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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 513 di martedì 6 settembre 2011

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 15,35.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 3 agosto 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Berlusconi, Bonaiuti, Brambilla, Brugger, Brunetta, Carfagna, Casero, Catone, Cicchitto, Cirielli, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Della Vedova, Fava, Fitto, Franceschini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Lo Monte, Mantovano, Maroni, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Misiti, Moffa, Narducci, Nucara, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tabacci, Vitali, Vito e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della nomina di un giudice della Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Il Presidente della Repubblica, con lettera del 2 settembre 2011, ha comunicato che, con decreto in pari data, controfirmato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ha nominato giudice della Corte costituzionale la professoressa Marta Cartabia. Le rivolgiamo i nostri migliori auguri.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettere pervenute in data 4 agosto 2011, i deputati Giuseppe Fallica, Ugo Maria Gianfranco Grimaldi, Maurizio Iapicca, Gianfranco Miccichè, Marco Pugliese, Francesco Stagno d'Alcontres e Giacomo Terranova, già iscritti al gruppo parlamentare Popolo della Libertà, hanno dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risultano pertanto iscritti.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il deputato Maurizio Leo, in sostituzione del deputato Anna Maria Bernini Bovicelli, divenuta membro del Governo.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far Pag. 2parte della Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione il deputato Ugo Lisi, in sostituzione del deputato Anna Maria Bernini Bovicelli, divenuta membro del Governo.

Modifica nella composizione del Comitato per la legislazione.

PRESIDENTE. Comunico che, a norma dell'articolo 16-bis, comma 1 del Regolamento, il Presidente della Camera ha chiamato a far parte del Comitato per la legislazione l'onorevole Pietro Laffranco, in sostituzione dell'onorevole Anna Maria Bernini Bovicelli, divenuta membro del Governo.

Modifica nella composizione della Giunta per le autorizzazioni.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Giunta per le autorizzazioni il deputato Silvano Moffa, in sostituzione del deputato Elio Vittorio Belcastro.

Su un lutto del deputato Franco Stradella.

PRESIDENTE. Comunico che il collega Franco Stradella è stato colpito da un grave lutto: la perdita del fratello.
La Presidenza della Camera ha fatto pervenire al collega le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidero ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea.

Discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2011, sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2011 e sul Programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze polacca, danese e cipriota (Doc. LXXXVII-bis, n. 1-A) (ore 15,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2011, sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2011 e sul programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze polacca, danese e cipriota.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione - Doc. LXXXVII-bis, n. 1-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Pescante, presidente della XIV Commissione.

MARIO PESCANTE, Relatore. Signor Presidente, ovviamente leggerò una sintesi della Relazione predisposta per l'Aula. Prima di illustrare brevemente i contenuti della Relazione della XIV Commissione in esito all'esame degli strumenti di programmazione politica e legislativa dell'Unione europea e della Relazione programmatica del Governo, vorrei richiamare alcuni aspetti preliminari di particolare rilievo. Anzitutto la Relazione si inserisce per la prima volta nell'ambito di una nuova sessione programmatica introdotta grazie alla combinazione di una modifica della legge n. 11 del 2005 approvata dalla Camera e di un parere della Giunta per il Regolamento. Per effetto dell'esame congiunto della Relazione programmatica del Governo, degli strumenti di programmazione della Commissione e del Consiglio, si è svolto, nella XIV Commissione e in tutte le Commissioni di settore, un reale dibattito sulle priorità e le prospettive dell'Unione europea esteso anche alle parti sociali, alle categorie produttive e a tutti i soggetti interessati.
Una seconda considerazione preliminare attiene al contributo attivo dato dal Pag. 3nuovo Ministro delle politiche europee, onorevole Bernini, alla discussione oggi al nostro esame. Si tratta di un primo importante elemento di novità, che può segnare l'inizio di un reale salto di qualità nel raccordo tra Parlamento e Governo in materia europea. Benvenuto, Ministro.
La terza considerazione attiene al fatto che la relazione della XIV Commissione, oggi al nostro esame, è stata approvata all'unanimità, dopo un esame approfondito e articolato. Si tratta di un segnale importante, in una fase di estrema delicatezza nei rapporti tra l'Unione europea ed il nostro Paese, in cui è fondamentale tenere posizioni coerenti e condivise. Un ultimo aspetto che vorrei sottolineare attiene alla qualità degli elementi di conoscenza e valutazione forniti nell'ambito delle audizioni informali svolte dalla mia Commissione, quali quelle dell'ambasciatore della Polonia in Italia, del rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea, del capo dell'ufficio di segreteria del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), della Conferenza dei presidenti delle assemblee regionali, dell'UPI, dell'ANCI, di rappresentanti di sindacati, di Confindustria e di Rete Imprese.
Di particolare utilità sono state le audizioni dell'ambasciatore polacco, per l'illustrazione dettagliata del programma della Presidenza dell'Unione prima ancora della sua formale presentazione; e quella di Rete Imprese, per l'articolazione e la qualità delle valutazioni formulate e la definizione di proposte concrete e programmatiche.
Alla luce degli elementi emersi nel corso delle audizioni, la XIV Commissione ha ritenuto opportuno concentrare la propria relazione su cinque aspetti principali. Primo: lo stato complessivo e le prospettive del processo di integrazione europea alla luce della prima applicazione del Trattato di Lisbona e delle difficoltà dell'Unione a rispondere alle grandi sfide globali; secondo: la risposta dell'Unione alla crisi, con particolare riferimento alla nuova governance economica; terzo: l'azione esterna dell'Unione, con specifico riferimento alla politica di vicinato e, segnatamente, al rapporto con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo; quarto: la predisposizione del nuovo quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e le proposte, strettamente connesse, di riforma della politica di coesione e della politica agricola; quinto: i meccanismi di formazione della posizione italiana nel processo decisionale europeo, con particolare riferimento alla difficoltà per il nostro Paese di fare sistema.
Con riguardo allo stato del processo di integrazione di cui al punto primo, la nostra relazione ribadisce come la fase critica che investe l'Unione europea offra un'occasione irripetibile per un salto di qualità nel processo di integrazione, verso una progressiva integrazione politica oltre che economica. La combinazione delle innovazioni istituzionali previste dal Trattato di Lisbona e la pressione derivante dagli eventi epocali degli ultimi mesi sembrano, infatti, potenzialmente idonei a liberare l'Unione europea dal paradosso di cui è prigioniera: non riuscire ad agire in modo adeguato e tempestivo a fronte di questioni la cui complessità e scala rende insufficiente l'azione dei soli Stati membri e postula un intervento europeo. Queste potenzialità sono state solo in parte sviluppate, per effetto soprattutto della resistenza miope e talora arrogante di alcuni Stati membri e per la debolezza delle stesse istituzioni europee.
Per quanto riguarda, in particolare, le innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona, i primi risultati appaiono piuttosto deludenti. È anzitutto manifesta l'inadeguatezza dell'Alto rappresentante per la politica estera ad adempiere i compiti che gli sarebbero attribuiti, contribuendo alla costruzione graduale di una reale politica estera europea. La stessa Commissione europea non ha avuto, in alcuni passaggi cruciali, la prontezza e il coraggio necessario per assicurare un intervento adeguato dell'Unione, cedendo alle pressioni di alcuni Stati membri.
In secondo luogo, con riguardo al nuovo sistema di governance economica, la nostra relazione sottolinea come gli attacchi Pag. 4speculativi contro alcuni Paesi della zona euro e il mancato rilancio di crescita ed occupazione ne abbiano confermato le lacune e gli squilibri più volte denunciati dalla Camera e da altri Parlamenti nazionali, imponendo la stipulazione del Patto Euro Plus, correzioni di meccanismi di stabilizzazione per l'area euro e continue ma insufficienti integrazioni del disegno originario.
Per assicurare la stabilità e soprattutto la crescita dell'area euro occorre innanzitutto dare seguito alle varie proposte avanzate in materia di emanazione di titoli di debito dell'Unione europea, da ultimo anche dal Ministro Tremonti e dal professor Prodi, che consentano di alleviare la situazione debitoria dei Paesi membri e di finanziare progetti infrastrutturali e di interesse europeo.
Occorre, pertanto, che la Commissione europea, che ha pronunciato l'avviso di un apposito studio sulla questione, presenti in tempi rapidi - e in ogni caso entro il Consiglio europeo del prossimo dicembre 2011 - proposte operative volte a dare concretamente seguito all'iniziativa.
Nel medio e lungo periodo sarà poi necessario procedere alla creazione di un vero Governo economico dell'eurozona, attribuendo - mediante appropriate modifiche ai Trattati - al Consiglio e all'eurogruppo, su proposta della Commissione e in codecisione con il Parlamento europeo, poteri vincolanti in merito alle grandi scelte di politica economica. Andrà, in questo contesto, valutata l'ipotesi di creare figure istituzionali innovative.
In terzo luogo, anche in altri settori - primo fra tutti l'immigrazione - la politica estera e il partenariato Euro-Mediterraneo, l'Unione europea non è stata invece capace di rispondere agli eventi epocali intervenuti negli ultimi mesi, nonostante la palese inadeguatezza dell'azione nazionale rispetto alla scala dei problemi. A ciò hanno concorso la già denunciata debolezza delle istituzioni europee con più stretta responsabilità in materia e l'assenza di solidarietà tra gli Stati.
Anche il rafforzamento delle competenze dell'Unione in materia di immigrazione prevista dal Trattato si è dimostrata sterile a fronte dell'assenza di volontà politica e visione strategica. Nella relazione abbiamo formulato alcune proposte operative che riflettono approfondimenti di specifiche iniziative già svolte dalla nostra Commissione o da Commissioni di settore.
I prossimi mesi risulteranno pertanto decisivi per capire se l'Unione europea è in grado di compiere il necessario salto di qualità verso una nuova fase della costruzione europea o rimarrà prigioniera di nazionalismi rifiorenti e delle esigenze di politica interna dei singoli Stati membri. L'Italia può giocare, in questa prospettiva, un ruolo, promuovendo, come avvenuto in passato - è sufficiente ricordare il processo di elaborazione del Trattato di Maastricht - scelte nette verso un'ulteriore integrazione.
In quarto luogo, con riferimento alle proposte della Commissione relative al quadro finanziario e alle risorse proprie dell'Unione europea 2014-2020, presentate lo scorso 29 giugno, la nostra relazione ha tenuto conto del fatto che esse saranno oggetto di specifico esame presso le Commissioni bilancio e politiche europee della Camera, le quali definiranno indirizzi puntuali per la definizione della posizione negoziale italiana.
Abbiamo ritenuto opportuno affermare sin d'ora che la posizione italiana nel negoziato non sarà agevole. Occorrerà trovare un equilibrio tra due esigenze in potenziale contrasto: da un lato, l'esigenza di dotare l'Unione delle risorse che la pongano in grado di esercitare le sue competenze, dall'altro, la necessità di ridurre il saldo netto negativo dell'Italia - pari a 5 miliardi l'anno - per il periodo 2007-2013.
In questo contesto, destano preoccupazione alcune innovazioni pronunciate dalla Commissione in merito alla politica di coesione e alla politica agricola comune, le cui risorse, oltre ad essere ridotte, potrebbero essere distribuite secondo criteri pregiudizievoli per il nostro Paese. Un'ultima serie di considerazioni svolte nella relazione attiene alla partecipazione Pag. 5del nostro Paese alla formazione delle decisioni europee e al raccordo tra Parlamento e Governo in questo contesto. Le audizioni svolte dalla XIV Commissione hanno confermato che il maggior punto di debolezza della posizione dell'Italia alla formazione della normativa e delle politiche europee è costituita dalla scarsa capacità degli attori istituzionali e non istituzionali di fare sistema, rappresentando, quantomeno sulle questioni di maggiore interesse nazionale, una posizione unitaria o quantomeno non contraddittoria.
Esemplare in questo senso è la recente vicenda della cooperazione rafforzata sul brevetto unico, alla quale Governo e Parlamento si sono nettamente opposti, non accettando il ricorso al trilinguismo inglese, francese e tedesco, mentre gran parte dei colleghi europarlamentari e della Confindustria hanno sostenuto la necessità dell'adesione dell'Italia al nuovo istituto. Anche altre audizioni svolte, in particolare quella del Rappresentante permanente dell'Italia presso l'Unione europea, hanno posto in rilievo la difficoltà di elaborare una posizione nazionale in una fase precoce del processo decisionale europeo mediante il raccordo fra le amministrazioni statali competenti, fra Stato e regioni, fra Governo, Parlamento e rappresentanti degli interessi economici. Queste difficoltà sono imputabili in parte ai meccanismi di coordinamento nella formazione della posizione italiana presso l'Unione europea, in parte ad un ritardo culturale dell'amministrazione e del mondo produttivo italiano.
Con riguardo agli strumenti di coordinamento, la Camera ha già preso atto delle carenze esistenti ed ha apprestato nel testo di riforma della legge n. 11 del 2005, approvato nel marzo 2011, alcuni correttivi. Decisivo sarà tuttavia un radicale cambiamento culturale nel Paese. Occorre che tutti i soggetti coinvolti acquisiscano la consapevolezza che, soprattutto quando sono in gioco questioni di rilevante portata, l'interesse comune del Paese deve avere la precedenza rispetto a quello di singoli settori e componenti. La tentazione di perseguire interessi di categoria caso per caso può infatti anche avere successo per chi vi è portatore in relazione a singoli provvedimenti ma, come l'esperienza dimostra, finisce per pregiudicare gravemente a medio e lungo termine la credibilità e l'autorevolezza del Paese nel suo complesso.
Il Parlamento può svolgere un ruolo fondamentale in questa chiave, assicurando il raccordo tra il Governo e tutti gli altri attori interessati e operando una sintesi politica in vista della formazione della posizione nazionale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro per le politiche europee, la professoressa Anna Maria Bernini Bovicelli, che saluto cordialmente perché, che io sappia, è la prima volta che ha occasione di intervenire in quest'Aula nella sua funzione di Ministro e mi fa piacere che lo faccia sotto la mia Presidenza (Applausi).

ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI, Ministro per le politiche europee. Signor Presidente, la ringrazio per il saluto. Sì, è vero, è la prima volta, come Ministro per le politiche europee; questo è il mio primo intervento in Aula. Ringrazio gli onorevoli colleghi e mi richiamo direttamente alle conclusioni della relazione che è stata discussa ieri ed approvata in XIV Commissione ed oggi così ottimamente illustrata dal presidente Pescante.
Il Governo che qui rappresento si riconosce nelle conclusioni, ovvero che certamente questa relazione programmatica ed insieme progettuale rappresenta la cornice ideale, l'architrave ideale per consentire un più ampio, articolato ed efficiente rapporto tra Parlamento e Governo così spesso evocato e così spesso realizzato attraverso atti di indirizzo che trovano certamente in questa relazione, che rappresenta un numero zero, la prima relazione posta in essere dal Governo per il Parlamento.
È la prima relazione del Parlamento sulla relazione del Governo - dicevo - e rappresenta un importante numero zero, è un incipit di nuovi, più strutturati e certamente più strutturali rapporti tra Governo Pag. 6e Parlamento per un'azione governativa complessiva più coordinata nei confronti dell'Europa. Hanno dimostrato ciò le audizioni a cui faceva riferimento il presidente Pescante, che sono state tenute in XIV Commissione e che hanno ascoltato importanti voci della società civile, del territorio, delle categorie produttive, dei gruppi economici, delle parti sociali, che hanno manifestato le loro istanze vocazionalmente e speratamente da coordinarsi nella fase ascendente verso l'Europa per renderle più efficaci e per renderle più praticabili nei confronti di istituzioni che chiamano - lo si ribadisce - coordinamento e chiarezza da parte degli Stati membri, oltre che naturalmente quella vocazionale armonizzazione che sta alla base degli obiettivi da perseguirsi attraverso la relazione oggi qui in commento.
Si tratta di una relazione rispetto alla quale il Governo che rappresento si riconosce pienamente. Identificherò, pur se per tratti necessariamente brevi e sintetici (riservandomi naturalmente di rimanere a disposizione in una fase successiva di replica o di ampliamento ulteriore del dibattito), alcuni obiettivi che corrispondono, oltre che ad un'azione di coordinamento interno tra Parlamento e Governo in una fase ascendente per portare una voce più forte in Unione europea, anche ad un'attività di incidenza e ad una più pervasiva vicinanza rispetto all'attività legislativa del Consiglio e politica della Commissione con riferimento alle quali la relazione in oggetto oggi in discussione deve andare di pari passo.
Il presidente Pescante ha evidenziato dei punti fondamentali rispetto ai quali - lo ribadisco - mi permetterò, in questi brevi punti che vorrei portare all'attenzione dei colleghi, di fare una scelta per ordine di importanza direi contestuale. Devo certamente gioco forza partire, anche in linea con l'articolazione per punti della relazione della Commissione, dalla governance economica e dalle misure a sostegno della crescita e dell'occupazione poste in essere dagli organi dell'Unione europea.
Ciò che si è spesso detto da parte degli organi parlamentari e del Governo e certamente da parte degli atti di indirizzo promananti dalla XIV Commissione è che l'Unione europea, per la sua natura, la sua vocazione e i suoi obiettivi, non può limitare la propria azione agli interventi, pur assolutamente necessari, di contenimento delle spese pubbliche e di equilibrio dei bilanci, ma deve promuovere interventi davvero efficaci. La relazione sottolinea ciò e in questo il Governo fortemente si riconosce a favore della crescita in una logica di scelte condivise che non siano dettate unicamente - altro dato che il Governo vorrebbe sottolineare - da un numero ristretto di attori e da informali direttori che non hanno in realtà riscontri di legittimazione.
Di fronte ad una crisi finanziaria - lo si è detto ripetutamente ed è purtroppo tema di bruciante attualità - eccezionalmente grave, l'Europa deve agire con sollecitudine e determinazione, utilizzando tutti gli strumenti disponibili per salvaguardare la stabilità dell'euro. Un prerequisito indispensabile per l'attivazione di nuovi strumenti è certamente la sollecita approvazione del pacchetto legislativo composto da sei provvedimenti contenenti una riforma del Patto di stabilità e crescita e misure per affrontare gli squilibri macroeconomici nell'ambito dell'Unione e dell'area dell'euro.
Auspichiamo, ma si tratta di un auspicio fattivo rispetto al quale abbiamo intenzione di operare a livello di Unione europea, che possano essere rapidamente superati gli empasse ancora esistenti tra Consiglio e Parlamento e che si possa addivenire ad una sollecita approvazione del pacchetto. Sempre con riferimento alla governance economica europea, per quanto riguarda l'approvazione della modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione di cui si è discusso ieri in Commissione in occasione dell'approvazione della relazione relativamente ad un meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l'euro, il disegno di legge di autorizzazione alla Pag. 7ratifica, approvato dal Consiglio dei ministri alla fine di luglio, è attualmente alla firma del Capo dello Stato.
La situazione attuale richiede anche l'attivazione di strumenti innovativi (il presidente Pescante lo ha sottolineato in un passaggio della relazione) che siano in grado insieme di contrastare la volatilità dei mercati, stabilizzare i debiti sovrani dell'area euro e identificare nuovi strumenti di finanziamento di infrastrutture, siano essi di trasporto transnazionale dell'Unione europea, siano esse infrastrutture culturali, di ricerca e di innovazione. Il dibattito - lo sappiamo - è anch'esso di stretta attualità: si tratta di titoli obbligazionari europei che possono, con diversi livelli di intensità, inserirsi in un contesto che ha come cornice un importante dibattito radicato nella seduta straordinaria del Parlamento proprio della settimana scorsa in occasione di un'audizione sui cosidetti eurobond.
Come dicevo, si tratta di un importante teatro di osservazione e di elaborazione dei modi migliori e delle migliori pratiche per impiegare strumenti nuovi che, lo ripeto, sono certamente innovativi e di interesse ma che vanno valutati in un'ottica di praticabilità, con riferimento a perplessità di Stati membri che riteniamo debbano essere attentamente vagliate e, speratamente, «overpassate» ma che non possono essere ignorate da alcuno Stato membro dell'Unione.
In questo caso giustamente il presidente Pescante ricordava che anche il Ministro Tremonti ha in più occasioni evidenziato come la presa in considerazione di strumenti finanziari, quali gli eurobond, sia un importante momento evolutivo di un'Unione europea e di un mercato unico che non può e non deve vocare se stesso solo ed unicamente ad un'attitudine finanziaria, ma deve costruire se stesso sotto il profilo economico ed insieme politico per poi dare vera stabilità al mercato unico.
Come anticipato, l'azione dell'Unione europea - e questa considerazione si specchia nelle considerazioni finali della Relazione - non si può limitare alla gestione dell'emergenza finanziaria. È certamente necessario che si intervenga con tutto l'impegno possibile - e questo rappresenta uno dei tratti fondanti e uno dei pilastri dei motivi istitutivi dell'Unione - per favorire la crescita. L'Italia ha sostenuto con convinzione, fin dal suo avvio, la strategia europea nota come «Europa 2020» e ha attuato sollecitamente tutte le misure necessarie per il funzionamento del semestre europeo. Lo si è visto attraverso il programma di stabilità e il piano nazionale di riforme, per citare due degli elementi di uno strumentario innovativo che è stato recentemente posto in essere dagli Stati membri dell'Unione per il funzionamento del semestre europeo che, attraverso questi strumenti, ha consentito un maggiore coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, cui sono seguite raccomandazioni della Commissione e del Consiglio dell'Unione europea per mettere a regime e per armonizzare non solo le politiche finanziarie ma, soprattutto, le politiche economiche degli Stati membri, in un'ottica di sempre maggiore armonizzazione e di sempre maggiore avvicinamento delle politiche economiche, che consentano anche un più fluido impiego di quegli strumenti innovativi di cui prima si parlava e che proprio dallo iato tra il diverso peso degli Stati membri (alcuni sono considerati Stati forti e altri meno forti) traggono le loro principali ragioni di perplessità.
Occorre anche che l'Unione europea proceda, con tutte le misure contemplate nella strategia, con specifico riferimento ad un tema molto caro al nostro Paese: le piccole e medie imprese, che giustamente la Relazione definisce, mutuando un termine sempre più utilizzato e sempre più rispondente alla concreta realtà del tessuto economico del mondo imprenditoriale, non più solo piccole e medie imprese ma micro-piccole-medie imprese, in particolare curando la proporzionalità, ossia l'applicazione di un principio di proporzionalità, rispetto a micro, piccole e medie imprese, degli oneri amministrativi, contabili, burocratici e fiscali. Pag. 8
Certamente il tema è di importanza capitale per un Paese quale il nostro, che ha sempre avuto una vocazione fortemente manifatturiera e da sempre ha sostenuto l'esigenza di ancorare lo sviluppo dell'Europa, come prima si accennava, all'economia reale piuttosto che ad un'economia e ad un sistema basato essenzialmente sulla finanza. Sosteniamo - e lo ricorda anche la Relazione - le iniziative avviate in questo senso dal commissario Tajani a sostegno della politica industriale e per favorire lo sviluppo non già e non solo delle piccole e medie imprese ma delle micro-piccole-medie imprese. In questo senso è in atto, lo si ricorda, una revisione dello small business act, che proprio di questo tratta, con una particolare valorizzazione e un particolare focus dei provvedimenti necessari per creare elementi positivi di supporto e di distintività.
Il tema dell'azione dell'Unione europea per favorire la crescita ci porta ad affrontare quello del bilancio dell'Unione con riferimento - la Relazione lo tratta - al prossimo quadro finanziario pluriennale dal 2014 al 2020. Condivido, anche in questo caso pienamente, le linee guida tratteggiate per la partecipazione al negoziato, che si preannunzia particolarmente complesso in quanto non potrà non risentire della crisi finanziaria e delle esigenze di contenimento e di contrazione. Già in questi giorni stiamo assistendo alle misure necessarie per il contenimento e per la contrazione dei bilanci pubblici degli Stati membri che - giocoforza - non potranno non ripercuotersi anche sul bilancio dell'Unione. Il Governo intende comunque operare affinché venga ridotto l'ormai insostenibile squilibrio tra i finanziamenti versati dal nostro Paese e i ritorni di cui beneficiamo e che ci hanno portato a diventare uno dei maggiori contribuenti netti dell'Unione europea. Questa situazione non appare più compatibile - anche in questo senso si condividono le conclusioni della Relazione - con l'evoluzione della ricchezza relativa del nostro Paese nel contesto europeo e con i sacrifici che ci sono imposti per l'equilibrio di bilancio.
Riguardo al volume del bilancio dell'Unione, riteniamo che esso debba essere adeguato ai compiti che sono demandati a livello europeo, intervenendo tuttavia anche sulla qualità della spesa e sulla piena sinergia tra il bilancio dell'Unione e quello degli Stati membri.
Con riferimento alla politica di coesione, cui si è accennato nella Relazione che è stata anch'essa oggetto di dibattito in Commissione nella giornata di ieri, mi sia consentito solo un riferimento: il Governo considera, unitamente al Parlamento, la politica di coesione come un corollario indispensabile dell'unione monetaria e del mercato interno, che deve continuare ad intervenire in maniera adeguata nelle regioni meno sviluppate per assicurare e garantire meccanismi perequativi tra differenze territoriali che non possono sottoporre strumenti - quali ad esempio i fondi strutturali - a meccanismi sanzionatori o premiali, quali sono stati adombrati in occasione di alcune riunioni bilaterali, totalmente incompatibili con lo spirito dello strumento stesso. Il fondo strutturale nasce per perequare una situazione di diversità e di discrasia territoriale: ove il fondo strutturale nella sua erogazione fosse vincolato alla virtuosità di uno Stato membro, si toglierebbe allo strumento stesso il suo significato originario, ovvero quello di colmare una lacuna e di perequare una diversità e così si renderebbero ancora più forti gli Stati già forti e ancora più deboli gli Stati più deboli.
Venendo poi, solo per tratti molto sintetici - lo ripeto - ai problemi specifici della politica di coesione nell'attuale ciclo di programmazione, condividiamo l'esigenza di sottrarre, per quanto possibile, i cofinanziamenti nazionali dei programmi finanziati dai fondi strutturali europei dall'applicazione delle regole del Patto di stabilità interno e mi riferisco anche alla semplificazione delle procedure relative all'utilizzo e alla rendicontazione dei fondi strutturali.
Riteniamo infatti che vi siano delle solidissime giustificazioni e ragioni per Pag. 9entrambe le misure, che saranno oggetto di attento ed indefesso impegno da parte del Governo.
Un richiamo al mercato interno trattato nella Relazione con riferimenti pertinenti e significativi e che tratta temi di mia diretta competenza: in una situazione caratterizzata dai noti vincoli di bilancio - l'abbiamo detto, ma è necessario ribadirlo soprattutto in questa fase del nostro ciclo economico, che è una fase critica di affanno dei mercati internazionali - il mercato interno, mai come ora, rappresenta lo strumento principale per implementare e favorire la crescita a livello europeo.
Riteniamo quindi di doverci adoperare - ed anche in questo senso condividiamo le conclusioni della Relazione - affinché il mercato interno venga esteso anche a quei settori che non ne hanno ancora pienamente beneficiato. Ci si riferisce, in particolare, al settore dei servizi.
È, quindi, necessario continuare a lavorare per un'applicazione quanto possibile estesa - pur se di contesto - della direttiva «servizi», superando talune resistenze ancora presenti in alcuni settori e assicurando soprattutto - questo rappresenta principalmente un impegno comunitario - una parità di trattamento nei vari Paesi, affinché non venga alterata la concorrenza sul mercato interno.
A questo proposito si ribadisce pienamente l'attenzione alle piccole e medie imprese che dovranno avere un trattamento attento per massimizzare il loro beneficio in relazione alla partecipazione a un mercato più ampio, in particolare con il test di proporzionalità cui prima si faceva riferimento sotto lo specifico profilo dell'alleggerimento degli oneri.
Il Governo crede fortemente nell'impatto positivo dell'apertura dei mercati e della liberalizzazione dell'economia; misure importanti in tal senso sono contenute nella manovra che si sta ora discutendo in Senato.
Altrettanto importante è la riduzione degli oneri amministrativi e dei vincoli che le imprese subiscono; anche in questo contesto, attraverso provvedimenti per la competitività, per lo sviluppo e anche nelle manovre di luglio e di agosto, abbiamo fatto molto per ridurre tali oneri. È comunque necessario un ulteriore sforzo. Esistono degli standard qualitativi e quantitativi rispetto ai quali ci siamo impegnati nei confronti dell'Europa che devono essere raggiunti.
Da ultimo un cenno all'azione esterna dell'Unione europea cui fa riferimento la Relazione, in particolare alla politica di vicinato, altro tema di stringente attualità.
Le modifiche introdotte nei trattati per rafforzare l'azione esterna dell'Unione europea non sembrano ancora aver portato a un reale salto di qualità nella capacità dell'Unione di porsi sulla scena internazionale come attore di primo piano e non solo come erogatore emergenziale di assistenza, ciò forse anche per la mancanza di una reale volontà complessiva degli Stati membri di favorire fino in fondo e con ogni forza ed impegno tale processo.
A fronte degli eventi che stanno portando in molti Paesi della sponda sud del Mediterraneo ad un profondo cambiamento nelle istituzioni, non si è registrato un ruolo significativo dell'Unione europea in quanto tale.
Auspichiamo, quindi - e concludo, signor Presidente - che l'Europa sia in grado di dimostrare la propria capacità di essere presente su questi scenari sfruttando pienamente le grandi potenzialità che questa situazione così unica e così vicina potrà offrire, come accadde con l'esperienza acquisita con la transizione dei Paesi dell'Est.
Molti sono ancora i punti sui quali potrei intervenire, ma mi riservo in sede di replica di estrinsecare e manifestare ulteriori dati di attenzione del Governo rispetto agli esiti della discussione senza sottrarre ulteriore tempo all'Aula (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maggioni. Ne ha facoltà.

