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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 520 di lunedì 19 settembre 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 15,05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 12 settembre 2011.

(È approvato).

PRESIDENTE. Faccio presente che l'onorevole Segretario ha letto il processo verbale da seduto perché afflitto da un lieve disturbo e non per mancanza di rispetto all'Aula. Gli rivolgiamo i migliori auguri di una sollecita guarigione.

TESTO AGGIORNATO AL 20 SETTEMBRE 2011

Missioni.

Testo sostituito con l'errata corrige del 20 SETTEMBRE 2011 PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Berlusconi, Bernini Bovicelli, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Catone, Ceroni, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Della Vedova, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Meloni, Miccichè, Migliori, Misiti, Moffa, Leoluca Orlando, Pistelli, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefano, Tremonti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Berlusconi, Bernini Bovicelli, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Catone, Ceroni, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Della Vedova, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Meloni, Miccichè, Migliori, Misiti, Moffa, Leoluca Orlando, Pistelli, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Assegnazione alla V Commissione (Bilancio) dei disegni di legge relativi al rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2010 e all'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2011.

PRESIDENTE. Comunico che a norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti disegni di legge sono assegnati alla V Commissione (Bilancio), in sede referente, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali: S. 2803 - «Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2010» (approvato dal Senato) (4621); S. 2804 - «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2011» (approvato dal Senato) (4622).
Le Commissioni, ai fini dell'espressione dei pareri e della conclusione dell'esame in sede referente, dovranno tener conto delle determinazioni assunte dalla Conferenza dei presidenti di gruppo in ordine all'inserimento dei due disegni di legge nel calendario dei lavori dell'Assemblea.

Discussione del testo unificato dei progetti di legge: S. 2472 - Cosenza; d'iniziativa del Governo: Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani (approvato dal Senato) (A.C. 3465-4290-A) (ore 15,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato dei progetti Pag. 2di legge di iniziativa del deputato Cosenza e di iniziativa del Governo, già approvato dal Senato: Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3465-4290-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto, altresì, che l'VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il vicepresidente dell'VIII Commissione (Ambiente), onorevole Tortoli, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore.

ROBERTO TORTOLI, Vicepresidente dell'VIII Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel sostituire il presidente Alessandri, relatore sul provvedimento in esame e impossibilitato a partecipare ai nostri lavori odierni, faccio presente che il disegno di legge oggi all'attenzione dell'Assemblea, già approvato dal Senato con il voto favorevole di tutti i gruppi parlamentari, è un provvedimento significativo ed importante sotto diversi punti di vista. Lo è anzitutto perché l'incremento delle aree verdi contribuisce a rafforzare le politiche ambientali in direzione della riduzione dell'inquinamento atmosferico e del miglioramento della qualità dell'aria, di un più corretto assetto idrogeologico del territorio e, non ultimo, del conseguimento degli obiettivi assunti in sede europea e internazionale dal nostro Paese in materia di riduzione delle emissioni di CO2.
Sono convinto, inoltre, che il provvedimento possa contribuire fattivamente alla diffusione di una rinnovata consapevolezza dei cittadini circa la necessità di una più attenta salvaguardia del patrimonio arboreo nazionale inteso come parte essenziale della bellezza e della varietà del paesaggio italiano e dei suoi territori e come elemento prezioso della qualità della vita quotidiana dei cittadini nelle nostre città e nei nostri borghi. Al perseguimento di questi obiettivi mirano le misure articolate e coerenti che istituiscono nel giorno 21 novembre la giornata nazionale degli alberi, rafforzano la tutela degli alberi secolari e delle alberate di particolare pregio storico e monumentale, mettono a disposizione delle amministrazioni locali nuovi strumenti di iniziativa per incrementare e valorizzare il proprio patrimonio arboreo; incentivano, infine, lo sviluppo degli spazi di verde urbano prevedendo la possibilità per le regioni, le province e i comuni di adottare misure volte a favorire il risparmio e l'efficienza energetica degli edifici con particolare riferimento alla previsione di aree verdi, alle coperture a verde e al rinverdimento delle pareti degli edifici.
In particolare, l'articolo 1 del disegno di legge istituisce, nel giorno 21 novembre, la «giornata nazionale degli alberi» che sostituisce la «festa degli alberi». Durante tale giornata il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può promuovere, d'intesa con i Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle politiche agricole, alimentari e forestali, iniziative nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle università e negli istituti di istruzione superiore, volte a diffondere una nuova cultura ambientale. Si prevede poi che durante la giornata degli alberi le istituzioni scolastiche curino, in collaborazione con le autorità comunali e regionali e con il corpo forestale dello Stato, la messa a dimora di piantine di specie autoctone in aree urbane individuate d'intesa con ciascun comune.
L'articolo 2 reca alcune modifiche alla legge n. 113 del 1992 che ha introdotto l'obbligo, per i comuni, di porre a dimora un albero per ogni registrazione anagrafica di neonato residente e che era stata, in larga parte, disattesa per assenza di vincoli stringenti per i comuni. Le modifiche prevedono che l'obbligo di messa a dimora di un albero sussista solo per i comuni con popolazione superiore a 15 Pag. 3mila abitanti e valga anche per ogni minore adottato. Viene ridotto il termine per la messa a dimora da un anno a tre mesi, tenendo conto del periodo migliore per la piantumazione, fermo restando che essa può essere differita in caso di avversità stagionali. Al fine di conferire maggiore effettività a tali norme, si prevede che ciascun comune provvede al censimento degli alberi piantati entro un anno dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame, che dovrà essere reso noto allo scadere del mandato dei sindaci al fine di instaurare una forma di verifica.
Il successivo articolo 3, introdotto in sede di esame in Commissione, istituisce un comitato per lo sviluppo del verde pubblico, senza nuovi oneri per la finanza pubblica, con funzioni di monitoraggio e promozione di attività e regolamentazione. Il comitato propone un piano nazionale che fissa i criteri per la realizzazione di aree verdi e filari negli spazi urbani e per la riqualificazione degli edifici pubblici, il rinverdimento delle pareti e dei lastrici solari, la creazione di orti e giardini. I risultati del monitoraggio sono trasmessi alle Camere ogni anno. Con una novella all'articolo 43 della legge n. 449 del 1997, l'articolo 4 prevede poi che le amministrazioni locali possano stipulare contratti di sponsorizzazione per promuovere iniziative finalizzate a favorire l'assorbimento di emissioni di CO2 tramite l'incremento e la valorizzazione del patrimonio arboreo.
L'articolo 5 detta disposizioni per la promozione di iniziative locali per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, prevedendo la possibilità per le regioni, province e comuni, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e delle risorse disponibili, di adottare misure volte a favorire il risparmio e l'efficienza energetica, l'assorbimento delle polveri sottili e a ridurre l'effetto «isola di calore» con riferimento alla previsione di aree verdi, alla tutela del patrimonio arboreo, alle coperture a verde e al rinverdimento delle aree oggetto di edificazione.
Il successivo articolo 6 rinvia, invece, ad appositi regolamenti comunali l'introduzione di disposizioni che incentivino l'utilizzo di tecniche che prevedono il ricorso al verde pensile e alle pareti rinverdite per le nuove costruzioni, mentre per i nuovi stabilimenti industriali e commerciali si dispone che le relative recinzioni debbano prevedere il ricorso a soluzioni che utilizzino il verde pensile e le pareti rinverdite.
L'articolo 7, infine, introduce disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi secolari, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale, definiti «alberi monumentali». Un decreto interministeriale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e da emanare entro sei mesi dall'entrata in vigore del disegno di legge, dovrà stabilire i principi e i criteri direttivi per il censimento, da parte dei comuni, e per la redazione del periodico aggiornamento degli elenchi regionali e comunali e dovrà istituire l'elenco degli alberi monumentali d'Italia, alla cui gestione provvede il corpo forestale dello Stato.
Le regioni, entro un anno dall'entrata in vigore del disegno di legge, recepiscono la definizione di «albero monumentale» e raccolgono i dati risultanti dal censimento svolto dai comuni. Lo stesso articolo 6 introduce una sanzione amministrativa - che va da 5 mila a 100 mila euro - per l'abbattimento e/o il danneggiamento degli alberi monumentali, facendo comunque salvi alcuni casi motivati e improcrastinabili e previa autorizzazione comunale e parere obbligatorio e vincolante del corpo forestale dello Stato.
Nel ribadire quindi il mio giudizio positivo su un provvedimento piccolo, ma rilevante per l'importanza delle tematiche affrontate e delle soluzioni proposte, consentitemi di esprimere un particolare apprezzamento per il metodo di lavoro che ha reso possibile giungere alla formulazione del testo che oggi è all'esame dell'Assemblea.
Grazie al contributo fattivo di tutti i gruppi parlamentari, alla disponibilità del Governo di cui do volentieri atto e ad un confronto aperto con le Commissioni parlamentari Pag. 4competenti del Senato e della Camera che ha permesso l'accoglimento delle proposte emerse dal dibattito parlamentare, il testo unificato in esame si è notevolmente e positivamente arricchito, passando - dall'originaria impostazione incentrata sull'aggiornamento della disciplina relativa alla celebrazione della festa degli alberi e agli impegni delle amministrazioni locali nella messa a dimora di alberi - alla previsione di norme di più ampia portata e significato, capaci di dare nuova forza all'obiettivo della valorizzazione dello straordinario patrimonio arboreo italiano, con misure che vanno dalla promozione degli spazi verdi urbani all'incentivazione per l'utilizzo del verde ai fini del risparmio e dell'efficienza energetica degli edifici alla tutela e alla salvaguardia degli alberi secolari e monumentali.
Infine, così come ho ritenuto giusto evidenziare i punti qualificanti di metodo e di merito dell'iter parlamentare che ha condotto alla predisposizione del testo oggi all'attenzione dell'Assemblea, sento il dovere di riconoscere che, nel corso dell'esame in Commissione, anche in ragione della difficile situazione della finanza pubblica, non è stato possibile accogliere talune proposte emendative dirette a rafforzare ulteriormente le politiche di gestione e di implementazione degli spazi verdi urbani, senza però nulla togliere alla bontà e all'importanza del lavoro svolto ed alla qualità del testo predisposto.
Rimane comunque il forte auspicio politico che l'approvazione del presente testo unificato possa rappresentare un elemento di rilancio di tutte quelle iniziative anche parlamentari - penso in primo luogo al disegno di legge n. 1952 sul cosiddetto sistema casa-qualità, approvato dalla Camera lo scorso 8 giugno, ma purtroppo non ancora approvato definitivamente dal Senato - che fanno della bioedilizia e della bioarchitettura uno degli strumenti fondamentali delle politiche di governo del territorio e di riqualificazione del patrimonio edilizio nazionale, con il duplice obiettivo di rimettere in moto l'economia in uno dei suoi settori più importanti e di rispondere ad una grande esigenza sociale e civile di case e quartieri di qualità e di una migliore qualità della vita nelle nostre città e nei nostri territori.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ELIO VITTORIO BELCASTRO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, non si può non condividere in toto la relazione del vicepresidente della Commissione, che ha fotografato, in tutte le sue componenti, questo provvedimento che si rivela assolutamente utile soprattutto con particolare riguardo alle problematiche ambientali, che stanno fortemente a cuore a questo Ministero.
Per cui, condividiamo e sposiamo in toto il contenuto della relazione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cosenza. Ne ha facoltà.

GIULIA COSENZA. Signor Presidente, vorrei innanzitutto esprimere l'apprezzamento per il fatto che la Camera oggi si trovi ad esaminare il testo unificato in questione, che ha lo scopo di stimolare la crescita degli spazi verdi nella città.
Tale tema a mio parere ha un'enorme importanza nell'ottica di offrire, in particolare a coloro che abitano nelle più grandi città del nostro Paese, una qualità della vita migliore e un adeguato modello di sviluppo urbanistico. Non c'è dubbio infatti che l'esistenza di spazi verdi adeguati e ben strutturati sia assolutamente essenziale sia nel centro delle aree metropolitane che nelle zone periferiche e nelle cinture delle città dove crescenti tassi di antropizzazione e l'eredità di una crescita urbanistica spesse volte disordinata e fuori controllo abbassano la qualità della vita soprattutto per le categorie sociali più deboli.
Ritengo utile citare velocemente qualche dato in modo da condividere realmente le dimensioni dell'urgenza del problema: secondo i dati più aggiornati in Europa le aree urbane ospitano circa l'80 Pag. 5per cento della popolazione totale. In tale contesto l'Italia - che pure è un Paese con un grande numero di piccoli comuni - vede quasi il 20 per cento della propria popolazione risiedere nelle 15 città più grandi; città come Napoli hanno una densità abitativa pari a più di 8 mila abitanti per chilometro quadrato. Nelle aree metropolitane afferenti alle 15 città maggiori sono presenti circa il 63 per cento delle attività industriali e terziarie e il 71 per cento delle attività di terziario avanzato. Pensiamo inoltre a come Napoli e Milano vedano le loro superfici totali urbanizzate rispettivamente del 89 per cento e del 78 per cento con prospettive di ulteriore veloce crescita di questo tasso. Vi è quindi di fronte a noi la concreta prospettiva di città sempre più «atrofizzate», con un numero di veicoli sempre più alto, con più attività inquinanti e soprattutto con assetti urbanistici destinati a divenire sempre più complessi.
In un contesto del genere è essenziale trovare politiche e modi che rendano in qualche modo sostenibili questi sviluppi; in altre parole visto lo sviluppo della dimensione urbana in atto in tutto il mondo e, come vedevamo, nel nostro, Paese oggi dobbiamo assolutamente affermare il concetto dello sviluppo sostenibile che è sempre più al centro delle riflessioni della comunità internazionale.
Quindi la città deve essere in grado di migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti, di avere un assetto urbanistico più efficiente, di rinnovare il rapporto tra centro e periferie e di offrire tutta una nuova serie di servizi soprattutto ad alcune specifiche categorie come i bambini e gli anziani. A tal fine mi sento di poter dire che anche quella di sviluppare gli spazi verdi urbani sia una necessità primaria proprio al fine di raggiungere l'obiettivo della città sostenibile.
La sostenibilità urbana si realizza nella gestione corretta e partecipata degli spazi verdi posti all'interno del tessuto cittadino e nell'immediato intorno; il sistema delle aree verdi si contrappone in senso funzionale al groviglio di infrastrutture ed elementi antropici che caratterizza ciascun mosaico urbano. Il verde, attraverso anche la formazione di corridoi, tenta di ristabilire equilibri e funzionalità ecologiche essenziali per la qualità della nostra vita. A queste prerogative si sommano nuove funzionalità legate all'assorbimento di polveri sottili e metalli pesanti prodotti dai mezzi di trasporto e dagli impianti di riscaldamento, al contenimento degli squilibri termici e delle perdite di acqua meteorica.
Nel secolo scorso molti pianificatori hanno cercato di disegnare spazi urbani che oltre ad essere funzionali fossero belli, sani, igienici e nuovi rispetto a quelli che si andavano a formare nel contesto di una trasformazione della società da rurale a industriale e post-industriale. Sono state individuate diverse soluzioni tipologiche di sviluppo urbano, dalla città diffusa alla città consolidata, nelle quali il verde è sempre stato considerato un elemento sul quale fondare la nuova urbanistica; è pertanto sempre stato chiaro che il verde oltre che elemento di semplice arredo o spazio per la ricreazione fosse portatore di valore e funzioni.
Questa valenza del verde è sempre stata percepita anche se poi solo in epoca recente si sono identificati gli effetti benefici di cui abbiamo parlato. Le statistiche ambientali a livello europeo evidenziano come la dotazione di verde urbano italiano sia di norma nettamente inferiore a quella di altre realtà del centro e nord Europa; in molte città scandinave, inglesi e tedesche la superficie urbana a verde è di norma maggiore dei principali centri urbani italiani. Le motivazione di queste diversità nello stato dell'ambiente urbano affondano le proprie origini nell'ambito di questioni economiche, sociali, culturali e climatiche. In Italia una politica del verde pubblico urbano si può dire che sia esistita - seppure parzialmente si sia espressa - solo nell'Ottocento: molte città come Torino, Milano, Genova e Firenze hanno vissuto nel XIX secolo un profondo cambiamento della propria struttura urbana. Furono realizzati viali alberati, parchi e giardini pubblici che oltre ad essere elementi Pag. 6di arredo estetico perseguivano la riqualificazione funzionale e lo sviluppo di un nuovo tessuto urbano.
Tutto questo fervore portò comunque a risultati bene inferiori a quelli che si ebbero nel resto d'Europa e molto presto si esaurì.
Di contro, nel corso della prima metà del XX secolo, in Paesi quali Germania, Francia e Inghilterra e in Scandinavia, il tema del verde rimase basilare nello sviluppo delle aree urbane e nell'evoluzione della vita sociale.
Per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta in Italia la crescita urbana appare senza limiti e regole. Il verde non costituisce un'esigenza, per la città si cercano solo nuovi volumi. Molte città del sud sono una triste testimonianza di ciò, sono le più arretrate in tal senso, le più deturpate dall'edilizia selvaggia e dalla mancanza del verde. In tal senso, il provvedimento al nostro esame rappresenta una presa d'atto e insieme l'avvio di una serie di misure che potranno essere senz'altro di stimolo a livello di iniziative da prendere a livello nazionale e soprattutto a livello locale.
Trovo molto importante l'azione di monitoraggio sull'attuazione del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e la trasmissione alle Camere di una relazione sui risultati, perché costituirà uno strumento di lavoro che attiverà tanti fermenti positivi, come l'elaborazione di un piano nazionale per la realizzazione di aree verdi nelle maggiori città, che favorirà l'adozione di strumenti di pianificazione del verde per ogni comune. Solo quando sarà di prassi affiancare al piano regolatore urbanistico il piano del verde, il nostro obiettivo sarà realizzato e per questo bisognerà lavorare, in modo da superare il vero problema del nostro Paese, che non è la mancanza di leggi, bensì una mancanza di sistematicità nella loro applicazione.
A confermarlo sono appunto i due provvedimenti e poi il testo unificato che li riunisce, nel momento in cui essi contengono proposte concrete relative non tanto alla creazione di nuove norme, quanto all'effettiva applicazione sull'intero suolo nazionale di leggi già esistenti e di contenuto certamente importante, le quali però finora sono state troppe volte disapplicate. Mi riferisco alla legge n. 113 del 1992, sull'obbligo di piantare un albero per ogni neonato, la cui effettiva applicazione, rispetto alle lacune enormi fin qui evidenziate dai comuni, ha un ruolo molto importante nel testo unificato al nostro esame, oppure al decreto ministeriale n. 1444 del 1968, tuttora in vigore ma largamente inattuato, che garantirebbe la percentuale di verde da realizzare per ogni costruzione autorizzata.
Insomma in un Paese come l'Italia, che nei centocinquanta anni di unità ha prodotto un numero esorbitante di leggi e norme, spesso volte a creare confusione normativa e caos applicativo, anche in materia di ambiente e di assetto urbanistico delle città, più che di nuove leggi c'è bisogno di un rinnovato impegno, per far sì che le norme già esistenti, se valide ed utili, vengano realmente applicate.
Desidero ricordare che sono passati ormai quasi vent'anni da quando nel 1993, nel libro verde sullo sviluppo urbano elaborato dalle istituzioni europee, si affermava che le città continueranno a rappresentare un elemento cruciale per lo sviluppo economico e sociale dell'Europa. Come ho già avuto modo di dire in precedenza, questa previsione si è rivelata più che mai vera. Ora abbiamo un primo cambio di prospettiva, anche rispetto al dibattito in corso, per esempio, in città come Roma e Milano, sui possibili processi di rielaborazione dei modelli di sviluppo architettonico ambientale delle città, con particolare riferimento alle periferie.
Concludo auspicando quindi un'approvazione unanime, come è già avvenuto in Senato in prima lettura con riguardo al provvedimento presentato dal Governo. Temi come quelli al centro di questo provvedimento devono essere per forza di cose, direi per la loro stessa natura, caratterizzati da un impegno comune di tutte le parti politiche, anzitutto perché vanno incontro, offrendo risposte concrete, alla richiesta sempre maggiore da parte degli abitanti delle città italiane di Pag. 7un reale impegno delle istituzioni in favore di una qualità della vita migliore e del riconoscimento del valore di un paesaggio curato, per cogliere sempre migliori occasioni di sviluppo e promozione del nostro bellissimo Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mondello. Ne ha facoltà.

