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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 486 di mercoledì 15 giugno 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 10,05.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 9 giugno 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bindi, Bongiorno, Brugger, Caparini, Cirielli, Gianfranco Conte, Gianni Farina, Gregorio Fontana, Giancarlo Giorgetti, Lo Monte, Melchiorre, Migliavacca, Romano, Sardelli, Stucchi e Tabacci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 10,07).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

LORENA MILANATO, Segretario, legge:
VIRGINIO CASTELNUOVO, da Milano, e numerosissimi altri cittadini chiedono il riconoscimento della lingua italiana dei segni, tramite la sollecita approvazione della proposta di legge atto Camera n. 4207 (1239) - alla XII Commissione (Affari sociali);
ENZO CRISTALLO, da Monopoli (Bari), e altri cittadini, chiedono misure per la valorizzazione della poesia «Alla bandiera d'Italia» di Giosuè Carducci quale simbolo dell'Unità d'Italia (1240) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
GIOVANNI GIACOMO DIONISI, da Tissi (Sassari), chiede:
misure per agevolare le attività edilizie in Sardegna (1241) - alla VIII Commissione (Ambiente);
interventi per contrastare gli aumenti delle tariffe dei collegamenti marittimi con la Sardegna (1242) - alla IX Commissione (Trasporti);
MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede:
che la salma di Alcide De Gasperi sia tumulata al Pantheon (1243) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
che la sede di tutti i Ministeri e organi costituzionali rimanga a Roma (1244) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
l'istituzione di organismi composti da giudici popolari per la valutazione degli errori giudiziari (1245) - alla II Commissione (Giustizia);
la riduzione delle imposte sui redditi da lavoro e da pensione (1246) - alla VI Commissione (Finanze); Pag. 2
l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulla povertà e sulla riduzione delle risorse pubbliche destinate all'assistenza (1247) - alla XII Commissione (Affari sociali);
che la Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia si occupi delle infiltrazioni della criminalità organizzata in provincia di Vercelli (1248) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
ELIO IMBRIACO, da Centola (Salerno), chiede nuove norme in materia di ICI sulle aree edificabili (1249) - alla VI Commissione (Finanze);
ETTORE MARIA BARTOLUCCI, da Pesaro, chiede nuove norme in materia di ricorsi dei dipendenti della prefettura e dei loro parenti avverso gli accertamenti di infrazioni, anche relative alla circolazione stradale (1250) - alla II Commissione (Giustizia);
ALESSANDRO POMPEI, da Martinsicuro (Teramo), chiede misure per la regolamentazione della circoncisione (1251) - alla XII Commissione (Affari sociali);
FRANCESCO PALLADINO, da Torremaggiore (Foggia), chiede modifiche all'articolo 75 della Costituzione, in materia di referendum abrogativo, per l'innalzamento del numero di sottoscrizioni necessarie per avanzare la richiesta e per la soppressione del quorum di votanti ai fini della validità del referendum (1252) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
CORRADO BARONE, da Brescia, e altri cittadini, chiedono la riduzione del 50 per cento degli emolumenti dei parlamentari e degli amministratori regionali e locali (1253) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
ANTONIO MINARDI, da Piane Crati (Cosenza), chiede interventi e risorse per il rafforzamento della tutela dell'ordine pubblico nella provincia di Cosenza (1254) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

Annunzio delle dimissioni di un sottosegretario di Stato (ore 10,09).

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei Ministro ha inviato, in data 14 giugno 2011, la seguente lettera: «Onorevole Presidente, la informo che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dal sottosegretario di Stato allo sviluppo economico, onorevole Daniela Melchiorre. Firmato: Silvio Berlusconi».

Sull'ordine dei lavori (ore 10,10).

CARMINE SANTO PATARINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, dal mese di luglio dello scorso anno la Snam Rete Gas sta effettuando i lavori per la realizzazione del secondo tronco del metanodotto Massafra-Biccari da Taranto a Foggia.
Durante le operazioni di scavo, in località Le Grotte, nell'agro di Castellaneta (provincia di Taranto), sono state rinvenute tombe risalenti ad un periodo compreso tra la seconda metà del V secolo e il IV secolo a.C. e sono stati scoperti muri, crolli e fondamenta che segnalano l'esistenza di un grande centro abitato di età romano-repubblicana e significative tracce di una grande attività agricola, in particolare di vigne con cantine di età imperiale romana.
Tali ritrovamenti furono subito accolti - ad onor del vero - con grande gioia ed assoluto rispetto dai tecnici e operai della Snam e da operatori agricoli della zona che hanno seguito - e continuano a seguire, passo dopo passo - lo svolgersi delle scoperte. Si deve proprio a loro se quelle scoperte furono prontamente segnalate alle autorità competenti perché provvedessero a fare eseguire i lavori sotto stretta osservanza scientifica e da gente altamente qualificata. Prezioso si è rivelato, altresì, il Pag. 3contributo offerto dal Corpo della guardia di finanza e dal nucleo di tutela dei beni artistici e archeologici dei carabinieri di Bari. Purtroppo, la delicatezza e la generosità dei dipendenti della Snam, la grande appassionata dedizione degli archeologi e degli operai che hanno lavorato agli scavi, la disponibilità e l'interessante proposta di collaborazione da parte di università straniere, i tanti sacrifici dei finanzieri e dei carabinieri, i numerosi progetti di sviluppo, cui da tempo si stanno dedicando diversi operatori, la grande opportunità offerta al turismo e all'agricoltura per utilizzare una preziosa risorsa, come quella archeologica, per rilanciare i propri settori, la speranza di tanti giovani di potersi inserire in tale processo culturale con proprie iniziative, in queste ore stanno andando in fumo. Dopo aver deciso di interrompere i lavori di scavo, ieri mattina, si è verificato quanto si temeva: è arrivato l'ordine di riportare sotto terra tutto ciò che è stato scoperto. Mancano i soldi - è stato detto - e di mancanza di risorse economiche parlano da tempo gli esponenti della Soprintendenza, i quali si lamentano perché non hanno assolutamente disponibilità economiche e non possono lavorare.
Onorevole Presidente, quel sito non può e non deve essere chiuso e tutto quello che è emerso non può ritornare sotto terra: sarebbe un vero delitto e sarebbe il secondo. Ce ne è stato un altro poco tempo fa: sempre nello stesso territorio di Castellaneta, è stato ricoperto il sito di Minerva, un importante strada greca o romana, probabilmente l'Appia Antica.
Con il Presidente ed il direttivo del gruppo di Futuro e Libertà per il Terzo Polo ho presentato un'interpellanza urgente perché siamo certi che si sia ancora in tempo utile per evitare lo scempio. Ho preso ora la parola, sull'ordine dei lavori, anticipandone il contenuto perché già ieri mattina alcune ruspe hanno iniziato i lavori di ricopertura, fortunatamente interrotti per l'intervento del Prefetto, che avevo precedentemente informato, e per la disponibilità della Snam.
Ora chiedo, signor Presidente, che lei si faccia portavoce presso il Governo perché, con i Ministri di competenza, si prenda cura della questione, operando un piccolo sforzo per far riprendere i lavori di scavo, così da riaccendere le speranze di centinaia di persone e di ridare fiducia ad una comunità che - come è facile notare da facebook e da tutti gli organi di stampa - ha deciso di reagire con ogni forma, anche con la protesta. La protesta è cominciata proprio ieri - civile, ma determinata - e perciò occorre intervenire presto, signor Presidente, perché il rischio che si corre - e qualche segnale preoccupante già si vede - è che in quella protesta si infilino la speculazione e la strumentalizzazione - anche quella di carattere politico - di qualche «personaggio in cerca di autore», che non ha niente a che vedere con chi sta conducendo una sacrosanta battaglia in difesa del sito.
Si è costituito un comitato e pare che in queste ultime ore si sia arrivati ad un accordo di interrompere, almeno per sei mesi, il lavoro di ricopertura.
Pertanto, la prego, signor Presidente, di intervenire presso il Governo perché si proceda con la dovuta urgenza e per venire incontro alle esigenze di una comunità, che in questo momento è tanto preoccupata.

RENATO FARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, il 12 gennaio di quest'anno la Camera dei deputati ha approvato una risoluzione unitaria sulla persecuzione dei cristiani nel mondo, dopodiché è sembrato quasi che, assolto questo dovere, bisognasse occuparsi del solito libro delle cose.
Invece, è importante che, appena accadono fatti importanti, si battano dei colpi, affinché ne prendiamo coscienza sia noi come deputati sia l'opinione pubblica e anche i Paesi dove accadono questi fatti incresciosi sappiano che noi ce ne occupiamo. Pag. 4
Vorrei presentare e sottoporre alla cura sia nostra sia del nostro Governo il caso di una ragazza, Farah Hatim, di 24 anni, infermiera professionale che risiede nel sud del Punjab, che è stata rapita, portata a casa e convertita forzatamente all'Islam. Una vicenda di questo genere può essere annoverata nei casi di violenza qualunque, ma, quando esiste la volontà delle autorità di sopportare e supportare questi casi e i fenomeni sono in realtà di massa, credo che tutto questo attenga anche alle relazioni fra gli Stati, così come sottolineato nella nostra mozione. Sappiamo che il Governo del Pakistan sta facendo un grande sforzo ed è costretto a confrontarsi con delle forze radicali, ma il caso di Farah Hatim non è un caso isolato; pronunciamo il suo nome perché la sua famiglia ha avuto il coraggio della denuncia pubblica e, anche dinanzi alla denuncia pubblica, c'è stata una verifica, ad esempio ad opera di ONG qualificate come il National Human Rights Commission, che è anzi un organo ufficiale in Pakistan, e della Commissione giustizia e pace della Chiesa Cattolica che sta molto attenta a fare denunce perché poi si ritorcono contro i cristiani lì presenti.
Sono circa settecento i casi all'anno di rapimento e conversione forzata che toccano specialmente cristiane e indù e soprattutto nel Punjab; tutto questo si associa al caso sempre più drammatico delle denunce per blasfemia. Dopo il caso di Asia Bibi, che è ancora in attesa di sentenza e sulla quale pende una condanna a morte per impiccagione, e subito dopo l'uccisione di Bin Laden, accadono fatti che fanno prevedere un'ondata ancora peggiore di persecuzioni anticristiane. Credo che tutto questo vada segnalato all'opinione pubblica e vada sollecitato il Governo perché prenda posizione su questi temi oltre ad operare efficacemente - come sappiamo essere consuetudine del Ministro Frattini in questi casi -, e vogliamo che anche gli organismi internazionali come l'ONU prendano coscienza di questo.
Varie ONG presenti a Ginevra hanno già sottoposto il caso alla presidenza della Commissione dei diritti umani dell'ONU e c'è una mobilitazione che sta toccando anche il Canada, dove il Senato ha preso posizione. Credo che l'internazionalizzazione di questi casi e la presa di coscienza da parte di tutti noi di questi fenomeni costituiscano un aiuto sostanziale alla crescita di una consapevolezza sui diritti umani, in particolare sulla libertà religiosa che, come abbiamo definito nella nostra mozione, è la madre di tutte le libertà.
Sono intervenuto anche a nome di altri deputati che sono qui presenti, a nome non solo dei deputati del Popolo della Libertà ma anche di altre formazioni politiche (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 10,20).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 10,40.

La seduta, sospesa alle 10,20, è ripresa alle 10,45.

Discussione di una domanda di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche nei confronti del deputato Landolfi (Doc. IV, n. 11-A) (ore 10,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame del seguente documento: Domanda di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche nei confronti del deputato Landolfi.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Pag. 5

Avverto altresì che la Giunta per le autorizzazioni propone all'Assemblea il diniego dell'autorizzazione.

(Esame - Doc. IV, n. 11-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Paniz.

MAURIZIO PANIZ, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, richiamando integralmente il testo della relazione che è stata presentata e che è agli atti del procedimento, ritengo di dover sottolineare soltanto tre punti peculiari. In primo luogo, si tratta di alcune telefonate molto risalenti nel tempo, la maggior parte, sei, sono del 2001, due sono del 2004. In secondo luogo, queste telefonate sono frutto di una captazione indiretta in palese violazione del divieto costituzionalmente previsto per i parlamentari. Questa è la ragione per la quale la Giunta si è espressa nel senso di negare l'utilizzazione. In terzo luogo, l'utilizzo da parte dell'autorità giudiziaria è molto ritardato nel tempo ed è rigorosamente collegato all'attività parlamentare dell'onorevole Landolfi, donde un ulteriore motivo che ha imposto di negare l'utilizzo da parte della Giunta per le autorizzazioni. Per quanto concerne invece le considerazioni in diritto che sottendono la posizione della Giunta, richiamo tutto ciò che è stato a suo tempo affermato a proposito della similare posizione dell'ex Ministro Pecoraro Scanio e richiamo integralmente, dunque, il contenuto di ciò che era stato a suo tempo verbalizzato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Rossomando, in sostituzione della relatrice di minoranza, onorevole Samperi.

ANNA ROSSOMANDO, Relatore di minoranza f.f. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sostituisco, come è stato preannunziato, la collega Marilena Samperi. Nel richiamarmi al testo scritto della relazione di minoranza, sottolineo alcuni aspetti che motivano la nostra relazione e il voto del nostro gruppo a favore della concessione dell'autorizzazione all'utilizzo delle conversazioni captate. Non concordiamo su quanto esposto nella relazione di maggioranza e, in particolar modo, sulla tardività dell'utilizzo e del rinvenimento di queste captazioni. Si sa che tutta la vicenda fa riferimento ad una vicenda processuale molto complessa ed articolata, che vede ancora una volta al centro l'attività di smaltimento dei rifiuti in Campania. Quindi, una serie di determinazioni, che non possono che evidenziarsi e trarsi all'esito di complesse indagini, richiede comunque un tempo e un'articolazione di un certo tipo. Proprio il fatto che questo sia stato rinvenuto ed individuato soltanto all'esito di queste indagini tocca e sgombra il campo dall'altro argomento, che riguarda il fumus persecutionis, cioè una captazione comunque voluta, seppure indiretta, delle conversazioni del parlamentare, che sarebbero invece tutelate dall'articolo 68. Proprio il fatto che queste captazioni vengano rinvenute, traendo origine da altri procedimenti, non diretti in nessun modo, neanche marginalmente, neanche come persona informata sui fatti, alla persona del parlamentare, ci dice che sono captazioni assolutamente accidentali. Vi è poi tutta la questione della rilevanza o meglio della non palese irrilevanza, per la quale rinvio al successivo momento della dichiarazione di voto. Mi limito a dire che l'addebito stesso nella sua configurazione, posto che si tratta di reati nell'ambito di un'ipotesi associativa di altri partecipi e protagonisti dell'inchiesta, evidentemente pone un problema di contatti e di familiarità, che è di assoluta rilevanza.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Palomba, relatore di minoranza.

FEDERICO PALOMBA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, intervengo ad integrazione del tempo riservato ai relatori di minoranza. Mi rifaccio naturalmente Pag. 6alla relazione scritta e chiedo che la relazione di minoranza... Signor Presidente, è una richiesta rivolta a lei...
Dicevo che intervengo ad integrazione della relazione di minoranza, che chiedo formalmente sia allegata agli atti che verranno trasmessi nelle sedi competenti.

PRESIDENTE. Onorevole Palomba, ovviamente lei sa che la relazione di minoranza è già pubblicata.

FEDERICO PALOMBA, Relatore di minoranza. Sì, signor Presidente, ma chiedo che sia allegata agli atti che verranno trasmessi poi all'autorità competente.

PRESIDENTE. Assolutamente.

FEDERICO PALOMBA, Relatore di minoranza. Mi rifaccio qui integralmente alla relazione di minoranza da me sottoscritta insieme alla collega Samperi. Faccio alcune aggiunte: noi dell'Italia dei Valori non facciamo i processi, né in Parlamento né nelle piazze, ma vogliamo che i processi si svolgano nelle sedi giuste, cioè nelle aule di giustizia, senza che alcuno vi si possa sottrarre per privilegio politico.
Questo è il caso: il deputato Landolfi accetti il giudizio e si difenda nel processo. Lo faccia spontaneamente: farà una migliore figura, altrimenti ci penserà la Corte costituzionale, in sede di probabile, quasi sicuro, conflitto di attribuzioni, a dire che vi dovrà essere sottoposto, come nell'oltre 90 per cento dei casi in cui la Camera ha tentato inutilmente di salvare taluno dei suoi componenti, contribuendo così ad accrescere il disdoro della politica. È un disdoro sul quale noi dell'Italia dei Valori rifiutiamo qualunque responsabilità, avendo sempre cercato di affermare il primato della legge e della giustizia anche sui politici.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della relazione di minoranza.

PRESIDENTE. Onorevole Palomba, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Italia dei Valori voterà contro la proposta della maggioranza per molti motivi. Alcuni già sono noti: noi siamo sempre stati per il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e contro gli odiosi privilegi della casta.
Ci troviamo sempre in sintonia con l'elettorato italiano, che rifiuta l'impunità. Ventisette milioni di nostri connazionali lo hanno gridato forte domenica e lunedì scorsi, spazzando via il legittimo impedimento, che, in realtà, era un assurdo scudo contro le doverose inchieste giudiziarie.
Verrà, spero, il giorno in cui la Corte costituzionale cancellerà anche l'articolo 6 della cosiddetta legge Boato, che prevede questa incongrua norma sulle intercettazioni.
Ma vi sono anche motivi specifici, che sono esposti brillantemente nella relazione di minoranza redatta dalla collega Samperi e da me. Chiedo, pertanto, che essa venga allegata agli atti, come ho già fatto prima.
Il collega Landolfi si è prestato a opache manovre politico-amministrative in una zona ad altissima densità camorristica, violando quel fondamentale criterio dettato dall'articolo 54 della Costituzione secondo cui i titolari dei pubblici uffici devono operare con disciplina ed onore.
Gli altri protagonisti della vicenda, purtroppo, sono gli stessi della vicenda Cosentino ed anche l'ambiente ed il contesto sono i medesimi. Si tratta del presidente del consorzio Eco4 Giuseppe Valente, già condannato per fatti di camorra, e di Ugo Conte, sindaco di Mondragone, persone che, eufemisticamente, non hanno brillato per trasparenza, efficacia amministrativa e vicinanza ai bisogni della comunità amministrata.
Quanto, infine, al fumus persecutionis, soltanto un ostinato e cieco pregiudizio Pag. 7verso i valorosi magistrati della Campania può portare ad argomentare come hanno fatto i colleghi della maggioranza parlamentare. Signor Presidente, parlo di maggioranza parlamentare perché voi siete maggioranza in Parlamento, ma netta minoranza nel Paese.
Ecco perché il gruppo Italia dei Valori voterà contro la proposta della maggioranza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Consolo. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Giunta per le autorizzazioni ha deliberato su una domanda volta ad utilizzare intercettazioni e conversazioni telefoniche del deputato Mario Landolfi, in carica al momento delle intercettazioni e, oggi, nostro collega al momento della domanda.
La suddetta domanda proviene dall'autorità giudiziaria di Napoli che, lo dico per completezza, ebbe già a sollevare una questione di legittimità costituzionale in relazione all'articolo 6 della legge n. 140 del 2003. Il giudice delle leggi, però, diede torto alla magistratura napoletana.
Nella seduta del 16 marzo scorso l'onorevole Landolfi ha reso dichiarazioni spontanee alla Giunta per le autorizzazioni. I fatti che hanno dato luogo al procedimento penale riguardano supposte, tutte da dimostrare, infiltrazioni della camorra nella zona di Mondragone, nel casertano. Parte dei fatti si sarebbe concretizzata attraverso la società Eco4 e, nelle istituzioni locali, attraverso il sindaco di Mondragone Ugo Conte.
Abbiamo solo un'ipotesi accusatoria, ripeto, tutta da dimostrare, secondo la quale la carica rivestita da Ugo Conte quale sindaco di Mondragone e, soprattutto, il permanere nella stessa, assumeva rilievo positivo nei confronti di interessi malavitosi, con conseguente prodigarsi degli associati al fine di garantire la continuità della maggioranza a sostegno dello stesso sindaco.
Non voglio dilungarmi in dettagli, vorrei solo ricordare come nel comune di Mondragone si dimisero contestualmente due consiglieri comunali, uno dei quali per pareggiare gli equilibri politici, si sospetta, ma non vi è prova di questo, passò da originario oppositore a sostenitore della maggioranza. Fu proprio questa singolare circostanza che portò alle dimissioni dei due consiglieri comunali, specialmente perché già attentamente monitorata dai magistrati inquirenti, e che diede luogo ad una seconda indagine per la quale furono disposte intercettazioni attraverso le quali si sospettò che le dimissioni di un consigliere, tale Massimo Romano, in realtà non sarebbero state altro che il prezzo per l'assunzione della moglie dello stesso Romano. Questa assunzione, però, tale formalmente, ma fittizia nella realtà, nonostante il pezzo di carta chiamato contratto, produceva degli introiti la cui erogazione cominciò presto a tardare. Una delle intercettazioni contenute nel fascicolo riguarda le lamentele di Massimo Romano relativamente a questo punto.
Questo è il quadro relativo alle intercettazioni nelle quali, bisogna ricordarlo per onestà, si parla di un certo Mario, nome assai comune, e solo in un'intercettazione si parla di un cognome. Applicando un criterio probabilistico - però il penale non si fa con le probabilità - si potrebbe ipotizzare che quel Mario fosse l'onorevole Mario Landolfi, ma le autorità inquirenti, che indagano su questo caso sin dal lontano 2002, vorranno poi approfondire questa questione.
Le intercettazioni, secondo la tesi accusatoria, dimostrerebbero, ma il condizionale è d'obbligo per serietà espositiva, come l'onorevole Landolfi potesse conoscere nei dettagli gli accadimenti che lo vedono parte in causa. L'opinione prevalente della Giunta per le autorizzazioni è che si tratti, come afferma l'onorevole Paniz, relatore per la maggioranza, di un'ipotesi accusatoria frammentaria e malferma giacché si viene a configurare una corruzione impropria, una truffa, in relazione, però, a dinamiche politiche consiliari.
Nella relazione oggi riassunta dall'onorevole Paniz si esprime una riflessione Pag. 8circa il lasso di tempo trascorso. Pensate, colleghi, che andiamo avanti dal 2002, quasi dieci anni, un periodo così temporalmente rilevante da vanificare l'eventuale esercizio dell'azione penale a causa dell'ormai, come pare, inevitabile prescrizione. Si tratta di un caso probatoriamente lacunoso che presenta luci ed ombre, aspetti contraddittori tra loro.
Tenendo in debito conto, da una parte, la gravità dei reati di cui si parla e, dall'altra, la dubbia opportunità di diffondere ancor più diffusamente conversazioni di parlamentari direttamente attinenti a scelte politiche sulle quali non è dato di sindacare - per quanto possano essere dichiarate discutibili, come i colleghi che mi hanno preceduto hanno fatto - il mio partito ritiene equo esprimersi con un voto di astensione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, l'Unione di Centro conferma il voto di astensione sul caso Landolfi, già espresso in Giunta per le autorizzazioni, fondamentalmente per due ragioni. La prima è certamente la conferma del rispetto del principio di leale collaborazione con la magistratura e di un uso sobrio delle guarentigie parlamentari previste dalla Costituzione.
In secondo luogo vi è anche una valutazione di merito sul caso, che deve essere ispirata al principio di adeguatezza e proporzionalità dell'accusa penale in relazione ai fatti che sono a nostra conoscenza.
Ora, nel caso in esame, è evidente - e non ripeterò questioni già illustrate - che il merito di queste conversazioni è fondamentalmente politico ed attiene alle dimissioni di un consigliere secondo dinamiche di vantaggi locali che sono pur sempre di tipo politico e a cui si possono collegare altri effetti, ma non certamente attraverso ciò che è evidenziato nel corso delle intercettazioni telefoniche.
Dunque, abbiamo molte perplessità e fondati dubbi sul merito e poi anche devo dire, come è stato notato, sui tempi processuali, che non sono proprio una variabile indipendente. Qui l'ultima intercettazione risale al 2004, cioè a sette anni fa. Ci poniamo, quindi, seri dubbi anche sull'utilità ad oggi del mezzo istruttorio. Sappiamo che a volte summum ius diventa summa iniuria e, dunque, è con questa prudenza e anche con questa consapevolezza che confermiamo come Unione di Centro per il Terzo Polo il voto di astensione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paolini. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Lega Nord esprimerà un voto favorevole sulla proposta della Giunta contenuta nella relazione del collega Paniz per una serie di ragioni, già parzialmente esposte dai colleghi Consolo e Paniz, ma soprattutto perché essa è apparsa convincente.

PRESIDENTE. Onorevole Paolini le chiedo semplicemente scusa. Poi le riconcederò la parola, ma alla Presidenza preme salutare una delegazione della sezione bilaterale di amicizia Italia-Francia della UIP, guidata dal Presidente Rudy Salles e dal Presidente Fini, che sta assistendo ai nostri lavori in Aula.
Vi ringrazio per essere qui presenti e vi auguro buon lavoro (Applausi).
Prego, onorevole Paolini.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Signor Presidente, il deputato Paniz in sede di Giunta ha dichiarato assolutamente infondate le ipotesi accusatorie che, peraltro, hanno una rilevanza palesemente inconsistente, in primo luogo in ragione del tempo in cui sarebbero accadute. Parliamo, infatti, del 2002 e il primo dubbio che sorge nell'interlocutore parlamentare è il seguente: se effettivamente nel 2002 vi fossero state ipotesi di irregolarità o di reato, perché vengono contestate soltanto nel 2011? Questo è il primo dubbio che lascia intendere che vi sia un sospetto quantomeno di fumus persecutionis. Pag. 9
Parliamo poi di fatti che, comunque, sarebbero, come ha ricordato poc'anzi il collega Consolo, già coperti da prescrizione ma, soprattutto, i fatti che vengono contestati appartengono ad un procedimento penale diverso e si chiede di acquisire le intercettazioni ad essi riferite in altro procedimento penale, postumo di ben sei anni.
Tutto ciò fa già ulteriormente ritenere la sussistenza di un fumus persecutionis.
Oltretutto, la vicenda cui si riferiscono le intercettazioni ha una dubbia consistenza penale: si parla di presunte dimissioni di un consigliere comunale indotte per favorire il subentro del primo dei non eletti e, quindi, mutare gli equilibri di maggioranza ed opposizione nell'ambito del comune di Mondragone. Si ipotizza sempre che tale operazione avrebbe avuto l'avallo più o meno velato del deputato in questione, sulla base di dichiarazioni di terzi. Insomma, parliamoci chiaro, è una situazione francamente poco comprensibile.
È per tali ragioni che la Lega Nord, ritenendo convincente la relazione di maggioranza della Giunta, dichiara il proprio voto favorevole.

FRANCESCO BARBATO. La Lega è amica dei camorristi! Bravi!

LUCA RODOLFO PAOLINI. Non puoi dire queste cose!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rossomando. Ne ha facoltà.

ANNA ROSSOMANDO. Signor Presidente, il gruppo del Partito Democratico esprimerà un voto contrario sulla proposta contenuta nella relazione di maggioranza. Intendo formulare alcune puntualizzazioni che possono sembrare di carattere tecnico ma dalle quali, necessariamente, deriverà una valutazione più politica.
Intanto, rilevo che i colleghi di maggioranza e anche chi ha motivato il voto di astensione continuano a discutere di temi che riguardano il merito del processo ovvero la fondatezza o meno dell'ipotesi dell'accusa che, ovviamente, soltanto nell'ambito del processo si potrà stabilire.
Dobbiamo partire da alcuni punti fermi: in primo luogo, l'imputazione è quella di aver commesso non astratte intromissioni sugli equilibri del consiglio comunale di cui era sindaco Ugo Conte, ma atti illeciti volti a concretizzare intromissioni, e tale ipotesi, naturalmente, dovrà tutta essere provata.
Pertanto, l'intera discussione sulla non palese irrilevanza e sul fumus persecutionis è assolutamente non corretta sul piano tecnico, nel senso che, per quanto attiene alla tutela dell'articolo 68 della Costituzione sull'utilizzo del mezzo probatorio, non possiamo esprimerci assolutamente sulla fondatezza o meno dell'accusa, ma solo sulla circostanza che nella captazione vi sia stato un fumus persecutionis. Quindi, anche quella distanza temporale in realtà prova - come abbiamo già evidenziato nella relazione di minoranza - soltanto che non vi era alcun atto diretto alla persona dell'onorevole Landolfi, ma che si è trattato di captazioni del tutto accidentali in un contesto molto più ampio.
Vorrei sottolineare che in tutte le discussioni che svolgiamo (e nelle quali, guarda caso, mai si vuole concedere l'autorizzazione quando riguardano parlamentari) rischiamo di affrontare la questione - questa è l'operazione che fa la maggioranza - in un'ottica di utilizzo dello strumento dell'articolo 68 della Costituzione come se si trattasse già di uno strumento di difesa processuale e tecnica per valutare la fondatezza o l'infondatezza dell'accusa; ma, per chiarirci, colleghi, quando parliamo di garanzie, quelli processuali sono strumenti non soltanto assolutamente leciti ma auspicabili e fanno parte delle garanzie del processo.
Questa continua sovrapposizione tra le garanzie previste dall'articolo 68 della Costituzione e le garanzie all'interno del processo, naturalmente rende prive di significato e sminuisce queste ultime.
Sappiamo che il contesto in cui è nata l'immunità ex articolo 68 della Costituzione era completamente diverso, in Pag. 10quanto tale disposizione mirava soprattutto a proteggere le minoranze, l'opposizione, all'indomani della caduta del fascismo. Vogliamo dire una cosa: che col voto del 12 e 13 giugno la stragrande maggioranza dei cittadini ha dato un segnale molto preciso, che non è solo quello di riaffermare il principio che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ma anche quello di affermare un principio democratico molto importante: la difesa del processo come provvedimento pubblico e trasparente attraverso il quale il cittadino effettua il controllo democratico.
In questo senso noi diciamo ancora una volta che il processo è un bene collettivo, un bene comune. Allora è qui che sta il vulnus, la ferita. È un discorso che va oltre il difendersi nel processo e il non difendersi dal processo. Qui bisogna - se si è davvero garantisti - difendere il processo che è il luogo in cui si esercitano tutte le garanzie. Noi lo abbiamo dimostrato con i nostri progetti di legge, sulle intercettazioni telefoniche, sul miglioramento comunque dello strumento processuale, mentre voi avete dimostrato di non credere nel processo come esercizio delle garanzie, con il processo breve, con il processo lungo, con le prescrizioni brevi, e con la possibilità che attribuite alla polizia di effettuare direttamente, indipendentemente da un controllo giurisdizionale, le intercettazioni telefoniche.
Qui il punto è molto chiaro, i cittadini hanno dato un segnale: il processo deve essere difeso come luogo pubblico e trasparente, e non si possono utilizzare gli strumenti dell'immunità come strumenti di difesa tecnica nei processi in corso, che è quello su cui siamo stati - ahimè - impegnati dall'inizio della legislatura, in quanto abbiamo sempre discusso e affrontato provvedimenti che riguardavano accorgimenti processuali di processi in corso. Restituiamo al Parlamento la sua dignità di fronte al Paese, perché noi pensiamo che questo significa difendere il Parlamento, questo significa difendere le garanzie processuali, questo significa stare dalla parte dei cittadini.

MARIO LANDOLFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO LANDOLFI. Signor Presidente, non avrei mai immaginato, quando sono entrato in questa Aula nel 1994, di dovermi un giorno difendere da accuse tanto infamanti quanto - per quel che mi riguarda - infondate. Tutto il percorso politico (nel mio partito dove sono nato e dove sono cresciuto), il mio impegno nelle istituzioni (come consigliere comunale, come deputato, come presidente di Commissione, come Ministro) è stato sempre informato dalla precondizione del rispetto della legalità, e a questa regola mi sono sempre attenuto con coerenza e con onore.
Oggi voi avete esaminato questa richiesta del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli; spero che abbiate anche letto le conversazioni captate, le intercettazioni, che tanto poco temo da averle postate sul mio profilo di Facebook, e da averle mandate a tutti i siti Internet più autorevoli, in modo che ciascuno (cittadino, uomo, donna, giovane e anziano) possa rendersi conto di che cosa io sia accusato e quali siano gli elementi a mio carico, e se un cittadino parlamentare possa essere dato in pasto alla pubblica opinione sulla scorta degli elementi che voi oggi avete visionato. Contro di me non c'è un'accusa, non c'è una chiamata in correità, non c'è un elemento, non c'è un'intercettazione, non c'è nulla, e nonostante questo nulla io sono stato inquisito, per me è stato chiesto il rinvio a giudizio, per me è oggi la Camera deve decidere se dare o non dare l'autorizzazione all'utilizzabilità di queste telefonate.
Nella Giunta per le autorizzazioni a procedere ho chiesto solo di fare presto perché sono quattro anni che mi trovo alle prese con questo problema. Ho pagato un prezzo, non solo in termini politici, ma in termini umani, personali, familiari e anche di amicizie che si sono rotte. Sentivo di dovervi dire questo per rispondere ed assecondare una mia profonda esigenza morale prima ancora che politica. Lo Pag. 11debbo a voi e lo debbo, soprattutto - non me ne vogliano i colleghi della maggioranza -, a quei tanti colleghi dell'opposizione che, in questi anni, non mi hanno mai fatto mancare il loro apprezzamento e la loro stima. Li ringrazio a prescindere da quello che voteranno, non è quello che mi interessa. Penso di aver assecondato un dovere elementare che ogni politico ha di trasparenza verso l'opinione pubblica. Non ho nulla di cui pentirmi, nulla ancor meno di cui vergognarmi (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Iniziativa Responsabile).

FRANCESCO BARBATO. Fatti processare!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Maurizio Turco. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, mi limiterò, nel tempo che ho, a giustificare e a dare conto del nostro voto. Pur senza entrare nel merito dell'inchiesta e, in particolare, in quella micro-parte dell'inchiesta che riguarda l'onorevole Landolfi, non si può non rilevare quanto esigui, se non addirittura inesistenti, siano gli elementi che derivano da queste intercettazioni e che l'accusa intenderebbe utilizzare, non comprendo con quale profitto, nel processo a carico del deputato Landolfi. Se oltre a queste intercettazioni, che paiano essere gli unici elementi a carico dell'onorevole Landolfi, fossero avanzati altri tipi di richieste, come ad esempio di applicazione di misure cautelari, non esiteremmo a dire che saremmo in presenza di un fumus persecutionis. La richiesta, però, che ci viene avanzata oggi dalla magistratura è solo quella di autorizzare l'utilizzabilità nel processo delle intercettazioni effettuate, nel corso delle quali sono state captate casualmente le conversazioni di un deputato. Sulla base di questa valutazione che siamo chiamati a fare e non essendoci sottratti anche ad entrare nel merito della vicenda, noi esprimeremo voto contrario a quella che è la proposta dell'onorevole Paniz. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Maurizio Turco, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

(Votazione - Doc. IV, n. 11-A)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta della Giunta di negare l'autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche nei confronti del deputato Landolfi.
Ricordo che chi intende concedere l'autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni deve votare: «no», mentre chi intende negare tale autorizzazione deve votare: «sì».
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Coscia, Nannicini, Calvisi, Pastore, Agostini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).
(Presenti 554
Votanti 511
Astenuti 43
Maggioranza 256
Hanno votato
296
Hanno votato
no 215).

Prendo atto che il deputato Ascierto ha segnalato che non è riuscito a votare.

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Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale: Donadi ed altri: Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province (A.C. 1990-A/R); e delle abbinate proposte di legge costituzionale: Scandroglio ed altri; Casini ed altri; Pisicchio; Vassallo (A.C. 1836-1989-2264-2579) (ore 11,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge costituzionale d'iniziativa dei deputati Donadi ed altri: Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province; e delle abbinate proposte di legge costituzionale d'iniziativa dei deputati Scandroglio ed altri; Casini ed altri; Pisicchio; Vassallo.
Ricordo che nella seduta del 12 ottobre 2009 si era conclusa la discussione sulle linee generali e che nella seduta del 13 ottobre 2009 era stata approvata la questione sospensiva Bianconi ed altri n. 1.
Da ultimo, nella seduta del 18 gennaio 2011 l'Assemblea aveva deliberato il rinvio in Commissione del provvedimento.

(Esame degli articoli - A.C. 1990-A/R)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli della proposta di legge, nel testo della Commissione.
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 89, comma 1, del Regolamento, le seguenti proposte emendative, già dichiarate inammissibili nel corso dell'esame in sede referente: Pini 7.3, concernente la procedura di istituzione delle regioni; Pini 9.01, volta ad istituire la regione Romagna.
Ha chiesto di parlare il relatore, onorevole Bruno. Ne ha facoltà.

DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, come i colleghi sanno, il provvedimento è stato rinviato in Commissione il 18 gennaio scorso. La Commissione ne ha ripreso l'esame in sede referente il 25 gennaio, deliberando il giorno stesso di adottare come testo base la proposta di legge costituzionale n. 1990. È stato quindi fissato un termine per la presentazione di emendamenti al testo base e dopo una seduta di discussione si è convenuto di procedere al relativo esame nell'ambito di un Comitato ristretto che è stato appositamente costituito con deliberazione del 15 febbraio. Il Comitato ristretto ha svolto tra marzo e maggio alcune riunioni nell'ambito delle quali sono state discusse, in particolare, le proposte di riforma contenute negli emendamenti presentati.
Da questi emendamenti, come dalla discussione avvenuta in Commissione e in Assemblea, è emerso che la maggior parte dei gruppi sono contrari alla pura e semplice soppressione delle province ma sono d'altra parte disponibili a riflettere su una revisione della disciplina costituzionale delle province che vada nel senso di una loro riorganizzazione, ad esempio sulla base di limiti di estensione territoriale o di popolazione residente.
Il Comitato ristretto stava quindi lavorando per trovare una soluzione di questo tipo che raccogliesse il più ampio consenso. La decisione del gruppo dell'Italia dei Valori, peraltro pienamente legittima, di insistere nella Conferenza dei presidenti di gruppo affinché la ripresa delle discussione del provvedimento in Assemblea avvenisse sin dal mese di maggio, nonostante il fatto che il Comitato ristretto non avesse concluso i propri lavori, ha messo la Commissione nelle condizioni di non avere altra scelta al di fuori di quella di confermare al relatore il mandato a riferire in senso contrario sul testo base che - lo ricordo - è il testo della proposta di legge Donadi n. 1990. Ciò non toglie tuttavia che ove la maggioranza dei gruppi confermi la propria contrarietà alla soppressione delle province, la Commissione affari costituzionali possa riprendere in altra sede la discussione sul tema esaminando le proposte di legge che i deputati nella loro autonomia riterranno di presentare per modificare la disciplina costituzionale in materia di province.

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(Esame dell'articolo 1 - A.C. 1990-A/R)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 1990-A/R).
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Giorgio Conte. Ne ha facoltà.

GIORGIO CONTE. Signor Presidente e cari colleghi, è utile ricordare che il 10 aprile 2008 in diretta TV, a Porta a porta, l'allora candidato Premier Silvio Berlusconi annunciò: «Le province non possono essere lasciate in piedi: solo con l'abolizione delle province, pur assorbendo tutto il personale, si risparmiano 10-13 miliardi all'anno». La stima era evidentemente esagerata, eppure molti italiani si convinsero che era arrivato il momento di eliminare uno dei numerosi, troppi livelli di governo, i cui costi sono considerati superiori ai benefici. Da allora sono passati più di tre anni, ma di quella promessa non è rimasto nulla, se non un nitido ricordo dei tanti «altolà» rivolti dalla Lega Nord a chiunque, nella maggioranza, provasse ad avanzare nuovamente la proposta.
Con il voto di oggi la storia si ripete. Con questo emendamento della Lega, il partito che, all'insegna non si capisce di quale federalismo, intende aprire sedi di Ministeri al nord, duplicandone i costi per lo Stato, decidete di mettere la parola «fine» all'ipotesi di abolizione o anche di semplice razionalizzazione dell'ente provincia in questa legislatura. Anzi, di più: si verifica un fatto non del tutto nuovo, ma che va comunque rilevato. La maggioranza, in particolare il Popolo della Libertà, vota espressamente contro un punto qualificante del suo programma elettorale. Se si condivide - e dovrebbe essere almeno auspicabile - l'esigenza di razionalizzare la spesa pubblica tagliando sprechi ed esuberi, la proposta di legge in esame sull'abolizione delle province dovrebbe essere discussa, valutata, approfondita adeguatamente e votata. Dirò di più: doveva essere fatto nei famosi primi cento giorni della legislatura, per dare impulso alla capacità riformatrice costituente promessa in campagna elettorale e permettere quindi di trarne i relativi benefici entro la fine della legislatura. Siamo certi che avrebbe ricevuto l'approvazione di un'ampia maggioranza, allargata anche ad alcune forze politiche di opposizione, come si conviene a quelle riforme costituzionali auspicate anche dal Capo dello Stato.
In ogni caso, i parlamentari di Futuro e Libertà avrebbero garantito, in coerenza al programma elettorale, il sostegno alla proposta di legge, e siamo certi che anche l'opinione pubblica avrebbe gradito e avrebbe una volta tanto offerto un giudizio positivo al lavoro del Parlamento. Voi state rinunciando ad un risparmio per le casse dello Stato che a regime può arrivare fino a circa due miliardi di euro. Agli italiani diremo che avete giocato con le «alchimie parlamentari» per il rinvio in Commissione, che significa insabbiamento, dimostrando ancora una volta, per l'ennesima volta, che il condizionamento della Lega sull'agenda di Governo rappresenta ormai la cifra più autentica di questa maggioranza parlamentare.
È interessante collocare questa riflessione nell'ambito della polemica di queste settimane sul presunto trasferimento di alcuni Ministeri al nord, tenuto conto che le nuove sedi ed il nuovo personale si aggiungerebbero a quelli esistenti a Roma. E visto che i palazzi della politica è facile aprirli, ma diventa seriamente più difficile o quasi impossibile chiuderli, non c'è da stupirsi che la resistenza all'abolizione delle province, che al nord in particolare rappresentano un centro nevralgico del sistema di potere locale, si associ alla richiesta di spostare geograficamente anche alcuni pezzi del potere centrale. Futuro e Libertà, a differenza della Lega, pensa che la questione settentrionale rappresenti un tema che non può risolversi aumentando il peso e il costo delle istituzioni di Governo, bensì liberando la vita economica e sociale nelle aree più produttive del Paese dalla cattiva politica invadente e manovriera.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 11,30).

