davanti al futuro di questa società.
Credo che non dobbiamo metterci dalla parte dell'egoismo degli adulti. Non si può liquidare la faccenda dicendo che ci sono tante persone sofferenti che hanno questi problemi. Lo so benissimo che ci sono persone che soffrono per la separazione e per il divorzio e che ci sono liti furibonde di tipo patrimoniale, per i figli e per l'affidamento. Seguo questi problemi da anni e so benissimo che ci sono questi problemi.
Tuttavia, noi stiamo costruendo un sistema per aiutare le coppie a separarsi nel più breve tempo possibile, e non facciamo assolutamente nulla per sostenere le coppie in crisi.
La riforma dei consultori, che come proposta di legge ho presentato in questo Parlamento da anni, è assolutamente lettera morta. Allora, vi è la privatizzazione della famiglia, perché sono tutti fatti che si giocano nell'ambito del privato. Questa è la sanzione, la certificazione, della privatizzazione della famiglia, che non è più un bene sociale e porta ovviamente a politiche che di familiare non hanno rigorosamente nulla, come sta succedendo da anni.
La famiglia è diventata evidentemente un fatto privato. Tre anni non sono lunghi, non sono un periodo lungo se si parla di figli e se si parla del bene dei figli. È un segnale che diamo alle giovani generazioni dicendo: ragazzi, quando vi sposate, pensateci Pag. 20bene, è una cosa seria, non vi potete separare dopo un anno, come se niente fosse successo, semplicemente perché vi siete sbagliati; guardate ragazzi, sposarsi è una faccenda seria, comporta dei tempi, comporta dei dolori, dei sacrifici e delle fatiche.
La Costituzione, cui anche il Governo e tutti noi abbiamo giurato fedeltà, sancisce in maniera inequivocabile l'importanza della famiglia adunata su un contratto matrimoniale e, dall'altra parte, il Parlamento, come ho sentito in questa Aula, si nasconde dietro motivazioni umanitarie, facendo a mio avviso - mi si perdoni - della Carta costituzionale assolutamente carta straccia.
Ma chi può pensare che il contratto matrimoniale sia una cosa seria se può essere rescisso come se nulla fosse? Ma ci rendiamo conto di cosa significa il valore sociale del matrimonio oppure no? Non è un problema sacramentale, non è perché l'ha detto il Papa, non è perché lo dice qualcun altro, perché il valore sociale del matrimonio è assolutamente inequivocabile. Noi stiamo dicendo che tutto questo non è vero.
Dando uno sguardo agli ultimi dati ISTAT su separazioni e divorzi, si vede che dal 2008 al 2009, l'aumento delle separazioni è stato del 2,1 per cento e dei divorzi dello 0,2 per cento, molto di meno che nel 2007 e nel 2008, in cui le separazioni erano il 3,4 per cento e i divorzi il 7,3 per cento. Allora, perché questa insistenza sul divorzio breve? Questi fenomeni stanno diminuendo, evidentemente c'è un maggior senso di responsabilità.
Allora, perché questa fretta? Secondo i dati ISTAT nel 2009 le libere unioni, così tanto spesso invocate, rappresentano solo il 5,9 per cento delle coppie. Noi che messaggio diamo ai nostri figli? Che sposarsi è una cosa positiva e che la stabilità è un valore sociale oppure dobbiamo andare dietro a questo 5,9 per cento, che va assolutamente rispettato nelle sue esigenze, ma che non può pensare di diventare nella narrazione nazionale il paradigma a cui ispirarsi?
Mi avvio alla conclusione. Gli ultimi risultati elettorali dicono che siamo molto lontani dal sentire della gente e soffia un vento dell'antipolitica molto pesante. Ma siamo sicuri che questi provvedimenti ci portino a favore delle persone e della gente? Non credo.
L'articolo 31 della Costituzione, che voglio ricordare prima di tutto a me stessa, dice che la Repubblica agevola con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi. Non mi pare che stiamo andando in quella direzione. L'articolo 31 è lettera morta. Che vogliamo fare? È lettera morta perché è assolutamente ignorato.
Ci sono decisioni della Corte costituzionale, quindi non parlo del mio gruppo, che hanno affermato che il sistema tributario vigente è incostituzionale, in quanto penalizza la famiglia e hanno invitato il Parlamento ad intervenire.
In questo quadro drammatico, l'unica risposta che il Parlamento e il Governo sanno dare è il divorzio breve e, quindi, un ulteriore indebolimento della famiglia.
La Corte costituzionale ha sempre sottolineato come la stabilità costituisca una componente essenziale della famiglia. Tra le tante decisioni si può ricordare che nella sentenza n. 8 del 1996 la famiglia è definita come stabile istituzione sovraindividuale.
Nella sentenza n. 352 del 2000 si sottolinea come nella disciplina della famiglia, a differenza della convivenza more uxorio, vengano in rilievo non soltanto esigenze di tutela delle relazioni affettive individuali, ma anche quella della protezione dell'istituzione familiare basata sulla stabilità dei rapporti. Lo dice la Corte costituzionale.
Ovviamente, non voglio richiamare l'articolo 29 della Costituzione, che è fin troppo usato ed abusato, però il riconoscimento della famiglia come società fondata sul matrimonio, probabilmente, non è estraneo a questo dibattito. Nelle facoltà di giurisprudenza, da decenni, si insegna che un matrimonio come mero rapporto contrattuale, Pag. 21mutevole e instabile, solo come contraddizione potrebbe definirsi fondamento della famiglia come società naturale.
Non credo che un dibattito del genere sia così urgente. Noi non lo abbiamo voluto, non lo abbiamo cercato e rifiuto che mi si venga a dire che è un dibattito ideologico, dal momento che noi non lo abbiamo né voluto né cercato.
Il dibattito e l'ideologia stanno altrove e stanno nel voler ridurre il matrimonio ad una semplice passeggiata, che non ha alcuna conseguenza, che non ha alcun valore sociale e che è la sanzione ufficiale che qui in Italia di famiglia, di stabilità e di previdenza per le famiglie non se ne parlerà né ora né nei prossimi anni.
Lo dico con profonda amarezza e con profonda preoccupazione. Poi non mi si venga a dire che abbiamo problemi pensionistici, sanitari, di tutti i tipi e i generi, che saranno tra vent'anni drammaticamente attuali molto più di oggi, perché nessuno pagherà più le pensioni, la sanità, le provvidenze, gli accompagnamenti, il welfare.
Infatti, già oggi vi sono 118 figli per 200 genitori: una piramide rovesciata assolutamente inaccettabile e insostenibile. Vi sono circa nove figli nati per mille genitori. Questo è il Paese che noi stiamo consegnando alle future generazioni e, per tutta risposta a questi drammi che vivono le famiglie, e le famiglie numerose in particolare, rispondiamo semplicemente che il matrimonio non ha alcun valore concreto e che, tutto sommato, dopo un anno, ci si può tranquillamente separare, senza alcun problema; dei figli, qualcuno prima o poi se ne occuperà.
Spero che questo discorso rimanga, ripeto, a futura memoria, perché se passerà in quest'Aula questo provvedimento, chi lo voterà si assumerà una gravissima responsabilità nei confronti delle future generazioni (Applausi del deputato Polledri).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Di Virgilio, che era iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Roccella. Ne ha facoltà.

EUGENIA ROCCELLA. Signor Presidente, sono convinta che chi ha voluto questa proposta di legge parta da ottime intenzioni: essa nasce da intenzioni positive, e non da un'idea di liquidazione della famiglia tradizionale; nasce dall'idea di rendere più facile la formazione di un'eventuale nuova famiglia.
Perché, infatti, dovrebbe essere necessario aspettare tre anni? Perché non permettere a chi vuole uscire da un matrimonio infelice e, magari, ha già un altro compagno o un'altra compagna di iniziare subito questa nuova vita insieme, senza trascinarsi in lunghe attese?
È un'idea che può sembrare del tutto razionale: una volta che un matrimonio è finito, meglio voltare pagina. Eppure, temo che non sia così. Le cose umane non sono mai lineari e razionali, come una dimostrazione matematica. Basta verificare quello che accade nel rapporto tra la contraccezione e l'aborto.
Secondo la pura logica, nei Paesi dove vi è una più alta percentuale di utilizzo della contraccezione, dove è diffusa l'educazione sessuale nelle scuole ed è più semplice accedere, anche per le minori, alle diverse pillole del giorno dopo, dove, insomma, vi è una classica politica di prevenzione, dovrebbe essere ovvio che vi sia un minore numero di aborti.
La realtà dei dati statistici dice esattamente il contrario: paradossalmente, è proprio dove tutto questo accade che vi è il più alto tasso di aborti, con picchi drammatici tra le minori.
Per fare un esempio concreto, la Svezia, il Paese con il più alto tasso di diffusione dei contraccettivi, dove l'educazione sessuale è una prassi consolidata, è anche il Paese che detiene il record europeo dell'interruzione volontaria di gravidanza, mentre l'Italia, accusata sempre di arretratezza in questo campo, registra un numero di aborti decrescente da ormai più di vent'anni e una delle più basse percentuali europee di aborti fra le minori. Pag. 22
Ricordo questi dati per far capire quanto sia consueta e facile l'eterogenesi dei fini e quanto le spiegazioni troppo lineari non rendano giustizia alla complessità dei comportamenti umani, che seguono piuttosto motivazioni profonde, radicate e stratificate nella cultura di un Paese.
Il rischio è che le politiche di prevenzione o di riduzione del danno finiscano, invece, per incrementare e favorire il danno o il fenomeno che si vorrebbe prevenire o a cui si vorrebbe porre rimedio. Una legge che, nelle intenzioni, vorrebbe alleggerire lo stress della separazione potrebbe portare invece ad alleggerire l'impegno matrimoniale, l'idea che una famiglia è nata per durare e che scioglierla con il divorzio è l'ultima delle soluzioni possibili.
L'onorevole Perina ha ricordato qui in Aula come in altri Paesi sia molto più facile divorziare. Lo ha fatto sostenendo che si tratta di un avanzato livello di civiltà, che, come spesso viene detto, su questo l'Italia è in terribile arretratezza e che si tratta, appunto, di una conquista di civiltà il fatto di potere divorziare in breve tempo. Vorrei ricordare in che condizioni è la famiglia nei Paesi che l'onorevole Perina ha citato: il numero di divorzi supera quello dei matrimoni e la percentuale di madri single arriva al 60 per cento, producendo, quindi, una nuova povertà femminile e infantile e un ruolo dei padri sempre più labile e volatile.
Ricordo anche un rapporto ordinato dall'attuale Premier inglese Cameron che si chiamava, se non sbaglio, Breakdown Britain in cui si delineava un quadro sulla famiglia in Inghilterra veramente allarmante e devastante, con tutte le ricadute che il terribile numero di divorzi e le conseguenze sociali che questo produceva avevano, in particolare sui minori e sui figli.
Vorrei ricordare che, invece, il nostro Paese è in controtendenza su tutti i dati che riguardano la famiglia. In Italia vi sono molti meno divorzi che altrove, molte meno madri single - i figli nascono all'interno del matrimonio - e, quindi, vi è un ruolo genitoriale molto più forte e stabile. Chi ha la responsabilità di legiferare deve porsi una domanda essenziale: questa eccezione italiana, questa tendenza alla stabilità e alla durata delle relazioni familiari, è un fatto positivo o no? È qualcosa che va tutelato, possibilmente incoraggiato, o solo, come è stato dipinto anche in quest'Aula, un sintomo di scarsa modernità, la dimostrazione che il nostro Paese è culturalmente antiquato, arretrato e oscurantista? La mia risposta a queste domande non deriva solo dai miei convincimenti personali, ma dalla storia di questo Paese.
In Italia la tradizionale forza della famiglia è stata un potentissimo motore di sviluppo economico, una molla per costruire un futuro migliore per i nostri figli, per fare impresa, per risparmiare. Pensiamo al fenomeno della piccola impresa familiare, alla tradizionale vocazione al risparmio delle nostre famiglie, alla resistenza delle reti e dei rapporti di parentela. Per esempio, da recenti statistiche emerge che le famiglie italiane si vedono, tutte insieme, almeno una volta a settimana, mentre in altri Paesi questo è ormai un sogno.
Abbiamo mantenuto, attraverso la resistenza della famiglia, un sistema di aiuto e compensazione reciproca spontaneo, attraverso forme di sussidiarietà preziose.
Sappiamo bene che se, nonostante tutto, siamo ancora in grado di resistere alla tempesta della crisi economica lo dobbiamo proprio alla propensione al risparmio a cui abbiamo accennato, alla rete familiare di solidarietà e di protezione e alla capacità delle famiglie di funzionare da cellula che ridistribuisce il reddito secondo i bisogni, senza l'intervento dello Stato.
In Italia, insomma, grazie ad una storia particolare in cui gioca un ruolo fondamentale il radicamento del Cattolicesimo, la famiglia resiste molto più che altrove e questo garantisce una tenuta della coesione sociale che è un bene fondamentale anche dal punto di vista economico e sociale. Il bene della famiglia è il bene del Paese. Pag. 23
Certo, la famiglia negli ultimi cinquant'anni è cambiata. Oggi è più fragile, sottoposta a tensioni e a profondi mutamenti culturali e di stile di vita. Una cosa però non è cambiata.
La famiglia resta sempre quella società naturale fondata sul matrimonio indicata dalla nostra Costituzione. La famiglia, così come disegnata dalla Costituzione, fondata sul matrimonio, esige un impegno forte, basato sui doveri reciproci e sulle garanzie per i più deboli, in primo luogo i figli.
A volte, però, le famiglie si rompono. Quando questo accade, è sempre doloroso, è sempre una ferita che brucia. Ma, nonostante il matrimonio possa finire, la famiglia continua ad esistere nell'amore per i figli nel ruolo di genitore. Questo non può mai finire: essere padri e madri, così come essere figli, è qualcosa che ci accompagna per la vita, come ci accompagna nella crescita l'amore gratuito che in famiglia abbiamo dato e ricevuto.
La durata, la stabilità dei legami, è connaturata alla genitorialità umana e, quindi, alla famiglia e non è solo legata ai desideri individuali ed ai rapporti affettivi. Noi qui dobbiamo decidere se questa stabilità, insita nell'impegno matrimoniale ed in particolare genitoriale, è qualcosa che va culturalmente valorizzato e promosso oppure no. Voglio ricordare che, di fronte alle richieste di equiparare al regime della famiglia le convivenze, la Corte costituzionale ha risposto negativamente, facendo sempre leva sulla stabilità del nucleo familiare e - cito - sui caratteri di stabilità e certezza della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri che sono propri della famiglia legittima. Proprio per questo ha ritenuto che la disciplina prevista per la famiglia e quella per le unioni di fatto non sono suscettibili di comparazione.
Secondo la Consulta, il rapporto di fatto è privo - cito ancora - delle caratteristiche di certezza e stabilità, osservandosi fra l'altro che la coabitazione può venire a cessare unilateralmente in qualsivoglia momento. Infatti la convivenza si fonda necessariamente ed esclusivamente su un semplice vincolo affettivo - cito ancora - liberamente e in ogni istante revocabile. Quindi la revocabilità, la facilità di sciogliere un legame, non è per la Corte costituzionale un tratto tipico della famiglia, ma delle convivenze.
Di qui l'impossibilità di estendere, attraverso un mero giudizio di equivalenza tra le due situazioni, la disciplina prevista per la famiglia legittima alla convivenza di fatto. Dunque, la differenza tra una convivenza ed un matrimonio è proprio la forza dell'impegno, dell'impegno pubblico: la stabilità e la certezza dei legami.
Con questa legge andiamo a colpire esattamente questo. E lo colpiamo simbolicamente, culturalmente e concretamente. Rendiamo il matrimonio sempre più simile ad un semplice patto di convivenza, qualcosa che non richiede particolare impegno, che si può sciogliere con facilità. Se ci sono figli basta un anno in più di attesa.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Roccella.

