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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 611 di lunedì 26 marzo 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 14.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 21 marzo 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Bergamini, Caparini, Cicchitto, Colucci, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Dozzo, Evangelisti, Franceschini, Lupi, Migliavacca, Milanato, Moffa, Monai, Leoluca Orlando, Stefani e Tortoli sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ventidue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 3174 - Conversione in legge del decreto-legge 27 febbraio 2012, n. 15, recante disposizioni urgenti per le elezioni amministrative del maggio 2012 (Approvato dal Senato) (A.C. 5049) (ore 14,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge del decreto-legge 27 febbraio 2012, n. 15, recante disposizioni urgenti per le elezioni amministrative del maggio 2012.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5049)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Prima di concedere la parola al relatore, onorevole Fontanelli, intendo salutare gli studenti del primo anno del corso di laurea in giurisprudenza dell'università LUMSA, insegnamento di diritto costituzionale, che effettuano una visita di studio presso la nostra istituzione, ai quali ricordo che oggi, all'ordine del giorno di questa Assemblea, si prevede solo la discussione sulle linee generali di un disegno di legge in materia elettorale e di alcune mozioni. Non sono previste votazioni e, dunque, i deputati qui presenti sono quelli direttamente interessati ai provvedimenti oggetto della discussione sulle linee generali. Era solo un chiarimento per lo scartamento ridotto delle presenze e un augurio di buon lavoro.
Il relatore, onorevole Fontanelli, ha facoltà di svolgere la relazione.

PAOLO FONTANELLI, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento che discutiamo Pag. 2in Aula è un decreto-legge che ha un carattere straordinario, conseguente alla scelta di tenere le elezioni amministrative il 6 e il 7 maggio. Si tratta di un provvedimento sostanzialmente su misura, che ha come unico aspetto quello dell'anticipazione dei termini per la presentazione delle liste e per la loro valutazione.
Questo provvedimento deriva dall'esigenza di evitare una sovrapposizione con la scadenza delle feste di Pasqua, al fine di evitare disagi e anche di contenere i costi. Si tratta di un decreto-legge che risponde pienamente, in questo caso, ai requisiti di necessità e di urgenza, e penso che la sua rapida conversione sia necessaria perché toglie ogni possibile incertezza sulla tempistica e sulle procedure di presentazione delle liste, ormai prossime.
Nel merito, quindi, il decreto-legge n. 15 del 2012 anticipa i termini per la presentazione delle candidature relative alle elezioni amministrative di questa primavera, previste - come dicevo - nella maggioranza dei casi per il 6 e 7 maggio prossimi, ciò al fine di evitare che tali termini cadano in coincidenza, appunto, con le festività pasquali.
L'intervento non comporta nuovi oneri a carico della finanza pubblica, ma anzi determina un risparmio in quanto consente di evitare di corrispondere ai dipendenti compensi per prestazioni di lavoro straordinario festivo, come sarebbe stato necessario in caso di apertura degli uffici comunali nei giorni di Pasqua e Pasquetta.
Il provvedimento, che è già stato esaminato e approvato senza modificazioni dal Senato, non ha subito modifiche da parte della Commissione affari costituzionali e giunge, quindi, all'attenzione dell'Aula nel testo vigente, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Ricordo che, complessivamente, nel 2012 sono interessati al rinnovo dei consigli comunali oltre mille comuni, sia nelle regioni a statuto ordinario, sia in quelle a statuto speciale, interessando circa 10 milioni di elettori italiani.
Quindi il 6 e il 7 maggio, con eventuale ballottaggio del 20 e del 21 maggio, si voterà in tutti i comuni delle regioni a statuto ordinario e in quelli del Friuli Venezia Giulia e della Sicilia. Nelle restanti regioni a statuto speciale si voterà invece in date successive, in particolare in Sardegna si voterà il 20 e il 21 maggio, in Trentino Aldo Adige il 20 maggio, e in Val d'Aosta il 27 maggio.
Come è noto non si andrà invece al voto nelle nove province i cui organi vengano a scadenza quest'anno, in quanto l'articolo 23, commi 14-21, del decreto-legge n. 201 del 2011 ha trasformato i consigli provinciali in organi elettivi di secondo grado. L'amministrazione di tali province sarà pertanto affidata, nella fase transitoria in attesa dell'approvazione della nuova disciplina sulla formazione degli organi provinciali, a Commissari di Governo. Venendo più nel dettaglio al testo del decreto, l'articolo 1 modifica i termini per la presentazione delle liste dei candidati per le prossime elezioni amministrative disponendo quindi una deroga agli articoli 28, ottavo comma, 32, ottavo comma, e 33, terzo comma, del testo unico elettorale comunale del 1960 (DPR n. 570/1960).
Questi articoli prevedono per la presentazione delle candidature per le elezioni comunali l'arco temporale che va dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti le votazioni. Poiché le prossime elezioni amministrative sono state fissate nella maggior parte dei comuni - come detto - il 6 e il 7 maggio, i termini di presentazione delle candidature sarebbero coincisi con il 6 aprile, che è Venerdì Santo, e il 7 aprile che è la vigilia della Pasqua.
Inoltre le commissioni circondariali si sarebbero dovute riunire per deliberare sulla validità delle liste entro il giorno di Pasqua in base appunto agli articoli 30 e 33 del citato decreto del Presidente della Repubblica.
Per evitare la coincidenza con queste festività i termini per la presentazione delle liste sono state dunque anticipati al trentaquattresimo e trentatreesimo giorno antecedente le elezioni, ossia al 2 e 3 di aprile. Conseguentemente è stato anche anticipato al 4 di aprile il termine entro il Pag. 3quale le commissioni circondariali dovranno completare la verifica delle medesime liste.
Ricordo che le commissioni circondariali, una volta verificate le liste, qualora riscontrino incongruenze o errori sanabili possono chiedere ai presentatori di fornire nuovi documenti e integrare quelli presentati. Ai sensi dell'articolo 33, terzo comma, del testo unico elettorale comunale le commissioni si riuniscono il ventiseiesimo giorno antecedente le elezioni per audire i delegati di lista, e deliberano seduta stante. Tale termine sarebbe caduto martedì 10 aprile senza le anticipazioni e i rappresentanti di lista avrebbero avuto quindi a disposizione un giorno festivo, cioè il 9 aprile (Lunedì dell'Angelo), per poter presentare le proprie controdeduzioni o i nuovi documenti richiesti. Anche questo secondo termine è stato quindi anticipato di quattro giorni dall'articolo in esame: dal ventiseiesimo al trentesimo giorno antecedente le elezioni, e verrà a cadere il 6 aprile.
In sostanza, l'anticipazione dei termini sopra descritta consente lo svolgimento della fase della presentazione delle candidature nella settimana (lavorativa) precedente le festività pasquali. Lo stesso risultato si sarebbe ottenuto con la posticipazione dei termini, ma tale soluzione è stata giustamente scartata - come chiarito dal rappresentante del Governo nel corso dell'esame del provvedimento nella Commissione affari costituzionali del Senato - per non determinare una compressione dei tempi di svolgimento della campagna elettorale.
Va detto inoltre che i termini previsti risultano più congrui con quelli stabiliti per l'allestimento degli spazi e per l'affissione dei manifesti elettorali, atteso infatti che l'individuazione da parte delle giunte comunali degli speciali spazi da destinare in ogni comune all'affissione degli stampati elettorali avviene, ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 112 del 1956, tra il trentatreesimo e il trentesimo giorno precedente a quello fissato per le elezioni.
L'articolo 2 poi prevede ovviamente che il decreto-legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ossia il 27 febbraio 2012. Quindi concludo ricordando che sul provvedimento il Comitato per la legislazione ha espresso un parere senza condizioni né osservazioni e che la V Commissione (Bilancio) si è espressa con un nulla osta (Applausi).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica. È iscritta a parlare l'onorevole Pastore. Ne ha facoltà.

MARIA PIERA PASTORE. Signor Presidente, stiamo discutendo di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge del Governo, in particolare il decreto-legge n. 15 del 27 febbraio 2012, che anticipa i termini per la presentazione delle candidature relative alle elezioni amministrative che si svolgeranno tra breve, il 6 e il 7 maggio prossimi. Un provvedimento che è già stato approvato dal Senato e che riguarda, appunto, le elezioni amministrative alle quali parteciperanno, tra qualche settimana, 1.017 comuni in gran parte facenti parte di regioni a statuto ordinario. Infatti, il 6 e il 7 maggio andranno alle elezioni tutti i comuni delle regioni a statuto ordinario e i comuni delle regioni Friuli Venezia Giulia e Sicilia, mentre nelle altre regioni a statuto speciale sono state indicate date diverse. Non andranno a elezioni le province, così com'è stato ricordato anche dal relatore del provvedimento. Infatti, in base proprio all'articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011 si è stabilita la soppressione di fatto delle province prevedendo che le province che sarebbero andate a scadenza naturale nella primavera del 2012 non sarebbero andate ad elezioni, ma si sarebbe effettuata una sorta di commissariamento. Su questa disposizione abbiamo avuto modo in più sedi di evidenziare che, per noi, per quanto riguarda appunto la soppressione di fatto delle province, è di fatto incostituzionale. Abbiamo richiamato articoli della Costituzione e abbiamo dettagliato con precisione le motivazioni che hanno portato ad esprimere tutta la nostra contrarietà. Pag. 4Proprio per andare in qualche modo a trovare una soluzione, quindi, a questa sorta di commissariamento che viene effettuato richiamando l'articolo 141 del testo unico, che non prevede, tra l'altro, commissariamento per questo tipo di fattispecie, abbiamo proposto in Commissione un emendamento - e ne abbiamo riproposti altri identici per l'Aula - con il quale chiediamo al Governo di fare in modo che il commissario sia, non il solito funzionario del Ministero dell'interno, ma lo stesso presidente della provincia in quanto organo eletto democraticamente dai cittadini. Su questo tema occorre dire per amor di verità che al Senato è stato presentato un ordine del giorno, che è stato accettato dal Governo, che ripropone questa possibile soluzione. Noi ripresentiamo comunque l'emendamento per l'Aula, confidando che il Governo possa prenderlo in considerazione.
Per quanto riguarda, poi, questo disegno di legge, vengono anticipati, appunto, tutti i termini per la presentazione delle candidature, proprio per evitare che scadano nei giorni vicini alla Pasqua, e, nello stesso modo, viene anticipata anche la riunione delle commissioni circondariali che dovranno effettuare la verifica sulle liste presentate. Occorre svolgere qualche breve considerazione. Innanzitutto, possiamo dire che il Governo Monti si è insediato a novembre e dall'insediamento, quindi da novembre ad oggi, sono stati portati all'attenzione della Camera e del Senato diversi decreti-legge, tutti motivati chiaramente con la necessità e con l'urgenza. Necessità e urgenza che noi abbiamo sempre contestato richiamando sentenze della Corte costituzionale e disposizioni legislative. Questo è l'unico decreto-legge che è motivato effettivamente da ragioni di necessità e di urgenza.
Certamente, se c'erano tutti questi problemi, tanto che siamo qui per la conversione del decreto-legge a proporre appunto una modifica dei termini di presentazione delle liste, motivata dal fatto che cadrebbero proprio nei giorni attinenti alla Pasqua, visto che la legge dispone che le elezioni si devono svolgere in una domenica utile tra il 15 aprile e il 15 giugno, il Governo avrebbe potuto indicare altra data ed evitare quindi di adottare un decreto-legge. Ma credo che ai decreti-legge questo Governo sia veramente affezionato.
Credo anche che questo sia il primo dei decreti-legge del Governo Monti sui quali non verrà posta la questione di fiducia, posto che tutti i partiti sono concordi nel riconoscerne la necessità e l'urgenza, visto proprio l'avvicinarsi delle elezioni amministrative.
Quindi, in conclusione, posso dire che questo Governo ha approvato così tanti decreti-legge, sui cui contenuti noi abbiamo sempre espresso convintamente e coerentemente parere contrario, non condividendo il modo e non condividendo appunto il contenuto e ancor più non condividendo le conseguenze per i cittadini, per le imprese e per le associazioni che questi decreti-legge contenevano. Sul decreto-legge in esame possiamo esprimere una sorta di nulla osta (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, effettivamente raccolgo ora le ultime considerazioni che faceva la collega Pastore: il problema dei decreti-legge è un problema che naturalmente desta sempre qualche tipo di attenzione particolare nelle aule parlamentari e in particolare nella Camera dei deputati, nella quale noi stiamo parlando. Dico questo perché il decreto-legge per sua natura evidentemente è un atto normativo del Governo e quindi, come tale, il Parlamento gioca su questi provvedimenti un ruolo in qualche misura condizionato, in qualche modo anche con riferimento - come noto recentemente la Corte costituzionale lo ha ricordato con la sentenza n. 22 e poi vi è stato il monito del Presidente della Repubblica che ci ha richiamato l'attenzione su questo punto - ai poteri emendativi. Infatti, secondo la Corte costituzionale e il Presidente della Repubblica, che ce ne ha Pag. 5in qualche modo richiamato i contenuti, i poteri emendativi del Parlamento dovrebbero sui decreti-legge essere più circoscritti. Qui il problema è molto antico. Naturalmente qualcuno addirittura sostenne in passato che non si devono emendare i decreti-legge. Tuttavia il problema, nella vicenda contemporanea, non è così semplice, perché il Governo non da ora utilizza lo strumento del decreto-legge più frequentemente. Devo dire - adesso la collega Pastore lo faceva notare - che soltanto nel numero limitato di mesi che caratterizzano l'esperienza del Governo Monti sono stati presentati ben 12 decreti-legge e ne sono stati convertiti 7. Questo numero di per sé potrebbe in qualche modo far meravigliare. Devo dire che con il Governo Berlusconi ne sono stati presentati anche lì numerosi, almeno una cinquantina, ma io credo sia molto importante guardare all'interno dei decreti-legge. Infatti vi sono decreti-legge molto complessi - e noi li abbiamo imparati a conoscere -, per esempio decreti-legge che contenevano centinaia di articoli, e decreti-legge come questo, che in qualche modo sono molto puntuali e molto circoscritti. Quindi io vado dicendo da un po' di tempo che i decreti-legge non andrebbero tanto contati, quanto pesati, perché è importante capire quant'è la materia normativa che transita in decreti-legge. Da uno studio che fa l'osservatorio sulle leggi risulta che attualmente circa l'85 per cento - potrei sbagliare - della materia normativa è contenuta in decreti-legge.
Questo è il problema, quindi, e non il numero dei decreti-legge. Infatti, da quando ho memoria, i decreti-legge sono stati sempre tre o quattro al mese, ma bisogna vedere cosa è contenuto in essi. Dico ciò perché, in questo caso, il contenuto del decreto-legge in oggetto è stato spiegato molto bene dal relatore Fontanelli: è una materia molto circoscritta, perché si tratta, sostanzialmente, di anticipare la data di presentazione delle candidature e delle liste in modo tale che non vi sia sovrapposizione piena con i giorni di Pasqua, che, naturalmente, creerebbero problemi di varia natura.
Pertanto, qui vi è un altro problema, che si può superare rapidamente, ma che riguarda la questione seguente: si possono predisporre decreti-legge in materia elettorale? Noi insegniamo - e, d'altra parte, se non lo insegnassimo, è scritto nell'articolo 15 della legge n. 400 della 1988 - che non si possono predisporre decreti-legge in materia elettorale; tuttavia, bisogna intendersi su cosa sia la materia elettorale.
La materia elettorale ha un nucleo: se si facesse con decreto-legge la riforma della legge elettorale, si leverebbero proteste enormi e vi sarebbe, probabilmente, un difetto di costituzionalità. Dunque, la parte relativa alla trasformazione dei voti in seggi è il nucleo della materia elettorale e lì non si può porre il problema di intervenire con decreto-legge. Tuttavia, sull'organizzazione dell'elezione e del procedimento elettorale, bisogna pensare alla possibilità di predisporre decreti-legge.
Il Comitato per la legislazione, infatti, segnala, nel suo parere, che sono stati emanati diversi decreti-legge in materia di organizzazione delle elezioni: gli ultimi sono stati il n. 24 del 2008 e il n. 3 del 2009, che sono intervenuti sempre su questa materia. Come dicevo, dunque, questo si può fare e, quindi, è possibile superare anche questa seconda obiezione di natura formale: capiamo che, sostanzialmente, quello in oggetto è un decreto-legge che non tocca il nucleo della materia elettorale, ma soltanto l'organizzazione del procedimento elettorale.
In conclusione, vorrei dire che bisogna tener presente una serie di altri interventi che riguardano la materia elettorale. Proprio in I Commissione, stiamo discutendo di disciplinare diversamente il criterio dell'autenticazione delle firme. Sappiamo che si sono verificati dei problemi con l'autenticazione delle firme nelle passate elezioni e che alcune vicende sono finite anche davanti ai giudici. Quindi, si cerca di trovare una procedura diversa per l'autenticazione delle firme. Devo dire che, casualmente - non c'è un coordinamento -, in quei provvedimenti che stiamo esaminando in Commissione affari costituzionali, Pag. 6vi è un'anticipazione dei termini per la presentazione delle liste e delle candidature. Quindi, l'anticipazione da 30 a 34 giorni che si realizza nel caso presente sarebbe, in qualche modo, anche in linea con quella tendenza.
Peraltro, devo dire che questa è una deroga, e sia ben chiaro che, naturalmente, come tale deve essere intesa. Infatti, il Comitato per la legislazione, che, in genere, esprime pareri molto puntuali su queste materie, in questo caso, ha dichiarato che non vi è nulla da osservare, ma solo che manca, o mancherebbe, la relazione sull'analisi tecnico-normativa, cioè l'analisi d'impatto. È un po' singolare che essa manchi, perché bastava scrivere due righe: del resto, la Presidenza del Consiglio ha emanato una circolare in cui ha detto che per i decreti-legge, qualche volta, può essere difficile. Ad esempio, quando vi è un decreto-legge in materia di liberalizzazioni, fare l'analisi d'impatto della normazione è molto complesso. In questo caso, non sarebbe stato complesso: sarebbe bastato scrivere due righe in cui si diceva che non era stata fatta per una ragione qualsiasi.
Questa è stata una leggera dimenticanza, come una leggera dimenticanza è stato dire che il provvedimento costituisce una deroga rispetto alla normativa in corso, perché, poi, si tornerà alla normativa regolare durante le prossime elezioni. Tuttavia, sono peccati, diciamo, veniali e, quindi, da questo punto di vista, si può condividere pienamente quanto detto dal relatore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, qualche collega, prendendo la parola e facendo delle considerazioni in quest'Aula, ha detto che su questo provvedimento c'è poco da dire, che sembra una cosa già scontata. Io ritengo, al contrario, che qualche valutazione, qualche considerazione sia necessario farla.
Se assumiamo e valutiamo la normativa non c'è dubbio che questo è un passaggio già definito, già scontato e non ci sarebbe bisogno di nessun commento. Colgo, però, l'opportunità, legata anche alla presenza del sottosegretario Ferrara, che considero e stimo, per affidare a lui, con il suo permesso e con il suo consenso, signor Presidente, qualche considerazione in più e anche qualche preoccupazione.
Parlando di questo provvedimento all'interno della Commissione affari costituzionali ho fatto una battuta, poi ripresa da qualche collega: finalmente questo è un provvedimento d'urgenza, un decreto-legge che non sarà, ovviamente, sottoposto alla questione di fiducia; tra le altre cose è anche un provvedimento d'urgenza che non sarà assolutamente rimaneggiato e, quindi, non darà adito alle consuete preoccupazioni, avvertite anche dal Capo dello Stato attraverso una lettera che ha inviato, giorni fa, a proposito di quello che sarebbe un cambio di destinazione d'uso di un decreto-legge attraverso l'attività emendativa; attività che stravolge anche il significato stesso della decretazione d'urgenza e, quindi, del disegno di legge di conversione del decreto-legge.
Signor Presidente, non c'è dubbio che il tema del decreto-legge è sempre stato ricorrente; voglio ricordare quando la Corte costituzionale ne impedì la reiterazione. Chi c'era in quest'Aula lo ricorderà, così come lo ricordo molto bene io: quando scadevano i sessanta giorni il Governo reiterava per due, tre o quattro volte il decreto-legge e, dalla partenza alla conclusione, il provvedimento era assolutamente stravolto, era un'altra cosa. Non è cambiato molto, anche rispetto alle cose che stiamo facendo, che riguardano questa stagione, i giorni nostri e, quindi, il nostro lavoro che ci impegna quotidianamente quando i decreti-legge pongono anche delle questioni di costituzionalità. Originariamente il decreto-legge nasceva da un'esigenza, da un'urgenza e i cambiamenti erano minimi, vi era qualche modifica, qualche ritocco; invece, ora, si inseriscono altre materie. Attraverso il decreto-legge abbiamo visto un'altra cosa: il passaggio dal bicameralismo al monocameralismo. Quest'Aula ricorda molte cose, Pag. 7così come la stessa vita del Paese: la Commissione Bozzi, la Commissione De Mita - Iotti, la Commissione D'Alema; sulla modifica istituzionale e costituzionale all'interno del nostro Paese c'è stata sempre una grande attenzione; c'è sempre stato il desiderio di superare il bicameralismo.
Con questa decretazione d'urgenza i Governi e questo Governo hanno superato, di fatto, il bicameralismo. Si ha un monocameralismo; di fatto, una riforma costituzionale è già stata ampiamente vissuta e realizzata tranquillamente. La scorsa settimana abbiamo dovuto approvare il provvedimento sulle liberalizzazioni; ci hanno detto: nessun emendamento, se c'è qualcosa affidatela agli atti di indirizzo parlamentare, agli ordini del giorno, perché il provvedimento è blindato; manca il tempo.
Non c'è dubbio, allora, che c'è soltanto una Camera che lavora e l'altra Camera che ratifica. Anzi, neanche di ratifica si può parlare perché almeno in questa operazione ci sarebbe la possibilità di fare una qualche valutazione, un qualche commento, invece, qui, ci è stato impedito, tranquillamente, di poter interloquire e di poter apportare delle modifiche e delle rivisitazioni alla normativa che ci è pervenuta.
Questo è un dato inquietante, signor Presidente e signor sottosegretario: noi abbiamo una Costituzione formale e materiale, e ciò è quello che è avvenuto anche per quanto riguarda il sistema elettorale; abbiamo tentato, più volte, di intervenire su modifiche di ordine costituzionale, ma non ci siamo riusciti.
Ma le modifiche costituzionali, di fatto, formalmente, sono state realizzate attraverso il sistema elettorale, cioè abbiamo introdotto surrettiziamente il presidenzialismo - che non è previsto dalla Costituzione - attraverso un sistema elettorale.
Inoltre, il percorso, come avete potuto vedere, è limitato e soprattutto è molto tenue, tant'è vero che l'ultimo Governo, di cui lei fa parte, signor sottosegretario Ferrara, è nato attraverso la rivendicazione di un articolo della Costituzione che non è mai avvenuta; e, sebbene alle elezioni l'elettorato abbia indicato in Berlusconi il Capo del Governo, si è fatto un altro Governo, che con l'espressione del voto di qualche anno fa non c'entra proprio nulla.
Questo sta a significare che è difficile e pericoloso, per quanto ci riguarda, modificare di fatto e sostanzialmente le norme della Costituzione, sia per quanto riguarda il bicameralismo - che bisogna modificare, sia beninteso, non è che io sia in disaccordo - sia, soprattutto, la forma di Governo o la forma di Stato attraverso una legge di rango ordinario e non di rango costituzionale.
Questa credo sia una riflessione che è bene fare, in questo particolare momento, con tutte le preoccupazioni che vengono fuori, perché è vero che abbiamo un Governo tecnico, è vero che si tratta di un Governo di persone che certamente hanno illustrato nel loro lavoro e nel loro impegno sociale le istituzioni attraverso una vita coerente di impegno e soprattutto di grande preparazione, però credo vi siano degli aspetti e dei dati della politica che non possono essere derogati e che non possono essere certamente inficiati.
Allora, una riflessione la dobbiamo fare, partendo proprio dalla definizione e soprattutto dal confronto su questo provvedimento, che sembrerebbe un fatto limitato e scontato.
Vi sarebbe un altro discorso che vorrei fare ai colleghi che si sono chiesti cosa dire su un provvedimento di questo genere. Vorrei dire che è difficile seguire un percorso di questo genere, che ci può portare ad una situazione molto grave, perché rispettiamo il bicameralismo e l'originalità della decretazione d'urgenza quando sono limitate e quando non se ne può fare a meno, ma siccome si tratta di situazioni di cui non si può fare a meno allora la Camera, comunque, è obbligata ad approvare senza apportare modifiche, ma soprattutto senza apportare commenti.
Allora, questi sono i due elementi dirimenti: quando un decreto o un disegno di legge è complesso, riferito ad una materia complessa, o quando si tratta di una Pag. 8materia più semplificata. Sempre, in un caso o nell'altro, le Camere hanno una via comunque obbligata, senza poter interloquire.
Tuttavia, qualcuno mi potrebbe chiedere, signor Presidente: ma tu come potevi interloquire? Intanto interloquisco con due preoccupazioni e, soprattutto, con due ragionamenti, che ho seguito, che ho sentito e che ho fatto anche in Commissione: è possibile che il Governo si accorga solo adesso che vi era la coincidenza con la Santa Pasqua? Che necessità vi era di scomodare le Camere con un decreto-legge; di scomodare gli uffici della Presidenza del Consiglio e anche del Ministero dell'interno? Ma è stata una distrazione? Possibile che i tecnici abbiano distrazioni? Sono i politici che hanno distrazioni, quelli che vengono dalla politica, ma i tecnici non dovrebbero avere questa grande distrazione, dovrebbero essere più legati alle pandette e soprattutto ai percorsi.
Che cosa vi è dietro, signor Presidente e signor sottosegretario? Non lo so, ma questa è una violazione. Vorrei richiamare anche l'attenzione del presidente della I Commissione, sempre autorevole e sempre sorridente, che alleggerisce anche i temi più pesanti con il suo carattere, con il quale, veramente, ci aiuta a vivere questa vita fatta di grandi difficoltà, con grande speranza, certamente, e con grande fiducia, che ci infonde giorno per giorno. Lei ride, signor Presidente Leone, ma è così, è la verità. Se lei vivesse la vita che noi viviamo in I Commissione ci darebbe ragione di questo nostro assunto.
Non vi è dubbio Presidente, che la preoccupazione che viene fuori, a mio avviso, in questo particolare momento è la seguente: perché si è fatto questo? Rivolgo questa mia domanda anche al relatore Fontanelli, che ringrazio veramente, non in termini formali, ma sostanziali: perché si è fatto questo?
Si è violato un principio di carattere generale perché quando in passato in quest'Aula, sottosegretario Ferrara - e, lo ripeto ancora, le rinnovo la mia stima - si è discusso se le campagne elettorali dovevano durare tanti giorni o altri giorni, si è detto di «no» quando qualcuno voleva allungare i termini della presentazione delle liste. Si è detto che quei giorni erano il massimo e che non si poteva allungare una campagna elettorale.
In questo caso, invece, tranquillamente si anticipa la data della presentazione delle liste dicendo che c'è coincidenza con la Pasqua. Ma questo è veramente un atto di distrazione, non vorrei dire di stupidità perché non mi permetto e perché sono molto cortese. È un atto di distrazione e forse, se ci fosse stato qualche politico nel Governo o come Presidente del Consiglio, sarebbe stato usato anche il termine stupidità, ma io non mi permetto di dire questo.
Non c'è dubbio che quando si è discusso in Aula per giornate intere, perché prima le campagne elettorali, per esempio per le politiche, erano di due, di tre mesi e le liste si presentavano con grande anticipo, e si è giocato sui tempi di presentazione delle liste e, quindi, della durata della campagna elettorale, si è fatta ovviamente un'analisi centellinata, pesando il tutto come fa il farmacista (il farmacista di vecchio stampo, non i farmacisti di oggi che hanno tutto confezionato); in questa materia, in tutto il mondo, il fare politica, il legislativo, sembra che sia tutto confezionato.
Allora, una motivazione la si deve dare perché si è gridato allo scandalo quando è stato presentato qualche emendamento per consentire di dare più giorni alla campagna elettorale e per anticipare di qualche tempo. Io stavo rispondendo a te, Calderisi, che mi hai detto alcune cose; per l'amicizia che ci lega, volevo spiegarti perché intervenivo, ma evidentemente poi, sempre con la tua capacità, vuoi avere un rapporto diretto e immediato per poter avere una spiegazione del mio pensiero, cosa che farò volentieri. Non c'è dubbio che si è fatta questa considerazione: «no» a più giorni rispetto a quelli previsti. E quando - come dicevo e lo ripeto - c'è stato qualcuno che ha presentato degli Pag. 9emendamenti, questi sono stati bocciati con grandi dichiarazioni da parte del Governo.
Perché si fa questo? Perché c'è Pasqua, ma lo si sapeva. C'è qualche disegno? Perché non posso capire e non posso credere né alla distrazione né alla stupidità. Che disegno c'è per fare questo? C'è il rispetto della religiosità? Vogliamo rispettare la festa di Pasqua, che non è religiosa ma è soprattutto laica? Perché se noi parliamo della religiosità, la settimana santa ha lo stesso valore per coloro che hanno una fede e credono in qualcosa. Il mercoledì santo, il giovedì santo, il martedì santo o il lunedì santo hanno lo stesso vigore e certamente non si poteva pensare alla Pasqua. Ritengo che bisogna fare qualche riflessione in questo particolare momento per evitare che si proiettino e ci siano degli scenari che sono indefiniti e che, soprattutto, pongono degli interrogativi.
Certamente, signor Presidente e signor sottosegretario Ferrara, il mio gruppo darà l'assenso a questo provvedimento. Che facciamo? Non possiamo fare diversamente. Ma, lei capisce che, dopo aver fatto queste considerazioni, l'assenso è una via obbligata. L'assenso è fatto per forza perché non ci sono altre vie: è una coercizione di un assenso, è un condizionamento del Parlamento.
È un condizionamento del Parlamento perché non si tratta di un fatto così grave, non è un decreto-legge con cui si deve intervenire per grandi calamità naturali e così via. È un provvedimento che certamente pone delle questioni importanti e fondamentali, delle necessità avvertite, delle esigenze, di cui oggi ci compenetriamo ma non capiamo perché questa genesi. Infatti, se le elezioni si svolgevano il 12 o il 13 maggio, chi moriva? Perché?
C'era qualche impegno particolare da parte di qualcuno che è stato poi promotore e protagonista per evitare il 12 e 13 maggio? Si poteva anche anticipare: è la prima volta che le elezioni si fanno a metà aprile o a metà maggio?
Questo non si è capito, non l'ho capito. E quando non capisco alcune cose rassegno le mie deficienze, le mie limitazioni di pensiero e ci auguriamo poi che qualcuno - anche su questo tipo di provvedimento che sarebbe di poco conto - possa spiegarci chi l'ha pensato, chi l'ha intuito, chi l'ha fatto degli uffici tecnici ai tecnici del Governo che non sono tecnici (perché adesso concludo il mio intervento con un'altra considerazione). Molte volte si parla di «Governo tecnico» in tono dispregiativo oppure per una presa di distanza tra chi fa politica e chi, invece, è impegnato nelle professioni e nella società civile in termini di professione, di impegno particolare occupando ruoli importanti e fondamentali nelle istituzioni con grande dignità come lei ha occupato il suo posto con grandi dignità e prestigio.
Non ritengo che ci siano Governi tecnici. Un Governo che poi si trovi in condizioni di fare delle scelte è un Governo politico. Non c'è un Governo tecnico. Si fa politica: chi è messo nelle condizioni e nella situazione di fare delle scelte tra interessi in conflitto o no è un Governo politico. Finiamola con questa falsa diceria. Ci saranno sempre nei meandri degli uffici, dei tecnici sempre preparati che molte volte condizionano. Sarei soltanto curioso di conoscere e di capire chi è il protagonista tecnico «vero» nel Governo di questo provvedimento.
Saremmo certamente tutti curiosi perché con questo giochetto tra i lavori parlamentari e non qualche risorsa economica l'abbiamo anche spesa (tra lavori del Parlamento e altri tipi di discorso). Allora da un Governo che ha fatto sul risparmio, sull'economia e sulle tasse una leva importante per uscire fuori da una situazione difficile sul piano economico e finanziario queste cose non si spiegano e non le giustifico. Credo di aver esaurito il mio intervento, signor Presidente, con queste valutazioni.
Rinnovo certamente il mio ringraziamento e il mio apprezzamento per il relatore. Come ha visto, signor Presidente, non ci siamo dovuti inventare nulla per poter intervenire su questo provvedimento, ma anche queste sono le occasioni per esplicitare il nostro pensiero, non per Pag. 10essere distruttivi, ma per aiutare e per capire che c'è un Parlamento vivo che guarda a queste vicende e queste storie, anche di carattere governativo e parlamentare, e cerca di interloquire per migliorare la situazione