GIORGIO CONTE. Abbiamo discusso a lungo in questi mesi di federalismo fiscale ed ora - se ne stanno accorgendo anche gli elettori - emerge il bluff: il problema non era dare più libertà di spesa e più potere ai sindaci, ma ridurre la pressione fiscale ai cittadini del nord, che è tutto un altro discorso. Così l'ossessione si sposta ora sulla conquista di Ministeri al nord, che - lasciatemelo dire - riflette una cultura ben diversa da quella federalista. Per federalismo abbiamo sempre inteso preservare l'autonomia e la responsabilità di territori dal potere del centro, non ridistribuire sul piano territoriale pezzi di potere centrale. Anziché allontanare Roma, così la portereste ancora più vicina, praticamente sotto casa.
Così facendo, dimostrate ancora una volta di anteporre la propaganda ad un rigoroso progetto istituzionale, che finirà soltanto per aumentare posti e poltrone da distribuire.
Torniamo alle province. Noi saremmo anche disponibili a discutere ed eventualmente a votare un'ipotesi che rappresenti una soluzione intermedia, volta ad eliminare le province sovrapposte alle città metropolitane e le province demograficamente più piccole, ovviamente, da accorpare a quelle limitrofe. Un progetto che comprenda anche un piano di alienazione del patrimonio mobiliare ed immobiliare delle province che sopravvivranno, liberando, quindi, risorse importanti per l'azione amministrativa.
Ma non siete disposti nemmeno a questo, perché le province non si toccano. E, tornati in Commissione, proverete a riesumare la proposta leghista di regionalizzazione delle province, attribuendo - badate bene - alle regioni il compito non solo di abolirle, ma anche di istituirne di nuove. Tutto ciò, accompagnato da un'incomprensibile rinuncia alle città metropolitane, che rappresentano, invece, un fondamentale anello di Governo del territorio delle aree più grandi e complesse del Paese.
Con l'emendamento in oggetto, che avrà il voto contrario di Futuro e Libertà per il Terzo Polo, si sancisce, quindi, l'archiviazione dell'abolizione totale o parziale delle province. Si decreta, in particolare, da parte del Popolo della Libertà il mancato rispetto del programma elettorale con cui il centrodestra si era presentato agli elettori.
Seppur con le debite proporzioni, questa vicenda illustra molto bene le ragioni del fallimento di questa maggioranza, che, non a caso, sono le stesse ragioni per le quali il gruppo di Futuro e Libertà per il Terzo Polo, coerente, invece, con l'impegno di abolire le province, ha deciso di non farne più parte, una maggioranza alla quale gli elettori - è del tutto evidente - hanno oramai voltato le spalle (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, colleghi, oggi ci ritroviamo ad affrontare un tema che non è affatto nuovo. Non lo è dal punto di vista istituzionale: senza andare troppo lontani nel tempo, basti ricordare che la Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema ne discusse a lungo. Vorrei ricordare, in questa sede, i dibattiti che vi sono stati a livello di associazioni delle autonomie, in particolare, dell'Unione delle province, ma anche all'interno dell'Associazione dei comuni.
Non è un tema nuovo dal punto di vista politico, perché, com'è stato ricordato da chi mi ha preceduto, un po' tutte le forze politiche, in campagna elettorale, hanno assunto impegni finalizzati almeno a ridiscutere il ruolo delle province, se non ad arrivare ad una loro soppressione.
Non è un tema nuovo nemmeno per quest'Assemblea, dal momento che, come ricordava il presidente Bruno, essa lo ha affrontato e lo ha rinviato in Commissione. La I Commissione, poi, non è riuscita a trovare il bandolo della matassa, tant'è che il testo è tornato in Aula con un mandato al relatore a riferire in senso sfavorevole. Pag. 15
Colleghi, tutto ciò per dire che questo tema continua ad animare il dibattito politico, senza trovare in una via di uscita. Non vi è dubbio, che le province si trovino oggi ad affrontare una sfida decisiva: troppe voci ne evidenziano l'insignificanza istituzionale, nessuno però ha il coraggio di abolirle sic et simpliciter e i proclami in questo senso non fanno che confondere i cittadini.
L'iter che ha seguito il provvedimento in esame, dal mio punto di vista, è stato erroneo sin dall'inizio. Era difficile credere che il Governo avrebbe mantenuto, per una volta, un impegno assunto in campagna elettorale con gli elettori. Infatti, l'emendamento dell'onorevole Reguzzoni in Commissione, che di fatto fa crollare l'intero testo, è la migliore dimostrazione che l'idea di abolire tout court uno degli enti costitutivi della Repubblica non è un passaggio semplice e, probabilmente, non è nemmeno il più razionale.
Eppure, l'attuazione del federalismo fiscale impone l'ineludibile necessità di sostenere il nuovo assetto economico che si delinea con un nuovo assetto istituzionale.
È giunto, dunque, il momento di porsi qualche domanda anche sull'ente provincia. Le province - che oggi contano circa 61 mila dipendenti e oltre 4 mila amministratori - costano in spese di esercizio circa 14 miliardi di euro l'anno. Così com'è, dunque, la provincia - questa è la domanda che vi pongo - è un livello istituzionale compatibile con il principio di responsabilità imposto dal federalismo fiscale? Se la risposta è «no», la soluzione non può essere l'abolizione tout court.
Ricordo all'Assemblea - e vengo al merito della questione - che il Terzo Polo ha cercato una mediazione tra i cosiddetti «abolizionisti» e i cosiddetti «conservatori». La proposta di legge che reca la prima firma della collega Lanzillotta, ma che è sottoscritta da me e da altri colleghi di Alleanza per l'Italia, dell'Unione di Centro e di Futuro e Libertà, per la verità riprendeva una proposta di legge a firma mia e del collega Moffa, quando - mi verrebbe da dire - era un po' meno «responsabile» di quanto non lo sia oggi.
Ebbene, tale proposta rappresentava davvero un'alternativa, una revisione complessiva in materia di funzioni delle province e di elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale (impostazione che è ripresa in alcuni degli emendamenti presentati a questa proposta) e conteneva, altresì, una delega al Governo per la riorganizzazione e la riduzione del numero delle circoscrizioni provinciali, addirittura da 110 (qual è il numero delle attuali province) a 38, con l'abolizione di tutte quelle con popolazione inferiore a 500 mila abitanti, destinando - e questa era la parte propositiva della nostra proposta - alla ricerca scientifica il risparmio di spesa così ottenuto, pari quasi ad un miliardo di euro.
Finché porteremo avanti lo sterile dibattito sulla soppressione, non se ne verrà mai a capo, in primis perché è necessaria una modifica della Costituzione, che, al momento, sembra non avere i numeri per trovare la luce; e poi perché è innegabile l'importanza, in termini di identità, di un ente storico e costitutivo della Repubblica.
Pertanto, a nostro modo di vedere, la soluzione a Costituzione invariata può e deve essere un'altra: mantenere le province e farne un ente utile davvero. Secondo il principio di sussidiarietà, infatti, al comune vanno attribuite tutte le funzioni amministrative che non necessitano di un esercizio ad un livello superiore. Alla provincia, invece, spetta un ruolo di ente di governo di area vasta, perché solo così può esercitare al meglio le funzioni di coordinamento e di pianificazione strategica che le sono proprie. È giusto, dunque, discuterne, ma l'abolizione tout court non può trovare il sostegno che necessita per essere approvata.
Non è, dunque, forse, più ragionevole e realistico prevedere l'evoluzione delle province da enti strutturali a strutture amministrative specializzate sul versante tecnico e dei servizi, da un lato in diretto rapporto con le rispettive regioni, alle quali fornirebbero i dati base della programmazione regionale, e, dall'altro lato, con i comuni? Pag. 16
In questo senso, va la nostra proposta e, quindi, noi guarderemo con attenzione gli emendamenti che sono stati presentati in questa direzione, in quanto un tale assetto sottrarrebbe alle regioni un notevolissimo ambito di concrete attività gestionali e lascerebbe loro solo le funzioni normative e quelle di programmazione generale, con evidente risparmio in termini di strutture e di personale.
Nei confronti dei comuni invece, le province rivestirebbero il ruolo di enti di secondo livello, con funzioni ben definite, che non si sovrappongono a quelle degli altri enti locali. A mio modo di vedere, è l'unica strada per un abbattimento reale dei costi: snellire strutture, funzioni, personale e consentire gradualmente ai comuni di autorganizzarsi nella gestione dei servizi, attraverso le unioni. In definitiva, e concludo, bisogna trasformare la provincia da ente strutturale a ente funzionale, riducendone il numero, come ho già detto, e guardando ad essa come a un vero ed essenziale snodo di raccordo fra i comuni; questa, a mio avviso, è la strada maestra per ridurne i costi e per valorizzarne il ruolo, superando in questo modo insignificanza e sfiducia.
Auspico che il Governo non voglia sfuggire ancora una volta all'impellente esigenza di riforme efficienti di cui ha bisogno il Paese per coniugare seriamente semplificazione, lotta agli sprechi e riduzione della spesa pubblica (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Volpi. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, mi piacerebbe domandare, anzi domando, all'Aula, se, secondo questi colleghi, è possibile cancellare con un voto le province dalla Costituzione. Credo che un tema di questo genere abbia la necessità di discussioni ben più approfondite; naturalmente ci sono, come ha detto l'onorevole Ria, gli «abolizionisti» e i «conservatoristi». Noi ci troviamo in Aula oggi, come ha spiegato bene il presidente Bruno, con un mandato dalla maggioranza dei gruppi che è contrario a questa proposta di legge dell'Italia dei Valori, e lo è perché è un peccato arrivare oggi a una situazione come questa nel momento in cui la Commissione, di fatto, stava assolutamente lavorando nel cercare delle convergenze su quelle che potevano essere ipotesi di razionalizzazione delle province, nell'individuare quegli spazi che sono opportuni per rivedere la provincia sia come qualità che come sostenibilità nei sui ruoli.
Ritengo ci sia un momento in cui la politica debba avere un momento di orgoglio rispetto a quello che succede. Penso che oggi il Parlamento debba riappropriarsi di un suo forte ruolo, non cadendo nel populismo, non cadendo in quello che ormai sta diventando un modo di rappresentare la politica assolutamente sbagliato. Oggi il Parlamento, passando alle proposte emendative, che sono soppressive e sono state presentate da più gruppi, deve riappropriarsi di una dignità: la dignità della consapevolezza di quello che si sta facendo rispetto al ruolo del Parlamento nel fare le leggi. Qualcuno si sta illudendo che determinate situazioni siano magari dovute a scelte, a impostazioni politiche o a proposte; credo che una riflessione che passa oggi anche da questo voto, sia quella invece di dire che la politica si fa per quello che rappresentiamo anche noi qui e non semplicemente seguendo delle onde che arrivano da fuori e che non sono sicuramente quelle che poi potranno dare un razionale riscontro all'interno di un sistema legislativo e alla nostra architettura. Non credo ci si debba dilungare su questa cosa, certamente la richiesta dei colleghi dell'Italia dei Valori la potrei definire una legittima forzatura, perché la richiesta, che avverrà attraverso gli emendamenti, di sopprimere gli articoli della proposta di legge viene giustificata anche, per tutti i colleghi che avessero voglia di guardarla, dalla qualità degli emendamenti che sono stati presentati.
La qualità degli emendamenti appalesa, infatti, in maniera chiara, signor Presidente, che su questo tema il Comitato ristretto e la Commissione hanno lavorato Pag. 17su alcune proposte. Pertanto arrivare oggi a forzare, a chiedere una votazione su un provvedimento come quello al nostro esame vuol dire attuare un'azione di politica populista e di ricerca di consenso al di fuori di quello che è il lavoro del Parlamento. Altrimenti non ci sarebbero proposte così interessanti ed articolate che spero, anzi credo, verranno, per fortuna, riprese in un contesto di ragionamento sugli altri provvedimenti che ci saranno, o in altre occasioni. Oggi cerchiamo di qualificare il Parlamento senza guardare sempre troppo a quello che c'è fuori e che non viene qui rappresentato (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, populismo e demagogia, qualcuno ha detto. Ma vogliamo scherzare? Abbiamo portato in quest'Aula, per la prima volta, questo testo oltre un anno fa e ci sarebbe stato tutto il tempo per fare tutto ciò che si voleva. Non diamo la colpa al fatto che oggi vogliamo che si discuta e che si pronunci una parola chiara su questo tema perché siamo stufi di essere presi in giro.
Ci avete presi in giro la prima volta che abbiamo presentato questo provvedimento, quando avete sostenuto che non si poteva discuterne perché dovevamo discutere del codice delle autonomie e che quella sarebbe stata la sede nella quale discutere anche dell'abolizione delle province. Quando siamo arrivati a discutere del codice delle autonomie vi siete alzati ed avete detto che non se ne doveva discutere insieme al codice delle autonomie, ma si sarebbe dovuto farlo con una proposta di legge costituzionale e l'abbiamo fatto. Quando però l'abbiamo ripresentata l'avete rinviata in Commissione e adesso, dopo anno e mezzo che noi tiriamo avanti e indietro questo provvedimento, parlate di populismo e demagogia? La verità è che state prendendo in giro gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Ieri il Ministro Tremonti ha detto che per fare la riforma fiscale bisogna cercare del denaro, parecchi miliardi, e ha detto che bisognerà porre mano anche ai costi e alle spese della politica.
Allora, ci prendiamo ancora una volta in giro? È da tanto tempo che noi vi proponiamo un progetto di legge, come abbiamo fatto per altri livelli istituzionali, perché in questo Paese ci sono nove livelli istituzionali protetti che vivono, in qualche modo, legati alla politica, a partire dalle comunità montane, dai consorzi di bonifica, dalle circoscrizioni e via dicendo.
Al tempo del Governo Prodi siamo riusciti, in occasione di una legge finanziaria, a non chiedere aumenti di tasse, ma interventi sui costi della politica. In quell'occasione siamo riusciti ad intervenire - non eliminandole, come noi avremmo voluto, ma comunque riducendone fortemente il numero - sulle comunità montane, che oggi sono circa dimezzate, sui consorzi di bonifica, per i quali siamo intervenuti quantomeno sul numero degli amministratori, che era spropositato. Siamo intervenuti poi sulle circoscrizioni, che oggi sono dimezzate, ma è evidente che questi sono interventi modesti. Il vero intervento serio che avrebbe dovuto essere fatto quando vennero istituite le regioni è che non ha senso che restino comuni e province e regioni e che pertanto uno di questi livelli va definitivamente eliminato.
Abbiamo fatto fare degli studi ad alcuni docenti proprio per poter convalidare anche l'entità del risparmio, perché il Ministro Tremonti inizialmente diceva che non si sarebbe risparmiato nulla, ma poi ha capito che in realtà non era vero. Infatti, certamente non si risparmia il costo dei ritrasferimenti che oggi tra trasferimenti dello Stato e autonomia impositiva delle province, ammontano a circa dodici miliardi. Non è che si risparmieranno dodici miliardi, questo è pacifico. Abbiamo chiesto ad un docente dell'università statale di Milano, un economista, di ragionare intorno ai costi della struttura politica, che vuol dire costi legati ai consigli, alle giunte e costi di sostegno a queste strutture politiche. Pag. 18
Ne è emerso che parliamo di qualcosa che va da 1,7 a 2 miliardi di euro all'anno. Vi sembra poco nel momento in cui vi è una crisi economica che tutti conosciamo, nel momento in cui anche ieri - rispetto ad un anno fa - viene raggiunto un debito pubblico di 1.980 miliardi di euro e stiamo qui a discutere se si deve o non si deve abolire le province? È il primo mattone per una riforma istituzionale che faccia pesare sui cittadini minori costi della politica, ma in questo caso ha poco senso perché le province sono state via via svuotate di contenuto e ve lo dice uno che ha fatto il presidente di provincia (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) e che immagina di conoscere un pochino che cosa c'è nell'ambito dell'attività delle province.
Oggi quell'attività si è ulteriormente ridotta e sta accadendo che, a fronte del taglio dei trasferimenti operati anche per il rispetto del patto di stabilità, ciò che viene eliminato dalle province sono i pochi servizi che davano ai cittadini. Ormai le province servono in larga parte semplicemente per mantenere se stesse e l'apparato burocratico, i consiglieri, gli assessori e questo è assurdo in un momento di grave difficoltà come questo!
Quindi, per piacere, svolgete una riflessione ulteriore prima di andare ad approvare il primo emendamento che cancellerà una cosa richiesta dai cittadini. Forse non vi siete accorti che voi tutti avete fatto promesse e i cittadini si stanno stufando! In Veneto il 50 per cento degli elettori della Lega ha detto «no» alla richiesta di Bossi di non andare a votare il referendum: vi dice niente questo? Non vi dice che si sono stufati di promesse non mantenute, di un federalismo che non ha dato alcun risultato e noi siamo qui ancora a chiedervi di votare per l'abolizione delle province?
Signor Presidente, credo che qualche cittadino ci starà ascoltando in questo momento. Desidero che quei cittadini e quegli elettori sappiano che, da quando è iniziata questa legislatura, così come già avevamo fatto nella precedente, abbiamo agito realmente perché si arrivasse ad una legge che procedesse all'abolizione delle province e non abbiamo fatto come quelli che sono andati a parlare di abolizione delle province in campagna elettorale per poi bloccare, invece, tutti i tentativi fatti perché si arrivi ad un risultato necessario per risparmiare 2 miliardi di euro e destinarli - questi sì - alla riduzione del debito o delle tasse ai cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, vorrei riprendere questo tema con molta serenità e non contestare il collega Borghesi, ma cercare di fare un ragionamento più complesso, tirando via da questo discorso, che ha una dignità costituzionale, l'aspetto politico contingente. Le dico che io, invece, sono favorevole al mantenimento delle province o meglio sono favorevole al mantenimento di alcune province, ma soprattutto affronterei il problema da un altro aspetto: le competenze delle province. Qui sta il punto: se le province non hanno competenze adeguate, è perfettamente inutile che esistano. Se alle province si attribuiscono competenze specifiche, possono essere molto utili.
A mio modo di vedere, dobbiamo procedere ad un taglio radicale dei comuni, per esempio per i comuni montani. Occorre trasformare i comuni sostanzialmente in un'area che possa far capo alla comunità montana. In questo caso, però, le comunità montane sono diventate troppo poche. Molto meglio sarebbe stato trasformare in comuni le precedenti comunità montane, dove avevano luogo logico per esserci, non in riva al mare. Ma soprattutto non trovo che la provincia sia inutile come ente intermedio, in quanto c'è una quantità di problemi che vanno affrontati in modo sovracomunale e che non possono essere trattati a livello regionale.
Sarebbe molto meglio per il risparmio e la cosa pubblica che le regioni svolgessero attività di carattere legislativo e non esecutivo, perché questo non sarebbe compito loro. Pag. 19
Tuttavia, non si può generalizzare in termini astratti su questi problemi: per esempio, non è in base al numero degli abitanti che una provincia può o meno giustificarsi. Credo, infatti, che addirittura le grandi province non abbiano molto senso: non capisco che utilità abbia ancora la provincia di Milano, così come ritengo che non abbia più senso che tutta la zona metropolitana di Roma o di Torino esista ancora come provincia. L'ente provincia ha invece - lo garantisco - una grossa importanza con riferimento ai territori periferici e marginali. Sono di Verbania e vi garantisco che la nostra provincia lavora, costa poco ed è estremamente utile: sta infatti assumendo tutta una serie di servizi che i comuni non sono più in grado di gestire. In casi come questo si rende utile un ente intermedio - lo si chiami come si vuole - ma non possiamo generalizzare.
Inoltre, dobbiamo inserire questa riforma - se vogliamo realizzarla - nella realtà del pubblico impiego: se i dipendenti della provincia potessero essere teoricamente licenziati o ridotti, potremmo avere un grosso risparmio dall'eliminazione della provincia, ma se tutti i dipendenti dovessero essere ricollocati in un altro ente, ci ritroveremmo esattamente al punto di prima.
Quindi, non mi interessa il cappello che abbiano in testa, ma cosa effettivamente queste persone debbano fare.
Per esempio, per quanto concerne la gestione delle strade provinciali - diventata oggi una delle questioni principali - o decidiamo che spetti totalmente all'ANAS e allora possono non servire più le province, altrimenti meno male che ci sono questi enti sul territorio perché non riuscirei ad immaginare un capoluogo regionale che si interessi di spalare la neve o di far portare via la neve d'inverno in un comune a 250 chilometri dalla sede della regione, né certamente può essere un comune di 200 abitanti a gestire questo servizio.
Per questo, bisogna capirsi: ad esempio, il discorso dei rifiuti effettuato su ambito provinciale è logico, il discorso dell'acqua - toccato dal referendum dell'altro ieri - effettuato su base provinciale molto spesso è logico, ma altre volte è totalmente illogico (bisogna vedere la geografia di ogni singolo territorio prima di poter distribuire le competenze); invece, lo sviluppo economico non può essere portato avanti comune per comune, ma nell'ambito di un'area, che evidentemente sarà un distretto o un territorio complesso.
Termino, quindi, dicendo che non sta a me decidere o dire se dobbiamo affrontare subito questa questione o non dobbiamo farlo: sicuramente il problema va affrontato e non può essere abbandonato per sempre o nascosto sotto il tappeto. Certamente può essere razionalizzato: se provassimo ad identificare seriamente quali debbano essere i compiti delle province, vedremmo che queste possono avere un senso.
Se siamo tutti federalisti, come secondo me bisogna essere, potremmo lasciare alle singole regioni il potere di stabilire quali debbano essere i compiti delle province, magari evitando che ne istituiscano otto o nove, cosa che mi sembra evidentemente esagerata. Tuttavia, sulla base di un territorio omogeneo, la provincia ha secondo me un senso. Magari poi qualcuna potrà essere accorpata o divisa: possono, ad esempio, essere subito eliminate le province legate ad un territorio metropolitano, che forse già oggi non hanno più senso perché gravitano intorno al centro principale.
Non affrontiamo questa legge di riforma con superficialità - faremmo un pessimo servizio a noi e a tutti i cittadini - e soprattutto non trasformiamo una cosa che deve valere per decenni in una piccola polemica politica attuale perché, francamente, il risultato elettorale dell'altro ieri non ha niente a che fare con l'eliminazione o meno delle province in Italia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ritengo che questo argomento debba essere Pag. 20sottratto alle forzature anche verbali, che abbiamo potuto riscontrare in tutte le occasioni nelle quali sia l'Aula che la Commissione hanno affrontato questo provvedimento. Ritengo che ci debbano essere delle risorse, sul piano della serenità e del realismo, evitando - come dicevo prima - qualche abbandono in più, che non credo possa aiutarci a comprendere, a capire, a cogliere o a innovare, se c'è questo intendimento.
Chi ha qualche memoria storica ricorda che più volte questo Parlamento si è interessato dell'abolizione delle province; soprattutto il tema ritornò in termini prepotenti nel 1970 quando nascevano le Regioni in ottemperanza ovviamente al dettato costituzionale e ci si chiese da più parti, anche in quest'Aula, se avesse una qualche importanza o se vi fosse necessità di mantenere in pista le province oppure sarebbe stato necessario procedere alla loro eliminazione visto e considerato che le Regioni di fatto assorbivano l'ente che in quel momento non era intermedio ma lo divenne poi con l'istituzione delle Regioni. Vi furono dibattiti e discussioni e si disse chiaramente che le province potevano sopravvivere perché avrebbero dovuto svolgere un ruolo importante, come dicevo poc'anzi, come ente intermedio, come cerniera fra regioni e comuni. Però si disse anche una cosa importante: le Regioni, che godevano e godono di una potestà legislativa, avrebbero dovuto abbandonare ogni suggestione e gestione amministrativa e quindi demandarle alle province. Si sostenne ancora di più nel corso degli anni, quando nascevano le comunità montane, le AUSL, eccetera, che forse era necessario eliminare quella frantumazione di centri decisionali a livello istituzionale e rinviare all'ente intermedio, le province, certamente sotto l'egida, la guida e il coordinamento politico e istituzionale della regione.
C'è stata poi la riforma del 2001 che riguardò il titolo V della parte seconda della Costituzione, e nel 2001 si misero sullo stesso piano, come si ricorderà, i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato senza alcuna differenza, suggellando quindi una situazione di fatto esistente, con qualcosa in più che ha innovato profondamente mettendo sullo stesso livello comuni, province, area metropolitana e regioni. Poi ci si domandò: se ci sono le aree metropolitane - a fatica siamo andati avanti con le aree metropolitane almeno sul piano concettuale, non su quello della loro operatività perché ancora non intravediamo operatività da parte delle aree metropolitane - ci devono essere anche le province? Si rispose che dove ci sono aree metropolitane che coincidono con il territorio delle province, le province ovviamente non hanno più ragione di esistere.
Successivamente c'è stato un altro dato, signor Presidente, quando ci siamo trovati anche in questa legislatura a formare pacchetti di riforma e rivisitazione delle autonomie locali. Mi dispiace che non ci sia il Ministro Calderoli, ma anche quando si è discussa la legge sul federalismo fiscale - chiedo scusa Ministro, è tanto il desiderio di vederla al suo posto perché l'abbandono del suo posto potrebbe essere preludio di un'altra cosa, ma in questo momento stiamo discutendo di province - e delle sue debolezze, che abbiamo più volte sul piano culturale e concettuale manifestato fortemente in quest'Aula, si disse chiaramente che non si sapeva chi facesse cosa per quanto riguarda i comuni, le province e le regioni. Lo si sostenne con molta forza in quei termini, poi si rinviò tutto al Codice delle autonomie locali; ricorderemo che mentre discutevamo della legge sul federalismo fiscale c'era in pista anche il Codice delle autonomie locali.
Forse quella era l'occasione per riproporre il discorso sulle province. Il mio gruppo ha presentato una proposta di legge sull'eliminazione delle province, avente come primo firmatario Casini. Noi ci eravamo illusi, perché pensavamo che si potessero avere un dibattito e un confronto sereno, sia con il Popolo della Libertà, sia con l'area dell'opposizione, perché il Popolo della Libertà aveva fatto una bandiera per quanto riguarda l'eliminazione delle province. Non è che sono populista e invito tutti ad abbattere i Pag. 21castelli, però si poteva anche discutere. L'unica posizione che appariva chiara era quella della Lega Nord, per dire la verità. Sin dall'inizio, almeno in Commissione affari costituzionali, ci sono state perplessità, riserve e posizioni di distinguo, manifestate anche in questo momento con l'intervento del bravo collega Volpi. Dunque, vi è un dato su cui mi interrogo in questo momento: è stato dato mandato al relatore - in Commissione noi abbiamo votato contro - a riferire in termini contrari all'Aula su questo tipo di provvedimento. Il relatore vi ha spiegato la posizione dell'Italia dei Valori, il mantenimento, nello spazio temporale, previsto dal Regolamento, di questa sua proposta. L'onorevole Bruno vi ha anche ricordato i «traghettamenti» dall'Aula in Commissione. Adesso ci troviamo qui per fare cosa? Approvare l'emendamento della Lega e, quindi, affossare del tutto questo tipo di provvedimento? Però, l'onorevole Bruno nel suo speech, nella sua comunicazione, dice chiaramente che, se ci dovesse essere poi la volontà di riprendere il tema delle province, lo potremmo riproporre e riportare in Commissione. Ma qui non c'è - ve lo dico con estrema chiarezza - alcuna volontà. Forse, lo sforzo si era fatto in Commissione, ma ora andiamo ad esaminare una serie di emendamenti - anzi ne esaminiamo uno, perché si presume che gli altri cadranno - in cui c'è stato uno sforzo da parte del Partito Democratico, ma soprattutto della Lega, di fare una scaletta per quanto riguardava le province che dovevano essere salvate o eliminate, sulla base del territorio e della popolazione. Anche se ho intravisto subito la difficoltà di procedere su questo percorso, perché si va ad aprire una girandola e un dibattito all'interno del nostro Paese con riferimento alle province che rimangono ed a quelle da abbattere. Già sappiamo quali sono stati i movimenti per i riconoscimenti di alcune province, nate storte e, quindi, sviluppate storte. Però, c'era un dibattito. Il comitato ristretto, per dire la verità, dopo qualche approccio iniziale, poi non ha avuto la possibilità di andare oltre. Ma poi è venuta fuori un'altra proposta, quella dell'elezione dei consigli provinciali con voto indiretto da parte dei comuni. Questa poneva un interrogativo, poiché era una riforma di carattere costituzionale anche quella. Le proposte emendative della Lega, invece, con la nuova rimodulazione delle province, forse superavano l'esigenza di una riforma di rango costituzionale. Pongo questo dato, perché non si eliminavano le province ma si rimodellavano, il che poteva essere fatto con legge ordinaria. Propongo questa riflessione nell'ambito della discussione. Ma c'è un altro dato: non accetterò mai - l'ho detto anche quando abbiamo discusso di federalismo e di codice delle autonomie - che si possa affrontare in termini veramente demagogici il tema dei costi della politica. Su questo discorso dico con molta chiarezza che non ci sto, tant'è vero che ero per il mantenimento dei consigli circoscrizionali anche a costo zero. Glielo ricordo, signor Ministro, non che pretenda che lei ricordi i miei interventi, però glielo ricordo in questo momento. È una mia presunzione ovviamente e forse una soddisfazione del momento. Mi dia questa soddisfazione del momento. Però, per questo non faccio i conteggi su quanto costano le province per quanto riguarda i consigli provinciali.
Io conto, invece, i costi, i benefici e i ritorni, perché, se le province potessero funzionare con la nuova articolazione di decentramento amministrativo, avrebbero dei ritorni e ovviamente coprirebbero anche i costi. Il problema è che non funzionano, non si è andati avanti e non vi è la volontà di una riforma complessiva.
Come mai in questo nostro Paese non si parla mai delle Regioni, di quanto costano e di come garantiscono i servizi che demandano loro la Carta costituzionale o la legge ordinaria? Nessuno ne parla perché è top secret! Anche quando si parla di bilancio dello Stato, nessuno parla del costo delle Regioni e dei loro risultati. Quello è il costo della politica, a volte negativo, perché il costo della politica negativo si ha quando si affidano competenze e compiti e non vi è un ritorno adeguato rispetto ai servizi che dovrebbero Pag. 22interessare i cittadini nel loro complesso. Questo è il dato vero, signor Presidente!
Se questo è il momento di una riflessione, facciamola, ed è un bene che siamo tornati in Aula. Noi già ci siamo espressi in Commissione: abbiamo votato contro l'emendamento degli onorevoli Vanalli e Volpi. Ovviamente, abbiamo tranquillamente detto che votavamo contro e ci aspettavamo anche - lo dico con molto affetto e simpatia nei confronti del Partito Democratico - un comportamento di maggiore ragionevolezza e non di allineamento con quella che è stata la posizione della Lega e poi del Popolo della Libertà, ma questo è un discorso che verrà fuori in termini diversi in un altro momento (mi premeva sottolinearlo in questo particolare momento).
Manteniamo ovviamente - poi lo dirà l'onorevole Mantini - una posizione del tutto contraria rispetto agli emendamenti soppressivi che sono stati presentati dalla Lega, coerentemente con la nostra posizione e la nostra visione di decentramento autonomistico all'interno del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, il presidente Bruno, nella sua relazione introduttiva ai lavori di quest'oggi, ha spiegato e illustrato chiaramente l'iter che questo provvedimento ha avuto. I colleghi dell'Italia dei Valori, in maniera del tutto legittima, hanno chiesto che si discutesse oggi del provvedimento che essi avevano presentato alla discussione.
Questa richiesta è assolutamente legittima; probabilmente, la ricostruzione che ha fatto il collega Borghesi non è esatta nel dettaglio, perché nessuno di noi ha mai avuto alcunché contro l'ipotesi di valutare la possibilità di modificare anche la Costituzione relativamente al tema delle province.
Credo che oggi non dobbiamo perdere di vista l'obiettivo comune, che, a mio modo di vedere, dai lavori che vi sono stati in Commissione e nel comitato ristretto, è una posizione e un obiettivo largamente maggioritario in quest'Aula, e cioè mettere mano all'architettura costituzionale e rivedere le funzioni istituzionali, ripeto, anche in Costituzione - lo dico al collega Mario Tassone: non è un tabù intervenire anche sulla Costituzione - riconsiderando quella che è l'attuale definizione costituzionale e le funzioni delle province.
Quello che, però, rischia di essere pericoloso e avventuroso è una cancellazione tout court dalla Costituzione dell'istituzione della provincia. Questo non è un tema che è oggi più attuale; direi che non è più possibile. Ricordo che, quando ero in Commissione bicamerale - quindi, stiamo parlando di parecchi anni fa - presentai un emendamento, che peraltro restò largamente minoritario, per la soppressione delle province.
Ma allora eravamo nel 1997: da allora ad oggi sono intervenute scelte istituzionali forti, a partire dalle leggi Bassanini in avanti, che hanno ridefinito il ruolo della provincia come istituzione cosiddetta di area vasta, che si occupa di alcune questioni molto importanti per l'amministrazione del nostro Paese.
Allora, immaginare oggi di cancellare le province senza sapere con che cosa sostituirle è pericoloso e avventuroso perché ora sappiamo - se vogliamo fare esercizio di realismo - che le funzioni di area vasta non sono eliminabili e non solo per le ragioni che sono state esposte in Aula anche dall'onorevole Zacchera, secondo il quale non potremmo cancellare tutti i dipendenti con un colpo di bacchetta magica. Non è solo un problema relativo ai dipendenti e al personale. È un problema di funzioni che oggi vengono amministrate in un certo modo e con una giusta dimensione.
Enuncerò degli esempi per spiegarmi meglio. Le questioni relative ai trasporti, all'assetto idrogeologico, agli aspetti ambientali e alle strade costituiscono una dimensione non più gestibile dal singolo comune e che non dovrebbe essere gestita dalle regioni. A questo proposito, hanno ragione tutti coloro che hanno posto il Pag. 23problema del ruolo della regione che, purtroppo, è sempre più amministrazione e sempre meno legislazione e programmazione, che dovrebbero invece essere il compito per cui le regioni sono state pensate e attuate dalla Costituzione.
Quindi, stiamo attenti a non perdere di vista quello che è l'obiettivo di fondo. Su questo aspetto dissento dal collega Borghesi. I cittadini non vogliono l'eliminazione delle province, ma vogliono un'amministrazione trasparente, corretta e razionale e avere risposte alle domande e ai bisogni amministrativi che pongono e desiderano che questo avvenga in maniera razionale. Cancellare con un colpo di bacchetta magica le province ci consegnerebbe una dimensione di confusione totale che sarebbe esattamente l'opposto di quello che i cittadini chiedono, ossia responsabilità, correttezza e trasparenza nell'amministrazione dei propri interessi.
Vorrei ricostruire brevemente qual è la situazione ad oggi. Il Partito Democratico è per la ridefinizione delle province anche all'interno della Costituzione. All'interno del comitato ristretto avevamo dato il nostro assenso affinché si arrivasse alla determinazione di nuovi criteri geografici e demografici per definire l'assetto delle nuove province. Questo, sicuramente, avrebbe prodotto una riduzione consistente del numero delle province stesse.
Siamo a favore di una previsione normativa che impedisca la costituzione di ulteriori nuove province all'interno di quest'ambito di ridefinizione dell'architettura istituzionale. Ci siamo espressi favorevolmente affinché questa funzione di ridefinizione delle nuove province, ripeto, molto ridotte rispetto al numero attuale, fosse affidata alle regioni e che, quindi, vi fosse, da questo punto di vista, un ruolo legislativo importante delle regioni stesse. Operando questa scelta, in qualche modo, definiamo anche quale dovrebbe essere la funzione istituzionale di questi organismi che gestiscono i problemi relativi all'area vasta.
Siamo favorevoli da sempre, fin dalla presentazione del nostro programma elettorale poi ripetutamente confermato da assemblee del nostro partito, al fatto che, laddove vi è una città metropolitana, non vi debba più essere una provincia. Anche questo rientra nel quadro della ridefinizione, della ricostruzione e della ridescrizione di quelle che dovranno essere le province del futuro.
Siamo a favore della definizione, anche all'interno del testo costituzionale, del ruolo dell'area vasta. Se vogliamo seguire il percorso al quale accennavo prima, di correttezza, responsabilità, trasparenza ed efficienza dell'amministrazione, il suddetto ruolo deve rispondere a criteri ben precisi perché, da un lato, dobbiamo semplificare il quadro e, quindi, eliminare tutti gli organismi intermedi, ma, dall'altro, dobbiamo evitare un rischio altrettanto grave e pericoloso, ossia la centralizzazione di tutto il potere nelle mani della regione. Dobbiamo stare attenti a questo rischio di «neocentralismo regionale» che, dal punto di vista dell'amministrazione, non sarebbe una risposta efficiente, responsabile e controllabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Allora, colleghi, capite che i problemi sono molti e delicati. La questione del costo è solo uno di questi problemi e direi che nell'ordine non è sicuramente il più importante anche perché noi, da sempre, tendiamo a distinguere il costo della politica dal costo della democrazia. Quest'ultimo significa che vi devono essere istituzioni ed organismi capaci di dare risposte coerenti, efficienti e responsabili alle domande dei cittadini e ai loro bisogni di amministrazione.
Da questo punto di vista le province ridisegnate possono tranquillamente e sicuramente dare risposte importanti.
Allora, se il problema è questo, se la partita in gioco è questa (e - ripeto - il consenso per riscrivere il testo in questa direzione in Aula è largo), non serve forzare. Non serve forzare, perché non è con un colpo da apprendisti stregoni che noi risolviamo un problema così delicato, ma è dimostrando la volontà - che ripeto mi pare di capire in quest'Aula sia larga - di riscrivere la storia delle province, avendo in mente che quello che conta è Pag. 24l'architettura istituzionale nel suo complesso, l'armonia, l'efficienza, la capacità di governo e di risposta, la responsabilità dell'amministrazione.
In gioco c'è questo, per cui non giochiamo con argomenti così importanti a chi è il primo della classe! Non serve a nessuno. Anche perché cancellare le province tout court ci restituirebbe una dimensione di confusione amministrativa, che è l'esatto opposto di quanto, non solo i cittadini, ma la stragrande maggioranza dei deputati di quest'Aula vorrebbe ottenere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sull'articolo 1 e sulle proposte emendative ad esso presentate, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere favorevole sull'emendamento Luciano Dussin 1.1.
La Commissione esprime, altresì, parere favorevole sugli identici emendamenti Volpi 1.2 e Bressa 1.3.

PRESIDENTE. Il Governo?

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.
Intervengo, tuttavia, per qualche piccola osservazione e alcune puntualizzazioni, oltre all'espressione del parere che il Governo dichiara essere conforme ai pareri espressi dal relatore.
Vorrei svolgere alcune precisazioni, perché si continua a fare riferimento al programma della coalizione, leggendolo in maniera erronea. Infatti, se uno va a verificare il programma della coalizione di maggioranza, si parla di soppressione delle «province inutili» e non delle «inutili province». Visto che non è scritto in bergamasco, ma è scritto in italiano, mi auguro che lo comprendano tutti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Questo è il senso che ha ispirato - e il Governo si è trovato assolutamente d'accordo - la discussione all'interno del comitato ristretto. Nessuno vuole né credo ci sia più una valutazione complessivamente favorevole all'abolizione delle province. Vi è assolutamente la volontà di una loro razionalizzazione e la razionalizzazione di un soggetto non può esserne la cancellazione. È, infatti, troppo evidente, come ricordava il collega Bressa, che è impensabile che il cittadino debba avere come unico riferimento la regione ovvero il «comunello» della valle di montagna. Ed è evidente che sia assolutamente necessaria l'esistenza di un qualcosa di intermedio, che però debba essere razionalizzato e funzionale.
In questo senso il Governo ha sempre dato la sua disponibilità e la dà ancora oggi in una discussione in sede - mi auguro - di Commissione, senza delle scadenze come quelle che invece avevamo oggi, per stabilire dei limiti dimensionali delle province in termini demografici e di territorio. Questo può essere fatto esclusivamente per via costituzionale, perché diversamente non si rispetterebbero i successivi articoli che individuano la strada per la riperimetrazione delle province.
Tuttavia, ricordo anche che è interessante e va approfondito l'aspetto ordinamentale e l'aspetto del meccanismo elettorale delle province (diretto o indiretto e tutte le possibili variabili), così come altrettanto importanti sono le funzioni delle province. Un ente che non abbia delle funzioni precise o che è un doppione va soppresso; un ente che ha delle precise funzioni va mantenuto e bisogna attribuirgli ancora più funzioni per dargli senso di esistere.
Io non ho condiviso la decisione - ma rispetto la sovranità dell'Aula - di voler comunque portare in esame il provvedimento. Credo che sarebbe stato più utile proseguire in comitato ristretto e dare in quella sede la risposta relativa all'aspetto costituzionale e poi dare, in sede di «Codice delle autonomie» una risposta con riferimento all'aspetto ordinamentale, ai meccanismi elettorali e alle funzioni. Pag. 25
Mi spiace, ho sentito far riferimento a costi delle province che francamente non corrispondono alla realtà. Saranno anche intervenuti di illustrissimi professori universitari, però mi spiace, i conti non tornano, i miliardi di cui ho sentito parlare stimolano a un maggior approfondimento e conoscenza della materia.
Nessuno, però, in questa sede ha ricordato quello che invece è già stato fatto rispetto agli interventi sui costi della politica. Noi siamo andati a votare recentemente nel turno di elezioni amministrative e abbiamo realizzato per la prima volta una riduzione che, concludendosi, porterà all'eliminazione di quasi 25 mila tra consiglieri comunali e di circoscrizione.
Altrettanto è stato fatto con gli assessori e tutto ciò dovrebbe portare, alla fine, a quasi settemila assessori in meno, a qualche decina di migliaia di enti intermedi soppressi, alla riduzione degli stipendi dei consiglieri regionali, alla riduzione degli stipendi dei ministeri e, francamente, se fosse per me, lo stipendio del ministero lo eliminerei del tutto e il Ministro dovrebbe vivere con lo stipendio da parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Quello che non voglio è l'ipocrisia. Mi ha fatto veramente specie sentire degli interventi duri, in quest'Aula, proprio da parte di chi è stato presidente della provincia. È una cosa che mi ha dato fastidio (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Tutti sono liberissimi di dire ciò che si vuole, però è inaccettabile che, fino a quando si occupa la «cadrega», la provincia va bene, mentre quando non si è più presidenti, la provincia va abolita.
Infine, ribadisco che il parere del Governo sugli emendamenti è conforme a quello espresso dal relatore (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Luciano Dussin 1.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Donadi. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, abbiamo ascoltato anche oggi, in quest'Aula, come accade ormai con una certa cadenza da venti anni, i difensori strenui dell'esistenza delle province. Le motivazioni si trovano sempre e sono anche importanti, serie e in qualche misura credibili.
Il punto è che credo che qui tutti intenzionalmente stiano rimuovendo la vera dimensione del problema, che è la vera ragione per cui abbiamo oggi preteso che il provvedimento arrivasse al voto dell'Aula nella sua integralità, cioè nella richiesta di abolizione delle province.
Caro Ministro Calderoli, vi abbiamo già ascoltato un anno fa, quando ci avevate raccontato che il problema della rivisitazione delle province avrebbe trovato risposta in sede di Codice delle autonomie. Ebbene, lo abbiamo visto: in un primo momento avete previsto di abolire diciassette province che poi sono diventate sette, quindi sono diventate tre e alla fine non ne avete abolita nemmeno una.
Il punto, però, dicevo, è tutt'altro. In un Paese che ha un miliardo e 890 milioni di euro di debiti e che negli ultimi anni è cresciuto meno di Haiti, devastata da un terremoto catastrofico, forse dobbiamo interrogarci, come classe dirigente che ha la responsabilità del futuro del Paese, su come realizzare ciò su cui tanto si interroga la maggioranza in questi giorni, cioè come ridurre le tasse agli italiani. E se vogliamo cominciare a dire loro la verità dobbiamo riconoscere che non ci sarà modo di intervenire seriamente e strutturalmente sul settore fiscale fino a quando non realizzeremo risparmi di spesa importanti e altrettanto strutturali sul fronte della spesa pubblica.
Noi abbiamo bisogno non dei tagli lineari del Ministro Tremonti ma di ripensare integralmente l'architettura dello Stato che abbiamo disegnato come lo Stato sotto casa, a modello di ufficio postale, dove tutto è vicino, con novemila comuni, nove livelli diversi di rappresentanza territoriale, i municipi, i comuni, le unioni di comuni, le comunità montane, le province, le regioni e via dicendo.
Dobbiamo sfoltire uno Stato eccessivo, dobbiamo abolire tutti gli enti inutili (le Pag. 26province sono il primo), dobbiamo abolire le comunità montane, dobbiamo abolire le circoscrizioni, dobbiamo abolire tutte quelle funzioni che oggi si trasformano in una spesa la cui produttività non giustifica l'impegno di soldi pubblici così rilevanti. Dobbiamo andare ad una semplificazione prima di tutto dei costi della politica, dobbiamo abolire i vitalizi dei consiglieri regionali. Dobbiamo mettere mano, riducendoli drasticamente o abolendoli, i vitalizi dei parlamentari, dobbiamo dimezzare il numero dei parlamentari.
O faremo tutto questo - lo voglio dire non solo ad una maggioranza bugiarda che si rimangia qui oggi le promesse fatte in campagna elettorale di abolizione delle province, ma anche a quelle forze di opposizione che con noi pensano oggi di costruire un percorso di alternativa di Governo - oppure, se non avremo il coraggio di affrontare questi nodi, di dire la verità al Paese, cioè che c'è una stretta, indissolubile relazione tra le tasse, che mai potremo ridurre, e la spesa pubblica, dove occorre tagliare le parti non indispensabili, non produttive, burocratiche, clientelari, di tutela della casta, questo Paese non avrà futuro.
Dobbiamo saperlo. Dobbiamo prenderci queste responsabilità tutte insieme, e noi su questo non cambieremo mai idea. Deve esser chiaro che oggi il voto sull'abolizione delle province rappresenta il voto sull'abolizione di un ente che nessuno può dire essere totalmente inutile, ma sicuramente esso è di gran lunga il meno utile tra quelli che oggi rappresentano la democrazia rappresentativa nel nostro Paese. Se avessimo il coraggio di rimettere in discussione tutto questo, di dire cioè che le funzioni dei comuni sotto i venticinquemila abitanti devono essere consorziate in aree omogenee di almeno 25 mila abitanti (facendo quello che ha fatto la Germania, che negli ultimi dieci anni ha abolito un terzo dei suoi comuni), se ci muovessimo in questa direzione (cosa che il Ministro Brunetta avrebbe dovuto in qualche modo indicare ma si è perso ad insultare i precari), ecco, se facessimo questo (se - lo ripeto - ci muovessimo in questa direzione), ci sarebbe lo spazio per una riforma del fisco.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, rinviando all'intervento fatto in sede di esame del complesso degli emendamenti, devo ribadire una questione fondamentale, proprio perché dobbiamo dire la verità agli italiani: cancellare le province e basta non serve assolutamente a nulla, ci consegna a una dimensione di confusione totale. Ha ragione il collega Donadi quando dice che dobbiamo ripensare l'architettura dello Stato, ma ripensare l'architettura dello Stato non può essere fatto con il machete, bensì mettendo a posto i singoli organismi rappresentativi degli interessi dei cittadini. È fuori di dubbio che ci sono degli interessi che non possono essere gestiti dai singoli comuni e non devono essere gestiti dalla regione se non vogliamo cascare dalla padella alla brace e fare delle regioni dei carrozzoni davvero ingovernabili e insostenibili. Se la logica che noi vogliamo avere è quella dell'architettura razionale, della responsabilità dell'amministrazione, dobbiamo procedere secondo logica costituzionale.
Allora noi siamo favorevoli perché in Costituzione venga ridefinita la provincia, perché non ci siano alibi a ridurre le province, perché non ci siano alibi a cancellare le province laddove c'è la città metropolitana, perché non ci siano alibi a definire in maniera chiara quali sono le funzioni di area vasta. Questo lo si può fare in Costituzione, e lo dobbiamo e lo vogliamo fare, ma questo lo si fa accettando il confronto, non facendo una corsa che ci farebbe ruzzolare dentro un burrone di cui non saremmo in grado di vedere davvero la fine. Il nostro voto a favore di questo emendamento soppressivo si giustifica perché noi siamo per riscrivere l'architettura dello Stato, siamo perché vengano riscritte, ridotte e ridefinite le province. Farlo in Costituzione è un nostro Pag. 27dovere, ma dobbiamo farlo seriamente e avendo in mente la Costituzione, l'architettura, l'equilibrio, la razionalità costituzionale, e non altri argomenti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lanzillotta. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, credo che oggi si stia per compiere, da parte del Parlamento, un atto grave di insensibilità e di sordità nei confronti della voce che viene dai cittadini e dal Paese e che si è espressa nelle ultime elezioni e nella tornata referendaria.
Si assumerà, infatti, da parte dei maggiori partiti e da parte della Lega Nord Padania, un voto contro la soppressione delle province, ma anche contro qualsiasi modifica. Ricordo che è da tre anni che si sta palleggiando, dalla Commissione all'Aula, dall'Aula alla Commissione, dalla Camera al Senato, l'ipotesi di una riduzione radicale delle province per farle ritornare al loro ruolo e ridurre, non solo i costi diretti, che sono 2 miliardi, ma anche i costi indiretti di inefficienze, di duplicazioni, che gravano sui cittadini e sulle imprese.
Vi è un'ostinata conservazione, un ostinato immobilismo, l'autoconservazione di un ceto politico che non riesce ad avere la lungimiranza e la generosità di realizzare riforme al servizio del Paese. Noi saremmo per una riforma che è stata illustrata qui da precedenti interventi, ma di fronte, invece, al rifiuto di avviare onestamente e realisticamente il cambiamento, votiamo a favore della soppressione perché crediamo che l'esigenza oggi è quella di dare l'esempio della possibilità di cambiamento alla vigilia di una manovra di 40 miliardi di euro che chiederà nuovi sacrifici al Paese, nuovi sacrifici ai cittadini, e che ridurrà i servizi essenziali come la giustizia, la scuola e la sicurezza. A fronte di questo, il Parlamento non è in grado di ridurre di 2 miliardi di euro la spesa per enti che, non solo sono inutili allo Stato, ma creano danni alla competitività ed alla semplificazione della vita delle persone. Per questo noi voteremo contro l'emendamento soppressivo, vigileremo e denunceremo se e come i partiti, che oggi sono per il mantenimento e l'immobilismo dell'esistente, continueranno a sabotare qualsiasi tentativo di riforma (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, mi rivolgo, se mi consente, al capogruppo del Popolo della Libertà, l'onorevole Cicchitto. In questi giorni, sui giornali, si leggono molte dichiarazioni di esponenti di quel partito, come anche della Lega Nord Padania del resto, che parlano della necessità di un colpo di frusta, di una svolta, di qualche cosa che possa dare al Paese il senso che il Governo è in sintonia con gli stati d'animo ed i bisogni dei cittadini che si esprimono nella società italiana. Non c'è dubbio alcuno che se si chiede, in un sondaggio casuale o in uno organizzato e statisticamente fondato, se è necessaria una semplificazione delle strutture pubbliche del nostro Paese e da quale di esse comincerebbero i cittadini, la risposta che verrebbe è di iniziare dalle province. Infatti, ciò è qualche cosa che è entrato nella coscienza comune perché ne hanno parlato molti uomini politici, perché ne ha parlato lo stesso Berlusconi e perché, come ha ricordato il Ministro Calderoli, un accenno ed un riferimento all'abolizione, almeno di alcune province, era nel programma della maggioranza.
Ora, a due giorni dal referendum, a dieci giorni dall'esito delle elezioni amministrative, giunge un provvedimento di questo significato e valore nei confronti del quale il PdL vota per accantonarlo e rimandarlo per sempre e il PD - sbaglia l'onorevole Bressa -, con degli argomenti che sono, in parte, veri, naturalmente, ma, in parte, pretestuosi, dice di «no» e ragiona sostenendo che è ben altro il problema. Quando un uomo politico afferma che il problema è un altro, vuol dire che non vuole cambiare l'esistente. Ed ha Pag. 28ragione la collega Lanzillotta e gli altri colleghi: noi voteremo contro l'emendamento soppressivo perché vogliamo che sia chiaro che, ancora una volta, di fronte alla possibilità di avviare una riforma, ci si tira indietro.
Qui c'è il Ministro Brunetta. Lui sa benissimo che questa sarebbe una riforma importante con cui si risparmierebbe; dice l'onorevole Zacchera: ma il risparmio consisterebbe in poche lire. Ma se non si inizia dalle poche lire...
Ci sono due grandi obiezioni contro il fare i tagli: una che riguarda vaste categorie, l'altra che riguarda pochissime categorie. Allora - dite voi - se si tratta di poche lire non vale la pena; se fossero molte, direste che non possiamo sparare nei confronti di vaste categorie. Ma non inizieremo mai a cambiare le strutture pubbliche. Mi dispiace che i colleghi del PD con argomenti pretestuosi, insieme alla Lega e al PdL, commettano un errore che sarà visto come tale di fronte all'opinione pubblica. Ed è per questo che noi votiamo contro l'emendamento Luciano Dussin 1.1 e speriamo che sia chiaro a tutti e che anche i vostri elettori capiscano che voi volete i ministeri, le province, le aziende locali e volete fare il sottogoverno come hanno fatto sempre i partiti di Governo in questo Paese (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, due considerazioni: una politica e l'altra istituzionale-economica. Riguardo alla prima, quella politica, voglio rispondere con molta tranquillità al Ministro. Anche noi viviamo in questo Paese e anche noi abbiamo fatto le campagne elettorali come voi e abbiamo partecipato a molte trasmissioni televisive dove esponenti del PdL si presentavano e promettevano agli elettori italiani l'abolizione delle province. Siete al Governo da tre anni e non l'avete ancora fatto. Questi sono i fatti veri! E guardate che state ripetendo questo modo di procedere.
È lo stesso schema che pochi giorni fa avete fatto sulla vicenda delle spiagge, delle stazioni balneari. Poco prima delle elezioni amministrative avete promesso a migliaia di piccoli imprenditori che gli avreste rinnovato le concessioni. Passate le elezioni amministrative, avete stralciato da quel decreto la norma che li interessava. Allora alle promesse non seguono i fatti. Ma guardate, non sono preoccupato per voi perché, se voi perdete i voti, sono soltanto contento. Sto dall'altra parte. Sono preoccupato per un altro aspetto, perché questo modo di fare sta screditando tutti, sta screditando questo Parlamento. Noi oggi diventiamo sempre meno attendibili per responsabilità vostra, perché promettete e non mantenete e la gente se la prende con voi e se la prende anche con noi!
Passo alla seconda questione, quella istituzionale ed economica. Mi dispiace che non ci sia il signor Ministro. Se veramente vuole fare quello che dice, cioè rivedere il sistema istituzionale e prendere atto che non possono esistere in un Paese le comunità montane, l'unione dei comuni, ottomila comuni, le province e le regioni perché non ce le possiamo permettere, dobbiamo restringere il perimetro dello Stato e non allargarlo, dobbiamo fare il contrario di quello che lei sta facendo. Se è vero che vuole fare questo, è al Governo da tre anni e poteva farlo. Invece, colleghi della Lega, avete fatto il contrario. Con il federalismo fiscale avete dato più possibilità di imposizione alle province. Se le tasse delle province aumenteranno il prossimo anno, è perché voi avete attribuito ad esse non più competenze, non meno competenze, non nuove competenze ma nuove leve fiscali. Quindi quelle province costeranno di più di quello che costavano ieri, non meno.
Allora da qualcosa vogliamo iniziare? Vogliamo iniziare a dire che questo sistema istituzionale non va bene e che le province vanno soppresse, perché non ce le possiamo permettere e che dobbiamo Pag. 29rivedere tutto il sistema istituzionale? Facciamo questo, non facciamo il federalismo fiscale perché il federalismo fiscale è un sottoinsieme del federalismo istituzionale.
Mi dispiace, ma se su questo argomento voi voterete per la soppressione e per lasciare tutto inalterato non siete più credibili.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.

ENZO RAISI. Signor Presidente, volevo fare un'analisi che colpisce tutta la classe di questo Parlamento.
Ormai questa battaglia e questo confronto sulle province si trascina negli anni. Credo che già nel 2001, quando entrai in questo Parlamento, si discutesse su cosa fare delle province in Italia, a fronte anche di un federalismo che assegnava sempre di più competenze a regioni e ad altre realtà amministrative. A fronte di un dibattito ormai più che decennale e a fronte di campagne elettorali - lo diceva bene l'amico Galletti - che hanno visto tanti partiti protagonisti nella battaglia per l'abolizione delle province (io sono stato eletto in una coalizione e in un partito che la prevedeva nel suo programma e oggi qui si dimentica), l'unico dato reale di fatto è che nelle ultime tre legislature le province in Italia non solo non sono state abolite, ma sono aumentate, perché ne sono state istituite di nuove. Questo è il primo dato incredibile che dissocia la politica dal sentire comune.
Ieri ho ascoltato dalla voce del Ministro Tremonti l'ennesimo appello ai tagli dei costi della politica. Questa volta ci si è inventati gli «aeroplanini blu». Per carità, tagliamo anche quelli, ma pensate cosa significano per i costi della politica le province, che non sono solo un ente inutile, non sono solo un ente superato, ma sono un ente che crea più burocrazia, più problemi, più lungaggini, più problemi per le nostre aziende che aspettano risposte veloci e per il cittadino che vuole risposte veloci. E noi creiamo ulteriori stadi di intermediazione amministrativa!
Abbiamo esempi anche nella nostra Europa, non è che bisogna inventare qualcosa di nuovo, Ministro Calderoli: già in tante altre realtà le province, quando esistono, non sono nient'altro che coordinamenti, non sono ad esempio assemblee elettive. Infatti è vero che un coordinamento sul territorio e sui comuni deve esserci, ma vi sono altre modalità meno onerose e meno costose.
Allora il Ministro ci dice: «Noi vogliamo cancellare le province inutili, non l'utilità delle province». Anche questi sono belli slogan, ma in realtà è a monte il problema: come dicevo prima, voi avete aumentato, abbiamo aumentato le province, continuiamo a parlarne e oggi ci chiedete di votare un emendamento soppressivo che riporta daccapo il dibattito sulle province e così andremo avanti, fintantoché i cittadini, come dimostrato anche recentemente, non ci diranno: «Andate a casa». Infatti li stiamo prendendo in giro, continuiamo a dibattere sempre sullo stesso problema e non facciamo un passo in avanti.
Allora un segnale forte dalla politica va dato. Le province sono un ente inutile, il tema va affrontato, basta rimandarlo continuamente con ingegnerie costituzionali, che poi ogni volta hanno iter improponibili, con tempi della politica che non corrispondono alle necessità di risposte che la società civile chiede oggi, subito, e che ci viene da tutte le parti del Paese, siano esse economiche o sociali. Questo Parlamento deve cominciare a dare risposte, risposte serie, per un miglior funzionamento della pubblica amministrazione, velocità nelle risposte, per tagliare veramente i costi della politica e non prendere in giro i cittadini ogni volta e smetterla di andare in campagna elettorale a fare dei programmi che poi puntualmente non vengono mai mantenuti nell'esercizio dell'attività parlamentare.
Ecco perché Futuro e Libertà voterà convintamente contro l'emendamento soppressivo. Sappiamo che sicuramente il testo è migliorabile, ma intanto partiamo, perché non possiamo sempre tornare al Pag. 30punto di partenza (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Moffa. Ne ha facoltà.

SILVANO MOFFA. Signor Presidente, proprio ieri, commentando il risultato referendario, molto acutamente il professor De Rita ha scritto che vince il vento dell'opinione, ma senza politica non si governa. Ecco, vorrei fare una riflessione proprio sulla necessità di recuperare ruolo e qualità alla politica.
Vorrei farla proprio in riferimento a questo tema, che considero fortemente avvertito in questo momento, che attiene all'esistenza o meno delle province italiane.
Innanzitutto, vorrei dire al capogruppo dell'Unione di Centro per il Terzo Polo che, in tema di riforme delle province, dovremmo andare un po' indietro con la nostra memoria storica e ricordare soprattutto che ad attribuire maggiori funzioni e competenze alle province è stata la cosiddetta riforma Bassanini.
È stata una riforma importante, perché, in qualche misura, cercò di delineare una fisionomia e un ruolo diverso per le province italiane, facendole diventare qualcosa di diverso anche dall'essere un soggetto, un ente di pura gestione amministrativa, ma collocandole in quella sfera della pianificazione e della programmazione di area vasta, che è un'esigenza effettivamente avvertita non solo nel nostro Paese, ma a livello europeo.
Io mi sarei aspettato che, in quest'occasione, si discutesse di questo argomento, perché parlare tout court della soppressione delle province, all'indomani di un vento di opinione pubblica, per cercare, in qualche modo, di giustificare una necessaria razionalizzazione del quadro delle autonomie locali, significa sfuggire ad un problema prioritario. Mi riferisco, cioè, al problema di capire chi fa cosa nel sistema del riordino delle autonomie locali e chi svolge funzioni di pianificazione e di programmazione di area vasta in un sistema che si è diversamente modificato nel corso degli anni.
Faccio osservare agli autorevoli colleghi che sono intervenuti che, in Europa, il concetto di «area vasta» è fondamentale anche per programmare quelle risorse che intervengono per creare sviluppo nelle aree più arretrate, che hanno difficoltà di ripresa economica. E l'«area vasta» è un concetto che si attaglia esattamente ad una chiara politica che voglia rivedere e ridefinire il ruolo della provincia italiana.
Io sono firmatario, insieme all'onorevole Ria - che è stato presidente dell'UPI quando ne ero vicepresidente -, di un provvedimento e, successivamente, anche di un provvedimento presentato dall'onorevole Lanzillotta, che prevedevano, e prevedono, sostanzialmente di inserire alcuni elementi di razionalizzazione volti a far salvo il concetto di governo e di programmazione di area vasta, abbattendo i costi della politica all'interno dell'istituto provinciale.
In particolare, essi prevedono l'opportunità di far diventare la provincia un ente di secondo grado, di secondo livello, in cui evidentemente non vi sono più consiglieri provinciali da eleggere e in cui sono i sindaci - che sono coloro che hanno la responsabilità diretta nei propri territori - a partecipare, all'assemblea del consiglio provinciale, alla definizione delle linee di programmazione e di pianificazione territoriale.
Credo che questo sia lo strumento più importante del governo dell'area vasta, che non è un elemento di livello gestionale, ma un elemento di livello programmatorio. Mi auguro che qualcuno voglia dirci, in questo Paese, a livello territoriale, chi dovrà programmare lo sviluppo per far sì che vi sia una concertazione tra le varie competenze comunali.
Detto questo, è evidente che in Commissione si sta lavorando, anche con qualche difficoltà, per giungere ad una razionalizzazione ed anche ad una diminuzione delle province, inquadrate in questa loro diversa dimensione politica e amministrativa.

Pag. 31

PRESIDENTE. La invito a concludere.

SILVANO MOFFA. Dunque, vi domando che senso abbia, oggi, cercare di «mettere una bandierina» sulla soppressione tout court delle province, quando una vera riforma e lo spirito riformatore vanno nel senso di definire correttamente i bisogni reali degli enti territoriali, avendo, quindi, l'opportunità di intervenire anche con l'accetta per ridurre i costi, ma salvaguardando una funzione indispensabile per il buon governo delle autonomie locali (Applausi dei deputati dei gruppi Iniziativa Responsabile e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bianconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BIANCONI. Signor Presidente, si fa presto a dire che i cittadini lo chiedono e che, quindi, dobbiamo dare un segnale e abolire dalla Carta costituzionale i termini «provincia» o «province», facendoli così contenti.
Ciò significa che, così facendo, signor Presidente, diamo stura all'onda dell'opinione e non assolviamo al nostro problema e al nostro compito, che è soprattutto istituzionale; si dà il segnale che chiede l'onorevole Borghesi e che, in qualche modo, chiede l'onorevole Raisi, ma non assolviamo al nostro compito, come hanno spiegato bene sia l'onorevole Bressa, sia l'onorevole Moffa.
Ricordo in maniera molto sintetica che non è vero che i livelli in cui si dipana l'iter decisionale nel nostro territorio sono undici: sono da tredici a quindici. Non li elenco per motivi di tempo, ma mediamente sono da tredici a quindici.
E non è vero che - una volta deciso, ad esempio, che si aboliranno le comunità montane, come previsto nel codice delle autonomie ancora non approvato - oggi, chi viene a predicarci l'abolizione delle province, così come richiede l'opinione pubblica, là dove governa, non abbia già studiato una soluzione per sostituire le comunità montane abolite - parlo per l'Italia dei Valori - con le unioni di comuni. In Toscana, infatti, dove l'Italia dei Valori governa, hanno già architettato ciò: spariscono le comunità montane e si ricostituiscono le unioni di comuni. E l'Italia dei Valori è al governo: perciò, da una parte fanno i comunisti, dall'altra si fa la conservazione della casta.
Il problema, signor Presidente, non è come dice l'onorevole Borghesi, ossia che ci sono comuni, province e regioni, e la provincia è inutile. Non è vero. È come dice l'onorevole Bressa, ossia che: stante nella sostanza la piccola dimensione dei comuni e l'impossibilità assoluta dei comuni di gestire lo sviluppo d'area, va creato un ente che gestisca lo sviluppo d'area. Questo ente può essere la provincia, il macrocomune, un altro ente, ma sicuramente un ente che gestisca lo sviluppo d'area va trovato, riservando alla regione soltanto compiti di alta programmazione, perché questa è la sua finalità.
Si possono fare macrocomuni, ripeto, si possono trovare aree omogenee e chiamarle province, ma bisogna fare un'architettura istituzionale che corrisponda completamente alle necessità del territorio. Non si può inventare un'architettura costituzionale nella quale, tout court, si dice che le province sono inutili e che i comuni devono rimanere, quando non abbiamo poi lo strumento per fare lo sviluppo d'area, così com'è compatibile.
E concludo brevemente, perché è una cosa molto veloce: non si tratta soltanto di risparmiare, ma anche di costruire un'architettura costituzionale che sia efficace, efficiente e compatibile con lo sviluppo d'area; altrimenti si fa come quella ditta che, a forza di tagliare, fallisce perché non ha lo sviluppo.
Quello che vale per l'economia, vale per le istituzioni locali: se non abbiamo lo strumento efficiente ed efficace per seguire uno sviluppo d'area compatibile, la variazione istituzionale non servirà assolutamente a niente.
Pertanto, tagliare con l'accetta - così come viene chiesto oggi - non solo è dannoso, non è far finta che il problema sia ben altro, non è l'esercizio del benaltrismo, Pag. 32non è accantonare il problema, ma è prendere coscienza che il problema c'è e va risolto, con un'ultima annotazione.

PRESIDENTE. Onorevole Bianconi, la invito a concludere.

MAURIZIO BIANCONI. Abbiamo qui la responsabilità di darci un tempo per risolvere questo problema - perché esso fa carico a tutto il Parlamento - per il popolo italiano: un tempo e una disponibilità a cambiarlo insieme.
Se il Popolo della Libertà è degno, secondo la sinistra, di fare riforme costituzionali condivise, lo potremo fare. Ma se continuate a dire che con noi non fate niente, non farete neanche questa minima riforma, che è necessaria, necessitata e indispensabile. Quindi, una mano alla coscienza di tutti e, soprattutto, tempo dato per i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, nella situazione in cui ci troviamo, è evidente che servono delle riforme strutturali, delle riforme serie e non c'è tempo per dare seguito a spot elettorali. Ricordo benissimo la campagna elettorale del 2008, fiacca tra l'altro di contenuti, dove qualcuno si è inventato di abolire tout court le province, senza però mettere sul piatto un qualche tipo di servizio sostitutivo.
È giusto ricordare due cose: in questo Paese la spesa pubblica consuma metà del prodotto interno lordo, spendiamo grosso modo 800 miliardi di euro l'anno, e la spesa è suddivisa in queste quantità: per il 60 per cento è gestita dallo Stato, per il 23 per cento dalle Regioni, per il 15 per cento dai comuni e rimane un 2 per cento scarso in capo alle province, percentuale che però, le stesse province devono investire per dare risposte a esigenze viabilistiche, per le strade di loro competenza, e per l'edilizia scolastica secondaria. Eliminate le province, questi compiti dovrebbero passare ai comuni o alle Regioni, fatto sta che il risparmio sarebbe praticamente inesistente. Se poi andiamo a valutare i costi stessi della macchina provinciale, noi tutti sappiamo che i consiglieri provinciali a malapena, con i gettoni di presenza che prendono, si pagano le spese della giornata persa in consiglio durante i lavori.
Servono riforme strutturali, dobbiamo risparmiare soldi, per risparmiarli abbiamo messo in atto un procedimento importantissimo che è quello di ricondurre la valutazione alla spesa standard individuando due o tre regioni di riferimento che riescono, spendendo poco, a dare i migliori servizi ai cittadini.
Ricordo quanto scrisse un paio di anni fa, quando abbiamo affrontato questa grande riforma, uno dei più autorevoli quotidiani economici del Paese, il quale ci ricordò che, se il federalismo ci rendesse tedeschi, potremmo risparmiare 50 miliardi di euro l'anno. Con il passaggio che stiamo portando avanti d'accordo con le Regioni, le province ed i comuni, l'obiettivo è quello di arrivare a un risparmio di 30 miliardi di euro l'anno, di questi solo 10 miliardi di euro potrebbero essere risparmiati alla voce sanità, costringendo le Regioni a parametrarsi a quello che viene speso in Regioni prese come punto di riferimento.
Abolire tout court le province non è una risposta, una risposta è quella che ho appena ricordato e che sta dando i sui fronti, perché è frutto di un lavoro di collaborazione con le Regioni, le province e i comuni.
La provincia, lo sappiamo, ha un compito importantissimo: quello di essere ente di coordinamento delle varie esigenze dei comuni che ricadono all'interno del territorio provinciale; abolirle è un errore. C'è, anche da parte nostra, l'esigenza di rivedere il funzionamento delle province, di rivederne i compiti, di valorizzare le province che danno i migliori risultati costringendo le altre ad adeguarsi a questi standard, ed eventualmente di eliminare le province che sono strutturalmente troppo piccole per dare risposte alle esigenze delle comunità che dovrebbero rappresentare. Pag. 33
Da quanto detto ecco le ragioni della presentazione del nostro emendamento che va ad abrogare la richiesta di cancellare definitivamente l'istituto delle province. Rinviare a lungo questa proposta di legge costituzionale che si basa su spot elettorali ma non su contenuti pregnanti e significativi ci sembra che sia cosa doverosa. Abroghiamo questa proposta di riforma costituzionale e continuiamo a lavorare sul federalismo fiscale, sulla spesa standard e sulla rivisitazione delle funzioni di quelle che dovranno essere le nuove province.

DARIO FRANCESCHINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, questa discussione ha mostrato l'articolazione esistente su un tema che ha attraversato il dibattito istituzionale e il dibattito politico da molto tempo e che riguarda la modifica del ruolo delle province o la soppressione delle stesse.
Credo che le posizioni espresse sin qui in aula - in particolar modo nelle dichiarazioni di voto e per questo ho aspettato questo momento - rendano abbastanza evidente che, passando al voto, ci sarebbe la bocciatura di questa proposta anche da parte dello stesso Partito Democratico, come ha motivato l'onorevole Bressa, in coerenza con le dichiarazioni e con i documenti del Partito che prevedono l'intervento profondo sul ruolo delle province e la soppressione delle province delle aree metropolitane, ma con una ridiscussione dei livelli istituzionali di questo Paese nell'ambito di una riforma organica e non semplicemente con un atto puro e semplice di soppressione delle province.
Mi rivolgo al gruppo Italia dei Valori e anche al gruppo dell'Unione di Centro per il Terzo Polo che hanno sostenuto le ragioni del voto favorevole: oggi far bocciare dall'Aula questo provvedimento significherebbe chiudere politicamente la possibilità - che noi invece sosteniamo - di lavorare per una ridefinizione, anche costituzionale, del ruolo delle province.
Ritengo pertanto che, essendo già chiare le posizioni, sarebbe, a questo punto, opportuno rinviare il voto del provvedimento ad altra seduta in modo da rivederlo concretamente: per non pregiudicare la possibilità di un intervento serio e profondo sul ruolo delle province, lo ripeto, sarebbe opportuno rinviare l'esame del provvedimento.
Pertanto formulo una proposta con un invito in particolare al gruppo dell'Italia dei Valori ad accettare il rinvio ad altra seduta in modo da consentire che la bocciatura di oggi non pregiudichi, contro la loro stessa volontà, la possibilità di mettere mano profondamente e veramente al ruolo delle province.
Se questo non fosse possibile ovviamente il gruppo del Partito Democratico, in coerenza con le posizioni espresse più volte in sede di partito ed in aula parlamentare, sarebbe costretto a votare a favore dell'emendamento soppressivo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Franceschini, il Regolamento in questi casi prevede che parli un deputato a favore ed uno contro la proposta di rinvio. Nel nostro caso però abbiamo una difficoltà ulteriore, perché il Regolamento non prevede che si possa rinunciare al voto dopo che si è già nella procedura della votazione con le dichiarazioni di voto dei gruppi che in questo caso già hanno avuto luogo.
Un antico adagio latino dice volenti non fit iniuria: se tutti sono d'accordo si può fare tutto, è una traduzione a senso, ma grosso modo corrispondente.
Chiedo allora ai rappresentanti dei gruppi ed anche al Governo naturalmente di esprimersi sulla proposta avanzata dall'onorevole Franceschini, perché se esiste una concordanza possiamo procedere.

PIER FERDINANDO CASINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 34

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, capisco le intenzioni costruttive che animano l'intervento dell'onorevole Franceschini. Sono contrario - e il mio gruppo ribadirà la contrarietà - a questa sospensione dell'esame del provvedimento, perché francamente su questo argomento delle province ormai è lecito sempre pensare male. Tuttavia sono favorevole a che si possa mettere in votazione la proposta di Franceschini, facendo un piccolo strappo alle nostre procedure.
Per cui riassumendo sono favorevole al mettere ai voti la proposta di Franceschini, anche se siamo in corso di dichiarazioni di voto, ma esprimerò poi la negatività nel merito della proposta di rinvio.
Tuttavia ci sono due problemi che noi affrontiamo adesso, perché in termini procedurali lei correttamente, signor Presidente, ha rilevato che non si potrebbe mettere in votazione questa proposta. Sono favorevole a che si metta in votazione, ma poi esprimeremo il voto contrario.

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Casini, anche per la chiarezza.

MASSIMO DONADI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, ho molto apprezzato le motivazioni e le argomentazioni del presidente Franceschini, ma vorrei dire, con chiarezza, in pochissimi secondi, qualcosa sul merito. Noi non avevamo l'illusione che, oggi o la settimana prossima, qui si abolissero le province, ma vogliamo far capire a tutti in quest'aula e anche fuori che per noi, presto o tardi, le province andranno abolite.
Per quanto riguarda quel colpo d'accetta che prima l'onorevole Bressa temeva, diciamo che, quando c'è una cancrena, il colpo d'accetta a volte salva la vita e un miliardo e 890 milioni di euro di debito sono una cancrena.
Quindi, siamo qui per ribadire la nostra richiesta di abolire le province. Quando si voterà in un'altra seduta - se si rinvierà - ribadiremo che le province vanno abolite e non solo le province: vi faremo un lunghissimo elenco di enti da abolire. Ciò detto, siamo favorevoli a che si metta ai voti - adattando in qualche modo il Regolamento con riferimento all'unanimità dei consensi - la proposta dell'onorevole Franceschini, rispetto alla quale voteremo contro e, nel merito, ribadiremo sempre la nostra posizione.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, se si voterà, come sembra, il rinvio noi voteremo contro. C'è innanzitutto un problema di tempi. Credo di capire lo spirito che ha animato l'onorevole Franceschini nel tentativo di recuperare oltre la «zona Cesarini» una discussione però che sapevamo sarebbe arrivata. Noi lo abbiamo detto, l'onorevole Raisi lo ha specificato. In questo provvedimento incardinato si poteva discutere di alcuni elementi di modularità e di flessibilità.
Quindi, noi voteremo contro perché è anche un modo per mantenere un impegno e tale impegno rischia, attraverso il rinvio, di essere disatteso sotto altra forma, non con l'emendamento che abrogava il provvedimento di fatto, ma con un rinvio. Quindi, questo deve essere l'impegno. Lo dico, essendo stato eletto con un programma elettorale che questo prevedeva e questo deve rimanere l'impegno. Si sapeva da mesi, settimane, giorni e ore che c'era questo appuntamento. Quindi, confermiamo l'impegno al voto e, se ci sarà un voto di rinvio, voteremo contro.

PRESIDENTE. Onorevole Della Vedova, mi scusi, lei mi deve però dire se si oppone a che si metta ai voti la proposta dell'onorevole Franceschini.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, credevo di essere stato chiaro: Pag. 35non mi oppongo alla messa in votazione della proposta dall'onorevole Franceschini.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo per dichiarare - a nome del gruppo del Popolo della Libertà - che noi siamo favorevoli a che si ponga in votazione la proposta di rinvio formulata dall'onorevole Franceschini, seppur in corso di dichiarazioni di voto e per preannunziare anche il voto favorevole del mio gruppo su tale proposta sull'ordine dei lavori.

MARCO GIOVANNI REGUZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO GIOVANNI REGUZZONI. Signor Presidente, per questioni di savoir faire non ci opponiamo alla richiesta di votazione. Anzi, avevamo proposto un percorso del genere anche in Commissione. Mi rammarico che si siano perse alcune ore di discussione per poi arrivare alla stessa conclusione.
Mi rammarico oltremodo della posizione dei gruppi dell'UdC, dell'Italia dei Valori e del FLI, che sull'argomento tengono più alla forma che non alla sostanza (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

LINDA LANZILLOTTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, anche il gruppo Misto non si oppone a questa deroga alla prassi. Tuttavia, anche se formalmente tale proposta forse non può essere integrata, chiedo che l'Aula e i presidenti di gruppo si impegnino ad una data certa, affinché questo rinvio non sia un mero espediente dilatorio, ma che la materia venga inserita all'ordine del giorno dell'Assemblea entro un termine prefissato con una proposta positiva di riforma delle province. Altrimenti questa sospensione è un puro espediente dilatorio.

ENZO RAISI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Raisi, il suo gruppo si è già espresso. A che titolo chiede la parola?

ENZO RAISI. Signor Presidente, vorrei associarmi alla proposta dell'onorevole Lanzillotta.

MASSIMO DONADI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Lei è già intervenuto. A che titolo chiede di parlare?

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, intervengo soltanto per dire all'onorevole Reguzzoni che dovrebbe essere contento del fatto che almeno questa mattina abbiamo lavorato tre ore, altrimenti anche questa settimana il Parlamento...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Donadi.
Ha chiesto di parlare il Ministro Caderoli. Ne ha facoltà.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Signor Presidente, il Governo non ha alcuna contrarietà rispetto al rinvio del provvedimento ad altra seduta anche perché questa posizione l'abbiamo tenuta anche in Commissione, con il desiderio di approfondire la questione e di portare in Aula il provvedimento con un relatore e con un testo e non, invece, con un mandato a riferire in senso contrario.
Quindi, al Governo andrà bene ciò che deciderà l'Assemblea.
L'unica cosa che voglio segnalare per dovere di verità è che, nel momento in cui si rinvia ad altra seduta, avendo concluso la Commissione l'esame in sede referente, la stessa non potrà più occuparsi della materia finché non si concluda l'esame di Pag. 36questo provvedimento e venga ad essa assegnato qualcosa di similare, che consenta di riaprire il tema della razionalizzazione delle province.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di rinvio del seguito dell'esame ad altra seduta, formulata dall'onorevole Franceschini.