GABRIELLA MONDELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario all'ambiente, vicepresidente della Commissione, prendo la parola su questo importante provvedimento, che scaturisce da una proposta di legge dell'onorevole Cosenza, che abbiamo testé ascoltato, e sul disegno di legge che è stato esaminato già in Senato ed inviato quindi alla Camera. Quando per la prima volta presi visione della proposta e la affrontammo anche in Commissione, tutto sommato pensai che forse esisteva già una legislazione in materia e che forse la proposta di legge poteva apparire superflua se non aggiuntiva a qualcosa di esistente.
Ma, applicandomi e studiando la problematica, mi sono veramente convinta, come è stato detto anche da chi mi ha preceduto, che, se non mancano le leggi, è molto carente la loro applicabilità. Alcune cose sono già state dette, ma penso anch'io che sia necessario richiamare l'attenzione proprio sul problema del verde pubblico.
Nel 2009 la densità di verde urbano percentuale sulla superficie comunale relativa al complesso dei comuni capoluoghi di provincia si attesta al 9,3 per cento (molto bassa), risultando sostanzialmente stabile rispetto al 2008. Sono i capoluoghi di provincia dell'Abruzzo, e dobbiamo dire anche del Lazio, quelli dotati mediamente di una maggiore densità di aree verdi, con una percentuale pari rispettivamente al 29,1 e al 16,4 per cento.
La presenza del verde migliora il paesaggio urbano, rendendo più favorevole la permanenza nelle città, resasi necessaria soprattutto per esigenze lavorative (questo lo sappiamo). In particolare, la vegetazione contribuisce a mitigare il clima urbano, alla filtrazione e alla purificazione dell'area dalle polveri e dagli inquinanti, all'attenuazione dei rumori e delle vibrazioni, oltre che alla protezione del suolo. Per questo motivo, è importante e auspicabile che le singole amministrazioni provvedano a realizzare periodicamente un censimento del verde urbano.
Quest'ultimo deve essere propedeutico alla stesura del piano del verde urbano, ossia di uno strumento integrativo del piano regolatore generale, per la creazione di un sistema del verde in ambito urbano, un documento che non risulta molto utilizzato, con solo il 24,1 per cento dei comuni capoluoghi di provincia che nel 2009 aveva disposto un piano del verde urbano. Il concetto di verde pubblico nasce con l'Illuminismo, per assurgere, dalla Rivoluzione francese in poi, a simbolo di un'uguaglianza sociale, forse apparente. Nei boulevard e nelle aree verdi il piccolo borghese e il proletario potevano liberamente passeggiare a fianco del possidente e dell'aristocratico, cosa che non si sarebbe mai potuta verificare nei giardini, per fare un esempio, della reggia di Versailles.
Nell'Ottocento, sulla spinta di iniziative analoghe nel resto d'Europa (Inghilterra, Francia e Baviera), sorgono i primi giardini pubblici in tutte le principali città italiane. In molti progetti il verde assume un ruolo di sistema, sul quale fondare uno sviluppo dell'area urbana armonico e rispettoso, non solo del decoro, ma anche di precise esigenze di salute pubblica e di recupero di terreni o quartieri degradati. Proprio come strade, ponti e case costituiscono il capitale «costruito» delle nostre città, alberi, arbusti e prati ne rappresentano il capitale naturale, l'infrastruttura verde che si integra nel tessuto urbanistico generale.
Per la sua natura di bene pubblico e risorsa comune, capace di generare benefici per l'intera collettività, il verde urbano deve essere considerato oggetto specifico di politiche pubbliche mirate. Il verde urbano non è da considerarsi solo come tassello urbanistico, come spazio non costruito o come ritaglio, ma va soprattutto inteso e gestito come componente fondamentale Pag. 8della qualità della vita, che esplica molte altre funzioni, oltre a quella di svago e di ricreazione: decongestiona, come ho già detto, l'atmosfera, mitiga il rumore e ha moltissimi altri effetti.
Quindi, è una componente della qualità, anche estetica, dei quartieri. Se poi si guardasse anche all'aspetto economico, fa crescere anche il valore commerciale degli edifici ubicati nella prossimità di spazi verdi. Anche il processo avviato con il programma Agenda 21, adottato da più di 178 Paesi alla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e sullo sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, rappresenta un passaggio significativo nell'adozione da parte dei Governi di obiettivi concreti, legati alla conservazione delle risorse naturali e alla pianificazione urbana sostenibile.
La Carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile (nota anche come Carta di Aalborg) è un altro esempio di strumento volontario - «volontario» però - adottato da diverse amministrazioni per responsabilizzare le politiche verso la sostenibilità. Approvata dai partecipanti alla Conferenza europea sulle città sostenibili, tenutasi ad Aalborg in Danimarca nel 1994, la Carta individua dieci grandi temi chiave per la sostenibilità, da tradursi in altrettanti obiettivi per le politiche locali. Tra questi, la diffusione del verde cittadino viene riconosciuta tra gli indici principali di civiltà e di vivibilità nella realtà urbana.
Appare, quindi, chiara e matura la consapevolezza politica circa l'importanza di preservare il patrimonio naturale presente nella città, come dimostrano le numerose dichiarazioni di intenti, firmate e promosse in ambito internazionale - e adottate anche nel nostro Paese - sulla necessità di considerare e gestire le aree verdi come una risorsa strategica per le politiche di sostenibilità urbana.
Sebbene si menzionino spesso gli importanti benefici per l'ambiente e la qualità della vita forniti dalle aree verdi, il loro ruolo all'interno della pianificazione urbana è purtroppo ancora marginale e, tuttora, scarsa rimane l'integrazione delle funzioni della natura urbana con le altre politiche di settore, ovvero mobilità ed edilizia. Il contesto normativo in cui si inserisce la materia è disomogeneo e legato ad un impianto legislativo vecchio. Manca in tale contesto il riferimento alle mutate condizioni ambientali delle città e alle nuove esigenze di adattamento, dettate dai cambiamenti climatici in atto.
Inoltre occorre ricordare che, oltre alle funzioni già citate del verde pubblico, gli alberi presenti hanno anche importanza dal punto di vista igienico e sanitario. Hanno anche una funzione sociale e ricreativa, perché la presenza di parchi, giardini, aree e piazze alberate o comunque dotate di arredo verde, consente di soddisfare un'importante esigenza ricreativa e sociale, rendendo la città più vivibile, a dimensione degli uomini e delle famiglie, ed ha anche una funzione culturale e didattica. Questo si collega con l'altra parte del provvedimento, relativa alla semina da parte degli alunni o ai bambini che nascono con un nuovo albero.
La presenza del verde costituisce un elemento di grande importanza dal punto di vista culturale, favorendo la conoscenza e il rispetto dell'ambiente soprattutto per le generazioni più giovani. Quindi, ben venga la proposta di monitoraggio nazionale sull'attuazione delle norme e l'aumento delle aree verdi. Infatti sappiamo benissimo come sia sempre in agguato la speculazione edilizia e l'inosservanza dei parametri. Dobbiamo quindi fare molta attenzione affinché il patrimonio verde esistente e quello da potenziare - anche questo è nello spirito del testo in esame - vengano naturalmente proposti e anche costituiscano l'ossatura del testo unificato dei progetti di legge, il cui esame proseguirà domani alla Camera.
Ho ascoltato la relazione del vicepresidente della Commissione con una certa preoccupazione per quello che riguarda la parte economica, perché è pur vero che è importante lo spirito del provvedimento, ma sappiamo anche che ciò non basta. C'è bisogno di fondi e, anche se il momento economico è particolarmente difficile, occorre reperire risorse, nell'ambito soprattutto del Ministero dell'ambiente e della Pag. 9tutela del territorio e del mare, che troppo spesso, a mio parere, è legato da lacci e laccioli, pur disponendo a volte anche di fondi economici e sopra questo aspetto richiamo l'attenzione del Governo. È importante, quindi, che vi siano anche le risorse.
Concludo il mio intervento, riservandomi domani - pur essendo l'impostazione del gruppo UdCpTP che rappresento favorevole al provvedimento - di sentire comunque come si svilupperà la discussione in Aula.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario Belcastro, colleghi, mi dispiace dover fare un po' il «Pierino» della situazione però, anche in Commissione, abbiamo cercato di capire dove stava il tesoro del presente provvedimento. È stato anche arricchito, grazie alla proposta di legge della collega Cosenza e grazie allo sforzo da parte di tutti i colleghi in Commissione, ma anche grazie al lavoro delle altre Commissioni competenti; si è cercato di dargli un «vestito», di renderlo, non dico dignitoso, ma di dargli il volto di un qualcosa di utile.
Oggi ci troviamo in questa situazione, dopo che abbiamo fatto tentativi di semplificazione - tant'è vero che questo Governo ha un Ministro della semplificazione - e abbiamo riformato il titolo V della Costituzione. Ma, a distanza di dieci anni, a volte si discute ancora, come in questo caso, se si tratta di una materia di competenza dello Stato o se, invece, è esclusivamente di competenza regionale. Stiamo anche rivendicando autonomie sugli enti locali e autonomie scolastiche, che sono chiamate in causa anche dal presente provvedimento. Cerchiamo di capire di cosa abbiamo bisogno e ci siamo resi conto, almeno nelle premesse, che vi è un problema di qualità della vita nelle grandi città, qualità della vita dettata da un'aria che non rispetta i parametri di vivibilità.
Se dovessimo usare questo criterio dovremmo evacuare per mesi tante città, non solo nella pianura padana, che rappresenta un catino di raccolta delle polveri sottili, ma anche, purtroppo, ahimè, in tante zone sparpagliate per il resto dell'Italia. Infatti, per anidride carbonica e per polveri sottili superiamo, non di 1, 2 o 10 volte all'anno i parametri che ci siamo dati a livello europeo, anche noi nel recepire le direttive, ma li superiamo per 50 o 100 giornate all'anno e, in alcuni casi, anche per molti più giorni. Certo, quello che costa meno per combattere questo degrado è sicuramente il verde.
Ci siamo chiesti anche il perché sia necessario avere più verde; ci serve per evitare che l'aggressione urbanistica esageri e, quindi, lo consumi? Però, abbiamo approvato delle leggi, anche poco tempo fa, in base alle quali, alla fine, con i piani integrati di sviluppo si possono cambiare parametri di verde, di superfici, di altezza o altro, semplicemente con l'approvazione in giunta; anzi, l'approvazione deve avvenire entro 90 giorni. Abbiamo sviluppato un Piano casa per l'emergenza casa - che non ha dato i risultati naturalmente che vi erano scritti nelle promesse, ma questo è un altro argomento - pensando che premiando col 20 o 30 per cento in più di volumetrie, quel problema, quell'emergenza, fosse risolta. Adesso ci poniamo un dubbio: forse consumare troppo il suolo con capannoni, case e fabbriche non va.
Ma chi è che ha in mano oggi lo strumento per la gestione del territorio? Non condividiamo ancora il principio che lo strumento ce l'ha in mano l'ente locale e, quindi, dobbiamo fare in modo che l'ente locale diventi sempre più responsabile del proprio territorio e delle proprie risorse. Forse, lo Stato deve fare un po' meno polvere. Credo che utilizziamo la solita minestra, qui la giriamo, l'allunghiamo col brodo, cerchiamo di dire che stiamo facendo un bel prodotto. Mi dispiace che non c'è il Ministro, perché gli avrei detto volentieri che stiamo facendo un qualcosa di inutile e anche di pericoloso. Infatti, quando qualcosa è inutile, ma diventa legge, nella maglia delle leggi qualcuno di buona volontà ci cade sempre dentro e, poi, non si spiega il perché. Pag. 10
Ci siamo avventurati in questa materia con l'articolo 1: in particolare, si è previsto di trasformare la «Festa degli alberi», memoria del ventennio perché era prevista dal regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, nella «Giornata nazionale degli alberi» perché ci siamo accorti che più nessuno dava importanza alle previsioni contenute nel suddetto provvedimento; nessuno cercava di rispettare i parametri del mettere a dimora una pianta per ogni nato. Abbiamo pensato bene di considerare in questo progetto di legge, oltre ai nati, anche i figli adottati. Ci siamo accorti che le nascite purtroppo calano e abbiamo quindi cercato di integrare questo parametro ed era necessario farlo per legge. Abbiamo aumentato un po' la consistenza. Magari potevamo presentare un emendamento e prevedere anche le persone invalide a carico della famiglia così man mano che questi acquisivano quel titolo aumentavano le piante a dimora. Comunque non so se è proprio questo il problema. Abbiamo deciso di trasformare questa giornata in qualcosa di più significativo con uno strumento di legge da dedicare ogni anno a qualcosa di forte e di concreto, coinvolgendo le scuole. Forse non abbiamo pensato che le scuole dalla Sicilia alla Valle d'Aosta hanno una loro caratterizzazione rispetto al proprio territorio e con l'autonomia scolastica dovremmo lasciare loro identificare cosa è opportuno o meno. Infatti quelli di Livigno hanno la neve fino a giugno e forse hanno l'interesse a valorizzare dal punto di vista dell'ambiente qualcos'altro rispetto alla giornata dell'albero e invece chi risiede nell'isola di Pantelleria trova significativo difendere attraverso il verde e quindi promuove iniziative di altro tipo. In questo testo invece stabiliamo che, rispetto al vecchio regio decreto del 1923, ogni anno andremo ad individuare una giornata attraverso un lavoro impegnativo del Ministro dell'ambiente dedicata a qualcosa di emergente, anno per anno. Tutto questo lavoro lo dobbiamo fare con una struttura importante dello Stato, con il Corpo forestale dello Stato così finalmente troviamo un impegno importante a questi sette-otto mila uomini ancora a stipendio, che e saranno coinvolti in modo significativo con le scuole, non le famiglie, non le associazioni di volontariato che ormai sono moltissime. Giusto ieri è stata promossa da Legambiente la giornata per la pulizia del mondo ma si organizzano molte altre iniziative, anche da parte di altre stupende associazioni anche di livello locale. Quindi, forse mi chiedo se oggi sia così rilevante caricare il Corpo forestale dello Stato di un motivo di esistere così importante come quello di contribuire insieme alle scuole. Magari le scuole che oggi vengono accantonate dovrebbero svolgere questo lavoro nel loro sistema, nella loro rete: le scuole di agricoltura, gli istituti tecnici, professionali, le università, che sono abbandonate a sé, in questo campo dovrebbero diventare promotori di iniziative sul territorio. Invece pensiamo che il Corpo forestale dello Stato abbia questo compito importante. Quindi, vi saranno relazioni, verbali, dipartimenti che, a loro volta, raccolgono i dati e così via. Non rientra nell'articolo 1 ma colgo comunque l'occasione per stare in argomento con riferimento al Corpo forestale dello Stato: abbiamo deciso che devono tenere anche il registro delle piante monumentali. I comuni dovrebbero naturalmente valorizzare e tenere in considerazione le loro piante monumentali. Magari la regione Puglia perché ha 60 milioni di ulivi tanti come gli abitanti di tutta Italia o magari - ripeto - qualche Paese alpino che ha piante rarissime da valorizzare.
Tuttavia, sono gli uomini del momento, sono le famiglie, è chi vive sul territorio che cerca di capire e di valorizzare ciò che vi è, perché, altrimenti, ci si dimentica: le piante non si piantano e i viali della rimembranza vengono rasi al suolo per realizzare parcheggi interrati. Servono i parcheggi? Chi se ne importa di quelle piante che hanno qualche decina di anni! Si avvicinano al secolo ormai e, quindi, sono un po' vecchiotte! Prendiamo, allora, una cooperativa di boscaioli e rasiamole al suolo! È accaduto in tanti comuni e città e, magari, nessuno ha detto niente. Anzi, c'è stato qualcuno che ha avuto il coraggio Pag. 11di riportare sui giornali qualche lettera di qualche cittadino che se ne vergognava (l'abbiamo trovato). Però, forse, nelle scuole, ci siamo dimenticati di spiegare il motivo per il quale erano stati realizzati questi percorsi alberati e perché si chiamavano «rimembranze».
Ciò è vero al punto che alcuni sindaci hanno iniziato a vietare, addirittura, le manifestazioni per la ricorrenza del 25 aprile, perché sostenevano che questi gruppi di persone un po' su di età, che volevano ricordarci cosa era accaduto, non avevano più titolo di farlo in pompa magna. È questo che accade e noi pensiamo che, attraverso il provvedimento in discussione, invece, riusciremo a cogliere l'occasione per ripristinare la situazione.
Vi erano già alcune leggi, anzi vi sono. Lo sforzo della collega Cosenza, che ha cercato di individuare nelle grandi città questo problema, è stato colto in parte, soprattutto con riferimento all'aspetto relativo all'osservatorio, ma non quello più importante, assolutamente necessario, ossia vincolare le fasce urbane di queste aree. Ciò, in linea, comunque, con la cosiddetta direttiva europea habitat, che prevede l'istituzione di «Natura 2000», relativa ai cosiddetti corridoi verdi, al fine di dare un senso a queste grandi aree.
Ebbene, per dare un senso a quel lavoro di mantenimento della qualità dell'aria - quello relativo alle foreste di pianura, alle foreste cittadine e ai boschi -, con un po' di contributi, potevano essere piantate decine di migliaia di piante e riconvertire un'area che, spesso, viene aggredita da chi, poi, vuole trasformarla, dal punto di vista urbanistico, in centri commerciali o palazzi in verticale. Il modello, infatti, non è grande né innovativo, ma è sempre lo stesso. Prima o poi, come è successo per i capannoni con la Tremonti uno, bis e ter, ci accorgeremo anche che di centri commerciali ne abbiamo troppi; ma per adesso, è un prodotto che tira.
Sempre con riferimento a queste questioni, non abbiamo avuto coraggio di chiedere allo Stato di farsene carico con le risorse, qualora le avesse, e di fare qualcosa di concreto. Non ha le risorse? Ebbene, lasci fare a chi sul territorio, magari, le ha. Qui accenniamo alle sponsorizzazioni: sono cose nobili, tuttavia, oggi si fa fatica a trovare uno sponsor anche per cose più belle.
Auguriamoci che uno sponsor aiuti una scuola sul territorio in modo che questa, poi, possa intraprendere delle iniziative. Non lo so: lasciamo libertà alle autonomie locali e alle autonomie scolastiche di indicare come recuperare un po' di risorse ed utilizzarle al meglio. Infatti, se tre o quattro anni fa, avevamo ancora qualche centinaio di milioni di euro da distribuire per le autonomie scolastiche, oggi, abbiamo azzerato anche quel capitolo e, quindi, anche per le autonomie scolastiche esiste solo lo sponsor.
Non so come gli enti locali troveranno le soluzioni attraverso gli sponsor per garantire quei servizi che devono erogare ai cittadini: «devono», perché è previsto nell'impegno che la legge gli conferisce; quindi, è un loro compito, previsto nel loro mandato. Forse, era necessario mantenere le risorse attraverso strumenti che già «camminavano», che già erano in essere, anche se non da tanti anni. Una legge che aveva fatto il Governo Prodi? Pazienza.
Tuttavia, alcuni comuni stavano già facendo progetti, stavano già lavorando, stavano facendo convenzioni con imprenditori sul territorio per realizzare questi boschi. Se noi azzeriamo questa legge, le risorse non ci saranno più, il sistema si spegne, possiamo decidere di farne un altro, di ricominciare da capo, abbiamo fatto così anche sul Piano casa. Ricominciamo da capo, azzeriamo tutto, così due o tre anni di lavoro si buttano via, tanto ne abbiamo tante di possibilità e andiamo avanti così. Potrei discutere di altro, abbiamo anche inserito l'articolo 6 sull'utilizzo di tecniche che prevedono il ricorso al verde pensile, alle pareti rinverdite e così via. Certo, è bello avere anche il verde sui palazzi, sulle case, è bello avere i tetti pensili, ma credo che non ci sia legge che tenga se non l'amore del proprietario di casa affinché la sua abitazione diventi Pag. 12sempre più vivibile e accogliente. È allora lo strumento chi ce l'ha? Ce l'ha ancora il comune che potrebbe agevolare alcuni lavori di ristrutturazione. Come fa il comune ad agevolare tali lavori? Il comune può farlo semplicemente, e purtroppo, riducendo gli oneri di urbanizzazione, senza concedere il raddoppio dei volumi. E per chiedere meno risorse a chi investe, bisogna dargli altre opportunità. Dobbiamo lavorare nel senso di semplificare la vita ai cittadini, rendendola sicuramente più «sostenibile», come qualche collega ha detto. Questo concetto di sostenibilità è piaciuto, magari per un po' di anni, perché moderno, perché copiato forse dagli inglesi o non so da chi, ma gli strumenti per misurare la sostenibilità, il metro della sostenibilità non lo abbiamo ancora definito per legge e quindi non sappiamo bene quale sia. Quello che è certo è che, andando avanti così, continuando ad aggredire il territorio, almeno per quello che è contenuto nelle premesse di questa legge, le cose non si risolvono.
Si dice anche che senza rispettare le leggi non è possibile arrivare ad una soluzione, ma non si trova in questa proposta di legge il sistema per far rispettare le leggi. Onorevoli colleghi, pensiamo veramente che, attraverso il monitoraggio, alla fine dei cinque anni di mandato, un sindaco potrà essere richiamato alle proprie responsabilità da tutti i cittadini per il fatto di non aver messo a dimora quelle mille, tremila, quattromila piante previste? Il sindaco potrà sostenere invece di averle messe e che sono i cittadini ad aver sbagliato a contarle perché non erano solo quelle autoctone ma c'erano anche quelle del giardino botanico e quelle ricambiabili anno per anno. Si prevedono queste misure ma credo bisognerebbe responsabilizzare tutti, dare più deleghe al territorio e forse bisogna anche avere il coraggio di dire che queste cose non sono più di competenza dello Stato. Lo Stato può, al limite, indicare, suggerire attraverso dibattiti, convegni, documentazione ma quando invece utilizziamo lo strumento della legge ciò diventa pericoloso perché poi, lo ripeto, quei pochi che vengono coinvolti da questa rete di norme non riescono a spiegarsi il perché vengano interessati solo loro, mentre tutti gli altri continuano a fare ancora quello che vogliono.
Non so se l'Aula durante il dibattito troverà delle soluzioni; ad oggi abbiamo ancora forti perplessità; è vero che al Senato questa proposta di legge è stata votata quasi all'unanimità però, a volte, il Parlamento (non vorrei giudicare perché non ero al Senato) ma, perlomeno la Camera, affronta queste questioni con un po' di leggerezza perché le considera materie marginali. Se il ragionamento che si fa in Aula, quando affrontiamo tali questioni, è del tipo: «bisogna andare alla svelta e votarle», allora stiamo attenti, forse si potrebbe fare a meno di farlo e faremmo un bene per l'Italia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, confesso che il provvedimento che stiamo discutendo - che presumibilmente approveremo nei prossimi giorni - si può definire un provvedimento - senza nulla togliere al lavoro che è stato svolto nel corso di questi mesi al Senato e alla Camera - senza infamia e senza lode. Ci mancherebbe che qualcuno sia contrario ad approvare e a votare favorevolmente un provvedimento che, in qualche modo, introduce e, se non altro, solleva, seppur debolmente, il tema del verde pubblico nel nostro Paese e nelle nostre città, enorme tema sociale, prima ancora che urbanistico, ma il suddetto presenta, onestamente, molti limiti. Dico ciò - lo ripeto - senza nulla togliere al lavoro che è stato svolto nel corso di questi mesi, ma, sostanzialmente, in questo provvedimento vi sono due aspetti fondamentali: il primo è l'incentivazione alla piantumazione di nuovi arbusti nelle nostre città, che poi, comunque, apre un problema di gestione e di manutenzione, perché a tutti è del tutto evidente che l'aumento delle dotazioni degli standard territoriali, che non sono solo il verde, ma anche i servizi pubblici collettivi come le scuole ed i parcheggi, pongono, Pag. 13nel momento in cui sono realizzati, un problema di costo per la loro manutenzione e gestione; l'altro aspetto che viene sollevato nel provvedimento è l'incentivazione del verde pensile, che è un po' una novità anche progettuale che ormai gira per l'Europa. Qualcuno forse si illude che colorando di bianco o di verde gli edifici delle nostre città qualcosa cambi, dal punto di vista delle emissioni, mettendo un po' di verde sugli autobus. Io ho qualche dubbio, onestamente.
Comunque, non vi è motivo per fare una critica radicale al provvedimento, ma vi è l'occasione per sollevare un tema che, purtroppo, nel dibattito politico italiano e anche nella discussione delle Camere è un tema molto marginale, che viene vissuto con un certo imbarazzo, cioè il problema di come le nostre città stanno crescendo e si stanno trasformando. In Italia, la città pubblica, cioè quella parte di città destinata ad ospitare i servizi per gli abitanti come il verde pubblico, le scuole, i parcheggi e le dotazioni territoriali dei grandi servizi metropolitani urbani quali ospedali e università, tutta quella parte pubblica della città sta morendo lentamente. Questo è il dramma al quale stanno andando incontro le nostre città. Tale parte sta morendo perché la dotazione di beni pubblici non è stata rinnovata, non è stata adeguata, sta lentamente invecchiando e, mettendoci dentro anche tutto quello che può essere definito il capitale fisso di infrastrutture e di opere pubbliche come strade, ferrovie e metropolitane, da circa vent'anni a questa parte, questo capitale fisso, non viene incrementato e deperisce. Quindi, la parte pubblica delle città italiane sta lentamente morendo. Inoltre, in un periodo di grave crisi finanziaria qualcuno pensa che le proprietà pubbliche dismesse vadano anche messe all'asta, vendute (giustamente ci si pone anche questo problema): vendiamo e valorizziamo i beni pubblici e quindi, mettiamo sul mercato una parte di queste dotazioni territoriali che, magari, in passato, non hanno neanche svolto una funzione di servizio collettivo, e penso ai compendi militari, che sono stati, comunque, dei luoghi pubblici che hanno equilibrato lo sviluppo edilizio privato delle città. Questo andamento delle cose è purtroppo in contraddizione, per esempio, con la storia dei centri storici italiani.
Qui qualcuno lo ha ricordato: se c'è stata una caratteristica delle città europee, ma in particolare di quelle italiane, è stata proprio che la città pubblica ha dominato sempre, per bellezza, per identità e per caratteristiche uniformanti dei caratteri di una città, quella parte privata e che è stata trasmessa nei secoli in molte parti integra, che ancora caratterizza i nostri centri storici (ville storiche, piazze, giardini, edifici di culto, monumenti, grandi edifici di servizio pubblico), mentre la parte privata delle città è rimasta anonima, spesso destinata ad essere, nel tempo, demolita per poter riutilizzare i sedimi fabbricabili sui quali insisteva.
Oggi non è più così e il tema del verde pubblico è perfettamente inscritto in questa decadenza delle nostre città. Qui il problema non è come fare dei piani. Nel provvedimento è scritto che vengono incentivate le città attraverso la previsione di norme perché si facciano piani per il verde, ma il piano per il verde fa parte del piano urbanistico. Per legge non si può approvare un piano regolatore, in nessuna città italiana, che non abbia le dotazioni minime di standard per persona per verde pubblico di 18 metri quadrati ad abitante, come stabilisce il fatidico decreto ministeriale n. 1444 del 1968. Quindi, quando si fa una variante urbanistica generale o si fa un piano regolatore bisogna garantire gli standard per legge, perché altrimenti il piano regolatore non può essere approvato.
Ma il punto non è questo. Il punto sono i sistemi operativi per l'acquisizione al bene patrimoniale pubblico di quel verde, perché un conto è apporre il vincolo di verde pubblico su una determinata area, un conto è appropriarsene, acquisirlo al bene pubblico, renderlo fruibile, farne non una previsione urbanistica, ma farne un bene che passa nella proprietà comunale e viene trasformato in un bene fruibile da tutti i cittadini. È qui è il problema ed è Pag. 14qui che, purtroppo, si è fermato lo sviluppo delle nostre città, se si leggono le statistiche. La più interessante che ho trovato in questi giorni è stata quella pubblicata dalla fondazione Città Italia, una fondazione dell'ANCI che nel 2010 ha fornito dei dati molto interessanti sullo stato del verde pubblico in Italia. Cosa dicono questi dati, ad oltre quarant'anni dall'emanazione del citato decreto ministeriale n. 1444 del 1968? Quella fu un'importante riforma della storia urbanistica italiana, perché per la prima volta alla fine degli anni Sessanta si è stabilito che per ogni abitante bisognava dare il verde, perché prima non era così e ancora le nostre città ne portano i segni, quelle città che sono state pianificate negli anni Trenta, con la stagione dei piani regolatori appunto degli anni Trenta, dove la dotazione per abitante del verde pubblico arriva a 2 metri quadrati per abitante, con densità di popolazione di 1.000 abitanti per ettaro. Pensiamo a tanti quartieroni di Roma, alla città consolidata, o della media periferia milanese o a Napoli, grandi centri metropolitani. Dopo il 1968 si dice che chi costruisce, se vuole la concessione edilizia, deve garantire 18 metri quadrati di verde per abitante, a seconda dei volumi trasformati, ma a distanza di quarant'anni le statistiche ci dicono che l'Italia è ancora ben lontana da quella quantità. Oggi la media di verde per abitante nelle città italiane e nei capoluoghi di provincia, medie e grandi città, è di undici metri quadrati per abitante, quindi dopo 43 anni siamo alla metà dell'obiettivo posto dalla legge. Tutti i capoluoghi del Mezzogiorno sono sotto la media nazionale, mentre soltanto alcune città e province del Centronord sono spesso abbondantemente sopra quella quantità. Pertanto, si apre un doppio problema che il provvedimento non affronta, perché non ha l'ambizione di un provvedimento organico, che affronta la sostanza del tema e cioè l'equilibrio tra pubblico e privato nello sviluppo delle grandi aree urbane oggi. Non lo affronta perché è un provvedimento che si pone obiettivi limitati, ma il problema di fondo è: come diamo il verde e come garantiamo le quantità adeguate di verde che un decreto di 43 anni fa ha già stabilito? Come acquisiamo quel verde a bene pubblico? Non solo come lo prevediamo nei piani regolatori, ma come lo portiamo nei beni patrimoniali del comune. In terzo luogo, come gestiamo il verde, pianificato e acquisito? Infatti, anche qui vale la pena ricordare un dato, ossia quanto costa il verde pubblico. Una volta che si acquisisce un'area destinata a verde pubblico, che costo ha? Quanto costa ai comuni, alla collettività? Quel verde pubblico costa 20 euro al metro quadrato al mese per verde pubblico di campagna, cioè verde semplice, nudo verde, costa tra i 20 e i 30 euro al metro quadrato, mentre costa tra i 40 e i 60 euro al metro quadrato il verde pubblico attrezzato, cioè quello dove si mettono i giochi per i bambini, le attrezzature, le panchine, le staccionate, le irrigazioni e tutto ciò che un verde dignitoso deve poter garantire. Basta fare i conti: questo significa che per mille metri di verde il comune spende o può spendere tra i 40 mila e i 60 mila, ha bisogno tra i 40 mila e i 60 mila euro di investimento.
Allora questo enorme tema - ossia garantire dei piani urbanistici che assicurino il verde, garantire le forme adeguate di acquisizione, garantire la gestione e la manutenzione di quei beni collettivi - rappresenta la sostanza del problema della città pubblica. Esso riguarda il verde pubblico ma riguarda anche, per esempio, il modo in cui le amministrazioni vengono in generale in possesso delle aree e dei suoli per fare i servizi, per costruire nuovi ospedali, per costruire nuove scuole a norma - è noto che il problema del patrimonio scolastico italiano e della sua inadeguatezza è un grande tema nazionale, una grande vergogna nazionale -, di come si acquisiscono i suoli per fare edilizia popolare. L'Italia produce l'1 per cento di edilizia popolare rispetto alla quantità di costruito l'anno.
Questo è il grande dramma del Paese e noi siamo costretti a discutere nell'Aula, nel Parlamento, di quanti alberi in più dobbiamo piantare e se dobbiamo mettere il verde pensile, quando nelle Commissioni Pag. 15parlamentari, da anni, dormono, sono fermi nel cassetto provvedimenti organici e strutturali che riguardano il governo del territorio e pongono il tema di come ci si rapporta con il predominio della rendita immobiliare, di come si fa in modo che le amministrazioni vessate, strozzate, che non hanno più le risorse per fare nulla, che sono tutte indebitate - tutti i comuni italiani sono indebitati -, mettono in campo delle procedure per fare in modo di avere quei demani di aree, quelle proprietà di aree utili per fare i servizi, dal verde pubblico a tutte le altre cose.
Perché si pone questo grande tema? Perché purtroppo gli strumenti tradizionali sono strumenti inutilizzabili. I comuni non possono più espropriare nulla. Ogni volta che si parla di esproprio in un'amministrazione, ai sindaci vengono i capelli dritti. Perché i nostri comuni sono al dissesto finanziario? Perché sono strozzati dai debiti fuori bilancio, sono strozzati dai debiti accumulati nel tempo e che sono maturati proprio per gli investimenti, per gli espropri per le opere pubbliche e che sono diventati costosissimi. Tutte le sentenze lo dicono. La pietra tombale sugli espropri in Italia l'ha messa la Corte europea dei diritti dell'uomo dicendo che bisogna pagare a valore di mercato le aree per i servizi pubblici. L'alternativa a questo qual è? Una sana legge che definisca le regole di un patto con la rendita e dica sì, tu trasformi, ti do la concessione, ma mi dai in cambio un valore dei tuoi terreni per fare quello di cui la comunità ha bisogno, cioè un patto equilibrato sulle trasformazioni del territorio. Ma di questo si discute? Ma vi è un luogo in cui si parla di questo?

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Morassut.

ROBERTO MORASSUT. Concludo, signor Presidente. C'è uno spazio nel dibattito culturale italiano in cui questo tema venga messo al centro della coscienza della collettività? No, purtroppo non c'è. Pertanto, in questo provvedimento ciò che si è potuto fare è stato porre il tema della gestione del verde, ossia garantire e favorire almeno il fatto che il verde acquisito al bene collettivo possa essere gestito direttamente dai cittadini, sgravando i comuni dai costi, garantendo che i cittadini possano riunirsi in consorzio e gestire il verde attraverso forme di tassazione autonoma, di contribuzione autonoma, o di sgravi fiscali che i comuni possono garantire.
Inoltre, occorre fare in modo che il verde possa essere acquisito, o almeno quello che è acquisito non diventare un verde degradato e pieno di erbacce, luoghi di insicurezza anche urbana, ma possa essere gestito almeno dall'attività diretta dei cittadini e della società civile. Quella che nel mondo anglosassone stanno chiamando big society, in fondo è questa: utilizzare i beni pubblici e lasciare che, se i comuni e le amministrazioni non ce la fanno, siano i cittadini con il loro ruolo e la loro autorganizzazione a darsi da fare. Siamo riusciti a proporre questo negli emendamenti al testo in esame, ma non basta la discussione che faremo in questi giorni. Si tratta di discussione che riguarda un aspetto minimale del problema. Il grande tema è riportare al centro del dibattito politico e della coscienza collettiva, civile e culturale italiana il destino dalle nostre città. Il destino delle nostre città passa attraverso una battaglia per equilibrare il rapporto con il predominio della rendita immobiliare urbana. Finché non ci sarà consapevolezza di questo, saremo sempre qui a piangere, a raccontare i problemi del nostro Paese, a raccontare i problemi delle nostre città. Avremo i comuni che debbono mettere l'ecotassa, perché non si può entrare in centro storico, perché dal centro storico non vanno via gli uffici, gli uffici non vanno via dai centri storici perché conviene costruire le case in periferia, visto che valgono di più. Avremo i problemi di migliaia di cittadini vessati dalle agenzie di recupero crediti sulle multe perché varcano il centro storico commettendo la contravvenzione e lo fanno perché i centri storici sono sovraccarichi di funzioni e le strutture urbane sono con una grande Pag. 16testa al centro storico e con un grande ventre molle in periferia. Cambiare la struttura delle nostre città, riportare l'asse più verso gli interessi pubblici è un grande tema contemporaneo, di cui la politica e le istituzioni debbono potersi far carico.