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, ringrazio lei ed i colleghi per la pazienza e l'opportunità datami. Vi rubo solo due o tre minuti. Intanto, si tratta di un decreto-legge che per Costituzione chiamiamo di «necessità ed urgenza», ma io lo vorrei chiamare semplicemente di «buonsenso». Non voglio entrare nelle motivazioni per cui si vota il 6 e 7 maggio e, quindi, per i ballottaggi 14 giorni dopo. Ad esempio, io - come magari altre centinaia di migliaia di cittadini - penso che la settimana successiva vi è l'adunata nazionale degli alpini a Bolzano e preferirei, quindi, non avere tornate elettorali. Naturalmente, è una motivazione banale. Però non starei a cercare i «perché» si siano stabilite queste date. Certamente ce ne potevano essere altre. C'è stato un periodo in cui abbiamo fatto una legge elettorale per la quale si poteva votare anche a ottobre o novembre, insomma a metà tornata. Adesso la legge parla del periodo tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Quindi, è semplicemente un decreto-legge di buonsenso, che permette a tutti i funzionari nei comuni che debbono tenere gli uffici aperti per legge i 30 giorni prima (e anche un po' di giorni prima per i certificati elettorali e tutte le incombenze) di non dover lavorare con le commissioni elettorali nella settimana di Pasqua per le verifiche delle liste depositate e per eventuali ricorsi e controricorsi che capitano sempre, specialmente se alla tornata elettorale si va in mille.
Se pensiamo che in ogni comune di media si presentano una quindicina di liste, sono tanti i certificati da controllare.
Quindi, ringrazio il Governo per aver avuto il coraggio anche di assumersi questa critica in più. Ma, come ho già detto, lo chiamerei di buonsenso e gli italiani lo capirebbero molto di più, rispetto a quello che la Costituzione ci dice dell'urgenza e della necessità. È un fatto di buonsenso e, come tale, l'Italia dei Valori lo accoglie.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 5049)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore rinunzia alla replica e che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Esposito ed altri n. 1-00711, Osvaldo Napoli ed altri n. 1-00804, Misiti ed altri n. 1-00944 e Lanzarin ed altri n. 1-00961 concernenti iniziative volte a finanziare le opere e gli interventi previsti dal Piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione (ore 14,52).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Esposito ed altri n. 1-00711, Osvaldo Napoli ed altri n. 1-00804, Misiti ed altri n. 1-00944 e Lanzarin ed altri n. 1-00961 concernenti iniziative volte a finanziare le opere e gli interventi previsti dal Piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Toto ed altri n. 1-00965 e Delfino ed altri n. 1-00966 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione. Pag. 11
Avverto, altresì, che in data odierna la mozione Lanzarin ed altri n. 1-00961 è stata sottoscritta anche dall'onorevole Dozzo e che l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: «Allasia, Cavallotto, Buonanno, Fogliato, Pastore, Simonetti, Dozzo, Lanzarin, Alessandri, Dussin, Togni, Crosio, Di Vizia, Montagnoli, Lussana, Fugatti, Fedriga, Bitonci, Bonino, Bragantini, Callegari, Caparini, Chiappori, Consiglio, D'Amico, Dal Lago, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rondini, Rivolta, Stefani, Stucchi, Torazzi, Vanalli, Volpi».

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Esposito, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00711. Ne ha facoltà.

STEFANO ESPOSITO. Signor Presidente, dal momento in cui abbiamo presentato questa mozione, nel mese di settembre, molte cose sono avvenute nell'iter di predisposizione di tutta la documentazione e di tutti i progetti relativi alla realizzazione di questa importante infrastruttura per il nostro Paese.
Credo sia utile, a partire da un atto che all'interno di questa Camera abbiamo votato all'unanimità il 20 ottobre 2010, ripercorrere brevemente, anche per la rilevanza che la questione ha assunto, anche per ragioni non propriamente politiche, in queste ultime settimane, la vicenda relativa alla realizzazione del Corridoio 5 e del tratto italiano della Torino-Lione.
Tralascerei, naturalmente, i 21 anni dal momento in cui si è discusso per la prima volta di realizzare quest'opera e partirei dal 2005, anno nel quale il Governo costituì l'osservatorio, presieduto dall'architetto Virano, per affrontare una serie di questioni che erano rimaste aperte in tema di progettazione della linea e, soprattutto, per costruire quelle condizioni di dialogo con i territori interessati sul modello francese.
Intanto, su questo punto ci terrei a dire che l'esperienza dell'osservatorio ha avuto ottimi risultati e, credo, che tale strumento questo Governo lo dovrebbe utilizzare anche per costruire le condizioni necessarie nel resto d'Italia.
Voglio ricordare che il Corridoio 5, che dovrebbe collegare Lisbona a Kiev interessa al momento, in termini di progettazione e - noi ci auguriamo rapidamente - di realizzazione, il territorio della provincia di Torino, ma dobbiamo ricordare che questa linea interesserà anche le altre regioni del nord fino a Trieste. Credo, facendo tesoro dell'esperienza di questi ultimi dieci anni, che sarebbe utile e interessante immaginare, in un rapporto con gli altri enti locali e le altre regioni italiane interessate dal completamento del Corridoio 5 per la parte italiana, l'estensione dell'osservatorio - così come l'abbiamo conosciuto - proprio per favorire i dialoghi necessari tra tutti i soggetti in campo e soprattutto per abbreviare i tempi di questa discussione e di questo confronto.
Infatti, come dicevo, sono passati dieci anni, troppi per la realizzazione di un'opera così importante. Non sono stati spesi invano, sappiamo che ancora oggi ci sono alcune resistenze, soprattutto in alcuni e limitati enti locali interessati dall'attraversamento della linea, ma credo che ci siano oggi tutte le condizioni. Anche grazie - e questo lo voglio riconoscere - a questo Governo e al Presidente della Repubblica Napolitano, c'è stata nelle ultime settimane una forte accelerazione e una grande disponibilità e capacità di comunicare all'esterno le ottime ragioni per il Paese perché questa linea si realizzi e si realizzi nei tempi che sono stati definiti.
La nostra mozione aveva, ed ha tuttora, come scopo quello di provare a colmare una lacuna - se di lacuna si può parlare - rispetto al percorso. Noi l'abbiamo più volte ricordato in quest'Aula, non ultimo Pag. 12in sede di approvazione della mozione sulla strategicità della Torino-Lione; fra l'altro, erano molti anni che il Parlamento non assumeva una posizione così netta e così unanime nei confronti di una realizzazione infrastrutturale in questo Paese.
La lacuna è relativa alle risorse necessarie per dare un segnale ai territori interessati da questa linea e per sviluppare quello che era stato definito, in sede di accordo Stato-regione Piemonte, il piano strategico per la per la Valle di Susa.
In queste settimane e negli ultimi mesi, da quando abbiamo presentato la mozione, sono cambiate molte cose: c'è stato un forte impegno del Governo, sono state anche in parte stanziate delle risorse per la realizzazione di alcuni interventi, ma noi crediamo necessario dare un segnale di univocità da parte del Parlamento rispetto alla realizzazione della Torino-Lione, ma anche di grande attenzione rispetto ai territori interessati. Dico ciò non per voler accarezzare il movimento «no TAV» - non è nostro intendimento, con questa mozione dare alcun credito a quella parte di movimento, ormai forse l'unica presente che ha scelto la bandiera «no» TAV come coperta per ben altri scopi - ma perché riteniamo che esistano in Piemonte, in provincia di Torino e nella valle moltissime amministrazioni locali e moltissimi cittadini che, da un lato, vivono preoccupazioni generate in maniera artificiosa da una parte di quel movimento e, dall'altro, si attendono un segnale netto, forte e chiaro da parte del Governo, la cui responsabilità - parlo di questo Governo - è molto relativa naturalmente. Questi attendono un segnale rispetto alle promesse che sono state fatte in questi anni; promesse che avevano attinenza con interventi strutturali nel territorio valsusino, che è stato, come molti altri purtroppo, duramente colpito dalla crisi di questi anni; utilizzo di queste risorse, quindi, per dare fiato ad una realtà economica e sociale che, in questo momento, ne ha un grandissimo bisogno.
Non è l'unica naturalmente, ma riteniamo importante che, complice in senso positivo la realizzazione di questa nuova linea, i territori interessati dalla realizzazione di infrastrutture possano, nei termini di legge previsti, vedere delle risorse investite su quel territorio non per interventi spot, non per interventi come quelli che abbiamo conosciuto in tanti anni e che anche la Val di Susa purtroppo ha conosciuto con la realizzazione dell'autostrada A32, ma per interventi seri che possano creare un volano perché quei territori possano usufruire sia dello sviluppo relativo alla realizzazione della nuova linea ferroviaria sia di interventi collaterali.
Su questo vorrei solo cogliere ancora l'occasione per provare a dare anche alcune risposte che sono state oggetto di discussione in queste settimane e in questi mesi sull'utilità di questa linea. Sono certo che in quest'Aula nessuno ne abbia bisogno e meno che mai il Governo, però vorrei ricordare un dato particolarmente interessante relativo alla necessità di questa linea. Da più parti infatti si continua a parlare di una linea inutile, perché ce n'è già una costruita, che - voglio ricordarlo - fu immaginata da Camillo Benso di Cavour. Si dice che quella linea potrebbe essere ancora utilizzabile per il grande interscambio commerciale che c'è tra l'Italia e la Francia. Ciò per semplificare, poi sappiamo che i Paesi europei interessati a questa linea sono la Spagna, il Portogallo e l'Inghilterra.
Voglio citare le parole di un ingegnere, Domenico Regis, che nel 1908 fu incaricato dall'allora municipio di Torino di valutare lo stato di quella linea ferroviaria e dichiarò allora che quella linea era una vecchia carcassa. Era una linea immaginata e costruita per un tempo che era stato superato e ne certificava già allora l'inadeguatezza. Pensate che oltre un secolo dopo abbiamo anche alcuni autorevolissimi docenti universitari che continuano a raccontare la storiella secondo la quale le risorse da investire per la realizzazione della nuova linea Torino-Lione, parte del Corridoio 5, sarebbero soldi spesi male, perché quella linea, di cui dicevo prima, è in grado di sopportare passaggi di treni che non passano più. E c'è una ragione per la quale non passano più. Noi Pag. 13crediamo di essere molto più ambientalisti di coloro che si battono contro un treno. Cito solo un dato: mentre in Svizzera i due terzi del trasporto delle merci avviene su ferrovia, nello scambio Italia-Francia vale solo per il 10 per cento. Quindi, essere ambientalisti vuol dire avere a cuore la possibilità di spostare ingenti quantitativi di merci dalla gomma, dove tuttora circolano, alla ferrovia e soprattutto avere a cuore anche lo sviluppo economico di quelle aree. Oggi i treni non transitano nel vecchio traforo del Fréjus, sulla vecchia linea alpina, perché il costo rispetto all'attraversamento delle Alpi, passando dal versante svizzero, è superiore del 50 per cento. Quindi, naturalmente si continua ad utilizzare il camion, alla faccia di tutto questo movimento che, a più riprese, ha dichiarato di essere ambientalista. Non so cosa voglia dire essere ambientalista e non voglio darmi patenti da solo.
So per certo che l'Unione europea ha indicato tra i dieci corridoi strategici la realizzazione del Corridoio 5, quindi anche della Torino-Lione. So che tutte le azioni in Europa volgono alla intermodalità, quindi ad un riequilibrio modale che riduca i mezzi pesanti che circolano sulle autostrade a favore della ferrovia. Ribadisco che non so cosa voglia dire essere ambientalisti. Sicuramente non vuol dire fare una battaglia senza quartiere contro la realizzazione di un tunnel ferroviario e, nello stesso momento, nell'arco di pochissimi chilometri, non dire una parola, nemmeno una parola, sulla realizzazione della seconda canna o canna di sicurezza dell'autostrada A32. Ci tengo a sottolineare questo, perché in quest'Aula credo sia importante ricordare quanto il Paese abbia bisogno di questo collegamento, così come ha bisogno dell'altro grande collegamento del traforo del Brennero che si sta realizzando. Sappiamo che la sfida dei prossimi anni si giocherà sulle questioni ambientali, ma si giocherà anche sulla grande capacità di collegamenti tra i Paesi dell'Europa.
Noi siamo davanti a una sfida che vale 150 miliardi di euro. A tanto ammonta, ad oggi, l'interscambio con i Paesi interessati da questa nuova linea che riguarda - come dicevo prima - Spagna, Francia, Portogallo e Inghilterra. Lo voglio ricordare fornendo un altro dato: il nostro interscambio commerciale con il nostro partner principale, ossia la Germania, vale 100 miliardi di euro.
Questi, rapidamente, sono alcuni dati, molto semplici, per alimentare la speranza che il Governo intenda impegnarsi a dare il proprio sostegno alla mozione, di cui sono cofirmatario, presentata dal gruppo Partito Democratico, ma anche, come ben illustrava il Presidente, da tutti gli altri gruppi politici. Un sostegno non solo per i territori interessati, ma anche per quegli enti locali che in questi anni hanno condotto una durissima battaglia. A tutti voi è nota la vicenda degli ultimi mesi, iniziata nel giugno dello scorso anno. Una battaglia particolarmente aspra e molto violenta, che ha visto trecento poliziotti feriti per potere aprire quel cantiere, che ha assistito alla proclamazione, in alcune zone, da parte di alcuni gruppi, di una libera Repubblica della Maddalena, con un impegno fortissimo delle istituzioni - penso alla regione Piemonte e al comune e alla provincia di Torino - che non hanno mai mollato di un millimetro sulla necessità della realizzazione dell'opera e hanno avuto anche una grandissima fermezza nel respingere l'atteggiamento di un movimento che, via via, ha assunto sempre più le caratteristiche di un movimento violento rispetto a quello che era stato inizialmente, ossia un movimento legittimo e popolare.
Peraltro, questo movimento ha prodotto dei risultati, come la stessa nascita dell'osservatorio, che è figlia di quelle proteste legittime dei cittadini valsusini, che inoltre, nell'ultima stesura del progetto preliminare low cost, cosiddetto fasaggio, hanno anche ricevuto moltissime risposte alle loro preoccupazioni. Naturalmente, non si può rispondere alle finte preoccupazioni, né all'inutile propaganda, e forse non sarebbe neanche giusto nei confronti della gran parte dei cittadini italiani e di quelli del territorio interessato dalle linee ad alta velocità. Noi ci concentriamo, giustamente, Pag. 14in questo momento, sulla Val di Susa, ma voglio ricordare che, sui 60 chilometri di tracciato previsti in questa prima fase, solo 15 interessano la Val di Susa, il resto interessa la città di Torino e le città dell'area metropolitana.
Bisogna anche tenere conto che le risorse che chiediamo interesseranno sicuramente la Val di Susa, ma riguarderanno anche interventi relativi al nodo di Torino. Peraltro, in questi ultimi giorni, il CIPE ha operato alcuni stanziamenti relativi alle risorse necessarie per ammodernare il nodo di Torino e agli interventi che, pian pianino, riguarderanno anche le altre città dell'area metropolitana interessate dai lavori per la realizzazione di questa linea.
Non bisogna dimenticare che con la realizzazione della Torino-Lione vi sarà un'altra grande opportunità per il territorio della provincia di Torino, ossia la valorizzazione e l'ammodernamento dell'interporto di Orbassano che, negli intendimenti di tutti coloro che hanno difeso e continuano a difendere questo intervento, - come ci auguriamo, ma ne siamo abbastanza convinti, visti i valori in gioco, le tonnellate di merci e la posizione strategica - potrà diventare la vera piattaforma logistica del nord-ovest.
Mi avvio alla conclusione. Vorrei sottolineare al Governo la rilevanza dell'approvazione e, conseguentemente, della messa in opera della mozione in oggetto, così come l'abbiamo presentata, pur sapendo - lo ripeto, perché non vorrei essere frainteso - che siamo coscienti e soddisfatti delle risorse parziali finora stanziate. Riteniamo comunque che sarebbe particolarmente rilevante che le mozioni presentate venissero approvate.
Do fin d'ora la disponibilità, se fosse necessario, ad unificare le diverse mozioni - avendone letto il contenuto e constatato che sostanzialmente vanno tutte nella stessa direzione - al fine di dare un segnale, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista politico, che questo Parlamento non si interessa di questa infrastruttura in modo spot o sotto l'onda delle vicende, a volte non piacevoli, che l'hanno interessata, ma perché la ritiene, così come la ritiene l'Unione europea, un'opera strategica per il Paese, e quindi ci investe sopra le necessarie risorse e il necessario impegno politico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marsilio, che illustrerà la mozione Osvaldo Napoli n. 1-00804, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, successivamente alla presentazione della mozione oggi in discussione, presentata lo scorso 12 gennaio, alcune - e aggiungo significative - novità di carattere finanziario sono nel frattempo intervenute riguardo alla realizzazione dell'alta velocità Torino - Lione, che evidenziano come il processo di esecuzione dell'opera prosegua nonostante i periodici e violenti assalti condotti da frange fanatiche dei comitati oppositori che, purtroppo, anche nel mese di marzo, si sono contraddistinte per manifestazioni di estrema violenza, in particolare contro le forze dell'ordine, a cui va la più completa solidarietà ed ammirazione da parte mia e dei colleghi del Popolo della Libertà, per il senso del dovere e delle istituzioni dimostrato.
Partendo dalle ultime novità, venerdì scorso 23 marzo, il CIPE ha stanziato complessivamente 30 milioni di euro a favore della TAV, di cui 10 milioni per opere compensative. In considerazione del fatto che l'opera è connessa con la realizzazione di altri interventi di potenziamento del trasporto pubblico locale nell'area metropolitana torinese, il Comitato per la programmazione economica ha assegnato 20 milioni di euro alla stazione di Rebaudengo, attribuendo a carico della regione Piemonte il finanziamento dei residui 142 milioni di euro per l'integrale copertura del costo dell'opera. Qualche settimana fa, per l'esattezza l'8 marzo, il Premier Monti, in maniera responsabile, a seguito delle manifestazioni succedutesi in tutta Italia, in particolare in prossimità dei cantieri dell'opera, in cui un estremista ha rischiato di perdere la vita, ha confermato Pag. 15che la TAV costituisce un investimento strategico per il futuro del nostro Paese, in termini di maggiore competitività, di abbattimento delle distanze e di prospettive di sviluppo, e ha anticipato che, per venire incontro alle comunità locali coinvolte dal progetto, il CIPE avrebbe stanziato parte dei finanziamenti necessari, che rappresentano solo la prima tranche di 300 milioni di euro, relativi all'intesa-quadro tra Governo e regione Piemonte che danno corpo al cosiddetto Accordo di Pracatinat.
Onorevoli colleghi, la Commissione europea, nell'ottobre 2011, come è noto, ha inserito la nuova linea ferroviaria Torino-Lione fra le dieci infrastrutture prioritarie, dando il via libera ai finanziamenti comunitari 2014-2020, per le reti TNT. L'allora Ministro Matteoli, siglando un accordo con il collega francese nel settembre 2011, ha ottenuto una nuova ripartizione dei costi vantaggiosa per l'Italia. All'esito di questo accordo, le condizioni per la realizzazione e l'esercizio della TAV Torino-Lione, hanno determinato un valore complessivo pari a 8, 2 miliardi di euro che, per la quota parte dell'Italia, implica un costo di 2 miliardi e 700 milioni al netto del cofinanziamento europeo della quota francese. Il lavoro del Ministro Matteoli è stato poi ripreso dal Ministro Passera che lo scorso 20 dicembre, nel corso della Commissione intergovernativa italo-francese, ha siglato l'accordo relativo alle procedure di realizzazione e affidamento dei lavori. Ricordo che questa intesa, insieme ad altre tappe già raggiunte, ha consentito al nostro Paese di rispondere positivamente alle richieste della Commissione europea al fine di rispettare il crono-programma concordato con Bruxelles.
Come ricorderete, la Camera dei deputati nel 2010 ha approvato all'unanimità quattro mozioni che impegnavano il Governo a confermare la valenza strategica della realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione come asse decisivo per i collegamenti europei, a garantire un adeguato piano finanziario con programmazione pluriennale che copra l'intero ammontare dell'opera, a confermare i fondi, circa 200 milioni di euro, previsti nel primo atto aggiuntivo all'intesa generale-quadro dell'11 aprile 2009, necessari a realizzare gli interventi prioritari di prima fase e ad assumere iniziative per garantire un primo stanziamento per la realizzazione delle opere previste dal piano strategico approvato dalla provincia di Torino e dalla regione Piemonte. Successivamente sono intervenuti ulteriori passaggi, certamente importanti, quali l'approvazione da parte del CIPE del processo del progetto preliminare della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, prevedendo il cosiddetto fasaggio, e l'inizio dei lavori nella località di Chiomonte in Val di Susa per l'installazione del cantiere di realizzazione del tunnel geognostico.
Entro il prossimo 31 dicembre è inoltre prevista la conclusione dell'iter di approvazione del progetto definitivo con una ulteriore valutazione di impatto ambientale, così da consentire l'apertura del cantiere del tunnel di base entro il 2013. Nonostante tutto quanto è accaduto - mi riferisco alle contestazioni, alle polemiche aspre ed eccessive e purtroppo ai blocchi stradali e all'occupazione di suolo pubblico, unitamente a tanta veemente violenza - ritengo con moderato ottimismo che in considerazione delle tappe e delle scadenze suesposte, nonché delle richieste di impegno che insieme ai miei colleghi firmatari della mozione intendiamo formulare al Governo per stanziare ulteriori importanti cifre per finanziare gli interventi delle opere infrastrutturali previste, il futuro della realizzazione definitiva della TAV possa essere considerato con maggiore positività, per consentire finalmente al sistema economico italiano di ridurre il gap logistico rispetto agli altri Paesi europei migliorando la propria competitività.
Ricordo l'impegno e i notevoli sforzi, soprattutto economici, da parte del precedente Governo, nel promuovere la realizzazione dell'opera, e gli incontri succedutisi per oltre tre anni da parte dell'ex Ministro delle infrastrutture dei trasporti Matteoli con tutti i sindaci e la comunità della Val di Susa, volti a spiegare il Pag. 16progetto e accogliendo anche i contributi venuti dal territorio. Ecco colleghi, ritengo che i finanziamenti già stanziati dal CIPE rappresentino lo spartiacque tra il passato segnato da contestazioni, polemiche, e da un settore turistico in difficoltà, e il futuro. Mi auguro quindi che il Governo, accogliendo l'impegno previsto dalla nostra mozione, continui a seguire con attenzione i cantieri della Torino-Lione e le esigenze della popolazione di quel territorio, e che ciò possa costituire una nuova occasione per il rilancio dell'economia e dell'occupazione non solo locale ma nazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00944. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, mi sembra che l'illustrazione dei colleghi Esposito e Marsilio abbia chiarito a sufficienza l'iter e la storia di questo progetto, che affonda le sue radici in vecchie iniziative, in vecchi progetti. Ricordo che nel 2001 tra Italia e Francia è stato siglato il primo accordo per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, e successivamente questo accordo è stato ratificato dal Parlamento. Nel 2003 poi, il progetto preliminare è stato consegnato alla società per azioni e agli organi competenti, per l'approvazione. Il progetto preliminare poi è stato approvato dal CIPE; esso prevedeva allora la realizzazione per fasi funzionali dell'infrastruttura, ossia la realizzazione del tunnel di base e degli interventi di adeguamento del nodo di Torino, e solo in una seconda fase (qualora le dinamiche del traffico ne avessero evidenziato l'effettiva necessità) la tratta in bassa Val di Susa.
È chiaro che questa tratta Torino-Lione fa parte di un corridoio est-ovest che va da Lisbona a Kiev, e che rientra tra i 10 progetti dichiarati strategici dall'Unione europea, e rappresenta l'obiettivo di una crescita inclusiva e sostenibile proprio dell'Unione europea, essendo fondamentale per la coesione tra gli Stati membri e quindi per la riduzione della marginalità tra i cittadini. Questo che significa? Che ci si è resi conto da molto tempo che l'Italia ha una sua collocazione geografica particolare, e che se vuole collegarsi fisicamente attraverso le autostrade o le ferrovie con gli altri Paesi europei, deve innanzitutto farlo attraverso le Alpi, e quindi ha la possibilità di unirsi agli altri popoli con più difficoltà rispetto a quanto avviene tra altri paesi dell'Unione europea, come tra Germania, Polonia, Francia, o tanti altri, dove non ci sono tali limitazioni come quelle che incontra l'Italia.
Proprio per questo in Italia, non solo con il corridoio Kiev-Lisbona, ma anche con quello che prima era Berlino-Palermo, cioè il vecchio corridoio 1, si devono attraversare le Alpi, da una parte in Val di Susa e d'altra parte sotto il Brennero; e, in entrambi i casi, vi sono due gallerie che sono da record mondiale, nel senso che sono tra le gallerie più lunghe del mondo. Il tunnel della Val di Susa è stato preso di mira, come qualcuno già metteva in evidenza, molto di più degli altri tunnel. Tunnel autostradali se ne sono fatti, nessuna guerra c'è stata e il tunnel del Brennero fortunatamente va avanti con molta più speditezza di quello della Val di Susa.
È evidente che l'Osservatorio che ha cominciato a lavorare nel 2005 è stato positivo però, a mio avviso, si è dilungato troppo, nel senso che ha lavorato praticamente per sei anni, e ciò mi sembra un'esagerazione. Ha interpellato centinaia e centinaia di persone svolgendo circa 300 audizioni con 183 sessioni di lavoro. Credo che si poteva finire prima; bisogna dare dei tempi certi a questi tipi di lavori. L'osservatorio poteva finire questo lavoro in sei mesi e dare ai progettisti e agli enti preposti, i dati necessari per poter approvare i progetti in tempi normali, come ha fatto la Francia, rispetto alla quale noi siamo indietro, come sappiamo benissimo, proprio per questo tipo di impostazione.
Per la verità, nel 2001, l'opera in questione l'avevamo inserita tra le opere strategiche governate dalla «legge obiettivo» che, in qualche modo, sfiorando un po' la Costituzione, aveva sganciato le opere lineari Pag. 17che attraversavano più comunità e più regioni, ed era riuscita a far sì che le comunità locali non potessero mettere i bastoni tra le ruote più di tanto. Tuttavia, nel 2006, in una riunione a Palazzo Chigi, venne deciso lo stralcio del procedimento secondo la «legge obiettivo», riconducendolo alla procedura ordinaria prevista dall'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977. Questo fatto ha dato molto più potere alle amministrazioni locali. In parole povere, qualunque comune poteva, non solo dire la sua, come era giusto, in termini di consultazione, ma poteva di fatto impedire, ponendosi di traverso, la realizzazione dell'opera. Per esempio, i due comuni contrari, Chiusa San Michele e Sant'Ambrogio di Torino, che hanno 6.500 abitanti, di fatto, teoricamente, secondo la Costituzione, potrebbero impedire il completamento dell'opera.
Questa mozione, quindi, oltre a chiedere quello che chiedono le altre mozioni, invita il Governo a valutare la possibilità se non sia il caso di superare quella decisione che è stata presa il 29 giugno 2006 per un eccesso di democraticismo, pensando fosse giusto consultare tutti. Ma sei anni mi sembrano troppi. Hanno fatto bene il Presidente Monti e il Governo a non andare alle lunghe nella consultazione sul mercato del lavoro, figuriamoci su un'opera di realizzazione di una linea ferroviaria, che permetterà poi il passaggio del treno ad alta velocità. Non vedo per quale motivo non si debba andare avanti, nella realizzazione di tale opera, con il procedimento previsto dalla legge obiettivo, piuttosto che con quello del citato articolo 81, come è stato deciso per eccesso di democraticismo il 29 giugno 2006 a Palazzo Chigi. Invito a valutare questa possibilità di realizzare l'opera tenendo conto che questa dovrebbe ubbidire più ai procedimenti previsti dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (la citata «legge obiettivo»), visto e considerato che si tratta di un'opera strategica, europea e italiana.
Occorre, quindi, valutare la possibilità di poter superare gli ostacoli dopo che sono stati consultati più volte tutti, dalle forze sociali alle forze economiche, agli enti locali, come le regioni e le province; tra l'altro, essi sono, in stragrande maggioranza, tutti favorevoli alla realizzazione di un'opera che, dopo qualche secolo, innova una linea ferroviaria che passa a 1.350 metri di quota, una linea, cioè, fuori mercato, trasformandola così in una linea ferroviaria più moderna che passa ad una quota che facilita il passaggio di merci e di persone.
Devo dire, come rappresentante di Grande Sud, che è importante per noi questo fatto, tanto è vero che nessuno si sognerebbe, nel Mezzogiorno d'Italia, di opporsi alla costruzione di una linea ferroviaria che quadruplichi l'attuale, come è avvenuto in tutto resto del Paese fino a Salerno. Noi auspicheremmo che ci venisse imposto subito e non protesteremmo nemmeno un minuto, di avere la linea ferroviaria che consente l'alta velocità e l'alta capacità tra Salerno e Palermo. Quindi, non vedo per quale motivo non bisogna essere favorevoli ad una linea ferroviaria al nord che opera nella stessa direzione di trasferire solo su ferro, soprattutto per le merci, quello che oggi per l'80 per cento in Italia viene trasportato su gomma.
Quindi, questo pensiero lo rappresentiamo al Governo, sperando che vada in questa direzione, reperendo i fondi necessari (noi non diciamo cento milioni, diciamo i fondi necessari) che, oltre a quelli stanziati dal CIPE, possono provenire da altre fonti, per poter avviare la seconda fase, ossia quella intanto di realizzare il nodo di Torino secondo i dettami del progetto approvato, che sostengo ampiamente insieme ai deputati di Grande Sud.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallotto, che illustrerà anche la mozione Allasia n. 1-00961, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