(È approvata).

Seguito della discussione della proposta di legge: Lo Presti ed altri: Modifica all'articolo 8 del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, concernente la misura del contributo previdenziale integrativo dovuto dagli esercenti attività libero-professionale iscritti in albi ed elenchi (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C.1524-B) (ore 13,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge, già approvata dalla Camera e modificata dal Senato, di iniziativa dei deputati Lo Presti ed altri: Modifica all'articolo 8 del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, concernente la misura del contributo previdenziale integrativo dovuto dagli esercenti attività libero-professionale iscritti in albi ed elenchi.
Ricordo che nella seduta del 14 giugno 2011 si è conclusa la discussione sulle linee generali e il relatore ed il rappresentante del Governo hanno rinunciato ad intervenire in sede di replica.

(Articolo unico - A.C. 1524-B)

PRESIDENTE. Dovremmo passare all'esame dell'articolo unico della proposta di legge, nel testo modificato dal Senato (vedi allegato A - A.C. 1524-B), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Avverto che, consistendo la proposta di legge in un solo articolo, si procederà direttamente alla votazione finale, a norma dell'articolo 87, comma 5, del Regolamento.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, vorrei ricordare all'Assemblea che in questi giorni è scomparso un nostro ex collega, una vera personalità della politica italiana ed europea, l'onorevole Paolo Barbi...

PRESIDENTE. Onorevole Castagnetti, il suo intervento è previsto successivamente, mentre adesso stiamo votando il provvedimento.

(Esame degli ordini del giorno - A.C. 1524-B)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A - A.C. 1524-B).
Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere.

LUCA BELLOTTI. Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Il Governo accetta gli ordini del giorno Antonino Foti n. 9/1524-B/1 e Fedriga n. 9/1524-B/2.

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione dei rispettivi ordini del giorno, accettati dal Governo.
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1524-B)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mosella. Ne ha facoltà.

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DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Mosella, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.

ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, vorrei preannunziare il voto favorevole del nostro gruppo che poi sarà spero il voto favorevole di tutta l'Aula.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Poli. Ne ha facoltà.

NEDO LORENZO POLI. Signor Presidente, preannunzio anche a nome del nostro gruppo il voto favorevole su questo provvedimento anche se arriva un po' in ritardo, ma meglio tardi che mai.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Poli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fedriga. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, vorrei preannunziare il voto favorevole della Lega Nord Padania anche in relazione all'accoglimento degli ordini del giorno.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gnecchi. Ne ha facoltà.

MARIALUISA GNECCHI. Signor Presidente, il nostro voto sarà favorevole soprattutto perché siamo assolutamente convinti che debbano migliorare le pensioni di tutti e quindi anche questo provvedimento va in questa direzione; ci piacerebbe che si lavorasse per migliorare le pensioni di tutti, anche correggendo la manovra di luglio 2010.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Gnecchi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.

GIANNI MANCUSO. Signor Presidente, vorrei sottolineare quanto questo provvedimento fosse atteso dal mondo dei professionisti e deve essere considerato un primo passo in vista di un provvedimento che torni sul punto in maniera più organica. Da questo punto di vista, il mondo dei professionisti è pronto al confronto.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Mancuso, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

MASSIMO DONADI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, so che non diventerò popolare in quest'Aula per quello che sto per dire, ma sono davvero allibito e imbarazzato da un'Aula parlamentare che lavorerà una mattina in tutta la settimana e che ha timore anche di illustrare con gli interventi nel merito le ragioni dei suoi sì e dei suoi no. Davvero mi domando come ci aspettiamo che fuori da quest'Aula i cittadini possano avere ancora rispetto del nostro lavoro (Applausi dei deputati del Pag. 38gruppo Italia dei Valori - Commenti dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, l'onorevole Donadi dovrebbe smetterla di fare il primo della classe in quest'Aula; gli ricordo che quest'Aula ha lavorato ieri pomeriggio in sede di discussione sulle linee generali, sta lavorando questa mattina, continuerà a lavorare anche domani e credibilmente anche nei prossimi giorni, quindi non si lavora solo quando l'onorevole Donadi viene a votare in Aula, vi sono colleghi che lavorano anche quando lei è altrove, onorevole Donadi (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

GIAN LUCA GALLETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, colleghi, ci vuole più rispetto per quest'Aula. L'onorevole Donadi questa volta ha ragione: è incredibile che, dopo quattro ore di lavoro, questa mattina salutiamo con degli applausi i nostri colleghi che rinunciano ad esprimere in quest'Aula la propria opinione, questo è inammissibile (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo)! O vogliamo restituire, colleghi, dignità a questo Parlamento o su questa strada non andiamo da nessuna parte!
Quello che fate, fa male a voi, ma fa male anche a noi, fa male anche a quella parte del Parlamento che vorrebbe stare qui a lavorare seriamente (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, anche io penso che, quando l'Aula ha ancora a disposizione almeno un'ora, cioè tutto il tempo per svolgere le dichiarazioni di voto su un provvedimento che, come concordato in Conferenza dei presidenti di gruppo, doveva concludersi entro l'orario di inizio della discussione sulle linee generali su un importante provvedimento, che inizierà oggi pomeriggio alle 15, che è il cosiddetto decreto-legge sviluppo, sia assolutamente intollerabile che una parte dei colleghi, certo una minoranza, ma una minoranza oserei dire un po' troppo rumorosa, quando un collega alza la mano e comincia ad intervenire per dichiarazione di voto, lo interrompa, dicendogli sostanzialmente che è l'ora di andare a pranzo. Non è questo il modo con il quale deve lavorare un'aula parlamentare. Sicuramente, l'Aula lavorerà oggi e domani, forse dopodomani, forse sabato, andrà avanti quanto necessario per discutere e votare sul cosiddetto decreto-legge sviluppo, che peraltro è un provvedimento sul quale, ancora una volta, un Governo traballante annuncia la fiducia. Allora, rispettiamo quest'Aula, rispettiamo quello che ha deciso la Conferenza dei presidenti di gruppo, utilizziamo i tempi per discutere dei problemi degli italiani e dei problemi del Paese, non per fare gazzarra in Aula, dando cattiva dimostrazione di sé e mostrando cattiva stima di sé, come alcuni parlamentari in quest'Aula hanno fatto oggi, applaudendo e urlando ai colleghi, intimando loro di non intervenire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, come relatore, vorrei ringraziare i colleghi che hanno lavorato a questo provvedimento e i funzionari della Camera e della Commissione. Se mi consente, vorrei anche cercare di svelenire questo dibattito che proprio non credo Pag. 39abbia ragione d'essere. Questo provvedimento è in terza lettura: è stato approvato in prima lettura da questa Assemblea con un solo voto contrario ed al Senato sono state apportate modifiche che, se mi è consentito, per non recare offesa ad una Camera, sono praticamente impercettibili, direi quasi modifiche di carattere letterario. Pertanto, se oggi questo provvedimento non consuma il rito delle dichiarazioni di voto, credo che sia più giustificato di altre volte (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Sono quindi esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 1524-B)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta di legge n. 1524-B, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Lo Monte, Di Stanislao, Scilipoti, Gianni e Lo Presti...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Modifica all'articolo 8 del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, concernente la misura del contributo previdenziale integrativo dovuto dagli esercenti attività libero-professionale iscritti in albi ed elenchi) (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (1524-B):

(Presenti 526
Votanti 523
Astenuti 3
Maggioranza 262
Hanno votato
522
Hanno votato
no 1).

Prendo atto che la deputata Argentin ha segnalato che non è riuscita a votare.

In morte dell'onorevole Paolo Barbi (ore 13,30).

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Paolo Barbi, già membro della Camera dei deputati nelle legislature III, IV, V e VI.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, vorrei aggiungere anche io una parola per ricordare questa grande personalità politica. Era un cittadino italiano, nel senso che è nato a Trieste, da una famiglia, però, di Lesina, oggi in Croazia.
Dalla fine della guerra è stato, da allora, sempre esule a Napoli, dove era ricordato come insegnante e docente alla Scuola militare «Nunziatella» fino al 1959. È stato parlamentare nazionale, come lei ha ricordato, per quattro legislature ed è stato sottosegretario in diversi Dicasteri, al bilancio e alla programmazione economica, alle partecipazioni statali, all'industria e al commercio. È stato un dirigente della Democrazia Cristiana, del Partito Popolare Italiano e della Margherita.
All'inizio degli anni Cinquanta, quando Dossetti uscì dalla scena politica, rimase a rappresentare nella direzione della Democrazia Cristiana la corrente dossettiana. Ma Paolo Barbi oggi lo ricordiamo tutti perché è stato un grande parlamentare europeo dal 1979 - è entrato nel primo Parlamento ad elezione diretta - fino al 1984.
È stato l'unico italiano presidente del gruppo del PPE (nessun altro italiano ha Pag. 40mai avuto una responsabilità di questo genere, né in questo gruppo parlamentare né in altri gruppi) e ricordiamo tutti la dignità con cui accettò l'affronto subito dal suo partito, la Democrazia Cristiana, che gli negò, nonostante fosse capogruppo del Partito Popolare Europeo e di fronte alle sollecitazioni di tutti i gruppi parlamentari del Parlamento di Strasburgo, la ricandidatura per mediocri o meschine ragioni di corrente.
La sua dignità si dimostrò anche in quel momento. Ma lo ricordiamo perché, fino all'ultimo, è stato giustamente considerato uno degli europeisti più importanti del nostro Paese, un esponente del Movimento federalista europeo. Era un grande federalista europeo e non ha mai smesso di battersi per questa causa, fino all'ultimo momento, in tutte le sedi, anche attraverso numerose e apprezzate pubblicazioni.
Voglio ricordarlo oggi proprio perché io so, sono testimone diretto, come anche lei, signor Presidente, di quale stima godesse l'onorevole Barbi, soprattutto nelle istituzioni comunitarie, dove aveva avuto modo di esprimere il meglio della sua cultura politica e della sua cultura europeista (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Sull'ordine dei lavori (ore 13,35).

CARMEN MOTTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARMEN MOTTA. Signor Presidente, intervengo brevemente perché intendo segnalare a quest'Aula, ma anche al Governo, quanto si è verificato nel territorio di Parma. È una situazione che si è determinata in una parte della zona pedemontana parmense, in particolare nei comuni di Sala Baganza, Collecchio e Fornovo, a causa di un nubifragio disastroso che si è abbattuto sabato 11 giugno ultimo scorso su queste zone.
I danni sono davvero ingenti già ad una prima stima. Sono state colpite strutture pubbliche, edifici privati, la viabilità, e nel comune di Sala Baganza, il più colpito, vi è stata anche una vittima.
Sicuramente è un evento eccezionale dal punto di vista atmosferico perché, in poco tempo, è caduta una quantità d'acqua pari alla pioggia di tre mesi nell'intero territorio parmense.
Intervengo perché è assolutamente indispensabile un intervento straordinario del Governo al fine di garantire le risorse per consentire ai comuni e ai privati cittadini di affrontare i danni che sono rilevantissimi.
La regione Emilia Romagna sta garantendo, attraverso uno stretto coordinamento con la provincia e i comuni colpiti, interventi, con l'ausilio dei vigili del fuoco, della Protezione civile e di tutti coloro che si stanno adoperando per affrontare la situazione e l'emergenza.
Di fronte alla gravità della situazione chiedo che il Governo - ed è questo lo specifico richiamo che faccio - affronti il superamento delle norme introdotte con l'ultimo decreto cosiddetto milleproroghe, secondo cui lo stato di emergenza, a fronte di una mancanza di risorse regionali disponibili (ricordo che in questi ultimi due anni vi è stato l'azzeramento del Fondo regionale di protezione civile), venga affrontato attraverso un'unica soluzione prevista per le regioni, in questo caso l'Emilia Romagna, ossia con l'introduzione di una tassa ad hoc. Questa previsione normativa è assolutamente inaccettabile e sbagliata, come avevamo già denunciato, come gruppo Partito Democratico, in sede di discussione sulle linee generali e di votazione del decreto «milleproroghe».
Signor Presidente, vorrei infine aggiungere che, se si dovesse procedere su questa strada, davvero, al danno si aggiungerebbe la beffa. I cittadini di questi territori rischierebbero di essere colpiti due volte e di dover pagare, in qualche modo, la loro disgrazia.
Presenterò, quindi, un'interrogazione specifica su questo problema, ma, ripeto, chiedo un intervento urgente da parte del Governo in accordo con tutti i livelli istituzionali del territorio, a cominciare Pag. 41dalla regione, dalla provincia e dai comuni interessati. Ovviamente, tutti devono concorrere, ma i miracoli senza risorse non si fanno.
I cittadini del parmense, così duramente colpiti, devono potere contare su risposte certe e celeri. Occorre che il Governo, superando norme profondamente sbagliate, lo garantisca (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

ISIDORO GOTTARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ISIDORO GOTTARDO. Signor Presidente, intervengo per unirmi al collega Castagnetti nel commemorare l'onorevole Barbi, scomparso in questi giorni, e nell'attestare stima e riconoscimento nei suoi confronti.
Egli era una figura straordinaria alla quale anch'io personalmente sento il dovere di testimoniare non solo affetto, ma stima e gratitudine per una vita spesa, innanzitutto, credendo nell'Europa e negli ideali genuini ed originali che l'avevano costruita.
Poi, se mi consente, da uomo del Friuli Venezia Giulia, vorrei ricordare la figura di esule che si è speso con molta lungimiranza perché tutte le associazioni degli esuli collaborassero, trovassero uno spirito comune e sapessero costruire, in una visione europea, un futuro che rimediasse ai disastri e ai drammi della guerra.
Un uomo davvero fermo nei suoi principi e nei suoi valori, alto nella sua dignità politica. Credo che a quest'uomo si debba non solo un ricordo caro e affettuoso, ma, soprattutto, una testimonianza di grande stima perché grande è l'insegnamento che ci ha dato.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, come i colleghi Castagnetti e Gottardo, vorrei anche io dedicare un pensiero a Paolo Barbi e a quello che ha rappresentato in un momento particolare della vita e della storia di questo nostro Paese.
La storia la fanno i grandi partiti e i grandi movimenti e gran parte di questa storia appartiene certamente al movimento dei cattolici democratici, alla Democrazia Cristiana. Barbi fu un riferimento importante in una fase particolare, in cui si discuteva di Europa e di politica internazionale.
Ricordo l'onorevole Barbi per la sua presenza assidua, molte volte impetuosa, quando si doveva discutere ed affrontare problematiche di ordine internazionale. Spesso riuscì a superare qualche diffidenza e remora e abituò noi altri, che eravamo più giovani di lui, a discutere di problemi dell'Europa e di problemi a livello internazionale.
Non si può fare politica per un Paese se non si ha una visione globale e credo che questo dato, questo aspetto, sia stato poi seguito e soprattutto confermato dalle vicende e dalle storie che oggi noi viviamo. Il povero Barbi si staglia profondamente in tale proiezione e prospettiva.
Ricordo Barbi, perché quando si parlava di Europa vi era una qualche riluttanza e diffidenza; lui ci abituò a parlare di politica internazionale, cosa che non avviene né nei partiti né in Parlamento, signor Presidente.
Quando ancora il Parlamento europeo era eletto in secondo grado ed era espressione dei Parlamenti nazionali, egli si affiancò profondamente ad una problematica che prefigurava il voto diretto degli elettori per l'elezione del Parlamento europeo.
È perciò il ricordo di un grande riferimento della storia del nostro Paese, della storia della Democrazia Cristiana, di una grande sensibilità, ma soprattutto di una grande tenacia. Egli dovette superare grandi ostracismi e soprattutto grandi diffidenze e vi riuscì. Infatti, quando c'è la fede, quando c'è la passione, non ci sono ostacoli ed io ricordo Paolo Barbi come un uomo di una grande fede e di una grande passione e, soprattutto, di un grande ingegno e di un grande cuore.

Pag. 42

PRESIDENTE. Grazie, onorevoli colleghi, anche io ho conosciuto Paolo Barbi e lo ricordo come un uomo di fede, un convinto combattente per la causa della pace e dell'Unione europea.
Sospendo a questo punto la seduta che riprenderà alle ore 15 con lo svolgimento della discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia.

La seduta, sospesa alle 13,45, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Bonaiuti, Brambilla, Brugger, Brunetta, Caparini, Carfagna, Catone, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Gianni Farina, Fava, Fitto, Gregorio Fontana, Franceschini, Frattini, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lo Monte, Mantovano, Martini, Meloni, Migliavacca, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (A.C. 4357-A) (ore 15,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (A.C. 4357-A).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4357-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la V Commissione, onorevole Marinello, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, il provvedimento che ci accingiamo ad approvare nei prossimi giorni sostanzialmente consta di dieci articoli e tratta alcune delle questioni fondamentali che oggi interessano il nostro Paese. Tratta temi riguardanti lo sviluppo, temi che riguardano le semplificazioni, la possibilità che nel nostro Paese si possa cominciare a rilanciare un piano turistico e tratta una questione fondamentale all'articolo 9 che riguarda la scuola, cioè la possibilità di assumere, nell'arco di un triennio, un notevole numero di precari.
Ricordo che il mondo della scuola è sempre stato caratterizzato, ed è caratterizzato da grandissime tensioni, derivanti da una serie di tagli al bilancio, che iniziarono con le manovre finanziarie del passato Governo di centrosinistra e che, per motivi ovviamente legati alla stabilità dei conti pubblici, sono continuate anche sotto l'egida del Ministro Tremonti. Eppure con questo provvedimento si riesce comunque a dare una risposta assolutamente sensata in tale direzione.
In questo disegno di legge di conversione abbiamo poi una parte assolutamente Pag. 43importante e prevalente, che riguarda l'attenuazione del rigore con il quale Equitalia applica tutte le norme di riscossione. Sostanzialmente, approvando una serie di proposte emendative in Commissione, si è riusciti a dare piena attuazione alle mozioni parlamentari approvate con ampia condivisione il 7 giugno scorso proprio qui alla Camera dei deputati.
Al di là dei contenuti, articolo per articolo, vorrei anche fare un ragionamento complessivo che riguarda il rapporto tra maggioranza e opposizione, perché sono sicuro che l'opposizione contesterà le modalità con le quali si è formato il consenso delle Commissioni sul provvedimento in esame; però non può assolutamente contestare la necessità del provvedimento e la sollecitudine con cui Governo e maggioranza, ciascuno per la loro parte, si sono fatti carico proprio di queste istanze, oggi per noi fondamentali nell'interesse del Paese e, tra l'altro, molto spesso avanzate da cittadini, da imprese e da contribuenti.
Peraltro, numerose sono state le proposte emendative presentate da tutti gli schieramenti e ricordo che, al netto delle proposte dichiarate inammissibili, oltre mille sono quelle esaminate durante i lavori delle Commissioni. Numerosi di queste proposte sono state valutate da me e dal collega Fugatti con grande attenzione e parecchie di esse sono entrate a far parte del testo licenziato proprio ieri sera.
In particolare, per dare contezza del lavoro svolto e per ricordarlo a me stesso, al collega Fugatti, ai colleghi presenti in Aula e ai colleghi dell'opposizione, vi sono state otto proposte emendative approvate, che nascevano da una serie di proposte presentate da parlamentari di diversi gruppi, sia di maggioranza che di opposizione.
Voglio ricordare, ad esempio, la soppressione del diritto di superficie delle spiagge all'articolo 3 dove ben cinque emendamenti su otto erano stati presentati dall'opposizione. E potrei continuare, come tra poco farò, specificando proprio alcuni dei punti nodali.
Prima di sviluppare un'analisi qualitativa del lavoro svolto, vorrei continuare per quantificare: ci sono stati sette emendamenti approvati, durante i lavori delle Commissioni, su proposta dei relatori. Gran parte di questi emendamenti nascevano da istanze condivise, ad esempio i due emendamenti riguardanti l'articolo 7, derivanti dalle mozioni parlamentari di cui ho già parlato. Ci sono stati emendamenti, ovviamente, della maggioranza. Ben cinquantacinque emendamenti sono stati approvati tra quelli presentati dai parlamentari del PdL, tredici tra quelli presentati dalla Lega Nord Padania, tre, invece, tra quelli presentati dal gruppo di Iniziativa Responsabile; inoltre, ci sono stati dodici emendamenti approvati presentati dal gruppo del Partito Democratico, sei del gruppo Italia dei Valori, cinque del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo e cinque del gruppo dell'UdCpTP. Infine, sono stati approvati anche emendamenti presentati dal Südtiroler Volkspartei e, quindi, dal gruppo Misto.
Questo per dare anche un'idea quantitativa, prima di entrare nello specifico dei contenuti, e di un dibattito che si è svolto, nell'arco della settimana scorsa e anche nelle giornate di lunedì e martedì, in Commissione, e nel quale si sono affrontate le questioni, a nostro avviso, più importanti. Tra gli emendamenti approvati voglio citare, come estremamente qualificanti, degli emendamenti all'articolo 2 che riguardano il credito di imposta al Mezzogiorno. Ricordo, su questa materia, le battaglie sostenute anche da illustri esponenti dell'opposizione, in particolare l'onorevole D'Antoni. Dell'articolo 3 ho già detto, cioè la soppressione del diritto di superficie delle spiagge, in merito al quale sostanzialmente si è votato un emendamento soppressivo dei primi tre commi su istanze ampiamente condivise. Sappiamo tutti che questa era una materia assolutamente difficile, controversa, una materia, tra l'altro, che vede, in Conferenza Stato-regioni, un tavolo laddove sono presenti tutte le regioni, rappresentanti degli enti locali, e rappresentanti di categorie che stanno elaborando un testo, un percorso, Pag. 44che possa dare risposta a tutte le questioni. Testo che possa, dunque, rispondere alle esigenze che derivano dalle direttive comunitarie e, in particolare, dalla direttiva Bolkestein, ma che possa contemporaneamente dare certezze agli enti locali, da un lato, i quali, evidentemente, hanno necessità di regolamentare la materia, e agli investitori dall'altro, i quali vogliono sapere quale potrà essere il loro destino.
Ricordo, tra gli emendamenti all'articolo 4, le modifiche al Codice dei contratti pubblici. Anche questo è stato un emendamento condiviso su una serie di istanze che i relatori, l'onorevole Fugatti ed il sottoscritto, abbiamo recepito e che, praticamente, erano state sostanzialmente rappresentate da tutti i gruppi parlamentari.
Penso agli emendamenti che hanno modificato la normativa in materia di DURC, presentati un po' da tutti i gruppi parlamentari; abbiamo recepito l'emendamento Zeller 4.62 su questa materia. O ancora le proposte emendative in materia di Sportello unico per le imprese, anch'essi condivisi.
Inoltre, vi è l'emendamento all'articolo 6 sul Sistri che ha recepito una serie di istanze provenienti da diverse categorie e, quindi, da un intero settore in difficoltà. Tale normativa sui controlli, che sicuramente deve trovare attuazione, è, infatti, di interesse generale perché nell'interesse del Paese abbiamo la necessità di conoscere l'intero ciclo dei rifiuti: come inizia, come continua e, soprattutto, come si conclude. Nella complessità del sistema, però, in questa fase iniziale abbiamo dato maggiore respiro a quelle piccole aziende di trasportatori, a quelle piccolissime microimprese che, evidentemente, hanno difficoltà ad adeguarsi, in un tempo assolutamente ristretto. Questo momento di respiro servirà loro, non soltanto per attrezzarsi meglio, ma anche per capire come funziona l'intero sistema di controllo e di certificazione in maniera tale da riuscire ad adeguarsi.
Ma servirà - di questo sono francamente convinto - anche alla pubblica amministrazione, perché iniziando il sistema di controllo, di certificazione e quant'altro, ad attuarsi proprio dalle imprese più grandi, dalle imprese che curano maggiori volumi di rifiuti, darà la possibilità alla stessa di verificare le criticità, le farraginosità del sistema in maniera tale da affinare il sistema e renderlo sicuramente funzionale allo scopo ed assolutamente più snello.
Sempre nell'articolo 6, in materia di privacy, sono contenute norme ampiamente condivise e c'è stato quindi un recepimento di istanze rappresentate in Commissione. Gli emendamenti hanno riguardato la possibilità dell'iscrizione dell'impresa mediante comunicazione unica; quindi, si tratta di un segnale che va verso la semplificazione e l'ammodernamento del Paese.
Vi è poi tutta la parte che riguarda l'articolo 7 - lo illustrerà il collega Fugatti in maniera più completa ed esaustiva - che riesce a dare una risposta fondamentale in materia di riscossione coattiva, attenuando l'impatto nei confronti dei piccoli e piccolissimi debitori. Sappiamo tutti delle norme di salvaguardia per quanto riguarda la prima casa laddove giustamente abbiamo inserito un tetto di ventimila euro relativamente alla possibilità di poter aggredire da parte dei creditori, da parte di Equitalia, la prima unità abitativa, quella cioè dove c'è la residenza anagrafica del debitore medesimo, così come la riduzione dell'impatto delle cosiddette ganasce fiscali.
Per concludere questa materia, ricordo la disposizione che riguarda proprio la sospensione dell'esecuzione forzata e, tra l'altro, la possibilità di dare al cittadino e alle imprese un respiro ulteriore, cioè un lasso di tempo per potere ricorrere alle commissioni tributarie competenti che evidentemente avranno il compito, in un tempo assolutamente ragionevole, cioè in centottanta giorni, di riuscire a dare una risposta. Certo mi si dirà a proposito di questo che centottanta giorni in taluni casi possono essere pochi e questa può essere una legittima istanza che proviene dai cittadini e dalle imprese. Viceversa i giudici Pag. 45tributari potranno sostenere la tesi, anche questa legittima, delle loro difficoltà, delle loro problematicità, ma a questo rispondo che, di qui a poco, provvederemo con la riforma della giustizia tributaria e mi auguro che quella sarà la sede per aprire un dibattito su questo tema e per potenziare e rafforzare il sistema.
A proposito di sospensione, debbo qui fare una notazione su un argomento del quale avevo parlato in mattinata al relatore Fugatti che sicuramente sarà oggetto di riflessione nel Comitato dei diciotto e colgo l'opportunità che mi dà la presenza del sottosegretario Giorgetti per dire che qui c'è un problema che ovviamente nella fretta dei lavori non abbiamo bene attenzionato ed è la questione relativa alla riscossione dei tributi locali che sono in affidamento mediante gare in essere ad una serie di società che operano sul territorio. Bisogna trovare il sistema di un eventuale piccolo correttivo che possa risolvere due problemi: da un lato dare una maggiore opportunità ai comuni per entrare a regime nel sistema, dall'altro dare anche un minimo di possibilità e certezza a quelle società, specie quelle che curano questo aspetto in virtù di gare vinte recentemente.
All'articolo 8 abbiamo approvato una serie di norme che vanno nella direzione della tutela del cittadino nei rapporti tra cittadino e banche, nei rapporti tra cittadino e finanza e, quindi, abbiamo dato la possibilità di rivedere non soltanto i contratti ma abbiamo anche riformulato la materia della rinegoziazione dei mutui modificando in aumento gli importi previsti.
Sull'articolo 8 ritengo che probabilmente ci sarà ancora la possibilità di qualche ulteriore aggiustamento sempre nella direzione di rafforzare la tutela dei cittadini che in un momento di grande difficoltà questo chiedono e a questo hanno diritto.
Con l'articolo 9 abbiamo affrontato la materia che riguarda la scuola e il precariato della scuola; sappiamo benissimo che per effetto dell'articolo 9 un certo numero di insegnanti precari, circa 60-62 mila nell'arco di tre anni, troveranno una possibilità di stabilizzazione del loro rapporto, tra l'altro fin da quest'anno, cioè da settembre 2011, se ne sistemeranno oltre 30 mila. Abbiamo approvato alcuni emendamenti che tutto sommato rafforzano anche il significato dell'articolato.
Per quanto riguarda l'articolo 10, abbiamo inserito delle norme che migliorano la funzionalità dell'Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche: abbiamo sostanzialmente modificato la figura del direttore che nel testo, probabilmente per effetto di un refuso, era delineata in maniera non ordinata, e contemporaneamente abbiamo anche iniziato a introdurre un principio che per quanto ci riguarda riteniamo sacrosanto cioè il diritto dei territori a intervenire in materia così delicata e quindi abbiamo accolto un emendamento che offre la facoltà della partecipazione diretta a un rappresentante delle regioni in questa Agenzia.
Infine gli emendamenti in materia di servizio ferroviario accolti dall'articolo 10 che provenivano da diversi parlamentari e che quindi hanno trovato un momento di condivisione ampio nell'ambito della Commissione.
Questo in sintesi il lavoro e il percorso che abbiamo seguito in questi giorni, si poteva fare di più, si poteva fare di meglio? Sicuramente sì, però un percorso e un lavoro di questo genere hanno il merito - questo va chiaramente ad onore non di noi relatori ma di tutti i componenti della Commissione, sia di maggioranza sia di opposizione, e dei capigruppo presenti in Commissione - di non aver chiuso un provvedimento di questa portata in maniera frettolosa e magari ampliando gli spazi della polemica politica, ma concentrandosi invece nel merito delle questioni e sui contenuti. Questo ritengo possa essere un esempio virtuoso di come ci si debba confrontare di fronte e nel merito delle cose.
Credo che sia stato svolto un buon lavoro, e che quindi il testo approvato dalla Commissione possa contribuire a Pag. 46dare una serie di risposte significative al Paese e che da questo punto di vista il nostro lavoro non sia stato inutile.

