Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 487 di giovedì 16 giugno 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 10,30.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Galati, Lusetti e Misiti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (A.C. 4357-A) (ore 10,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia.
Ricordo che, nella seduta del 15 giugno 2011, è iniziata la discussione sulle linee generali.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 4357-A)

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mentre tutto il Paese si interroga su come realizzare gli obiettivi della crescita, pure in un quadro di stabilità dei conti pubblici, così come chiede l'Europa, ed il Governo e i partiti della maggioranza sembrano discutere, anche piuttosto animatamente tra di loro, della riforma fiscale, di come farla senza produrre deficit, di quante aliquote fissare, di come si debba finanziare la riforma fiscale, nonostante il monito della Commissione europea che ci invita a destinare ogni risorsa alla riduzione del debito, insomma, mentre si discute di tutto questo nel Paese, il Governo e la maggioranza partoriscono il presente decreto-legge che è davvero ben poca cosa rispetto alla discussione che sta impegnando tutti, come leggiamo ogni giorno sulle pagine dei giornali, e che sta impegnando anche la maggioranza, i partiti che la compongono ed il Governo.
A leggere le pagine di questo decreto-legge sembra che quella discussione sia finta, sia una discussione che non esiste, sia soltanto un modo, per il Governo, per tentare di recuperare un consenso che ormai va spegnendosi. In questo decreto-legge non vi è neanche un accenno a quei Pag. 2problemi che si pongono nella discussione politica, nelle televisioni, nelle trasmissioni, sui giornali, nel dibattito - finto, come dicevamo - tra le parti politiche della maggioranza. Questo decreto-legge, nella sostanza, sembra fuori dal contesto perché non affronta alcuno dei problemi che riguardano la crescita del Paese, ma sembra piuttosto un provvedimento omnibus, una sorta di «zibaldone legislativo», che reca un titolo ambizioso (disposizioni urgenti per l'economia) e che sulla stampa viene indicato addirittura come il cosiddetto decreto sviluppo. Invece, si occupa di microquestioni di scarsissima rilevanza.
Intendiamoci bene: alcune delle questioni contenute in questo decreto-legge rappresentano soltanto degli spot, altre affrontano dei problemi, ma in maniera peggiorativa, ed altre ancora, invece, sono condivisibili. Tutte insieme, però, non servono in alcun modo a dare la scossa all'economia che più volte è stata annunciata e che ancora il Paese attende. La verità, che pochi hanno il coraggio di dire, è che scosse all'economia, in questo Paese, in questo momento della nostra vita politica ed istituzionale, non ce ne saranno. Le scosse all'economia, infatti, le riforme importanti, come la riforma del fisco, e le altre riforme che servirebbero per restituire ai giovani il futuro che la politica debole, incapace di decidere, senza coraggio, ha loro sottratto, i Governi possono farle all'inizio della legislatura e non alla fine, possono farle quando sono forti, autorevoli, quando godono di prestigio e di autorevolezza tra i cittadini.
Ma vi pare che questo Governo abbia la forza e l'autorevolezza per occuparsi delle riforme necessarie e strategiche come quella del fisco? Ma c'è qualcuno che oggi possa pensare che questo Governo abbia questa forza? Persino su questo provvedimento, che era un provvedimento minore, avete avuto difficoltà in Commissione - mi rivolgo ai colleghi della maggioranza - e siete stati costretti - mi rivolgo al Governo - a mettere la fiducia perché la vostra maggioranza è traballante, è legata agli umori di qualche «responsabile».
Mi chiedo che cosa accadrà quando dovrete fare la manovra, non necessariamente quella da 40 miliardi che chiede l'Europa, ma anche quella che voi avete definito di semplice manutenzione. Come terrete insieme una maggioranza che sembra aver perduto ogni collante? Come potete fare la riforma del fisco se continuate a rappresentarvi all'Europa non come quelli che vogliono utilizzare le riforme e soprattutto la leva fiscale per conseguire l'obiettivo della crescita, seppure in un contesto di stabilità dei conti, ma piuttosto come quelli che pensano che la riforma fiscale debba essere uno strumento per recuperare consenso nel dibattito politico interno, magari facendola anche in deficit o con dubbie coperture, magari strappandola al Ministro Tremonti che abbiamo più volte contestato per i suoi tagli lineari? Tante volte abbiamo detto che anche i tagli lineari di Tremonti rappresentano un modo di procedere della politica debole, incapace di scegliere tra la spesa pubblica cattiva e la spesa pubblica buona, incapace di fare tagli selettivi e di porre mano ad un'opera ambiziosa, ma anche maggiormente equa di spending review.
A Tremonti tuttavia riconosciamo il merito di non essersi aggiunto al coro ipocrita di quelli che ritengono che ogni principio possa essere sacrificato sull'altare dell'opportunismo di parte.
La verità è che ancora molti di voi discutono come se la leva fiscale e le scelte di politica economica fossero ancora tutte, signor Presidente, nella disponibilità esclusiva dei governi nazionali, come se le regole della nuova governance economica europea non ci fossero, come se la dimensione del nostro debito pubblico - 1890 miliardi di euro e 80 miliardi di interesse all'anno - associata alla bassa crescita strutturale del PIL non ci imponessero invece di guardare all'Europa con la stessa attenzione che si deve a chi potrebbe essere il nostro fideiussore contro la speculazione finanziaria internazionale.
Non è possibile per la Germania «infischiarsi» dell'Europa. Figuratevi se è possibile per noi! Ed infatti il massimo Pag. 3che in queste condizioni il Governo riesce a produrre è questo «piccolo» decreto-legge che impropriamente sui giornali - ripeto - molti definiscono decreto sviluppo. Dicevamo un decreto-legge delle piccole cose alcune delle quali anche condivisibili, come quelle che riguardano il credito di imposta sia quello per la ricerca scientifica sia quello per l'occupazione nel Mezzogiorno. Su quello per l'occupazione nel Mezzogiorno però abbiamo rilevato, anche nella discussione in Commissione, che, per quanto possa essere da condividere un intervento che si pone per obiettivo di affrontare in qualche modo il tema della disoccupazione nel Sud, il credito di imposta non è assolutamente sufficiente, non è uno strumento da solo assolutamente sufficiente.
Infatti, nel Mezzogiorno la disoccupazione assume dimensioni estremamente più gravi che nel resto del Paese. Si pensi che nel sud, secondo le stime dello Svimez ma anche secondo i dati dell'ISTAT, meno di un giovane su tre lavora. La disoccupazione è però nel Mezzogiorno l'effetto di un altro problema che è costituito dalla debolezza strutturale del tessuto economico delle Regioni meridionali, delle Regioni obiettivo convergenza. In pratica le imprese non assumono perché non possono, perché non riescono a trovare o a sviluppare mercati significativi e ho paura che l'intervento sul credito di imposta per i nuovi assunti nel sud si possa trasformare in un incentivo soltanto per chi avrebbe assunto altri lavoratori e non in un ampliamento della base occupazionale.
Comunque qualcosa per l'occupazione nel Mezzogiorno è in ogni caso meglio di niente.
Siamo felici invece di aver contribuito a migliorare notevolmente questo provvedimento con un nostro emendamento che, peraltro, recepisce una specifica richiesta di Confindustria. Mi riferisco all'emendamento che poi ha trovato posto nel testo del decreto-legge come articolo 2-bis.
È quella norma che riguarda il credito d'imposta anche per gli investimenti che le imprese faranno nelle aree sottoutilizzate, nelle regioni del Mezzogiorno, investimenti in innovazione, laddove le imprese hanno maggiore bisogno di essere innovative per poter competere. Abbiamo proposto in sostanza - e il Governo ha accettato la nostra proposta - di ripristinare il vecchio credito d'imposta già previsto nella finanziaria del 2007 per le imprese che acquistano nuovi beni strumentali destinati a strutture produttive ubicate nel Mezzogiorno.
La vera novità però di questo intervento consiste nella sua copertura: noi abbiamo chiesto che questa iniziativa fosse finanziata non con fondi ordinari dello Stato, bensì proprio con i fondi di derivazione comunitaria, con le risorse per esempio del Fondo di sviluppo regionale e con quei fondi dei piani operativi regionali che spesso non vengono spesi o che vengono spesi male. Vorrei ricordare che al 31 dicembre dell'anno scorso soltanto il 9 per cento di questi fondi comunitari era stato rendicontato alle regioni del sud; la media in Europa era del 18 per cento. Entro il 31 dicembre di quest'anno dovranno essere spesi e rendicontati, quindi non solo impegnati, ma spesi, erogati e rendicontati, ben 8 miliardi di euro di queste risorse, altrimenti, per effetto della regola del disimpegno automatico, queste risorse torneranno a Bruxelles, affinché possano essere assegnate a regioni europee più virtuose nella spesa dei fondi per conseguire l'obiettivo della convergenza.
Ebbene, noi abbiamo chiesto che questo intervento si finanziasse con queste risorse, per dare al Governo la possibilità di utilizzare un altro strumento per velocizzare e qualificare la spesa delle risorse comunitarie, non il FAS, bensì proprio le risorse destinate a fare sviluppo attraverso l'investimento nelle imprese. È un intervento virtuoso, perché interviene proprio sui processi di innovazione del sistema produttivo ed imprenditoriale del Mezzogiorno. È un intervento che potrebbe piacere anche al nord, non è orientato soltanto al sud, ma potrebbe piacere anche al nord intanto perché dimostra che si può intervenire con agevolazioni per il Mezzogiorno senza determinare sprechi. Pag. 4
Spesso queste risorse vengono orientate attraverso finanziamenti a fondo perduto, che determinano anche uno scadimento nella cultura d'impresa, perché molti vanno dove c'è il finanziamento e non dove c'è il mercato. Ebbene, noi con questo strumento abbiamo pensato ad un incentivo automatico, come il credito d'imposta, che come dicevo dovrebbe piacere anche al nord, perché è evidente che, se le imprese del Mezzogiorno decidono di utilizzare questo strumento comprando beni ed attrezzature, noi facciamo un favore e una cosa positiva anche per le imprese italiane che operano nel manifatturiero e che questi beni possono fornire alle imprese del Mezzogiorno. Quindi siamo orgogliosi di aver proposto questo intervento e siamo felici che il Governo lo abbia accolto.
Ho ascoltato ieri qualche collega lamentarsi del fatto che questo intervento non sia stato finanziato con le risorse del FAS. Io ho un'opinione esattamente opposta: le risorse del FAS che nel decreto-legge in esame oggi, per effetto di qualche altro emendamento, verranno per esempio impiegate per finanziare, anche a titolo di anticipazione, ma forse anche a titolo definitivo, il credito d'imposta per l'occupazione, sono risorse che invece vanno utilizzate per le infrastrutture, per i porti, per le strade, per le cose che mancano al Mezzogiorno affinché il Mezzogiorno si possa sviluppare. Utilizzarle per finanziare il credito d'imposta per l'occupazione significa anche procedere ad una sorta di dequalificazione della spesa di queste risorse, che invece sono strategiche nella misura in cui riescono ad essere investite per dotare il Mezzogiorno delle infrastrutture necessarie.
L'obiezione che veniva mossa era questa: siccome non si finanziano con le risorse del FAS, ma si finanziano con i fondi contenuti nei programmi operativi regionali ci deve essere l'assenso delle regioni - questo è vero - ma soprattutto ci deve essere l'assenso della Commissione europea, che si diceva potrebbe vedere in questo strumento anche un'infrazione delle regole sulla concorrenza.
Non è così, perché la virtuosità sta proprio nel fatto che questo strumento costituisce una modalità per spendere meglio le risorse di provenienza comunitaria del Fondo di sviluppo regionale.
È vero che questa misura dev'essere approvata dalla Commissione europea, così come quella sul credito di imposta per i nuovi occupati, ma è una misura perfettamente compatibile con il Patto Euro plus, stipulato dal Consiglio d'Europa il 24 e 25 marzo scorso. In esso - e lo leggo testualmente proprio per fugare i dubbi di qualche collega intervenuto ieri in questo dibattito - si prevede che: «per assicurare la diffusione di una crescita equilibrata in tutta la zona euro, saranno previsti strumenti specifici e iniziative comuni ai fini della promozione della produttività nelle regioni in ritardo di sviluppo».
In sostanza, proprio nel mese scorso, il problema degli squilibri territoriali e quello della possibilità di affrontarli, anche attraverso la leva della fiscalità di vantaggio, sono stati introdotti nell'agenda europea delle priorità.
Siamo felici, quindi, di aver migliorato, con questo intervento, il testo del decreto-legge. Al contrario, siamo dispiaciuti che in esso siano contenuti altri interventi che ci preoccupano. Per ragioni di tempo mi limito a fare soltanto due esempi.
In primo luogo, la questione dell'Autorità per le risorse idriche: nel testo, voi prevedete di istituire un'Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, composta da membri nominati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente. Noi, invece, abbiamo chiesto di costituire una vera e propria authority o di stralciare questa norma perché l'agenzia che avete in mente rischia soltanto di essere un nuovo carrozzone.
Proprio dopo il referendum dei giorni scorsi, invece, è assolutamente necessario che vi sia un organismo realmente indipendente - quindi, con membri nominati non dal Governo, ma realmente indipendente - che vigili sull'entità delle tariffe, affinché il costo della acqua non sia caricato sulla fiscalità generale dei comuni, e che vigili soprattutto sull'entità e sulla Pag. 5qualità degli investimenti nelle reti idriche. Il rischio, infatti, potrebbe essere quello di fare invecchiare ulteriormente le reti idriche del nostro Paese, in tanti casi già molto vetuste, per l'indisponibilità del pubblico a sostenere gli investimenti necessari.
Noi avevamo chiesto che questa Autorità fosse realmente indipendente, perché l'esito del referendum ha generato anche una pericolosa identità tra soggetto regolatore e soggetto regolato. In sostanza, da oggi è lo stesso ente locale ad essere, nel medesimo tempo, regolato e regolatore. Per questo motivo occorre un soggetto terzo, assolutamente indipendente dal potere politico, che, altrimenti, sarebbe, per l'appunto, controllore e controllato.
Allo stesso modo, non siamo soddisfatti della formulazione dell'articolo 7, che riguarda la questione della riscossione. In particolare, non ci piace la parte concernente la riforma della riscossione per i comuni. Con questo intervento, infatti, avete voluto fare un favore ad Equitalia, lasciandole, per così dire, la polpa e liberandola, invece, della sua attività più fastidiosa, ossia la riscossione dei tributi e delle entrate locali, le quali, spesso, per Equitalia, hanno un costo maggiore e pretendono un carico organizzativo ben più complesso. Avete previsto che in futuro siano i comuni a dover provvedere alla riscossione delle proprie entrate locali.
In sostanza, mentre la Camera, solo qualche giorno fa, ha approvato una mozione che fissa i criteri per la riscossione delle entrate da parte della società Equitalia, con l'intervento legislativo che avete previsto in questo decreto-legge, si lasciano sostanzialmente immutati tali criteri, modificando, invece, i soggetti interessati dalla riscossione.
C'è quindi il rischio che per i contribuenti non cambi nulla rispetto alla situazione attuale, mentre aumenteranno i costi derivanti dalla costituzione di un gran numero di piccole società che dovranno provvedere alla riscossione per conto dei comuni che non saranno in grado di procedere in proprio. C'è il rischio, lo si evince leggendo questa norma, che ci possano essere fra qualche mese 8 mila piccole società di riscossione, 8 mila piccole Equitalia, una per ogni comune. Avreste almeno potuto lasciare ai comuni la facoltà di scegliere se avvalersi o meno di questa possibilità, se cioè utilizzare l'agenzia di riscossione nazionale oppure costituire una nuova agenzia. Avreste almeno potuto proporre una norma che orientasse i comuni a costituire nuove società associandosi però tra loro, e invece niente. Il risultato sarà che i comuni più grandi riusciranno forse ad attrezzarsi, mentre per i comuni più piccoli sarà molto difficile adeguarsi alla norma in tempo. Non si capisce neanche che cosa accadrà nella fase transitoria; se un comune non dovesse essere nella condizione di costituire la sua società per la riscossione o di costituire un ufficio capace di occuparsi della riscossione, cosa accadrà a quel comune? Cosa accadrà in questa fase transitoria? Di questa norma, cari amici della maggioranza, saranno felici soltanto quelli che troveranno, in queste nuove piccole società locali, qualche poltrona da scaldare grazie alla compiacenza della politica locale.
Ho fatto solo alcuni esempi delle cose che non ci piacciono in questo provvedimento ma, l'ho detto all'inizio e così voglio concludere, questo decreto-legge rappresenta per noi il provvedimento delle occasioni perdute; poteva essere lo strumento per anticipare concretamente alcuni temi della discussione che è in atto nel Paese e così non è stato, a causa delle debolezze e delle contraddizioni della maggioranza.
Noi ci auguriamo che voi non facciate lo stesso errore nella manovra economica che da qui a qualche settimana dovremo affrontare; se troverete la forza, la capacità e la lucidità per fare del Parlamento il luogo dove si discutono le riforme che sono necessarie all'economia del Paese e alle generazioni future noi, nel rispetto dei reciproci ruoli, di maggioranza e di opposizione, daremo il nostro contributo dicendo ciò che condividiamo, ciò che non condividiamo; contribuendo così a migliorare, Pag. 6se possibile, il testo dei provvedimenti legislativi che proporrete. In questa occasione purtroppo ciò non è avvenuto, l'auspicio è che possiate recuperare la lucidità necessaria per governare il Paese, non tanto nel vostro interesse, in quello della maggioranza, ma soprattutto nell'interesse dei cittadini che si aspettano un Governo forte, autorevole e capace di affrontare i grandi temi sul tappeto nel Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Codurelli. Ne ha facoltà.

LUCIA CODURELLI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, questo decreto-legge, come è stato ricordato da più interventi, è carente, superato, fuori contesto; mancano i riferimenti alla manovra e alla crescita e quanto è avvenuto in questi giorni nelle Commissioni e il dibattito in corso ne sono la conferma più netta: millecinquecento emendamenti e l'annuncio dell'ennesimo voto di fiducia. È questo un decreto-legge che non dà impulso alla crescita, non aiuta lo sviluppo del Paese, è stato ancora una volta pensato per la campagna elettorale, ma non ha avuto l'esito per voi sperato, come dimostrano le elezioni amministrative e i referendum. È mancato poi l'accorpamento delle elezioni con i referendum perché vi siete opposti e il Governo è responsabile per aver buttato al vento una bella cifra che invece avrebbe potuto essere spesa e investita in questo documento che si sta discutendo.
Ancora una volta ci troviamo ad esaminare un provvedimento enfatizzato con l'ambizione di effettuare riforme continuamente annunciate e a costo zero. Ma i miracoli, dopo anni di annunci, non ci sono e infatti la crescita nel nostro Paese è inferiore rispetto a quella dei principali Paesi europei. Ora che tutta questa propaganda è fallita sarebbe cosa buona e giusta che il Governo per una volta pensasse ai veri problemi del Paese, alla crisi ancora in atto, alla ripresa che non c'è, alle disuguaglianze sempre più forti, alla precarietà e alla disoccupazione di giovani e donne, con cifre da brividi, e a una natalità in drammatico calo.
Questa è la fotografia di questo Paese in declino. Stiamo parlando di un tasso di disoccupazione tendenziale oltre il 18,4 per cento, con punte fino al 40 per cento al sud. Nel nostro Paese sono quindici milioni le persone a rischio di povertà ed esclusione sociale. Le famiglie italiane si trovano a combattere quotidianamente contro mille difficoltà, in particolare le donne, oggi vero pilastro del welfare di questo Paese. Il sistema è in crisi strutturale e proprio grazie alla politica di questo Governo è a rischio di collasso. Nel decreto, a parte alcune apprezzabili semplificazioni di procedure non c'è nulla e queste dovevano già essere fatte da prima. Ricordo, forse è necessario, che esiste un Ministro ad hoc, mai successo, ma i risultati sono nulli, al di fuori di un falò.
Non è chiaro per niente con quali e quante risorse si intenda finanziare la ricerca, le assunzioni nella scuola e non ci sono risposte per le migliaia e migliaia di lavoratori precari. Assistiamo invece alla scena del Ministro Brunetta che non ha altro da dire, offendendo, che questa è la parte peggiore dell'Italia. Purtroppo, però, ha detto ciò che veramente pensa, perché tutti i suoi, i vostri, provvedimenti negli anni sono stati volti a peggiorare le condizioni di lavoro con le più disparate norme approvate. La parte peggiore del Paese, lasciatemelo dire, è un Ministro della Repubblica che offende e sta distruggendo questo Paese, per questo si deve dimettere lui ed il vostro Governo intero. La denuncia fatta è infatti sacrosanta e noi, come Partito Democratico, l'abbiamo fatta in occasione di tutti i provvedimenti che avete varato, quei provvedimenti che sono fermi, che sono ancora proposte, perché quelli ad iniziativa parlamentare non vanno avanti.
Oggi è offensivo parlare di innovazione quando invece è «precarietà istituzionalizzata» all'interno delle agenzie tecniche che curano, per conto della pubblica amministrazione, le politiche che dovrebbero combattere la crisi occupazionale, promuovere la coesione sociale, favorire i Pag. 7processi di sviluppo ed innovazione mentre il Ministro li considera la parte peggiore dell'Italia. È offensivo verso tutti all'esterno, ma soprattutto verso il Parlamento.
Per affrontare la crisi, questa grave crisi, non occorrono insulti, ma politiche incisive, coerenti e legate tra di loro, noi le abbiamo fatte e oggi tutti i nodi stanno venendo al pettine dopo i tagli impressionanti al sociale, ai comuni e alla scuola. Il Paese è più povero e la ripresa non si intravede, d'altra parte non ci può essere, perché i redditi sono troppo bassi, la povertà è in aumento e di conseguenza, inevitabilmente, ricade sui consumi e le imprese. Credo che anche i più sprovveduti lo possano capire.
Sarebbe significativo se dal Servizio studi della Camera, faccio un esempio, arrivasse il dato drammatico del numero di interventi svolti in quest'aula da ogni singolo parlamentare e dai gruppi, in primo luogo dal mio, presso il Parlamento, atti di indirizzo, interrogazioni, risoluzioni, mozioni. Ma numerosi sono anche gli interventi presso i Ministeri del lavoro e della pubblica amministrazione e dell'innovazione per i problemi legati alla cassa integrazione, alle tante chiusure delle fabbriche; gli incontri sulle tante crisi in atto per le delocalizzazioni aziendali e le centinaia e centinaia di tavoli aperti, inconcludenti, quanti senza che il Governo dia un'idea di come stia intervenendo in tutto l'ambito di una politica di intervento diverso da una politica industriale. Tutto è invece lasciato al caso. Stamattina quello dell'Eutelia è il classico esempio - quante volte ne abbiamo parlato in quest'Aula? - i suoi lavoratori stanno manifestando perché il problema ancora non è risolto. Questo è uno dei tanti e tanti esempi, ma è anche quello che rende bene l'idea.
La discussione odierna sul testo è pesantemente condizionata dall'attesa della futura manovra di correzione dei conti pubblici. È assolutamente necessario che il Governo indichi come intenda reperire le necessarie risorse finanziarie e che possa, quindi, avviarsi un confronto serrato su questi temi. Un atto doveroso verso il Paese, anche in considerazione del fatto che sono trascorsi oltre tre anni dall'inizio di questa legislatura.
Il Paese ha urgentemente bisogno di un intervento organico, e non di spot, per risalire la china, ma il tempo è ora, adesso, e non domani. Ancora una volta sottolineo che non può essere questo lo strumento. Un'aspirina oggi non serve; occorre un ricostituente forte ed energetico che possa aiutare il Paese da nord a sud, a partire da un sostegno all'occupazione giovanile e delle donne, vere risorse del Paese. Sostenere lo sviluppo significa far ripartire ciò che oggi è fermo, e cioè dare speranza al futuro, come la possibilità per i nostri giovani di costruirsi una famiglia, di rendersi autonomi, di avere una casa ad un prezzo accettabile, di avere un accesso ai servizi, di essere padroni appunto del loro futuro. Solo nel settore dell'edilizia - faccio un esempio che attiene a questo - negli ultimi due anni sono stati persi oltre 200 mila posti di lavoro.
È necessario, quindi, rilanciare con investimenti strutturali seri un vero piano per la casa e saper conciliare crescita, risanamento ed equità, questioni fondamentali non affrontate nel provvedimento, come non è affrontato il Patto di stabilità interno, ingiusto, un vero blocco alla nostra crescita, un blocco per i comuni in ginocchio: hanno le risorse e non le possono spendere, con ciò che ne consegue per il benessere dei cittadini e delle famiglie, sempre più in difficoltà. In più sono costretti ad aumentare le tasse e a metterne di nuove, un centralismo questo dei peggiori; altro che federalismo! Questo provvedimento va in tutt'altra direzione.