MARCO MAGGIONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, l'esame della Relazione programmatica sulla partecipazione Pag. 10dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2011, del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2011 e del Programma del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze polacca, danese e cipriota è stato svolto in modo congiunto, secondo la procedura definita dalla Giunta per il Regolamento.
È stata effettuata un'approfondita analisi nella XIV Commissione al fine di sviluppare i temi ed i contenuti di carattere politico, economico, sociale e ambientale che l'Unione europea sarà chiamata ad affrontare. Sono state coinvolte mediante numerose audizioni le parti sociali che hanno fornito spunti di riflessione nella maggior parte dei casi utili e condivisibili.
Questa discussione avviene in un momento storico cruciale per il destino dell'Unione europea e degli Stati membri che la compongono perché ci troviamo ad affrontare una seria crisi economica, nonché altre problematiche riguardo ai mutati assetti geopolitici del NordAfrica con i conseguenti flussi migratori, al cambiamento climatico, alla sicurezza energetica, alla lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Va detto che rispetto a queste questioni non solo molti analisti, ma anche esponenti di questa Camera, hanno sostenuto e sostengono ancora come il ruolo dell'Unione europea sia fondamentale al fine di trovare una soluzione alle stesse. Pur tuttavia, dinanzi ad un approccio di maniera, ancora permangono purtroppo a livello europeo contrasti circa le misure da adottare e le ricette da seguire per trovare una via di uscita alle difficoltà contingenti. Non c'è da meravigliarsi: le differenze sociali storiche ma soprattutto economiche tra i vari Stati membri di certo non aiutano e non aiuteranno, unitamente al fatto che, con particolare riferimento alla crisi economico-finanziaria, le spinte per certi versi antidemocratiche dei mercati, che impongono misure drastiche agli Stati membri, ponendoli quasi sotto ricatto circa la sottoscrizione del loro debito sovrano, rendono questa fase particolarmente difficile da analizzare. Molto si è detto e scritto circa il rapporto tra stabilità finanziaria degli Stati membri e crescita, come se l'una fosse necessariamente in contrasto con l'altra. In realtà la questione è più complessa e riguarda l'integrazione mondiale delle regole di mercato e di produzione, nonché il sistema dei cambi tra le valute, perché oggi con la globalizzazione il sistema europeo in generale non riesce più ad essere competitivo rispetto a Stati privi delle più elementari norme sociali, produttive ed ambientali. Se le imprese europee non hanno la possibilità di incrementare le proprie quote di mercato, cioè di crescere e creare quindi occupazione, se non ci sono queste condizioni, come si possono migliorare le performance del prodotto interno lordo europeo? Bene ha detto il Ministro Tremonti quando ha affermato che il bilancio dello Stato si fa per legge, mentre il prodotto interno lordo no. Resta ancora a livello di proposta la posizione espressa dal nostro Governo circa l'adozione di forme di titoli di debito europeo per mettersi al riparo da spinte speculative che possono generarsi in qualsiasi momento, stante il fatto che le manovre finanziarie che il nostro Paese, insieme a molti altri Stati europei, Francia compresa, ha adottato sono volte ad azzerare il rapporto deficit/PIL, ma non ancora quello tra debito pubblico e PIL. Dunque, il rischio di nuove manovre speculative sul debito sovrano, i cui titoli passano di mano tra società finanziarie internazionali, è ancora presente. L'utilizzo di strumenti finanziari, quali i derivati sul debito degli Stati, non fanno altro che testimoniare come i disastri economici americani del 2008 poco o nulla hanno insegnato. Ancora una volta pochi soggetti giocano sulla pelle e sul destino di milioni di cittadini e di piccoli o medi imprenditori. Voglio dire chiaramente che la revisione del ruolo attribuito ai giudizi espressi dalle agenzie di rating, con il loro impatto sul funzionamento dei mercati, eliminandone o circoscrivendone significativamente l'uso a fini regolamentari, è oltremodo necessario. Viene da domandarsi a buon ragione dov'erano queste agenzie poche settimane Pag. 11prima del fallimento di Lehman Brothers, quando il giudizio su questa banca americana, che sarebbe fallita da lì a pochi giorni, restava per talune agenzie positivo. Oggi a queste società è stata attribuita la potestà di decidere cosa è bene e cosa è male nel mondo economico ed un loro giudizio può spostare in modo eccessivamente rilevante il peso economico degli Stati ad economia più avanzata. Si ritiene opportuna l'istituzione di un'agenzia di rating creditizio pubblica ed indipendente e la definizione di un indice europeo di rating. Spostandoci dalla finanza all'economia reale, è necessario che vengano adottate opportune e stringenti misure a tutela delle produzioni nazionali caratterizzate dal made in.
Non è più tollerabile che talune produzioni si fregino del made in Italy solo perché una parte marginale della lavorazione del manufatto è stata eseguita nel nostro Paese, assemblando semilavorati provenienti dall'Indocina. La nostra imprenditoria non può più permettersi forme di concorrenza sleale.
È di vitale importanza dare risposte, finalmente concrete, agli imprenditori di tutto il Paese, e in particolare a quelli localizzati nella pianura padana, così come, una volta per tutte, è indispensabile che venga attuata una seria politica europea contro la contraffazione e contro l'uso distorto del marchio China Export, che fa confondere le produzioni europee con quelle cinesi destinate alla loro esportazione.
È da troppo tempo che la Lega Nord sostiene questa necessità e il fatto di non avere ancora visto risposte non fa altro che allontanare ulteriormente gli imprenditori del nostro Paese dall'Unione europea ed alimentare l'antieuropeismo. Bisogna affermare a livello europeo il ruolo e l'importanza delle piccole e medie imprese, che rappresentano oggi la nostra capacità di produrre e la nostra possibilità di sostenere ed aumentare l'occupazione. Nell'ambito della politica estera comunitaria abbiamo visto come, a seguito degli accadimenti di questi mesi nel Nord Africa, con le rivolte che hanno stravolto gli assetti governativi degli ultimi trent'anni, sia necessaria un'effettiva e funzionale politica estera europea.
È emersa in modo chiaro l'insufficienza della politica estera europea, che ha lasciato inevitabilmente libertà di azione alla politica estera dei singoli Stati membri. Mai come in questo caso l'azione dell'Unione europea si è dimostrata tanto debole quanto inefficace; pertanto, va detto che la gestione dell'immigrazione clandestina conseguente è rimasta a totale carico dei singoli Stati membri, in primis il nostro Paese.
Su questo punto occorre chiarezza: o la gestione dell'immigrazione clandestina diventa un problema veramente europeo oppure domandiamoci come sia possibile avere una normativa sui rimpatri che valga in tutta l'Unione europea. È corretto, quindi, affermare che negli accordi, sia multilaterali sia bilaterali, conclusi tra l'Unione europea e i Paesi della sponda sud del Mediterraneo debbano essere inserite clausole di condizionalità che subordinino l'erogazione di aiuti o assistenza tecnica da parte dell'Unione europea al rispetto di impegni precisi e verificabili in materia di prevenzione e lotta all'immigrazione irregolare, al terrorismo e alla criminalità organizzata.
L'Europa, e in particolare il nostro Paese, non può accogliere continui immigrati clandestini provenienti dall'Africa. Tra le sfide da affrontare vi sarà anche il problema dei mutamenti climatici, che, come è emerso nell'audizione dell'ambasciatore della Polonia nella XIV Commissione, dovrà avere una visione non più continentale, ma mondiale. Se è vero che tali mutamenti sono da ascrivere alle immissioni nell'atmosfera di anidride carbonica e tale gas è da correlare alle produzioni industriali, ebbene, non possiamo permetterci a livello europeo una riduzione unilaterale delle emissioni. Sono necessari sforzi comuni e di pari entità percentuale tra tutte le potenze economiche mondiali.
In questo senso la Presidenza polacca intende muoversi e ci sembra la via giusta da seguire. A livello energetico è auspicabile Pag. 12una visione di insieme, che tenda ad uniformare le scelte in merito alla produzione di energia elettrica tra i vari Stati membri. Tuttavia, in questo campo è necessario un approccio pragmatico e non ideologico, se non addirittura politico. Dobbiamo renderci conto che i combustibili fossili sono una fonte esauribile, con prezzi variabili e per lo più giacenti in Paesi contraddistinti dalla caratteristica di essere ricompresi nell'area mediorientale, che soffre cronicamente di instabilità politica.
Una politica energetica volta a ridurre emissioni di inquinanti e dipendenza dal petrolio è auspicabile e necessaria, ma, al tempo stesso, non è possibile avere aprioristicamente giudizi negativi su altre fonti energetiche. Investire e sostenere la ricerca in campo energetico è quindi doveroso. Un ultimo punto concerne la politica agricola. Da tempo si è iniziato a discutere di riforma della PAC 2013. Il concetto che deve essere alla base di ogni proposta deve essere quello che vede l'agricoltura come uno strumento non solo di produzione alimentare, ma anche di governo e gestione del territorio e delle sue tradizioni.
La Relazione approvata ieri dalla XIV Commissione è stata votata all'unanimità, anche dal Partito Democratico, dopo una lunga, ma molto proficua, trattativa.
Auspichiamo, pertanto, che in questa fase economica prevalga la politica del buon senso e non uno scontro inutile e dannoso per il Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Popolo della Libertà e Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Centemero. Ne ha facoltà.

ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'esame della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2011, del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2011 e del Programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze polacca, danese e cipriota si svolge, per la prima volta, tengo a sottolinearlo, in modo congiunto, nell'ambito di una vera e propria sessione interamente dedicata alla valutazione e al confronto tra le priorità delle istituzioni europee e quelle del Governo per il 2011. Lo scopo è quello di definire gli indirizzi generali per l'azione dell'Italia a livello europeo. Si tratta di un passaggio politico decisamente rilevante per il Parlamento italiano nell'ottica dell'attuazione del Trattato di Lisbona e, dunque, del ruolo dei Parlamenti nazionali nel contributo alla definizione della politica europea.
Tengo a sottolineare, come già è stato fatto da chi mi ha preceduto, che questa nuova procedura è frutto di modifiche legislative operate proprio all'interno della XIV Commissione a cui ha fatto seguito l'intervento della Giunta per il Regolamento della Camera.
Inoltre, Ministro, voglio rilevare fin da subito che, se vogliamo che il nostro Paese rafforzi la sua posizione all'interno del framework europeo ed incida maggiormente nel determinare le politiche comunitarie, è opportuno mettere in primo piano, per il Governo e per il Parlamento, due necessità importantissime su cui si deve innestare l'azione del Governo stesso.
La prima è rappresentata dal fatto che le relazioni annuali giungano al Parlamento nei tempi stabiliti. Solo così l'azione politica congiunta di Governo e Parlamento può essere pervasiva ed efficace e non meramente formale.
La seconda necessità riguarda la riforma della legge n. 11 del 2005, iniziata, voglio ricordarlo, proprio in questo ramo del Parlamento e fortemente voluta da tutte le forze politiche, maggioranza e opposizione, che hanno lavorato congiuntamente, con grande impegno. Questo è un modus operandi che vorremmo potesse essere proprio di molte altre azioni ed iniziative politiche di questo Parlamento, soprattutto in un momento così delicato per la vita del nostro Paese. Vorremmo che la riforma della legge n. 11 del 2005 arrivasse in tempi brevi alla sua approvazione.
Abbiamo bisogno che il nostro Paese continui a mantenere credibilità all'interno Pag. 13dello scenario europeo. Per questo, accanto alla copiosa attività politica, in fase discendente e ascendente, della nostra Commissione, è opportuno, però, che si sviluppi un approfondito dibattito in Parlamento sull'andamento del processo di integrazione, ma, soprattutto, sul ruolo che il nostro Paese deve e può svolgere alla luce di quella che deve essere la definizione improrogabile delle priorità strategiche per il nostro Paese. In questa ottica si collocavano la riforma della legge n. 11 del 2005 e l'istituzione di questa nuova sessione europea, proprio per consentire che il Parlamento, le Commissioni e l'Assemblea, ma anche le parti sociali, le categorie produttive e tutti i soggetti interessati, dibattessero in modo costruttivo e positivo, dando delle indicazioni al Governo per la partecipazione e la determinazione delle politiche europee.
Ministro, vi sono due aspetti importanti che devono essere fluidificati proprio per effettuare quella mappatura sistemica e sistematica e quel lavoro di bilocazione sistematica di cui lei parlava ieri in Commissione.
Innanzitutto il nostro Paese deve partecipare in modo sistematico ed efficace ai comitati ed ai gruppi di lavoro del Consiglio, proprio affinché la nostra posizione nella negoziazione delle iniziative legislative e non legislative a livello europeo sia incidente e pervasiva. In secondo luogo ci vuole un'azione non solo all'interno dell'Unione europea, ma anche verso l'Unione europea e questa può avvenire soltanto se si rafforza e - lo ripeto - si fluidifica il raccordo tra le Camere ed il Governo.
Lei sa bene, Ministro, quali sono le difficoltà maggiori che noi, come Paese, incontriamo. Innanzitutto la difficoltà fondamentale è che i meccanismi di formazione della posizione italiana nel processo decisionale europeo sono piuttosto complessi ed abbiamo grandi difficoltà a far sistema, a definire una posizione unitaria. Credo che in questo l'azione del Parlamento, congiunta con il Governo e fluidificata, possa essere un punto chiave ed una soluzione chiave per il Governo.
Per quanto riguarda più specificatamente la Relazione annuale, vorrei rilevare un fatto di grande importanza e cioè che siano stati indicati, accanto agli obiettivi e alle azioni dell'Unione europea, anche gli strumenti di coordinamento che servono ad assicurare la formazione e la difesa della posizione nazionale su dossier complessi.
Per quanto riguarda il Programma di lavoro della Commissione per il 2011, è un programma di 18 mesi. Già sono stati sottolineati alcuni punti significativi. Vorrei richiamarne due in modo particolare. In primo luogo la risposta dell'Unione europea alla crisi economica e finanziaria: la nuova governance economica europea per assicurare da un lato la stabilità dell'area euro e dall'altro per sostenere la crescita e l'occupazione. In secondo luogo la predisposizione del nuovo quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea 2014-2020.
Non dobbiamo dimenticare che la crisi globale in corso e le risposte che l'Unione europea ha fornito - e soprattutto saprà fornire - incideranno profondamente sullo stato e sulle prospettive del processo di integrazione europea. Di vitale importanza per l'Italia è anche l'azione esterna dell'Unione europea, con specifico riferimento alla politica di vicinato - e di immigrazione ovviamente - e al rapporto con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo.
La crisi economica ha imposto all'Unione e in particolar modo all'area euro di dotarsi di un nuovo sistema di governance economica allo scopo di coordinare e far convergere maggiormente le politiche economiche. Questo può considerarsi solo il primo passo di un processo che dovrà portare alla creazione di un governo economico: politica monetaria e politica economica. Ma il mancato rispetto del criterio del Patto di stabilità e di crescita da parte di quasi tutti gli Stati membri, la lentezza nel rispondere agli attacchi speculativi contro alcuni Paesi della zona euro e la difficoltà nel rilanciare crescita e occupazione hanno dimostrato l'insufficienza del modello proposto dalla Commissione e Pag. 14dalla task force, costringendo quindi gli Stati membri e le istituzioni europee alla stipulazione del Patto Europlus.
Queste continue integrazioni imposte dagli eventi si sono a loro volta dimostrate insufficienti e, dunque, richiederanno ulteriori modifiche e l'elaborazione, come lei ha ricordato, Ministro, di strumenti finanziari innovativi, che si spera possano persuadere anche Francia e Germania. Lei, Ministro, ieri in Commissione ha parlato di un tool kit, di differenti misure che devono necessariamente essere armonizzate in un quadro complessivo e anche alla luce del trattato. In questa prospettiva un'armonizzazione economica e finanziaria renderebbe gli strumenti messi a disposizione dall'Unione europea più pervasivi. Voglio rilevare che nei documenti analizzati la Commissione e le tre presidenze - dunque l'Unione europea - ritengono che molti degli sforzi dovranno essere forniti anche a livello nazionale e che richiederanno ulteriori riforme strutturali dei Paesi membri. Se analizziamo il contesto italiano non sì può che pensare a riforme strutturali di sistema, come la riforma del sistema pensionistico e dell'architettura istituzionale dello Stato, che ci permetterebbero di operare in modo equo, ridistribuendo pesi su cittadini e Stato.
Nella strategia europea in risposta alla crisi continua però a mancare, come è stato ricordato, una reale iniziativa europea per la crescita, dotata di un preciso piano di interventi coordinati e finanziati dall'Unione europea. Un primo passo in questa prospettiva dovrà essere costituito da un ulteriore rafforzamento, come abbiamo detto, della governance economica, in cui dovranno trovare spazio le vere proposte ...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ELENA CENTEMERO. ...avanzate in materia di debito pubblico dell'Unione europea che consentano di alleviare la situazione debitoria di molti Paesi e di finanziare progetti infrastrutturali e di interesse europeo.
In conclusione, l'Unione europea si trova a rispondere, accanto alle grandi sfide di natura economica e finanziaria, ad altre sfide globali, come quella del degrado ambientale, i cambiamenti climatici, la scarsità delle risorse, le migrazioni internazionali e la povertà. Abbiamo a disposizione la strategia UE 2020 che ha come obiettivo, non dimentichiamolo mai, una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Per garantire che l'Unione europea esca - e quindi abbia anche una exit strategy più forte - dalla crisi, incrementando la sua competitività a livello internazionale, gli Stati membri e le istituzioni europee dovranno attuare efficacemente la strategia UE 2020. Il successo economico non è ritenuto possibile senza aumentare gli investimenti in quelle infrastrutture materiali ma soprattutto immateriali come la ricerca, l'innovazione, l'istruzione e la formazione e in questa ottica si colloca il triangolo della conoscenza e la creazione di un autentico spazio europeo della ricerca (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, colleghi, purtroppo - premesso che nessuna discussione è mai inutile - stiamo esaminando atti che servono a ben poco, perché stiamo parlando di attività dell'Unione europea per l'anno 2011 quando siamo a settembre del medesimo anno. Allora chiedo - è un invito che rivolgo al nuovo Ministro - che ponga particolare attenzione al fatto di mettere l'Aula nella condizione di svolgere una discussione che abbia un senso logico, perché è evidente che, se il programma di lavoro della Commissione arriva alla Camera alla fine dell'anno e l'esame inizia addirittura a metà giugno dell'anno successivo, qualcosa non funziona.
Si può anche passare il tempo, ed è utile, a fare audizioni, ad aspettare i pareri delle Commissioni di settore, ma è evidente che una cosa del genere non abbia senso logico. Ed allora usiamo questo Pag. 15momento per dire: «non partiamo più con il piede sbagliato». Anche nella prima relazione programmatica siamo partiti con il piede sbagliato, perché è arrivata con forte ritardo e quindi diamo per scontato che ci sia questa situazione che va risolta ed affrontata.
Vorrei anche ricordare che la discussione che qui stiamo facendo non riguarda proposte del Governo italiano ma l'Europa, e Dio sa quanto bisogno di Europa abbia il nostro Paese.
Penso che, se c'è una possibilità perché il nostro Paese si salvi, questa possibilità, questa opportunità, si chiama Europa che vuol dire più Europa, più governance europea e meno Governo nazionale, meno Governi nazionali a dire il vero.
Leggevo che il Financial Times, anche se definisce la nostra manovra «annacquata» e priva di riforme, paradossalmente, sostiene che l'Italia è il cardine, in tutta questa debolezza, dell'Eurozona perché l'area dei 17 Paesi dell'euro può sopravvivere ad una crisi della Grecia, del Portogallo, dell'Irlanda e, forse, anche della Spagna, ma non dell'Italia. Infatti, l'Eurozona non ha le risorse né finanziarie né politiche per salvare Roma. Questo è il vero problema e, forse, sarebbe stato meglio se ci fosse stata più Europa nelle nostre leggi, se non fossimo così in ritardo con le nostre leggi, con l'adeguamento delle nostre leggi all'Europa.
Non voglio neanche omettere di ricordare la quantità di infrazioni che il nostro Paese ha per non essersi adeguato all'Europa e non voglio neanche parlare della storia dell'uso distorto dell'Europa che qualche Governo ha fatto quando, partendo da indicazioni europee, si è, invece, giunti, poi, ad approvare delle leggi che nulla c'entravano. Vorrei solo ricordare la questione del 20 per cento che nessun editore di mezzi radiotelevisivi può avere, norma che è servita semplicemente per favorire di fatto Mediaset. E, allora, se vi è un uso distorto della normativa europea, ossia se si utilizzano proposte, orientamenti o direttive dell'Unione europea per poi servirsene a scopi completamente diversi, non è così che si fa l'Europa. L'Europa si fa prendendo le norme. Penso solo alla questione fiscale che, per carità, ribadisco non trattarsi solo di un problema nazionale italiano, ma anche di un problema delle altre nazioni perché è un problema di governance e di ridurre il potere degli Stati nazionali ed aumentare il potere dell'Europa il che presuppone pure dei passaggi politici non facili. Penso che le distorsioni in Europa sono generate da sistemi fiscali così diversi.
Peraltro, colgo, all'interno della relazione che è stata prima riassunta dal presidente della Commissione, come anche la questione dell'armonizzazione fiscale sia considerata da parte nostra come un elemento particolarmente importante. Noi riteniamo che lo sia, però, quando si fanno questi adeguamenti, si deve guardare, non solo ad un'armonizzazione della tassazione, ma anche ad un'armonizzazione della lotta all'evasione fiscale ad esempio e, quindi, bisogna naturalmente fare dei ragionamenti a 360 gradi e utilizzare ed applicare le normative europee nei loro aspetti complessivi e non solo nelle questioni che risultano utili nel momento contingente per far passare questo o quel provvedimento.
La nuova procedura, peraltro, colma una lacuna che è sempre stata avvertita, sia in questa legislatura, che nelle precedenti, perché l'assenza di un approfondito dibattito in Parlamento sull'andamento generale del processo di integrazione e sul ruolo che il nostro Paese può svolgere - ammesso che abbia la capacità e la credibilità per svolgerne uno - è un fatto importante.
Quindi sono state anche rare e frammentarie le occasioni per discutere le priorità strategiche dello Stato nelle prospettive dell'Unione. Certo ribadisco che il ritardo rende assolutamente riduttivo il ruolo che noi stiamo svolgendo oggi con questa discussione. Infatti, per essere tempestivo ed efficace è necessario che il dibattito venga svolto in una fase precoce del ciclo decisionale dell'Unione europea, in cui non si siano già cristallizzate le scelte della Commissione - questo è evidente - e il dibattito precoce e l'intervento Pag. 16precoce sono una condizione necessaria affinché vi sia una visione italiana nei programmi europei e affinché quella visione possa contribuire al processo d'integrazione europea.
Comunque, in questo documento noi rileviamo alcuni aspetti critici: la relazione indica soltanto per alcuni settori gli orientamenti del Governo in merito alle specifiche iniziative, che in alcuni casi, per alcune politiche, si risolvono addirittura in una mera elencazione di attività, quindi senza una valutazione di merito sulla rilevanza che quelle attività hanno per il nostro Paese. Vi è anche, nelle varie sezioni, un approccio e un metodo diverso da settore a settore, quindi anche qui manca una metodologia unica, che rende difficile anche la lettura e l'analisi.
Un altro problema discende dal fatto che la relazione, anche quando indica gli orientamenti del Governo relativi alle singole politiche o iniziative, tiene conto solo in modo occasionale degli indirizzi già definiti in relazione a numerose questioni o progetti legislativi da parte delle Camere.
Guardando comunque al documento, visto che si fa una discussione unica delle tre Presidenze, ritroviamo elementi che sono particolarmente importanti: in particolare le disposizioni sulla protezione dei dati nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, la questione della lotta alla tratta degli esseri umani, il programma per la riduzione degli oneri amministrativi. Questo fatto è sintomatico - lo voglio dire qui per non ripeterlo dopo - perché subito dopo la fine di questo punto all'ordine del giorno andremo ad approvare una legge che aumenta gli oneri amministrativi a carico delle imprese in modo a mio parere assolutamente inutile. Ma come? Invece di andare nella prospettiva che dal 2007 chiede l'Unione europea, che è quella di ridurre gli oneri amministrativi a carico delle imprese, noi continuiamo a legiferare, aumentando questi oneri!
Voglio dunque ricordare l'obiettivo della riduzione degli oneri, ma vi è anche il tema della parità fra uomini e donne, della lotta alle forme di discriminazione, indipendentemente dalla religione, dalle condizioni personali, dalla disabilità, dall'età, dall'orientamento sessuale: abbiamo svariati elementi sui quali credo che sia importante che l'Unione europea proceda, ma ancora più importante è che il nostro Paese provveda ad adeguarsi rapidamente alle direttive dell'Unione europea, perché ribadisco che, nella condizione in cui ci troviamo noi oggi, è l'unica ancora di salvataggio che resta al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RAZZI. Signor Presidente e onorevoli colleghi, ci troviamo oggi a discutere di un argomento di importanza notevole, specie in questo momento, in cui una crisi di notevoli dimensioni attraversa tutto il nostro continente.
È la prima volta che questa Camera ha l'occasione di dibattere sugli indirizzi programmatici che il nostro Governo deve attuare in sede europea e di questo nuovo corso va dato atto, innanzitutto alla tenacia del presidente Pescante e di tutti i componenti della XIV Commissione, e poi alla sensibilità della Presidenza della Camera.
Innanzitutto vorrei fare un accorato appello affinché i nostri rappresentanti in seno ai gruppi di lavoro e ai comitati del Consiglio, partecipino in maniera sistematica ed efficace soprattutto alla preparazione e negoziazione delle iniziative legislative e non legislative. Solo in tal modo l'azione del Governo italiano, sulla scia degli indirizzi parlamentari, potrà avere la massima efficacia. Un altro appello vorrei farlo a tutti gli organismi istituzionali e non istituzionali, affinché in ambito europeo si abbia la capacità di fare sistema: l'unione fa la forza e spesso a noi manca questa unione. Non a caso, sulla delicata questione della cooperazione rafforzata sul brevetto unico europeo, il fatto di andare in ordine sparso, Governo e Parlamento da un lato, Confindustria e molti parlamentari europei dall'altro, ha fatto sì Pag. 17che il nostro Paese ne uscisse sconfitto e che la nostra lingua, la lingua di un Paese fondatore dell'Unione, venisse cancellata.
L'audizione del rappresentante permanente dell'Italia presso l'Unione europea ha sottolineato questa gravità e questa difficoltà che va a discapito dell'intera nazione. Stato, regioni, rappresentanti degli interessi economici hanno non solo il diritto ma anche il dovere di adottare un maggiore coordinamento al fine di evitare che, in presenza di elementi di forte scollatura tra gli stessi, gli interessi nazionali vengano accantonati per inutili guerre di cortile.
Spero che il nuovo Ministro, a cui va tutta la nostra stima, abbia il coraggio e la volontà di porre rimedio a questa grave carenza attraverso una capacità di dialogo e di mediazione che certamente non le mancano. I prossimi mesi saranno decisivi per il futuro dell'Unione; l'attuale crisi ha posto l'accento su alcune lacune a cui occorre porre rimedio. Dobbiamo fare in modo che l'Unione abbandoni il concetto troppo spesso soffocante del nazionalismo e delle esigenze dei singoli Stati, che troppo spesso fa sì che le risposte, che dovrebbero essere immediate, si trascinino nel tempo vanificando tutto il lavoro pregresso.
L'Italia in tutto ciò può giocare un ruolo chiave, come lo ebbe nella elaborazione del Trattato di Maastricht, ma è necessario che il nostro Paese, questo Governo e questo Parlamento formulino delle proposte concrete ed ambiziose, in raccordo con tutto gli attori e i protagonisti per l'avanzamento del processo di integrazione, anche attraverso la promozione di alleanze con alcuni partner europei, che possa portare celermente alla soluzione di problemi strategici quali il Governo dell'economia, la riforma del bilancio e la revisione di alcuni trattati volti a rafforzare l'istituzione comunitaria e a rilanciare quello spirito comunitario che negli anni, come alcuni referendum hanno evidenziato, è andato perso. Inoltre, appare necessario, anche in seguito alla recente questione che ha coinvolto l'area mediterranea, la costruzione di una politica estera e di difesa comune, come ha anche sottolineato, in un recente intervento, il Presidente della Repubblica.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi crediamo che sia arrivato il momento di scelte coraggiose in ambito comunitario; se l'Europa deve essere così come disegnata e sognata dai nostri padri fondatori è necessario dotarla di strutture salde e capaci di dare risposte certe ed immediate. In questo l'Italia deve essere in prima linea come lo fu tanti anni fa quando fu promotrice, grazie all'intuizione di Alcide De Gasperi, dell'integrazione del vecchio continente.
Ma per fare ciò, innanzitutto, dobbiamo essere uniti, parlare con una sola voce, ed evitare di guardare alla nostra piccola bottega, ma sognare qualcosa di grande. Siamo sicuri, noi di Popolo e Territorio, che il nostro Paese è in grado di dare impulso all'innovazione dell'Unione, per far sì che questo grande continente, quanto prima e in maniera unanime, abbandonate singole rendite di posizione, possa diventare la locomotiva di un nuovo mondo, più giusto, più solidale e più umano (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zampa. Ne ha facoltà.

SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, le giornate che stiamo vivendo sono, per il nostro Paese, ancora più drammatiche di quelle, già difficili, che l'Europa vive. I listini europei hanno bruciato ieri 250 miliardi di euro; la Borsa di Milano è tornata ai minimi del marzo 2009. Il numero uno designato della Banca centrale europea, l'italiano Mario Draghi, avverte l'Italia che il salvifico intervento sui BTP effettuato dall'Eurotower non va più dato per scontato. La Cancelliera Merkel, che aveva salutato con manifesta simpatia l'insediamento del Governo guidato da Berlusconi, ha messo all'indice l'Italia con la Grecia, per la scarsa credibilità degli interventi di risanamento sui suoi conti pubblici. Prendere dunque la Pag. 18parola oggi, in quest'Aula, per discutere la relazione sul programma di lavoro della Commissione per le politiche dell'Unione europea e sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, entrambe relative all'anno 2011 - giunto, come credo tutti siamo in grado di verificare, all'ultimo scorcio del suo terzo trimestre - impone una riflessione preliminare.
Può l'Italia continuare ad essere considerata il ventre molle dell'Europa? Chi è responsabile di questa situazione? Chi, nel recente passato, ha operato come fecero Prodi e Ciampi, perché il Paese ritrovasse il proprio orgoglio e riscoprisse la propria forza, tanto da entrare nell'euro quando nessuno, o quasi nessuno, in Europa, credeva che questo fosse possibile? O chi ha denigrato l'Europa e ha denigrato l'euro per miseri interessi di parte, per miopi e spaventate visioni del mondo e del futuro, e non avendo compreso il grande potenziale dell'Europa, non solo non ha saputo onorare i padri fondatori dell'Europa, gli italiani De Gasperi e Spinelli, non solo non ha voluto lavorare per renderla più forte, ma si è assunto la responsabilità di porre l'Italia tra i partner più deboli del sistema europeo?
La relazione che la maggioranza ha presentato, a firma del presidente Pescante, dovrebbe dunque iniziare con un giudizio nettamente e duramente negativo nei confronti del Governo che essa esprime, e che ha atteso otto mesi per nominare il nuovo Ministro per le politiche comunitarie, testimoniando con ciò, quando la crisi internazionale era già presente e ben viva, la sua scarsissima attenzione all'Europa. È vero, la speculazione internazionale, che si abbatte sulle Borse europee e deprime la nostra economia, è stata certamente facilitata da una debole politica europea. Se ci fosse stato un vero coordinamento europeo nell'affrontare la crisi, fin dal suo affacciarsi con «fragore greco», non saremmo in queste condizioni, perché la crisi mette in ginocchio i Paesi ponendoli sotto attacco uno per uno, nella loro debolezza di nazione singolarmente intesa. Ma la crisi ha trovato Paesi a spese dei quali è stato ben più facile ottenere guadagni derivanti da speculazioni. L'Italia, purtroppo, è tra questi.
Ciò avviene a causa della non credibilità di chi la governa. Questa maggioranza ha, dunque, due responsabilità: non avere fatto e non stare facendo in Europa la propria parte e non avere lavorato a casa propria, prendendo le decisioni adeguate in termini di risanamento dei bilanci come richiesto dall'Europa.
Occorre recuperare credibilità e fiducia, ci ha avvertito ancora una volta il Presidente Napoletano, che dell'Europa è stato sempre un fermo ed intelligente sostenitore e che in Europa porta ancora oggi, per fortuna, il volto migliore di questo Paese. Credibilità e fiducia possono e devono essere promosse da tutti coloro che hanno a cuore il destino del proprio Paese.
Anche in questa occasione - mi rivolgo a lei, signor Ministro, dandole anch'io il benvenuto - con questa relazione dobbiamo trasmettere al Governo la volontà e la determinazione di questo Parlamento a restituire all'Italia il suo ruolo in Europa, rendendola credibile agli occhi appunto di chi ci guarda dall'Europa. Vanno completate le regole economiche, che ancora non lo sono, l'integrazione a 27 va portata avanti senza ulteriori ritardi, parlando finalmente con una sola voce. L'Europa che vogliamo, che avremmo voluto, non esporrà i Paesi individualmente ai colpi degli speculatori, che aspettano solo una mossa falsa per muoversi.
Via libera dunque, agli Euro Union Bond, ma anche rigore e rispetto, dentro casa, degli impegni presi e assunti in sede europea. A questo riguardo voglio segnalare due paragrafi della relazione che giudico insufficienti: laddove si affronta il tema dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia non ci si può limitare ad affrontarlo in chiave di rafforzamento delle sole politiche di sicurezza interna all'Europa. L'immigrazione non è solo un problema di sicurezza. Occorre, dunque, prefigurare un piano d'azione interno sull'immigrazione legale, in coerenza con quanto contenuto nel programma della Commissione europea Pag. 19che contempla un piano complessivo ai fini dell'integrazione e dell'immigrazione legale, ma anche in coerenza con quanto altri Paesi europei stanno facendo. Anche su questo, invece, l'Italia governata da questa destra ha coltivato solo le paure, per restare al potere senza risolvere alcun problema. Noi siamo stati costretti ad assistere al voto, prima della pausa estiva, di un vergognoso provvedimento che prolunga la detenzione nei CIE, trasformati in prigioni per donne e uomini condannati per ciò che sono e non per ciò che hanno fatto.
Nella relazione ancora è assente un riferimento esplicito alla necessità di sollecitare l'approvazione di un sistema di diritto di asilo europeo, con la creazione di un'area comune di protezione e solidarietà basata su una condivisa procedura per la richiesta e l'ottenimento dell'asilo, in linea con i valori fondamentali e gli obblighi internazionali dell'Europa. Un obiettivo ben lontano, se siamo costretti a prendere atto che neppure per i bambini e i minorenni sbarcati a Lampedusa nei mesi scorsi e tutelati dalla Convenzione di New York si è stati capaci di proporre qualcosa di diverso da una prigione. Come pensate che possa risultare l'immagine di un Paese agli occhi dell'Europa, del quale si è costretti a leggere notizie come quelle riportate da l'Espresso, che denuncia la prigione dei bambini a Lampedusa?
Noi riteniamo che il mancato rispetto della legalità e dei diritti fondamentali degli immigrati, ovviamente con particolare riguardo alla condizione dei minori e delle donne, ci ponga fuori dall'Europa. Infine, un'ultima grave lacuna nella relazione: la lotta alle discriminazioni di genere e alle pari opportunità. Anche qui faccio appello a lei, signor Ministro, perché davvero senta come un suo obiettivo e un suo impegno quello di rispettare la strategia «Europa 2020» che fissa un tasso di occupazione femminile al 75 per cento. L'Italia, dopo Malta, si fregia in Europa del tasso di occupazione delle donne più basso.

È dimostrato invece che con maggiore impiego dei talenti femminili la produttività e la crescita aumenterebbero. Noi, invece, che facciamo? Praticamente nulla, addirittura lo dimentichiamo nella nostra Relazione.
Quanto alle discriminazioni, a misurare la nostra distanza dall'Europa basta ricordare che quest'Aula ha respinto qualche tempo fa le norme antiomofobia. È grave che anche questo non sia previsto nella Relazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Repliche del relatore e del Governo - Doc. LXXXVII-bis, n. 1-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, presidente della XIV Commissione, onorevole Pescante. Prendo atto che vi rinuncia.
Ha facoltà di replicare il Ministro per le politiche europee, onorevole Anna Maria Bernini Bovicelli.

ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI, Ministro per le politiche europee. Signor Presidente, quanto tempo ho a disposizione?

PRESIDENTE. I tempi sono esauriti, ma le do la parola lo stesso brevemente.

ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI, Ministro per le politiche europee. Signor Presidente, colleghi, solo qualche minuto di replica. Ringrazio l'onorevole Maggioni che ha fatto un'analisi dei punti più significativi, ricomprendendovi anche alcuni che io avevo non già dimenticato, ma riservato ad un dibattito successivo.
Unirei un'osservazione che condivido, degli onorevoli Centemero e Borghesi. È vero, il numero zero è stato presentato all'attenzione del Parlamento in maniera non sufficientemente tempestiva. È altrettanto vero che, lasciando da parte una Pag. 20necessaria attività di coordinamento che comunque, come tutti loro possono intendere, pertiene alle diverse amministrazioni, il Dipartimento per le politiche europee non è altro che l'elemento di collazione, l'elemento unitario di tutti i contributi inerenti alle politiche europee che vengono dalle diverse amministrazioni. Non essendosi ancora realizzato, così come si realizzerà - e unisco un altro punto sollevato dall'onorevole Centemero - nel momento in cui sarà emendata la legge sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'UE, legge n. 11 del 2005, all'interno di ciascuna amministrazione uno specifico dipartimento, definito Nucleo europeo, che sia in grado di produrre materiale omogeneo sotto il profilo stilistico e contenutistico da fare confluire sul Dipartimento delle politiche europee, ecco - lo ribadisco - condivido l'osservazione, ne prendo atto, questo ritardo sarà emendato. Teniamo conto che il numero zero ha risentito fortemente della difficoltà politica, soprattutto sotto il profilo politico, del Dipartimento di velocizzare i tempi e l'erogazione delle amministrazioni per quanto riguarda il materiale comunitario.
Ancora, e molto velocemente, osservo che giustamente l'onorevole Zampa si riferiva alla credibilità e alla fiducia necessaria nel momento in cui ci si avvicina alle istituzioni comunitarie con l'approccio e l'intenzione di voler essere soggetti decisionali, decidenti e incisivi sulle decisioni finali. In questo senso certamente è anche il tema degli Euro Union Bond, che è uno dei temi che sono stati portati all'attenzione del Parlamento, a cui prima facevo riferimento, in quella seduta straordinaria che avrà un prosieguo anche sull'apertura di tavoli da parte dei singoli Parlamenti nazionali. Essi appartengono proprio a quella categoria di strumenti finanziari innovativi che dovranno essere valutati per stadi progressivi, anche di consenso tra i diversi Stati membri, così come si faceva riferimento nella Relazione.
Su altri punti mi riserverei di replicare nel prosieguo del dibattito, proprio perché il tempo, come giustamente mi ricordava il Presidente, è limitato, anche se sono stati tanti. Accolgo la sollecitazione dell'onorevole Zampa anche in relazione al tema della non discriminazione e della valorizzazione delle pari opportunità, che peraltro mi pertiene in termini di coordinamento di carattere generale, non trattandosi di stretta competenza inerente al mio Dipartimento, ma ne faccio comunque una questione di attenzione, di «bollinatura», di conformità comunitaria sui singoli provvedimenti che mi riguardano (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

(Annunzio di risoluzioni - Doc. LXXXVII-bis, n. 1-A)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Pescante ed altri n. 6-00085, Farina Coscioni ed altri n. 6-00086, Maurizio Turco ed altri n. 6-00087, Borghesi ed altri n. 6-00088 e Gozi ed altri n. 6-00089.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Moffa e Tortoli; Farina Coscioni ed altri: Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di sicurezza sul lavoro per la bonifica degli ordigni bellici (A.C. 3222-3481-A) (ore 17,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Moffa e Tortoli; Farina Coscioni ed altri: Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di sicurezza sul lavoro per la bonifica degli ordigni bellici.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3222-3481-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Pag. 21
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni Lavoro (XI) e Affari sociali (XII) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la XI Commissione, onorevole Fedriga, ha facoltà di svolgere la relazione.

MASSIMILIANO FEDRIGA, Relatore per la XI Commissione. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, si avvia oggi in Assemblea la discussione di un provvedimento per il quale abbiamo condiviso insieme a tutti i colleghi della Commissione Lavoro e della Commissione Affari sociali e, in particolar modo, all'onorevole Barani, relatore per la XII Commissione, con uno spirito di piena collaborazione, un percorso istruttorio lungo approfondito nelle predette Commissioni riunite, che ci ha portato a proporre all'Assemblea l'approvazione del testo unificato delle proposte di legge, Atti Camera n. 3222 e n. 3481, oggi al nostro esame.
Il provvedimento, che ha raccolto un consenso sostanzialmente unanime dei gruppi nelle Commissioni riunite, reca alcune modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ossia al testo unico sulla sicurezza e salute dei lavoratori, al fine di prevenire i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili interessati da attività di scavo.
Secondo quanto emerso nel corso dell'esame in sede referente, tale esigenza trae origine dal fatto che la normativa vigente non contempla specificamente una valutazione di rischio nelle aree oggetto di attività di scavo, anche se l'onere derivante dalla bonifica degli ordigni bellici risultava già previsto nella realizzazione delle opere pubbliche.
In sostanza, la necessità del provvedimento in esame discende dall'esigenza di inquadrare questi interventi in quelli volti ad assicurare una sempre maggiore sicurezza sui cantieri, facendoli rientrare in quelli previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008, stante anche il fenomeno rappresentato - come dice la relazione di accompagnamento ad una delle due proposte di legge abbinate - da «recenti affidamenti da parte di importanti imprese di costruzione della bonifica da ordigni bellici, relativamente alla realizzazione di rilevanti opere pubbliche nel cui ambito gli importi di aggiudicazione sembrano assolutamente inadeguati, in quanto non raggiungono neanche un sesto dei costi stimati». Inoltre, recenti interventi normativi hanno determinato la necessità di apportare chiarezza interpretativa per coloro che operano e lavorano in questi delicati ambiti.
Come detto in precedenza, il testo che le Commissioni sottopongono all'Assemblea è frutto di un lungo lavoro istruttorio, che è iniziato l'11 maggio 2010, con l'avvio dell'esame della proposta di legge n. 3222, a prima firma del presidente Moffa. L'esame delle Commissioni è, quindi, proseguito con l'abbinamento, nel giugno 2010, della proposta di legge n. 3481, di iniziativa della collega Farina Coscioni, e si è concluso lo scorso 19 maggio, a circa un anno di distanza dal suo inizio, con il conferimento del mandato ai relatori a riferire sul testo unificato delle due proposte di legge citate.
Il percorso di esame del provvedimento, peraltro, è stato anche accompagnato da un'intensa e interessante attività conoscitiva, che ha visto tra luglio e ottobre dello scorso anno lo svolgimento di un ciclo di audizioni informali da parte delle Commissioni riunite XI e XII, con la partecipazione delle associazione di imprese operanti nel settore, di rappresentanti di organizzazioni sindacali, di esponenti delle Forze di polizia e delle Forze armate, di rappresentanti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché di esperti e tecnici qualificati nella materia.
Il testo unificato che viene oggi esposto all'Assemblea, inoltre, ha acquisito gli orientamenti positivi delle Commissioni competenti in sede consultiva: le Commissioni II, X e XIV hanno espresso parere Pag. 22favorevole. Le Commissioni IV e VIII hanno espresso parere favorevole con osservazioni e la I Commissione ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni. Al contempo, la V Commissione ha espresso un parere favorevole con talune condizioni, volte a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione.
Pressoché tutti i rilievi formulati dalle Commissioni in sede consultiva sono stati recepiti in appositi emendamenti, presentati dai relatori prima della deliberazione del mandato a riferire all'Assemblea. Inoltre, vorrei sottolineare che c'è la massima disponibilità da parte dei relatori a valutare eventuali emendamenti predisposti per l'Assemblea nel caso in cui fosse possibile migliorare ed integrare il testo.
Adesso, signor Presidente, se mi permette, passerei la parola al collega Barani al fine di illustrare in modo dettagliato i contenuti del testo.

PRESIDENTE. Il relatore per la Commissione Affari sociali, onorevole Barani, ha facoltà di svolgere la relazione.

LUCIO BARANI, Relatore per la XII Commissione. Signor Presidente, ovviamente ringrazio l'onorevole Fedriga che, in un certo senso, è il vero relatore di questa proposta di legge, anche perché la XII Commissione ha competenze solo marginali e, quindi, il sottoscritto è il relatore «cenerentola». Tuttavia, sia la proposta di legge a prima firma Farina Coscioni sia la proposta di legge presentata dai colleghi Moffa e Tortoli hanno trovato, come ha detto poco fa l'onorevole Fedriga, ampio dibattito, con le audizioni, con diverse sedute delle Commissioni e con i pareri. Pertanto, passando al contenuto del testo unificato, faccio presente che esso, novellando il decreto legislativo n. 81 del 2008, modifica anzitutto l'articolo 28 di detto decreto, attinente all'oggetto della valutazione dei rischi. Si prevede, infatti, che le aziende debbano tener conto, nell'ambito della valutazione dei rischi, anche dei rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, interessati da attività di scavo. Inoltre, si aggiunge un comma 2-bis all'articolo 91 del medesimo decreto legislativo n. 81, concernente gli obblighi del coordinatore per la progettazione, demandando allo stesso la valutazione del rischio della presenza di ordigni bellici inesplosi rinvenibili durante le attività di scavo.
Secondo il testo licenziato per l'Aula, quando il coordinatore per la progettazione intenda procedere alla bonifica preventiva del sito nel quale è collocato il cantiere, il committente provvede, quindi, a incaricare un'impresa specializzata, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 104, comma 4-bis, come introdotto dal testo unificato in esame. Secondo tale comma 4-bis, l'impresa deve essere in possesso di adeguata capacità tecnico-economica, impiegare idonee attrezzature e personale dotato di brevetti per l'espletamento delle attività relative alla bonifica sistematica, nonché risultare iscritta a un apposito albo istituito presso il Ministero della difesa.
Con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti il Ministro dell'interno, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, è, quindi, istituito il predetto albo e, sulla base di una proposta formulata da un'apposita commissione di cinque esperti, designati dai medesimi Ministri della difesa, del lavoro e delle politiche sociali, dell'interno, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, sono definiti i criteri per la verifica dell'idoneità delle imprese ai fini dell'iscrizione al medesimo albo, nonché per la valutazione biennale di tale idoneità.
Infine, si rileva che il provvedimento in esame, modificando, rispettivamente, gli allegati XI e XV del decreto legislativo n. 81, ricomprende i lavori che espongono i lavoratori al rischio di esplosione derivante dall'innesco accidentale di un ordigno bellico inesploso rinvenuto durante le attività di scavo nell'elenco dei lavori comportanti rischi particolari per la sicurezza Pag. 23e la salute dei lavoratori. Si introduce, inoltre, il rischio di esplosione derivante dall'innesco accidentale di un ordigno bellico inesploso rinvenuto durante le attività di scavo tra l'analisi dei rischi cui è obbligato il coordinatore per la progettazione in riferimento all'area e all'organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze.
Vorrei ancora segnalare, in conclusione, che, accogliendo un'apposita indicazione contenuta nel parere della Commissione Affari costituzionali, si è anche stabilito di prevedere, con l'introduzione di un apposito comma 2, che le nuove disposizioni abbiano efficacia a decorrere dalla data di istituzione dell'albo di cui all'articolo 104, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 81, come introdotto dalla proposta normativa in esame.
In conclusione, non mi resta che ringraziare i componenti delle Commissioni riunite per il lavoro svolto e auspicare la rapida approvazione di questo provvedimento da parte della Camera dei deputati, restando inteso che i relatori si riservano, come di consueto, di valutare eventuali emendamenti, come diceva già il collega Fedriga, che dovessero apportare ulteriori miglioramenti al testo, soprattutto per quanto concerne la disciplina della fase transitoria di applicazione della nuova normativa nella quale sarà, forse, necessario prevedere un meccanismo di continuità con il sistema oggi vigente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, la sicurezza dei lavoratori è una priorità di questa amministrazione e di questo Governo per cui, così come i relatori hanno illustrato precedentemente, le modifiche al testo unico sulla sicurezza dei lavoratori si rendono indispensabili al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori.
Fortunatamente, il nostro Paese non è terreno di battaglia da più di sei decenni, ma le tracce delle due guerre mondiali non sono ancora del tutto scomparse e possono rappresentare in alcune aree un rischio piuttosto elevato. Basti pensare che alcune realizzazioni di opere pubbliche, come ad esempio le tratte riguardanti l'alta velocità ferroviaria, hanno evidenziato circa diecimila presenze di ordigni bellici, quindi ancora il problema nel nostro Paese esiste. Quindi, il testo alla nostra attenzione è stato pensato proprio per porre un accenno di maggiore attenzione sul pericolo per i lavoratori rappresentato dall'eventualità del rinvenimento e dall'attivazione accidentale di ordigni bellici inesplosi nel corso di attività di scavo.
La proposta di legge in discussione propone quindi la modifica del testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, senza imporre maggiori oneri alle imprese, ma semplicemente specificando in modo espresso un obbligo a carico del datore di lavoro e del coordinatore per la progettazione di valutare attentamente la presenza o meno di questo rischio in ogni caso in cui i luoghi di lavoro siano cantieri temporanei o mobili interessati da attività di scavo. La normativa vigente infatti non contempla specificatamente una valutazione di rischio nelle aree oggetto di attività di scavo. Quindi, andiamo a colmare una lacuna legislativa.
Per l'eventualità che il coordinatore per la progettazione giudichi opportuna la bonifica preventiva del terreno la proposta di legge introduce altresì la previsione di specifici criteri di idoneità in capo alle imprese incaricate di tale attività onde evitare che questi lavori altamente rischiosi possano essere eseguiti senza le migliori precauzioni o da imprese non qualificate.
Le attività di bonifica potranno quindi essere eseguite solo da imprese in possesso di adeguata capacità tecnico-economica, che impieghino idonea attrezzatura e personale dotato di brevetti per l'espletamento delle attività relative alla bonifica sistematica e che risultino iscritte nell'apposito albo che sarà istituito con un successivo Pag. 24decreto entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione presso il Ministro della difesa.
Per un maggior grado di sicurezza inoltre l'attività di bonifica preventiva e sistematica sarà monitorata dall'autorità militare competente per il territorio, in quanto dovrà essere svolta sulla base di un parere vincolante rilasciato dall'autorità in merito alle specifiche regole tecniche da osservare in considerazione della collocazione geografica e della tipologia dei terreni interessati. Ulteriori misure di sorveglianza vengono poste in capo ai competenti organismi dei Ministeri della difesa, del lavoro e delle politiche sociali e della salute.
Faccio presente - in questo momento è altresì importante - il costo zero di questa modifica legislativa (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tortoli. Ne ha facoltà.

ROBERTO TORTOLI. Signor Presidente, un po' di cronistoria. La bonifica degli ordigni bellici è un'attività nata all'indomani del secondo conflitto mondiale e venne normata sin dall'immediato dopoguerra prevedendo che ditte private munite di personale brevettato dal Ministero della difesa e iscritte all'albo fornitori dello stesso Ministero potessero effettuare questa delicata attività consistente nel ritrovamento degli ordigni sepolti attraverso un approccio sistematico e secondo una metodologia dettagliatamente specificata nel disciplinare a cura sempre dello stesso Ministero.
La bonifica, quindi, a cura delle ditte specializzate veniva richiesta da soggetti interessati pubblici e privati per l'utilizzo di siti destinati alla realizzazione di edifici, strade, ferrovie, metanodotti, acquedotti e opere similari.
L'autorità militare attraverso il Genio provvede, su richiesta del soggetto interessato, all'emanazione di prescrizioni per la corretta esecuzione della bonifica. Successivamente, una volta eseguiti i lavori, il Genio militare competente per territorio effettua una verifica della corretta applicazione delle prescrizioni, rilasciando un verbale di effettuata verifica; sulla base di tale attestazione vengono liberate e rese disponibili le aree da utilizzare per l'esecuzione delle opere primarie.
È bene sottolineare che gli ordigni ritrovati attraverso la bonifica sistematica delle aree oggetto di interventi sono ancora oggi molto numerosi, nonostante ci si riferisca ad una minima parte del territorio nazionale, quello appunto relativo alla realizzazione di opere infrastrutturali: i dati ufficiali del Genio militare riportano circa centomila ritrovamenti per anno. Nell'ambito della realizzazione della rete ad alta velocità - come già accennato dal sottosegretario - si stima a fine lavori il ritrovamento di circa 20 mila ordigni. Questi ordigni inoltre, secondo i dati ufficiali, che si trovano sepolti da almeno 65 anni possono essere deteriorati in maniera tale da disperdere sostanze chimiche nel sottosuolo.
La bonifica degli ordigni bellici all'indomani della cessazione della seconda guerra mondiale era vista soprattutto a salvaguardia delle opere da realizzare. Lo spirito della proposta di legge oggi in esame, oltre che alla salvaguardia delle opere, è rivolto in particolare e parallelamente alla sicurezza delle maestranze soprattutto durante le operazioni di scavo, tant'è vero che apporta modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 sulla sicurezza sul lavoro.
Nell'audizione in sede di Commissioni riunite XI e XII, le organizzazioni sindacali hanno unanimemente espresso il loro parere favorevole verso questa proposta di legge che ha ottenuto il via libera da tutte le forze politiche. La necessità di approvare al più presto la proposta di legge in esame nasce anche da altri aspetti; l'albo al quale venivano iscritte le ditte da abilitare per l'esecuzione della bonifica, albo fornitori della Difesa (AFA), abolito nel 2002, garantiva il possesso di requisiti formali e oggettivi da parte delle ditte iscritte. Da questa abolizione in poi il settore si è arricchito di numerose nuove Pag. 25imprese che, senza dover dimostrare requisiti di competenza e potenzialità, hanno acquisito commesse sempre più numerose e consistenti. Tutto ciò avrebbe potuto costituire un sano principio di mercato se non fosse insorta una concorrenza sleale anche da parte delle ditte cosiddette storiche basata unicamente sull'abbassamento dei prezzi che in moltissimi casi non compensano i costi elementari della manodopera a scapito naturalmente della qualità delle prestazioni e soprattutto della sicurezza del personale impiegato.
Sempre più numerose e fantasiose sono le soluzione per dribblare i sani e corretti principi di sicurezza; recentemente è venuto addirittura alla luce il caso di una ditta che, per anni, falsificando le firme apposte da funzionari ed ufficiali dell'Esercito, rilasciava verbali di verifica di prestazioni probabilmente mai eseguite, eludendo con ciò anche ogni possibile controllo. Ancora più eclatante è la constatazione che, emersi tali documenti e portati alla conoscenza sia delle autorità militari centrali che dell'autorità giudiziaria, la stessa ditta continui ad operare. La situazione è stata ulteriormente complicata dall'abrogazione del decreto legislativo luogotenenziale 12 aprile 1946, n. 320 nell'ambito dello snellimento legislativo, lasciando il settore in uno stato di anarchia e ponendo in grave difficoltà i militari addetti ai controlli.
La proposta di legge in esame stabilisce in maniera inequivocabile che la bonifica degli ordigni bellici è sì finalizzata alla sicurezza delle opere ma prima ancora alla sicurezza delle maestranze e che la responsabilità sulla sua esecuzione è anche in capo al coordinatore della sicurezza. Il ripristino dell'albo comporta l'accertamento dei requisiti oggettivi e formali che una ditta deve possedere per operare in un settore tanto delicato.
Inoltre, la cancellazione o la sospensione dall'albo rappresenta un forte deterrente per chi ha intenzione di non operare correttamente. Tra l'altro, va considerato che le operazioni di bonifica comportano ovviamente la conoscenza dei siti ove sono presenti ordigni bellici contenenti esplosivo ancora utilizzabile. L'appartenenza ad un albo è, anche per questo delicato aspetto spesso sottostimato, assolutamente essenziale per garantire l'affidabilità della ditta. È il caso di sottolineare in conclusione che le risorse per tali attività sono sempre presenti nei quadri economici per la realizzazione di opere pubbliche e quindi non c'è alcun aggravio di costi per lo Stato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maurizio Turco. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, come lei insegna, tutti i salmi finiscono in gloria, però la forza è nel salmo e non solamente nel gloria finale. Dico questo perché forse ci sono stati alcuni passaggi riassunti troppo velocemente sia dal Governo sia dai relatori. Anche nella parte attraverso la quale si cerca di configurare l'importanza di questo provvedimento, credo vi siano alcune mancanze in termini di ricostruzione. È stato già detto che le attività belliche del primo e del secondo conflitto mondiale hanno disseminato il territorio nazionale di ordigni bellici inesplosi e che dai dati forniti dal Ministero della difesa risultano ancora oggi circa centomila ritrovamenti l'anno. Tra questi ritrovamenti, vi sono numerose e pericolose bombe di aereo. È vero che alla fine della seconda guerra mondiale, con il decreto luogotenenziale n. 320 del 1946, venne normata l'attività di bonifica da ordigni bellici da affidare a ditte private dotate di requisiti specifici, quale ad esempio - sarebbe di attualità, come giustamente ricordava il collega Tortoli - personale specializzato attraverso corsi dello stesso Ministero della difesa. Questa attività preventiva, destinata alla realizzazione di nuove opere, era inquadrata come tutela delle opere da realizzare più che come azione preventiva a tutela innanzitutto della sicurezza delle maestranze impegnate nelle opere di scavo. L'attualità del problema, oltre che essere ufficialmente riconosciuta sulla base dei dati ufficiali del Ministero, è confermata proprio dal ritrovamento Pag. 26dei numerosi ordigni. Sono ritrovamenti peraltro accidentali, che in alcuni casi purtroppo si concludono con l'esplosione non controllata dell'ordigno stesso. In particolare nelle regioni del Nord-Est, fortemente interessate dall'attività della prima guerra mondiale, permane l'insidia di questi ordigni a caricamento speciale o chimico con la presenza di micidiali gas asfissianti o nervini. Penso che ricordare quello che sta accadendo ed è accaduto negli ultimi tempi ci aiuti a comprendere ed a far comprendere l'importanza di questo provvedimento e, quindi, tutto ciò che sino ad oggi non solo non è stato fatto, ma che in alcuni casi ha completamente cancellato quanto bene o male funzionava. Un giorno forse capiremo quanto costerà ciò che è stato fatto nel corso di questi ultimi anni - sappiamo già chi lo pagherà: lo pagheremo tutti -, ma soprattutto capiremo nell'interesse di chi. Solo a titolo di esempio, in quanto il numero dei casi significativi da considerare impegnerebbe probabilmente tutto il tempo che abbiamo a disposizione per il nostro dibattito, vorrei ricordare per esempio: l'esplosione accidentale di un residuato bellico a San Donà di Piave il 17 luglio del 2004, che ha ucciso una persona; l'esplosione di un ordigno nelle mani di un ragazzo che resta ucciso, avvenuto a Reggio Calabria nel 2006; il ritrovamento accidentale, sempre nel 2006, durante scavi archeologici a Pompei; l'esplosione accidentale di una bomba d'aereo da cinquecento libbre, provocata da perforazione di sondaggio nel 2007.
Vi è stato l'ordigno della prima guerra mondiale ritrovato il 5 ottobre 2008, che si era incastrato negli ingranaggi di un mezzo agricolo e che, esplodendo a Crocetta del Montello, in provincia di Treviso, ha ammazzato due uomini. Ancora, vi sono poi tutti gli ordigni bellici ritrovati casualmente nel corso del 2010.
È da ricordare un caso eclatante e molto particolare, quello accaduto nel centro di via Alberone a Nettuno, in provincia di Roma, dove una bomba di mortaio posta al centro della strada è stata centrata di netto da un automobilista in transito; per fortuna, la granata non è esplosa. Ogni anno apprendiamo che un tratto di strada o di ferrovia viene chiuso al traffico per consentire la neutralizzazione di ordigni che occasionalmente vengono alla luce, con disagi sia per i servizi sia per la popolazione ricadente nell'area a rischio.
Nell'ambito della realizzazione della rete ferroviaria ad alta velocità si stimano in circa ventimila gli ordigni bellici ritrovati, tenuto conto che la tratta Roma-Napoli attraversa l'area di Cassino e che la tratta Bologna-Firenze impegna le aree della Linea Sigfrido sull'Appennino tosco-emiliano.
Ma sono a rischio le aree ferroviarie, industriali, aeroportuali, portuali e stradali dell'epoca della seconda guerra mondiale, in quanto rappresentavano allora obiettivi strategici. Dobbiamo anche dire che numerosi sono i ritrovamenti in aree non sensibili dovuti al rilascio di bombe delle quali gli aerei si liberavano, letteralmente dove capitava, dopo avere lasciato la zona delle operazioni.
Lo scopo delle proposte di legge unificate degli onorevoli Moffa e Farina Coscioni è quello di considerare la bonifica preventiva e sistematica un'attività volta a garantire, prima di ogni altra cosa, la sicurezza degli operai nei cantieri, in particolare dove sono previste attività di scavo manuale e con mezzi meccanici. La sicurezza delle opere, quindi, viene automaticamente assicurata e l'onere per l'esecuzione della bonifica che ne deriva è sempre previsto nei quadri economici dei progetti; quindi, non è da considerare un costo aggiuntivo.
A questo proposito, voglio dare atto e ringraziare in particolare il relatore Fedriga per il paziente ed efficace lavoro di sintesi che ha portato al testo unificato. Crediamo che quanto sta accadendo - perché ancora questa proposta di legge deve essere adottata - debba essere richiamato. Il complessivo riordino dell'ordinamento militare, avvenuto con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha prodotto, tra gli altri risultati, l'abrogazione Pag. 27del citato decreto luogotenenziale del 1946, con carenza effettiva di normativa tecnica riferibile a questa attività, rendendo, non solo di fatto, ma anche di diritto, nulli tutti gli atti, le direttive tecniche e le prescrizioni e procedure operative che disciplinavano la materia «bonifica ordigni residuati bellici». Quindi, dal 15 marzo 2010 ad oggi non sappiamo - nemmeno il Governo lo sa - cosa è accaduto. Lo presumiamo con ragionevole certezza, ma vi è un buco nero di cui, prima o poi, pagheremo i costi.
Nell'attuale situazione di incertezza normativa causata da questo Governo, nonostante le rassicuranti risposte fornite dal Ministro della difesa a diversi atti di sindacato ispettivo, che comprendono anche il fatto citato dal collega Tortoli di una ditta che è arrivata a fare firme false (ne abbiamo fatto oggetto di un'interrogazione parlamentare e non di polemica politica), proprio dalle risposte che abbiamo avuto dal Ministero della difesa si conferma l'esistenza di un pericoloso vuoto normativo, che, di fatto, si è venuto a creare con la soppressione del decreto luogotenenziale.
E, nonostante il Ministero abbia riconosciuto la necessità di introdurre una disciplina aggiornata e chiarificatrice sulle bonifiche da ordigni esplosivi e residuati bellici, affermando, altresì, la piena validità intrinseca delle direttive amministrative e delle istruzioni tecniche impartite dalla Direzione generale dei lavori del demanio e dai competenti uffici della Difesa, a noi, dalle imprese e dalle associazioni di settore, sono pervenute numerose segnalazioni di incongruità e di presunti illeciti dovuti proprio alla mancanza di controlli e di responsabilità definiti dalla normativa. Vi è, quindi, una responsabilità cogente, precisa, non indefinita, di quello che in questo anno e mezzo è accaduto e sta accadendo.
Vorremmo porre alcuni quesiti di merito nell'ambito di questo dibattito.
Eseguita preliminarmente la valutazione del rischio bellico residuale, che tipo di attività dobbiamo prevedere, a titolo di procedura operativa di messa in sicurezza, per eliminare il rischio bellico residuale nelle aree in fase di progettazione, vista l'eliminazione della precedente procedura? Forse il Governo, su questo punto, non avrebbe qualcosa da dire, ma deve dire qualcosa.
Ancora, a chi spetta la responsabilità in caso di mancata messa in sicurezza di un sito in attesa di una procedura operativa sostitutiva, visto che l'abrogazione della normativa di riferimento, associata all'eliminazione dell'ex albo AFA del 2003, rendono, di fatto e di diritto, non responsabili i dirigenti tecnici delle imprese che esercitano le attività di bonifica? Forse il Ministero della difesa non dovrebbe, ma deve dare una risposta perché inevitabilmente, e direi anche inequivocabilmente, quella responsabilità è comunque di chi ha voluto cancellare la precedente normativa senza prevedere nulla in sostituzione.
A chi spetta la responsabilità nel caso di rinvenimento di residuati bellici inesplosi o di esplosione di ordigno provocante danni materiali o personali in un'area in cui era ampiamente noto e documentato il rischio bellico residuale?
A queste domande in parte, ma puntualmente, rispondono il lavoro del collega Fedriga e la proposta di legge in discussione.
Oltre agli esempi citati, ci sembra solo il caso di ricordare che in Italia l'attività di bonifica degli ordigni bellici ha permesso, solo nel triennio 2007-2009, di rinvenire sull'intero territorio nazionale, come da documentazione del Ministero della difesa, ben 235.830 ordigni e 534 bombe d'aereo. Tuttavia, rimane ancora indefinito il numero dei ferimenti e la causa del ritrovamento di questi residuati bellici. Il Ministero della difesa dovrebbe avere questi dati. Quali sono le ragioni per le quali non vuole renderli pubblici? Questi numeri non sono conosciuti, nemmeno in modo impreciso o approssimativo.
Credo che, forse, qualcuno in questo Paese pensa al recupero bellico come ad un fenomeno di costume, ma in realtà non è così. In Italia, e non solo, la bonifica bellica deve seguire ordinamenti ben precisi, principalmente rivolti nei confronti Pag. 28della sicurezza dei cittadini, dell'eventuale committente e, non per ultima, di quella di chi opera. La proposta di legge in esame, a questo proposito, introduce specificamente la presenza di ordigni bellici inesplosi tra gli altri rischi da valutare e pone la responsabilità di tale attività anche in capo al coordinatore per la sicurezza, direi giustamente, per fortuna, purtroppo, in ritardo.
In sede di audizioni nelle Commissioni riunite XI e XII, le organizzazioni sindacali e gli esperti delle Forze armate e di polizia hanno espresso concordemente un parere favorevole e un forte interesse per la soluzione delle problematiche, attraverso e a partire dall'approvazione del provvedimento che stiamo qui discutendo.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Maurizio Turco.