PRESIDENTE. Onorevole Morassut...

ROBERTO MORASSUT. Ho concluso. Questa discussione è un'occasione minimale, ed è stato giusto approfittarne, ma non risolve i nostri problemi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3465-4290-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il vicepresidente della VIII Commissione, onorevole Tortoli, rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ELIO VITTORIO BELCASTRO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, intervengo per poche battute per apprezzare il contributo emerso dalla discussione e per sottolineare - ahimè - che le leggi umane non sono mai perfette. Forse lo saranno quelle divine. Tuttavia, questo provvedimento fornisce un grosso contributo e uno sforzo enorme indirizzato forse a risvegliare quel senso di rispetto dell'ambiente con un coinvolgimento dei cittadini ad occuparsi di verde pubblico. Credo che non sia un provvedimento inutile, perché scaturisce davvero dalla necessità non di risolvere tutti i problemi ambientali che può avere una città, ma nel dare un contributo ad affrontare una parte dei problemi.
Certo, le leggi possono essere sempre migliorate e a questo può essere sempre aggiunto un altro testo che possa modificare in meglio. Ma intanto stiamo facendo qualcosa per l'ambiente e credo che il fatto che al Senato questo provvedimento sia stato approvato all'unanimità è un segnale forte che forse su certi problemi dovremmo essere uniti e lavorare insieme per produrre un risultato migliore, se vogliamo. Tuttavia, va apprezzato - ci tengo anche a nome del Ministro - lo sforzo in questa direzione che è stato fatto e che è stato condiviso da tutte le forze politiche. Quindi, ringrazio di cuore tutti coloro i quali hanno partecipato e hanno prodotto - ritengo - un buon risultato.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Delega al Governo per il riassetto della normativa in materia di sperimentazione clinica e per la riforma degli ordini delle professioni sanitarie, nonché disposizioni in materia sanitaria (A.C. 4274-A) (ore 16,22).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Delega al Governo per il riassetto della normativa in materia di sperimentazione clinica e per la riforma degli ordini delle professioni sanitarie, nonché disposizioni in materia sanitaria.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4274-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. Pag. 17
Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole De Nichilo Rizzoli, ha facoltà di svolgere la relazione.

MELANIA DE NICHILO RIZZOLI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, arriva oggi in quest'Aula la discussione sulle linee generali del disegno di legge del Governo Atto Camera n. 4274-A, una delega al Governo per il riassetto della normativa in materia di sperimentazione clinica e per la riforma degli ordini delle professioni sanitarie, nonché disposizioni in materia sanitaria. Questo provvedimento si inquadra nell'ambito della politica generale del IV Governo Berlusconi di modernizzazione del sistema Paese, anche attraverso una profonda razionalizzazione e semplificazione della normativa che regola i settori più importanti di pubblica intervento. Questo è un provvedimento al servizio dei cittadini e, in particolare, è diretto ad assicurare una maggiore funzionalità del Servizio sanitario nazionale con misure incisive in diversi ambiti fondamentali quali la ricerca sanitaria, la sicurezza delle cure, la tutela del malato, la regolazione delle professioni sanitarie, la sanità elettronica ed i registri di interesse sanitario.
Per quanto riguarda la sperimentazione clinica di medicinali per uso umano è urgente introdurre norme di coordinamento, in quanto le fonti normative sono diverse e non sempre coerenti e le procedure adottate in diverse realtà sono troppo spesso diversificate. È, infatti, prevista un'ampia delega all'articolo 1, che dispone l'emanazione di decreti legislativi diretti al riassetto della normativa in materia di sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano. Tale delega reca i seguenti principali criteri direttivi: la riduzione dei troppi numerosi comitati etici; l'individuazione della modalità per l'attivazione dei nuovi centri clinici dedicati agli studi clinici di fase 0 e 1, sia per i pazienti sia su volontari sani; la semplificazione delle procedure; l'applicazione dei sistemi informatici a supporto delle sperimentazioni cliniche; un nuovo meccanismo di valutazione dei risultati; l'istituzione di un portale di consultazione per il cittadino; la riformulazione dell'apparato sanzionatorio, amministrativo e penale, per perseguire più efficacemente gli abusi e le irregolarità nella sperimentazione.
Altra disposizione di rilievo è la specifica definizione dei fondi per la ricerca, cui applicare la riserva del 10 per cento, da destinare ai progetti di ricerca sanitaria proposti dai giovani ricercatori di età inferiore ai quaranta anni. Da segnalare anche la norma che introduce il divieto di atti di sequestro e pignoramento sui fondi destinati alla ricerca sanitaria. Di grande rilievo specifico sono poi le norme relative all'Istituto nazionale per le malattie infettive «Lazzaro Spallanzani» di Roma, cui vengono destinati 45 milioni di euro per il completamento della realizzazione dell'unità per l'alto isolamento presso l'Istituto per far fronte a situazioni di emergenza biologica a livello nazionale. Di evidente grande importanza sono le disposizione relativa alla riforma degli ordini e delle professioni sanitarie.
La delega, prevista all'articolo 6, reca i seguenti principali criteri direttivi: l'attribuzione agli ordini dello status giuridico di enti pubblici non economici, la definizione dei compiti degli ordini nell'abilitazione all'esercizio professionale e nel processo di formazione continua degli iscritti, il rafforzamento del codice deontologico, la garanzia dell'efficacia e della terzietà del giudizio disciplinare, gli oneri del finanziamento degli ordini a totale carico degli iscritti e l'obbligo di adeguata copertura assicurativa per responsabilità professionale per gli iscritti agli albi. Come si vede chiaramente, siamo di fronte ad un rafforzamento sostanziale della tutela a favore dei cittadini che ricorrono alle prestazioni degli iscritti agli ordini delle professioni sanitarie con evidente riequilibrio dei rapporti tra medico e paziente.
Di grande rilievo per gli interessi dei cittadini sono le disposizioni in materia di sicurezza delle cura che prevedono una più puntuale disciplina nel caso si verifichino eventi avversi all'interno delle strutture Pag. 18sanitarie, che devono essere opportunamente segnalati ed analizzati con l'obbligo di predisporre in modo tempestivo le indispensabili misure di prevenzione e rimozione delle cause che li hanno determinati. Particolarmente apprezzabile in questo contesto è la norma che impone alle regioni e alle aziende sanitarie di dare priorità a specifici programmi di formazione obbligatoria per diffondere la cultura della sicurezza delle cure e ridurre i rischi emersi dai sistemi di segnalazione ed analisi degli eventi avversi, sempre molto frequenti.
Significative sono anche le norme destinate a riordinare i servizi erogati dalle farmacie, al fine di rendere coerenti tra loro le disposizioni riguardanti le prestazioni da queste offerte attraverso vari specialisti e per specificare che, nell'ambito delle prestazioni offerte dalle farmacie, rientrano anche gli esami strumentali di autocontrollo quale, per esempio, la misurazione della pressione arteriosa.
Di grande valenza innovativa sono, inoltre, le norme in materia di sanità elettronica con l'istituzione del fascicolo sanitario elettronico di ogni singolo assistito, una sorta di carta di credito che racchiude tutti i dati e i documenti digitali di tipo sanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi di ogni singolo cittadino. Questo fascicolo ha finalità di studio e di ricerca scientifica in campo medico ed epidemiologico, nonché ai fini della programmazione dell'assistenza sanitaria e della verifica della qualità delle cure, il tutto con forti garanzie nel trattamento dei dati personali dell'assistito anche attraverso l'attribuzione di un codice identificativo, che non consenta l'identificazione diretta dell'interessato.
Da sottolineare, infine, l'istituzione di sistemi di sorveglianza e di registri di mortalità, di patologia e di impianti protesici ai fini della ricerca scientifica in ambito medico ed epidemiologico allo scopo di raccogliere informazioni dirette e di registrare tutti i casi di rischio per la salute, il tutto per migliorare la qualità dell'assistenza sanitaria sempre a servizio degli italiani.
Come si vede, onorevoli colleghi, siamo di fronte ad un provvedimento molto innovativo e di grandissima utilità per migliorare la qualità delle prestazioni del sistema sanitario nazionale e dell'assistenza sanitaria generale. Il tutto attraverso una forma di razionalizzazione normativa, attenta alle innovazioni e soprattutto agli interessi e ai diritti dei pazienti nonché dei cittadini italiani.
Per tale ragione auspico che il provvedimento in esame sia rapidamente approvato da entrambi i rami del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

FERRUCCIO FAZIO, Ministro della salute. Signor Presidente, due parole per dire che questo provvedimento deferito al Governo è stato a lungo discusso nell'ambito della XII Commissione con i contributi di tutte le forze politiche.
È un provvedimento che da un lato - è vero - è un omnibus, ma proprio perché va a colmare, come ha detto l'onorevole De Nichilo Rizzoli, tutta una serie di lacune che si sono verificate negli anni nell'ambito della sanità. Ha degli intenti importanti: il primo articolo ha l'intento esplicito di favorire gli investimenti in Italia dell'industria farmaceutica innovando la sperimentazione clinica e quindi favorendo le sperimentazioni di fase I, che sono alla base di tutte le sperimentazioni cliniche di fase II e III. Quindi su questo è un provvedimento a lungo atteso non solo dal mondo scientifico ma anche dall'industria: è uno dei provvedimenti che contribuiranno alle iniziative dello sviluppo di cui il nostro Paese in questo momento ha così tanto bisogno. E così anche erano attesi i provvedimenti sulla ricerca sanitaria che vanno a normare una serie di problematiche rimaste ancora insolute, vedi gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. A proposito delle professioni sanitarie, vorrei solo ricordare che oggi come oggi la normativa sanzionatoria delle professioni sanitarie non consente, in Pag. 19caso di interessamento della magistratura, all'ordine dei medici di prendere provvedimenti nei confronti dei propri iscritti, questo anche nei casi di malasanità. È una lacuna che va colmata e questo provvedimento opera in questo senso. La sanità elettronica si commenta da sé, è il futuro del nostro sistema sanitario, è quello che ne consentirà sia la sostenibilità da un lato sia il controllo e la proprietà dell'esecuzione; è quella che ci consente e ci consentirà di avere in ogni momento la visione dell'insieme e del particolare. Pensate soltanto alla differenza che avrà per il cittadino quando tutti i suoi dati saranno sul suo fascicolo sanitario elettronico - già di fatto pronti - rispetto al cittadino che oggi si presenta al consulto con le lastre piene di radiografie dalle quali si cerca, spesso inutilmente, di tirare fuori una storia clinica. Quindi non voglio dilungarmi in questa fase ma è un provvedimento lungamente pensato e condiviso con i sindacati e con una serie di forze politiche e mi auguro anch'io come il relatore che arriverà a compimento.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole D'Anna, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato. È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto. Ne ha facoltà.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, oggi arriva all'esame del Parlamento un provvedimento che reca disposizioni in materia sanitaria. È un testo che tocca diversi settori e disciplina materie eterogenee. Per la verità a scorrere i titoli non si potrebbe non essere d'accordo, infatti molte previsioni, principi e disposizioni erano attesi, auspicati e richiesti, molti settori necessitavano di revisioni e molte novità aspettano da tempo di essere introdotte o regolarizzate. Però credo che non sfugga che il Governo sia arrivato un po' in ritardo, dispiace che ci troviamo ad esaminare una delega di tale portata, ampiezza e importanza a oltre tre anni dall'inizio della legislatura, quindi su temi di fondamentale importanza, ripeto, e anche così diversi tra loro, sarebbe stato auspicabile un dibattito aperto, democratico, approfondito, ampio e qualificato. Poi c'è anche un'aggravante del tempo perché una delega così ampia, conferita ad un esecutivo indebolito - come accade oggi - sarà certamente meno efficace nel raggiungimento degli obiettivi dichiarati.
Passiamo all'articolato. Relativamente al primo articolo sul riassetto della normativa in materia di sperimentazione clinica riteniamo certamente condivisibile l'obiettivo della riduzione dei comitati etici autorizzati, sappiamo che erano caratterizzati da una disomogeneità delle loro attività ed anche da un elevato numero.
È noto infatti - i recenti dati dell'Organizzazione mondiale della sanità l'hanno confermato - che la scarsa crescita o addirittura la compressione del numero degli studi di sperimentazione presenti nel nostro settore è determinata certamente anche dalle modalità amministrative e autorizzative che concorrono alla lentocrazia, che non consente uno sviluppo adeguato di studi normativi. Quindi, la richiesta è che, a fronte della tutela della riservatezza e della salute dei pazienti, nelle modalità di autorizzazione vi sia comunque uno snellimento delle pratiche burocratiche, per fare iniziare quanto prima gli studi. Ritenevamo e riteniamo che la lentocrazia fosse dovuta anche alla disomogeneità regolamentare e in questo si apprezza molto che le proposte emendative del Partito Democratico siano state giudicate favorevolmente ed accolte dal relatore e dal Governo durante il lavoro che si è svolto in Commissione, come quella - faccio un esempio - di ricomprendere finalmente tutte le aziende del Servizio sanitario nazionale nella possibilità di accesso ai finanziamenti. Per quanto riguarda i giovani ricercatori si può essere d'accordo nello stimolare la produttività scientifica dei giovani ricercatori ed è auspicabile che con i giovani ricercatori si stipulino dei contratti di lavoro in ragione del numero degli anni in cui dura il progetto, tre anni o cinque anni, quindi modificando quella prassi attuale secondo cui i giovani ricercatori hanno dei contratti annuali, la cui attivazione, a causa della lentocrazia, appesantisce Pag. 20tutto. Resta sullo sfondo il dubbio costante della generazione dei prestanomi di ricerca e anche un sorriso per l'ossimoro, perché dire giovane a quarant'anni capisco che funzioni elettoralmente, ma lo ritengo un ossimoro, oltre che un complimento per me. Per quanto riguarda l'articolo 3, relativo al rapporto di lavoro del direttore scientifico degli IRCCS, credo che il dibattito che si è svolto in Commissione abbia portato ad una soluzione che possiamo definire accettabile. Ricordo a me stessa e all'Assemblea che la discussione sul ruolo e sulle funzioni del direttore scientifico degli Istituti è stata lunga ed anche molto approfondita, prima di arrivare all'emanazione del decreto legislativo n. 288 del 2003. Si era convenuto che la natura a carattere esclusivo del rapporto di lavoro fosse peculiare delle funzioni e dei compiti dei direttori degli IRCCS, pertanto il direttore scientifico dell'IRCCS non può avere altri rapporti di lavoro. L'altissimo livello di preparazione, la dedizione totale che è richiesta e la funzione delicatissima che è chiamato a svolgere sono le caratteristiche dei direttori degli IRCCS e crediamo che le nostre convinzioni, le polemiche sorte, ma anche le battaglie fatte insieme per amor di chiarimento, abbiano bene indotto il relatore ad una riformulazione più accurata e a ribadire che il rapporto di lavoro debba essere unico, con l'unica eccezione consentita e ben delineata che prevede la possibilità dell'esercizio della professione medica o di dirigere una struttura complessa, ma solo all'interno della stessa struttura sanitaria. Non nascondo che, rileggendo questo testo, così come riformulato, rimangono comunque delle perplessità. Nel superamento delle stesse perplessità, possiamo farci aiutare con uno sguardo a quello che accade negli altri Paesi, agli istituti omologhi ai nostri IRCCS in Francia e in Inghilterra. In questi istituti la figura analoga al nostro direttore scientifico effettivamente è organicamente e funzionalmente inserita nelle attività istituzionali. In merito all'articolo sulla delega per la riforma degli ordini di alcune professioni sanitarie, medici, odontoiatri, veterinari e farmacisti, c'è molta titubanza, perché è vero che da una parte il testo che è al nostro esame contiene una delega puntuale e volta ad alleggerire tutta la tematica relativa agli ordini, però è altrettanto vero che all'altro ramo del Parlamento si è arenato un dibattito sulle altre professioni sanitarie. All'interno di questo dibattito, non possono non ricordare quanto è stato stabilito per le professioni di biologo e psicologo, che passano sotto la vigilanza del Ministero della salute.
Sono stati presentati emendamenti anche dal Partito Democratico, condivisi dal relatore e dal Governo, che vanno nel senso di ricondurre queste professioni in un ambito che riteniamo loro proprio, come da tempo auspicato da queste categorie professionali. Sappiamo che è in atto un contenzioso all'interno dell'ordine dei biologi: auspico una rapida risoluzione di tale contenzioso, che colpisce immeritatamente l'intera categoria.
Per quanto riguarda l'articolo sulle disposizioni in materia di sicurezza delle cure, queste disposizioni - lo ha detto bene il relatore - nascono a seguito della Raccomandazione europea sulla sicurezza e sull'informazione dei pazienti, garantendo che questo tema sia parte integrante della formazione del personale sanitario. Quindi, è un provvedimento importante e saggio; tuttavia, ricordo, anche qui, che su questo tema è in corso di esame al Senato un provvedimento che verte su questa delicata e importante materia. Credo che questa doppia gestione sia fonte più di confusione che di collegamento.
Per quanto riguarda l'articolo sugli odontoiatri, mi permetto di insistere, e ho presentato un emendamento in tal senso; altrimenti, sarebbero i soli dirigenti a poter accedere alle posizioni apicali senza specializzazione, diversamente dalle altre figure come biologi, medici e farmacisti. Questa osservazione ricordo che è stata sollevata anche dalla Commissione salute della Conferenza delle regioni e, da ultimo, dalla Commissione istruzione, nel parere reso con la condizione che si elimini Pag. 21l'articolo 9, perché crea disparità (parere che, comunque, non è stato accolto dalla Commissione affari sociali).
Arriviamo, poi, all'articolo sui servizi erogati delle farmacie. Esso prevede, semplicemente, che alcuni esami strumentali, alcuni esami di natura chimico-analitica, ad esempio le analisi del sangue, siano svolti presso le farmacie. Ritengo che sia necessario garantire l'attendibilità dei risultati diagnostici che escono fuori e la qualità delle prestazioni. Credo che la prima cosa che fa un cittadino, dopo che ha ritirato le analisi fatte in farmacia, sia andarle a rifare in ospedale, questa volta a carico del Servizio sanitario nazionale.
Quindi, se non vi è controllo sulla qualità delle prestazioni e sulla validazione degli esami, significa che la spesa sanitaria non solo salirà tantissimo, ma sarà fuori controllo. Per quanto guarda il fascicolo sanitario elettronico, la previsione implementa e stimola la formulazione del fascicolo sanitario elettronico...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Pedoto.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, solo un altro minuto. È una consuetudine ormai attiva in molti Paesi. Nel 2010 i Ministri della sanità dell'Unione europea hanno adottato una dichiarazione per promuovere l'applicazione della sanità in rete, e quindi la disponibilità di questo foglio elettronico personalizzato, che, nel pieno rispetto della normativa sulla riservatezza dei dati, potrà consentire il monitoraggio sullo status del paziente tutte le volte che entra in contatto con presidi pubblici o medici di base convenzionati.
Si potrà, quindi, favorire lo studio epidemiologico e il Ministero potrà stimolare e valutare tutte le indagini ai fini dei piani di prevenzione e cura per le patologie ricorrenti, oltre che, ovviamente, fare programmazione sanitaria e concorrere alla verifica della qualità delle cure. Queste finalità sono frutto anche degli emendamenti presentati dal Partito Democratico.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, a questo punto concludo saltando una parte del mio intervento. In conclusione, questi provvedimenti erano certamente attesi. Sarebbe stato auspicabile un lavoro più sistematico ed organico, che sarebbe potuto iniziare sin dall'inizio della legislatura con un dibattito parlamentare e, magari, anche con le necessarie risorse, visto il mantra ricorrente «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Direi che abbiamo un cocktail a basso prezzo e servito anche con un po' di ritardo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palagiano. Ne ha facoltà.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, stavamo aspettando questo provvedimento che credo sia il primo intervento importante in materia sanitaria di questo Governo. Si tratta di un provvedimento omnibus, perché va a toccare molti punti sensibili e critici del nostro ordinamento sanitario, lasciando luci ed ombre. È tuttavia un tipo di provvedimento che ha fruito sicuramente della collaborazione delle opposizioni. L'Italia dei Valori ha presentato nove proposte emendative, che sono state interamente accolte e che fanno parte integrante di questo disegno di legge.
Parlavo di disegno di legge omnibus, perché esso spazia dalla ricerca e dalla sperimentazione clinica alle professioni sanitarie, passando per il ridimensionamento dei comitati etici, degli IRCCS e per altra materia. Alcuni punti rappresentano una delega al Governo, che quindi si dovrà esprimere successivamente, altri invece sono punti già definiti, che troveranno poi applicazione dopo alcuni giorni dall'approvazione della legge, qualora il testo venisse poi approvato dall'altro ramo del Parlamento.
Ma voglio passare all'articolato, prescindendo dalle ovvietà o dagli aspetti condivisi. Dobbiamo porre in evidenza le criticità della legge, che possono ancora, secondo me, risolversi in fase di Assemblea, in Aula, attraverso ulteriori tentativi Pag. 22di miglioramento, che l'Italia dei Valori ha presentato.
Innanzitutto vi è il problema della ricerca scientifica e della sperimentazione clinica. Tutti sappiamo che la ricerca scientifica in Italia è molto limitata. È limitata perché esistono dei tagli, che sono quelli sotto gli occhi di tutti, legati al momento economico ed a scelte del Governo, ma vi sono anche delle limitazioni che sono dovute alle procedure di autorizzazione in Italia. Quando ci sono degli studi multicentrici, in cui delle multinazionali del farmaco devono scegliere dei Paesi dove effettuare le ricerche, sicuramente l'Italia non ha la capacità di attrarre tali ricerche, perché abbiamo un modo di concedere le autorizzazioni, che è farraginoso, complicato e lungo. Quindi, mentre gli altri Paesi, che magari hanno aderito alla ricerca, sono già in fase avanzata della ricerca stessa e, nel caso in cui queste prevedano per esempio l'esame sui pazienti, sono già passati al reclutamento del paziente, in Italia ci si trova ancora nella fase di approvazione del comitato etico.
Quindi vediamo e condividiamo la riduzione del numero dei comitati etici, che in Italia sono davvero tanti. Posso ricordare che in Italia abbiamo ben 254 comitati etici, mentre in Austria ve ne sono 26, in Olanda 30, in Francia 40, in Germania 53, in Polonia 54, in Spagna 136 e nel Regno Unito 141. Nonostante nel 2009 siano stati riuniti alcuni comitati etici, capirete bene che siamo ancora di fronte ad un numero troppo alto.
Ebbene, il provvedimento prevedeva proprio lo snellimento del numero dei comitati etici con un minimo di uno per regione, ma non prevedeva per esempio che gli stessi si dovessero esprimere in tempi rapidi e certi per ottenere o concedere l'autorizzazione. Si può immaginare che in una regione, che ha per esempio sette comitati etici, noi andiamo magari a metterne soltanto due. Saranno ancora più lenti, perché diranno che dovranno sobbarcarsi il lavoro degli altri comitati etici che sono stati eliminati. Quindi la norma prevedeva il taglio dei comitati etici e noi abbiamo emendato il testo, prevedendo che si dovessero però esprimere in tempi rapidi e certi. Il Governo ha accettato questa proposta emendativa, che credo sia importante per cercare sempre di attrarre la ricerca delle multinazionali in Italia.
Ma questo non basta. La ricerca delle multinazionali farmaceutiche, cioè Big Pharma, quel cartello che riunisce un po' tutte le multinazionali del farmaco, è una ricerca mirata, sbilanciata e finalizzata al profitto, che non sempre coincide con gli interessi del cittadino. Abbiamo, pertanto, cercato di investire il Governo di questo compito, ovvero di cercare di attrarre la ricerca, ma dando una corsia preferenziale a quelle ricerche che interessano la salute del cittadino e non il profitto di Big Pharma. Ed è questo un altro punto. Vorremmo che effettivamente le ricerche buone venissero svolte in Italia in tempi competitivi, affinché tutti possano fruire anche di questi risultati.
Abbiamo avuto anche una criticità per quel che riguardava la lettera i) del comma 2 dell'articolo 1 che prevede un portale di consultazione per il cittadino. Credo si tratti di un uso un po' demagogico della trasparenza. La fase zero di uno studio è quando si studia una molecola, non sull'uomo, ma su un'animale. Ebbene, non comprendo questo eccesso di democrazia o questa pseudodemocrazia in cui si vogliano a tutti i costi trasmettere delle informazioni che potrebbero avere, invece, l'effetto opposto, quello di creare o di generare degli allarmismi ingiustificati quando, al contrario, esistono i siti per i tecnici in rete o le riviste specializzate in cui questi dati vengono riportati e, poi, non prevedere per esempio, alla luce della trasparenza, che vengano messi in rete i dati relativi agli ECM e ai medici che curano i pazienti ed i cittadini italiani che hanno effettuato per esempio l'assistenza. E, allora, sì, signor Ministro, vedrei trasparenza, non tanto nel comunicare a tutti l'effetto di quel farmaco, effetto preliminare sul topolino, ma, piuttosto, nel sapere se il mio medico di medicina generale si è, in questi anni, aggiornato. Bisogna, quindi, mettere Pag. 23in rete i dati ovviamente per gli addetti ai lavori e mettere i dati che interessano il cittadino e che, molto spesso, in Italia, invece, non vengono inseriti.
Non si può non condividere l'obiettivo di destinare una parte dei fondi per la ricerca ai ricercatori, fondi che non possono essere giustamente pignorati. Il provvedimento prevede, inoltre, che gli stessi studi devono essere terminati, anche qualora il ricercatore sia trasferito altrove. Non sembrerebbe giusto, infatti, smettere, stoppare, fermare, una ricerca interessante, per la quale il Governo ed il Parlamento hanno destinato dei fondi, perché magari il ricercatore viene trasferito oppure si interrompe il contratto di lavoro. Credo che questo sia, quindi, un discorso condivisibile.
Meno d'accordo ci troviamo, invece, per quanto riguarda gli IRCCS che ricordo essere gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; si tratta di 43 istituti presenti in Italia che sono molto eterogenei. Abbiamo degli IRCCS che davvero rappresentano un blasone, un fiore all'occhiello per l'Italia ed altri che, invece, sono istituti che andrebbero in qualche maniera migliorati. Certe volte rappresentano delle espressioni di autoreferenzialità da parte dei politici di turno che, anziché pensare all'assistenza del cittadino, pensano di creare un IRCCS perché è un polo di eccellenza.
Credo, signor Ministro, che l'eccellenza sia qualcosa che vada conferita in base a fatti oggettivi, in base a pubblicazioni scientifiche, ma anche in base a quelle che sono delle regole comportamentali che molto spesso nel campo sanitario non vengono considerate. Credo che l'attenzione dovrebbe essere quella del Ministro, non soltanto nel comparto amministrativo di cui si interessa, ovviamente, il Ministero dell'economia e delle finanze, ma anche in quelle che sono le qualità dell'assistenza erogata, dell'appropriatezza. Avrei previsto, quindi, proprio perché l'ultima parte di questo disegno di legge prevede delle norme in campo sanitario, la formazione di un ente super partes che richiedo sempre, anche in Commissione, un po' paragonabile al NAIS che è presente nel Regno Unito. Qualcosa, insomma, che abbia a cuore, non tanto il bilancio dei conti - lì c'è già il Ministero di Tremonti che provvede -, ma la qualità della sanità erogata. Questo è un punto che avrei auspicato nel presente provvedimento e che, invece, manca.
Si parla spesso di appropriatezza, di eccellenza, di coniugare l'efficacia e l'efficienza, cioè un qualcosa che riguarda l'esito della terapia, che non deve essere necessariamente la guarigione, ma anche un miglioramento della sintomatologia clinica, e quelli che sono i costi. Anche in questo caso avrei preferito che, nel provvedimento, si parlasse di qualità. Si parla soltanto dell'efficacia e dell'efficienza e non si pensa all'ottimalità, un concetto nuovo che molto spesso la politica ha paura di comprendere o che magari finge di non comprendere e che travalica i concetti di efficacia ed efficienza. Mi riferisco alle malattie rare, quando, cioè, lo Stato, per un trattamento che non è efficace o efficiente perché costoso, purtroppo, con un concetto di chiusura nei confronti di quel trattamento, per alcune malattie rare, rifiuta la terapia. Rifiutare la terapia significa rifiutare o condannare a morte certa il paziente. Il concetto nuovo, quindi, di ottimalità, quel concetto che relaziona le risorse, i benefici e i danni di un determinato trattamento, dovrebbe essere oggetto di discussione, ma anche di soluzione. Insomma, serve una corsia a parte per certi malati che non hanno altre speranze.
Per quanto riguarda gli IRCCS, dicevo - infatti mi riferivo all'eccellenza, perché gli IRCCS sono per definizione centri di eccellenza, anche se poi non subiscono le verifiche adeguate che dovrebbero - c'è il discorso della direzione scientifica di nomina ministeriale. Comprendo le difficoltà che può avere il Ministero nel dover imporre dei contratti di esclusiva nei confronti di questi professionisti. Effettivamente i direttori scientifici dovrebbero dedicarsi interamente all'esercizio del loro compito e non poter invece avere un Pag. 24rapporto part time e comprendo anche i costi che avrebbe la direzione scientifica con i rapporti di esclusiva. Ho apprezzato che sono stati ridotti ulteriormente nell'ultimo testo che è arrivato in Aula gli emolumenti per chi diventerà direttore scientifico: infatti anziché avere il doppio stipendio avrà soltanto una piccola percentuale del 20 per cento in più rispetto al valore dello stipendio stesso.
Credo che però il fatto stesso che il relatore abbia accettato l'emendamento dell'Italia dei Valori, che vieta quella norma odiosissima per la quale un professore universitario magari dell'università di Milano potesse diventare direttore scientifico dell'IRCCS di Castellana, e conferendogli la caratteristica dell'ubiquità, sia un passo in avanti. Si può essere direttori scientifici soltanto nel medesimo ospedale, nel medesimo posto in cui si esercita la professione, altrimenti vedrei davvero difficile poter insegnare, poter fare gli esami in un'università del Nord e poi fare il direttore scientifico al Sud. Avremmo preferito in condizioni di minore ristrettezze economiche affidare gli IRCCS direttamente a professionisti con rapporto di esclusiva, ma comprendiamo che il momento è abbastanza delicato. Pertanto l'aver accettato il nostro emendamento compensa questa lacuna che comunque avremmo auspicato.
Passiamo al riordino delle professioni e degli ordini professionali. Avere inserito l'opportunità di mettere nell'ordine dei medici chirurghi, ad esempio, l'esame di abilitazione è in realtà un qualcosa che non riesco ancora ad accettare, perché mi sembra una verifica da parte di un'istituzione dello Stato nei confronti di un'altra istituzione che si chiama università. Ebbene avrei preferito per tutti i medici che si specializzano, e soltanto in quel caso, l'inserimento di una pratica obbligatoria con caratteristiche ben precise (sulle quali non mi dilungo, perché non è questa la sede) piuttosto che fare l'esame di Stato nel quale - lei lo sa bene, benissimo - non viene bocciato praticamente più nessuno e che rappresenta soltanto un onere, un costo per lo Stato che non misura la qualità in quanto se deve esserci selezione degli studenti non può avvenire sicuramente dopo il conseguimento della laurea.
Passo all'articolo 7 per quanto riguarda il rischio clinico. Anche su questo è stato accolto un emendamento dell'Italia dei Valori. Il testo in esame prevede l'adozione dei sistemi di gestione degli eventi avversi e di una comunicazione trasparente degli stessi nonché l'attivazione di strumenti di analisi e di iniziative per prevenire questi rischi avversi. L'accoglimento del nostro emendamento è materia apprezzabile, perché bisogna sicuramente che venga relazionato alla regione su questi eventi avversi con una cadenza annuale affinché si possano prevenire.
Chiediamo che la metodologia dovrà anche essere trasmessa, cioè il Ministero quando emanerà le linee guida dovrà dire qual è il sistema per poter prevenire e per evitare appunto che questi stessi eventi non si verifichino più: speriamo nell'accoglimento degli emendamenti stessi in Aula.
Per quanto riguarda le prestazioni del servizio da parte delle farmacie, trovo condivisibile la possibilità di fare delle piccole - sottolineo piccole - procedure diagnostiche. Mi riferisco, ad esempio, alla misurazione della pressione arteriosa e alla glicemia. Ritengo che non vi siano elementi per supporre che nelle farmacie gli apparecchi siano di qualità scadente. Non è il mestiere mio. Credo che dovrebbe essere il Ministero a sorvegliare la qualità e le caratteristiche di quegli apparecchi che servono per misurare la glicemia.
Ritengo, però, importante che un paziente a cui gira la testa e che è affetto da ipertensione possa prontamente, anche lì, all'angolo fuori casa, misurare la pressione o vedere, per esempio, quali sono i livelli della propria glicemia, sempre nell'ambito di apparecchiature che devono essere controllate, ovviamente, dallo Stato.
Occorre, però, ricordare, signor Ministro, che la Conferenza delle regioni, il 28 ottobre 2010, in sede di parere sul provvedimento di legge in discussione, con riferimento all'articolo in oggetto, si è espressa dicendo che non è garantita la qualità delle prestazioni. Questa è una Pag. 25motivazione della Conferenza delle regioni. Ritengo, quindi, che lei debba effettivamente vigilare, affinché tali prestazioni vengano erogate in linea con il principio di qualità e sicurezza. Allo stesso modo, mi sembra che, in un momento di ristrettezze, il fatto di dover eventualmente pagare due volte la stessa prestazione, prima nelle farmacie e poi nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, sia qualcosa di discutibile.
Il penultimo punto riguarda la sanità elettronica. Voi sapete quanto mi stia a cuore uniformare l'Italia alle altre nazioni che hanno già recepito il concetto di sanità elettronica. L'articolo 12 fa riferimento al fascicolo sanitario elettronico, che è già in fase di avanzata sperimentazione in diverse regioni d'Italia.
A tal riguardo, abbiamo predisposto un emendamento specifico, che è stato riformulato dal Governo, in cui vi era una apertura nei confronti delle consulenze online: credo debba essere un po' rivisitato ed ampliato, affinché anche in Italia si possa godere, per esempio, della sanità elettronica, delle visite a distanza, dei consulti online da parte dei medici di medicina generale, ma anche del singolo paziente.
Vorrei citare la telesorveglianza: sappiamo che esistono i dializzati, per esempio, oppure i cardiopatici cronici monitorizzati, che possono essere seguiti a distanza. Credo che anche questo aspetto vada un po' regolamentato e dovrebbe essere oggetto di questo disegno di legge.
Sempre per quanto riguarda la medicina online, credo che anche con riferimento a questo aspetto, signor Ministro, bisognerebbe spingersi un po' oltre, in quanto esiste troppo un far west, persone che dispensano pareri senza che il cittadino sappia o possa verificare se chi dispensa il consiglio o chi dà quel determinato trattamento sia in possesso dei requisiti, cioè del titolo di studio, che lo abilita ad esercitare, anche se per via telematica, la professione medica.
L'ultimo punto riguarda l'articolo 16, concernente i sistemi di sorveglianza, i registri di mortalità, di patologia e di impianti protesici. Anche qui, abbiamo presentato - presenteremo domani in Aula - un emendamento, affinché non sia più discrezionale la possibilità di avere i registri dei tumori.
Vorremmo, infatti, che il Ministero della salute potesse avere un'idea di quella che è, per esempio, l'epidemiologia delle patologie oncologiche e neoplastiche, specialmente nelle aree industriali italiane, specialmente nei siti di stoccaggio dei rifiuti, in cui lei, signor Ministro, sa benissimo che, molto spesso - anche a Pianura, vicino Napoli -, sono finiti, per esempio, residui radioattivi ospedalieri. Ebbene, signor Ministro, sono molto curioso di sapere se con riferimento alla popolazione che vive lì - e, specialmente, mi riferisco ai bambini e alle donne gravide, che, come lei saprà, hanno un'incidenza di malformazione ben più elevata - vi sia un nesso di causalità.
Io ritengo di sì, sospetto di sì, ma solo lei, signor Ministro, può verificarlo attraverso un provvedimento molto restrittivo, in cui ciascuna provincia, ciascuna regione metta a disposizione questi dati attraverso una ricerca specifica; attraverso, dunque, un provvedimento non troppo generico. Registro delle patologie, registro dei tumori: signor Ministro, abbiamo bisogno in tutta Italia - da Milano, a Napoli, alla Sicilia -, di un registro dei tumori obbligatorio, affinché il cittadino che vive nei pressi di aree industriali sospette, o di siti di stoccaggio, possa non rimetterci la pelle.
In conclusione, signor Ministro, il disegno di legge delega sulla ricerca clinica e sul riordino delle professioni sanitarie rappresenta, a nostro avviso, un punto di partenza piuttosto generico per riformare alcune, e solo alcune criticità del nostro Servizio sanitario nazionale, e lascia al Governo troppi margini interpretativi.
La vaghezza di certi articoli poteva essere maggiormente definita in sede di Commissione, dove il disegno di legge ha avuto un iter, a mio avviso, piuttosto frettoloso e poco esaustivo. Tuttavia, la ringrazio, signor Ministro, per le proposte emendative dell'Italia dei Valori che ha accolto in ordine a questo disegno di legge, che Pag. 26avremmo auspicato maggiormente incisivo, specie considerando la delicata materia che si propone di riordinare (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vanalli. Ne ha facoltà.