EUGENIA ROCCELLA. Io negli anni Settanta ho lottato perché ci fosse una legge sul divorzio - sto concludendo - perché un matrimonio infelice, per chi non è credente e non lo vive come un sacramento, non sia una prigione, ma non può nemmeno diventare una forma di unione di fatto priva di forte rilievo sociale.
Sono convinta che questo Paese, in cui la famiglia è storicamente solida e centrale, debba finalmente porsi, dopo tanta distrazione della politica, il problema di politiche familiari serie, a partire dal trattamento fiscale fino alle politiche di conciliazione. Ma tutti gli asili nido del mondo e tutte le detrazioni fiscali non serviranno, se non c'è anche una valorizzazione culturale della famiglia, della maternità e della paternità. Questa legge andrebbe esattamente nella direzione opposta (Applausi di deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Pag. 24

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 749-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Paniz.

MAURIZIO PANIZ, Relatore. Signor Presidente, intendo solo ringraziare tutti i colleghi per il contributo che hanno dato alla discussione ed apprezzo anche le opinioni di tipo diverso rispetto a quella del relatore ed alla più parte della Commissione.
Dal lavoro di tutti nasce un testo che noi speriamo possa essere approvato attraverso una collaborazione di grande considerazione delle rispettive posizioni, come sempre deve avvenire nei temi etici.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

SALVATORE MAZZAMUTO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. No, grazie, non intendo replicare, Presidente, confermo quanto detto in esordio, prima.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Volontè, Fioroni, Roccella, Polledri, Commercio ed altri n. 1-00922, Farina Coscioni ed altri n. 1-01016, Palagiano ed altri n. 1-01036 e Miotto ed altri n. 1-01038, concernenti iniziative per la tutela del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico (ore 17,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Volontè, Fioroni, Roccella, Polledri, Commercio ed altri n. 1-00922, Farina Coscioni ed altri n. 1-01016, Palagiano ed altri n. 1-01036 e Miotto ed altri n. 1-01038, concernenti iniziative per la tutela del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che è stata presentata la mozione Stagno D'Alcontres ed altri n. 1-01042 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini, che illustrerà la mozione Volontè, Fioroni, Roccella, Polledri, Commercio ed altri n. 1-00922, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, cambiamo tema, mi pare che anche questo non sia di secondaria importanza. Lo richiamo rapidamente per coloro che, fuori da questa Aula, ci stanno ascoltando.
La nostra mozione riguarda la tutela del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico. Noi nella nostra mozione scriviamo che, in continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, parlo di decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa ha ribadito, esattamente con raccomandazione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010, circa un anno e mezzo fa, che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo. L'Assemblea parlamentare, inoltre, ha sottolineato la necessità di affermare il diritto all'obiezione di coscienza insieme alla responsabilità dello Stato per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure Pag. 25mediche lecite in modo tempestivo, il che mi sembra, anche questo, un diritto assolutamente indiscutibile.
Stante l'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche e legali per tutelare il diritto alla salute, così come l'obbligo di garantire il rispetto del diritto della libertà di pensiero, di coscienza e di religione di operatori sanitari degli Stati membri, l'Assemblea ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare - che ad oggi non ci sono - che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici e che dovrebbero essere volte soprattutto a garantire il diritto all'obiezione di coscienza - insisto in campo medico e paramedico perché non è secondaria questa sottolineatura - e a far sì che i pazienti siano informati di ogni obiezione di coscienza - ovviamente dai medici che hanno di fronte, dal personale medico e paramedico - in modo tempestivo e ricevano un trattamento appropriato, in particolare nei casi di emergenza.
Vanno ricordate, anche in questa occasione, le indicazioni contenute nel VI articolo dei principi di Nuremberg, nell'articolo 10, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, negli articoli 9 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nell'articolo 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici.
Infine, la promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico è affermata nelle linee guida della Federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia e della Organizzazione mondiale della sanità. Ho quindi citato autorevoli organismi internazionali che sanciscono questo diritto.
Il diritto alla obiezione di coscienza infine non può essere in nessun modo «bilanciato» con altri inesistenti diritti e rappresenta il simbolo, oltre che il diritto umano, della libertà nei confronti degli Stati e delle decisioni ingiuste e totalitarie.
Pertanto, chiediamo, al Governo di dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico - insisto su queste due distinzioni - e a garantire la completa fruizione di questo diritto senza discriminazioni o penalizzazioni.
Questo è un discorso che mi sembra molto importante, perché il fatto che si dica che nessuna persona, nessuno ospedale o altro istituto, sarà costretto o considerato responsabile, o sfavorito in qualsiasi modo, a causa di un rifiuto ad eseguire, facilitare, assistere o sottoporre ad aborto, ad eseguire un parto prematuro, o un'eutanasia o qualsiasi atto che potrebbe provocare la morte di un feto o di un embrione umano per qualsiasi ragione, mi sembra che sia affermazione di enorme importanza.
Il fatto che gli Stati membri debbano elaborare delle norme, dei regolamenti più ampi e più chiari, significa che si deve prestare un'importante attenzione a tale discorso. Siccome il dibattito sull'obiezione di coscienza è di estrema attualità, ritengo che questo sia estremamente importante. Questa risoluzione del Consiglio d'Europa - mi sembra opportuno ricordarlo - è stata approvata al termine di un intenso e travagliato dibattito. Infatti la questione dell'obiezione di coscienza, era all'esame di quel consesso, ma era posta in tutt'altri termini. Infatti il rapporto del deputato britannico Christine McCafferty, chiedeva di limitare i diritti fondamentali dei cittadini all'obiezione di coscienza (diceva quindi esattamente il contrario), soprattutto nei confronti di chi, lavorando nel settore sanitario, non intendeva partecipare a pratiche quali l'aborto e l'eutanasia.
Quindi il dibattito nacque esattamente per ragioni opposte. In sostanza si chiedeva di restringere il diritto all'obiezione di coscienza per i medici, e di azzerarlo per il personale paramedico e per le strutture ospedaliere pubbliche e private in tutte i Paesi del Consiglio d'Europa. Dunque l'Assemblea parlamentare non solo ha respinto questo rapporto, ma lo ha sostituto con un nuovo testo, in cui il diritto degli operatori sanitari all'obiezione di coscienza, è sancito in maniera assolutamente esplicita. Ho ricordato (e la richiama anche quella relazione) la Dichiarazione Pag. 26universale dei diritti dell'uomo, il patto internazionale sui diritti civili e politici, in cui si affermano proprio queste questioni.
Un'ultima considerazione. A valutare bene questa norma, anche se il fondamento dell'obiezione di coscienza viene indicato nella libertà di opinione, nella libertà di coscienza e di religione, ciò non può e non deve essere sufficiente ad introdurre negli ordinamenti giuridici il riconoscimento legale dell'obiezione di coscienza. Questo perché? Perché l'obiezione di coscienza deve essere giuridicamente riconosciuta, solo quando il sentire morale del singolo merita un particolare apprezzamento, ovverosia quando accade che la disubbidienza alla legge sia pensata in nome di un valore molto più grande, oggettivamente tale, che quindi non sia sottoposto semplicemente alla libertà di coscienza del singolo, ma quando vi sia in gioco un valore molto più grande, che è ritenuto (questo valore più grande) tale, non solo dal singolo individuo che intende porre in essere l'obiezione di coscienza, ma che sia riconosciuto come fondamentale nella logica stessa dell'ordinamento giuridico. In altre parole, il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, non può essere visto semplicemente come espressione della libertà individuale, ma suppone qualcosa di strettamente collegato con la ragione stessa dell'ordinamento giuridico, e la difesa della vita umana, è esattamente la ragione per cui sussistono gli Stati con i loro ordinamenti giuridici.
Quindi la libertà di coscienza, che si appella certamente alla libertà del singolo individuo, deve, però, avere il proprio radicamento in un valore ben più grande che è alla base dell'ordinamento giuridico dei singoli Stati. È chiaro che la prima manifestazione della dignità umana - e tutti i documenti internazionali l'affermano - è il valore dell'esistenza e, in termini giuridici, questo significa diritto alla vita, in altri termini il famoso «non uccidere». La difesa della vita umana è la ragione per cui sussistono gli Stati con i loro ordinamenti e, quindi, l'obiezione di coscienza deve essere giuridicamente riconosciuta solo quando il giudizio morale del singolo riguarda un valore civile costitutivo assolutamente dello Stato stesso, in questo caso la vita umana. È chiaro che, messa in questi termini, la nostra mozione assume un significato particolare.
Concludo dicendo che l'obiettore che intende omettere un comportamento previsto dalla legge, e chiede che tale omissione gli sia consentita, non contesta la legge come tale - e questo è fondamentale -, anche se implicitamente ne denuncia l'immoralità, né ciò costituisce un programma articolato di resistenza o di contestazione o di disubbidienza civile. Caratteristica saliente dell'obiezione di coscienza è l'assunzione, in prima persona, e senza coinvolgere altri soggetti, delle conseguenze che dall'obiezione derivano. L'obiezione di coscienza consiste nell'affermare il primato della coscienza nei confronti dell'autorità della legge, il diritto del singolo di valutare se quanto gli viene richiesto è compatibile con i principi morali ai quali sente di dover ispirare la propria condotta, ma, certamente, non vuole essere una sorta di negazione della suddetta legge e, anzi, chiede che una norma del genere si possa richiamare ad un bene più alto, ad un bene fondante, ad un bene assoluto che, quindi, non dia luogo ad una sorta di «liberi tutti» nel senso che la coscienza è il luogo dell'opinabile, dove si può cambiare idea e dove si può contestare un atteggiamento o l'altro in base al mutare delle logiche o delle mode o delle legislazioni, ma ha un significato molto profondo, perché si basa su un valore oggettivo, universale e perenne nel tempo, in questo caso la sacralità della vita umana.
Qui non si vuole dire che in nome della libertà di coscienza si possa permettere di disattendere qualsiasi legge, qualsiasi vincolo e qualsiasi obbligo, perché questo rischierebbe di vanificare il ruolo dello Stato come ordinamento giuridico; quando, però, si fa riferimento - ripeto - a dimensioni molto più grandi e molto più serie, che travalicano addirittura la dimensione soggettiva della coscienza, per arrivare ad approdare a fondamenti oggettivi Pag. 27e, quindi, a fondamenti che sono alla base della Costituzione di uno Stato, questo significa che la coscienza del singolo viene interpellata, ma dà delle risposte in funzione del bene comune e di questa visione più grande. Questa è la ragione di fondo, che si richiama a tutti i documenti che ho citato, per cui abbiamo presentato questa mozione, che mi auguro avrà il consenso di quest'Aula.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maurizio Turco, che illustrerà la mozione Farina Coscioni ed altri n. 1-01016, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Ci sono due aspetti del documento approvato dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Uno lo ha appena finito di illustrare la collega, e sostanzialmente non riguarda il nostro Paese, perché se c'è un diritto riconosciuto per legge e applicato, anche al di là di quelle che sono le necessità di legge, è proprio il diritto all'obiezione di coscienza. Ma la risoluzione parla anche di altro e quell'altro riguarda in particolar modo il nostro Paese, e cioè la necessità di garantire - c'è scritto nella risoluzione - il diritto di ogni individuo di ricevere dallo Stato le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali, cioè quelli previsti per legge. Domani, nel trentaquattresimo anniversario dell'entrata in vigore della legge n. 194 del 1978 - la legge che ha legalizzato l'aborto - togliendo il potere ad una varia umanità che attraverso la liberalizzazione dell'aborto riusciva a creare un mercato clandestino di circa un milione di aborti l'anno, come riconobbe l'Organizzazione mondiale della sanità, si ricorda che grazie alla legge n. 194, si è potuto ridurre drasticamente il numero degli aborti.
Ma domani, proprio nel trentaquattresimo anniversario della legge n. 194, in una sala del Senato, l'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e l'AIED, l'Associazione italiana per l'educazione demografica, hanno sentito l'urgenza di organizzare un incontro, un convegno, sull'obiezione di coscienza in Italia, proprio riguardo alle professioni mediche, sanitarie e parasanitarie. Noi radicali, con la prima firma dell'onorevole Farina Coscioni, presidente onorario dell'associazione Luca Coscioni, insieme ad altri colleghi del Partito Democratico, abbiamo voluto presentare una mozione che prendesse spunto da alcuni dati che si commentano da soli, e che dovrebbero invitare ad una profonda riflessione.
Il 13 febbraio scorso sono stati presentati a Milano i risultati di un sondaggio condotto su un campione di mille ragazzi over 13 anni, promosso dalla società italiana di ginecologia e ostetricia, circa la diffusa disinformazione dei giovanissimi in materia di rapporti sessuali e sistemi contraccettivi. Tra gli elementi di rilievo si segnala che il 59 per cento dei ragazzi è totalmente oscuro quali siano le regole basilari inerenti la sfera sessuale e la sessualità. Il 27 per cento crede che la pillola sia adatta solo alle maggiorenni. Il 23 per cento pensa che la visita ginecologica sia impossibile per una ragazza vergine. Il 71 per cento si crede al riparo dalle malattie sessualmente trasmissibili perché si fida del partner. Il 28 per cento adotta meno precauzioni dopo il primo rapporto sessuale. Il 54 per cento si affida alla contraccezione d'emergenza; nel 2011 c'è stato un incremento di quattro punti percentuali, con 357 mila e 800 unità vendute, di cui la metà alle ragazze sotto i vent'anni. A fronte di insufficienti, per non dire inesistenti, canali istituzionali, sono sempre più numerosi i ragazzi che ricevono precocemente stimoli sessuali, spesso traviati, da Internet, dalla televisione e dai coetanei. Stimoli che sarebbe opportuno bilanciare con un tipo di informazione scientifica quale strumento di alfabetizzazione alla salute e alla promozione di stili di vita corretti anche in campo riproduttivo e sessuale. Quindi il primo punto è la questione giovani e la carente informazione sui metodi contraccettivi. Infatti la vera lotta all'aborto non viene dalle parole o dalle prediche, ma dall'informazione sui metodi contraccettivi. Chi è contrario alla contraccezione, di Pag. 28fatto promuove l'aborto, visto che l'appello all'astinenza non funziona nemmeno per chi ha fatto sacro voto di castità.
Altri dati ancora abbiamo considerato per arrivare a chiedere precisi e non più derogabili impegni al Governo. Si parlava della risoluzione, anzi della raccomandazione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, sul diritto di sollevare obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche legali, nella quale vengono specificati gli ambiti sanitari ove la pratica dell'obiezione di coscienza deve essere tutelata e regolamentata, ovvero l'interruzione volontaria di gravidanza, le situazioni di fine vita e la procreazione medicalmente assistita. I riferimenti sulla materia previsti dal diritto internazionale ed europeo rinviano alla libertà e alla sicurezza della persona, articoli 3, 18 e 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, all'articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, agli articoli 9 e 18 del Patto sui diritti civili e politici, al diritto alla salute previsto dall'articolo 12 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali, al diritto alla non discriminazione nel campo della salute e della cura previsto dagli articoli 12 e 16 della Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, al diritto di godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni, previsto dall'articolo 15 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali, e al diritto di decidere liberamente e responsabilmente sul numero dei figli da avere, previsto dall'articolo 16 della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Ecco, quando citiamo i diritti citiamoli tutti. Non esistono alcuni diritti più diritti di altri: questi sono i diritti in materia, previsti dalle convenzioni e dai trattati internazionali.
In continuità, nel 1999, il comitato previsto, ha prodotto una raccomandazione generale nella quale, interpretando l'articolo 12 della stessa Convenzione, ha richiesto agli Stati parti di eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne, anche riguardo all'accesso ai servizi riproduttivi, con particolare riferimento alla pianificazione familiare, alla maternità e alla fase post natale. Il Comitato ha inoltre riconosciuto che l'accesso alle cure sanitarie, incluse quelle collegate alla riproduzione, costituisce un diritto riconosciuto dalla stessa Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. In continuità con il diritto internazionale ed europeo, appena richiamato, e con le regole di deontologia medica internazionale approvate dalla federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia, l'Organizzazione mondiale della sanità, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha riconosciuto, in quella risoluzione, le diverse situazioni giuridiche soggettive ed oggettive, pertinenti agli ambiti sanitari, tutelando da una parte il diritto del personale sanitario di sollevare, senza subire discriminazioni, obiezione di coscienza quale espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione, e dall'altra parte l'inalienabile diritto di ogni individuo alla salute e la responsabilità...