PRESIDENTE. Il relatore per la Commissione Finanze, onorevole Fugatti, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURIZIO FUGATTI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, in fase iniziale mi associo a quanto detto dal collega Marinello sul lavoro svolto dalla Commissione e, nonostante le oggettive situazioni particolari affrontate nel corso della discussione di questo provvedimento, riteniamo che alcune delle richieste che arrivavano da più gruppi, sia di maggioranza sia di opposizione, siano state accolte, che il testo sia stato migliorato in alcuni suoi punti mentre in altri sono state cancellate delle norme, ma se vogliamo fare una sintesi del lavoro svolto in Commissione davanti anche alle oggettive situazioni particolari cui mi riferivo, credo che possiamo affermare che la Commissione ha lavorato in modo comunque costruttivo, anche se spiace che ci sia stato l'abbandono dell'Aula da parte dei colleghi di opposizione, ma questa è una scelta legittima che può anche accadere.
Il collega Marinello ha svolto alcuni approfondimenti sulle modifiche apportate in Commissione. Pertanto, mi limiterò alle questioni che egli ha già citato, ma che riguardano principalmente la Commissione finanze.
L'articolo 2-bis concerne il credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, mentre l'articolo 3 riguarda la questione, ormai famosa, delle spiagge, che ha visto l'abrogazione dei commi da 1 a 3: ora si parla solo di «distretti turistici», così come si chiedeva in alcuni emendamenti. Le modifiche sostanziali riguardano la variazione della procedura di delimitazione dei distretti, nonché una precisazione in ordine alle disposizioni applicative occorrenti a disciplinare la funzionalità degli sportelli unici. Questi sono gli aspetti principali che riguardano l'articolo 3 del provvedimento in discussione.
Sempre di competenza della Commissione finanze, possiamo citare anche la questione dello sportello unico per le attività produttive. A tale proposito, al comma 6, con un emendamento dei relatori, si prevede la nomina da parte del prefetto di un commissario ad acta nei comuni, qualora, entro la data del 30 settembre 2011, i comuni stessi non abbiano provveduto ad accreditarsi di questo strumento.
Inoltre, vi è stata la questione del Sistri, più volte affrontata all'interno dell'articolo 6. Crediamo che la proroga per le imprese che hanno fino a dieci dipendenti sia una richiesta legittima da parte delle categorie produttive. Si tratta di una proroga fino al giugno del 2012: inizialmente, vi era stata una richiesta più corposa da parte dei relatori, ma poi si è trovata una sintesi con riferimento a tale proroga che, comunque, è di un anno. In questo modo, da una parte, si darà il tempo di capire le negatività che il Sistri, comunque, ha nei confronti delle categorie produttive - quindi, per queste piccole realtà sarà possibile capire se sarà il caso o meno di procedere - e dall'altra parte, qualora si procedesse, si darà il tempo per attuare tutti gli accorgimenti necessari al fine di mettere in atto il Sistri da parte di queste piccole realtà.
L'articolo 7 è stato modificato in più punti: era uno degli argomenti più importanti di questo provvedimento. Tra le modifiche fatte, segnaliamo la durata massima degli accessi in materia fiscale all'interno delle imprese. Il termine è riferito a 15 giorni lavorativi, contenuti al massimo in un trimestre: quindi, all'interno di un trimestre, viene a completarsi il periodo di accesso alle imprese che, però, non può essere superiore a 15 giorni. È disposta, inoltre, la sospensione dell'esecuzione forzata conseguente agli atti di cosiddetto accertamento esecutivo per 180 giorni: quindi, vi è uno slittamento da 120 a 180 giorni.
Vi è, poi, la questione, che ha già trattato il collega Marinello, che riguarda la giustizia tributaria e i giudici tributari. A tale proposito, mi sembra di aver capito che da parte della maggioranza e del Governo vi sia l'impegno di affrontare la Pag. 47questione della giustizia tributaria in un provvedimento conseguente, perché si tratta di un tema che è all'ordine del giorno. Successivamente, vengono precisate le tipologie di depositi fiscali e doganali che possono essere utilizzati anche come depositi IVA.
Si dispone la cessazione dal 1o gennaio 2012 da parte delle società del gruppo di Equitalia delle attività di riscossione per conto dei comuni e delle società partecipate dai medesimi. Il collega Marinello ha già detto che su questo punto occorre una riflessione su alcune problematiche che sono sorte e che sono state poste all'attenzione in queste ore, ed eventualmente si valuterà il da farsi.
Sono stati modificati gli importi minimi dei debiti tributari, per cui è possibile iscrivere ipoteca sui beni immobili del contribuente: questa è una richiesta che veniva da più parti.
Sono state introdotte nuove modalità di riconoscimento della ruralità dei fabbricati a fini catastali; ai fini del calcolo degli interessi dovuti sulle somme indicate nella cartelle di pagamento scadute, quando sono decorsi 60 giorni dalla notifica, non si tiene conto delle sanzioni e degli interessi indicati nella cartella medesima, quindi il cosiddetto meccanismo anatocistico. Queste sono alcune delle modifiche principali che sono state fatte all'articolo 7.
Per quanto riguarda l'articolo 8, dove si parla anche di banche e di credito, si dispone il riordino del Comitato nazionale italiano per il microcredito; sono sostituite le norme, inizialmente presenti nel decreto-legge, che permettevano una deroga consensuale alle disposizioni sui limiti e alle modifiche unilaterali dei contratti bancari per i clienti diversi da consumatori e microimprese; si è disposto l'ampliamento della platea dei destinatari della disciplina sulla rinegoziazione dei mutui; si è elevato a 150 mila-200 mila euro l'importo rinegoziabile e la misura dell'ISEE è stata aumentata da 30 mila euro a 35 mila euro. Per quanto riguarda l'attività di garanzia collettiva dei fidi, si comprendono, adesso, anche i consorzi di garanzia collettiva dei fidi tra liberi professionisti; questa è un'altra modifica. Sulla proprietà industriale si è proceduto alla soppressione dell'intero comma 10 dell'articolo 8, su questo c'è stato un ampio dibattito in Commissione, che poi naturalmente ritornerà in sede di discussione sulle linee generali.
In relazione all'articolo 8-bis segnaliamo che è stato inserito un articolo che dispone la cancellazione di segnalazioni relative a ritardi di pagamenti; questo riguarda la questione delle banche dati, delle sofferenze dei clienti all'interno delle banche dati intrabancarie.
Sulla questione della scuola ha già parlato il collega Marinello; faccio semplicemente notare la questione che è stata inserita e cioè che ai docenti incaricati a tempo determinato continuativamente in servizio presso le cosiddette pluriclassi, credo che tutti sappiamo di che cosa stiamo parlando, viene riconosciuta una speciale valutazione del servizio prestato presso queste sedi che solitamente sono sedi disagiate, dove nessuno vuole andare o chi ci va vuole rimanerci poco e si ha difficoltà a volte a trovare delle persone che ci vadano con una certa continuità.
Per quanto riguarda l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua se ne occupa l'articolo 10; le modifiche sono relative al fatto che, dei tre componenti dell'Agenzia, due vengono proposti dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del mare e uno dalla Conferenza Stato-regioni. C'è poi il sovrapprezzo di finanziamento del servizio ferroviario di interesse nazionale che ci è parsa una proposta interessante, che, come ha già spiegato il collega Marinello, è stata introdotta con questo provvedimento.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, volevo partire da alcune considerazioni Pag. 48fatte dal relatore, dal collega Marinello, il quale diceva che è stata svolta una discussione approfondita in sede di Commissione e sono stati accolti molti emendamenti presentati dall'opposizione. Potremmo anche riconoscerlo, andando a guardare il numero degli emendamenti, anche se, com'è noto, non è tanto importante il numero degli emendamenti, quanto piuttosto bisogna guardare il contenuto degli stessi; in larga parte gli emendamenti accolti sono di una portata che non incide molto sul complesso del provvedimento; salvo forse quello relativo ai lidi balneari, gli altri mi pare che siano più di contorno piuttosto che emendamenti che abbiano inciso sulla sostanza del provvedimento.
Vorrei anche sottolineare che se vi è stata una discussione, questa si è svolta più nelle sedi diverse da quella appropriata, che sarebbero le Commissioni riunite in sede referente, nella quale si è discusso in realtà pochissimo perché noi abbiamo passato le giornate, le ore ad attendere che la maggioranza sciogliesse i nodi che vi erano al suo interno.
Vi erano, cioè, talmente tanti problemi che, in realtà, come è noto, vi sono state solo due votazioni su due emendamenti - finite, peraltro, alla pari, e quindi respinti per pareggio - e un voto finale su un complesso di proposte emendative che i relatori hanno ritenuto di accogliere. Si tratta di proposte emendative sottoscritte in parte dall'opposizione e in parte risultanti da assorbimenti di emendamenti presentati dall'opposizione e recepiti dai relatori in emendamenti da loro presentati.
Però, non sono state le Commissioni riunite la sede in cui si è svolta la discussione, perché lì si è solo atteso che i nodi venissero sciolti. Questo lo dico per dovere di verità, perché non vorrei che il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Vito, quando si alzerà per chiedere l'ennesima fiducia da parte del Governo, sostenesse che lo ha fatto perché vi è stata, comunque, una grande discussione in questo ramo del Parlamento. Ribadisco che così non è stato, anche se nell'attesa di poter riunire le Commissioni per deliberare vi è stata la possibilità di scambiare delle idee con i colleghi, ma in modo del tutto irrituale.
Vorrei poi sottolineare un'altra questione, perché uno dei temi che, come noto, era all'attenzione delle Commissioni riguardava la vicenda di Equitalia, per la quale vi è stata una serie di interventi che, in qualche modo, possono andare incontro a quei cittadini che si sentono vessati. Ovviamente, quando i cittadini si sentono vessati, ve ne è una parte che probabilmente lo è, ma vi è anche una parte che, probabilmente, deve solo pagare, e utilizza la supposta vessazione di qualcuno per poterne approfittare e trovare il modo di ottenere qualche beneficio.
Dico questo perché il Ministro Tremonti ha acconsentito a interventi, ma ancora una volta ho la sensazione che non abbia centrato - oppure che lo abbia centrato troppo bene - il problema. Parto da una questione che riportano oggi i giornali, che riguarda l'indagine che ha portato in carcere 45 persone, tra cui il capo della Confcommercio di Roma. Si tratta di un'indagine su reati per i quali, secondo le indicazioni degli investigatori, si sarebbero sottratti all'erario circa 500 milioni di euro, e quando parliamo di cifre bisogna rapportarsi alle stesse. Quindi, ripeto, avrebbero sottratto non meno di 500 milioni di euro.
In questo caso non si tratta di evasione di imposte, ma di non pagamento di imposte accertate, che è un'altra cosa. Mi rifaccio allora ad una semplice considerazione, che veniva rilevata nel provvedimento con il quale hanno proceduto all'arresto di soggetti che, secondo le accuse, creavano «bare fiscali». In esso si può leggere un aspetto che assomiglia alla seguente domanda: perché l'implacabile Equitalia, feroce nel recupero tempestivo delle multe per divieto di sosta e dell'evasione del canone RAI, ha per anni ignorato la scintillante clientela dello studio - del quale non faccio il nome -, lasciando il tempo che i suoi crediti milionari languissero, mentre fior fiore di professionisti trasferivano risorse all'estero, rendendo così quei crediti per sempre inesigibili? Pag. 49
Credo che la vera domanda che il signor Ministro dell'economia e delle finanze di questo Paese dovrebbe porsi è perché succedono cose di questo il genere. Altro che le piccole vessazioni da parte di Equitalia, quando qui spariscono travi grandi come una casa, che lui, che è stato per anni consulente di impresa su questioni fiscali, finge di non ricordare o di dimenticare. Perché i veri interventi su Equitalia non sono le piccolezze sulle quali siamo stati chiamati ad intervenire in questi giorni, ma sono queste!
Infatti, Equitalia ha una situazione di 446 miliardi di euro di tasse accertate, riconosciute come dovute e non incassate. È questo il vero problema di Equitalia sul quale il Ministro avrebbe dovuto intervenire, ma non per dare sollievo a qualche povero disgraziato, che ci sarà pure, al quale, per pagare una multa, hanno pignorato la casa (che certamente forse è qualcosa di esagerato). Perché Equitalia ha permesso che situazioni come quella illustrata in questa vicenda andassero avanti senza fare nulla? Perché il Ministro Tremonti non ha pensato di inserire una norma?
Signor Presidente, ci sono decine di società fallite che devono soldi all'erario e i cui amministratori, il giorno dopo il fallimento, aprono una nuova società con la quale continuano a lavorare. Quelle partite di crediti di imposte non pagate restano lì e finiscono per aumentare quel monte di 450 miliardi di euro che, per giustezza e per intelligenza delle persone, devono essere aggiunti all'evasione fiscale.
L'evasione fiscale è già altissima, in più ci sono 500 miliardi di euro di tasse che non sono state incassate: questo è lo scandalo! Basterebbe una norma, ma il Ministro Tremonti non ha mai pensato a una disposizione per cui colui che è stato amministratore di una società che non ha pagato le tasse che doveva pagare non possa essere amministratore di una società.
Non sto dicendo che si debba renderlo solidalmente responsabile delle tasse non pagate dalla società, perché capisco che apriremmo una questione che ha anche degli aspetti giuridici di costituzionalità forse discutibili (forse, non è detto); ma certamente permettere che amministratori che hanno gestito un debito tributario e hanno fatto fallire l'azienda possano ritornare tranquillamente ad essere amministratori con una nuova società è scandaloso.
La prima misura che un Ministro serio doveva prendere era quella volta ad impedire la continua crescita di tasse non pagate con le quali si trova a che fare Equitalia. Altra questione, di cui non dico e che forse anche gli investigatori e la Corte dei conti potranno accertare, è quella se poi verso qualche grande contribuente o verso qualche grande debitore di imposte ci sia stato un atteggiamento accomodante (diciamo così) da parte di Equitalia che invece al piccolo contribuente, che deve magari mille euro, va a pignorare la casa. Credo che, da un punto di vista politico, la discussione che riguarda Equitalia vada impostata in un altro modo e non semplicemente come è stato fatto sin qui.
Peraltro, sia pure con quelle modalità di cui ho detto prima, ossia attraverso una discussione per modo di dire all'interno delle Commissioni riunite, qualche miglioramento c'è stato. Infatti, qualche resipiscenza da parte del Governo c'è stata e così è stata stralciata, come anche noi avevamo richiesto, la norma sugli stabilimenti balneari.
È stata introdotta qualche limitazione - e siamo anche orgogliosi delle proposte - proprio sulla questione dei crediti di imposta. È questa un'altra partita: si concede il credito di imposta per la ricerca, si concedono crediti di imposta per il lavoro stabile nel Mezzogiorno, però non c'era nessuna norma che garantisse che, se qualche anno dopo si fosse scoperto che il credito non era dovuto, alla fine il risultato poteva essere, ancora una volta, un qualche fallimento dal quale lo Stato, che aveva concesso il credito, non riusciva neanche ad ottenerne la restituzione.
Quindi, siamo anche lieti che sia stata accolta la nostra proposta la quale prevede che quel credito, in caso di fallimento, vada Pag. 50in prededuzione. Infatti, è giusto che lo Stato che ha concesso quel credito possa recuperarlo e non trovarselo di nuovo in quella somma di tasse non pagate. Quindi, credo, per esempio, che questo sia un fatto positivo. Certo, a volte la semplificazione - mi spiace che non ci sia più, come stamattina, il Ministro per la semplificazione -, in taluni casi, soprattutto nelle modifiche alle norme del codice dei contratti pubblici, più che una semplificazione qualche volta rischia di essere un'acquiescenza a soggetti che prima non avrebbero potuto partecipare a delle gare per mancanza di requisiti morali, ad esempio, e per i quali sia stabilito che basta un anno di limbo per poi poter partecipare.
Noi saremmo molto duri perché soggetti che perdono o che non hanno i requisiti morali per partecipare ad un appalto non dovrebbero più avere la possibilità di farlo, oppure si dovrebbero prevedere perlomeno i cinque anni previsti per la riabilitazione dei falliti, ma non certo ridurre da tre anni ad un anno il limbo nel quale stanno le imprese trovate in violazione di normative legate alle gare di appalto. Anche in tal caso spesso si confonde la semplificazione con altro, per esempio ci si immagina che la velocizzazione delle gare dipenda dalla cifra. Credo che ciò non sia assolutamente vero. Non è questo il problema. Non è perché si porta la cifra da 500 a un milione e mezzo di euro oppure ad un milione e, come risultato finale, con l'accoglimento di un emendamento, non è alzando quella cifra che si rendono più veloci le gare, non è affatto detto.
Com'è noto, è questo il problema dell'attuazione, così come non è permettendo che la conferenza di servizi si faccia sul progetto preliminare piuttosto che sul progetto definitivo. Anche in tal caso bisogna fare attenzione perché potrebbe anche succedere che sia indetta una conferenza di servizi su un percorso diverso da quello definitivo e quindi qualcuno che ha espresso parere favorevole, quando vi è una fascia che poi può modificarsi in modo rilevante anche di 70 o 100 metri rispetto alla situazione preesistente, magari non avrebbe minimamente dato un certo consenso.
Voglio poi parlare invece di una semplificazione che è stata accolta grazie a noi. Ancora una volta al Ministro per la semplificazione avrei detto, se fosse in Aula oggi, che la vera semplificazione è quella che toglie, che elimina la burocrazia. La semplificazione non è quella che toglie un passaggio burocratico, ma è quella che elimina definitivamente. Siamo anche lieti che sia stato accolto un nostro emendamento, ad esempio, sia pure per una nicchia di soggetti che sono coloro che effettuano i trasporti eccezionali che oggi, finalmente, con l'accoglimento di questo emendamento, si limiteranno ad una comunicazione di fatto senza le lungaggini di cui avevano bisogno prima per poter effettuare poi un trasporto che comunque gravava interamente, dal punto di vista organizzativo, sulle loro spalle e sui loro costi. Almeno oggi si limitano a fare una comunicazione 15 giorni prima e questo dovrebbe liberarli in modo rilevante dalla burocrazia precedente.
Vi è poi un'altra questione che voglio affrontare anche perché non vorrei che il tempo a mia disposizione stesse per scadere, e ci tengo ad affrontarla, poi dirò magari qualche altra cosa ancora. Si tratta della questione della fondazione per il diritto allo studio. Qui siamo di nuovo di fronte ad una tragedia. Ancora una volta, visto che c'è in Aula qualche collega della Lega, chiedo a loro dov'è il federalismo.
Qui realizziamo persino l'attribuzione delle borse di studio agli studenti meritevoli con un ente centralizzato e statalizzato quando esiste in ogni università una cosa che si chiama ente regionale per il diritto allo studio, che dipende dalla regione e che è preposto a svolgere questa attività. E noi andiamo a creare una fondazione per il diritto allo studio centralizzata che già per definizione costa un milione di euro all'anno? Ma come fate ad andare a raccontarlo ai vostri elettori, amici della Lega, in Veneto e in Lombardia, che voi venite qui a dire di sì ad una centralizzazione di un'attività come questa Pag. 51togliendo di mezzo gli enti regionali preposti a questo scopo? È veramente una cosa assurda e inaccettabile, che noi abbiamo contrastato e sperato anche di convincervi a votare, ma così non è stato e bisognerà rendere conto anche di questo poi agli elettori quando si andrà a discutere di questi temi.
C'è poi la questione di quell'emendamento all'articolo 8 per cui noi ci siamo accorti del nostro errore e abbiamo ritirato l'emendamento soppressivo del comma 10 del citato articolo che avevamo presentato. Tale modifica metterà nei guai tante piccole e medie imprese per salvare un paio di aziende multinazionali. È veramente gravissimo che noi andiamo a compiere un'operazione di questo tipo. Mi riferisco alla questione dei diritti, con particolare riferimento ai prodotti di arredamento. Voglio dire che qualcuno ha immaginato che si riferisse ad una qualche zona concentrata nel nostro territorio. A.B. Emme Flex Srl di Verona, Acciaieria Valbruna di Vicenza, AFIS Clerici di Brescia, Aernova Srl di Udine, Alpe Arredamenti di Pordenone, Ardigò Srl di Cremona, Arredamenti Trezzi di Monza e Brianza, Arredamento Lombardo di Milano: potrei andare avanti, ci sono i nomi di 700 imprese, molte delle quali localizzate in Lombardia e in Veneto che rischiano danni gravissimi perché non si è voluto lasciare il comma 10 inserito in quell'articolo 8 da parte del Governo nel testo iniziale del decreto-legge. Lo ripeto: non mi si dica che avevamo presentato anche noi l'emendamento soppressivo. Lo riconosco anche io: avevamo sbagliato.
Ci siamo resi conto di aver sbagliato e abbiamo ritirato il nostro emendamento soppressivo, ma qualcuno ha voluto comunque infilare tale modifica per fare un piacere a Confindustria e alla Marcegaglia che ha mandato una letterina, per fare un piacere a qualche multinazionale di qualche ex presidente della Confindustria peraltro con sede in Lussemburgo (quindi, non sappiamo neanche bene se e quanto paga le tasse in Italia). Eppure, per fare un regalo a queste persone, state mettendo a rischio la sopravvivenza di 700 piccole e medie imprese in parte localizzate nel centro Italia, ma in larga parte presenti anche nel nord, in Lombardia e in Veneto. Credo che tutte queste imprese ringrazieranno voi e soprattutto i colleghi della Lega perché bastava che loro si opponessero a questa situazione e certamente questa modifica non sarebbe passata.
Penso di avere quasi completato il mio tempo. Potrei parlare anche di qualche altra questione, ma mi fermo qui. Il nostro giudizio complessivamente resta negativo anche se qualche miglioramento piccolo, non di fondo e contenuto, è stato recepito anche sulla questione dei tassi usurari. Anche a questo proposito, ci sarebbe da discutere, perché si passa a considerare il tasso usurario il 25 per cento, invece che il 50 per cento come prima, ma aggiungendo 4 punti, che sono pesantissimi - lo ripeto: pesantissimi - con i tassi bassi.
Infatti, se aggiungo 4 punti al 2 per cento trasformo di fatto, grazie a questo meccanismo, il tasso usuraio, che passa dal 6 al 9 per cento. Quindi, i quattro punti pesano tantissimo. Anche qui siamo in presenza di un favore al sistema bancario che, credo, non ne abbia particolarmente bisogno.
Capisco che qualcuno possa sostenere che se loro non concedono più il credito qualcuno potrebbe finire dagli strozzini. Può essere, ma in larga parte siamo in presenza di un nuovo favore concesso agli istituti di credito, i quali non hanno assunto impegni seri su un modo - e non voglio usare una parola grande - più morale nella loro conduzione, considerato che sono sì entità private ma che, di fatto, sono pubblici perché sono in mano alle fondazioni che, appunto, sono pubbliche. Pertanto, ci ritroviamo che poi danno 40 milioni di euro a un amministratore come premio perché viene dimissionato - e non come premio per aver condotto bene l'azienda - e per farlo andare via; oppure, si danno 20 milioni a qualche altro amministratore, ancora una volta perché messo in minoranza e, quindi, di fatto cacciato e gli si regalano 20 milioni; oppure, ci sono amministratori delegati che in una crisi come quella in corso hanno Pag. 52incassato 40 o 50 milioni di euro in pochi anni con le stock option. Ebbene, abbiamo bisogno di dare regali a questo mondo?
Francamente, Ministro Tremonti - anche se non c'è mi rivolgo a lei -, lei fa le dichiarazioni mediatiche come questa della riforma fiscale. Ho sentito, Vicepresidente Lupi, che anche lei ha sottolineato questo aspetto. Tuttavia, vorrei ricordarle che quel Ministro ha fatto questo annuncio nel 1994, nel 2003 e adesso lo fa per la terza volta. Però, quando deve affrontare i problemi veri - e si tratta di colpire chi non paga e di non aiutare chi crea problemi alle imprese invece di risolverli - il Ministro poi diventa pavido e non interviene. Ho raccontato prima questa vicenda delle indagini in corso che riguardano anche Roma, dove 500 milioni di tasse da pagare sono sparite grazie a queste bare fiscali. Sono questi gli interventi che vanno fatti per ridare credibilità - e non gli annunci - e in questo il Ministro Tremonti è stato finora davvero carente. Resta, comunque, il giudizio complessivamente negativo del nostro gruppo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, dispiace constatare che il decreto-legge sullo sviluppo, o come reca il titolo del decreto-legge di cui ci stiamo occupando «Prime disposizioni urgenti per l'economia», cioè un provvedimento che dovrebbe rappresentare un'occasione di rilancio dell'economia e del sistema produttivo italiano, si trovi ad essere motivo di balletto politico e si riveli espressione delle evidenti difficoltà della maggioranza di Governo di portare a termine questa legislatura. Il testo che stiamo esaminando oggi è stato partorito come il primo di una lunga serie di interventi di ripresa per il Paese, interventi che andranno, secondo le previsioni del Ministro Tremonti, dalla cosiddetta manutenzione dei conti alla deflazione del processo civile.
Ebbene, sono tre anni che tutte le forze sociali - e, in particolar modo, il mondo delle imprese piccole e medio-grandi - spingono per l'attuazione di riforme importanti per il rilancio economico.
Le linee tracciate da Tremonti in materia di riforma fiscale, dietro la pressione del Premier, che ha evidente necessità di rilanciare l'immagine del Governo, fanno risaltare quanto sia urgente individuare soluzioni che diano un po' di ossigeno all'economia italiana.
Noi dell'Unione di Centro per il Terzo Polo riteniamo che questo decreto-legge, contenente diverse misure - singolarmente prese, tutto sommato, positive - non possa permettersi di rappresentare soltanto la causa di uno scontro, ma debba davvero contribuire a dare respiro a settori già da troppo tempo in condizioni di difficoltà.
Dopo tutti i proclami fatti negli ultimi mesi speravamo che questo provvedimento innescasse quella serie di circuiti virtuosi che, fermo restando il rigore contabile, dessero un taglio riformista alle questioni più importanti per il futuro del Paese e del Mezzogiorno in particolare: il rilancio delle imprese, l'occupazione e la ricerca. Rispetto a queste tematiche il testo rischia di rivelarsi insufficiente e il Governo rischia di dimostrare poca volontà di incidere a causa della mancanza, che si fa sentire sempre di più, di una compagine unita ed omogenea, e si sa che i contrasti e le divisioni all'interno della maggioranza sono il primo ostacolo al rispetto degli impegni presi con i cittadini.
Noi abbiamo giudicato in positivo - anche se si tratta di interventi non strutturali e per i quali va specificata ulteriormente l'allocazione delle risorse - quelle misure che introducono crediti di imposta per le imprese che investono in ricerca e assumono giovani cervelli, che facilitano il rilancio dell'edilizia, che permettono la realizzazione dei distretti turistico-alberghieri o che semplificano gli adempimenti burocratici e fiscali per cittadini e imprese, ma abbiamo dovuto anche assistere, ancora una volta, alle solite proposte inaccettabili in tipico stile leghista, come l'emendamento Goisis che, nonostante sia stato prudentemente stralciato, ha fatto in Pag. 53tempo ad evidenziare chiaramente alcuni obiettivi che hanno caratterizzato questa maggioranza nel corso di questa legislatura: favorire alcuni rispetto ad altri, tutelare alcuni lavoratori - in questo caso i docenti di serie A - a dispetto dei diritti di coloro che vengono ritenuti di serie B.
Non possiamo restare inermi di fronte a certi sussulti di populismo che sono la più evidente prova della difficoltà del Governo di partorire, almeno per una volta, provvedimenti equi e giusti per tutti cittadini. Siamo stanchi di questi tentativi di nascondere norme parziali in decreti-legge già di per sé a contenuto vario e di difficile percezione da parte del cittadino.
Si tratta ancora una volta di inutili passi falsi su cui la maggioranza è sistematicamente costretta a fare marcia indietro, perché non solo minano l'unità della coalizione, ma rischiano davvero di far fare una magra figura all'intero Governo davanti agli occhi degli italiani proprio in occasione dell'approvazione di un decreto-legge emanato in campagna elettorale per rilanciare l'immagine del Governo, evidentemente senza grandi risultati. È passata, cari colleghi della maggioranza e caro Governo, la stagione in cui erano sufficienti i proclami e gli spot per tenere a bada gli italiani. La società civile ci ha dimostrato ampiamente in queste ultime settimane che sa farsi sentire dal suo Governo e sa utilizzare gli strumenti che la democrazia fornisce per richiamare l'attenzione su questioni fondamentali per tutti.
È inutile, dunque, procrastinare gli interventi seri, millantare riforme che tardano ad arrivare, ipotizzare scadenze che sistematicamente non vengono rispettate. Noi ci aspettiamo un colpo d'ala da parte della maggioranza. Noi richiediamo con forza che si assuma una linea definitiva in materia di economia e di occupazione, che vada oltre le beghe del palazzo e si preoccupi finalmente dei problemi degli italiani. In questo senso apprezziamo le parole del Ministro Maroni, che ha esortato i suoi a mettere mano alla categoria del coraggio, più che della prudenza rigorista in cui sono intrappolati sia Governo che l'economia italiana. Noi auspichiamo che le misure che il testo introduce possano trovare davvero un'effettiva realizzazione. Il dubbio sorge spontaneo, soprattutto quando si tratta di interventi non strutturali, che devono fungere da stimolo indiretto alla ripresa.
È apprezzabile, sia chiaro, che si cerchino espedienti di rilancio dello sviluppo a costo zero, soprattutto in un contesto di debito pubblico tale da non consentire alcuno slancio nella spesa, ma è legittimo da parte nostra sollevare dubbi sulla copertura finanziaria delle misure ed evidenziare la mancanza di una strategia complessiva di rilancio sul PIL, sull'occupazione, sulle liberalizzazione, sulla tutela dei consumatori o volta a favorire la concorrenza, una mancanza dovuta proprio ai problemi di finanziamento e di copertura delle proposte che pure sistematicamente vengono dalle opposizioni.
In occasione di questo testo e, in generale, nella politica di questo Governo, si sente prepotente la mancanza di misure idonee a favorire la crescita, che è l'unica strada per far convergere l'obiettivo del rigore contabile con quello di migliorare la qualità di vita degli italiani, perché crea lavoro, crea sviluppo per le imprese e non grava sulle casse dello Stato. È chiaro che qui c'è un problema di metodo, di approccio al problema. Ad esempio, l'intervento, contenuto nel decreto-legge, che vuole favorire l'incremento occupazionale mira a sostenere l'impiego di lavoratori che hanno una particolare difficoltà di inserimento o di reinserimento. Di per sé è una norma positiva, ma non ha portata generale.
Infatti, richiede dei requisiti soggettivi così particolari che il suo impatto e la sua efficacia sono limitatissimi. Forse sarebbe stato meglio estendere anche ad altre categorie di lavoratori l'opportunità per le imprese di fruire del beneficio o, comunque, puntare su una fiscalità diretta all'investimento e alla specializzazione produttiva, piuttosto che limitarsi ad attribuire un bonus in virtù dell'assorbimento quantitativo di manodopera altamente svantaggiata. Inoltre, il ristretto orizzonte Pag. 54temporale previsto dalla norma rischia di lasciare rigida la domanda di lavoro e di provocare un effetto assai modesto sull'occupazione. Non è così, cari colleghi della maggioranza e del Governo, che il Paese può uscire dalla crisi o risollevarsi dagli squilibri economici che lo attraversano; non sono queste le riforme epocali di cui l'Italia ha bisogno per superare il gap che da decenni ci distanza dal resto dell'Europa.
Anche il credito d'imposta per la ricerca scientifica, pur esso di per sé una misura apprezzabile, rischia di essere inadeguato per indurre cambiamenti duraturi nelle strutture produttive, soprattutto se il beneficio cade su una durata non di lungo periodo, come quella biennale, prevista dal testo originario del decreto-legge. Al fine di incentivare l'investimento per la ricerca scientifica a lungo o medio-lungo termine, nonché concedere alle imprese la possibilità di investire in veri e propri programmi di ricerca, devono obbligatoriamente prevedersi tempi più lunghi per l'applicazione della misura, posto che le piccole e medie imprese difficilmente riescono ad accedere a programmi di ricerca e sviluppo, se non spalmati su lunghi periodi.
Finché prevederemo agevolazioni di natura sperimentale, quale appunto questa di cui ci stiamo occupando, tra l'altro subordinata all'emanazione di un ulteriore regolamento dell'Agenzia delle entrate e con un finanziamento incerto, la ricerca scientifica e le imprese dovranno attendere ancora prima di vedersi davvero sostenute dallo Stato. In questa direzione, signor sottosegretario, sono andati, invece, e vanno gli emendamenti e i tentativi di miglioramento del testo proposti dalle opposizioni. Purtroppo lo spettro della fiducia e i tempi ristretti della decretazione d'urgenza - decretazione d'urgenza, tra l'altro, secondo noi inopportuna, ancora una volta, perché i principali interventi previsti necessitano di ulteriori interventi attuativi per avere efficacia - non ci consentono, per l'ennesima volta, di lavorare con serenità su interventi di grande importanza in un momento di stasi economica come questo. Con la richiesta di fiducia su questo provvedimento ci costringerete ad interrompere la riflessione su misure rilevanti e condivisibili, ma comunque migliorabili, cosa che vorremmo fare con l'esame degli emendamenti che abbiamo presentato.
Il nostro auspicio è che possano essere accolte ancora - è un appello che facciamo - quantomeno le più rilevanti indicazioni che le opposizioni si sono rese disponibili a dare nelle Commissioni e che stanno già emergendo da questo inizio di discussione sulle linee generali, se non altro per giungere insieme ad un testo condiviso che davvero possa apportare quel contributo di sviluppo e rilancio di cui il sistema socio-produttivo italiano ha estremamente bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Antoni. Ne ha facoltà.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Signor Presidente, esaminiamo in questa sede un decreto che è stato definito dal Governo che lo ha emanato, ancora una volta, con un titolo sbagliato perché è stato definito decreto sviluppo. Come vedremo nel corso di questo dibattito e nel corso di questo esame, di sviluppo in questo decreto vi è veramente poco. Vi sono varie norme, su varie materie, un po' confuse, un po' strane, un po' cambiate, un po' migliorate dopo i lavori nelle Commissioni, come è stato detto dai relatori, ma nella sostanza lo scopo, almeno quello, che veniva indicato nel titolo, cioè lo scopo del decreto, lo sviluppo, in questo decreto non c'è. Questo è il punto di partenza del nostro giudizio perché se non c'è questo punto di partenza politico tutto il resto della discussione rischia di essere inquinato e di non essere capito. Poi, quindi, si possono esaminare le singole norme - io ne esaminerò qualcuna -, si possono valutare alcune questioni particolari, negativamente o positivamente, ma lo scopo principale per cui il decreto era stato fatto non era raggiunto nel testo iniziale del decreto stesso, quindi era impossibile poi farglielo raggiungere successivamente. Pag. 55
Credo che questo debba innescare una prima riflessione per il Governo, lo diciamo agli atti, perché il Governo la deve finire, dopo quello che è avvenuto in questo Paese, dopo le elezioni amministrative ed il referendum, di dire una cosa e farne un'altra. In questo decreto si fa esattamente questo, si dice «puntiamo allo sviluppo» e si fa tutt'altro. Questo modo di fare politica, questo modo di governare, è stato condannato dall'elettorato doppiamente, sia nelle elezioni amministrative sia nei referendum, quindi questo modo deve finire. Noi diciamo che deve finire anche questo Governo, ma, in ogni caso, il modo di affrontare le questioni che l'Italia ha e i grandi problemi che l'Italia ha, non può essere e non può continuare ad essere questo modo di annunciare cose mirabolanti a cui non corrispondono la sostanza, la verità, il tipo di provvedimento che si fa. Siamo in presenza, invece, esattamente di questa impostazione, di un decreto che annuncia e che non fa corrispondere, con norme effettive, con risorse, con scelte, le questioni che vuole affrontare.
Che vi sia bisogno di sviluppo in questo Paese è assolutamente certo. Penso che ormai in quest'Aula, e anche fuori da quest'Aula, tutti quanti, i cittadini, le istituzioni, le organizzazioni sociali, tutti, abbiano preso coscienza che vi è bisogno di sviluppo. L'Italia non può andare avanti senza sviluppo. La fotografia che l'ISTAT ha fatto qualche settimana fa è davanti agli occhi di tutti perché si possa disconoscerla. È la fotografia di un Paese che non cresce, un Paese in cui diminuiscono i redditi, in cui diminuiscono i consumi, in cui diminuisce l'occupazione. Quando si hanno questi tre primati insieme, non crescendo e non avendo né redditi, né consumi, né occupazione che si sviluppa, si è in presenza di un Paese sostanzialmente fermo, anzi, in qualche occasione, che decresce. Vorrei ricordare, ogni tanto ce lo scordiamo, che in questi anni gli unici Paesi che crescono meno di noi in assoluto, nel mondo, sono solo Haiti e lo Zimbabwe, solo questi due. La crisi mondiale vi è stata per tutti, le questioni che abbiamo avuto vi sono state per tutti, tutti i Paesi le hanno affrontate e le stanno affrontando più o meno con problematiche diverse e con crisi diverse.
Però se guardiamo il dato della crescita noi superiamo solo Haiti e lo Zimbabwe. Ciò per avere un'idea di tutte le chiacchiere che sono state dette sul fatto che il Paese è uscito per primo dalla crisi e che siamo meglio degli altri, tutta questa specie di propaganda incredibile che è stata diffusa a piene maniche e, appunto, si è scontrata con la condizione di vita delle persone e con la loro reazione, come si è visto in queste ultime settimane. Che i redditi e i consumi siano in calo si vede anche qui, dalle statistiche sulla vita delle persone, ma l'occupazione è la questione principale, è l'elemento che dovrebbe veramente far riflettere, perché si continua a utilizzare un dato falso, non perché falso sia il dato in sé, ma perché nasconde alcune cose che invece riguardano la disoccupazione. Si continua a utilizzare il dato dell'8,4 per cento: il Ministro Sacconi e gli altri continuano a dire che è un dato migliore della media europea e con questo vi consolate e perciò siete tutti contenti.
Il medesimo dato nasconde la verità, che però è stata detta dalla Banca d'Italia in maniera clamorosa e quindi non da pericolosi rivoluzionari comunisti, ma dall'istituzione più prestigiosa dell'Italia nel mondo, tanto che il suo Governatore diventerà Presidente della Banca centrale europea e a quanto dice la Banca d'Italia bisogna che ci crediamo tutti. La Banca d'Italia ha detto che la disoccupazione italiana è pari all'11,8 per cento, sfiora quindi il 12 per cento, se ci va bene, perché non vengono calcolati né dall'ISTAT né dalla stessa Banca d'Italia, che non può calcolarli, due milioni di persone che non studiano né lavorano e quindi non sono calcolabili dal punto di vista statistico. Quindi, in base al dato che la Banca d'Italia fornisce siamo non solo ben al di sopra della media europea, ma in una situazione veramente pesante e in alcune zone del Paese veramente ai limiti: infatti, Pag. 56in alcune zone del Paese, la disoccupazione è compresa tra il 20 e il 25 per cento.
Tutto questo dovrebbe essere al centro di un dibattito, di un decreto sviluppo, di una voglia del Paese di affrontare i suoi problemi, ma siamo ben lontani, se guardiamo bene a questo provvedimento e all'insieme del dibattito, dall'affrontare le grandi, vere questioni del Paese. Poiché la crisi continua e colpisce tutti, ma in particolare i deboli ovvero i ceti e le zone deboli, è una crisi particolare, diversa da quelle conosciute nel corso della storia e che in genere risparmiavano la parte debole perché, appunto, aveva poco da perdere. Questa crisi colpisce proprio i deboli, le imprese che chiudono, gli artigiani e il commercio più deboli, il precario che perde il lavoro, la zona che non ce la fa, colpisce cioè proprio la fascia più debole. È una strana, particolare situazione che andrebbe affrontata per quella che è, invece viene rifiutata, ancora una volta con questo decreto-legge viene aggirata e non viene affrontata. Del resto, l'episodio di ieri è sintomatico di quanto stiamo vivendo: un Ministro della Repubblica, il Ministro Brunetta, dopo aver tenuto una conferenza sull'innovazione, rivolgendosi a una lavoratrice precaria che voleva sapere qualcosa, ma non è arrivata a formulare la domanda, ha detto, anzi, ha infierito: «Siete la peggiore Italia». Si tratta di una frase devastante, che un Ministro della Repubblica ha pronunciato rivolgendosi a una precaria senza considerarne la condizione, la vita e il tipo di sofferenza: «Siete la peggiore Italia».
Nelle due cose non resterebbe che un gesto: dimettersi. È una condizione obiettiva, infatti, quella che vede un Ministro della Repubblica scatenarsi, non contro un forte, un mafioso, un evasore, a cui può dire di rappresentare la peggiore Italia, ma contro una precaria. Questa è la dimensione; ecco spiegato il risultato del referendum ed ecco spiegate le amministrative.
Ma è chiaro che, di fronte a questa arroganza, a questa prepotenza, l'unica reazione è voler cambiare, l'unica reazione è volere un modo diverso. L'Italia merita di più, merita un Governo diverso. Su questo non c'è dubbio. Ma proseguendo la nostra analisi, ci accorgiamo che ad aumentare, appunto, sono i disoccupati, sono i precari, ad essere colpiti sono i giovani, le donne ed il Mezzogiorno, la fascia debole del Paese, ossia i giovani e le donne in tutta Italia ed il Mezzogiorno in particolare.
Avremmo bisogno di misure vere su tali aspetti, un'Italia che si rimette in cammino e che affronti le sue priorità che sono queste e non altre. Non possono essere altre. Lo si vede anche dai sondaggi che la preoccupazione principale degli italiani è il lavoro, è la fiducia nel futuro, è la prospettiva, non è né la giustizia né sono tutte le chiacchiere che avete fatto. È questo, perché su questo si misura un Governo.
Cosa fate in questo provvedimento? A fronte di questa condizione, con un decreto-legge cosiddetto di sviluppo, che cosa fate? Vi inventate due norme che, ad essere gentili, possiamo definire spot, perché altro è difficile definirle, se non propaganda. Due norme cosiddette nuove, o meglio riprese da vecchi provvedimenti del centrosinistra, ossia il credito di imposta per la ricerca e il credito di imposta sull'occupazione nelle aree meridionali.
Le due norme, così come le avete scritte, sono la prima all'articolo 1 e la seconda all'articolo 2. Nella sostanza, l'articolo 1 è rimasto quasi come era entrato, salvo piccole modifiche, mentre l'articolo 2 è stato parzialmente modificato in positivo, anche dopo una nostra battaglia molto seria che abbiamo condotto in Commissione. All'articolo 1, come avevate annunciato tramite il Ministro dell'economia e delle finanze, si era detto che avreste dato un credito di imposta pari al 90 per cento per quelli che avessero svolto ricerca utilizzando gli istituti pubblici e le università. Tutti si erano convinti che, effettivamente, si potesse aprire una nuova fase di innovazione e di ricerca perché, se dai un credito di imposta pari al 90 per cento, è chiaro che dai una forte spinta. Poi leggi il testo e noti che il credito suddetto si Pag. 57riferisce alla spesa incrementale; che significa spesa incrementale? Significa sulla differenza tra quello hai speso in ricerca negli anni precedenti e quello che spendi quest'anno. Fatta la media, quindi, significa che il 90 per cento non lo dai sull'investimento in ricerca, ma lo dai sulla parte eccedente quello che hai speso negli anni precedenti. Tradotto, che significa? Che è il 10, se va bene, il 12 per cento di credito d'imposta sulla ricerca. Ecco la prova di come questo Governo ci governa. Fa un grande annuncio: vi do il credito di imposta sul 90 per cento - magari c'è chi ci crede, noi non ci crediamo più - dopodiché, quando vai a leggere, questo credito di imposta diventa il 10-12, se va bene, per cento.
Questo modo di governare è sbagliato, è preferibile dire - non siamo d'accordo lo stesso, ma è meglio - per serietà che viene dato un credito di imposta del 10 per cento. È più chiaro, più esplicito. No, giammai, perché se si facesse così si verrebbe meno a quel modo di fare in base al quale da tre anni ci raccontate un'altra Italia, una favola diversa, una cosa diversa da quella che è e, quindi, volete continuare. Le sberle, come dite voi stessi tra di voi, le avete prese; speriamo che queste sberle almeno servano a questo. Secondo noi non serviranno, ma almeno che servano ad evitare nuovamente questa continua sceneggiata che mettete in campo rispetto a grandi annunci a cui non corrispondono comportamenti, non corrispondono norme, non corrispondono atteggiamenti che siano consequenziali.
L'altro articolo, l'articolo 2, anch'esso ha le stesse caratteristiche. Si fa un grande annuncio: «diamo il credito di imposta per l'occupazione nelle zone meridionali» che è una misura giusta. Noi l'avevamo prevista con il Governo Prodi, poi il Ministro Tremonti l'aveva sostanzialmente cancellata, quindi se c'è un pentito (poi io da cattolico brindo perché è il figliol prodigo che ritorna), se uno si pente e torna sui suoi passi a me va benissimo. A quel punto bisogna leggere la norma e si scopre che la norma così come era scritta nel testo iniziale, non aveva effetti pratici. Infatti prevedeva che si ristabilisse il credito di imposta per l'occupazione, che tale credito di imposta riguardasse le categorie particolarmente svantaggiate e sin qui nel Mezzogiorno queste categorie sono la grandissima parte come i disoccupati di lungo corso, non era quindi questo il tema alla fine, ma c'era una piccola, una piccola condizione vale a dire che la Commissione europea autorizzasse il Governo italiano ad usare i fondi europei per coprire tale credito d'imposta.
Prima che la Commissione europea autorizzi questo tipo di impianto l'esperienza ci dice che passa da un anno ad un anno e mezzo e non è detto che in questo caso la risposta sia positiva. Infatti poiché si infrangerebbe uno dei principi fondamentali dell'intervento della programmazione europea cioè il percorso, la questione di come nasce la programmazione, l'accordo con le regioni, e tutto quello che ne deriva, non è detto che la risposta sia positiva. Alla fine quindi la norma stabiliva: ti do il credito di imposta che tu puoi avere a condizione che la Commissione europea ci dica: «nell'utilizzo dei fondi europei». Ancora una volta una norma a cui non corrisponde un comportamento coerente.
Ci siamo battuti in Commissione perché almeno su questo ci fosse chiarezza. Infatti non si può scherzare su queste cose; non si può annunciare e non essere consequenziali perché se tu dai una misura, un credito di imposta, uno strumento che ti serve a fare in modo che magari qualcuno emerga dal nero, magari un giovane disoccupato trovi lavoro attraverso questa strada, è un atto importante. Non possiamo illudere proprio la gente che cerca lavoro, che ha problemi, che non sa come vivere dandogli questa illusione: c'è questo strumento, però non si può utilizzare per colpa della Commissione europea perché magari o ha perso tempo o ci ha detto di «no».
Questo modo di governare è assolutamente inaccettabile. Abbiamo insistito perché la norma si rendesse operativa subito e c'era un modo per farlo e finalmente il Governo e la maggioranza si sono convinti. Pag. 58Qual era il modo? Nelle more - come dice la relazione tecnica che accompagna il provvedimento -, nell'attesa che la Commissione europea dia la sua autorizzazione, lo Stato italiano rende operativa la misura attraverso l'utilizzo dei fondi FAS. La proposta che noi abbiamo avanzato e per la quale ci siamo battuti alla fine ha trovato il consenso perché è proprio una norma di buon senso, perché non si può fare un annuncio in queste condizioni e non far corrispondere il comportamento reale. Noi lo chiediamo su tutto. Ora i fondi FAS, come voi sapete, sono stati usati per i più svariati fini, per le più svariate incombenze.
Abbiamo avuto un uso nobile dei fondi FAS in questi anni, abbiamo finanziato sostanzialmente con i fondi FAS tutti gli ammortizzatori sociali di cui il Governo si dice essere garante. Abbiamo finanziato e stiamo finanziando la ricostruzione dell'Abruzzo con i fondi FAS: anche questo sicuramente è un elemento e una causa nobile ma abbiamo anche finanziato cause non nobili, che possiamo definire ignobili come le multe delle quote latte degli agricoltori del Nord che non avevano rispettato la direttiva europea o come i traghetti del lago di Como.
Abbiamo usato le aree delle zone sottoutilizzate e le abbiamo trasformate in qualcosa di veramente inaccettabile, quindi se per una volta si usano per uno scopo nobile come questo di rendere operativo immediatamente il credito d'imposta, credo che finalmente si sia fatta una cosa giusta, c'è voluta la nostra insistenza e la nostra totale dedizione a questa causa e finalmente vi siete convinti.
Ma non vi siete convinti sull'altra questione altrettanto importante e avete elaborato anche lì ancora una volta una norma spot. Quale? Il credito d'imposta per gli investimenti, perché in una fase come questa - lo dicono tutti, analisti, economisti, Confindustria, sindacati - la cosa fondamentale da fare, soprattutto nelle zone deboli, è rilanciare gli investimenti, quindi avere un credito di imposta per investimenti sarebbe stato un elemento importante e decisivo, che favorirebbe questa spinta. Anche qui si poteva usare lo stesso meccanismo, prevedendo una norma con la stessa impostazione del credito d'imposta per l'occupazione, cioè chiedendo l'autorizzazione alla Commissione europea e nelle more si metterebbe in moto, utilizzando i FAS, un processo per rilanciare gli investimenti nelle zone deboli. Sappiamo che ci sono molte aziende che aspettano questo e che potrebbero mettere in moto - ce l'hanno detto durante le audizioni in Commissione anche le parti sociali - centinaia di milioni di investimenti e quindi dare respiro. Ci avete detto no e avete detto sì all'articolo 2-bis, un'altra norma manifesto.
Con questo articolo si ripristina il credito d'imposta per investimenti ma sostanzialmente lo si vincola - com'era l'impostazione precedente del credito di imposta per l'occupazione - all'autorizzazione della Commissione europea. Sostanzialmente quindi non è operativa, e se non è operativa lo strumento non c'è.
Ho fatto questi due esempi e mi sono soffermato a spiegarli per una ragione molto semplice: il decreto che poteva avere una potenzialità e aprire delle questioni serie è un'altra occasione mancata, un altro modo di governare in maniera incredibile, un altro modo di non affrontare le questioni del nostro Paese. Pensate - se ne occuperanno i miei colleghi con più particolari - alla questione dei lavori pubblici e degli appalti: anziché pensare a rilanciare le opere pubbliche e dare lavoro e occupazione attraverso questa strada, inventate l'unica cosa che il decreto si inventa, con tutti i rischi che ci sono, allargare la soglia entro la quale è possibile affidare lavori con la procedura negoziata senza bando da cinquecentomila euro a un milione di euro, il che apre strade molto inquietanti per cui bisognerà stare molto attenti. La procedura sarà più veloce ma i rischi di procedere senza gara ci sono tutti e tutti ne siamo consapevoli.
Bisognerà però affrontare invece qui le vere questioni aperte, le questioni su cui il CIPE non decide, le opere bloccate. Non si tratta di avere risorse che non ci sono, si tratta di utilizzare le risorse che ci sono e Pag. 59farlo velocemente, in maniera tale che questo dia sviluppo e lavoro. Questa è la scommessa vera, pertanto se si vogliono davvero approvare decreti per lo sviluppo e non decreti spot, annuncio, c'è una grande carta da giocarsi.
Abbiamo affrontato questa battaglia a cuore aperto proprio per questa ragione, non siamo un'opposizione che si rinchiude in se stessa, non siamo un'opposizione che dopo le prove che abbiamo ottenuto nelle amministrative e nel referendum ne trae conclusioni non positive, non costruttive. Vogliamo, accettando la democrazia parlamentare, sicuramente un Governo nuovo e diverso, frutto di questo nuovo clima che c'è in Italia, ma siamo consapevoli che finché governerete voi cercheremo di farvi governare al meglio e non come avete fatto fino ad ora.
Questo è il compito che ci siamo dati e per esso una forza riformista come la nostra si batterà in tutte le occasioni, in quest'Aula e fuori da quest'Aula, perché alcuni provvedimenti arrivino, perché le cose siano fatte per bene e perché, finalmente, l'Italia possa riprendere un cammino di crescita, di sviluppo e di nuovo lavoro. Questo è il cammino che l'Italia merita e non quello a cui l'avete condannata con anni di non Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Comaroli. Ne ha facoltà.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Signor Presidente, ritengo importante fare una premessa, ribadendo la gravità della situazione economica nazionale ed internazionale. Nonostante alcuni indici macroeconomici dimostrino una parziale inversione di rotta, il nostro sistema economico non è ancora uscito dalla crisi: essa ha pesantemente condizionato l'azione di questo Governo, che, purtroppo, ha dovuto affrontarne anche le conseguenze.
Fin dall'autunno del 2008, nei giorni immediatamente successivi al Consiglio Ecofin, il Governo è perciò intervenuto, dando un preciso segnale ai mercati circa la volontà di tutelare i risparmiatori e salvaguardare la stabilità del sistema bancario e finanziario, precostituendo le condizioni normative per gli eventuali interventi pubblici. Ha ampliato gli strumenti a disposizione dello Stato per entrare nei capitali delle banche e garantire, quindi, la possibilità di finanziamenti, subordinando gli interventi alla necessità e alla volontà dei singoli istituti, alla presenza di un preciso programma di stabilizzazione e di rafforzamento e alla vigilanza della Banca d'Italia.
Vista la forte contrazione del reddito disponibile, conseguente alla forte contrazione della domanda internazionale ed interna e alla diminuzione dei livelli di occupazione, il Governo è intervenuto fornendo i necessari mezzi per sostenere la rete degli ammortizzatori sociali. Sono stati creati nuovi istituti, che consentiranno di attivare nuovi programmi di formazione a favore del personale posto in cassa integrazione; è stata anticipata la corresponsione dell'indennità di disoccupazione in un'unica soluzione, che potrebbe favorire la nascita di nuove iniziative imprenditoriali ad opera di chi ha perso il lavoro dipendente. Il tasso di disoccupazione in Italia rimane tra i più bassi in Europa e nell'intero Occidente: Francia (10 per cento), Spagna (19 per cento) e Stati Uniti (9 per cento) sono ben al di sopra del nostro livello.
Parallelamente al rafforzamento della rete degli ammortizzatori sociali, il Governo ha agito anche aumentando il reddito disponibile per le famiglie. Nella fase in cui i tassi di interesse stavano ancora salendo, è intervenuto fissando il tetto del 4 per cento agli interessi variabili per gli acquisti di prima necessità. Sono stati, poi, istituiti la social card e il bonus per il pagamento dell'energia elettrica e del gas, senza tralasciare la moratoria sui mutui, essenziale strumento per garantire di superare gli effetti della perdita del lavoro e l'esenzione totale dell'imposta comunale sugli immobili per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale.
Numerosi sono stati anche gli interventi governativi a favore delle imprese: sono Pag. 60state detassate le prestazioni di lavoro straordinario ed è stata introdotta la detrazione del 10 per cento dall'IRAP e dall'IRE. Per favorire soprattutto le piccole imprese - assi portanti del nostro sistema economico -, è stato posticipato il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto al momento dell'effettivo incasso delle fatture; è stata concessa la rivalutazione degli immobili iscritti a bilancio a fronte del pagamento di un'imposta sostitutiva; è stata introdotta la cosiddetta Tremonti-ter, che ha consentito di riavviare gli investimenti in macchinari da parte delle imprese in alcuni tra i settori industriali più importanti, quali quello automobilistico, tessile e degli elettrodomestici.
La moratoria per i mutui stipulati dalle piccole e medie imprese è stata prorogata all'inizio di quest'anno e si calcola che, fino allo scorso gennaio, abbiano aderito circa 190 mila imprese.
Filone importante e rivoluzionario dell'azione di Governo è stato la riforma del federalismo fiscale, avviata già dopo pochi mesi dal proprio insediamento, con l'approvazione, nel maggio 2009, della legge delega apposita. Il federalismo fiscale costituisce l'unico modo per razionalizzare e controllare in modo efficace una parte vasta della finanza pubblica italiana; per controllo si intende, oltre al nuovo meccanismo di stabilizzazione finanziaria, soprattutto il controllo democratico esercitato dai cittadini sui modelli di governo che sono a loro più prossimi.
È questa l'unica riforma in grado di porre rimedio alla stortura politica ed economica della nostra finanza pubblica; il rapporto democratico fondamentale, no tasse senza rappresentanza, che è presente seppure in varie forme in tutti gli altri Paesi europei, in Italia è stato chiaramente distorto provocando una crescita esponenziale del debito pubblico. A livello locale chi rappresenta e spende non tassa; a livello centrale l'opposto: si tassa ma non si rappresenta per l'intero e non si spende per l'intero, essendo il Governo centrale, in questo ruolo, in vasta parte asimmetricamente sostituito dai governatori regionali e dai sindaci.
Con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, il Governo ha voluto riavviare lo sviluppo del sistema Italia senza però appesantire i conti pubblici avviati verso l'azzeramento del deficit di bilancio. È vero, si potevano fare tante cose con questo decreto-legge, ma non dimentichiamoci le premesse che ho svolto, tutto l'impegno che in questi tre anni il Governo ha fatto.
Questo Governo si è proposto l'obiettivo, fin dal suo insediamento, di coniugare rigore e crescita, individuando due indici cruciali: il debito pubblico e il PIL. Per risolvere il problema della riduzione del debito pubblico, il nodo è stato identificato già da tempo: diminuire il peso dello Stato nell'economia, da tradursi in una diminuzione del livello di spesa pubblica totale, attualmente in flessione ma ancora troppo alta. Inoltre, occorre effettuare una lotta senza quartiere alle politiche di deficit spending utilizzate in passato e che hanno portato all'accumulazione di uno dei più elevati livelli di debito pubblico nello scenario internazionale. Su questa filosofia anche l'opposizione, notoriamente più vicina alle politiche keynesiane, ha dovuto riconoscere che il rigore dei conti diventa un dogma a cui si dovrà guardare nella gestione del bilancio pubblico dei prossimi decenni.
È essenziale inoltre far aumentare il PIL, anche se vi è la consapevolezza che l'azione pubblica rivolta allo sviluppo non può prescindere da un aumento di spesa oppure da un aumento delle entrate; due azioni però che producono effetti negativi sul bilancio. Ecco allora il decreto-legge sullo sviluppo varato dal Governo che si prefigge di diminuire il debito pubblico e di aumentare il PIL.
La prima area di intervento riguarda gli investimenti in ricerca scientifica dov'è previsto un credito di imposta a favore delle imprese che investono in ricerca e innovazione coinvolgendo, mediante finanziamenti, università, enti pubblici di ricerca, centri di ricerca oppure che per lo Pag. 61stesso obiettivo creano delle strutture interne. Il credito di imposta è previsto in via sperimentale per il 2011 e il 2012, fruibile in tre quote di pari ammontare per ogni anno e verrà erogato per l'importo percentuale della parte degli investimenti in ricerca che eccede la media degli investimenti in ricerca effettuati nel triennio 2008-2010.
La seconda area di intervento riguarda le misure per l'incremento dell'occupazione. Anche in questo caso viene previsto un credito di imposta per agevolare le assunzioni nel Mezzogiorno pari a 300 euro mensili per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato nei dodici mesi successivi all'entrata in vigore del decreto-legge. Per le assunzioni a tempo parziale il credito di imposta spetterà in proporzione alle ore prestate rispetto a quelle del contratto nazionale. Per quanto riguarda l'impatto sul bilancio, la copertura del fabbisogno per il triennio 2011-2013 verrà garantita dalle risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale, dal Fondo sociale europeo e dalle risorse del FAS. Le nuove assunzioni generano un nuovo gettito, anche con le aliquote ridotte, quindi per questa politica di stimolo dell'offerta non ci sono problemi di copertura, ed è da supporre che una parte di questi nuovi assunti siano addetti dell'economia sommersa che vengono regolarizzati con beneficio generale.
Altro grosso capitolo di intervento è quello delle opere pubbliche. Fino a prima del decreto si è sempre riscontrata l'eccessiva invadenza delle norme di diritto amministrativo, che dilatano a dismisura i tempi dell'esecuzione delle opere e gli effetti collaterali sul bilancio delle cosiddette opere compensative ovvero quelle non strettamente correlate all'esecuzione del progetto e che vengono realizzate per compensare le amministrazioni locali dai presunti disagi subiti: una prassi tipicamente italiana. Ecco allora che il decreto interviene su due fronti: semplificazione delle norme contenute nel codice dei contratti pubblici e riduzione delle spese relative alle opere di compensazione.
Per quanto riguarda il primo ambito, il testo del decreto-legge prevede una stretta sulle cosiddette offerte anomale previste dall'Unione europea e per le quali vi sarà l'esclusione automatica. Nuovo termine anche per gli espropri, che viene elevato. Via libera anche all'introduzione di nuovi bandi - tipo che le stazioni appaltanti dovranno approvare.
Per quanto riguarda il filone delle opere compensative, invece, cala la scure sull'ammontare erogato dallo Stato, ora fissato al 2 per cento dell'opera. Inoltre, tali opere dovranno essere strettamente connesse con l'opera core: non si potrà più chiedere in cambio della costruzione di una strada o di una ferrovia nuove piste ciclabili, sottopassi, ponti o quant'altro. Se un'opera è ritenuta fondamentale per lo sviluppo del Paese, si farà al costo dell'opera, con lo scopo di velocizzare l'iter di completamento delle opere pubbliche, sia quelle di interesse strategico, sia quelle cosiddette minori, semplificare le procedure di affidamento dei contratti pubblici, realizzare un più efficace sistema di controllo e, infine, ridurre il contenzioso in materia.
La costruzione delle opere pubbliche, infatti, ha sempre rappresentato un importantissimo motore per lo sviluppo del Paese, soprattutto se si tratta di opere di interesse strategico. Anche gli enti locali beneficeranno di queste nuove azioni, dal momento che per semplificare le procedure di affidamento dei contratti di importo di modesta entità si aumenta, da 500 mila a 1 milione di euro, la soglia entro la quale è consentito affidare i lavori con la procedura negoziata senza bando e a cura del responsabile del procedimento, bilanciando la disposizione, tuttavia, con il contestuale aumento a dieci del numero minimo di soggetti che devono essere obbligatoriamente invitati.
Nuove norme anche in relazione all'edilizia privata. Anche in questo caso è prevista la semplificazione dei procedimenti amministrativi per l'esercizio dell'attività edilizia con l'introduzione dell'istituto del silenzio-assenso per il rilascio del permesso di costruire da presentare Pag. 62allo sportello unico e dell'estensione della SCIA ad ambiti precedentemente coperti dalla DIA, nonché il nuovo piano di social housing da 2,7 miliardi di euro previsti per la costruzione di nuovi alloggi. Si tratta di un piano che ricorda, in un certo senso, il piano di edilizia popolare del 1949, quando in Italia, appena uscita dalla guerra, vennero costruite 75 mila abitazioni da assegnare ai lavoratori, con effetti positivi sull'occupazione nel settore edilizio.
Sempre in riferimento all'obiettivo di alleggerire il peso della pubblica amministrazione nei confronti del cittadino, un importante capitolo è riservato all'introduzione dell'illecito disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici che esercitano un eccesso di controllo nei confronti delle imprese. I controlli amministrativi, inoltre, effettuati sotto forma di accesso, dovranno avere una durata massima di 15 giorni all'interno di un trimestre, eccezione fatta per i controlli relativi alla salute, alla giustizia e per quelli volti a prevenire e fronteggiare situazioni di emergenza.
Nel complesso il decreto-legge prosegue sulla via della riforma amministrativa volta alla semplificazione dei procedimenti e alla riduzione dei costi, sia per gli operatori economici che per la pubblica amministrazione, dovuti alle lungaggini burocratiche attualmente esistenti. Un passo importante, in attesa dell'intervento più incisivo ed atteso, è quello della modifica costituzionale dell'articolo sulla libertà di impresa, che dovrà istituzionalizzare il principio secondo il quale le norme amministrative non devono costituire un vincolo ai soggetti che un'impresa vogliono costituire.
Rilevante anche il tetto sulle spese compensative, nonostante questa norma potrà creare delle tensioni fra Stato ed amministrazioni locali che dovranno, d'ora in poi, trovare nel bilancio dell'ente territoriale i fondi per finanziare le opere in precedenza sovvenzionate dall'autorità centrale.
Vi è anche il capitolo delle privatizzazioni, dove rientrava (poi soppressa dagli emendamenti della sinistra) la norma del decreto-legge che consentiva la cessione ai privati, mediante contratti, delle aree demaniali prospicienti ai siti balneari allo scopo di investimenti turistici.
Quando, come attualmente, queste aree sono concesse in affitto, con locazioni che possono non essere rinnovate, le imprese turistiche non sono incentivate a compiere su di esse cospicui investimenti, perché non hanno la certezza della continuità di tali iniziative, né le banche possono avvalersi di questi investimenti come garanzia, perché essi non sono nella piena disponibilità di coloro che li hanno effettuati. Occorre ricordare che tali misure erano volte a superare le osservazioni in materia di concessioni demaniali marittime sollevate dall'Unione europea nei confronti della legislazione italiana.
Questa privatizzazione permetteva al Governo di riscuotere buone rendite per beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali non sempre ben utilizzati, ai privati di fare investimenti razionali e redditizi nel rispetto delle regole paesaggistiche con procedure semplificate e all'economia italiana di giovarsi dello sviluppo turistico che crea occupazione e crescita del prodotto nazionale, utilizzando il nostro «oro verde», cioè le bellezze naturali, i beni culturali, le tradizioni enogastronomiche ed il made in Italy. Tale norma, comunque, troverà probabilmente spazio nella legge comunitaria.
Proseguendo sul capitolo delle liberalizzazioni, auspico la legge sulla casa-bis che si compone di due parti: la riapertura dei termini per permettere alle regioni di legiferare su aumenti di cubature per uso commerciale di immobili esistenti o di rifacimenti. È una legge statale che entra in funzione automaticamente per autorizzare tali liberalizzazioni qualora nel nuovo termine le regioni non abbiano provveduto. Per queste opere è prevista la regola del silenzio-assenso e nelle liberalizzazioni c'è più ampio raggio d'azione.
La semplificazione degli adempimenti amministrativi anche per le piccole e medie imprese e per i cittadini riguarda vari settori: dagli adempimenti in tema di privacy all'utilizzo dei serbatoi di GPL, all'incremento Pag. 63delle modalità telematiche di erogazione di servizi ai cittadini, alle modalità semplificate di rilascio delle autorizzazioni per l'esercizio di trasporto eccezionale su gomma.
Sempre in tema di semplificazione, grazie agli emendamenti della Lega Nord (assorbiti poi da quelli dei relatori) si è posticipato ulteriormente il Sistri, incombenza che molte piccole imprese non sono ancora in grado di affrontare e quindi si è voluto tener conto di questa loro esigenza.
Altro importante tema è quello delle riscossioni dove, anche qui, gli emendamenti dei relatori hanno assorbito diversi emendamenti della Lega Nord, prevedendo altri aggiustamenti delle norme al fine di semplificare, uniformare ed accelerare le procedure di riscossione e le iscrizioni a ruolo delle somme dovute.
In particolare, si è disposta l'introduzione di misure di semplificazione in tema di riscossione di contributi previdenziali risultanti da liquidazioni e controllo e accertamento delle dichiarazioni dei redditi. In relazione al cosiddetto principio del solve et repete, e nel caso in cui ci si trovi in presenza di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi, non si procederà all'esecuzione fino alla decisione del giudice, e comunque per centottanta giorni. Ciò non vale nel caso di azioni cautelari e conservative di ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore.
Per quanto riguarda la sanzione amministrativa del 30 per cento, essa non si applicherà in caso di omesso o tardivo versamento delle somme dovute sulla base degli accertamenti esecutivi. È stato abolito l'obbligo di comunicazione telematica, il cosiddetto spesometro, da parte dei contribuenti per acquisti di importo inferiore a 3 mila euro in caso di pagamento con carte di credito prepagate o bancomat, alleggerimenti per chi ha sulle spalle un mutuo o un debito con il fisco.
Infatti, sempre grazie ad un emendamento dei relatori, che ha assorbito diversi emendamenti, si dà la possibilità di rinegoziare i mutui a tasso interamente variabile stipulati per l'acquisto o la sua ristrutturazione della prima casa, ovvero il valore del mutuo rinegoziabile passa da 150 mila euro a 200 mila euro e l'indicatore ISEE passa da 30 mila a 35 mila euro per famiglia.
Sono previste modifiche anche per i contribuenti che hanno un sospeso con il fisco. Come richiesto da più parti, viene alzata l'asticella per applicare le ipoteche sugli immobili e le ganasce fiscali come mezzi di riscossione. Il tetto sotto il quale non possono essere accese ipoteche sugli immobili o praticati espropri sale da 8 mila a 20 mila euro; il nuovo limite verrà però solo in caso di giudizio pendente, negli altri casi resta di 8 mila euro. Viene imposto ai comuni il limite minimo di 2 mila euro per poter far scattare le ganasce fiscali, cioè il fermo amministrativo del veicolo in caso di «multe» non pagate.
Sempre per ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese, si prevede una serie di semplificazioni anche in relazione alle indagini amministrative: unificazione dei controlli amministrativi in forma di accesso da parte di qualsiasi autorità competente. Gli atti compiuti in violazione di ciò costituiscono per i dipendenti pubblici illecito disciplinare.
Si abolisce per i lavoratori dipendenti e pensionati l'obbligo di comunicare annualmente i dati relativi a detrazioni fiscali per familiari a carico, si aboliscono le comunicazioni dovute all'Agenzia delle entrate in occasione di ristrutturazioni edilizie per cui si usufruisce della detrazione IRPEF del 36 per cento, si dà la possibilità per i contribuenti in regime di contabilità semplificata di dedurre fiscalmente l'intero costo delle singole spese, si esclude l'obbligo per i contribuenti di fornire informazioni che siano già in possesso del fisco e degli enti previdenziali ovvero che da questi possano essere direttamente acquisite da altre amministrazioni, si dà la possibilità di mutare la richiesta per rimborso di imposta fatta dal contribuente in dichiarazione in richiesta di compensazione, si innalzano le soglie per usufruire del regime di contabilità semplificata da 400 mila euro di ricavi per le imprese di Pag. 64servizi a 700 mila euro di ricavi per le altre imprese, si elimina l'obbligo di compilare la cosiddetta scheda carburante in caso di pagamento con carte di credito o di debito prepagate, si abolisce per importi minori l'obbligo di richiesta di ottenere la rateizzazione dei debiti tributari conseguenti al controllo delle dichiarazioni e alla liquidazione dei redditi soggetti a tassazione separata, si innalza a 10 mila euro la soglia dei valori dei beni di impresa per i quali è possibile ricorrere ad attestazione di distruzione mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, si innalza a 300 euro l'importo entro cui possono essere riepilogati in un solo documento le fatture ricevute nel mese, si concentrano in un'unica scadenza i termini entro i quali gli enti pubblici effettuano i versamenti fiscali con il modello F24, si fissa al 10 per cento l'aliquota dovuta per singolo contratto di somministrazione di gas naturale per la combustione a fini civili, si dà la possibilità di rideterminare ai fini fiscali il valore di acquisto dei terreni edificabili e delle partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati, si modifica la disciplina del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese al fine di favorirne l'operatività e assicurarne la continuità e l'autonomia, si revisiona il sistema di tassazione dei fondi immobiliari chiusi.
Sempre grazie ad un emendamento della Lega Nord si è data la possibilità alle famiglie e alle imprese di essere cancellate dalla centrale dei rischi entro cinque giorni dal pagamento del debito. Si tratta di famiglie e imprese che per problemi momentanei economici dovuti alla crisi economica erano finite nella banca dati degli insolventi. Purtroppo non ha trovato spazio l'emendamento «targato» Lega Nord volto ad attribuire un bonus di 40 punti nelle graduatorie agli insegnanti che chiedevano di lavorare nelle scuole delle province di residenza. Inoltre, numerosi sono stati gli emendamenti della Lega Nord sul Patto di stabilità dei comuni, ma purtroppo sono stati dichiarati inammissibili con l'impegno però del Governo che nel prossimo provvedimento verranno inserite norme relative a questo tema, ascoltando le esigenze dei comuni virtuosi.
In conclusione, possiamo dire che il decreto-legge sullo sviluppo è un testo di ampio respiro liberale, si basa infatti su tre principi che sono il cardine della dottrina dell'economia di mercato: privatizzazioni, liberalizzazioni, deregolamentazioni (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, nell'intervenire su questo provvedimento che ha come titolo «Prime disposizioni urgenti per l'economia» (ovvero «decreto sviluppo»), colleghi deputati, per la verità è la prima volta che vedo una siffatta iniziativa. Infatti, in vita mia non ho mai visto recarsi al mercato una signora per andare a fare la spesa senza il borsellino. Infatti, immagino che senza soldi non si può fare la spesa, non si può comprare, non si può fare nulla. Anzi, come si dice a Napoli, «senza soldi non si cantano messe». Quindi, prevedere un provvedimento legislativo che debba servire per il rilancio della nostra economia, per la ripresa delle aziende, per mettere in moto i consumi, insomma per fare rialzare questo Paese, a costo zero, cioè senza mettere mano alla tasca, caro Governo, mi sembra davvero una cosa semplicemente ridicola, se non inutile.
Quindi, le prime cose che mi vengono in mente sono i cosiddetti distretti turistico-alberghieri che ora non si chiamano più così, ma solo distretti turistici. A fronte di questa iniziativa c'era una copertura che veniva data dai diritti di superficie. Una volta eliminata questa parte, cioè gli introiti (che non ci saranno più essendo stati eliminati), non c'è più copertura per questi distretti turistici. Ergo è solo una propaganda, uno spot, una norma manifesto, ma sicuramente non servirà affatto per rilanciare il turismo e mi riferisco soprattutto al Mezzogiorno d'Italia, che potrebbe e dovrebbe campare solo di turismo per le sue belle coste, per Pag. 65i suoi punti archeologici, per le sue architetture, per i suoi pezzi storici. Insomma, il sud d'Italia dovrebbe essere la California d'Europa, dove venire a svernare e a trascorrere i loro tempi migliori più sereni più accoglienti da tutta Europa e da tutto il mondo per i siti fantastici che possediamo nel Mezzogiorno d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Questa doveva essere la vera industria sulla quale poteva investire un Governo che però avesse in testa qualcosa per questo Paese, un Premier che pensasse alle sorti di questo Paese. Allora sì che avrebbe visto questa fonte interminabile di ricchezza che può determinare il turismo, specialmente al sud in città come Napoli, Palermo, Reggio Calabria, la fantastica Puglia, i sassi di Matera in Basilicata. Insomma, è una inenarrabile lista di posti fantastici dove il turismo è già vivente per quello che già è. In altri posti inventano in modo artificiale le attrazioni, i momenti di accoglienza per i turisti, perché non hanno nulla.
Vedo che in questo periodo zone belle, come Rimini e Riccione, sono già piene zeppe di turisti. La riviera è tutta piena, mentre giù al sud mi capita di vedere, lungo il Cilento e sul salernitano che pure ha dei posti favolosi, che non ci sono tanti turisti. Questo è il più grande spreco e la grande occasione mancata di questo Governo, perché sul turismo bisognava investire tutto. Era quella la grande industria che avrebbe potuto dare tanto lavoro e avrebbe potuto consentire a tanti giovani di continuare a vivere, a lavorare, a produrre e a creare ricchezza nelle loro regioni meridionali. Tuttavia così non è, perché qui c'è la solita norma manifesto, con i distretti turistici e le zone a burocrazia zero che avete rilevato da un precedente intervento legislativo che si riferiva solo al Sud. Ora, invece, investite tutti i distretti turistici d'Italia con questa norma che, però, è una norma che non serve a nulla, perché questi distretti turistici non decolleranno mai e men che mai - addirittura così come avete previsto - con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Dove sono le autonomie dei comuni e delle regioni, che devono avere delle risorse ed investire nelle loro realtà? Vi è, invece, una sempre maggiore centralizzazione. Insomma, in capo al Presidente del Consiglio spetta l'emanazione di decreti per far sviluppare questa attività. Ma così, cari amici, non funziona, perché non serve proprio a nulla quello che state facendo. Non serve a nulla soprattutto per una ragione, perché la vera burocrazia zero, o meglio, la vera sburocratizzazione che si dovrebbe fare in questo Paese è la sburocratizzazione dalla illegalità e dalla criminalità organizzata (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Ma a me sembra che questo Parlamento non ci senta da questo orecchio, perché proprio stamattina abbiamo visto come la maggioranza di questo Parlamento ha consentito di bloccare il lavoro svolto dalla procura e dai magistrati di Napoli in ordine a una richiesta di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche a carico dell'onorevole Landolfi. Vorrei sapere per quale ragione viene impedito e bloccato il lavoro delle procure e dei magistrati quando si toccano politici, parlamentari o uomini di Governo. A questo punto scatta la casta e questo è avvenuto anche stamattina, per l'ennesima volta, quando avete fatto muro e avete favorito il deputato Landolfi, andando contro il lavoro svolto dai magistrati di Napoli perché non bisogna far processare i politici e i parlamentari.
Non va bene così, non esiste, perché continuate a portare avanti un principio secondo il quale la legge non è uguale per tutti. Stamattina in questo Parlamento, ancora una volta, avete consentito che la legge non fosse uguale per tutti, perché avete consentito ad un deputato di farla franca e di bypassare, fregare e svuotare il lavoro svolto dalla magistratura napoletana, alla quale va tutto il mio plauso e miei complimenti, insieme al plauso dell'Italia dei Valori. Noi vogliamo che vi sia Pag. 66una legge uguale per tutti e speriamo tanto che per l'altro episodio, che pure è avvenuto oggi e che riguarda la P4, che è stata scoperta sempre dalla procura di Napoli, non si verifichi una situazione analoga a quella che è già avvenuta stamattina per Landolfi, ossia che per l'onorevole Papa vi sia - anche per lui - una sorta di blindatura e non si consenta di far luce e di far andare avanti i processi.
Signori parlamentari, soprattutto del centrodestra, ci si difende nei processi e non scappando dai processi e rifugiandosi in questo Parlamento perché questo Parlamento sta diventando il refugium peccatorum. Qui vedo capannelli di parlamentari: questa mattina leggevo anche sulle agenzie di stampa che questi parlamentari inquisiti si sono riuniti qui davanti, nel cortile della Camera. Ho visto sei o sette parlamentari inquisiti del Popolo della libertà - per alcuni è stata emessa una richiesta di arresto, altri sono sotto processo per rapporti con la camorra - ed io stavo chiamando il 113, ma poi ho pensato che forse qui in Parlamento non possono entrare i carabinieri e quindi non fosse il caso di chiamarli. Tuttavia, non è giusto che ci si rifugi qui in Parlamento perché in Parlamento dovremmo fare cose che servono al nostro Paese, leggi che servono alla nostra economia...

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, stia attento alle cose che dice.

FRANCESCO BARBATO. Dovremmo approvare delle leggi che servono a rilanciare lo sviluppo del nostro Paese. Per rilanciare l'economia c'è la necessità di norme che aumentino la trasparenza e la buona amministrazione. Proprio il dottor Brienza, a nome dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, in un'audizione in Commissione finanze, ha detto qualche settimana fa che c'è addirittura la possibilità di bypassare le norme antimafia, soprattutto con l'avvalimento dei requisiti da parte di una società, che utilizza i requisiti di un'altra società per poter partecipare ad alcune gare. Se un'impresa non ha determinati requisiti è ovvio che non debba fare ricorso ad altre imprese per dotarsi di quei requisiti perché con questa modalità sostanzialmente «bypassa» quei limiti che da sola non è riuscita a superare.
Dobbiamo soffermarci anche su un altro aspetto a proposito degli appalti, che riguarda più segnatamente i subappalti: non so se questo Parlamento e il Governo Berlusconi siano a conoscenza della continua crescita nei subappalti di imprese extracomunitarie o cinesi. Non so se questo Parlamento e questo Governo siano a conoscenza del fatto che, per esempio, in Valle d'Aosta vi sia stata un'impennata forte di subappalti affidati ad imprese extracomunitarie o cinesi. Una ragione c'è: purtroppo conosciamo bene, per una serie di inchieste sulla Chinatown condotte ad esempio dalle procure di Firenze e di Prato, che c'erano lavoratori cinesi che dormivano negli scatoloni e che lavoravano dodici o tredici ore al giorno. Siamo a conoscenza delle condizioni disumane derivanti da questi contratti e rapporti di lavoro, che naturalmente determinano più profitti per le imprese perché le imprese risparmiano sul valore umano, sull'essere umano e sul lavoro. Per questa ragione, è ovvio che queste imprese extracomunitarie o cinesi, che hanno questo tipo di performance imprenditoriale, vadano più facilmente a conquistarsi fette di mercato, che prima invece andavano in capo tutte - e mi riferisco ai subappalti - a piccole e medie imprese italiane. Con queste, lavoravano moltissimo le pubbliche amministrazioni italiane, soprattutto per gli appalti pubblici con gli enti locali, mentre ora per questo fenomeno c'è una risacca, cioè un rientro. Le imprese italiane lavorano sempre meno nei subappalti e vanno avanti le imprese cinesi o extracomunitarie per le ragioni delle quali parlavo.
Ebbene, di questo non si parla affatto, così come non sono stati presi in considerazione gli emendamenti dell'Italia dei Valori, con i quali noi, per una maggiore trasparenza nel settore degli appalti, vi avevamo suggerito - prendendo spunto da quanto affermato dal procuratore nazionale antimafia - la tracciabilità dei flussi Pag. 67finanziari e soprattutto la necessità di accendere conti correnti dedicati sia per le entrate che per le uscite, in modo da sapere da dove venivano e a chi andavano i soldi anche quando, ad esempio, pagavano i subappaltatori.
Ebbene, continuate a far finta di non capire, perché probabilmente volete questo tipo di economia. Continuate a volere un'economia malata, troppo spesso anche criminale. Su questo tema più avanti vi daremo ulteriori dettagli, come sempre puntualmente facciamo noi dell'Italia dei Valori, che parliamo con cognizione di causa, con fatti e con dati precisi, perché noi vogliamo un'altra Italia, quella che è venuta fuori dopo il referendum di domenica e lunedì scorsi, quando 27 milioni di italiani hanno detto basta a questa Italia marcia, corrotta, fatta di cricche. Vorremmo invece un Paese dove sia possibile avere un'industria sana, invece in questo Paese l'industria più ricca e più potente sta diventando - ahinoi - l'industria dei giochi, con un fatturato di 61 miliardi di euro nel 2010. È un'altra scorciatoia del Governo Berlusconi, perché è il modo più semplice per far cassa, perché preleva in questo modo 9 miliardi di euro. Malgrado ci sia questa grossa entrata, sono da segnalare due aliquote diverse, perché nel diagramma che ha fornito la Corte dei conti essa ci dice che, nonostante ci sia una crescita sempre più esponenziale nella raccolta giochi dal 2000 al 2010, mentre nel 2010 le entrate per lo Stato erano di circa il 30,3 per cento, nel 2009 le entrate calcolate sulla raccolta giochi è stata del 14,7 per cento, cioè cresce la raccolta dei giochi mentre diminuisce la percentuale di entrate erariali nelle tasche dello Stato. È abbastanza singolare tutto ciò, è abbastanza strano. Ciò perché, purtroppo, c'è una politica e c'è un Governo che chiude un occhio, anzi tutti e due gli occhi, e consente delle attività illegali. Sul settore dei giochi e scommesse, come avevamo anche annunciato in sede di Commissioni riunite finanze e bilancio, l'Italia dei Valori farà un forcing ancora maggiore fin dalla prossima settimana, anche in considerazione di quanto sta avvenendo in questi giorni, con le partite truccate, la serie A, il calcio. Insomma, sembra davvero un grande verminaio, su cui la politica non può mettere mano, perché troppe volte è complice, tante volte riceve anche finanziamenti, prende soldi. Per questa ragione forse sta facendo crescere l'industria dei giochi e trasforma sempre di più l'Italia in un Paese di giocatori, in un Paese dove c'è la grande industria dei giochi, mentre l'Italia, il secondo esportatore al mondo per prodotti che avevamo noi, con la nostra industria manifatturiera, perde sempre più quote di mercato. Il Governo preferisce far cassa con i giochi e permette addirittura che in Italia svolgano queste attività delle società estere legate alla criminalità organizzata, i cui titolari sono addirittura destinatari di mandati di arresto internazionali. Negli Stati Uniti d'America il procuratore di New York per alcune di queste società ha adottato provvedimenti restrittivi, dei mandati di arresto internazionali. Ebbene, queste società hanno carta bianca in Italia, fanno quello che vogliono, anzi fanno cassa, fanno soldi. Addirittura molte di loro non sono neanche autorizzate, per cui non pagano neanche le tasse.
Insomma, è una vera vergogna; è una vergogna che siamo in un Paese dove i cittadini sono in serie difficoltà e invece qui continuiamo a far fare la voce grossa ai potenti, ai prepotenti, ai corrotti, alle cricche, agli affaristi. Bisogna mettere un punto, perché, diversamente, se continua ancora così - ve lo stiamo dicendo da tanto tempo - gli italiani e le italiane che non ne possono più di questo Governo verranno davvero qui a prendervi con i forconi.
Vi prenderanno con i forconi e noi saremo insieme a quella gente, perché intendiamo stare sempre a fianco dei cittadini. Infatti, con noi la piazza è nel palazzo, è qui. Noi qui continuiamo a portare avanti le loro ragioni, i loro diritti. Chiamatele proteste, se volete: noi siamo qui a raccontarle, ma soprattutto a darvi delle indicazioni alternative su come si debba fare per evitare che i ricchi, i Pag. 68potenti e i prepotenti facciano il comodo loro e i cittadini normali, invece, stiano sempre peggio.
Non è possibile che in un provvedimento come quello di oggi vi sia addirittura una sorta di sanatoria per le patenti nautiche. Vorrei chiedervi, alla Di Pietro, ma cosa c'azzecca, all'articolo 3, questa nuova normativa per la nautica da diporto, per cui, al comma 7-sexies, addirittura, prevedete che coloro che hanno le patenti nautiche revocate, entrata in vigore la presente norma - che, ripeto, vorrebbe incrementare lo sviluppo e la ripresa economica di questo Paese - possono chiedere che venga rivista la propria posizione e riavere la patente nautica.
Ma è mai possibile che non perdete occasione per favorire i furbetti, per fare questa robetta così di bassa lega? Che c'entra, che c'azzecca la sanatoria per le patenti nautiche con un provvedimento che dovrebbe servire all'economia, alle piccole e medie imprese, ai lavoratori, al rilancio del nostro Paese? Insomma, siete sempre fuori tema, siete fuori traccia. È questa la ragione per la quale noi dell'Italia dei Valori vi diciamo che prima andate a casa e meglio starà questo Paese, perché finalmente può venire qualcuno che si dedichi ai problemi veri degli italiani, alle questioni che interessano la vita, la salute e l'economia degli italiani e delle italiane.
Invece, stiamo sempre così, a fare provvedimenti manifesto, spot pubblicitari. Stasera in televisione si dirà che il Governo, il Parlamento sta discutendo sul decreto sviluppo. Ma a chi serve questo decreto sviluppo? Chi rilancia? Chi rimette in moto? Non serve a nulla un provvedimento a investimenti zero, che non prevede nulla per la nostra economia.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROCCO BUTTIGLIONE (ore 17,30)

FRANCESCO BARBATO. Allora, per il momento, concludo questo mio intervento e lo concludo con la presidenza del Vicepresidente Buttiglione, consentendo la sostituzione del Vicepresidente Lupi. Abbassiamo i toni giusto per la venuta del nuovo Presidente, che è più moderato rispetto al Vicepresidente Lupi.
Come Italia dei Valori, anche in questa occasione, vi diciamo che state sbagliando, perché non state facendo nulla per gli italiani e per le italiane. Questo decreto sviluppo è un decreto-legge che non consente la ripresa dell'economia nel nostro Paese, ma purtroppo e paradossalmente fa sviluppare, invece, un'economia criminale, su cui in seguito vi daremo maggiori dettagli, soprattutto per una ragione: non vogliamo che il nostro Paese diventi come i Paesi offshore, dove vi sono economie incontrollabili, dove è possibile tutto e il contrario di tutto.
Non vogliamo questa Italia, noi vogliamo un'Italia sana, pulita, bella. Noi vogliamo il nostro bel Paese. Per questo lavora l'Italia dei Valori e per questo continueremo ad impegnarci nel Parlamento e nella piazza di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cera. Ne ha facoltà.