MAURIZIO TURCO. Riteniamo - e concludo signor Presidente - assolutamente essenziale che con questo progetto di legge si istituisca un albo specifico per le imprese da abilitare a questa delicata attività, sulla base di requisiti oggettivi e dimostrati, in analogia con quanto avviene in altri settori, come per esempio l'albo dei gestori ambientali. Al riguardo c'è da dire che l'albo è esistito fino al 2002. In quanto era un albo fornitori della difesa, non specificamente riguardante l'attività di bonifica, comunque assicurava il possesso dei requisiti da parte delle imprese iscritte e operanti nella bonifica bellica. Dal 2002 niente più. Ciascuno si è arrangiato come meglio ha potuto con sistemi a dir poco discutibili e sicuramente dagli effetti molto pericolosi.
Quindi, l'adozione di questo albo rappresenta uno strumento di garanzia per le maestranze impiegate direttamente nella bonifica e per quelle impegnate nella realizzazione delle opere, ma anche per i committenti a monte e per la comunità in genere. Inoltre per l'autorità militare preposta diventerebbero più efficaci i controlli sulla base della certezza dei requisiti. Mi limito quindi e concludo, denunciando anche il fatto che l'autorità militare, proposta dallo stesso Ministero della difesa, non è stata messa in condizione di realizzare gli efficaci e necessari controlli (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, l'intervento del collega Maurizio Turco è esplicativo del perché il nostro gruppo esprime delle forti perplessità su questo progetto di legge.
Il fatto che vi sia un vuoto normativo e che questo progetto di legge - che si occupa del tema - non vada a riempire tale vuoto normativo è la dimostrazione che non si risolve il problema che si vorrebbe risolvere con il progetto di legge. Il collega parlava prima di imprese truffaldine. Ebbene, non è che, perché ci sono delle imprese truffaldine, si stabilisce un nuovo registro o un nuovo albo delle imprese. Non è che, perché ci sono tante imprese che con i caroselli hanno truffato sull'IVA, noi stabiliamo che dobbiamo fare un albo per le imprese per verificare se possono o non possono operare. Attenzione, qui c'è una maggioranza che continua a parlare di delegificazione e di semplificazione. Io vorrei capire se il Ministro per la semplificazione normativa ha mai letto questa cosa qui, perché questo è un atto che va ad aggravare ed a rendere ancora più burocratico il carico che le imprese hanno. Serve davvero allo scopo per il quale si vorrebbe approvare il provvedimento? A nostro parere non serve e spiego il perché.
Fin dall'inizio l'articolo 17 del testo unico prevede l'obbligo in capo al datore di lavoro di valutare tutti i rischi connessi alle attività da svolgersi, designando come è noto un responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi ed elaborando il documento per la valutazione di tutti i rischi, nessuno escluso. Con questo provvedimento noi andiamo a dirgli che deve guardare a questo o a quel rischio. Allora i casi sono due: o la legge Pag. 29stabilisce già chi deve considerare tutti i rischi, per cui per forza di cose anche questo rischio è già compreso nella legge oppure, se cominciamo a fare un'esemplificazione, ci sarà - state certi - qualcuno che si sentirà autorizzato a dire: ho guardato questo rischio qui, non ho guardato gli altri, perché è questo che viene precisato che io devo guardare.
Ma scherziamo? Voi, invece di alleggerire il lavoro legislativo e di alleggerire gli oneri di amministrazione, così come richiede l'Unione europea, continuate e legiferare e ad aggiungere oneri su oneri, a creare registri su registri ed a creare meccanismi di controllo preventivo che non servono a nulla, perché il controllo preventivo non è mai servito a nulla in un Paese come il nostro. Servono i controlli che vengono fatti durante le attività e le bastonate da dare a chi sbaglia!
Se mi si dice, infatti, che di fronte a un problema come quello della falsificazione questa impresa continua a lavorare come niente fosse, vuol dire che qualcosa non funziona nei controlli ed allora è lì che bisogna intervenire, non creando ulteriori burocrazie e aggiungendo burocrazia a burocrazia, il che non risolve il problema. Chiunque si sia mai occupato nella sua vita di problematiche di prevenzione del rischio sa bene che chi deve fare l'attività - quella richiesta dal testo unico - di valutazione dei rischi, deve compiere un processo che ha una serie di fasi ben precise, quindi non c'è bisogno che noi gli diciamo in modo sovietico che cosa deve andare a guardare. Infatti il vero motivo per il quale non funziona la sicurezza sul lavoro è che c'è una congerie di norme e prescrizioni di dettaglio che alla fine impediscono, di fatto, di fare quello che deve essere fatto. Vorrei che all'imprenditore si dicesse di fare la valutazione del rischio e che alla fine egli ne porti la responsabilità, che comunichi come la fa ma il rischio deve andare a zero e non si deve andare a dirgli quello che deve fare. Se poi c'erano già le normative del Ministero della difesa bastava, perbacco, lasciare che quelle funzionassero. Noi abbiamo anche in sede di Commissione partecipato, non in modo, lo devo dire, completo, alla discussione di questa proposta di legge e avevamo predisposto anche delle proposte emendative - poi un collega è stato operato nella settimana in cui si è andati a votare quelle proposte per cui si è creato un problema di questo tipo - che tendevano a valorizzare l'attività delle forze militari che sono impegnate e che sono le uniche ad avere un reale specializzazione in questo campo e alle quali andavano riconosciute anche delle giuste indennità per tale lavoro. Se ci sono dei requisiti minimi che queste imprese devono rispettare, bastava affidarne la verifica alla Camera di commercio al momento dell'iscrizione nel registro generale delle imprese e non andare a creare nuovi meccanismi, nuove strutture e lo ripeto, nuova burocrazia. Questo è proprio il contrario di quello che ci chiede l'Unione europea. Sempre più dovremmo evolvere verso forme di liberalizzazione e invece state facendo esattamente il contrario. Questo è un altro meccanismo di sovietizzazione dell'economia che sta creando un Governo che si dichiara sempre liberale e sempre pronto a fare le liberalizzazioni, addirittura scomodando l'articolo 41, e poi andiamo a fare a norme come queste che sono ancora più vincolanti per le imprese. Noi esprimiamo davvero grande perplessità e ci riserviamo di valutare nella discussione che avverrà in Aula. Anche perché è vero che c'è una discussione abbinata di due proposte di legge ma mi pare anche di aver potuto verificare che la proposta di legge Farina Coscioni che, tra l'altro, interveniva proprio anche su quel necessario intervento sulla specializzazione all'interno delle Forze armate e sul riconoscimento di quella specialità e il conseguente riconoscimento delle indennità necessarie, praticamente non ci sia qui dentro se non in minima parte. Noi esprimiamo, lo ribadisco, delle perplessità forti e valuteremo nel prosieguo della discussione domani quale sarà l'atteggiamento da tenere al momento del voto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mottola. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CARLO FRANCESCO MOTTOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo oggi a discutere di un argomento molto importante e delicato. A nessuno di noi sfugge infatti che i numerosi ritrovamenti di ordigni bellici inesplosi, che si protrae in materia in maniera ininterrotta praticamente dalla fine del secondo conflitto mondiale durante le attività di scavo connesse con la realizzazione di opere edilizie hanno confermato che è urgente, al fine di evitare altre vittime nei cantieri, provvedere a un'attività di bonifica per garantire i lavoratori dal rischio di nuove esplosioni derivanti dall'attivazione accidentale di residui bellici. È anche di questi giorni, a Livorno, l'intervento per disinnescare un ordigno addirittura di 500 chili, evidentemente una bomba da aereo, che dovrebbe avvenire domenica prossima. I lavoratori addetti alle attività di scavo, sia manuale che meccanico, ivi comprese le trivellazioni per scopi archeologici o per fini ambientali, sono quelle categorie che maggiormente sono esposte a questi rischi. La normativa vigente, però, non contempla specificamente una valutazione di rischio nelle aree oggetto di attività di scavo.
È, quindi, con il testo unificato di queste proposte di legge che si intende provvedere ad una regolamentazione di tale attività che deve necessariamente definire i requisiti per abilitare le imprese ad operare relativamente agli interventi di bonifica da ordigni bellici per quanto riguarda le capacità tecnico-economiche, la disponibilità di idonee attrezzature e il personale in possesso dei brevetti rilasciati dal Ministero della difesa. Alcuni casi emblematici sono rappresentati dai recenti affidamenti, da parte di importanti imprese di costruzione, della bonifica da ordigni bellici relativamente alla realizzazione di rilevanti opere pubbliche nel cui ambito gli importi di aggiudicazione sembrano assolutamente inadeguati in quanto non raggiungono neanche un sesto di quelli stimati. Appare evidente, pertanto, che il costo della manodopera rappresenta la parte preponderante dei costi.
La conclusione è che il lavoro, a tali condizioni, non verrà, quindi, eseguito correttamente e completamente e ciò con grave pregiudizio per la sicurezza delle maestranze, nonché delle opere da realizzare. È necessario, pertanto, un intervento sul testo del decreto legislativo n. 81 del 2008, come prospettato nel testo unificato di queste proposte di legge al fine di prevenire i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili interessati da attività di scavo.
Preannuncio, pertanto, fin da ora, il voto convintamente favorevole del gruppo di Popolo e Territorio (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo e Territorio e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccuzzi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi - ahimè pochi, siamo davvero in pochi -, la sicurezza sul lavoro è un dovere assoluto per l'azienda e per il datore di lavoro, un diritto per il lavoratore, una tutela per la salute nei luoghi di lavoro, una garanzia per la massima tutela di tutti i lavoratori, ma, ahimè, insieme a tutto questo, essa rappresenta una vera emergenza nazionale, arginata dal Testo unico per la salute e la sicurezza dei lavoratori prima e, quindi, dal decreto legislativo n. 81 del 2008, la stessa norma che, questa maggioranza, sulla scellerata spinta del Ministro Sacconi, ha tentato di modificare con il decreto legislativo n. 106 del 2009.
Abbiamo tentato di arginare questa tendenza insensata e, in parte, ci siamo riusciti, così come ho apprezzato l'opportunità di poter discutere, analizzare e migliorare il testo proposto dal presidente della Commissione lavoro, l'onorevole Moffa, testo che, oggi, è unificato con la proposta dell'onorevole Farina Coscioni, una proposta nata dalla necessità, in seguito ai numerosi ritrovamenti di residui Pag. 31bellici inesplosi, di normare quella parte di legislazione che, oggi, rappresentava lacune in tema. L'attività di bonifica è fondamentale per garantire i lavoratori dei cantieri temporanei e mobili dal rischio di esplosioni derivanti dall'attivazione accidentale di ordigni bellici.
La normativa attuale, come dicevo, non affronta specificatamente la valutazione del rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori nelle aree oggetto di scavo ed è per questo che si è resa necessaria la definizione di determinati requisiti per l'abilitazione delle imprese relativamente agli interventi di bonifica da ordigni bellici per quanto concerne le capacità tecnico-economiche, la disponibilità di attrezzature idonee e di personale che sia in possesso dei brevetti rilasciati dal Ministero della difesa.
Sono d'accordo con quanto sostiene l'onorevole Moffa nella sua relazione introduttiva circa il fatto che è indispensabile verificare che le aziende individuate per procedere alla bonifica rispettino i requisiti di idoneità e che possano, quindi, mettere al centro della propria mission imprenditoriale la salute, la sicurezza e l'incolumità dei lavoratori. In via generale, in questa direzione, è stata importante l'approvazione, nel cosiddetto decreto sviluppo, dell'emendamento del Partito Democratico sul tema degli appalti al massimo ribasso in cui è previsto lo scorporo dal loro importo del costo del lavoro calcolato sulle retribuzioni stabilite dai contratti nazionali di categoria, una misura di civiltà che va nella direzione virtuosa e necessaria della lotta al lavoro nero.
Come dicevo, la battaglia sulla sicurezza è una battaglia di civiltà. È inaccettabile che si muoia sul lavoro in un Paese moderno e avanzato sul piano civile, economico e morale. Il bilancio infortunistico nel corso degli anni è sicuramente migliorato, sia per l'andamento generale del fenomeno, sia per quel che riguarda gli infortuni mortali che, ovviamente, rappresentano gli eventi di maggiore impatto sociale ed emotivo.
Purtroppo, però, dall'inizio di questa legislatura, il Governo, vittima di un assurdo sentimento di vendetta nei confronti dei lavoratori, ha portato avanti un sistematico processo di depotenziamento delle tutele e di sostanziale dequalificazione del lavoro stesso. In questo quadro, spiccano per la loro qualità, le misure varate, o subdolamente tentate, in materia di sicurezza del lavoro, tutte volte a ridurre e rinviare l'efficacia delle disposizioni miranti alla tutela, alla sicurezza e all'integrità dei lavoratori contenute nel decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81.
Se penso quindi al percorso costruttivo del provvedimento in esame, però, non posso non fare una riflessione su ciò che sta accadendo in questi giorni. Le deroghe palesi all'articolo 18 rischiano di compromettere anche questa battaglia, che dovrebbe essere una battaglia di tutti, a prescindere dalla provenienza politica, contro le morti e gli infortuni sul lavoro. I lavoratori saranno sempre più deboli e sempre più esposti ai rischi e non basterà - questo vorrei ricordarlo al Ministro Sacconi, che oggi non è presente - uno spot che sostiene che la sicurezza sul lavoro la pretende chi si vuole bene. Vogliatevi bene anche un po' voi: dovrebbe essere lo spirito di un Governo serio, un Governo che vuole bene al suo popolo, un Governo che ama e rispetta il suo popolo. Ma forse proprio per questo non lo fate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Schirru. Ne ha facoltà.