PRESIDENTE. La invito a concludere onorevole.

MAURIZIO TURCO. Ho già esaurito i dieci minuti, signor Presidente?

PRESIDENTE. Manca un minuto onorevole, io avverto prima per consentire la conclusione.

MAURIZIO TURCO. Grazie, poi posso consegnare l'intervento comunque.

PRESIDENTE. Certamente.

MAURIZIO TURCO. ... e la responsabilità dello Stato di garantire che ogni paziente riceva le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali entro i termini appropriati. L'impegno che chiediamo al Governo è quello di dare, nel quadro del diritto internazionale e comunitario richiamato in premessa, completa - completa soprattutto - nonché effettiva attuazione, all'invito dell'Assemblea parlamentare Pag. 29del Consiglio d'Europa a salvaguardare e regolamentare, nell'ambito sanitario, il diritto all'obiezione di coscienza, così come a garantire il diritto di ogni individuo di ricevere dallo Stato le cure mediche e i trattamenti sanitari legali.
Mi consenta, signor Presidente, di dire due cifre davvero in 30 secondi: la relazione del Ministro della salute presentata al Parlamento il 4 agosto 2011 dimostra che nel 2009, a livello nazionale, il 70,7 per cento dei ginecologi è obiettore. È forse questo un Paese che non consente l'obiezione di coscienza?
Il trend è passato dal 58,7 per cento del 2005 al 70,7 per cento nel 2011; il tasso degli anestesisti obiettori - lo dice il Ministro della salute - è passato dal 45,7 per cento del 2005 al 51,7 per cento del 2012; il dato nazionale del personale non medico obiettore è passato dal 38,6 per cento del 2005 al 44,4 per cento del 2009; al sud la quasi totalità dei ginecologi è obiettore: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise.
Credo che il Governo possa, riferendosi ai dati in suo possesso che ha fornito a questo Parlamento, comprendere che è la seconda parte della risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa quella di cui vi sarebbe bisogno di maggior rispetto in questo Paese, cioè quella di garantire il diritto di ogni individuo di ricevere dallo Stato le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Maurizio Turco, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Palagiano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01036. Ne ha facoltà.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, ricordo che, quando ero ragazzo, fino ad alcuni anni fa, e si parlava di obiezione di coscienza, si pensava al servizio militare, per il quale l'alternativa era il servizio civile, e si pensava, soprattutto, all'aborto chirurgico. Poi cosa è accaduto? Con l'avvento dei farmaci antiabortivi (la RU 486, la pillola del giorno dopo, e la pillola dei cinque giorni dopo, che non sono abortivi, ma non importa, «passano» anche loro) e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, nonché del tema del fine vita - in cui si stabilisce arbitrariamente quando la vita inizia e quando la vita finisce, magari con delle definizioni che non sono proprio, in qualche maniera, accettate dalla società scientifica, ma come sappiamo, l'autoreferenzialità è caratteristica dei poteri forti, anche se ciò non mi appartiene e non mi ci vedo, ma mi adeguo -, oggi parliamo di obiezione di coscienza, allargando il quadro della sua applicazione e, quindi, come dicevo, oltre che all'aborto, anche alla procreazione assistita, al fine vita, alla sperimentazione sui farmaci abortivi e alla sperimentazione sugli animali.
Quindi, il campo, dicevo, si è allargato e poco importa se nella sostanza viviamo in una società cosiddetta cristiana, ma cristiana, io dico del «paradosso», in cui, al di là di ciò che si enuncia, o ciò che si dichiara, assistiamo a una quotidianità fatta di missioni di pace fatte con armi da guerra, di difesa della famiglia e dei suoi valori da parte di politici divorziati - saranno tutti casi di resipiscenza operosa, evidentemente - o di etica della gestione della cosa pubblica da parte di una classe dirigente invischiata e responsabile del disastro finanziario in cui ci troviamo, anche per fenomeni di corruttela diffusa. Sono comportamenti, questi, che non sono solo censurabili, ovviamente, ma che non hanno nulla a che fare con la cristianità, che molto spesso si professa in quest'Aula e per la quale si chiedono evidentemente delle garanzie.
Ho ascoltato e conosco i numeri che ha prima trattato l'esponente radicale, ed effettivamente sono dati abbastanza inquietanti: 70 per cento dei ginecologi, 51 per cento degli anestesisti, 44 per cento di obiettori fra il personale non medico, ma Pag. 30comunque sanitario. Quindi, quando un operatore sanitario ritiene che stia commettendo un'azione o sta facendo una prestazione che ritiene immorale, oppone una resistenza e, quindi, esercita quel suo diritto che è appunto l'obiezione di coscienza, che è prevista dalle leggi vigenti.
Faccio riferimento, anche in questo caso, all'aborto, perché rappresenta un po' il tema più scottante e più inquietante e quindi so bene cos'è il diritto alla vita e so cosa intende specialmente l'Organizzazione mondiale della sanità.
Essa ha più volte definito la salute non come l'assenza della malattia, ma come uno stato di benessere fisico, psichico e sociale e, proprio per questo, il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza, se non garantito, o semplicemente ritardato per la mancanza di personale, può portare angoscia e malessere nella donna, violando quindi il suo diritto alla salute, che è sacrosanto, come dicevo, ed è previsto dalla Costituzione.
Ricordo innanzitutto che la legge n. 194 del 1978, all'articolo 1, giustamente prevede che l'IVG non è un mezzo di controllo delle nascite, ma all'articolo 4 sancisce un altro principio altrettanto giusto, secondo il quale, qualora entro i primi 90 giorni di gravidanza la donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, parto o maternità comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica in relazione al suo stato di salute o alle condizioni economiche, sociali, familiari o per la previsione di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge a un consultorio pubblico o a un suo medico di fiducia. È legge dello Stato.
Ma non teniamo conto che spesso la donna deve fare i conti con l'obiezione di coscienza, che è prevista per legge e che talvolta ritarda, ostacola, complica o, addirittura, impedisce l'interruzione volontaria di gravidanza. Ci troviamo davanti a due principi liberali: quello del diritto all'obiezione di coscienza e il diritto all'interruzione di gravidanza, ma sembrerebbe che il primo, cioè quello dei medici e dei paramedici, non viene mai messo in discussione o, comunque, parrebbe avere un peso maggiore rispetto al secondo e che riguarda la salute fisica o psichica della donna che drammaticamente deve fare ricorso ad una metodica sempre traumatica, sia dal punto di vista fisico che psicologico.
Invece, si tratta di due principi legittimi, che dovrebbero idealmente poter convivere, affinché nessuno veda negata la propria libertà. Il medico dovrebbe poter obiettare e la donna dovrebbe poter abortire, ricorrere all'interruzione. Questo sarebbe in uno Stato normale. Di fatto non è così. Abbiamo sentito i numeri della relazione del Ministro Fazio del 4 agosto del 2011 e sono numeri incontrovertibili. In realtà, in questa sede non voglio dire che sono a favore o contrario. Non sta a noi dire, come politici, se siamo a favore o contrari all'aborto; non è questa la sede, esiste una legge dello Stato. Si tratta soltanto di garantire al cittadino uguali diritti previsti dalla legge e che, proprio seconda la relazione di Fazio, sono messi in serio rischio. In un campo così delicato, in cui si affrontano o, più spesso, si scontrano punti di vista e sensibilità diametralmente opposte, risulta inevitabile il confronto tra due diritti e così ci si chiede se vada difesa prioritariamente l'autonomia del professionista oppure la libertà della paziente, e quindi il suo benessere psicofisico.
Io personalmente ritengo che il benessere della paziente sia prioritario e che il medico non possa anteporre la propria morale agli interessi e ai diritti della paziente sanciti dalla legge. Infatti, l'obiezione di coscienza aveva una sua giustificazione per quei medici che erano in servizio nel 1978, quando si sono visti piombare sulla propria testa la legge n. 194 e un po' meno oggi, credo, che il ginecologo sa bene che fra i suoi compiti c'è anche quello di aiutare le donne che vogliono interrompere la gravidanza o che vogliono cercare un figlio, perché non possono averlo attraverso la procreazione assistita. Fa parte del pacchetto, direi. Quindi la giustificazione è un po' minore, ma è sacrosanta, come il diritto della donna. Pag. 31
Ricordo che la legge n. 194 del 1978 fu proprio introdotta, come ha detto prima l'esponente radicale, per evitare questo turismo abortivo, per evitare l'aborto clandestino, che ha fatto migliaia di vittime. Non possiamo tornare 34 anni indietro. Credo sia una conquista di civiltà. Poi ognuno ha il suo Dio, ognuno crede e agisce sotto la propria responsabilità e sotto la propria morale. È perciò necessario che il legislatore riesca a coniugare i due diritti, nel rispetto delle libertà individuali, senza pregiudizi preconfezionati o precostituiti. In verità, ci sarebbero delle soluzioni di buon senso, ad esempio se il medico obiettore ad esempio indicasse alla paziente il nome di un altro collega non obiettore o il nome di un'altra struttura.
Ma faccio fatica ad immaginare che un ginecologo, che per profonda convinzione o per ortodossia religiosa considera l'aborto come un omicidio, possa impegnarsi per facilitare il compito alla donna. Così come ritengo piuttosto difficile che un dirigente di struttura complessa, che magari è obiettore di coscienza, riesca a mettere in pratica e ad attivare quella mobilità insieme alla regione, che è prevista proprio dalla legge n. 194 del 1978. Faccio fatica.
Un ultimo punto di vista da considerare è che oggi come oggi, per come sono messe le cose, obiettare potrebbe anche equivalere a un premio, potrebbe essere quindi premiante o conveniente. Obiettare è un diritto, è sì un diritto, ma dovrebbe prevedere, a mio avviso, l'espletamento di un pari servizio sociale previsto dalla normativa vigente e di pubblica utilità. Non è più accettabile, a mio avviso, che un dipendente del sistema sanitario nazionale possa, per un proprio convincimento etico, esonerarsi da una prestazione professionale senza alcuna contropartita, facendo gravare su pochi altri servizi gravosi che finiscono per essere l'unica occupazione giornaliera, con serio rischio di dequalificazione professionale e blocco della carriera.
Infatti, qualsiasi disciplina medica prevede le esperienze in più settori, e quindi la necessità di assolvere a più compiti, per crescere professionalmente, cioè per fare punteggio. Verrebbero così a crearsi medici di serie A e medici di serie B, e questo penso che non sia giusto né accettabile. La mozione sull'obiezione di coscienza fa seguito alla risoluzione n. 1763 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, la quale - lo ricordo - ha segnalato proprio che sicuramente deve essere lasciata la possibilità ai medici o agli operatori sanitari di esercitare l'obiezione di coscienza, ma anche di consentire l'accesso ai servizi alle donne che vogliono avvalersi, per esempio, dell'interruzione di gravidanza o della PMA e soprattutto evitare il rischio che la mancanza di regolamentazione possa abbattersi sul ceto sociale più debole, cioè sulle donne meno abbienti.
In realtà la stessa risoluzione del Consiglio d'Europa riferisce che le condizioni europee sono abbastanza buone. In Italia ricordo che l'obiezione di coscienza è regolamentata dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 e dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004, ma la situazione italiana è un po' a macchia di leopardo, come tutta la sanità. Abbiamo regioni virtuose, come la Val d'Aosta, in cui soltanto il 18 per cento dei medici sono obiettori e poi abbiamo la Campania, la Basilicata e il Molise con l'83, l'84, l'85 per cento.
Chiaramente sono numeri - se consideriamo soltanto la media e soltanto i ginecologi si tratta del 70,6 per cento - che probabilmente mettono a serio rischio la garanzia per le donne che vogliono accedere ai servizi di interruzione di gravidanza o ai servizi di PMA o nel caso del fine vita. Quindi, la ricerca di un medico non obiettore oggi in Italia probabilmente determina un allungamento dei tempi e le donne, ovviamente quando possono, vogliono interrompere la gravidanza quanto prima. Gli interlocutori non sempre sono disponibili, vi sono donne che devono migrare da una regione all'altra e soprattutto fra le immigrate c'è il possibile Pag. 32rischio altissimo di aborto clandestino, che non vorremmo più rientrasse nel nostro Paese.
Questi due soggetti, cioè il medico, l'operatore sanitario, da un lato, e la donna dall'altro lato, ovviamente devono essere tutelati entrambi. Abbiamo questo confronto-scontro, ma siamo in un Paese liberale in cui tutti i diritti devono essere garantiti e credo che, anche in relazione all'obiezione di coscienza, il legislatore deve essere equo e non legiferare soltanto per una parte politica. Per quanto riguarda la legge n. 194, sappiamo che l'obiezione di coscienza quindi è un diritto della persona, ma non è un diritto della struttura. Al medico o all'infermiere viene garantito di potersi avvalere dell'obiezione di coscienza, ma quel che è un diritto del singolo non è un diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha anzi l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie. Infine, la crescita in questi anni del numero degli obiettori e il progressivo pensionamento dei non obiettori ha determinato la chiusura dei servizi, con ospedali privi di reparti di interruzione di gravidanza perché la stragrande maggioranza dei ginecologi, degli anestesisti e dei paramedici ha scelto per l'obiezione di coscienza.
Per tutti questi motivi suesposti, con la mozione dell'Italia dei Valori noi chiediamo al Governo di garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, nonché la sua piena applicazione a tutela dei diritti e della salute delle donne, assumendo anche iniziative finalizzate all'assunzione di personale non obiettore al fine di garantire il servizio.
Chiediamo anche al Governo di attivarsi concretamente al fine di assicurare, pur nel rispetto dell'obiezione di coscienza, il pieno ed efficiente espletamento da parte degli enti ospedalieri degli interventi di IVG e, infine, ad assumere ogni iniziativa affinché negli ospedali italiani l'organizzazione del personale sia realizzata in modo tale da evitare che vi siano presidi con oltre il 50 per cento di obiettori.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Livia Turco, che illustrerà la mozione Miotto ed altri n. 1-01038, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