ANGELO CERA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nello svolgere questo mio intervento, e prima ancora di entrare nel merito del provvedimento, vorrei sottolineare il fatto che non ricordo, a memoria, nella storia del nostro Parlamento, un parere del Comitato per la legislazione di circa quindici pagine. Questo voglio dirlo perché, come è stato già rimarcato da altri colleghi dell'opposizione, sia sul piano delle procedure parlamentari di formazione delle leggi, sia sul piano dei rapporti tra le fonti primarie del diritto e le fonti subordinate, sia sul piano della corretta formulazione di singole disposizioni, e mi fermo qui, contiene tanti e tali rilievi che ne avrebbero consigliato una riscrittura completa. Purtroppo, si tratta di un modo di legiferare sbagliato e recidivo mentre, come ha osservato il professor De Marco, la chiarezza della lingua del legislatore è, allo stesso tempo, l'indicatore ed il presupposto dello sviluppo di un Pag. 69Paese. In pratica, ci dice che senza chiarezza non vi è sviluppo e, per un Paese che tenta faticosamente di uscire dal tunnel della crisi in cui si trova, non mi sembra un buon viatico.
Detto questo, e passando all'esame del testo, non mi sembra che le cose siano migliori. Si tratta, difatti, di un provvedimento che vorrebbe fare ripartire il Paese senza metterci un euro. Un'operazione ardita e velleitaria, ma destinata all'ennesimo flop di un Governo in pieno declino e delegittimato da due consecutive batoste elettorali. L'esempio più lampante è la riproposizione del credito di imposta per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato nelle regioni del Mezzogiorno nei dodici mesi successivi all'entrata in vigore del decreto in esame, da utilizzare in compensazione entro tre anni dalla data di assunzione, senza prevedere una copertura finanziaria, perché inquadrata nell'ambito della definizione, a livello europeo, della fiscalità di vantaggio per le regioni del Mezzogiorno.
Se queste sono le misure per il Sud, allora rivendichiamo, come gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo, con forza, l'avere voluto introdurre, in coerenza con il Patto Europlus del 24-25 marzo 2011, l'adozione di strumenti specifici per promuovere la produttività delle regioni in ritardo di sviluppo e con il Piano per il sud, una novella al testo volta a riattivare il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno di cui alla legge n. 296 del 2006 attraverso le risorse dei Fondi strutturali europei e del relativo cofinanziamento nazionale destinati al finanziamento di programmi operativi nazionali e regionali dell'obiettivo convergenza.
Ovviamente si tratta di una norma che necessita del consenso da parte della Commissione europea, in quanto ricorre alle disponibilità del Fondo europeo di sviluppo regionale, il FERS, rimandando tutto alla definizione di un accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, trattandosi di materia in cui le decisioni devono essere frutto di una leale collaborazione tra i livelli istituzionali ma, forse, se saremo bravi a Bruxelles, potremmo incassare uno strumento formidabile per il nostro Mezzogiorno.
Ho premesso che le misure previste, oltre ad essere confuse e disorganiche, non potranno garantire la crescita e la ripresa economica del nostro Paese e finiranno in alcuni casi per creare contenziosi e complicazioni per gli operatori economici. La sbandierata, quanto attesa scossa all'economia non potrà confidare in questo provvedimento, che non solo non dispone di risorse finanziarie aggiuntive per la crescita, ma non abbozza neanche un progetto complessivo per la ripresa economica. Non si tratta di una valutazione dettata da pregiudizi, perché riteniamo primario interesse fornire delle misure di sostegno vere all'economia, che non deve aspettarsi, come già preannunciato nella prossima manovra economica, solo sacrifici e tagli di spesa. Le nostre sono valutazioni di un partito di opposizione responsabile che aveva, infatti, accolto favorevolmente alcune disposizioni del decreto-legge, quale quella relativa al credito d'imposta per le attività finalizzate alla ricerca scientifica, alla semplificazione burocratica, allo snellimento delle autorizzazioni e alla riduzione degli oneri per le piccole e medie imprese. Ritenevamo e riteniamo tuttora che quelle misure necessitassero di correzioni, puntualmente disattese dalla maggioranza e dal Governo.
Dicevo che le nostre valutazioni guardano principalmente all'Europa, alle raccomandazioni della Commissione europea, che ci ha ricordato come nell'ultimo decennio l'Italia sia cresciuta meno dell'1 per cento, assai meno di altri Paesi europei, e come persiste tuttora una carenza di riforme strutturali e di un vero piano di liberalizzazioni, senza mancare di sottolineare come il nostro Paese utilizzi solo il 17 per cento del Fondo di coesione, con una media del 7 per cento nelle regioni meridionali. Le colpe di questa maggioranza e di questo Governo risiedono proprio nell'aver volutamente sottovalutato gli effetti dell'impatto della crisi finanziaria sulla nostra economia, sperando in un aggancio a qualche locomotiva europea o Pag. 70extraeuropea o a qualche altro santo e senza avviare riforme strutturali. Altro che Semestre Europeo! Ci attende un anno di ulteriori sacrifici. A questo punto bisogna veramente rivolgersi a tutti i santi del paradiso. Si salvi chi può! Sarà sempre più difficile superare questo momento di annunziato stallo dell'economia. Invece, cari colleghi, cari amici e uomini del Governo, ci voleva uno slancio diverso. Noi dell'Unione di Centro non apparteniamo certo al partito della spesa pubblica.
Siamo una forza politica responsabile, ma abbiamo sempre detto che vi sono misure ad impatto zero, dal punto di vista della tenuta dei conti pubblici, come le liberalizzazioni, che avrebbero determinato effetti positivi per la crescita economica del nostro Paese. Su alcuni specifici aspetti del decreto-legge, inoltre, dobbiamo dire che sono emerse forti preoccupazioni dalle associazioni di categoria, come per quello che concerne la norma in materia di contratti bancari contenuta nell'articolo 8 ed in parte attenuata, o come tutta la normativa relativa ai contratti pubblici che, peraltro, avrebbe necessitato di un esame più accurato e separato, pur riconoscendo l'esigenza di porre mano ad una organica revisione del quadro normativo vigente, al fine di conseguire gli obiettivi della semplificazione normativa, dell'accelerazione dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche e della riduzione dell'enorme contenzioso esistente tra imprese e pubblica amministrazione. Stessa cosa dicasi per la riedizione del Piano casa, destinato a non sortire gli effetti desiderati perché crediamo che le norme che introducono il silenzio-assenso per il rilascio del permesso di costruire siano totalmente illusorie ed inefficaci e che il termine di centoventi giorni assegnato alle regioni per adeguare la legislazione regionale a quella statale determinerà un contenzioso gravoso e oneroso per la pubblica amministrazione e per le imprese.
Per finire, cari colleghi, con la norma, poi stralciata, in materia di demanio. Come ha già sottolineato in maniera chiara il collega Ciccanti, rimandare il problema delle concessioni balneari alle leggi comunitarie è come nascondere la polvere sotto il tappeto. Si è smascherato l'inganno elettorale propinato a danno dei concessionari. Avevamo proposto una modifica che difendeva le piccole imprese familiari impegnate in un settore senza più regole e senza più prospettive, anche se tra i più strategici per il nostro turismo e la nostra economia e nel quale sono impegnate circa 30 mila imprese. Ma la soluzione al problema è stata ancora eliminata e con essa la possibilità, per queste piccole aziende familiari, di vedersi riconosciuta almeno una compensazione per gli investimenti effettuati finora.
Onorevoli colleghi, la Camera approverà a breve, probabilmente con la fiducia, questo provvedimento, che necessitava di maggiore attenzione e di una maggiore collaborazione con le opposizioni, visto il particolare momento congiunturale in cui cadeva, mentre già si annunciava l'emanazione di una manovra estiva fatta di nuovi tagli. È stata persa - lo ripeto - l'ennesima occasione ed è per questo che esprimiamo il nostro giudizio negativo sul provvedimento e le forti perplessità ed i timori per il futuro del nostro caro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, questo decreto-legge rappresenta e certifica lo stato di crisi e di inadeguatezza, il fallimento di questa maggioranza. Lo certifica nel titolo, nelle modalità con cui si sono svolti i lavori delle Commissioni bilancio e finanze e, soprattutto, nei contenuti. Il titolo: «Semestre europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia», è stato venduto mediaticamente come decreto-legge sviluppo. Sono mesi che la maggioranza afferma che, avendo tenuto i conti in regola, adesso è maturato il tempo delle misure per lo sviluppo, ma non si è mai di fronte ad un disegno Pag. 71compiuto di cosa si intenda fare e dei tempi con cui si intende realizzare i vari pezzi del mosaico.
Siamo sempre di fronte a misure estemporanee, parziali, affastellate in modo sbrigativo, che a volte fanno più danni che dare soluzioni ai problemi, di cui a volte si annuncia già mentre si stanno approvando che in seguito verranno modificate e poi comunque - dice il Governo - si tratta di prime misure a cui ne seguiranno altre. Siamo cioè ancora in una condizione di assenza di politiche per la crescita e lo sviluppo...

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Marchi, volevo salutare alcuni ospiti che sono qui con noi oggi: il signor Daniel Ayalon, Viceministro degli esteri di Israele; la signora Orly Levy, vicepresidente della Knesset e la signora Fania Kirschenbaum, capogruppo del partito Israel Beiteinu. Benvenuti, noi siamo amici del popolo di Israele. Grazie della visita. Prego, onorevole Marchi, continui il suo intervento.

MAINO MARCHI. Siamo cioè ancora in una condizione di assenza di politiche per la crescita e lo sviluppo senza un disegno e senza un'idea di dove si vuole andare. Il Parlamento ha approvato la proposta di Programma nazionale di riforma da inviare all'Unione europea all'interno del Documento di economia e finanza ma il PNR non è quel disegno a cui facevo riferimento. Guarda al 2020 e l'Italia ha bisogno subito di politiche per la crescita e ancora di più di fronte all'esigenza di manovre da 40 miliardi per ridurre il debito pubblico: esigenza che dimostra come i nostri conti poi non siano così in ordine come si vuol far credere.
Ieri abbiamo raggiunto il record assoluto del debito pubblico. Se fossero queste manovre solo di finanza pubblica, cioè tagli di spesa e maggiori entrate, sarebbero depressive e non si risolverebbe nemmeno il problema del debito pubblico. Senza crescita sostenuta non si paga il debito. Lo dimostra anche la Grecia. Con il PIL che continua a calare in quel Paese il problema del debito si aggrava. l'Italia non è così: siamo in crescita ma la più bassa d'Europa con il rapporto debito-PIL più alto dopo la Grecia. Quindi è essenziale la crescita. E qui invece il Governo passa da fasi e giorni in cui annuncia che tutto è fatto, poi annuncia che arriva la scossa che invece non arriva (semmai la prende il Governo) e poi che c'è il decreto-legge sviluppo ma subito dopo che è solo l'antipasto di altre misure. Si naviga a vista in stato confusionale. Una maggioranza raffazzonata con campagne d'acquisto vergognose in Parlamento che non è più maggioranza nel Paese e non è in grado di governare.
Il Paese boccia le sue politiche e boccia la sua azione di Governo locale e nazionale. Qui si vivacchia mentre la situazione del Paese avrebbe bisogno di un'azione di Governo forte e all'altezza delle sfide. La conduzione dei lavori parlamentari è la dimostrazione palese dello stato di crisi, anzitutto all'interno della maggioranza perché non è più in grado di avere un rapporto con le istanze e le esigenze del Paese. Questo stato di crisi si riverbera nel lavoro parlamentare. Si rinuncia in partenza al confronto in Aula. Si sa già dall'inizio che qui si svolgerà soltanto la discussione sulle linee generali poiché, prima di passare all'esame degli emendamenti, il Governo porrà la questione di fiducia. È ormai la prassi di questa legislatura sin qui motivata con il mettere la fiducia su un testo uscito dal lavoro di Commissione. Come dire lì c'è il vero confronto. Ma ormai non è più così. L'unico confronto avviene in sedi separate tra i componenti della maggioranza, tra la maggioranza e il Governo anche perché gli emendamenti di maggioranza erano in questo caso più di quelli delle opposizioni. Nelle sedi formali si fa melina e si fa passare il tempo senza un vero confronto, in parte perché la maggioranza ha numeri risicati e quando si vota spesso si verifica un pareggio, in parte perché la maggioranza non si mette d'accordo con se stessa.
Il decreto-legge è del 13 maggio e il 6 giugno sono scaduti i termini per la presentazione degli emendamenti in Commissione. Pag. 72Le sedute del 7-8-9 e poi del 13 e 14 giugno sono trascorse senza avere mai un'idea delle reali intenzioni della maggioranza che si sono manifestate completamente solo ieri sera intorno alle 21 con un pacchetto di oltre cento emendamenti su cui la maggioranza ha imposto il voto subito e unico su tutto il pacchetto.
Alle opposizioni tutte non è rimasta se non la scelta di non partecipare al voto, considerato che due voti con pareggio si sono avuti nelle sedute tutte comprese del 13 e 14 e solo un altro voto su un subemendamento. Poi appunto si è preteso di chiudere tutto con un solo voto su un pacchetto di cui non si aveva avuto il tempo di conoscere puntualmente il contenuto.
È evidente che in queste condizioni, con giorni passati ad accantonare questioni ed emendamenti senza confronto e risposte vere ai temi posti, con riformulazioni apparse solo negli ultimi minuti, non si può parlare di un lavoro di Commissione vero per l'esame del decreto e degli emendamenti. È quasi incredibile che i relatori abbiano presentato questo lavoro di Commissione come un lavoro normale, quasi condiviso, quando le opposizioni sono state costrette ad una scelta compiuta ben poche volte, quasi mai.
Non è però solo questione di forma e di percorsi: è anche e soprattutto questione di contenuti. Vi sono nel decreto-legge in esame le misure di cui ha bisogno il Paese per la crescita e lo sviluppo? Ad avviso del Partito Democratico no, e lo voglio argomentare non partendo dalla critica al decreto, ma da ciò che secondo il Partito Democratico, partito di Governo momentaneamente all'opposizione - sempre più momentaneamente, come ricorda spesso il segretario Pierluigi Bersani -, sarebbe necessario fare nell'immediato.
Dieci punti: parto da quelli di cui non vi è traccia nel provvedimento in esame. Una questione riguarda l'energia. Il popolo italiano ha detto chiaramente - più della metà degli aventi diritto al voto, quindi in una misura che non lascia spazio a discussioni - che non vuole il nucleare. Ciò non significa attendere l'evoluzione degli eventi: l'Italia ha bisogno di accelerare sul piano dell'efficienza, del risparmio energetico e dello sviluppo delle fonti rinnovabili per darsi un vero piano energetico. Su questo occorre una svolta. Il Governo ha peggiorato gli interventi sull'efficienza energetica del Governo Prodi e ha messo le imprese in una condizione di incertezza, creando problemi per gli investimenti sul versante delle rinnovabili. Le detrazioni fiscali del 55 per cento per gli interventi sull'efficienza energetica degli edifici hanno permesso di creare lavoro e occupazione e di favorire l'attività delle imprese, tra l'altro in un settore, quello dell'edilizia, tra i più colpiti dalla crisi. Ha messo in moto ben più interventi questa misura del cosiddetto Piano casa, che non ha nulla del Piano casa Fanfani. Anche in Lombardia il confronto è stato tra centinaia di migliaia di interventi con il 55 per cento e centinaia e basta con il Piano casa.
Il Governo, pur affermando nel PNR la positività della misura, più volte si è presentato con la finanziaria o la legge di stabilità senza rifinanziare la norma del Governo Prodi, rifinanziamento che si è alla fine ottenuto per la pressione dei cittadini, delle imprese e delle opposizioni, ma peggiorando la norma: da detrazione fiscale da ripartire in tre anni si è passati prima a cinque anni e con legge di stabilità 2011 a 10 anni.
Per agevolare le innovazioni, il risparmio energetico, l'attività delle imprese e l'occupazione il Partito Democratico propone il ripristino dell'utilizzabilità in tre anni della detrazione d'imposta del 55 per cento per le spese di ristrutturazione edilizia ecocompatibili e la proroga delle agevolazioni almeno per un triennio. Proponiamo anche di introdurre incentivi per motori ad alta efficienza energetica e per gli inverter. Per lo sviluppo e la crescita un problema fondamentale è quello del potere d'acquisto delle famiglie. È un problema che poniamo dall'inizio della legislatura e in particolare dall'inizio della crisi. La ripresa non può essere tirata solo dalle esportazioni. Deve esserci anche una ripresa dei consumi e della domanda interna. Pag. 73Le famiglie devono avere più disponibilità vere: non consumano con gli spot, anzi, si stanno già mangiando parte dei risparmi. Lo Stato può intervenire con la riduzione delle tasse sui redditi medio-bassi. Occorrerebbe farlo senza aspettare una completa riforma fiscale e non penalizzando i consumi con l'aumento dell'IVA, ma facendo pagare di più le rendite finanziarie. In ogni caso va almeno evitato che questo potere d'acquisto si riduca per effetto delle maggiori tasse a seguito dell'inflazione, che già riduce di per sé il potere d'acquisto.
È il caso dei carburanti: si può intervenire per eliminare la «cresta» che lo Stato fa su questo aumento dei prezzi, e si può fare a beneficio delle famiglie e delle imprese senza bisogno di nuove leggi, ma dando attuazione, con provvedimenti amministrativi, ad una legge esistente. Mi riferisco alla legge finanziaria per il 2008 del Governo Prodi, che consente, attraverso un semplice decreto ministeriale, di ridurre le accise sui carburanti in presenza di significativi aumenti dei prezzi dei prodotti petroliferi oltre le previsioni contenute nei documenti di finanza pubblica, come nella situazione attuale.
La riduzione delle accise non necessita di copertura ai fini degli effetti sul bilancio dello Stato, perché si compensa con il maggiore ed imprevisto gettito IVA determinato dall'innalzamento dei prezzi dei prodotti petroliferi. Invece di fare questo, il Governo ha, addirittura, ulteriormente aumentato le accise per finanziare il ripristino di parte degli stanziamenti ridotti dai tagli sulla cultura.
Proponiamo, inoltre, la rimodulazione dell'accisa sui consumi di elettricità delle imprese per correggere la distorsione a danno delle micro e piccole imprese. Per la crescita e lo sviluppo, vi è bisogno di liberalizzare i mercati, tutelare i consumatori, favorire la mobilità sociale e la concorrenza.
Queste misure, negli ultimi quindici anni, sono state portate avanti solo dal centrosinistra: non vi è alcuna liberalizzazione intestabile al centrodestra. Non si dica quella dei servizi pubblici locali bocciata dal referendum, perché quella era una privatizzazione, non una liberalizzazione.
Il Partito Democratico ha presentato nuove proposte in questo senso. In particolare, propone sui servizi professionali, la riduzione dei vincoli all'accesso, all'esercizio e al riconoscimento delle libere associazioni nelle professioni non ordinistiche; per la distribuzione dei farmaci, la vendita libera di tutti i medicinali a carico di cittadini e la facoltà per le farmacie di stabilire un orario di apertura superiore al minimo; per la filiera petrolifera, la libertà di approvvigionamento ai punti di vendita e la rimozione dei vincoli al commercio all'ingrosso e alla distribuzione dei carburanti; per la distribuzione di energia, la separazione dell'operatore della rete di trasporto del gas naturale e degli stoccaggi dell'ENI; per i servizi bancari, l'estensione delle misure di portabilità gratuita dei mutui a tutti i servizi, l'abolizione delle clausole di massimo scoperto e altre commissioni analoghe nei conti correnti, la libertà di scelta della polizza collegata al mutuo, l'incompatibilità dei titolari di cariche nei consigli di amministrazione delle banche per cariche in imprese concorrenti; per le polizze RC-auto, l'eliminazione del tacito rinnovo e il sostegno ai gruppi d'acquisto tra utenti; per i trasporti, l'istituzione di un'autorità indipendente; per la class action, la semplificazione all'accesso; per i conflitti d'interesse, l'estensione delle incompatibilità degli incarichi nelle autorità indipendenti.
Di tutto questo, non vi è alcuna traccia nei provvedimenti né nelle politiche del Governo. Nel decreto-legge in oggetto si parla di semplificazione del fisco. Una semplificazione degli adempimenti per le imprese che il Partito Democratico propone da tempo, e che non è presente in questo né in altri provvedimenti, è l'innalzamento dei limiti di fatturato per l'utilizzo della flat tax al 20 per cento - cioè del «forfettone» fiscale - sul reddito di cassa per i contribuenti minimi, in sostituzione di IRPEF, IRAP, IVA e studi di settore. Pag. 74
Non abbiamo potuto trasformare tutte queste proposte in emendamenti al provvedimento in oggetto perché sarebbero state dichiarate inammissibili per estraneità di materia; tuttavia, sono misure e proposte, a nostro avviso, indispensabili per lo sviluppo e, per questo motivo, ho voluto richiamarle.
Vi è un altro aspetto non contenuto nel provvedimento in discussione, con riferimento al quale gli stessi relatori hanno presentato un emendamento - l'8.194, dichiarato inammissibile - a nostro avviso, importante: si tratta della regolazione dei pagamenti delle transazioni commerciali tra imprese, in coerenza con la direttiva 2011/7/UE. Ovviamente, è necessario affrontare anche il tema dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione, ma è indubbio che il rapporto tra privati vada meglio regolato, perché anche questo è un aspetto che pone problemi di liquidità alle imprese.
Vi sono, inoltre, temi affrontati nel decreto-legge, in nessun caso, in modo soddisfacente, in diversi casi, in modo sbagliato. Vorrei partire dal credito d'imposta sulla ricerca. Nel Programma nazionale di riforma (PNR) ci siamo dati un obiettivo, per il 2020, di molto al di sotto di quello previsto dall'Unione europea, che è del 3 per cento, con riferimento alla spesa per la ricerca, sul PIL. Il nostro Paese è molto al di sotto della media europea attuale: bisogna fare di più. L'Unione europea, con riferimento al PNR presentato, ci raccomanda di migliorare la cornice regolamentare relativa agli investimenti privati in ricerca e sviluppo, estendendo i vigenti incentivi fiscali e incoraggiando le forme di capital venture.
Il Governo Prodi aveva approvato una misura di credito di imposta per la ricerca che è stata, nei fatti, abrogata dall'attuale Governo; prima ridotta nelle risorse, poi modificata nelle modalità con il «click day», e poi non rifinanziata, si sono messi solo 100 milioni di euro nel 2011, nella legge di stabilità, e con questo decreto-legge se ne utilizzano, per il 2011, ancora meno, solo 55 milioni di euro; tale misura riguarda solo la ricerca fatta con le università, ma non è chiaro se è stata creata per incentivare la ricerca universitaria, pagata dalle imprese, o per incentivare la ricerca industriale delle imprese. Questa è molto peggio delle precedenti misure, ma il Ministro Tremonti non si è lasciato sfuggire l'occasione per il solito spot con trucco, annunciando che si sarebbe finanziato il 90 per cento delle spese. A decreto-legge emanato si è scoperto che è il 90 per cento dell'incremento rispetto alla media del triennio scorso, calcolato, questo incremento previsto, nella misura del 15 per cento e cioè, di fatto, è il 13,5 per cento e non il 90 per cento. Tutto questo con evidenti distorsioni, perché chi già faceva ricerca non otterrà nulla se continua a farla nella stessa misura e chi non faceva nulla può ottenere il 90 per cento se la fa; non c'è continuità negli anni in misura adeguata, è un pasticcio.
Il Partito Democratico vi ha offerto, con gli emendamenti, quattro alternative: una con aumento di spesa utilizzando i fondi FAS, con un ritorno pieno alla misura del Governo Prodi in riferimento a ricerca delle imprese, non solo attraverso le università, e con un credito riferito a tutta la spesa, riducendo invece la misura del credito al 10 per cento. Altre due ipotesi, a parità di spesa, riguardavano l'eliminazione dell'incrementale, mantenendo l'esclusività dell'università e quindi il 13,5 per cento e non il 90 per cento, cioè la realtà e non lo spot, oppure mantenendo l'incrementale, ma su tutta la ricerca. Infine un emendamento minimale: chiarire che è ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo eliminando la discrezionalità dei ministri su ulteriori enti ammessi. Voi avete fatto finta di accogliere l'ultima proposta ma l'avete riformulata eliminando il chiarimento sulla ricerca industriale e mantenendo la discrezionalità dei ministri con un parere parlamentare. Questo non è il nostro emendamento, non è l'emendamento Baretta, è un vostro emendamento a questo punto.
Altro tema fondamentale è il Mezzogiorno. A nostro avviso serve ripristinare le misure per l'occupazione previste dalle finanziarie del Governo Prodi e del credito Pag. 75di imposta per gli investimenti, sempre previsto dal Governo Prodi. Tutte misure già autorizzate dalla Commissione europea. Nel decreto-legge non c'era nulla sugli investimenti e per l'occupazione c'è una griglia di condizioni per cui sembrano più misure per situazioni sociali critiche che per l'occupazione nel suo complesso; in particolare quello che servirebbe soprattutto è stimolare l'occupazione giovanile e femminile.
C'è poi bisogno dell'autorizzazione europea, solo grazie ad un emendamento del Partito Democratico vi è la possibilità di rendere immediatamente operativa la misura, evitando l'ennesimo «provvedimento per finta», l'annuncio senza effetto alcuno per i cittadini. Vi è stato anche un parziale recupero del credito di imposta per gli investimenti, ma è solo programmatico, avrà bisogno di intese con le regioni, dell'autorizzazione europea e avrà un tetto di spesa. Non è in sostanza la cosiddetta Visco sud e non entrerà in vigore con i tempi che sarebbero necessari.
Nel decreto-legge vi sono misure relative al settore turistico balneare che si sono dovute stralciare o modificare. Su questo aspetto il Partito Democratico ha presentato le sue proposte e ne parleranno altri colleghi del nostro gruppo.
Questo provvedimento prevede misure sul fisco e sulle riscossioni, anche questi aspetti hanno avuto bisogno di profonde modifiche anche per adeguarsi alla discussione parlamentare già avvenuta in quest'Aula recentemente, lascio ad altri colleghi del gruppo questa materia su cui abbiamo presentato diverse proposte per evitare l'aggravamento della situazione e la chiusura di decine di micro e piccole imprese a causa dei debiti nei confronti di Equitalia. Desidero sottolineare però che vi è certamente un'esigenza di coordinare e semplificare i controlli, non bisogna vessare le imprese ma nemmeno i controllori. Tutto ciò considerando che siamo un Paese con un'altissima evasione fiscale, con un livello alto di economia sommersa, in nero, con il riciclaggio che arriva al 10 per cento del PIL, secondo Bankitalia, rispetto ad una media mondiale del 5 per cento e con un giro di affari delle mafie calcolato pari al 10 per cento del PIL.
Infine, vi sono tre questioni, entrate in questo decreto-legge, che sarebbe meglio stralciare completamente. Il Partito Democratico non nega che vi sia la necessità di una riforma del codice degli appalti pubblici, anzi, la propone, per eliminare le gare al massimo ribasso ed innalzare il limite per la procedura negoziata, ma nel quadro di misure per la pubblicità dei bandi ex ante ed ex post da parte delle stazioni appaltanti, così da garantire trasparenza e promuovere rotazione e concorrenza tra le imprese, per eliminare il tetto alle riserve e per la drastica riduzione e la qualificazione delle stazioni appaltanti.
L'esigenza vi è, ma va affrontata con un provvedimento ad hoc, non con un articolo di un decreto-legge che concerne varie materie. È materia molto delicata e va affrontata unitariamente, non a volte per gli aspetti relativi alla lotta alla criminalità mafiosa, a volte per gli aspetti di semplificazione ed efficienza e a volte per esigenze di altri comparti della pubblica amministrazione. È una questione su cui passano vari aspetti relativi alla corruzione, che ha un costo elevatissimo per questo Paese e che va affrontata unitariamente, che non può essere affrontata con un articolo di un decreto-legge con emendamenti presentati alle ore 21 e su cui andavano presentati subemendamenti entro le 9 del mattino seguente.
L'unica cosa seria è lo stralcio, dando priorità all'esame di un provvedimento ad hoc. Allo stesso modo non si può fare la riforma dell'urbanistica con un articolo di un decreto-legge, in modo centralistico ed invadendo competenze regionali. È inutile parlare di federalismo e praticare su ogni cosa il centralismo, oltre ad essere, nei fatti, un federalismo di tagli e di aumento delle tasse. Ma gli italiani se ne sono accorti e lo hanno dimostrato con il voto.
Anche l'articolo 5, così come l'articolo 4 sugli appalti, andrebbe stralciato e, infine, andrebbero stralciati i commi da 11 a 27 dell'articolo 10, che concernono l'Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse Pag. 76idriche. Il referendum ha abrogato la legge che regola la gestione dei servizi idrici su cui dovrebbe vigilare l'Agenzia. A questo punto andrebbe approvata una nuova legge su tutta la materia, organi di regolazione compresi.
Come Partito Democratico pensiamo vi sia la necessità non di un'agenzia, ma di un'authority. È del tutto incomprensibile fare una norma inutile per poi doverci rimettere mano all'interno un provvedimento più complessivo. Questa norma poteva avere un senso prima del referendum - anche se l'avevate fatto per evitare di dire che era inutile il referendum -, oggi non ha più alcun senso. Essa è la dimostrazione dell'insensibilità della maggioranza rispetto alla volontà democraticamente espressa dagli elettori.
Alla fine abbiamo un decreto-legge che non contiene molto di quello che servirebbe al Paese e su ciò che contiene varie cose andrebbero eliminate e altre qualificate. Si tratta dell'ennesimo provvedimento a vuoto di un Governo e di una maggioranza al capolinea, che prima si decideranno a prenderne atto e meglio sarà per il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Toto, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, vi è un detto popolare che dice che le nozze con i fichi secchi non si fanno, mentre questo Governo ci prova, quasi sempre. Nei provvedimenti che prende non mette risorse a disposizione. Peraltro, ha cambiato anche strategia: prima le metteva e poi le toglieva, perché nel frattempo emanava un altro decreto e, non avendole, le toglieva dal precedente, mentre adesso non le mette proprio.
Come diceva il collega Barbato nel suo intervento appassionato: con il borsellino vuoto non si compra nulla, però si può vendere fumo, e il Governo lo sta facendo con questo provvedimento privo di ogni disponibilità finanziaria.
È, quindi, un provvedimento-manifesto.
Stamane, signor Presidente, ho letto - credo che anche lei ne sarà rimasto colpito - la notizia apparsa su parecchi quotidiani che dice che 611 mila famiglie detengono, da sole, 896 miliardi di patrimonio finanziario, molto di più di quanto sia il debito pubblico detenuto da risparmiatori istituzionali e privati esteri del debito italiano. Queste 611 mila famiglie, pari al 3 per cento delle famiglie italiane, rappresentano lo spaccato di questo Paese: la grande ricchezza, da una parte, e la grande povertà dall'altra, sempre crescente.
In questo 3 per cento ci sono famiglie per bene, che sicuramente hanno risparmiato questi grandi patrimoni o magari li hanno anche ereditati, e ci sono famiglie poco perbene. Le ha ampiamente descritte ancora una volta il collega Barbato e allora, qual è il freno che blocca questo Governo?
Il Ministro Tremonti dice giustamente che la riduzione della pressione fiscale oggi non si può fare perché non ci sono risorse e chiede ai propri colleghi ministri e al suo Presidente del Consiglio di trovare 40 miliardi (più 40 che sono quelli che servono per mettere i conti in ordine). Domanda: ma non erano già in ordine i conti? Perché bisogna trovare altri 40-45 miliardi? Perché evidentemente era una bufala quella che fossero in ordine, tant'è che lo ha scoperto la Commissione europea che ha detto che entro il mese di ottobre è meglio mettere nero su bianco dove il Governo andrà a prendere gli altri 40-45 miliardi per arrivare al pareggio di bilancio, come prescrive il Trattato (rivisto e corretto) di Maastricht o, meglio, di Lisbona.
Quindi il 50 per cento degli italiani - aggiungeva ancora questa notizia - non risparmia più. Allora qual è, signor Ministro, questo grosso differenziale che lei ha sempre così decantato, che il popolo italiano è un popolo di risparmiatori? Era un popolo di risparmiatori, ma adesso è una nicchia, una parte sulla quale credo sia doveroso che lei, signor Ministro dell'economia che non c'è, qui rappresentato Pag. 77da due sottosegretari, dovrebbe intervenire per chiedere che faccia uno sforzo aggiuntivo per la ripresa di questo Paese.
Ecco perché diciamo ancora una volta, e non per la prima volta, che occorre mettere una tassa o adeguare la tassazione sulle rendite finanziarie, almeno al livello di quello che la media dei Paesi europei fanno. Invece, questo coraggio non ce l'avete e mettete quotidianamente le mani in tasca a quelli che di quattrini ne hanno sempre meno o che non ne hanno proprio più.
Signor Presidente, lei sa, come sa anche il Governo, che il 7 giugno (quindi qualche giorno fa) sono arrivate delle raccomandazioni, ma questa volta non è una «parolaccia». Non sono quelle che si usano tanto in Italia per raccomandare figli, nipoti, fratelli, cugini, amici ed elettori, ma sono le raccomandazioni che arrivano dalla Commissione europea sul Programma nazionale di riforma e sul Programma di stabilità che l'Italia ha mandato all'Europa il 23 e 24 marzo.
Su queste raccomandazioni si pronuncerà il Consiglio europeo fra qualche giorno. Il dispositivo che accompagna questa raccomandazione chiede all'Italia di assumere nel periodo 2011 (che è già passato per il 50 per cento) e 2012 (quindi nei prossimi 18 mesi) misure riconducibili a sei ambiti.
Vogliamo vedere un attimo queste misure perché entrano tutte, o meglio avrebbero dovuto entrare tutte, dentro il decreto-legge definito aulicamente per lo sviluppo e invece non ce n'è una, non c'è nessuna raccomandazione che sia stata oggetto di presa in seria considerazione e di trasformazione in atto o provvedimento dentro questo decreto-legge cosiddetto sviluppo. La prima raccomandazione è dare attuazione al piano di consolidamento delle finanze pubbliche, dice testualmente la Commissione europea, al fine di assicurare la correzione del disavanzo eccessivo, in tal senso si raccomanda di utilizzare ogni risorsa imprevista sul fronte della politica di bilancio per accelerare la riduzione del disavanzo e del debito e di avviare il conseguimento degli obiettivi relativi al 2013-2014, cioè al pareggio di bilancio. Ciò - l'ho detto prima - entro ottobre 2011.
Ma non ci avevano raccontato che tutto era in ordine, che si sarebbe fatta semplicemente della ordinaria amministrazione? Non era amministrazione, ma manutenzione, manutenzione ordinaria dei conti. Presidente, quando si parla di manutenzione io sono fermo a quella edilizia, si parla di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento della struttura, ma è la prima volta che sento parlare di «manutenzione dei conti». Adesso però ci si accorge della reale situazione, o meglio ce l'ha ricordato la Commissione europea, e quindi siamo in attesa di capire dove si va a prendere per i due anni, per i 18 mesi, che devono essere indicati entro ottobre in modo preciso e approvati, dove si va ad incidere. Davvero la sfida sarà grande - me lo auguro - dentro questo Parlamento. E che non si ricorra all'ennesimo decreto-legge per poi porre su questo la questione di fiducia. Volete il confronto? Si deve fare il confronto soprattutto dopo quanto è successo in questo ultimo fine settimana, perché la gente è davvero stufa e davvero ne ha le scatole piene - mi si permetta - di come questa politica, questo Governo sta portando avanti il Paese.
La seconda cosa che chiede e che raccomanda l'Unione europea è di ridurre la frammentazione del mercato del lavoro apportando modifiche a taluni ambiti della legislazione relativi alla protezione dei lavoratori, riformando in maniera organica il sistema di tutela contro la disoccupazione. Ci sono proposte di disegni di legge delle - plurale - opposizioni che vanno esattamente in questa direzione. Vi manca il coraggio, non sapete dove andare a parare!
In terzo luogo, far progredire in consultazione con le parti sociali - tutte le parti sociali, non escludendo qualcuna come avete fatto con alcune forze sindacali - il progetto di riforma avviato nel 2009 del contratto collettivo di lavoro. Pag. 78Anche ciò è fermo, non si sa bene in quale parte del Parlamento e in quale Commissione.
In quarto luogo, aprire il settore dei servizi, in particolare quello delle professioni, ad una maggiore competizione, adottando nel corso del 2011 la legge sulla concorrenza. In tal caso abbiamo davvero toccato il top perché di concorrenza in questo Parlamento se n'è parlato in mozioni, in ordini del giorno, ma in nessun provvedimento, anzi più volte abbiamo sollecitato che si metta mano davvero ad una legge sulla concorrenza; le intenzioni e i pronunciamenti a favore ci sono stati ma di atti concreti non si è vista proprio traccia. Ecco perché quindi questa maggioranza, che dice di essere liberale, ma di fatto è ultraliberista ma monopolista, non favorisce la concorrenza, non favorisce le liberalizzazioni, vuole semplicemente liberalizzare a favore di qualcuno, poche famiglie vicine al potere.
Occorre, quindi, aprire l'accesso delle piccole e medie industrie al mercato dei capitali e, anche a questo proposito, ci sono proposte delle opposizioni e dell'Italia dei Valori su come favorire l'accesso al credito alle piccole e medie industrie. Ne cito una in particolare perché - se mi permette, signor Presidente - sono io il primo firmatario. Abbiamo la possibilità di garantire attraverso la Cassa depositi e prestiti le pubbliche amministrazioni che possono anticipare i debiti che hanno nei confronti delle piccole e medie industrie locali per le quali hanno ordinato e avuto servizi o appalti e che attendono da mesi, forse da anni, di avere quanto loro dovuto. Si potrebbe procedere in questa direzione, creando un fondo dal quale attingere presso la Cassa depositi e prestiti, che poi si rivale nei confronti delle amministrazioni quando queste potranno liberare le loro risorse alleggerendo il patto di stabilità interno.
In quinto luogo, occorre migliorare la cornice regolamentare relativa agli investimenti privati di ricerca e di sviluppo. Qualcuno potrebbe dire che almeno di questo c'è traccia nel decreto-legge al nostro esame. In effetti, è vero. Lo vedremo poi dopo: all'articolo 1 c'è un credito di imposta per chi investe a favore della ricerca effettuata dalle università, da istituti di ricerca pubblici italiani. Anche a questo proposito ci sarà parecchio da dire.
In sesto ed ultimo luogo occorre accelerare le procedure di cofinanziamento della politica di coesione, al fine di incrementare il tasso di assorbimento dei fondi europei e migliorare la loro qualità di impiego. Noi sappiamo tutti che la percentuale - specialmente in alcune regioni - di utilizzo dei fondi europei è molto, molto bassa e sapete anche che purtroppo l'Italia (il nostro Paese) dovrà restituire, se entro il 2013 non verranno utilizzate, quelle risorse messe a disposizione dall'Unione europea per quei progetti per i quali è stato chiesto il finanziamento: a quella scadenza le risorse dovranno essere restituite e verranno ridistribuite a quei Paesi che, invece, hanno già utilizzato e meglio le risorse comunitarie.
A conclusione di questa lettura delle raccomandazioni della Commissione europea, auspicabilmente gli Stati membri - dice espressamente il dispositivo - sorveglieranno l'attuazione delle raccomandazioni. Quindi, quei sei punti che ho elencato, entro il 2012 dovranno essere attuati e l'Unione europea (la Commissione) vigilerà sul nostro operato. Il Governo ha preso l'impegno di modificare la Costituzione per rafforzare la disciplina di bilancio, cioè di trasformare in un vincolo costituzionale il tetto del debito a livello stabilito dall'Unione europea, cioè al 60 per cento del PIL previsto dal nuovo patto di stabilità «Euro plus».
Il Ministro in Parlamento in V Commissione (Bilancio) si è permesso, ha anticipato che avrebbe provveduto a predisporre un disegno di legge costituzionale di revisione dell'articolo 81 della Costituzione. Ha preso questo impegno il 29 marzo. Credo che siano passati un po' di giorni da quella data. Non c'è traccia, quindi non si capisce se erano parole vuote anche quelle oppure se presto vedremo l'impegno tradotto in realtà. Anticipo - lo dico e alcuni colleghi già lo sanno - che esiste in Parlamento una Pag. 79proposta di legge di riforma dell'articolo 81 della Costituzione di iniziativa del gruppo dell'Italia dei Valori.
Signor Presidente, adesso mi permetterà di citare anche un altro recente documento, tratto dalla sintesi del Rapporto annuale 2010 dell'ISTAT. A pagina 6 di questo rapporto si legge testualmente: «Nel decennio 2001-2010 l'Italia ha realizzato la peggiore performance produttiva tra tutti i Paesi dell'Unione europea, con un tasso medio annuo di aumento del PIL di appena lo 0,2 per cento, a fronte dell'1,1 per cento rilevato per l'area euro». Qualcuno dirà: «Avete governato anche voi». È vero. Dal 2001 a oggi il centrosinistra ha governato per due anni. Ma andate a vedere nel diagramma qual è stato l'incremento del PIL in quei due anni del Governo Prodi rispetto alla crescita - o alla decrescita, perché c'è stato anche questo - negli otto anni su dieci del Governo del centrodestra.
Prosegue ancora il Rapporto affermando «che durante la crisi del 2009 Italia e Germania hanno subito la maggior caduta del PIL tra i grandi Paesi. Ma mentre l'economia tedesca ha recuperato già gran parte del reddito perduto, l'Italia presenta ancora un forte divario rispetto ai livelli precedenti precrisi. L'insoddisfacente dinamica del prodotto è il risultato di una debolezza, sia nella domanda interna sia in quella esterna netta. L'andamento dei consumi delle famiglie è stato condizionato dal calo del potere di acquisto, diminuito del 3,1 per cento nel 2009 e ancora dello 0,6 per cento nel corso del 2010. Per salvaguardare i livelli di spesa le famiglie italiane hanno dato luogo ad una progressiva erosione del risparmio» - quello che dicevo prima - «sceso al livello più basso tra tutte le altre grandi economie della zona euro». Quindi, non abbiamo neanche questa riserva di risparmio privato a cui si richiama spesso e volentieri, come dicevo prima, il Ministro Tremonti. «Ciononostante, nel 2010 i consumi privati in volume» - sebbene il risparmio sia diminuito e, quindi, si sia attinto dal risparmio - «sono risultati ancora inferiori dell'1,7 per cento rispetto al 2007, specialmente nei beni durevoli. È proseguita la contrazione degli investimenti in costruzioni, diminuiti di oltre il 5 per cento negli ultimi sei trimestri».
Ora, di fronte ad un quadro così ci si aspettava, come ricordava prima il collega Marchi, che non vi fosse questa pochezza di decreto-legge che stiamo esaminando ma che, in contemporanea ad un'individuazione precisa di manovra finanziaria che metta per davvero i conti in ordine, si individuassero da una parte quali fossero le risorse e i capitoli di spesa sui quali incidere e, dall'altra, a quale capitolo destinare le risorse per avviare per davvero una crescita di sviluppo, come recita semplicemente il titolo di questo decreto-legge.
Mentre, però, avveniva tutto questo - e cioè che le nostre famiglie perdessero capacità di spesa, lavoro e risparmio - si potrebbe dire che almeno abbiamo tenuto a bada il debito pubblico. Invece no. È già stato detto ed è proprio di ieri la notizia ufficiale da parte della Banca d'Italia secondo la quale il debito pubblico italiano ha raggiunto i 1.890 miliardi. Volete sapere a quanto ammontava - ma lo sanno i colleghi presenti - detto debito al 31 dicembre 2007? A 1.625 miliardi. Quindi, in tre anni questo debito è cresciuto di poco meno di 300 miliardi di euro, quasi cento miliardi all'anno.
Tutto questo è avvenuto quando non c'era una grossa inflazione né un alto costo del denaro - perché il tasso d'interesse applicato dalla Banca centrale europea non è mai stato così basso - in un Paese in cui non c'era un crollo delle banche da salvare, come invece in Irlanda, in Germania, in Francia, in Spagna e in Belgio, quindi nelle migliori condizioni, pur nella grande crisi generale; ciononostante il nostro debito è cresciuto a dismisura, in cifra assoluta e percentuale. Il Ministro ci rintuzza quando diciamo che il debito è aumentato anche in cifra percentuale. Per certi versi ha ragione: calando il denominatore, ossia il PIL, è ovvio che il numeratore, ossia il debito, aumenti in percentuale. Questo è vero, ma è passato dal 105 al 120 per cento. Pag. 80
Signori, il Governo di centrosinistra, il tanto vituperato Governo Prodi, lo aveva lasciato al 105 per cento, quindi questa crescita sconsiderata è frutto della vostra non politica economica. Per converso, gli investimenti stanno a zero, come dicevo prima. Ora, tuttavia, siamo obbligati al pareggio di bilancio: senza sacrificare la spesa in conto capitale, oltre a quanto già previsto nello scenario tendenziale e senza aumentare le entrate: la spesa primaria corrente - dice il Governatore della Banca d'Italia nelle considerazioni finali all'assemblea della Banca d'Italia tenutasi il 31 maggio - dovrà però ancora contrarsi di oltre il cinque per cento in termini reali, tornando in rapporto al PIL allo stesso livello dell'inizio dello scorso decennio, ossia del 2001, quando si concludeva il Governo di centrosinistra di quel quinquennio.
Così, il Governatore della Banca d'Italia, nelle sue considerazioni, aggiungeva ancora: «Per ridurre la spesa in modo permanente e credibile non è consigliabile procedere a tagli unitari di tutte le voci». Ho già sentito questa affermazione, l'abbiamo pronunziata più volte noi deputati e senatori dell'opposizione: i tagli lineari, messi in campo dal Ministro dell'economia e delle finanze in questi anni hanno prodotto solo disastri. Abbiamo dimostrato prima quanto non abbiano contenuto il debito e quanto invece abbiano ridotto alcuni grandi settori di intervento pubblico sul lastrico. Abbiamo ricordato i tagli alla sicurezza, alla scuola, all'università, al lavoro: questi sono i bei regali che ci avete fatto. Dice il Governatore che, per ridurre la spesa in modo permanente e credibile, non è consigliabile procedere a tagli uniformi di tutte le voci: una manovra di tal genere inciderebbe sulla già debole ripresa dell'economia, fino a sottrarre circa due punti di PIL in tre anni.
Pertanto, occorre un accordo, articolazione della manovra, basato sull'esame di fondo del bilancio degli enti pubblici, voce per voce, esattamente quello che il compianto Ministro dell'economia e delle finanze del secondo Governo Prodi, Padoa Schioppa, ha attivato in quei brevi due anni: la spending review, consistente nell'incidere dove c'è ancora grasso - e ce n'è ancora di sperpero di denaro - incidere soprattutto sull'evasione fiscale, che ha raggiunto livelli iperbolici: 400 miliardi di imponibile evaso, 120 o 130 miliardi di imposta evasa, incidere - come citava prima ancora il collega - sul lavoro sommerso, sul lavoro nero, sulla corruzione. Vi è ancora molto grasso in questo Paese: bisogna avere il coraggio, la forza e la volontà di andarlo a trovare e toccare quelle rendite di cui parlavo in apertura.
Dall'avvio della ripresa, nell'estate di due anni fa, l'economia italiana ha recuperato soltanto due dei sette punti percentuali di prodotto perso nella crisi.
Nel primo trimestre di quest'anno il ritmo dell'espansione è stata appena appena positivo. Nel corso dei dieci anni passati, il prodotto interno lordo è aumentato meno del 3 per cento, a fronte del 12 per cento in Francia e del 19 per cento in Germania. Quindi, il sistema produttivo italiano perde competitività. Se questo è vero, ed è purtroppo vero, questo provvedimento, che ricordo ancora una volta concerne iniziative per lo sviluppo, avrebbe dovuto incidere lì, cioè favorire la competitività del sistema produttivo italiano. Le dinamiche retributive da noi sono modeste, la domanda interna ne risente, le retribuzioni reali dei lavoratori sono rimaste pressoché ferme nel decennio, con un aumento del 9 per cento. I consumi reali delle famiglie, come abbiamo detto prima, sono davvero fermi al palo. Questo è il quadro che ci troviamo di fronte, ma credo che a Bruxelles di questo siano bene informati, tant'è che ci hanno preso in parola e ci obbligano per l'appunto a prendere seri provvedimenti. Ma anche i mercati ci hanno preso sul serio: apprendendo la notizia dei provvedimenti per il contenimento del disavanzo ed il pareggio di bilancio entro il 2014, i mercati finanziari hanno reagito immediatamente. Sto parlando di qualche giorno fa, quando il differenziale tra i bund tedeschi e i titoli di Stato italiani a breve è di nuovo aumentato di alcune decine di punti. A dirlo - lo dico ai due colleghi della Lega Pag. 81Nord presenti - non è Renato Cambursano, ma il Ministro Bossi, il quale dice testualmente: dovremmo stare molto attenti - sentite bene - perché non dobbiamo tenere conto solo dell'Europa, contano anche i grandi mercati, quindi bisogna essere cauti. Dei tagli fiscali l'Unione europea non parla. L'unica cosa su cui Bruxelles chiede impegni è il rientro dal debito e il contenimento del deficit, ma sappiamo che questo potrebbe anche non bastare. Quella cifra indicata potrebbe anche non bastare, nel caso ci fossero meno entrate del previsto, cosa molto probabile, o non tutti i tagli dovessero risultare raggiunti, altrettanto probabile. In questo contesto, ecco il nostro provvedimento, cosiddetto di sviluppo, in cui mi sarei aspettato alcuni segnali forti nella direzione indicata dal Governatore della Banca d'Italia, invece nulla, nulla a proposito di riforme strutturali per promuovere la crescita, di riforme delle istituzioni economiche, di nuove regole di funzionamento dei mercati, che non comprimano la crescita economica agendo su innovazione, sviluppo del capitale umano e allocazione efficiente di risorse, di liberalizzazioni, di cui ho già detto, vere e non fittizie. L'apertura del mercato, la progressiva riduzione dei vincoli al suo funzionamento e la rimozione delle barriere all'entrata avrebbero lo scopo di agire non solo sui livelli, ma anche sui tassi di crescita della produttività, incentivando l'innovazione.

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, la prego di concludere.

RENATO CAMBURSANO. Concludo, signor Presidente, ovviamente avrei tantissime cose ancora da dire, ma concludo dando un giudizio complessivo su questo provvedimento: vi sono norme eterogenee, molte delle quali non hanno nemmeno i requisiti di necessità e urgenza - lo ricordava già qualche collega prima - visto che rinviano a norme attuative non immediate, misure senza spesa - gli unici soldi derivano da una sorta di condono relativo alla rivalutazione delle partecipazioni azionarie non quotate degli immobili - norme complicate e burocratiche. Con questo provvedimento non ci sarà crescita, non ci sarà sviluppo, ci sarà ulteriore decrescita e ulteriore povertà in questo Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sanga. Ne ha facoltà.

GIOVANNI SANGA. Signor Presidente, è alquanto difficile comprendere il dibattito interno alla maggioranza e nel Governo sul tema del rilancio dell'economia, della crescita e dello sviluppo. È tutto un susseguirsi di proclami, dichiarazioni, promesse, senza un'analisi realistica, seria, approfondita, compiuta, che possa dire agli italiani qual è lo stato della situazione e quali sono i provvedimenti conseguenti che si devono assumere.
Certo, oggi le cose si sono ulteriormente complicate. Dopo mesi in cui eravamo abituati a sentire di scosse e frustrate, oggi nel vocabolario prevalente si parla, invece, di sberle. Questo Governo ormai è in uno stato di grande affanno, per non dire confusionale. È un Governo bocciato sulla politica energetica, sulla politica giudiziaria, sulla politica relativa alla gestione dei servizi strategici, e, dopo l'esito di questi referendum, il Governo non è più in condizione e fa fatica a riprendersi.
Quello che esaminiamo oggi è uno dei tanti decreti sviluppo di cui si è parlato nel corso di questa legislatura. Dei precedenti non vi è più traccia, non ci si ricorda nemmeno della loro entrata in vigore, e già stiamo riscontrando, nel dibattito in Commissione, nell'ambito del confronto politico, che è stato raccolto anche nel dibattito dello scorso fine settimana, che altri saranno, nelle prossime settimane, nei prossimi giorni, i provvedimenti finalizzati allo sviluppo e al rilancio dell'economia.
Del resto, signor Presidente, questo è un decreto-legge emanato dal Governo nel bel mezzo di una campagna elettorale, a inizio maggio. Era, nelle intenzioni, uno strumento destinato ad interferire con i risultati elettorali dei rinnovi amministrativi delle scorse settimane, e lo si vede, si Pag. 82vede dal testo che è stato presentato. Si tratta di un decreto-legge fatto in fretta, nel tentativo di raccogliere qualche voto in più, con l'ennesimo proclama, annuncio ad effetto mediatico. Ma non è andata così!
In realtà, questo provvedimento - lo sappiamo - è un provvedimento senza risorse aggiuntive, un provvedimento di corto respiro. Non si intravede alcuna strategia per lo sviluppo, per la crescita del PIL e per la ripresa dell'occupazione.
Non vi è, non dico un'idea forte, ma almeno un'idea che dovrebbe caratterizzarlo. La buona parte di questo decreto-legge riprende, del resto, la linea del Governo Prodi della passata legislatura, come per il credito d'imposta per la ricerca e le assunzioni al sud, la possibilità di rinegoziare i mutui, la questione dei precari nella scuola. Manca proprio il coraggio e, come dice il buon Manzoni, il coraggio uno, se non ce l'ha, non se lo può dare. Per poi aggiungere, successivamente, che «la sua mente è tarata su un metro soltanto, quello della pelle da salvare».
L'attualità di questo passo mi sembra oggi molto evidente. Noi del Partito Democratico saremmo stati pronti a raccogliere e a lavorare con intensità su un decreto-legge in grado di aiutare il Paese ad uscire da queste difficoltà. Avremmo avuto, magari, anche l'ambizione di contribuire a migliorarlo, a scriverne un pezzo insieme, ma, ancora una volta - forse questa è l'ultima - l'occasione è stata persa.
Ed è così, purtroppo, di fronte ad un'economia italiana che non cresce, ad un prodotto interno lordo pro capite del 2010 che è uguale a quello del 2000, ad un Paese bloccato sulla mobilità sociale, con un costo del lavoro che continua ad aumentare, tenendo, però, gli stipendi bassi, e con una produttività che non decolla.
Di fronte a tutto questo, assistiamo alla propaganda dell'aspirina: sì, con un'aspirina si può forse pensare di curare una malattia seria, grave. Le non scelte della politica, purtroppo, immobilizzano le imprese italiane, non le aiutano a reagire alle difficoltà del tempo e non consentono loro di esprimere potenzialità, frenando, invece, il loro dinamismo e la voglia di rischiare.
Occorre, invece, promuovere un contesto che aiuti le nostre aziende e il sistema Paese ad uscire dalle difficoltà, ad avere fiducia nelle nostre istituzioni e in chi le governa e le rappresenta, a generare circoli virtuosi, a guardare al futuro con la certezza che vi è una condivisione di progetto che ti accompagna e ti sorregge.
Pensiamo soltanto a cosa significa per le nostre imprese stare sui mercati esteri e a quanto sia essenziale per il nostro Paese attrarre investimenti stranieri, ma per fare questo non basta l'aspirina, non basta dire, per l'ennesima volta, che occorre semplificare, occorre smantellare la burocrazia quando lo Stato ancora non sta pagando i fornitori e non consente ai comuni e alle province di remunerare le imprese per i lavori e le opere che sono state realizzate da tempo.
Nulla ancora si dice e si fa per rendere efficiente quella giustizia civile che, se funzionasse, ci consentirebbe di guadagnare un punto di PIL l'anno e di riformare quel sistema dell'istruzione, come dicono l'OCSE e la Banca d'Italia, e non come dicono il Governo e il Ministro, per recuperare un altro punto di crescita in più, ma, signor Presidente, lo dicevamo prima, lo dicevo all'inizio del mio intervento, il coraggio non c'è (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prendo atto che gli onorevoli Giorgio Conte, Messina e Delfino rinunciano ad intervenire.
Constato l'assenza dell'onorevole Nannicini.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, sta arrivando. Chiediamo che l'onorevole Mariani, iscritta a parlare, intervenga ora al posto dell'onorevole Nannicini, che interverrà in seguito.

PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritta a parlare l'onorevole Mariani. Ne ha facoltà.