Inoltre, proprio i ritardi sui pagamenti ai fornitori da parte della pubblica amministrazione stanno mettendo in ginocchio artigiani e aziende. Credo che tutti voi abbiate sentito in questi giorni l'appello da parte delle associazioni (non solo dalla CGIL, ma da Confartigianato, Confindustria e di tutte le altre). È stato messo un vero tappo sugli investimenti alle infrastrutture. Mancano questi interventi, richiesti a gran voce dai nostri sindaci, e non solo, invece il provvedimento contiene Pag. 8norme particolarmente gravi e negative che, se così approvate, destrutturerebbero il sistema ispettivo di controllo delle imprese, in particolare sul versante del lavoro nero, del sommerso e dell'evasione contributiva e sulla sicurezza.
Il Paese ha bisogno di tutto, all'infuori di questo, visti i dati drammatici che abbiamo di fronte, anche in questi giorni, sulla corruzione e a quanto sta avvenendo, norme di cui il Paese proprio non ha bisogno. L'illegalità diffusa è sempre più in aumento e l'ultimo rapporto sulla corruzione dovrebbe far riflettere e imporre trasparenza ed efficienza sì, rispetto alle regole però, a partire dallo Stato, a partire da questo Governo, non invece dalla previsione di deregolamentazioni.
Vi sono grandi contraddittorietà tra quello che si fa qui e quanto accade recentemente nelle province, dove la prefettura sottopone agli enti locali protocolli. Si tratta dell'esercizio più diffuso di questo Governo per tener buoni ed occupati i vari livelli di Governo decentrati, che ci sono, per cui non c'è bisogno di portare al Nord i Ministeri perché ci sono già, ma bisogna dargli gli strumenti e farli funzionare. Mi riferisco ai protocolli per evitare infiltrazioni criminali, per il conferimento degli appalti pubblici oppure sulla sicurezza (come quello che è avvenuto nella mia provincia). Vi sono contraddizioni, come dicevo, tra il protocollo predisposto dalla prefettura sulla base di uno schema del Ministero dell'interno e le norme previste in questo documento.
Cito solo l'articolo 2 sull'occupazione nel Mezzogiorno: nulla a che vedere veramente con quanto era opportuno, dopo tre anni e le cancellazioni di quanto aveva previsto il Governo Prodi nel 2006 a favore delle imprese che operano nel Mezzogiorno. Era molto diverso e più efficace. Solo grazie a un emendamento del Partito Democratico approvato in Commissione non rimarrà solo - ce lo auguriamo - un annuncio per favorire l'occupazione femminile, altrimenti sarebbe stato inapplicabile. Il problema dell'occupazione è tra i peggiori, ma manca completamente una vera incentivazione (oltre alle nuove assunzioni, anche gli investimenti realizzati, non solo annunciati), manca completamente il sostegno degli investimenti per affrontare la situazione drammatica del Sud, con un intento di stabilità che dovrebbe essere finalizzato a creare i presupposti per maggiori investimenti, al fine di dare un quadro di certezza alle imprese, perché il problema è la mancanza di una certezza che oggi non c'è e nemmeno si intravede. Vorrei poi sottolineare un capitolo che credo sia importante, di cui non c'è traccia naturalmente, perché non si pensa allo sviluppo e a come usciremo da questa crisi.
Sugli ammortizzatori sociali per cui si stanno spendendo risorse e per i quali il Governo dice di spendere tantissimo, di essere bravo, sottolineo che questo si è potuto fare grazie alle riforme fatte non da questo Governo. Anzi, solo alcuni anni or sono, un anno e mezzo o due anni fa, con la leggerezza e la spregiudicatezza che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali usa oggi sulla contrattazione e su altro, in relazione allo «scasso» provocato sulle pensioni, egli aveva detto che in quel momento andavano azzerati. Ma gli ammortizzatori - dicevo - sono oggi interamente pagati dai lavoratori e dai pensionati. Intanto nulla è previsto sul reinserimento al lavoro e ciò sta diventando l'altra vera emergenza. Tante e troppe risorse sono disperse per via clientelare, a partire dalla mia regione. Vi è una vera sclerotizzazione nell'affrontare i problemi come il pensionamento coatto dei pubblici dipendenti: l'allungamento di un anno per tutti, cinque anni in più per le donne e finestre di scorrimento tese esclusivamente a smantellare il sistema pensionistico e previdenziale. Poi avete il coraggio di parlare di riforma! Si tratta di una destabilizzazione che va assolutamente rivista, pena la deregolamentazione totale.
Oggi ci sono lavoratori e lavoratrici in mobilità senza certezze. Lavoratori che hanno pagato per il ricongiungimento dei contributi e oggi si chiede loro di pagarli ancora. Lavoratori che sono in mobilità a cui si chiede di pagare nuovamente cifre insostenibili fino a 200 o 300 mila euro, un Pag. 9vero furto legalizzato verso lavoratori che hanno lavorato onestamente una vita pagando i contributi, non rubando. Poi la ciliegina: un anno in più di lavoro senza avere in cambio nulla in più rispetto ai versamenti fatti. Si tratta di un vero salvadanaio per il Tesoro e per l'INPS, per il quale si fa bello il presidente, ma ancora oggi molti lavoratori sono lasciati a casa in previsione della pensione, senza nessuna copertura né di cassa integrazione, né di mobilità, né di pensione. Questa è la realtà drammatica che abbiamo di fronte. Ecco chi sta pagando la cassa integrazione oggi: sempre i lavoratori dipendenti agli altri lavoratori mentre il presidente dell'INPS si osanna da solo.
Occorreva una svolta per la ripresa, invece nulla, e ciò non fa che aumentare la distanza dell'Italia dalla media dei Paesi europei. Sempre e solo annunci, firme di protocolli e poi nulla nei provvedimenti. Ricordo un altro protocollo, perché è impossibile non farlo, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il protocollo firmato dal Ministro con le varie associazioni sociali ed economiche e successivamente venduto con molta enfasi per l'8 marzo, vendendo fumo. Tale protocollo così recita: «Occorre un'azione sinergica a tutti i livelli fra le iniziative legislative, le politiche sociali e quelle contrattuali, a sostegno della conciliazione, ricercando e implementando soluzioni innovative, tanto di tipo normativo che organizzativo, che possano agevolare la cura dei bambini e degli anziani, anche al fine di contribuire alla realizzazione di contesti lavorativi tali da agevolare una migliore conciliazione della responsabilità lavorativa e di quella familiare per le donne e per gli uomini». Ma ancora una volta il primo inadempiente rispetto ai provvedimenti è il Governo a partire ancora da questo provvedimento, perché senza risorse non si può fare nulla.
Ma non solo. È una doppia beffa perché le risorse sono risparmiate proprio sulla pelle delle donne. La grande mobilitazione del 13 febbraio scorso dovrebbe ancora essere ricordata perché diceva «se non ora, quando?», ma il quando non esiste per questo Governo, sordo ad ogni richiesta forte prima delle donne e di giovani e dopo del voto amministrativo e dei referendum, oggi è ancora totalmente sordo, fermo a difendere l'indifendibile e a non pensare al futuro di questo Paese. Anche in questa occasione, le donne inascoltate in questo provvedimento sono tornate a chiedere a gran voce dove sono finiti i 4 miliardi di euro derivanti dal risparmio per l'innalzamento dell'età pensionabile del pubblico impiego, che dovrebbero essere destinati a misure proprio di conciliazione per la non autosufficienza. Sono 4 miliardi ricavati ancora una volta dai sacrifici delle donne per i tagli effettuati da questo Governo sul sociale, sulla scuola e con l'azzeramento del Fondo alla non autosufficienza. Doppiamente vessate le giovani senza servizi adeguati e le nonne che si sono viste allontanare la pensione.
Ecco l'insensibilità e l'incapacità di questi Ministri che non hanno il collegamento con il Paese reale, uomini ma anche donne che non rappresentano, appunto, le persone e le donne normali, che tutti i giorni vivono l'angoscia di dover essere presenti al lavoro e dare il meglio ai propri figli. Ma perché voi tutti non provate per alcuni mesi, a partire dai Ministeri e da quello dell'economia e delle finanze in giù, a capire come si deve far quadrare il bilancio familiare di una giornata? Dunque, la risposta ai nostri emendamenti è stata «no», tutti inammissibili o non accoglibili. I nostri emendamenti chiedevano di poter rispondere a questa parte e a quanto dovuto. Invece no, sono stati tutti dichiarati inammissibili o non accoglibili. Più occupazione e più servizi. Lo hanno detto tutti, da più parti, da più scritti e da tutte le audizioni svolte. Questo risulta il vero volano della ripresa e senza di questo non ci può essere sviluppo.
Chiediamo conto, insieme alle donne, anche del piano straordinario per lo sviluppo dei servizi che aveva messo in campo il Governo Prodi. Non se ne sa più nulla e trapelano solo risposte evasive. Eppure, la cosa peggiore è che nei territori si danno delle cifre risibili vendute dal Ministero di turno, in questo caso dal Pag. 10Ministro Carfagna, per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Non abbiamo bisogno di voucher né di elemosine. Vogliamo che nei provvedimenti sia contenuto quanto è dovuto, non l'elemosina ma servizi in un quadro certo e preciso di riferimento, non altro. Invece, quello che sta avvenendo è questo, drammatico e doppiamente offensivo.
Riporto anche un passaggio dell'ultimo rapporto ISTAT che le audizioni svolte in Commissione rimarcano in un modo chiarissimo. Ma perché non leggete nemmeno questi documenti che non sono dell'opposizione, quell'opposizione che a vostro parere non è riformista? Questi sono documenti dell'ISTAT. Essi dicono che questo Paese è colpevole due volte: in primo luogo, perché il taglio drastico del sociale va ad aggravare ulteriormente la situazione e, in secondo luogo, perché non ci sarà la ripresa senza un sostegno in questo senso e, dunque, il pericolo di povertà è veramente grande senza reali misure di aiuti contributivi e deduzioni per i figli a carico. È questo il motivo per cui tante donne sono costrette ad abbandonare la propria occupazione nel caso nascano dei bambini, nel caso, perché il problema oggi è: nel caso nascano dei bambini. Voi siete responsabili, altro che parlare di aiuto alla vita. Questa è veramente la dissuasione più totale dal poter mettere al mondo un figlio, un quadro desolante delineato dall'ISTAT.
In più il governatore Draghi ha ricordato come esista un vero problema delle retribuzioni reali dei lavoratori dipendenti nel nostro Paese, che sono rimaste pressoché ferme mentre la Francia le ha aumentate del 9 per cento. Ma i più penalizzati, come ha detto Draghi, sono i giovani e le donne, che rasentano la rassegnazione. Tutti lo dicono e concordano salvo questo Governo. I giovani sono le vittime, intrappolati in una vasta sacca di precariato e in più insultati dal nostro Ministro (dal vostro Ministro, perché non lo sento tale, purtroppo).
«L'occupazione femminile, la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è il fattore cruciale di debolezza del sistema», continua a dire Draghi. Nonostante oggi il 60 per cento dei laureati sia formato da giovani donne, in Italia l'occupazione femminile è ferma al 46 per cento della popolazione in età da lavoro, venti punti in meno di quella maschile e le retribuzioni sono, a parità di istruzione e di esperienza, inferiori del 10 per cento di quelle maschili.
Sottolineiamo, infine, l'importanza di un adeguato sistema di flexsecurity, il sistema di protezione sociale. Tutti i provvedimenti e tutti gli emendamenti vanno in quella direzione ma sono stati bocciati. Appunto, di nulla di tutto questo vi è traccia in questo decreto-legge in discussione. Tutti i nostri emendamenti, appunto, sono stati bocciati, perché siete incapaci di uscire da uno schema già prefissato. In nessuno dei documenti di programmazione economica e finanziaria approvati dall'Esecutivo vi è nulla, nonostante le numerose nostre richieste contenute oltre che in emendamenti a tutti gli atti legislativi anche in ordini del giorno - accolti ma messi sempre nel cassetto -, risoluzioni unitarie, interpellanze e interrogazioni. Le risposte e le cifre fornite sono state le più disparate o addirittura i Ministeri non hanno saputo o voluto rispondere.
Intanto, si risponde con modalità di intervento ancora più umilianti, cui facevo riferimento prima, ossia facendo regalini. Le donne in questo momento chiedono - e chiediamo - il conto a questo Governo, a partire dallo «scippo» del decreto-legge n. 78 del 2010, approvato anche quello - non si sa il perché - con un voto di fiducia, che si profila anche in questo caso, perché non avete il coraggio delle vostre azioni. Bisogna continuare con la posizione della questione di fiducia per le divisioni che avete al vostro interno. Quel decreto-legge - lo ricordo -, poi convertito nella legge n. 122, destina i risparmi dovuti all'innalzamento dell'età pensionabile a un fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia rurale e della bassa occupazione della donna nei servizi.
Dunque, noi, con riferimento a tale questione, chiediamo che il Governo - che Pag. 11ha ancora una possibilità se vuole rendere un minimo di giustizia - in questo momento accolga questa richiesta o almeno risponda. Si tratta di un atto dovuto per la parte di questo Paese che sta aspettando da tempo e che da questo Governo è stata doppiamente vessata. La conciliazione tra lavoro e famiglia - lo ripeto e i sottosegretari presenti, se non lo sanno, si documentino - non è un tema delle donne, ma riguarda il Paese ed il nostro futuro. Occorrono più conciliazione, più servizi qualificati, più servizi all'infanzia e alla persona, servizi fondamentali per la crescita, ma soprattutto per l'intero sistema. È inaccettabile pertanto questa chiusura netta rispetto alle nostre richieste.
Ricordo semplicemente che la Francia investe il 3 per cento del PIL nei servizi d'assistenza, l'Italia meno dell'1 per cento perché avete fatto saltare tutti quelli che erano stati programmati.
Il Partito Democratico - come ha fatto in passato, come sta facendo in relazione a questo provvedimento e come continuerà a fare per i prossimi - propone misure per la crescita, per il lavoro e per l'equità. Senza sostegno alla crescita, al lavoro e all'equità non vi può essere risanamento sostenibile dei conti pubblici. Senza le donne e i giovani al centro degli interventi normativi e delle politiche non può esserci assolutamente speranza per il futuro. Occorre poi con fermezza contrastare questa situazione drammatica che avete creato con un aumento del debito pubblico che è arrivato a 1.850 miliardi, come è stato ricordato ieri sera. Si tratta di un debito drammatico a fronte di nessuna crescita. Avete solo aumentato le disuguaglianze e la povertà: sarebbe anche lecito capire dove sono andate a finire tutte queste maggiori risorse, intuibili dall'aumento del debito.
Dunque, occorre cambiare e ascoltare la richiesta che viene dal Paese: il Parlamento deve essere l'espressione di questo cambiamento di rotta, prima che sia troppo tardi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, come hanno detto molti colleghi, il Partito Democratico considera assai negativamente il testo di questo decreto-legge per lo sviluppo. Il titolo è già contrario agli effetti che le misure previste dal questo testo produrranno sull'economia e su alcuni comparti decisivi dell'economia anche per il metodo con il quale viene sottoposto all'Aula della Camera dalle Commissioni parlamentari. Un Governo che, di fatto, è in crisi e scosso da gravi divisioni interne e da una evidente sfiducia degli italiani, emersa in queste ultime settimane con le elezioni amministrative e con i referendum, avanza con la posizione della questione di fiducia una serie di misure, che probabilmente dovrebbero essere finalizzate alla crescita e allo sviluppo, ma che avranno - come ho detto - fatalmente un esito totalmente contrario.
La disperazione e l'affanno di questo Governo - che ha negato la gravità della crisi economica quando poteva affrontarla con una larga base parlamentare, cosa che invece non ha fatto, preferendo diffondere ottimismo ed illusioni - si vede tutta in questo provvedimento, che cerca affannosamente di lanciare a destra e a manca segnali scoordinati e disorganici a categorie e a spezzoni di società, illudendosi di semplificare procedure e invece producendo, in molti casi, molta confusione ed una tendenziale paralisi delle cose, oltre ad alcuni danni incalcolabili.
Questo effetto boomerang è particolarmente evidente negli articoli 3, 4 e 5 del testo del decreto-legge che trattano dell'uso del demanio statale, del demanio marittimo, del regime delle concessioni e dell'edificabilità dei suoli demaniali sulle spiagge in particolare, della materia degli appalti e dell'edilizia, dell'assetto del territorio e delle trasformazioni urbane. Questi articoli sono parte essenziale del decreto-legge perché intervengono su settori strategici come appunto l'edilizia e le opere pubbliche che sono basilari per una politica di rilancio dello sviluppo economico e perché definiscono l'uso del suolo, cioè come si utilizza e si trasforma il bene Pag. 12primario da cui tutto si origina in economia, la materia prima per naturale vocazione per produrre beni e servizi.
Tuttavia - è questo il motivo per cui parliamo di confusione, di paralisi e di freno allo sviluppo - queste misure non intervengono in modo organico e complessivo sulla riforma del Codice degli appalti e sulla riforma dell'ordinamento per la trasformazione del governo del territorio e non adottano modifiche né riforme organiche con l'obiettivo di varare delle riforme coerenti, capaci di modernizzare il sistema, di introdurre una maggiore efficienza e trasparenza a vantaggio sia delle imprese che dell'interesse pubblico. Le misure proposte in questi articoli e in questi campi decisivi del decreto-legge attaccano invece le leggi vigenti e l'ordinamento in punti singoli e vitali, cioè demoliscono un edificio già fragile del sistema normativo e legislativo in materia di appalti e trasformazioni urbane e territoriali, eludono in molti casi la necessità di tener conto di indirizzi dettati dall'Unione europea e producono alla fine dei mostri ingestibili. Lasciano macerie che risulteranno inapplicabili, produrranno deresponsabilizzazione degli uffici amministrativi e soprattutto saranno origine di potenziali ricorsi e di contenziosi che finiranno per amplificare due anomalie che già intossicano la vita economica e le attività delle amministrazioni nel settore dell'edilizia e delle opere pubbliche.
La prima anomalia è costituita dal sempre maggior numero di imprese che vivono di contenziosi, di ricorsi, di cause amministrative con uffici legali enormi e uffici tecnici ridottissimi, incapaci di fare buoni prodotti e molto bravi a stare nei tribunali e nelle cause amministrative, questo accade oggi proprio per l'inestricabile contraddittorietà dell'ordinamento normativo italiano mai riformato in maniera organica, ma sempre per parti singole, e che voi oggi peggiorate ancora.
La seconda anomalia è l'esposizione debitoria dei comuni in particolare ma in generale delle amministrazioni locali proprio per i ricorsi persi in giudicato per espropri, per indennizzi, per procedimenti amministrativi sbagliati, per impugnazioni varie che stritolano i comuni e li rendono privi di capacità di tenuta e di difesa nei confronti della rendita urbana e fondiaria e incapaci e sempre più deboli nell'azione della spesa locale per i servizi e per gli interventi.
Con le misure da voi inserite in questo decreto-legge questa situazione si aggraverà e si aggraverà anche una crescente ingiustizia sociale verso le collettività che devono beneficiare dell'azione dei comuni e degli enti di prossimità, e si aggraverà anche una situazione di intossicazione del mercato e delle imprese che partecipano nel campo delle opere pubbliche alla trasformazione del Paese, alla dotazione di opere pubbliche, alla creazione di un sempre più moderno capitale fisso di opere e di infrastrutture, la vita di queste imprese sarà tutt'altro che semplificata.
Nell'articolo 4 del decreto si tratta la materia degli appalti, si interviene con modifiche molto consistenti alle norme relative al Codice degli appalti e qui, anziché seguire gli indirizzi strategici dettati dalla «Strategia Europa 2020» e dal Libro verde europeo in materia di appalti si infilano una serie di norme e normette miranti all'obiettivo unico e contabile di ridurre i costi, non di rilanciare il mercato né di elevare la qualità e l'efficienza dei progetti e delle opere.
Negli ultimi tre anni, proprio con il vostro Governo, il volume degli investimenti per appalti di opere pubbliche è diminuito del 34 per cento, ma con questo decreto-legge non si toccano le cause che sono alla base della lievitazione dei costi, che hanno costretto le amministrazioni e anche lo Stato a contenere i costi e a ridurre anche il volume degli investimenti. Non si dice niente su cosa debba essere un progetto che si mette a base di gara, sui criteri per la qualità dei progetti che vengono messi a base di gara. Non si interviene sul sistema dei controlli, non si interviene sul ruolo e sulla funzione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che dovrebbe essere un perno essenziale del sistema dei controlli relativo alle gare per Pag. 13appalti di opere pubbliche. Si propongono misure miranti soltanto a contenere i costi, anche introducendo dei tetti, che in molti casi vengono elevati, ma non si capisce e non si chiarisce, quando si pongono tetti per la base di gara e, per esempio, per le riserve, la quantità del risparmio che ne deriva, cioè si annuncia un'operazione contabile, si introduce un'operazione di contenimento dei costi, ma non si quantifica il contenimento dei costi e non si introducono misure per fare in modo che queste gare per queste opere pubbliche possano essere svolte con piene garanzie di qualità e di concorrenza. Nelle procedure negoziate, cioè in quelle situazioni in cui le opere si affidano senza gara, ma attraverso affidamenti diretti previsti dalla normativa, si elevano i tetti soprattutto, per esempio, per le opere che intervengono nel settore dei beni culturali. Ebbene, quali sono le garanzie di qualità che si mettono in campo nelle procedure negoziate degli affidamenti diretti per garantire che quelle opere che non vanno a gara siano effettivamente opere qualitativamente di buon livello? Non c'è nessuna misura. Questo tema è molto delicato soprattutto nel campo delle opere pubbliche legate al settore dei beni culturali. Queste garanzie di qualità sono necessarie tanto più per un Paese come l'Italia, nel settore e nel campo delle opere pubbliche legate alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Soprattutto, quali garanzie ci sono perché vi sia un'effettiva rotazione negli affidamenti di opere pubbliche che avvengono attraverso procedure negoziate? Su questo non si dice niente e si spinge invece il mercato ancora di più nella direzione già anomala di contenere i costi, di abbassare la qualità, di abbassare le garanzie di mercato, anche e soprattutto per le piccole e medie imprese, numerosissime in Italia, che rappresentano l'80 per cento del settore, che lavorano molto spesso in subappalto e in condizioni di minorità nei confronti dei grandi appaltatori, che sempre più hanno conquistato il centro del mercato. Un altro dato importante, sul quale non si interviene neanche con questo decreto-legge e che emerge dalle statistiche e dalle verifiche fatte dalle associazioni di categoria e dagli istituti specializzati, è che ormai il mercato contendibile, cioè la quantità di opere pubbliche, peraltro ridotte di un terzo nel corso degli ultimi tre anni, che possono essere contese attraverso normali procedure di gara, attraverso operazioni che allarghino e diano respiro al mercato, che mettano in concorrenza, che consentano di fare meglio e di fare bene, sono ormai ridotte di due terzi rispetto a tre anni fa, cioè sono sempre gli stessi che vincono le gare. Non c'è concorrenza e non c'è mercato. Sono sempre gli stessi, sono sempre pochi e sono sempre i più forti. Il grande mercato e il grande sistema delle imprese piccole e medie che anima la nostra economia nel settore delle opere pubbliche deve stare sotto questo sistema di dominio, lavorare spesso in subappalto, ridurre le garanzie di qualità delle opere, ridurre i diritti dei lavoratori, operare in condizioni tutt'altro che europee, ma molto, con ogni rispetto, sudamericane. La semplificazione non significa non fare le gare; semplificare non significa saltare le procedure di gara, tagliare fuori le procedure di concorrenza del mercato, ma tutt'altro.
Abbiamo visto, nel corso di questi tre anni, a proposito delle vicende de L'Aquila, dei Mondiali di nuoto, a che cosa può portare un'idea di semplificazione che cancella la trasparenza, il mercato, che riduce ad uno le decisioni e le scelte: può portare a gravi degenerazioni morali e può portare alla dispersione di risorse e di denaro pubblico, nonché ad un intossicamento del sistema del mercato.
Ecco perché quelle norme e le proposte contenute nell'articolo 4 andranno esattamente nella direzione contraria, perché tenderanno ad aggravare dei mali che già esistono nel sistema dell'economia italiana nel campo degli appalti delle opere pubbliche; ridurranno la quantità di opere realizzabili e realizzate e la loro qualità e incideranno e rappresenteranno un danno per la modernizzazione del Paese, e quindi per il suo sviluppo.