LIVIA TURCO. Signor Presidente, l'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 prevede in modo chiaro, limpido il diritto all'obiezione di coscienza. È una legge, la n. 194, che ha 34 anni e che appartiene a quelle leggi del nostro Paese che brillano per lungimiranza, saggezza ed efficacia. Una legge va valutata per i risultati che si prefigge di ottenere e per i risultati che ottiene. La legge n. 194 del 1978 si prefigge l'obiettivo di ridurre il ricorso all'aborto, di incrementare la consapevolezza delle donne e degli uomini nei confronti del valore della maternità e della paternità e, dunque, di prevenire l'aborto. Si prefigge altresì un sostegno sociale alla maternità.
Se guardiamo le cifre (perché è utile guardarle), questa è, tra le leggi del nostro ordinamento, una di quelle che brillano per efficacia, perché la riduzione del ricorso all'aborto è stata davvero drastica, come prima è stato detto. «Drastica» significa che la riduzione del ricorso all'aborto tra le donne italiane è stata del 60 per cento. Resta il problema delle donne immigrate, per le quali sono necessarie iniziative mirate per la prevenzione dell'aborto, per la formazione e per il sostegno alla maternità.
Il risultato così importante che ha ottenuto questa legge è da ricercarsi nell'impianto della legge stessa. Si tratta di una legge che si prefigge dei valori molto chiari: la scelta da parte delle donne, la tutela sociale della maternità - e, dunque, la prevenzione dell'aborto - e il rispetto della competenza medica. La legge si propone un equilibrio tra la salute della donna e la tutela del nascituro. La forza della legge n. 194 del 1978 sta in questa ricerca dell'equilibrio tra i diversi valori in gioco: equilibrio tra la salute della donna e la prevenzione dell'aborto e, dunque, tra la salute della donna e il diritto alla vita; equilibrio tra l'obiezione di coscienza e la salute della donna. Equilibrio: credo che Pag. 33questo equilibrio debba essere esattamente ricercato e costruito dalle politiche pubbliche. È compito delle politiche pubbliche e delle istituzioni - questo lo dice in modo chiaro la legge - fare sì che un diritto non prevalga sull'altro e in questo caso il diritto all'obiezione di coscienza è sacro, indiscutibile e scritto in modo chiarissimo. Noi non abbiamo bisogno di rifarci a trattati internazionali, perché la nostra legge è chiarissima in merito.
Però, la legge stessa ci dice che questo diritto non deve entrare in contraddizione con un altro diritto, che la legge mette nel suo primo articolo, che è quello della prevenzione dell'aborto e della tutela della salute delle donne. Dunque, è compito delle politiche pubbliche cercare l'equilibrio tra questi due valori in gioco: obiezione di coscienza e tutela della salute della donna.
Se andiamo a vedere l'applicazione della legge ci rendiamo conto che, insieme al drastico ricorso all'aborto, ci sono altri problemi. Ricordo la tutela sociale della maternità. Credo che non possiamo dirci soddisfatti del modo con cui la nostra società e le politiche pubbliche tutelano la maternità. Quante sono le donne che vorrebbero avere più figli e che non riescono ad averli?
Così come non possiamo dirci soddisfatti del modo con cui si fa un'azione di prevenzione e di educazione - sottolineo educazione - nei confronti dei nostri giovani. Non possiamo certo dirci soddisfatti di come, insieme alla legge n. 194 del 1978, venga applicata l'altra grande e importantissima legge, che ha preceduto la legge n. 194 del 1978, che è la legge istitutiva dei consultori. Ecco, questo straordinario servizio, il consultorio familiare!
Non possiamo certo dirci soddisfatti nell'applicazione della legge se andiamo a vedere i dati che sono stati citati prima rispetto all'obiezione di coscienza. Siccome l'obiezione di coscienza è indiscutibile e sacra, non è che diciamo di intervenire di fronte alla cifre. No, si rispettano! Però, dobbiamo sapere che le politiche pubbliche devono costruire l'equilibrio tra i valori in gioco. Si deve sapere di quel 70 per cento di obiettori tra i ginecologi (che diventano l'80 per cento e più nel Mezzogiorno), di quell'alta percentuale di anestesisti obiettori e di quell'alto numero di personale ausiliario obiettore. Nessuno vuole mettere in discussione tutto questo, perché è l'espressione di un diritto sacro, indiscutibile.
Tutto questo, però, che cosa comporta dal punto di vista della salute delle donne? Comporta, come abbiamo scritto nella nostra mozione (vorrei citarla), che ci sono «tempi di attesa molto lunghi per l'intervento, che molte volte vanno oltre le due settimane». Come risulta dalla relazione del Ministero della salute, «nel 2009 oltre il 40 per cento delle donne ha dovuto aspettare più di 14 giorni per poter effettuare l'interruzione volontaria di gravidanza e, in alcuni casi, arrivano anche ad un mese o più (nel 2009 il 15,8 per cento delle donne ha dovuto aspettare oltre tre settimane), con la conseguenza che le donne si rivolgono a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali, all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute».
Dunque, una buona politica pubblica, che vuole rispettare la legge n. 194 del 1978, deve tenere insieme questi due dati. È indiscutibile che vi sia il rispetto dell'obiezione di coscienza, ma lo Stato deve valutare la conseguenza che questa obiezione di coscienza ha sulla salute delle donne e, quindi, deve farsene carico, non certamente per limitare l'obiezione di coscienza, ma per realizzare un'organizzazione dei servizi, che è compito esattamente delle politiche pubbliche. È necessaria un'organizzazione dei servizi per far sì che quell'equilibrio di valori sia sempre garantito.
L'organizzazione dei servizi deve essere quella, per esempio, che fornisce un indirizzo alle regioni, perché queste se ne facciano carico, in tutte le strutture e in tutti i presidi, e perché vi sia, comunque, una presenza di personale non obiettore. Questa è una cosa che si può e si deve fare e che, non a caso, alcune regioni fanno e, non a caso, in quelle regioni si riesce a Pag. 34garantire l'equilibrio tra il diritto all'obiezione di coscienza e la tutela della salute delle donne. I tempi lunghi di attesa, quando si ha una malattia, sono gravi, ma i tempi lunghi di attesa, quando si deve ricorrere all'aborto, sono altrettanti gravi.
Per questo noi chiediamo, nella nostra mozione, al Governo un impegno proprio per l'organizzazione dei servizi, con un indirizzo rivolto alle regioni affinché le regioni, nell'organizzazione dei servizi, si facciano davvero carico di garantire in modo scrupoloso l'equilibrio tra il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e la tutela della salute delle donne.
Questo significa alcune cose in modo particolare: significa, per esempio, potenziare molto questi benedetti consultori familiari, consultori che invece stanno vivendo una vita sempre più difficile soprattutto in alcune parti d'Italia, vita difficile per via dei finanziamenti.
I consultori familiari - e concludo - potrebbero essere uno strumento molto adeguato, se inseriti nella rete integrata dei servizi. Potrebbero essere lo strumento adeguato che consente di collegare immediatamente la donna che si rivolge al consultorio con la struttura ospedaliera, riducendo i tempi d'attesa.
Quindi, nella nostra mozione, chiediamo un forte potenziamento del consultorio familiare, così come chiediamo e sollecitiamo il Governo a promuovere, di intesa con le autorità scolastiche, quell'attività di informazione - e soprattutto di educazione - alla sessualità, alla salute riproduttiva e alla tutela sociale della maternità, rivolta ai nostri giovani e alle nostre ragazze.
Anche su questi temi e sui temi dell'aborto, della salute sessuale e della maternità i più esposti sono i nostri giovani e le nostre ragazze. Quelli e quelle a cui dobbiamo pensare di più sono i nostri giovani e le nostre ragazze. Dobbiamo pensare a loro in termini di strumenti informativi, ma anche di valori da trasmettere e, nella legge n. 194, ci sono valori forti da trasmettere; e questi valori vanno tenuti insieme sempre, garantendo sempre quell'equilibrio che è la ragione fondamentale del successo di una legge così importante, lungimirante e saggia come la legge n. 194 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la mozione Stagno D'Alcontres n. 1-01042, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il dibattito su queste mozioni sta chiarendo molte parti dell'argomento. È chiaro che abbiamo una legislazione - come è stato messo in evidenza - molto avanzata su questi aspetti, però non possiamo non riferirci anche a quanto contenuto in una risoluzione dell'Unione europea. La risoluzione n. 1763 garantisce il diritto di sollevare obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche legali. È stata approvata il 7 ottobre 2010 dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e riporta gli ambiti sanitari in cui la pratica dell'obiezione di coscienza deve essere tutelata e regolamentata.
In particolare, la risoluzione fa riferimento non solo all'interruzione volontaria di gravidanza, a cui noi più spesso siamo portati a riferirci, ma anche alle situazioni di fine vita e alla procreazione medicalmente assistita.
Riconoscendo, quindi, questa risoluzione (in verità, anche l'Organizzazione mondiale della sanità fa lo stesso) la tutela del diritto del personale sanitario (medici, infermieri e anestesisti) di sollevare obiezione di coscienza, quale espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione, l'Assemblea ha invitato tutti gli Stati membri d'Europa non ancora dotati di normative, ad adottare atti completi e chiari. Infatti, la liceità dell'obiezione di coscienza è subordinata al riconoscimento da parte dello Stato agli individui della possibilità di astenersi da condotte che determinano un conflitto interiore del soggetto rispetto al suo sistema di valori.
È chiaro che la nostra legge, la legge n. 194 del 1978, all'articolo 9, ha introdotto una particolare species di obiezione di coscienza, in materia di interruzione Pag. 35volontaria della gravidanza, riconosciuta al personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, salvo nei casi urgenti nei quali è in gioco la vita di una persona. Peraltro, una disposizione similare è contenuta anche nel codice di deontologia medica approvato anch'esso nel 1978 che, all'articolo 28, stabilisce che «qualora al medico vengano richiesti interventi che contrastino col suo convincimento clinico o che discordino con la sua coscienza, come nel caso di sterilizzazione, aborto o interventi di plastica, egli può rifiutare la propria opera pur nel rispetto della volontà del paziente».
Mentre l'articolo 16 della legge n. 40 del 2004, che riguarda la procreazione medicalmente assistita, riconosce al personale sanitario ed esercente le attività sanitarie accessorie la facoltà di astenersi dal compimento della procedura, adottando un'impostazione similare alla disciplina in materia di aborto.
Giustamente in alcuni degli interventi precedenti sulle mozioni che sono state presentate si è detto che il diritto all'obiezione di coscienza ha un fondamento costituzionale nel diritto generale alla libertà religiosa e alla libertà di coscienza, diritti esplicitamente previsti anche nell'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ma deve pur sempre essere realizzato nel rispetto degli altri diritti fondamentali previsti dalla nostra Carta costituzionale e, tra questi, l'irrinunciabile diritto del cittadino a vedere garantita la propria salute e a ricevere quell'assistenza sanitaria riconosciuta per legge.
Nel 2009 la Relazione del Ministro della salute Fazio proprio in quest'Aula ci ha dato le cifre: fino a quella data - oggi possiamo pensare che tali cifre si siano accentuate e non solo stabilizzate - sembrava che nelle regioni si fossero stabilizzate le percentuali degli obiettori di coscienza tra ginecologi ed anestesisti, dopo un notevole incremento avvenuto negli ultimi anni. Speriamo che sia così, perché in alcune regioni meridionali c'è ancora una crescita preoccupante, tanto che in quei territori si pongono problemi organizzativi alle ASL, che devono organizzare negli ospedali, specialmente nel Mezzogiorno d'Italia, dei gruppi di intervento che possano dare risposte alle richieste dei cittadini di assistenza sanitaria in ogni caso.
Lì ci sono otto obiettori su dieci, quindi lo Stato deve in qualche modo non solo intervenire, ma assicurare ai cittadini che richiedono l'assistenza sanitaria che si possano avere medici non obiettori anche in quei territori.
Perciò la nostra mozione cerca di impegnare il Governo proprio sulla combinazione di questi due diritti: il diritto individuale del medico e dell'operatore sanitario ad obiettare, ma anche il diritto del cittadino di chiedere alla struttura pubblica ospedaliera e alle case di cura autorizzate che siano sempre nelle condizioni di poter rispondere a queste richieste, che non devono avere tempi lunghi per essere rispettate.
Pertanto noi, signor Presidente, ci aspettiamo che questa Assemblea, approvando queste mozioni, garantisca in qualche modo la richiesta dei cittadini di coniugare questi due diritti che sembrerebbero, a prima vista, inconciliabili.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, nel mio intervento mi concentro soprattutto sulla mozione che ha portato in Aula questo dibattito, quella a prima firma Volontè. È una mozione che, a un primo sguardo, ribadisce una cosa sacrosanta: l'obiezione di coscienza è un diritto che va tutelato. Io stesso l'ho esercitata nella mia vita, ai tempi del servizio militare, e ne vado fiero: invece di partire per la Marina, dove probabilmente sarei finito, scelsi di servire gli immigrati al centro Astalli. Se fossi un medico o un operatore della sanità - lo dico senza imbarazzo - con ogni probabilità la eserciterei anche rispetto all'interruzione di gravidanza: sarei uno dei tanti medici obiettori in Italia, insomma, perché la mia coscienza non mi permetterebbe comportamenti diversi. Pag. 36
Ma attenzione: c'è un'obiezione se c'è anche una legge dello Stato alla quale si obietta, altrimenti non si chiamerebbe obiezione ma facoltà. Ai tempi del mio servizio civile, 17 anni fa, la legge era quella della leva obbligatoria.
Oggi che la leva obbligatoria non c'è più, è venuta meno anche l'obiezione di coscienza al servizio militare. Lo stesso discorso vale per l'interruzione di gravidanza: vi è un'obiezione perché vi è anche una legge dello Stato alla quale si obietta, e questa legge è la n. 194 del 1978. E posso pensare tutto quello che voglio della legge n. 194 - qualcosa, magari, la dirò più avanti - ma non far finta che non esista: se penso che debba essere cambiata o abrogata, presento una proposta di legge, vengo qui in Aula e mi confronto con i numeri del Parlamento; finché ciò non accade, la legge n. 194 è in vigore, e dice una cosa chiara.
Che la donna, cioè, in presenza di determinate condizioni e comunque dopo essere passata per il consultorio, «può presentarsi - cito l'articolo 5 - ad una delle sedi autorizzate a praticare l'interruzione della gravidanza.» Già ho spiegato come mi comporterei io, che sono stato capace di litigare con mia moglie addirittura per l'amniocentesi, ma mi pare del tutto secondario rispetto al punto in questione, quello del nostro ordinamento giuridico. Esso prevede sia l'interruzione di gravidanza nelle strutture del Servizio sanitario nazionale, sia la possibilità per il personale sanitario obiettore di non prendere parte alle procedure. Nella mozione Volontè n. 1-00922, invece, si cita la legge a commi alterni, arrivando alla tesi - leggo uno degli ultimi capoversi - secondo cui «il diritto alla obiezione di coscienza non può essere in nessun modo "bilanciato" con altri inesistenti diritti».
Questo può essere giusto, anzi, lo è, se ci si ferma sul dettaglio - che poi dettaglio non è - della scelta personale. Cinematograficamente, la mozione Volontè è una bella scena, ma girata ad altezza d'uomo. Ma un legislatore è obbligato ad alzare l'inquadratura, a vedere il panorama dall'alto, a ragionare in termini complessivi: se il personale sanitario ha il diritto di non praticare l'aborto, allo stesso modo la donna che lo richiede ha il diritto di ricevere un intervento che da 34 anni la legge le consente e il sistema sanitario nazionale le garantisce nei propri ospedali.
Se ci saranno degli obiettori di coscienza, e concordo con gli estensori della mozione Volontè sul fatto che l'obiezione sia il simbolo della libertà personale nei confronti degli Stati, ci saranno, però, anche dei medici che dovranno garantire il rispetto della legge, fintantoché questa legge sarà in vigore. Ecco perché la mozione Volontà mi appare monca: innanzitutto, perché colpevolmente tralascia una faccia della medaglia; poi, perché sembra un tentativo di scardinare la legge n. 194, senza avere il coraggio di farlo nel modo più limpido e più comprensibile, ossia venendo qui in Aula con una proposta di modifica - o di abrogazione, se lo ritiene - della legge, facendola discutere e mettendola ai voti.
Personalmente, ci sono almeno due punti della legge n. 194 che mi convincono poco. Il primo, macroscopico, riguarda la mancata attuazione dei suoi primi 6 articoli, quelli in cui si dice che l'approccio dello Stato è dalla parte della vita e che - cito a memoria un passaggio dell'articolo 2 - tra gli obiettivi dei consultori c'è quello di contribuire a «far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza».
Mi pare, invece, che oggi spesso si riduca tutto alla firma di un certificato, come se il passaggio fosse solo burocratico. Il secondo punto riguarda gli sviluppi della scienza, che dal 1978 ad oggi ha accresciuto le possibilità di vita autonoma del feto: per questo motivo, ad esempio, la Lombardia ha deciso di non consentire più gli aborti dopo le 22 settimane e mezzo. Da un lato, mi sembra folle che su un tema del genere una regione si regoli in un modo e una in un altro; dall'altro, credo che l'argomento sia serio e possa meritare, eventualmente, anche una discussione in Parlamento.
Ma non così, signor Presidente: non con una mozione «barricadiera», non andando Pag. 37a massacrare con l'accetta un punto di equilibrio, per quanto doloroso, perché l'aborto non è mai una vittoria per nessuno, che sta tenendo insieme il Paese da 34 anni. Il triste dibattito attorno al capezzale di Eluana Englaro dovrebbe averci insegnato che il tempo dei guelfi e dei ghibellini è finito da un pezzo, ma temo, purtroppo, che non tutti lo abbiano imparato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Il Governo ha già fatto sapere alla Presidenza che intende intervenire in sede di espressione dei pareri.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Donadi ed altri n. 1-00898 e Narducci ed altri n. 1-01037, concernenti iniziative per la negoziazione di accordi bilaterali con Paesi non appartenenti all'Unione europea in materia di tassazione del risparmio, con particolare riferimento alla Confederazione elvetica (ore 18,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Donadi ed altri n. 1-00898 (Nuova formulazione) e Narducci ed altri n. 1-01037 concernenti iniziative per la negoziazione di accordi bilaterali con Paesi non appartenenti all'Unione europea in materia di tassazione del risparmio, con particolare riferimento alla Confederazione elvetica (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Miccichè ed altri n. 1-01039, Crosio ed altri n. 1-01040 Bernardo ed altri n. 1-01041 e Moffa ed altri n. 1-01043, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto, altresì, che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Narducci ed altri n. 1-01037. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la mozione Miccichè ed altri n. 1-01039, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, la direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamento di interessi, entrata in vigore il 1o luglio del 2005, nasce dall'esigenza di contrastare la concorrenza fiscale e assicurare che i pagamenti di interessi effettuati nell'Unione europea, in favore di persone fisiche che hanno la residenza fiscale in uno Stato membro diverso da quello in cui sono pagati gli interessi stessi, siano soggetti ad un'imposizione effettiva secondo la legislazione nazionale dello Stato membro di residenza.
Poiché in precedenza - anche dopo, purtroppo - si sono verificate delle distorsioni nei movimenti di capitali tra Stati membri, incompatibili con il mercato interno, la suddetta direttiva introduce un sistema di scambio di informazioni nominative tra le amministrazioni finanziarie degli Stati dell'Unione europea. Alcuni Stati, come Austria, Belgio e Lussemburgo, caratterizzati da rigide disposizioni in materia di segreto bancario, in luogo dello scambio di informazioni, applicheranno una ritenuta alla fonte nel caso in cui corrispondano pagamenti di interessi direttamente a persone fisiche residenti in un altro Stato dell'Unione europea.
Misure equivalenti a quelle previste dalla direttiva dovranno essere applicate Pag. 38anche dai cinque Paesi cosiddetti terzi (Andorra, Liechtenstein, Monaco, San Marino e Svizzera), nonché dai territori dipendenti o associati degli Stati membri.
Questa direttiva è stata modificata il 13 novembre 2008 dalla Commissione europea che ha ampliato l'ambito di applicazione a tutti i redditi da risparmio e ai prodotti che generano interessi o redditi equivalenti e, soprattutto, ha indicato di rinegoziare gli accordi con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera.
Quest'ultima e altri due Paesi, cui adesso si è aggiunto un terzo, hanno sottoscritto accordi bilaterali molto soddisfacenti che disciplinano la tassazione a cui sono assoggettati gli interessi da risparmio percepiti dai cittadini tedeschi, britannici e attualmente anche austriaci che comprendono misure dirette a garantire l'imposizione in conformità alla legislazione dello Stato di residenza del beneficiario. Una convenzione analoga è stata firmata dall'Austria.
Bisogna dire che il Commissario europeo per la fiscalità, Semeta, lo scorso 17 aprile ha notificato che gli accordi sottoscritti dalla Svizzera con la Germania, il Regno Unito e l'Austria sono conformi al diritto comunitario.
È chiaro che anche l'Italia deve muoversi - e si sta muovendo - in questa direzione, riaprendo un dialogo con la Svizzera relativamente ad un modello di convenzione fiscale per regolarizzare i capitali illecitamente e non detenuti in territorio elvetico da contribuenti italiani e per l'introduzione di un'imposta alla fonte sui futuri redditi da capitale. A tale scopo, l'11 maggio 2012 il Presidente del Consiglio Monti si è incontrato con la Presidente della Confederazione elvetica per stabilire i dettagli di questo eventuale accordo.
Noi riteniamo opportuno, poiché le trattative indirizzate e volute dall'Ecofin per attribuire alla Commissione europea il mandato per negoziare determinati accordi non hanno avuto buon esito, di chiedere al nostro Governo di impegnarsi ad intraprendere le opportune e necessarie iniziative presso le competenti autorità dell'Unione europea per giungere ad un'equa giustizia fiscale, che supporti la lotta all'evasione fiscale nei singoli Paesi ed in particolare in Italia. Chiediamo pure l'impegno al Governo per sottoscrivere un accordo bilaterale italo-svizzero che regoli i rapporti fra i due Stati sui temi fiscali in base a quanto concordato tra la Svizzera con la Germania, il Regno Unito e l'Austria.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crosio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01040. Ne ha facoltà.