Pag. 83

RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, in questo decreto, definito appunto decreto per lo sviluppo, vi sono molti argomenti che riguardano la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici e che richiedono un approfondimento. Lo facciamo parlando all'esterno, certi che i nostri appelli al Governo e alla maggioranza, già fatti nel lavoro, che potremmo definire inutile, per quello che riguarda le competenze delle Commissioni, non sortiranno alcun risultato. La nostra responsabilità è, infatti, quella di cercare di portare un contributo costruttivo ai provvedimenti in generale, figuriamoci nel caso di una misura che dovrebbe parlare e favorire lo sviluppo.
Mi soffermerò su alcuni articoli che richiamano, come dicevo, temi di mia competenza e, in particolare, sull'articolo 4. Questo articolo si concentra su modifiche al codice degli appalti che ritengo produrranno un ulteriore danno al comparto del settore edile e che abbiamo chiesto in primis di stralciare. Il buon senso avrebbe richiesto di affrontare un argomento così complesso, la cui ricaduta sul sistema delle imprese è molto diretta, con organicità, all'interno di un provvedimento dedicato. Questo è quello che hanno chiesto migliaia di imprese, rispetto alle quali la volontà di costruire una normativa più chiara e più semplice era molto netta e sicuramente disinteressata. Assistiamo, invece, ad una frammentazione di correttivi che, di certo, non semplificheranno né renderanno più trasparente un ordinamento più volte rimaneggiato.
Colleghi, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con questo provvedimento, di fatto, mette mano al quarto correttivo del codice degli appalti, senza avere ricevuto delega dal Parlamento, e lo fa in un decreto che, per sua natura, dovrebbe contenere argomenti e motivazioni attinenti all'urgenza e all'inderogabilità. E c'è di più. Nell'articolo 4 si correggono norme regolamentari secondarie, attuative delle passate leggi, attraverso norme di primo rango. Qualcuno lo ha già sottolineato. Cose mai viste, anche dal punto di vista della procedura. Auguri per i ricorsi che arriveranno. Altro che semplificazione, Ministro Calderoli. Gli atti parlano da soli e, purtroppo, tra alcuni mesi vedremo i frutti di questa presunta semplificazione.
Ma veniamo alla sostanza. Tra le proposte demagogiche che rispondono ad alcuni problemi molto seri e conseguenti all'uso smisurato delle riserve nella gestione delle infrastrutture, il Governo ha definito un taglio lineare e ha evitato di risalire alla causa di questa grave consuetudine per le casse degli enti pubblici e per l'efficiente gestione degli appalti, soprattutto nei tempi. Oggi, infatti, assistiamo impotenti alla degenerazione per cui gare al massimo ribasso per opere e servizi producono ricorsi, contenziosi e varianti in corso d'opera che permettono di recuperare sconti che hanno toccato il 60 per cento sulle somme a bando.
Questa è patologia, colleghi, lo sappiamo benissimo e spesso abbiamo avuto modo, nella legislatura in corso e nelle precedenti, di far notare che arbitrati, varianti e riserve non costituiscono la soluzione ma solo il problema. La nostra proposta, tradotta anche in proposte emendative anche nel provvedimento in esame, considera irrimandabile che a questo proposito si faccia un serio lavoro sulla qualificazione delle imprese, sulla professionalità, la competenza e, lo sottolineo, la responsabilità delle stazioni appaltanti. Vogliamo che la centralità del progetto, la precisa e attenta adesione nella scelta progettuale delle istituzioni possa coincidere con le esigenze della comunità, senza gravare sulla pubblica utilità oltre ogni previsione. Dai tempi della legge Merloni, colleghi, si è eluso un punto importante dell'ottima proposta normativa della legge Merloni, venuta a correggere patologie che oggi di nuovo vediamo, è inutile negarlo. Infatti, la centralità del progetto, lo ripeto, comporta assunzioni di responsabilità, competenze e poche possibilità di divagare. Si faccia la scelta, sempre rinviata, di investire in questa direzione! I tempi sono maturi, non attendiamo altre catastrofi e Pag. 84non intendo quelle naturali, colleghi: mi riferisco a legalità, trasparenza e concorrenza.
In questi mesi l'Unione europea presenta, attraverso la definizione di un libro verde, la riforma del sistema degli appalti. Cari colleghi, in quelle proposte si parla sì di procedure negoziate ma nel rispetto assoluto dei trasparenza, concorrenza e legalità. Cosa propone, invece, la maggioranza in questo provvedimento? L'innalzamento delle soglie per il ricorso alla trattativa privata nel settore delle infrastrutture e dei beni culturali. Un milione di euro, siamo arrivati a tanto, è il livello cui si innalza il ricorso alla trattativa privata. E la concorrenza, la rotazione e la trasparenza? Abbiamo chiesto modifiche nette perché oggi l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, nell'attestare che oltre il 90 per cento delle gare in corso usciranno, lo sottolineo, dall'obbligo di gara, segnala anche che il 68 per cento delle imprese non applicano correttamente il Codice degli appalti, con un danno per l'erario, ad oggi, per un anno, di 1,2 miliardi di euro. Ce ne vogliamo rendere conto?
Sono queste le soluzioni proposte? A me sembrano molto rischiose ed irresponsabili di questi tempi. Perché insistere allora nei provvedimenti antiriciclaggio e nel decreto antimafia? Votammo quel decreto-legge soprattutto in riferimento all'argomento della tracciabilità delle risorse finanziarie e su quella materia, all'unanimità, se ricordate, in quest'Aula, valutammo che molte delle componenti legate alle gare, agli appalti e a tutte le transazioni economiche e finanziarie dovevano essere testate, per controllare e verificare ogni atto nella massima trasparenza. Quei provvedimenti, tutti condivisibili ed efficaci se applicati e se riusciremo a preservarli da continui segnali e necessità di revisione, potevano dare una mano.
Vi sono poi questioni molto tecniche in questo provvedimento ma esiziali per la vita delle imprese cui dobbiamo guardare con grande preoccupazione di questi tempi. Tutti conosciamo la condizione delle imprese. Abbiamo infatti assistito a un calo degli investimenti che solo nel corso dell'attuale legislatura ha toccato il 38 per cento e riguardo a tali cifre l'attestazione viene da organismi indipendenti, dal CRESME, dalla Banca d'Italia e da fondazioni di ricerca che non hanno certo una connotazione politica. La pubblica amministrazione non riesce a far fronte ai pagamenti per i lavori già eseguiti in tempi definibili ordinari, ma piuttosto contribuisce al rischio di fallimento per migliaia di piccole e medie imprese. E quali sono le proposte del Governo anche sull'applicazione del regolamento? Ad esempio, la proroga dell'applicazione del regolamento e del Codice degli appalti, entrato in vigore l'8 giugno scorso. Le norme transitorie e il regolamento, una volta entrati in vigore hanno creato una situazione di incertezza e di stallo nel mercato e sarebbe meglio che il Governo si rendesse disponibile ad approfondire con i vari gruppi i punti più delicati sui quali abbiamo presentato anche noi le nostre proposte. Occorre trovare una soluzione efficace, ma meno costosa possibile per le imprese per il passaggio dal vecchio al nuovo regolamento, soprattutto in riferimento all'attestazione e alla qualificazione delle imprese che oggi spendono per una certificazione e il cambiamento dei meccanismi messi in atto dai nuovi regolamenti tempo e risorse e, ahimè, sono molto scarse quelle che rimangono loro.
Ma vogliamo riferirci, invece, alle modifiche innumerevoli ai sistemi del project financing? In questi pochi anni il project, richiamato molte volte per le esigenze, naturalmente condivisibili, della ricerca, anche degli investimenti privati, nel campo delle infrastrutture, ha subito continue modifiche tant'è che, ormai, il ricorso al project è quasi nullo e si rileva soltanto in alcune situazioni, al nord Italia e, soprattutto, in riferimento ad opere legate alle concessionarie autostradale. Colleghi, quell'importante strumento dovrebbe essere stralciato da una discussione così generica e generalista, ma dovrebbe trovare accoglienza in un provvedimento dedicato, dove si può dare una mano allo Pag. 85sviluppo e al coinvolgimento delle risorse private nell'individuazione e nella possibilità di realizzare infrastrutture. Ormai è un'esigenza quasi irrimandabile per il nostro Paese. Ma vi sono altre modifiche che riguardano l'articolo 4 e che toccano direttamente la vita delle istituzioni e delle imprese. Faccio riferimento anche al rimaneggiamento che il general contractor ha ed a molte delle questioni che, ogni giorno, quotidianamente, sui territori, vengono rilanciate come possibili opportunità per il sistema delle imprese.
Non si lavora così, colleghi, in un settore tanto delicato. Nel dicembre scorso, tutto il comparto dell'edilizia ci ha segnalato la necessità di una maggiore attenzione. Parliamo di oltre due milioni di operatori che rischiano, come ho già sottolineato, il posto di lavoro e che rischiano di vedere il nostro Paese regredire a livello di Paesi sottosviluppati. Il nostro Paese ha bisogno di una riforma e di un aiuto nel campo degli appalti, delle gare, e non sono queste le soluzioni. A dirlo non siamo solo noi, infatti, non più tardi della settimana scorsa, il Ministro Matteoli ed il Ministro Tremonti, in un convegno tenutosi a Milano con numerose fondazioni, hanno sostenuto di avere la possibilità di modificare di nuovo, di semplificare - termine che, ormai, si ripete quasi come un rosario - le norme che riguardano la necessità di realizzare infrastrutture attraverso un ulteriore decreto-legge, quasi sottolineando che in questo non vi sono le condizioni per dare una mano allo sviluppo ed alla crescita in quello speciale comparto.
Vi sono altre questioni che riguardano le nostre competenze in questo provvedimento. Soprattutto, vorrei richiamare quelle che riguardano l'articolo 5, praticamente una sostituzione della riforma dell'urbanistica in capo al Governo e non alle regioni, come sarebbe opportuno si facesse, invece, applicando il Titolo V della Costituzione. Questo provvedimento non ha neanche la pretesa di dare un indirizzo, se non quella di dare, in maniera che io giudico demagogica e anche un po' superficiale, alcuni segnali sulla semplificazione nel campo della normativa urbanistica. Dio sa se in questo campo non è necessaria una programmazione, una definizione delle intenzioni trasparenti e chiare delle amministrazioni locali insieme a quelle delle regioni che definiscono le normative urbanistiche e di governo del territorio. E, invece, in questo provvedimento si parla soltanto di accelerazione delle conferenze di servizi, di trasformazione delle certificazioni per l'autorizzazione all'avvio dei lavori (le cosiddette SCIA) rispetto alla vecchia normativa, senza lasciare la possibilità di una programmazione efficace e andando ad interferire, nel codice civile, anche sulla definizione dei diritti edificatori e, quindi, comportando di fatto un superamento di alcune competenze fondamentali che le regioni faranno valere - ahimè, purtroppo, di nuovo - attraverso ricorsi e non in un'intesa e in una leale e corretta collaborazione tra istituzioni.
Riteniamo che questo argomento sia gravemente sottovalutato. Vorremmo che anche nel Parlamento si potesse ritenere opportuno che lo Stato centrale possa dare linee di indirizzo, ma nel rispetto e anche nella tutela delle scelte dei territori. Dirlo in un Parlamento che si è vantato di essere quello più federalista e più attento alle esigenze locali a me sembra quasi una bestemmia dal momento che, invece, qui si tende a centralizzare e, in qualche caso, anche a favorire, gli interessi di pochissimi e non delle comunità locali.
Questo tema dell'urbanistica mi interessa sottolinearlo. Vengo da un territorio, la Toscana, dove la regione ha emanato più e più leggi e ha cercato anche di poter normare dando la possibilità alle imprese e alle amministrazioni di rivolgere attenzione sia al sistema delle imprese sia a quello della tutela del territorio. Ma, guardate, in un argomento come questo sono possibili gli scivolamenti e anche le illegalità, tant'è che anche dalle nostre parti accadono anche in queste ore situazioni molto imbarazzanti riguardo proprio ai temi dell'urbanistica che sono molto spesso purtroppo - sottolineo purtroppo - affiancati alla speculazione e all'illegalità. Pag. 86
Voglio sottolineare un aspetto - il collega Morassut entrerà più di me nel merito dell'articolo 5 - rispetto al piano casa e al richiamo che è stato fatto anche in quest'aula dai colleghi della Lega all'efficacia di un'ennesima normativa sull'applicazione di un terzo piano casa del Governo Berlusconi e di nuovo all'accostamento molto improprio a quello che fu il piano casa, il piano Fanfani sull'edilizia popolare, che dette grande impulso e grande capacità di crescita in un momento nel dopoguerra in cui il nostro Paese attraversava una crisi altrettanto dura.
Questo accostamento lo riteniamo assolutamente inappropriato: non vi sono state le modalità necessarie neanche a far spendere le risorse che il Governo Prodi aveva lasciato come tesoro per le regioni, ma anche i primi due anni di questo Governo hanno impedito che quelle risorse fossero correttamente distribuite e spese in una fase nella quale sarebbero state molto utili nel territorio per i comuni, per le regioni e per le imprese edili. Tutto questo per dire che nella scrittura di questo provvedimento molto generico si è teso molto più a dare un segnale molto superficiale soprattutto in riferimento ad argomenti che nel senso comune avevano un richiamo che non a provvedere nella sostanza a correggere anche alcuni errori compiuti nella legislatura precedente.
Lascio l'ultimo spazio del mio intervento per riferirmi a due questioni più attinenti all'ambiente. In una voglio richiamare il tema Sistri: il Governo in questo provvedimento smentisce per l'ennesima volta l'operato del Ministro Prestigiacomo, inserendo un'ulteriore deroga così come abbiamo sempre chiesto e hanno chiesto anche le imprese, sull'applicazione del sistema Sistri ponendo come termine iniziale il giugno del 2012, quindi contraddicendo quello che il Ministro ha sostenuto sino a dieci giorni fa e soprattutto ha scritto anche in un decreto ministeriale cioè una graduale applicazione del Sistri dal settembre di quest'anno in poi.
Noi, colleghi, abbiamo sottolineato più volte - lo abbiamo fatto in aula e nelle Commissioni competenti - che non era possibile sottoporre le imprese a questa agonia dell'applicazione del Sistri pur ritenendo che quella misura avesse in sé una previsione ottima: la verifica e il controllo del trasporto dei rifiuti che noi sappiamo è uno dei campi in cui l'illegalità e la scarsa trasparenza sono purtroppo normalità. Questo rinvio continuo non ha avuto l'effetto né di aiutarci nell'applicazione del controllo di un sistema molto complesso, molto pericoloso, né quello di trovare un rapporto con le imprese oneste che fanno il loro lavoro correttamente e che sono la maggioranza, quelle molto piccole e piccole e anche quelle grandi rispetto alle quali questo andare avanti e indietro sulla normativa, sulla necessità di applicare modelli e di abbandonarli, di accedere ai siti Internet, munirsi di chiavette e tutto quanto è stato studiato, ha invece comportato una perdita di tempo e anche di risorse.
Abbiamo chiesto più volte e lo facciamo di nuovo che al fallimento del Ministero dell'ambiente si potesse rispondere con la richiesta di collaborazione con le agenzie territoriali, regionali e con i sistemi delle forze dell'ordine, che dal Ministero dell'interno sono guidate verso il rispetto della legalità in tutti i campi, compreso quello appunto del difficile controllo della gestione dei rifiuti. Crediamo che sia l'unica soluzione per uscirne, per non essere di nuovo di fronte ad una scadenza, quella del giugno 2012, rispetto alla quale saremo un'altra volta a dirci che non avremo preso le decisioni necessarie.
In tutto questo abbiamo anche fatto negli emendamenti una richiesta: che nel periodo di transizione non si abbandonasse tutto quel comparto al fai da te, ma si potesse comunque tenere un occhio sul controllo, con l'aiuto appunto del Ministero dell'interno e delle agenzie regionali. È una situazione di emergenza, ma sappiamo tutti che in molte Regioni questo argomento è all'ordine della cronaca nera quotidiana e vorremmo che ce ne rendessimo conto. Anche questo comporta una spesa pubblica molto alta, anche questi sono i costi del sistema italiano, che poi ricadono su tutti. Pag. 87
L'ultima cosa, la più importante, riguarda il tema dell'acqua. Nella settimana che segue ad un risultato referendario così netto, in risposta alla necessità che dall'affermazione dei quesiti referendari deriva una modifica della normativa sul servizio idrico integrato ed anche sugli altri servizi pubblici interessati, che riguardano soprattutto il sistema di nuovo dei rifiuti e del trasporto pubblico locale, ci sentiamo rispondere da questo Governo che è indifferente andare avanti sulla costituzione di un'agenzia nominata dal Ministero dell'ambiente e poi avallata e comunque verificata dalle Commissioni parlamentari. Noi abbiamo fatto appello anche in questo caso al buonsenso, ritenendo che di fronte alla revisione complessiva del sistema del servizio idrico integrato e dopo una così eclatante risposta dei cittadini italiani fosse importante rivedere nel suo complesso tutta la normativa che riguarda l'acqua e i servizi pubblici locali e fosse importante farlo anche efficacemente e velocemente, per non far sì, rispetto ad alcune questioni che riguardano la gestione della tariffa, ma riguardano anche la regolazione dei servizi nel loro complesso, non ci sia una normativa di riferimento. Oggi ci sentiamo rispondere che intanto facciamo un'agenzia e poi vedremo.
Noi, colleghi, abbiamo sempre sostenuto che era necessario anche in quel campo provvedere alla definizione di un'authority indipendente: per la portata, per l'importanza che questo argomento ha nella tenuta del sistema - e se ce ne fosse stato bisogno dopo il quesito referendario è palese a tutti che così lo sentono gli italiani - era importante dare immediatamente questo segnale e fare anche questa apertura ad una revisione veloce della norma.
Inserire l'agenzia per scambiare due o tre posti, due o tre nomine, e farci solo il regalo di considerare anche le Regioni in quella agenzia, a noi sembra veramente molto limitante e soprattutto una presa in giro. Lo dico con certezza, perché abbiamo fatto più volte la proposta di affrontare quell'argomento in maniera disinteressata dal punto di vista politico e lo abbiamo fatto anche con la maggioranza nelle Commissioni, ritenendo e trovando anche fino ad un certo punto concordia, ad esempio con la Lega Nord, sulla necessità di superare alcune questioni che erano di comune sensibilità rispetto al tema dell'acqua, dell'acqua gestita dagli enti pubblici, tant'è che quel risultato attesta che vi era una trasversalità nella condivisione dell'importanza di quell'argomento. Oggi invece ci troviamo di fronte ad un muro. Non vorremmo che rispetto a quel muro la scelta fosse solo quella intanto di incassare qualcosa, magari appunto l'istituzione di un organismo che non avrà in un contesto più generale alcuna competenza generale, ma solo la facoltà di occuparsi di una norma che non è stata definita.
Vorrei dire anche - i pareri delle Commissioni e, soprattutto, della Commissione affari costituzionali, lo hanno fatto rilevare - che il giorno in cui il decreto del Presidente della Repubblica attesterà il risultato del referendum, facendo, quindi, decadere la normativa di riferimento, dovremo provvedere davvero velocemente anche ad una revisione di tutta la complessa legislazione. Quella sarebbe l'occasione per rivedere anche il tema che fa riferimento ad un'autorità di regolazione: il mio appello è ancora rivolto al Governo e a tutta la maggioranza nel senso di fare un passo indietro e di stralciare quella parte, se è vero che il Governo sta scrivendo una modifica del testo per proporre al Parlamento la questione di fiducia.
Mi auguro che, rispetto a tutti questi argomenti, che sono di importanza vitale non solo per le istituzioni, ma veramente e direttamente per i cittadini, si abbia il buon senso di capire che sarebbe importante, per una volta, dare un segnale di unità ed anche di efficacia. Parlare di sviluppo ed anche di misure che devono favorire il nostro complesso sistema economico, soprattutto in un momento di crisi così grave, significa anche, alcune volte, comprendere che è più importante fare l'interesse comune, l'interesse generale, Pag. 88piuttosto che quello di singoli partiti, di singoli gruppi parlamentari e, addirittura, di singole persone.
Mi auguro tanto che, rispetto a questo argomento, possiamo di nuovo trovare un confronto costruttivo. Nel frattempo, vorrei esprimere una grande preoccupazione per i tre articoli in oggetto, che effettivamente hanno segnato, nel campo dei lavori pubblici e dell'ambiente, un'intenzione che va nella direzione opposta - così come hanno segnalato moltissimi autorevoli rappresentanti dei mondi che sono interessati da questa misura - e che richiederebbero anche un momento di riflessione più approfondito. Spero che riusciremo a farlo, considerando che il lavoro che dobbiamo svolgere, anche per le nostre competenze, è utile per il Paese e per tutti noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi limiterò a discutere gli aspetti politici piuttosto che entrare in tecnicismi.
Il provvedimento in discussione dovrebbe offrire al Governo uno strumento importante per sfruttare interventi a sostegno dell'economia. In realtà, quanto enunciato nelle esposizioni che lo compongono sembra non esprimere quella tanto auspicata svolta di cui necessita la nostra economia. Non vi è traccia di rilancio e il confronto con tutte le forze politiche sembra totalmente assente.
Vorrei ricordare che il provvedimento che ci accingiamo a votare è stato sventolato dal Governo come il primo di una lunga serie di iniziative a sostegno del Paese e della sua vessata struttura economica. Ma, ormai, agli spot elettorali siamo abituati, ogni giorno ne vediamo uno. Non ci si può limitare a promettere determinate iniziative a sostegno dei cittadini e dell'economia italiana: infatti, è giusto che, poi, si dia adeguato seguito.
Ci troviamo dinanzi ad un provvedimento «calderone», che contiene norme parziali che non trovano d'accordo nemmeno i membri della stessa maggioranza, molto spesso - mi dispiaccio del termine - «marchette» per favorire questo o quello, pur di tenere salda una maggioranza che va a pezzi e che si serve dei «mercenari/responsabili», a cui non si nega un emendamento. Un mosaico di argomenti e di iniziative in parte meritevoli, ma in parte bisognosi di miglioramenti, talvolta di difficile comprensione, soprattutto, nei confronti dei cittadini - gli stessi cittadini che protestano fuori dai palazzi e che vorrebbero un po' di attenzione -, che si traducono in falsi decreti sviluppo che sono soltanto piccoli spot fine a se stessi.
Vi è, quindi, il solito «decreto omnibus», ma di sviluppo nemmeno il lontano ricordo. A ciò si aggiunge la confusione che lo sta accompagnando in sede parlamentare.
Infatti, il comportamento rivelato dai colleghi della maggioranza in Commissioni riunite, Finanze e Bilancio, proprio a proposito del provvedimento in oggetto, la dice lunga. La maggioranza si è impantanata su più punti, tanto da bloccare l'iter del provvedimento e sollevare l'irrinunciabile esigenza di ricorrere al voto di fiducia, ancora una volta, tanto per cambiare. Davanti alle difficoltà e al rischio di andare sotto, si preferisce ricorrere all'ennesimo voto di fiducia, stroncando ogni ipotesi di confronto politico, oltre che tecnico. Una maggioranza inesistente, inconsistente, irresponsabile; questo perché l'Esecutivo vuole usare questo voto come prova generale della verifica di Governo della prossima settimana, deve garantirsi la presenza in Aula dei suoi parlamentari; ancora una volta il bene del Paese è schiacciato dalle esigenze del Premier. Questo per non parlare della chiusura che vi è stata in sede referente nei confronti di alcune proposte normative ed emendative. Quella che appare chiara è proprio la mancanza di volontà, molte cose non quadrano: come si spiega la chiusura nei confronti di ogni emendamento mirante a semplificare gli adempimenti fiscali a carico delle imprese? Come si spiega la Pag. 89chiusura nei confronti del riconoscimento delle detrazioni per i carichi di famiglia ai nostri lavoratori impiegati oltreconfine? La maggioranza ci dice che tutto questo, e altro, non attiene al provvedimento, ma questa cosa in realtà noi l'abbiamo capita; uno sviluppo o meglio, un'ipotesi di rilancio, prevede una riduzione del carico fiscale in capo ai contribuenti, con un programma chiaro ed efficiente di liberalizzazioni, con una seria razionalizzazione delle risorse in quei comparti che sono un po' il ventre molle dell'amministrazione. Non parliamo poi della scuola, dell'università e della ricerca, di tutto questo non vi è traccia nel famoso decreto sullo sviluppo.
Presidente, urge un serio apporto di risorse per creare tutto questo e il Governo deve ripeterci la solita filastrocca che i soldi non ci sono; dove sono le riforme, dov'è la liberalizzazione, dov'è la meritocrazia? Il Governo non continui con le chiacchiere, ma passi ai fatti; l'Italia ne ha un disperato bisogno.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina. Ne ha facoltà.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, onorevole Marinello, rieccomi. Il decreto-legge di cui parliamo è un ennesimo spot di questo Governo. Mi spiace che non venga compreso perché ancora una volta, in un momento di difficoltà di questa maggioranza di Governo, ma non più, come si sa, maggioranza del Paese, se ne inventa un'altra; attenzione, si inventa un altro titolo perché poi, nei contenuti, non c'è nulla che sia ascrivibile ad un vero progetto di sviluppo. È evidente: se dobbiamo parlare di sviluppo ti aspetti, all'interno di un provvedimento di questo tipo, l'individuazione di nuove risorse per i settori produttivi e per le imprese virtuose, ti aspetti un'ipotesi di sburocratizzazione vera che consenta alle imprese e a chi deve mettere in moto l'economia di poter ottenere in questo senso delle facilitazioni, ti aspetti degli strumenti di accesso al credito agevolato per le imprese virtuose innanzitutto, perché questo è un tema ricorrente sul quale tornerò successivamente, e non soltanto per le imprese che al contrario di virtuoso hanno ben poco. Per virtuose, intendo quelle aziende che resistono in un indubbio momento di difficoltà economica, che non licenziano il personale o che non lo pagano in nero, che non evadono le tasse.
In buona sostanza, quelle imprese che fanno da motore dell'economia italiana e che questo Governo ha totalmente trascurato, dirò poi i motivi entrando nel merito.
Ti aspetti anche che vi siano dei provvedimenti con i quali l'amministrazione, una volta per tutte, si impegni a pagare i propri debiti nei confronti delle imprese. È un bel dire parlare di sviluppo economico se poi, alla fine, il soggetto, in questo caso il Governo, che deve impostare ipotesi di sviluppo, è il primo debitore a non pagare i propri debiti, bloccando così l'economia.
Ti aspetteresti delle agevolazioni vere da chi assume giovani disoccupati e non favorisce il precariato, e potremmo continuare a lungo. Questi sarebbero tutti elementi che porterebbero ad un progetto di sviluppo vero. All'interno di questo provvedimento confuso, una specie di grande contenitore dove ognuno ha versato qualcosa, alla fine ci si accorge che quello che vi è stato versato è nulla e, rispetto a questo, non vi è assolutamente niente.
I lavori delle Commissioni di questi giorni confermano questo andamento: lì abbiamo vissuto varie difficoltà, come la difficoltà a riunirsi e ad esprimere pareri, nonché trattative continue per poi, alla fine, arrivare ad un progetto che è carente da tutti i punti di vista.
Ciò mi dispiace, e lo dico al presidente della Commissione bilancio che è presente e al Governo, perché il nostro partito, rispetto a un'ipotesi che veramente vuole tutelare lo sviluppo, voleva partecipare, non solo prendendo parte alle decisioni, ma esprimendo anche voto favorevole sulle stesse. È evidente che, nel momento in cui nulla è stato possibile concretamente discutere, quando vi sarà la prossima fiducia questa diventerà una fiducia nuova a questo Governo. Si tratterà di una nuova fiducia o sfiducia nel Governo e Pag. 90nelle proprie possibilità, perché su un decreto sullo sviluppo, per il quale si vuol coinvolgere tutto il Parlamento e tutte le forze politiche, porre una sfiducia significa non avere fiducia in se stessi.
Avremmo voluto confrontarci, invece siamo stati costretti a partecipare a inutili lavori di Commissione e a verificare l'assenza dei numeri della maggioranza, perché, alla fine, quei pochi voti espressi - tranne quello finale per il quale, ovviamente, l'opposizione è uscita dall'aula e non si è assunta la responsabilità rispetto a un modo di procedere che non abbiamo condiviso - i numeri erano pari: 40 a 40, 42 a 42, e solo l'eventuale voto dei presidenti - irrituale, per certi versi - avrebbe consentito una maggioranza, a dimostrazione che non vi era maggioranza.
Probabilmente, su un argomento come questo e su un tema importante come questo, sarebbe stato meglio puntare di più al dialogo. Questo non è stato fatto, tranne qualche briciola che è venuta fuori in corso d'opera, ma che sicuramente credo non sia caratterizzante. Attendiamo la prossima fiducia-sfiducia: sappiamo già che verrà posta e che, probabilmente, verrà approvata. E si andrà avanti in questo modo.
Senza continuare su questo aspetto, perché è abbastanza chiaro a tutti, vorrei puntare su alcune questioni che avrebbero dovuto essere evidenziate, per dimostrare la contraddittorietà di questo provvedimento o, meglio, la contraddittorietà tra il titolo del provvedimento che parla di sviluppo economico e, dall'altra parte, il contenuto dello stesso, che va in direzione totalmente opposta.
Mi riferisco, per esempio, alla questione riportata all'articolo 7 che riguarda il fisco e il ruolo di Equitalia. Un progetto di sviluppo dovrebbe prevedere un fisco giusto, che consenta non una tassazione al di sopra di tutti i parametri europei, oltre il 16 per cento rispetto agli altri Paesi per le nostre imprese, ma, al contrario, un fisco giusto che se la prende con coloro i quali evadono imposte e tasse. Al contrario, quello di Equitalia si è dimostrato in questi anni il ruolo di colui il quale è debole con i forti e forte con i deboli: a chi non ha i soldi per pagare le tasse a causa della crisi, espropria la casa; per i grandi evasori, si fa lo scudo fiscale. Questo è il modo di procedere: non si fa assolutamente distinzione - e questo è un tema assolutamente ricorrente nell'azione di questo Governo - tra chi è in difficoltà e chi fa il bancarottiere di professione. Gli arresti di oggi a Roma dimostrano che per tanti vi è stata la possibilità di frodare il fisco e di portare fondi all'estero, per poi utilizzare la «lavatrice» dello scudo fiscale per poterne ritornare in possesso.
Vi è una cifra enorme, 446 miliardi di euro, di tasse accertate e non riscosse e vi è un Governo che continua a dire che non ci sono soldi. I soldi ci sono, ma il problema è andarli a prendere. Se tu sai dove sono, se è accertato anche che esistono e poi non ritieni di doverli prendere, evidentemente non puoi lamentarti che i soldi non ci sono.
Non c'è nessuna limitazione all'interno di questo provvedimento che riguardi amministratori corrotti che, al contrario, fanno i falliti o i bancarottieri di professione e chiudono una società, la fanno fallire, ne aprono un'altra e così via, continuando a truffare il prossimo e lo Stato. Lo ripeto: non c'è alcuna limitazione per questi soggetti.
Mi chiedo: ma che Paese volete tutelare o garantire, i furbi o i buoni padri di famiglia che non arrivano a fine mese? Vedete, questo è un fatto fondamentale dell'azione politica che viene portata avanti.
Voglio dare una notizia al Governo, anche se abbastanza distratto, e al presidente della Commissione e, comunque, rimarrà agli atti. Da un dato che viene fuori il 4 giugno di quest'anno, due yacht su tre sono nel nostro Paese intestati a nullatenenti e il dato dell'aumento dell'acquisto di barche di questo tipo è del 6,7 nel 2011, quindi in buona sostanza il 64 per cento degli yacht di lusso che circolano in Italia sono intestati a nullatenenti o a pensionati con la social card, prestanomi di facoltosi imprenditori, al fine di evadere le tasse. Pag. 91
Questo è quanto emerge dalla nuova inchiesta condotta da Krls network per conto di contribuenti.it. Non ci vorrebbe molto. Non dico che questo dato debba essere preso per oro colato, ma la finanza, il Ministro Tremonti, o qualcuno, non può andare a controllare se in realtà queste barche hanno un proprietario legittimo che paga le tasse - perché evidentemente per mantenere una barca di questo tipo di soldi ne devi avere e guadagnare tanti - oppure se, al contrario, questi importi vengono sottratti al fisco?
Altro tema molto serio, affrontato in malo modo all'interno di questo provvedimento, è quello relativo all'articolo 9, quando si parla di scuola e di precariato. Vi è un emendamento presentato dalla Lega che sostanzialmente impedisce ai docenti precari di trovare lavoro. Un provvedimento di fatto già incostituzionale il Governo non si è assunto la responsabilità di approvarlo, ma dall'altra parte dice di non rigettarlo nemmeno. Ha rigettato cose molto serie, che ha ritenuto di non voler condividere e, al contrario, un provvedimento incostituzionale non lo rigetta e lo rimette all'Aula.
È un emendamento della Lega, quindi il presidente Giorgetti e il relatore ne sapranno sicuramente più di me. Bene, cosa si vuol fare? Si vuole impedire ai docenti precari del sud di essere sostanzialmente cittadini italiani e di andare con pari opportunità a cercare lavoro anche al nord. In pratica - ecco l'incostituzionalità - si vuole ostacolare la libera circolazione dei cittadini in cerca di lavoro, ossia gli insegnanti. È stato riconosciuto con questo emendamento - vedremo l'Aula cosa vorrà fare, ma mi auguro che, colpita da senso di responsabilità, eviti di approvarlo -agli insegnanti precari un bonus di 40 punti a chi rimane nella provincia per la quale aveva optato nel 2007.
Voglio esplicitare il concetto: 40 punti corrispondono al punteggio conseguibile da un insegnante con tredici lauree, oppure con tre anni e due mesi di servizio. Pertanto, chi prende questo bonus scavalca tutti e va avanti e quindi conseguentemente viene precluso il potersi spostare. Chi l'ha proposto? Naturalmente la Lega.
Che cosa ci possiamo aspettare rispetto al problema dei precari in Italia, se proprio ieri il Ministro Brunetta è intervenuto a un convegno e quando un precario, anche forse in maniera forte, gli ha domandato qualcosa, alla fine egli si è rifiutato di rispondere e ha detto: «rappresentate la peggiore Italia»?
Ma ciò che è più grave è che non si è conclusa così la vicenda, perché ancora oggi il Ministro Brunetta è intervenuto nuovamente sulla vicenda per confermare quanto ha detto ieri.
Sostanzialmente Brunetta ha detto: «Siete l'Italia peggiore» e il giudizio, precisa il Ministro, non era rivolto ai precari tout court, ma a quanti, non avendo di meglio da fare, irrompono sistematicamente in convegni e dibattiti per interrompere i lavori. Immaginate: interrompere i lavori del Ministro Brunetta, è un'assunzione di responsabilità traumatica per il Paese! Quindi egli insulta i presenti e risponde che si tratta dell'Italia peggiore di quanti si nascondono compiacenti dietro questi signori, come Pierluigi Bersani e Leoluca Orlando Cascio. Pertanto, voi capite, ci sono Bersani e Orlando che si nascondono dietro il precario che interrompe il Ministro Brunetta mentre sta facendo il suo convegno, e ciò viene sostenuto in maniera strumentale pur senza conoscere argomenti e fatti. L'Italia peggiore - continua Brunetta - è quella che usa la rete come un manganello per agguati squadristici senza aver nulla da dire, che pena! così conclude il Ministro Brunetta.
Bersani ne ha chiesto le dimissioni. Io onestamente non me la sento, devo essere sincero, di chiedere le dimissioni del Ministro Brunetta. Provo solo pena per il Ministro e dico che forse sia meglio sottoporlo a qualche cura al di là delle dimissioni, perché credo che la cosa sia più grave e non possa concludersi soltanto per lui con le semplici dimissioni. Noi invece per i precari avevamo chiesto una cosa diversa, le graduatorie a pettine e i Pag. 92punteggi veri, ma di questo nel nostro provvedimento per lo sviluppo non vi è traccia.
Con riguardo all'articolo 8, al made in Italy, alla tutela delle piccole e medie imprese, questo Governo ha fatto un gran parlare della tutela delle piccole e medie aziende che sono il fulcro del Paese, ma con questo provvedimento, all'articolo 8, sostanzialmente si mettono fuori dal mercato 700 piccole e medie imprese che operano nel settore mobiliere, dell'alta falegnameria e del design, con 13.500 lavoratori a rischio. Il tutto per tutelare qualche grande azienda che è titolare dei marchi e che vuole che sia esteso il diritto di tutela del marchio oltre ogni limite temporale, mettendo fuori dal mercato le aziende che da quando vi è la libera disponibilità di quell'opera possono riprodurla pur pagandola. Si tratta di aziende che - voglio ricordarlo - producono parzialmente in Italia, per la maggior parte in Cina, e che hanno sedi legali in Lussemburgo, cioè sostanzialmente in Italia né danno lavoro né pagano le tasse.
Per questo c'è una rivolta delle piccole e medie imprese. Mi rivolgo al Governo che ne aveva fatto un cavallo di battaglia, ma anche quello evidentemente era uno spot perché poi, alla fine, tra parlare e realizzare le cose c'è una bella differenza. Quello che dicono queste imprese, cioè il Consorzio origini che ne accorpa oltre 700, è che l'estensione del diritto di proprietà mette nell'illegalità coloro che hanno lavorato fino ad oggi onestamente portando avanti il Paese. Altro che nuova occupazione! Il vostro intervento favorisce cose ben diverse, favorisce lobby di imprenditori a capo di multinazionali, mette in difficoltà migliaia di oneste famiglie che lavorano, va contro la volontà di chi questi prodotti li ha anche ideati e in buona sostanza non si allinea nemmeno con ciò che è stato sentenziato dalla giustizia europea il 27 gennaio 2011. Questo è un provvedimento non per lo sviluppo, ma per impedire lo sviluppo.
Andiamo all'articolo 7, relativo alla riforma della magistratura tributaria. Anche in tal caso state procedendo in maniera sbagliata, io ve lo dico poi fate ovviamente come volete, ma ci siete anche abituati, d'altronde gli spot riescono anche male certe volte e vengono ritirati dal mercato. È un provvedimento incostituzionale, perché non si può con un emendamento modificare una norma che riguarda la giustizia e il funzionamento della giustizia. Informatevi prima di fare le cose! Siete passati da una riforma epocale della giustizia, ogni giorno c'è una riforma epocale che questo Governo deve porre in essere. Avete fatto la riforma epocale della giustizia penale e si sono visti gli effetti: il «processo breve» alla Camera e il «processo lungo» al Senato. Tuttavia di riforma della giustizia, di quello che serve alla giustizia, ossia del funzionamento degli uffici e della macchina giudiziaria, non avete assolutamente parlato.
Così è anche per quanto riguarda la riforma tributaria, perché intervenite all'interno del provvedimento per lo sviluppo che non c'entra assolutamente niente con la magistratura tributaria, dicendo che sino alla revisione dello stato giuridico ed economico della magistratura tributaria, cioè sostanzialmente fino alla riforma epocale della magistratura tributaria, intanto intervenite. Cosa fate in attesa di questa ipotetica riforma? Ho chiesto anche in Commissione al Governo di darmi la data di questa riforma, perché a un certo punto ci si può anche credere, ma le date ovviamente non le avete perché la riforma non intendete farla ma fate interventi che bloccano la produttività e l'operatività.
Voi affermate che rispetto alle richieste di sospensione, la magistratura tributaria deve intervenire entro 180 giorni dal deposito della domanda di sospensione. Se il giudice tributario non provvede rispetto alla domanda di sospensione accade che, se è recidivo, viene addirittura sospeso dall'incarico di giudice tributario e viene radiato. Inoltre, vengono inviati gli atti alla Corte dei conti. Avete omesso un passaggio: sui 180 giorni siamo anche d'accordo. Bisogna velocizzare la giustizia anche quella tributaria. Tuttavia, voi avete addebitato tali termini esclusivamente al magistrato. Pag. 93Io faccio l'avvocato nella vita e vedo che cosa succede: prima di arrivare al giudice una richiesta deve essere istruita dagli uffici e deve essere ammannita di tutti i necessari adempimenti.
Al magistrato potete dare anche un termine di 30 giorni, ma da quando arriva al magistrato, non da quando viene depositato presso gli uffici attribuendo la responsabilità del mancato funzionamento degli uffici al magistrato, che sicuramente non ne può certamente rispondere. Gli effetti di questo ulteriore contributo allo sviluppo economico saranno provvedimenti fotocopia di qualche magistrato che vorrà rimanere a fare il magistrato tributario per evitare di avere addebitata l'inadempienza e la paralisi della giustizia tributaria. Quindi, altro che avvantaggiarsi: entro centottanta giorni avremo tutti provvedimenti fotocopia che diranno per quale motivo non si è potuto provvedere e si andrà avanti così.
Voi avete totalmente dimenticato interi settori. Ne cito uno per tutti: l'agricoltura. Non se ne parla. C'è un settore in Italia, che è quello agricolo, magari voi non lo sapete anche se avete nominato da poco il nuovo Ministro dell'agricoltura (ne avete cambiati tre in tre anni, quindi dovreste sapere che esiste questo settore). Altro che sviluppo: nessuna moratoria in agricoltura, nessuno stato di crisi quando l'Europa sta agendo in questo senso, nessuna sburocratizzazione.
Avevamo presentato un emendamento. È stato detto che era stato in parte approvato, poi è passato quello del collega Fluvi sull'ICI rurale, almeno quella. È stato detto sostanzialmente che per l'accatastamento di immobili rurali doveva prevalere il requisito di ruralità. Questa è una cosa semplice: non ci vuole molto, in maniera tale che così l'agricoltura pagasse realmente per quello che era il bene di cui era possidente, al contrario di chi possiede un magazzino in città che ovviamente non può essere tassato allo stesso modo, se è strumentale all'attività agricola.
È passato l'emendamento del collega Fluvi. Meglio di niente, però crea anche questo una gran confusione, perché alla fine in questo provvedimento si va ad addebitare un'inadempienza dell'amministrazione al malcapitato agricoltore. Questa norma dice che c'è un termine - entro il 20 novembre - per verificare il requisito di ruralità. Nel momento in cui entro questo termine l'amministrazione non si pronunzia, il contribuente può assumere in via provvisoria per ulteriori 12 mesi l'avvenuta attribuzione. Ma state attenti: dopo 12 mesi accade che, qualora l'attribuzione sia negata (cioè l'amministrazione perde un anno, non ti risponde, è carente), magari dopo un anno l'amministrazione si sveglia e risponde, dicendo che l'attribuzione non va bene. A quel punto, con provvedimento motivato, non solo chiede il pagamento dell'imposta non versata, ma gli interessi e le sanzioni determinate in misura raddoppiata rispetto a quelle previste dalla normativa vigente. Cioè sostanzialmente un agricoltore ci deve pensare sei volte in assenza di una risposta dell'amministrazione, prima di attribuire la ruralità al proprio bene.
Vi è qualche intervento positivo. Ci sono degli interventi riguardanti un nostro emendamento sulla sburocratizzazione degli autotrasporti eccezionali: poca cosa. Per fortuna avete fermato la svendita delle spiagge italiane.
Debbo dire che è francamente un provvedimento carente, inutile e anche dannoso.
Per avere sviluppo, mi avvio alla conclusione, occorre individuare intanto destinatari virtuosi di interventi economici. In secondo luogo, per lo sviluppo ci vogliono le risorse. Non si può fare un provvedimento sullo sviluppo a costo zero. Il Ministro Tremonti parla per l'ennesima volta di riforma del fisco, come sempre quando lui ha problemi. Aveva detto che i conti pubblici erano a posto e poi ogni anno tira fuori una nuova manovra da fare sempre più alta. Prima erano 9 miliardi, ora 40. Ogni anno vi è una manovra più pesante. Il Ministro Tremonti parlava di Robin tax. Ve lo ricordate? Ma non l'ha mai realizzata, tranne al contrario intervenire sugli impiegati, sui dipendenti e su tutti coloro sui quali è facile intervenire. Pag. 94
Il Ministro Tremonti non ha mai parlato di lotta all'evasione e anche questo è un tema, perché sono lì i soldi. Il Ministro Tremonti non vuole parlare della cassaforte, perché non è in grado di aprirla o non vuole aprirla, anche se sarebbe opportuno farlo. Le risorse ci sono, ma si fa finta di non vederle. Ricordo poi l'evasione, il taglio degli sprechi e le auto blu italiane. Colleghi politici, anche se andiamo con il taxi alla fine non si scandalizza nessuno. Probabilmente risparmiamo tanto e diamo un buon segnale ai cittadini italiani.
Inoltre, si varano scudi fiscali al 5 per cento, quando si potevano fare anche al 15 per cento. L'evasore avrebbe ringraziato lo stesso anche con il 15 per cento, ma avete preferito farlo al 5 per cento quando i pensionati pagano il 23 per cento sulla loro magra pensione. Avete concesso, al 5 per cento, di lavare denaro sporco e, quindi, sostanzialmente l'unica economia che state sviluppando - e questo provvedimento continua a contribuirvi - è un'economia criminale. I cittadini onesti, le piccole e medie imprese, gli agricoltori, gli artigiani e i precari stanno ancora ad aspettare o, meglio, fortunatamente da lunedì scorso, dopo l'esito del referendum e dopo la tornata elettorale, bisogna dire che i cittadini onesti, le piccole e medie imprese, gli agricoltori, gli artigiani, i precari e i cittadini perbene di questo Paese si sono proprio stancati di aspettare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mereu. Ne ha facoltà.

ANTONIO MEREU. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, voglio qui parlare di un problema particolare già trattato in quest'Aula e in Commissione bilancio, ma sul quale ritengo necessario insistere, vista la grande quantità di persone e di imprese coinvolte nonché le vaste aree del nostro territorio interessate. Sto parlando di artigiani e commercianti che, travolti dalla crisi nel nostro Paese, non riescono più a pagare le tasse che loro stessi dichiarano di dover pagare, ma che proprio non possono fare per mancanza oggettiva di risorse che non possiedono, perché le loro aziende sono a rischio fallimento.
Non stiamo, quindi, parlando di evasori che chiedono un impossibile salvataggio, ma di lavoratori - direi di grandi lavoratori - che spesso con le loro famiglie investono in piccole aziende i loro risparmi e il lavoro quotidiano di intere giornate e che solo per questo sarebbero meritori di una medaglia speciale. Invece, sono costretti ad organizzare in tutta Italia grosse manifestazioni di protesta, perché non solo sono impossibilitati ad andare avanti ma, di converso, rischiano - e qualcuno lo ha già subito - di perdere tutto, perché il fisco, attraverso Equitalia, senza un'analisi intelligente ed appropriata del problema, porta via tutti i loro averi.
Anche un normale cittadino, che si trova nella posizione di essere creditore non svolge nei confronti del debitore, azioni tali da non poterlo mai far venire in possesso della somma dovuta, ma fa sì sempre di non togliere al debitore i beni che servono per far produrre la propria azienda, proprio perché possa provvedere a restituire il dovuto. Invece, Equitalia non si comporta così e affronta il problema con un'asciutta burocrazia che in tempi brevi pone sul lastrico l'interessato, spogliandolo dei beni, compresa la propria casa, e spesso sequestrando beni di valore assoluto o grandemente superiori al debito dovuto.
Si crea così a valle di questo degenerato sistema un sistema parallelo di profittatori, che acquistano all'asta beni a prezzi bassissimi che in circostanze diverse mai avrebbero potuto acquistare. Viene così a sparire un intero tessuto sociale, perché chi acquista non vuole sostituire l'imprenditore nella propria attività ma vuole semplicemente speculare in altri campi.
Il problema della politica a questo punto è credere o non credere a questo stato di cose. Poiché è ampiamente dimostrato e verificato che la situazione è veritiera, la politica deve intervenire e prendere posizione, perché la politica nasce e lavora per difendere chi è in difficoltà. Pag. 95Non possiamo quindi permettere che Equitalia continui quest'azione assurda e dannosa. Certamente siamo a conoscenza della grande crisi, che ancora colpisce il nostro Paese e, quindi, delle difficoltà che si registrano in altri campi, ma qui stiamo parlando di una situazione particolare che va risolta non solo nell'interesse delle persone e delle aziende coinvolte, ma nell'interesse dell'Italia.
Infatti, continuando così non solo avremo meno introiti per lo Stato, ma nel tempo le persone condannate al fallimento e alla perdita di tutti i beni, compresi quelli per il sostentamento, le ritroveremo necessariamente ad essere assistite dallo stesso Stato perché in grande difficoltà.
I dati indicano che oggi sono interessate alla soluzione del problema circa sei milioni di famiglie e un milione e mezzo di imprese, distribuite sul territorio di tutto il Paese, a conferma con ciò che il problema è strutturale e non legato alla maggiore o minore capacità degli interessati.
Equitalia, in caso di ritardo nel pagamento, somma alla sanzione tributaria gli interessi e gli aggi di riscossione, determinando conseguentemente un incremento insostenibile del debito inizialmente dovuto. Se poi a questo si aggiunge il non pagamento della cartella dopo 60 giorni, può mettersi in atto quella procedura esecutiva più opportuna per riscuotere il debito. È in atto un eccessivo accanimento nei confronti di coloro che sono in difficoltà, che sfiora l'abuso e che in qualche caso - come già ha commentato qualche collega - viene riconosciuta un'autentica vessazione.
Non possiamo però permettere che un intero sistema produttivo venga cancellato da comportamenti di questa natura, che alcuni tribunali italiani come Genova, Roma e Bari hanno qualificato doloso in alcune procedure esecutive.
Questi fatti determinano - come già abbiamo avuto modo di dire - delle conseguenze gravissime che, oltre ad incidere in maniera massiccia nell'aumento della disoccupazione, aumentando l'emergenza sociale, creano conseguenze disastrose per l'economia locale. C'è bisogno di più attenzione per far sì che si renda possibile la sostenibilità del pagamento delle imposte e delle tasse arretrate. Ne va di mezzo la stessa possibilità di riscossione da parte dello Stato.
In Sardegna, per esempio, il fallimento di imprese ha impedito allo Stato di recuperare oltre un miliardo di euro. Ho nominato la Sardegna, signor Presidente, perché sono sardo e vivo in un territorio, il Sulcis Iglesiente, che è in uno stato di crisi senza precedenti e nel quale gli artigiani e i commercianti si sono organizzati dando origine ad oceaniche manifestazioni che hanno coinvolto - e stanno ancora coinvolgendo - l'intera Sardegna. Non ci stanno, non vogliono più subire e chiedono di poter proseguire la loro attività per poter poi pagare quelli che loro stessi - e ripeto loro stessi - hanno dichiarato. A questo punto, non ci sta più neanche il territorio, non solo per solidarietà, ma anche per disperazione. Carbonia, per esempio, capoluogo di provincia, insieme a Iglesias si trova al 116o posto su 119 tra i capoluoghi di provincia per reddito pro capite più basso, mentre la provincia di Carbonia Iglesias è all'ultimo posto delle province italiane per il PIL pro capite prodotto. Se poi aggiungiamo che in questi territori il 40 per cento dei lavoratori sono in cassa integrazione e che oltre il 44 per cento dei giovani sono in cerca di prima occupazione, ci si rende conto come oggi siamo di fronte a una situazione insostenibile, che non può essere ulteriormente aggravata.
Questi dati danno il segno di quanto sia importante che il Governo assuma azioni concrete e risolutive. Occorrono, per questo, interventi urgenti per evitare il tracollo di un sistema - quello delle piccole e medie imprese - che rappresenta una fondamentale risorsa per lo sviluppo del nostro Paese.
Occorre quindi predisporre, oltre all'aumento della rateizzazione del debito, la moratoria di almeno un anno per gli importi riscossi da Equitalia per le imprese e le famiglie con obiettive difficoltà economiche, che hanno comunque presentato Pag. 96dichiarazioni puntualmente con i modelli appositi e che, quindi, non possono essere considerate evasori. Occorre rendere sostenibile il pagamento delle imposte e delle tasse arretrate, così come è giusto riconoscere e ridurre gli interessi e le sanzioni, per poter compensare i debiti con i crediti verso gli enti pubblici che oggi sono inadempienti. Ritengo, signor Presidente, che senza queste iniziative del Governo le persone e le aziende interessate saranno cancellate dal sistema produttivo del nostro Paese, creando ulteriori danni alla nostra economia. Pertanto, in futuro saranno indispensabili, per ripristinare il sistema, forti capitali di investimento, superiori a quelli necessari per risolvere il problema oggi. Occorre, quindi, che il Governo si senta responsabilizzato e che trovi una soluzione, che noi riteniamo non impossibile, che è necessaria non solo per risolvere i problemi di un territorio che, come ho detto, non può più accettare soluzioni in questa maniera; occorrono soluzioni che interessino l'intero nostro territorio nazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, sottosegretario Alberto Giorgetti, per quanto riguarda il quadro di insieme di questo provvedimento, credo che siamo di fronte all'ennesima delusione. C'è un effetto annuncio anche nel titolo: Semestre europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia. Con questo mio intervento cercherò di dimostrare questa discrasia tra il titolo e gli effetti che questo intervento produrrà, perché è inadeguato, insufficiente e contraddittorio. Purtroppo, presidente Giancarlo Giorgetti, nell'esame parlamentare non vi sono state sostanziali modifiche. Dal mio punto di vista, lo trovo anche peggiorato in alcune parti rispetto al testo del Governo. Questo perché è avvenuto? Per le divisioni nella maggioranza e per le divisioni fra questa e il Governo. Solo il senso di responsabilità del Partito Democratico ha permesso di licenziarlo in qualche modo e di non far perdere per l'ennesima volta la dignità a questo Parlamento, perché questo Parlamento si riappropriasse del proprio ruolo, che in questa legislatura ha via via perso. Il provvedimento, però, rimane parziale e insufficiente. Voglio fare una domanda al sottosegretario Giorgetti: quanta crescita produce questo provvedimento? Quanta occupazione? Quanto lavoro? Questo dovrebbe essere l'assillo di ogni provvedimento, noi dovremmo misurarlo con questi parametri, in un momento di crisi come questo, con la situazione dell'economia, con il tasso di disoccupazione dei giovani, con la situazione del nostro Mezzogiorno. Voi mi direte che proprio i primi due articoli si riferiscono al credito di imposta sulla ricerca, al credito di imposta sul lavoro stabile al Sud, al credito di imposta sugli investimenti al Sud. Sono norme che avete introdotto solo in via sperimentale con finanziamenti incerti. Allora chiedo: se queste norme sono in grado di produrre effetti sulla crescita, perché avete soppresso quelle del Governo Prodi? Quanta crescita non abbiamo raggiunto? Quanta crescita era possibile ottenere se non avessimo introdotto il clic day, se non avessimo tolto e complicato questo processo? Ma voi siete abituati a questi effetti annuncio.
Quando prevedemmo la tracciabilità per il fisco, si sono impaurite tutte le vecchiette d'Italia dicendo che bisognava usare il bancomat e tracciare tutto quello che si faceva, salvo poi scoprire che è una delle norme che avete introdotto, stimandola abbondantemente come produttiva di benefici effetti. Dopo due anni siete tornati alla tracciabilità; quindi, abbiamo perso, probabilmente, delle risorse in questo periodo.
Francamente, l'aiuto alla crescita non è stimabile; la trovo una distrazione dell'opinione pubblica, un effetto annuncio. Vedremo, quando faremo la manovra, quando vedremo i risultati dell'esercizio, che questo Paese non cresce e che i provvedimenti che continuate a proporci non aiutano la crescita.
Sappiamo tutti che siamo il fanalino in Europa. In questo provvedimento, però, mi Pag. 97sono preoccupato soprattutto di un articolo, l'articolo 3, quello riferito al demanio marittimo. Ne voglio parlare perché è evidente che noi non riteniamo una soluzione la soppressione che è avvenuta. Lo abbiamo sostenuto: era necessario sopprimere i primi tre commi di quell'articolo, perché erano sbagliati, erano scritti male, non risolvevano il problema.
Siamo molto attenti a questo comparto, che interessa 30 mila operatori in Italia. Riteniamo sia l'ossatura dell'offerta turistica del Paese. Dietro le spiagge abbiamo gli esercizi commerciali, gli alberghi. Un'offerta turistica di qualità che non vedesse negli stabilimenti balneari un'offerta qualificata sarebbe un grave danno per il Paese e per la crescita del prodotto interno lordo della voce del turismo.
Dicevo che una soppressione non si può mai salutare con favore, se non è propedeutica a delle azioni che dobbiamo compiere. Abbiamo compiuto una prima azione: occorrono altre tre mosse. Proponemmo in discussione quattro mosse. Quali sono le altre, che riproporremo attraverso un ordine del giorno, che mi auguro il sottosegretario Giorgetti accetterà, perché è ampiamente condiviso da tante parti della maggioranza?
Occorre chiudere definitivamente la procedura di infrazione europea e occorre anticipare quanto più possibile la legge comunitaria. Non capisco che fine abbia fatto questa legge comunitaria. Ce l'ha mandata il Senato; nel frattempo, non è vi è più un Ministro per i rapporti con l'Unione europea, però credo che un Ministro vi sia, in quanto la delega è tornata al Presidente del Consiglio.
Che non si debba approvare una legge, che è assolutamente necessaria per il Paese, perché non vi è un Ministro che la possa seguire, lo trovo gravissimo. È anche questo un sintomo dell'inefficienza di questo Governo. Il Senato ce l'ha mandata circa un anno fa: ancora è da qualche parte, in qualche cassetto, e non se ne parla più.
Lì vi era la norma che chiudeva definitivamente la procedura di infrazione, perché noi pensavamo, con il decreto «milleproroghe» dell'anno scorso, che ha spostato al 2015 la validità delle concessioni, di avere risolto il problema. Lo abbiamo risolto per quanto riguarda il Codice della navigazione, ma non lo abbiamo risolto per quanto riguarda il rinnovo automatico.
Quindi, gli operatori turistici balneari, nel momento in cui gli scade la concessione, si trovano di fronte il tribunale che contesta questa parte e dice che non vale per il 2015, perché non sono state soppresse le norme riferite al rinnovo automatico.
Dopodiché, voglio segnalare a quest'Aula che il Senato ha discusso questa materia in maniera più approfondita della Camera dei deputati ed è arrivato ad una mozione unitaria votata dall'Assemblea, votata da tutti i gruppi, che impegna il Governo a rivedere tutta la materia. Da qui la nostra sorpresa: quando abbiamo visto questo provvedimento, il cosiddetto decreto sviluppo, certo che ci siamo sorpresi! Il Governo aveva dato parere favorevole ad una mozione, tutti i gruppi si erano riuniti su una mozione che dava le linee e gli indirizzi, e qui ci ritroviamo una cosa assolutamente contraddittoria con quella.
Cosa vi è scritto, tra l'altro, in quella mozione? Vi è scritta una cosa piuttosto coraggiosa, piuttosto difficile da ottenere, piuttosto difficile da praticare. Vi è il suggerimento al Governo di ripensare il decreto attuativo della direttiva servizi Bolkestein e di vedere se è possibile escludere questo comparto dalla direttiva servizi europea per la sua singolarità e per la sua originalità.
Se avete girato un po' l'Europa sapete che un sistema di piccole imprese familiari che organizzano le spiagge non lo trovate da nessuna parte, se non in Italia dove non trovate i grandi gruppi ma questo sistema. Perché - forse è possibile, dico io - chiederne l'esclusione? Perché questi operatori svolgono anche un servizio in più, ossia quello di sicurezza e di tutela, anche ambientale, delle parti che gli vengono date in concessione. Elementi ve ne sono. Del resto, se pensiamo di dovere escludere Pag. 98le edicole per il suolo pubblico che occupano e i mercati ambulanti dall'applicabilità della direttiva servizi, vi sono elementi anche per questa opportunità che noi, fra l'altro, vi segnalammo proponendo un ordine del giorno approvato da questa Camera nel momento in cui il Parlamento si apprestava a dare il proprio parere sul decreto di recepimento della direttiva. Bene, il suddetto decreto, mi sembra sia il n. 59, prevede, appunto perché materia complessa, che entro il 28 dicembre 2011 il Paese, l'Italia, proceda ad una verifica sostanziale e chieda modifiche e rettifiche.
Credo che, dopo la mozione presentata al Senato, poiché il Ministro Fitto ha dovuto chiudere i lavori del suo tavolo tecnico per dire che non era possibile trovare alcuna intesa e si è rimesso al Presidente del Consiglio perché sottoponga la questione all'Europa, sia necessario istruire entro l'anno questa pratica, e istruirla bene, per chiedere all'Europa che la cosa possa essere superata rispetto alla direttiva servizi. Questa è la terza mossa.
La quarta mossa è quella di emanare una legge quadro per il settore specifico del turismo balneare perché, se decidiamo che le concessioni, le autorizzazioni e il diritto di superficie debbano essere messi a gara per rispondere alla concorrenza e al mercato, non possiamo fare poi l'errore di non regolamentarlo bene. Sono molto preoccupato del fatto che nelle nostre coste non si investa più e non si ottenga più la qualità del servizio. Un operatore che non sa quanto durerà la propria concessione e se questa possa essere trasmessa in maniera onerosa non investe in quello stabilimento. Dobbiamo tutelare gli investimenti. Allora dobbiamo anche dire che è normale il fatto di tutelare gli operatori in caso di trasferimento della concessione e, quindi, di indennizzo sul valore dell'azienda. Problemi complessi, e non vi sono solo questi ma anche altri.
Queste sono le quattro mosse che il gruppo Partito Democratico vi propone. Una era necessaria, quella della soppressione, la seconda è la chiusura dell'infrazione comunitaria, la terza è la verifica sulla direttiva servizi, la quarta è una legge quadro di comparto del settore. Mi auguro che, approvando l'ordine del giorno, si rimetta in moto questa macchina. È necessario farlo proprio perché il comparto è molto importante ed interessante.
Ho detto prima che per alcuni aspetti il provvedimento in esame può anche avere peggiorato il testo del Governo. Vorrei farvi un esempio concreto. Abbiamo iniziato la discussione del provvedimento in oggetto con grandi attese rispetto alla soluzione da dare all'oppressione fiscale dei cittadini, soprattutto alla soluzione da dare rispetto alle azioni di Equitalia che, per alcuni aspetti, appaiono vessatorie verso i cittadini. Ci aspettavamo che in relazione ad Equitalia venissero affrontati i nodi veri del problema. Quali erano questi nodi? La proporzione tra le sanzioni ed il livello del debito, la disapplicazione degli interessi di mora alla parte di debito riferita alle sanzioni, e, soprattutto in questo periodo di crisi, l'allungamento del periodo di pagamento del debito che oggi è previsto per un massimo di 72 mensilità. Avremmo potuto portarlo sino a 120 mensilità, ma questo non è stato fatto. Ecco, erano questi i nodi veri. Si è fatta una cosina da niente.
Si dice che Equitalia non deve più interessarsi dei crediti dei comuni e non so cosa ciò determinerà in termini di copertura per i comuni e quindi per la finanza pubblica; per i debiti inferiori a 2 mila euro è stata introdotta una proroga ovvero si è prevista la necessità di due avvisi prima di procedere e non si interviene sulla casa solo se il debito è inferiore a 8 mila euro. Mi sembra una risposta non adeguata rispetto alle attese e anche molto schizofrenica. Infatti, in relazione ad Equitalia dovevamo andare verso il contribuente e cercare di favorirlo, limitarne le vessazioni e invece cosa facciamo? Ci inventiamo una norma che, di fatto, ammazza le commissioni tributarie. A cosa servono, Presidente Buttiglione, le commissioni tributarie? Esse sono istituite a tutela del contribuente il quale, ove riceva un avviso di accertamento, può ricorrere davanti alla commissione tributaria per averne soddisfazione. Cosa accade in sede Pag. 99di commissioni tributarie? L'Agenzia delle entrate, nel 40 per cento dei casi, soccombe, quindi si dà ragione al contribuente e non all'Agenzia. Le commissioni tributarie servono.
Possiamo vedere come sono organizzate, se il loro compito possa essere svolto da qualcun altro e come dobbiamo regolarle, però nella norma c'è scritta una cosa gravissima, sulla quale sono intervenuti la presidenza del consiglio di presidenza della giustizia tributaria e i magistrati. Ricordo che si tratta di una magistratura volontaria, cioè pagata in base alle sentenze emanate, si parla di qualche centinaia di euro al mese; non è che i magistrati siano obbligati a stare lì, però svolgono un servizio piuttosto importante. Ebbene, nel decreto-legge in esame si prevede l'istanza di sospensione e che entro centottanta giorni bisogna rispondere a tale istanza ma quale norma generale, se non accade ciò costituisce per i giudici tributari un illecito disciplinare, sanzionato con la rimozione dall'incarico, valutato ai fini dell'eventuale danno erariale e quindi sottoposto alla Corte dei conti perché provveda a recuperare il danno erariale.
Sappiamo che le commissioni tributarie non sono tutte uguali, che le responsabilità potrebbero essere di un singolo giudice e non della commissione in quanto tale o dei singoli funzionari. Si tratta di una norma, signor Presidente che, a mio avviso, indurrà molti giudici tributari a lasciare l'incarico e ciò costituirà un appesantimento per la giustizia tributaria. Diverso sarebbe stato, invece, affidare questo compito al consiglio di presidenza della giustizia tributaria - altrimenti mi spiegate cosa ci sta fare? - dando luogo all'apertura di un procedimento disciplinare, come è previsto dalla normativa; quindi ci introduciamo in una normativa inopportunamente, e non come noi avevamo invece proposto.
Quindi, da una parte le attese dei contribuenti in relazione alle cosiddette vessazioni sono vanificate, dall'altra c'è questo aggravio, ovvero che non potranno più trovare soddisfazione nel giudizio davanti alle commissioni tributarie perché credo che esse avranno seri problemi ed entreranno sicuramente in crisi a seguito di un abbandono generalizzato. Ci è stato detto che la normativa sarà sistemata con il decreto-legge della manovra che entrerebbe in vigore addirittura prima del provvedimento in esame. Ma che modo è questo di legiferare, mi chiedo. Non credo che le commissioni verranno normate, altrimenti non avrebbe senso aver introdotto questa norma. Ebbene, questi sono i due elementi che intendevo evidenziare, gli altri colleghi faranno poi riferimento ad altri articoli. Però voglio parlarvi a questo punto, se ho ancora a disposizione qualche minuto, di quello che manca in questo provvedimento che è intitolato: «Semestre europeo. Prime disposizioni urgenti per l'economia». Abbiamo ricevuto qualche giorno fa, l'8 giugno, alla conclusione del semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche, le raccomandazioni della Commissione europea sul programma nazionale di riforma e sul programma di stabilità per l'Italia.
L'Europa ci fa delle raccomandazioni. La prima ovviamente è quella della correzione del disavanzo eccessivo e del consolidamento della finanza pubblica e poi ce ne sono altre, a testimonianza del fatto che l'Europa non ci chiede una gestione ragionieristica del nostro debito ma una gestione dinamica: rigore, ma anche sviluppo. Qual è il fallimento di questo Governo? Che si è fermato alla prima parola, senza peraltro riuscirci. Perché sul rigore - lo dico sempre, ma lo dico anche oggi - voglio ricordare che noi abbiamo consegnato i conti di questo Paese con un debito pubblico di 1.648 miliardi di euro e ce lo ritroviamo a 1.867 saranno dati da aggiornare, 220 miliardi in più in tre anni. Abbiamo consegnato un Paese con un deficit corrente di 2,7 punti di PIL, che corrisponde a 40 miliardi, e ce lo ritroviamo al 5 per cento, che corrisponde a 80 miliardi e quindi registriamo un fallimento sulla politica del rigore e solo un annuncio.
Perché è fallita? Perché è fallita nella spesa. Non lo voglio ripetere, lo abbiamo detto molte volte ormai è diventata vox populi, Pag. 100i tagli ciechi e i tagli lineari, è fallita sull'entrata ed è fallita sopratutto sulla crescita. Che cosa ci dice l'Europa? Ci dice di ridurre la frammentazione del mercato del lavoro e vi dedica una parte intera della raccomandazione: si raccomanda di combattere più efficacemente il lavoro nero e promuovere una più ampia partecipazione delle donne al mercato del lavoro migliorando i servizi di assistenza e fornendo incentivi per l'avviamento al lavoro.
Voglio dunque denunciare qui un inganno, perché con il decreto-legge n. 78 del 2010 abbiamo allungato l'età pensionabile delle donne e abbiamo scritto che quei fondi andavano utilizzati per le politiche a favore delle donne, le politiche a favore delle famiglie, dell'assistenza, dei servizi che permettessero alle donne di lavorare e questo è individuato da tutti gli osservatori come un grande fattore, un grande elemento, una grande potenzialità di crescita nel Paese che non viene colta. Noi avevamo emendamenti, signor Presidente, in questo provvedimento per riportare e rimettere a posto la situazione.
Inoltre, cosa ci dice l'Europa? Ci parla del contratto collettivo di lavoro al fine di assicurare che gli aumenti riflettano meglio gli incrementi di produttività così come le condizioni di lavoro. Si parla di più mercato, più concorrenza, di riforme vere, di liberalizzazioni che non ci sono state, di ridurre la lunghezza delle procedure per l'esecuzione, e qui in parte c'è una modifica, ma è del tutto limitata, e ci chiede di migliorare gli investimenti privati in ricerca e sviluppo - non voglio darvi le cifre di quanto siamo lontani dagli obiettivi di Lisbona - e ci dice di accelerare le procedure di cofinanziamento della politica di coesione.
Signor Presidente, rischiamo di perdere oltre 30 miliardi di fondi europei, perché non si spendono i fondi per le aree sottoutilizzate perché sono bloccati. Lo abbiamo denunciato l'altro giorno con l'approvazione di una mozione in Commissione bilancio. E, conclude la Commissione, sarebbero necessari sforzi ulteriori in materia di occupazione, ricerca e sviluppo, efficienza energetica, aumento della quota di popolazione in possesso di un titolo di istruzione terziaria. Noi siamo fanalino di coda. Ne abbiamo discusso quando abbiamo fatto il piano nazionale di riforma, ma quello che mi interessa, perché voglio introdurre, per concludere, l'ultimo tema, è la lotta contro la povertà e l'esclusione sociale. Abbiamo sempre chiesto, in questi tre anni, che si procedesse attraverso azioni per una migliore distribuzione della ricchezza perché questa producesse più domanda, producesse più crescita in un Paese dove il potere di acquisto delle famiglie è al ventisettesimo posto nel mondo. Oggi vediamo in tutti i giornali l'annuncio della riforma fiscale, delle tre aliquote. Avremo modo di discuterlo ma ho già capito che stiamo prendendo la strada sbagliata.
Noi abbiamo 20 milioni di contribuenti fino 15 mila euro: ebbene, l'aliquota minima non si abbassa, rimane al 23 per cento, la seconda al 33 per cento, la terza al 39 per cento. Voglio ricordare le aliquote di oggi, che sono: 23, 27, 38, 41 e 43 per cento. Quindi, io credo che si abbassino ai redditi medio-alti le tasse in questo modo ed io credo che già questo annuncio sia di per sé pericoloso.
Qual è la strada che noi dobbiamo perseguire (poi su questo torneremo, perché adesso non abbiamo tempo e non abbiamo nemmeno i necessari elementi)? Noi abbiamo 20 milioni di contribuenti sotto i 15 mila euro, altri 20 milioni dai 15 mila ai 50 mila euro: queste sono le fasce che devono essere interessate dalla riforma fiscale. Soprattutto la prima: noi dobbiamo intervenire sulle pensioni minime, sui redditi minimi delle persone, sulle famiglie con forti carichi familiari. Noi dobbiamo dare più potere d'acquisto alle famiglie, se vogliamo far ripartire questo Paese. Infatti, se da queste analisi - ho fatto i conti - pagherei 2 mila euro in meno di tasse anch'io, tuttavia io non saprei francamente come aumentare i miei consumi e rimarrebbero nelle mie tasche. Le riduzioni fiscali vanno messe nelle tasche di chi di quei soldi ha effettivamente bisogno, di chi attraverso quei soldi Pag. 101può aiutare la crescita. Questa è una strada sbagliata e noi vi invitiamo subito a fermarvi. Vi abbiamo offerto la nostra collaborazione per un percorso condiviso, perché riteniamo questa la chiave di volta per far ripartire la nostra economia, riteniamo questa una cosa fondamentale, fondamentale per la ripartenza di questo Paese e lo facciamo anche oggi, dopo questi annunci.
Signor Presidente, ho concluso: questa maggioranza si è convinta di aver perso le elezioni e poi i referendum per non aver portato i Ministeri al nord - lo risentiremo domenica da Pontida - o perché i cittadini si sentono oppressi dal fisco. I cittadini si sentono oppressi dal fisco quando vedono uno Stato che non funziona, che non fa tornare loro i servizi per i quali pagano, non si sentono oppressi dal fisco in quanto tale. Io credo che voi abbiate perso le elezioni perché non c'è lavoro, perché non c'è lavoro per le imprese e per le persone e quando c'è lavoro c'è lavoro di pessima qualità, c'è lavoro precario. Quando c'è lavoro non è remunerato quanto dovrebbe, perché tornando alle tasse - e non volete affrontare gli altri temi delle rendite e di quant'altro - noi sappiamo da statistiche che pensionati e lavoratori italiani danno al fisco 50 miliardi in più di quel che dovrebbero rispetto ai parametri europei. Voi perdete perché il potere di acquisto delle nostre famiglie è a livelli troppo bassi, voi perdete perché i padri e i nonni sono preoccupati per i loro figli e per i loro nipoti, che non hanno prospettive. Noi abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile più alto d'Europa, il tasso è drammatico ed è drammatico al sud.
La realtà è che voi non siete capaci di far crescere questo Paese, è sempre successo con i vostri Governi. Lo faremo, ma sarebbe interessante fornire i dati, compararli sulla crescita in questi quindici anni o vent'anni tra i Governi di centrosinistra e di centrodestra. E perché, signor Presidente, questo avviene? Perché questa maggioranza difende le corporazioni, difende i garantiti, difende i privilegiati, perché non ha la capacità di rompere le incrostazioni e rappresenta in qualche modo la conservazione, al di là degli annunci. Invece questo tempo esige coraggio - l'ha detto il Ministro Maroni e lo dico io, l'ha detto il Ministro dell'economia e delle finanze e ha fatto bene - coraggio che in questa maggioranza non c'è, così come non ci sono le condizioni politiche. Ma sopratutto voi perdete perché non siete in grado di dare una prospettiva a questo Paese, non siete in grado di dargli una meta, non siete in grado di dargli un obiettivo. Questo lo si percepisce: questo Paese non ha un'ambizione, bisogna ridargliela, bisogna ridargli uno scopo, bisogna ridargli un obiettivo chiaro. Non siete più in grado di farlo.
Pertanto, al di là della fiducia che riceverete in quest'Aula, questi sono i motivi per i quali il Paese vi ha sfiduciato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. A questo punto, sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 20,55.