PIERGUIDO VANALLI. Signor Presidente, il disegno di legge che ci accingiamo ad esaminare interviene su numerosi profili relativi alla tutela della salute e all'organizzazione delle attività sanitarie: dalle sperimentazioni sui farmaci alla ricerca scientifica, dalle professioni sanitarie alle attività territoriali delle farmacie. Ci troviamo quindi in una materia, quella sanitaria, che nella presente legislatura ha conosciuto un cambiamento che potremmo definire epocale, il quale troverà nei prossimi anni i suoi primi interventi attuativi. Il riferimento è chiaramente al procedimento di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione che, proprio in riferimento al settore sanitario, ha definitivamente sancito il passaggio dalla spesa storica ai costi standard quale criterio cardine per la determinazione delle risorse da attribuirsi alle regioni per il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza.
Specificatamente, è in questo più ampio contesto di riforma che deve iscriversi il disegno di legge in esame: un provvedimento che non intende cambiare radicalmente l'organizzazione della sanità ma che, più propriamente, potrebbe essere definito come un intervento di manutenzione legislativa che, da un lato, interviene a correggere alcuni profili settoriali e, da un altro, si fa promotore di iniziative più ampie di riordino della normativa del settore vigente. Ci troviamo quindi di fronte ad un intervento di manutenzione legislativa che potremmo definire pacato, che complessivamente rispetta il riparto di competenze legislative tra lo Stato e le regioni e che cerca di fornire una risposta a breve termine ad alcune istanze particolarmente avvertite dagli operatori di settore.
L'opzione operata dal nostro Governo a favore di questo approccio legislativo non esclude ovviamente che in futuro non risulti auspicabile una più ampia ed organica riforma della legislazione sanitaria. Chiunque, infatti, si trovi a vario titolo a dover interpretare ed applicare il decreto legislativo n. 502 del 1992 e sue successive modificazioni, non può non cogliere la complessità intrinseca a questa normativa che, anche a causa delle sue stratificazioni successive, risulta di assai difficile lettura. In questa prospettiva di semplificazione della normativa sanitaria non possiamo quindi, come Lega Nord Padania, non auspicare un intervento radicale di riforma della normativa vigente, animato da un approccio sistematico, organico e funzionale anche per promuovere una definitiva rilettura del riparto di competenze tra lo Stato e le regioni. Se questa è la prospettiva di lungo periodo che appare auspicabile in una chiave di lettura di breve e medio termine, vale senz'altro la pena considerare provvedimenti, quale quello in esame, finalizzati ad interventi su alcuni settori chiave dell'assistenza sanitaria. Il riferimento è innanzitutto alle sperimentazioni cliniche che rappresentano senz'altro un ambito di attività di importanza prioritaria per la ricerca scientifica nazionale; senz'altro condivisibili appaiono in questa prospettiva non solo il più complessivo riordino delle procedure in essere, cui fa riferimento la delega di cui all'articolo 1, ma anche la previsione di cui all'articolo 2 sulle misure di sostegno ai giovani ricercatori.
Altrettanto significativa appare la delega di cui all'articolo 6 sulle professioni sanitarie che rappresentano il vero anello di congiunzione tra i cittadini e il Servizio sanitario nazionale. Abbiamo più volte parlato, in quest'Aula, della carenza di medici che a breve termine interesserà il nostro Paese ed anche in questa prospettiva si può leggere la preannunziata riforma dei predetti ordini professionali come un'opportunità di una migliore pianificazione del numero degli operatori richiesti dal sistema assistenziale nazionale.
Di primario rilievo nella prospettiva della promozione di un solido rapporto Pag. 27fiduciario tra i pazienti e il servizio assistenziale risultano le disposizioni dell'articolo 9 finalizzate a garantire un maggior livello di sicurezza delle cure attraverso un'attività capillare di prevenzione del rischio clinico e di un sistema di gestione degli eventi avversi. A questo proposito, tuttavia, non possiamo non ribadire il ruolo centrale che le regioni sono chiamate a svolgere in questo settore; profilo questo che trova conferma nei progetti innovativi già efficacemente avviati in alcune aree del Paese. Analoga condivisione esprimiamo nei confronti delle disposizioni del provvedimento volte a promuovere l'informatizzazione del Servizio sanitario nazionale: dal fascicolo sanitario elettronico all'istituzione dei registri di mortalità, di patologia e di impianti protesici.
Proprio rispetto alle previsioni dell'articolo 16, vorrei sottolineare come, in questa fase storica, gli interventi volti a potenziare le conoscenze epidemiologiche a nostra disposizione siano destinate ad assumere un rilievo centrale ai fini della determinazione dei fabbisogni standard e più in generale ai fini della rimodulazione dell'offerta assistenziale in termini maggiormente rispondenti ai bisogni effettivi della popolazione.
Come Lega Nord, in Commissione, ci siamo limitati a soffermare l'attenzione su alcune proposte aggiuntive, che ci auguriamo possano trovare realizzazione nel corso della legislatura. Con queste premesse, auspichiamo che sul provvedimento si possa svolgere in Aula un dibattito sereno, animato dal comune intento, di maggioranza ed opposizione, di lavorare di intesa al miglioramento continuo dell'efficienza e dell'efficacia del nostro servizio di assistenza sanitaria (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Barani, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Lenzi. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Signor Presidente, la delega al Governo che stiamo discutendo oggi è sicuramente un atto importante, e fa piacere che quest'Aula possa discutere con una certa ampiezza dei temi della sanità e della salute. È vero anche che nella discussione in Commissione è stato possibile trovare, su diversi punti, un accordo trasversale, come è giusto che sia in materie come queste. Mi permetto però di condividere l'osservazione dell'onorevole Palagiano sul fatto che forse la fretta - qui si misura in pochi mesi - non è una buona consigliera, e che era possibile - e forse è ancora possibile in Aula - arrivare ad un maggiore approfondimento. Affronterò soltanto tre questioni: quella della sperimentazione clinica, quella che riguarda il riordino degli ordini professionali e quella relativa alle farmacie.
Sul primo articolo, in merito alla sperimentazione clinica, è molto condivisibile l'osservazione fatta dal Comitato per la legislazione, la quale fa presente che, in questo disegno di legge, si delega al Governo anche la definizione dei principi e dei criteri direttivi, mentre la delega, di per sé, è esattamente il contrario: definisce i principi e i criteri direttivi e delega al Governo la loro attuazione attraverso decreti successivi, intendendosi, per principi e criteri direttivi, principi valoriali, di fondo, orientamenti, indicazioni, non semplicemente attinenti alla riorganizzazione o al riparto delle competenze.
È allora evidente che, in ordine alla questione della sperimentazione clinica, il fatto che neanche un punto sfiori le questioni di fondo relative al rapporto con le case farmaceutiche (auspicabile, come è auspicabile, sempre, che venga finanziata la ricerca, ma di grande delicatezza, sugli orientamenti della ricerca stessa) mi sembra un grave limite. Come un limite, forse non di altrettanta importanza, ma capace di cogliere cosa si muove nel mondo degli specialisti e che potrebbe essere superato con l'accoglimento di qualche proposta emendativa, è la mancanza di un'attenzione al genere anche nella ricerca, essendo ormai assodato che la differenza dell'effetto del farmaco tra uomo e donna non si misura soltanto in una questione di pesi, in una questione di chilogrammi. Pag. 28
Il tema degli ordini professionali meriterebbe una discussione dell'Aula un po' più approfondita. Sappiamo che al Senato, la settimana scorsa, è stata rinviata in Commissione l'istituzione di nuovi diciassette albi, che riguardano proprio, in grande prevalenza, le professioni sanitarie. In questo provvedimento si toccano quelli che attengono ai medici, agli odontoiatri, agli psicologi, ai biologi e ai farmacisti. Vi è una questione di fondo: bisogna che questo Paese decida se vuole continuare a difendere il valore legale del titolo di studio (e allora non ha più bisogno della costruzione e dell'attività degli ordini, esami duplicati compresi) o se sceglie la strada dell'ordine professionale.
Sono questioni che non attengono solo all'ambito sanitario e che attraversano una discussione per un orientamento più liberale in questa materia. In questo provvedimento, invece, considerato ciò che proclama nei suoi fondamentali il Governo, prendiamo paradossalmente una strada più pubblicistica, dando all'ordine dei medici una funzione pubblica e caricandolo di compiti e di incarichi, vieppiù in una fase nella quale, invece, dal resto del mondo e dell'Europa sarebbe indicata un'altra direzione di marcia.
Lo facciamo in un settore nel quale rischiamo di accentuare ulteriormente un ruolo giurisdizionale dell'ordine a fronte di una platea di iscritti che è sempre più fatta da dipendenti pubblici. Anche questo è un tema che tocca tutti gli ordini professionali. In diversi campi siamo di fronte ad ordini che non si rivolgono più alle libere professioni (come avviene, ad esempio, per gli avvocati), ma che tendono a regolamentare e sono mantenuti in piedi da figure professionali di dipendenti pubblici o privati (pensiamo a quello che avviene anche tra gli ingegneri e i geometri).
Nel settore della sanità questo è un tema rilevantissimo. Rischiamo, con i poteri che vengono riconosciuti agli ordini dei medici provinciali, di continuare ad alimentare un conflitto reale, che è già in atto, nel quale l'ordine interviene anche quando il professionista dipendente sanitario si è limitato a dare attuazione a disposizioni organizzative, ad esempio in merito agli accessi al pronto soccorso o a disposizioni contenute nel Patto della salute, quali sono quelle che attengono alla distribuzione dei farmaci.
In tal modo si dà vita ad un'ulteriore giurisprudenza che ha già problemi di relazioni rispetto a ciò che accade nella giurisdizione ordinaria di fronte al magistrato civile o penale e accentua ulteriormente i rischi conseguenti alla medicina difensiva. Non mi sembra condivisibile, quindi, la posizione di chi dice che questo vada a tutela del paziente. Peraltro, l'ordine professionale nasce a difesa della professionalità della categoria e non per la difesa del paziente che, invece, spetta ad altri organismi.
Il terzo punto tocca le farmacie. Anche in questo caso abbiamo preso una strada di maggiore pubblicizzazione. Devo dire che ho ammirato l'intelligenza politica dell'ordine dei farmacisti, perché in questo modo, con la scelta che viene attuata di costruzione di un soggetto convenzionato con il servizio sanitario erogatore di prestazioni sanitarie all'interno della farmacia, si mette al riparo sia dalla concorrenza delle parafarmacie, sia da quella, molto più pericolosa, che proviene dalla vendita dei farmaci su Internet.
Però, il sistema a cui diamo vita è quello in cui il privato magari è diventato farmacista ed ha ereditato la farmacia dal padre, dal nonno e andando indietro nel tempo - perché sappiamo che così è - e si muove in un mercato superprotetto e supercontrollato. È gestito, regolamento e si misura in metri la distanza tra una farmacia e l'altra. A chi vi parla è toccato in sorte una volta di indire il concorso per l'assegnazione di una sede di farmacia, ricevendo seimila domande, per cui so di che cosa vi sto parlando.
In questo sistema il farmacista-figlio si trova in una condizione di privilegio e di vantaggio rispetto al laureato in farmacia, magari con il massimo dei voti, il quale non ha dietro di sé un patrimonio. Ebbene, in questo quadro, dove sarebbe necessaria una maggiore concorrenza (a pari tutele per la salute pubblica perché hanno Pag. 29la stessa laurea) continuiamo a concentrare la nostra attenzione solo ed esclusivamente su un ulteriore ampliamento del convenzionamento possibile tra le farmacie e il sistema sanitario.
Ciò è di per sé un bene, ma non lascia e non permette quell'ampliamento al mercato che sarebbe possibile fare nel settore solo della vendita del farmaco. Tre perplessità su tre grandi temi, su un intervento comunque rilevante e in altre parti anche condivisibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4274-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole De Nichilo Rizzoli.

MELANIA DE NICHILO RIZZOLI, Relatore. Signor Presidente, rinunzio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

FERRUCCIO FAZIO, Ministro della salute. Signor Presidente, rinunzio alla replica.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge costituzionale: Partecipazione dei giovani alla vita economica, sociale, culturale e politica della Nazione ed equiparazione tra elettorato attivo e passivo (A.C. 4358); e delle abbinate proposte di legge costituzionali: Pisicchio; Lenzi ed altri; Vaccaro; Gozi ed altri (A.C. 849-997-3296-4023) (ore 17,23).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione, in prima deliberazione, del disegno di legge costituzionale: Partecipazione dei giovani alla vita economica, sociale, culturale e politica della Nazione ed equiparazione tra elettorato attivo e passivo e delle abbinate proposte di legge costituzionali di iniziativa dei deputati Pisicchio; Lenzi ed altri; Vaccaro; Gozi ed altri.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4358)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Laffranco.