JONNY CROSIO. Signor Presidente, parlare di Svizzera, parlare di Confederazione elvetica, vuol dire parlare di un Paese con il quale - è bene sottolinearlo - i rapporti sono diventati sempre più solidi e profondi con il passare del tempo.
Si tratta di ottimi rapporti, frutto della corretta e sinora positiva politica di cooperazione che ha contraddistinto da sempre i rapporti tra i nostri Paesi. Ma è fuori da ogni dubbio che il valore aggiunto, come spesso accade nel nostro Paese, è frutto delle fatiche e del sudore dei nostri lavoratori. Con il loro sacrificio hanno consentito al nostro Paese di guadagnarsi la stima in molti Paesi europei, Svizzera compresa.
È sempre utile ricordare che i nostri concittadini nella Confederazione elvetica sono oltre mezzo milione e rappresentano la terza più importante comunità italiana all'estero ed anche, tra l'altro, un modello di integrazione. Queste condizioni hanno determinato non solo il successo sociale ma anche un successo economico di straordinaria levatura con la Confederazione elvetica.
Va detto che l'immagine, quella della Svizzera in Italia e viceversa, è purtroppo troppo spesso lontana dalla realtà, che è quella di un partenariato economico fortissimo. Con un interscambio di 35 miliardi di euro siamo reciprocamente fra i principali partner commerciali e con una bilancia commerciale favorevole al nostro Paese.
Malgrado tutto questo per la Svizzera l'etichetta di «paradiso fiscale» è difficile Pag. 39da cancellare. Ma allora è opportuno porsi alcune domande. Può il nostro Paese intrattenere rapporti così forti e duraturi con un Paese, che anche il Ministro dell'economia e delle finanze recentemente passato paragonava alle isole Cayman? Non lo so.
Comunque consiglierei cautela su questa definizione, non fosse altro che dall'adozione degli standard OCSE sulla cooperazione tra autorità fiscali, la Confederazione elvetica ha concluso una quarantina di importanti accordi sulla doppia imposizione. La politica del Governo svizzero ha chiaramente determinato la linea sulla quale la piazza finanziaria svizzera si deve concentrare: capitali in regola con il fisco dei Paesi di origine. I recenti accordi conclusi tra il Governo elvetico, la Germania ed il Regno Unito sono un atto concreto che va senza ombra di dubbio in quella direzione.
Consigliavo cautela nella definizione di paradiso fiscale riferito alla Svizzera. Dico questo anche alla luce della recente proposta fatta da Kevin Brady, vicepresidente della Commissione bilancio della Camera dei rappresentanti americana, il quale ha proposto che i provvedimenti legislativi da adottare da parte del Governo e del Parlamento americano siano modellati sul principio del freno del debito, introdotto dalla Svizzera tramite referendum nel 1985, il quale impone al Governo centrale di non far crescere le sue spese più del tasso tendenziale di crescita delle entrate. Geniale!
Ricordo come proprio gli Stati Uniti d'America siano stati i primi a sollevare forti dubbi sulla presenza di capitali poco chiari nelle banche elvetiche, oltre che per altre questioni sempre legate a depositi bancari. Oggi, ironia della sorte, proprio gli americani prendono a modello il comportamento elvetico.
Fatte queste considerazioni, che sono chiaramente espresse in maniera più puntuale nel testo della nostra mozione, l'affermazione per noi diventa naturale, signor Presidente del Consiglio Monti: facciamo l'accordo con la Svizzera e facciamolo in fretta; facciamolo come lo hanno fatto i tedeschi e gli inglesi.
Lei, Presidente Monti, ha più volte dichiarato di non amare questa soluzione, ma la situazione economico-finanziaria del nostro Paese non le consente di essere troppo schizzinoso. Forse non è il caso di infilarsi in battaglie ideologiche: tedeschi, inglesi e pure l'Austria hanno chiuso i rispettivi accordi da tempo. Un avvertimento lo vogliamo fare: la trattativa è delicata. La trattativa di Rubik è on-off: chi sbaglia mossa, perde tutto e la mossa giusta è individuare la percentuale da indicare nell'accordo per l'una tantum. Il rischio? Semplice. Che questi capitali possano fuggire verso veri paradisi fiscali, Nassau e le Isole Cayman, che fanno riferimento alla corona inglese - corona inglese, sia ben inteso, come moneta, non la regina - con la protezione mascherata di Wall Street e della City.
La partita non è facile, Presidente. Siamo consapevoli che non basterà scendere in campo con abilità tecnica. Serve una buona dose di autorevolezza politica ed è questo che ci preoccupa molto. Su una questione non faremo nessuno sconto: è la questione dei ristorni dei frontalieri. Premesso che il nostro movimento ha da subito stigmatizzato il comportamento unilaterale del Governo cantonale ticinese di disattendere gli accordi internazionali, bloccando i fondi derivanti dall'accordo sull'imposizione dei frontalieri, situazione rientrata pochi giorni or sono, con la stessa determinazione le confermiamo, Presidente Monti, che non siamo d'accordo con la possibilità di revisione dell'accordo stesso. Le segnalo sempre, Presidente Monti, che la possibile revisione dell'accordo è un'iniziativa politica cantonale, per cui è già definita una variabile secondaria. Berna ha fatto capire che in ballo c'è la piazza finanziaria svizzera, con la cancellazione della Svizzera dalla black list. È questa la priorità del Governo elvetico e questi sono i termini della trattativa: l'accordo sui ristorni non deve essere modificato. Pag. 40
Concludendo, Presidente Monti, le segnalo che l'unica variabile sulla questione dei ristorni dei frontalieri che chiediamo, è quella di modificare la modalità di versamento di questi benedetti ristorni, prevedendo che essi siano versati dal fisco svizzero direttamente ai comuni italiani di confine, evitando il passaggio dalla tesoreria statale, inutile e foriero di ritardi insostenibili per le casse degli enti locali. Questo nell'ottica di un Paese sempre più federale.
Con la nostra mozione, Presidente Monti, sappiamo benissimo quello che vogliamo. La speranza è che lei e il suo Governo usciate dal torpore che su questo tema avete dimostrato concludendo, in tempi brevi, l'accordo con la Confederazione elvetica che il nostro Paese ne ha tanto bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ventucci, che illustrerà anche la mozione Bernardo ed altri n. 1-01041, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