La seduta, sospesa alle 20,20, è ripresa alle 20,55.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa notturna della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 4357-A)

PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Proietti Cosimi e Cimadoro, iscritti a parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato. Pag. 102
È iscritto a parlare l'onorevole Cuomo. Ne ha facoltà.

ANTONIO CUOMO. Signor Presidente, con questo provvedimento siamo arrivati all'ennesima conversione in legge, attraverso l'ennesimo voto di fiducia, di un anonimo quanto inutile decreto che arriva in Aula in un momento particolarmente delicato per il nostro Paese, per la nostra economia e soprattutto per le prospettive dei nostri cittadini.
Ci troviamo paradossalmente davanti ad una maggioranza parlamentare che non è più maggioranza nel Paese o meglio, la vecchia legittimazione che tanto sbandierava Berlusconi in questi mesi, non c'è più. Gli italiani infatti, con il doppio voto, quello amministrativo e ancora più quello sul referendum di domenica e lunedì scorsi, hanno mandato un segnale inequivocabile alle forze politiche che sostengono l'attuale Governo. Purtroppo, questo provvedimento, che viene impropriamente chiamato decreto sviluppo, altro non è che un misero tentativo per continuare ad ingannare gli italiani. In questi tre anni abbiamo avuto due manovre attuate con decreto-legge che hanno particolarmente messo in ginocchio il nostro Paese: otto miliardi di euro di tagli alla scuola, tre miliardi e mezzo di tagli alle forze di sicurezza e alle forze dell'ordine, i mancati rinnovi dei contratti della pubblica amministrazione, i tagli ai fondi FAS, tra l'altro usati per tutto tranne che per la finalità prevista. A fronte di tutto ciò, la Banca d'Italia, ieri, così come hanno ricordato altri colleghi, ci ha comunicato che il debito pubblico, il nostro debito pubblico, ha sfondato il suo nuovo record nel mese di maggio e quindi ogni cittadino, compresi i neonati, oggi, ha sulle proprie spalle un debito di 30 mila euro. È una situazione che ci lascia drammaticamente perplessi, ci fa immaginare la stessa sorte della Grecia, della Spagna, del Portogallo; a pensare a questo ci vengono i brividi addosso.
L'ISTAT ha fotografato pochi giorni fa, nella sua relazione annuale, una situazione drammatica, oserei dire catastrofica. Rispetto a questo tre sono i punti per uscire dalla crisi: i giovani, le donne e il Mezzogiorno. D'Antoni l'ha ben detto nel suo intervento del pomeriggio e rispetto a questo io metterei come intreccio il lavoro dei giovani, l'impegno e il lavoro delle donne insieme alla vecchia grande questione meridionale, che poi a mio giudizio resta il punto cardine per rendere questo Paese competitivo e capace, potenzialmente, di uscire dalla crisi. Gli ultimi dati, anche quelli della Svimez negli ultimi mesi hanno dimostrato che la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno è pari al 32 per cento della spesa totale nazionale.
Si tratta di una spesa per il Mezzogiorno che va in progressivo declino rispetto alla quota assegnata in fase di programmazione, che era del 45 per cento. Da questi dati si capisce che bisogna smetterla con i luoghi comuni che il Mezzogiorno d'Italia viene inondato di risorse pubbliche poi mal spese e sprecate. Non è così, soprattutto negli ultimi dieci anni.
Tra l'altro, vorrei dire al Ministro Tremonti - che come Berlusconi, a partire dal 2001, ha governato questo Paese per almeno otto anni negli ultimi dieci - che ha vissuto questi otto anni di Ministro dell'economia e delle finanze solo sulle enunciazioni. Ricordo quando nella passata legislatura ha enunciato la Banca del Sud, e vi è ritornato adesso, ma, di fatto, resta un'enunciazione; ricordo le infrastrutture enunciate, a partire dal ponte sullo Stretto di Messina, che resta un'enunciazione; ricordo la mancata costruzione dell'aeroporto di Grazzanise; la mancata capacità di prolungare l'Alta velocità fino a Reggio Calabria, cioè tutte quelle infrastrutture capaci di rendere il Mezzogiorno d'Italia competitivo insieme all'altra parte del Paese.
Cari colleghi, è stato pubblicato l'altro giorno sugli organi di stampa che l'ISTAT ha certificato che nel 2010 il prodotto interno lordo (PIL) è stato dell'1,3 per cento, molto al di sotto delle potenzialità di questo Paese. Tuttavia, se scomponiamo il PIL, risulterà che al Nord esso cresce oltre il 2,1 per cento, cioè dello 0,4 per cento oltre la media europea, mentre al Pag. 103Sud è pari addirittura allo 0,2 per cento. Questa è la vera fotografia dell'incapacità di questo Governo. Come si può pensare di tenere in piedi un'economia in cui, nello stesso Paese, al Nord vi è un PIL del 2,5 per cento e al Sud dello 0,2 per cento? E nessuno si pone il problema.
Mi viene in mente, a distanza di qualche chilometro dai nostri confini, la Germania. Non più di vent'anni fa la Germania era divisa: vi era la Germania forte e industrializzata dell'occidente e vi era la Germania dell'est. In soli 15 anni il divario tra la Germania dell'est e la Germania dell'ovest è diventato una risorsa; oggi la Germania è il Paese trainante dell'Unione europea, con un PIL che viaggia al di sopra del 3,5 per cento. Questi sono i dati che fanno percepire l'incapacità di questo Governo a trovare soluzioni.
Vorrei approfondire degli argomenti e degli articoli di questo provvedimento. Si è parlato tanto del credito d'imposta, ma come ha detto D'Antoni: quale credito di imposta! Esso è solo la brutta copia del credito d'imposta che ha dato un po' di respiro a questo Paese e che fu introdotto dal Governo Prodi. Tuttavia, solo il credito d'imposta non basta per risollevare le tante difficoltà che vive l'economia del Sud, perché nel Mezzogiorno d'Italia vi sono problemi storici e delle emergenze che vanno affrontate con capacità. Mi riferisco alla criminalità organizzata, mi riferisco alla dispersione scolastica e alla mancanza di infrastrutture. Rispetto ad un impegno diretto che il Governo non ha e che non ha avuto, si potrebbe risolvere la distanza e il divario tra Nord e Sud.
Per non parlare del problema e del pasticcio che questo Governo ha creato nel settore più importante di una società e di un Paese che è la scuola, l'istruzione. Questo è l'unico Governo che in un settore così complesso e delicato come la scuola è intervenuto solo attraverso una decretazione d'urgenza. Si è iniziato nel 2008 con il decreto-legge n. 112, cioè la madre di tutti i tagli, e si arriva ad oggi, solo attraverso norme inserite per l'appunto in decreti-legge.
Viene previsto un piano triennale per l'assunzione dei precari della scuola, tuttavia la cifra non è affatto specificata; si parla di 65 mila posti di lavoro, perché quello sarebbe il calcolo stimato dal Ministero, ma nel decreto-legge siamo al mistero e soprattutto vi è una terminologia verbale declinata al tempo futuro che rende ancora più incerta la soluzione.
Infatti, c'è scritto che il programma dovrà essere compatibile con la stabilità dei conti pubblici. Guardate, sono delle cose assurde e per applicarlo definitivamente servirà un successivo decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della pubblica amministrazione e dell'innovazione, che significa fare niente.
Dopo tre anni siamo ritornati alle assunzioni che il Ministro Fioroni aveva previsto con l'ultima finanziaria del Governo Prodi del 2008 e che poi sono state stoppate dai tagli degli ultimi tre anni con l'aggravante che i numeri attuali non sono più sufficienti neppure a colmare i pensionamenti dell'ultimo triennio.
A questo dobbiamo aggiungere le misure estemporanee e un po' propagandiste di settori della Lega - questa è un'altra assurdità - che paventano invasioni di insegnanti meridionali al Nord. Nulla di tutto ciò. Se vogliamo confrontarci nel merito ben venga, ma se dopo gli schiaffi, che un autorevole Ministro della Lega ha detto di non voler prendere più dagli elettori, si pensa di restituirli a cittadini che hanno fatto sacrifici, che hanno studiato e che decidono di trasferirsi al Nord per necessità e non certo per il piacere di lasciare il posto d'origine, suggerirei di avere rispetto.
Qui ci opporremo con tutte le forze a discriminazioni e a misure che non siano rispettose del dettato costituzionale e della legge. È l'unico Governo in l'Europa occidentale che, di fronte alla crisi, ha tagliato nella formazione invece che investire. Sono diminuite le ore di insegnamento, si è addirittura tornati al ripristino del vecchio avviamento, si è dequalificato il corpo docente, si sono tagliati 130 mila Pag. 104posti di lavoro, il più grande licenziamento di massa del settore pubblico mai avvenuto in Italia.
La scuola è il vero settore trainante su cui puntare per uscire dalla crisi. Più formazione si traduce, probabilmente e possibilmente, in più opportunità. Bene ha detto il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nella sua ultima relazione annuale. In quella relazione ci sono tutti gli spunti per affrontare questo periodo difficile con una nuova spinta e un nuovo approccio di politica economica.
Non si governa contro, ma lo sforzo che deve fare un Governo è quello di ascoltare e prendere decisioni il più largamente condivise. Non si esce dalla crisi con battute balneari e siamo molto preoccupati che, mentre stiamo discutendo di un decreto-legge, si annunciano riforme fiscali che rischiano di pregiudicare proprio la questione dello sviluppo.
Vedete, cari colleghi, il Paese è arrivato a un punto tale che non può reggere più gli sforzi che ha retto in questi anni. Siamo a una cura da cavallo che non regge, se non si fortifica la crescita. Non si possono tagliare 40 miliardi di euro nei prossimi due anni senza una condivisione e una concertazione e, soprattutto, senza l'obiettivo di non far pagare ai soliti, alle fasce più deboli.
Soprattutto il Mezzogiorno non è in grado di reggere ancora in una condizione socialmente drammatica. Oltre ai dati già citati va sottolineato che il 30 per cento delle famiglie, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, vive al di sotto della soglia di povertà.
Probabilmente un altro terzo rischia di entrarci per motivi imprevedibili, che ad esempio possono riguardare la salute dei cittadini. I danni di questa situazione ormai sono sotto gli occhi di tutti e se l'idea è quella di aumentare l'IVA allora siamo ancora più preoccupati, perché significa che si tratta di una manovra che veramente e davvero mette le mani nelle tasche degli italiani e in particolare - come ho detto prima - in quelle dei meno abbienti. La verità è che manca un disegno complessivo, manca una strategia di sviluppo rispetto alle priorità che ha questo Paese. La verità più amara è che Berlusconi ormai somiglia sempre di più a un principe triste, senza scettro, senza spada e senza moneta.
Quello che servirebbe è un Governo forte e con un Premier credibile. Abbiate - lo dico ai colleghi della maggioranza - almeno rispetto per il disagio profondo che questo Paese vi ha segnalato anche - come ho detto prima - nelle ultime elezioni amministrative e nel referendum. Comprendete lo stato di disagio, convincetevi che una stagione politica è finita e passate la mano. Il Paese lo merita, i nostri cittadini hanno il diritto di sperare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, ci troviamo di fronte all'ennesimo provvedimento - bisogna dirlo - che ancora una volta non permette - lo dico al Governo, considerato che porrà la fiducia su questo provvedimento - e non darà la possibilità a questo Paese, al Parlamento, ai cittadini di discutere di una norma importante per le sorti future del Paese, soprattutto considerato lo stato di salute economica del Paese e quello che sul piano internazionale ci sta chiedendo la Comunità europea sui sacrifici da fare.
È un Paese fermo, è un Paese ormai che ve lo sta dicendo in tutti i modi, ve lo ha detto nelle scorse elezioni amministrative, ve lo ha ribadito nel referendum, ovviamente ora non sa più in che maniera dirvelo che non ne può più di voi e del vostro modo di fare politica nel Paese. L'economia è ferma, i consumi non partono e invece prevale un'idea della gestione economica del Paese fatta esclusivamente di tagli, di colpi continui ad un sistema di difesa sociale che sta determinando grande malessere nel Paese.
Voglio indirizzare il mio intervento, e lo indirizzo considerato anche la mia appartenenza alla Commissione cultura, in modo particolare sull'articolo 9, che viene Pag. 105inserito in questo provvedimento che dovrebbe essere di sviluppo. Ma prima di discutere del provvedimento e dell'articolo 9 in modo particolare, voglio ricordare brevemente che cosa è successo in questi tre anni nel mondo della scuola prima di arrivare a quello che, come può essere detto da noi, è una «pezza a colore», una pezza veramente per evitare che le cose precipitino ulteriormente.
Tre anni fa avete deciso di emanare un decreto-legge, il n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008.
All'articolo 64 avete affermato in modo chiaro che la politica di questo Governo è quella di fare 8 miliardi di euro di tagli alla scuola, di bloccare il turnover, di bloccare ogni possibilità di integrazione di risorse sia economiche che umane nella scuola e, quindi, di fatto di metterla in ginocchio, così come è a seguito di tutta una sede di provvedimenti che il Ministro Gelmini - devo dire - «commissariata» dal Ministro Tremonti ha fatto in questi anni. Ricordo il provvedimento sul tempo pieno, quello sulla cosiddetta riforma della scuola secondaria che continua a non partire e che è nel caos più totale considerata la vicenda che riguarda la situazione di insegnanti e di classi concorso. È così che nel nostro Paese si rischia che un insegnante di chimica finisca per insegnare filosofia e un insegnante di filosofia finisca per insegnare chimica, perché non avete più personale, non intendete assumere né investire risorse.
Penso che un Governo che decide di non investire risorse nella scuola è un Governo che ha deciso di non investire nel futuro del proprio Paese e nel futuro dei propri figli. Quindi, da questo punto di vista critico il vostro comportamento e quello che avete fatto in questi anni, a differenza di tanti altri Paesi che, invece, proprio di fronte alla crisi hanno voluto investire risorse nella cultura, nella formazione, nei saperi, nell'università, proprio perché per diventare competitivi c'è bisogno di qualità e di investire nelle competenze e nei giovani.
L'articolo 9 del provvedimento al nostro esame, in modo particolare, interviene su alcune questioni riguardanti i contratti di ricerca strategici. Anche in questo caso, con gli emendamenti previsti nel corso dell'esame, questi contratti di ricerca strategica, che dovrebbero servire ad aiutare le aree sottoutilizzate del Mezzogiorno, mancano di trasparenza e di chiarezza. Non si sa come e in che maniera si vogliano raggiungere determinati obiettivi e come vengano utilizzate le risorse. Anche in questo caso, nei contratti di ricerca strategica ancora una volta il Ministro dell'università viene di fatto commissariato dal Ministro dell'economia che detta le condizioni in funzione delle risorse.
Nell'articolo 9, ai commi che vanno dal 3 al 16, introducete una novità che a mio giudizio non è tale e che riguarda il Fondo del merito che nasce dalla riforma dell'università, la legge n. 240 del 2010, che doveva servire a rimettere in cammino l'università. Attraverso il Fondo del merito si poteva e sarebbero dovuti essere erogati dal Ministero dell'università i cosiddetti premi di studio, i buoni studio, i prestiti d'onore agli studenti. Avete inventato questa formula mettendo una fondazione di diritto privato per fare quello che avrebbe potuto fare, invece, direttamente il Ministero dell'università d'intesa con il Ministero dell'economia. In realtà inserite, quindi, un ulteriore carrozzone che, tra le altre cose, non avrà neppure le risorse necessarie a garantirlo, considerato che al primo anno gli darete 10 milioni di euro. Poi sarà un milione di euro l'anno. Però voglio ricordare, invece, che questo Governo ha tolto e tagliato all'università un miliardo e mezzo di euro.
Ha determinato una condizione, per i ricercatori e per la ricerca, che chiaramente è di grande difficoltà. Quando si vogliono fare riforme senza investire risorse economiche e senza dare una destinazione di sviluppo a quelle risorse economiche, che possono essere investite bene in un settore qual è l'università, non si potranno fare riforme vere e voi, in questo periodo, non avete fatto riforme vere.
Poi avete annunciato, con questo provvedimento, che avreste dato una risposta al mondo del precariato, a quello della Pag. 106scuola e a tutte quelle persone che, attraverso i vostri provvedimenti, avete espulso dagli istituti e a cui avete sottratto il diritto al lavoro. Quindi, si tratta di una sorta di assunzione di colpa e con questo provvedimento, appunto, avete cercato e cercate di dare una risposta a tutte quelle persone.
Ovviamente, questo provvedimento non è dovuto alla vostra volontà ma vi viene imposto, ancora una volta, da sentenze della magistratura. Infatti, dovete fare i conti con le sentenze della Corte di cassazione e con quelle della magistratura di Genova che vi ha imposto di rispettare la normativa comunitaria del 1999 che prevede l'assunzione a tempo indeterminato per tutti quegli insegnanti che hanno lavorato per almeno 36 mesi e non in modo continuativo. Si tratta di una normativa che violate e che viene sistematicamente violata. Credo che in questo caso anche questo provvedimento non vi sottrarrà ad ulteriori ricorsi.
Allo stesso modo, avete dovuto piegare la testa di fronte alla sentenza della Corte costituzionale che ha stabilito che non potete bloccare il passaggio da un territorio all'altro del Paese per gli insegnanti che vogliono andare dal sud al nord o viceversa. Per fortuna non è passato il tentativo di inserire questo emendamento - che è poco definire una buffonata - relativo ai 40 punti aggiuntivi per chi rimane nel proprio territorio determinando, di fatto, ancora una volta un elemento di incostituzionalità.
Avete preannunziato un piano triennale di assunzione di precari senza investire un centesimo, perché quelle persone che assumerete saranno persone che andranno ad occupare posti vacanti e, dunque, di personale che andrà in pensione. Guarda caso, nel provvedimento non avete indicato neppure i numeri di questo piano triennale di assunzione. Non potete indicare i numeri del piano triennale di assunzione perché il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro Tremonti, non è in grado oggi di dirvi quanto può spendere. Pertanto, oggi avete promesso, a parole, 67 mila posti di assunzione tra ATA e insegnanti ma, in realtà, questo non lo indicate nel provvedimento perché non siete in grado di farlo. Infatti, potrebbero essere 60 mila o 30 mila, a seconda delle disponibilità economiche.
Penso poi all'emendamento che noi, dell'Italia dei Valori, abbiamo proposto e che avete recepito - e questo lo apprezziamo - in merito agli abilitati e agli abilitandi, i ragazzi che stanno acquisendo la possibilità di insegnare per entrare nelle graduatorie e ai quali era stata bloccata tale possibilità. Parliamo di 21 mila persone ma, grazie alla campagna di sensibilizzazione che è stata portata avanti e anche alla voce di queste persone, l'emendamento è stato accettato e oggi possiamo dire, comunque, che siamo in grado di dare un minimo di speranza a chi sacrifica parte della sua vita perché crede nell'idea di formare e nell'idea di poter rendere questo Paese migliore, impegnandosi per l'istruzione e per la scuola.
Tuttavia, i problemi della scuola non credo che si risolvano con l'articolo 9 e con questo provvedimento. Voglio ricordare che il mondo del precariato della scuola in questi giorni manifesterà davanti al Parlamento, manifesterà per cercare di dirvi, sottosegretario, e di dirci che la sua voce va ascoltata. Sono 150 mila le persone che resteranno fuori dal mondo della scuola e che non hanno alcuna prospettiva, alle quali noi non siamo in grado di dare alcuna prospettiva: credo che, nonostante le parole offensive del Ministro Brunetta nei confronti del mondo del precariato, questo debba essere rispettato perché costruiamo una classe di questo Paese che sa che non avrà alcuna prospettiva per il futuro, che non ha più motivazione, né voglia di amare questo Paese, che li considera un peso.
Credo che invece dobbiamo modificare questo modo di fare e dobbiamo dare una prospettiva a chi si impegna a lavorare, a chi è giovane e a chi ha la voglia di insegnare, che non sia quella della precarizzazione della vita e della sottrazione della possibilità di costruirsi un futuro. Infatti, questo accade solo da noi e in nessun'altra parte del mondo. Pag. 107
Concludo, dicendo che questo provvedimento non ci porterà da nessuna parte, è uno spot, dimostra la vostra debolezza e i cittadini, che ovviamente sono molto più intelligenti di quanto pensiamo, stanno capendo le vostre furbizie, i vostri sotterfugi e il vostro modo di operare in questo nostro Paese, che è in ginocchio, ma che in questo momento, credo che stia alzando la testa e stia dimostrando di potersi liberare da questo cattivo modo di gestire il Paese e la politica nel nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fogliardi. Ne ha facoltà.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, il mio intervento si soffermerà in maniera particolare sull'articolo 7 del decreto-legge, articolo che porta il titolo di «semplificazione fiscale» che, nella volontà dei proponenti, voleva avere principalmente lo scopo - leggo testualmente - «di ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese e, più generale, sui contribuenti», ma che, a giudizio di chi interviene e del gruppo che rappresento è stato, in maniera lampante, l'occasione persa o - forse sarebbe meglio dire - la dimostrazione ineludibile dell'incapacità della maggioranza che governa il Paese di porsi in sintonia con il territorio, con i cittadini ed interpretarne le esigenze più concrete e urgenti in un settore quale quello del rapporto tra cittadini stessi e istituzioni in materia fiscale.
È proprio di questi giorni, o meglio di questa mattina, all'indomani della seconda batosta, che il Presidente del Consiglio ha individuato nella riforma fiscale, da vararsi prima della pausa estiva, il toccasana per l'immediata ripresa dell'immagine del proprio Governo.
È emblematico a tale riguardo, signor Presidente, vedere come titolava questa notizia un giornale, che non è certo di appartenenza del centrosinistra e non è un giornale di partito. Esso, come il proprio esperto economico, testualmente diceva: «La riforma illustrata ieri da Giulio Tremonti ha un ampio respiro, tanto ampio che, se dovesse partire domani, ne vedremo gli effetti forse tra cinque anni». Ebbene, quel giornale è Libero e questa è la verità.
È una riforma - si badi bene - che anche noi del Partito Democratico riteniamo positiva e che sia ormai tempo di varare, tant'è che da tempo abbiamo presentato le nostre proposte. È una riforma che la maggioranza, però, anche negli anni scorsi ha sempre sbandierato, schierandosi a paladina dei cittadini e, in modo particolare, di quelle piccole e medie imprese tessuto portante dell'economia del nostro Paese. Ma tant'è. La riforma la faremo sicuramente noi non appena al Governo del Paese. In questo caso, non abbiano avuto nemmeno alcune semplificazioni ritenute importanti e necessarie, ma soprattutto alcun impegno economico per il Governo. Vorrei sottolineare questo aspetto: nel momento in cui andiamo a parlare di semplificazioni e di aiuti, nessuno di noi ritiene di avere la bacchetta magica o di poter trovare la soluzione nel cappello del mago. Siamo consapevoli che il momento è quello che è, che gli impegni per rimanere nell'area euro vanno rispettati, che, come scrive Il Sole 24 Ore oggi, la demagogia è costretta a fare i conti con la realtà europea e che i margini per il populismo nazionale sono ormai esauriti. Ma allora è proprio per questa consapevolezza che vi era la possibilità di intervenire su una marea di piccole cose concrete, cose concrete per le partite IVA, per le piccole e medie imprese, senza alcun impatto - ripeto - per gli equilibri di Governo e per le casse erariali. Anzi, a nostro giudizio, questo era il momento di dire con correttezza e con chiarezza agli italiani: non possiamo abbassare le imposte, ma possiamo fare tutta una serie di interventi per renderle meno pesanti e più sopportabili. Sono state formulate tantissime proposte da parte nostra. Ne cito solo alcune perché il tempo a disposizione non mi permette di enunciarle tutte, ma alcune significative sì, che danno l'idea della conoscenza e del rapporto diretto con la base produttiva del Paese. Abbiamo avuto invece da parte vostra proposte che danno Pag. 108l'idea di un malato terminale curato con l'aspirina. Avevamo proposto la dilazione di sanzioni, l'allungamento di tempi per permettere il pagamento delle stesse, l'abbattimento di norme atto a facilitare il lavoro degli imprenditori sempre più burocratizzati è sempre meno imprenditori, la semplificazione degli studi di settore, ma abbiamo ricevuto il vostro «no» a tutto. Basti pensare che vi siete persino rifiutati di semplificare la vidimazione e la bollatura dei registri contabili. Vi siete rifiutati di valutare l'ipotesi di estromissione di beni immobili dalle società, la possibilità di estendere la rivalutazione anche agli immobili, la possibilità di agevolare le liquidazioni di chiusura di società di persone. Faccio alcuni esempi concreti proprio sull'articolo 7, riguardo ad alcune semplificazioni che voi avete previsto ad esempio alla lettera h): «i versamenti e gli adempimenti, anche se sono telematici, previsti da norme riguardanti l'Amministrazione economico-finanziaria, che scadono il sabato o in un giorno festivo sono sempre rinviati al primo giorno lavorativo successivo». Questa è veramente la scoperta dell'uovo di Colombo. È una pazzia pensare che questi possono essere i toccasana. Vi è, ancora, l'abolizione della compilazione della scheda carburante in caso di pagamento con carte di credito o di debito prepagate.
Cari colleghi, caro Presidente, questi sono veramente impegni concreti e solidi per rilanciare l'economia del Paese? Noi riteniamo invece che vi erano ben altre possibilità. Parlavo poc'anzi, ad esempio, dell'estensione del regime di contabilità semplificata. Avevate proposto 400 mila euro di ricavi per le imprese di servizi e 700 mila euro di ricavi per le altre imprese. Anche su suggerimento di colleghi commercialisti professionisti, avevamo proposto di portare a 420 mila euro il primo stadio, che significa 35 mila euro al mese di volume d'affari, ed a 720 mila euro per i servizi, che significa 60 mila euro al mese. Erano piccole cose, ma davano il segnale di una dimostrazione di arrotondamento e di maggiore capacità e possibilità.
Era una questione che non costava nulla allo Stato, al Governo, all'erario, e che dava anche la possibilità alla maggioranza di recepirla. Questo è un esempio, ma ve ne sarebbero tantissimi altri su cui poter intervenire. Parlavo prima anche dell'altra questione, dell'innalzamento a 300 euro dell'importo per riepilogare in un solo documento le fatture ricevute nel mese. Avevo presentato un emendamento, proponendo di portare l'importo almeno a mille euro al mese. Anche questo non è stato accettato!
Ma una delle questioni a mio giudizio molto, ma molto più delicate, che accennavo poc'anzi, è quella dell'estensione della rivalutazione, che avete limitato ai terreni, anche agli immobili. Vi sono casi concreti di artigiani che, nella crisi che il Paese sta vivendo, valuterebbero anche, raggiunta ormai la soglia della pensione, di smettere l'attività.
Parliamo di artigiani che, magari, hanno una piccola società di persone, che hanno l'intestazione di un capannone che dovrebbero far uscire dalla società, ma che non lo possono fare perché la fuoriuscita comporterebbe una plusvalenza patrimoniale tassabile mostruosa, con una tassazione dell'IVA altrettanto alta, e che, conseguentemente, sono imprigionati e, pur magari potendolo fare con dei sacrifici, non si possono permettere di chiudere nemmeno l'attività.
Faccio un altro esempio: immobili acquistati negli anni passati, più floridi, in leasing, che sono stati, conseguentemente, caricati in contabilità ad una valutazione di riscatto molto esigua. Avere dato la possibilità di rivalutare quegli immobili avrebbe dato, conseguentemente, la possibilità anche di rinvigorire quei bilanci scarni da presentare agli istituti di credito che, oggi come oggi, si comportano come si comportano.
E così potremmo andare avanti per ore. Che dire, poi, di quegli autotrasportatori che non evadono una lira e che hanno fatto debiti per acquistare i camion. Che dire di quegli agenti e rappresentanti procacciatori di affari che non evadono una lira e che non hanno la Pag. 109possibilità di avere alcuna agevolazione. Che dire di quei tanti giovani che, per poter lavorare, sono obbligati ad acquisire la partita IVA. Avevamo fatto presente tutte queste cose in sede di audizione del Ministro Tremonti, ma non abbiamo avuto risposta.
Avevamo fatto presente l'esigenza di una minore pressione fiscale sui piccoli imprenditori e sulle famiglie, che, ripeto, ormai sono impossibilitati, soprattutto per quanto riguarda i piccoli imprenditori, a poter svolgere la propria attività, perché sono oppressi da verifiche e controlli continui.
Ci si è limitati a dire che se ne può fare uno ogni sei mesi, quindi due all'anno. È ridicolo ed è una presa in giro! Non si farà in tempo a rimettere negli scaffali i faldoni delle fatture che bisognerà ritirarli fuori, perché, dopo sei mesi, può arrivare un nuovo controllo. Non si è capita l'essenza. Nel frattempo, però, vi è chi gioisce.
Chi è che gioisce? Coloro che nel passato hanno avuto il condono per l'importazione e il rientro dei capitali dall'estero, che hanno potuto sanare pagando il 5 per mille. È un metodo, usato da questo Governo, per cui i grandi cantano e i piccoli continueranno a soffrire. Avete idea - ma non ce l'avete sicuramente - di chi, per poter lavorare, si è ipotecato la casa? Oggi come oggi il Paese è pieno di artigiani e di piccoli commercianti che, per poter avere linee di credito per poter proseguire, devono ipotecare i beni personali.
Avete idea di quale atteggiamento stanno tenendo gli istituti di credito con molti piccoli imprenditori disperati e con le famiglie, alle quali stanno facendo pagare il costo della spregiudicatezza delle loro speculazioni internazionali? Sono famiglie che, magari, hanno chiesto di accedere a piccoli fidi e a piccole aperture di credito per poter far studiare i figli. Mi rivolgo in modo particolare agli amici della Lega, che questa sera non sono presenti, che predicano bene - lo hanno detto anche nei giorni scorsi - ma purtroppo, poi, razzolano male.
Sbandierate a voce di voler far pagare le banche, ma in realtà non mettete nero su bianco. È il risultato della spaccatura nel Governo, quella spaccatura che abbiamo toccato con mano in questi giorni e che abbiamo visto, concreta, ieri sera, durante i lavori in Commissione, di cui conosciamo l'esito finale. Avete votato un documento del quale non conoscevate nemmeno il contenuto; avete votato il mandato al relatore senza sapere su che cosa.
Sarete costretti a porre, forse per la quarantesima volta, ormai abbiamo perso il conto, la questione di fiducia per mascherare una maggioranza che non regge più, un'illusione che continuate a coltivare infilando, come gli struzzi, la testa sotto la sabbia per non vedere una realtà che non vi vuole più, che ormai ha deciso di girare pagina per non vedere morire questo Paese per il quale invece noi continuiamo a batterci.
Credo ve ne sia a sufficienza per ribadire che il decreto in esame lo voterete voi con l'ennesima burla della posizione della questione di fiducia e con imbroglio del Paese e, soprattutto, di quei tanti cittadini onesti e laboriosi che quanto prima scriveranno per voi la parola fine (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Monai rinuncia ad intervenire.
È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, colleghi, per inquadrare il provvedimento in esame, intitolato semestre europeo - prime disposizioni urgenti per l'economia, vi è bisogno di fare una sintesi di quello che è successo in questo periodo di declino e di crisi del nostro Paese e degli impegni che abbiamo assunto sul piano europeo. Sul piano europeo abbiamo assunto l'impegno di raggiungere l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014. Attraverso il Documento di economia e finanza abbiamo anche assunto l'impegno di definire una manovra correttiva per il 2013 e il 2014. Pag. 110
Il Paese, che a differenza di tanti altri Paesi non ha chiesto salvataggi pubblici, grazie ad alcune riforme previdenziali molto forti degli anni Novanta, ha un sistema creditizio che ci avrebbe consigliato di promuovere azioni di risanamento nei confronti della spesa. Membri del Governo, gli impegni assunti vogliono dire che la spesa pubblica corrente deve essere ridotta del 5 per cento se procediamo alla riduzione senza toccare il conto capitale.
Perché non vi è crescita? Perché i tagli del decreto-legge n. 78 del 2010 hanno fatto gridare su ciò che manca. Cosa manca? Il Fondo relativo alle risorse finanziarie per l'attuazione del federalismo amministrativo, che comporta meno un miliardo e mezzo di euro sul conto capitale. In materia di edilizia sanitaria pubblica per ammodernare il sistema italiano una chiara inchiesta della Banca d'Italia ci ha fatto presente che alcune regioni ricorrono al taglio cesareo, all'80-85 per cento delle prestazioni, perché vi sono piccoli centri, punti di nascita di 200, 250 nati, un giorno sì e un giorno no. Là ci vuole un medico, un primario, e sono cinque, per i turni in quinta ci vogliono due ostetriche e, facendo il conto, siamo a dieci dipendenti. Non si va alla riduzione di questi attraverso spese di investimento e spese strutturali, ma si fanno i cosiddetti tagli lineari. La Banca d'Italia ci ha detto una cosa certa, ossia se procedete nello stesso modo incidete sull'andamento del PIL con una riduzione del 2 per cento. Mi chiedo, ma che è successo da quando si è detto che vi era un po' di ripresa? Quanti punti di PIL ha ripreso il Paese dei sette che ha perso nel periodo della crisi internazionale? Ne ha ripresi due. Qual è l'andamento del PIL negli ultimi dieci anni in Europa? Io paragono l'Italia alla Francia, siamo quasi uguali.
Il nostro prodotto interno lordo in questi dieci anni è aumentato del 3 per cento mentre, se non sbaglio, in Francia del 12 per cento. Le retribuzioni in Francia sono aumentate del 9 per cento e i consumi del 18 per cento mentre in Italia le retribuzioni sono aumentate meno del 4 per cento e i consumi nemmeno del 5 per cento in dieci anni. Questo è il quadro: ci ritroviamo con un ennesimo provvedimento che si dice abbia due articoli sul tema della crescita e dello sviluppo. Non si affronta nessuna riflessione seria e puntuale sulle varie fonti di bilancio dei nostri enti pubblici, sui capitoli, non si fa una comparazione dell'efficacia e dell'efficienza dei servizi, non c'è un parametro: quanti poliziotti o finanzieri o carabinieri rispetto agli altri Paesi abbiamo in termini di popolazione di riferimento, come sono organizzati i nostri uffici, qual è la dimensione scolastica. No. Si fa un provvedimento in cui si inseriscono 11 articoli e la fantasia. Prendiamo i primi due articoli sullo sviluppo. Il Ministro Tremonti ha annunciato in sede di audizione l'istituzione di un credito di imposta nella misura del 90 per cento per chi fa ricerca. Abbiamo iniziato a studiare il provvedimento e il servizio studi ci ha detto - ho scoperto una cosa che non sapevo - che 3,4 miliardi vengono spesi in Italia dalle imprese per convenzioni con enti pubblici e universitari. L'articolo 1 precisa che il credito d'imposta riguarda l'incremento della spesa di investimento, incremento pari al 15 per cento. Dunque il 90 per cento del 15 per cento è pari al 13 per cento a fronte di un credito annunciato del 90 per cento e non si liberano le possibilità di credito di imposta e di risorsa per quei centri interni alle imprese ma si dice di continuare nella convenzione con le università. Siamo contenti? Si incentiva la crescita? Noi aspettiamo con attenzione l'elemento della manovra e vi diciamo con franchezza che non siete in grado; con chi urla dello spostamento dei Ministeri, con chi fa pressioni e vuole a Pontida che qualcuno apra le borse, senza capire come si sostiene realmente un Paese occidentale ed europeo come il nostro, nell'ambito degli impegni europei e della dimensione di crescita. Non sono impegni di poco conto perché il pareggio nel 2014 è una vostra favola perché non riuscite, caro sottosegretario, ad individuare quali siano gli elementi di intervento sugli elementi che ricordavo prima, Pag. 111con un'analisi attenta e puntuale degli elementi dell'andamento del bilancio per non dover ricorrere di nuovo ai tagli lineari che ci dice Draghi nella sua relazione annuale comporterebbero una perdita pari a due punti di crescita. Però voglio lasciare la macro economia perché può sembrare un discorso al vento e c'è necessità di cambiamenti culturali. Capisco che non è più una crisi ma un declino che si accompagna con dolcezza o con cattiveria alle sorti del nostro Paese, del nord, del sud e del centro. Voglio però entrare nel dettaglio per quel tempo che mi rimane su alcuni aspetti del provvedimento. Prendiamo la novità, ovvero l'articolo 7. Perché agli enti locali italiani si vieta, dal 1o gennaio 2012, in base a una proposta emendativa delle Commissioni, di poter svolgere la loro funzione di credito ad un aggio di circa il 9 per cento quando ho visto in circolazione aggi del 33 per cento per gara per il recupero del credito degli enti locali ad Equitalia? Equitalia nell'audizione ci ha detto che non si fida molto dei comuni per il recupero dei crediti.
Ma che succede dal 1o gennaio? Chi recupera quei crediti delle convenzioni fatte? Ci avete insegnato e ci ha insegnato Eurostat che deve essere il bilancio largo dello Stato, i 798 miliardi che tutti gli anni, il 10 febbraio, noi siamo obbligati a mandare in Europa. Non vi siete posti nemmeno il tema che nel bilancio allargato dello Stato, riducendo le entrate degli enti locali rispetto al recupero tributario che dovevano fare, ci saranno minori entrate, ci sarà qualcun altro. Si va a Pontida. Si apre la borsa, si sposta il Ministero. Bei tempi, complimenti, qualcuno dovrebbe gettare anche il cappello. Dunque la domanda è: come è possibile continuare con il tredicesimo provvedimento di una manovra in cui non c'è né stimolo, né riflessione sulle riforme strutturali necessarie al Paese e nemmeno su come poter dare il senso di crescita? Però «si esce nei giornali», il 90 per cento di incentivazione e di credito di imposta che ricordavo prima, di cui all'articolo 1, che sono 55 milioni e incrementano nemmeno del 15 per cento le convenzioni dei privati e delle imprese con le università.
L'altra previsione più bella è i fondi FAS all'articolo 2. Il credito di imposta sul tema delle assunzioni nel Mezzogiorno. Ve lo abbiamo detto venti volte. Non dovete andare un'altra volta a ritrattare con l'Europa perché il Governo Prodi l'aveva fatto anche nei confronti degli investimenti del credito di imposta delle assunzioni. No, abbiamo fatto emendamenti, discussioni, nottate, silenzi, accordi con voi e tornate sempre a queste discussioni e si dovrà vedere che effetto e che efficacia avranno questi provvedimenti. Quindi, vi invitiamo ad essere coerenti rispetto alla politica economica concordata con l'Europa, alla necessità di ristrutturazioni necessarie nel nostro Paese e di nuovo attenti al bilancio perché andate sempre a toccare il conto capitale che di nuovo, da dati in circolazione, ci dicono che è il più basso Paese per investimenti. Siamo arrivati ormai al 2 per cento del prodotto interno lordo.
L'ultima perla: c'è una battaglia commerciale nel Paese tra aziende del mobile che dispiace a tutti gli italiani, a noi che siamo impegnati anche nella riflessione del settore. E avevate trovato all'articolo 8, comma 10, la soluzione del problema. A seguito anche della sentenza del 17 gennaio della Corte europea, che in una causa tra due produttori italiani aveva precisato che il diritto d'autore settantennale dopo la morte dell'autore del design, non il brevetto di 25 anni, ma il diritto d'autore del disegno e dei modelli settantennale vale se questo è registrato, se questo ha una registrazione, anche antecedente alla direttiva europea del 1998, recepita da noi nel 2001. Il Parlamento italiano in quella fase recepì la direttiva europea che qualunque cittadino giovane, architetto, modellista, grande architetto della moda, di qualunque cosa registra il proprio marchio, il proprio modello questo ha una validità anche dopo settanta anni dalla sua morte. L'accettiamo tutti però diciamo una cosa sana: per chi aveva già fatto produzioni da anni, da venti, trent'anni, di modelli di largo e generale l'uso, come Le Pag. 112Corbusier, che appartengono un po' al patrimonio mondiale, si poteva procedere purché si rimanesse nel limite del preuso e purché queste fossero già in produzione un anno prima del 19 aprile 2001.
Si scatena una guerra commerciale con una grande impresa che è partecipata per il 54 per cento da un fondo lussemburghese multinazionale che corrisponde al nome di Cassina, con forte partecipazione - e non conosciamo ancora chi c'è dentro - che decentra i suoi prodotti anche in Cina, ma lavora con terzisti essenzialmente dell'area della Brianza e si scatena una battaglia fra i commercianti di Pordenone e di Bologna, perché gli uni vendono un marchio e gli altri ne vendono un altro, sempre sui prodotti di Le Corbusier degli anni Venti, e si dà incertezza ad un sistema di produzione tutta italiana e tutta del design italiano. L'articolo 8 comma 10 risolve il problema. Federlegno fa una bellissima assemblea a Seregno, a Milano, e taccia i toscani di essere falsificatori di modelli. Guardate che i toscani, anzi tutta l'impresa italiana, non solo i toscani, registrano, vanno i nuovi, Maestrelli, Bassetti, e altri autori oggi molto moderni sono registrati e c'è il modello.
È come dire che se io voglio mettere nella mia maglina una bella colonna dorica o corinzia non è di largo uso e generale, perché trovo uno che se l'è registrata. Questa è una battaglia commerciale, sostenuta e con emendamenti sbagliati, essenzialmente dalla Lega Nord, contraria allo sviluppo della piccola e media impresa italiana e mi ritrovo l'emendamento soppressivo di una soluzione. Meglio l'emendamento soppressivo che altri emendamenti che rafforzavano e creavano problemi aggiuntivi.
Qual è la morale di questo? È che la politica deve assumere la dignità di non stare dietro a nessuna lobby. La politica deve stare sulle sentenze europee, deve essere precisa su questo problema del disegno e della produzione nazionale e quindi come gruppo siamo notevolmente impegnati affinché si faccia un'operazione di verità su questo e sugli altri provvedimenti. Infatti aver tolto il comma 10 dell'articolo 8 è un errore, è una risposta non seria dell'ambiente e del Parlamento. Quindi è un provvedimento che può, secondo me, in alcuni aspetti in rapporto alla discussione dei comuni, su questo ed altri è peggiorativo del decreto iniziale e ,caro Governo, è un decreto che non risponde a nessuno degli impegni presi in Europa e non dà nessuna risposta alla crescita del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Froner. Ne ha facoltà.

LAURA FRONER. Signor Presidente, molte cose sono già state dette dai miei colleghi negli interventi che mi hanno preceduto, quindi mi soffermerò solo su alcuni articoli in particolare, però anch'io prima di tutto volevo iniziare con alcune considerazioni di carattere generale. Abbiamo sentito ripetere spesso in questi interventi dei colleghi del Partito Democratico che il provvedimento in esame si fregia della denominazione di decreto sviluppo, ma è ben lontano da perseguire questo obiettivo, appunto per tutti i vari motivi che sono già stati ben esposti. Siamo di fronte ad uno dei numerosi inadeguati provvedimenti adottati da questo Governo negli ultimi anni in materia economica, che si propone di fare delle riforme «a costo zero», che non dà assolutamente alcuna indicazione chiara che vada nella direzione di stimolare la crescita del Paese. Sappiamo che il nostro Paese è cresciuto poco nel 2010, sia rispetto agli altri grandi Paesi europei sia rispetto al nostro standard di qualche anno fa e purtroppo la bassa crescita del 2010 non è stata un fenomeno congiunturale. Il PIL del nostro Paese cresce poco, il boom dell'export non crea abbastanza fatturato per le piccole imprese terziste, che oggi sono meno competitive di un tempo. Inoltre, con un mercato del lavoro depresso e dualistico, in cui chi ha il lavoro se lo chiede ben stretto e gli altri hanno grosse difficoltà ad entrare, la dinamica Pag. 113dei consumi diventa sempre più fiacca.
Ecco, quindi, che sarebbe stato importante, per avere un 2011 migliore del 2010, che la crescita fosse diventata un fenomeno più diffuso e non più un fenomeno per pochi, e che il Governo si fosse impegnato in questo senso, facendo in modo di favorire non solo la crescita delle piccole imprese, ma anche l'ingresso dei tanti giovani lavoratori che, purtroppo, sono rimasti fuori dal mercato, in questi ultimi anni in modo particolare.
Ma i dati definitivi sui conti nazionali del primo trimestre 2011 danno, in realtà, un quadro ancora piatto dell'economia italiana. Il PIL - lo abbiamo già sentito - si è fermato a più 0,1 per cento rispetto al quarto trimestre del 2010; e se guardiamo ai dati ufficiali sulle componenti della domanda, abbiamo ancora altri importanti dettagli da prendere in considerazione. I consumi delle famiglie hanno fatto registrare un più 0,2 per cento, gli investimenti un più 0,1 per cento e la spesa pubblica un più 0,5 per cento.
È pur vero che il nostro Paese è un'economia pienamente inserita nel contesto globale: nel primo trimestre 2011 la domanda interna, che raggruppa i consumi, gli investimenti e la spesa pubblica, pari a circa 400 miliardi di euro, è cresciuta dello 0,3 per cento, mentre la domanda estera di prodotti italiani, l'export, che è pari a 112 miliardi di euro, è cresciuta dell'1,4 per cento rispetto al trimestre precedente. Tuttavia, l'incremento di domanda è stato soddisfatto solo in misura molto parziale con la produzione interna (appunto, quello 0,1 per cento di crescita del PIL). Ad intercettare il desiderio delle famiglie, della pubblica amministrazione e delle imprese italiane di spendere un po' di più rispetto al trimestre precedente sono state soprattutto le imprese estere. L'import, infatti, è aumentato, in questo periodo, dello 0,7 per cento, mentre l'export è ripartito dopo la crisi; ma il PIL langue, perché la domanda interna non cresce molto e la poca crescita che si vede se ne va all'estero e non si ferma a creare occupazione in Italia.
Si importa e si esporta di più a parità di produzione complessiva, perché il mondo è sempre più globale. Grazie alla tecnologia, i costi di trasporto e di comunicazione sono sempre più bassi e, quindi, rispetto al passato, gli scambi internazionali sono sempre più importanti. In questo modo, i consumatori comprano i beni al prezzo più basso e le imprese vendono i loro prodotti dove sono meglio valorizzati ed apprezzati.
A questo punto, dicevo, cosa ha previsto all'interno di questo cosiddetto decreto sviluppo il nostro Governo? Cosa ha cercato di favorire in termini di misure utili allo sviluppo dell'economia del nostro Paese? Ci dispiace, purtroppo, ribadire che il provvedimento che stiamo discutendo è assolutamente inadeguato: addirittura, possiamo definirlo non corretto da un punto di vista istituzionale, in quanto raduna una serie di norme eterogenee che intervengono su settori, tra l'altro, molto delicati della nostra legislazione. Questo non sembra spaventare le componenti della maggioranza né il Governo, che non esitano ad alimentare la confusione.
Lo abbiamo visto anche nelle discussioni che ci sono state in Commissione e soprattutto nel modo in cui si è arrivati a questo pacchetto finale che, come evidentemente possiamo dedurre dallo scarso tempo che è stato messo a disposizione delle Commissioni per l'esame, non si è potuto soppesare opportunamente e che porterà sicuramente ancora a dei dubbi interpretativi e a dei dubbi applicativi. Anzi, speriamo che ci sia ancora tempo in qualche caso come quello appena citato dal collega Nannicini, entrando nel merito dell'articolato, per quanto riguarda la possibilità di rivedere quella proposta di soppressione approvata purtroppo per quanto riguarda l'articolo 8 e in particolare il comma 10.
Più in generale le misure previste non possono essere giudicate sufficienti per garantire la crescita e la ripresa economica del nostro Paese; esse costituiscono invece un insieme disorganico di interventi normativi che hanno leso la competenza delle Commissioni di merito che non sono Pag. 114state messe assolutamente nelle condizioni di valutare, con la necessaria attenzione, le modifiche normative alla legislazione di settore. Come ricordavo, esprimo in particolare la nostra contrarietà verso la soppressione del comma 10 dell'articolo 8 che è volta a dare attuazione ad una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. La soppressione del comma 10, come giustamente illustrava il collega Nannicini, darà inevitabilmente luogo ad un notevole contenzioso in quanto destinata a creare ulteriori complicazioni nella vita delle imprese, oltre che a penalizzare, come abbiamo appena sentito, tutte quelle imprese artigiane che da anni operano in questo settore e assieme a loro tutti i lavoratori che sono impiegati in queste imprese che finora non hanno tolto il lavoro ma eventualmente hanno portato un valore aggiunto all'economia non solo dei loro territori ma di tutto il Paese.
Passando ad altri articoli che possano essere ritenuti di interesse, in particolare per il settore delle attività produttive, vorrei soffermarmi sull'articolo 3. In questo caso devo dire che qualcosa di positivo si è fatto, per lo meno cancellando qualcosa che originariamente si trovava all'interno del decreto- legge, in particolare i primi commi, il comma 1, 2 e 3 e che dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, il modo confuso con cui vengono affrontati temi che riguardano settori importanti e strategici dello sviluppo del nostro Paese, qual è il turismo. Fa piacere che siano state accolte le nostre proposte di modifica al testo del decreto-legge, che prevedeva la concessione del demanio del litorale inizialmente per novanta e poi per vent'anni, sopprimendo i commi 1, 2 e 3 dell'articolo 3 e rimandando la trattazione di questa delicata materia ad un altro provvedimento, speriamo in modo più accorto e più adeguato. Rimangono le norme sui distretti turistici che, anche in questo caso, hanno visto una opportuna correzione sulla base di un emendamento proposto da noi, affinché il provvedimento non riguardasse solamente le strutture turistico alberghiere.
Un cenno ancora all'articolo 10, in particolare ai commi 11 e 27, rispetto a quanto abbiamo richiesto sulla base dei risultati referendari e cioè che il Governo ritiri le norme sull'Agenzia per i servizi idrici contenute nel decreto sviluppo evidentemente superate; non abbiamo avuto soddisfazione, non riusciamo a capire se si tratta di ottusità o di qualcos'altro, di qualche contrasto ancora tra i vari Ministeri. Riteniamo che il messaggio della consultazione referendaria sia stato chiaro e richieda una veloce e generale rilegificazione nel campo dei servizi idrici; in particolare per quanto riguarda la proposta di istituire un'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua riteniamo invece che questa previsione sia assolutamente inadeguata e che debba essere istituita una vera Autorità dell'acqua indipendente e federale, in grado di svolgere un ruolo autorevole e autonomo in un settore delicato come quello dell'acqua.
Mi limiterei a queste considerazioni, Presidente, perché mi sembra che tanto sia già stato detto dai colleghi e che tanto vi sia ancora da dire nella giornata di domani negli interventi che seguiranno. È certa una cosa: ancora una volta il Governo ha perso un'opportunità importante, e insieme ad esso la maggioranza, per dare una risposta più concreta e più equilibrata rispetto ad esigenze che diventano sempre più pressanti e che il Governo finge di ascoltare, ma cui non corrisponde, assolutamente, con misure efficaci e che rispettino le risposte che dovrebbero essere date, tanto ai cittadini quanto agli imprenditori nel nostro Paese.
Non mi addentrerò in altre parti del provvedimento, lo lascio fare agli altri colleghi. Penso che, comunque, non sarà l'ultima volta che sentiremo queste parole altisonanti: decreto sviluppo, riforme. Troppo spesso, ormai, queste sono parole che la maggioranza e il Governo fanno risuonare in quest'Aula e sui mass media, ma cui non danno alcuna corrispondenza in termini concreti o pratici ed effettivi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rubinato. Ne ha facoltà.