DAVIDE CAVALLOTTO. Signor Presidente, ho letto in questi giorni sul sito della Presidenza del Consiglio che la linea ferroviaria Torino-Lione, corridoio est-ovest della rete ferroviaria transeuropea, Pag. 18costituisce un investimento strategico per il futuro del nostro Paese in termini di maggiore competitività, di abbattimento delle distanze e di prospettive di sviluppo. L'idea di sviluppo infrastrutturale non riguarda solo gli assi strategici principali, ma anche il sistema di interconnessione con le reti a livello regionale e soprattutto con gli interporti e le piattaforme logistiche che sono in grado di generare valore aggiunto dei traffici e non si limitano a gestire i flussi in transito.
La linea Torino-Lione è una componente essenziale di quel progetto europeo che ha come obiettivo la realizzazione di grandi direttrici ferroviarie che attraversano gli Stati membri dell'Unione. Mi auguro quindi che la mozione presentata dal gruppo Lega Nord venga approvata in questa sede e auspico che il Governo dia seguito alle buone intenzioni dichiarate, procedendo tempestivamente alla realizzazione degli interventi previsti dal piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione.
La linea Torino-Lione risponde alle domande di tre tipi di trasporto ferroviario: il trasporto viaggiatori ad alta velocità connesso alle reti francesi e italiane, il trasporto tradizionale di merci e l'autostrada ferroviaria per il trasporto di camion completi o solamente dei rimorchi su vagoni speciali, tutto questo con una notevole diminuzione dell'inquinamento atmosferico. Il progetto dell'alta velocità su questa tratta risale al 1994, quando il Consiglio d'Europa ha inserito la direttrice Torino-Lione fra i 14 progetti prioritari, valutando l'importanza del collegamento e la potenzialità dell'intervento.
Nel 2001 è stato siglato l'accordo intergovernativo italo-francese, poi approvato dai due Parlamenti e divenuto trattato. Con l'approvazione nel 2003 del progetto preliminare da parte del CIPE e la contestuale approvazione da parte dell'Unione europea del finanziamento per l'opera, sembravano gettate le basi per l'immediato avvio dei lavori. In realtà, mentre la Francia ha rispettato esattamente la sua programmazione, in Italia sono emersi numerosi problemi: è cominciata una campagna di terrorismo psicologico talmente accurata che sembrerebbe essere stata studiata a tavolino, volta a bloccare la realizzazione del progetto. La responsabilità di questa campagna è da ricercarsi in quelle forze politiche che hanno sempre utilizzato le frange più estreme per i propri interessi elettorali. Meno di due anni fa, proprio in questo periodo, durante la campagna elettorale per le elezioni regionali in Piemonte, alcune liste che sostenevano la presidente uscente erano dichiaratamente convinte oppositrici dell'opera, addirittura in stretto collegamento con le frange sovversive, se non addirittura parti delle stesse. Si parla di rischio geologico, di uranio, di amianto, di calore geotermico. Addirittura è stata raccontato che le galline non avrebbero fatto più le uova, le vacche avrebbero smesso di produrre il latte e la pressione generata dal treno ad alta velocità all'ingresso delle gallerie avrebbe fatto saltare in aria i tombini delle strade.
Alcune di queste invenzioni fantasiose che hanno terrorizzato gli abitanti della Val di Susa, come il calore geotermico, si sono di dileguate velocemente, ma per altre, come l'uranio, la discussione durò molto più a lungo. Tuttavia, la campagna di terrorismo psicologico più radicata e dura da estirpare è stata quella riferita all'amianto, tanto da vanificare anche il fatto che, grazie agli importanti investimenti previsti, sarebbero arrivati anche posti di lavoro e infrastrutture per i valligiani.
Sono stati, giustamente, svolti tutti gli studi necessari per la messa in sicurezza dei lavoratori e degli abitanti della valle, per arrivare alla conclusione ufficiale che, per quanto riguarda l'amianto, in Val di Susa, il detrito contenente amianto da smaltire, con le cautele riservate ai materiali nocivi, è valutato in volume inferiore ai 300 metri cubi. Alla luce di ciò, le eventuali variazioni in più o in meno rispetto al volume previsto diventano un problema di bilancio economico del progetto, ma non certamente di salute pubblica. Pag. 19
Le ultime tecniche utilizzate scongiurano qualsiasi pericolo per la salute, visto che i materiali rocciosi vengono miscelati con l'acqua, in modo da trasformare in fango quelle parti che, se frantumate, potrebbero sollevare polveri dannose. Inoltre, il materiale estratto da una parte servirà per la costruzione della galleria stessa, dall'altra, andrà collocato nelle vecchie cave esistenti, riportando così il territorio allo stato originario. Per quanto riguarda le riserve di uranio all'interno della montagna, sono presenti in quantità del tutto normali, come, d'altronde, nel versante francese. A causa degli infiniti studi di valutazione, progetti alternativi ed altre ricerche di carattere ambientale e sociale, si è stimata una perdita di 2 miliardi di euro.
In data 28 giugno 2008 è stato sottoscritto il cosiddetto accordo di Pracatinat relativo ai «Punti di accordo per la progettazione della nuova linea e per le nuove politiche di trasporto per il territorio», integrato poi il 23 gennaio 2009, con il «Primo atto aggiuntivo dell'intesa generale quadro» tra il Governo nazionale e la regione Piemonte, che richiama e declina in scelte operative e finanziarie sia l'accordo di Pracatinat che il «Patto per lo sviluppo sostenibile del Piemonte».
Nello stesso anno è stato avviato, su iniziativa della provincia di Torino, un piano strategico per il territorio interessato dalla direttiva Torino-Lione, con l'obiettivo di creare un efficace sistema di governance territoriale intorno ad una visione condivisa, al fine dell'elaborazione di efficaci strategie di coesione sociale e di sviluppo economico. Sono, infatti, in molti, sia esperti del settore che semplici cittadini, a credere nell'importanza di un piano di sviluppo in Piemonte, sia infrastrutturale che intermodale, per il completo utilizzo della nuova opera.
Purtroppo, spesso, non si prende in considerazione che non tutti gli abitanti della Val di Susa sono contrari alla realizzazione dell'infrastruttura, anzi, ce ne sono molti favorevoli al nuovo progetto. Si tratta di persone che, pur mostrando il proprio apprezzamento nei confronti dell'opera, hanno deciso di non esprimere la propria idea attraverso auto bruciate, autostrade bloccate o, peggio ancora, aggressioni alle forze dell'ordine. Queste persone hanno scelto di esprimere il proprio convincimento in modo democratico, votando quei partiti che sostengono l'opera. Dalle elezioni politiche, regionali, provinciali e comunali, è risultato che i partiti contrari all'opera sono la minoranza, non solo nella Valle di Susa, ma in tutta la regione Piemonte.
Non è da sottovalutare che il traffico merci presente tra Italia e Francia verrà completamente spostato sulla rete ad alta velocità, mentre la linea storica servirà esclusivamente per il trasporto passeggeri, favorendo gli spostamenti con circa 80 treni regionali, che garantiranno il collegamento giornaliero tra Torino e i comuni della Valle di Susa. Il territorio sarà alleviato da un eccesso di trasporto su gomma altamente inquinante e si stima che il risparmio che otterremo dall'opera è pari alle emissioni di CO2 di una città di 300 mila abitanti.
Non a caso, nella vicina Francia, interessata all'opera quanto il nostro Paese, non vi sono opposizioni, in quanto hanno tutti capito - inclusi i movimenti politici di estrema sinistra - che l'opera è fondamentale per lo sviluppo economico e per la salute dei propri cittadini. Infatti, in Francia, la tratta ad alta velocità esiste dal settembre 1981: Parigi-Lione e il sistema TGV hanno festeggiato, il 28 novembre del 2003, il primo miliardo di passeggeri trasportati dall'inaugurazione del servizio; così come in Svizzera, da parecchi anni, si stanno scavando vari tunnel e costruendo viadotti per la realizzazione di una complessa rete ferroviaria ad alta velocità, sempre, ovviamente, con il consenso di tutti i cittadini.
Nel 2017, verrà ultimata la galleria più lunga al mondo con i suoi 57 chilometri, battendo quella di sei piani in Giappone, ferma a 53,9, tratta ad alta velocità prima al mondo, che venne inaugurata nel 1964.
I Paesi che hanno sviluppato le linee ad alta velocità, in Europa, sono: Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Pag. 20Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svizzera; nel resto del mondo: Cina, Corea, Giappone e Turchia, con il favore, ovviamente, di tutta la popolazione. Nel mondo, il nostro Paese è al settimo posto, come chilometri di ferrovia ad alta velocità in servizio, dopo Cina, Spagna, Giappone, Francia, Germania e, addirittura, Turchia. È stato anche detto che quest'opera è inutile in quanto basterebbe potenziare la linea esistente. Queste affermazioni fanno capire l'approccio del tutto fazioso rispetto ad una opera di carattere strategico non solo per la Val di Susa, non solo per Torino, non solo per il Piemonte, ma per tutta l'Europa. La linea esistente non può essere utilizzata come tratta ad alta velocità in quanto le pendenze sono del 31 per mille mentre, al massimo, le tratte TAV e TAC (treno alta velocità e treno alta capacità) non possono superare pendenze del 20 per mille; la normalità sarebbe di mantenere, al massimo, una pendenza del 12 per mille. Inoltre, le gallerie sono troppo basse per poter trasportare i tir, in quanto non riuscirebbero a passarci sotto. Nella tratta esistente, per trasportare dieci vagoni, cioè 1.100 tonnellate, servono due locomotori che, ovviamente, fanno lievitare a dismisura i costi del trasporto. Con la tratta TAV-TAC un locomotore è in grado di trasportare 2.000 tonnellate, cioè il doppio, e per questo motivo la tratta Susa - Modane è sottodimensionata per i costi elevati dovuti ad una pendenza eccessiva che serve per arrivare a una galleria del 1871 a 1.200 metri di altezza. Questo fa capire che la tratta esistente è impossibile da utilizzare con questo nuovo tipo di tecnologia.
Queste informazioni fanno, però, poca notizia rispetto alle azioni eclatanti e indegne di un Paese civile compiute dai no- TAV. Troppo spesso, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad episodi di contestazione nei pressi dei cantieri per la realizzazione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità; troppo spesso, alcune contestazioni si sono avvicinate ad episodi di guerriglia che hanno causato numerosi feriti, gravi danni agli abitanti della valle e ingenti costi per lo Stato.
Non è questa la sede, ma mi permetto di fare un ulteriore piccolo passaggio su un tema che ritengo importante. Non è sufficiente che le diverse forze politiche condannino pubblicamente gli atti violenti perpetrati; i leader politici dei partiti di estrema sinistra e gli opinionisti più o meno autorevoli non possono condannare l'uso della violenza il giorno successivo ai gravi scontri se, contemporaneamente, sollecitano, attraverso i diversi mezzi di comunicazione, la mobilitazione di massa e l'incitamento alla lotta per combattere la nuova ferrovia. A Torino, esiste una radio, Radio Blackout, gestita dai centri sociali, che ha sede all'interno dei locali del comune, e quindi a canone agevolato, che fomenta continuamente atti di guerriglia in Val di Susa. Gli stessi centri sociali che a Torino occupano abusivamente, da anni, gli stabili del comune e che le varie amministrazioni di centrosinistra non hanno mai sgomberato, sono diventati veri e propri centri di reclutamento e di propaganda no-TAV. Sarebbe quindi l'ora che tutti prendessero una posizione netta di condanna verso certi episodi e verso una certa propaganda; a partire, proprio, da quei sindaci che dovrebbero avere il coraggio di togliere le deleghe a quegli assessori che professano negli atti e nelle parole contro la TAV.
Comunque, siamo qui, oggi, per chiedere un impegno serio a questo Governo, sostenuto da una così ampia maggioranza, per rispettare quanto previsto negli accordi già in essere. Non è più possibile rinviare, abbiamo già perso troppo tempo, compresi i due anni di stop imposti dal Governo Prodi quando, l'allora Ministro delle infrastrutture, Antonio Di Pietro, bloccò i lavori. È necessario dotare il nostro Paese di un'infrastruttura che, oltre all'ammodernamento del sistema Paese in generale, porta indubbi benefici ai territori nei quali è prevista. L'aumento della competitività del Piemonte e delle regioni attraversate e i nuovi posti di lavoro, derivanti dai nuovi insediamenti industriali e dallo sviluppo della logistica, non possono continuare ad essere bloccati dalla propaganda politica. Tutti quei territori collocati Pag. 21sulle principali vie di comunicazione hanno avuto, negli anni, uno sviluppo tecnologico superiore ai territori isolati. Nella stessa Francia del TGV, a ridosso delle stazioni sono nati importanti insediamenti industriali in grado di far crescere l'economia. Basti pensare al prezzo che ha dovuto pagare la provincia di Biella, in termini di sviluppo economico, per il fatto di non essere collegata attraverso moderni canali di comunicazione. Il lavoro dell'Osservatorio, guidato dall'architetto Mario Virano, è andato avanti e il progetto è stato modificato escludendo il nuovo tracciato e valorizzando la linea storica tra Bussoleno ed Avigliana. Un'opera ferroviaria attraverso le Alpi, di dimensioni paragonabili al progetto del nuovo tunnel di base, è stata realizzata, qualche anno fa, in Svizzera: un tunnel di 34,6 chilometri di lunghezza inaugurato il 15 giugno del 2007, senza troppi problemi da parte della cittadinanza, ovviamente.
Ad agosto 2011 il CIPE ha approvato il progetto di realizzazione dei lavori, che saranno divisi in più fasi: si prevede la realizzazione della galleria di base e una modernizzazione della linea storica, per consentire il passaggio della TAV, senza realizzare, per ora, una seconda linea, e rimandando invece il tutto al 2023, quando sarà valutata la necessità di realizzare una seconda linea in valle oppure mantenerne una sola mista, anche sulla base della reale crescita del traffico merci.
Questa scelta di procedere per fasi comporta una serie di vantaggi economici: operando in questo modo, nell'arco di un decennio, l'Italia dovrebbe investire poco meno di 3 miliardi di euro. La firma del nuovo Accordo internazionale fra Italia e Francia sulla ripartizione delle spese, che dovrebbe svolgersi all'inizio dell'autunno, porterà l'Italia a ratificare una riduzione della quota a proprio carico, rispondendo anche alle richieste della Comunità europea. Vorrei comunque ricordare che il progetto TAV è finanziato per il 40 per centro dall'Unione europea ed il restante è diviso tra Francia ed Italia. Per noi, il costo di questa prima fase è di 2,7 miliardi di euro, da suddividere in 10-20 anni, ma con un finanziamento di 25-30 anni. Considerando che il tratto Torino-Lione dovrà essere costruito in una valle che esce da un periodo di deindustrializzazione selvaggia e che è già occupata da una linea ferroviaria, da due statali e da un'autostrada, crediamo sia doveroso intervenire immediatamente con le compensazioni economiche previste; è il giusto modo per dimostrare che lo Stato non sta occupando il territorio dei valligiani della Val di Susa senza concedere loro la giusta attenzione che meritano. Bisogna intervenire con le defiscalizzazioni, le tariffe autostradali e ferroviarie agevolate per i residenti, la riduzione del costo dei carburanti e tutte le altre iniziative possibili volte a compensare il disagio creato dalle opere di costruzione.
Vorrei concludere citando un articolo di Salvatore Tropea, apparso su la Repubblica qualche anno fa: se un giorno qualcuno proverà a scrivere la storia dell'Alta velocità troverà complicato far comprendere all'incredulo lettore le motivazioni di volta in volta adottate dai militanti del partito del «no» - ovvero, da quel gruppo numericamente inferiore a quanto si voglia far credere - che ha scelto di battere la strada del rifiuto cambiando strategia, ma mano che qualcuno ha razionalmente smontato il castello della sua opposizione; potrà farlo con qualche successo soltanto dopo aver premesso che vi è stato un tempo in cui l'interdizione è andata al potere in un posto dove la regione si era concessa una pausa (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Toto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00965. Ne ha facoltà.