COSIMO VENTUCCI. Signor Presidente, le relazioni tra Italia e Svizzera in materia di imposizioni fiscali sono state oggetto negli ultimi anni di rilevanti criticità, in relazione agli accresciuti sforzi a livello internazionale da parte dell'Italia di rendere trasparenti i mercati dei servizi bancari e finanziari a livello globale. Già nel vertice G20 di Roma del 2 aprile 2009, al culmine di un periodo di intensa cooperazione internazionale, per far fronte alla grave crisi finanziaria i cui effetti tuttora perdurano, era stato deciso di porre fine sostanzialmente all'istituto del segreto bancario, autorizzando l'OCSE a pubblicare l'elenco dei cosiddetti paradisi fiscali e mettendo inoltre a punto una serie di sanzioni mirate.
È bene ricordare che la Svizzera è risultata inclusa nella cosiddetta lista grigia, quella dei Paesi che pur avendo formalmente accettato di collaborare nel rispetto delle regole di trasparenza (trasparenza ovviamente finanziaria) si sono poi in sostanza scarsamente adeguati.
Nel discutere le mozioni sull'argomento di tassazione del risparmio rileviamo che anche nel comparto dell'evasione o elusione si dà per scontato che ognuno, in modo individuale o insieme ad altri, giustifichi la propria azione con forme di comportamento che legittimano anche solo per se stessi le proprie scelte. Così facendo si imbroglia volutamente il fisco addebitandolo al comportamento anomalo degli altri, e, nel caso dell'evasione, addossando allo Stato una fiscalità insopportabile. Sta di fatto che ciò non riguarda la patologia di un soggetto specifico ma il comportamento dell'essere umano ovunque lui risieda, e nel campo dell'evasione internazionale per una volta non siamo primi sebbene appariamo sempre pronti a forme di nichilismo anche rispetto alla banalità del male.
Ne è prova ciò che accade da tempo nella Confederazione elvetica dove più del 50 per cento dei capitali esteri, che ammontano a circa 5 mila miliardi di franchi, sarebbe riconducibile a investitori privati che godrebbero di una assoluta non fiscalizzazione di quanto depositato, e, per quanto riguarda l'Italia, si stima che la cifra depositata in Svizzera dai nostri concittadini e non fiscalizzata oscilli intorno ai 130-150 miliardi di euro.
I rapporti sul comparto fiscale fra Unione europea e la Svizzera iniziano nel lontano 1972, proseguono oggi con la proposta dell'Ecofin di modificare la direttiva sul risparmio del 2003, che vuole incidere anche sui recenti accordi con Londra e Berlino. È da rilevare l'importanza del tema in oggetto, rilevando che già nel 2005 (anno di entrata in vigore della suddetta direttiva) è scattato l'obbligo per le banche e gli altri intermediari finanziari operanti in Italia e in 21 Stati dell'Unione europea di comunicare periodicamente all'Agenzia delle entrate i dati inerenti al pagamento di interessi effettuati a favore delle persone fisiche residenti in altri Stati membri dell'Unione.
Nel frattempo la Germania e l'Inghilterra hanno stipulato un Accordo con la Svizzera (una prima intesa nella seconda metà del 2011) sulla tassazione alla fonte Pag. 41delle attività finanziarie detenute da parte dei propri cittadini o persone fisiche residenti che hanno depositato i capitali in Svizzera, regolarizzando situazioni che riguardano il passato, e per tassare i futuri redditi da capitale.
A seguito di questa scelta dei nostri due partner europei in Italia fin dal precedente Governo Berlusconi è in essere un intenso dibattito per attuare un analogo accordo a quello firmato da Germania ed Inghilterra che riguarda due punti importanti: le banche svizzere in cambio del mantenimento del segreto bancario applicheranno sui capitali dei cittadini tedeschi ed inglesi un prelievo una tantum sullo stock del capitale, una ritenuta annuale sui rendimenti; inoltre i clienti potranno sottrarsi alle imposte se optano per la comunicazione dei propri dati all'amministrazione finanziaria di residenza. È evidente che l'interesse della Svizzera è quello di far emergere il danaro non dichiarato attraverso l'introduzione di un'imposta liberatoria, e di attivare ulteriori misure destinate a incoraggiare l'onestà fiscale dei clienti delle banche in modo anche di ridurre i rischi legali e di far affluire ulteriori investitori nel sistema finanziario elvetico.
Come chiaramente è scritto nella nostra mozione, stringata ma essenziale, il tema della percorribilità di una iniziativa analoga a quella tracciata con gli accordi di Germania e Regno Unito è ora all'attenzione dell'attuale Governo per un più approfondito esame, così come sono all'attenzione della Commissione europea i profili di compatibilità con la direttiva risparmio 2003/48/CE e successivi provvedimenti del Consiglio europeo. La direttiva risparmio parte dal presupposto, comune ai recenti accordi, che i redditi di capitale vadano tassati in modo adeguato anche se realizzati fuori dello Stato di residenza, ma a differenza di essi la direttiva ha un perimetro di applicazione molto limitato, circa l'ambito di applicazione oggettivo e soggettivo (riguarda infatti solo gli interessi direttamente destinati a persone fisiche residenti in un altro Stato membro); l'altra rilevante differenza è costituita dallo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri interessati che la direttiva individua come lo strumento principale attraverso cui ottenere il suo principale obiettivo, ossia la tassazione degli interessi transfrontalieri nel Paese di residenza.
Per un periodo transitorio, tuttavia, la disciplina comunitaria ammette che alcuni Paesi membri, come Lussemburgo ed Austria, continuino a tutelare il segreto bancario e a sottrarsi allo scambio automatico di informazioni applicando, in alternativa, una ritenuta alla fonte sugli interessi corrisposti ai clienti residenti in altri Stati dell'Unione europea, ritenuta che, dal 1o luglio 2011, è operata in misura pari al 35 per cento e il cui gettito è devoluto per il 75 per cento allo Stato di residenza del cliente. Pertanto, lo scopo della nostra mozione, è quello di impegnare il Governo ad intraprendere le necessarie iniziative con la Confederazione Elvetica, al fine di stipulare un accordo bilaterale, analogo a quello stipulato il 5 aprile del 2012, quindi appena un mese fa, riguardante la tassazione dei capitali di cittadini tedeschi portati illegalmente nelle banche elvetiche negli ultimi dieci anni, che completi e modifichi in parte l'intesa sottoscritta in precedenza; accordo che possa essere utilizzato come valido strumento per fronteggiare il fenomeno dell'evasione fiscale anche a livello europeo, quindi a favorire accordi bilaterali anche con Paesi definiti «paradisi fiscali», ampliando i meccanismi di informazione inerenti i clienti di istituti di credito di tali Paesi e attivandosi, come già richiesto in una nostra precedente mozione su analogo tema, per rimuovere la Svizzera dalla black list finanziaria, trattandosi di un Paese amico con il quale da sempre abbiamo un notevole interscambio commerciale e con più di 50 mila lavoratori frontalieri italiani occupati nella stessa Confederazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia che, per adesso, non vedo. Mi dicono che sta per arrivare, posso aspettare eccezionalmente qualche secondo, ma il Regolamento è uguale per Pag. 42tutti, in questo è come la legge. Cambia la gerarchia delle fonti, ma non la sua applicazione. È arrivato, benissimo.
È iscritto a parlare l'onorevole Boccia che illustrerà la mozione Narducci n. 1-01037 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, la mozione che il Partito Democratico presenta per la discussione in quest'Aula, riprende in qualche modo una discussione che avevamo avviato nel 2009. E l'abbiamo ripresentata a margine della crisi economico-finanziaria che dal 2008 ha indotto i Governi di svariate Nazioni ad adottare misure di salvataggio dei rispettivi sistemi finanziari, e ampie misure di sostegno alle loro economie. Signor Presidente, il collega Narducci, che aveva rappresentato questa esigenza già al Governo precedente, rimette la sua firma su questa mozione per ribadire al Governo alcune necessità. Vi è la necessità di una discussione franca in Europa, signor sottosegretario, sui modelli reali di armonizzazione fiscale rispetto alla capacità del nostro Paese di interloquire in qualche modo sulle politiche antievasione avviate dall'Unione europea con un modello che, arricchendo il cosiddetto meccanismo degli accordi sulla doppia imposizione fiscale, potesse integrare lo scambio di informazioni in conformità allo standard OCSE. La Germania e il Regno Unito, come il Governo sa, hanno stipulato nella seconda metà del 2011 una convenzione con la Svizzera.
Si tratta di una Convenzione sulla tassazione alla fonte delle attività finanziarie detenute dai cittadini, dalle persone fisiche residenti che avevano o hanno investito i capitali in Svizzera. Con queste Convenzioni i contraenti hanno individuato una soluzione per regolarizzare somme di denaro non dichiarate nel passato e per convenire la tassazione dei futuri redditi da capitale. Queste Convenzioni, signor Presidente, sono state integrate e completate a inizio 2012. Una Convenzione analoga, corrispondente in larga misura a quelle firmate con Germania e Regno Unito è stata firmata anche dall'Austria quasi un mese e mezzo fa, nell'aprile 2012. Queste Convenzioni prevedono che i cittadini che hanno investito, depositato i propri capitali in Svizzera dovranno pagare ai rispettivi Paesi di appartenenza una tassa liberatoria. Le aliquote del prelievo fissato, ovvero l'aliquota fiscale minima e l'aliquota fiscale massima oscillano in Germania tra il 21 e il 41 per cento e hanno come caratteristica quella di chiarire una volta per tutte che anche il Governo della Confederazione elvetica ha come interesse principale non quello di intercettare i capitali in libera uscita dai vari Paesi membri dell'Unione europea o dai Paesi non europei ma, in realtà, ha come obiettivo quello di essere un punto di riferimento in Europa, ma non certamente di capitali illeciti e non trasparenti.
Ora la posizione del Governo italiano - mi riferisco alla posizione del Governo precedente - era stata di chiusura totale rispetto alle riflessioni che il Partito Democratico aveva sostenuto in quest'Aula e che aveva in qualche modo messo all'attenzione del Governo e anche all'attenzione dell'Aula stessa con una serie di votazioni su diverse proposte. Siamo venuti in quest'Aula probabilmente forzando anche le regole e i regolamenti, proponendo in momenti anche molto critici - penso ad alcune manovre economiche - emendamenti che, forse, sul piano regolamentare non erano la soluzione migliore, ma l'abbiamo sempre fatto chiedendo in qualche modo al Governo di farsi carico, di intervenire in sede europea.
Il precedente Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro Tremonti, per la verità su questo tema ci ha sempre sbattuto la porta in faccia. La discussione è diventata una discussione comune alla fine del 2011, quando il Partito Democratico aveva già fatto su questo tema due interpellanze urgenti e un question time, tutti rigorosamente rispediti al mittente dal Governo precedente, e non abbiamo fatto sconti nemmeno al Governo Monti e, dopo qualche giorno dall'insediamento, abbiamo di fatto chiesto al Presidente del Consiglio Monti quale fosse la sua posizione sul Pag. 43tema, consapevoli come siamo che - e non ci sfugge - l'armonizzazione delle aliquote fiscali in sede comunitaria è l'obiettivo comune. Ma se tale obiettivo comune finisce per essere un obiettivo irraggiungibile, vista la condizione nella quale viviamo e le certezze che abbiamo, e cioè la disponibilità della Confederazione elvetica a trovare un accordo con l'Italia, che per quel Paese ha un peso non marginale per l'impatto che le nostre finanze e le finanze di italiani residenti in Italia hanno sulle banche svizzere, non sfuggirà al Governo che la pressione del Partito Democratico su questo tema era legata anche al fatto che, sommando agli Accordi bilaterali tra Svizzera e Germania, Svizzera e Regno Unito, Svizzera e Austria, sommando quello tra Svizzera e Italia, certamente avremmo dato una spinta decisiva all'Accordo successivo con gli altri Paesi dell'Unione europea.
La complessa materia inerente la tassazione dei redditi da risparmio - e quindi il negoziato con la Svizzera - va considerata anche alla luce delle difficili relazioni in materia fiscale tra l'Italia e la Confederazione elvetica, rapporti contrassegnati, come dicevo prima, da visioni non sempre condivise (ribadisco: il precedente Governo si è sempre rifiutato di discutere del tema, si è sempre rifiutato di entrare nel merito della questione). Le controversie e le decisioni, inaccettabili anche per l'Italia, come il blocco parziale del 50 per cento dei ristorni al prelievo fiscale sulle retribuzioni dei nostri lavoratori transfrontalieri messe in atto dal Canton Ticino nel 2001, sono state il risultato di una discussione che è sempre stata mal gestita. Su questi temi sono stati fatti passi in avanti e questo è certamente merito del Governo Monti, ma evidentemente non bastano, perché l'operazione principale resta l'accordo complessivo e quindi non solo l'intesa legata ai transfrontalieri, tema che è stato portato in quest'Aula dal viceministro Grilli ed è stato appunto riconfermato alcune settimane fa.
In sostanza noi, signor sottosegretario, ribadiamo un concetto: le mozioni che sono state sottoposte all'attenzione del Governo sono, nella parte degli impegni, quasi tutte simili. Io non dispero sul fatto che si possa arrivare ad un testo o a più testi condivisi nelle prossime ore, perché la sensibilità del Parlamento sulla necessità di dare un'accelerata a questa intesa, certamente sul livello comunitario, ma intanto sul rapporto tra Italia e Svizzera, è ormai una condivisione che possiamo ritenere quasi unanime e siamo convinti che nella discussione che verrà fatta anche in sede di dichiarazioni di voto sarà evidente come tutti i gruppi politici hanno lo stesso obiettivo.
In sostanza noi consigliamo al Governo di fare una valutazione molto seria di qui al voto non solo sulle singole mozioni, ma sull'idea che gli impegni di tutti i gruppi parlamentari hanno come comune denominatore: la necessità di avviare comunque i negoziati tra Italia e Svizzera, al fine di concludere una Convenzione bilaterale che regolamenti transitoriamente - questo è il termine sul quale vi chiediamo di riflettere - l'imposizione fiscale dei capitali italiani depositati presso aziende di credito in Svizzera, nel caso non si consideri raggiungibile - e questa è una valutazione che solo il Governo italiano può fare in tempi certi, che, per quanto ci riguarda, sono il tempo che abbiamo di qui alla prossima manovra economica, quindi settembre o ottobre 2012 - un Accordo sulla revisione della direttiva comunitaria, attualmente bloccata dal veto di alcuni Paesi membri. Noi abbiamo il sospetto che questi veti non verranno meno, non verranno rimossi di qui a settembre o ottobre. Non possiamo permetterci di far passare un altro anno e quindi un'altra manovra economica senza che quei capitali - che sono italiani, sono stati prodotti in Italia e fanno riferimento a residenti in Italia - abbiano portato valore aggiunto per le nostre casse e per il nostro fisco. Quindi, chiediamo al Governo di sostenere, nell'ambito dei negoziati fra Italia e Svizzera in materia di tassazione dei redditi da risparmio, la necessità di pervenire ad una nuova Convenzione, volta ad evitare la doppia imposizione Pag. 44fiscale sui redditi e sulle sostanze a tutela anche dei lavoratori italiani transfrontalieri.
Per questi motivi, per queste ragioni, signor sottosegretario, chiediamo di valutare positivamente la mozione del Partito Democratico, e di esprimervi di conseguenza, di qui al giorno in cui queste mozioni saranno sottoposte al voto dell'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Il Governo ha già fatto sapere che intende intervenire in altro momento, cioè quando esprimerà il parere sulle mozioni e, quindi, il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Annunzio di informative urgenti del Governo (ore 19,10).