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, esaminiamo le modifiche al decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di sicurezza sul lavoro per la bonifica degli ordigni bellici, un testo che unifica le proposte di legge dell'onorevole Moffa e dell'onorevole Farina Coscioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, al fine di introdurre norme volte a prevenire i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei interessati da attività di scavo. Pag. 32
Si tratta, come è stato già detto, di attività speciali, molto speciali, svolte oggi non solo da imprese edili impegnate in scavi per lavori pubblici o privati, ma in modo sistematico e per diversi periodi all'anno anche dai militari e civili impegnati per esempio in attività di bonifica delle aree civili ed ex militari, così come ho avuto modo di apprendere in questi anni di attività parlamentare, in occasione in particolar modo delle ultime visite fatte ai comandi militari dell'Esercito, che tra le attività hanno sottolineato l'impegno appunto dei militari, spesso accompagnati da personale civile, nelle attività di sminamento di aree e brillamento di vecchi ruderi bellici, non solo in missione all'estero, ma soprattutto nel nostro Paese, come ci è stato ricordato oggi in Aula.
Si tratta di attività pericolose, quindi, dove si registra un'alta specializzazione, competenza e professionalità, ma anche un alto rischio di infortunio e malattie professionali, che vanno giustamente maggiormente protette e tutelate.
Ricordo che si apportano modifiche al Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, approvato nel 2008, che ha visto un confronto molto ampio tra le parti sociali, le imprese e i lavoratori, e che però non aveva approfondito nello specifico tale problematica, rimandando probabilmente alle norme e regole generali, a quelle che attualmente si applicano, e probabilmente anche alle norme del codice militare per quanto riguarda la sicurezza del lavoro per le Forze armate o quelle impegnate in attività di scavo, proprio nelle bonifiche delle aree militari.
Eravamo però consapevoli fin dall'inizio che solo l'applicazione completa del Testo unico sulla sicurezza ci avrebbe permesso anche di individuare le manchevolezze o le non conoscenze. Per questo noi diciamo subito, consapevoli di quel momento, di colmare con il provvedimento in esame quella che è stata probabilmente una dimenticanza o comunque una non sufficiente conoscenza del problema, a cui penso che oggi abbiamo il dovere di porre rimedio, introducendo appunto nel testo unico le peculiarità che la materia richiede.
Le integrazioni proposte dal testo quindi vogliono incidere ancora, a mio parere, sulla cultura della maggiore sicurezza e della prevenzione e, sempre a mio parere, i nuovi obblighi proposti sulla valutazione del rischio vogliono, con queste modifiche, consentire di investire soprattutto per alimentare, aumentare la formazione degli imprenditori, dei committenti, dei responsabili della sicurezza, dei responsabili della progettazione e in particolare dei lavoratori addetti a queste attività. Noi siamo proprio convinti che si tratti di dare l'opportunità di svolgere un lavoro in sicurezza e un lavoro di qualità; questo rappresenta più che un diritto un dovere per tutti.
Non intendo soffermarmi sulle parti che riguardano gli interventi sugli articoli 28, 91, 100 e 104 e sugli allegati allo stesso decreto legislativo n. 81 del 2008, se non per richiamare brevemente che all'articolo 28 si introduce l'obbligo per le imprese della valutazione dei rischi a cui però occorre aggiungere la valutazione di quei rischi particolari quando c'è il rinvenimento di ordigni bellici inesplosi. Alle aziende, è vero, si impone, nella redazione del piano di valutazione del rischio, un sistema che guarda all'insieme dell'attività produttiva, all'insieme del personale, delle responsabilità e delle risorse che a più livelli e in diverse fasi della produzione vengono impegnate, guardando in modo particolare a quello che è l'ambiente circostante, al luogo dove le persone, i lavoratori operano e alle norme generali della sicurezza. Alle imprese si chiede un adeguamento a cui devono uniformarsi con responsabilità; alle stesse compete anche il compito importante del coordinamento e della cooperazione per la messa in opera di tutti quei comportamenti e quelle procedure che devono essere studiati fin dalla progettazione ed impartiti soprattutto a chi si trova in quei luoghi di lavoro, usa quelle macchine, attiva movimentazioni manuali di oggetti e di materiali e soprattutto Pag. 33a cui poi viene richiesto l'utilizzo di attrezzature particolari e metodi di lavoro precisi per prevenire gli infortuni e gli incidenti.
Altre modifiche sono state apportate all'articolo 91: alla figura del coordinatore della progettazione viene richiesta, nella organizzazione dei lavori e nei particolari dei piani e degli elaborati progettuali, proprio l'articolazione delle funzioni, la elencazione dei rischi e in particolare la predisposizione di un piano che deve essere sottoposto, come si diceva, alla valutazione e al parere delle autorità militari, per poi procedere a quella che è la bonifica sistematica da svolgere sempre sotto il controllo e la supervisione delle autorità militari.
Avremmo voluto, e già in sede di esame nel Comitato ristretto avevamo posto il problema, affidare questa competenza al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero della salute, organismi che già operano nel campo della sicurezza.
Tuttavia, non vi è dubbio che riconosciamo, soprattutto per quanto riguarda il rilascio dei brevetti e l'elencazione di criteri che devono avere le imprese per essere iscritte all'albo, che esse hanno bisogno di competenza e di formazione, che solo gli apparati militari oggi sono in grado di fornire.
È per questo motivo che abbiamo accettato anche l'esclusione di quella proposta emendativa che avevamo presentato, per addivenire al testo che oggi abbiamo a disposizione dell'Aula per la sua approvazione.
Un'ultima cosa positiva è che, comunque, le istituzioni ministeriali che sono interessate ad agire per il rilascio dei pareri e dei controlli devono agire in modo integrato, utilizzando anche strumenti, come quello della conferenza dei servizi, che possono aiutare ad abbreviare i tempi che oggi esistono in questo campo, ma soprattutto che aiutano ad evitare quelle lungaggini e quelle sovrapposizioni che, a volte, impediscono alle stesse imprese di rispettare i tempi nella consegna dei lavori ed il contratto di appalto.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AMALIA SCHIRRU. Per questo motivo, e concludo, il Partito Democratico sosterrà il provvedimento, pur rimarcando, lo ripeto, che avremmo voluto un testo forse con regole più leggere, anche dal punto di vista burocratico, e un maggiore impegno degli organismi civili (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3222-3481-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per l'XI Commissione, onorevole Fedriga, il relatore per la XII Commissione, onorevole Barani, ed il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Renato Farina ed altri n. 1-00702, Evangelisti ed altri n. 1-00705, Binetti ed altri n. 1-00706 e Di Biagio e Della Vedova n. 1-00707, concernenti iniziative in relazione alla grave carestia che ha colpito il Corno d'Africa (ore 18,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Renato Farina ed altri n. 1-00702, Evangelisti ed altri n. 1-00705, Binetti ed altri n. 1-00706 e Di Biagio e Della Vedova n. 1-00707, concernenti iniziative in relazione alla grave carestia che ha colpito il Corno d'Africa (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Mosella ed altri n. 1-00708 e Tempestini ed altri n. 1-00709 che, vertendo Pag. 34su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Renato Farina, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00702. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello che sta capitando nel Corno d'Africa è una spaventosa carestia, carestia proprio in senso tecnico. Essa mette a rischio la vita di circa 12 milioni di persone. La cifra è così alta che genera un effetto di irrealtà. Ci farebbe oggi più impressione, e ci parrebbe maggiormente reale, se questa cifra di 12 milioni non ricordasse la vita e la morte di persone, ma miliardi di debito pubblico che dall'Africa pesano sulla nostra economia. Vi sarebbe, sicuramente, un'attenzione più forte.
Credo - e con me penso lo credano tutti i parlamentari e, in particolare, quelli che hanno presentato le varie mozioni - che non possiamo permetterci il lusso, innanzitutto morale, di non occuparci di quello che accade nel Corno d'Africa.
Non è vero che non possiamo permetterci il lusso di aiutare in un momento di difficoltà economica, ma è vero esattamente il contrario. Infatti, quello che la crisi economica e finanziaria segnala è un deficit del senso della vita, un deficit di significato di ciò che è la convivenza umana e l'appoggiare tutto su valori che sono accessori al vivere e non costituiscono il senso stesso della vita, ma poi la bruciano.
Quello che accade da noi oggi è un richiamo potente a guardare quello che anche questa cosa determina nel resto del mondo. La famosa globalizzazione deve valere anche nell'occuparci del Corno d'Africa. Cerco di essere più preciso, ricordando le cifre fornite dall'ONU, anche se le notizie sono ovviamente imperfette, perché da vent'anni non si fa un censimento in Somalia, per cui il numero degli abitanti della Somalia è sempre molto incerto, così come quello degli altri Paesi.
Comunque, sono almeno 12 milioni le persone esposte al rischio di gravissima denutrizione. Di questi almeno quattro milioni sono in Somalia. Secondo le stime dell'Unicef, oltre due milioni di bambini nel Corno d'Africa risultano mal nutriti e bisognosi di urgenti aiuti salvavita, se vogliono sopravvivere alla siccità che ha colpito la regione. Mezzo milione di bambini si trova ad affrontare un imminente pericolo di vita - queste sono dichiarazioni ufficiali dell'Unicef - con rischio di conseguenze permanenti sullo sviluppo fisico e mentale. Il tasso di malnutrizione tra i bambini in certe zone ha raggiunto il 58 per cento.
Nei Paesi confinanti con la Somalia - in particolare in Kenya, Uganda ed Etiopia - la situazione è relativamente sotto controllo, ma in alcune regioni del nord del Kenya, tuttavia, gli effetti della siccità sono amplificati dall'alto prezzo dei generi alimentari e della benzina che lì ha raggiunto cifre triple rispetto a pochi mesi fa. Ancora oggi, ogni giorno, migliaia di somali cercano di raggiungere, spesso a piedi, i Paesi vicini per avere soccorso.
Facciamo un po' la storia di come ce ne stiamo occupando e del perché interveniamo come Parlamento. Credo sia un fatto morale, un fatto importantissimo del quale abbiamo già dibattuto e sul quale abbiamo già preso una decisione unitaria in Commissione, per cui auspico che alla fine ci si ritrovi per far confluire le varie mozioni in un'unica risoluzione. Infatti, i contenuti, di al di là dello spostamento di qualche cifra, hanno comunque lo stesso significato e impegnano il Governo allo stesso sforzo.
La siccità si sviluppava tranquilla nell'ignoranza quasi generale dell'opinione pubblica, salvo gli operatori umanitari e, per fortuna, chi nel Governo si occupa di Pag. 35queste cose - bisogna rendere atto dell'impegno che sempre il sottosegretario e senatore Mantica ha dedicato a questa parte del mondo -, finché il Papa ha rotto l'omertà internazionale, inducendo l'opinione pubblica ad occuparsene.
«Con profonda preoccupazione» - disse allora il Papa - «seguo le notizie provenienti dalla regione del Corno d'Africa e, in particolare, dalla Somalia, colpite da una gravissima siccità in seguito, in alcune zone, anche a forti piogge che stanno causando una catastrofe umanitaria. Innumerevoli persone stanno fuggendo da quella tremenda carestia in cerca di cibo e di aiuti. Auspico che cresca la mobilitazione internazionale. Non manchi a queste popolazioni sofferenti, specialmente ai tanti bambini, la nostra solidarietà e il concreto sostegno di tutte le persone di buona volontà». Ecco, le persone di buona volontà si sono trovate dinanzi a una situazione terrificante: una progressione terribile della siccità, l'aumento dei prezzi, la lotta tra i clan e la violenza degli Shabaab, delle milizie islamiche e dei tribunali islamici.
Proviamo un po' a ricordare, se magari smette di telefonare così ad alta voce...

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, noi vorremmo rispettare la sua privacy, però lei ce lo deve consentire.