DANIELE TOTO. Signor Presidente, due considerazioni preliminari alla luce delle quali, forse, meglio si delineerà, in sede discussione sulle linee generali, quelle che sono le problematicità di questa questione: la prima è che di treno ad alta capacità tra Francia e Italia non si parla da ieri; la seconda è che notevoli sono stati i momenti di confronto istituzionale con Pag. 22gli enti locali e anche di coinvolgimento del territorio, che significano anche momenti di garanzia.
In relazione al primo punto ricordo che già il Consiglio europeo, nella riunione del 9-10 dicembre 1994, ad Essen, esaminò e condivise un elenco di 14 progetti ritenuti prioritari nel settore dei trasporti, e che alla fine dei lavori al n. 6 dell'allegato I al documento conclusivo figura il treno ad alta velocità/trasporto combinato Francia-Italia. Successivamente, nel 2005, la Commissione europea ha compilato un ulteriore elenco di 30 progetti prioritari, il varo della cui attuazione veniva fissato entro il 2010.
Tra gli stessi ricordo l'asse ferroviario Lione-confine ucraino quale rete transeuropea. Con decisione, poi, n. 884/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea del 21 aprile, con riguardo specificamente alla politica del Trans european network-transport (TEN-T), fu deciso lo spostamento alla fine del 2020 di quelli che erano stati i termini inizialmente individuati nel 2010, e la presentazione di uno nuovo elenco di 30 progetti prioritari, nei quali si includevano i 14 assi o progetti prioritari già precedentemente individuati, tra i quali l'asse ferroviario Lione-frontiera ucraina, TEN-T n. 6, all'interno del cui progetto sono collocate le tratte Lione-Torino e Torino-Trieste. Una visione, dunque, strategica, una visione di progetto ampia. Ricordiamo che il progetto TEN-T n. 6 è una declinazione dell'arteria a rete multimodale rappresentata dal corridoio europeo n. 5, che collegherà Lisbona a Kiev.
Quindi, il primo aspetto importante da sottolineare è come per l'Italia sia strategico rimanere all'interno di questo corridoio, scongiurato l'alternativa che, rimanendo ai margini del Corridoio n. 5, vada a collocare l'Italia ai bordi dell'Europa stessa.
Con il Corridoio n. 5, in effetti, l'area mediterranea dell'Europa diventa prioritaria e diventa anche un'alternativa rilevante a quell'asse Rotterdam-Kiev, lungo l'asse est-ovest. Ricordo che la direttrice ferroviaria transpadana costituisce il fulcro dell'attraversamento meridionale del territorio dell'Unione europea. Anche se può sembrare ultroneo rispetto alla discussione generale, vale la pena comunque ricordare in maniera sintetica quelli che possono essere e che sono senza dubbio i benefici di un'opera sì complessa e comunque necessaria, che vanno dal drastico abbattimento dei costi di percorrenza complessivi, si stima di circa la metà di quello che sarà il percorso da effettuare rispetto al percorso originario, l'implementazione delle modalità di trasporto ferroviario rispetto, e quindi a scapito, di quel trasporto su gomma che aumenta senza dubbio i valori di inquinamento e quindi, di converso, un drastico abbassamento di quelli che sono i valori di inquinamento sia acustico che ambientale.
Va inoltre ricordato che l'opera non va a vulnerare l'ambiente nel quale è collocata, anche perché la sua realizzazione si sviluppa quasi interamente in galleria. Ricordiamo, quindi, tra gli ulteriori benefici quello, senza dubbio, della sicurezza e quello notevole, ultimo ma non ultimo, della competitività delle imprese, tema in stretta connessione con i profili economici rivenienti dalla realizzazione delle tratte della dorsale padana.
Sulla base anche della prima premessa nel mio intervento in sede di discussione generale, quella di un momento di coinvolgimento che è stato un momento anche di garanzia importante, ricordo che il 29 gennaio 2001, sulla base della proposta della Commissione intergovernativa italo-francese, è stato firmato a Torino un accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria, ratificato dal Parlamento dei due Paesi. Inoltre, la Commissione europea, con decisione del 5 dicembre 2008, ha approvato la concessione di un contributo finanziario importante, come vedremo, a favore del progetto «Nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione».
Inoltre, il coinvolgimento non è stato un coinvolgimento relativo solo ai singoli Stati, è stato un coinvolgimento anche degli enti locali e anche del territorio. Dal Pag. 23primo punto di vista, ricordo l'intesa generale quadro tra Governo e regione Piemonte, sottoscritta l'11 aprile 2003, tra le infrastrutture di preminente interesse nazionale che interessano il territorio regionale e che rivestono carattere strategico per la medesima regione Piemonte. Quindi, un coinvolgimento importante che è determinato anche dal coinvolgimento del territorio.
Sono stati ricordati prima gli accordi di Pracatinat, in cui hanno preso corpo le istanze e gli impegni dei soggetti coinvolti nel processo di intese, di confronto, di partecipazione e di osservazione, di ascolti, in primo lungo di tutti i comuni interessati, a cominciare da quelli di Susa e Chiomonte, direttamente coinvolti da cantieri o da attività esecutive, di prospettazioni e di condivisione. L'attività volta alla concertazione e condivisione della soluzione progettuale è stata contrassegnata da circostanze, iniziative e momenti assolutamente significativi. A mero titolo di esempio, nel 2007, il Governo, proprio sulla scorta dell'impulso del territorio e dell'esito dei lavori dell'Osservatorio, decise l'abbandono del progetto che prevedeva il tracciato dell'opera in sinistra Dora. Sono stati inoltre pubblicati sette - sette - quaderni che affrontano e analizzano profili e questioni rilevanti dell'opera, illustrano le posizioni dell'Osservatorio e i punti con contrasto di opinioni. Centinaia sono state poi le riunioni e le audizioni svolte.
Ebbene, conclusivamente, sul punto si richiama il dato dei 112 comuni di entrambi i Paesi, 87 quelli francesi, i cui territori sono interessati ai lavori. Tra i comuni italiani, una dozzina avversano l'opera, ma quelli interessati dalla realizzazione di tratte in superficie e/o da cantieri sono due, Chiusa San Michele e Sant'Ambrogio di Torino, per un totale di circa 6.500 abitanti, che hanno manifestato contrarietà per i lavori. Si può, dunque, con tutta evidenza e comunque, anche alla stregua delle reiterate progettazioni dei lavori e del tracciato, sostenere che le scelte siano state partecipate, discusse, vagliate e condivise con la popolazione, con gli enti locali interessati e con ogni altro soggetto istituzionale, civile e sociale coinvolto, dunque con attento ascolto del territorio.
È stato ricordato come il CIPE, nella seduta del 3 agosto, ha approvato il progetto preliminare del «Nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, sezione internazionale, parte comune italo-francese, tratta in territorio italiano». Il 28 settembre 2011 Italia e Francia hanno siglato un accordo per la ripartizione della spesa, che prevede appunto una copertura pari, per l'Italia, al 57,9 per cento dei costi e il restante alla Francia, copertura che in parte è giustificata dalla presenza del tracciato nel territorio delle due repubbliche.
Come è stato ricordato dai colleghi, il costo complessivo della fase 1, pari a oltre 8 miliardi di euro, dovrebbe comportare un finanziamento per l'Italia di meno di 3 miliardi di euro e ottenere un finanziamento comunitario di circa il 40 per cento. Dunque, si tratta di un progetto che discende da una visione strategica importante, ampiamente condiviso, fatto di momenti che hanno avuto un confronto istituzionale, hanno avuto un confronto con enti locali e con il territorio.
È un progetto che merita, per le motivazioni che abbiamo addotto, di essere attentamente valutato e portato avanti. La ratio della nostra mozione è che si rinnovi da parte dell'Unione europea, su impulso del Governo, l'acquisizione di riscontri e di garanzie volti a definire la conferma della disponibilità europea al sostegno finanziario e, infine, che si dia attuazione ai cosiddetti accordi dei progetti attinenti il nodo di Torino e degli accordi precitati.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto, che illustrerà anche la mozione Delfino ed altri n. 1-00966, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, anche io intervengo brevemente per illustrare la mozione che anche il mio gruppo, l'Unione di Centro, ha voluto presentare sull'argomento e il cui primo firmatario Pag. 24è l'onorevole Delfino. Anch'io dichiaro fin da subito la disponibilità del mio gruppo a proporre, insieme agli altri gruppi, un testo unificato di queste mozioni. Credo che sarebbe un atto simbolicamente importante perché dimostrerebbe la volontà del Parlamento di confermare la validità e la strategicità di quest'opera. Sarebbe, inoltre, un segnale di sostegno anche per il Governo che negli ultimi mesi, nelle ultime settimane con numerose dichiarazioni, ma anche con fatti ed interventi politici importanti, ha dimostrato di assegnare grande valore dal punto di vista strategico a quest'opera.
Il Corridoio est-ovest costituisce uno degli assi principali della mobilità in Europa. Proprio per l'Europa il segmento Torino-Lione rappresenta il cuore strategico ed essenziale di questo collegamento. L'Unione europea ha recentemente deciso di riconfermare la Torino-Lione tra le opere strategiche prioritarie per lo sviluppo infrastrutturale, economico e sociale dell'Europa occidentale, auspicandone, così come stiamo facendo noi, il completamento dell'iter realizzativo nel tempo più spedito possibile.
Il progetto preliminare approvato dal CIPE prevede una realizzazione per fasi funzionali di questa infrastruttura con un importo suddiviso per quote di competenza, come alcuni colleghi hanno già evidenziato prima, tra lo Stato italiano e lo Stato francese, con un importante contributo dell'Unione europea, che finanzia l'opera per il 40 per cento. L'opera è stata concertata con il territorio attraverso una lunghissima, anche se difficilissima, travagliata campagna di sensibilizzazione, di ascolto e di coinvolgimento di tutti gli attori interessati, sia di quelli istituzionali che di quelli civici, che nella gran parte dei casi hanno dimostrato di voler considerare la realizzazione di quest'opera come uno straordinario investimento strategico per il futuro dell'area in termini di maggiore competitività, di abbattimento delle distanze e di prospettiva dello sviluppo.
L'onorevole Esposito prima citava alcuni dati. Io voglio citarne altri. Quest'opera riduce fortemente il gap, la distanza in termini di logistica tra il nostro Paese e gli altri paesi europei, tra la nostra economia e le altre economie sviluppate. Oggi l'Italia risulta pesantemente sfavorita rispetto ai suoi partner europei e mondiali, perché nel nostro Paese la logistica pesa sul valore della produzione industriale per il 22 per cento, mentre nel resto d'Europa questo valore è del 14-16 per cento. Ciò significa che il nostro tessuto produttivo paga molto di più, perché negli anni questa distanza in termini di logistica non è stata accorciata. La voce del trasporto nella logistica italiana pesa a sua volta per il 73 per cento rispetto alla media europea che, invece, è quella del 60 per cento. L'onorevole Esposito, prima di me diceva che solo il valore dell'interscambio tra il nostro Paese e la Germania ammonta a 100 miliardi di euro l'anno.
Ebbene, anche qui, però, vorrei integrare questo dato rappresentandone in Assemblea un altro. Fatto 100 il valore delle merci che il nostro Paese scambia ogni anno con l'Europa, il 34 per cento di queste merci vengono scambiate proprio lungo l'asse Torino-Lione, quello cioè che collega il nostro Paese alla Francia, alla Penisola iberica e alla Gran Bretagna. Inoltre, fatto 100 il valore delle merci che il nostro Paese scambia con il mondo, ben il 19 per cento di queste merci è scambiato, appunto, lungo questo asse. Dunque, il valore complessivo è di 150 miliardi.
Perché dico questo, Presidente? Dico questo perché il senso delle proteste che alcuni movimenti, soprattutto di estrema sinistra, stanno muovendo al Governo e agli altri, che invece considerano questa opera come strategica, dovrebbe essere letto anche in ordine alle questioni più generali che investono il Paese. Come si fa a chiedere al Governo di intervenire nella direzione di favorire la crescita e poi chiedere allo stesso Governo di arrestare la realizzazione di un'opera che è così importante per fare aumentare la competitività e, quindi, la crescita nel nostro Paese? Come si fa a chiedere all'Europa di muovere qualche leva per dare la possibilità, a noi e agli altri Paesi, di determinare le condizioni per la crescita economica Pag. 25e poi lanciare ogni giorno questo terribile spot di un Paese che rischia di essere paralizzato da poche frange di facinorosi, di violenti, che ostacolano non solo quest'opera infrastrutturale, ma ostacolano la possibilità del nostro Paese di dimostrare che è capace di favorire processi virtuosi di crescita economica? Ebbene, con questa mozione l'auspicio è che tutto il Parlamento dimostri che il nostro Paese ha un'altra visione rispetto a questi problemi e che questa visione sia di ausilio anche agli interventi importanti che il Governo sta svolgendo in questa direzione.
Noi chiediamo, dunque, al Governo di impegnarsi anche per dar seguito alla mozione che proprio ad ottobre 2010 la Camera dei deputati ha approvato. In realtà, si trattava di 4 mozioni che impegnavano il Governo a confermare la valenza strategica della realizzazione della nuova linea Torino-Lione (e questo il Governo lo sta facendo in maniera encomiabile); a garantire un adeguato piano finanziario, con programmazione pluriennale che copra l'intero ammontare dell'opera e anche questo è un altro punto su cui il Governo ha dimostrato encomiabile impegno; a confermare i fondi - circa 200 milioni di euro, si diceva in quelle mozioni - previsti nel primo atto aggiuntivo dell'intesa generale quadro dell'11 aprile 2009, necessari a realizzare gli interventi prioritari di prima fase.
È notizia di questi giorni che il CIPE - proprio venerdì scorso, mi pare - abbia dato un primo e importante segnale in questa direzione, perché ha stanziato 30 milioni di euro, di cui 20 milioni, appunto, saranno utilizzati per il collegamento tra le città di Torino e l'aeroporto di Caselle. Si tratta di una parte di un'opera che costerà 162 milioni, di cui 20 milioni stanziati dallo Stato centrale e 142 milioni dalla regione Piemonte, facendo ricorso alle risorse del FAS e questo proprio in esito all'accordo sottoscritto nel gennaio 2009, al quale molti colleghi, prima di me, facevano riferimento. Quindi, da un lato si lavora a costruire un'opera strategica per il futuro; dall'altro lato, si lavora a fare di quest'opera un volano per lo sviluppo del territorio, collegando quest'opera con le altre infrastrutture. Inoltre, altri 10 milioni sono stati stanziati proprio per le opere di completamento.
Apprezziamo, dunque, lo sforzo del Governo in questa direzione. Lo impegniamo, così come chiesto anche nelle altre mozioni, ad assumere iniziative volte a sbloccare ulteriori fondi necessari per finanziare le opere e gli interventi previsti nel piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione. Lo impegniamo anche per promuovere un migliore impulso delle strategie di comunicazione, per diffondere e far crescere, tra le popolazioni del luogo interessate, la consapevolezza dei vantaggi e delle ricadute, in termini occupazionali ed economici, che la realizzazione di questa importante opera determinerà.
Lo impegniamo ad adottare iniziative al fine di evitare strumentalizzazioni della protesta, adottando fermamente ogni forma di repressione che sia utile ad impedire che l'opera si arresti per l'arroganza e la violenza di poche frange, e a prevedere misure e provvedimenti che tutelino le aziende locali, nel senso di favorirne maggiormente la partecipazione alla realizzazione dell'opera. Noi abbiamo scritto nella mozione «garantendo», ma sarebbe il caso di integrarla con un inciso: «compatibilmente con le possibilità offerte dalla legislazione», o comunque promuovendo l'affidamento dei lavori a chi opera sul territorio.
Questo noi chiediamo. Sappiamo che il Governo è particolarmente sensibile a ciò che il Parlamento oggi gli sta chiedendo e lo ha dimostrato.
Registriamo con notevole favore che, attorno a questo problema, c'è un'unanime convergenza in questa Assemblea sia da parte delle forze che sostengono il Governo, sia da parte delle forze che si oppongono al Governo. Dal mese di novembre fino ad oggi questo è l'unico argomento che ha visto tutte le forze politiche rappresentate nell'Assemblea unite per dire che quest'opera, attraverso Pag. 26la quale si costruisce non solo una linea ad alta velocità, ma anche il futuro del Paese, è un'opera che si deve fare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, abbiamo alla nostra attenzione sei mozioni. Vorrei però partire da una notizia di cronaca, per dire che questo non deve succedere assolutamente: «Milano: rogo doloso, treni bloccati per ore. Sospetti sui no TAV».
La prima osservazione - mi auguro smentiscano che c'entrano con queste azioni - è che spero che le forze dell'ordine o la procura riescano a dimostrare che si tratta magari di altri tipi disperati, non che il danno cambi qualcosa, ma è evidente che la questione è totalmente diversa.
Che una questione importante, come la realizzazione di infrastrutture di questo tipo, diventi motivo di violenza sui nostri territori e le nostre città è esattamente ciò che nessuno di noi qui in Parlamento vuole, ma neanche i cittadini fuori. Stiamo parlando di un'opera - come molti colleghi hanno già ricordato - che è oggetto dell'attenzione di studi da parte dei tecnici, degli enti locali e del Governo da ormai vent'anni. È evidente che quando è maturata questa esigenza, vent'anni fa, la priorità era in assoluto quella della coesione tra gli Stati membri di questa Europa che, sempre di più, si allargava e aveva l'esigenza di trovare nuovi corridoi e nuove vie di comunicazione e di coesione tra i vari territori nazionali. Nel frattempo, però tante altre emergenze sono diventate oggetto di studio da parte dell'Italia e dei nostri territori, ma anche da parte dell'Europa.
La prima questione è quella ambientale: è bene che tutti teniamo presente che la pianura padana nel suo insieme, occupata da tantissime città, a partire da Torino e Milano, ha un intasamento in termini di polveri sottili fuori da ogni logica in Europa. Ci siamo dati dei parametri di rispetto in termini di soglia da non superare in un anno, ma in realtà non siamo in grado di rispettarla con nessun tipo di provvedimento: le domeniche chiuse al traffico e le targhe alterne sono palliativi che aiutano ad evidenziare, sempre di più, nelle comunità il problema, ma che non lo risolvono.
Ci dobbiamo rendere conto che la causa principale o per lo meno che ha il maggior peso di responsabilità, dopo gli insediamenti delle città e delle popolazioni, è il trasporto, il trasporto delle persone e delle merci, che incide per più del 30 per cento.
Su questa esigenza a livello internazionale sono state prese decisioni importanti, in primo luogo vi è la Strategia «Europa 2020», quello di poter fare un risparmio in termini energetici, utilizzando energia più pulita, ma nello stesso tempo consumando meno energia che va a produrre CO2. Il trasporto incide per il CO2, che però produce un altro effetto devastante, che è l'innalzamento della temperatura. Non abbiamo prove provate, ma solo degli indizi importanti del danno che l'innalzamento della temperatura sta causando. Forse perché siamo passati in meno di cento anni da meno di due miliardi a sette miliardi di popolazione? Ma non possiamo mica incidere sulla popolazione? Sarebbe una posizione devastante.
Sui comportamenti che nel frattempo dobbiamo tenere tutti, però, è chiaro che stiamo maturando pensieri diversi. Sicuramente uno dei pensieri che ormai sta invadendo il mondo occidentale e anche l'Italia è proprio quello di consumare energia sapendo che non possiamo consumarla all'infinito, che è un bene che finisce e che quindi va utilizzato nella forma migliore, quella delle rinnovabili e quindi nel rispetto dell'ambiente. Il trasporto, come dicevo prima, purtroppo è una delle cause peggiori, perché oltre al CO2 immette nell'aria le polveri sottili, che sono causa, anche in questo caso certificata, di morti. L'Istituto tumori di Milano, solo per la città di Milano, ha quantificato in più di 150 i morti l'anno solo per questo fenomeno. Quindi, dovremmo passare alla ferrovia, ad un'altra forma di mobilità. In Pag. 27Italia però siamo in una situazione assurda. Intanto, vi è un monopolio che per anni abbiamo sfruttato, in primis i politici attraverso il potere delle assunzioni, attraverso il potere degli appalti e degli interessi territoriali e locali. Ci siamo dimenticati dell'obiettivo principale, che era quello dell'Italia e dell'efficienza di questo sistema. Come qualcuno ha accennato, oggi abbiamo una rete ormai vecchia, che ha passato i suoi cento anni in molti tratti. Al Nord, che consideriamo uno dei motori dell'Europa, come al Sud, girano ancora treni a diesel, a gasolio, quindi anche con questi riusciamo a creare danno all'ambiente. Quindi, sicuramente la rete delle ferrovie va rivista e potenziata. Questo passa anche attraverso scelte forti, che non consistono solo nell'imporre un'opera al territorio, ma anche magari - credo che non l'abbiamo ancora fatto, anche con i provvedimenti fino ad oggi presi - nello sdoppiare, permettendo alla concorrenza di operare anche sul territorio nazionale senza tappi dettati da interessi. Se RFI viene gestita dalla stessa società che di fatto controlla anche il 95 o il 98 per cento dei treni in Italia, è chiaro che diventa difficile capire come ci si possa inserire in questo. Magari scopriamo che è impossibile viaggiare con una roulotte dal Nord Italia, o anche solo da Napoli, non dico a Palermo, pensando di viaggiare su un treno, perché le offerte di oggi dicono: ti noleggi un vagone intero, perché non possiamo fare un'offerta diversa.
Quindi, chi viaggia da nord verso sud, anche con questi nuovi strumenti, per conoscere il mondo, per gestire il proprio tempo libero, alla fine viaggia ancora su gomma. Questo vale anche per un piccolo imprenditore che, magari, con i suoi tre operai, non trova lavoro a Napoli e vorrebbe andare a Milano, o viceversa. Chi ha semplicemente un camioncino, chi ha una cassetta di ferri. Bene, l'unica soluzione è viaggiare sulla nostra rete autostradale perché, diversamente, non ci si può spostare dal nord al sud all'interno dell'Italia, figurarsi quando bisogna farlo dal sud al nord delle Alpi.
Quindi, queste infrastrutture sicuramente servono e sono fondamentali per l'Italia, però, nel realizzarle, non possiamo dimenticare le esigenze dei territori e delle popolazioni che, nel frattempo, troviamo lungo queste tratte. In questo caso - anche se il passaggio di nuovo alla «legge obiettivo» è stato chiesto solo attraverso una mozione - si è fatto un passo avanti nel riconoscere ai territori l'esigenza di valutare le soluzioni progettuali, le opportunità, i benefici e i danni che il passaggio di un'opera di questo tipo comporta al territorio stesso. Dunque, abbiamo ricondotto tutto questo in seno ad un ragionamento che, certamente, costa più tempo perché sarebbe più facile dire che le decisioni si prendono a Roma e il resto del territorio non può dire nulla.
In questi cinque o sei anni, ossia da quando è stato eliminato questo vincolo - o forma di accelerazione, a secondo di come lo si guardava - posto dalla «legge obiettivo», in realtà i territori hanno potuto valutare al meglio anche queste possibilità.
Nel frattempo, però, abbiamo dovuto militarizzare la zona, il cantiere, abbiamo dovuto dichiararlo di interesse strategico. È vero che lo Stato deve fare rispettare le leggi, ma attenzione a non abusare di questo concetto, perché anche questi sono costi sociali. Le forze dell'ordine, che dovrebbero garantire la sicurezza in tutti i cantieri d'Italia, sia quelli pubblici, sia quelli privati, comportano dei costi. Sappiamo quanto le opere pubbliche arrechino danno alla criminalità organizzata. Non dimentichiamo, infatti, che in quei 40 o 50 cantieri ancora aperti sulla Salerno-Reggio Calabria è presente il fenomeno della criminalità organizzata. Quindi, l'utilizzo di risorse come le forze dell'ordine deve essere ben chiaro perché non possiamo pensare che da qui al 2024, o quando pensiamo di finire questa grande opera, possiamo continuare a presiedere con i militari un cantiere di questo tipo. È necessario, quindi, proseguire sulla strada Pag. 28del confronto con le popolazioni locali; le idee passate a Roma e alla regione e alla provincia di Torino devono essere convincenti anche per i territori. Certo, è un lavoro molto difficile.
L'Italia dei Valori, in questi momenti di tensione, aveva chiesto di attribuire la valutazione dell'insieme del progetto ad un soggetto terzo, al di sopra anche dell'Italia, visto che siamo in Europa e visto che questa cofinanzia o, comunque, cofinanzierà quest'opera, in modo tale che essere in Europa voglia dire anche condividere queste grandi infrastrutture, non lasciando, una volta decisi a livello europeo quali sono i 30 corridoi più importanti, ai singoli Stati la loro realizzazione. Infatti, ad esempio, sappiamo che vi è una questione che non riguarda solo l'Italia e la Francia, ma vi sono altri Stati coinvolti per dare pienezza a questa progettualità. Quindi, dobbiamo valutare non solo le merci o il traffico che va dall'Italia alla Francia e basta, ma anche quante opportunità in più potrebbero dare queste reti se funzionassero nel loro insieme.
Tenendo presente che nel frattempo tecnologia e ricerca avanzano, danno soluzioni alternative, vuoi sulle tipologie dei motori, vuoi sui convogli da realizzare, quindi sulle curvature e sul modo di realizzare le ferrovie, ogni anno abbiamo qualche possibilità in più di scegliere e quindi magari - come già in parte è successo su questo progetto - di scegliere opzioni diverse. Credo che questo, indipendentemente dalle scelte, si possa fare, il Governo può chiedere una valutazione ad un organo terzo perché sono parecchi anni, sono più di cento anni, che costruiamo ferrovie nel mondo e in Europa sicuramente altri possono valutare la progettualità nel suo insieme. Avevamo chiesto una moratoria su questa questione. Questa scelta può essere presa in qualsiasi momento. Noi non vogliamo cavalcare la protesta e buttare ulteriore benzina sperando che qualcosa si sblocchi in tal senso. Ci auguriamo che le soluzioni arrivino senza bisogno di farlo, però vorremmo evitare di arrivare allo scontro con le popolazioni e creare situazioni che poi non ci danno possibilità di ritorno.
In merito alla questione della salute, in questo momento il cantiere in essere di fatto è una parte minima perché permette di fare un pre-foro, che permette quindi di avere più chiare le idee di cosa succederà nel sottosuolo, anche se verrà utilizzata come discenderia e quindi fa parte nel suo insieme di tutto il progetto. Credo che, però, tecnicamente si può spiegare all'opinione pubblica ma specialmente alle popolazioni locali, come il materiale di risulta, quello che tiriamo fuori da questa galleria e che può avere delle percentuali di amianto, possa essere controllato. Infatti sappiamo che l'amianto fa danno - oggi lo sappiamo, purtroppo - se viene lasciato libero nell'aria e quindi se questo pulviscolo penetra nei nostri polmoni, ma se dalla galleria al luogo dove viene poi messo a dimora tutto può essere fatto con una protezione e quindi impedendogli di andare nell'aria, il danno non c'è, né oggi né domani, insomma in questi casi si può eventualmente anche consolidare materiale di questo tipo.
Chiediamo comunque molta cautela e disponibilità sempre e comunque al confronto. Non possiamo dire che siccome l'Osservatorio ha fatto tante riunioni ha quindi esaurito il suo scopo; no, perché intanto le amministrazioni cambiano, le popolazioni maturano convinzioni diverse e non vogliamo trascurare in questo momento il fatto che il rilancio e la crescita dell'Italia passano anche dal rilancio delle infrastrutture e, quindi, siamo convinti che questo è il passaggio da compiere. L'importante è realizzare infrastrutture necessarie e indispensabili e non infrastrutture inutili che nel tempo ci porterebbero solo degli ulteriori costi e basta (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

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(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Guido Improta.

GUIDO IMPROTA, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, formulo alcune brevi considerazioni che scaturiscono da quanto ho ascoltato in merito alle sei mozioni presentate. Innanzitutto il collegamento ferroviario Torino-Lione è già presente nell'Allegato infrastrutture sin dal 2009 e quindi riteniamo che vi si applichino le norme della legge obiettivo. Peraltro gli esiti della seduta del CIPE del 23 marzo appunto fanno riferimento ad una infrastruttura prevista nel Programma delle infrastrutture strategiche.
È stato già ricordato che alla base di questa opera così strategica ci sono due accordi internazionali tra Italia e Francia, uno siglato nel 2001 e un altro nel 2004. Colgo l'occasione di questo passaggio parlamentare per annunciare che a breve sarà sottoposto alle Camere un disegno di legge di ratifica di un terzo accordo i cui contenuti sono stati raggiunti il 30 gennaio ultimo scorso e che mira a disciplinare la costruzione e la futura gestione della sezione transfrontaliera della parte comune italo-francese dell'opera.
Esso contiene anche la disciplina della costituzione e del funzionamento del promotore pubblico che avrà poi la qualifica di gestore della sezione transfrontaliera della parte comune italo-francese. Per quanto riguarda l'auspicio che alcuni gruppi parlamentari hanno espresso di arrivare alla formulazione di una mozione congiunta, laddove venisse accolta da tutti i gruppi parlamentari e da tutti i presentatori delle mozioni, auspicherei, a nome del Governo, che il dispositivo avesse una formulazione priva di indicazioni economiche, in quanto sarebbe più compatibile con i saldi di finanza pubblica e soprattutto con le disponibilità di cassa che attualmente ci condizionano in modo tanto stringente.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Vincenzo Antonio Fontana ed altri n. 1-00855, Binetti ed altri n. 1-00927, Iannaccone ed altri n. 1-00958, Miotto ed altri n. 1-00959 e Palagiano ed altri n. 1-00962 concernenti iniziative in ordine alle modalità di ammissione alle scuole di specializzazione in medicina (ore 16,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Vincenzo Antonio Fontana ed altri n. 1-00855, Binetti ed altri n. 1-00927, Iannaccone ed altri n. 1-00958, Miotto ed altri n. 1-00959 e Palagiano ed altri n. 1-00962 concernenti iniziative in ordine alle modalità di ammissione alle scuole di specializzazione in medicina (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione delle mozioni è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00964 e Laura Molteni ed altri n. 1-00967 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Vincenzo Antonio Fontana, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00855. Ne ha facoltà.