Vi è poi l'articolo 5, che è quello che tratta dell'edilizia privata. Il titolo che Pag. 14viene previsto nel decreto-legge, è il seguente: «Costruzioni private»: ma la trasformazione del territorio, il miglioramento delle nostre città, la qualità della vita dei cittadini che vivono nelle città e nei quartieri, possono essere ridotti al titolo: «Costruzioni private»? Il mercato dell'edilizia - questa è la domanda elementare che viene da fare appena ci si avvicina al testo di questo decreto-legge - l'edilizia, la trasformazione del territorio, possono essere riassunti nell'espressione edilizia privata, costruzioni private? Vi è proprio un'idea, che infatti viene fuori dalle norme proposte, di cancellazione della dimensione pubblica della trasformazione del territorio, di cancellazione della città pubblica, di trionfo della rendita fondiaria e immobiliare.
Ci si illude, peraltro sbagliando e creando contraddizioni ed ulteriori motivi di paralisi della macchina amministrativa, di poter mettere in moto il mercato, attribuendo incentivi e fieno all'edilizia privata e liberalizzando, in teoria, norme e procedure, che finirebbero e finiranno in molti casi - perché qualche effetto, comunque, pur nella loro imperfezione, queste norme lo avranno - per trasformare le nostre città e le periferie delle grandi città sempre più in città dormitorio.
Vediamo perché: intanto, sono tre gli aspetti. Vi sono norme chiaramente incostituzionali, che possono essere soggette a ricorso da parte delle regioni, e sono norme ingiuste e che vanno contro lo sviluppo. Sono norme che determinano una profonda revisione dell'ordinamento vigente in materia di edilizia ed urbanistica e che producono una deregolamentazione della materia urbanistica, nonché una deresponsabilizzazione dei comuni e delle regioni.
La Costituzione italiana, al Titolo V, all'articolo 117, sancisce il fatto che la cosiddetta urbanistica, o meglio il governo del territorio, che non si riduce, evidentemente, soltanto agli aspetti urbanistici - non è più solo l'urbanistica, ma è qualcosa di molto più ampio - è materia concorrente, che spetta alle Regioni, d'intesa con lo Stato, che legifera nel campo dei principi fondamentali della materia.
Chiedo allora ai colleghi della Lega, che fanno parte di questo Governo e che tanto si sono battuti per introdurre nel nostro ordinamento principi di federalismo, decentramento amministrativo e valorizzazione del ruolo delle comunità locali e territoriali, cosa c'entrano queste norme e questo decreto-legge, che impone alle regioni di mettersi in riga con le norme che sono scritte al suo interno e che entrano in maniera violenta nelle competenze delle regioni e dei comuni, che dettano, addirittura, criteri di carattere edilizio, che sono cose che spettano ai regolamenti edilizi dei comuni.
Qui si dicono cose, si introducono prescrizioni di cui si devono occupare gli uffici comunali, quando adottano i regolamenti edilizi, e che non possono essere materia di legge. Si entra a piedi uniti nelle competenze delle regioni. Ma dov'è il federalismo in tutto questo? Viene distrutto il significato dell'articolo 117 della Costituzione e viene fatto da un Governo di cui fa parte un partito politico ed una forza politica che si riempie sempre la bocca di federalismo.
In questo testo, si dice che le regioni, entro centoventi giorni, si devono allineare. Non è un decreto-legge, ma è quello che nella Russia zarista si sarebbe chiamato un ukaz, qualche cosa che viene dall'alto. Entro centoventi giorni le regioni debbono allinearsi, altrimenti scattano poteri sostitutivi che fanno introdurre queste norme che distruggono quel poco che è rimasto di urbanistica legale in questo Paese, dove gli interessi della rendita fondiaria si stanno mangiando il territorio e stanno mettendo con le spalle al muro i comuni, sempre più deboli, che debbono vendersi il territorio per poter tirare a campare.
Le Regioni, come nel parere che è stato reso anche dal nostro partito nelle Commissioni, come ho detto, debbono allinearsi. C'è un intervento di urgenza, previsto dall'articolo 5, che viola le competenze regionali per quel che riguarda il Pag. 15cosiddetto piano città. In quella parte dell'articolo 5, (dal comma 9 al comma 14), le norme del decreto-legge sono immediatamente operative, ovvero da mercoledì (quando metterete la fiducia) diventeranno immediatamente operative, pena i poteri sostitutivi se le regioni non legifereranno entro quel tempo.
E si introducono delle cose assurde, come per esempio, l'introduzione del silenzio-assenso da parte delle amministrazioni comunali per rilasciare i permessi di costruire. Non comportano una semplificazione delle procedure, perché, in primo luogo, relegano di fatto i comuni ad un ruolo notarile nel complesso percorso che conduce alla trasformazione fisica del territorio, cioè al rilascio del permesso di costruire. Silenzio-assenso: sostanzialmente qui c'è scritto che, entro trenta giorni, si manda una mail per via telematica (infatti nel subemendamento elaborato in Commissione si dice che basta anche inviare una mail) all'ufficio delle concessioni edilizie del comune ed entro trenta giorni, se il comune non risponde, si può cominciare a costruire. Ma questo, in primo luogo, è assurdo perché non garantisce l'effettivo controllo da parte dei comuni, perché non tutte le concessioni o i permessi di costruire sono uguali sotto il profilo delle dimensioni, delle quantità e degli effetti sul territorio. In secondo luogo, chi conosce un poco questa materia così complessa e che ha una ricaduta sull'economia, sul sistema finanziario, sulle banche, sulle relazioni con i sistemi di credito, sul rapporto tra imprese e finanza, sa che oggi le banche e gli istituti di credito rilasciano con molta difficoltà, anzi non rilasciano, finanziamenti, fidi bancari o mutui ad operatori che non presentino agli atti, per ottenere dei permessi di costruire, un regolare permesso di costruire. Ciò significa che non si rilasciano fidi con il silenzio-assenso. Il procedimento del silenzio-assenso, applicato al permesso di costruire, rischia dunque di aprire lo spazio ad un rapporto con soggetti erogatori di credito e di risorse finanziarie non sempre trasparenti, perché, in assenza di disponibilità degli istituti di credito riconosciuti, agiscono spesso soggetti che operano nel campo della criminalità e del riciclaggio.
Ecco dunque che la norma del silenzio-assenso, anziché rappresentare una forma di snellimento, può rischiare di trasformarsi in una forma di deregolazione e di agibilità per la circolazione di capitali sporchi. Queste disposizioni contenute nel piano città, con cui vengono incentivati anche premi volumetrici, cambi di destinazioni d'uso diretti, che privilegiano nettamente il settore residenziale, aprono la strada ad uno spostamento del mercato immobiliare, che tenderà a privilegiare la residenza privata e non quella pubblica, ovvero non favoriscono chi ha bisogno di casa, ma privilegeranno la residenza privata e il mercato privato, che costa migliaia e migliaia di euro al metro quadrato in ogni città italiana e tendono ad abbandonare, invece, l'interesse per le trasformazioni urbane che sono indirizzate verso le attività produttive ed il terziario.
«Decreto per lo sviluppo» si chiama questa roba qui! Ma poi si scrive nell'articolo 5 che senza piani unitari, quando si demolisce e si ricostruisce un pezzo di città o qualche edificio (si dovrà pur vedere il contesto nel quale questo avviene), in maniera puntuale invece si consente di demolire e ricostruire ed avere premi del 20 per cento. Ecco l'ingresso nelle competenze comunali! Ma dove sta scritto che deve essere una legge nazionale a stabilire la quantità del premio volumetrico? Saranno pure i comuni che decideranno localmente, sulla base delle loro esigenze, quali sono gli incentivi da dare all'impresa nelle trasformazioni del territorio! Un premio del 20 per cento invece - c'è scritto - per chi demolisce e ricostruisce per realizzare residenza privata, e del 10 per cento per chi demolisce e ricostruisce per attività produttive e terziarie.
Mi pare evidente la risposta che può dare il mercato: conviene fare la prima cosa ovvero demolire e ricostruire tutto ciò che di degradato ed inutile esiste nelle nostre periferie e campagne e che spesso Pag. 16è associato all'attività produttiva per fare case, tantissime case, immettere sul mercato case che verranno comprate non da chi ha bisogno ma dai ricconi che, con il condono fiscale, si sono riportati i soldi in Italia e stanno conquistando larghi settori del settore immobiliare e si stanno comperando tutto mentre la gente che ha bisogno, cioè i ceti popolari e medi, le giovani coppie e gli anziani fragili, non trovano neanche lo spazio per avere un mutuo e trovare una casa. Ma è questa l'idea di sviluppo, di socialità, di società, di cooperazione ed integrazione sociale, di crescita (perché nello sviluppo c'è anche il tema della crescita), di chi accede alle risorse, alle possibilità di vita? È questa l'idea di sviluppo di questo Governo, di questo Piano e di questo decreto-legge? Il Piano città è la conquista e la consegna del territorio alla rendita fondiaria ed immobiliare. Il comune, che con il silenzio-assenso non controlla nulla, rilascia soltanto le concessioni edilizie, dunque fa il notaio e non c'è una parola sull'edilizia residenziale e pubblica, ovvero di edilizia agevolata, sovvenzionata e convenzionata; non si parla di case per chi ha bisogno che sono ormai, in Italia, da anni, pari all'1 per cento della produzione edilizia totale. Si è distrutto quel poco di legislazione nel campo dell'edilizia sociale pubblica che esisteva dagli anni Sessanta in questo Paese e non si riesce a trovare la via di fare una discussione in quest'Aula né su una riforma organica del governo del territorio, che tenga conto della complessità del tema e della necessità di rilanciare l'impresa ma anche di dare servizi, verde ed infrastrutture alle nostre città e di farle diventare più moderne ed europee, né sul tema di una organica legge per rilanciare l'edilizia pubblica e sociale, che può essere rilanciata ad una sola condizione, ovvero se si attua una riforma della legge urbanistica attraverso la quale si consente la costituzione di un demanio di aree pubbliche a disposizione dei comuni. Sui suoli, sulla loro trasformazione, nei rapporti economici e di forza della società, con la rendita fondiaria non si tratta con le parole, con gli accordi verbali, ma con la forza e se i comuni hanno la forza di avere dalla loro parte, nel loro patrimonio, un demanio di aree pubbliche a basso costo, possono trattare con la rendita per realizzare servizi, case per i ceti medi e popolari, infrastrutture e opere pubbliche e non debbono andare a pietire queste cose a chi gliele deve concedere, come se fossero una regalia. Oggi, i comuni non hanno la possibilità di avere un demanio di aree pubbliche perché gli espropri costano un occhio della testa e le norme non consentono loro di trattare a pari diritti con la rendita fondiaria. Bisogna fare una riforma della legge urbanistica italiana ma voi la ignorate e la scansate. Sono state presentate tre proposte di legge in Commissione ambiente. C'è una proposta di legge che disciplina le incentivazioni urbanistiche in un quadro organico e complessivo. Niente di tutto questo si discute ma arrivano questi decreti-legge buttati dentro a provvedimenti generali che debbo pensare siano scritti sotto dettatura e producono, alla fine, come nel caso che ho citato della norma sulla demolizione e ricostruzione, dei condoni per i ricchi. Sì, qui c'è scritto, di fatto, che si dà un condono per i ricchi, perché chi può demolire e ricostruire con quei premi volumetrici strutture degradate? Il singolo cittadino che deve fare la veranda? No, può farlo il grande proprietario che accaparra immobili e suoli, che mette in campo investimenti spesso non si sa da dove derivati, che fa simili operazioni e produce rendita, ricchezza privata senza alcuna ricaduta pubblica. Questo è il disastro del Piano città. E alla fine, sto per concludere, e questa è la cosa più grave, nel metodo e nel contenuto vi siete comportati in un certo modo anche nelle caotiche riunioni delle Commissioni bilancio e finanze riunite, che sono state un'ordalia, una discussione estremamente disordinata e caotica, in cui arrivavano subemendamenti, emendamenti del Governo e riscritture, senza dare la possibilità ai parlamentari dell'opposizione di leggere, interpretare e rispondere.
In questa ordalia avete infilato, piano piano, nel subemendamento che farà parte Pag. 17del testo finale, una norma francamente vergognosa. Come ho detto, vi sarebbe bisogno di restituire forza alle amministrazioni comunali, consentendo loro di costituire un demanio di aree da utilizzare per realizzare ristrutturazioni di opere pubbliche, migliorare la parte pubblica della città, portare servizi nelle nostre città che ne hanno sempre di meno e sempre di più vecchi. Infatti, sono vecchi gli ospedali, sono vecchie le carceri, sono vecchie le scuole, sono vecchi gli impianti sportivi, sono vecchie le infrastrutture. Bisogna intervenire su queste realtà, migliorarle, aumentarle, potenziarle, ma ci vogliono suoli. Mentre si dovrebbe fare questo, si punta, invece, a vendere quel poco che è rimasto, si mette sul banchetto la ricchezza di tutti i cittadini, fatto questo francamente vergognoso ed inaccettabile. In un emendamento, che leggo testualmente, infatti, si effettua una modifica rivoluzionaria del codice civile, affermando: debbono essere trascritti, se hanno per oggetto beni immobili, gli atti, anche unilaterali, le convenzioni territoriali ed i contratti con i quali vengono costituiti, a favore dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero gli enti svolgenti un servizio di interesse pubblico, vincoli di uso pubblico e, comunque, ogni altro vincolo, a qualsiasi altro fine richiesto dalle normative statali e regionali, degli strumenti urbanistici comunali, nonché dei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale e delle convenzioni urbanistiche ad esse relative. Che cosa significa? Che dal momento in cui questo decreto-legge sarà approvato, le amministrazioni saranno costrette a trascrivere, nei registri immobiliari, i loro beni, i beni pubblici, che acquisiscono tramite esproprio o tramite cessioni di legge, come la legge stessa prevede, nelle convenzioni urbanistiche che regolano gli strumenti urbanistici vigenti (convenzioni urbanistiche, piani particolareggiati, acquisizioni, donazioni). Si tratta di beni di vario tipo. Le debbono trascrivere nei registri immobiliari.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Morassut.

ROBERTO MORASSUT. Questo comporta due cose gravissime. Primo: un aggravio all'erario dei comuni i quali devono pagare per fare queste cose, ci devono mettere i soldi, debbono spendere risorse che potrebbero essere utilizzate per altri interventi. Secondo: da quel momento, una volta trascritti nei registri immobiliari, questi beni saranno, come afferma il codice civile, opponibili, alienabili e potranno decadere i vincoli di ogni tipo e a qualunque fine, come c'è scritto nel testo dell'emendamento, che sono apposti su di loro. Si sta dicendo ai comuni, cioè, che se sono in crisi e hanno bisogno di danaro possono vendere quello che hanno. E questa norma fa scopa con le norme del federalismo demaniale. Tutto ai comuni: le Dolomiti, i laghi, le strade, le ferrovie. Gli si dice di vendere, di trovare il modo di rientrare nei costi e vendere i beni di famiglia. Questo è vergognoso. È, forse, la norma peggiore che avete inserito in questo decreto-legge, il quale andrà, non solo contro lo sviluppo, ma contro la giustizia sociale. Si tratta di una norma che incide gravemente sui beni comuni all'indomani di un referendum che l'ha detta chiara su come la pensa l'Italia sulla difesa dei beni comuni, a partire dall'acqua, ma non solo dell'acqua, bensì anche dei beni della collettività che debbono essere e rimanere beni dei cittadini e della nostra comunità territoriale e che non è consentito ad un Governo in crisi, che sta per cadere, di svendere in questo modo vergognoso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, il provvedimento che stiamo discutendo, il decreto-legge n. 70 del 13 maggio scorso, relativo alle prime disposizioni urgenti per l'economia, prevede anche alcune norme che riguardano la ricerca, l'università e la scuola Pag. 18sulle quali vorrei soffermarmi nel mio intervento. In primo luogo, voglio sottolineare il fatto che, per il Partito Democratico, la ricerca, l'università e la scuola costituiscono la leva fondamentale per la fuoriuscita dalla crisi, per promuovere un nuovo sviluppo, per il rilancio dell'economia e per la crescita del nostro Paese, in linea, tra l'altro, con le indicazioni dell'Unione europea che, con l'Agenda 2020, stabilisce importanti obiettivi per la crescita intelligente. Dunque, per il mio gruppo, l'inserimento in un provvedimento sull'economia di norme su questo comparto non può che trovarci d'accordo.
Tuttavia esaminando le norme introdotte nel provvedimento, in particolare negli articoli 1, 4 e 9, non possiamo non constatare che purtroppo, ancora una volta, questo Governo fa solo propaganda e agli annunci roboanti non seguono i fatti. Nel provvedimento in realtà sono scritte norme assolutamente inadeguate ad affrontare i gravi problemi del Paese. In alcuni casi si tratta di norme contraddittorie e pasticciate, in altri casi vengono svilite anche misure importanti e positive messe in campo, ad esempio, dal precedente Governo di centrosinistra. Penso in particolare al credito di imposta per incentivare la ricerca. Da un lato non viene garantita alcuna certezza di continuità del credito per il futuro alle imprese ed ai soggetti coinvolti e dall'altro, per quanto riguarda l'entità del credito, il Governo ha prima fatto un grande annuncio mediatico cioè che avrebbe applicato il credito al 90 per cento dell'investimento per poi scrivere nel decreto-legge norme che in realtà prevedono altro. Da una lettura attenta emerge un imbroglio. Infatti, il credito viene calcolato solo sulla parte incrementale della somma destinata alla ricerca e ciò in concreto vuol dire che se tutto va bene il credito si applica a circa il 13 per cento dell'investimento.
Pensiamo che un Governo lungimirante invece avrebbe dovuto premiare le imprese che da tempo e costantemente si sono impegnate nella ricerca convincendo così anche le altre ad investire e avrebbe dovuto disporre, come a suo tempo ha fatto il Governo Prodi, una quota fissa sulle risorse investite. Allo stesso modo, a nostro avviso, sarebbe stato più opportuno individuare precise direttive di ricerca avvalendosi a tal fine di tutti gli enti di ricerca. Che dire poi sulle università verso le quali ancora una volta prevalgono visioni burocratiche e penalizzanti piuttosto che azioni e misure facilitanti e incentivanti per consentire il pieno sviluppo della loro capacità di ricerca scientifica? Ad esempio, la copertura delle carenze di personale, finalizzata al raggiungimento di obiettivi precisi di ricerca, la realizzazione di un sistema efficace di valutazione e così via.
Viene poi prevista l'istituzione da parte dei due Ministeri, il MIUR e il MEF, di una fondazione per il cosiddetto riconoscimento del merito degli studenti di cui, in verità, non si sentiva proprio il bisogno. In sostanza, ad un soggetto istituito dal pubblico ma di natura privata, peraltro sottratto a qualsiasi tipo di controllo di merito e di natura contabile, vengono attribuite scelte politiche strategiche delicate quali sono quelle del diritto allo studio soprattutto alla luce del progressivo calo di immatricolazioni che hanno caratterizzato l'ultimo quinquennio.
A questo proposito, voglio ricordare che il nostro Paese è tra i Paesi europei quello con la più bassa percentuale di laureati, mentre l'Agenda 2020 pone l'obiettivo di raggiungere il 40 per cento di laureati. La strategia fondamentale per la crescita intelligente che invece il nostro Paese non sta praticando. Per questo l'Unione europea ci dice che occorre investire molto di più sul capitale umano, sui cervelli, sui talenti dei nostri giovani, ma per fare questo occorrerebbe definire un piano d'azione e darsi strumenti efficaci ed efficienti per realizzare un vero e proprio welfare studentesco, affiancare le regioni e finanziare un fondo nazionale per centinaia di migliaia di borse di studio ed altri strumenti di sostegno e realizzare un piano di edilizia e di alloggi per gli studenti fuori sede e così via.
Di tutto questo nel provvedimento non c'è traccia. Per quanto riguarda poi l'istruzione, Pag. 19all'articolo 9, in particolare i commi dal 17 al 21, sono state introdotte norme per il personale della scuola. Anche su questo tema il Presidente del Consiglio e la Ministra Gelmini avevano con grande enfasi annunciato un intervento eccezionale e cioè l'assunzione di decine di migliaia di precari della scuola. Si è tentato di far credere all'opinione pubblica che finalmente, con questo provvedimento, il Governo avrebbe affrontato questo annoso problema. In realtà, ancora una volta ci troviamo di fronte ad annunci roboanti che non corrispondono alla realtà. Il decreto-legge infatti prevede soltanto un generico piano triennale, senza stabilire né il numero delle immissioni in ruolo e tantomeno i tempi concreti delle assunzioni. Inoltre, la definizione del piano in modo del tutto inusuale viene rinviato ad un imprecisato tavolo di contrattazione. Mi chiedo: forse per perdere altro tempo? Non solo ma il piano assunzionale, se mai vedrà la luce, sarà poi sottoposto ad ulteriori verifiche in regime autorizzatorio.
D'altra parte, è vero che lo stesso Presidente del Consiglio, nel corso della citata conferenza stampa, in un moto di sincerità aveva candidamente confessato che non si potevano scrivere nel decreto i numeri perché - ha detto testualmente - il Ministro Tremonti non vuole.
Signor Presidente, noi siamo consapevoli che il problema del precariato della scuola è un problema annoso e che certamente non nasce con questo Governo, ma è altrettanto certo che il Governo in carica, con le sue scelte sbagliate, ha aggravato enormemente il problema. Infatti, il Governo, invece di mettere dei punti fermi come aveva fatto il precedente Governo Prodi, con il Ministro Fioroni, ha operato al contrario una dissennata politica di tagli indiscriminati. Il Governo di centrosinistra aveva messo in campo una strategia e misure concrete per affrontare alla radice il problema e risolverlo in via definitiva. I provvedimenti approvati infatti prevedevano norme che da un lato trasformavano le graduatorie da permanenti a graduatorie in esaurimento, e dall'altro definivano un piano triennale di immissione in ruolo, cioè di assunzione a tempo indeterminato di ben 180 mila lavoratrici e lavoratori, 150 mila insegnanti e 30 mila amministrativi e tecnici ausiliari, i cosiddetti ATA, negli anni scolastici 2007-2008, 2008-2009 e 2009-2010. Il Governo Prodi ha fatto appena in tempo ad iniziare ad attuare concretamente il piano con l'assunzione di ben 50 mila docenti e 10 mila ATA, poi si è interrotta la legislatura e con questo nuovo Governo si sono fatte altre scelte che, come dicevo, hanno aggravato la situazione invece di seguire la via maestra già tracciata. Un colpo durissimo al piano di assunzioni è stato dato con i tagli indiscriminati agli organici della scuola di ben 132 mila posti di lavoro, oltre 87 mila docenti e oltre 44 mila ATA, imposti da questo Governo con l'articolo 64 del decreto-legge Tremonti n. 112 del 2008.
L'effetto dei tagli sulle scuole è stato, come noto, drammatico e per quanto riguarda il piano assunzionale, invece di procedere all'assunzione delle ulteriori 120 mila unità di personale previste dal piano Prodi per i successivi due anni scolastici, ne sono state immesse in ruolo solo 33 mila e nell'anno scolastico in corso 16.500: in sintesi, solo il 40 per cento delle assunzioni stabilite dal predetto piano Prodi. Per giustificare queste scelte sciagurate si è sostenuta la priorità della riduzione della spesa pubblica - e il tema della spesa pubblica ci sta più che mai a cuore - ma su questo punto vorrei tuttavia ricordare che in realtà il bilancio dello Stato è gravato e continua a sostenere una spesa ingente per i contratti a tempo determinato, per pagare cioè gli stipendi a centinaia di migliaia di precari, ai quali, oltre appunto agli stipendi, viene liquidato ogni anno - perché si interrompe il rapporto di lavoro - anche il TFR. Dunque, il risparmio non c'è, ed è quindi del tutto ingiustificato il fatto di continuare a praticare contratti precari annuali, in gran parte su posti vacanti e disponibili.
Non viene, tra l'altro, in alcun modo preso in considerazione il fatto che il precariato, oltre che determinare una grave incertezza per il futuro di centinaia Pag. 20di migliaia di lavoratrici e lavoratori e per le loro famiglie, determina una grande instabilità nelle scuole, in quanto gli incarichi annuali provocano molto spesso un continuo turnover di insegnanti nelle classi e, quindi, una discontinuità nell'attività didattica e nella possibilità di apprendimento dei nostri bambini e dei nostri ragazzi, che vi avrebbero diritto. La qualità della scuola pubblica viene così messa seriamente a rischio. Dunque, dare soluzioni concrete a questo annoso problema non significa soltanto dare certezza di futuro ai lavoratori, ma anche e soprattutto garantire quella continuità didattica necessaria per assicurare appunto ai nostri giovani una scuola di qualità.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 12,05).

MARIA COSCIA. I tagli già operati in questi due anni scolastici hanno creato gravi problemi, sino al punto di mettere in discussione in diverse situazioni anche il funzionamento quotidiano delle scuole, ma purtroppo i tagli non sono finiti e proprio in questo periodo il MIUR e gli uffici scolastici regionali e provinciali stanno procedendo a definire gli organici per il prossimo anno scolastico, attuando impietosamente gli ulteriori tagli stabiliti.