RENATO FARINA. Se parla più piano magari sentiamo meglio. Mi scusi, signor Presidente. Diciamo che ormai sono sei le regioni della Somalia in cui è stata dichiarata la carestia. La carestia si dichiara obbedendo a dei criteri molto tecnici e molto specifici. L'ONU dichiara formalmente una carestia quando viene verificato che in una certa area del mondo un bambino su tre è malnutrito e che ogni giorno un bambino su 2.500 muore per fame, per cui le carestie vengono dichiarate con molta cautela. Questa è la prima volta che accade nel XXI Secolo, in Somalia non accadeva dal 1992 e la più grave carestia che ci sia stata si era verificata nel 1950-1951 e quest'oggi, secondo gli osservatori, pare ancora più terribile di allora.
Le cose non stanno cambiando. Non è vero che è bastato suscitare l'allarme perché le cose migliorassero. Non commettiamo l'errore di credere che il peggio sia passato. Fino a gennaio di certo la situazione non migliorerà, lo dichiarano tutti gli osservatori. L'emergenza si sta allargando anche nel nord della Somalia. Le popolazioni lì hanno perso l'85 per cento del bestiame, in generale nel Corno d'Africa, e la percentuale di malnutrizione acuta ha raggiunto il 25 per cento nei campi profughi di Bosaso e il 23,6 per cento nella regione di Karkar. Secondo i dati forniti dall'Unicef, precisamente le persone sottoposte al rischio di morte e che hanno urgente bisogno di aiuto sono 4,8 milioni nell'est dell'Etiopia, 3,7 milioni in Somalia, dei quali 2,8 milioni nel sud del Paese, altri 3,7 milioni nel nord est del Kenya e, infine, 165 mila a Gibuti.
L'altro grande problema riguarda l'esodo degli sfollati. Oramai la situazione nel campo di Dadaab in Kenya, che ci è stata descritta in Commissione dal sottosegretario Mantica, è assolutamente disperante. Sono più di 440 mila i rifugiati somali lì presenti in condizioni di vita tremende e si pensa di allargare la possibilità di ospitalità fino a 540 mila entro l'anno. Questa situazione da cosa è aggravata? Vi è un moltiplicatore del disastro della siccità che si trasforma in carestia ed è la presenza di situazioni di guerra. Questa situazione di guerra in Somalia perdura oramai dalla fine del regime di Siad Barre, con lo scontro tra clan e gli interventi spesso fuori luogo e spesso improntati ad una fiducia in presunti rappresentanti dei clan che in realtà rappresentavano solo i loro propri interessi economici e che hanno determinato un involversi gravissimo della situazione.
Lo Stato non esiste, ma questo non significa che non esista un potere. Esistono molti poteri che si combinano e si scontrano fra di loro e oltretutto non sono neanche ben definibili, così come i tribunali islamici non sono un'entità statica e unica, hanno all'interno posizioni diversificate. Di recente un reportage molto interessante di le Monde ha spiegato come Pag. 36sia una sorta di possesso del territorio di tipo mafioso, dove diverse bande che ubbidiscono a questo o a quell'altro capo estorcono a chi voglia essere presente per aiuti umanitari veri e propri «pizzi».
Ad esempio, Medici Senza Frontiere accetta di pagare tali «pizzi», considerando comunque che il beneficio per la popolazione è alto. Quindi, esiste anche una distorsione per cui una certa parte degli aiuti non finisce in aiuti, ma in finanziamenti della presenza di bande qualora si riesca ad infilarsi in quei territori.
Questo è il problema: riuscire a sostenere le popolazioni che vivono, soprattutto nel sud della Somalia, sottoposte al dominio di queste bande e di questi tribunali islamici che non consentono che arrivino lì aiuti umanitari che non siano sotto l'egida della carità musulmana. Questo è un fatto, così come anche è un fatto l'annuncio da parte del responsabile dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'italiano Bruno Geddo, che proprio ieri ha detto che si è riusciti a trovare un canale anche per il sostegno lì. Naturalmente ciò avviene sempre usando personaggi somali che a loro volta pagano un prezzo anche politico per poter portare questi aiuti. Si tratta di un prezzo che di fatto vale la pena di pagare se porta ad una situazione nuova.
Credo che il nostro Governo si sia fino ad ora impegnato con le scarse risorse messe a disposizione dal Ministero degli affari esteri - credo che questa sia una scelta che andrà rivista - e si sia mosso benissimo per sostenere soluzioni positive, non solo e non tanto con una messe di aiuti da affidare alle organizzazioni internazionali, quanto con un lavoro politico che, in fondo, a noi spetta per tradizione, per i rapporti che, comunque siano giudicati, abbiamo mantenuto con il popolo somalo nelle sue varie componenti.
Oggi le agenzie propongono una notizia straordinariamente positiva: è stata firmata oggi a Mogadiscio sotto l'egida dell'ONU una road map per porre fine all'impasse politica e al Governo federale di transizione, che, di fatto, si è rivelato incapace di risollevare il Paese in questi anni. A sottoscrivere il documento sono stati sia il Presidente somalo Ahmed, ma anche i responsabili politici del Puntland, che di fatto fa riferimento molto volentieri alla tradizione italiana, del Somaliland e la milizia filo-governativa Ahlu Sunna Wal Jamaa.
Credo che dietro questo lavoro ci sia - anche se ormai al Governo italiano si riconosce poco o nulla - la paziente opera proprio diplomatica del nostro Governo che credo lasci ben sperare, se noi non cediamo dinanzi al fatalismo, al credere che per forza certe zone del mondo siano soggette alla guerra e alla morte per fame endemiche. Infatti, anche le immagini dei bambini denutriti che siamo abituati a vedere sin da quando siamo piccoli - le prime immagini delle dirette televisive dal Biafra e poi dall'Etiopia risalgono alla crisi del 1984 e del 1985 - oramai non suscitano quasi emozione.
Dev'essere anche una scelta, invece, forte e politica. Per questo ribadisco ancora il desiderio che si possa trovare il filo di una risoluzione unitaria che accolga il senso forte del nostro trovarci qui oggi a parlare di queste cose, che sembrano così lontane dalla crisi italiana, ma che invece la toccano intimamente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00705. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, la situazione è drammatica. Non occorre davvero cercare e trovare scorciatoie verbali o lessicali.
Ci sono milioni di persone colpite da siccità e carestia e sono centinaia di migliaia i profughi. Leggo e cito testualmente da La Stampa di questa mattina: «La carestia che sta colpendo la Somalia si spinge sempre più a Sud, dove ha raggiunto la regione del Bay, la sesta devastata dalla siccità. L'ultimo rapporto dell'unità analisi per la sicurezza nutrizionale delle Nazioni Unite dice che la malnutrizione Pag. 37acuta e il livello di mortalità hanno sorpassato la soglia della carestia anche in quell'area, con un tasso di malnutrizione che tra i bambini raggiunge il 58 per cento, quattro volte il limite considerato di emergenza dall'Organizzazione mondiale della sanità».
Quindi, ripeto, ribadisco che la situazione è drammatica. Le ONG parlano di tragedia umanitaria, altre di carestia del secolo. Anche il Papa ha chiesto una mobilitazione internazionale. Una siccità e una carestia come non si ricordavano da oltre sessant'anni, ma una siccità e carestia che stanno mettendo in grave pericolo la vita di circa 12 milioni di persone. Le zone più duramente colpite sono la Somalia, dove sono circa tre milioni le persone che rischiano di morire di fame solo in questo Paese, l'Etiopia, dove specie nella regione dell'Ogaden si calcolano attorno ai quattro milioni le persone che hanno estremo bisogno di cibo, il Kenya stesso (qui l'insicurezza alimentare interessa oltre tre milioni di persone), l'Uganda, la Repubblica di Gibuti, l'Eritrea, mentre fortemente a rischio sono anche il neonato Sud Sudan e la Tanzania.
Si calcola che siano oltre 1.300 i rifugiati somali che ogni giorno arrivano nei campi profughi di Dadaab, nella regione nord orientale del Kenya. Fuggono dalla fame e dalla conseguenza di lunghi anni di guerra civile. Da settimane l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'ACNUR, che gestisce i tre campi di Dagahaley, Ifo e Hagadera sta lanciando appelli alla comunità internazionale perché intervenga con aiuti umanitari. L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'UNHCR, ha lanciato nei giorni scorsi un nuovo appello per fondi aggiuntivi necessari ad ampliare le proprie operazioni di assistenza umanitaria nei Paesi dell'Africa orientale e del Corno d'Africa. L'appello giunge mentre una grave carestia e il protrarsi della violenza incrementano l'esodo di massa, sia all'interno della Somalia sia oltre i confini di quel Paese.
La nuova richiesta dell'UNHCR per far fronte all'emergenza all'interno della Somalia e la crisi dei rifugiati, che si è estesa a Etiopia e Kenya, ammonta a 144 milioni di dollari USA, 8,6 milioni in più rispetto all'appello iniziale, lanciato all'inizio di luglio, che parlava di 136 milioni di dollari. I finanziamenti aggiuntivi consentirebbero all'Agenzia ONU per i rifugiati di potenziare le proprie operazioni di assistenza in Somalia e di consegnare aiuti umanitari, tra cui teli di plastica, utensili da cucina, coperte, taniche per trasportare l'acqua e biscotti ad alto contenuto energetico a circa 180 mila persone, la maggior parte delle quali costrette a lasciare le proprie case a seguito dell'effetto combinato di carestia, siccità e conflitto.
L'emergenza umanitaria nel Corno d'Africa è stata al centro di una recente riunione dei Paesi donatori, tenutasi a fine luglio a Nairobi in Kenya. Si è trattato, però, di un appuntamento deciso a Roma, nella sede dell'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura, la FAO, dove i rappresentanti dei 191 Paesi membri della stessa organizzazione, le agenzie umanitarie e le ONG, convocati il 25 luglio dalla Presidenza francese di turno del G20, hanno proposto le soluzione più adatte per far fronte alla crisi del Corno d'Africa, anche se forte è stato il rammarico del presidente della stessa FAO, Jack Diouf, quando ha affermato: «Reggiamo solo quando c'è un'emergenza». Poi ha chiesto un aiuto massiccio e urgente che alla vigilia del vertice il segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon aveva quantificato in 1,6 miliardi di dollari.
Leggo in proposito quella che, invece, è la situazione, sempre da La Stampa di questa mattina: «Cifre importanti rispetto anche a una conferenza dei donatori One Africa-One Voice against Hunger dove l'Unione africana ha sbloccato 351 milioni di dollari. Tra questi i donatori più generosi sono stati l'Algeria con 10 milioni di dollari, l'Egitto con 5 milioni, la Repubblica democratica del Congo con tre milioni, il Gabon con 2,5 milioni.
Cifre importanti, ma comunque molto inferiori alle richieste ed alle necessità. Inadeguato anche il contributo del PAM, il programma alimentare mondiale delle Nazioni Pag. 38Unite: chiesti 1,06 miliardi di dollari e ricevuti 550 mila». Dentro queste cifre sta tutto il dramma.
Gli impegni concreti a livello internazionale sono dunque rimasti nel vago e comunque ben al di sotto del necessario. Infatti, secondo l'ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell'ONU, per coprire i bisogni del Kenya, della Somalia, dell'Etiopia e di Gibuti, valutati in svariati miliardi di dollari - esattamente il loro importo è stato definito in 1,9 miliardi di dollari per il 2011 - mancherebbero ancora 1,14 miliardi di dollari. Secondo molte organizzazioni non governative si è trattato di una conferenza «inesistente» per lo scarso impegno delle economie più ricche e potenti, fumo negli occhi secondo alcuni analisti africani in quanto il business degli aiuti - hanno affermato - perpetua la dipendenza dei Paesi che non hanno risorse appetibili dai grandi capitali internazionali che, invece, necessiterebbero di un piano di rilancio durevole dell'agricoltura locale.
Non è un caso che noi, nella mozione che abbiamo presentato come gruppo dell'Italia dei Valori di cui sono primo firmatario, oltre ovviamente ad impegnare il Governo ad adottare tutte le iniziative utili per rafforzare i processi di pace e per far giungere gli aiuti umanitari, diciamo che è essenziale contribuire in quella realtà alla realizzazione di progetti di sostegno all'agricoltura ed ai sistemi di irrigazione in grado di aiutare l'aumento della produzione e di diversificare il sostentamento con altre attività.
Insomma, in poche parole, facendo ricorso ad una vecchia espressione, i pesci sono assolutamente necessari in questa fase, ma bisognerà pure insegnare a pescare.
A Dadaab in Kenya, il flusso è andato ad aggravare le pressioni sul già sovraffollamento del complesso dei campi dei rifugiati: sono infatti più di 3 mila i rifugiati somali trasferiti dall'Alto commissario delle Nazioni Unite dalle aree circostanti il complesso dei campi per i rifugiati di Dadaab verso il sito di Ifo Extension. L'operazione è stata avviata lo scorso 25 luglio e per la fine di novembre si dovranno offrire alloggi in tende a 90 mila rifugiati. Nel campo sono attivi assistenza medica, servizi igienici e serbatoi d'acqua, di cui al momento usufruiscono circa 700 famiglie e circa tremila o poco più persone insediate, ma è chiaro che è davvero ben poca cosa a fronte del dramma.
Grazie al ponte aereo organizzato dall'UNHCR è stato possibile trasportare dall'Italia a Dadaab migliaia di tende che tuttavia non sono sufficienti per le necessità. Anche la disponibilità di acqua desta preoccupazioni: ci sono pozzi in cui viene pompata per diciotto ore al giorno e presto saranno esaurite le fonti. Qualche complicazione iniziale ha impedito anche alle organizzazioni umanitarie di poter accedere in quelle realtà soprattutto in Somalia per l'opposizione dei miliziani di Al-Shabaab, attualmente in aperta guerra con il Governo federale transitorio, anche se alla fine hanno acconsentito all'arrivo di qualche aiuto.
Diversi fattori - lo ricordiamo - hanno contribuito a rendere questa situazione ancora più precaria e pesante: una guerra ventennale che, come conseguenza, ha procurato il più massiccio esodo di profughi nel mondo, la peggiore siccità - come dicevo - degli ultimi sessanta anni, in conseguenza della quale si è verificato il crollo della produzione agricola, l'aumento del prezzo dei generi alimentari che ha reso costose le già poche provviste a disposizione e, infine, la crisi economica mondiale che ha fatto collateralmente diminuire i fondi destinati dalle organizzazioni statuali alle organizzazioni umanitarie anche perché si tratta della Somalia, ossia di un Paese in cui infuria la guerra, dove vige una situazione di anarchia e di conflitto da vent'anni e dove oggi - lo ripeto - ogni giorno più di 3 mila somali escono da quelle frontiere verso l'Etiopia o il Kenya.
Il nostro Paese - l'ho ricordato e insisto - si è attivato facendo partire un cargo della cooperazione italiana dal deposito umanitario delle Nazioni Unite di Brindisi con arrivo a Nairobi. A bordo del Pag. 39velivolo sono state imbarcate oltre 40 tonnellate di generi alimentari: riso, mais, olio vegetale, farina, zucchero, legumi e latte a lunga conservazione.
Si spera, per contribuire a sostenere oltre quattrocentomila persone presenti in quei sovraffollati campi di Dadaab, nonostante la difficoltà di raggiungere direttamente quei territori.
Siamo convinti, ripeto, che l'Italia debba fare di più e debba impegnarsi maggiormente per affrontare la grave carestia che interessa l'area con aiuti umanitari ancora più consistenti nella direzione di quanto evidenziato in sede FAO, ma c'è bisogno soprattutto - insisto - che la nostra nazione, tenendo conto della siccità e della carestia del Corno d'Africa, si adoperi fattivamente per contribuire alla realizzazione di progetti di sostegno all'agricoltura e sistemi di irrigazione in grado di aiutare l'aumento della produzione e la diversificazione del sostentamento con attività parallele per la popolazione in questione, oltre ovviamente al rafforzamento dei processi di pace in quella martoriata regione.
Il 2 agosto scorso si è svolta presso la Commissione Affari esteri, emigrazione del Senato l'audizione del vicedirettore esecutivo del PAM delle Nazioni Unite, Amir Abdulla, che ha riferito sul massiccio intervento di emergenza dell'agenzia nella regione del Corno d'Africa. L'audizione ha coinciso con l'annuncio di un impegno dell'Italia per 3,5 milioni di euro alle operazioni PAM in quella regione. Anche la III Commissione della Camera si è espressa su questa difficile e triste realtà approvando all'unanimità una risoluzione che riflette il senso di quanto cercato di esprimere.
Siamo disponibili - pur avendo presentato questa nostra mozione - e anzi auspichiamo che si possa alla fine di questo confronto giungere ad una mozione fortemente unitaria da parte di tutti i gruppi parlamentari.
Questa è la situazione ad oggi, 6 settembre, si prevede che presto arriveranno anche le piogge, sarà motivo di sollievo per quanto riguarda la siccità ma le piogge, attese per ottobre - cito ancora dalla stampa - non porteranno però grande sollievo perché non faranno crescere immediatamente i raccolti, mentre aumenteranno i rischi di malattie come il colera e la malaria. Di fronte a questo dramma sarebbe importante che dalla Camera dei deputati italiana potesse venire un segnale forte di solidarietà e di aiuto alle popolazioni e un impegno forte nel campo della cooperazione nella forma della cooperazione e dell'aiuto allo sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00707. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, la situazione del Corno d'Africa è oggi drammaticamente nota alla comunità internazionale e a noi tutti; in Somalia aumentano le regioni in cui la siccità ha assunto i tratti di una vera e propria carestia. L'ultimo rapporto dell'ONU sulla sicurezza alimentare afferma infatti che anche nel sud del Paese, nelle regioni del Bay, malnutrizione acuta e livello di mortalità hanno sorpassato la soglia della carestia. È la sesta regione somala per la quale viene dichiarato lo stato di carestia.
Sappiamo che le problematiche di questa difficile area del continente africano hanno radici lontane; il campo profughi di Dadaab in Kenya è il più grande dell'area in una città che ospita profughi somali da vent'anni, e ancora adesso esso rappresenta l'ultima speranza per gli sfollati che oggi come vent'anni fa sono disposti a percorrere chilometri e chilometri per raggiungere quella speranza oltre confine per un miraggio di salvezza.
Da alcuni mesi assistiamo infatti ad un tragico acuirsi delle criticità dovuto al susseguirsi di due stagioni di pioggia particolarmente scarse, devastazione dei raccolti, scarsità di cibo, aumento vertiginoso dei prezzi per i generi alimentari di prima necessità, fame e sete. L'esito finale di tutto questo è il fiume di disperati che si muove alla ricerca di aiuto e di cibo verso Pag. 40i campi di assistenza oltre confine, un esodo di migliaia di persone che percorrono chilometri in fuga dalla morsa della fame, dalla paura e dalle violenze, da territori dove la corruzione e la guerra hanno distrutto ogni aspettativa di futuro.
È un esodo silenzioso e dimenticato, lasciato fino ad ora al margine dell'attenzione mediatica dell'opinione pubblica, certo impegnata su importanti questioni nazionali, ma che solo adesso comincia ad aprire faticosamente gli occhi, diversamente dalle organizzazioni umanitarie, in cui il sostegno delle popolazioni colpite è da sempre in prima linea. Proprio le organizzazioni umanitarie hanno lanciato ripetuti allarmi circa lo stato di abbandono e malnutrizione di questi popoli, con particolare riguardo alla Somalia, dove la situazione si presenta gravissima. Qui la carestia dilaga, in un Paese ormai dilaniato dai conflitti interni, violenti e consolidati. Nelle zone controllate dalle milizie islamiche antigovernative, gli Shabaab, gli aiuti internazionali faticano ad arrivare per una precisa volontà di non collaborazione con le organizzazioni occidentali. I numeri di questo dramma sono tristemente noti: circa 12 milioni le persone coinvolte, tra Somalia, Kenya, Gibuti ed Etiopia. Tre milioni e settecentomila sono le persone con immediate necessità, uomini e donne, giovani e vecchi, tra essi moltissimi bambini purtroppo. Sono circa due milioni i bambini che ogni giorno rischiano di morire di stenti a causa della malnutrizione. Sono bambini ai quali non sta venendo strappato solo il futuro, ma lo stesso presente. Gli operatori delle ONG, che cercano disperatamente di andare incontro al dramma di questi piccoli, riferiscono il ventaglio di rischi che essi devono quotidianamente fronteggiare a fianco della malnutrizione e delle malattie. I bambini sono soggetti al rischio di violenze e di stress emotivi con ricadute psicologiche gravissime, dovute a condizioni di sfollamento. Per non parlare della tristemente nota epopea dei bambini soldato, reclutati e venduti dalle famiglie in cambio di promesse di cibo e di un futuro, che in realtà nasconde un incubo. Tra questi bambini il tasso di malnutrizione ha raggiunto oggi il 58 per cento. La cifra di riferimento rispetto alla quale l'OMS considera lo stato di emergenza è quattro volte inferiore. Tra i problemi più urgenti accanto alla malnutrizione vi sono scarsità di igiene, diffondersi di malattie e carenza di ricoveri, tratti emergenti di un dramma che appare sempre più chiaro nella sua gravità. Questi eventi impongono a tutti noi una riflessione seria e una partecipazione con interventi di sostegno sollecito e diffuso a livello nazionale. Per questo occorre una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, soprattutto a livello mediatico. Occorre favorire una comprensione quanto più profonda e fattiva del dramma umano vissuto dai popoli del corno d'Africa, ai quali ci lega una forte vicinanza storica, prima che geografica. Per sopperire alle necessità in primo luogo emergenziali dei Paesi colpiti, la FAO ha stimato una richiesta di 1,6 miliardi di dollari. L'Unione europea ha stanziato una consistente mole di fondi e molti Paesi, incluso il nostro, hanno dato disponibilità, stanziando fondi e inviando voli umanitari. Tuttavia gli interventi non sono ancora sufficienti, se i nuovi allarmi lanciati dall'ONU in queste ore parlano di 750 mila persone che rischiano la morte nei prossimi quattro mesi in assenza di risorse adeguate. È una risposta che presenta oggettive difficoltà, dal reperimento dei fondi in un momento di crisi mondiale alle garanzie di sicurezza per il trasferimento degli aiuti, al coordinamento, alla programmazione e all'efficacia degli stessi. Programmazione ed efficacia degli aiuti acquistano una rilevanza fondamentale in un'ottica strategica di sostegno ai territori colpiti. Il problema della siccità nel corno d'Africa è infatti un problema strutturale ed antico. Parliamo inoltre di aree profondamente instabili dal punto di vista politico e militare, condizione che rende ancora più difficile il sostegno e l'erogazione di aiuti. Attraverso la mozione in esame, il gruppo di Futuro e Libertà vuole sollecitare il Governo ad un rinnovato impegno, non solo nei termini dei necessari Pag. 41e urgenti stanziamenti, che al momento rappresentano certamente la priorità, ma anche nell'adozione di tutte le misure di sostegno e mediazione a livello diplomatico per aiutare il faticoso processo di pianificazione e stabilizzazione interna dei Paesi coinvolti che sia da preludio ad una auspicabile democratizzazione nell'area.
Infine, voglio sollecitare una riflessione attenta e approfondita, che ci sembra possa essere pienamente condivisa da tutti. Riteniamo auspicabile che l'impegno del nostro Paese sia articolato a livello comunitario, anche per la promozione di accordi multilaterali di medio e lungo periodo, finalizzati a progetti di risanamento del tessuto agricolo e alimentare in sede locale attraverso l'ausilio di accreditate ONG internazionali.
Auspichiamo che si possa in tal modo far fruttare al massimo gli aiuti erogati, perché non si rivolgano in una Babele di finanziamenti dalla scarsa efficacia, ma possano contribuire a produrre i frutti di un risanamento e di uno sviluppo duraturo per il territorio africano. È per questo che ci troviamo disponibili ad una mozione unitaria. Però l'auspicio, signor sottosegretario, è che, almeno dinanzi a queste questioni così delicate e complesse, il Governo opti per scelte razionali, mettendo da parte la solita e inconcludente demagogia a cui, purtroppo, ci sta drammaticamente abituando (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Touadi, che illustrerà anche la mozione Tempestini ed altri n. 1-00709, di cui è cofirmatario.
Ne ha facoltà.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, senatore Mantica, che ringrazio per la sua attenzione costante e il suo impegno nel seguire le problematiche relative a quest'area del mondo, le dimensioni quantitative e qualitative di questo dramma e di questa tragedia del Corno d'Africa sono già state illustrate dai colleghi che mi hanno preceduto.
Quindi, non ripeterò il girone infernale delle cifre e dell'entità e della vastità dei Paesi e dei territori colpiti. L'onorevole Renato Farina diceva prima che siamo una generazione che ha conosciuto questo dramma attraverso le immagini del Biafra, attraverso i concerti di grandi musicisti in Etiopia, in occasione di altre siccità, e attraverso quello che la stampa internazionale ciclicamente ci offre come delle catastrofi di dimensioni davvero insopportabili per la nostra umanità e per la nostra economia mondiale, ormai in grado, oggi, di produrre cibo a sufficienza non solo per questo pianeta, ma anche per altri due o tre.
Penso, quindi, che sarebbe sbagliato da parte nostra considerare e trattare questa crisi con la solita assuefazione collettiva con la quale affrontiamo ogni catastrofe umanitaria. Anche questa volta, purtroppo, bisogna dire che le nostre risposte sono state tardive. Non so se è possibile a livello internazionale, vista la complessità dei rapporti bilaterali e multilaterali, avere una specie di protocollo di azioni da compiere in occasione di emergenze del genere, in modo da non aspettare che la tragedia si consumi nella totale indifferenza prima che gli interventi arrivino.
Quindi, si tratta di un intervento tardivo, ma doveroso, che deve essere efficace. L'efficacia di un tale intervento risiede nel fatto che gli aiuti devono giungere presso coloro che davvero ne hanno bisogno, senza andare ad alimentare questa spirale di interessi intorno ad ogni catastrofe per cui i signori della guerra, i vari intermediari, diventano poi coloro che si arricchiscono sul business degli aiuti.
Questo intervento ovviamente è emergenziale, e non poteva che essere così, perché vi è da frenare questa specie di morte collettiva, di ecatombe, che sta avvenendo, ma sarebbe sbagliato da parte nostra non pensare anche a una riflessione sugli scenari e sulle prospettive. Lo scenario mondiale, oltre a questa siccità, ci offre delle cifre spaventose: nove milioni di persone che muoiono ogni anno di fame, Pag. 42860 milioni, molto probabilmente un miliardo, di persone che soffrono ogni giorno la fame, che vivono con meno di un dollaro al giorno; due miliardi di esseri umani malnutriti.
E possiamo proseguire in questa specie di girone infernale della povertà e del sottosviluppo nel mondo.
Vi sono delle cause strutturali alle quali vorrei accennare velocemente.
Non vi è stata, in questi anni, nessuna politica volta ad incoraggiare l'agricoltura di sussistenza. Tutte le politiche vanno, invece, nella direzione di favorire l'importazione dei cereali e la monocoltura industriale. Questo è stato utile nel momento in cui questi Paesi hanno dovuto affrontare il peso del debito, per cui il prodotto industriale monocolturale era diventato l'unico provento per avere risorse e per potere, poi, non affamare il proprio popolo e pagare il debito.
Vorrei attirare la vostra attenzione, colleghi, sullo sviluppo dei biocarburanti e di tutti gli interessi connessi a questo nuovo Eldorado che sottrae non solo il terreno, ma anche risorse, a quella che è l'agricoltura di sussistenza che dà da mangiare alle persone. Le produzioni locali di cui parlava l'onorevole Evangelisti prima.
Per non parlare poi della speculazione finanziaria che si è infilata in quest'altro business. La city di Londra ha coniato un nuovo prodotto finanziario per la speculazione, gli ACS (agricolture commodities), così anche il cibo come i cereali ed il riso sono diventati oggetto per gli add fund che si stanno sempre più specializzando in questo settore facendo profitti estremamente lauti.
Queste sono le cause strutturali alle quali si aggiunge questo fenomeno che lei, sottosegretario Mantica, profondo conoscitore di questa regione, conoscerà bene, ossia quel fenomeno in espansione delle terre che vengono vendute e affittate alle grandi multinazionali in Etiopia, in Kenya, in Uganda e in Somalia e si scopre che queste terre, una volta ritenute aride e soggette a siccità ciclica, possono trasformarsi in terreni rigogliosi in grado di fornire cibo per l'Arabia saudita e domani, forse, per la Cina e per altri Paesi ancora.
Bisogna quindi, al di là dell'emergenza - lo si è detto e lo si dice in tutti i consessi - puntare a delle soluzioni strutturali. Ci vorrebbe, però, un piano mondiale per la sicurezza alimentare che restituisca priorità ed efficienza alle produzioni locali, dando alle comunità e ai territori la capacità di produrre per se stessi, evitando, appunto, la speculazione che oggi è in atto sui cereali, nel consesso dell'economia mondiale.
Anche noi del Partito Democratico, senatore Mantica, lo auspichiamo e lavoreremo per una soluzione unitaria perché la voce dell'Italia, su questo punto, sia unitaria, forte e credibile anche in relazione ai legami storici molto forti e alle responsabilità che ci siamo assunti in questa regione grazie alla nostra capacità di starci in un certo modo, capacità riconosciuta in sede europea e in sede ONU.
Auspichiamo, quindi, un impegno forte, stando attenti, però, a non isolare la questione politica, geopolitica e geostrategica dalla questione economica perché tutto è connesso. La notizia di oggi, che ricordavano i colleghi, va nella direzione di un rafforzamento dello Stato somalo e di un processo di pacificazione complesso che, come tutti sappiamo, ha dato risultati deludenti in passato. Noi però non dobbiamo scoraggiarci, dobbiamo lavorare per la Somalia, una zona così strategica anche per i nostri interessi. L'area del Mar Rosso e del Corno d'Africa è importante anche per la lotta contro il terrorismo di matrice integralista. Abbiamo molte ragioni per occuparci di questa zona quindi dobbiamo approfittare di questa siccità e carestia per tamponare l'emergenza, ma, soprattutto, perché la comunità internazionale riprenda in mano la questione geopolitica e geostrategica e restituisca non solo ai somali uno Stato, ma dia stabilità a tutta una zona così importante per l'interesse dell'Occidente.
Ecco perché collaboreremo perché si proceda con questa mozione unitaria.
Auspichiamo anche che le forze della solidarietà, laiche e cattoliche, siano coinvolte Pag. 43e rafforzate nella loro capacità che hanno dimostrato anche in questi ultimi mesi di operare. Questa parte migliore dell'Italia, rappresentata da migliaia e migliaia di volontari che affrontano le emergenze che via via si fanno presenti, merita che la politica, il Parlamento italiano ed il Governo italiano siano al loro fianco. Questo è un altro tassello della nostra politica estera, che non è solo partecipazione militare, ma anche impegno solidale per costruire la pace (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Alfredo Mantica.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intendo intervenire ora perché vorrei rispondere direttamente alle molte mozioni che sono state presentate ed anche perché, essendo senatore, credo che domani avrò qualche problema al Senato su un altro provvedimento.
Io ringrazio tutti coloro che hanno presentato queste mozioni. Avevamo già iniziato il dibattito nella sede della Commissione. Vorrei rispondere e puntualizzare alcune questioni che sono state sollevate nella discussione sulle linee generali, perché ormai, soprattutto per i presenti in Aula, il quadro della situazione in Somalia è molto chiaro, sia nelle quantità numeriche sia nelle valutazioni che sono state già fatte.
Vorrei rispondere all'onorevole Touadi e ringraziarlo per il quadro che ha descritto di una situazione, che peraltro riguarda tutto il continente africano. Condivido molte delle preoccupazioni che sono state espresse. Nel caso specifico ritengo che siano solo alcuni dei fattori, che sono stati indicati, la causa destrutturale della carestia di cui stiamo parlando.
È una regione particolare. Parliamo di Etiopia e nello stesso tempo ricordiamo che in questo Paese scorrono 65 miliardi di metri cubi di acqua del Nilo e, quindi, l'Etiopia, per esempio, in questo momento sta facendo grandissimi investimenti idroelettrici. Sembra, come dire, una contraddizione il fatto che, chi pensa di vendere energia elettrica dall'acqua, nello stesso momento si trovi coinvolto in un problema di siccità. C'è una fascia particolare quella che dal Gibuti, cavalcando il confine della Somalia, arriva praticamente a nord del Kenya ed è una fascia nella quale anche alcune raccomandazioni che sono state fatte vanno un attimo anche qui definite. Ai tempi della fine di Siad Barre - all'inizio degli anni Novanta - due dati contraddistinguevano la Somalia: 9 milioni di abitanti (oggi francamente la stima è 6-7 milioni, non si sa esattamente quanti siano) e 50 milioni di animali (soprattutto cammelli, circa tre milioni, dieci milioni di bovini e il resto ovini) Ciò significa che c'era una grande ricchezza da un certo punto di vista (grosso modo dieci animali per ogni abitante) e vuol dire, per chi conosce questa realtà africana, che venti anni fa il nomadismo e l'allevamento, struttura portante della società somala, erano comunque una ricchezza che consentiva alla Somalia una vita e, pur attraversando periodi normali di siccità proprio per il tipo di configurazione geografica, aveva però consentito per così dire uno sviluppo equilibrato di quel Paese.
Così voglio ricordare che l'agricoltura, com'è stato ricordato più volte, è stata introdotta durante l'epoca coloniale italiana. Ancora oggi, per comprendere come è cambiata la realtà, basta andare a Jawhar, che gli italiani conoscono meglio come Villaggio Duca degli Abruzzi, che era considerato negli anni Trenta uno dei modelli mondiali di agricoltura di sussistenza - o quantomeno dedicato certamente alla produzione alimentare per le realtà locali - e che oggi praticamente è ritornato ad essere una savana, dove tutto Pag. 44è stato distrutto dal tempo, dall'incuria e dall'incapacità evidente delle classi dirigenti somale.
Si tratta, quindi di un mondo di nomadi, mondo che non conosce confini, un mondo che vive attorno ai pozzi d'acqua.
Anche questa rappresentazione clanica che giustamente facciamo perché è la base della struttura sociale somala con la quale si fa ogni volta il confronto anche quando si affronta il tema della materia politica, è poi nata da una realtà precisa cioè da questo possesso o controllo dei pozzi che nella realtà somala rappresentano ancora oggi la ricchezza e la potenza dei vari clan, perché alla presenza dell'acqua è ovviamente collegata la presenza di pascoli e conseguentemente la ricchezza data dagli animali.
Questa società agro pastorale basata su forme claniche con forme anche di amministrazione molto elementari ma comunque sufficienti, è stata poi travolta dalla questione della dittatura di Siad Barre e da quello che ne è conseguito. Tanto per capire cosa oggi dobbiamo affrontare, ricordo che la decisione assunta allora dall'ONU di inviare le truppe di Restore Hope in Somalia, nel 1992, era, dal punto di vista dei dati della siccità, molto meno preoccupante di quella che oggi viviamo. Restore Hope, lo ricordo, era stata una missione militare di pace, se vogliamo: ricordo che lo sbarco dei militari sulle coste di Mogadiscio era stato addirittura filmato dalle televisioni e sembrava più un reality show che non uno sbarco militare e doveva garantire la distribuzione di aiuti alimentari sul territorio. È ancora questo il problema.
Contesto l'onorevole Evangelisti che ha letto dei dati che conosco perfettamente. È vero che servono soldi, non siamo qui a dire che servono 1,6 miliardi di euro piuttosto che 1,9 miliardi di euro, ma non servono solo i soldi, perché la realtà del problema è che nessuno oggi è in grado di distribuire in Somalia più o meno niente. Quindi possiamo riempire tutti i magazzini, le banche del mondo e quei conti correnti espressi dalla solidarietà delle popolazioni del mondo ma la realtà è che in Somalia non si riesce a distribuire nulla. Il fatto che ci siano 450 mila profughi nel campo di Dadaab è perché nessuno riesce ad arrivare oggi in Somalia portando gli aiuti alimentari.
Quindi, il Governo italiano ritiene che la richiesta di denaro da parte delle organizzazioni internazionali e soprattutto delle agenzie dell'ONU non sia oggi l'elemento prioritario. Lo dico con profonda convinzione, perché i primi aiuti alimentari, ossia il primo carico - ne abbiamo mandati altri due sul territorio e anche nel campo di Dadaab - li abbiamo affidati alla Croce rossa internazionale e alla Croce rossa italiana e ad una ONG: voglio ricordare qui e ringraziare i membri del gruppo di AGIRE, che è un'associazione temporanea di emergenza che raccoglie alcune delle ONG italiane più direttamente coinvolte soprattutto nel campo di Dadaab e sono gli unici operatori che oggi lavorano in qualche modo sul territorio e quindi fanno arrivare gli aiuti direttamente alle popolazioni.
In questo quadro e sempre per essere molto chiari, perché non possiamo sempre auspicare nella vita, credo di dover dire, assumendomene la responsabilità, che se parliamo di criminalità dal punto di vista politico dobbiamo cominciare a indicare gli shabaab come dei criminali, perché non esiste al mondo, credo nella storia del mondo, un qualunque tipo di forza politica militare, terroristica, estremista o moderata che sia, che impedisca l'arrivo di aiuti di fronte alla morte di milioni di persone ma per quello che vi ho detto anche di milioni di animali, perché in questo momento non solo stanno morendo le persone ma anche gli animali e cioè la ricchezza e il patrimonio della Somalia. Quindi abbiamo un'emergenza oggi ma anche in prospettiva per molti anni, perché gli animali per tornare poi nella quantità attuale, ovviamente, avranno bisogno di anni.
Ebbene dicevo che chi oggi, controllando alcuni territori, impedisce l'arrivo di aiuti di fronte a questa situazione è un criminale e come tale credo vada indicato Pag. 45e considerato anche quando facciamo qualche discorso. Non c'è un uomo nero particolare, non c'è, voglio dire, una fattura di qualche mago nei confronti della Somalia: c'è una realtà oggi che dice che in metà della Somalia non è possibile arrivare con aiuti. Quando si è tentato di arrivare con aiuti dal nord nella zona di Bakool, attraverso tra l'altro un'organizzazione dell'ONU, l'Unicef, con un trasporti di beni e di aiuti di emergenza, contrariamente ad una prassi consolidata sul piano internazionale, i medesimi aiuti di emergenza sono stati scortati da miliziani armati perché solo costoro possono, in questo momento, consentire la penetrazione sul territorio somalo di aiuti umanitari. Questo vi dà un'idea della situazione.
Così è giusto parlare di Dadaab, però, evidentemente, per chi conosce la geografia della Somalia, viene più facile capire l'osservazione che sto per fare: Dadaab è al confine nord orientale del Kenya e al confine con le regioni controllate dagli shabaab.
Si fugge, cioè, dalla fame, si fugge dalla carestia, si fugge dalla morte, ma si fugge soprattutto dagli shabaab ovvero si fugge da dei criminali che stanno massacrando il popolo somalo. Evidentemente, non possono accorrere a Dadaab, neanche a piedi, coloro che vengono dal Somaliland, dal Puntland, dal Galgaduud, dal Benadir, cioè dalle zone del centro-nord della Somalia dove, con qualche fatica, si riesce anche ad arrivare a prestare degli aiuti. Questo va inquadrato.
Mi sento di rivolgere un'ultima osservazione critica proprio perché, per affrontare questa realtà, occorre anche capire i termini del problema; credo - e fornisco un dato assolutamente obiettivo, ma per spiegarvi anche le difficoltà nelle quali si muovono i Governi, come quello italiano, in azioni bilaterali - che non sia più possibile pensare che la macchina dell'ONU sia una macchina così elefantiaca, incapace di affrontare problemi di emergenza. Dal momento in cui sono apparse le prime notizie - parlo del mese di maggio -, le organizzazioni dell'ONU hanno impiegato più di due mesi per stabilire l'entità numerica delle esigenze della carestia e non perché mancano i contabili e non sanno fare le somme, ma perché vi è una pessima abitudine, da parte dell'ONU, di concordare con i Governi l'entità del problema. Credo che l'amico Touadi sappia esattamente cosa vuol dire, anche in termini politici, far risultare più o meno carestia in Etiopia piuttosto che in Kenya e magari scaricare di più in Somalia e, in qualche modo, mantenere un tipo di rapporto con i Governi che vi sono nella zona. Si è perso un mese e mezzo.
È stato detto - ed è ufficiale perché si tratta di una risposta ufficiale dell'ONU - che, tra il momento in cui all'ONU si dichiara l'emergenza e il momento in cui arriva il primo chicco di riso nella zona dove vi è l'emergenza umanitaria, passano mediamente tre mesi. Questi dati non consentono di giustificare poi questi appelli disperati di miliardi di dollari perché, forse, 200 o 300 milioni di dollari in meno, meno organizzazione, meno burocrazia, più flessibilità e più capacità di intervento avrebbero, non dico cambiato una situazione che non dipende evidentemente dall'ONU, ma consentito di affrontare questo dramma in maniera un po' più razionale ed efficace.
Aggiungo che esiste, ovviamente, come è stato detto da tutti, un problema politico; c'è, come ha detto prima il collega Farina, da parte della comunità internazionale, ma vorrei dire anche, con grande onestà intellettuale, da parte dell'Italia e dell'Inghilterra soprattutto, un cambiamento sostanziale di strategia nei confronti del rapporto con la politica della Somalia. Abbiamo insistito per anni sulle esigenze di un Governo transitorio che doveva rifare la Costituzione, affrontare i problemi, gestire la sicurezza e la sicurezza alimentare e così via. Ci siamo resi conto nel tempo, di fronte ai continui fallimenti - voglio ricordare che si tratta del quindicesimo tentativo in Somalia, da parte della comunità internazionale, di mettere insieme i cocci di questo Stato che non esiste più - che, proprio l'organizzazione Pag. 46sociale clanica, portava a far sì che alcune strutture territoriali in qualche modo funzionavano indipendentemente dal Governo transitorio federale.
È stato accennato al Somaliland, accenno al Puntland che, per gli esperti di materia, è la vecchia Migiurtinia, laddove è iniziata la colonizzazione italiana, e accenno anche al Galgaduud ossia ad alcune realtà dove la carestia si è meno manifestata perché in qualche modo, sia i canali di irrigazione, sia le fonti, sia la capacità delle strutture pubbliche di un minimo di intervento di fronte alla tragedia, hanno funzionato meglio, il che non vuol dire che non vi è la carestia e non vi è il dramma, ma che, di fronte alla carestia, al dramma ed alle emergenze, vi sono delle prime reazioni sul terreno o delle capacità di sopravvivenza su quei terreni che sono molto diversi dalle zone del centro-sud della Somalia controllate dagli shabaab.
È anche giusto dire che dobbiamo ringraziare le truppe africane sotto l'egida dell'ONU, in questo caso ugandesi e burundesi che, attraverso Amisom, hanno liberato Mogadiscio dagli shabaab durante il mese di agosto, qualche giorno prima che il Presidente turco Erdogan andasse a Mogadiscio stessa. Credo di dover apprezzare questo gesto importante da parte di un Capo di Stato che è andato in tale realtà drammatica, a Mogadiscio, che conosco, essendovi stato alla metà di luglio, con la moglie e con i figli a passare un weekend.
Quasi a dare un segnale di normalità, di normalizzazione ad un Paese che è lacerato drammaticamente dalla guerra civile.
In altre parole, c'è qualche segnale: il fatto che questa conferenza di Mogadiscio, come accennava l'onorevole Farina, abbia visto presenti attorno ad un tavolo, avendo le parti accettato di essere tutte attorno allo stesso tavolo - anche questa in Somalia è un'operazione quasi miracolosa - il Governo transitorio, cioè il Governo federale, quello che è insediato a Mogadiscio, ma che poco controlla al di fuori di Mogadiscio, ed anche il presidente del Somaliland, cioè la fascia che confina con Gibuti sul golfo di Aden, ed anche il presidente del Puntland, ed anche il capo di una formazione religiosa sufi, che per motivi religiosi (non chiedetemi quali sono questi motivi, perché faccio fatica a conoscere l'Islam e a capire le differenze: diciamo che sono sufi e quindi sono nemici mortali dal punto di vista religioso degli Shabaab). Siamo riusciti a mettere questi attorno ad un tavolo. È evidente, quanto al Governo italiano, uno sforzo in questo senso, perché se a quel tavolo si sono seduti il presidente del Puntland e il capo dell'organizzazione sufi Ahlus Sunnah wal Jamaah, questo lo si deve al nostro Paese, che ha aiutato, finanziato e ha voluto in qualche modo anche creare strutture e grandi interventi (i pochissimi interventi o piccolissimi interventi che facciamo in Somalia sono sostanzialmente concentrati in Somaliland e in Puntland).
Questo è un segnale forte, che dice anche che vi è questa politica di ritornare a controllare il territorio somalo attraverso le strutture che la Somalia e i somali conoscono, quelle più vicine al territorio e alla cultura del clan, auspicando che si possa immaginare una nuova Somalia, certamente unita ma federale, con grande autonomia di questi Stati, che in fondo finora si sono autogovernati, affidando al Governo centrale quella che è l'unità del Paese, attraverso certamente una politica estera comune, una politica di difesa comune, una politica di coordinamento, ma lasciando un'ampia facoltà di amministrazione autonoma a queste realtà.
Nell'auspicio che anche Chisimaio - che è il porto controllato dagli Shabaab e che è quello che dà ricchezza agli Shabaab, che vivono mettendo il pizzo su tutte le attività, anche quelle dei singoli, dei pastori e dei contadini che esistono in Somalia, ma Chisimaio è la forza economica principale - un giorno possa essere liberata dalla presenza di questi criminali e che si possa quindi anche nel sud, nella zona del Giuba, avviare un discorso di autogoverno. Pag. 47
Ecco, io credo che possiamo vivere queste emergenze cercando politicamente non di trasformarle in una cosa positiva, perché questo non è, ma cercando in qualche modo di approfittare di questo dramma per inserire elementi di positività, di riconoscimento di quella che è la realtà, di smetterla - e lo dico a me stesso prima che agli altri - di essere sempre gli occidentali che vanno ad insegnare a questi popoli come devono vivere. Vediamo anche qualche volta di capire prima come questi popoli sono vissuti per alcune migliaia di anni, anche sviluppando le loro culture, le loro tradizioni e le loro religioni. Per chi conosce la Somalia, la Somalia non è mai stata un Paese in cui è apparsa la sharia. La Somalia è sempre stato uno Stato e un'organizzazione sociale nel quale la religione ha sempre riconosciuto uno Stato profondamente laico. In Somalia, per chi la conosce, non esiste lo chador e non esiste il velo: le donne vanno, come tutte le donne africane, con splendidi vestiti colorati e certamente senza gli abbigliamenti che noi riconosciamo normalmente e attribuiamo alla tradizione islamica.
Voglio dire di far rivivere quella Somalia che abbiamo conosciuto fin dai tempi di Siad Barre e che noi italiani conosciamo assolutamente in maniera molto opportuna.
È anche giusto che vi dica, perché la cosa ha reso orgoglioso il sottoscritto ed il Governo italiano, che il Puntland sta apprestando una legge la quale prevede l'italiano come seconda lingua ufficiale. Ci hanno chiesto di intervenire, attraverso la formazione di quadri, affinché l'italiano torni a diffondersi in quella realtà, mantenendo questa presenza storica e culturale che ci ha contraddistinto.
Ebbene, io di fronte a tutto questo non ho altro da aggiungere. Vi devo dire che potrei dare anche le risposte alle singole mozioni che qua mi sono state presentate. Tuttavia sono di fronte ad una difficoltà che vorrei risolvere insieme a tutti i gruppi parlamentari presenti alla Camera dei deputati. Praticamente il Governo è favorevole a tutte le mozioni...