VINCENZO ANTONIO FONTANA. Signor Presidente, premesso che il decreto ministeriale 6 marzo 2006, n. 172, che regola le modalità per l'ammissione dei Pag. 30medici alle scuole di specializzazione, prevede ai fini dell'iscrizione al concorso per i laureati in medicina e chirurgia l'obbligo di superare l'esame di Stato prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande.
Questo calendario delle prove è predisposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in modo da poter adeguatamente pubblicizzare, con congruo anticipo, anche la data, oltre al numero dei posti di specializzazione assegnati a ciascun ateneo, e il numero dei posti per ciascuna disciplina, in modo che le università possano pubblicare i relativi bandi almeno 60 giorni prima delle prove. Ogni anno migliaia di neolaureati in medicina attendono con trepidazione di sapere quali saranno i tempi per poter continuare il loro percorso formativo che, peraltro, è già abbastanza articolato e lungo, se consideriamo i sei anni del corso di laurea più il corso di specializzazione, che mediamente va da cinque a sei anni per alcune discipline chirurgiche. Questi sono gli anni previsti dal corso di laurea ma i giovani si devono attenere a questo tempo perché se per caso dovessero perdere anche qualche anno, non per ragioni legate al profitto ma per ragioni che sono legate alla questione della partecipazione alla scuola di specializzazione, senza possibilità di conseguire l'abilitazione, questo allungherebbe ulteriormente di almeno un anno il lungo percorso formativo, determinando un ritardo della vita professionale dei giovani, che è già abbastanza lunga, cosa che comporta una situazione abbastanza grave, di cui molteplici sono gli effetti. Infatti i neolaureati perderanno almeno un anno rispetto al loro corso di laurea e di specializzazione. Dal concorso per l'accesso alle scuole di specializzazione per l'area medica vengono esclusi, infatti, tutti i laureati delle sessioni di laurea dopo quella autunnale e quindi gli interessati devono aspettare un anno per poter partecipare al concorso che consente loro di entrare nella scuola specializzazione.
Questo perché dopo le sessioni di laurea invernali non vi è una sessione di abilitazione, di esami di Stato. Il Ministero per la verità ha più volte precisato che non è possibile armonizzare le sessioni di laurea, che normalmente sono tre per ogni anno accademico, così come accade per tutti i corsi di laurea ed in tutte le facoltà, appunto con le sessioni degli esami di Stato, che si svolgono invece due sole volte all'anno (a giugno-luglio e a novembre). Questo problema è stato per la verità anche diverse volte affrontato, e ricordo che anche il Ministro Moratti l'aveva affrontato proprio per evitare questo disagio agli studenti, prevedendo addirittura una deroga, una disposizione transitoria, con la quale si permetteva ai giovani di concorrere comunque alla prova per l'accesso alla scuola di specializzazione, con la riserva di abilitarsi alla prima sessione utile (entro il primo esame di Stato possibile). Si permetteva comunque agli studenti di sostenere questo esame di ingresso alle scuole di specializzazione in attesa di avere superato l'esame di abilitazione.
Quindi noi chiediamo al Governo che si possa in qualche modo mettere fine a questo disagio dei giovani laureati, dei medici, che già affrontano un lunghissimo iter formativo, che permetta di sanare questa attuale situazione alla luce anche di una calendarizzazione che sia capace di ovviare alle suddette disfunzioni, relative ai concorsi per l'ammissione dei medici nelle scuole di specializzazione. A mio parere è possibile: o creare un altro esame di Stato, ovverosia organizzare una sessione di abilitazione per ogni sessione di laurea (questo consentirebbe anche a coloro i quali si laureano nelle sessioni successive a quella autunnale di affrontare l'esame di abilitazione e di partecipare quindi al test d'ingresso nelle scuole di specializzazione); oppure prevedere una deroga, dando la possibilità di partecipare al primo esame di Stato utile, consentendo agli studenti di partecipare al test di ingresso di specializzazione anche senza aver conseguito il relativo esame di abilitazione; oppure (terza opzione, anche perché a mio parere le lauree in medicina sono già abilitanti, come del resto accade per tante altre lauree) e togliere l'esame di Pag. 31abilitazione, in quanto il giovane che si laurea in medicina e chirurgia è già abilitato alla professione medica. Del resto in tanti Paesi dell'Unione europea l'esame di Stato non esiste, proprio perché la laurea è già abilitante (questa è la terza opzione).
Mi auguro che il Governo possa affrontare con decisione ma anche con immediatezza questo problema che purtroppo crea veramente tanto disagio in numerosi studenti universitari in medicina e chirurgia, per porre fine a questo disagio e consentire loro di continuare il loro iter formativo senza dover perdere tempo per ragioni che evidentemente esulano dalla loro condizione di studente e soprattutto dal profitto nello studio (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto, che illustrerà la mozione Miotto n. 1-00959, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, le mozioni in discussione questo pomeriggio vertono su riflessioni, e possibili soluzioni, riguardo ad alcune criticità, che si rilevano principalmente nelle facoltà di medicina, quindi nella formazione dei futuri medici, nel loro rapporto con il Servizio sanitario nazionale, ma si ricollegano anche ai tagli nella sanità e anche a ripensamenti possibili sotto il profilo organizzativo, gestionale, e del sistema di valutazione. Dico questo perché la nostra responsabilità è anche nella capacità di riuscire a programmare il futuro del Servizio sanitario nazionale sulla base, da una parte, delle criticità emerse, ma anche del cambiamento della domanda di salute da parte dei cittadini.
E oggi più che mai dobbiamo aver sempre presente che è un costo anche un modello organizzativo inadeguato, inadeguato perché obsoleto o perché crea delle lungaggini o delle sovrapposizioni. Il primo elemento, quindi, del mio intervento è legato all'andamento demografico della popolazione e alla carenza di medici per il prossimo futuro. Secondo le stime che vengono elaborate, quando sarà esaurita la bolla di superiscrizioni che abbiamo avuto negli anni '70 e '80, l'Italia allineerà il rapporto dei medici per abitanti ad un livello molto più basso, al livello più basso, cioè, tra i Paesi OCSE. Passeremo, quindi, da una situazione di pletora del passato, ad una carenza di medici per il futuro. Già oggi, in realtà, si avverte una carenza strutturale di circa 5 mila medici tra radiologi, anestesisti e personale dell'area di emergenza. Le previsioni ci indicano un'inversione di tendenza a partire dal 2015 che porterà, nel giro di dieci anni, il numero di medici da 350 mila a 250 mila. E tra dieci anni mancherà un medico su due con il rischio di chiusura di interi reparti e branche, come il caso della geriatria; una sciagura se consideriamo anche l'andamento demografico del nostro Paese, che è un Paese che invecchia.
Questi dati sono confermati anche nel Piano sanitario nazionale 2011-2013, in cui si può leggere che si attende una carenza, dal 2012 al 2018, di circa 18 mila unità di personale medico nel Servizio sanitario nazionale, e di circa 22 mila medici, dal 2014 al 2018, in totale. Questo che cosa significa? Significa che noi assumeremo meno personale medico per una carenza di fondi e per vincoli di bilancio, anche perché un gran numero di regioni è sottoposta al piano di rientro e, pertanto, vige il blocco del turnover; e soprattutto, significa che noi rischiamo di continuare a formare personale senza tener conto dell'andamento della curva demografica in questo Paese. Come dicevo prima, si tratta di un Paese che invecchia e, quindi, non siamo in grado di tener conto dei reali bisogni assistenziali del territorio.
Nel sostenere queste considerazioni, che sono alla base della mozione presentata dal Partito Democratico in materia di programmazione degli accessi alle facoltà mediche e alle connesse scuole di specializzazione, vorrei rilevare anche un'altra incongruità, ossia quella legata alla programmazione degli accessi e dei fabbisogni, non solo dei medici, ma anche di altre categorie della dirigenza sanitaria. Faccio riferimento a veterinari, farmacisti, biologi, Pag. 32chimici, fisici e psicologi i quali ad oggi non ricevono borse di studio. Per queste figure professionali operanti nel Servizio sanitario nazionale, accanto ad una situazione di carenza di ordine finanziario, permane la totale mancanza di previsione di un'adeguata quantità di contratti di formazione lavoro per le scuole di specializzazione. Dico questo perché nel nostro Paese è vigente una norma, introdotta con il Decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992, in cui abbiamo sancito l'obbligo del possesso del diploma di specializzazione come requisito per accedere ai pubblici concorsi nel Servizio sanitario nazionale.
Questo obbligo è presente non solo per i medici, ma anche per i veterinari, i farmacisti, i biologi, i chimici, i fisici, gli psicologi e anche gli odontoiatri. Alcuni atenei, in qualche caso sia per quest'anno ma anche per l'anno scorso, stanno bloccando l'emissione dei bandi per le scuole di specializzazione, scuole che prevedono l'accesso a più categorie professionali. In questo modo, si impedisce il conseguimento del titolo di specializzazione, requisito obbligatorio per questi concorsi, e si impedisce a giovani laureati che hanno diritto al libero accesso a queste prove di ammissione, a pena di ledere loro un diritto inalienabile e costituzionalmente garantito, determinando l'esclusione di centinaia di giovani all'accesso al lavoro nelle forme previste dalla legge. Di qui a poco determineremo anche l'estinzione forzata di alcune categorie professionali.
Il primo elemento di questo intervento ha fatto quindi riferimento alla possibilità che i fabbisogni formativi delle facoltà siano collegati alle reali necessità di personale ed anche che tali posti nelle scuole di specializzazione siano distribuiti tra le regioni, tenendo conto del reale fabbisogno di ciascuna regione, proprio per assicurare la qualità del Servizio sanitario nazionale.
Un altro elemento è legato ad una criticità ed anche al rischio di una perdita di tempo che - si rileva - potrebbe essere ridotta con una migliore armonizzazione cronologica delle date relative alla laurea, all'esame di abilitazione e all'iscrizione all'ordine professionale e all'ingresso alle scuole di specializzazione. Questo accade, come ha ben spiegato chi è intervenuto prima di me, perché a fronte di un numero di sessioni di laurea che è due o tre l'anno, il concorso alle scuole di specializzazione invece è annuale. Quindi, può accadere che un neolaureato, per continuare un percorso formativo che già di per sé è lungo, si veda costretto ad aspettare un tempo di mesi che può arrivare fino anche ad un anno per concludere la sua formazione. Credo che, anche se riuscissimo a sincronizzare meglio tale tempistica, ci sarà sempre qualche giovane medico che dovrà aspettare più di qualcun'altro in termini di tempo per continuare il percorso formativo e credo che questa attesa qualche volta può essere utile, per una scelta migliore e più ponderata, ma molto spesso si traduce davvero in una perdita di tempo e, nel caso dei più fortunati, in un inserimento con contratti atipici nelle strutture territoriali e ospedaliere.
Terzo elemento del mio intervento riguarda un'altra carenza per la quale sarebbe auspicabile da parte del Governo una persuasione: si tratta dell'insufficienza del numero dei medici di medicina generale per coprire anche qui il fabbisogno del territorio. A partire dal 1995 è stata fatta una scelta: il titolo di formazione specifica per esercitare la professione di medico di famiglia doveva essere rilasciato dalla regione. Quindi, sono le regioni che si occupano di un corso di studi che è di durata triennale. Quindi a suo tempo fu fatta la scelta di distinguere questi due percorsi, con un risultato che oggi a volte è anche paradossale, perché non siamo in grado di incidere su quelle regioni inottemperanti o quanto meno ritardatarie nell'organizzare e garantire quell'ottimale concorso formativo. Oggi infatti i medici di medicina generale, come ho detto, risultano insufficienti come numero a causa da una parte dell'alto costo richiesto a ciascuna regione per la formazione, ma anche per un altro fattore: molti abbandonano questi corsi quando riescono ad entrare nelle scuole di specializzazione, Pag. 33per le quali è previsto un importo della borsa molto più consistente e viene anche corrisposto per un periodo più lungo. Quindi il risultato è quello che sto cercando di descrivere: un fabbisogno del territorio non coperto, insoddisfatto e con la conseguenza che molte Asl ed anche alcuni medici di base ricorrono in maniera non occasionale - come dovrebbe essere in caso di assenza per ferie o per permessi - ma in maniera continuativa a medici privi della formazione specifica.
Si tratta di una formazione specifica che, peraltro, prende avvio con dei quiz riconosciuti come benfatti e selettivi. Ciò diversamente - ed entro nell'ultimo aspetto del mio intervento -, sempre a quanto si rileva, rispetto a quanto avviene in tutte le altre scuole di specializzazione, con riferimento alle quali i quiz parte del test d'ingresso risulterebbero poco selettivi e gli standard e i requisiti minimi, oltre che gli ordinamenti, dovrebbero essere aggiornati e maggiormente orientati sotto il profilo pratico, cioè tenendo in considerazione i vantaggi di un sistema di valutazione della formazione che, al momento, risulta carente sotto l'aspetto della verifica del «saper fare».
Signor Presidente, le mie sono considerazioni e riflessioni in apparenza più ampie rispetto ai contenuti della mozione che ho illustrato; tuttavia, si tratta di riflessioni tutte tra loro connesse e funzionali per meglio comprendere gli scenari dei prossimi anni, non solo in termini di carenza di camici bianchi, ma anche per rispondere in modo adeguato alla scelta su quale sia il Servizio sanitario nazionale che vogliamo e in che modo intendiamo rispondere alla domanda di salute di tutti i nostri concittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini, che illustrerà anche la mozione Laura Molteni ed altri n. 1-00967, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO RONDINI. Signor Presidente, la mozione in discussione affronta un problema che si sta sempre più aggravando con ripercussioni negative sul diritto alla salute del cittadino. Il Piano sanitario nazionale 2011-2013 ha posto in evidenza, tra le criticità del sistema attuale, la distribuzione per età dei medici impiegati nel Servizio sanitario nazionale.
Dalla fonte INPDAP (dati sugli iscritti alla cassa pensione sanitaria, anno 2006), si evince una forte concentrazione di personale nella fascia di età superiore o uguale a sessant'anni. Considerando il numero medio di laureati in medicina e chirurgia per l'anno accademico e la quota di questi che viene immessa annualmente nel Sistema sanitario nazionale, ci si aspetta, a partire dal 2012, un saldo negativo tra pensionamenti e nuove assunzioni. Si stima, inoltre, che la forbice tra uscite ed entrate tenderà ad allargarsi negli anni a seguire, data la struttura per età ed il numero di immatricolazioni al corso di laurea in medicina e chirurgia. Verosimilmente, tale scenario risulterà ancora più marcato nelle regioni impegnate con i piani di rientro a causa del blocco delle assunzioni. In sintesi, ci si attende una carenza, dal 2012 al 2018, di 18 mila unità di personale medico nel Sistema sanitario nazionale e di circa 22 mila medici dal 2014 al 2018 in totale.
Il numero dei posti per l'accesso alla facoltà di medicina e chirurgia è determinato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulla base della valutazione dell'offerta potenziale del sistema universitario, tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo.
Per l'anno accademico 2011-2012, la programmazione dei corsi di laurea della facoltà di medicina e chirurgia risulta inferiore all'effettivo fabbisogno formativo. Dalle tabelle predisposte dal Ministero della salute il 27 aprile 2011, il fabbisogno formativo di medici chirurghi, suddiviso per regioni e province autonome, si attesta, difatti, a 10.566 unità, un dato superiore alle previsioni del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che ne avrebbe autorizzati solo 9.501.
Considerata l'esistente insufficienza del numero dei posti assegnati dal Ministero Pag. 34dell'istruzione, dell'università e della ricerca rispetto al reale fabbisogno formativo, è opportuno, quindi, prevedere un ampliamento superiore all'attuale ripartizione obiettivamente insufficiente, sia in considerazione della necessità di far coincidere il numero dei laureati con il numero dei potenziali specialisti, sia in considerazione dell'elevato numero di abbandoni o trasferimenti presso altre università nel corso degli studi.
I criteri sinora adottati dalle università per stabilire il numero dei posti da destinare all'immatricolazione non risultano comprensibili e, comunque, non rispondono alle effettive esigenze di personale medico; basti citare, a questo proposito, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato che già nel 2009 aveva inviato al Parlamento una segnalazione relativa alle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea, auspicando il massimo ampliamento possibile dei posti universitari disponibili e sottolineando la necessità di rendere trasparente il relativo processo decisionale. Lo scorso 16 marzo, in sede di Conferenza Stato-regioni sarebbe stato sancito l'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano concernente la determinazione del fabbisogno di medici specialisti da formare nelle scuole di specializzazione di area sanitaria per il triennio accademico 2011-2012, 2012-2013 e 2013-2014 e la ripartizione dei contratti di formazione specialistica a carico dello Stato per l'anno accademico 2011-2012.
Con apposito decreto il Miur ha previsto l'istituzione di una commissione di esperti che, oltre ad aggiornare e a monitorare le aggregazioni delle scuole di specializzazione di area sanitaria, ai fini di una corretta razionalizzazione, dovrà esprimere un parere sull'attribuzione, su base nazionale, della dotazione dei contratti ministeriali alle scuole di specializzazione di area sanitaria da mettere a concorso per il corrente anno accademico 2011-2012. Il concorso per l'accesso alle scuole di specializzazione è disciplinato dal nuovo regolamento concernente le modalità per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione in medicina, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 6 marzo 2006.
Dette modalità penalizzano sia coloro che si laureano a luglio, che devono attendere almeno nove mesi, sia quelli che si laureano nell'ultima sessione in corso, costretti ad attendere almeno dodici mesi prima di poter sostenere l'esame di accesso alla scuola di specializzazione. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha evidenziato l'impossibilità di armonizzare in maniera omogenea le tre sessioni di laurea di ciascun anno accademico con le due sessioni annuali dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione medica e con il concorso per l'ammissione alle scuole di specializzazione medica, che si tiene, appunto, una volta l'anno.
In particolare, con la presente mozione, desideriamo impegnare il Governo ad adottare le seguenti strategie: innanzitutto adottare iniziative che attenuino la carenza strutturale di personale medico, anche al fine di evitare il ricorso a personale proveniente da altri Stati per coprire i posti in organico vacanti nelle aziende sanitarie ed ospedaliere presenti sul territorio nazionale, sia pubbliche che private, prevedendo a tale fine un aumento, almeno del 15 per cento, per l'anno accademico 2012-2013, delle immatricolazioni al corso di laurea in medicina e chirurgia.
Considerate le numerosissime proposte di legge di iniziativa parlamentare, impegniamo il Governo a valutare l'opportunità di rivedere il sistema dell'accesso programmato alle facoltà di medicina e chirurgia, rivedendo i criteri di selezione, alla luce del convincimento che l'appartenenza all'Unione europea non impone l'adozione di sistemi di contingentamento quanto, piuttosto, una qualità della formazione dei medici da raggiungersi, anche, attraverso una riorganizzazione dei percorsi di specializzazione, tenendo anzitutto conto che vi sono ambiti in cui si registra un eccesso Pag. 35di percorsi formativi ed aree fondamentali caratterizzate da croniche carenze, ad esempio anestesia e rianimazione.
Desideriamo, inoltre, impegnare il Governo a valutare la possibilità di inserire una graduatoria regionale tra coloro che affrontano gli esami di ammissione per evitare che vengano esclusi in una sede quanti, a parità di punteggio, sono ammessi in altra sede, anche al fine di ridurre i costi di tipo logistico a carico delle famiglie.
Ancora, impegniamo il Governo a riprendere l'iter di riforma del percorso formativo pre e post laurea in medicina, iniziato dal precedente Governo, valutando la necessità di attuare in tempi rapidi la riforma del percorso di studi riguardante la formazione degli specializzandi, il dottorato di ricerca, la laurea magistrale attraverso la riduzione dell'eccessiva durata del percorso che porta uno studente a diventare medico professionista e l'assunzione di iniziative volte a valorizzare il ruolo dei giovani medici in formazione all'interno del Sistema sanitario nazionale, al fine di allineare i tempi di accesso alla professione e di acquisizione della piena maturità professionale a quelli degli altri Paesi dell'Unione europea, equiparando la durata della specializzazione a quella prevista dal modello europeo con la direttiva 2005/36/CE, consentendo allo specializzando all'ultimo anno di poter svolgere, contemporaneamente, anche il dottorato di ricerca accorciando così di un ulteriore anno l'ingresso dello studente nel mondo del lavoro.
Ancora, vi è la previsione del ruolo abilitante della laurea, conglobando all'interno del percorso di studi il tirocinio di tre mesi, indispensabile per poter partecipare all'esame Stato, ma che attualmente viene svolto dopo il conseguimento del titolo.
Un altro aspetto di primaria importanza riguarda la reale implementazione delle reti formative delle facoltà di medicina e delle scuole di specializzazione di area sanitaria; si chiede di allargarle al sistema ospedale-territorio ed alle eccellenze del Servizio sanitario pubblico, anche al fine di superare difficoltà organizzative di budget, ma anche per qualificare al meglio le attività delle scuole di specializzazione, nel rispetto della centralità dell'università, che detiene comunque il primato della metodologia della ricerca e della didattica.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato dei progetti di legge: Amici ed altri; Mosca e Vaccaro; Lorenzin ed altri; Anna Teresa Formisano e Mondello; d'iniziativa del Governo; Sbrollini: Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni (A.C. 3466-3528-4254-4271-4415-4697-A) (ore 16,52).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato dei progetti di legge di iniziativa dei deputati Amici ed altri; Mosca e Vaccaro; Lorenzin ed altri; Anna Teresa Formisano e Mondello; d'iniziativa del Governo; Sbrollini: Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 3466-A ed abbinati)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Lega Nord Padania ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la Commissione I (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Lorenzin, ha facoltà di svolgere la relazione.

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo unificato dei progetti di legge all'ordine del giorno, che la I Commissione sottopone all'approvazione dell'Assemblea, contiene misure di promozione del riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali, nonché disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso delle pubbliche amministrazioni.
Si tratta di un testo che nasce dal contributo di molti colleghi e colleghe sia dall'unificazione di testi e di proposte di legge: ricordo quella dell'onorevole Amici, la proposta dell'onorevole Mara Carfagna (quando ancora era Ministro), la proposta della sottoscritta, la proposta dell'onorevole Formisano del gruppo dell'UdC, così come quella dell'onorevole Mosca e di altri colleghi.
Ci tengo a sottolinearlo perché il lavoro svolto in I Commissione è stato un lavoro estremamente approfondito, per il quale dobbiamo dire grazie anche al contributo dato dalle audizioni avute con numerosi giuristi esperti di diritto costituzionale e di strumenti elettorali, che ci hanno coadiuvato nella stesura di un testo che ha alcune ambizioni, poche ma chiare ambizioni: quelle di aiutare - facendo una cosa che non era mai stata fatta prima in Italia, cioè partendo dal basso - a colmare quel gap di rappresentanza delle donne nelle istituzioni in genere del nostro Paese, ma in modo particolare nelle assemblee elettive, che pone l'Italia - e cito soltanto una delle tante statistiche, purtroppo, che vi sono in questo merito, cioè quella del World economic forum - al 74o posto su 134 nazioni analizzate.
Quindi, questo ci pone ai fanalini di coda nel processo di compartecipazione nei luoghi decisionali delle donne alla vita pubblica del nostro Paese. Queste sono delle statistiche che vengono prese di volta in volta, pensiamo ogni volta durante le celebrazioni dell'8 marzo o in altre occasioni, per gridare un po' allo scandalo nel nostro Paese che, nonostante abbia un numero così alto di donne scolarizzate, laureate, specializzate, ha un numero così basso di donne nei luoghi dove si prendono le decisioni e dove quindi si contribuisce a rendere la vita del cittadino oggettivamente e qualitativamente migliore.
Allora, noi abbiamo pensato, per rispondere anche a dei cambiamenti che stanno avvenendo negli strumenti elettorali e negli strumenti legislativi, così come nel sentimento comune, di proporre una norma semplice che però aveva, come dicevo, una piccola ambizione, ossia quella di partire dalla costruzione di una massa critica e decisionale dirigenziale delle donne dal basso, e non dall'alto. Molti parleranno di questo come di un provvedimento che introduce le quote. Questo non è vero. Questo non è un provvedimento sulle quote rosa. Questo è un provvedimento che, facendo propri gli indirizzi in larga parte accolti in Europa, pensiamo agli obiettivi dati nell'Agenda di Lisbona, di fatto introduce un altro meccanismo, cioè obbliga i partiti politici a non abdicare da quella che è la missione data loro dalla Costituzione, ossia di formare e selezionare la classe dirigente, prevedendo il 30 per cento obbligatorio nelle liste amministrative. Quindi, questa è l'unica quota di cui si può parlare, cioè una possibilità data all'altro sesso, all'altro genere, di essere rappresentato, di essere candidato, quindi dare un'opportunità alle Pag. 37donne di essere candidate alle elezioni amministrative. Sembra una cosa estremamente semplice, ma in realtà è il primo passo per avere degli eletti. Se non ci sono delle candidature è difficile che ci possano essere poi delle elette.
Pertanto, in questo provvedimento non parliamo di quote, ma parliamo di misure attive, misure atte quindi a promuovere la presenza delle pari opportunità nelle amministrazioni e poi, con un meccanismo della doppia preferenza, che illustrerò nella relazione tecnica, diamo una possibilità, una facoltà al cittadino di poter esprimere due preferenze. Quindi, non c'è una garanzia di raggiungimento certo di un obiettivo, c'è invece un'apertura di una dinamica all'interno dei meccanismi elettorali, che oggi sono di fatto dei meccanismi ostativi nei confronti delle donne, di promuovere una maggiore presenza e una maggiore capacità elettiva.
Alla fine le cose più semplici spesso sono quelle che possono portare risultati migliori in modo incisivo, senza per questo essere delle norme che stravolgono la vita quotidiana o le abitudini del nostro Paese. Lo diciamo guardando i numeri. Vogliamo ricordare che le donne elette nelle amministrazioni locali con più di 15 mila abitanti sono soltanto il 12 per cento degli eletti - il 12 per cento! - e arriviamo a poco più o a poco meno del 15 per cento se pensiamo anche alle donne elette nelle amministrazioni sotto i 15 mila abitanti. Ciò vuol dire che su 8.100 comuni che sono presenti nel nostro Paese soltanto poco più del 14 per cento è rappresentato dalle donne.
Credo che questo sia un tristissimo primato, che non rende giustizia alla capacità civica del nostro Paese e che non rende giustizia neanche ai mezzi e ai metodi di rappresentanza che vengono messi in atto dai partiti politici. Devo dire e dobbiamo dire con grande sincerità che c'è stata la partecipazione di tutte le forze politiche, che hanno dato un contributo fattivo per cercare di colmare questo gap, anche alla luce di un ulteriore dato che vogliamo portare all'attenzione dell'Assemblea, e cioè che noi abbiamo lavorato in questi due anni per ridurre i costi della politica, per ridurre l'ingerenza della spesa pubblica nelle amministrazioni anche tagliando i seggi a disposizione delle amministrazioni locali, un taglio del 20 per cento. Questo taglio del 20 per cento, su una fotografia dell'esistente, ossia degli eletti oggi presenti nel nostro Paese, comporta di fatto l'estinzione politica della rappresentanza femminile dagli organi amministrativi italiani.
Questo è un elemento di cui le grandi forze politiche e questo Parlamento si debbono fare carico, dando una risposta equilibrata, ma efficace, che punti ad una selezione di selezione della classe dirigente e soprattutto ad un'indicazione attenta nelle liste elettorali.
Consegnerei all'Aula tutta la parte del mio intervento che riguarda l'iter costituzionale. Infatti, negli ultimi anni abbiamo avuto - dopo la riforma dell'articolo 51 della Costituzione e le importanti riforme avvenute in questo senso - sentenze della Corte costituzionale che oggi permettono ciò che non è stato possibile fare nel 1993 e, quindi, ci danno uno strumento molto forte e di supporto a questo provvedimento.
Descriverò in modo breve i punti salienti di questa norma che, come dicevo, incide particolarmente in un modo sui comuni sotto i 5 mila abitanti in un altro modo sui comuni sopra i 5 mila e i 15 mila abitanti. Noi avevamo anche previsto e analizzato, nella parte iniziale di questo provvedimento, meccanismi simili per quanto riguarda le province, ma, a seguito dei provvedimenti presi dal Governo in merito alle province, abbiamo deciso di non toccare più questa sfera delle amministrazioni. Allo stesso modo, debbo ringraziare particolarmente le colleghe, in modo particolare le colleghe Amici e Pollastrini per il contributo dato a riguardo alle norme di contorno, cioè alla possibilità di attuare anche una promozione della partecipazione delle donne ovviamente nei talk show televisivi e, quindi, di dare accesso anche alla parte della propaganda nei dibattiti elettorali. Pag. 38
Quindi, come vi dicevo, l'articolo 1 del testo unificato modifica l'articolo 6 del testo unico degli enti locali, decreto legislativo n. 267 del 2000. In particolare, viene modificato il comma 3 che, nel testo vigente, dispone, come disposizione di principio, che gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali degli enti locali, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti. Il testo unificato della Commissione propone di sostituire il verbo «promuovere» con «garantire», rendendo più stringente il principio. Inoltre, si prevede che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti locali adeguino i propri statuti e regolamenti a questa nuova disposizione.
L'articolo 2 reca norme sulla parità di accesso alle cariche elettive e agli organi esecutivi degli enti locali. In particolare, il comma 1 apporta modifiche agli articoli del citato testo unico degli enti locali che riguardano la formazione dei consigli e delle giunte. Con la novella del comma 5 dell'articolo 17 sono, infatti, introdotte misure promozionali del sistema di rappresentanza dei consigli circoscrizionali. È poi novellato il comma 2 dell'articolo 46, al fine di garantire il rispetto della presenza nelle giunte di entrambi i sessi.
Viene modificata, con novelle di analogo tenore agli articoli 71 e 73, la disciplina per l'elezione dei consiglieri rispettivamente dei comuni con popolazione tra i 5 mila e i 15 mila abitanti e nei comuni con popolazione superiore ai 15 mila abitanti. Con tali modifiche è introdotta una quota di liste in virtù della quale nessuno dei due sessi può essere rappresentato nelle liste in misura superiore ai due terzi.
È inoltre introdotta la previsione della cosiddetta doppia preferenza di genere, ossia la possibilità di esprimere due preferenze, anziché una secondo la normativa vigente, per i candidati a consiglieri comunali. In tal caso, però, una deve riguardare un candidato di sesso maschile e l'altra un candidato di sesso femminile della stessa lista. In caso di mancato rispetto della disposizione, si prevede l'annullamento della seconda preferenza.
Il comma 2 dell'articolo 2 interviene con modifiche al testo unico delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570. Si tratta di misure volte a garantire il rispetto della proporzione tra i due sessi introdotte dalla nuova disciplina elettorale con riferimento alla presentazione delle candidature. In particolare, a tal fine, si prevede che la commissione elettorale, verificato che non sia stata rispettata nelle liste dei candidati la presenza di uno dei due sessi in misura non superiore ai due terzi riduca la lista cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere più rappresentato procedendo dall'ultimo della lista.
Al termine di questa operazione, se la lista contiene un numero di candidati inferiore al numero minimo prescritto la commissione ricusa la lista.
Il comma 3, infine, modifica il decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156, nel senso di garantire la presenza di entrambi i sessi nella giunta di Roma Capitale. Nel testo unificato iniziale adottato dalla Commissione si prevedeva l'introduzione di norme analoghe con riguardo all'elezione dei consigli provinciali ma, come vi ho detto, questa parte l'abbiamo espunta.
L'articolo 3 è stato introdotto dalla Commissione con l'approvazione di un articolo aggiuntivo a prima firma dell'onorevole Amici e riformulato in corso di seduta. Con questo articolo, volto a novellare l'articolo 4, comma 1, della legge 2 luglio 2004, n. 165, si introduce una disposizione di principio indirizzata alle regioni per promuovere la parità di accesso dei due sessi alle cariche elettive, incentivando l'accesso del genere sottorappresentato.
L'articolo 4 deriva dall'approvazione di un articolo aggiuntivo a prima firma dell'onorevole Amici volto a novellare la legge 22 febbraio 2000, n. 28, in materia di disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di comunicazione nelle campagne elettorali. Con l'aggiunta di un comma Pag. 39all'articolo 1 della legge n. 28 del 2000, viene inserita una disposizione di principio volta a prevedere che i mezzi di informazione, ai fini dell'applicazione della citata legge n. 28 del 2000, siano tenuti al rispetto dei principi stabiliti nell'articolo 51, primo comma, della Costituzione, per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini.
L'articolo 5 del testo unificato, infine, recepisce una disposizione contenuta, come già detto, solo nel disegno di legge governativo Atto Camera n. 4415 volto a modificare l'articolo 57 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di pari opportunità nelle amministrazioni pubbliche e, più precisamente, in tema di presenza femminile nelle commissioni di concorso per l'accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni. In particolare, si inserisce la regola dell'arrotondamento all'unità prossima, da utilizzare in caso di quoziente frazionario derivante dal calcolo della percentuale. Inoltre, si interviene per assicurare l'effettività della disposizione prevedendo che l'atto di nomina della commissione venga inviato, entro tre giorni, alla consigliera o al consigliere di parità nazionale o regionale, da individuare in base alla competenza territoriale dell'amministrazione che ha bandito il concorso. In tal modo, si istituisce una forma di vigilanza sulle nomine.
Proprio nel senso di rafforzare tale forma di vigilanza e rendere più efficace la disposizione, la Commissione ha approvato un emendamento a prima firma dell'onorevole Calabria che integra la novella dell'articolo 57. Il testo licenziato dalla Commissione prevede, quindi, che la consigliera o il consigliere di parità, qualora ravvisi la violazione delle disposizioni volte a garantire l'equilibrio della presenza dei due sessi nelle commissioni di concorso, diffida l'amministrazione a rimuoverla entro il termine massimo di trenta giorni. In caso di inottemperanza alla diffida, la consigliera o il consigliere di parità procedente propone, entro i successivi quindici giorni, ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro, o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competente, ai sensi di quanto previsto dal codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198. Inoltre, si prevede che il mancato invio dell'atto di nomina della commissione di concorso alla consigliera o al consigliere di parità comporta responsabilità del dirigente responsabile del procedimento, da valutare anche al fine del raggiungimento degli obiettivi. La Commissione, infine, ha adottato, con l'approvazione di emendamenti relativi, il titolo alle modifiche intervenute.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione, in cui vi sono i dettagli delle modifiche apportate agli articoli e ai commi (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Lorenzin, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, ringrazio la collega Lorenzin perché ha dato conto all'Aula di un lavoro che è stato fatto in Commissione, citando anche gli aspetti più tecnici relativi al testo.
Non farò un intervento che parla del testo, perché questo lo riporteremo al momento della discussione e dell'esame del provvedimento. Vorrei, però, provare un attimo a dare conto di un ragionamento politico e di questo importante appuntamento verso la democrazia paritaria. Lo dico perché ho la sensazione netta che dobbiamo dare un significato fortemente simbolico e politico a questa discussione. Siamo nel pieno di uno dei momenti più drammatici della storia della democrazia italiana, con un distacco sempre maggiore fra elettorato, i cittadini e le cittadine, e sistema dei partiti. Tale distacco testimonia, in un certo senso, anche un giudizio sull'insieme della politica, sempre più lontana dai problemi quotidiani delle persone. Pag. 40
Proprio per questo, vede anche forme di astensionismo che, come testimoniano i sondaggi, aumentano di giorno in giorno. Dentro questo dato dell'astensionismo è in controtendenza invece una capacità e un attivismo da parte delle donne di stare invece nei processi di partecipazione politica e di farlo a partire proprio da un'idea rinnovata della politica. Si tratta di un bisogno fortemente espresso: penso semplicemente, ad esempio, all'ultima consultazione referendaria nella quale la partecipazione attiva dal basso di tanti comitati delle donne ha fatto della questione dell'acqua come bene comune un grande impegno di democrazia di partecipazione. Di fronte a questa risposta, credo che tocchi alla politica oggi non deludere questa attesa, anzi assumersi una responsabilità molto forte di dare delle risposte in termini anche legislativi affinché quella partecipazione non rimanga delusa, ma trovi invece canali più certi per affermare un principio, che è un principio che la collega Lorenzin ha espresso molto convintamente e in maniera molto decisa, in virtù del quale nessuno di noi, uomo o donna di questo Parlamento deve parlare di questo provvedimento come di un provvedimento di quote. Siamo esattamente in un contesto diverso, siamo nel contesto pieno dell'esplicitazione di un principio di uguaglianza e l'eguaglianza si esplicita attraverso un'idea di democrazia paritaria. La democrazia si dice paritaria, in base alla terminologia di uno dei Paesi culla del concetto di uguaglianza che è stato la Francia, proprio perché non c'è il prevaricare di un sesso sull'altro, ma è esattamente l'idea di una democrazia che informa di sé una cittadinanza duale, fatta di uomini e donne.
Noi diamo molto conto a questo principio. Lo vogliamo fare perché pensiamo che dobbiamo superare un vulnus, quello della cittadinanza imperfetta, che ha visto questa giovane democrazia italiana dare ormai 65 anni fa, per la prima volta, il diritto di voto alle donne, ma proprio quella prima volta lo fece attraverso un vizio. Potevano esprimere un voto, eleggere, ma non potevano essere elette. Ci sono voluti anni, conquiste, ma dobbiamo superare quel vizio originario affermando proprio questa nuova idea di cittadinanza. Lo facciamo attraverso un procedimento: vorrei dire con grande nettezza che la politica è in ritardo, ancora una volta, rispetto agli aspetti della giurisprudenza e anche delle sentenze della Corte costituzionale. Ci sono volute due sentenze - prima quella della Val d'Aosta, ma immediatamente dopo quella, più recente, della Campania - per dire che siamo di fronte ad un problema: ai partiti politici è stato sempre demandato il profilo dell'implementare la partecipazione, tuttavia, nonostante questi inviti ripetuti affinché essi assumessero il compito di innervare la democrazia partecipativa dei propri statuti, non tutti i partiti hanno introdotto tali previsioni. Per fortuna, il partito e lo schieramento cui noi, che abbiamo fortemente voluto che si aprisse questa discussione, apparteniamo, contiene tali previsioni, ma esse non sono sufficienti non solo alla candidabilità, ma soprattutto all'eleggibilità di tante donne.
Oggi dico che dobbiamo rispondere anche alla capacità da parte della giurisprudenza e della Corte, che ha fatto un passo in avanti rispetto alla politica. Le donne in politica non sono semplicemente un orpello, ma connotano con grande forza l'idea di democrazia e soprattutto l'idea di informare la politica, facendola tornare ad essere quello strumento per migliorare le condizioni di vita.
Siamo partiti alla luce di quella sentenza relativa alla Campania esattamente dai punti più vicini all'atteggiamento risolutivo dei problemi e dei bisogni delle persone: dagli enti locali. Agli enti locali, ai comuni, ai comuni sotto 5 mila abitanti, ai comuni superiori ai 15 mila abitanti, oggi viene semplicemente chiesto di mettere nelle condizioni di pari opportunità la possibilità che gli elettori possano esprimere delle preferenze, che devono avere una connotazione di genere. È un risultato straordinario quello che è avvenuto in Campania, ma lo è soprattutto perché ha fatto sì che le donne abbiano ritrovato il gusto di riorganizzarsi e di sapere che si Pag. 41può competere con un atteggiamento più positivo e non semplicemente di cannibalismo, come era stato con riguardo alla preferenza unica.
Non è del tutto salvifica la seconda preferenza. Lo sappiamo benissimo, soprattutto perché questa doppia preferenza non è obbligatoria, ma facoltativa. Eppure connota un passaggio - anche questo difficile, ma che dobbiamo compiere tutti con un grande senso di responsabilità e anche orgoglio -, quello di una risposta della politica ad uno dei pezzi più importanti del proprio elettorato, quello femminile, che in questi anni è stato rappresentato in maniera distorta. Invece oggi occorre fare in modo di dare alla realtà vera delle donne italiane, le tante donne che si sono caricate il peso, sostituendosi spesso allo Stato, e la fatica della cura dei propri figli, la possibilità di stare dentro i processi decisionali, a volte con molta più saggezza, ma anche con l'obiettivo del bene comune. Credo che dobbiamo cogliere l'importanza di questo provvedimento, al di là degli aspetti tecnici, sui quali ragioneranno le molte colleghe che sono iscritte a parlare, anche quando nel seguito della discussione vi saranno emendamenti diversificati.
Ci sono tanti tempi, ma c'è un tempo in politica in cui non agire significherebbe condannarci ad un senso di inessenzialità e di inefficacia. L'altro giorno sono rimasta molto colpita non da una affermazione retorica, ma da una affermazione che voglio cogliere nel pieno del suo significato, che non è solo simbolico, ma riflette esattamente il ragionamento della democrazia. Il Presidente della Repubblica, alla domanda di alcuni giovani che gli hanno chiesto se si ricandidava dopo il 2013, non solo ha detto che dal 2013 sarà un libero cittadino, ma ha avuto la forza di dire che forse questo non è solo il tempo in cui le donne si facciano avanti, quindi c'è un invito ad organizzarsi, ma anche forse il tempo che al livello più alto della Repubblica ci possa essere una donna.
Non è solo l'ottimismo, è il sapere che dentro questa società le donne italiane hanno fatto straordinari passi in avanti. Se la politica ancora una volta le deludesse, il rischio vero sarebbe quello di farci mancare uno dei talenti più importanti in una situazione come questa, un talento e una rappresentanza sociale notevole di differenza di genere, che può dare alla politica stessa più senso, più partecipazione, più eguaglianza e soprattutto l'idea che in questo Parlamento, in una delle pagine più difficili, le donne e gli uomini di questo Parlamento hanno avuto la forza di non mettere nessuna bandiera. Dopo tanti decreti-legge, abbiamo lavorato perché venga in Parlamento un progetto di legge unificato di iniziativa parlamentare. È un dato di estrema importanza, non sprechiamolo e facciamo in modo che la discussione si arricchisca sul serio di un impegno verso la metà dell'elettorato italiano (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Popolo della Libertà e Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pastore. Ne ha facoltà.