Quotidianamente, in tutto il Paese, ci sono manifestazioni davanti agli uffici periferici e, a Roma, davanti al Ministero, da parte delle famiglie e degli studenti, per protestare contro la riduzione delle ore di scuola, del tempo pieno, delle ore di laboratorio e delle classi, nonché dell'aumento degli alunni nelle classi, le quali, dimensionate per accogliere 25 alunni, ne devono invece accogliere 28-30, anche in presenza di bambini e di ragazzi disabili, e, in alcuni casi, addirittura oltre 30 alunni, contravvenendo così alle norme di sicurezza.
È di ieri la notizia che il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del TAR Lazio su uno dei tanti ricorsi contro le «classi-pollaio» e, quindi, ha stabilito la legittimità di promuovere una class action - per la prima volta nel nostro Paese! - contro la pubblica amministrazione, in particolare contro il Ministero. Ovviamente, le conseguenze di tutto questo saranno ancora più pesanti proprio a carico del bilancio dello Stato.
Per complicare ancora di più il già così difficile avvio del prossimo anno scolastico, nel decreto-legge, all'articolo 9, comma 19, è stata poi introdotta una norma che sposta il termine delle nuove immissioni in ruolo, per la definizione dei contratti annuali e per l'assegnazione del personale alle scuole, dal 31 luglio al 31 agosto. Per effetto di questa norma, le scuole si troveranno nell'incertezza più totale per giorni e giorni, se non addirittura per mesi, in attesa che arrivi il nuovo personale, con la conseguenza che in diverse classi mancheranno gli insegnanti titolari e con la conseguenza degli effetti negativi sull'attività didattica e sull'apprendimento di tanti bambini e di tanti ragazzi.
Per quanto riguarda, poi, le altre norme, esse in realtà costituiscono dei tentativi per mettere - come si dice in gergo - «una pezza», per scongiurare i tanti contenziosi giudiziari provocati da precedenti norme, confuse e pasticciate, introdotte dal Governo, come quella di consentire l'iscrizione dei precari su più graduatorie provinciali. Le nostre caselle e-mail sono intasate da tantissime mail provenienti da lavoratori interessati, i quali sostengono ora le graduatorie a pettine, ora le graduatorie che prevedono l'iscrizione in coda. Tutto ciò è stato provocato da un contenzioso giudiziario alimentato dalle scelte sbagliate del Governo per quanto riguarda l'iscrizione su più graduatorie, le quali hanno anche, quindi, ingenerato una sorta di guerra tra poveri, tra coloro che sostengono l'una e l'altra tesi.
In questo si sono anche inseriti emendamenti demagogici da parte di colleghi della maggioranza - penso in modo particolare ai colleghi della Lega - senza assumersi la responsabilità delle scelte sbagliate del Governo di cui fanno parte. La strada, la soluzione vera è riprendere Pag. 21la via maestra di un piano vero, concreto, assunzionale, che dia certezza di futuro al personale precario e certezza agli studenti per la qualità della nostra scuola pubblica, non perseguendo demagogie e scorciatoie.
In conclusione, signor Presidente, nonostante il nostro giudizio nettamente negativo sul provvedimento, come sempre abbiamo cercato di dare il nostro apporto costruttivo, presentando nostri emendamenti e nostre proposte serie. Ma nessuno dei nostri emendamenti è stato accolto, anzi, in qualche caso, pur di non riconoscere a noi qualche merito, sono stati accolti emendamenti simili della maggioranza, come nel caso degli abilitati e degli abilitandi. In questo quadro, voglio tuttavia sperare che sia possibile che l'Aula possa esaminare con attenzione il decreto-legge e, quindi, valutare senza pregiudizi le nostre proposte, ma sembra che, ancora una volta, il Governo - preoccupato soprattutto per la tenuta della sua maggioranza - voglia porre la questione di fiducia.
Evidentemente, gli schiaffi - come ha detto il Ministro Calderoli - che gli italiani hanno dato al Governo con le elezioni amministrative e con i referendum, non hanno ancora prodotto l'effetto auspicato, anche da parte di tanti autorevoli esponenti della maggioranza, della Lega in particolare, e cioè quello di una profonda riflessione e di un cambio di passo. Questo decreto-legge poteva essere un primo serio banco di prova, ma finora non è stato così.
Tuttavia, se il Governo e la maggioranza vogliono continuare la strada e la strategia della propaganda e dei giochi di prestigio, che gli italiani hanno sonoramente bocciato, si arriverà quanto prima al dissolvimento di questo Governo e di questa maggioranza; ciò, permettetemi di dirlo, per il bene del Paese, mi auguro che avvenga rapidamente per poter affermare così un'alternativa di Governo finalmente capace di dare risposte all'altezza delle attese del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calvisi. Ne ha facoltà.

GIULIO CALVISI. Signor Presidente, intervengo su una questione politica e successivamente interverrò nel merito del provvedimento che stiamo discutendo. La questione politica che voglio sollevare attiene al modo con il quale noi giungiamo in Aula a discutere questo decreto-legge: discutiamo di un provvedimento licenziato dalle Commissioni riunite bilancio e finanze della Camera, su cui il Governo apporrà l'ennesima questione di fiducia. Vale allora la pena di ricordare quello che è successo nei lavori delle Commissioni; vale ricordare che l'opposizione, tutta l'opposizione non ha partecipato al voto finale per licenziare il testo, e non abbiamo partecipato non perché ci fosse particolarmente ostile il contenuto di questo decreto-legge, perché per quanto possibile noi cerchiamo di non fare una opposizione isterica, sebbene dura e motivata, ma perché semplicemente, signor Presidente, non sapevamo e non conoscevamo il testo finale che si andava a votare. Non conoscevamo il contenuto di tutti gli emendamenti che in quel momento la maggioranza ci chiamava ad assumere con il parere motivato, come si fa in Commissione quando si licenzia un testo, con il mandato motivato al relatore; è bene quindi che si sappia che il Governo e la maggioranza durante tutta la settimana dei lavori delle Commissioni ci hanno portato a spasso e ci hanno condotto ad una discussione che però non stringeva mai sui contenuti perché tra emendamenti approvati, quasi tutti di maggioranza, presentati peraltro da colleghi della maggioranza che si sono prestati a fare il postino di questo e di quest'altro Ministero, tra emendamenti assorbiti, emendamenti accantonati e riformulati, pochi membri delle Commissioni, forse solo i due relatori e il sottosegretario Giorgetti, hanno capito, hanno avuto contezza piena di quello che si andava a votare.
Peraltro, siamo stati chiamati a votare tutti gli emendamenti e subemendamenti in blocco, con un voto unico e da esprimere subito, che francamente ha quanto meno dell'irrituale. Del resto questa maggioranza e questo Governo ci hanno abituato Pag. 22all'irritualità e al fatto di non rispettare le prerogative del Parlamento. Perché poi, a fronte di una nostra reiterata richiesta di continuare i lavori nelle Commissioni, ci è stato detto che c'erano tempi strettissimi, che dovevamo licenziare il provvedimento nelle Commissioni nel minor tempo possibile e oggi eccoci qui, come ieri: Aula vuota, tranquilli e rilassati, il Governo probabilmente porrà una questione di fiducia che si voterà nella giornata di martedì; forse, se avessimo guadagnato tempo nel lavoro nelle Commissioni, alla fine il prodotto sarebbe stato migliore. Certo è che questo modo di procedere è indicatore di tutte le difficoltà della maggioranza, state ancora barcollando per le sberle, come le ha definite il Ministro Calderoli, elettorali e referendarie; prima, nei mesi scorsi, negli anni scorsi, quando eravate forti, avevate i numeri, ostentavate arroganza e sicurezza nei lavori delle Commissioni parlamentari.
Oggi che siete meno forti e con una maggioranza divisa nel merito su importantissime questioni che abbiamo affrontato anche nel provvedimento al nostro esame, con la maggioranza spesso divisa dal suo Governo, la logica dei numeri non funziona più. Infatti voglio ricordare che in Commissione due votazioni sono finite in pareggio e ad un certo punto l'opposizione non poteva ottenere che i suoi emendamenti fossero approvati, è vero, ma neanche la maggioranza aveva i numeri per far approvare gli emendamenti dei relatori e del Governo. Poi, al fine di favorire l'approvazione, avete utilizzate il sistema di avvolgere il tutto in una nebulosa non facendo capire ai membri delle Commissioni - innanzitutto a quelli di maggioranza - cosa si stava per votare. E il messaggio, neanche tanto nascosto, che avete inviato ai membri delle Commissioni ed in particolare ai colleghi della maggioranza della Commissione finanze e della Commissione bilancio è «taci e vota». Taci così la legislatura continua perché altrimenti gli elettori ci spazzeranno via e così andate avanti.
Nel merito di questo provvedimento voglio fare mie le considerazioni espresse da altri colleghi sulla portata più generale del decreto-legge oggetto del disegno di legge di conversione che stiamo analizzando. Si tratta di un decreto-legge impropriamente denominato «per lo sviluppo»: in verità non si aiuta la crescita con le norme che stiamo per approvare e non si incide sulla inarrestabile ascesa del debito pubblico che ha toccato, lo voglio ricordare, il tetto dei 1.890 miliardi, salendo oltre il 120 per cento.
Voglio ricordare che nel 2007 il nostro debito pubblico era di poco superiore al miliardo e seicento milioni di euro e lo ricordo perché nel 2007 governava il tanto vituperato Governo Prodi. È un provvedimento che non incide sul potere d'acquisto delle famiglie, non aiuta la ripresa e non aiuta l'allargamento della domanda interna.
Inoltre nel merito abbiamo giudicato insufficienti le misure sul credito di imposta per la ricerca e per il Mezzogiorno. Poco fa il collega Morassut, con dovizia di particolari, ha espresso bene le nostre riserve sull'articolo 4 relativo alla riforma del Codice degli appalti così come l'inopportunità delle norme che avete introdotto in materia di urbanistica o di quelle che avete introdotto, tradendo il risultato del referendum, sull'Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche. Prima di me la collega Coscia vi ha ricordato il limite delle nuove misure previste da questo decreto-legge per quanto riguarda la regolamentazione dei precari nella scuola disciplinati all'articolo 9.
Con questo mio intervento non voglio quindi ripetere le argomentazioni già presentate da altri colleghi sui punti critici del provvedimento al nostro esame, ma voglio ricordare che avevamo segnalato una nostra forte criticità in riferimento all'articolo 3, quello sulle spiagge, sulle concessioni, sul diritto di superficie e per fortuna quella parte è stata stralciata e quindi la riprenderemo in altra occasione.
Voglio poi parlare di una questione molto delicata che attiene all'articolo 7 in materia di riscossione di entrate tributarie ed extratributarie. Non voglio fare un intervento solo di critica a quanto abbiamo Pag. 23approvato in Commissione e che ci avete proposto, anche perché poi, come sappiamo, quanto è stato approvato, al di là di due punti di cui parlerò successivamente, è frutto di una mozione parlamentare sulla quale ci siamo confrontati e si è addivenuti ad una posizione unanime da parte delle forze politiche in Parlamento.
Intervengo sul tema della riscossione per sollevare un problema e per dare appuntamento alla maggioranza ad un'altra occasione. Noi parliamo infatti di un tema delicato che non attiene al solo rapporto tra contribuente ed Equitalia, ma è un tema fondamentale che tocca il livello delle entrate riscosse da parte dello Stato, il livello di evasione fiscale nel nostro Paese e quindi, necessariamente, lo stato dei conti pubblici.
Quindi, quando parliamo di riscossione, necessariamente ci riferiamo ad una materia che non può essere disciplinata e riformata con un solo articolo di un decreto-legge, peraltro modesto, poiché attiene a temi grandi come quello della riforma della pubblica amministrazione, della riforma fiscale e della riforma istituzionale in senso federalista.
Voglio parlare di questo problema per far sì che cresca tra di noi, in maniera non strumentale e non demagogica, la consapevolezza che stiamo parlando di qualcosa che va al di là dei numeri delle cartelle su cui esercita la propria azione Equitalia, cioè stiamo parlando di un fenomeno sociale molto diffuso nel nostro Paese e di una vera e propria crisi delle nostre imprese, in particolare quelle più piccole.
Per lungo tempo, quando abbiamo parlato di piccole imprese, tutta la politica si è concentrata su due aspetti: il tema dell'evasione fiscale e quello degli incentivi. Su questi due temi si è incentrato il dibattito politico negli anni passati; poi è arrivata la crisi, una crisi che il Governo ha smentito, dicendo che era solo psicologica e, successivamente, che era pure passata.
In verità la crisi c'è stata, c'è tuttora e ci sarà per i prossimi mesi a venire. La politica, probabilmente - è un rimprovero che muovo a questo Governo -, se ha fatto qualche cosa, lo ha fatto sul piano della tutela e del venire incontro alle grandi imprese con le misure predisposte in materia di ammortizzatori sociali.
Questi ultimi naturalmente hanno rappresentano un aiuto per i dipendenti, ma anche un beneficio importante per le imprese in crisi. Tuttavia il Governo non ha fatto niente per le piccole imprese, tranne pochi palliativi come l'abolizione del massimo scoperto, la possibilità di rateizzare con interessi altissimi e gli accordi con le banche ad essere tolleranti con i piani di rientro dai mutui.
Però, non ha fatto niente rispetto alla crisi di lavoro, di commesse, di vendita, di calo verticale dei consumi dei beni intermedi in cui molti piccoli imprenditori si sono trovati. Molte imprese di questo Paese hanno avuto un problema di accesso al credito, molte banche hanno abbassato il fido a disposizione, sono state più rigide nella concessione dei mutui, hanno chiesto di rientrare in tempi brevi ai loro clienti, i quali sono andati in crisi nell'esposizione con i fornitori e con il fisco per far fronte alle imposte dovute, non solo rispetto alle cartelle precedenti, ma anche a quelle che ogni anno dovevano essere pagate in virtù degli adempimenti fiscali che, come sappiamo, sono annuali.
Quindi è cresciuto l'indebitamento delle piccole imprese italiane nei confronti dell'erario. Molti non sono riusciti a pagare l'IRPEF, l'IRPEG, l'IRES, l'IVA e l'imposta di registro; è cresciuta l'esposizione debitoria rispetto alle imposte non erariali come l'IRAP, l'addizionale regionale e comunale IRPEF ed è cresciuta l'esposizione debitoria verso gli enti previdenziali (INPS e INAIL).
Su questo non ho contezza piena dei dati a livello nazionale, perché quelli forniti da Equitalia su questo sono parziali e, a mio avviso, non danno la visione piena del problema. Cito i dati relativi alla Sardegna. In Sardegna ci sono più di 160 mila imprese. Di queste imprese 64 mila (circa il 40 per cento quindi delle imprese sarde) sono indebitate con il fisco, l'INPS Pag. 24e l'INAIL e l'esposizione debitoria delle imprese sarde verso lo Stato è di 3,5 miliardi di euro.
Nel solo 2009 sono fallite in Sardegna 2.354 imprese che dovevano allo Stato 950 milioni di euro. Quindi quei 950 milioni di euro dovuti dalle imprese fallite in Sardegna non andranno più nelle casse dello Stato. La Sardegna non è la regione più ricca d'Italia, ma non è neanche la regione più povera d'Italia ed è probabile che se solo moltiplicassimo questa cifra per 20 regioni avremmo una bella cifra consistente che non registra un accesso, un introito nelle casse dello Stato. Nella sola Sardegna sono 57 mila le imprese che hanno fatto domanda di rateizzazione per un totale di 800 milioni di euro, nella sola provincia di Sassari rischiano di essere pignorati 15 mila immobili e 35 mila automezzi rischiano di essere sottoposti a procedure di fermo amministrativo.
È un dato significativo - lo voglio dire al sottosegretario Giorgetti e al presidente Giorgetti, l'omonimo presidente della Commissione bilancio -: fra gennaio 2010 e gennaio 2011 è cresciuta del 24 per cento la percentuale di indebitamento delle aziende sarde con il fisco. Questi sono i dati della Sardegna. I dati nazionali, che ci danno conferma di ciò, non sono così nel dettaglio perché i dati che ci ha dato Equitalia, che abbiamo avuto in audizione in Commissione bilancio, sono parziali; ad ogni modo, oltre due milioni di persone hanno avuto un fermo amministrativo, un milione e 600 mila preavviso di fermo amministrativo, 577 mila iscrizione di fermo amministrativo, 135 mila ipoteche, 50 mila pignoramenti immobiliari, 133 mila pignoramenti verso terzi.
Insomma, anche a livello nazionale c'è un problema che dobbiamo sforzarci di affrontare, basta vedere che ogni settimana sono fra le 12 e le 14 mila a livello nazionale le domande di rateizzazione. Questi dati ci dicono che ci sono molte imprese italiane che non ce la fanno più. Naturalmente dentro questa incapacità di far fronte agli adempimenti fiscali c'è di tutto: c'è chi evade e chi non riesce a pagare, c'è quindi chi elude, chi si nasconde al fisco, chi volutamente si sottrae al fisco, ma c'è anche chi invece non ce la fa a pagare perché è stato colpito dalla crisi, ha avuto meno commesse, fa meno forniture, lavora di meno, ha un'esposizione con le banche importante e quindi si trova in una situazione di difficoltà.
Ecco, secondo me, la prima sfida che dobbiamo assumere come classe politica nazionale, come rappresentanti di forze politiche che stanno in Parlamento, è fare una netta distinzione tra chi evade e chi non ce la fa perché abbiamo il dovere di dare una risposta, e l'unica risposta che possiamo dare non può essere quella della politica di incentivi che spesso sono inaccessibili, non può essere quella di dare l'idea che in uno Stato dove non funzionano i servizi, dove c'è una macchina burocratica spesso oppressiva, l'unica cosa efficiente che c'è in questo Stato è la macchina della riscossione e la macchina di Equitalia. Mi viene in mente Saviano che racconta un episodio nel suo libro Gomorra, cioè a un certo punto di fronte ad una crisi del tessile in Campania si registra che in qualche modo la camorra non prestava più soldi a tassi altissimi, quindi usurari, ma dava in prestito soldi ad imprenditori in difficoltà a tasso bassissimo, più basso di quello delle banche. La ragione vera era che si voleva impedire che quelle imprese morissero e che quindi non potessero rientrare dal debito. Ecco, quella sfida l'ha vinta la camorra e non l'ha vinta lo Stato.
Alcune situazioni che ci sono in questo Paese sono emblematiche perché molto spesso abbiamo dei piccoli imprenditori che hanno crediti per lavori eseguiti, per commesse assunte con le ASL, con il comune, con le municipalizzate, con la provincia, con lo Stato.
Lo Stato spesso non eroga i pagamenti perché sappiamo che Tremonti in gran parte ha bloccato tutti i pagamenti, ma sappiamo anche dei vincoli e del Patto di stabilità che hanno molti comuni. Dunque, l'impresa anticipa il bisogno di liquidità cui deve far fronte e in parte paga le banche, in parte gli operai, in parte i fornitori e in parte il fisco. Qualche volta, Pag. 25però, i fornitori non aspettano le esigenze dell'imprenditore e chiedono il decreto ingiuntivo. Qualche volta la banca aspetta, qualche altra volta no. Equitalia, invece, va avanti come un treno e spesso arriva il preavviso di fermo amministrativo, ti ritrovi le ganasce fiscali e poi la casa ipotecata. Equitalia segnala la vicenda alla centrale dei rischi, le banche bloccano il credito e, allora, non ti rilasciano il DURC, che è il documento unico di regolarità contributiva e non puoi più lavorare per il pubblico e hai dei problemi anche a lavorare nel privato.
Allora, è chiaro che qui vi è un meccanismo che non funziona, così come non funziona il meccanismo del pagamento degli interessi. Se pensiamo al costo di una cartella esattoriale non pagata per un anno dobbiamo fare una somma tra gli interessi di mora, che ammontano all'11,45 per cento, l'aggio dovuto a Equitalia, al 9 per cento, e il 30 per cento di sanzione. Quindi, un debito di 10 mila euro diventa di 15 mila e uno di 50 mila diventa di 75 mila. Così i piani di rientro sono in qualche modo insufficienti. Personalmente, ho visto una cartella di 113 mila euro, rateizzata secondo la legge in 72 rate, che è diventata di 187 mila euro, con 67 mila euro in più. Se vai in banca a chiedere un mutuo ti costa di meno.
Quindi, siamo chiamati ad intervenire su questo punto, senza fare demagogia. Voglio ricordare che siamo il partito che ha fatto della battaglia all'evasione fiscale un punto della sua identità politica e non abbiamo nessuna intenzione di tornare indietro rispetto a quella che consideriamo una battaglia strategica per il futuro del Paese e per la tenuta dei conti pubblici. Riconosciamo anche il lavoro importante che è stato fatto da Equitalia, perché i dati che il dottor Befera ci ha fornito in audizione alla Camera sono importanti. Quando vi era il vecchio meccanismo di riscossione, nel 2005, si riscuotevano poco meno di 4 miliardi di euro; adesso, invece, si è passati a riscuotere quasi 9 miliardi di euro. Non ho nessuna indulgenza verso la demagogia che si fa nei confronti di Equitalia, che svolge un lavoro importante. Il punto, però, è che siamo chiamati a cambiare le leggi conoscendo lo stato dei nostri conti pubblici e partendo da questi. Adesso ci sono queste cifre sull'evasione fiscale, con alcuni che parlano di 350 o 400 mila evasori, anche se i numeri non sono mai precisi, come è giusto che sia, sull'evasione fiscale. Però, sono andato a riguardare la tabella del bilancio di previsione, approvato quest'anno, dove risultano questi dati in ordine a quanto lo Stato deve riscuotere dai contribuenti a titolo di entrate tributarie ed extratributarie che ancora non ha riscosso e che sono considerate, nel nostro bilancio di previsione, residui presunti perché non è detto da nessuna parte che quei soldi effettivamente verranno prelevati e che, quindi, finiranno nelle casse dello Stato. Vi sono 115 miliardi di euro di entrate tributarie e 116 di entrate extratributarie, per un totale di quasi 232 miliardi.
Cosa possiamo fare? Siamo sicuri che siano sufficienti 9 miliardi di riscossione da parte di Equitalia? Probabilmente dobbiamo inventare qualcosa e dobbiamo cercare di affrontare il problema per quello che è.
Probabilmente, con interventi che puntano a recuperare quei soldi, avremo una maggiore facilità nella gestione dei conti pubblici e potremo conservare alcuni servizi essenziali del nostro Stato.
È chiaro che, a fronte delle indicazioni dell'Unione europea di tagliare nei prossimi anni, entro il 2014, 40, 45, 50 miliardi di euro (ancora le cifre, a tale proposito, sono del tutto sconosciute) dobbiamo predisporre misure che puntino ad aggredire il non riscosso, continuando a puntare sulla lotta all'evasione fiscale. Tuttavia, ciò deve avvenire, garantendo la possibilità di pagare, andando incontro a chi non riesce pagare e quindi scindendo la condizione di chi volutamente evade e si sottrae al fisco da quella di chi invece si trova in una situazione di difficoltà economica.
Con questo provvedimento abbiamo avanzato alcune proposte; per esempio, abbiamo chiesto di allungare la rateizzazione e di condizionarla alle difficoltà economiche del contribuente e dell'impresa; Pag. 26abbiamo proposto che la maggiorazione dell'aggio dovuta ad Equitalia scatti dopo 120 giorni, abbiamo fatto delle proposte in materia di anatocismo immobiliare, di pignorabilità dei beni strumentali, dei mezzi di lavoro e della prima casa.
Alcune proposte le avete accolte e quindi possiamo dire che, con riferimento a queste, vi è stato un accordo di tutte le forze politiche, tuttavia oggettivamente sui beni strumentali e sulla pignorabilità si poteva andare oltre i 2.000 ed i 20.000 euro. Parimenti, ci ha lasciato molto perplessi l'idea che, dal prossimo anno, la riscossione dei tributi comunali non venga più operata da Equitalia, ma non si sa bene da chi: dal comune o da società fondate dal comune. Ciò conviene più ad Equitalia che ai comuni perché i comuni si troveranno nella situazione di dovere costituire società per la riscossione. Noi vi abbiamo chiesto perlomeno di prevedere un'adesione volontaria e di scindere perlomeno tra comuni grandi e piccoli; invece avete lasciato invariato questo provvedimento, che, probabilmente, è un provvedimento annuncio perché confluirà nel decreto cosiddetto mille proroghe. In questo prevedete una disposizione che innalza la sospensiva per la riscossione, che avrà una durata di centottanta giorni e prevedete un illecito disciplinare e una sanzione con addirittura la rimozione dell'incarico in caso di recidiva e con danno erariale a carico dei giudici tributari; questa è una previsione assolutamente inutile, che non avrà alcun effetto in termini di beneficio per il contribuente, come viene ricordato dallo stesso direttore di Confindustria, Giampaolo Galli. Poi non si capisce perché, per questi magistrati tributari, venga riconosciuto anche il danno erariale: se non si arriva a giudizio, comunque in seguito lo Stato incassa, quindi non si capisce bene perché avete previsto la fattispecie del danno erariale.