PIETRO LAFFRANCO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo che la I Commissione affari costituzionali sottopone all'approvazione dell'Assemblea interviene, in primo luogo, su due articoli della Costituzione, l'articolo 56 e l'articolo 58, con l'obiettivo di sancire finalmente una piena equiparazione tra elettorato attivo ed elettorato passivo, favorendo contestualmente l'ingresso delle giovani e nuove generazioni nella politica attiva del Paese.
La modifica del terzo comma dell'articolo 56 della Costituzione è infatti volta ad estendere l'elettorato passivo per la Camera dei deputati a tutti gli elettori, ovvero a tutti i cittadini che abbiano già raggiunto la maggiore età. Una corrispondente modifica è poi prevista all'articolo 58, parallelamente, in forza della quale, per essere eletti senatori, occorrerà aver raggiunto il venticinquesimo anno di età e non più, com'è attualmente previsto dalla nostra Carta costituzionale, il quarantesimo. Pag. 30Al contempo, il testo all'esame di quest'Assemblea introduce un nuovo articolo, l'articolo 31-bis, finalizzato a stabilire il principio della partecipazione attiva dei giovani alla vita economica, sociale e culturale della nazione. Tale articolo affida poi alla legge il compito di fissare i criteri per l'attuazione di tale principio.
Il disegno di legge costituzionale n. 4358 del Governo, adottato come testo base dalla Commissione affari costituzionali nel corso dell'esame in sede referente, e le proposte di legge costituzionale presentate dai colleghi Pisicchio, Lenzi, Vaccaro e Gozi, propongono modifiche agli stessi articoli 56 e 58 della Costituzione in materia di diritto al voto, al fine di abbassare i limiti di età sia per la eleggibilità sia per il diritto di voto nell'ottica appunto di valorizzare la partecipazione delle giovani generazioni alla vita politica. In particolare, per quanto poi riguarda le proposte di modifica al terzo comma dell'articolo 56 della Costituzione in tema di elettorato passivo della Camera dei deputati, occorre ricordare che il vigente testo di tale comma prevede che siano eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni abbiano compiuto i 25 anni di età.
Il testo che si sottopone all'esame dell'Assemblea modifica tale disposizione nel senso di prevedere che tutti gli elettori siano eleggibili a deputati, stabilendo quindi l'equiparazione tra elettorato attivo e passivo. Com'è noto, l'articolo 48 della Costituzione sancisce che sono elettori tutti i cittadini che abbiano raggiunto la maggiore età, che è attualmente fissata dall'articolo 2 del codice civile, così come modificato dalla legge n. 39 del marzo 1975, a diciotto anni di età. Nel caso che tale limite fosse modificato per legge, va ricordato che sarebbe automaticamente modificato anche il limite per l'elettorato passivo della Camera dei deputati, così come proposto dal disegno di legge costituzionale del Governo.
Le modifiche proposte all'articolo 58 della Costituzione riguardano, invece, il tema dell'elettorato attivo e passivo del Senato della Repubblica. Come noto, il vigente articolo 58 della Costituzione prevede che i senatori siano eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che abbiano superato il venticinquesimo anno di età e che siano eleggibili a senatori coloro i quali abbiano compiuto i quaranta anni di età. Riguardo all'elettorato attivo, il testo adottato dalla Commissione non modifica l'attuale limite dei 25 anni. Modifica, invece, al contrario, il concetto di elettorato passivo ponendo un concetto di equiparazione.
Al contempo, il disegno di legge del Governo atto Camera n. 4358 - e, quindi, il testo adottato dalla I Commissione nel corso dell'esame in sede referente - va oltre le modifiche in materia di elettorato attivo e passivo e propone l'inserimento in Costituzione di una nuova norma definita articolo 31-bis. Come è noto, l'articolo 31 attualmente in vigore, al secondo comma, inserisce la gioventù, insieme alla maternità e all'infanzia, tra le categorie destinatarie di una particolare protezione e stabilisce che la Repubblica debba favorire gli istituti necessari all'attuazione di questa tutela.
L'articolo 31-bis, di cui il disegno di legge del Governo propone l'introduzione, può quindi essere letto come un completamento della previsione del secondo comma dell'articolo 31. Il riferimento alla gioventù del secondo comma dell'articolo stesso, infatti, sembra essere circoscritto all'ambito della protezione della famiglia, con particolare riferimento al periodo dell'adolescenza. L'affermazione di una più ampia tutela del giovane all'interno della previsione dell'articolo 31-bis è dunque del tutto coerente in piena continuità con i principi già contemplati dal dettato costituzionale. L'obiettivo è restituire centralità ai giovani nelle politiche che ciascun Governo porta avanti attraverso la promozione di azioni positive. Meritocrazia e certezza di riferimenti, nonché tutele normative, sono dunque le leve sulle quali vuole fondarsi l'azione riformista del Governo e anche, quindi, del presente provvedimento, che tocca un tema centrale in un Paese ormai di stampo gerontocratico, che è quello delle giovani generazioni. Si Pag. 31pensi, ad esempio, alle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato negli ultimi decenni il mondo del lavoro: è necessario riflettere su come aggiornare e ampliare i diritti e la capacità di partecipazione, dunque, i livelli di inclusione sociale, in particolare nei confronti delle giovani generazioni, tenendo presente che la spinta verso l'ampliamento della gamma dei diritti riconosciuti in Costituzione è complessivamente generalizzata ed il bisogno di rinnovamento è sostanzialmente trasversale nella nostra società.
Il testo proposto all'Assemblea si muove dunque nella consapevolezza che la nostra Costituzione è non solo sintesi del passato, ma soprattutto visione e progetto del futuro. La modernizzazione istituzionale del nostro Stato risponde anche alla necessità di reggere la competizione nei mercati globalizzati e di tutelare diritti, specie quelli delle giovani generazioni e dei soggetti più deboli. Vale poi la pena ricordare che non c'è exit strategy per buttarci alle spalle lo spauracchio della crisi economica, né politiche di sviluppo che tengano, se non quelle incentrate sui giovani e sulle nuove leve, che rappresentano il presente e costruiscono il futuro di un Paese ricco di capitale umano e di talenti che non possono rischiare di restare ancora inespressi.
La I Commissione ha avviato l'esame in sede referente degli abbinati progetti di legge costituzionale che già citavo (Pisicchio, Lenzi, Vaccaro e Gozi oltre a quello del Governo) il 23 giugno 2011, svolgendo un attento ed approfondito dibattito per il quale ringrazio il presidente della Commissione. Successivamente, è stato adottato come testo base il disegno di legge costituzionale del Governo e nella seduta della Commissione del 14 settembre scorso sono stati esaminati gli emendamenti proposti decidendo, con parere favorevole del Governo, di respingere tutti gli emendamenti presentati ferma restando l'opportunità di dedicare ulteriori riflessioni ed approfondimenti per una più congrua formulazione del nuovo articolo 31-bis della Costituzione, di cui si propone l'introduzione all'articolo 1 di questo disegno di legge.
Nella seduta del 15 settembre è stato dato, quindi, mandato al relatore a riferire in Assemblea in senso favorevole sul testo adottato dalla Commissione nel corso dell'esame in sede referente. Per quanto riguarda gli articoli 2 e 3 del testo, che intervengono sui articoli 56 e 58 della Costituzione, ricordo che il testo elaborato dalla Commissione al termine dell'esame in sede referente che viene sottoposto all'esame di questa Assemblea costituisce applicazione di un principio di allineamento tra l'età dell'elettorato passivo e l'età di quello attivo, principio che si basa sulla convinzione che, se l'ordinamento ritiene che i cittadini al raggiungimento di una determinata età acquisiscano la maturità e la consapevolezza necessaria per l'esercizio della delicatissima funzione elettorale, è opportuno - direi di più, è giusto - che lo stesso ordinamento ritenga quegli stessi cittadini idonei e capaci a rivestire cariche pubbliche alla cui elezione possono viceversa già partecipare. D'altronde, nel corso della discussione in Commissione è stato da più parti ritenuto rispondente ad un principio di ragionevolezza ed equità la prevista equiparazione dell'età per essere eleggibili a quella per essere elettori.
È stato, tra l'altro, sottolineato come la differenza di età per eleggere ed essere eletti sia attualmente, dopo la riforma che ha introdotto il sistema elettorale maggioritario per entrambe le Camere, l'unica differenza rilevante tra Camera e Senato che, per il resto, sono organi identici per funzione e per formazione.
Per completezza, è giusto ricordare che le altre proposte di legge costituzionale abbinate, in particolare quelle a prima firma del deputato Lenzi, atto Camera n. 997, e del deputato Gozi, atto Camera n. 4023, proponevano, invece, di fissare in diciotto anni di età il requisito per l'elezione a deputato, mentre la proposta di legge costituzionale atto Camera n. 3296, d'iniziativa del deputato Vaccaro, stabilisce tale requisito a 20 anni. La stessa Pag. 32proposta stabilisce anche che non possano essere eleggibili a deputato gli elettori che abbiano superato il settantesimo anno di età. Le proposte di legge costituzionale n. 849, d'iniziativa del deputato Pisicchio, e quella n. 4023, a prima firma del deputato Gozi, pongono poi il limite minimo di eleggibilità a senatore a venticinque anni, mentre la proposta di legge costituzionale n. 997, a prima firma del deputato Lenzi, stabilisce tale limite ad anni diciotto. Infine, la proposta di legge costituzionale n. 3296, d'iniziativa del deputato Vaccaro, fissa il limite minimo di eleggibilità a senatore a trent'anni, mentre, in sintonia con quanto stabilito dalla stessa proposta di legge costituzionale per la Camera dei deputati, statuisce che non possano essere eleggibili a senatori gli elettori che abbiano superato il settantesimo anno di età.
Vale dunque la pena, infine, di ricordare come il testo elaborato dalla Commissione tenga conto, in maniera attenta, delle esperienze degli altri Stati europei, nella maggior parte dei quali il principio dell'equiparazione tra elettorato attivo e passivo è stato già raggiunto e viene già considerato vigente. Sono, infatti, ben undici i Paesi europei nei quali vi è la piena equiparazione. Attualmente l'Italia, con Cipro, è il Paese europeo nel quale è più alta l'età per l'accesso alla Camera bassa e con la Repubblica Ceca è il Paese europeo nel quale è più alta l'età per l'accesso alla Camera alta. Al contempo, tale modifica non può non essere inserita nell'alveo di quella che è già una strategia dell'Unione europea per sostenere i giovani del continente nella maturazione di una coscienza civile sana e più responsabile. L'Unione europea, in particolare, ha segnalato a più riprese l'importanza di mettere i giovani al centro delle politiche nazionali, non come problema da risolvere, ma come fulcro di strategie credibili per affrontare l'attuale crisi, focalizzando l'attenzione sulla loro tutela sociale e sul riconoscimento delle loro competenze e capacità per diventare cittadini attivi e facilitare il loro ingresso nella vita lavorativa, economica, culturale e politica. In questa prospettiva, la strategia Europa 2020, elaborata dalla Commissione europea con l'obiettivo di rendere entro quella data il nostro continente come l'area più dinamica e competitiva al mondo, pone i giovani in una posizione di assoluta centralità. Sul testo elaborato dalla I Commissione, nel corso dell'esame in sede referente è stato acquisito il parere della XII Commissione, Affari sociali, che, nella seduta del 15 settembre 2011, si è espressa favorevolmente.
In conclusione, l'auspicio che esprimiamo è quello di poter giungere ad un testo quanto più possibile condiviso su un tema che non può non stare a cuore a tutti quanti, finalizzato a dare risposta ad una delle richieste più chiare che è emersa in questi anni nel nostro Paese, in particolare dalle giovani generazioni, quella, cioè, di ampliare la sfera dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione o, meglio ancora, di ampliarne la portata, il raggio d'azione e d'intervento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIORGIA MELONI, Ministro della gioventù. Signor Presidente, aggiungo qualche breve riflessione all'intervento del relatore, onorevole Laffranco, che ringrazio, sulle motivazioni che hanno spinto il Governo a presentare questo disegno di legge costituzionale. L'obiettivo, lo diceva bene il relatore, dei tre articoli contenuti nel disegno di legge costituzionale è quello di rimuovere, da una parte, alcuni ostacoli ad una completa e migliore partecipazione dei giovani alla vita della nazione e di inserire, allo stesso tempo, all'interno della nostra Carta costituzionale una norma che possa meglio centrare l'attenzione che la Repubblica rivolge alle giovani generazioni.
Inizio con l'esame degli articoli 2 e 3 e non dell'articolo 1 - e ne spiegherò le ragioni alla fine del mio intervento - perché sono stati gli articoli sui quali anche nel dibattito in Commissione - riguardo al quale voglio ringraziare i rappresentanti di tutti i gruppi politici, perché Pag. 33vi è stata davvero la capacità di confrontarsi nel merito del provvedimento, senza che vi fosse alcun tipo di pregiudizio, su un tema che considero estremamente importante - vi è stata la maggiore convergenza. Sostanzialmente tutti, o quasi tutti, convengono sulla necessità di rimuovere quella che, ad oggi, rimane una barriera introdotta nella nostra Costituzione. Quello che noi vogliamo fare altro non è che stabilire il principio per il quale quando vieni considerato abbastanza responsabile per scegliere un altro dal quale farti rappresentare devi essere considerato abbastanza responsabile, se del caso, anche per potere essere scelto.
Il principio che noi vogliamo introdurre è quello che si definisce corrispondenza tra elettorato attivo e passivo nelle elezioni di Camera e Senato: quando voto sono anche eleggibile. Credo che questa non sia altro che una norma di buonsenso, non fosse altro perché basta guardare cosa accade nel resto d'Europa: quasi tutte le grandi nazioni europee prevedono la corrispondenza tra l'elettorato attivo e quello passivo e prevedono un'età per essere eletti alla Camera bassa, che corrisponde alla maggiore età. Inoltre, per paradosso, in Italia potrei fare a 18 anni il sindaco di una grande città come Roma, potrei fare il Ministro, potrei fare il presidente di regione, in un sistema che va sempre più verso il federalismo, e non potrei fare il parlamentare in una Repubblica parlamentare. Credo che rimuovere questo ostacolo, questo limite rappresenti, per questi motivi, soprattutto una norma di buonsenso.
Dico di più: qualcuno afferma - è stato detto nel dibattito che si è aperto su questo tema non solo all'interno del Parlamento, ma anche nell'ambito della società - che il rischio sarebbe quello di avere un Parlamento composto da diciottenni o da ventenni e che la gran parte dei nostri ragazzi non avrebbe ancora la maturità per poter sedere tra i banchi del Parlamento. In primo luogo, credo che questo non corrisponda a verità, perché nessuno vuole trasformare - ovviamente - il Parlamento in una specie di consulta giovanile, ma nessuno può anche considerare veramente utile, in questo tempo, escludere, per scelta costituzionale, la possibilità che ragazzi anche con meno di 25 anni siedano alla Camera. Dobbiamo anche ricordare che questo è un sistema che prevede il compimento dei 40 anni per essere eletti al Senato. Questo in un sistema bicamerale perfetto, ossia in un sistema nel quale entrambe le Camere licenziano esattamente lo stesso provvedimento. Ciò significa escludere una parte consistente della nostra società dalla possibilità di partecipare completamente alla vita di questa Nazione. Come dicevo, parto dal presupposto che questo sia un luogo di eccellenza, parto dal presupposto che non possiamo escludere per Costituzione che vi sia oggi un ragazzo di ventitré, di ventidue anni che meriti di sedere in questo Parlamento.
Infatti, la nostra storia racconta una cosa completamente diversa da questo: noi celebriamo il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia ed omettiamo, dimentichiamo spesso di dire che l'Italia è una Nazione che è stata fatta da ragazzini, da gente molto giovane: Goffredo Mameli, che ho citato spesso parlando di questo provvedimento, del quale cantiamo l'inno a centocinquanta anni di distanza per ricordarci che siamo un popolo, è un ragazzo morto a ventidue anni per consegnarci la terra nella quale viviamo. Se volessimo andare a tempi molto più recenti, potremmo ricordare che Paolo Borsellino è diventato magistrato a ventitré anni e avrebbe potuto avere ugualmente la maturità per sedere tra i banchi di questo Parlamento. Io la penso così e, guardate, dico di più: non dobbiamo fare l'errore di dire, da una parte, ai giovani italiani che non si è mai troppo giovani per fare le cose importanti e straordinarie e, dall'altra parte, escluderli per legge dalla possibilità di farle, perché è un messaggio contraddittorio: se hai la maggiore età e ti viene riconosciuta la maggiore età, ti devono essere dati tutti i diritti che sono legati alla responsabilità, e non ci può essere una responsabilità dimezzata: o sei responsabile, o non sei responsabile, o puoi fare Pag. 34tutto o ancora non sei abbastanza maturo per fare le cose. Penso che questo sia un messaggio che dobbiamo dare con chiarezza, perché questa è una Nazione che spesso è contraddittoria, da questo punto di vista, nel rapporto che ha con le giovani generazioni: da una parte, si dice che i giovani devono essere centrali e, dall'altra, si dicendo spesso che fino a venti anni, a trenta, a trentacinque o a quaranta anni non si è abbastanza responsabili per... quando noi escludiamo qualcuno automaticamente lo deresponsabilizziamo.
Quindi, vorrei semplicemente lanciare il messaggio ai giovani di oggi, di questa Nazione, a centocinquanta anni di distanza da quelli che, a venti anni, hanno costruito l'Italia, che a venti anni si hanno tutte le possibilità di ricostruire l'Italia. Credo che questo debba partire proprio dalla nostra Costituzione. La selezione, che è necessaria, appartiene ad un altro livello: la selezione non la fa la Costituzione - la Costituzione stabilisce i principi - ma la realizza la legge ordinaria. Lo dico ai colleghi che sanno quali siano, ad esempio, le mie posizioni sul tema della legge elettorale: sono una persona che crede assolutamente, ad esempio, nello strumento delle preferenze. Quindi, figuriamoci se non ritengo che questo debba essere un luogo nel quale debba esservi una selezione.
Ma l'esclusione sulla base dell'età - prima dei 25 anni per la Camera e prima dei 40 anni per il Senato - è l'unica esclusione che la Costituzione prevede per essere eletti in Parlamento, la Costituzione non prevede requisiti di alcun tipo - di formazione, di intelligenza - ed è giusto che sia così, la selezione appartiene ad un altro livello.
Vorrei semplicemente rimuovere quello che oggi considero un limite nel rapporto con i giovani italiani e introdurre quella che è una norma di assoluto buon senso, del resto è una norma condivisa, è stata oggetto - come ricordava il relatore - anche di numerosi disegni di legge nel corso delle scorse legislature e peraltro fu oggetto di un dibattito che proprio il Ministero della gioventù organizzò a Montecitorio, ormai più di un anno fa, il 14 aprile 2010, che si intitolava «Una Giovane Costituzione. Eleggibilità e partecipazione giovanile dal 1948 ad oggi», un dibattito al quale hanno partecipato i rappresentanti di tutti i gruppi politici, oltre al Presidente della Camera, Gianfranco Fini, al Presidente del Senato, Renato Schifani e alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Tutti hanno convenuto sulla necessità di trovare tutti gli strumenti idonei per riavvicinare i giovani alla politica, questo può essere uno di quegli strumenti. Chiaramente non è la soluzione, come sempre, perché noi siamo anche molto attenti al tema del «benaltrismo», ci vorrebbe ben altro, ci vuole sempre ben altro, ma intanto questo è un modo per cominciare. Rimuoviamo una barriera, diciamo a questi ragazzi che crediamo in loro e diamo loro la possibilità di misurarsi.
Aggiungo un ultimo elemento su questo tema e poi due parole veloci sull'articolo 31-bis. Credo che questo sia un segnale molto importante che possiamo lanciare a questi ragazzi e credo che anche la capacità di dialogo che c'è stata e che può esserci durante la votazione in Aula su questo provvedimento potrebbe essere una bella boccata d'ossigeno e un bel segnale per i giovani in questa Nazione e per i ragazzi che ci guardano, per cui sono contenta di come si stia evolvendo il dibattito, di come in Commissione sia stato estremamente responsabile e spero - ovviamente - che si possa arrivare alla massima convergenza possibile su un provvedimento di questo tipo.
Il disegno di legge costituzionale del Governo introduce poi - anche questo è stato molto ben spiegato dal relatore, onorevole Laffranco - un ulteriore articolo che vorremmo introdurre in Costituzione perché la Costituzione italiana parla dei giovani, cioè ha un riferimento alla gioventù introdotto nell'articolo 31, che riguarda la famiglia, e parla di protezione della gioventù e dell'infanzia. Chiaramente, così configurato il riferimento che si fa alla gioventù è un riferimento per il quale si parla dei giovani all'interno del Pag. 35nucleo familiare, protegge la gioventù e l'infanzia all'interno del nucleo familiare. Sappiamo che il grande problema che questa Nazione ha con i suoi figli è la difficoltà che ha avuto, ad un certo punto, a garantire la centralità di questa ragazzi anche al di fuori del nucleo familiare e indipendentemente da esso, pertanto abbiamo immaginato che si introducesse, in un tempo come questo, un articolo, una norma nella nostra Carta costituzionale nella quale si dice che la Repubblica valorizza la partecipazione dei giovani alla vita sociale, politica, economica e culturale della Nazione, perché riteniamo che questo possa essere un altro segnale importante. Tuttavia, su questo articolo c'è stato in Commissione un ampio dibattito e alcune delle valutazioni fatte anche dei gruppi di opposizione mi sembrano assolutamente sensate: quando si introducono delle norme in Costituzione bisogna fare attenzione a non ottenere il risultato diametralmente opposto a quello che si vuole ottenere, quindi su questo articolo chiaramente sono disponibile ad un ampio dibattito per cercare di pervenire a una norma che possa essere più condivisa possibile. Nello specifico, mi piacerebbe ragionare su una riformulazione di questo articolo per introdurre in Costituzione un principio che, a mio avviso, è mancato in questi anni nell'ordinamento della nostra Repubblica e i risultati purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. Tale principio è quello dell'equità tra le generazioni.
La Repubblica nelle proprie scelte deve porsi il problema di quanto, nel momento in cui una generazione porta avanti le proprie decisioni, i costi o gli effetti di quelle decisioni possano scaricarsi sulle generazioni successive, che chiaramente non possono difendersi. Sarebbe questo forse il modo più bello per onorare il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione il relatore, onorevole Laffranco - lo avevo ascoltato anche in Commissione, per cui questa è stata una reiterazione, le soddisfazioni non sono mai isolate, sono anche accompagnate da queste occasioni, per cui sono veramente compiaciuto - e poi ho ascoltato il Ministro. Farò qualche riflessione e cercherò di essere anche molto parco nel ragionamento, per tentare di esprimere compiutamente il mio pensiero.
In Commissione ho avuto modo anche di scambiare qualche battuta con il chiarissimo presidente della Commissione affari costituzionali. Il mio ragionamento nasce da una preoccupazione, che viene anche quanto meno raccolta da parte del Ministro. Da molti anni, signor Presidente, siamo un po' travagliati, per usare un eufemismo: ci dimeniamo tra riforme costituzionali e non. Per molti anni sembrava, dalla IX, X o XI legislatura, che ci si dovesse addentrare anche in una fase costituente della nostra Repubblica. Ci sono stati vari tentativi, chi non ricorda la Commissione Bozzi, poi la bicamerale, D'Alema, la Iotti e quant'altro, poi via via anche le riforme che ci sono state, quella del 2001 e quella del 2006.
Quella del 2001 è passata, ma poi vi è stato un continuo impegno da parte del legislatore di riformare la Costituzione a pezzetti e bocconi, tra virgolette ovviamente, utilizzando l'articolo 138 della Costituzione. La riforma del 2006 poi non ebbe il conforto del referendum da parte dell'elettorato, anche se quella riforma dava indicazioni molto precise e molto nette anche rispetto al groviglio delle situazioni e dei punti che sono ancora in sospeso e che sono oggetto di discussione e di valutazione da parte del Parlamento e delle forze politiche.
Il Ministro sa con quale spirito costruttivo mi sono posto. Facciamo una riforma, un'altra delle tante riforme. Non so se è una piccola o una grande riforma. Certamente quando si parla di giovani è una grande riforma. Molti usano i giovani come spot, come si parla della famiglia, si parla dei giovani e delle donne ma, dopo aver parlato, fatto grandi dichiarazioni di principio e manifestato grandi intenzioni, Pag. 36sul piano pratico perdiamo di vista i contenuti e le proiezioni. È certamente una riforma, ma una riforma svincolata da tutto il contesto rischia di perdere di vista la sua importanza e la sua valenza.
La mia prima domanda è: forse, o senza forse, - in questa fase della legislatura ormai avvertiamo un po' il declino della legislatura stessa - è possibile fare le riforme costituzionali isolando i problemi oppure serve l'impegno delle forze politiche, per l'oggi e per il domani, di andare verso un'Assemblea costituente? Non è possibile andare avanti in questa maniera! Ritengo che questo sia un dato su cui bisogna riflettere, e quindi anche l'esame di questo disegno di legge costituzionale potrebbe essere un'occasione.
Nel momento in cui parliamo di questi articoli, degli articoli 31, 56 e 58 della Costituzione, - poi entrerò anche nel merito - non vi è dubbio che diciamo una parte della verità, se di verità si tratta, ma le verità, prese isolatamente, a confronto con tutto il contesto, non sono più tali. È vero che questa proposta e questa norma spingono per il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei giovani, e questo come principio e come assunto va bene, ma se poi le confrontiamo e le compariamo con tutto il contesto - l'ho detto più volte -, per esempio con l'attuale legge elettorale, signor Ministro, si convinca che è una buona intenzione, una buona volontà, una buona manifestazione politica, ma non è suffragata e supportata dai fatti.
Come apriamo ai giovani, se il clima politico è questo e io vado dicendo che non esiste la politica? Non esiste assolutamente la politica! Infatti, quando un Parlamento non è eletto, ma è nominato, qual è il coinvolgimento dei giovani, in termini seri? Allora diamo delle direttive alle cancellerie dei partiti perché prevedano nei primi posti delle liste bloccate anche i giovani diciottenni. Questo sarebbe anche un dato, ma forse è un altro aspetto. Ma di cosa stiamo parlando, signor Presidente?
Lo dico con estrema chiarezza: qual è la responsabilità? Se non esiste la politica e non esistono i partiti, non ci possiamo inventare i legislatori soltanto per età! La selezione della classe dirigente va fatta attraverso un esercizio della politica e dell'impegno che i partiti devono assicurare. Questo è il ruolo dei partiti! Se facciamo riferimento all'articolo 31 della Costituzione, facciamo anche riferimento al ruolo dei partiti, alla formazione, alla pluralità dell'associazionismo, che credo siano un elemento forte e costituiscano la ricchezza e il sale della democrazia all'interno del nostro Paese.
Altrimenti, questo è un provvedimento che livella l'elettorato attivo e passivo per la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica non tenendo presente dei limiti oggettivi. Lo dicevo poc'anzi anche all'onorevole Bressa: non è che questo provvedimento mi vede contrario, ma non mi convince. Infatti, si tratta di scorciatoie senza comprendere quella che è una tematica e una problematica importante e fondamentale, che riguarda certamente anche il ruolo della Camera dei deputati e del Senato.
Facevo riferimento alla riforma costituzionale del 2006, quando si trovò una soluzione per evitare il bicameralismo perfetto: la Camera dei deputati aveva un certo ruolo e il Senato un altro, e non vi è dubbio che da lì bisogna partire. Infatti, se approviamo questo provvedimento, affrontiamo anche una parte del discorso rispetto a quello che è il Parlamento e il suo ruolo, ma non lo affrontiamo in termini complessivi, perché non individuiamo quale sia l'architrave su cui si debba reggere questo nostro Paese.
Se volessi fare qualche polemica in più, signor Presidente, quando il Ministro Meloni mi parla dell'Unità d'Italia, potrei obiettare: ma ancora non sappiamo qual è l'Italia, se un Ministro della Repubblica mi parla di secessione! Qui facciamo tutti politica, non voglio fare polemica. Lo so che vi sono ovviamente le esigenze della piazza, in Veneto ed in altre zone e territori. Tuttavia, se c'è un minimo di sensibilità rispetto ai messaggi che noi vogliamo mandare ai giovani e soprattutto alle nuove generazioni, questi sono messaggi brutti e certamente non vengono Pag. 37corretti da questo provvedimento. Non sono corretti. Ma perché non abbiamo un minimo di orgoglio? Ma perché deve prevalere la tenuta di una maggioranza così eterogenea rispetto ad esigenze di fare chiarezza? E quando noi rivendichiamo l'Unità d'Italia e ricordiamo il 150o anniversario dell'Unità d'Italia, sembra più un'imprudenza che un convincimento. Lo dico con molta cortesia e soprattutto con molto rispetto. Vi è infatti il dato politico: o esiste il dato politico oppure non esiste nulla.
Questi sono, allora, accorgimenti che non danno il risultato di ampliare la platea dell'elettorato passivo. Essi danno una sensazione di insofferenza, ma anche creano un dato di contraddizione profonda. E le contraddizioni profonde, i messaggi equivoci, la mancanza di chiarezza e di certezze e l'assenza di politiche chiare creano uno sbandamento eccessivo e certamente queste insufficienze non possono essere sopperite dall'allargamento della platea e dell'elettorato passivo e questo lo dico con estrema chiarezza.
Ma poi c'è un altro aspetto. Che cosa significa questa immissione dei giovani condotta in questa maniera? Forse come i ragazzi del 1898 nella prima guerra mondiale, ovvero un «mettiamo i giovani per cambiare»? Allora erano le sorti della guerra, adesso è per cambiare le sorti del Parlamento? Era un dato positivo, ma lì c'era un obiettivo, c'era un ideale, c'era un progetto. Io non dico «no», dico però che prima di questo provvedimento, certamente importante, vi sono altri interventi di riforma propedeutici a questo tipo di intervento.
Ma c'è un ulteriore aspetto, come dicevo poc'anzi. C'è una riforma che si può realizzare con legge ordinaria, che è quella della legge elettorale. Se infatti noi non sciogliamo questo nodo, tutto ciò diventa di difficile comprensione.
Ma c'è anche un altro aspetto per andare avanti. Noi siamo in un bicameralismo perfetto. Allora vi pongo una mia domanda provocatrice. Non si preoccupi, presidente Bruno, come lei sa sono innocuo rispetto anche alle provocazioni che faccio, perché poi cerco di edulcorarle, soprattutto con molta prudenza, e di inserirle in termini accettabili (per carità).
Ma perché, dunque, far rimanere l'elettorato attivo a 18 anni per la Camera ed introdurre l'elettorato passivo a 18 anni alla Camera, e invece far rimanere al Senato l'elettorato attivo a 25 anni e prevedere l'elettorato passivo a 25 anni? Se c'è la maturità per svolgere le funzioni di deputato a 18 anni, allora facciamo uno sforzo di ragionamento in più, perché altrimenti anche il suo ragionamento, signor Ministro, regge poco. Se il Senato e la Camera svolgono le stesse funzioni, allora tanto vale estendere il ragionamento. E se sono maturi per la Camera, dal momento poi che i senatori fanno le stesse cose dei deputati, allora a 18 anni dovrebbero prevedersi gli elettori per il Senato e a 18 anni anche prevedersi i senatori eletti.
Siccome il Ministro e la Commissione credo abbiano la possibilità di presentare nel corso del dibattito le proposte emendative, io avanzo questa proposta e do questa indicazione, perché questo è il discorso: se uno è maturo per fare il deputato a 18 anni e se il Senato svolge le stesse funzioni della Camera dei deputati - le stesse identiche funzioni - non c'è dubbio che qui c'è bisogno di una rivisitazione di quella che era allora la distinzione fra la Camera ed il Senato, prevista nello Statuto albertino e poi nella Carte costituzionale, ed avendo ben presente quello che è stato allora il dibattito della Costituente.
Perché il costituente prefigurò 40 anni come limite per essere eletti al Senato? Perché si diceva che il Senato doveva essere la Camera Alta di compensazione, la Camera di ripensamento, di riequilibrio. Era, ovviamente, una garanzia per il perfezionamento delle leggi. Ma tutto questo non esiste più. Del Senato della Repubblica fanno parte cinque senatori nominati dal Presidente della Repubblica e gli ex Presidenti della Repubblica e il Presidente del Senato svolge il ruolo di supplente del Capo dello Stato per cui rappresenta la seconda carica dello Stato stesso. La differenza Pag. 38fu marcata allora nell'Assemblea costituente, lo si disse chiaramente. Tutto questo discorso, che sembra essere semplice, supera anche il dibattito di allora, ma non lo completa, perché, se il ragionamento è quello che ho sentito fare, non c'è dubbio che avremmo dovuto avere una normativa che prevede 18 anni per tutti, per la Camera e per il Senato, a meno che non vi è una differenza tra il ruolo della Camera e del Senato, come dicevo poc'anzi, ma le differenze non sono assolutamente emerse in questo particolare momento.
Ma vi è un'altra considerazione, signor Presidente: il Governo è stato molto lucido, perché ha utilizzato l'articolo 31 della Costituzione che, per dire la verità, nella configurazione e nel dibattito della Commissione dei 75, in seno all'Assemblea costituente, con il Parlamento e l'elezione non c'entrava nulla. Parlava, infatti, della tutela della famiglia e dei giovani; qui, invece, con l'articolo 31-bis, il Ministro cerca di ampliare questo ragionamento per poterlo agganciare agli articoli 56 e 58 della Costituzione e per dare un supporto logistico e un riferimento ai suddetti articoli 56 e 58.
Per dire la verità, sono stato sempre perplesso quando un Parlamento ragiona per quote; si tutelano i giovani soltanto se sono lì, si tutelano le donne se sono lì. Sono sempre stato contro le quote rose, tanto per capirci, con molta responsabilità. Sono stato sempre su una posizione molto perplessa quando vi sono queste soluzioni. Ma l'articolo 31 nasceva da un'altra motivazione: la tutela della famiglia e quella dei giovani e, quindi, poi, dell'occupazione e dell'inserimento non significa inserimento al lavoro, non può essere preso così, in questa accezione, il discorso sull'articolo 31. L'inserimento del giovane previsto dal costituente, infatti, era un inserimento nella società; oggi, si aggiunge l'inserimento nella vita economica, sociale, culturale e politica attraverso l'articolo 31-bis, ma non è un fatto primario. Quello era, cioè, un fatto descrittivo nel suo complesso di tutto l'articolato della Costituente. Questo articolo 31-bis prevale sull'altro o quanto meno mette in ombra quell'altro, lo trasferisce dalla parte I della Costituzione, quella concernente i diritti e i doveri dei cittadini, alla parte II, quella sull'ordinamento della Repubblica e, quindi, del Parlamento. Questo è un altro aspetto importante perché credo si sia fatta una forzatura. Ecco perché io ripropongo e rilancio il dato dell'Assemblea costituente. Non si può procedere in questa maniera.
Ritengo che sia un modo sbagliato perché poi si va a ricostruire il tutto e non si ha un disegno complessivo su cui ovviamente portare avanti un processo riformatore nel suo complesso che non si può fermare a questo. In questa legislatura, infatti, con questo clima di carattere politico, il disegno di legge in esame rischia di essere semplicemente un abbozzo di riforma costituzionale e poi il nulla. E se questo è il solo e - lo ripeto ancora - rimane ancora questa situazione politica nonché questo impianto per quanto riguarda il sistema elettorale, ritengo che non abbiamo fatto alcun tipo di lavoro serio ma abbiamo creato plaghe di frustrazione soprattutto per i giovani. Mai prendere in giro i giovani. E guai pensare minimamente di sostituire i cinquantenni, i quarantenni e i trentenni con i giovani per avere birilli o per avere marionette e allora il problema riguarda anche il Parlamento. Non c'è dubbio. Voi sapete che sono stato sempre ostico al populismo che esiste anche al nostro interno quando si dice che bisogna ridurre il Parlamento. Io dico di sì. Ho votato nel 2006 nel senso di ridurre i parlamentari. Tuttavia non riusciamo a capire perché affermiamo solennemente queste proposte. Per fermare la canea? Non siamo riusciti a capire quindi che la canea non è rivolta nei confronti dei singoli parlamentari o dei privilegi perché in questo nostro Paese ci sono tanti privilegi che ovviamente godono di una immunità completa e assoluta. Nessuno ne parla, per carità di Dio, ma c'è un attacco forte nei confronti del Parlamento e siccome lei, signor Ministro, ha parlato di federalismo, vogliamo parlare di federalismo? Lei proviene da una storia politica, Pag. 39io da un'altra. Ma cosa significa federalismo? La federazione dell'Europa? Ma la federazione dell'Europa degli Stati o delle regioni? Degli Stati o delle regioni? Infatti, abbiamo capito che c'è un tentativo di svuotare il Parlamento sotto il profilo della sua centralità e di sostituirlo con le Assemblee regionali. Poi c'è Strasburgo, le regioni e poi può rimanere l'unione dei comuni, le aree grandi, le aree immense, le aree medio-grandi, chiamiamole come vogliamo, e poi vi sono i comuni. Ma questo è il problema: andiamo ad intervenire sull'età dei parlamentari senza dire che cosa facciamo di questo Parlamento ma soprattutto senza avere le idee chiare sull'architrave che deve reggere questo nostro ordinamento e questo nostro Paese. Stiamo ancora discutendo sull'identità di questa Nazione. Queste sono ovviamente valutazioni che dobbiamo fare con estrema attenzione.
Signor Presidente, non mi sono sentito di votare contro quando abbiamo dato il mandato al relatore, ma non tanto per simpatia nei confronti dell'onorevole Laffranco, non per sintonizzarmi con il clima che oggi vi è nel PdL (dovrei essere più sintonizzato con l'onorevole Meloni che con te, ovviamente anche per rispetto nei confronti del PdL, per carità di Dio), ma perché lo sforzo fatto dal Ministro è uno sforzo che pensavo che anche lo stesso partito del PdL potesse ricollocare nella sua giusta dimensione. Invece questo aspetto, questo dato e questa iniziativa non l'ho trovata. Attendo anche il dibattito, voglio sentire, vediamo se ci sono gli emendamenti, abbiamo presentato emendamenti soppressivi, poi possiamo aggiustarci anche sull'articolo 31-bis. Tale articolo è ininfluente perché secondo il Ministro giustamente dobbiamo fare qualcosa in più, tanto è un fatto descrittivo. Si tratta di una parola in più che dà delle motivazioni rispetto agli articoli 56 e 58; in tale contesto va tutto bene.
Ma non è questo il punto di partenza. Il punto di partenza è un altro: riguarda la Costituzione nel suo complesso, riguarda la politica, riguarda il Parlamento, riguarda la legge elettorale e riguarda l'effettività della presenza e del ruolo dei giovani a livello di Parlamento.
Non vi è dubbio: è una crisi di democrazia? Secondo alcuni, vi è un'ampia democrazia, perché, tanto per riprendere un discorso precedente, si lascia parlare impunemente un Ministro di secessione. Io, in quest'Aula, ne ho viste di tutti i colori, ho visto anche il cappio e, per carità, non mi scandalizzo certamente. Non vi è dubbio che, per una certa parte, vi sia una crisi di democrazia, mentre per un'altra parte vi sia un eccesso di democrazia. Dunque se, da una parte, vi è una crisi di democrazia, mentre dall'altra parte - in base all'angolo di visuale da cui la guardiamo -, vi è un eccesso di democrazia, significa che questo Paese non ha un riferimento né un dato importante per andare avanti.
Signor Presidente, non credo di dover aggiungere altro. Che cosa mi aspetto? Il Ministro ha svolto la replica. Dobbiamo votare il provvedimento così, senza che vi sia una risposta complessiva? Ma non può darla...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Tassone, vorrei dire all'onorevole Baldelli che noi non vorremmo violare la sua privacy, ma lui ci costringe. Prego, onorevole Tassone.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, l'onorevole Baldelli non è discreto, sta a sentire, perché così compartecipa al dibattito come fa sempre, perciò ci fa anche piacere questa sua compagnia, che ovviamente è sempre gradita.
Come dicevo, non vi è dubbio. Il discorso, certamente, rientra in un disegno, in un progetto molto più ampio. Signor Ministro, come vogliamo completare? Si va subito all'approvazione del provvedimento? Cosa ha significato tutto questo? E i nodi? Deve essere il Governo nel suo complesso: come stavo dicendo, non deve essere semplicemente il Ministro della gioventù. Qual è l'impegno riformatorio? Come verranno articolati, come verranno ritmati, come verranno scadenzati i prossimi Pag. 40mesi rispetto agli appuntamenti anche di carattere legislativo?
Il Ministro della gioventù ha avanzato la sua proposta, ma io ritengo che il Governo, nel suo insieme, dovrebbe avere una visione complessiva. Ecco perché vi sono queste mie perplessità. Non pronuncio alcuna dichiarazione di voto, attenderemo, in seguito, anche il dibattito, la discussione e il confronto. Ma credo che così com'è questo provvedimento sia più un dato, seguito, patrocinato, come è giusto che sia, da parte di un Ministro, che non un patrimonio complessivo sul piano culturale. E il problema è sempre culturale, signor Presidente. Si tratta di un problema di sensibilità, non di un problema di interessi particolari e contingenti.
Voi pensate veramente di catturare il voto dei giovani, così, in questa maniera? Io avrei qualche perplessità. È come se li immetteste, senza alcuno strumento e senza alcuna attrezzatura, in un crogiolo di situazioni, senza i mezzi, senza gli strumenti, senza una forza, senza una capacità di conoscenza.
Io concluderei con il dato a cui facevo riferimento. Forse, non ci siamo ancora capiti: tutto potrebbe essere facile, se vi fosse il dato della politica. Ma qui vi è una crisi di credibilità, signor Presidente. Vi è una crisi di credibilità forte anche sul piano politico e di Governo. Vi è una crisi di credibilità e una crisi di valori. L'ampliamento non crea valori né riferimenti: di per se stessa, l'elezione di un deputato a 18 anni non è un valore. È un valore nella misura in cui avviene in un contesto diverso. In questo contesto, non è un valore e rischia di essere la negazione di un valore. Non perché io sia contro l'immissione di parlamentari a diciotto anni.
Ritengo che queste possano essere sommesse osservazioni che si possono fare, si possono riprendere, si possono recuperare se c'è l'intenzione di recuperarle, altrimenti, come si suol dire, si va a maggioranza visto che c'è anche un clima buono con l'opposizione, una certa comprensione; stiamoci attenti, Gianclaudio Bressa, il clima buono con l'opposizione ci fu anche per il federalismo fiscale e poi ci siamo accorti che quel federalismo fiscale, che vide soltanto noi come oppositori, era veramente un dato ed un riferimento legislativo da non approvare. Stiamo attenti a non seguire scorciatoie che ci porterebbero lontani e soprattutto distanti da quelle che sono le premesse.
Detto questo, signor Presidente, rinnovo il ringraziamento al relatore, rivolgo un ringraziamento sincero anche al Ministro che ha fatto veramente il suo lavoro, ha fatto la sua parte, anche, possiamo dire, in solitudine perché non credo che questo disegno di legge costituzionale sia stato elaborato e metabolizzato all'interno della compagine governativa. Ci auguriamo che questo non sia un argomento trattato come una leggina di secondo o di terzo livello tanto per fare le statistiche delle leggi approvate o delle leggi non approvate. Speriamo che questo sia un dato che ci consenta di aprire, di dischiudere la nostra mente e soprattutto la nostra volontà ad una propaggine molto più vasta perché questo è un dato minimale se non si affronta la problematica più vasta di riforme costituzionali molto più serie e molto più stringenti all'interno del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lorenzin. Ne ha facoltà.