MARIA PIERA PASTORE. Signor Presidente, stiamo trattando di un provvedimento che si riferisce alle disposizioni riguardanti il riequilibrio della rappresentanza di genere negli enti locali e nei consigli regionali. La Commissione affari costituzionali ha avviato l'esame di quattro progetti di legge su questa materia il 5 aprile 2011, quindi è da un anno che in Commissione affari costituzionali stiamo discutendo del tema della rappresentanza. A questi primi quattro progetti di legge se ne sono poi aggiunti uno di iniziativa governativa ed un altro di iniziativa parlamentare, tutti però con l'obiettivo di rafforzare la presenza femminile nelle istituzioni e di introdurre misure dirette a promuovere la parità effettiva di donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive e ai pubblici uffici. Il testo licenziato dalla Commissione affari costituzionali interviene quindi innanzitutto su alcuni articoli del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, ossia il decreto legislativo n. 267 del 2000, che è la norma di riferimento in materia di autonomie. Pag. 42
L'articolo 1 del provvedimento interviene sul comma 3 dell'articolo 6 del citato testo unico, in base al quale gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna per promuovere la partecipazione di entrambi i sessi nelle giunte, negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché negli enti, aziende e istituzioni da essi dipendenti, sostituendo il termine «promuovere» con il termine «garantire» e prevedendo che gli enti locali abbiano sei mesi di tempo per adeguare i propri statuti ai regolamenti.
L'articolo 2 stabilisce che le modalità di elezione dei consigli circoscrizionali, di cui all'articolo 17 del testo unico, sono disciplinate in modo da garantire il rispetto del principio della parità di accesso delle donne e degli uomini alle cariche elettive. L'articolo 2, però, interviene anche più propriamente sulle disposizioni relative alla predisposizione delle liste per le elezioni amministrative. In particolare, con una modifica dell'articolo 71 del testo unico, si prevede che nei comuni con popolazione fino a cinquemila abitanti, nelle liste dei candidati, sia assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi, mentre per i comuni con una popolazione compresa tra i cinquemila e i quindicimila abitanti si inserisce, invece, una disposizione in base alla quale nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati. Inoltre, con una modifica dell'articolo 73 del testo unico, si inserisce un'analoga disposizione per quanto attiene ai comuni con popolazione superiore ai quindicimila abitanti. Si introduce poi per tutti i comuni con popolazione superiore ai cinquemila abitanti la cosiddetta preferenza di genere, vale a dire la possibilità che viene data all'elettore di potere esprimere non una, ma due preferenze, a patto che la seconda preferenza sia attribuita ad un candidato di genere diverso rispetto al primo. In merito a questa disposizione vale la pena sottolineare che si tratta di una modifica importante del sistema elettorale vigente perché, per i comuni con popolazione superiore ai quindicimila abitanti, fa cadere la possibilità di dare il voto disgiunto.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 17,22).

MARIA PIERA PASTORE. Al fine di rafforzare la presenza femminile, nell'articolo 2 si inserisce il principio generale in base al quale la nomina o la designazione dei componenti degli organi esecutivi sono disciplinate in modo da garantire il rispetto del principio della parità di accesso delle donne e degli uomini alle cariche elettive. Questo principio generale, anche al fine di adeguare la legislazione alle recenti sentenze amministrative, viene ulteriormente precisato all'articolo 46 del testo unico che riguarda la nomina della giunta comunale e provinciale. Infatti, il testo ripete precisamente che il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della giunta. Stessa disposizione viene prevista, con una modifica al decreto legislativo n. 156 del 2010, per la giunta di Roma Capitale.
Vale la pena, però, sottolineare che nel titolo dell'articolo 2 e nella modifica del comma 2 dell'articolo 46 del testo unico si mantiene il riferimento alle giunte provinciali. Questo, alla luce della soppressione di fatto delle province, sancita con l'articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011, e, soprattutto, visto che il citato articolo prevede espressamente che organi della provincia siano solo il presidente e il consiglio provinciale, mantenere questo riferimento alla giunta provinciale, forse, risulta improprio.
Non apro una discussione, già svolta in tutti i luoghi e le occasioni, sulla incostituzionalità che, a nostro parere, colpisce il citato articolo 23, ma suggerisco che, per coerenza nella redazione del testo, si potrebbe forse mantenere il riferimento solo agli organi esecutivi degli enti locali, senza fare invece un preciso riferimento ai comuni e alle province. In questo modo la Pag. 43disposizione si applicherebbe, tra l'altro, anche alle giunte delle unioni di comuni a cui il provvedimento in oggetto non si riferisce espressamente, ma che sono previste non solo dal decreto-legge n. 138 del 2011, la cosiddetta manovra di agosto, ma anche dalla bozza della carta delle autonomie in discussione al Senato.
Con l'articolo 3 poi nel provvedimento si inserisce tra i principi che la legislazione regionale in materia elettorale deve osservare anche la promozione della parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive, mentre con l'articolo 4 si inserisce un principio generale in base al quale i mezzi di informazione nell'ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica sono tenuti al rispetto dell'articolo 51. Infine, poi, con l'articolo 5 si prevedono disposizioni che consentono la presenza delle donne nelle commissioni di concorso.
È chiaro che su un provvedimento di questo genere vale la pena di fare delle osservazioni di una portata un pochino più ampia che non si riferiscono strettamente a quanto è scritto nel testo; ed è chiaro che, alla base di questo testo che andiamo a discutere e che appunto nasce dall'unione di più progetti di legge, c'è proprio il primo comma dell'articolo 51 della Costituzione di cui tutti noi riconosciamo la rilevanza e l'importanza soprattutto per quanto riguarda l'ultimo periodo quando si dice che la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
Vorrei anche fare osservare che la Lega Nord non ha presentato alcun proprio testo di riferimento a questa proposta. Abbiamo però seguito con grande interesse la discussione e la conseguente elaborazione di questa proposta che oggi viene portata all'attenzione dell'Aula. Questo perché la Lega Nord è sempre stata contraria all'introduzione delle quote perché nel momento in cui si dice che nella presentazione delle liste un genere non può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi, è chiaro che in qualche modo di quote si parla. Noi però avevamo votato a favore del progetto di legge relativo alla parità di accesso negli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati, perché ritenevamo e riteniamo che si trattava e si tratta quasi di un esperimento, posto che viene limitato solamente a tre mandati consecutivi. Però ribadisco che non solo la Lega Nord in generale ma le donne della Lega Nord non hanno mai condiviso provvedimenti mirati a prevedere una sorta di forzosa presenza femminile nelle liste e nelle amministrazioni.
Condivido però la necessità - e in questo senso credo che sia una delle valenze di questa proposta - di discutere il tema della rappresentanza. È bene parlarne anche perché è vero che le donne sono poco rappresentate non solo in politica e nell'amministrazione ma in tutti i settori della vita economica, politica e sociale. Crediamo, però, che non sia questo il modo per risolvere la questione e teniamo a far presente che in questo Paese su 60 milioni di abitanti, 31 milioni sono donne. Le donne raggiungono alti livelli di istruzione. Sappiamo e sapete tutti quanto impegno e quanta determinazione esprimono le donne nella quotidianità proprio nell'affrontare la realtà della vita di tutti i giorni, però le donne non si candidano - e quindi non vengono elette - e soprattutto le donne non votano le donne. Ma dicevo che non ci sembra possa essere questo il modo per risolvere la questione della rappresentanza femminile. Non crediamo ad un'impostazione posta attraverso una legge, ma crediamo che sia necessario un cambiamento culturale che passi attraverso l'educazione, l'evoluzione di una mentalità, perché innanzitutto è necessario che le donne abbiano voglia di candidarsi, abbiano voglia di mettersi in gioco, di mettersi alla prova, di dare il proprio contributo, e proprio in questo periodo in cui si stanno preparando le liste per le elezioni amministrative che si svolgeranno il 6 e 7 maggio sappiamo e vediamo tutti quanta difficoltà trovano le donne per potersi inserire nelle liste.
E quindi in questo cambiamento a cui stavo accennando, in tale evoluzione, i partiti e i movimenti politici hanno la possibilità di agire per il cambiamento Pag. 44proprio candidando le donne, posto che le donne si presentino e abbiano voglia di fare questo passo, candidandole magari anche in posizioni di rilievo, riconoscendo alle donne la capacità e la competenza che noi tutte abbiamo. In questo senso non posso che riconoscere che il movimento di cui faccio parte, la Lega Nord, si muove proprio in questa direzione. Quindi non facciamo ostruzione ai cambiamenti ma, per le ragioni che ho cercato di sintetizzare, rimaniamo osservatori attenti al cambiamento della società, alla sua maturazione complessiva ma anche alla maturazione delle donne nella voglia di partecipare alla vita politica e amministrativa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, colleghi, signora rappresentante del Governo, crediamo che il testo unificato in esame, che costituisce una sintesi tra numerose singole altre proposte elaborata dalla I Commissione, sia senz'altro condivisibile e assolutamente opportuna. Una proposta di legge che introduce la impossibilità che un genere sia rappresentato sotto un terzo nelle liste ma che introduce anche altri aspetti importanti al di là di quelli afferenti il contesto elettorale: oltre alla preferenza di genere, quindi al doppio voto misto uomo-donna, introduce una rappresentanza di genere importante nelle commissioni di concorso e suddivide con questo equilibrio necessario anche la tempistica televisiva in campagna elettorale. Si tratta dunque di un provvedimento sicuramente interessante. Dirò subito che lo riteniamo sin troppo prudente anche se siamo consci delle resistenze che ha incontrato e che puntualmente incontrerà in quest'Aula nelle prossime ore tant'è che abbiamo presentato emendamenti, di cui parlerò tra poco, che lo rafforzano.
Sono peraltro orgoglioso di rappresentare il mio partito nell'intervenire su questo testo unificato perché, al tempo in cui ho fatto il consigliere regionale, sono stato vicepresidente della commissione che ha redatto la nuova legge elettorale delle Marche, la mia regione, e abbiamo già da tempo nella nostra regione la impossibilità codificata della presenza di un genere al disotto di un terzo. Avendo dunque partecipato alla stesura di quella legge sono vieppiù contento che la stiamo adottando anche a livello nazionale. Ho ascoltato il dibattito e ringrazio tutte le colleghe che sono intervenute affermando che ovviamente non si parla di quote e su questo sono perfettamente d'accordo. Al di là del fatto che non bisogna avere paura dei concetti e delle parole, a chi dice che in qualche modo questo tipo di normativa può non servire, vorrei però rispondere attraverso le statistiche. Sapete tutti perfettamente che dall'aprile 1993 al settembre 1995 è stata in vigore nell'ambito della legge n. 81 del 1993 una normativa che prevedeva questa rappresentanza di genere che è stata cassata e dichiarata incostituzionale dalla Corte.
In questo breve periodo - parliamo di poco più di due anni - la rappresentanza femminile è aumentata più del 100 per cento passando dal 7,6 al 18,4: questo per dire che tutto sommato questa normativa serve. Certo bisognerebbe fare molto di più e, se posso dire per l'esperienza che ho in politica, credo che soprattutto nel confronti delle donne bisognerebbe aiutarle ad avere tempo.
Credo che in politica il tempo sia molto importante, anche se molto spesso (poi leggerò una citazione che mi è stata preparata dai nostri uffici, soprattutto dalle donne valentissime dei nostri uffici) di tempo mi sembra se ne perda tanto in politica, e forse la responsabilità è di noi uomini, mentre le donne lo sanno organizzare molto meglio. Ma credo che ci sia bisogno di tempo, e che le incombenze sociali immense che hanno le donne, siano una limitazione che in qualche modo vada rimossa, al di là di ciò di cui stiamo parlando oggi. L'onorevole Mura ha predisposto degli emendamenti, e ne ho predisposto uno anch'io. Uno molto importante riguarda il fatto che questa legge, di fatto, in una sua norma prevede, nel caso di espressione del doppio voto, la limitazione del voto disgiunto. Credo che questa Pag. 45norma vada rimossa, e ho presentato un emendamento in tal senso - ma mi sembra che anche la Commissione e il collega Vassallo lo stiano presentando.
Poi abbiamo presentato degli emendamenti, che non so che accoglienza troveranno in questa Aula (e noi, pur vedendo questa legge positivamente, ci riserviamo di decidere in merito al voto finale, in base all'accoglienza che questi emendamenti avranno), con cui chiediamo che la rappresentanza, sia in lista sia nelle giunte, sia paritaria. Comprendiamo che è una posizione più ardita e meno prudente di quella prevista da questa legge, ma crediamo che quantomeno suscitare il dibattito in questa Aula, sia una cosa importante. Concludo dicendo che siamo contenti che una legge di questa importanza sia una legge ad iniziativa parlamentare, e che sia una legge che credo troverà un'ampia accoglienza, speriamo non solo di facciata (perché poi ci vuole concretezza anche per attuare questa legge che deve aiutare a portare più donne negli enti locali ma soprattutto negli organi esecutivi degli enti locali).
Consentitemi quindi di chiudere con una citazione di Margaret Thatcher - dico subito che non è sempre vero ma lo è spesso - che dice che in politica se vuoi che qualcosa venga detto chiedi ad un uomo, se vuoi che qualcosa sia fatto chiedi ad una donna (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, ho chiesto di intervenire oggi per sostenere il principio contenuto in questa legge perché ho ritenuto che fosse importante che questo principio, quello dell'equità di genere, fosse affermato oltre che dalle donne in Parlamento, anche dagli uomini in Parlamento. Sarebbe sbagliato se la parità di genere divenisse solo un valore delle donne, quasi una rivendicazione, a volte una rivendicazione delle donne contro gli uomini. Credo invece che dai risultati che si ottengono in ordine all'equa rappresentanza tra generi negli spazi decisionali, negli spazi della classe dirigente, si misuri il grado di civiltà di una comunità nazionale. Per questo mi scuseranno le mie colleghe parlamentari, e le donne che dovessero ascoltare questa discussione, se non mi attarderò a celebrare le capacità e il valore delle donne. Le colleghe che sono intervenute prima, la relatrice onorevole Lorenzin, l'onorevole Sesa Amici e le altre, hanno dimostrato quanto valore ci possa essere nella rappresentanza politica delle donne. Io lo farei meno bene di loro.
Non credo però che le donne meritino di avere accesso alle cariche elettive solo perché sarebbero mediamente più capaci, o perché portatrici di virtù sconosciute agli uomini. Probabilmente è anche così e alcune donne in questo Parlamento, nella storia delle istituzioni del nostro Paese, e anche nella politica degli altri Paesi, lo hanno dimostrato e lo dimostrano quotidianamente. Credo però, più semplicemente, che il principio dell'equità di genere sia invece un principio di giustizia e di civiltà e che, proprio per questo, per ragioni di giustizia e di civiltà, meriterebbe di essere affermato da chiunque, uomo o donna che sia.
I dati sulla rappresentanza di genere nel mondo, d'altra parte, dimostrano più delle parole, più delle teorie, che più alto è il grado di civiltà delle Nazioni, più compiuto è il principio dell'equità di genere. Nessuno, invece, può disconoscere che nel nostro Paese ci sia ancora molta, troppa strada da fare sul cammino dell'equità di merito nell'accesso alle cariche istituzionali. Infatti, a distanza di sessantacinque anni dal voto delle donne, l'Italia è in coda tra le democrazie occidentali in tema di partecipazione femminile in politica. Anche per questo qualche settimana fa, insieme ai colleghi Vaccaro e Rampelli, abbiamo pensato che, anche da parte degli uomini impegnati nelle istituzioni, si dovesse assumere una posizione chiara verso un'effettiva parità di genere e abbiamo lanciato un appello, l'appello di tre uomini, in favore dell'equità di genere nella rappresentanza politica nei luoghi decisionali, Pag. 46proprio perché questo principio non riguarda e non può riguardare soltanto le donne.
Ho sentito le colleghe che sono intervenute prima affermare che questa non è una legge in favore delle quote. È giusto, gliene va dato atto, e va fatto con merito. Anch'io sono cosciente che per incrementare la rappresentanza delle donne nei processi decisionali, così come auspicato anche dall'Unione europea, la strada maestra dovrebbe essere quella di intervenire sulle cause che impediscono alle donne di poter competere con gli stessi strumenti, con lo stesso tempo, con le stesse condizioni, con gli uomini e non necessariamente di intervenire attraverso provvedimenti legislativi. Mi riferisco, per esempio, alla necessità di costruire sistemi di welfare che consentano alle donne di poter avere tempo a disposizione per affermarsi senza trascurare i propri impegni. Mi riferisco, nella sostanza, alla possibilità di costruire una società dove tutti, uomini o donne che siano, possano avere gli stessi diritti di cittadinanza. So bene, però, che quando si afferma la necessità di percorrere altre strade invece di quella di interventi legislativi che vadano nella direzione di porre in essere da subito condizioni per l'equa rappresentanza di genere nei luoghi della politica, si corre il rischio di rimandare la soluzione del problema ad interventi e a scelte politiche che non producono effetti nel breve periodo. Si rischia, in altre parole, di ritardare la soluzione di un problema la cui soluzione non può essere più ritardata, in un Paese come il nostro, che è ultimo in Europa riguardo alla parità di genere. Per questo dichiaro di essere assolutamente favorevole al testo proposto in discussione oggi in Aula e affermo di essere favorevole senza alcuna riserva.
A volte si parla della preferenza di genere o delle quote, come se questa discussione fosse una peculiarità del nostro dibattito sulla questione della rappresentanza delle donne e, invece, non è così. Infatti, interventi per la parità di genere sono stati recentemente introdotti in circa metà dei Paesi del mondo, in quarantacinque dei quali attraverso la previsione delle quote nella legge elettorale, mentre in altri cinquanta Paesi attraverso una previsione volontaria delle quote da parte dei singoli partiti politici nei loro statuti. Il Belgio è un caso da manuale, perché nel 1994 è stata adottata la prima legge sulle quote, la quale prevedeva che la composizione delle liste non potesse essere per più di due terzi di candidati dello stesso genere, pena l'esclusione delle liste stesse dalla competizione elettorale, e dove nel 2002 la legge è stata riformata limitando la previsione al divieto di avere i primi tre nomi di ogni lista dello stesso sesso. I risultati, però, non sono peggiorati neanche dopo la riforma perché nel 2010 il 39 per cento degli eletti alla Camera dei rappresentanti era di sesso femminile. La legge che oggi discutiamo, quindi, non rappresenta un'innovazione tutta italiana, anzi rappresenta l'occasione perché il nostro Paese si ponga al passo con gli altri Paesi, per avvicinare la nostra democrazia alle democrazie che hanno saputo realizzare livelli di civiltà istituzionale più alti dei nostri.
Concludo, signor Presidente, con un'ultima considerazione, che rappresenta anche una delle ragioni per cui qualche settimana fa ho firmato quell'appello a cui facevo riferimento, ed è anche la ragione per cui oggi ho chiesto di intervenire in Aula: io credo che proprio su questo tema, su questa materia, il Parlamento e le forze politiche, che sono qui rappresentate, sono chiamate a dimostrare di essere in sintonia con quello che è il comune sentire al di fuori di quest'Aula, ma credo soprattutto che proprio su questa materia, su questo tema, il Parlamento sia chiamato ad essere coerente con tante altre azioni che dichiara di voler svolgere. Tante volte qui ho sentito evocare la necessità di recuperare livelli di equità sociale, di giustizia. Cito un esempio su tutti: quando si parla per esempio - e lo si fa abbondantemente anche in questi giorni - della necessità di riformare il mercato del lavoro, tutti si attardano a ricordare il livello vergognoso della disoccupazione femminile nel nostro Paese. Ora come possono i Pag. 47partiti e come può il Parlamento affrontare questo tema, se non ha poi la capacità di riformarsi in ordine alle regole attraverso le quali si selezionano gli spazi decisionali per le donne? Ecco, io credo che un intervento di questo genere sulle regole che sottendono alla selezione dei gruppi dirigenti, come previsto dalla legge per i comuni e per le province, rappresenti anche la possibilità per questo Parlamento di dimostrare che alle parole si vogliono davvero far seguire i fatti.
Concludo: le donne che hanno firmato questa proposta di legge sono state bravissime, hanno avuto la capacità di farlo senza dare a questo testo una connotazione politica o un colore politico prevalente. Perciò a queste parlamentari, anche i parlamentari devono essere grati, perché hanno saputo proporre con intelligenza un tema che non è soltanto loro, ma è di tutti, perché è un tema che riguarda il livello di civiltà del nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo polo, Popolo della Libertà e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Perina. Ne ha facoltà.

FLAVIA PERINA. Caro Presidente e cari colleghi, non credo che vi sia molto da aggiungere alle valutazioni istituzionali e politiche e ai molti dati che sono stati citati durante questo dibattito. Io vorrei provare a dare una contestualizzazione politica alla discussione che stiamo affrontando e alla possibilità di un voto d'Aula entro i prossimi 30 giorni. Mentre entravo qua dentro mi ha affrontato, all'esterno, uno di questi cronisti televisivi che viaggiano con le telecamere, che mi ha fatto una domanda: «Ma lei è favorevole alle quote rosa?». Gli ho risposto di sì e lui ha controreplicato: «Allora lei crede che le donne abbiano un'incapacità genetica a competere in politica?». L'ho più o meno mandato a quel paese, dicendo che questo è razzismo biologico, ma quando la cultura diffusa in un Paese arriva a questo tipo di interrogativi, io credo che la politica debba interrogarsi e capire che è il momento di dare dei segnali di inversione di tendenza.
Ho raccontato questo episodio appunto perché credo che sia in stretto collegamento con il dibattito che abbiamo sviluppato oggi e che già ha dato dei segnali positivi. Mi riferisco alla presa di posizione della collega della Lega Nord Padania, un partito che è tradizionalmente ostile al tema delle quote, che pure ha dichiarato, qui in Aula, un'attenzione positiva alla discussione, e quindi anche la possibilità, non dico di una convergenza, ma comunque di una non ostilità su questo testo, che rappresenta - io credo - un utile punto di mediazione tra tanti tipi di culture politiche e mi fa piacere che anche quel tipo di cultura politica lo guardi senza pregiudizi.
Il nostro Parlamento dovrà decidere se, dopo tantissimi tentativi andati a vuoto, vuole offrire alle donne italiane l'opportunità di competere alla pari in politica, nell'amministrazione delle loro città, nello spazio pubblico, nella polis, cancellando quello che è un handicap secolare, che è la nostra cultura di riferimento. La legge sulla doppia preferenza credo che sia il nocciolo di questa proposta e senza dubbio rappresenta questa chance. Sappiamo tutti quanti che è impossibile che queste regole, anche se fossero approvate, possano agire nella prossima campagna amministrativa, che è prevista per maggio. In tantissimi comuni, se verranno approvate, agiranno fra cinque anni.
Quindi, dobbiamo avere anche la consapevolezza che stiamo avviando un processo che, comunque, si svilupperà in tempi lunghi e che, quindi, è importante avviare subito perché produrrà i suoi effetti con riferimento alle scadenze elettorali. Tuttavia, sappiamo tutti che una decisione del Parlamento in questa direzione sarebbe un segnale importantissimo anche in relazione ad un quadro differente, che è il quadro del dibattito a livello nazionale sulla riforma del «porcellum», cioè della legge elettorale nazionale, con riferimento alla quale il tema della rappresentanza femminile potrebbe diventare Pag. 48centrale se quest'Aula si assumesse la responsabilità di offrire segnali chiari.
Sono stati citati molti dati e anch'io ne avevo preparati alcuni: sono quelli della Commissione europea secondo i quali, nei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione europea, la presenza femminile media è pari al 24 per cento, con delle punte che arrivano fino al 40 per cento nei Paesi Bassi e in Svezia, mentre i fanalini di coda sono Malta e l'Ungheria con il 10 per cento. Da noi, la rappresentanza femminile in Parlamento è sotto il 21 per cento. Le rilevazioni annuali del World economic Forum riportano che, guardando alla rappresentanza nei livelli istituzionali - quindi, Governo, Parlamento, assemblee legislative ed alta dirigenza -, l'Italia è al settantaquattresimo posto su 134 Paesi. Di recente, è stato diffuso un altro dato sconcertante che riguarda le giornaliste che lavorano nel servizio pubblico: sono oltre la metà della forza lavoro, ma occupano soltanto il 4 per cento delle posizioni dirigenziali.
Davanti a questo tipo di quadro, o diciamo che le donne italiane hanno un'incapacità genetica a competere e che, quindi, sono più stupide, più arretrate, meno capaci delle colleghe francesi, olandesi, belghe e tedesche, oppure diciamo che la politica si deve muovere e deve decidere se conservare questo status quo o darsi da fare per modificarlo. Io credo che, in questo momento, sia particolarmente importante che la politica, il Parlamento e i partiti si muovano per dare anche una risposta pratica. Sono settimane che è in auge il dibattito sul fatto che il Governo tecnico abbia stilato e cancellato il ruolo della politica, mettendola all'angolo, decidendo tutto e che, quindi, la politica non riesca più a far sentire la propria voce. Questa è un'ottima occasione: l'approvazione di queste norme sarebbe il segnale potente della determinazione della politica a riconquistarsi uno spazio di decisione e di cambiamento nella società italiana.
Nell'ultimo disegno di legge in materia di lavoro, che è stato citato anche dal collega poco fa, ad esempio, una delle novità più interessanti riguarda l'indicazione del Ministro Fornero circa un obbligo di rappresentanza femminile anche nei consigli di amministrazione delle società controllate dalla pubblica amministrazione. Il Governo ha preso delle decisioni in merito. Vogliamo aspettare tutti quanti che il Governo decida anche sulla rappresentanza femminile in politica? Io penso che sia una riflessione che tutte noi, tutti noi dobbiamo portare all'interno dei nostri rispettivi partiti, perché siamo tutti consapevoli del fatto che, quando fra una settimana o fra quindici giorni si voterà questo testo, quando arriverà al dibattito in Aula, potranno scattare quei meccanismi di autodifesa che abbiamo visto in opera in tante circostanze precedenti. Io ricordo perfettamente come si concluse l'ultimo dibattito sul tema delle cosiddette quote rosa con riferimento alla proposta dell'allora Ministro Prestigiacomo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 17,55).