Pertanto, secondo noi - e concludo, signor Presidente, perché mi sta indicando che il tempo a mia disposizione sta terminando - si poteva dare di più, in particolar modo in materia di compensazione di debiti e crediti della pubblica amministrazione. Infatti, non è pensabile oggi che un cittadino che abbia un credito nei confronti dello Stato (ASL, regioni, aziende municipalizzate), dopo anni in cui non riesce a ottenere il pagamento di 100 euro si ritrovi a prenderne 102 - con un interesse molto basso - e invece quel debito del medesimo importo che ha nei confronti dello Stato dopo anni diventi pari a 150, 200 o 250 euro.
Quindi, perlomeno tra il cittadino creditore ed il cittadino debitore nei confronti dello Stato, deve esservi una parità di trattamento. Questo emendamento non è stato accettato, ma, poiché ci rendiamo conto che non tutti gli emendamenti al decreto sviluppo potevano essere accolti, siamo qui per darvi appuntamento, ho concluso, signor Presidente, ad un'altra occasione.
Noi pensiamo che la politica e la legge debbano ritornare a tener conto del livello di indebitamento delle famiglie e delle imprese italiane, che ancora non conosciamo, del rapporto tra conti pubblici e riscossione e del fatto che molte imprese hanno bisogno di politiche di sostegno che questo Governo, fino a questo momento, non ha portato avanti.
Le nostre proposte sono in campo, sono chiare, sono proposte compatibili con la tenuta dei conti pubblici e sono finalizzate, anche lì, ad innescare processi di crescita e di sviluppo di cui il nostro Paese ha bisogno e che ancora una volta con questo decreto-legge avete rinviato ad altra occasione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, nel mio intervento affronterò tre temi. Il primo tema concerne il rapporto fra questi decreti-legge omnibus e una vera politica economica che sembra ancora mancare a questo Paese; poi, affronterò due argomenti specifici relativi al decreto-legge in discussione, uno relativo alla riscossione e l'altro relativo all'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di servizi idrici. Pag. 27
Abbiamo di fronte in quest'Aula l'ennesimo decreto-legge omnibus. C'è stata una fase politico-culturale in cui sembrava che approvare questi decreti-legge omnibus fosse l'unico modo per affermare una sorta di efficienza e di capacità da parte del Governo di emanare provvedimenti urgenti e necessari al Paese. Credo, però, di poter dire - è una riflessione che propongo anche ai colleghi della maggioranza - che con il decreto-legge in discussione questa fase politico-culturale dobbiamo davvero considerarla chiusa.
Questi decreti-legge omnibus comportano una bassa qualità della legislazione, una scarsa trasparenza ed efficacia del lavoro parlamentare, si chiudono sempre con voti di fiducia che diventano simulacri di efficienza e, alla fine, nel corso del tempo e della storia, lasciano sempre più spesso pasticci e cose su cui ritornare.
Voglio ricordarvi che in fondo è questa la storia delle norme relative ai servizi pubblici locali, fra cui quelli relativi all'acqua, che non più tardi di qualche giorno fa circa 27 milioni di cittadini italiani hanno abrogato. Tra queste, l'articolo 23-bis è stato approvato attraverso uno di questi grandi decreti-legge omnibus, l'articolo 15 attraverso un altro decreto-legge omnibus relativo ad adempimenti comunitari, e in tutti e due i casi il lavoro del Parlamento è stato assolutamente costretto nell'impossibilità di ragionare e modificare quelle norme, non è stata fatta un'adeguata manutenzione normativa delle normali regole relative a questi settori così importanti per la vita collettiva, si è andati avanti a colpi di fiducia forti di una maggioranza che oggi non c'è più; e qualche giorno fa Governo e maggioranza si sono trovati innanzi a 27 milioni di persone che hanno detto: «no, non si fa così».
Credo che dobbiamo imparare da questa vicenda, farla finita con i decreti-legge omnibus ed evitare quindi che il Comitato per la legislazione possa scrivere quanto sostenuto in merito a questo decreto-legge.
Sicuramente, dopo il mio intervento, su questo tema si soffermerà il collega Duilio, ma voglio solo leggervi ciò che il Comitato per la legislazione dice in merito a questo decreto-legge, cioè che non appare conforme all'esigenza di omogeneità, che nel procedere a numerose modifiche della disciplina vigente il provvedimento non sempre effettua un adeguato coordinamento con le preesistenti fonti normative, che talune disposizioni modificano corpi normativi organici quali codici, testi unici o grandi leggi di sistema compromettendone così il carattere di unitarietà e onnicomprensività.
Potrei continuare, ma ragioniamoci per un attimo: questa fase politica e politico-culturale che sembra esaurirsi e dentro la quale il decreto-legge omnibus diventava l'unica strada per dare efficienza al lavoro di Governo e al lavoro parlamentare non ha alternative? Io credo che le alternative ci siano, le abbiamo scritte insieme, anche su indicazione dell'Unione europea. Abbiamo riscritto la legge di contabilità e finanza pubblica, l'abbiamo modificata qualche settimana fa all'interno delle nuove regole europee.
All'interno della nuova legge di contabilità e finanza pubblica possiamo leggere la seguente previsione, molto importante: «In allegato al DEF sono indicati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, ciascuno dei quali reca disposizioni omogenee per materia, tenendo conto delle competenze delle amministrazioni, e concorre al raggiungimento degli obiettivi programmatici (...), nonché all'attuazione del Programma nazionale di riforma di cui all'articolo 9, comma 1, anche attraverso interventi di carattere ordinamentale, organizzatorio ovvero di rilancio e sviluppo dell'economia.
I Regolamenti parlamentari determinano le procedure e i termini per l'esame dei disegni di legge collegati».
Quindi, un'alternativa c'è, cari colleghi. L'alternativa è quella di cominciare, abbandonando la strada dei decreti-legge omnibus, ad applicare il percorso delle decisioni di politica di bilancio e di politica economica che ci viene dall'Unione europea e della legge che abbiamo di recente approvato. Pag. 28
Questa legge dice che gli interventi di carattere strutturale e ordinamentale vanno indicati fin dal Documento di economia e finanza e poi confermati nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza; i relativi progetti di legge collegati alla manovra finanziaria, quindi alla legge di stabilità, possono essere presentati entro gennaio dell'anno successivo e i Regolamenti parlamentari determinano le procedure e i termini per l'esame dei disegni di legge collegati.
Voglio ricordare che, in occasione della riforma della legge di contabilità e finanza pubblica, il presidente Giancarlo Giorgetti è stato il primo firmatario di un importante documento, sottoscritto da tutti i capigruppo di tutti i partiti politici di questo Parlamento in Commissione bilancio, in cui c'è un impegno politico da parte di tutti a procedere ad una importante riforma dei Regolamenti parlamentari, affinché i disegni di legge collegati di carattere ordinamentale, strutturale, quindi di riforma organizzativa, collegati alla legge di stabilità e alla manovra di bilancio possano avere una corsia preferenziale, una modalità e una procedura di esame che risolva il problema dell'efficienza dei lavori parlamentari, ma senza ritornare allo strumento, che vediamo quanto sia ormai spuntato, dei decreti-legge omnibus.
Se andiamo a guardare il Documento di economia e finanza che il Governo ha presentato a questo Parlamento e che questo Parlamento ha approvato con una sua risoluzione alla fine del mese di aprile, troviamo tutta una serie di misure molto vaghe e molto da "attaccapanni". Si tratta di tante misure di carattere strutturale e ordinamentale che il Governo nel Documento di economia e finanza si propone, anzi si proponeva, di mandare avanti nei mesi successivi. Tra l'altro, alcune delle misure annunciate nel Documento di economia e finanza tornano in questo decreto-legge omnibus.
Ma ciò che manca nel Documento di economia e finanza, così come è mancato anche nella Decisione di finanza pubblica dell'anno scorso, è l'adesione da parte del Governo al nuovo meccanismo delle decisioni di politica di bilancio europee.
Il Governo e la maggioranza attuale di centrodestra non ci hanno creduto nel 2010 e non ci hanno creduto neanche nel 2011. Questa lista di impegni e di riforme strutturali, al di là del merito - naturalmente noi non la condividiamo nel merito - non ha nessun cronoprogramma. Dal Governo, il 30 aprile, non è stato detto quali di queste misure sarebbero entrate in decreti-legge omnibus, quali avrebbero avuto invece come frutto un organico disegno di legge collegato alla manovra e alla legge di stabilità durante la manovra finanziaria.
Il Governo non crede alla nuova legge di contabilità, il Governo non crede allo scenario europeo delle politiche di bilancio e continua a viaggiare con questi decreti-legge omnibus, senza darsi un cronoprogramma trasparente e preciso degli impegni legislativi che intende prendere.
La confusione che questo crea nel processo legislativo è diventata ormai anche un grandissimo tema politico. Penso che i colleghi della maggioranza debbano vedere anche questo nel segnale che i cittadini italiani hanno dato così forte e chiaro con il loro voto referendario.
I cittadini chiedono al Governo e al Parlamento di fare il proprio lavoro, che deve essere un lavoro di manutenzione ordinaria delle norme, che va fatto con omogeneità settoriale, con un tempo necessario a guardarle. Pensiamo soltanto alla norma sulla tariffa idrica, che ci troviamo adesso a rilegificare dopo il voto referendario: è una norma stabilita nel 1995, attuata nel 1996, mai più manutenuta dal 1996 al 2011. I cittadini italiani ci dicono: caro Parlamento e caro Governo, lavorate in modo ordinato e trasparente per risolvere i problemi del Paese. Non sono questi decreti-legge omnibus che ci aiutano a farlo.
Certo, c'è anche una questione di merito. Scusatemi se finora ho parlato solo di metodo e di procedure. Certo, c'è anche una questione di merito e lo hanno detto tanti prima di me. Pag. 29
Se noi scorriamo i titoli di questo decreto omnibus, ci dobbiamo anche domandare che cosa c'entra tutto questo guazzabuglio con gli obiettivi di sviluppo economico: concessioni demaniali sulle spiagge (per fortuna ci avete ripensato), patenti nautiche, appalti pubblici, riscossione, Fondazione per il merito, carta d'identità elettronica, sovrapprezzo per le economie private, emendamenti e subemendamenti che arrivano all'ultimo momento e che nessuno capisce.
Tutto questo guazzabuglio davvero c'entra poco con lo sviluppo. In fondo, ad essere oggettivi, seri e razionali, soltanto i primi due articoli di questo decreto-legge hanno davvero a che fare con lo sviluppo, cioè la questione del credito di imposta, di cui ha parlato ieri, per il Partito Democratico, l'onorevole D'Antoni.
Ma è anche l'ordinato svolgimento dell'attività legislativa che così è impedito, perché la riforma degli appalti pubblici non si può fare per decreto. Se il Governo ritiene che la riforma degli appalti pubblici sia una norma ordinamentale rilevante ai fini dell'attuazione del Piano nazionale di riforma e anche dei nostri obblighi europei, si predisponga a farla bene, con un disegno di legge collegato alla legge di stabilità. Lo stesso vale per l'urbanistica e ogni volta che si introducono elementi modificativi, come ci dice il Comitato per la legislazione, in grandi apparati normativi codificati dentro codici unici o leggi di sistema.
Poi, naturalmente, dovremmo anche discutere del merito degli obiettivi di politica economica. Qui mi limito a ricordare che saremo chiamati nei prossimi mesi certamente ad una riflessione relativa all'aggiustamento dei conti pubblici: un aggiustamento immediato per il 2012 e uno ancora più rilevante in vista di quello che il Governo ha stabilito come obiettivo, cioè il pareggio di bilancio al netto del ciclo nel 2014. Ma dovremmo anche discutere di questo obiettivo.
Infatti, la Commissione europea, nella sua raccomandazione sul Programma nazionale di riforma e sul Programma di stabilità inviato dall'Italia con la decisione del 30 aprile, ci dice che -leggo testualmente dal documento della Commissione relativo all'Italia - la prevista correzione di bilancio media annua nel periodo 2010-2012 è superiore al valore raccomandato dal Consiglio nell'ambito della procedura per i disavanzi eccessivi e il ritmo di adeguamento previsto dopo il 2012 è di gran lunga superiore a quanto stabilito dal Patto di stabilità e crescita.
Quindi, cari colleghi della maggioranza e Governo - mi rivolgo al sottosegretario - dovremo anche discutere del merito degli obiettivi di politica economica. Mi sono limitato qui a discutere soprattutto di metodo, ma vi è un grande problema di merito: qual è l'obiettivo e quali sono le motivazioni che il Governo e il Ministro dell'economia vorranno addurre per validare un obiettivo al 2014 che, come dice la Commissione, è di gran lunga superiore a quanto stabilito dal Patto di stabilità e crescita.
Come dicevo, signor Presidente, mi occupo poi velocemente soltanto di due questioni di merito relative a questo decreto-legge. La prima è quella della riscossione. Penso, colleghi, che sulla questione della riscossione sia necessaria una posizione seria ed equilibrata, che defletta rispetto a ogni tipo di demagogia. Credo che il giudizio sulla riforma della riscossione varata nel 2005 - giudizio che, ricordo, fu positivo, allora, anche da parte dell'opposizione - debba ancora oggi restare un giudizio positivo.
I numeri disponibili testimoniano, peraltro, l'efficacia di quella riforma. La quantità di riscossione, quindi la quantità di tributi riscossi, è salita dopo la riforma, cioè tra il 2006 e il 2009, da 1,8 miliardi di euro a 3,6 miliardi di euro. Vi è stato, quindi, un raddoppio della capacità di riscossione grazie all'esistenza di un'Agenzia di riscossione, di un ente di riscossione totalmente pubblico.
Ma, al tempo stesso, non dobbiamo dimenticarci che questo raddoppio delle somme riscosse equivale comunque ad una percentuale molto bassa dei ruoli caricati (una percentuale dei ruoli che viaggia all'1,5-2 per cento, e che quindi ci dice che Pag. 30abbiamo - lo diceva poco fa l'onorevole Calvisi - una grande massa di ruoli nei residui attivi dello Stato e di tutti gli enti pubblici italiani, di cui vanno valutate anche la qualità e l'esigibilità) e che, però, la riforma della riscossione, che pure ha funzionato bene e su cui dobbiamo dare un giudizio positivo, può certamente migliorare.
Deve essere un miglioramento questo e un obiettivo per così dire trasparente, serio, non demagogico, sia dell'attività legislativa primaria, ovvero dell'attività normativa di questo Parlamento, sia dell'attività normativa secondaria, relativamente agli indirizzi del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Agenzia delle entrate, sia dell'attività operativa e dei modelli organizzativi della riscossione pubblica di Equitalia Spa.
Lasciatemi però dire - lo voglio dire - che credo che in questo Parlamento dobbiamo assumerci ogni responsabilità quando, come stamattina, leggiamo sui giornali che gli addetti di Equitalia vengono aggrediti agli sportelli. Io mi sento personalmente di dare un messaggio di solidarietà a questi lavoratori ed addetti, che nello svolgimento di una funzione pubblica vengono aggrediti, ma mi sento al tempo stesso di dire: attenzione, qui c'è davvero qualcosa che non va. Se anche gli addetti della riscossione rischiano addirittura l'incolumità personale, dobbiamo velocemente, ma in modo anche ordinato, intervenire a livello di norme primarie, di norme secondarie, di processi organizzativi di quell'ente, affinché non dobbiamo più leggere sui giornali delle notizie simili.
Detto questo, quindi, vanno predisposti con saggezza interventi per migliorare tutti i procedimenti di riscossione. Le mozioni e risoluzioni parlamentari approvate qualche giorno fa da quest'Aula, vanno nella giusta direzione ed anche alcune modifiche al testo iniziale del decreto-legge vanno in questa direzione. Credo però che vi sia ancora molto da lavorare su due versanti e sul lavoro che resta da compiere dichiaro subito la disponibilità del Partito Democratico, in Commissione finanze e in Aula, a lavorare anche celermente per raggiungere degli obiettivi. Innanzitutto c'è una questione di valutazione complessiva dell'assetto industriale, della struttura organizzativa e anche del meccanismo di funzionamento del costo dell'ente riscossore. Il fatto che l'ente riscossore sia stato collocato come società di secondo livello dal Ministero dell'economia e delle finanze - perché posseduto non direttamente ma indirettamente - ha forse allontanato un po' troppo, rispetto alla sede di indirizzo di controllo parlamentare, una valutazione del piano industriale di quest'azienda. Credo che a questa valutazione dobbiamo arrivare in modo sereno, cercando di capire quali sono le disfunzioni organizzative, come sono superabili, come si può superare anche qualche elemento di difficoltà nei meccanismi di finanziamento.
Il secondo tema è quello della riscossione degli enti locali. Non voglio adesso annoiare i colleghi presenti in Aula, perché il tema della riscossione degli enti locali è un tema molto complicato e molto tecnico, ma c'è sempre stata una difficoltà da parte dell'ente pubblico di riscossione di lavorare su pezzature piccole, come sono quelle degli enti locali, e c'è sempre stato il problema per gli enti locali di andare ad assumere direttamente l'attività di riscossione anche perché, pur essendo questa previsione già stata fatta fin dalla riforma del 2005, non sono poi mai stati completati alcuni apparati normativi, che potrebbero permettere, se completati, agli enti locali di uscire da Equitalia e di realizzare da soli, o via gara, la riscossione. Se gli enti locali devono avere un pieno accesso alle banche dati, allora ci deve essere una possibilità completa di circuito informativo: l'ente locale che scegliesse di far da sé la riscossione deve essere messo nelle stesse condizioni in cui oggi è l'ente pubblico monopolistico della riscossione.
Quindi, sul tema della riscossione degli enti locali, tramite anche alcuni elementi di questo decreto-legge ed alcune proposte emendative approvate nel corso della discussione e ritornate alla ribalta, credo che sarà necessario un approfondimento. È molto complicato e molto difficile pensare, Pag. 31come oggi indica la norma, che in soli sei mesi gli enti locali italiani possano procedere all'internalizzazione dell'attività di riscossione, ovvero alla presa in carica di quest'attività per metterla a gara, perché tanti sono gli adempimenti necessari per realizzare questo obiettivo. Credo che nei prossimi mesi sul tema della riscossione degli enti locali occorrerà organizzare un'apposita fase di lavoro.
Infine, l'ultimo punto su cui volevo soffermarmi è quello dell'Agenzia per i servizi idrici e quindi gli appositi commi dell'articolo 10 di questo decreto-legge. Avere da parte del Governo proposto l'istituzione dell'Agenzia per i servizi idrici è un passo in avanti rispetto alle norme che sono state per così dire abrogate dal referendum di domenica scorsa.
È un passo in avanti rispetto all'articolo 23-bis e all'articolo 15 del decreto concernente gli obblighi comunitari 2009. Lo avevamo chiesto fin da allora: nella regolazione dei servizi pubblici locali e soprattutto nella regolazione del settore idrico manca un'autorità. Questo passo in avanti però, lo devo dire al Governo con molta fermezza, arriva fuori tempo massimo, a tempo ampiamente scaduto. Infatti, ad ottobre 2010, quindi otto mesi fa, è passato da questo Parlamento il regolamento di attuazione dell'articolo 23-bis e avete avuto l'ultimo treno possibile per modificare quella riforma in modo che diventasse sostenibile e non vi travolgesse come vi ha travolto domenica scorsa e anche in quell'ultima occasione ci avete detto di no su tutto, sull'Autorità, sulla clausola di salvaguardia sociale per le gare (perché va bene mettere a gara un servizio pubblico, ma qual è la clausola sociale per gli addetti di quel servizio pubblico?) e ci avete detto di no sulla manutenzione normativa delle tariffe, insomma, su tutto. Adesso piangete lacrime amare e non è certo questa Agenzia per i servizi idrici, che pure è un passo in avanti, che potrà togliervi dai pasticci. Tra l'altro, non è ancora una vera Autorità perché avete respinto i nostri emendamenti che la chiamavano Autorità e la riportavano sotto la disciplina normativa del 1995 relativa a tutte le altre autorità.
La nostra proposta è molto semplice: anche qui, un po' come nel caso delle discussione degli enti locali, naturalmente con un significato politico molto più importate alla luce dei risultati referendari e quindi del chiarissimo indirizzo che il popolo italiano ci ha dato domenica scorsa, occorre lavorare velocemente per rilegificare in questo settore, in materia di servizi pubblici locali e sull'acqua. Il punto di partenza, perché adesso la parola torna al Parlamento, ce lo avete, guardatevi la proposta di legge del Partito Democratico sull'acqua a prima firma Bersani che abbiamo depositato più di un anno fa. Partiamo da quella, ragioniamo sui servizi pubblici locali, assumiamo l'indirizzo degli elettori e cioè che per le comunità locali ci debba essere libertà di scelta nell'affidamento dei servizi come avviene, peraltro, in tutta Europa, perché non c'è nessun obbligo europeo in materia di scelta tra le tre modalità di servizio. Il Partito Democratico, in questo caso, è anche disponibile, come ha fatto nella sua proposta di legge, ad irrigidire le attuali regole sull'uso dell'in house, perché nella nostra proposta sull'acqua irrigidiamo le attuali regole sull'uso dell'in house, con la segregazione contabile e con il divieto di ricapitalizzazione delle aziende, in modo tale che i costi dei contratti di servizi siano sempre trasparenti. E poi sull'acqua andrà rilegificata la tariffa che, a questo punto, potrà tener conto, come dice la legge, del costo degli investimenti. Occorrerà lavorare sui costi finanziari degli investimenti, su come introdurre elementi di remunerazione non più del capitale investito, ma dell'attività industriale, perché la gestione del servizio idrico è un'attività industriale, ma allora a questo punto bisognerà tornare sul concetto molto più proprio a quello di servizio pubblico e quindi ad un'equa, legale, e non di mercato, remunerazione dell'attività industriale.
In questa rilegificazione a cui i cittadini ci hanno chiesto di lavorare con il loro voto di domenica scorsa, riprendiamo an Pag. 32che il tema dell'Autorità. Avere estrapolato il tema dell'Autorità, averla derubricata ad Agenzia e non averla stralciata - perché sarebbe stato meglio a questo punto stralciarla e metterla insieme alla rilegificazione che dovremmo affrontare in tutto questo comparto - è un po' una forzatura. In ogni caso ci sono tre punti fermi: l'Autorità deve essere federale, non può essere solo un'Autorità soltanto dello Stato, visto che siamo in settori di legislazione concorrente. È positivo da questo punto di vista che almeno abbiate accettato una nostra proposta emendativa che prevede che uno dei tre componenti dell'attuale prevista Agenzia venga nominato sentita la Conferenza Stato-regioni, ma forse bisognerebbe ragionare un pochino di più e non soltanto in modo episodico su cosa significhi in questo Paese avere degli organi di vigilanza e di controllo, delle Autorità propriamente federali, cioè che chiudono un cerchio che da un lato vede autonomia e responsabilità degli enti locali, ma dall'altro vede contropoteri federali molto forti.
Qualcuno possiamo anche collocarlo fuori da Roma, come avviene nei sistemi federali. In Germania, ad esempio, la Corte costituzionale sta a Karlsruhe e la Banca centrale sta a Francoforte. Poteri federali, con governance condivisa tra Stato, regioni ed enti locali che possa, quindi, permettere agli enti locali medesimi di esercitare fino in fondo la loro autonomia e la loro responsabilità, dentro un quadro di regole di coordinamento comune. Ma, infine, questa Agenzia resta rachitica, non soltanto perché non è una vera autorità, non soltanto perché non è sotto l'ombrello normativo delle autorità, ma anche perché il corpo, la struttura, che viene prevista è ancora debole. La struttura della futura Agenzia per l'acqua dovrà essere dedicata a raccogliere ed elaborare molti dati; l'organico è debole, è definito facendo ricorso a poche risorse. Si tratta di un handicap molto grave, considerando che il primo compito di un'autorità di regolamentazione è quello di produrre informazioni, di certificare e di validare le informazioni che arrivano dalla periferia, di avere valutazioni che consentano un monitoraggio delle tante specificità sul territorio. Dovrà, inoltre, elaborare dei benchmark, dei costi standard, dei meccanismi tariffari moderni ed efficienti. Il meccanismo del 1995-96 che, da 11 anni, Parlamenti e Governi si sono dimenticati di manutenere, era un meccanismo ormai preistorico e non funzionante. La nuova Autorità, per gestire la nuova tariffa, dovrà avere la capacità di fuoco che ha, per esempio, l'attuale Autorità per l'energia elettrica e il gas. Certamente, aver voluto estrapolare la questione dell'Agenzia, non averla stralciata, guardarla ancora oggi come ad una compensazione intergovernativa per il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - perché così sembra questa norma nel decreto omnibus - è totalmente fuori linea con quello che ci ha chiesto il Paese di fare domenica e lunedì scorsi e con quelli che sono i veri compiti di un Governo e di un Parlamento che siano in grado di dare risposte ai problemi veri del Paese. Quando parliamo di acqua, di rifiuti, di trasporto pubblico locale, parliamo dei veri problemi del Paese, di aspetti su cui non si può essere superficiali e non si può andare alla leggera.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Causi.