BEATRICE LORENZIN. Signor Presidente, ascoltando il dibattito, non solo quello in quest'Aula o in Commissione, ma anche alcune riflessioni che sono state fatte sulle agenzie di stampa o sui giornali, devo dire che la prima cose che mi viene in mente è una: chi ha paura dei giovani? A sentire molte riflessioni sembra proprio che questi giovani italiani facciano tanta paura; fanno paura nonostante siano pochi ed elettoralmente poco appetibili perché i dati anagrafici e demografici del nostro Paese ci dicono che i giovani in Italia contano sempre di meno anche perché sono sempre di meno.
Quindi, fare una politica in favore dei giovani, probabilmente, almeno per me, ma credo anche per il Governo, non significa fare una politica per prendersi un Pag. 41pezzo di elettorato ma forse per sperare che questo pezzo di elettorato sia migliore di quello che lo ha preceduto e si decida a diventare adulto prima dei giovani vecchi di cui oggi spesso sentiamo parlare e di cui siamo circondati.
Credo che un disegno di legge come questo, di riforma costituzionale, entri a gamba tesa nell'ambito culturale italiano, forse senza neanche rendercene conto, ma lo vediamo dalle reazioni che suscita perché vi è una cultura che ha fatto in modo che i giovani fossero quelli di cui si parla nell'articolo 31 della nostra Costituzione e cioè i giovani dentro la famiglia. Giovani che sono in realtà poco più che bambini e fanciulli. Non i giovani adulti cioè gli uomini e le donne che, giovani adulti, si fanno una famiglia, la costruiscono, affrontano l'avventura della vita con coraggio, con determinazione e con responsabilità. Sicuramente non era questo l'intento dei costituenti, anche perché, più di sessant'anni fa, i giovani e le donne di diciotto, venti, ventuno anni erano giovani uomini e donne che uscivano dalla guerra e, sicuramente, di tutto potevano essere accusati tranne che di essere dei bambacioni.
Molta acqua è passata sotto i ponti, non soltanto italiani, ma potremmo dire europei, occidentali, e c'è stata una trasformazione culturale, epocale; in alcuni casi un'evoluzione, in altri casi, a mio parere, e lo dico da giovane donna, un'involuzione. Per cui, quelle norme sancivano dei principi ed erano state create in base a quella che era l'abitudine del tempo (ricordiamoci che all'epoca si diventava maggiorenni a ventuno anni, c'era un altro approccio alla vita), abitudine che si è mano a mano trasformata con una cultura generalizzata, fortemente deresponsabilizzante nei confronti delle nuove generazioni e a volte anche nei confronti delle vecchie.
Penso alla mia generazione, che è stata diseducata rispetto ad alcuni fatti importanti della vita: diseducata alla genitorialità, diseducata ad una responsabilità personale piena e, addirittura, in alcuni casi, abituata a pensare che qualcun altro dovrà sempre intervenire per rispondere ai tuoi problemi.
Questo è avvenuto in tutti gli ambiti della nostra società; è avvenuto nella pubblica amministrazione, è avvenuto nel privato e in certi tipi di speculazione che oggi vediamo riflettersi nel modo in cui si gestiscono i mercati. Infatti, la politica, quella di cui parlava prima l'onorevole Tassone, la fanno gli uomini e le donne, non la fa qualcuno o qualcosa di astratto.
Soprattutto, l'articolo 31-bis, di cui anch'io, all'inizio, non avevo colto appieno lo spirito, in realtà, introduce qualcosa di completamente diverso, cioè introduce l'idea che bisogna cambiare qualcosa dal profondo, dal punto di vista culturale, e che, quindi, i giovani non sono soltanto i ragazzi, ma giovani uomini e donne che decidono. Si passa da una Costituzione che protegge i giovani ad una Costituzione che li promuove; da una Costituzione che tende, in qualche modo, involontariamente, a deresponsabilizzare, ad un'altra che passa a responsabilizzare e, quindi, il suddetto articolo risponde ad una esigenza dei tempi, ad una visione della società.
Credo che questo sia un passaggio fortemente importante, che ha poco a che fare con il fatto che poi un giovane venga o meno candidato nelle liste di un partito politico, perché questa è una scelta che attende alla selezione della classe dirigente. Il dato anagrafico è sicuramente importante; saranno pochissime le persone che, molto giovani, hanno, avranno la possibilità di esprimersi appieno, ma questo vale a venticinque anni così come a diciotto e, allora, dovremmo dire che nessuno può essere eletto fino a trenta o quarant'anni. Qual è la data? Qual è l'età? Il punto non è questo. Non possiamo confondere i piani, non possiamo confondere il piano del diritto e del dovere con il piano dell'opportunità, perché quest'ultimo attiene ad un'altra sfera, a quella di chi, oggi, ha in mano, secondo la nostra Costituzione e la legge, la selezione della classe dirigente, che sono i partiti politici. Se allora dobbiamo parlare della crisi dei Pag. 42partiti ne parliamo, ma teniamo fuori i ragazzi, che non possono essere tre volte vittime di questa cosa.
Sono due i piani di cui dobbiamo farci portatori come classe dirigente di questo Paese in questo momento, ma sicuramente non può essere una scusa con la quale rimandiamo, a mio parere con paura, una cosa che è normale. È normale in tutta Europa che si voti a diciotto anni e che si possa essere eletti alla Camera a diciotto anni. È un fatto normale. Se poi andiamo a vedere quanti sono i diciottenni presenti nelle Camere, basse o alte - laddove la cosa sia equiparata - notiamo che sono pochissimi, una rarità, probabilmente sono dei casi eccezionali, non sono la norma, ma questo attiene ad un principio diverso, cioè che quando sono in grado di eleggere qualcuno e di partecipare alla vita attiva, probabilmente posso anche essere eletto. Si tratta di un semplice segno di responsabilità.
Di responsabilità sentiamo spesso parlare, si declina molto il tema della responsabilità, finalmente, ma non vi può essere responsabilità se non vi è responsabilizzazione e questo si cerca di scardinare, con la lettura combinata del provvedimento a proposito dell'articolo 31-bis che riguarda la partecipazione dei giovani. Forse il Ministro avrà occasione, con il dibattito in Aula, di riformularlo ed essere più attenta alla sensibilità di alcuni dei commentatori, ma questo non c'entra niente con il principio che qui si tenta di sancire; nelle poche e brevi frasi di questo articolo 31-bis probabilmente si apre un'attenzione vera nei confronti di un cambiamento della nostra società, di cui spesso parliamo tra di noi e nei talk show.
Non riusciamo più a capirli questi giovani, non si capisce dove stanno andando, emergono la confusione, l'incertezza, ma si smetta di vedere i giovani italiani come un problema. Al contrario, non sono un problema, ma il futuro, il presente direi. Basta anche con questa cosa che i giovani sono il futuro. A diciotto anni non sei in futuro, a diciotto anni sei il presente di un Paese: a diciotto anni vai, se vuoi, a fare il militare come volontario e puoi essere al fronte; a diciotto anni lavori; a diciotto anni fai una famiglia, puoi fare dei figli, puoi allevare un altro essere umano. Quale futuro? Sei il presente. Allora, mi chiedo: chi ha paura di questo presente? In una società gerontocratica come la nostra e, se mi permette, onorevole Tassone, con una dose molto alta di maschilismo, del presente si ha paura; visto che lei prima parlava delle quote, vorrei dire che sono due temi diversi, ma spesso si incrociano, perché probabilmente i giovani fanno paura, come fanno paura le donne.
Sono temi ancora irrisolti nel nostro Paese, che danno il senso, però, di una certa arretratezza culturale. Allora, si può affrontare questa arretratezza non avendo paura della conservazione dei valori di fondo che stanno alla base della nostra società, tanto è vero che affrontiamo il tema dei giovani innovando e ritornando alla tradizione italiana, che era una tradizione di uomini e donne che si assumevano in pieno le proprie responsabilità.
Non vogliamo costruire una società per i bamboccioni, vogliamo costruire una società per giovani, uomini e donne, capaci di assumersi, prima della mia generazione, le proprie responsabilità, perché probabilmente non c'è più tempo per aspettare un domani di qualche genitore che ti risolverà il problema dell'oggi (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, il professor Livio Paladin, uno dei miei indimenticati maestri, in un libro preziosissimo, Per una storia costituzionale dell'Italia repubblicana, fa una valutazione che credo dovremmo tenere sempre fissa nella mente quando affrontiamo il tema della revisione costituzionale.
Paladin scriveva: «Il carattere lungo della Carta del 1947 ci impone valutazioni plurime e distinte, né giova contrapporre seccamente l'intangibile parte I alla superata o superabile parte organizzativa. Si conferma, invece, la necessità concettuale Pag. 43e politica di non fare di ogni erba un fascio, distinguendo invece analiticamente con estrema cura quanto va ripensato a causa delle sue stesse origini da quanto si dimostra tuttora vivo e vitale».
Credo che il tema dell'equiparazione tra elettorato attivo e passivo sia una di quelle cose che debbano essere ripensate, e noi abbiamo riconosciuto, durante lavori della Commissione, l'iniziativa che il Ministro Meloni ha assunto e il coraggio di una scelta chiara e netta, che noi abbiamo condiviso. Vedete, non c'è alcuna differenza ormai tra Camera e Senato. Già pochi anni dopo l'approvazione della nostra Costituzione la separazione che c'era nei tempi di elezione tra Camera e Senato - cinque e sei anni - è stata rapidamente abbandonata. I decenni di storia repubblicana ci stanno a dimostrare come le funzioni di Camera e Senato siano sostanzialmente identiche, al punto tale che la discussione, che dovrebbe essere più celere, di riforma della Costituzione prevede l'ipotesi di una Camera federale, di una Camera per le regioni: il Senato federale della Repubblica. Allora, se il bicameralismo ha perso quella funzione di distinzione alla quale ha fatto riferimento anche, nel suo intervento, il collega Tassone, e se quindi la Camera e il Senato sono Camere identiche, il corpo elettorale deve essere il medesimo.
Quando il Governo, il Ministro, fa la scelta secondo cui «tutti gli elettori sono eleggibili a» stabilisce non tanto un principio, ma un'eguaglianza di responsabilità, che credo sia un elemento di politica costituzionale importante. Responsabilità eguale, se ho un'età per votare e per scegliere un mio rappresentante alla Camera o al Senato non si vede perché non possa essere io anche eletto alla Camera o al Senato. Per accettare la provocazione del collega Tassone, non ho alcun pregiudizio, anzi sono pienamente convinto che si debba portare tutto a diciotto anni. Infatti, proprio perché non vi è alcuna distinzione tra Camera e Senato e quella che era stata pensata come la «Camera dei saggi» non è più tale, non vedo perché si debba mantenere questa distinzione. Per cui sono pronto ad accettare la tua provocazione, collega Tassone, che non ritengo affatto essere una provocazione.
Stiamo per fare una scelta di politica costituzionale. Il dato comparatistico con il numero degli eletti in altri Paesi europei nella fascia 18-25 anni, che è molto esiguo, ha un valore statistico e sociologico, non ha alcun valore dal punto di vista delle scelte costituzionali. Noi oggi, invece, dobbiamo fare una scelta di politica costituzionale e l'equiparazione tra elettorato attivo e passivo è una scelta che va in questa direzione. È una scelta per promuovere la partecipazione dei giovani e viene fatta con nettezza e con chiarezza.
Vedi, collega Tassone, non credo che con questa proposta si possano catturare i voti dei giovani. Penso che si debba fare una scelta di politica costituzionale, se la si condivide. Noi la condividiamo e siamo convinti che sia arrivato il tempo per farla. Tu, Mario Tassone, hai fatto delle osservazioni che per tanta parte condivido. Non ne condivido una di fondo. Io, com'è noto, e il presidente Bruno ha buona memoria per ricordarlo, sono stato un fierissimo oppositore della legge elettorale attuale. Ho fatto di tutto nella passata legislatura e sto facendo di tutto in questa, anche se purtroppo il Senato ci ha «scippato» la discussione, perché alle prossime elezioni si vada con una legge elettorale diversa. Considero infatti questa legge elettorale un'autentica schifezza, perché questo è un Parlamento di nominati e non di eletti, ma è il Parlamento legittimato dal voto popolare. Non siamo un Parlamento sotto sequestro di credibilità, siamo un Parlamento pienamente legittimato a fare scelte legislative, anche di legislazione costituzionale, sempre che ci crediamo e sempre che le condividiamo.
Allo stesso modo non condivido il fatto che si debba fare ricorso all'Assemblea costituente. L'articolo 138 della Costituzione ti consente di modificare la Costituzione e il senso dell'articolo 138, che è stato, anche dalla mia parte politica, forzato, è quello di interventi puntuali piuttosto che di interventi comprensivi, che affrontano più temi in un'unica volta. E Pag. 44questa è una riforma puntuale, che credo sia arrivato il tempo di fare. Tu l'hai definita una scorciatoia, io la definisco una felice scorciatoia, che non risolve i problemi e le contraddizioni che tu hai sottolineato, la principale delle quali è che oggi il Ministro Meloni richiama l'importanza dei 150 anni della nostra unificazione in Italia mentre ieri un altro Ministro di questo Governo ha predicato l'ineluttabilità della secessione. Tuttavia questi sono problemi politici che la maggioranza e il Governo devono risolvere per proprio conto.
Se quest'Aula è capace di avere delle valutazioni comuni su una riforma costituzionale condivisa, credo che sia giusto e che sia il tempo di farla. Quindi, se per l'articolo 2 e l'articolo 3 del provvedimento noi siamo sostanzialmente d'accordo, altra cosa è la proposta di inserire il nuovo articolo 31-bis. Vedete, nell'articolo 31-bis è assolutamente difficile individuare un qualche contenuto prescrittivo. Il rinvio alla legge è talmente indeterminato e aperto da configurarsi alla stregua di un rinvio in bianco e, al tempo stesso, come un rinvio privo di contenuto. È infatti difficile comprendere cosa il legislatore dovrebbe fare in concreto, ma soprattutto appare difficile definire cosa il legislatore potrebbe fare che ora, invece, a Costituzione invariata, gli sarebbe precluso.
Soprattutto c'è una formula che è ambigua e non convince: quella che fa riferimento alla valorizzazione del merito. Cosa significa valorizzare il merito? Quale merito dovrebbe essere valorizzato? Quali talenti dovrebbero essere maggiormente premiati e, soprattutto, in relazione a quali beni? Faccio un esempio per spiegarmi meglio: valorizzare il merito dell'azione alla vita politica. Per quanta sfiducia si possa avere nella capacità di discernimento degli elettori, prescrivere al legislatore di valorizzare la partecipazione politica in base al merito o non significa nulla oppure, peggio, significa prescrivere qualcosa di contrario ai fondamenti stessi della democrazia rappresentativa del suffragio e del principio di sovranità popolare. Ancora, la valorizzazione del merito come rimozione di privilegi ingiustificati e come rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona e l'effettiva partecipazione di ogni individuo alla vita economica, sociale e politica del Paese è già previsto e prescritto, al legislatore e a tutte le articolazioni dello Stato, dall'articolo 3, comma 2, della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale (...)».
Inoltre, come si concilia una valorizzazione politica per età con il principio costituzionale della rappresentanza generale e senza vincolo di mandato e, nell'ambito economico e sociale, con il principio del merito? Chi è più capace, ma meno giovane, deve essere «svalorizzato» rispetto a chi è meno capace, ma più giovane? Ho utilizzato dei paradossi, ma sono utili per capire che quando si mette mano alla Costituzione è bene rifuggire da formule vaghe ed ambigue che possono ottenere effetti esattamente contrari a quelli che ci si era prefissati.
Altra cosa è porre il tema del rapporto tra generazioni e, in questo contesto, il ruolo dei giovani. Il tema dei diritti e lo stesso discorso costituzionale sono già oggi attraversati in maniera sempre più pervasiva dalle questioni delle generazioni future, tema ignoto, sconosciuto al tempo della Costituente. I costituenti erano la generazione futura dell'Italia ed è del tutto legittimo immaginare che non si siano posti questo problema di equilibrio tra le generazioni. Ma questo è un tema, invece, che ci riguarda molto da vicino, riguarda molto da vicino la nostra società, così come quelle europea, la società globale. La prospettiva è affascinante e complicata al tempo stesso. Non è certo questa la sede per inquadrarla in tutta la sua problematicità. L'idea potrebbe essere quella di un'ipotesi ricostruttiva di una responsabilità giuridica verso le generazioni future, magari ragionando attorno all'idea, di Herbert Hart, di un diritto naturale laico, ma non è questo il tempo di farlo. Tuttavia, il presupposto per sviluppare questo ragionamento è riconoscere la dimensione intergenerazionale applicata ai diritti. Pag. 45
Una delle caratteristiche che una democrazia ideale richiederebbe - secondo quella che è stata l'indicazione di Robert Dahl, nel suo libro sull'eguaglianza politica - è costituita dalla definizione di cosa sia un diritto fondamentale. Ciascuna delle necessarie caratteristiche di democrazia ideale comporta un diritto che è anch'esso elemento necessario di un ordine democratico ideale, diritto di partecipare, diritto all'eguaglianza del voto, diritto a ricercare la conoscenza necessaria a comprendere le questioni dell'ordine del giorno, diritto di partecipare su un piano di parità con gli altri cittadini all'esercizio del controllo decisivo sul programma di Governo. C'è qualcuno in grado di spiegarmi perché bisogna aspettare 25 o 40 anni per vedersi riconosciuto questo diritto? Credo che non ci sia una risposta razionale e ragionevole a questa domanda, se non quella di equiparare il diritto elettorale attivo e passivo.
La democrazia non si riduce semplicemente ai processi politici. Essa necessariamente è anche un sistema di diritti fondamentali e oggi è il tempo di definire in Costituzione uno specifico diritto che regoli il rapporto tra generazioni come diritto fondamentale su cui scommettere per il futuro della nostra democrazia repubblicana. Sul rapporto tra democrazia e diritti fondamentali un giurista tedesco, Böckenförde, ha affermato che i diritti fondamentali ricevono il loro senso e il loro significato principale come fattori costitutivi di un libero processo democratico, cioè di una produzione dello Stato dal basso verso l'alto e di un processo democratico di formazione politica della volontà.
Vuole, oggi, il Parlamento italiano essere protagonista di questa formazione politica di una volontà riformatrice costituente su questo tema? Vuole questa Assemblea assumersi questo rischio politico? Credo di sì e credo che lo debba fare modificando la Costituzione. Oggi siamo chiamati a fare questo. Non possiamo farlo con il testo dell'articolo 31-bis, però possiamo farlo diversamente e, da questo punto di vista, la disponibilità dichiarata del Ministro Meloni è un segnale positivo e spero che possa portarci a una riflessione che possa superare l'attuale scrittura dell'articolo 31-bis.
Il tempo non è scaduto. Siamo disponibili a concorrere per scriverlo meglio, per scriverlo in maniera diversa, ma deve essere una norma rispettosa delle forme e della sostanza di una norma di rango costituzionale, se davvero si vuole promuovere il ruolo dei giovani nella vita pubblica della Repubblica, ed è esattamente, credo, la responsabilità che ciascuno di noi oggi, votando o no questo provvedimento, intende assumersi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor Ministro, pensiamo che, tutto sommato, dentro questo provvedimento vi sia un atto di equità, perché l'idea di riportare e riallineare alla stessa età elettorato attivo e passivo è qualcosa che corrisponde, appunto, ad un atto di buon senso, ad un atto di equità. Se sono ritenuto idoneo ad eleggere devo anche essere ritenuto idoneo a poter essere eletto.
Noi avremmo immaginato che, considerato che oggi il bicameralismo, che era perfetto, non è più perfetto perché è zoppo e proprio per questo fatto, di essere zoppo, spesso alternativamente Camera e Senato diventano luoghi dove si discute una volta sola lo stesso tema che poi viene, alla stessa maniera, ripetuto senza particolari modifiche dall'altro ramo del Parlamento, si potesse pensare e anche accettare l'idea che 18 anni fossero un'età idonea tanto per la Camera quanto per il Senato. Però, prendiamo atto di questa scelta e riteniamo, su questo punto, di poterla anche condividere.
Non vorrei rafforzare un entusiasmo secondo il quale questo riallineamento avrà un effetto di favorire chissà quale accesso da parte dei giovani al Parlamento. Questo è uno dei motivi che ci induce ad avere delle riserve sull'articolo 31-bis, Pag. 46per due ragioni: in primo luogo, perché una Costituzione quanto più è asciutta tanto meglio è; inoltre, il principio del merito è più volte affermato anche in altre parti della Costituzione e l'idea di doverlo precisare espressamente per il caso dei giovani mi sembra pleonastico, anche perché rischia di avere quasi una valenza sbagliata.
Abbiamo detto benissimo che si possa eleggere ed essere eletti a 18 anni, ma non è che per questo vi sia un merito particolare. Anzi, a 18 anni, se posso dirlo, è abbastanza difficile che questo accada, perché l'unico merito che in linea di massima può avere un diciottenne è quello di essere un bravo studente che, però, non ha ancora finito il corso dei suoi studi. Quindi, mi sembra difficile immaginare una logica per cui vado ad applicare il merito in relazione all'elezione al Parlamento.
Il che non significa non capire bene che viviamo una fase gerontocratica, che sicuramente va in qualche modo modificata.
Vorrei anche dire, colleghi, che è vero che in termini quantitativi la vita si è molto allungata, ma lo scorrere del tempo è una percezione, in qualche modo, atemporale - e scusate l'ossimoro - perché è legata al chi, al contesto e alla persona: il fatto di avere una vita che scorre veloce o lenta non necessariamente è legata alla quantità di anni. Per questo, penso che siano sempre valide alcune considerazioni espresse da Cicerone nel De Senectute, piuttosto che da Seneca nel De brevitate vitae, che ricordava che, raggiunta una certa età, comunque si possa acquisire una diversa dimensione della vita e dello scorrere della stessa. Pertanto, vorrei dire che, sotto questo profilo, secondo noi, l'articolo 31-bis lascia delle perplessità, lo ribadisco.
Voglio però approfittare di questa occasione per soffermarmi su un altro aspetto: noi andiamo in qualche modo a toccare gli articoli 56 e 58 - e indirettamente l'articolo 57 - che sono anche gli articoli che prevedono il numero dei parlamentari sia alla Camera che al Senato.
Credo che stia passando una «navetta» che forse potremmo prendere: se è vero che tutti i partiti hanno dichiarato di essere favorevoli al dimezzamento dei parlamentari, credo anche che questa possa essere una buona occasione per trasformare quella dichiarazione di intenti in azione e in realtà. Per questo, noi abbiamo presentato un emendamento che prevede il dimezzamento dei parlamentari e ci auguriamo che questo sia domani motivo di riflessione. Infatti, con i tempi tecnici che richiede l'approvazione di una legge costituzionale, secondo noi questa potrebbe essere un'occasione buona per riuscire in quell'intento sul quale - lo ribadisco - tutti hanno dichiarato finora di ritrovarsi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vanalli. Ne ha facoltà.