FLAVIA PERINA. So perfettamente, e siamo tutti consapevoli qui dentro, che uno dei rischi, ad esempio, di questa discussione è che una quarantina di parlamentari si mettano d'accordo per richiedere un voto segreto e che, quindi, senza che i partiti si assumano la responsabilità palese di dire di essere contro un provvedimento sul quale formalmente sono tutti quanti d'accordo, lo affossino senza doverne, in qualche modo, pagare lo scotto davanti alle donne italiane.
Pertanto, a questo punto, vorrei lanciare un doppio appello: a tutti noi, per fare una vigilanza all'interno dei nostri rispettivi partiti affinché ciò non accada; perché bisogna discutere ed essere competitivi anche al nostro interno per evitare che accada tutto questo e per far sì che, comunque, il voto del Parlamento sia trasparente. Io non dico che dobbiamo essere tutti d'accordo su questo, tuttavia, su un tema simile bisogna avere il coraggio di metterci la faccia. Il secondo appello lo rivolgo ai colleghi dell'informazione: è importante Pag. 49che questo dibattito sia seguito proprio in questi termini, perché è giusto che chi metterà la faccia per l'ennesima volta su un voto, su una scelta, su una decisione che, in qualche modo, conserva uno status quo in cui le donne italiane sono a tutti gli effetti cittadini di serie «B», ne risponda, poi, politicamente.
Penso che se seguiremo questi criteri quantomeno arriveremo ad un dibattito trasparente e non all'ennesimo «papocchio» come abbiamo visto in precedenti legislature: davvero, a questo punto, il peggior inganno per le donne italiane sarebbe quello di veder sfumare quest'occasione senza sapere neanche esattamente chi ne abbia determinato il tramonto.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, credo anch'io che questo sia un momento importante, soprattutto se pensiamo alla storica esclusione delle donne dalle istituzioni. Questo è un dato storico del nostro Paese; il voto alle donne è relativamente recente, le leggi elettorali che si sono susseguite nel tempo non hanno affrontato il tema della democrazia paritaria, al massimo si è arrivati ad un ragionamento sulle quote in seguito alla raccomandazione dell'Unione europea e poi con le sentenze della Corte costituzionale; siamo arrivati, al massimo, ad un terzo nelle liste e in più con una scarsa cogenza, se non quella economica, rispetto alle sanzioni. Grandi passi in avanti sono stati fatti nella legislazione sul diritto di famiglia, sulla parità, sulla libertà femminile ed è assordante il silenzio della legislazione, invece, per quel che riguarda l'impatto della libertà femminile sulle istituzioni che sono un luogo, ancora, profondamente maschile. Penso che si debba usare in quest'Aula un termine che aleggia ma che non viene mai espresso con chiarezza: in altre parole è il nodo del potere, in una politica che è, ancora, troppo segnata da una sola esperienza, quella maschile. Ora, qualunque regola è evidente che deve essere accompagnata da una profonda ridefinizione della funzione dei partiti; d'altro canto, il nodo della rappresentanza è il nodo politico oggi, anche con riferimento al cambiamento della funzione dei partiti, alle istituzioni che presentano una progressiva distanza dai cittadini, ad una politica vissuta come estraneità.
Quindi, si impone un cambiamento di passo, si impone di tornare a rappresentare i cittadini, le cittadine, le loro attese, i loro bisogni, la loro idea di società e di progresso. Tutto questo credo che debba avvenire a partire dalla ridefinizione del valore dell'uguaglianza fra uomini e donne; valore che è stato rideclinato nell'articolo 51 della Costituzione in termini di pari opportunità. Tuttavia, non è questo, voglio essere chiara, un dato di rispecchiamento sociologico anche se le donne rappresentano la cosiddetta metà del cielo e anche se c'è un tema di giustizia sociale perché se le donne si fermassero, l'intero Paese si fermerebbe; ma non è nemmeno un'azione positiva perché le donne non possono essere definite, oggi, il soggetto classicamente svantaggiato anche perché socialmente, individualmente, sono molto più forti di un tempo; è quindi un tema della democrazia e del suo compimento.
Nel dibattito i questi giorni è echeggiata l'idea che il principio delle pari opportunità debba valere per le donne ma anche per i giovani e così via per le altre categorie sociali. No, penso che vi sia una sorta di irriducibilità della differenza fra uomini e donne; una differenza che è maturata nell'esperienza storica, vissuta nella divisione del lavoro, nella rigida separazione fra la sfera privata, quella della cura, e la sfera pubblica, quella del lavoro per il mercato; una differenza e una separazione anche per quanto riguarda la vita pubblica. Perché ancora oggi, allora, è così difficile per una donna farsi strada nella politica e nelle istituzioni? E perché, ancora oggi, quello dell'accesso al potere è il tetto di cristallo più difficile da rompere? I dati che hanno fornito le colleghe prima di me sono abbastanza esemplari e non li ripeterò, ma Pag. 50penso che questa legge di cui discutiamo oggi sia un passo in avanti; non si tratta di azioni positive, non si tratta di quote ma dell'affermazione della dualità della rappresentanza e cioè dell'ingresso a pieno titolo della differenza come forma dell'uguaglianza e delle pari opportunità come ridefinizione dell'uguaglianza stessa. Si parte proprio dalle istituzioni di prossimità, dalle ragioni e dagli enti locali dove la quantità, nel tempo, è diventata qualità perché quante più donne ci sono nelle istituzioni, tanto più il valore di queste donne cambia e diventa più prossimo alla capacità di gestione del potere.
Ma penso anche agli aspetti negativi, e cioè al costo della preferenza unica, costo in termini economici ma anche di progetto di vita. Quella preferenza unica, voluta da un referendum, e giusta dal punto di vista morale, è diventata però nel tempo una gabbia per i comuni, per gli enti locali e per le regioni. Ciò perché il costo di campagne elettorali è inammissibile, molto spesso inaccessibile per una donna, e la competizione è una competizione pubblica dispari, e lo dicono, appunto, i dati delle ultime elezioni.
Allora credo che la ripresa della partecipazione sia anche nella capacità di aprire ad una rappresentanza, e cioè superare l'anomalia di una parte che ha la pretesa di rappresentare il tutto, perché questo è successo nel tempo nella nostra Repubblica. In questo sta la libertà della democrazia, perché la democrazia pretende oggi reciprocità, dialogo, riconoscimento dell'altro, e vorrei dire dell'altra. La democrazia pretende che anche la politica vada in questa direzione: è un appello che, attraverso questo progetto di legge, mi sento di fare anche ai partiti, ma questa, Presidente, è un'altra storia, che non attiene direttamente alla legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, per il nostro gruppo è già intervenuto il collega Occhiuto, io farò alcune valutazioni, che certamente fuoriescono dal coro di ottimismo e di condivisione di questo provvedimento. Tenterò, quindi, di svolgere alcune valutazioni, certamente non positive su questo progetto di legge, apportando il mio contributo maturato nel corso degli anni in quest'Aula parlamentare, quando, con provvedimenti quasi analoghi, ho assunto delle posizioni non di accettazione, non di accoglienza, e ho motivato anche il mio dissenso rispetto a percorsi che, a mio avviso, non erano esaustivi e creavano non poche perplessità e non pochi problemi.
Certamente l'onorevole Occhiuto ha svolto un ragionamento con molta intelligenza e con grande intuizione, dicendo che non è un problema di quote di donne, ma soprattutto di parità di genere. Questo, certo, nasce da un auspicio condiviso, anche se, dopo gli interventi che abbiamo ascoltato, ma anche per come è la storia che ha contrassegnato il Parlamento, non vi è dubbio vi sia una valutazione del tutto particolare che riguarda anche e soprattutto le donne.
Sono convinto, ma perfettamente e profondamente convinto, che la presenza delle donne nella politica sia un fatto fondamentale e necessario. In fondo, la presenza delle donne nella storia, e quindi nell'impegno politico, coincide con i processi anche di democratizzazione all'interno del nostro Paese e non soltanto di quest'ultimo. Certo abbiamo contezza di quello che è successo nell'Inghilterra industrializzata: mi riferisco alla presenza, all'impegno, alla grande battaglia delle donne, delle suffragette. Negli Stati Uniti d'America e in molte parti dell'Europa, questa grande presenza è stata necessaria per sottrarre le donne da una condizione quasi di schiavitù, di marginalità, proprio per recuperare e soprattutto per rivendicare il diritto di voto e, quindi, di partecipazione nella vita politica e sociale all'interno del nostro Paese. Le donne sono delle risorse importanti e fondamentali che qualificano un Paese, le istituzioni di tanti Paesi, ma nella misura in cui tutto questo nasce non da un condizionamento Pag. 51o da una coercizione, ma da un'espressione di grande volontà e, soprattutto, di una libera partecipazione.
Non deve trattarsi di una partecipazione con percorsi definiti, ma di una partecipazione che deve certamente avere luogo attraverso una continua sollecitazione da parte delle formazioni politiche. Questo lo dico per ricordare la storia del passato, per ricordare anche la conquista del voto delle donne con il voto per la Costituente del 1946, il 1948 e così via, quando le donne entravano quindi a pieno titolo nella vicenda e nella storia politica del nostro Paese. Anche allora si poneva il problema della presenza nelle istituzioni, nel Parlamento, nelle autonomie locali, nella vicenda politica. Anche in quel momento, negli anni del dopoguerra, si poneva il grande tema delle selezione della classe dirigente.
Abbiamo sempre detto che la selezione della classe dirigente non può avvenire attraverso atti di imperio, attraverso scelte dall'alto. Abbiamo sempre criticato e abbiamo espresso delle valutazioni estremamente preoccupanti e negative su questa legge elettorale, che è ancora in vigore, dove tutto nasce ovviamente da una decisione e soprattutto da un'indicazione, da una scelta che proviene dall'alto. Ritengo che invece le vere scelte debbano essere fatte nella vicenda politica, da una realtà dei partiti che si deve ricomporre.
Ecco perché forse questo progetto di legge - dico forse anche per prudenza - viene e cade in un momento inopportuno rispetto al quadro politico di riferimento. Abbiamo una situazione politica refrattaria, difficile e stiamo a fatica componendo - e il mio partito è uno dei protagonisti - quella che è la dialettica democratica, il confronto democratico. Abbiamo sempre e continuamente detto che siamo contro la scelta dei deputati, la scelta dei senatori. Abbiamo detto sempre che bisogna restituire la possibilità ai cittadini di scegliere la propria classe dirigente.
Ma la classe dirigente nasce nel momento in cui ha una sua formazione e il ruolo dei partiti politici nel dopoguerra è stato importante, fondamentale e salutare nel creare le condizioni per una partecipazione e un impegno. L'impegno non si può inventare all'ultimo momento, né per un sesso né per un altro. Non si può inventare e non si può assicurare attraverso una semplice norma di legge, ma il processo invece deve essere determinato nella scelta e deve essere garantito sin dalle sue fondamenta.
Ecco perché ero contrario, nel 1995, quando quest'Aula ha approvato la legge che assicurava, che impegnava, che prevedeva come obbligatorio che una certa quota di donne partecipasse alle elezioni regionali. Ricordo che nel listino ci doveva essere una quota e molti partiti - diciamocelo con estrema chiarezza - si sono trovati in difficoltà perché non vi erano delle grandi disponibilità. Questo indicava anche la crisi dei partiti che non avevano preparato e quindi non era pronta ad essere selezionata una classe dirigente di donne. Questo è un dato importante. Ciò avviene continuamente, anche nelle liste delle amministrazioni locali, nel momento in cui nel passato vi era l'obbligatorietà, come qui si evince, della presenza di almeno un terzo di un genere, e quando noi parliamo di genere parliamo ovviamente anche di donne.
Come la mettiamo con i principi della democrazia e della libertà e soprattutto della libera indipendenza dell'elettore? Se ci sono due preferenze, vi deve essere un ruolo dell'elettore. Io sono d'accordo con le colleghe, per carità, quando dicono che in questo caso non si parla di quote, lo diceva anche il mio amico e collega Roberto Occhiuto. Non si parla di quote, ma surrettiziamente si tratta di quote. Surrettiziamente sono delle quote quelle che vengono ad essere previste in questo progetto di legge. Allora, come la mettiamo con la libertà del cittadino elettore? Noi diciamo: tu hai soltanto una preferenza e, se sono due, una preferenza è obbligata, poi, se scegli due dello stesso genere, allora la tua manifestazione di volontà viene ad essere annullata. Questo non dice niente rispetto a quello che deve essere invece un dato formidabile e forte. Pag. 52
Ecco perché nel 1948 e negli anni successivi c'erano quattro preferenze. Allora, avrei capito che noi rivendicassimo per gli enti locali e per le regioni quattro preferenze, care colleghe, e tutto questo doveva presupporre l'impegno dei partiti a creare e a mettere in lista donne e uomini in egual misura e a creare le pari opportunità. Le vere opportunità si determinano semplicemente attraverso questi principi, non attraverso una norma, non attraverso una coercizione, non attraverso un condizionamento dell'altro. Io sono stato sempre contrario a questo tipo di assunto e di metodologia.
Questo discorso porta ad altre valutazioni. L'altro giorno in I Commissione facevo un esempio, le colleghe lo ricorderanno. Mi rivolgo a tutte le colleghe, ma a Sesa Amici che è la prima firmataria della proposta di legge, ma c'è anche la nostra brava onorevole Anna Teresa Formisano. Come la mettiamo se diciamo che bisogna che ci siano anche dei giovani? Infatti, non basta, come abbiamo fatto, abbassare l'età dell'elettorato attivo. E se mancano i giovani, non manca una realtà?
Mi ricordo che nella Democrazia Cristiana, che era un partito interclassista, c'era una varietà di realtà. C'erano le donne, c'erano gli operai, c'erano gli industriali, c'erano gli agricoltori, i coltivatori diretti e c'erano gli agrari. E i giovani? E le giovani donne? Non solo delle categorie e qualcuno mi chiede che cosa significa. Allora io pongo un altro problema al di là se siamo d'accordo o meno per quanto riguarda la cittadinanza e si parla di ius soli e non tanto di ius sanguinis. Qualcuno vorrebbe dare il diritto di voto agli immigrati dopo un periodo di permanenza nel nostro territorio. E se gli immigrati hanno il diritto di voto, mettiamo anche la terza preferenza che deve essere espressa per un immigrato?
Ritengo che questo sia un percorso estremamente difficile, sdrucciolevole e che apre uno sfondo imperscrutabile, perché la Corte costituzionale nel 1995 lo aveva previsto. Fu sollevata questione di legittimità costituzionale e poi ci fu la legge del 2004 che tentò di recuperare il tutto, ma rimangono alcuni principi fondamentali, che a mio avviso sono violati. Ecco perché lancio alcune preoccupazioni e l'ho voluto fare in questo particolare momento. Dovevo essere a Catanzaro perché c'era un importante incontro della FIDAPA, la cui coordinatrice è la nostra amica, autorevolissima, Marisa Fagà, alla presenza del Ministro della giustizia, dove si parlava di questi problemi.
Non è che io sono contrario per principio, ma sono contrario per difendere i sessi, per difendere i generi. Al di là di qualche commento di dissenso, questo è un percorso che tutti quanti dovreste rifiutare, per la stessa dignità, dove i recinti, le coercizioni e le norme certamente non valgono a rinnovare il Paese. Rinnovo il Paese perché questo è scritto in una norma? Da domani tutti saggi, tutti importanti e tutti belli: lo scrivo in una norma e siamo tutti saggi e tutti belli? Non è questo! È un dato di conquiste e di conquiste di agibilità perché con queste norme certamente non si crea una situazione di agibilità. Quindi, il problema certamente va ai partiti, che si debbono ricomporre, fare il loro lavoro e il loro percorso. Debbono affrontare le sfide del proprio tempo, ovviamente allargando la base, dando certamente le varie condizioni e possibilità nelle candidature attraverso, come dicevo poc'anzi, una formazione. Lo dico con estrema chiarezza perché sono convinto che le donne non meritino di essere messe o proposte per un recinto, dove si attinge. Bisogna garantirle, perché certamente anch'io credo nella specificità.
Ecco perché bisogna creare le condizioni e soprattutto anche una serie di provvedimenti e di provvidenze che mettano le donne nelle stesse condizioni degli altri. Ma se le persone non vogliono fare politica e non si vogliono impegnare non ce lo possiamo inventare. A me, nella mia esperienza politica, è accaduto che ci siamo dovuti inventare delle candidate e certamente non abbiamo risolto nessun problema, né del genere maschile, né tantomeno del genere femminile.
Questo ve lo dico con estrema chiarezza. Se questa è una manifestazione di Pag. 53propaganda va bene anche questo, ma non credo che le presentatrici, che stimo, di queste proposte di legge abbiano avuto questa intenzione e, anzi, sono animate dalle più sagge e sane intenzioni. Lo dico con estrema chiarezza. Abbiamo una visione diversa, ma ho lo stesso obiettivo: voi volete che le donne abbiano la loro importanza e il loro ruolo in politica. È la mia stessa visione, lo stesso mio impegno e lo stesso mio convincimento. Però, non automaticamente né per un condizionamento di norme, ma attraverso un forte esame di coscienza, perché in questo momento, approvando il provvedimento in esame, avremmo potuto chiudere la partita con questo tema, ma altri temi e altri problemi si aprirebbero alla nostra attenzione e al nostro impegno.
Signor Presidente, esprimerò poi, alla fine dell'esame di questo provvedimento, una dichiarazione di voto in dissenso con dal mio gruppo, proprio per essere coerente con tanti anni di vita parlamentare, perché in ogni occasione ho espresso queste mie idee. Lo faccio senza infingimenti, senza riserve mentali, senza alcun tipo di preconcetto nei confronti di nessuno. Ho una mia visione, giusta o sbagliata, ma è una visione che elaboro da una mia libera scelta. È una mia visione che nasce da una libera scelta, perché so che quando non vi è una libera scelta tutto diventa complicato, anche per la vicenda e la storia democratica di questo nostro Paese.

PRESIDENTE. La ringrazio ugualmente, onorevole Tassone.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non me ne voglia il collega Tassone. Siccome, però, ci ascoltano anche fuori da quest'Aula faccio notare che ha parlato al plurale maiestatis, riferendo che ci siamo «inventati» delle candidature di donne. Ovviamente, il collega Tassone parlava, probabilmente, per il suo gruppo o per una parte del suo gruppo.
Per quanto ci riguarda, la storia dei partiti e anche del movimento che si è raccolto dietro il Partito Democratico è una storia che, casomai, ha visto la penalizzazione di tante possibilità che vi erano nella storia politica dei due partiti e che non sono potute probabilmente, anche per responsabilità nostra (anzi, certamente per responsabilità nostra), entrare in Parlamento nella misura che fosse in grado di rappresentare questo grande movimento. Ovviamente, tutto può accadere nei partiti, però il riferimento che faceva l'onorevole Tassone certamente non ci riguarda (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, non mi metta in difficoltà.

MARIO TASSONE. Le chiedo una cortesia personale, signor Presidente.

PRESIDENTE. Come faccio a concederle di nuovo la parola, adesso?

MARIO TASSONE. Una parola soltanto, signor Presidente.

PRESIDENTE. Lei sta mettendo a dura prova la mia Presidenza, stasera, sia secondo il Regolamento, sia secondo merito, sia per la materia.
Va bene! Ha facoltà di parlare, onorevole Tassone.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, prenda la parola perché il mio intervento ha provocato quello dell'onorevole Giachetti, che per me rappresenta un grande onore ed era insperabile che una cosa di questo genere potesse accadermi proprio quest'oggi.
Lo voglio rassicurare, comunque, che parlavo della mia esperienza e non mi sono mai permesso, per chi mi conosce, di usare strumenti polemici nei confronti delle altre forze politiche, che ho sempre rispettato. Parlavo della mia esperienza e quando usavo il plurale era rivolto a me Pag. 54e a qualche mio amico. Questo per rassicurare l'onorevole Giachetti, ringraziandolo per il grande onore che mi ha tributato questo pomeriggio.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, ringrazi anche la Presidente, che considera questo suo intervento per fatto personale, avvenuto durante il dibattito.

MARIO TASSONE. Grazie a lei, signor Presidente, per la gentilezza.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, speravo di poter interloquire con lei, onorevole Tassone, perché lei ha portato degli elementi e un suo punto di vista con il quale vorrei provare a interloquire, ragionando anche con lei su dei dati, purtroppo oggettivi, che riguardano, in modo particolare, il nostro Paese. Se lei avesse ragione, questo problema probabilmente neanche ce lo porremmo.
In Italia, purtroppo, abbiamo una serie di primati negativi. Ad esempio, siamo al cinquantacinquesimo posto nella classifica mondiale per la presenza femminile nei Parlamenti nazionali, per non parlare delle istituzioni locali. Nell'Unione europea siamo al tredicesimo posto, non solo dopo i Paesi del nord Europa, come la Svezia, la Finlandia o i Paesi Bassi, che notoriamente sono all'avanguardia. Per esempio, la Svezia ha il 45 per cento delle donne nella Camera bassa. La Spagna, il 36,6 per cento, la Germania il 32,8 per cento, il Portogallo il 27,4 per cento, mentre noi soltanto il 21,3 per cento. Per carità, sono stati fatti dei passi in avanti, come dicevano le colleghe nei loro interventi, tuttavia noi purtroppo abbiamo questi primati negativi.
Se guardiamo ai consigli regionali, dove c'è la preferenza unica, la media nazionale parla di una presenza di donne nei consigli regionali dell'11,9 per cento. La presenza più rilevante è nella regione Campania, dove è stata approvata e sperimentata la legge sulla doppia preferenza, che ha portato le donne al 23 per cento, e lì partivano - se non ricordo male - dal 10 per cento. Ci sono, nella nostra Italia e nel nostro Paese, ben tre regioni con la preferenza unica dove non c'è alcuna donna nelle assemblee regionali: si tratta del Molise, della Basilicata e della Calabria.
Se guardiamo ai comuni e all'elezione dei sindaci, i sindaci nella media nazionale sono solo il 14 per cento, ma c'è una grande differenza da territorio a territorio: il 14 per cento nel Nord-ovest, il 5,2 per cento nelle regioni del sud, e c'è una grande differenza tra i piccoli e i grandi comuni. Per esempio, se guardiamo il dato dei consiglieri comunali e delle consigliere comunali, su scala nazionale, abbiamo il 18,2 per cento, però con una maggiore presenza nei piccoli comuni. Perché questo dato? Perché nei piccoli comuni il rapporto tra i comuni e i cittadini è molto più stretto, c'è una conoscenza molto più immediata e, infatti, in quelle realtà, la presenza delle donne è molto più rilevante e supera il 20 per cento. Se andiamo nei comuni al di sopra dei 250 mila abitanti, la percentuale scende al 13, 3 per cento.
Collega Tassone, credo che lei bene abbia fatto oggi a porre in questa sede, a viso aperto - perché questo lo apprezzo e credo che lo apprezziamo tutti - una serie di preoccupazioni e di perplessità, sapendo - come diceva la collega Perina - che aleggia in quest'Aula anche da parte di una serie di colleghi, un malumore soffuso, che non si esprime. Noi vogliamo proprio che queste perplessità vengano espresse, proprio per potere interloquire, ragionare e capire le nostre ragioni, le ragioni - spero - di gran parte di quest'Aula nel voler mettere in campo delle nuove norme innovative, che promuovono cosa? Non le quote - come è stato detto e sottolineato dalle altre colleghe - ma quelle azioni positive, che creino le condizioni per realizzare una democrazia compiuta, che creino le condizioni per realizzare appunto quelle pari opportunità di accesso alle istituzioni.
D'altra parte, caro collega, lei diceva: forse adesso non è il momento opportuno. Io penso che forse mai momento come Pag. 55questo sia opportuno: siamo arrivati ad un punto in cui il rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni e, in modo particolare, tra i cittadini, le cittadine, la politica e i partiti non è mai stato forse ad un livello così basso.
Allora, c'è bisogno, per recuperare credito, per recuperare credibilità, che parliamo a tutto il Paese, che si parli ad un Paese composto da donne e da uomini - forse più da donne che da uomini - dove noi come istituzione e come Parlamento possiamo mettere in campo quella capacità di relazione e di intendere e comprendere il sentire comune, cioè di recuperare tutte quelle risorse che questo Paese può mettere in campo in termini di intelligenza e di talenti affinché si possa uscire da questa situazione drammatica di crisi economica, da questa crisi così pesante e così drammatica che riguarda i partiti e le istituzioni. Ecco perché, signor Presidente, colleghe e colleghi, penso che sia assolutamente importante che questo provvedimento sia approvato, proprio per dare un segnale positivo al Paese e alle donne di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bossa. Ne ha facoltà.