MARCO CAUSI. Certamente - e concludo, signor Presidente - questo Parlamento sarà chiamato a farlo, come spero. Impegno e stimolo il Governo a portare velocemente le adeguate rilegificazioni che, nel tener conto dell'esito referendario di domenica e lunedì scorsi, consentano a questo Parlamento di normare di nuovo questi settori. Inoltre, occorre, dentro quella rilegificazione, anche tornare su questa Agenzia, che per noi è molto insoddisfacente e che va trasformata in una vera autorità per l'acqua.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, ci troviamo a discutere del cosiddetto decreto-legge Pag. 33sviluppo; così è stato consegnato alla pubblicistica. Non l'abbiamo ancora approvato, ma, rinnovando una prassi che ormai è diventata solita, sarà approvato con voto di fiducia. Nonostante ciò, già siamo investiti dai commenti circa le anticipazioni su una miracolistica manovra fiscale che dovrebbe intervenire nei prossimi giorni unitamente alla manovra triennale di consolidamento dei nostri conti pubblici. I giornali sono pieni di titoli su questa mitica manovra fiscale; «5 imposte e 3 aliquote» titolava ieri Il Sole 24 Ore. Si parla di nuovo fisco con scaglioni, i più bassi possibili, contro l'evasione, cosa un poco risibile, per non dire ridicola, perché non capisco quale guadagno potrebbe avere un contribuente, o meglio un non contribuente, che eludendo o evadendo paga zero imposte, rispetto all'abbassamento di un'aliquota per cui dovrebbe pagare il 20 per cento. Si parla di altro; nel mirino si dice che vi sono 476 bonus, per 161 miliardi.
Stiamo discutendo di una disposizione che è già superata da altro che parrebbe molto più rilevante sia relativamente al versante fiscale, con questa legge di delega che dovrebbe essere «rivoluzionaria», sia con riferimento ad una manovra triennale che, vorrei ricordare, dovrebbe ammontare a circa 40 miliardi di euro. Ora, siccome siamo in questa situazione, a me preme ricordare un fatto (l'ho già fatto l'altra volta ma lo faccio la seconda volta perché repetita iuvant). Almeno il tempo è galantuomo e serve a ristabilire la verità delle cose.
Tre anni fa, non molto tempo fa, il Ministro Padoa Schioppa, nella relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, ebbe modo di scrivere - lo dico a beneficio dei presenti, molto pochi, ma soprattutto lo dico a beneficio di chi ascoltasse fuori - alcune osservazioni in una premessa alla relazione unificata, emblematicamente intitolata, citando Seneca con le Lettere a Lucilio, «Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare». Usò parole profetiche, ad esempio, a proposito di questo discorso che torna, ritorna e continua a tornare con l'evocazione di misure che alla fine non producono alcun effetto. Mi riferisco al taglio della spesa. Il Ministro Padoa Schioppa parlò della necessità di una presa di coscienza di alcune misure da adottare per quanto riguarda la lotta alla crescita della spesa, in particolare della spesa corrente (non per investimenti) come conditio sine qua non - disse lui - per intervenire in modo efficace. E testualmente ebbe modo di scrivere in questa premessa alla relazione unificata di tre anni fa: la trita espressione «tagli alla spesa» doveva cedere il posto ad un'azione dal basso che partisse da un'analisi delle procedure, da un esame pacato e profondo di quel 98 per cento del bilancio pubblico su cui non si appunta l'attenzione di chi è ipnotizzato dai pochi flussi oggetto della legge finanziaria. Il controllo della spesa non è fatto dalle sciabolate, per lo più verbali, degli impazienti, ma dalla tenacia della buona amministrazione e, in un'ottica di conoscere per deliberare, da un esame previo dei minuti modi di spendere e dell'organizzazione degli uffici, dalla determinazione di scale di priorità, da una riclassificazione delle spese e dei programmi che dia coerenza agli interventi, dall'individuazione delle migliori pratiche per farne modelli per l'amministrazione, dalla ricerca paziente delle possibilità già insite nelle norme esistenti - quindi, non bisogna inventare niente, dico io -, possibilità di mettere in atto mobilità, formazione e ridistribuzione di compiti e di sedi. Aggiunge inoltre che tali interventi già si vedevano nelle leggi finanziarie del 2007 e del 2008, di quei 20 mesi che negli ultimi dieci anni hanno caratterizzato il Governo di centrosinistra del nostro Paese. In quei soli 20 mesi, con queste due leggi finanziarie, che inviterei ad andare a rivedere, a rileggere con le relative relazioni unificate - è sempre istruttivo rileggere dopo, dopo qualche anno, quanto è stato scritto qualche anno prima - già si vedevano tali interventi, così diceva il Ministro Padoa Schioppa al quale rendo merito perché purtroppo non è più con noi. Bisognerebbe riscoprire i veri civil servant di questo Paese e lo dico soprattutto ripensando Pag. 34in questa sede al trattamento di cui è stato fatto oggetto il Ministro Padoa Schioppa quando faceva queste osservazioni.
Un Paese senza memoria, un Paese senza cultura, senza rispetto per i servitori dello Stato, che poi piange con le lacrime di coccodrillo e riscopre dopo anni ciò che ha distrutto negli anni precedenti perché in questo decreto-legge come nelle manovre che si annunciano ci sono misure testuali che sono state smantellate all'inizio di questa legislatura e che sono riscoperte in modo tardivo e raffazzonato. Mi potrei riferire al credito d'imposta che è già presente in questo decreto-legge riscoperto in modo tardivo e raffazzonato come mi potrei riferire al fatto che si sta riscoprendo che bisogna utilizzare - udite, udite - la moneta metallica per combattere l'evasione fiscale quando qui dentro abbiamo parlato di introdurre la moneta metallica, quando abbiamo parlato di introdurre la tracciabilità dei pagamenti, quando qui dentro abbiamo assistito alla distruzione di tutti provvedimenti che con tre anni di anticipo avevano introdotto queste disposizioni.
Stamattina al giornale radio qualche economista autorevole - io non l'ho mai sentito prima a dir la verità - ci spiegava che la moneta metallica è molto utile per combattere l'evasione fiscale, quando noi dicevamo a suo tempo che in tutti i Paesi le ricerche più serie degli studiosi dimostrano che l'evasione fiscale è legata a un eccessivo ammontare di circolante dentro il Paese. Ma non voglio polemizzare, voglio semplicemente dire che quella disgrazia che sta capitando nel nostro Paese, i conti pubblici che sono una bestia che non riusciamo a domare, non è frutto né della maledizione né del destino, è frutto semplicemente di ciò che abbiamo fatto o meglio di ciò che non abbiamo fatto negli anni scorsi anche rispetto a misure che facevano seguito ad una diagnosi puntuale e precisa dei mali del nostro Paese, che per mere ragioni di propaganda e di opportunismo politico sono state contestate peraltro in modo volgare. Dico questo con riferimento in secondo luogo al trattamento a cui è stato sottoposto il viceministro Visco per quanto riguarda il versante delle entrate, che ha avuto il semplice torto di introdurre alcune misure che adesso, come dicevo in modo tardivo e raffazzonato, vengono riscoperte: la moneta metallica o elettronica, la tracciabilità dei pagamenti, gli studi di settore e potrei continuare.
Che cosa si è fatto rispetto a tutte queste cose in questi due anni per tenere sotto controllo i conti pubblici? Si è utilizzato il sistema dei tagli lineari, cioè una pratica che serve, quando è reiterata, semplicemente a produrre effetti distorsivi, che consistono nel non tagliare dove si deve tagliare e nel tagliare dove non si deve invece tagliare. Peraltro lo stesso Fondo Monetario Internazionale, se almeno si leggono i documenti, nel rapporto che ha fatto seguito alla missione sul nostro Paese che è stata vissuta nel mese di maggio del 2011, cioè il mese scorso, tra i vari punti che ha messo in evidenza ufficialmente e formalmente nel rapporto finale, al punto 7 - lo ricordo se qualcuno della maggioranza o del Governo non se ne fosse accorto - tra le altre cose ha detto esplicitamente che bisogna abbandonare questa pratica dei tagli lineari e bisogna invece specificare le misure che si intendono adottare con riferimento ai settori su cui si ritiene di intervenire.
La stessa Banca Centrale Europea ha ricordato proprio in questi giorni che relativamente alle misure per il 2013 e per il 2014, che ammontano a circa 2,3 punti percentuali di prodotto interno lordo - sono all'incirca i 40 miliardi di cui parlavo prima - ancora non è chiarito cosa si intende fare e come si intende procedere. Il mio timore è che si proceda di nuovo con la fantasia, la pura fantasia, con la finanza creativa (ce la ricordiamo tutti la finanza creativa e osserviamo ahimè le conseguenze che ha determinato), con maquillage e propaganda, con miracoli del tipo «riduciamo le tasse» (ma non ci sono i soldi, per cui la mia curiosità banalmente ragionieristica è come si fa a ridurre le tasse se non ci sono le risorse, tra l'altro contestualmente al varo di una manovra Pag. 35che deve ridurre per circa 40 miliardi quella che è la consistenza della nostra finanza pubblica, visto che siamo su tutti i parametri fuori linea: siamo fuori linea per il deficit, siamo fuori linea per il debito, siamo fuori linea per quanto riguarda il tasso di crescita del PIL, insomma siamo fuori linea su tutti i parametri più significativi). Peraltro abbiamo una situazione di economia reale che registra un dualismo nel Paese tra nord e sud che è sempre più drammatico ed è sempre più tragico potrei dire, senza fare riferimento a termini eccessivamente enfatici, peraltro con dati allarmanti relativi ad asimmetrie sociali e geografiche di una gravità estrema.
Perché faccio tutte queste considerazioni (e ho concluso su questa prima parte)? Perché il cosiddetto - ribadisco cosiddetto - decreto sviluppo si inserisce in questo contesto e forse è venuto il momento in cui bisogna, più che fermarsi sul dito come dice il proverbio, fermarsi sulla luna.
In altre parole, occorre fare considerazioni a consuntivo, ormai, nella vostra esperienza, cari amici della maggioranza e del Governo, in questa legislatura. Sono, infatti, passati tre anni di una legislatura che era partita con la più forte maggioranza nella storia della Repubblica ed è ridotta in condizioni che sono sotto gli occhi di tutti, cioè assolutamente improbabili per governare il Paese; un bilancio che tranne venti mesi - uno sprazzo di luce, mi permetto di dire, in cui abbiamo governato noi, il tempo è galantuomo, lo ribadisco - vede da dieci anni governare questa maggioranza e questo Governo.
Gli italiani sembrano essersene accorti. Lo dimostrano i risultati delle amministrative ed anche - e lo dico senza sovraccaricarli di significati ulteriori - i risultati dei referendum, in particolare di qualche referendum.
Potrei dire, con una citazione che mi piace ricordare in quest'Aula - e che ricordo essere stata già presentata da un collega qualche tempo fa, mi riferisco al collega D'Antoni - che: «si possono prendere in giro molte persone per poco tempo, si possono prendere in giro poche persone per molto tempo, ma non si possono prendere in giro molte persone per molto tempo».
Questo vuol dire che gli italiani cominciano a reagire alla situazione che si è determinata, perché siamo usciti dagli assetti ottici di una illusione che, fino a ieri, ci diceva che bisognava essere ottimisti, che non c'erano problemi nel nostro Paese, che la finanza pubblica era sotto controllo e che, insomma, vivevamo quasi nel paradiso dei Paesi, sia per quanto riguarda le questioni che attengono alla finanza pubblica, sia per quanto attiene, invece, al tema della crescita.
Insomma, cari colleghi, permettetemi di dire che io ho l'impressione che il vostro tempo sia scaduto. Potrete forse durare, con qualche artificio, ancora un poco, ma il vostro crepuscolo ormai è evidente. E mi spiace osservare, poiché c'è di mezzo il nostro Paese, che tutto il tempo che resterete - considerato il bilancio a consuntivo già evidente di questi ultimi dieci anni di cui parlavo prima - sarà ulteriore tempo sottratto alla difficile opera di ricostruzione che, chi vi sostituirà, dovrà intraprendere.
E veniamo al decreto-legge sul quale vale innanzitutto la pena di osservare preliminarmente che - come è stato detto anche dal collega Causi, che mi ha preceduto - siamo dinanzi ad un nuovo decreto-legge omnibus, ennesimo decreto di quella finanziaria continua che ha fatto seguito all'abolizione della vecchia legge finanziaria.
Anche qui - lo ricordiamo tutti - ci è stato detto che si eliminava la vecchia finanziaria e si introduceva la legge di stabilità, la quale avrebbe introdotto più ordine nella finanza pubblica, che si sarebbero fatte manovre triennali e che ciò avrebbe consentito di programmare, di approfondire in Parlamento, di verificare ex post i risultati, e via dicendo cose belle.
Al contrario, tutto questo è stato che cosa? È stata una promessa tradita, è stato un canto mistificatorio di quella realtà. Infatti, siamo ormai dinanzi ad una finanziaria continua, affidata a decreti in Pag. 36tutto l'anno, la quale, peraltro, ci fa vivere una situazione di caos, perché si perde la visione d'insieme.
Abbiamo, infatti, decreti su decreti, continue correzioni, decisioni improvvisate, emendamenti dell'ultimo momento su temi che avrebbero richiesto e richiederebbero collegati ad hoc che coinvolgessero le Commissioni di merito, laddove si conosce quella problematica, perché non si può essere tuttologi.
Anche in Commissione bilancio e in Commissione finanze non si può discutere di giustizia piuttosto che di altro, quando non c'è competenza in noi commissari, perché non possiamo sapere tutto. E invece, con un emendamento, si introducono riforme che richiederebbero - come dicevo - ben altro: richiederebbero collegati monotematici, che venissero discussi nelle Commissioni ordinarie con un tempo sufficiente, in modo da evitare quello spettacolo che un buon, forse bonario, eufemismo definirebbe scandaloso - ripeto, scandaloso - per la modalità con la quale abbiamo discusso nelle Commissioni bilancio e finanze anche questo decreto-legge sullo sviluppo.
Lo ripeto: è un eufemismo bonario dire che abbiamo lavorato in modo scandaloso, perché non è possibile stare un giorno e mezzo a fare pressoché niente per problemi della maggioranza, la quale non riesce a presentare gli emendamenti e all'ultimo minuto si presentano proposte emendative su questioni che richiederebbero giorni e giorni, settimane e settimane, mesi e mesi, per affrontare i problemi complessi che esistono sui diversi settori.
Questa è la situazione in cui ci troviamo con questo decreto-legge; una condizione che, vorrei ricordarlo anche in questa sede - non cito tutti i punti -, ha visto la Commissione europea, il 7 giugno scorso, quindi circa una settimana fa, mandarci una letterina con la quale, dopo che abbiamo presentato i nostri propositi, cioè il Programma nazionale di riforma e il Programma di stabilità che dovrebbero preludere alla sessione di bilancio prossima, ci ha detto che dobbiamo dare attuazione al piano di consolidamento delle finanze pubbliche al fine di assicurare la correzione del disavanzo eccessivo con l'utilizzo di ogni risorsa imprevista e perseguendo il pareggio di bilancio con misure da adottare entro il 31 ottobre 2011. Così ha detto: entro il 31 ottobre dovrete fare una manovra di circa 40 miliardi di euro, cara Italia. Ci ha detto che dobbiamo ridurre la frammentazione del mercato del lavoro, ci ha detto che dobbiamo far progredire, consultando le parti sociali, il contratto collettivo di lavoro, ci ha detto che dobbiamo aprire il settore dei servizi, in particolare quello delle professioni, ad una maggiore competizione, ci ha detto che dobbiamo migliorare la cornice regolamentare relativa agli investimenti privati in ricerca e sviluppo estendendo i vigenti incentivi fiscali e incoraggiando le forme di venture capital, ci ha detto che dobbiamo accelerare le procedure di cofinanziamento della politica di coesione al fine di incrementare il tasso di assorbimento dei fondi europei e migliorare la qualità del loro impiego. Su quest'ultimo punto ci ha detto: cari italiani cercate di spendere i soldi che vi diamo a livello europeo, perché non spendete neanche i soldi che vi diamo; questo ha detto la Commissione europea, nei vari punti che ci ha elencato in queste raccomandazioni, in modo formale e ufficiale circa una settimana fa.
È questo il contesto in cui si colloca il decreto sviluppo in cui, tra frizzi e lazzi, qui dentro, in una assenza totale di parlamentari, noi collochiamo quello che è il problema dello sviluppo del nostro Paese. Una questione drammatica che se non viene affrontata adeguatamente e con presa di coscienza prelude inesorabilmente al declino del nostro Paese. Altro che la promessa che avevate fatto in campagna elettorale con le vostre bubbole; voi eravate per lo sviluppo contro il declino, noi, centrosinistra, eravamo quelli del declino contro lo sviluppo; abbiamo sotto gli occhi la nostra situazione e sto parlando con la verità dei fatti perché almeno i fatti dovrebbero essere veri, almeno i numeri dovrebbero essere veri. È finito il tempo in cui le illusioni di cui Pag. 37parlavo prima, le fumisterie, la propaganda, la rappresentazione della realtà si sostituisce alla realtà. È finito questo tempo; il vostro tempo è finito, cari colleghi. Non lo dico sovraccaricando il giudizio, meno che mai nei riguardi delle persone, dei colleghi di maggioranza con cui abbiamo ottimi rapporti individuali, ma lo dico con riferimento ad una responsabilità politica. Ormai sono dieci anni che governate il nostro Paese, tranne i nostri venti mesi, il vostro bilancio è assolutamente fallimentare; sarà il caso che ve ne assumiate la responsabilità e restituiate al popolo italiano la possibilità di decidere, con sovranità, quale è la sorte verso la quale si vuole portare il nostro Paese. Noi, cari colleghi, abbiamo perso anche l'alfabeto dei temi dello sviluppo e della crescita, a parte i problemi di finanza pubblica su cui ci stiamo caratterizzando con il nostro Ministro dell'economia e delle finanze che qualche giornale comincia a definire Ministro della non crescita, perché di tutto si è occupato meno che della crescita di questo Paese e questo ha comportato anche la perdita dell'alfabeto della crescita. Non ci domandiamo quale sia il futuro del made in Italy nel nostro Paese, non ci domandiamo se potremo andare avanti per i prossimi venti anni con settori che rischiano l'obsolescenza anche a seguito della concorrenza e della competizione di Paesi che scontano condizioni, soprattutto in termini di costo, molto più vantaggiose delle nostre. Noi abbiamo l'esigenza di investire in nuovi prodotti e in nuovi mercati perché la fetta di mercato mondiale che avevamo si è ridotta in questi dieci anni di quasi un punto percentuale. Dobbiamo chiederci che cosa riusciamo a collocare sui mercati mondiali, dobbiamo assolutamente discutere su come facciamo sistema Paese; basta andare in giro per il mondo, in Brasile piuttosto che in Libano piuttosto che altrove, dove ho avuto modestamente l'occasione, grazie al mio gruppo, di andare, e scopriamo che avremmo grandi possibilità senza dover spendere molti soldi per concorrere, ad esempio, alla costruzione di centinaia di migliaia di chilometri delle ferrovie brasiliane piuttosto che altro.
Invece ci troviamo in una situazione in cui non c'è nemmeno un colloquio tra il Ministero dell'economia e delle finanze ed il Ministero degli esteri che porti a domandarsi se, per caso, non valga la pena di chiudere l'istituto per il commercio estero - che secondo me è un baraccone che non conta niente e non vale molto - e riscoprire forse il valore degli addetti commerciali al Ministero degli esteri con cui ragionare al fine di avere queste commesse che potrebbero portare ricchezza, senza avere molti costi nel nostro Paese e concorrere alla crescita del PIL.
Insomma avremo bisogno di riaffermare l'eccellenza a tutti i livelli, compreso il Parlamento mi permetto di dire, il quale oggi ha un sistema di selezione di quella che dovrebbe essere la sua classe dirigente che è strutturato in modo da realizzare il principio esattamente inverso.
Visto che parliamo di temi economici, questa legge elettorale consente di affermare il principio economico secondo cui la moneta cattiva scaccia la buona e non viceversa perché si preferisce la fedeltà alla qualità con un criterio di nomina che non consente agli italiani di selezionare la classe dirigente che ritengono.
Mi avvio a concludere. Questo decreto-legge è un pentolone, come ho detto all'inizio, che per quanto riguarda gli effetti sullo sviluppo contiene sostanzialmente misure insignificanti, poco significative, e quel poco di significante che c'è, mi permetto di dire senza presunzione, lo abbiamo inserito anche con il lavoro che abbiamo potuto fare in quella gestione che ho definito scandalosa (di cui prima) nelle Commissioni bilancio e finanze. Mi riferisco al credito di imposta che avete riscoperto dopo averlo distrutto, in modo tardivo e raffazzonato.
Con un nostro emendamento siamo riusciti a prevedere che, in attesa dell'autorizzazione della Commissione europea, si possano almeno utilizzare le risorse prendendole dal FAS (fondo per le aree sottoutilizzate) in modo da non perdere Pag. 38tempo. Avevamo presentato un emendamento soppressivo e vi abbiamo indotto ad eliminare tutta la partita relativa al demanio ed alle spiagge perché anche in quel caso, in modo assolutamente superficiale e raffazzonato, si è parlato di novanta anni per poi passare a venti, senza rendersi conto che su questi argomenti ci vogliono misure organiche, non si può procedere a colpi di improvvisazione. Lo stesso si è fatto, peraltro, sul tema del turismo pensando che i problemi della politica economica e delle linee della politica di intervento su questo settore che potrebbe essere strategico si risolvono semplicemente inserendo i cosiddetti distretti turistici e le zone a burocrazia zero.
La medesima cosa accade per misure tipo quella della semplificazione degli adempimenti burocratici. In questo caso, cari colleghi, oramai abbiamo scritto tutto. Bisogna farle le cose, bisogna interrogarsi sul perché non si riesca a semplificare quando ormai sono anni e anni che esistono dei principi che consentono di eliminare le bardature burocratiche. Pertanto il problema non è continuare a scrivere cose che rimangono sulla carta quando tutto ormai è stato già scritto.
Anche per quanto attiene alla giustizia tributaria avete proceduto - ed è già stato detto da alcuni colleghi, peraltro non si tratta di un settore di mia competenza specifica e non amo parlare di cose che non conosco - con un'improvvisazione ed una superficialità per cui qualche collega ha detto che avete «ammazzato» le commissioni tributarie. Come si fa ad intervenire su un settore così delicato con un provvedimento così improvvisato, superficiale e precario?
Insomma, si tratta di un decreto-legge che non ha né capo né coda e peraltro ritengo che presenti notevoli problemi di copertura. Mi potrei riferire al discorso di Equitalia che è sbagliato nel merito per come è stato affrontato e peraltro scoperto sul piano finanziario. Infatti vorrei ricordare che l'aver accentrato in Equitalia alcune misure ha scontato a suo tempo - ed è stato scritto - alcuni effetti positivi a bilancio per quanto non siano stati quantificati. Questo dovrebbe portare alla banale conclusione che se adesso anziché accentrare si decentra, se prima ci sono stati effetti positivi adesso ci saranno effetti negativi per quanto non siano stati apprezzati quantitativamente prima e non si possono apprezzare quantitativamente adesso. Certamente, però, si sarebbe dovuto introdurre, almeno come criterio prudenziale, una stima di oneri a copertura al fine di evitare - e voglio concludere - che non rispondiamo alla domanda: perché aumenta il debito pubblico? Adesso stiamo arrivando a cifre incredibili, quasi a 1.900 miliardi di euro, siamo tra i 1.870 e i 1.880. Continua ad aumentare il debito pubblico come continua ad aumentare la spesa.
Il debito pubblico aumenta per diversi fattori, ma anche per il fatto che in questo Parlamento, quando si approvano le norme, si sottostimano le spese e si sovrastimano le entrate e poi, quando andiamo a fare l'accountability dei conti ex post, puntualmente si verifica che le spese sono superiori a quello che è stato messo a bilancio e le entrate sono inferiori rispetto a quello che è stato messo a bilancio, il che, in termini netti evidentemente, determina conseguenze sul deficit e sul debito.