PIERGUIDO VANALLI. Signor Presidente, intervenendo dopo altri, è giocoforza dover riprendere quanto detto dai colleghi. Di per sé il provvedimento è facile e semplice: è composto da tre articoli, due equiparano la possibilità del voto attivo e passivo e l'altro è l'integrazione dell'articolo 31.
Partendo da questo ultimo aspetto, il Ministro sa che anche in Commissione vi è stata una discussione sull'articolo 1 del suo disegno di legge e - come ha detto l'onorevole Bressa e come hanno sottolineato gli altri interventi - sicuramente si può cogliere l'intenzione del Ministro di agevolare la partecipazione dei giovani alle attività di tutta la vita del Paese.
Il nodo sul quale non si è trovato non un accordo, ma sul quale non ci si è chiariti fino in fondo, e che è necessario chiarire prima di arrivare alla votazione in Aula, è relativo - come spiegava prima il collega Bressa - alla parola «merito» inserita in questo articolo. Come giustamente diceva anche lui, lascia adito a molte perplessità il fatto che il merito possa essere legato alla politica o ad altri aspetti e non debba invece essere premiato, genericamente, il merito in quanto tale. Questo, infatti, potrebbe essere un discorso diverso: in altri articoli della Costituzione e in tante altre leggi si vuole Pag. 47premiare chi ha guadagnato il merito per aver fatto alcune cose.
Quindi su questo aspetto sicuramente dovremo trovare una condivisione e presumo, vista la disponibilità di tutti, che riusciremo a trovarla.
Sugli altri due articoli, non vorrei ripetermi, ma vorrei solo sottolineare anche all'onorevole Bressa che la norma dell'articolo 3 che equipara l'elettorato attivo e passivo per il Senato, così come è stata formulata, renderà un domani possibile direttamente, senza ulteriori modifiche, che gli elettori ed i futuri senatori possano avere 18 anni, perché l'articolo afferma: «Tutti gli elettori del Senato della Repubblica sono eleggibili a senatori».
Oggi c'è un'altra norma in base alla quale questo avviene a 25 anni, ma modificandola e portando l'età a 18 anni o ad altre età automaticamente questo verrà modificato, così come è pensabile che questa modifica possa avvenire nel momento in cui si affronteranno le modifiche costituzionali relative alla diversificazione delle nostre due Camere, quindi il Senato federale della Repubblica - come diceva l'onorevole Bressa - o comunque un altro organismo di questo tenore in modo tale che Camera dei deputati e Senato abbiano compiti e finalità diverse e quindi possano comunque anche avere, non i partecipanti ma gli attori di queste due Camere, la medesima età, quindi 18 anni piuttosto che 25 se si ritenesse nel tempo che a 18 anni le persone sono in grado di intendere e di volere come invece da qualche anno tutta la nostra normativa sta affermando.
Quindi su questi aspetti come Lega Nord Padania ci troviamo d'accordo con la proposta del Ministro Meloni; d'altra parte siamo uno dei movimenti - se non il movimento - che ha più giovani al proprio interno che partecipano direttamente non solo alla vita politica del partito ma anche nelle istituzioni, molti sindaci sono giovanissimi e vengono eletti nelle nostre file così come molti parlamentari hanno un'età relativamente bassa rispetto alla media. Quindi in prospettiva questo provvedimento non può che trovarci d'accordo; d'altra parte vi era già una proposta contenuta nella devolution e quindi l'abbassamento di questa età è un tema che era già stato affrontato, da noi proposto e votato tutti assieme, sia alla Camera che al Senato, poi è stato bocciato con il referendum del 2006.
Quindi il tema in oggetto non può che trovare condivisione: è giusto che i giovani possano avere più possibilità di partecipare alla vita anche politica di questo Paese come succede in tanti altri Paesi dell'Europa, dove i giovani ricoprono anche delle cariche se non politiche ma comunque di un certo rilievo anche ai vertici di attività economiche piuttosto che di agenzie o altri enti importanti. Da noi questo ancora non avviene, si lamentava prima l'onorevole Lorenzin che questo non avviene soprattutto per le donne; è stato approvato un provvedimento che sta cercando di colmare questo differenziale, provvedimento che personalmente non mi ha mai trovato convinto infatti non l'ho votato, ma questo è un altro discorso.
Quindi la norma in esame proposta da lei, Ministro Meloni, come abbiamo avuto modo di parlarne più volte, troverà la nostra condivisione in Aula durante il voto, risolviamo la questione dell'articolo 31-bis come abbiamo già detto tante altre volte. L'auspicio è di riuscire a farlo domani per poter approvare la norma in questa settimana.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marsilio. Ne ha facoltà.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, voglio ringraziare il relatore e tutta la Commissione, i deputati di maggioranza e di opposizione, che hanno esaminato questo testo e portato qui questa modifica della Costituzione il cui merito va ascritto al Ministro Meloni. Penso che già il fatto che si debba parlare di unificazione dell'elettorato attivo e passivo ci dica già quanto siamo indietro e l'assurdità di questa posizione.
Ci voleva un Ministro nominato a trentadue anni per metterci di fronte al fatto che praticamente in tutta Europa, con rarissime eccezioni, sicuramente non particolarmente Pag. 48illuminate, l'età cui si può essere eletti nei relativi Parlamenti nazionali è molto più bassa di quella italiana e questo accade già da molto tempo. Leggiamo questa tabella: in Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, diciotto, ventuno, ventuno, diciotto. Venticinque anni solo in Grecia e poi ancora ventuno, ventuno, diciotto, diciotto, diciotto. È una fila di diciottenni che in tutta Europa e in tutto il mondo sviluppato possono sedere in Parlamento, e in Italia questo non accade.
Quindi va dato atto e va ringraziata l'attenzione, la sensibilità e l'intelligenza del Ministro, che ha posto questo tema e che oggi finalmente costringe la Camera ad affrontarlo. Sono ovviamente contento e soddisfatto che si stia formando un'ampia maggioranza a sostegno di questa tesi, per recepire questa esigenza.
Certo, come ha detto anche il Ministro, c'è anche quella frangia di «benaltristi» che, quando si individua una questione, che basterebbe un sano senso comune a risolvere nel giro di pochissimo e con poche parole, vogliono inserire altro tipo di ragionamenti, riforme, rivoluzioni complessive del sistema e chissà cosa, ma il tutto poi alla fine sa sempre un po' di stantio o di quel vecchio atteggiamento a non modificare mai l'esistente, perché qualcuno magari vuole anche difendere qualche posizione. Questa è una situazione che è presente in maniera trasversale.
Abbiamo letto e stiamo leggendo in queste ore e in questi giorni anche dichiarazioni di nostri colleghi che magari denunciano il pericolo di ritrovarsi con il diciottenne o il ventenne in Parlamento che poi, udite udite, avrebbero il vizio di volerci restare tutta la vita. Bisognerebbe intanto parlare dei tanti parlamentari, deputati e senatori, che stanno qui da non so quante legislature, senza mai limite ai mandati, che a cinquanta, sessanta, settanta o ottanta anni si ritengono ancora abbastanza giovani e in gamba da poter continuare a restare in Parlamento. Non ne ho conosciuti molti di parlamentari che muoiono dalla voglia di concludere la loro carriera da deputato o da senatore per lasciare posto ad altri più giovani, per favorire un ricambio generazionale.
Dobbiamo porci questo problema non soltanto sul tema dell'età in cui si accede in Parlamento, che è sicuramente un argomento utile, che non viene agitato per ragioni elettorali. Voglio dare questa risposta all'intervento dell'onorevole Tassone: le modifiche alla Costituzione o le leggi non si presentano solo in base ad una convenienza elettorale, cioè a quanti voti si pensano di prendere dai giovani. Si fanno riforme costituzionali e leggi anche perché si ritengono semplicemente giuste, al di là del vantaggio elettorale che questo intervento può o non può provocare. Noi riteniamo che sia giusto farlo, che sia tempo e luogo di farlo adesso e il prima possibile, per permettere già alle prossime elezioni di ampliare la platea della partecipazione generazionale al Parlamento. A maggior ragione sostengo l'opportunità di intervenire con una norma specifica per l'inserimento nella Costituzione delle norme a favore della gioventù e della promozione dei giovani.
Faccio un passaggio sul concetto del merito e non lo faccio per difendere il testo presentato dal Ministro, che ha peraltro già anticipato - quindi sarei anche in ritardo nel difenderlo - la sua ampia disponibilità a riscrivere con la Camera e con le forze politiche un testo migliore, che possa fare tesoro anche dei buoni suggerimenti che sono giunti da più parti nel dibattito e che, quindi, consentiranno - spero domani - di formalizzare questo aspetto e di scrivere un testo migliore e molto più stringente rispetto a quello che il Ministro ha presentato.
Anche se - permettetemi di dirlo - anche questo eccesso di discussione e di problematicità intorno al termine «merito» sa un po' di vecchia retorica, di malinteso egualitarismo. Questo termine nella cultura politica e sociale della nostra Nazione, dagli anni Sessanta in poi, è scomparso, perché portatore di chissà quali nefaste concezioni gerarchiche e poco egualitarie della società. È un malinteso Pag. 49egualitarismo che ha distrutto ogni valorizzazione legata al merito, alle capacità, all'impegno e alla serietà.
Della cultura del «6 politico» e del «tutti promossi», che ha fatto strage nelle scuole e nelle università, stiamo tuttora pagando le conseguenze: si è trascinata fino all'altro ieri ed è da poco che un po' tutti, da una parte e dall'altra, hanno recuperato questo concetto, che prima apparteneva a una parte molto marginale dello schieramento politico e culturale. Quindi, ben venga anche la rivalutazione di questo concetto. L'eccesso di problematicità che ho sentito oggi intorno a questo tema mi fa pensare che, tutto sommato, qualche scoria rispetto a questo dibattito ancora persista.
In ogni caso, ripeto, è importante che si formuli un articolo e che la Camera, e la Commissione in primo luogo, siano la sede dove individuare la più corretta formulazione per far passare un principio sacrosanto, che è il vero problema che abbiamo di fronte: l'equità generazionale, cioè ripristinare il sano principio per cui, quando qui dentro si legifera, quando un Governo e un Parlamento approvano le leggi, devono anche pensare all'impatto che queste leggi hanno per le generazioni future.
Infatti, non avendo fatto questo, oggi ci troviamo a combattere con il terzo debito pubblico del mondo, con un debito che non siamo più in grado di sostenere, e gran parte di questo debito è stato provocato da politiche che hanno, anno dopo anno, rimandato la soluzione dei problemi, rimandato, come si direbbe in una normale famiglia, il conto della spesa al domani, che alla fine si è andato accumulando sulle spalle di chi doveva venire dopo e che oggi non mette in condizione l'Italia, soprattutto l'Italia di domani e le giovani generazioni, di potere avere un futuro, non dico sereno, ma che si possa affrontare con una qualche certezza dei propri diritti, della strada da poter intraprendere e degli strumenti con i quali poterlo davvero affrontare.
Penso che sarebbe stato più difficile per il Parlamento approvare leggi come quella che mandava in pensione i dipendenti a 14 anni, sei mesi e un giorno o 18 anni, sei mesi e un giorno di contributi, senza valutare quanto questo avrebbe pesato e quanto sarebbe costato alle generazioni future. Penso che sarebbe stato più difficile per questo Parlamento legiferare per decenni in costante e strutturale deficit, senza contare quanto l'accumulo di questo deficit avrebbe, alla fine, fatto esplodere il debito e gli interessi sul debito che paghiamo e che sono la vera zavorra che ci impedisce di crescere, chiunque sia a governare.
È inutile qui fare polemiche stupide sul Governo attuale piuttosto che su un altro. Il problema dell'Italia è che ha un fardello che le impedisce di fare politiche di ampio respiro. Si può essere più o meno bravi: noi pensiamo di esserlo stati abbastanza nell'affrontare questi tre anni tremendi di crisi mondiale dell'economia e l'opposizione, ovviamente, ha le sue convinzioni contrarie. Il dibattito, su questo, è chiaramente libero e aperto.
Ritengo comunque che, al di là di tutto, non cogliamo mai il vero problema, se non ci rendiamo conto che dobbiamo affrontare la questione del debito pubblico (lo abbiamo anche sollecitato nella discussione recente sulla manovra finanziaria). Con molti miei colleghi, a cominciare, oggi, dal relatore Laffranco, abbiamo sostenuto la necessità che il Governo prenda l'iniziativa per abbattere di almeno 400 miliardi il debito pubblico nel giro di pochi anni, e quindi di un arco di tempo limitato, ragionevole e credibile, che dia credibilità a questa manovra.
Approfitto dell'occasione per chiedere al Ministro Meloni, che è Ministro della gioventù, di farsi alfiere all'interno del Governo. Anche se non ha competenze economiche come Ministero, sicuramente ha la competenza, nel rappresentare le giovani generazioni, di poter sollevare nei confronti dei suoi colleghi più anziani il problema che per i giovani rappresenta dover fronteggiare questa vicenda del debito.
Si tratta quindi della necessità assoluta per la nostra nazione di raddrizzare l'economia Pag. 50in maniera strutturale e non attraverso manovre successive, che alla fine impoveriscono la nazione. Prima o poi, infatti, giungeremo - già lo stiamo facendo - alla difficoltà di individuare le risorse. Insomma, non è che si può raschiare il fondo del barile per trovare risorse ogni tre mesi, sei mesi, nove mesi, quando arriva qualche altra tempesta valutaria, finanziaria o monetaria internazionale, in cui l'Italia è un semplice fuscello, esposto al vento come tutti gli altri Paesi. Lo stiamo vedendo anche oggi con i dati delle borse mondiali. Non parlo della borsa italiana, ma di quelle di tutto il mondo: tedesca, francese, inglese, americana, asiatiche...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Marsilio.

MARCO MARSILIO. Sono tutti dati che continuano a destare grande preoccupazione. Sono tutti dati in forte ribasso, si bruciano capitali e i titoli di Stato continuano a volare e ad essere sempre meno credibili, non solo in Italia, ma in molti Stati. Ciò significa che c'è una pressione della speculazione finanziaria, prodotta dal peso di questo debito, che vanifica anche gli sforzi fatti con le successive manovre.
Se non si fa la manovra delle manovre, quella con la «m» maiuscola, cioè un piano di aggressione del debito pubblico, noi non potremo mai uscire davvero e definitivamente da questa crisi, con la conseguenza che non daremo mai ai giovani, alle generazioni future una certezza per la loro vita, ovvero la certezza di poter crescere e di poter essere anche loro protagonisti della loro vita e non passare la vita a pagare i debiti che hanno fatto i loro genitori (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, io ho sostenuto fuori del Parlamento e ora nel Parlamento - e me ne compiaccio - questa iniziativa assieme al Ministro Meloni fuori dal Parlamento e ad altri colleghi, della maggioranza e delle opposizioni, ed a giovani. L'ho sostenuta e credo che sia un atto importante e dovuto in un Paese, che è tra quelli che invecchia di più al mondo e in cui c'è un vero e proprio apartheid politico e sociale. Le vittime di questo apartheid politico e sociale dell'Italia sono certamente i giovani e le donne. Poi, quando si è giovani donne, si è proprio escluse da buona parte della vita pubblica, sociale e politica di questo Paese.
Quindi è un atto fondamentale, è un atto di buon senso, è un atto di modernità, è un atto con cui la politica cerca di dare un primo segnale per riannodare quel legame emotivo tra politica e parte della società italiana, in particolare tra politica e giovani, che oggi è stato completamente reciso. A mio parere è stato completamente reciso da vent'anni di mancate riforme, è stato completamente reciso da una Seconda Repubblica, che volge al tramonto e che ha fallito i suoi principali obiettivi, è stato reciso dagli errori di una classe politica ventennale, ma, comunque, oggi è importante cominciare a dare dei segnali diversi.
Quindi, ringrazio il Ministro per la sua proposta, così come ringrazio tutti coloro che hanno presentato delle proposte di legge, e che mirano a raggiungere lo stesso obiettivo, ovvero aumentare il livello di rappresentanza della casa degli italiani, che è il Parlamento, ed aumentare anche il livello di democraticità del bacino elettorale. Sono tanti gli studi e i sondaggi che sono stati portati avanti nel dibattito che ha preceduto queste proposte e che ha accompagnato il dibattito parlamentare fuori. È stato citato spesso un sondaggio che basterebbe a giustificare l'iniziativa che stiamo prendendo. Si tratta del sondaggio del 2010 dell'IPSOS, secondo cui il 66 per cento dei giovani, ovvero due giovani under 34 su tre, non ha fiducia nella politica. Si dice che i giovani non credono nella politica, che i giovani voltano le spalle alla politica. Io credo che sia stata Pag. 51la politica a voltare le spalle ai giovani e che sia la politica oggi che ha voltato le spalle alle giovani generazioni.
È bene appunto rigirarsi, ricominciare a parlare al Paese, ricominciare a parlare alla società italiana e ricominciare a parlare al presente e al futuro dell'Italia. Ed il presente e il futuro dell'Italia sono certamente ed innanzitutto i giovani. Quindi, certamente stiamo facendo un atto di fiducia, stiamo compiendo un semplice atto di fiducia nei giovani. Stiamo dicendo ai giovani che abbiamo fiducia in loro e che crediamo che alcuni di loro - i migliori, auspicabilmente, perché stiamo parlando anche di merito - possano e debbano rappresentare, con pari dignità rispetto ad altri loro concittadini di età più elevata, il Paese in questo Parlamento.
Credo, quindi, sia opportuno collegare anche i temi del merito, della partecipazione e dell'equità generazionale. Ritornerò tra un attimo su questo punto. È stato detto, in modo particolare, ma lo voglio sottolineare anch'io, che bisogna cercare di dare dei segnali per invertire la tendenza gerontocratica del nostro Paese. Non è un discorso fatto, tutte le statistiche, tutte le comparazioni internazionali, tutte le analisi di qualsiasi osservatore internazionale, che sia in Italia o che gli capiti di passare per l'Italia, dicono che il nostro è un Paese gerontocratico. E, allora, cominciamo con questa riforma costituzionale e continuiamo, però, con l'azione politica dentro e fuori il Parlamento per rompere con il mito dell'esperienza e per abbandonare la retorica della pazienza. Il mito dell'esperienza è, in Italia, il mito che uccide il merito e uccide i giovani, in politica, nei partiti, nelle imprese e nella pubblica amministrazione. Il mito per cui si possono assumere delle responsabilità, si può venire eletti, si può essere amministratore delegato, si può essere direttore generale, si possono assumere delle responsabilità di classe dirigente, solo se si ha una certa esperienza, che coincide regolarmente con almeno 20-25 anni di attività. È tutto da provare che qualcuno che abbia 25 anni di attività sia più efficace, più brillante e più competente di un giovane che ne ha 5, di anni di attività. Rompiamo, quindi, con il mito dell'esperienza, ossia con il mito per cui si può essere un buon senatore solo quando si hanno quaranta anni. Si può benissimo essere un buon senatore quando se ne hanno venticinque, così come si può benissimo essere un buon deputato, magari migliore anche di noi che stiamo parlando in quest'Aula, a diciotto anni. E, poi, rompiamo con la retorica della pazienza che ha ucciso la speranza di tanti giovani italiani, di milioni di giovani nostri concittadini. La retorica della pazienza per cui si dice al giovane: aspetta, sei ancora giovane, il tuo momento verrà, verrai eletto alla Camera, verrai eletto al Senato, verrai promosso, verrai assunto nell'impresa, verrai promosso nella pubblica amministrazione. È una retorica che direi quasi essere un crimine sociale nel Paese che più invecchia al mondo, nel Paese in cui la piramide demografica è rovesciata e vi sono sempre più anziani e sempre meno giovani in attività.
Avevamo presentato delle proposte per prevedere l'elettorato attivo anche a diciotto anni al Senato; il Governo ha fatto una scelta che, devo dire, è in linea con la scelta della maggior parte dei Paesi europei, ossia quando elettorato attivo e passivo devono coincidere, una scelta che condivido, e la condivido proprio perché - lo ricordava il Ministro nella sua introduzione, ma penso sia importante ribadirlo - si possono fare tante cose a diciotto anni, si può anche morire per il proprio Paese a diciotto anni, si può morire in Afghanistan, per il proprio paese a diciotto anni, si può morire a venti anni difendendo i colori dell'Italia, dell'Europa e dell'ONU, però non si può essere eletti alla Camera, non si può votare al Senato.
Dovrebbe bastare questo da una parte per convincerci della bontà della scelta, così come guardando come gira il mondo, come direbbero tanti dei nostri elettori, si può notare che un certo Mark Zuckerberg va sulla prima pagina di Time a ventitré anni e diventa il miliardario più giovane al mondo. Se vi sono, cioè dei ventenni, ventunenni, ventiduenni e ventitreenni che Pag. 52hanno delle idee geniali nel campo dei social network o nel campo dell'impresa, magari ci può essere anche qualche diciottenne o ventenne che ha idee geniali nella politica e, se ha idee geniali nella politica, è bene che abbia la possibilità di mettere in pratica queste idee geniali ed è bene che abbia la possibilità, anche lui o anche lei, di sedere in questo Parlamento.
L'altro aspetto è evidente, è evidente che abbiamo bisogno di una rappresentanza più ampia perché vi sono dei temi che vengono trattati pensando unicamente - e questo taglia a metà in maniera trasversale tutti i gruppi ed i partiti politici, non faccio un discorso di parte - ad alcune fette della nostra società che sono le generazioni con l'età più elevata. Pensiamo al mercato del lavoro, pensiamo al dibattito sulle pensioni, pensiamo al dibattito sull'università, pensiamo a tutto quello che è il dibattito sulla conoscenza e la ricerca. È evidente che vi è sempre di più un divario tra i toni, i dibattiti e le esigenze che si vogliono tutelare in queste Aule e il dibattito e le esigenze che sono al centro delle preoccupazioni della società italiana.
Credo che rinnovare, ringiovanire Camera e Senato possa essere molto utile anche per questo. Del resto ritengo che - lo avevo già detto in Commissione voglio ripeterlo qui in Aula - siamo perfettamente in linea e coerenti con i lavori dell'Assemblea costituente. Nella riunione del 13 settembre 1946, sotto la Presidenza del Presidente Terracini in cui si dibatte dell'elettorato, dell'età minima per essere in Parlamento, si dice: «A venticinque anni un uomo esce appena dall'università e non può considerarsi preparato ai problemi della vita nazionale. Spesso non ha nemmeno messo fuori il piede dalla sua provincia o dalla sua regione e quindi non possiede quel largo orizzonte di vedute che è necessario ad un rappresentante del popolo all'Assemblea nazionale».