PRESIDENTE. Avverto che nella seduta di domani, martedì 22 maggio, avranno luogo le seguenti informative urgenti del Governo: alle ore 9 sul grave attentato presso l'istituto professionale «Morvillo Falcone» di Brindisi, che ha causato la morte di Melissa Bassi e il ferimento di altre cinque studentesse; alle ore 11,15 sul terremoto in Emilia.
Secondo le intese intercorse tra i gruppi, lo svolgimento degli altri punti all'ordine del giorno avrà luogo a partire dalle ore 15.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,12).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, interverrò in maniera fulminea. Ovviamente sarà domani l'occasione - durante le due informative urgenti del Governo, sia su quanto di drammatico è accaduto a Brindisi sia su quanto di drammatico è accaduto in Emilia Romagna in questo fine settimana - nella quale i gruppi avranno la possibilità di esprimere il proprio cordoglio e le loro considerazioni su quanto avvenuto, quando i Ministri interverranno.
Tuttavia, questa è la prima seduta dopo questi due eventi e penso sia utile e doveroso semplicemente approfittare di questo momento della seduta, visto che è la prima utile dopo ciò che è accaduto, per esprimere il profondo cordoglio per le vittime che, in un caso e nell'altro, meritano un momento di attenzione dell'Aula.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, naturalmente la Presidenza si unisce alle sue espressioni di solidarietà.

GIUSEPPE GIULIETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, intervengo solo per associarmi alle parole dell'onorevole Giachetti e - sapendo che poi sarà fatto in modo formale nelle prossime ore, ma mi sembra giusto che nella prima seduta ci sia un elemento di ricordo anche da parte dell'Aula - per formulare, se posso, una richiesta legata alle due scadenze che ci saranno: il ricordo della morte di Falcone, della scorta e della signora Morvillo e, il giorno 24, i funerali di Stato a Corleone per ricordare Placido Rizzotto. Si tratta di una richiesta che abbiamo sollecitato tutti assieme, che è stata accolta dal Governo e credo sarà presente anche il Presidente della Repubblica. Dico questo perché c'è un filo che lega questi episodi, al di là degli accertamenti che poi spetteranno - nel caso, in particolare, dell'assassinio di Melissa - alla magistratura e agli inquirenti. Il filo è quello del terrore, della violenza brutale e della cancellazione dei diritti.
Sarebbe importante - è questa la richiesta - che in questi due giorni, in cui Pag. 45ci saranno il ricordo della strage di Capaci e i funerali di Stato di Placido Rizzotto, partisse anche dalla Camera dei deputati una richiesta alla Commissione parlamentare di vigilanza, affinché siano previsti due giorni di palinsesto straordinario riguardo alla memoria di questi avvenimenti, da parte del servizio pubblico, in modo che quello che è accaduto sia ricordato non come un elemento di archeologia, ma come un elemento importante per il futuro, illuminando questi avvenimenti e fornendo un elemento di testimonianza. Credo che questo atto possa essere fatto dalla Presidenza della Camera, legando, in qualche modo, i diversi episodi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il Presidente della Camera sarà informato della sua richiesta e la Commissione di vigilanza, nella sua autonomia, potrà naturalmente accogliere la sua richiesta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 22 maggio 2012, alle 9:

1. - Informativa urgente del Governo sul grave attentato presso l'istituto professionale «Morvillo - Falcone» di Brindisi, che ha causato la morte di Melissa Bassi e il ferimento di altre cinque studentesse.