Chiudiamola qui con questo decreto-legge: adesso lo volete approvare e metterete la fiducia. Approvatelo pure: sarà l'ennesimo decreto-legge «pasticciaccio» di cui abbiamo parlato. Vedremo cosa presenterete come manovra, ma la questione vera, come ho detto - lo dico senza sovraccaricarla di animus pugnandi, come si suol dire - è che bisogna mettere fine a questo spettacolo, consegnando tutto ciò alla responsabilità di altri che non so se faranno meglio o peggio, ma sono convinto che faremo sicuramente meglio di quello che avete fatto voi; certamente responsabilità democratica vuole che attribuiate questa possibilità a chi vi deve sostituire, ovviamente passando attraverso il giudizio degli italiani perché, continuando così, il nostro Paese può avere solo, come dicevo prima, un inesorabile declino (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 39

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Micheli. Ne ha facoltà.

PAOLA DE MICHELI. Signor Presidente, avvilente è l'aggettivo che mi viene in mente per cominciare questo intervento in un'Aula prestigiosa ed avvilente è l'aggettivo con il quale definisco il percorso che è stato usato in Commissione per discutere di questo decreto-legge. È avvilente perché poteva essere un'occasione, considerate le condizioni economiche di cui già hanno parlato ampiamente anche i colleghi, ma anche le condizioni politiche nelle quali questo Parlamento e il Governo si trovano dopo le elezioni amministrative e dopo la vittoria dei «sì» ai referendum.
Invece di approfittare di un'occasione propizia nella quale poter discutere, approfondire e magari costruire un percorso importante per rilanciare veramente e non fittiziamente (soltanto con i titoli dei decreti-legge) una serie di misure che possano essere utili per lo sviluppo di questo Paese, è stato intrapreso un percorso avvilente, nel quale si sono affermate tante parole e si sono finte disponibilità da parte della maggioranza e del Governo a recepire alcuni ragionamenti dell'opposizione e delle rappresentanze datoriali e sindacali che abbiamo audito nelle Commissioni congiunte. Quindi nulla; nulla di nulla.
Ciò avviene in una condizione, quella del Paese, che non è un granché, e in una condizione rispetto alla quale il Partito Democratico e il suo gruppo - è stato molto evidente nel periodo a ridosso delle elezioni amministrative - reagiscono. Una parola che tristemente si sente ripetere spesso in questo momento economico è la parola declino, declinismo.
Noi - proverò a segnalare alcune questioni - reagiamo rispetto a questa vicenda del declino e del declinismo perché non ci vogliamo arrendere e, se questa maggioranza non ci vuole ascoltare, alziamo ancora un poco la voce, chiediamo agli elettori di sostenerci (come hanno fatto nel passaggio amministrativo), agli italiani e agli imprenditori di starci ancora più vicini, per poter riposizionare l'agenda politica di questo Parlamento e di questo Governo sulle questioni che sono veramente importanti e non su quella nebbiolina che è stata sparpagliata in questi giorni dentro a questo decreto-legge sul quale, peraltro, porrete ancora la questione di fiducia, con una modalità sempre poco dialogante.
Le condizioni del Paese di fatto giustificano l'utilizzo di queste parole così negative e di esse i miei colleghi hanno parlato abbondantemente. Solo per ricordarle: un debito pubblico, che raggiunge il suo record a 1.890 miliardi, per una persona che ha 37 anni e ancora molte cose da costruire dentro questo Paese, fiduciosa, speranzosa e giovane, è un peso sulle spalle. Questo, in una dimensione politica, potrebbe anche far perdere il sonno, mentre invece si affronta così, con una certa leggerezza.
Non parliamo della situazione occupazionale che riguarda spesso e volentieri anche i miei coetanei. Le cifre (29 per cento) di disoccupazione giovanile e il debito pubblico di fatto iscrivono un'ipoteca drammatica sul futuro del Paese che, in un decreto-legge che ha l'ambizione di definirsi decreto per lo sviluppo, si sarebbe dovuta affrontare.
Mi preoccupo perché, se l'impostazione e l'atteggiamento che il Governo e la maggioranza hanno nei confronti dei temi economici, è quello che abbiamo visto in questi giorni, non so come potrà uscire la manovra, con il rischio che, invece di sostenere politiche di rigore - magari ancora con tagli lineari, inefficaci, inefficienti, spesso anche inutili in alcuni settori perché poi alla fine non riescono a comprimere la spesa - si arrivi ad una politica di rigor mortis, cioè in una condizione nella quale quel rigore, a furia di non costruire politiche attive di crescita e di sviluppo, andrà ad insistere su un tessuto produttivo ed economico che, fino ad oggi, è stato straordinariamente attivo in questo Paese, ma che ormai è un tessuto produttivo che non ce la fa più e scappa da questo Paese.
Con riguardo al tema della crescita svolgerò pochi passaggi sul merito del decreto-legge perché i miei colleghi sono Pag. 40stati straordinariamente dettagliati nello specificare le ragioni della nostra opposizione e dei nostri voti contrari su questo decreto-legge. Solo alcune battute sulle questioni che mi stanno più a cuore e che in qualche modo ai miei occhi, per l'esperienza che sto vivendo in questo Parlamento, mi hanno anche dimostrato in maniera più evidente la cecità di prospettiva di questa maggioranza. Poi invece, nella seconda parte, segnalerò lo sviluppo di alcune proposte anche facilmente realizzabili senza mettere tanto in discussione quello che tutti vorremmo fosse una politica di rigore.
In relazione al credito di imposta sulla ricerca, al netto del fatto che i 50 milioni di euro di tetto sono sostanzialmente un risarcimento solo per l'impegno intellettuale perché non è che possano muovere poi grandi opzioni di crescita e di sviluppo, abbiamo proposto peraltro concretamente di ritornare ad un modello di credito di imposta che era stato previsto dalle normative Bersani. Ma la cosa che più mi ha colpito è il fatto che non venga riconosciuta alcuna dignità a tutta quell'attività di ricerca che, invece, viene sviluppata all'interno delle aziende e che è stata sviluppata a partire dall'inizio della crisi vera per le imprese, ossia dal 2010, perché è nel 2010 che la crisi è arrivata drammaticamente nella concretezza della vita delle imprese. Avete completamente escluso la stragrande maggioranza delle imprese dalle opportunità che invece fintamente dite agli imprenditori di avere previsto nell'articolo 1 di questo decreto-legge. Ciò per me è significativo perché vuol dire che non c'è in questa maggioranza la consapevolezza che ragionare in termini di ricerca e di innovazione non solo offre un'opportunità di crescita immediata, ma sicuramente dà una nuova visione al futuro di questo Paese e ne costruisce un'identità per i prossimi dieci anni, che è quello di cui la politica si dovrebbe occupare con più interesse.
Sulla questione degli appalti, vi è un'altra questione che mi ha colpito particolarmente: il collega Morassut è entrato nel merito delle conseguenze dell'applicazione di questa normativa. Secondo noi bastava fare poche cose. Se ricominciassimo a ragionare sulla modalità di assegnare gli appalti, per esempio ragionando sulla qualità, per esempio ricominciando a parlare del fatto che le opere pubbliche di qualunque genere e tipo, sia che la stazione appaltante sia costituita da amministrazioni centrali o da amministrazioni locali, hanno bisogno di essere realizzate con materiali, con modalità, con sistemi organizzativi di qualità, sarebbe, oltre che un ragionamento in termini di miglioramento del rapporto della pubblica amministrazione e dell'impresa, anche una possibilità, un'opportunità in più per crescere. Non c'è dentro ciò che invece è stato promesso nei ragionamenti svolti sullo statuto delle imprese da questa maggioranza - statuto che peraltro è stato costruito insieme all'opposizione -, vale a dire le riserve per le piccole e medie imprese. Tutte questi aspetti non sono nemmeno stati previsti e quindi affrontare tale problema in questa maniera di fatto complica molto la situazione e crea delle conseguenze peraltro in certi passaggi anche un po' pericolose, soprattutto in certi territori. Sulla questione dell'Agenzia dell'acqua e della questione tariffaria non entro nel merito.
Segnalo, per chi sostiene di essere federalista, che la proposta di legge del Partito Democratico, della quale secondo me questa maggioranza e questo Governo, alla luce dei risultati dei referendum, si dovrebbe occupare, è straordinariamente federalista, sia perché dà la possibilità ai territori di scegliersi i modelli organizzativi, in un quadro di modelli che sono dentro la direttiva comunitaria, sia perché vi è una questione tariffaria; tutti sappiamo perfettamente che gli acquedotti non sono nelle stesse condizioni in tutto il Paese, perché sono stati fatti percorsi molto diversi. Dunque, segnalo questo aspetto considerando anche il fatto che la risposta alla vittoria dei «sì» nei quesiti referendari contenuta nell'articolo 10, dal comma 11 al comma 28, mi sembra assolutamente inefficace e inefficiente mentre la materia, invece, ha bisogno di essere affrontata diversamente. Pag. 41
Segnalo anche l'emendamento introdotto dai relatori che, per la mia storia agricola, è stato una sorta di fulmine a ciel sereno. I relatori hanno introdotto un emendamento sui consorzi agrari che consente, per alcuni settori dei consorzi agrari, di costituirsi in organizzazione dei produttori. Da agricoltore vi dico che la battaglia di unificazione delle organizzazioni dei produttori che abbiamo condotto negli anni Novanta - ero anche dirigente di un'organizzazione agricola e, successivamente, di una delle centrali cooperative - per unire l'offerta per andare sui mercati insieme come mondo agricolo per essere più forti nella contrattazione sul «fresco», con la grande distribuzione organizzata, e sul trasformato, con la filiera industriale, è una battaglia che non potete buttare via, perché genera delle debolezze che questo sistema agricolo, all'interno della globalizzazione, non si può permettere soprattutto perché si tratta di un sistema agricolo che si caratterizza per l'eccellenza delle qualità. Non è nella direzione della frammentazione delle organizzazioni dei produttori che vinciamo come sistema agricolo ma è esattamente l'opposto, magari introducendo anche sistemi nei quali vi è una maggiore democrazia, una maggiore partecipazione e più controllo. Possiamo fare tutto quello che volete, ma la concentrazione dell'offerta renderà più forte l'agricoltura italiana in Europa. Segnalo questi aspetti perché, a mio avviso, sono piccoli pezzi di una visione miope che emerge, in maniera chiara, dentro questo decreto-legge.
Non ci sono sicuramente riforme radicali, perché il costo politico delle riforme non ve lo potete permettere e, quindi, non potete fare ragionamenti strutturali per far rimanere in serie A questo Paese. Sono convinta che, però, per dare un segnale di discontinuità rispetto alle non politiche economiche, di sviluppo e di crescita di questo Paese sarebbe stato sufficiente fare anche piccole cose che, come Partito Democratico, vi abbiamo indicato, perché non le scriviamo soltanto nei documenti ma tendenzialmente presentiamo anche emendamenti e poi li facciamo oggetto di battaglie quando magari ce lo consentite nell'organizzazione dei lavori delle Commissioni e dell'Aula. Lo facciamo ancora di più, diciamo così, sostenuti, carichi ed energicamente corroborati dal risultato elettorale delle elezioni amministrative che, nei suoi flussi elettorali, ci dice che il mondo delle imprese e del lavoro autonomo ha ricominciato ad occuparsi di noi con grande attenzione, per il livello di credibilità che siamo in grado, in questa stagione, di spendere con le nostre proposte agli occhi di chi, in questo Paese, produce la ricchezza.
Vi sono alcune emergenze su cui potete e possiamo intervenire e se ci fosse stata un po' più di disponibilità probabilmente avremmo potuto varare iniziative importanti già a partire da questo decreto-legge. La prima emergenza è la giustizia civile. Il tentativo di riforma compiuto nel 2008 dal Ministro Alfano di fatto non sta portando i risultati che il Ministro stesso attendeva nella relazione che aveva accompagnato questo tentativo e questo prima abbozzo di riforma. Facciamo poche cose perché non ci sono soldi. Avrò detto almeno dieci volte in quest'Aula, da quando siedo tra questi banchi, che il processo civile telematico, che di fatto funziona già in 11 tribunali italiani, consente agli imprenditori di vedere rispettati i propri diritti e realizzato un minimo di giustizia, sul piano commerciale, in pochi giorni.
Si tratta di un'iniziativa che abbiamo portato avanti peraltro con il Governo Prodi e, per mezzo della quale anche nei tribunali che hanno più carico sul piano dei problemi legati alle imprese, si ottengono risultati straordinari. Non ci vuole niente ad allargare a tutti i tribunali civili italiani quella che oggi è ancora una sperimentazione sul processo civile telematico.
Per quanto concerne la questione dei pagamenti, il relatore ha presentato un emendamento sui pagamenti che di fatto scorpora una parte del recepimento della direttiva comunitaria del 21 ottobre sull'obbligo di riduzione dei tempi di pagamento. Noi, come Partito Democratico, abbiamo già presentato, addirittura l'anno Pag. 42scorso, una proposta di legge, a prima firma Beltrandi e Misiani, che recepisce per intero quella direttiva comunitaria perché questa è una vera emergenza per le imprese italiane. Se un imprenditore non viene pagato con regolarità sia dal pubblico che dal privato, gli tocca andare in banca, contraendo «debito non buono», ossia non funzionale alla normale realizzazione dei sistemi di capitale circolante all'interno delle imprese. Quando il debito non è buono, ha anche un problema di costo maggiore, tanto più che, con questo decreto-legge, aumentando il tasso di usura, ci ritroveremo con piccoli imprenditori che, purtroppo, anche perché non vengono pagati, presentano situazioni di scoperto di conto; pertanto, gli scoperti di conto corrente passeranno dal 12 al 14 per cento, caricando sempre su chi lavora e chi produce gli effetti dei costi del sistema malato.
Per quanto concerne i pagamenti pubblici, bisogna cambiare il Patto di stabilità: sono contenta che oggi anche i giornali riportino che anche la Lega Nord è arrivata al punto di dire che bisogna cambiare il Patto di stabilità perché vi sono 60 miliardi di pagamenti fermi in tesoreria e lo Stato centrale e gli enti locali non possono più pagare le imprese: 60 miliardi sono quattro punti di PIL - correggetemi se mi sbaglio - che stanno fermi lì e che non finiscono nelle tasche degli imprenditori che hanno già finito i lavori e pagato i dipendenti e le tasse, ma non incassano. Bisogna cambiare il Patto di stabilità: speriamo che veramente la Lega ponga questa questione come dirimente per il futuro del Governo. Ebbene, noi l'abbiamo detto sin dal giugno del 2008 che non andava bene.
L'emendamento dei relatori non prevedeva il recepimento del cambio del Patto di stabilità, ma soltanto il recepimento di una parte della direttiva europea, relativa ai pagamenti tra privati. È stato dichiarato inammissibile, ma se non è ammissibile un emendamento che riguarda i rapporti privatistici dei pagamenti, che recepisce la direttiva comunitaria direttamente funzionale allo sviluppo, chiedo al Presidente della Camera cosa possa essere ammissibile. La verità è che vi siete nascosti dietro all'inammissibilità perché dovete difendere gli interessi di pochi, ma sapete perfettamente che 5 milioni di imprenditori sono lì fuori che aspettano l'approvazione di questa norma e l'autorità è già pronta a farsi garante - è stato dichiarato proprio in un convegno qui alla Camera dei deputati - della realizzazione di questa norma.
Vado avanti con le emergenze. Con riferimento alle semplificazioni, devo ricordare che dentro questo decreto-legge, nel quale vi è l'arroganza di dire che si semplifica la vita delle imprese, non c'è alcun tipo di semplificazione reale e concreta della quotidianità della vita di un imprenditore. Vi faccio due esempi. In primo luogo, dei ventinove enti di controllo che oggi insistono su tutte le tipologie di filiere di imprese, non ne viene riorganizzato, ristrutturato o accorpato nemmeno uno. Niente di niente. In secondo luogo, non viene accorpato, ristrutturato o organizzato nemmeno un procedimento. Noi abbiamo avanzato la proposta secondo la quale, per ogni tema e per ogni livello istituzionale, si possano realizzare procedimenti unici semplificati con differenziazioni legate alle dimensioni aziendali, per evitare che questi procedimenti incidano e insistano troppo sui costi. La burocrazia oggi è una tassa da 12, 13 o, come dice qualche osservatore, 14 mila euro all'anno. Ma se tu hai 200 milioni di euro di fatturato, la puoi anche digerire, ma se hai centomila euro di fatturato non ce la fai.
Diventa un termine competitivo sul tuo territorio senza dover andare nel mondo della globalizzazione.
Sulla questione energetica vi abbiamo proposto poche cose. Possiamo cominciare a ragionare su un'incentivazione che potrà finire direttamente nell'articolo 1, legato alla ricerca e allo sviluppo dei materiali che consentano di ristrutturare tutta la parte civile e industriale di questo Paese sul piano dell'edilizia, dove tanto non possiamo più probabilmente costruire molto - vedo la situazione dei comuni del Pag. 43nord almeno - ma possiamo rilanciare la filiera dell'edilizia se la rilanciamo in termini di qualità mettendo un po' di risorse attraverso incentivi fiscali su tutto il percorso dell'innovazione della qualità?
Ma non c'è solo l'effetto positivo della crescita legata agli interventi edilizi, c'è anche tutto un effetto straordinariamente positivo che va a incidere sui consumi energetici, lo sappiamo tutti perfettamente, i numeri sono sempre più chiari, con le analisi e gli approfondimenti che sono in corso proprio in questo periodo sappiamo perfettamente tutti che il primo vero elemento di svolta sulla politica energetica di questo Paese è il risparmio. Pensate che se sostituissimo tutti i motori delle nostre aziende artigiane e industriali in questo Paese risparmieremmo il 30 per cento dal 23 per cento totale che è l'incidenza del consumo energetico delle imprese. Se pensate che le imprese pagano il 35 per cento in più di energia di quanto non lo paghino i competitor europei abbiamo con questi numeri dimostrato che bastava poco per fare una grande e straordinaria operazione di sviluppo in questo settore.
Mi limito nel prosieguo di questo intervento, segnalo solo una cosa che funziona benissimo, signor Presidente e sottosegretari, sul piano finanziario: il fondo di garanzia, che di fatto alimenta i fondi territoriali di garanzia per le piccole e medie imprese. Dare la possibilità che questo fondo di garanzia - senza incrementarlo attenzione, senza metterci un euro in più - vada a garantire anche l'equity, cioè altre tipologie di fondi che non sono direttamente riconducibili alle piccole e medie imprese che possono fare operazioni di qualunque tipo - anche se avete imposto qualche vincolo - di fatto genera un impoverimento e depauperamento di uno strumento che invece è risultato lo strumento principe per sostenere le aziende nei confronti di un rapporto con il credito che in questa crisi è andato degenerando. Possiamo tenere l'unico strumento che funziona ancora per davvero, così com'è o magari potenziandolo o migliorandolo, e non usando dei soldi pubblici per garantire dei fondi che per loro natura dovrebbero essere fondi a rischio privato? Vogliamo ridurre per i privati la possibilità di correre dei rischi, a parte il fatto che è esattamente contro i modelli liberali di cui voi spesso vi riempite la bocca? Al netto di questo, facciamo dei ragionamenti su fondi di fondi, dove lo Stato aiuta i fondi che fanno da volano per la patrimonializzazione, la capitalizzazione e gli investimenti, ma non così usando l'unico strumento che funziona per la piccola e media impresa. Noi invece vi abbiamo chiesto esattamente l'opposto, uno sviluppo dell'intervento sul piano finanziario e patrimoniale del pubblico in direzione europea.
Mi avvio alla conclusione, vorrei evitare di rubare tempo prezioso ai miei colleghi che sicuramente avranno cose molto più interessanti da dire. Sono convintissima che le condizioni politiche in cui si trovano Governo e maggioranza in questo momento siano condizioni politiche che non consentano di fare nessun tipo di riforma, figuriamoci una riforma fiscale che già di per sé è una cosa difficilissima quando i Governi godono di ottima salute! Sono effettivamente convinta che sul piano della proposta politica questa maggioranza e questo Governo siano al capolinea come penso siano convinti non solo i colleghi - anche qualcuno di maggioranza - ma anche i cittadini italiani, però se decidete, provate o fingete di stare in questa condizione, qualche segnale a questo Paese lo dovete dare perché la condizione delle imprese è una condizione da non dormire la notte. Cito don Ciotti, che mette in una bella frase in relazione due dei valori che secondo me sono fondativi per tutti coloro che decidono di servire il Paese facendo il politica, a tutti livelli. Don Ciotti dice che il coraggio è la capacità di sacrificarsi.
Vorrei che voi faceste il sacrificio di chiudere l'esperienza di questo Governo e di questa maggioranza. Ma se fino a quel sacrificio, come appare anche nei giornali di oggi, non siete in grado di arrivare per il bene del Paese, sacrificatevi un po' di più, dimostrando il coraggio di ascoltare chi dall'opposizione continua incessantemente, Pag. 44in maniera sempre propositiva, ad avere idee dentro il quadro di rigore, per migliorare la condizione di questo Paese e per mantenerlo in serie A (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, i miei colleghi hanno già ampiamente illustrato l'argomento e anche io vorrei dare il mio contributo. Poc'anzi veniva ricordato come in Commissione il dibattito sia stato avvilente. Devo dire che il risultato di questo dibattito è un decreto-legge che utilizza una parola molto importante come sviluppo, ma questa parola non trova riscontro nei contenuti del decreto-legge stesso, perché, a mio parere, il provvedimento in esame è confuso, insufficiente e assolutamente non all'altezza della situazione critica nella quale versa il Paese.
In sostanza, corriamo il rischio di trovarci ancora una volta di fronte ad una situazione di pura propaganda, insomma a qualcosa di rabberciato. In più siamo di fronte all'ennesima fiducia, il che dimostra ancora una volta come la tenuta politica di questa maggioranza sia difficile. Lo sviluppo in questo Paese non c'è, non si può soltanto dire che non c'è sviluppo perché la situazione a livello internazionale è fortemente critica. Questo lo sappiamo. Bisogna aggiungere che la nostra nazione, a differenza dei Paesi industrialmente avanzati, su questo tema si è in qualche modo «caratterizzata». Noi siamo di fronte a grandi Paesi che nel contenere la spesa provano la strada dell'investimento per lo sviluppo. Noi abbiamo un Ministro dell'economia e delle finanze come Tremonti, già largamente criticato dagli stessi alleati di Governo, che procede semplicemente in una politica di contenimento, di tagli orizzontali, che se può apparentemente conseguire l'obiettivo di non lasciar debordare il limite del debito e della spesa, naturalmente ha come controindicazione un severo ridimensionamento di tutta quella parte che noi chiamiamo Stato sociale, delle politiche di sostegno ai più deboli, agli ultimi. Soprattutto viene caratterizzata tale politica per la mancanza di qualsiasi sostegno allo sviluppo, attraverso investimenti mirati. Non è un caso che nel nostro Paese una parola che dovrebbe essere preziosa, come politica industriale, è stata largamente cancellata. Non abbiamo traccia di politica industriale, al massimo abbiamo dei tavoli di crisi, dei tavoli di confronto, nei quali ex post si inseguono situazioni non più recuperabili, nei quali al massimo si interviene per risolvere in qualche modo problemi di fronte a licenziamenti incipienti, ma non ci rendiamo conto ancora una volta della gravità della situazione. Del resto, questo è un Governo che tende a rassicurare il Paese, mentre sarebbe necessario aprire gli occhi e capire esattamente qual è la gravità della situazione nella quale stiamo navigando. È una gravità che viene occultata con frasi di circostanza e di maniera: la crisi è alle nostre spalle, l'abbiamo combattuta, abbiamo provveduto con ammortizzatori sociali ad intervenire sulle situazioni più critiche. Ma tutto questo purtroppo non risolve la situazione. La cassa integrazione nel 2010 ha toccato il livello record di 1 miliardo 200 milioni di euro. Non si andrà avanti soltanto a cassa integrazione. I tavoli di crisi sono più di duecento.
Ma, soprattutto, quello che abbiamo visto è una desertificazione industriale o il rischio di una desertificazione industriale. Come non vedere l'inazione del Governo, l'assenza di qualsiasi intervento propositivo, se non quello del Ministro del lavoro, teso, come sempre, a dividere il sindacato tra conflittuale e riformista. Come non vedere che questa inazione lascia in sospeso, ad esempio, il destino di settori fondamentali. Potrei citare il settore dell'auto, il famoso piano di Fabbrica Italia della FIAT, che dovrebbe poi trovare la sua concretizzazione, che però ancora non si vede.
Penso alla cantieristica, con piani presentati e poi ritirati dai manager dello Pag. 45Stato e con una sorta di shock prodotto nell'Esecutivo, che non era preparato di fronte a questa situazione.