LUISA BOSSA. Signora Presidente, colleghi deputati, è con un po' di rabbia, ma anche con un sentimento di soddisfazione, che intervengo su questo provvedimento, di cui condivido l'ispirazione culturale e l'impostazione. È una proposta nata dentro il Partito Democratico, con importanti contributi di deputate democratiche ed arricchita nel dibattito di Commissione. È una proposta che raccoglie ispirazione da un lungo cammino politico nel nostro partito, che ha coinvolto le donne in una riflessione seria sulla condizione femminile nel nostro Paese.
Come dicevo, dunque, la rabbia e la soddisfazione. La rabbia è quella di una donna - avrei voluto interloquire con l'onorevole Tassone, ma è andato via - che ha sempre rifiutato di farsi considerare e di considerarsi una quota. Non sono un panda, non sono una specie rara da tutelare, non sono un animale in via di estinzione. Non mi considero nemmeno un soggetto svantaggiato, anzi mi considero un soggetto molto avvantaggiato. Ho il vantaggio di essere donna. Il vantaggio di essere donna non è solo, come diceva Petrolini, quello di non dover essere costretti ad indossare cravatte; è quello di avere l'energia della vita che ti cresce dentro, la capacità di fare più cose insieme e farle bene, la forza della mamma, la pazienza della moglie, la lucidità della lavoratrice, l'inesauribile fare della casalinga, e tutte queste cose insieme.
Ho sempre sentito la doppia X del mio DNA come una straordinaria opportunità, non solo genetica, ma anche culturale e antropologica. Non ho mai avuto un atteggiamento da soggetto che deve essere protetto, semmai ho protetto. Non ho mai avuto una fisionomia mentale da lamento, semmai ho lottato. Non ho mai chiesto, semmai ho preso. Per queste ragioni, se volete, per una sorta di educazione alla mia femminilità, che arriva dalla cultura meridionale, dove alle donne è stato sempre insegnato di essere ramo e radice, quando qui si è parlato di quote, di fasce protette, di percentuali garantite alle donne, ho avuto come prima reazione la rabbia, uno scatto d'ira. Ira certo, ma subito dopo, anzi prima, soddisfazione, perché una cosa è la reazione istintiva ed emotiva, lo scatto di orgoglio, la mossa del carattere, altra cosa invece è la riflessione politica e sociologica. Le quote ci fanno arrabbiare, cari sparuti colleghi, fanno arrabbiare noi per prime, ma senza meccanismi obbligatori di riequilibrio continuerà a consumarsi un'insopportabile costante, drammatica esclusione della donna dai luoghi della decisione, dalla vita politica, economica e sociale, minando alle fondamenta la radice democratica del nostro Paese.
Non mi metto a snocciolare dati e numeri; è già stato fatto bene prima di me. Le donne italiane - lo sappiamo - sono più degli uomini, vivono più a lungo, studiano di più, sono più istruite e colte, eppure occupano meno posti di responsabilità Pag. 56degli uomini, guadagnano di meno, fanno più fatica. Più brave e più escluse, ma perché? È un dato culturale, come culturale, di una certa cultura, è l'impostazione dell'onorevole Tassone. Nelle società che funzionano, quando la cultura si stratifica su un punto di blocco si deve attivare un meccanismo che sciolga il nodo e faccia tornare le risorse alla loro collocazione più efficiente. Ecco, questo è il senso di questa iniziativa legislativa. Questo è il motivo per cui, dopo la rabbia nell'essere stata considerata un soggetto da proteggere, subentra nelle riflessioni anche la soddisfazione. Finalmente fissiamo qualche paletto. Costringiamo il nostro modello sociale a guardare la realtà delle cose. Colleghi, io amo molto le parole, per il mio lavoro devo usarle e c'è un aspetto di questo provvedimento che mi ha colpito.
Il provvedimento punta, tra le altre cose, a sostituire una sola parola nell'elaborazione delle politiche per la democrazia paritaria: laddove si parla di «promuovere» le pari opportunità si dovrà parlare di «garantire» le pari opportunità. Vi è una differenza che ad un occhio poco accorto può sembrare minima, ma che invece è il ribaltamento di un senso. «Garantire» ha il sapore della certezza del diritto, «promuovere» ha invece il sapore di una concessione, di una sorta di elemosina periferica che, nei discorsi e nelle vicende, si deve ormai fare alle donne perché, poverine, altrimenti si arrabbiano. Con il termine «garantire» il paradigma cambia.
Non basta fare azioni di principio, bisogna assicurare la democrazia paritaria, renderla certa. Mi sembra davvero uno straordinario salto di campo. Ovviamente, tutto ciò si può costruire con la gradualità, chiamando a raccolta molte istanze, certo non bastano le regole elettorali, anche se necessarie, per porre rimedio ad alcune evidenti patologie. Ad esse vanno affiancate norme di cultura politica dentro le organizzazioni. Dicevo all'inizio, e lo ribadisco in conclusione, che non smetteremo mai di essere marginali se non ci togliamo di dosso la mentalità di essere quote da proteggere. Dobbiamo essere protagoniste. Una mia insegnante di liceo mi diceva sempre di ricordare che se noi sposiamo l'erede al trono siamo regine, mentre se un uomo sposa la regina non sarà un re, sarà sempre il marito della regina.

MARIO TASSONE. O il principe consorte!

LUISA BOSSA. Sapete perché? Perché questo è uno dei motivi del blocco, del ritardo. L'uomo vuole tenersi stretta la sua leadership di cartone. Bisogna lottare, certo, senza farsi illusioni, certo.
Le diseguaglianze si riducono nel tempo e con pazienza, ma il lavoro va fatto, si sta facendo e continueremo a farlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cenni. Ne ha facoltà.

SUSANNA CENNI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, in questo momento non stiamo parlando di quote, né stiamo facendo propaganda. A mio parere stiamo svolgendo una discussione importante, stiamo aprendo un confronto su un testo che, mi auguro, possiamo licenziare positivamente in tempi brevi. Credo che questo potrebbe rappresentare una possibile buona pagina del lavoro di questa legislatura.
Chi ha partecipato alla discussione svoltasi in Commissione affari istituzionali ha potuto rendersi conto della serietà degli approfondimenti, delle interessanti audizioni che si sono svolte con esperti e costituzionalisti. La relatrice, la collega Lorenzin, ne ha parlato benissimo. Tutto ci incoraggia a procedere e a rimediare al gap pesante che il nostro Paese continua a segnare in materia di democrazia paritaria e rappresentanza istituzionale, così come hanno fatto Francia, Germania, Regno Unito e buona parte dell'Europa e del mondo.
Il ritardo è grande, lo sappiamo, e non elencherò numeri e la rappresentazione reale della distanza tra noi e le principali Pag. 57democrazie europee, o fra noi e gli Stati africani o asiatici. È un ritardo che, francamente, mi pare ancora più grande se penso alla modernità e alla lungimiranza delle nostre Costituenti e alle prime grandi leggi volute da quelle donne.
È un testo semplice, quello che ci apprestiamo ad esaminare, che consentirebbe di intervenire per consentire ai cittadini di eleggere uomini e donne nel livello di rappresentanza istituzionale più vicino alla loro vita, ossia il comune, attraverso la possibilità di esprimere una doppia preferenza. Un processo estremamente democratico.
Potremmo discutere all'infinito di quanto altro avremmo potuto inserire nel testo in esame se, effettivamente, non valesse la pena fare un passo in più e andare oltre qualche principio per le leggi elettorali delle regioni, se, almeno per la RAI, avessimo potuto prevedere qualche regola più stringente della presenza di uomini e donne all'interno delle trasmissioni elettorali. Qualcosa potrà essere perfezionato nel corso della discussione, ma ritengo che il testo unificato sia importante in quanto raccoglie i contenuti di fondo delle varie proposte parlamentari; un importante punto di partenza che ha visto una forte e trasversale sintonia tra le colleghe della Commissione. Colleghi, non credo che questa sia cosa da poco perché sappiamo che non accade spesso.
Anche le audizioni ci hanno detto che questa è la base minima per declinare nella nostra democrazia quel concetto avanzato che si chiama democrazia paritaria, un concetto che aiuterebbe la nostra democrazia ad evolvere, ad accogliere il valore della cittadinanza di genere. Certo, noi sappiamo che esistono obiezioni; obiezioni, lo dico con franchezza, spesso molto interessate, che vanno chiamate con il loro nome. Più donne significano meno uomini; obiezioni poco fondate dal punto di vista del diritto e qualche volta poco esplicitate alla luce del sole. Credo che tutti quante ricordiamo quanto è avvenuto in questa Camera sulla proposta nel 1995, sulla proposta dell'allora Ministra Prestigiacomo, episodio che spero possiamo consegnare agli atti parlamentari del passato. Però ho sentito, anche in occasione dell'approvazione del testo Golfo-Mosca sulla rappresentanza nei consigli delle aziende, interventi poco originali, devo dire la verità, sulla questione del merito e delle competenze che probabilmente ascolteremo anche in questa occasione e che in parte abbiamo sentito anche dall'onorevole Tassone.
Io non voglio rispondere a queste obiezioni come qualche volta meriterebbero, voglio invece richiamare i risultati di un recente lavoro svolto da due docenti della Bocconi, Casarico e Profeta, che hanno preso in esame 8.100 comuni analizzando il prima e il dopo rispetto alla legge 25 marzo 1993, n. 81, legge poi osservata con sentenza che ancora fa discutere ma che comunque nel 1995 produsse effetti sulle liste di quella tornata elettorale. Ecco, onorevole Tassone che se ne è andato, dicono Casarico e Profeta: «Abbiamo osservato nel nostro studio che non soltanto le donne inserite erano più istruite dei colleghi uomini, ma per fare spazio alle candidate femmine erano rimasti fuori i maschi meno qualificati. Così è migliorato il livello medio di tutta la classe politica». E questa non è selezione della classe dirigente? Io credo di sì, perché credo che qui stia la chiara esplicitazione di una delle ragioni per le quali dobbiamo intervenire, la selezione della classe dirigente di un Paese, la qualità della classe politica, la reale e libera scelta dei cittadini e delle cittadine nell'elettorato attivo e passivo.
Interventi per promuovere la democrazia paritaria sono tutt'altro che antimeritocratici e sappiamo che quello che stiamo tentando di fare è un timido inizio. Alcuni degli esperti che sono stati sentiti dalla Commissione e molti osservatori e studiosi della nostra democrazia ci hanno ricordato che oltre alla rimozione di ostacoli per le pari opportunità oggi esistenti, per esempio attraverso la doppia preferenza, l'alternanza nelle liste, e così via, tra le ragioni più significativi che oggi rendono più difficile la strada della politica per le donne vanno annoverati, per esempio, i costi della campagna elettorale, che in Pag. 58alcuni casi hanno raggiunto livelli eticamente allarmanti; gli spazi negli strumenti di comunicazione, il funzionamento e il finanziamento dei partiti, e non è questa la sede ma credo sarebbe interessante parlare del funzionamento dei partiti da questo punto di vista. Sappiamo benissimo che la fase che stiamo vivendo è caratterizzata da un livello bassissimo di fiducia dei cittadini nella politica, nelle istituzioni e in modo particolare nei partiti e assistiamo a un dibattito un po' paradossale su una sorta di sospensione della politica in attesa che i tecnici concludano il loro lavoro. Continuo a pensare che...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SUSANNA CENNI. ... i partiti abbiano e debbano avere una funzione e credo sia importante che anche al loro interno ci siano regole sulla selezione della classe dirigente. Penso che noi oggi dentro questa crisi economica dovremmo forse occuparci un po' di più della crisi etica che stiamo vivendo, della ripresa di fenomeni gravi di corruzione, qualche volta di costume politico, ricordandoci cosa è realmente la politica, la buona politica. La buona politica è ascolto più che ossessiva partecipazione ai talk show televisivi, è condivisione, è costruzione, è concretezza. Credo che molto abbia a che fare con il tema che stiamo affrontando.
Concludo, signor Presidente. Più donne nelle istituzioni per rinnovare la società. Appello ai partiti perché tengano conto delle aspirazioni delle masse femminili. Era l'invito che l'Unione donne italiane lanciava dalle pagine de l'Unità nel 1963. Sono passati quarantanove anni. Concludo davvero con una battuta. Io sono una deputata senese. Nella mia terra c'è un'importante banca. Ci sono voluti settecento anni affinché una donna sedesse per la prima volta nel consiglio di amministrazione di questa banca. Ecco, credo che abbiamo le condizioni per fare un pochino più in fretta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3466-A ed abbinati)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Lorenzin.

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Signor Presidente, semplicemente ringrazio tutti i colleghi che oggi sono intervenuti e sono convinta che potremo fare, in questo Parlamento, nelle sedute dell'Assemblea, un lavoro molto proficuo e ringrazio, in particolare, le colleghe che mi hanno preceduto per sminare quel pregiudizio di fondo che si cela spesso sotto dibattiti di questo genere.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

CECILIA GUERRA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, onorevoli deputate e deputati, come ho già avuto modo di anticipare in Commissione affari costituzionali volevo confermare il grande interesse e l'atteggiamento favorevole del Governo per disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere in vista della realizzazione del principio delle pari opportunità. Volevo, inoltre, confermare l'apprezzamento per lo sforzo compiuto nella Commissione affari costituzionali per arrivare ad una proposta ampiamente condivisa come quella che è stata oggi presentata in quest'Aula.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge.

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di Pag. 59domani l'assegnazione in sede legislativa della seguente proposta di legge, della quale la sottoindicata Commissione, cui era stata assegnata in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che il Presidente proporrà alla Camera, a norma del comma 6 dell'articolo 92 della Regolamento:

alla VII Commissione (Cultura):
Moffa ed altri: «Norme per promuovere l'equità retributiva nel lavoro giornalistico» (3555).

(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta delle competenti Commissioni che non ne hanno esaurito l'iter in sede referente, l'avvio della discussione in Assemblea del disegno di legge recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione» e delle abbinate proposte di legge, già previsto per questa settimana, avrà luogo in altra seduta.
Il provvedimento non sarà pertanto iscritto all'ordine del giorno nelle sedute della settimana in corso.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 27 marzo 2012, alle 12:

1. - Svolgimento di interrogazioni.

(ore 15)

2. -Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge C. 3555.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 3174 - Conversione in legge del decreto-legge 27 febbraio 2012, n. 15, recante disposizioni urgenti per le elezioni amministrative del maggio 2012 (Approvato dal Senato) (C. 5049).
- Relatore: Fontanelli.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Boccia ed altri n. 1-00902, Comaroli ed altri n. 1-00931, Iannaccone ed altri n. 1-00936, Corsaro ed altri n. 1-00937, Borghesi ed altri n. 1-00938, Cambursano e Brugger n. 1-00939, Tabacci, Galletti, Della Vedova ed altri n. 1-00942 e Gianni ed altri n. 1-00945 concernenti iniziative relative alla delimitazione dei soggetti titolati a partecipare alle aste della Banca centrale europea.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00880, Iannaccone ed altri n. 1-00887, Miccichè ed altri n. 1-00928, Ossorio ed altri n. 1-00930, Cicchitto ed altri n. 1-00932, Occhiuto ed altri n. 1-00933, Commercio ed altri n. 1-00934, Aniello Formisano ed altri n. 1-00935, Ruvolo ed altri n. 1-00940 e Versace ed altri n. 1-00941 concernenti iniziative per favorire gli interventi produttivi e l'occupazione nel Mezzogiorno.

6. - Seguito della discussione delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00781, Gidoni ed altri n. 1-00861, Porfidia ed altri 1-00862, Moffa ed altri n. 1-00907, Misiti ed altri n. 1-00908, Rugghia ed altri n. 1-00909, Cicu ed altri n. 1-00920, Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00943 e Paglia, Bosi, Vernetti ed altri n. 1-00963 sulla riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento al blocco del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35.

7. - Seguito della discussione delle mozioni Montagnoli ed altri n. 1-00896, Lombardo ed altri n. 1-00901, Fluvi ed Pag. 60altri n. 1-00910, Misiti ed altri n. 1-00911, Crosetto ed altri n. 1-00913, Borghesi ed altri n. 1-00916, Mosella ed altri n. 1-00924, Polidori ed altri n. 1-00929, Cambursano ed altri n. 1-00948 e Ciccanti ed altri n. 1-00970 concernenti misure a favore delle piccole e medie imprese in materia di accesso al credito e per la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni.

8. - Seguito della discussione delle mozioni Palagiano ed altri n. 1-00384, Binetti ed altri n. 1-00874, Martini ed altri n. 1-00897, Livia Turco ed altri n. 1-00900, Palumbo ed altri n. 1-00904, Stagno d'Alcontres ed altri n. 1-00917 e D'Anna ed altri n. 1-00919 concernenti iniziative per il potenziamento della «medicina di genere».

9. - Seguito della discussione delle mozioni Servodio ed altri n. 1-00869, Delfino ed altri n. 1-00905, Bossi ed altri n. 1-00912, Beccalossi ed altri n. 1-00914, Di Giuseppe ed altri n. 1-00915, Misiti ed altri n. 1-00918, Di Biagio ed altri n. 1-00921, Commercio ed altri n. 1-00925 e Ruvolo ed altri n. 1-00926 concernenti iniziative in materia di uso e sviluppo delle agroenergie, con particolare riferimento agli impianti alimentati a biomasse.

10. - Seguito della discussione delle mozioni Esposito ed altri n. 1-00711, Osvaldo Napoli ed altri n. 1-00804, Misiti ed altri n. 1-00944, Allasia ed altri n. 1-00961, Toto ed altri n. 1-00965 e Delfino ed altri n. 1-00966 concernenti iniziative volte a finanziare le opere e gli interventi previsti dal Piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione.

11. - Seguito della discussione delle mozioni Vincenzo Antonio Fontana ed altri n. 1-00855, Binetti ed altri n. 1-00927, Iannaccone ed altri n. 1-00958, Miotto ed altri n. 1-00959, Palagiano ed altri n. 1-00962, Lo Monte ed altri n. 1-00964 e Laura Molteni ed altri n. 1-00967 concernenti iniziative in ordine alle modalità di ammissione alle scuole di specializzazione in medicina.

12. - Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge:
AMICI ed altri; MOSCA e VACCARO; LORENZIN ed altri; ANNA TERESA FORMISANO e MONDELLO; d'iniziativa del GOVERNO; SBROLLINI: Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni (C. 3466-3528-4254-4271-4415-4697-A).
- Relatore: Lorenzin.

13. - Seguito della discussione della proposta di legge:
TENAGLIA ed altri: Definizione del processo penale nei casi di particolare tenuità del fatto (C. 2094-A).
- Relatore: Tenaglia.

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla VII Commissione (Cultura):
MOFFA ed altri: «Norme per promuovere l'equità retributiva nel lavoro giornalistico» (3555).
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

La seduta termina alle 18,45.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO BEATRICE LORENZIN IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DEI PROGETTI DI LEGGE N. 3466-A ED ABBINATI

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Onorevoli colleghi, il testo unificato dei progetti Pag. 61di legge all'ordine del giorno (un disegno di legge governativo, l'atto Camera n. 4415 e cinque proposte di legge di iniziativa parlamentare) che la I Commissione sottopone all'approvazione dell'Assemblea contiene misure di promozione del riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali, nonché disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni.
Alla base di tali misure vi è la constatazione della presenza marginale delle donne nei luoghi di rappresentanza e nei centri decisionali della politica, nonostante il quadro costituzionale di riferimento contenga importanti disposizioni di garanzia.
Infatti - oltre all'articolo 3 della Costituzione che stabilisce il principio della parità dei sessi, la cui declinazione del secondo comma ha costituito la base della politica delle azioni positive - l'articolo 51 della Costituzione, al primo comma (come riformulato dalla legge costituzionale n. 1 del 2003), riconosce il diritto del cittadino di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza. A garanzia di tale diritto il medesimo articolo prevede che la Repubblica promuova con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. Ulteriori statuizioni si rinvengono nell'articolo 37 della Costituzione, che dispone che la donna lavoratrice abbia gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore. Vi si stabilisce, inoltre, che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla donna l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.
Ancora, l'articolo 117, settimo comma, della Costituzione, come modificato dalla riforma introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, prevede che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. Anche negli Statuti delle regioni ad autonomia speciale, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, si demanda alle leggi elettorali regionali il compito di promuovere condizioni di parità fra i sessi per l'accesso alle consultazioni elettorali.
Con riguardo, poi, alla giurisprudenza della Corte costituzionale, assume particolare rilievo la sentenza 14 gennaio 2010, n. 4, con la quale la Corte si è pronunciata sulla legittimità costituzionale di una norma della legge della regione Campania n. 4 del 2009, che prevede la cosiddetta «preferenza di genere» nelle elezioni regionali. La Corte costituzionale ha dichiarato che tale previsione non viola la Costituzione in quanto la finalità della nuova regola elettorale è dichiaratamente quella di ottenere un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi all'interno del Consiglio regionale, in linea con i principi ispiratori del riformato articolo 51, primo comma, della Costituzione, e dell'articolo 117, settimo comma, della Costituzione.
Secondo tale sentenza la disposizione in questione non prefigura il risultato elettorale, quindi non altera la composizione dell'assemblea elettiva rispetto a quello che sarebbe il risultato di una scelta compiuta dagli elettori in assenza della regola contenuta nella norma medesima né attribuisce ai candidati dell'uno o dell'altro sesso maggiori opportunità di successo elettorale rispetto agli altri. Poi, secondo tale sentenza, i diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo rimangono inalterati, perché l'elettore può decidere di non avvalersi della possibilità di esprimere la seconda preferenza, che gli viene data in aggiunta al regime della preferenza unica, e quindi scegliere indifferentemente un candidato di genere maschile o femminile; inoltre, «la regola della differenza di genere per la seconda preferenza non offre possibilità maggiori ai candidati dell'uno o dell'altro sesso di essere eletti, posto il reciproco e paritario condizionamento tra i due generi nell'ipotesi di espressione di preferenza duplice». Pag. 62
Il testo unificato della Commissione nasce sulla base di un contenuto pressoché omogeneo delle misure previste dai progetti di legge all'ordine del giorno per garantire il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Solo il disegno di legge predisposto dal precedente Governo prevede inoltre disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni.
La I Commissione ha avviato l'esame delle proposte di legge all'ordine del giorno nella seduta del 5 aprile 2011. Ricordo che la materia elettorale, sulla base delle intese intercorse tra i Presidenti dei due rami del Parlamento, è attualmente all'esame della Commissione Affari costituzionali del Senato. La materia però dell'equilibrata rappresentanza di genere nei Consigli regionali e degli enti locali, che ha una propria autonomia nell'ambito del tema generale della rappresentanza di genere nelle assemblee elettive ed è quindi suscettibile di un esame distinto, non è stata inclusa tra quelle oggetto di esame da parte della I Commissione del Senato. Nella suddetta seduta del 5 aprile 2011 la Commissione ha quindi concordato di chiedere al Presidente della Camera di promuovere le intese con il Senato, ai sensi degli articoli 78 del Regolamento della Camera e 51, comma 3, del Regolamento del Senato, al fine di permettere alla Commissione affari costituzionali della Camera di procedere nell'esame dei progetti di legge.
Raggiunte tali intese, l'esame è proseguito a partire dalla seduta del 13 luglio 2011.
Successivamente, nell'ambito dell'istruttoria legislativa, il 26 ottobre 2011 hanno avuto luogo le audizioni informali della Consigliera nazionale di parità presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Alessandra Servidori, e di esperti della materia. In particolare sono stati ascoltati i professori Giuditta Brunelli, Licia Califano, Alfonso Celotto e Stelio Mangiameli, ordinari di diritto costituzionale, e il professor Massimo Rubechi, dottore di ricerca in diritto costituzionale.
Nella seduta dell'11 ottobre 2011, la Commissione ha adottato come testo base il testo unificato proposto dalla relatrice.
Nella seduta del 9 febbraio 2012 la Commissione ha concluso l'esame delle proposte emendative e il testo derivante da tale esame è stato inviato alle Commissioni competenti in sede consultiva.
La V Commissione bilancio ha espresso un parere di nulla osta, la XI Commissione un parere favorevole con osservazioni e la Commissione parlamentare per le questioni regionali un parere favorevole con osservazioni.
L'osservazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali, come dirò successivamente, è stata recepita dalla Commissione, mentre le altre saranno oggetto di ulteriore riflessione e valutazione nel corso dell'esame in Assemblea.
Nella seduta dell'8 marzo 2012, infine, la Commissione ha conferito il mandato alla relatrice a riferire in senso favorevole all'Assemblea sul testo unificato dei progetti di legge.
Passo ora ad illustrare nel dettaglio il provvedimento.
L'articolo 1 del testo unificato modifica l'articolo 6 del Testo Unico degli enti locali, il decreto legislativo n. 267 del 2000. In particolare viene modificato il comma 3, che nel testo vigente dispone, come disposizione di principio, che gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali degli enti locali, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti. Il testo unificato della Commissione propone di sostituire il verbo «promuovere» con «garantire» , rendendo più stringente il principio. Inoltre si prevede che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti locali adeguano i propri statuti e regolamenti a questa nuova disposizione.
L'articolo 2 reca norme sulla parità di accesso alle cariche elettive e agli organi esecutivi degli enti locali. Pag. 63
In particolare il comma 1 apporta modifiche agli articoli del citato testo unico degli enti locali che riguardano la formazione dei consigli e delle giunte. Con la novella del comma 5 dell'articolo 17 sono infatti introdotte misure promozionali nel sistema di rappresentanza dei consigli circoscrizionali. È poi novellato il comma 2 dell'articolo 46, al fine di garantire il rispetto della presenza nelle giunte di entrambi i sessi.
Viene modificata, con novelle di analogo tenore agli articoli 71 e 73, la disciplina per l'elezione dei consiglieri rispettivamente nei comuni con popolazione tra i 5.000 e i 15.000 abitanti e nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Con tali modifiche è introdotta una quota di lista, in virtù della quale nessuno dei due sessi può essere rappresentato nelle liste in misura superiore ai due terzi. È inoltre introdotta la previsione della cosiddetta doppia preferenza di genere, ossia la possibilità di esprimere due preferenze (anziché una, secondo la normativa vigente) per i candidati a consigliere comunale. In tal caso, però, una deve riguardare un candidato di sesso maschile e l'altra un candidato di sesso femminile della stessa lista. In caso di mancato rispetto della disposizione, si prevede l'annullamento della seconda preferenza.
Il comma 2 dell'articolo 2 interviene con modifiche al testo unico delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570. Si tratta di misure volte a garantire il rispetto della proporzione tra i due sessi, introdotta dalla nuova disciplina elettorale con riferimento alla presentazione delle candidature. In particolare a tal fine si prevede che la Commissione elettorale, verificato che non sia stata rispettata nelle liste dei candidati la presenza di uno dei due sessi in misura non superiore ai due terzi, riduca la lista, cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere rappresentato, procedendo dall'ultimo della lista. Al termine di questa operazione, se la lista contiene un numero di candidati inferiore al numero minimo prescritto, la Commissione ricusa la lista.
Il comma 3, infine, modifica il decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156, nel senso di garantire la presenza di entrambi i sessi nella giunta di Roma capitale.
Nel testo unificato iniziale adottato dalla Commissione si prevedeva l'introduzione di norme analoghe con riguardo all'elezione dei consigli provinciali. È però intervenuto l'articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011, che prevede l'elezione indiretta dei consigli provinciali. In base a questa disposizione e in attesa di un riassetto complessivo dell'ente provincia, la Commissione, approvando un emendamento della relatrice, ha ritenuto di sopprimere le disposizioni concernenti l'elezione dei consigli provinciali.
L'articolo 3 è stato introdotto dalla Commissione con l'approvazione di un articolo aggiuntivo a prima firma dell'onorevole Amici, riformulato in corso di seduta. Con quest'articolo, volto a novellare l'articolo 4, comma 1, della legge 2 luglio 2004, n. 165, si introduce una disposizione di principio indirizzata alle regioni per promuovere la parità di accesso dei due sessi alle cariche elettive, incentivando l'accesso del genere sottorappresentato. L'articolo, nella versione approvata in sede di esame delle proposte emendative, prevedeva la facoltà per le Regioni di dichiarare nulle le liste prive dei requisiti idonei al rispetto del principio di parità di genere. Accogliendo un'osservazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali, la Commissione ha espunto tale previsione, al fine di rispettare la riserva della piena competenza legislativa regionale in ordine alle specifiche modalità attraverso cui perseguire l'obiettivo della parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive.
L'articolo 4 deriva dall'approvazione di un articolo aggiuntivo a prima firma dell'on. Amici, volto a novellare la legge 22 febbraio 2000, n. 28, in materia di disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di comunicazione nella campagna elettorale. Con l'aggiunta di un comma all'articolo 1 della legge n. 28 del 2000, viene inserita Pag. 64una disposizione di principio volta a prevedere che i mezzi di informazione, ai fini dell'applicazione della citata legge n. 28 del 2000, siano tenuti al rispetto dei principi stabiliti dall'articolo 51, primo comma, della Costituzione, per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini.
L'articolo 5 del testo unificato, infine, recepisce una disposizione contenuta, come già detto, solo nel disegno di legge governativo n. 4415, volta a modificare l'articolo 57 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di pari opportunità nelle amministrazioni pubbliche e, più precisamente, in tema di presenza femminile nelle commissioni di concorso per l'accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni. In particolare, si inserisce la regola dell'arrotondamento all'unità prossima da utilizzare in caso di quoziente frazionario derivante dal calcolo della percentuale. Inoltre, si interviene per assicurare l'effettività della disposizione, prevedendo che l'atto di nomina della commissione venga inviato entro tre giorni alla consigliera o al consigliere di parità, nazionale o regionale, da individuare in base alla competenza territoriale dell'amministrazione che ha bandito il concorso. In tal modo, si istituisce una forma di vigilanza sulle nomine. Proprio nel senso di rafforzare tale forma di vigilanza e rendere più efficace la disposizione, la Commissione ha approvato un emendamento a prima firma dell'onorevole Calabria che integra la novella dell'articolo 57. Il testo licenziato dalla Commissione prevede quindi che la consigliera o il consigliere di parità, qualora ravvisi la violazione delle disposizioni volte a garantire l'equilibrio della presenza dei due sessi nelle commissioni di concorso, diffida l'amministrazione a rimuoverla entro il termine massimo di trenta giorni. In caso di inottemperanza alla diffida la consigliera o il consigliere di parità procedente propone, entro i successivi quindici giorni, ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti ai sensi di quanto previsto dal codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 1987. Inoltre si prevede che il mancato invio dell'atto di nomina della commissione di concorso alla consigliera o al consigliere di parità comporti responsabilità del dirigente responsabile del procedimento, da valutare anche al fine del raggiungimento degli obiettivi.
La Commissione ha infine adattato, con l'approvazione di emendamenti della relatrice, il titolo alle modifiche intervenute.