PRESIDENTE. Signor sottosegretario...

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vorrei fare un invito a presentare una mozione unitaria.

PRESIDENTE. È esattamente questo il motivo per cui la invitavo a non dare i pareri sulle singole mozioni.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Non darò i pareri, assolutamente, li daremo nel momento in cui non ci dovesse essere una mozione unitaria.
Dovrei dare un parere sostanzialmente favorevole con delle correzioni, peraltro molto formali, perché quando si impegna il Governo ad iniziare, ad avviare attività, allora vi è la precisazione: «continuando le attività». Ritengo che il significato politico del dibattito avvenuto in Commissione, del dibattito che è avvenuto qui in Aula - ancora ringrazio gli intervenuti - e dello sforzo che tutti i gruppi hanno fatto comunque per elaborare un documento, possa trovare una sua soluzione anche di aiuto, di consenso vero, in senso politico, al Governo se si riuscisse a fare una unica mozione unitaria del Parlamento. Il Governo sarebbe lieto di accoglierla, di farla propria e di dare questo segnale di forza, di condivisione di una linea. Il Governo è eventualmente disposto a discutere se qualche punto dovesse essere chiarito o verificato nel corso della presentazione della mozione unitaria. Proprio per quello che stiamo facendo, tra l'altro depositerò presso la Presidenza una scheda riassuntiva degli aiuti italiani perché riscontro nelle mozioni un insieme di cifre che sono abbastanza contraddittorie. Ho cercato di fare chiarezza sui contributi del Governo italiano, che non sono moltissimi, non sono qua a dire che abbiamo fatto dei miracoli, però è anche vero che, ad oggi, gli aiuti che noi stiamo dando in Somalia assommano a 21 milioni di euro. È ovvio che non c'è solo l'emergenza però, quando esistono tre progetti agropastorali nelle zone del Puntland e del Somaliland che sono iniziati nel 2010, continuano nel Pag. 482011 e finiscono nel 2012, credo, con grande trasparenza e senza ingannare nessuno, di poter sostenere che anche questo è un aiuto alla Somalia nella lotta alla carestia e nella lotta alla situazione della siccità che stiamo vedendo. È inutile che ve li legga, è un insieme di numeri abbastanza complicati, vorrei consegnare la scheda alla Presidenza della Camera perché diventi parte integrante della mia risposta in modo che anche i colleghi parlamentari possano avere questi dati, non dico certificati, ma che almeno rappresentano la dichiarazione del Governo sugli aiuti dati alla Somalia.
Rinnovo il mio invito a elaborare una mozione unitaria, il Governo ne sarebbe molto onorato perché rappresenterebbe un aiuto vero alla popolazione somala che guarda spesso all'Italia - questo è vero Touadi - con grande attenzione. Credo di poter dire che esiste un rapporto molto particolare tra l'Italia e la Somalia. Spesso penso che siamo più simili anche in alcuni comportamenti caratteriali e sociali di quanto non sembrino le differenze: un po' clanici lo siamo anche noi, da noi si chiamano corporazioni ma francamente mi pare che conosciamo bene la questione della frammentazione della società. Possiamo fare molto per la Somalia se riusciremo a operare anche in sede di comunità internazionale perché anche altri possano capire che esiste una cultura, una tradizione, uno Stato somalo in itinere che dobbiamo solo aiutare a che venga costruito, ma che deve essere costruito dai somali. Nessuno può sostituirsi ai somali per raggiungere i risultati che devono essere raggiunti.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,25).

MARIO PEPE (PD). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO PEPE (PD). Signor presidente, onorevole colleghi, è mio interesse e interesse delle istituzioni, ricordare quello che è accaduto il 14 agosto. Tale evento è stato celebrato dal presidente Amato nella comunità di Pontelandolfo in provincia di Benevento, ove fu determinato un massacro totale e pieno della popolazione. Questo ridente e meraviglioso comune della Campania interna, in provincia di Benevento - provincia che ha rischiato, come le altre, la soppressione - il 14 agosto del 1861 fu messo a ferro e fuoco dall'esercito piemontese. Quella strage fu una pagina triste: i bersaglieri, al comando del vicentino Pier Eleonoro Negri, inviati dal generale Enrico Cialdini per vendicare una quarantina di commilitoni massacrati, distrussero, con un eccidio inaudito, l'intera comunità di Pontelandolfo.
L'ottimo sindaco, dottore Testa, ha chiesto nel suo intervento il riconoscimento di città martire, che ha dato molto all'unità politica del Paese. Il presidente della provincia, professore Cimitile, ha ringraziato il professore onorevole Amato per la partecipazione alla rievocazione e ha ricordato l'impegno della provincia nella difesa degli ideali e dei valori del Risorgimento italiano. Il presidente Giuliano Amato, delegato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella qualità di presidente del Comitato per la celebrazione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, ha ringraziato le autorità e le popolazioni, sottolineando che, quando si è uniti, si può costruire un futuro nell'unità di intenti, come hanno testimoniato, in questa giornata, il sindaco di Pontelandolfo e il sindaco di Vicenza, da cui proveniva il colonnello Negri.
È stata una manifestazione di grande respiro patriottico, a testimonianza che la comunità di Pontelandolfo, memore del suo passato, possa essere inserita nell'albo delle benemerenze come città martire del nostro Paese.

Pag. 49

Per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo (ore 19,30).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo formalmente per sollecitare una risposta ad una interrogazione che ho presentato nella prima metà del mese di agosto, la n. 4-12992, ma soprattutto intervengo per un impegno che ho assunto, una promessa che ho fatto lunedì scorso ai lavoratori della Breda di Pistoia. Di che cosa si tratta? Loro sapevano benissimo che avevo presentato questa interrogazione, e che l'ho fatto il giorno in cui, straordinariamente, ci si era riuniti nella sala del mappamondo alla Camera per discutere o, meglio, ascoltare, il Ministro Tremonti sulla manovra finanziaria e che, quindi, non vi era stata la possibilità di evidenziare il dato politico che mi premeva sottolineare.
Che cosa è successo? Ai primi di agosto, l'amministratore delegato della Finmeccanica, Giuseppe Orsi, aveva annunciato, dalle colonne de Il Sole 24 Ore, l'ipotesi di vendita dell'industria Ansaldo-Breda di Pistoia. Si tratta di una scelta davvero incomprensibile, per un comparto produttivo importantissimo per la provincia di Pistoia, importantissimo per l'intera Toscana, ma, soprattutto, un segmento importante per lo stesso gruppo Finmeccanica, e non ci era stata data nessuna motivazione a questo. Proprio perché la Breda è una risorsa fondamentale di tutto il tessuto industriale della mia regione - lo ripeto, un fiore all'occhiello del manifatturiero di qualità italiana - oltre che una garanzia di lavoro per oltre millecinquecento famiglie, ho inteso formalizzare e richiamare oggi questa interrogazione, per dare dignità al problema nell'Aula di Montecitorio.
Per cui, ripeto, sollecito formalmente una risposta da parte del Ministro per lo sviluppo economico a questa mia interrogazione, e ribadisco qui la domanda in merito a quali iniziative intendano adottare i vari Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, per scongiurare un ulteriore impoverimento produttivo e sociale e la vendita di un settore strategico dell'economia nazionale e locale, anche impegnando Finmeccanica ad illustrare le reali intenzioni sugli assetti produttivi in Toscana e sul futuro specifico della Ansaldo-Breda.

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, intervengo per rappresentare al Parlamento, ma anche per richiamare il Governo, un fatto a mio avviso molto molto grave e delicato. Il 18 febbraio 2011, un'imbarcazione di pirati somali sequestrava una nave petroliera italiana, la Savina Caylyn, con tutto il contenuto e tutto l'equipaggio.
Sono passati sette mesi dal sequestro di 5 italiani (che rappresentano un po' tutto il nostro Paese perché provenienti da diverse città, da Napoli a Trieste) oltre che di 17 indiani che facevano parte dell'equipaggio e a me pare che siano stati abbandonati.
La netta sensazione è che non si sia fatto abbastanza per cercare di creare le condizioni per la loro liberazione. In questo senso, nel maggio del 2011, ho presentato un'interrogazione al Ministro degli affari esteri per capire in che modo il Governo italiano intendeva agire per far sì che terminasse questa lunga agonia che riguarda non solo i sequestrati, ma anche tutte le loro famiglie che stanno a casa. Ovviamente non ho avuto nessuna risposta, ma non è solo per questo che intervengo questa sera, ma anche perché domani mattina, in maniera spontanea e con un coordinamento spontaneo, davanti a Montecitorio ci sarà un presidio di familiari di tutte queste persone, di cui non si sa nulla. Pag. 50
Credo che in questo modo il Governo debba fare, anche di fronte a questa situazione, qualcosa di più preciso e di più impegnativo. Sappiamo che le risposte e le azioni che un Governo può dare si misurano con l'attenzione e l'impegno che il Governo stesso impiega. Si danno agli avvenimenti delle risposte a seconda dell'importanza o a seconda dei soggetti più o meno interessanti.
In passato ci sono state grandi pressioni mediatiche e grandi mobilitazioni rispetto a dei sequestri. Ci sono state azioni concrete politicamente, anche di questo Governo, rispetto ad alcuni sequestri in giro per il mondo, però non si può agire solo ed esclusivamente per questioni particolari, quando si tratta di persone facoltose e magari di uomini che sono rappresentanti del mondo della politica o che sono più nel mirino di tutti e che fanno parte del mondo del giornalismo e fanno notizia.
Credo che anche dei marittimi siano e debbano essere messi allo stesso livello di qualsiasi altra situazione, perché sono italiani come gli altri e le famiglie sono tutte uguali e sono in ansia e preoccupate. Mi preoccupo non tanto del fatto che il Governo in questo caso, dopo sette mesi, non abbia dato risposta ad un'interrogazione, ma quanto per il fatto che non intravedo nessuna azione incisiva rispetto a questa situazione.
Pertanto, domani mattina queste persone (che ovviamente non saranno molte, perché si sono coordinate spontaneamente) verranno qui con la forza della disperazione di chi, familiare di una persona rapita, non sa niente, il che significa che azioni e risposte non sono state date.
Signor Presidente, questo mio intervento vuole richiamare la Presidenza affinché solleciti in queste ore il Governo italiano non solo a dare domani mattina delle risposte, non solo a rispondere a un'interrogazione di cui si può fare a meno, ma per dare delle risposte concrete rispetto a quanto ha fatto finora. E se, come immagino, o non ha fatto o non ha potuto fare, si prenda l'impegno ad agire in maniera diversa e più incisiva per il futuro.

PRESIDENTE. Onorevole Compagnon, la voglio rassicurare della condivisione mia personale, ma penso di tutti i colleghi, del dramma di questi nostri connazionali rapiti e del dolore delle loro famiglie.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 7 settembre 2011, alle 10,30:

(ore 10,30 e ore 16)

1. - Seguito della discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2011, sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2011 e sul Programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze polacca, danese e cipriota (Doc. LXXXVII-bis, n. 1-A).
- Relatore: Pescante.

2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
MOFFA e TORTOLI; FARINA COSCIONI ed altri: Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di sicurezza sul lavoro per la bonifica degli ordigni bellici (C. 3222-3481-A).
- Relatori: Fedriga, per l'XI Commissione; Barani, per la XII Commissione.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Renato Farina ed altri n. 1-00702, Evangelisti ed altri n. 1-00705, Binetti ed altri n. 1-00706, Di Biagio e Della Vedova n. 1-00707, Mosella ed altri n. 1-00708 e Tempestini ed altri n. 1-00709 Pag. 51concernenti iniziative in relazione alla grave carestia che ha colpito il Corno d'Africa.

(ore 15)

4. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

(al termine delle votazioni)

5. - Svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta termina alle 19,40.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 3 agosto 2011, a pagina 39, prima colonna, alla trentesima riga la parola «Opponete» deve essere sostituita dalla seguente: «Proponete».