Cosa dire poi di un settore che, al tempo del Governo Prodi, era stato incentivato in una trasformazione positiva di tutela del lavoro a tempo indeterminato di «uscita dal sottoscala», come il settore dei call center.
La crisi di Teleperformance Spa è l'indicazione di quanto poco in conto si tenga il problema delle giovani generazioni, che popolano questi settori di nuova attività nell'informazione e che rischiano di perdere quella stabilità conquistata a caro prezzo, dopo aver scommesso sulla famiglia, sui figli, sui mutui, sulla possibilità di costruire una vita in piena autonomia, come dovrebbe essere diritto di qualsiasi generazione.
Quindi, il primo punto è questa desertificazione industriale, in assenza di indicazioni di sviluppo. Il vostro decreto sicuramente non è in grado di intervenire a piedi giunti su una situazione che avrebbe bisogno di interventi radicali. Il secondo punto è quello della disoccupazione giovanile. Come non vedere che l'assenza di sviluppo penalizza fortemente i giovani. Ho fatto un conto: un milione 400 mila lavoratori atipici, due milioni e mezzo di contratti a termine ed interinale, 400 mila false partita IVA, tre milioni di partite IVA individuali con monocommittenza e professionisti senza tutele, 70 mila vincitori di concorso (chi dice 100 mila) o idonei a concorsi pubblici che aspettano di essere assorbiti da una pubblica amministrazione che, come unica scelta, fa quella dell'espulsione dei precari e dei contratti a termine e chiude, come si dice, il rubinetto di qualsiasi assunzione.
7 milioni 370 mila persone giovani, che costituiscono un grande esercito di persone, che vede il proprio orizzonte spezzarsi. Fino a quando potrà reggere questa situazione? In tutto questo credo che bisogna anche spendere una parola su un'altra questione di Stato sociale molto rilevante, perché questo Governo si è sicuramente distinto nel contenimento della spesa.
Ma la domanda che dobbiamo farci è dove ha colpito. Sicuramente ha colpito la possibilità di investimento e di tutela che deriva da enti locali, regioni, comuni e province, che, come si vede, anche con un Patto di stabilità iniquo, non riescono, neanche quando sono virtuosi, a spendere le risorse a disposizione. Ma un altro grande capitolo è quello dello Stato sociale. Mi limito alla questione delle pensioni.
Ricordo che, dal 1968 al 2007, con l'ultimo Protocollo sul welfare che ha trattato la questione pensionistica, che ho curato personalmente come Ministro del lavoro, quando si parla di pensioni, si accompagna questa parola ad un'altra: concertazione con le parti sociali.
Bene, questo Governo è uno dei pochi Governi che si vanta e gonfia il petto di fronte al fatto, come ha fatto il Ministro Tremonti, di avere cambiato con una norma il sistema pensionistico. Complimenti! Con una norma, senza concertazione, si aggancia dal 2015 il momento di andare in pensione all'aspettativa di vita. Con una norma si obbliga chi ha 40 anni di contributi e, magari, ha finito le risorse della mobilità ad aspettare ancora un anno, senza mobilità, senza cassa integrazione, senza lavoro, in attesa della pensione, o si obbliga chi ha perso o rimesso il lavoro dopo 40 anni ad aspettare un anno per andare in pensione. Anche su questo, veramente, complimenti!
Oppure, penso alla cancellazione delle norme sulla ricongiunzione, che obbliga interi settori, gli elettrici, i giornalisti, i dipendenti delle telecomunicazioni, ad avere delle ricongiunzioni onerosissime per avere una pensione, nel momento in cui è chiaro che la mobilità del lavoro costringe a girare varie casse pensionistiche.
Si parla di cinquantamila, centomila o duecentomila euro di versamenti per potere avere diritto alla ricongiunzione pensionistica. Poi, il colpo di mano dell'innalzamento a 65 anni per quanto riguarda il diritto alla pensione delle lavoratrici del pubblico impiego e le voci che stanno circolando di un analogo innalzamento anche per quanto riguarda le lavoratrici dei settori privati. Pag. 46
Ho ancora nelle orecchie le promesse del Ministro Sacconi che ha detto in tutte le salse: «noi, una misura di allineamento delle donne dei settori privati alla nuova condizione delle lavoratrici dei settori pubblici non la faremo mai». Di fronte alle voci che stanno circolando, sempre più insistentemente, di un nuovo colpo di mano, che in questo caso non riguarderebbe le lavoratrici pubbliche, ma private e dei settori operai (tessile, metalmeccanico e chimico), quindi assoggettate a particolari condizioni di lavoro, vorremmo che vi fosse una smentita e una rassicurazione, vorremmo che, per una volta, non si facesse pagare un pegno, un dazio, semplicemente, ancora una volta, sarebbe la cosa più facile, al sistema pensionistico.
Infine, volendo concludere questo mio intervento, mi congratulo per il fatto che il Ministro Tremonti qualche giorno fa, al convegno dei giovani imprenditori, si sia anche lui accorto che forse vi è un eccesso di precarietà del lavoro nella nostra economia. Sarebbe ora di comprendere che l'eccesso di precarietà non è un dono del cielo, ma è il risultato di una precisa politica di questo Governo. Vorrei ricordare che quando ero Ministro ho cancellato il lavoro a chiamata, non lo usava nessuno ed era una forma di precarietà eccessiva, così come lo staff leasing, ma questi sono stati reintrodotti da questo Governo. Con il consenso di tutti, era stata approvata dal Parlamento una norma per la tutela dei licenziamenti in bianco a vantaggio delle giovani che decidono di fare un figlio e di mettere su famiglia, ma il risultato è stato l'abrogazione, da parte di questo Governo, di quella norma senza sostituirla con nient'altro. Credo che tutte queste, ormai, siano questioni che il Paese ha ben compreso.
Riguardo al decreto in esame, come Partito Democratico, siamo riusciti ad ottenere un risultato: un emendamento, di cui sono primo firmatario, relativo alla questione del massimo ribasso è stato accolto. Questa è sicuramente una buona notizia che però non cambia la valutazione generale circa il significato del decreto in oggetto, ma che introduce una novità a mio avviso molto importante sulla quale ho insistito per parecchio tempo e che, a questo punto, deve valere non solo per i settori pubblici, ma anche per quelli privati, vale a dire quella di scorporare il costo del lavoro, calcolato sui minimi tabellari definiti dai contratti di lavoro delle categorie a livello nazionale, dalla definizione del massimo ribasso, così come lo stesso emendamento prevede lo scorporo dei costi della sicurezza nel lavoro.
Capite che questa è una novità molto importante che può dare, finalmente, corpo ad una previsione di lotta ulteriore contro il lavoro nero. Sappiamo benissimo, infatti, che la compressione del costo nel massimo ribasso laddove una delle voci può essere il costo del lavoro costringe l'impresa a prendere l'appalto per aprire sul mercato e rimetterci denaro - e non mi pare questa sia la vocazione di un'impresa - oppure la costringe ad intervenire non pagando le retribuzioni rispettando quella trasparenza richiesta dalle tabelle salariali dei contratti nazionali di categoria. Quindi si tratta di una forte innovazione, così come molto importante è che questa innovazione consenta, finalmente, di considerare ed evidenziare il costo della sicurezza anch'esso non comprimibile, altrimenti non potremmo ogni volta piangere lacrime di coccodrillo per gli incidenti mortali (e non) che avvengono sul lavoro e che, purtroppo, costellano ancora l'attività produttiva. Credo quindi che questo sia sicuramente un punto importante e mi auguro che ci aiuti ad affrontare una situazione come quella relativa ai call center.
Ministro, io avevo emanato tre circolari che avevano consentito la stabilizzazione di 24 mila lavoratori e di sconfiggere l'economia del sottoscala dei call center. Purtroppo il Governo è andato in controtendenza: non si è dato il via alla definizione con i grandi committenti - che possono andare dal Parlamento alle regioni, all'ENI, all'ENEL, alla RAI e alle grandi imprese che fanno marchio in Italia - di una sorta di politica di allineamento dei costi. È evidente che se questi committenti pretendono dei costi al massimo ribasso che non consentono di mantenere Pag. 47inalterato il costo del lavoro, calcolato sui minimi delle retribuzioni contrattuali, capita come nel caso di Teleperformance che l'azienda decentri in Albania. È chiaro, in Albania: a tre euro all'ora! Fermo restando che l'Unione europea ha detto che in quel Paese quando si trattano dei dati - come quelli trattati dai call center - di carattere personale, la privacy non è garantita; ma questo pare che non interessa a nessuno. Tre euro fanno concorrenza ai 15-16 euro all'ora necessari per pagare un lavoratore al quale si applica il normale contratto di lavoro.
Ma di quale economia stiamo parlando? Vogliamo incentivare di nuovo coloro che eludono le regole o vogliamo incentivare coloro che applicano le regole? Da questo punto di vista ci auguriamo che proseguendo questa discussione si possano anche saldare questi elementi positivi, come la definizione nuova, che noi abbiamo voluto e imposto sulla questione del massimo ribasso anche con la prosecuzione di incentivi per quelle aziende che hanno nel passato stabilizzato i lavoratori, passandoli da lavori a progetto impropri a lavori a tempo determinato e indeterminato, vale a dire ad una classica relazione di lavoro di carattere subordinato, come nel caso dei lavoratori che non abbiano autonomia nella prestazione di lavoro e obbediscono a degli orari di ingresso e di uscita, come nei call center, dal lavoro medesimo.
Infine voglio dire questo: mi pare, come veniva accennato precedentemente dalla mia collega, che anche su un punto molto delicato come quello del Patto di stabilità stiamo sentendo qualche voce nuova. Abbiamo sentito dei patti stipulati sull'Airbus di Stato da Bossi e Berlusconi, nei quali Bossi ha in qualche modo elencato sei punti irrinunciabili e vedremo nel pratone di Pontida quello che succederà nei prossimi giorni. Uno di questi è il superamento del Patto di stabilità che consenta alle amministrazioni virtuose di fare una spesa, laddove c'è un accantonamento e un risparmio virtuoso da parte delle medesime amministrazioni. Noi siamo d'accordo che venga allentato questo Patto e lo diciamo da subito. Bisognerebbe allentarlo in due direzioni: una direzione di investimenti sicuramente - si pensi all'edilizia scolastica per fare un esempio e alla sua messa in sicurezza -, ma anche nel campo dell'occupazione.
Si pensi ad esempio ad un allentamento del Patto in quota che, per una quota ulteriore, preveda la possibilità di occupare i vincitori e gli idonei di concorso, ai quali siamo tenuti a dare delle risposte, perché sono persone che hanno acquisito un diritto sacrosanto che deve essere in qualche modo riconosciuto, perché non si può continuare con una situazione nella quale abbiamo 70 mila vincitori di concorso e si indicono nuovi concorsi. Viene quasi il sospetto che questi concorsi siano delle macchine per fare soldi da parte dello Stato e delle amministrazioni locali: ci vogliono raccomandate, iscrizioni, perché ci si iscrive e si versa una tassa per partecipare ai concorsi. Sono soldi che vanno ai vari commissari per concorsi inutili: si buttano miliardi che potrebbero essere utilmente impiegati invece per stabilizzare queste persone.
Io mi auguro che in questa direzione si vada, che si allunghi il periodo di validità di questi concorsi e che, soprattutto, se c'è da assumere qualcuno, si peschi da quelli che il concorso l'hanno già vinto e non si indicano nuovi concorsi. Se il Patto di stabilità che «si apre» potesse in quota prevedere anche un reimpiego da un punto di vista occupazionale che andasse in questa direzione, sarebbe sicuramente di grande utilità per affrontare una questione giovanile ormai non rinviabile.
In sostanza è, per così dire, inscindibile il rapporto tra un orientamento al contenimento della spesa e un orientamento al favorire e all'incentivare lo sviluppo. È inscindibile un rapporto tra l'incentivo allo sviluppo e l'impedire la desertificazione industriale del Paese, l'affrontare la questione giovanile e il tutelare lo Stato sociale.
Noi, come sempre, anche in questa occasione, con le nostre proposte emendative, con quello che siamo riusciti a portare in Pag. 48un decreto-legge controverso, confuso e sicuramente insufficiente, ci siamo confrontati con proposte estremamente concrete. Voi, ci pare, come Governo e maggioranza siete fermi alle promesse e alle propaganda ma - rendetevene conto - il Paese sa che è giunto il momento di voltare pagina (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carella. Ne ha facoltà.

RENZO CARELLA. Signor Presidente, colleghi deputati, stiamo parlando di «Prime disposizioni urgenti per l'economia - Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70». Sembra un paradosso: prime disposizioni urgenti per l'economia. Siamo da due anni nel pieno della più drammatica crisi economica del mondo, che ha colpito l'Europa e l'Italia, e noi siamo alle prime disposizioni urgenti per l'economia.
Abbiamo perso centinaia di migliaia di posti di lavoro, l'apparato economico e produttivo del Paese è sconvolto, migliaia di piccole e medie imprese sono al fallimento, molte famiglie italiane sono al limite della sopravvivenza. Basti vedere quante di queste non riescono più a pagare i servizi comunali quali asili nido e mense scolastiche, le bollette di acqua, luce, gas, rifiuti solidi urbani, e noi siamo alle prime disposizioni urgenti per l'economia. Se la situazione non fosse tragica ci sarebbe solo da sorridere.
Nel corso di questi anni avete promesso, facendo solo propaganda o alla vigilia di elezioni o in momenti di difficoltà politica: abolizione del bollo auto, pensione minima a 800 euro, «progetto dentiere», social card, illudendo e mortificando soprattutto gli anziani, abrogazione dell'IRAP, raddoppio dell'Autostrada del Sole, della Salerno-Reggio Calabria, che è ancora lì con il suo ventennale ritardo.
Quanto al ponte di Messina, si stanno producendo navi e autotreni di progetti, di studi e di consulenze, milioni di soldi spesi, e continuerete a spenderli per un'opera che forse si farà tra vent'anni; ma certo non concorre oggi a dare sollievo alla crisi, alla crescita e alla necessità di rispondere all'occupazione che è forte in questo Paese.
Vedete, io come tanti altri colleghi del Partito Democratico, dell'opposizione, ma anche rappresentanti della maggioranza, siamo rimasti sconvolti dall'atteggiamento, direi mortificante e velenoso, che ha avuto il Ministro Brunetta additando una precaria e dicendo che quella è la parte peggiore dell'Italia.
Oggi c'è un pentimento, anzi ancora peggio: alcuni giornalisti hanno segnalato che la precaria che aveva rivolto una domanda e che a nome di tutti aspettava una risposta è figlia di un ex-senatore e solo per questo egli ha affermato che non è contro i precari ma contro i privilegi di Roma e della casta romana, come se questa giovane donna fosse espressione di una casta; non si tratta certo di una privilegiata perché precaria da anni.
Il Ministro Brunetta aggrava la sua posizione, si mette a fare il leghista, cercando di individuare nella casta romana i guai di questo Paese. Io credo che Brunetta e gli altri Ministri dovrebbero indicare al Paese i mali veri, quelli che emergono dalla vicenda P4, dove persone senza scrupoli avvicinano Ministri e sottosegretari, si interessano di nomine negli enti statali e nelle aziende di Stato, dove deputati ed ex magistrati senza scrupoli svolgono un'attività contro lo Stato e contro gli interessi generali.
Questo è il male del Paese; è verso costoro che bisogna reagire e non contro le migliaia di persone, precarie, che da anni non hanno né speranza né futuro. Sono d'accordo con il collega Damiano: persone vincitrici di concorso da anni aspettano una risposta che non arriva; è un diritto che non viene difeso, un diritto che non possono esercitare. Credo che in questi anni, oltre alle promesse, voi avete parlato di un'altra Italia. Avete parlato di giudici, di giustizia, di intercettazioni telefoniche. Non sono questi i problemi all'ordine del giorno dell'Italia, delle famiglie, delle aziende, dei lavoratori, dei giovani. Voi in questo decreto inserite (soprattutto Pag. 49di questo voglio parlare) due norme, che tra l'altro non sono neanche originali, perché sono già state sperimentate da vecchi Governi di centrosinistra, che voi avete abolito e che forse, se vigenti, potevano certamente dare dei frutti proprio in questo momento di crisi: il credito d'imposta per la ricerca e il credito d'imposta per l'occupazione nelle aree meridionali.
Per quanto riguarda la prima misura, rispetto al 90 per cento propagandato, c'è un'abissale differenza tra quanto si racconta la sera in televisione, o si legge sui giornali e quello che scrivete nei decreti che poi convertite in legge. Vi è una differenza abissale perché vi coprite con la propaganda, e apparentemente sembrano norme efficaci, ma quando si va ad analizzarle e a verificarne gli effetti, ci accorgiamo che, rispetto a quanto detto, l'intervento è molto più minimale. Tant'è che questo credito d'imposta per la ricerca - certo - è importante per il nostro Paese; è un fatto straordinariamente importante che le imprese investano nella ricerca per un Paese che ha bisogno di innovazione e di impiegare i tanti e tanti cervelli che qui ci sono (che sono il frutto di uno studio e di un sacrificio, e che sono costretti magari ad andare all'estero per poter lavorare), ma con questa possibilità che si apre voi in realtà permettete alle imprese solo uno sgravio del 10-15 per cento di credito di imposta. Quindi, si tratta di uno spot pubblicitario, e non vi è alcun incremento per la ricerca che è necessaria e vitale per il nostro Paese.
Per quanto riguarda la seconda misura, che riguarda il credito d'imposta per l'occupazione nelle zone meridionali, credo sia una misura giusta, anche questa copiata da interventi previsti dal Governo Prodi e da voi cancellata successivamente (proprio dal Ministro Tremonti). Oggi si ritorna su questo provvedimento. Bene, siamo d'accordo e lo abbiamo detto in Commissione, ma anche questo è legato ai fondi europei, come per quanto riguarda la prima misura, perché anche quest'ultima - nonostante l'intervento minimale - si voleva legare ai fondi europei e alle successiva autorizzazione della Commissione europea. Noi abbiamo proposto che la copertura di quell'intervento fosse legata ai fondi FAS, che per la prima volta potevano avere attinenza rispetto alla loro destinazione; la stessa cosa la proponiamo e abbiamo proposto per quanto riguarda il sostegno alle imprese che assumono soprattutto nelle aree svantaggiate del Mezzogiorno d'Italia.
Sarebbe rimasta anche questa una promessa, un'illusione, una presa in giro verso i giovani lavoratori e verso le imprese. Abbiamo insistito perché la norma fosse operativa subito e non dopo l'autorizzazione della Commissione europea. L'Italia renda subito operativa la norma attraverso l'utilizzo di fondi FAS.
Credo che la cosa più importante siano quei provvedimenti fiscali che favoriscono gli investimenti, specie nelle aree deboli, nel Mezzogiorno d'Italia, in Abruzzo, per la sua rinascita.
Lo dicono tutti che è necessario incentivare gli investimenti perché un'impresa che potrebbe avere degli incentivi all'occupazione, ma che non ha la possibilità di fare nuovi investimenti, di allargare la base produttiva e, quindi, creare nuovi posti di lavoro e avere uno sviluppo, che cosa se ne fa di una norma che incentiva l'occupazione?
Credo, quindi, che sia importante agevolare chi investe i propri profitti, chi crea nuove aziende, soprattutto nelle aree, appunto, svantaggiate del Mezzogiorno e in Abruzzo dove c'è da ricostruire un'intera regione, un'intera città, un'intera provincia.
Tutto ciò favorirebbe la ripresa. Sarebbe necessario impiegare lo stesso meccanismo, utilizzando i fondi FAS, rendendo questa norma immediatamente operativa. Invece, si è voluto legarla all'autorizzazione della Commissione europea. Non si sa se, quando e come verrà.
Parlavamo di provvedimenti urgenti per l'economia; anche questo decreto-legge è un'occasione mancata. Ancora una volta si resta prigionieri dei conti e non si creano le condizioni per affrontare i nodi veri dello sviluppo. Più che pensare ai conti, che sono importanti, bisogna cercare Pag. 50quelle risorse che vanno investite per la ripresa, un provvedimento sulle transazioni finanziarie, soprattutto speculative.
I fatti di queste ore ci dicono che l'evasione fiscale legata a comportamenti criminali è altissima. Le vicende di cronaca di questi giorni a Roma ne sono la testimonianza. Sulla vicenda del presidente della Confcommercio si parla, se confermato, di un'evasione di circa 600 milioni di euro.
Ma perché accade tutto questo? La verità è che voi, in questi anni, con il vostro lassismo, con la vostra complicità in alcuni casi, con la vostra cultura avete fatto sì che le politiche repressive contro l'evasione si siano attenuate. L'ha percepito chi agiva nell'illegalità, chi, addirittura, attorno a questi temi ha posto in essere vere e proprie attività criminali come emerge in questi giorni. Notai, commercialisti, rappresentanti degli enti pubblici, tutti a lavorare per evadere il fisco, tutti a lavorare per «sgonfiare» le ricchezze delle imprese e, poi, portarle all'estero.
Credo che, con il Governo Berlusconi, ci siano state più tasse al lavoro dipendente, agli artigiani, alle piccole e medie imprese, più libertà di elusione ed evasione fiscale. Avete bloccato infrastrutture ed opere pubbliche che con il CIPE erano già state deliberate. Avete bloccato opere cantierabili già finanziate. Opere pubbliche vogliono dire lavoro per imprese piccole e medie. Voglio citare un esempio che mi riguarda, che è molto vicino poiché interessa questa regione: l'autostrada Roma-Latina.
Un provvedimento CIPE di novembre 2010 viene registrato a maggio 2011, sei mesi dopo, con prescrizioni che di fatto paralizzano l'inizio dei lavori di quell'opera. Tale opera è essenziale per lo sviluppo del basso Lazio, per la sicurezza stradale e per il lavoro che nella nostra regione è elemento vitale dopo la crisi industriale nei distretti di Pomezia, Latina, Frosinone e Colleferro.
Questo Paese ha bisogno di futuro, di speranza. Occorre coraggio. Voi avete garantito in questi anni chi ha, avete difeso i privilegi. Siete la peggiore conservazione, al di là degli annunci. Siete stati sconfitti. La gente lo ha capito. Fatevi da parte, altrimenti farete altro danno al Paese. Abbiate un sussulto di dignità, nell'interesse anche dei vostri figli che hanno diritto ad avere un futuro e una speranza. Permettete all'Italia di avere un altro Governo che possa dare prospettive al Paese, che restituisca ambizione all'Italia e agli italiani che voi in questi anni avete umiliato e mortificato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Quartiani e l'onorevole Baldelli, iscritti a parlare, intendono rinunciare all'intervento.
Constato l'assenza dell'onorevole Piffari, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Constato l'assenza dell'onorevole Delfino, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 4357-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è quindi rinviato ad altra seduta.

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, si è convenuto che il seguito dell'esame del disegno di legge n. 4357 - Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (da inviare al Senato - scadenza: 12 luglio 2011) avrà Pag. 51luogo nelle giornate di lunedì 20 (ore 11 e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) e martedì 21 giugno (ore 10,30 e pomeridiana) (con votazioni). Il voto finale è previsto in tale ultima giornata, intorno alle ore 20.
È stato poi stabilito che mercoledì 22 giugno, a partire dalle ore 11, avranno luogo le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sulle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il Governo.
È stato altresì stabilito che mercoledì 22 giugno, dopo la conclusione del dibattito sulle comunicazioni del Governo, avrà luogo la discussione sulle linee generali dei seguenti argomenti, il cui seguito dell'esame, con votazioni, avrà luogo giovedì 23 giugno, alle ore 11,30, e comunque al termine della chiama del Parlamento in seduta comune:
Doc. XXIII, n. 7 - Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Calabria approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti;
mozioni Meta ed altri n. 1-00642 e Pili ed altri n. 1-00639 concernenti iniziative per garantire la continuità territoriale marittima con la Sardegna e sulle procedure di privatizzazione della società Tirrenia;
mozioni Messina ed altri n. 1-00641 e Fallica ed altri n. 1-00605 concernenti iniziative a sostegno dell'economia dell'isola di Lampedusa, con particolare riferimento al settore turistico.

Tutti gli altri argomenti previsti in calendario per questa e la prossima settimana (20-24 giugno) sono rinviati al calendario di luglio.
Mercoledì 22 giugno non avrà luogo lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata (question time).
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.

Modifica nella composizione del comitato direttivo di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 15 giugno 2011, il presidente del gruppo parlamentare Italia dei Valori ha reso noto che il deputato Antonio Borghesi è stato nominato vicepresidente vicario del gruppo.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 16 giugno, il deputato Antonio Milo, già iscritto al gruppo «Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione)» ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, a cui risulta pertanto iscritto.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 20 giugno 2011, alle 11:

Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (C. 4357-A).
- Relatori: Marinello, per la V Commissione; Fugatti, per la VI Commissione.

La seduta termina alle 14,40.