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Gozi.

SANDRO GOZI. Concludo, signor Presidente. Nel 1946 forse a venticinque anni non si era usciti dalla propria provincia. Nel 2011 a venticinque anni si è già fatto il giro del mondo fisicamente e lo si fa ogni giorno attraverso i social network, attraverso Internet, attraverso Facebook, e quindi proprio le motivazioni che avevano spinto a indicare come età minima i venticinque anni per essere eletti alla Camera nel 1946 sono le stesse motivazioni, signor Presidente, che devono spingerci oggi ad approvare convintamente la proposta di riforma costituzionale che stiamo esaminando (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ho ascoltato su questo provvedimento, in questa discussione sulle linee generali, un dibattito molto interessante, costruttivo e serio da parte di coloro che sono intervenuti. In particolare, devo dire che ho apprezzato molto anche le parole del collega Gozi testé pronunciate perché credo che sia stato un dibattito che in questa fase si è svolto in forma molto distante dalla retorica giovanilista che spesso ascoltiamo nei dibattiti che intervengono sulle cosiddette questioni generazionali. Ho scelto di intervenire in questa discussione sulle linee generali anche per una ragione storica, di natura personale nel senso che, al pari dell'onorevole Lorenzin, ho avuto l'onore di guidare il movimento giovanile del primo partito di questo Paese, di essere stato tra coloro che per primi hanno posto all'attenzione del mondo politico, dal punto di vista di un movimento giovanile, la cosiddetta questione generazionale. Tale questione si apre nel dibattito politico italiano intorno alla fine degli anni Novanta, dal 1995 in poi, e vede due interventi molto autorevoli sulle colonne di un quotidiano prestigioso come il Corriere della Sera dell'ex commissario europeo Mario Monti e del politologo Angelo Panebianco. Questi ultimi intervengono nella questione generazionale, sollevandola anche nel mondo dell'informazione, con Pag. 53riflessioni di natura economica e sociologica piuttosto interessanti, che allora stuzzicarono un dibattito che per molto tempo è rimasto marginale e che negli ultimi dieci anni è esploso nella sua interezza: quello della capacità, della possibilità di declinare demografia e democrazia attraverso la rappresentanza politica, ma anche attraverso la questione dell'assenza di rappresentanza, spesso sindacale, nelle nuove generazioni.
Anni, quelli della fine degli anni Novanta, che si erano caratterizzati per un dibattito e per uno scontro anche duro, ad esempio, in tema di previdenza. Mi verrebbe da riflettere che cosa sarebbe stato se fosse stata approvata la riforma delle pensioni del 1994, proposta dal Governo Berlusconi. Mi ricordo, in conseguenza del blocco di quella riforma, un appello da parte di un gruppo di economisti assolutamente trasversale che vedeva protagonisti i sottoscrittori di quell'appello per una riforma importante e immediata delle pensioni. Parliamo del novembre del 1994: economisti come Romano Prodi, Sylos Labini, Mario Baldassarri. E quell'appello si ispirava a tre principi di equità, quello tra pubblico e privato, quello tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi e quello dell'equità intergenerazionale.
Già nel 1994, la questione dell'equità intergenerazionale veniva posta all'attenzione del dibattito delle forze sociali e politiche del Paese. Oggi affrontiamo una discussione che riguarda, per un verso, l'abbassamento dell'età dell'elettorato attivo e passivo e, per un altro verso, anche la possibilità di introdurre elementi di equità intergenerazionale nel dibattito politico di questo Paese, nella nostra Costituzione. Crediamo che sia necessario affrontare questo dibattito con grande serenità, lontano da demagogie e da retoriche giovanilistiche, che fanno più male che bene al dibattito stesso. Ciò, non tanto in un Paese in cui, evidentemente, esiste una gerontocrazia, ma in un Paese in cui la logica della promozione per anzianità ancora sovrasta, spesso e volentieri, la logica del merito; in un Paese che ha una classe dirigente politica che, solo da qualche anno, inizia ad essere più giovane. Non che questo di per sé sia un merito, ma è un dato di fatto che leader europei ed internazionali - si pensi a Clinton o a Blair - escono dalla scena politica con pochi anni di più rispetto a quelli che, in questo Paese, sono necessari per riuscire ad accedere alla Camera alta, cioè al Senato, che, come ricordava bene il Ministro, svolge le stesse identiche funzioni di questa Camera. Io non cedo alla retorica della rottura per forza del bicameralismo perfetto, perché credo che anche alcuni elementi positivi nel bicameralismo perfetto vi siano, che tante norme siano state corrette grazie anche al bicameralismo perfetto, che i nostri padri costituenti abbiano fatto le cose per bene, anche immaginando, pur in un momento storico differente da questo, che potesse esservi una ratio nell'equità di funzioni, che non sia stato un pleonasma assurdo anche il dividere in termini di elettorato il Senato dalla Camera.
Credo che oggi, però, vi sia una nuova sfida che può essere messa in campo. Lo ricordava bene il Ministro Meloni, se a diciotto anni si può essere sindaco di Roma o di Milano, se si può essere presidente della regione Lazio o Lombardia, ebbene, forse, si può anche essere componenti di uno dei due rami del nostro Parlamento e si può svolgere la funzione legislativa. Con la premessa che essere più giovani non è certamente un merito rispetto all'avere 30, 40, 50, 60 o 70 anni e che, probabilmente, il crescere di una retorica giovanilistica potrebbe portare, un domani, a dover dire: lasciate spazio ai giovani, nei confronti di persone che hanno trentacinque o quaranta anni. Pertanto, credo che, con serietà e con misura, debba esservi un dibattito che lascia alla sfida tra i partiti questo elemento di riforma costituzionale.
Ricordo che, quando guidavo un movimento giovanile, negli anni Novanta, avevo costruito un decalogo di questioni generazionali, dicendo che vi era la questione del debito pubblico: chi nasceva alla fine degli anni Novanta aveva un debito pubblico di circa 60 milioni delle vecchie Pag. 54lire, che era stato contratto dalle vecchie generazioni per godersi la propria vita; entrava in una scuola fatta più per i professori che per gli studenti, in un'università che non preparava al mondo del lavoro, in un mondo del lavoro che veniva strutturato in maniera precarizzante e poco solida per le nuove generazioni, in un sistema previdenziale che avrebbe costretto le nuove generazioni a lavorare il doppio e a guadagnare la metà delle generazioni precedenti. Insomma, tutti elementi di grande squilibrio, che noi dobbiamo cercare di superare.
In questa fase, credo che la proposta dell'inserimento del principio di equità intergenerazionale nella Costituzione sia una grande sfida, a fronte, soprattutto, del fatto che viviamo in una situazione economica internazionale su cui pesa il debito pubblico contratto, anch'esso, dalle vecchie generazioni per dare, in qualche modo, ricchezza, benessere ad un Paese che, però, oggi, deve confrontarsi e misurarsi con questa questione.
L'abbassamento dell'elettorato attivo e passivo a rigore di logica diventa oggi una sfida importante e, per alcuni aspetti, necessaria se si vuole riaprire la partecipazione politica e la rappresentanza intergenerazionale delle nuove generazioni, anche in questo Parlamento. Ciò per evitare alcune delle storture a cui faceva cenno prima il collega Gozi: che le nuove generazioni siano costrette a pagare economicamente e socialmente perché in questo Parlamento sono meno rappresentate e quindi pagano un gap di rappresentanza in termini di difesa. Ora, la trasversalità e il criterio generazionale non sono certamente gli unici cambiamenti, visto che si sta ragionando anche di un inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione come hanno fatto Paesi come la Spagna. Tra l'altro, in Spagna, l'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio è stata una scelta bipartisan che ha visto protagonisti il Partito Popolare e il Partito Socialista spagnolo.
Credo che sui grandi temi si debba ragionare con grande responsabilità e ritengo che uno dei principali elementi che ha aggravato la crisi di sistema sia stata la mancata legittimazione tra i grandi partiti, perdendo anche lì la sfida. Mi fa piacere che il collega Bressa abbia fatto cenno alla legge elettorale ricordando però che dobbiamo ritenerci un Parlamento legittimato perché, a forza di dire che questa legge elettorale non va bene, la conseguenza è che qualcuno poi pensi che questo Parlamento, eletto con una legge elettorale che a molti non piace, possa in qualche modo essere considerato delegittimato. Questo è il motivo per cui dico sempre che parlare male di questa legge elettorale diventa elemento di autolesionismo intollerabile per una istituzione che vuole rimanere al centro del sistema costituzionale e politico di questo Paese.
Credo anche che un provvedimento come questo lasci aperta una sfida per partiti che, diciamoci la verità, negli ultimi anni di sfide ne hanno colte poche, sono stati poco capaci di raccoglierne. Allora, attenzione: abbassare l'elettorato attivo e passivo è un elemento che, a rigore di logica, funziona, è giusto, è corretto farlo, ma attenzione anche a non inseguire la retorica giovanilista, a non cominciare a cimentarsi subito nella ricerca del diciottenne più diciottenne degli altri, di quello che compie gli anni il giorno prima della data delle elezioni perché così si può mettere il cappello sul più giovane del Parlamento. Insomma, la sfida che arriva ai partiti, alle forze politiche, ai movimenti, a tutti quanti coloro che, come dice la stessa Costituzione, concorrono a determinare la politica nazionale, deve essere quella di cominciare a formare questi giovani, di cominciare a investire su una classe dirigente. Lo dico in quest'Aula avendo guidato un movimento giovanile, parlando ad un Ministro che, per scelta di un Governo, per scelta politica, guida un Dicastero sulle politiche giovanili e che, nella sua storia, ha avuto l'occasione di essere giovane eletto, ma anche leader e guida di un movimento giovanile. Allora, la sfida non è quella di fare la corsa al più giovane, la sfida, per i partiti, per le forze politiche è quella di investire sulla formazione politica di una classe dirigente che si Pag. 55dimostri tale. Questa è una sfida che ci piace, una sfida che può essere interessante, è una sfida che può essere bella, è una sfida che si può raccogliere con entusiasmo. Credo questo sia il motivo di fondo per cui oggi ci troviamo qui e credo che sia una delle buone ragioni per sostenere e portare avanti questo provvedimento.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ho ascoltato su questo provvedimento, in questa discussione sulle linee generali, un dibattito molto interessante, costruttivo e serio da parte di coloro che sono intervenuti. In particolare, devo dire che ho apprezzato molto anche le parole del collega Gozi testé pronunciate perché credo che sia stato un dibattito che in questa fase si è svolto in forma molto distante dalla retorica giovanilista che spesso ascoltiamo nei dibattiti sulle cosiddette questioni generazionali. Ho scelto di intervenire in questa discussione sulle linee generali anche per una ragione storica, di natura personale nel senso che, al pari dell'onorevole Lorenzin, ho avuto l'onore di guidare il movimento giovanile del primo partito di questo Paese, di essere stato tra coloro che per primi hanno posto all'attenzione del mondo politico, dal punto di vista di un movimento giovanile, la cosiddetta questione generazionale. Tale questione si apre nel panorama politico italiano intorno alla fine degli anni Novanta, dal 1995 in poi, e vede due interventi molto autorevoli sulle colonne di un quotidiano prestigioso come il Corriere della Sera dell'ex commissario europeo Mario Monti e del politologo Angelo Panebianco. Questi ultimi intervengono nella questione generazionale, sollevandola anche nel mondo dell'informazione, con Pag. 53riflessioni di natura economica e sociologica piuttosto interessanti, che allora stuzzicarono un dibattito che per molto tempo è rimasto marginale e che negli ultimi dieci anni è esploso nel suo peso specifico: quello della capacità, della possibilità di declinare demografia e democrazia attraverso la rappresentanza politica, ma anche attraverso la questione dell'assenza di rappresentanza sindacale, delle nuove generazioni.
Anni, quelli della fine degli anni Novanta, che si erano caratterizzati per un dibattito e per uno scontro anche duro, ad esempio, in tema di previdenza. Mi verrebbe da riflettere che cosa sarebbe stato se fosse stata approvata la riforma delle pensioni del 1994, proposta dal Governo Berlusconi. Mi ricordo, in conseguenza del blocco di quella riforma, un appello da parte di un gruppo di economisti assolutamente trasversale per una riforma importante e immediata delle pensioni. Parliamo del novembre del 1994: economisti come Romano Prodi, Sylos Labini, Mario Baldassarri. E quell'appello si ispirava a tre principi di equità, quello tra pubblico e privato, quello tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi e quello dell'equità intergenerazionale.
Già nel 1994, la questione dell'equità intergenerazionale veniva posta all'attenzione del dibattito delle forze sociali e politiche del Paese. Oggi affrontiamo una discussione che riguarda, per un verso, l'abbassamento dell'età dell'elettorato attivo e passivo e, per un altro verso, anche la possibilità di introdurre elementi di equità intergenerazionale, nella nostra Costituzione. Crediamo che sia necessario affrontare questo dibattito con grande serenità, lontano da demagogie e da retoriche giovanilistiche, che fanno più male che bene al dibattito stesso. Ciò, in un Paese in cui, evidentemente, esiste non tanto una gerontocrazia, ma in cui la logica della promozione per anzianità ancora sovrasta, spesso e volentieri, la logica del merito; in un Paese che ha una classe dirigente politica che, solo da qualche anno, inizia ad essere più giovane. Non che questo di per sé sia un merito, ma è un dato di fatto che leader europei ed internazionali - si pensi a Clinton o a Blair - escono dalla scena politica con pochi anni di più rispetto a quelli che, in questo Paese, sono necessari per riuscire ad accedere alla Camera alta, cioè al Senato, che, come ricordava bene il Ministro, svolge le stesse identiche funzioni di questa Camera. Io non cedo alla retorica della rottura per forza del bicameralismo perfetto, perché credo che anche alcuni elementi positivi nel bicameralismo perfetto vi siano, che tante norme siano state corrette grazie anche al bicameralismo perfetto, che i nostri padri costituenti abbiano fatto le cose per bene, anche immaginando, pur in un momento storico differente da questo, che potesse esservi una ratio nell'uguaglianza di funzioni, che non sia stato un pleonasma assurdo anche il dividere in termini di elettorato il Senato dalla Camera.
Credo che oggi, però, vi sia una nuova sfida che può essere messa in campo. Lo ricordava bene il Ministro Meloni, se a diciotto anni si può essere sindaco di Roma o di Milano, se si può essere presidente della regione Lazio o Lombardia, ebbene, forse, si può anche essere componenti di uno dei due rami del nostro Parlamento e si può svolgere la funzione legislativa. Con la premessa che essere più giovani non è certamente un merito rispetto all'avere 30, 40, 50, 60 o 70 anni e che, probabilmente, il crescere di una retorica giovanilistica potrebbe portare, un domani, a dover dire: lasciate spazio ai giovani, nei confronti di persone che hanno trentacinque o quaranta anni. Pertanto, credo che, con serietà e con misura, debba esservi un dibattito che lascia alla sfida tra i partiti questo elemento di riforma costituzionale.
Ricordo che, quando guidavo un movimento giovanile, negli anni Novanta, avevo costruito un decalogo di questioni generazionali, sottolineando la questione del debito pubblico: chi nasceva alla fine degli anni Novanta aveva un debito pubblico di circa 60 milioni delle vecchie Pag. 54lire, che era stato contratto dalle vecchie generazioni per godersi la propria vita; entrava in una scuola fatta più per i professori che per gli studenti, in un'università che non preparava al mondo del lavoro, in un mondo del lavoro che veniva strutturato in maniera precarizzante e poco solida per le nuove generazioni, in un sistema previdenziale che avrebbe costretto le nuove generazioni a lavorare il doppio e a guadagnare la metà delle generazioni precedenti. Insomma, tutti elementi di grande squilibrio, che noi dobbiamo cercare di superare.
In questa fase, credo che la proposta dell'inserimento del principio di equità intergenerazionale nella Costituzione sia una grande sfida, a fronte, soprattutto, del fatto che viviamo in una situazione economica internazionale su cui pesa il debito pubblico contratto, appunto, dalle vecchie generazioni per dare, in qualche modo, ricchezza, benessere ad un Paese che, però, oggi, deve confrontarsi e misurarsi con questa questione.
L'abbassamento dell'elettorato attivo e passivo a rigore di logica diventa oggi una sfida importante e, per alcuni aspetti, necessaria se si vuole riaprire la partecipazione politica e la rappresentanza delle nuove generazioni, anche in questo Parlamento. Ciò per evitare alcune delle storture a cui faceva cenno prima il collega Gozi: che le nuove generazioni siano costrette a pagare economicamente e socialmente perché in questo Parlamento sono meno rappresentate e quindi pagano un gap di rappresentanza in termini di tutela. Ora, la trasversalità e il criterio generazionale non sono certamente gli unici cambiamenti, visto che si sta ragionando anche di un inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione come hanno fatto Paesi come la Spagna. Tra l'altro, in Spagna, l'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio è stata una scelta bipartisan che ha visto protagonisti il Partito Popolare e il Partito Socialista spagnolo.
Credo che sui grandi temi si debba ragionare con grande responsabilità e ritengo che uno dei principali elementi che ha aggravato la crisi di sistema sia stata la mancata legittimazione tra i grandi partiti, perdendo anche lì la sfida. Mi fa piacere che il collega Bressa abbia fatto cenno alla legge elettorale ricordando però che dobbiamo ritenerci un Parlamento legittimato perché, a forza di dire che questa legge elettorale non va bene, la conseguenza è che qualcuno poi pensi che questo Parlamento, eletto con una legge elettorale che a molti non piace, possa in qualche modo essere considerato delegittimato. Questo è il motivo per cui dico sempre che parlare male di questa legge elettorale diventa elemento di autolesionismo intollerabile per una istituzione che vuole rimanere al centro del sistema costituzionale e politico di questo Paese.
Credo anche che un provvedimento come questo lasci aperta una sfida per partiti che, diciamoci la verità, negli ultimi anni di sfide ne hanno colte poche, sono stati poco capaci di raccoglierne. Allora, attenzione: abbassare l'elettorato attivo e passivo è un elemento che, a rigore di logica, funziona, è giusto, è corretto farlo, ma attenzione anche a non inseguire la retorica giovanilista, a non cominciare a cimentarsi subito nella ricerca del diciottenne più diciottenne degli altri, di quello che compie gli anni il giorno prima della data delle elezioni perché così si può mettere il cappello sul più giovane del Parlamento. Insomma, la sfida che arriva ai partiti, alle forze politiche, ai movimenti, a tutti quanti coloro che, come dice la stessa Costituzione, concorrono a determinare la politica nazionale, deve essere quella di cominciare a formare questi giovani, di cominciare a investire su una classe dirigente. Lo dico in quest'Aula avendo guidato un movimento giovanile, parlando ad un Ministro che, per scelta di un Governo, per scelta politica, guida un Dicastero sulle politiche giovanili e che, nella sua storia, ha avuto l'occasione di essere giovane eletto, ma anche leader e guida di un movimento giovanile. Allora, la questione non è quella di fare la corsa al più giovane, la sfida, per i partiti, per le forze politiche è quella di investire sulla formazione politica di una classe dirigente che si Pag. 55dimostri tale. Questa è una sfida che ci piace, una sfida che può essere interessante, è una sfida che può essere bella, è una sfida che si può raccogliere con entusiasmo. Credo questo sia il motivo di fondo per cui oggi ci troviamo qui e credo che sia una delle buone ragioni per sostenere e portare avanti questo provvedimento.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4358)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Laffranco.

PIETRO LAFFRANCO, Relatore. Signor Presidente, non credo che ci sia molto da aggiungere, se non cogliere in modo assolutamente positivo i contenuti del dibattito. Credo, anche da quanto è stato pronunciato in quest'Aula da autorevoli esponenti di tutti i gruppi politici, sia possibile esprimere l'ottimismo con cui affronteremo la discussione domani e la votazione degli emendamenti del testo. Ritengo che ci sia un approccio assolutamente positivo da parte di tutti, anche da parte di coloro i quali hanno espresso qualche contrarietà di fondo rispetto al testo. Posso solo dire che il lavoro, che è stato molto positivamente avviato e assolutamente approfondito in sede di Commissione, compie oggi un ulteriore passo in avanti e mi auguro si concluda in modo positivo tra il pomeriggio di domani e la mattinata di mercoledì, a seconda del prosieguo dei lavori dell'Aula.
Infatti, credo che il nostro Paese si attenda un segnale positivo, sia nel merito, in relazione alla partecipazione dei giovani alla vita politica, sia per quanto riguarda la possibilità che il confronto salga di livello e trovi dei momenti di condivisione, soprattutto su un tema come quello della riforma istituzionale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIORGIA MELONI, Ministro della gioventù. Signor Presidente, intervengo solo per qualche istante, per ringraziare i colleghi che hanno partecipato al dibattito, anche per il modo con cui si sta affrontando - lo ripeto - questa discussione in maniera così scevra da particolarismi. Si sta entrando nel merito di una scelta che, per la totalità di coloro che oggi sono intervenuti, è un tema di grande importanza, nel rapporto con le giovani generazioni, e anche una scelta di buonsenso.
Prendo la parola solamente per dire due cose. Innanzitutto per rispondere all'onorevole Tassone, che parlava della necessità di inserire una norma di questo tipo all'interno di un ragionamento più ampio: credo che si debba fare proprio l'esatto contrario. È evidente che la nostra architettura istituzionale e costituzionale richieda delle modifiche (ne stiamo parlando da tanti anni e vi sono stati anche diversi interventi), ma sappiamo anche quanto sia difficile arrivare ad una soluzione condivisa su un tema di questo tipo, e sappiamo anche che i tempi sono poco certi.
Allora, da questo punto di vista, l'ipotesi di estrapolare una norma, sulla quale invece vi è un'ampia convergenza, che è una norma di buonsenso e, direi, di giustizia, per dare la possibilità di lavorare su una corsia preferenziale, credo sia una cosa giusta da fare. È vero che servono tante altre cose, lo dicevo nel mio intervento in apertura (serve sempre qualcos'altro), ma se vi è una norma sulla quale siamo d'accordo e che possiamo rendere operativa in un tempo relativamente breve, con una grande convergenza e senza che venga infilata nel tritacarne di un ragionamento molto più complesso, penso che valga la pena farlo. Non si tratta di una soluzione a tutti i nostri problemi, ma è una soluzione ad un problema. Sono una persona pragmatica: se intanto posso lavorare per risolvere un problema, anche Pag. 56piccolo, preferisco farlo, piuttosto che aspettare di risolvere complessivamente tutti i problemi che ho di fronte.
In questo senso ringrazio anche i colleghi dell'Italia dei Valori, per la loro disponibilità, ricordando che, ovviamente, il dibattito, anche rispetto ad alcune proposte che loro formulavano in questa sede, non rientra, per quello che mi riguarda, in questo provvedimento. Sto cercando proprio di far camminare questa iniziativa più velocemente rispetto al resto di tutto questo ragionamento, che pure è un ragionamento molto pressante nella nostra quotidianità politica. Voglio anche dire, a chi sosteneva che vogliamo così accaparrarci il voto dei giovani, che non tutti fanno le cose semplicemente per accaparrarsi i voti di qualcuno.
In questo caso davvero credo che arrivi anche poco alle giovani generazioni quello che noi stiamo facendo, stante il rapporto che oggi c'è con la politica. Semplicemente la ritengo una norma giusta e penso che, per la responsabilità che abbiamo, sia nostro dovere portare avanti delle iniziative che riteniamo giuste.
La seconda cosa che voglio dire, e concludo, è che voglio ribadire, particolarmente all'onorevole Bressa e agli altri che pure hanno formulato delle perplessità (l'onorevole Vanalli e lo stesso onorevole Borghesi), la mia disponibilità, che confermo, a ragionare ed approfondire il tema dell'articolo 1 del testo e quindi dell'articolo 31-bis - eventuale - della nostra Costituzione. Sulla base anche di quello che ho ascoltato qui in Aula oggi e delle valutazioni che sono state fatte, mi riservo di presentare nelle successive ore un emendamento che possa tenere conto di tali valutazioni e cercare una condivisione migliore rispetto a quella della prima formulazione. Spero che su ciò si possa arrivare ad un testo condiviso per quando arriveremo al voto in Aula.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 20 settembre 2011, alle 12:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge:
S. 2472 - COSENZA; d'iniziativa del GOVERNO: Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani (Approvato dal Senato) (C. 3465-4290-A).
- Relatore: Alessandri.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Delega al Governo per il riassetto della normativa in materia di sperimentazione clinica e per la riforma degli ordini delle professioni sanitarie, nonché disposizioni in materia sanitaria (C. 4274-A).
- Relatore: De Nichilo Rizzoli.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale:
Partecipazione dei giovani alla vita economica, sociale, culturale e politica della Nazione ed equiparazione tra elettorato attivo e passivo (C. 4358).
e delle abbinate proposte di legge costituzionali: PISICCHIO; LENZI ed altri; VACCARO; GOZI ed altri (C. 849-997-3296-4023).
- Relatore: Laffranco.

Pag. 57

5. - Seguito della discussione delle mozioni Di Pietro ed altri n. 1-00391, Tempestini ed altri n. 1-00621, Pezzotta ed altri n. 1-00623, Antonione, Dozzo, Sardelli ed altri n. 1-00625 e Pisicchio ed altri n. 1-00629 concernenti iniziative per garantire la trasparenza delle informazioni relative all'aiuto pubblico allo sviluppo.

6. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BITONCI ed altri; CERONI ed altri; VANNUCCI ed altri: Disposizioni concernenti la ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche devoluta alla diretta gestione statale (C. 3261-3263-3299-A).
- Relatore: Ceroni.

La seduta termina alle 19,40.