(ore 11,15)

2. - Informativa urgente del Governo sul recente terremoto in Emilia.

(ore 15)

3. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
IANNACCONE ed altri; RAZZI ed altri; DONADI ed altri; PIONATI; PALAGIANO ed altri; CAMBURSANO ed altri; BRIGUGLIO; BACCINI; ANGELINO ALFANO ed altri; GIACHETTI ed altri; GRAZIANO ed altri; MOFFA ed altri; ANTONIONE ed altri; CASINI ed altri; RUBINATO ed altri; DOZZO ed altri; BERSANI ed altri; D'INIZIATIVA POPOLARE: Norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e movimenti politici, nonché misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei medesimi. Delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle leggi concernenti il finanziamento dei partiti e movimenti politici e per l'armonizzazione del regime relativo alle detrazioni fiscali (C. 4826-4953-4954-4985-5032-5063-5098-5114-5123-5127-5134-5136-5138-5142-5144-5147-5176-5198-A).
- Relatori: Bressa e Calderisi.

4. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
SCHIRRU ed altri; CICU e FALLICA; DI STANISLAO: Modifica all'articolo 635 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in materia di nuovi parametri fisici per l'ammissione ai concorsi per il reclutamento nelle Forze armate (C. 3160-4084-4113-A).
- Relatore: Cicu.

5. - Discussione dei progetti di legge:
ROSATO ed altri; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Croazia in materia di cooperazione culturale e d'istruzione, fatto a Zagabria il 16 ottobre 2008 (C. 3744-5057-A).
- Relatore: Stefani.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione sul diritto relativo alle utilizzazioni dei corsi d'acqua internazionali per scopi Pag. 46diversi dalla navigazione, con annesso, fatta a New York il 21 maggio 1997 (C. 4975).
- Relatore: Stefani.

Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Singapore per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, e relativo Protocollo, del 29 gennaio 1977, fatto a Singapore il 24 maggio 2011 (C. 5018).
- Relatore: Allasia.

6. - Discussione del disegno di legge:
Partecipazione italiana al sesto aumento di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (C. 5044-A).
- Relatore: Pianetta.

7. - Seguito della discussione delle mozioni Montagnoli ed altri n. 1-00896, Lombardo ed altri n. 1-00901, Fluvi ed altri n. 1-00910, Misiti ed altri n. 1-00911, Crosetto ed altri n. 1-00913, Borghesi ed altri n. 1-00916, Mosella ed altri n. 1-00924, Polidori ed altri n. 1-00929, Cambursano ed altri n. 1-00948, Ciccanti ed altri n. 1-00970 e Ossorio ed altri n. 1-01011 concernenti misure a favore delle piccole e medie imprese in materia di accesso al credito e per la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni.

8. - Seguito della discussione della proposta di legge:
TENAGLIA ed altri: Definizione del processo penale nei casi di particolare tenuità del fatto (C. 2094-A).
- Relatore: Tenaglia.

9. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
PANIZ e CARLUCCI; DE ANGELIS ed altri; AMICI e GIACHETTI; BORGHESI ed altri: Modifiche all'articolo 191 del codice civile e all'articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di scioglimento del matrimonio e della comunione tra i coniugi (C. 749-1556-2325-3248-A).
- Relatore: Paniz.

10. - Seguito della discussione delle mozioni Volontè, Fioroni, Roccella, Polledri, Commercio ed altri n. 1-00922, Farina Coscioni ed altri n. 1-01016, Palagiano ed altri n. 1-01036, Miotto ed altri n. 1-01038 e Stagno d'Alcontres ed altri n. 1-01042 concernenti iniziative per la tutela del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico.

11. - Seguito della discussione delle mozioni Donadi ed altri n. 1-00898, Narducci ed altri n. 1-01037, Miccichè ed altri n. 1-01039, Crosio ed altri n. 1-01040, Bernardo ed altri n. 1-01041 e Moffa ed altri n. 1-01043 concernenti iniziative per la negoziazione di accordi bilaterali con Paesi non appartenenti all'Unione europea in materia di tassazione del risparmio, con particolare riferimento alla Confederazione elvetica.

La seduta termina alle 19,15.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MAURIZIO TURCO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA DEL DIRITTO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA IN CAMPO MEDICO E PARAMEDICO

MAURIZIO TURCO. Domani, 22 maggio, ricorre il trentaquattresimo anniversario dell'entrata in vigore della legge 194. Pag. 47
In una sala del Senato l'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e l'Associazione Italiana per l'Educazione Demografica (AIED) hanno sentito l'urgenza di organizzare un incontro, un convegno sull'obiezione di coscienza in Italia.
Noi radicali, con la prima firma dell'onorevole Farina Coscioni, presidente onoraria tra l'altro dell'Associazione Luca Coscioni, insieme ad altri colleghi del PD, abbiamo voluto presentare una mozione che prendesse spunto da alcuni dati che si commentano da soli e che invitano ad una profonda riflessione.
Il 13 febbraio 2012 sono stati presentati a Milano i risultati di un sondaggio condotto su un campione di mille ragazzi over 13 promosso dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia circa la diffusa disinformazione dei giovanissimi in materia di rapporti sessuali e sistemi contraccettivi.
Tra i vari elementi di rilievo, si segnala che il 59 per cento dei ragazzi ignora le regole basilari inerenti la sfera sessuale e la sessualità, in particolare: il 27 per cento crede che la pillola sia adatta solo alle maggiorenni; il 23 per cento pensa che la visita ginecologica sia impossibile per una ragazza vergine; il 71 per cento si crede al riparo dalle malattie sessualmente trasmissibili perché si fida del partner; il 28 per cento adotta meno precauzioni dopo il primo rapporto sessuale; il 54 per cento si affida alla contraccezione di emergenza (che nel 2011 ha registrato un incremento di quattro punti percentuali, con 357.800 unità vendute, di cui la metà alle ragazze sotto i venti anni) e così via.
A fronte di insufficienti canali istituzionali, sempre più numerosi sono i ragazzi che ricevono precocemente stimoli sessuali - spesso traviati - da internet, dalla televisione e dai coetanei, stimoli che sarebbe opportuno bilanciare con un tipo di informazione scientifica, quale strumento di «alfabetizzazione» alla salute e alla promozione di stili di vita corretti, anche in campo riproduttivo e sessuale.
Quindi il primo punto è la questione dei giovani e la carente informazione sui metodi contraccettivi.
Perché, cari Colleghi, la vera lotta contro l'aborto è l'informazione sui metodi contraccettivi.
Essere contrario alla contraccezione significa di fatto promuovere l'aborto, visto che l'appello all'astinenza non funziona nemmeno per chi ha fatto sacro voto di castità.
Altri dati ancora, abbiamo considerato per arrivare a chiedere precisi e non più derogabili impegni al Governo.
Il 7 ottobre 2010 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha approvato la raccomandazione n. 1763 intitolata «Diritto di sollevare obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche legali», nella quale vengono specificati gli ambiti sanitari ove la pratica dell'obiezione di coscienza deve essere tutelata e regolamentata, ovvero, l'interruzione volontaria di gravidanza, le situazioni di fine vita e la procreazione medicalmente assistita.
I riferimenti sulla materia previsti dal diritto internazionale ed europeo rinviano alla libertà e alla sicurezza della persona: articoli 3, 18 e 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; articolo 9 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; articoli 9 e 18 del patto sui diritti civili e politici; diritto alla salute previsto dall'articolo 12 del patto sui diritti economici, sociali e culturali; diritto alla non discriminazione nel campo della salute e della cura previsto dagli articoli 12 e 16 della Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (Cedaw); diritto di godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni previsto dall'articolo 15 del patto sui diritti economici sociali e culturali; diritto di decidere liberamente e responsabilmente sul numero dei figli da avere previsto dall'articolo 16 della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw). Pag. 48
Nel 1999 il Comitato previsto dalla Cedaw ha prodotto una general recommendation nella quale, interpretando l'articolo 12 della stessa Convenzione, ha richiesto agli Stati parte di eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne anche riguardo all'accesso ai servizi riproduttivi, con particolare riferimento alla pianificazione familiare, alla maternità e alla fase post-natale. Il Comitato ha riconosciuto inoltre che l'accesso alle cure sanitarie incluse quelle collegate alla riproduzione costituisce un diritto riconosciuto dalla stessa convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (general recommendation n. 24, 20° sezione, 1999, articolo 12: donne e salute).
Dei diritti riproduttivi si sono occupate anche le conferenze internazionali delle Nazioni Unite che a questo tema hanno dato uno spazio crescente nel corso dell'ultimo decennio (conferenza su popolazione e sviluppo - Cairo, 1994 e conferenza sulle donne - Pechino, 1995).
In continuità con il diritto internazionale ed europeo sopra richiamato e con le regole di deontologia medica internazionale approvate dalla Federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia - Figo e dalla Organizzazione mondiale della sanità - OMS, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa riconosce le diverse situazioni giuridiche soggettive ed oggettive pertinenti agli ambiti sanitari di cui sopra, tutelando da una parte il diritto del personale sanitario di sollevare, senza subire discriminazioni, obiezione di coscienza quale espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione e, dall'altra parte, l'inalienabile diritto di ogni individuo alla salute e la responsabilità dello Stato di garantire che ogni paziente riceva le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali entro i termini appropriati.
L'Assemblea ha invitato quegli Stati membri del Consiglio d'Europa che ancora non ne sono dotati ad elaborare normative complete e chiare che riconoscano e regolino l'obiezione di coscienza nell'ambito sanitario ed ha espresso forte preoccupazione per il fatto che una inadeguata disciplina della medesima danneggia e discrimina la popolazione femminile, in particolare le donne economicamente più fragili o quelle che vivono nelle zone rurali.
L'ordinamento italiano regola da decenni la facoltà di sollevare obiezione di coscienza da parte del personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie (articolo 9 della legge n. 194 del 1978 e articolo 16 della legge n. 40 del 2004) e le relazioni annuali sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 presentate al Parlamento dal Ministro della salute (peraltro richiamate nei lavori dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa) dimostrano che nel nostro Paese il fenomeno dell'obiezione di coscienza sta subendo una consolidata e costante dilatazione.
La relazione del Ministro della salute presentata al Parlamento il 4 agosto 2011 dimostra che nel 2009, a livello nazionale, il 70,7 per cento dei ginecologi è obiettore e che il trend è passato dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008. Il dato nazionale degli anestesisti obiettori è anch'esso in costante aumento, passando dal 45,7 per cento del 2005 al 51,7 per cento del 2009. Il dato nazionale del personale non medico obiettore è passato dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009. Al sud, la quasi totalità dei ginecologi è obiettore (85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise e 81,7 per cento in Sicilia) mentre gli anestesisti si attestano intorno ad una media superiore al 76 per cento (77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia).
In alcune realtà periferiche e del Mezzogiorno esistono aziende ospedaliere prive dei reparti di interruzione di gravidanza, dal momento che la quasi totalità di ginecologi, anestesisti, ostetrici ed infermieri solleva obiezione di coscienza, così creando di fatto le condizioni per forme di emigrazione sanitaria, ovvero il ricorso a cliniche private convenzionate e autorizzate o, peggio, verso pratiche clandestine, materializzando, in tal modo, le preoccupazioni espresse dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa circa una inadeguata regolamentazione dell'obiezione Pag. 49di coscienza, soprattutto nei confronti delle donne economicamente più fragili o quelle che vivono nelle zone rurali.
Le stime prevedono che nei prossimi anni nel nostro Paese un rilevante numero di personale medico strutturato non obiettore andrà in pensione per raggiunti limiti di età, con la conseguenza che, in mancanza di un adeguato monitoraggio, il diritto di ogni donna alle cure sanitarie di cui ha diritto subirà una inevitabile contrazione.
Seconda questione, dunque: a 34 anni dall'entrata in vigore della legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza, nonostante dal 1982 a oggi gli aborti in Italia si siano ridotti di più del 50 per cento, la legge fatica a trovare la sua piena applicazione a causa del sempre più esteso ricorso all'obiezione di coscienza da parte dei medici.
L'impegno che chiediamo al Governo è quello di dare, nel quadro del diritto internazionale e comunitario richiamato in premessa, completa ed effettiva attuazione all'invito dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa a salvaguardare e regolamentare nell'ambito sanitario il diritto di sollevare obiezione di coscienza, quale espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione, così come a garantire il diritto di ogni individuo di ricevere dallo Stato le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 17 maggio 2012:

- a pagina 6, prima colonna, sesta riga, il numero «9/5178/22» si intende sostituito dal seguente: «9/5178/33».
- a pagina 70, prima colonna, quinta riga, la parola «ISE» si intende sostituita dalla seguente: «ISEE».
- a pagina 70, prima colonna, sesta riga, la parola «prevalente» si intende sostituita dalla seguente: «equivalente».