SIMONETTA RUBINATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, stiamo discutendo della conversione di un provvedimento che dovrebbe contenere le prime disposizioni urgenti per l'economia concernente il Semestre Europeo. Che la montagna abbia partorito un topolino è evidente dallo stesso clima che ne accompagna la conversione: audizioni in cui abbiamo ascoltato auditi stanchi di venire in Parlamento a ripetere le solite cose e sui media questo decreto vale ormai più come termometro della tenuta della maggioranza che per i contenuti, di cui non parla ormai più nessuno. Lo stesso clima ha segnato i lavori in Commissione, i cui lavori sono stati una sorta di intermezzo rispetto alle riunioni della maggioranza, avente una sola mission: non arrivare a votare gli emendamenti, per non correre il rischio di fare emergere le profonde divisioni tra le file del rissoso condominio del centrodestra.
È comprensibile che, dopo le due sberle date dal popolo sovrano, qualcuno tenti disperatamente di dare un segnale agli elettori, perché se vi è un giudizio sicuro uscito dalle urne è quello della sconfitta di Berlusconi e del PdL, ma anche della Lega Nord. Il dato politico vero è che fino a qui il centrodestra è stato quello che aveva il polso del Paese o, meglio, di ampi settori della società italiana e in particolare delle categorie produttive, in particolare al Nord. Non è più così, possiamo affermare che la sconfitta del centrodestra è anche una crisi di rappresentatività. Le classi sociali di riferimento non hanno da questo centrodestra le risposte che cercano, le risposte che erano state promesse.
Ne sono sintomo l'esito delle urne, ma non solo, anche la marcia silenziosa degli imprenditori di Treviso, l'annuncio dato dal presidente degli industriali di Vicenza che alla loro assise di luglio non saliranno sul palco rappresentanti del Governo, la tensione nei confronti Equitalia e dei suoi dipendenti e così via. Chi ogni giorno deve mandare avanti un'azienda tra mille difficoltà è stanco di ascoltare esponenti del Governo che da anni promettono riforme, a partire da quella fiscale, o infrastrutture che non si realizzano. È ormai la medesima maggioranza di centrodestra che sta governando la nostra regione - provengo dal Veneto - da oltre 15 anni e il nostro Paese per otto degli ultimi dieci anni. Non siete più credibili quando affermate che la colpa è sempre degli altri, magari dell'opposizione fatta di comunisti, delle toghe rosse o della stampa, e dei media, che sono tutti pregiudizialmente contro Berlusconi.
Oggi la gran parte degli imprenditori sono disillusi, vedono la solita classe dirigente politica incapace di rinnovamento, sia generazionale sia nella capacità di tradurre gli slogan in fatti concreti, e si sentono soli.
Anzi, vorrei citare il presidente di Unindustria Treviso, Vardanega: «Sentono di lavorare in un Paese ostile a chi fa impresa». Si comprende, pertanto, la preoccupazione e l'ansia dei colleghi di maggioranza di piantare una qualche bandierina con i propri emendamenti su temi a cui è sensibile il proprio elettorato, aspirazione che sentiamo anche noi parlamentari della minoranza, in particolare quelli - e siamo molti - che vivono in mezzo alla gente normale e che toccano ogni giorno le conseguenze della situazione critica in cui versa il Paese fuori da queste stanze.
È un Paese contrassegnato da un aumentato (non solo elevato) debito pubblico, da una crescita insufficiente, da un'elevata disoccupazione. Il problema, però, è che per rimediare a una tale situazione non basta qualche emendamento che faccia il miracolo; per governare un Paese che continua ad essere fanalino di coda dell'Europa che, a sua volta, è fanalino di coda del mondo, occorre avere chiaro quale tipo di Italia si ha in mente e quale progetto di Governo di lungo periodo occorre mettere in campo per realizzarla.
Bene, anche questo provvedimento - anzi, male, purtroppo - in fondo conferma che questo Governo e questa maggioranza Pag. 116non hanno alcuna fiducia nelle possibilità di questo Paese di costruire un futuro migliore anche per le future generazioni e per i nostri giovani. L'ossessione, in sé sacrosanta, per il controllo dei conti pubblici è l'unica costante, ma la sua perdurante modalità di perseguimento attraverso i tagli uniformi in tutte le voci e la riduzioni degli investimenti condanna il Paese alla stagnazione e alla distruzione del futuro per i nostri giovani.
È vero: ci siamo impegnati con l'Europa per azzerare il deficit pubblico, ma l'Europa ci chiede anche di sostenere la crescita. Ci chiede, per esempio, che la pubblica amministrazione paghi i fornitori, in particolare le PMI entro 30 (al massimo 60) giorni e ci chiede dal novembre 2008 di pagare subito l'arretrato.
L'Europa ci chiede di sostenere la ricerca e l'innovazione, ci chiede di fare investimenti infrastrutturali, ci chiede di attuare politiche di lotta alla povertà, un sistema di concorrenza regolata, di correggere il dualismo del nostro mercato del lavoro per migliorare le aspirazioni di vita dei giovani, di investire di più nella formazione delle risorse umane e di ridurre le tasse su lavoratori e imprese.
Perché allora questo Governo invoca sempre l'Europa per giustificare i tagli e mai per attuare le riforme strutturali? Ha detto bene il senatore Baldassarri: questa strumentalizzazione delle indicazioni provenienti dall'Unione europea è senza pudore e, aggiungo io, citando il compianto Ministro Tommaso Padoa-Schioppa, è segno di una veduta corta.
Ricordo che il Ministro dell'economia del Governo Prodi aveva ereditato un avanzo primario azzerato nel 2006 (4,6 miliardi di avanzo contro i 63 miliardi lasciati in eredità dal precedente Governo di centrosinistra), lo 0,3 per cento del PIL e un indebitamento netto di meno 62 miliardi, pari al 4,3 per cento del PIL. Dopo 18 mesi l'avanzo primario era salito a 54 miliardi (3,5 per cento del PIL) e l'indebitamento netto della pubblica amministrazione era sceso da 62 miliardi a 23 miliardi, negativi, e pari all'1,5 per cento del PIL.
Pur rientrando, in meno di due anni, entro il parametro del 3 per cento deficit/PIL richiesto dall'Unione europea, ricostituendo l'avanzo primario, quel Governo e quel Ministro dell'economia erano riusciti a tagliare di cinque punti il cuneo fiscale, a far partire gli incentivi per le rinnovabili e le ristrutturazioni e a introdurre il credito di imposta per la ricerca, a ripristinare (dati ANCE) la metà degli investimenti tagliati dal precedente Governo Berlusconi, ad attuare - altro che il federalismo di cui si chiacchiera oggi - in Lombardia e in Veneto il cosiddetto federalismo infrastrutturale.
Certo, anche Tommaso Padoa-Schioppa era consapevole, e lo dichiarava, che il nostro Paese deve assolutamente ridurre il peso del debito pubblico, ma aveva ben chiaro che ciò non è possibile con una politica dei due tempi, perché non c'è conflitto tra crescita ed equilibrio dei conti pubblici, tant'è che in questi tre anni è aumentato il debito e la crescita è diminuita.
Anche il Governatore della Banca d'Italia nel suo ultimo intervento da Governatore ha detto che un problema cruciale per il controllo dei conti pubblici è quello di non passare per i tagli lineari e vorrei qui citare, per l'appunto, il Ministro Tommaso Padoa-Schioppa.
Dopo cinque anni di interruzione del risanamento - scriveva nella presentazione del Libro sulla spesa pubblica - i conti sono stati faticosamente portati fuori dall'emergenza con la finanziaria per il 2007. Non è in alcun modo pensabile di abbandonare gli obiettivi di pareggio del bilancio e di discesa del debito al di sotto del 100 per cento, ma è già possibile orientare l'azione di bilancio alla crescita e all'equità sociale. Quindi, si può fare rigore nei conti pubblici, si può sostenere la crescita e l'equità sociale insieme. La sfida sta nel combinare tre elementi: l'aumento del contributo del bilancio alla crescita e non quello che sta facendo un effetto depressivo sulla crescita, appunto i tagli lineari questo stanno arrecando; una progressiva riduzione del carico fiscale sui contribuenti che hanno fatto il loro dovere, Pag. 117mentre qui si fa la lotta all'evasione fiscale, il che è un bene, ma non si restituisce un euro ai contribuenti leali; l'alleggerimento del peso del debito.
Per vincere questa sfida, ci insegnava Tommaso Padoa-Schioppa, bisogna spendere meglio. Il nodo è la riqualificazione della spesa pubblica per aumentare la produttività del settore pubblico, non i tagli lineari. Se si ha il coraggio di riqualificare la spesa pubblica vi è un ampio spazio per eliminare gli sprechi, per correggere i fenomeni di cattivo costume che sono aumentati purtroppo con il vostro Governo, per ridurre i costi della politica. Si possono riorganizzare gli uffici, la loro dislocazione territoriale, le strutture dell'amministrazione, la gestione delle risorse. Per fare ciò occorre il coraggio di incidere sui meccanismi profondi di generazione della spesa, rivedere le priorità in ciascun settore, sfruttare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Che cosa si è fatto in concreto di tutto questo?
Questa maggioranza non è riuscita in tre anni sotto la spinta di questa crisi, che poteva essere un'opportunità in questo senso, neppure ad approvare la soppressione delle province sotto i 200 mila abitanti o delle prefetture nelle circoscrizioni con meno di 500 mila abitanti quando, mentre non era Ministro, l'attuale Ministro Maroni addirittura invocava la soppressione delle prefetture. Per cui alla fine siete costretti ai tagli lineari di una politica conservatrice ed ottusa del rigore perché il controllo dei conti pubblici è uno strumento, è un mezzo, il fine sono la crescita e la giustizia sociale.
Se non si ha in testa questa impostazione culturale, se si occupano le cariche istituzionali non con lo spirito del civil servant di chi serve lo Stato, ma di chi vuole accaparrare benefici per sé e per gli amici, se si ha una visione feudataria e non federalista delle istituzioni, non solo non si possono fare le riforme ma non si è neppure in grado di valutare e accogliere proposte migliorative che vengono dai colleghi di maggioranza o dai colleghi della minoranza in Parlamento.
Ecco che allora per semplificare si sacrifica la trasparenza e la concorrenza. Per racimolare soldi si fa la lotta all'evasione fiscale vessando anche i contribuenti onesti e non restituendo loro neppure un euro. Vorrei fare qualche esempio di alcune cose assolutamente assurde che ancora non ho sentito citare e che ci sono in questo decreto-legge che abbiamo tentato di migliorare ma assolutamente invano.
Vi è una tipicizzazione della cosiddetta cessione di cubatura all'articolo 5, il cui comma 3 prevede che per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori nel codice civile si vada a prevedere anche la trascrizione dei contratti che trasferiscono, costituiscono e modificano diritti edificatori previsti da normative statali, regionali e da strumenti di pianificazione territoriale. È in qualche modo la tipicizzazione anche di quella che viene definita dagli strumenti urbanistici la perequazione urbanistica.
Con questa norma di soppiatto vi preparate ad introitare maggiori entrate e ad aumentare le tasse ai cittadini e ai contribuenti perché oggi, quando viene previsto in un accordo pubblico o privato la cessione di aree dal privato al comune, a fronte della trasformazione dell'area in edificabile, si paga semplicemente l'imposta di registro ipotecaria e catastale in tassa fissa, 168 euro. Dopo questo passaggio che avete fatto, il Servizio studi rilevava che occorre chiarire il regime fiscale di questi contratti. Non l'avete voluto fare, avete rifiutato il mio emendamento che andava a chiarire, come ratio peraltro anche nel trasferimento attuale di altri diritti su immobili, che quando le aree erano cedute al comune, all'ente pubblico, le imposte si pagano in tassa fissa.
Voi questo non lo avete voluto mettere, anzi avete perfezionato la norma per far sì che non le sfugga nulla. Così, da oggi in avanti, fermando quel poco che le amministrazioni comunali sono riuscite a far partire sul territorio chiedete un 11 per cento in più su questa cessione di area di enti pubblici.
Ciò significa aumentare le tasse e continuare a fare cassa di soppiatto perché Pag. 118evidentemente non sapete come fare in modo diverso e questa è una norma che ovviamente, come al solito, si scarica sugli enti locali. Mi si potrebbe rispondere che poi queste imposte saranno trasferite, una parte ai comuni e poi a regime con il federalismo fiscale saranno vostre. Ma scusate: in questo momento c'è solo bisogno di far partire lo sviluppo in sede locale. È tutto fermo, non so se lo sapete. Forse avete notizia del patto di stabilità che vi siete approvati e che sta chiudendo. Non solo non paghiamo le imprese, ma ormai non si aprono più i cantieri da parte degli enti locali. La Lega su questo sta fremendo. Credo che aspetti la prossima manovra per provare a fare qualcosa, perché davvero non si sa più come spiegare ai cittadini sul territorio perché non si possono aggiustare le buche sulle strade e mettere in sicurezza le scuole per i nostri ragazzi.
Questo era un esempio. Poi un altro bellissimo esempio è quello del Sistri. Doveva partire tassativamente il 1o giugno di quest'anno. Fino a due settimane prima ne era confermata la partenza. Le imprese sperimentano il click day e il sistema va in tilt. Non funziona assolutamente nulla. Sono però due anni che pagano i contributi. Anche gli enti locali li stanno pagando. Rispondendo alle interrogazioni il sottosegretario allo sviluppo economico Saglia ci ha risposto che fino ad oggi lo Stato per un sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti speciali (che non funziona) ha incassato quasi 100 milioni di euro.
Abbiamo chiesto la restituzione alle imprese e agli enti locali di queste cifre visto che il sistema non funziona e voi lo ammettete, visto che adesso porterete a regime la sua completa partenza dal 1o gennaio 2012. Domanda: perché avete incassato e tenete in cassa questi 100 milioni? Mi ricordo che un certo Ministro Tremonti titolava un suo libro lo Stato criminogeno perché incentiva i contribuenti a violare le norme. Ma che cos'è uno Stato (che in questo momento vede voi nella stanza dei bottoni) che incassa 100 milioni di euro, senza appalto affida la gestione del sistema informatico del Sistri ad una società (lo ripeto: senza appalto), ma il sistema non funziona? Quindi, mi auguro che non sia stato pagato, eppure i soldi sono stati incassati. Che cosa devono pensare i cittadini di questo Stato, certamente criminogeno, ma con voi però alla guida della macchina?
Vi abbiamo proposto semplicemente di approfittare di questo prolungamento dell'entrata in vigore che peraltro aiuta solo le piccolissime imprese fino a dieci dipendenti. Quindi, non è che avete fatto molto per andare incontro alle loro domande. Vi abbiamo chiesto di utilizzare questo tempo per attuare alcune misure di semplificazione che abbiamo suggerito in un emendamento. Non costavano nulla, ma non erano accettabili. Erano buone, me lo hanno detto in molti esponenti del Governo e della maggioranza. Però alla fine queste misure di semplificazione molto attese dalle piccole e soprattutto piccolissime imprese non ci sono.
Inoltre, occorrevano alcune misure di semplificazione fiscale. Intanto, mi sembra abbastanza una presa in giro del contribuente dirgli che in un semestre può avere al massimo un accesso nella sua sede, ma che questo accesso può durare 15 giorni lavorativi nell'arco di tre mesi. Come fa a lavorare uno se si tiene in casa la pubblica amministrazione per tre mesi? Si deve occupare solo di mostrare le carte alla pubblica amministrazione più che di lavorare. In fondo gli imprenditori richiedono solo di poter lavorare. Quindi, vendere questa come una semplificazione e uno stop alla vessazione e ai controlli francamente è abbastanza ridicolo.
Abbiamo chiesto un'altra cosa semplicissima citata dall'onorevole Fogliardi. Oggi chi tiene la documentazione informatica ha un onere che non ha chi tiene la documentazione in forma analogica, cioè ogni tre mesi deve vidimare e marcare i registri. Vi abbiamo chiesto di farlo una volta l'anno, equiparandolo alla documentazione analogica. Anche questo non costava nulla, semplificava le imprese, eliminava appesantimenti burocratici fini a Pag. 119se stessi e senza valore aggiunto, liberava risorse, incentivava la digitalizzazione.
Ma anche questa è una norma che non si può accettare. Poi, per attrarre gli investimenti stranieri perfezionate una norma, l'articolo 41 del decreto-legge n. 78 del 2010, il cosiddetto regime di attrazione europea. Gli investimenti stranieri non solo non arrivano più in questo Paese, ma se ne fuggono. La soluzione qual è? L'idea del Ministro Tremonti è, per chi viene ad aprire una nuova attività economica nel nostro Paese, quella di dirgli «Puoi fare shopping fiscale. Vieni in Italia e scegli quale tra tutti i regimi fiscali dell'Unione europea vuoi che ti sia applicato nel nostro Paese, per un triennio».
Premetto che i nostri imprenditori e le nostre imprese stanno aspettando la riduzione delle imposte e si trovano davanti questo «scherzo» per attrarre investimenti stranieri. Peraltro, questo avviene in un Paese dove non funziona la giustizia, dove non ci sono le infrastrutture e, dunque, non credo che sia così appetibile scegliersi il regime fiscale di attrazione europea per tre anni. Ciò detto, è comunque una beffa per i nostri imprenditori, perché è chiaro che i nostri imprenditori per mantenere l'attività qui in Italia devono continuare a pagare esattamente le tasse di prima. Pertanto, chi arriva con l'investimento dal resto dell'Europa è anche concorrente sleale dei nostri poveri imprenditori.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Rubinato.

SIMONETTA RUBINATO. Siccome non siete paghi di questa concorrenza sleale vi inventate adesso che questo beneficio può essere esteso non solo a chi viene in Italia per intraprendere una nuova attività economica, ma anche a chi si limita a mere attività di direzione e coordinamento. Qual è l'utilità per il nostro Paese di una norma come questa? Mi sembra un vestito su misura per qualche cliente di qualche studio tributario, perché forse vogliamo vestire un cavallo di Troia adeguato per fare un condono fiscale a chi fino ad ora non ne ha ancora approfittato.
Cerco di concludere, signor Presidente. Il Paese ha davanti una sfida importante - la scalata dell'Everest, con il debito pubblico che abbiamo - che richiede il concorso di molte volontà: delle istituzioni, delle imprese, dei cittadini e della società civile. Occorre un'azione profonda e prolungata per raggiungere obiettivi insieme di risanamento, di crescita e di equità sociale. Non può certo essere compiuta, questa sfida, né può essere realizzata da chi non è più credibile agli occhi del Paese, dopo avere sperimentato per otto anni degli ultimi dieci di non essere capace di dare speranza e futuro a questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cesare Marini. Ne ha facoltà.

CESARE MARINI. Signor Presidente, se il provvedimento in discussione, pomposamente chiamato «decreto per lo sviluppo», volesse avere una destinazione utile per il Paese dovrebbe servire logicamente a far ripartire l'economia. Però, proprio rispetto a questo traguardo, che il decreto-legge dovrebbe perseguire, possiamo prevedere il fallimento più eclatante. Sappiamo di avere un nodo di fronte a noi e di dover fare in modo da districarlo, scioglierlo. Questo nodo riguarda la mancata crescita non solo attuale ma, prevedibilmente, anche la mancata crescita nella prospettiva a breve. Intanto la disoccupazione cresce, la dilatazione dell'area della povertà - come ci dice l'ISTAT - aumenta, il PIL segna il passo rispetto a tutti gli altri Paesi dell'Europa, siamo ai minimi di crescita del PIL, e tutta questa situazione in definitiva, checché ne dica il Ministro dell'economia e delle finanze, si riflette sul debito pubblico, che continua ad aumentare. Pertanto, è difficile poter raggiungere il traguardo del 2014 quello, cioè, del pareggio di bilancio.
È difficile raggiungere questo traguardo se non si fa ciò che ci viene suggerito, ossia promuovere la crescita. Dice il Ministro dell'economia e delle finanze che il compito Pag. 120primario è tuttavia quello della salvaguardia dalla speculazione internazionale dell'assetto e del sistema Paese, per cui diventa necessario il rigore più severo di bilancio. Questo serve ed ha il compito di evitare l'aumento dei tassi, che sarebbe estremamente dannoso per il Paese, dal momento in cui si tratta di rinegoziare il debito pubblico. Quindi, è necessario in questo caso tranquillizzare i mercati e ciò è possibile soltanto con rigorose politiche di bilancio.
Il Ministro dice che dobbiamo imporre sacrifici per evitare che anche in Italia possa esserci un rischio Grecia: da questo punto di vista, le preoccupazioni del Ministro sono anche le nostre, ma il punto di dissenso risiede nel giusto equilibrio che riteniamo debba essere ricercato tra rigore e sviluppo: privilegiare il rigore rispetto allo sviluppo finisce con il determinare una situazione di non crescita e la non crescita alla fine diventerà un elemento estremamente dannoso per l'economia nazionale.
Vi sono preoccupazioni crescenti per la stagnazione dell'economia, preoccupazioni che vengono manifestate in sede europea. I maggiori organismi internazionali che si occupano di economia e finanza esprimono quotidianamente stupore per la mancata attenzione da parte del Governo ai problemi della crescita. Le agenzie di rating hanno già manifestato perplessità e ciò che è importante sottolineare è che il mondo accademico tutto, quello più importante, ci ha indicato i rischi che si nascondono dietro la stagnazione del sistema Italia. Gli industriali, a loro volta, attraverso la voce del presidente, chiedono quasi settimanalmente in ogni convegno e in ogni riunione pubblica le riforme senza le quali ritengono che non vi possa essere ripresa economica. Di tutto questo, delle riforme e delle richieste del mondo dell'impresa non vi è ombra alcuna nei provvedimenti della maggioranza.
Lo sviluppo necessita di politiche coerenti: non vi può essere sviluppo senza politiche economiche coerenti, che si possono assumere volendo sintetizzare quali debbano essere gli obiettivi per poter poi promuovere una politica di sviluppo. Le prime cose da fare, le riforme chieste, per esempio, dal presidente Marcegaglia concernono la modernizzazione delle istituzioni economico-finanziarie. Si tratta di riforme molto importanti, di cui ci stiamo occupando poco o niente. Difatti si auspicava da più parti un sistema di controlli in grado di prevenire le bolle speculative della finanza creativa dei facili profitti, che ha messo in moto i meccanismi che hanno portato alla grave crisi di qualche anno fa.
Nonostante il disastro che è subentrato dopo la crisi dei subprime, nonostante ci fossero tutte le premesse perché finalmente si arrivasse ad una regolamentazione attraverso accordi internazionali e, quindi, in una dimensione non certo nazionale ed europea, ma internazionale, non avendo fatto nulla in questa direzione, stiamo assistendo ad una ripresa delle attività speculative di alto rischio. Si ha la prova verificando quello che sta avvenendo negli investimenti bancari, nelle banche, soprattutto considerando il via libera che continua ad avere la speculazione internazionale. Sappiamo quali vittime miete tutto questo e come sia urgente invece intervenire. Mi pare che il Governo italiano non abbia preso nessuna iniziativa in tal senso. Nonostante il Ministro dell'economia e delle finanze nell'estate del 2008 abbia iniziato ad esprimere una forte critica verso il mondo accademico - ingiustamente, perché il mondo accademico aveva già anni prima preavvisato che la bolla speculativa stava per creare un nuovo disastro finanziario ed economico - nonostante egli nel 2008 abbia tentato di uscire come una specie di salvatore della patria, non ha fatto nulla per promuovere, stimolare e suggerire una riforma imperniata sulla costruzione di un sistema di controlli internazionali. Una riforma di questo tipo sarebbe stata ben accetta dai mercati e avrebbe dato, questa sì, una grande fiducia ai risparmiatori. Purtroppo, dobbiamo lamentare che in questa direzione non si è fatto niente e non si fa niente. Quanti oggi appaiono come novelli Quintino Sella si sono dimenticati dei bei Pag. 121discorsi di tre anni fa. Lo sviluppo, signor Presidente, colleghi, richiede ossigeno per alimentare la domanda di beni e servizi. Se non vi è una ripresa della domanda di beni e servizi, difficilmente si può immaginare che vi possa essere una ripresa, un ampliamento dell'attuale equilibrio della produzione, né si può immaginare che di colpo l'Italia risolva i problemi che ha nei mercati internazionali e, quindi, di colpo possa trasferire, attraverso l'esportazione dei propri prodotti, i problemi generali della nostra economia. Non ci sono le condizioni, lo sappiamo. Invece, la risposta che diamo con questo provvedimento è di comprimere la domanda del pubblico - diciamo che questo può essere giusto e accettabile: bisogna ridurre la spesa, quindi è giusto comprimere la domanda del pubblico - ma contemporaneamente, questo non si comprende e vi è una contraddizione, si comprime anche la domanda privata di beni e servizi. Questa senza dubbio è una situazione dannosa, perché disincentiva la produzione. L'apparato produttivo italiano, come tutti sanno, non è una novità, è costituito da medie e piccole imprese, che, oltre ad avere difficoltà a puntare sull'offerta sui mercati esteri per le merci prodotte, per via della loro dimensione, che è medio-piccola, fanno i conti anche con un altro grosso problema che si tocca in questa fase che stiamo vivendo, cioè la restrizione del credito, la difficoltà ad avere credito. Si scontano gli errori dei banchieri del passato, un po' meno degli italiani, anche se non ne sono esenti. Comunque, gli errori dei banchieri italiani sono stati minori, mentre maggiori sono stati quelli dei banchieri europei e soprattutto statunitensi.
La loro ingordigia e la loro miopia vengono riversate su chi? Sulle imprese e sulle famiglie. Credo che il Ministro sappia che il Governo e la maggioranza stanno consumando un altro inganno, quello di approvare un decreto sviluppo che non affronta il problema del credito, che è una delle grandi questioni di questa fase. Ripeto: senza credito o con un credito malato non vi è sviluppo. La restrizione del credito è in atto, è notevole e aggrava ulteriormente la situazione dell'economia. Soprattutto il sistema delle banche cooperative, cioè il sistema di quella rete di banche che sostengono il consumo, le famiglie direttamente e le piccole imprese, ha per ovvi motivi, anche di approvvigionamento di denaro sui mercati internazionali, ristretto notevolmente il credito.
Ci vogliamo chiedere come bisogna fare per poter dare più ossigeno a questo settore particolare, che è quello delle piccole e medie imprese? Vogliamo renderci conto che è in atto questa restrizione notevole? Facciamo finta di niente? Vi è ombra, in questo provvedimento sullo sviluppo, di questo particolare problema, che influisce enormemente su quelle che sono le prospettive future? Credo che la restrizione registrata negli acquisti di beni al consumo dovrebbe preoccupare il Governo, per fare cosa? Per trovare il modo di agevolare le forme di autofinanziamento per la crescita della domanda. Infatti, vi sono forme di autofinanziamento per far crescere la domanda. Se il Governo dovesse promuovere una politica di aiuto alle famiglie, per far sì che cresca la domanda di beni e servizi, non a distanza di anni, ma subito, si avrebbero delle ricadute in termini di maggiori entrate dello Stato attraverso l'IVA che aumenta e attraverso le imprese che, potendo produrre di più, e quindi potendo dare fiato alla loro situazione, potrebbero sostenere una maggiore forza di produzione, che si trasforma poi in maggiori entrate fiscali.
Dobbiamo dircelo con molta franchezza: questa politica, che è una politica attiva del Governo, si sta trasformando in una palla di piombo al piede dell'economia nazionale. La politica del rigore si sta trasformando in una palla di piombo per l'economia nazionale. Ci rendiamo conto che la situazione non è semplice, ma per questa ragione bisogna avere una visione coraggiosa e di prospettiva; non bisogna guardare all'immediato, ma alla prospettiva. Dal 2008 il Governatore della Banca d'Italia, nelle considerazioni finali, indica chiaramente che una politica di sviluppo significa pensare al Mezzogiorno come Pag. 122un'area dotata di risorse non sviluppate, che è in condizione poter contribuire, attraverso politiche nazionali mirate, si capisce, a ricreare meccanismi virtuosi nell'economia nazionale. Si tratta di valorizzare queste aree. Lo ha ripetuto nelle considerazioni finali negli anni successivi.
Finalmente il Ministro Tremonti di recente ha dato atto che esiste questo Mezzogiorno, che comunque è una risorsa del Paese, soprattutto in questa fase, ed una risorsa che deve essere utilizzata dalla politica nazionale.
Qual è la risposta che diamo noi e che dà il Governo con il documento in esame? L'articolo 2 prevede la concessione di un credito di imposta per ogni nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno. Qui si pongono due questioni serie, entrambe negative nei confronti del Mezzogiorno. La prima questione concerne il ricorso al finanziamento che avviene con Fondi europei. Questi devono servire per dotare l'area del Mezzogiorno delle condizioni per lo sviluppo. Con l'attuale situazione delle infrastrutture e dei servizi primari è pensabile che vi possa essere sviluppo? Non vi può essere sviluppo. Allora, giustamente, la prima cosa da fare qual è? Destinare i fondi aggiuntivi, quindi i fondi da destinare ad investimenti in conto capitale, a fare sì che queste infrastrutture diventino normali, non da terzo mondo. Invece, sulla base del suddetto articolo 2, prendiamo le risorse dai Fondi europei, quindi continuiamo la solita manovra di utilizzare i Fondi europei stanziati per il Mezzogiorno per tutte le politiche. Non vi è ombra, nel provvedimento in esame, di impegni sul bilancio nazionale dei fondi che possono riguardare il Mezzogiorno.
Mi chiedo poi se vi può essere un incentivo che riguarda il lavoro stabile attraverso i contratti a tempo indeterminato. Ogni impresa può assumere a tempo indeterminato personale solo perché ha un incentivo? Da che mondo è mondo, chiunque capisce come l'ampliamento del personale di ogni impresa risponderebbe ad una sua logica, quella di un ampliamento della produzione, altrimenti che cosa se ne fa l'impresa di personale solo perché vi è un incentivo se non aumenta la produzione e le vendite? Che cosa se ne fa? Se il mercato non tira, cosa se ne deve fare? Questo già basta a fare capire che anche qui si crea una riserva di fondi che poi serviranno per altre cose. E, come se non bastasse, vi è poi l'articolo 2-bis, che prevede lo stesso tipo di operazione. Questo articolo crea un credito di imposta per investimenti anche qui con fondi europei.
Ma il credito di imposta a chi viene dato, a chi viene riconosciuto? Altrimenti non ci comprendiamo. Il credito di imposta viene riconosciuto alle aziende... sto per concludere, capisco il collega Cesario, avete perfettamente ragione, né credo che il Presidente abbia bisogno di essere stimolato perché lui è così equanime che solo la sua carità cristiana gli consente qualche volta di sforare qualche secondo. Il credito di imposta a cosa serve?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CESARE MARINI. Sto per concludere, Signor Presidente. Il credito di imposta non è altro che un vantaggio che si dà ad un'impresa che ha un profitto consentendole, nel momento in cui reinveste in profitto nelle aziende, di poter avere tale credito rispetto alle imposte che deve pagare. Qual è il problema del Mezzogiorno industriale? Ci sono imprese che hanno problemi di reinvestimento nelle aziende perché le imprese che hanno profitto vanno bene e quando reinvestono parte del profitto per pagare meno tasse o non pagarle, reinvestono in beni strumentali che nulla hanno a che vedere con l'ampliamento della base produttiva e quindi dell'occupazione. Fu un errore anche del centrosinistra, per la verità, quello di pensare che il credito di imposta fosse una politica di incentivi giusta: non lo è, se consideriamo tutti i casi precedenti e la storia del credito di imposta. Abbiamo bisogno di altro, di un ampliamento della base produttiva nel Mezzogiorno cioè di creare nuove attività produttive legate alle infrastrutture, ad un'altra forma di aiuto e così via. Volendo concludere - non parlo dell'agricoltura perché il richiamo del Presidente Pag. 123va rispettato - ecco che allora questo provvedimento è inutile...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CESARE MARINI. ...non serve allo sviluppo, non serve al Mezzogiorno, è acqua che macina il mulino e non serve a niente.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 16 giugno 2011, alle 10,30:

Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (C. 4357-A).
- Relatori: Marinello, per la V Commissione; Fugatti, per la VI Commissione.

La seduta termina alle 22,55.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FEDERICO PALOMBA IN SEDE DI DISCUSSIONE SUL DOC.IV, N. 11-A

FEDERICO PALOMBA, Relatore di minoranza. A nome dei deputati della Giunta risultati in minoranza nella seduta del 19 aprile 2011, riferiamo su una domanda di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni di conversazioni dell'onorevole Mario Landolfi, avanzata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, ai sensi dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, nell'ambito del procedimento penale n. 5204/08 RGNR.
Le intercettazioni si inseriscono nel quadro di una vasta e complessa inchiesta della procura, della Repubblica di Napoli sulle attività della camorra in varie zone dell'entroterra campano, a nord-est di Napoli, in provincia di Caserta e, in particolare, nel comune di Mondragone.
Al contrario del relatore Paniz, crediamo che l'autorizzazione debba essere concessa.
Si tratta di sette conversazioni, tra l'onorevole Landolfi e Giuseppe Valente (sei telefonate) e tra Landolfi e Massimo Romano (una telefonata).
Deve essere premesso che l'attacco sferrato da alcuni esponenti della maggioranza esterni alla Giunta per le autorizzazioni per un presunto ritardo nell'esitare la proposta di maggioranza è stato improntato alla disinformazione e, a tratti, alla scorrettezza.
Pur essendo stata deferita alla Giunta per le autorizzazioni già il 21 dicembre 2010, la questione è stata pretermessa, per volere dei membri della maggioranza, ad affari politicamente più rilevanti (il caso Berlusconi su tutti).
A questa evidenza politica anche il Presidente Castagnetti e l'opposizione si sono adeguati, salvo però essere inopinatamente accusati di ostruzionismo e ritardi per avere tentato di affrontare - a partire dal 16 marzo 2011 - con un minimo di serietà la questione dell'onorevole Landolfi, la quale - giova affermare sin d'ora - è intimamente collegata a quella, gravida di aspetti inquietanti, dell'onorevole Cosentino.
A conferma di ciò, rendiamo atto ai membri della Giunta appartenenti alle forze di maggioranza di avere espresso dissenso rispetto a quanto dichiarato dai loro colleghi di gruppo.
Su Il Tempo di Roma del 14 aprile 2011 e in varie agenzie del 13 e del 14 aprile è stato poi affermato da parte di taluni colleghi non appartenenti alla Giunta e dallo stesso onorevole Landolfi che lo stesso desiderasse con impazienza affrontare a viso aperto il giudizio e che egli chiedeva sostanzialmente la concessione Pag. 124dell'autorizzazione all'uso del materiale captato, ritenendolo inconcludente ai fini dell'accusa.
Si tratta evidentemente dell'ennesimo inganno di questa maggioranza: in audizione, sia pure con cautela, il deputato Landolfi ha adombrato che vi sia nei suoi confronti un fumus persecutionis. Ci si soffermerà tra breve sulla sussistenza o meno del fumus persecutionis, unico ambito di valutazione di cui la Giunta per le autorizzazioni debba occuparsi.
Sembra però necessario tratteggiare brevemente il contesto - che pure si evince dalla relazione di maggioranza - nel quale è maturata la condotta del deputato Landolfi.
Come per il deputato Cosentino, siamo nel casertano; e siamo sempre nel quadro ormai cronicamente drammatico della gestione del ciclo dei rifiuti. Al centro dell'attenzione è la società consortile ECO4 e il suo presidente Giuseppe Valente, già condannato in primo grado, nel marzo 2009, per reati aggravati dal proposito mafioso. Secondo gli investigatori, organico al sistema camorristico di gestione del potere locale, funzionale alle necessità del clan La Torre, era Ugo Conte, il sindaco di Mondragone, luogo menzionato più volte anche nell'inchiesta su Cosentino, ma anche nel resoconto della Commissione Parlamentare antimafia 9-11 febbraio 2004.
Ebbene: la giunta comunale del Conte era - negli anni 2002-2004 - più che precaria. Complicate dinamiche partitiche minacciavano di portare alla sua caduta.
Mario Landolfi è accusato allora di essere intervenuto illecitamente (concorrendo in truffe e abusi) per far sì che dall'incrocio dei subentri ai consiglieri comunali dimissionari risultasse comunque un saldo favorevole a Ugo Conte e dunque un risultato gradito al clan locale.
Si tratta di un'accusa assai grave ma solo di un'accusa. Soltanto il processo potrà dire se si tratti di un'ipotesi fondata. Ma è appunto da quel processo che la maggioranza vuoi proteggere il deputato Landolfi.
Sul fumus persecutionis si osservi che le intercettazioni sono state regolarmente autorizzate e sono state concluse tutte entro i termini di efficacia dei relativi decreti di autorizzazione.
Per quanto attiene alla legittima acquisizione delle comunicazioni in riferimento al carattere indiretto o fortuito del coinvolgimento del parlamentare, l'ordinanza del GIP sottolinea che le intercettazioni sono state disposte ed eseguite nell'ambito di altri procedimenti in cui l'onorevole Landolfi non risultava indagato, né i provvedimenti autorizzativi o le informative di P.G. allegate agli atti segnalano l'orientamento dell'indagine intercettiva sulla persona del parlamentare quale indagato o persona offesa o informata dei fatti.
È infatti esclusa l'esistenza di iscrizioni pregresse del parlamentare nei procedimenti dai quali provengono le intercettazioni oggetto della richiesta. Inoltre, a fronte delle sette conversazioni di cui il GIP chiede l'utilizzazione processuale, vi sono molte altre conversazioni tra Valente e una pluralità di altri interlocutori, le quali escludono che la captazione sia stata disposta per aggirare l'autorizzazione preventiva richiesta dall'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 e dimostrano il carattere fortuito del coinvolgimento del parlamentare. Lo stesso vale per la conversazione con Romano Massimo. Ciò è confermato dall'iscrizione nel registro degli indagati dell'onorevole Landolfi solo nel gennaio del 2007, all'esito di complesse attività di indagine espletate in altri procedimenti.
Per quanto riguarda la rilevanza (articolo 6, legge n. 140 del 2003), va tenuto presente che solo le conversazioni palesemente irrilevanti debbono essere escluse dal GIP e l'irrilevanza riguarda sia le prove a carico che quelle a discolpa dell'indagato.
D'altronde la difesa dell'imputato, nelle sedi proprie, non ha formulato nessuna eccezione sulla rilevanza.
Ricordiamo che la stessa Giunta, nella scorsa legislatura, a larga maggioranza deliberò di concedere l'autorizzazione per l'utilizzo delle intercettazioni di Piero Fassino - che non era indagato. Non si dimentichi che in quel caso si trattava di Pag. 125fatti molto meno gravi rispetto a quelli che vengono oggi imputati al collega Landolfi.
Sulle conversazioni, il giudice ritiene che siano rilevanti (rectius: non siano manifestamente irrilevanti) giacché confermano la familiarità dell'onorevole Landolfi con personaggi di moralità pregiudicata. Tanto ciò è vero che - tra l'altro - nelle conversazioni si parla con toni poco lusinghieri dell'ex-deputato Lorenzo Diana, da sempre in prima fila contro le cosche in quel territorio così difficile.
Ma se, come sostiene il relatore di maggioranza, tali conversazioni fossero del tutto irrilevanti, sarebbe più utile concedere l'autorizzazione giacché da esse l'onorevole Landolfi potrebbe trarre argomenti difensivi altrimenti preclusi, nonché spunti per interpretazioni alternative favorevoli alla sua difesa.
Insomma: ancora una volta la maggioranza della Giunta tradisce e umilia lo spirito costituzionale sotteso agli istituti dell'immunità parlamentare. Il costituente li immaginò perché non avessero più a ripetersi le storie del (non più giovane) Francesco Saverio Nitti, la cui casa fu perquisita e saccheggiata dalla polizia fascista nell'autunno del 1923; di Giacomo Matteotti, ucciso dalla CEKA fascista il 10 giugno 1924 per la sua attività di deputato di opposizione; di Giovanni Amendola, picchiato a Montecatini nel 1925 e morto a Cannes nell'aprile 1926; di Antonio Gramsci, dichiarato decaduto dal mandato parlamentare il 9 novembre 1926 e processato nel 1928 dal tribunale speciale per la sua attività di deputato e di politico d'opposizione, che lo fece imprigionare e che gli sequestrò la corrispondenza.
Per tutte le ragioni addotte, la proposta della Giunta deve essere respinta.
Marilena Samperi e Federico Palomba, Relatori di minoranza.

TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO DEL DEPUTATO MAURIZIO TURCO SUL DOC. IV, N. 11-A

MAURIZIO TURCO. Siamo chiamati ad esprimerci sulla richiesta della Dda di Napoli nell'ambito dell'inchiesta ECO4 sui rifiuti, di autorizzare l'utilizzazione di otto intercettazioni telefoniche in sette delle quali è impegnato il deputato Mario Landolfi.
Landolfi dal 2007 è sotto inchiesta, insieme ad altre persone coinvolte, con l'accusa di concorso in corruzione, truffa aggravata con l'aggravante mafiosa e favoreggiamento.
Al deputato Landolfi, per quanto pare emergere dalla lettura degli atti che la magistratura ci ha trasmesso, non vengono addebitate condotte che autonomamente integrano le fattispecie di reato a lui contestate, ma appunto è indagato a titolo di concorso ex articolo 110 Codice penale
Il fatto specifico dal quale gli inquirenti fanno derivare il concorso del deputato Landolfi nella consumazione dei reati contestati è di aver insieme ad altri fatto dimettere un consigliere comunale, Massimo Romano, in cambio dell'assunzione a termine per quattro mesi della moglie del consigliere dimissionario nella società ECO4 (rifiuti).
Dalla lettura degli atti si evince che le dimissioni del consigliere Massimo Romano sono state effettivamente presentate solo circa due mesi prima della scadenza naturale del mandato: difatti il 25 marzo 2004 il consigliere Romano si dimise e il 12 giugno 2004, alla scadenza naturale della consiliatura, si è votato per il rinnovo naturale del Consiglio comunale.
Dalla lettura degli atti si evince altresì che ben sette, delle otto intercettazioni per il cui utilizzo ci viene chiesta l'autorizzazione, risalgono addirittura a due anni prima del fatto contestato.
L'onorevole Landolfi finisce nell'inchiesta in quanto «referente politico», non fosse altro che per mera appartenenza di area, del Sindaco di Mondragone che per l'appunto è politico anch'egli ed è politico di centrodestra; difatti si legge negli atti che fanno da preludio all'inchiesta e alla successiva incriminazione del deputato Landolfi: «che tale Mario potesse identificarsi nel parlamentare Landolfi emergeva, oltre che dalla lettura sistematica di tutte le conversazioni - da cui sembrerebbe Pag. 126che il Landolfi era ritenuto dagli interlocutori uno dei referenti politici, non fosse che per mera appartenenza di area».
Delle otto intercettazioni: sei riguardano telefonate tra Landolfi e Giuseppe Valente, incensurato al momento dei fatti, coordinatore del collegio di Forza Italia e presidente del consorzio CE4; le sei telefonate di presunto interesse investigativo sono state fatte in circa quattro mesi ovvero nel periodo in cui il telefono del Valente era sotto controllo, cioè tra il 12 giugno e 1'8 ottobre 2002; vi è inoltre altra intercettazione nella quale Giuseppe Valente parla con un altro interlocutore; una telefonata è con il consigliere comunale Massimo Romano, dopo che si è dimesso, dalla quale sembra che tra i due non vi siano rapporti di confidenza o conoscenza abituale; la telefonata è stata intercettata nell'arco dei tre mesi in cui il telefono del Romano era sotto controllo, cioè dal 5 maggio al 9 agosto 2004. Più precisamente la telefonata risale al 5 agosto del 2004 ed è di ben quattro mesi successiva alla data nella quale il Romano si era dimesso da consigliere comunale.
In una delle telefonate captate tra il Landolfi ed il Valente, una delle sei in quattro mesi di intercettazioni, e precisamente quella del 20 luglio 2002 - che dunque precede di due anni i fatti specifici che vengono addebitati al Landolfi - il Valente comunica a Landolfi che ci sono stati molti arresti a Mondragone per una retata anticamorra, il Landolfi chiede chi sono gli arrestati e alla risposta: «Tutti quelli che stavano fuori, tutti quanti», il Landolfi risponde: «Ah sì, ottimo!!!».
Ora pur senza entrare nel merito dell'inchiesta e in particolare in quella micro parte dell'inchiesta che riguarda l'onorevole Landolfi, non si può non rilevare quanto esigui, se non addirittura inesistenti, siano gli elementi che derivano da queste intercettazioni e che l'accusa intenderebbe utilizzare, con non si comprende quale profitto, nel processo a carico del deputato. Tanto che se in forza di queste intercettazioni - che paiono essere gli unici elementi a carico del Landolfi - fossero avanzate altri tipi di richieste, come ad esempio di applicazione di misure cautelari, non esiteremmo a dire che saremmo in presenza di un fumus persecutionis.
La richiesta però che ci viene avanzata oggi dalla magistratura è solo quella di autorizzare l'utilizzabilità nel processo delle intercettazioni effettuate e nel corso delle quali sono state captate casualmente le conversazioni di un deputato.
Sul punto riteniamo di poter esprimere un voto positivo per due ordini di ragioni.
Il primo è che le intercettazioni delle conversazioni con il deputato appaiono essere effettivamente casuali, non essendo legati il Valente o il Romano da notori rapporti di amicizia e/o frequentazione con il deputato, tanto che in sette mesi complessivi di captazioni sulle utenze del Valente e del Romano il numero delle telefonate con il Landolfi è assolutamente esiguo. E questo, a ben vedere, è un elemento che il deputato stesso potrà far valere nel corso del giudizio per dimostrare la sua estraneità dai crimini che gli vengono contestati in concorso.
Il secondo è che le stesse telefonate sono a nostro avviso talmente irrilevanti e prive di valore probatorio in ordine ai reati ed ai fatti che vengono contestati al deputato che negare l'autorizzazione alla loro utilizzabilità significherebbe privare il deputato della possibilità di utilizzare nel processo elementi a proprio discarico.

TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI DONATO RENATO MOSELLA, NEDO LORENZO POLI, MARIALUISA GNECCHI E GIANNI MANCUSO SULLA PROPOSTA DI LEGGE N. 1524-B

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, la proposta di legge che ci apprestiamo a votare, va nella direzione di un sostegno a favore dei lavoratori iscritti alle casse professionali, in particolare quelle che adottano il sistema di calcolo contributivo. È un passo in avanti concreto e in questo senso raccoglie il nostro consenso. Pag. 127
La finalità del provvedimento è, infatti, quella di adeguare i regimi pensionistici alle condizioni socioeconomiche attuali del Paese, garantendo ai professionisti la possibilità di beneficiare di prestazioni previdenziali migliori.
In base alle disposizioni normative oggi in vigore le nuove casse pagano pensioni molto basse in rapporto ai redditi medi di vita attiva e produttiva degli aderenti. Una situazione che penalizza in modo particolare le professioniste donne, per le quali i periodi di interruzione contributiva, dovuti alla maternità e al tempo dedicato alla cura dei figli e della famiglia, si traducono in pensioni dimezzate rispetto a quelle dei colleghi uomini. Mentre stime recenti valutano che i nuovi iscritti, i giovani, hanno la prospettiva di percepire pensioni pari al 25 per cento del loro reddito medio.
La norma attribuisce alle Casse che adottano il sistema contributivo per il calcolo della pensione, la facoltà di fissare la misura del contributo integrativo da un minimo del 2 per cento fino ad un massimo del 5 per cento del fatturato lordo, a carico dei clienti che usufruiranno delle prestazioni dei professionisti iscritti.
Gli enti avranno inoltre la facoltà di destinare una parte delle nuove risorse all'aumento dei montanti individuali al fine di incrementare le pensioni.
In questo modo si cerca di ovviare ad una complessa questione quale è quella dei trattamenti pensionistici dei professionisti. Non si può, infatti, non tener conto del fatto che le pensioni di queste categorie di lavoratori risultano notevolmente più basse rispetto al reddito percepito nel corso della loro attività.
L'Associazione degli Enti Previdenziali Privati ha calcolato che i professionisti che andranno in pensione tra circa 30 anni potranno contare su una rendita pari a poco più di 12 mila euro l'anno, mentre le Casse che si basano sul sistema contributivo puro potranno assicurare una prestazione pensionistica annua di circa 5.500 euro.
Si tratta ovviamente di cifre esigue, del tutto inadeguate a garantire pensioni dignitose ai lavoratori.
Ci preme però evidenziare (come fatto con puntualità da alcuni Colleghi in sede di discussione generale) che se pure il provvedimento costituisce un'iniziativa valida, che non a caso raccoglie ampi consensi in quest'Aula, non va dimenticato che esiste l'esigenza di una riforma organica e strutturale rivolta all'intero settore degli enti previdenziali privati.
Siamo convinti che sia necessario intervenire, non solo per assicurare l'adeguatezza delle pensioni dei professionisti, ma anche per sostenere l'equilibrio e la tenuta finanziaria delle Casse, che al momento versano in condizioni economiche particolarmente difficili.

NEDO LORENZO POLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo finalmente giunti alla votazione finale di quella che è stata da più parti definita una vera e propria mini-riforma previdenziale per i professionisti. Avevamo già dato parere favorevole e sollecitato una tempestiva approvazione del provvedimento e continuiamo a perseguire oggi, in questa Aula, gli stessi obiettivi, dal momento che nel corso dell'esame al Senato sono state introdotte due sole modifiche su indicazione della Commissione bilancio.
Il provvedimento come già più volte evidenziato dai colleghi dà alle casse di previdenza più giovani nate con il decreto legislativo n. 103 del 1996 l'autonomia di gestire una somma (l'integrativo) che fino ad oggi il professionista ha sempre riscosso dal cliente e riversato per intero alla Cassa di appartenenza per le finalità pensionistiche e assistenziali genericamente perseguite dell'ente.
Grazie a questa legge saranno introdotte nell'ordinamento due novità importanti. La prima mette sullo stesso piano tutti gli istituti, giovani e meno giovani, dando loro la possibilità di far salire l'aliquota fino al 5 per cento; la seconda, inserisce nell'ordinamento un principio importante che riconosce agli enti dei professionisti la facoltà di destinare parte del contributo integrativo all'incremento dei montanti individuali, previa delibera degli organismi competenti e secondo le Pag. 128procedure stabilite dalla legislazione vigente e dai rispettivi statuti e regolamenti.
La finalità del provvedimento è quella di migliorare le prestazioni pensionistiche da parte delle Casse che applicano, appunto, il sistema contributivo. La novità riguarda anche le Casse di previdenza di dottori commercialisti e ragionieri, che, allo stato attuale, applicano un integrativo del 4 per cento.
Il quadro normativo relativo alle casse di previdenza professionali ha subito molti mutamenti, che hanno contribuito ad aumentare l'incertezza dell'orizzonte previsionale. Infatti, l'andamento della gestione di queste casse ha risentito e risente della variazione nel tempo della dinamica demografica degli iscritti e di quella reddituale, soprattutto dei professionisti più giovani. In particolar modo, l'aumento progressivo della longevità dei beneficiari delle prestazioni a fronte della riduzione della consistenza dei versamenti dei nuovi iscritti pone seri problemi di sostenibilità gestionale delle casse in prospettiva futura.
Viene qui riconosciuta e incrementata la facoltà per le casse di destinare una parte del contributo integrativo ad aumentare la consistenza dei montanti individuali al fine di aumentare in futuro i tassi di sostituzione, anche se purtroppo, probabilmente, non in misura sufficiente.
Le nuove casse pagano sin da ora pensioni molto basse, che segnano uno scarto marcato rispetto ai redditi medi della vita attiva, produttiva dei loro aderenti.
Quelle più colpite in misura particolare e inaccettabile sono le professioniste donne, che arrivano a percepire pensioni che ammontano a circa la metà di quella dei colleghi uomini, a causa dei periodi di interruzione contributiva dovuti alla maternità e agli impegni di cura in favore dei figli e della famiglia.
Inoltre, i nuovi iscritti, i giovani, hanno di fronte a sé una prospettiva anche peggiore: stime attuariali calcolano che le categorie a reddito più debole e discontinuo iscritte alle «nuove» casse riceveranno pensioni addirittura pari a circa il 25 per cento del loro reddito medio. L'approvazione della proposta in esame permetterebbe, dunque, almeno in parte, ai giovani e alle donne professioniste di avere un trattamento previdenziale più adeguato.
Condividiamo lo spirito del provvedimento, dal momento che tratta una disposizione mirata ad incrementare il sistema pensionistico dedicato ai professionisti, e allo stesso tempo permette alle casse di fare un passo in avanti verso l'autonomia e verso un maggiore adempimento delle loro finalità costituzionali.
Il contributo integrativo pagato dal cliente in fattura, difatti, va ad arricchire l'ammontare individuale del professionista stesso, elevando così la pensione degli iscritti di tutte le Casse nate con il sistema di calcolo contributivo, istituti che ad oggi hanno un'aliquota sul volume d'affari pari al 2 per cento. Al passare della riforma beneficeranno dell'incremento soprattutto quelle professioni di più recente regolamentazione, le cui casse sono costrette ad erogare pensioni ancora molto basse.
Il problema non si pone solo per tali casse. L'esigenza di pensioni dignitose difatti si pone anche per le casse dei dottori commercialisti e dei ragionieri, che pure esistendo precedentemente all'entrata in vigore del sistema contributivo, hanno scelto di aderire ad esso in un secondo momento. Il testo in esame consentirà dunque l'adeguamento delle pensioni per i professionisti a tassi più adeguati.
La proposta in esame ha riscosso la sostanziale unanimità dei Gruppi sia alla Camera che al Senato, ed è stata riconosciuta all'unisono la necessità di poter garantire al sistema previdenziale dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione: «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria» cui, in base all'articolo 38 della Costituzione, tutti i lavoratori hanno diritto. I liberi professionisti, al pari dei lavoratori dipendenti, hanno diritto a beneficiare di adeguate prestazioni previdenziali e assicurative, cosa che attualmente non avviene in quanto essi percepiscono pensioni significativamente basse Pag. 129con una grossa disparità rispetto al reddito percepito nel corso dell'attività professionale.
La possibilità di aumento delle aliquote è resa necessaria da un'attuale situazione insostenibile vissuta dalle casse professionali, che subiscono attualmente una situazione di disparità di trattamento a loro estremamente sfavorevole con tassi di sostituzione estremamente bassi, che porteranno in futuro a pensioni non adeguate.
Non bisogna tralasciare, inoltre, il concreto pericolo che corrono questi enti, soprattutto se di recente istituzione, i quali, si trovano oggi in una situazione apparentemente invidiabile dal punto di vista delle risorse finanziarie, poiché ad un buon numero di professionisti contribuenti si affianca un numero relativamente basso di pensionati utenti. Tuttavia, il rischio ovvio è che, proseguendo nella gestione, si possa registrare un significativo peggioramento dei bilanci, nel momento in cui la tendenza cominciasse anche solo a riequilibrarsi e tali casse dovranno cominciare ad erogare un numero significativo di prestazioni.
Condividiamo, pertanto, appieno l'intervento normativo proposto, visto il suo carattere solidaristico che si giustifica per tutto il sistema previdenziale privatizzato in considerazione dell'assenza di qualsiasi intervento della finanza pubblica sulla sostenibilità degli enti gestori. Auspichiamo che le condivisibili finalità, su cui ho più volte espresso il mio parere favorevole non siano da considerarsi isolate, ma inserite all'interno di un futuro complessivo processo organico di riforma degli organi previdenziali privatizzati. Nell'esprimere a nome del mio Gruppo il voto favorevole al provvedimento in esame, mi auguro che la norma proposta possa costituire solo il primo e significativo passo, verso una più strutturata e organica riforma della previdenza dei professionisti del nostro Paese.

MARIALUISA GNECCHI. Signor Presidente, nell'anticipare il voto favorevole del gruppo Partito Democratico, come già detto dagli onorevoli Damiano e Santagata in sede di discussione sulle linee generali, siamo favorevoli a tutte le proposte che mirano a migliorare gli importi delle pensioni, ovviamente per tutti. Nello specifico, oggi stiamo discutendo dei liberi professionisti, per i quali pensiamo sia indispensabile una riforma generale delle casse, all'interno però del sistema previdenziale del nostro paese.
Ribadisco, quindi, in toto gli interventi dei colleghi Damiano e Santagata: le casse, avevano una situazione che permetteva elevati rendimenti finanziari e consentiva al sistema di chiedere contributi minimi ai propri iscritti, ma con il trascorrere degli anni, si è compreso che la previdenza costa ed è difficile far quadrare i conti con aliquote contributive del 10 per cento (contributo soggettivo) e del 2 per cento (contributo integrativo), che insieme non rappresentano nemmeno la metà del 26,72 per cento che è richiesto ai professionisti privi di cassa, iscritti alla gestione separata INPS. Non dobbiamo dimenticare che le casse, giacché assimilate al primo pilastro previdenziale, con aliquote contributive basse, non potranno altro che liquidare livelli di pensioni misere, con l'adozione a regime del calcolo contributivo.
Ma non abbiamo solo il problema delle basse aliquote contributive. Le spese di gestione sono troppo elevate. Il nucleo di valutazione della spesa previdenziale indica in più di 260 milioni annui le spese di gestione delle casse. L'incidenza di tali spese sul patrimonio complessivo è di poco meno dell'1 per cento, pur con sostanziali differenze fra cassa e cassa (da un minimo dello 0,5 per cento ad un massimo del 3 per cento); l'incidenza sulla spesa annua per prestazioni è sempre superiore al 4 per cento, quella rapportata al flusso di entrate contributive annue va dal 3 per cento al 15 per cento. Si tratta di valori elevati, ad esempio lo standard del sistema previdenziale pubblico è di spese di gestione contenute nel 2 per cento delle prestazioni annue.
Oltre a tali costi, vi sono poi da considerare almeno le perdite finanziarie. Dai dati del Nucleo, si evince un rendimento sul patrimonio per l'insieme delle casse in Pag. 130media (semplice) del 3,4 per cento annuo nel quinquennio 2004-2008. Ma negli anni di crisi dei mercati finanziari le perdite sono state molto forti, e qualche cassa ha addirittura perso in un anno più del 10 per cento del suo patrimonio.
Di fatto, vi è sicuramente un problema di eccessiva frammentazione del sistema, che moltiplica i costi e impedisce di sfruttare le economie di scala. Si pensi che mentre l'Inps, da solo, gestisce più di 20 milioni di posizioni attive e 15 milioni di pensioni, le casse sono piccole o piccolissime, con la più grande, l'Empam, a 350 mila iscritti e solo altre 5 casse sopra i 35 mila; ma ognuna ha sempre un presidente, un direttore generale, un consiglio di amministrazione, un organo di indirizzo e uno di controllo, cui si aggiungono una nutrita schiera di consulenti (attuari, legali, informatici, consulenti finanziari, economisti, comunicatori). D'altra parte, checché le stesse casse cerchino di sfruttare le possibili sinergie e alcuni progetti di fusione siano portati avanti, la rivendicazione dell'identità professionale è talmente forte da fare dell'autonomia di ciascun ente previdenziale un vero tabù. Peraltro, se a ciò si unisce la considerazione della forte influenza dei professionisti, si capisce anche la timidezza con la quale la politica affronta la cosa, timidezza ben rappresentata dalla cautela con la quale la citata, peraltro severa, relazione parlamentare, conclude: «si ritiene peraltro di non poter escludere a priori la possibilità di piani di fusione o di accorpamento tra casse», a patto, però, «che vi sia una esplicita manifestazione di volontà espressa in tal senso dalle casse medesime».
Si deve arrivare ad una riforma delle casse in base alle proposte di legge già presentate, in particolare dal nostro gruppo.
È importante ricordare, anche in questa sede, che il problema di riuscire a garantire una pensione più alta riguarda tutti; noi, come Partito Democratico, abbiamo presentato anche per i lavoratori e per le lavoratrici dipendenti una proposta di legge per garantire un tasso di sostituzione del 60 per cento nel rapporto tra retribuzione e pensione che garantisca uno zoccolo di base al quale aggiungere il calcolo della pensione in base ai contributi versati.

GIANNI MANCUSO. Signor Presidente, intervento convintamente sul provvedimento in oggetto, in quanto io firmatario del testo Lo Presti, per esprimere la dichiarazione di voto del gruppo Popolo della Libertà.
Il mondo previdenziale delle casse dei professionisti è regolato, come è stato ricordato, dal decreto legislativo n. 509 del 1994 per quanto riguarda gli ordini di più antica costituzione - penso, ad esempio, a quello dei medici, dei veterinari, degli ingegneri, degli architetti, dei giornalisti e altri ancora - e dal decreto legislativo n. 103 del 1996 per le cosiddette nuove professioni ordinistiche, quali periti industriali, infermieri che svolgono attività a livello professionale e altri professionisti quali geologi, biologi, psicologi e altri ancora.
Il provvedimento oggi in esame concerne la misura del contributo integrativo previdenziale dovuto dagli esercenti l'attività libero-professionale che si affianca al contributo soggettivo. È noto che la previdenza dei professionisti deve essere attenta soprattutto a due criteri, a due concetti fondamentali, che sono la sostenibilità e l'adeguatezza. Sul fronte della sostenibilità, vorrei dire - ai colleghi che mi hanno preceduto e che hanno espresso forti dubbi - che, con la legge finanziaria per il 2007, si è chiesto all'intero comparto di riformarsi, per garantire non più solo i 15 anni di sostenibilità, come era richiesto prima, ma trenta annualità, con respiro attento al quarantennio e, quindi, ad un'intera carriera contributiva del professionista.
Queste modifiche sono state apportate entro il 2010 da tutte le casse che lo dovevano fare - alcune erano già dentro questo parametro - con i criteri dettati dal Governo, nel successivo anno, il 2008. Tornando ai criteri di sostenibilità e di adeguatezza, e in riferimento alle casse Pag. 131previste dal decreto legislativo n. 103 del 1996, il primo criterio è assolutamente garantito, mentre nell'adeguatezza della rata sta il problema, perché, con pensioni che si aggirano attorno ai 200-300 euro o poco più al mese, ovviamente, non si può parlare di adeguatezza.
Proprio il decreto legislativo n. 103 del 1996 prevede dei contributi fissi all'anno che, poi, genereranno una rata fissa a loro volta, ma certamente insufficiente a garantire, quando avrà raggiunto il periodo della quiescenza, un tenore di vita adeguato a qualunque professionista.
Il provvedimento in esame, è bene ricordarlo, riguarda anche due casse, disciplinate dal sistema previsto dal decreto legislativo n. 509 del 1994, che adottano il sistema contributivo, e sono la cassa dei dottori commercialisti e quella dei ragionieri. Il provvedimento si limita per il momento - e comunque è certo un primo passo importante - ad attribuire la facoltà di modificare il contributo integrativo, quel contributo che viene applicato alle parcelle, portandolo dal 2 per cento fino al 5 per cento; ogni singola cassa del decreto legislativo n. 103 avrà questa facoltà e potrà determinarlo con atti deliberativi approvati dalle rispettive associazioni nazionali ulteriormente approvati dai ministeri vigilanti.
Si è discusso a lungo del fatto che questo possa in qualche modo essere scaricato sulle spalle dei cittadini e dei consumatori o del fatto che, in qualche modo, questa misura possa incidere ed influire negativamente sulle aliquote ISTAT. È certo, tuttavia, che questi sono denari che confluiscono in contributi previdenziali. Pertanto, visto che il sistema italiano prevede di delegare agli ordini professionali, attraverso le proprie casse, la gestione della raccolta dei contributi e, quindi, poi l'erogazione delle pensioni, è corretto che si vada in questa direzione perché è prevalente l'aspetto della contribuzione che è diretta comunque a migliorare la sostenibilità.
Certo, con i forti limiti e i vincoli previsti dal decreto legislativo n. 103 del 1996 bisognerà pensare anche ad altre future modifiche dirette a migliorare questa sostenibilità; tra queste si dovrà pensare anche, ad esempio, alla cosiddetta pensione modulare, una possibilità in più da sommare al pilastro unico, peraltro di previdenza obbligatoria, e che consentirebbe l'accantonamento di maggiori risorse, consentendo così rate di pensione che siano più dignitose.
Mi pare comunque di poter dire che dal mondo delle professioni, dal mondo delle casse ADEPP in particolare, venga un plauso per questo intervento, che può sembrare un intervento di nicchia, particolare, ma che comunque riguarda una realtà che doveva, per forza di cose, essere modificata attraverso lo strumento normativo. Oggi stiamo realizzando un lavoro utile, molto atteso ed apprezzato dal mondo delle professioni.
Credo vada anche considerato che l'Italia è uno dei pochi Paesi europei in cui il sistema previdenziale privato prevede due «T» e una «E», quindi due momenti di tassazione e un solo momento di esenzione, mentre nel resto dell'Europa è esattamente l'opposto: tassate le rendite e le pensioni, sono esenti le contribuzioni. Questo peso, va ricordato, è per intero dei decenni sulle spalle dei professionisti italiani.
In conclusione, non posso non sottolineare che nel passaggio al Senato e nel conseguente ulteriore ritorno alla Camera sono trascorsi ben 13 mesi; in definitiva, al testo è stato aggiunto solo il riferimento che questa facoltà non porti nuovi oneri per la finanza pubblica. Il bicameralismo perfetto, in casi come questi, dimostra davvero tutti i suoi limiti.
Dunque un voto favorevole e l'auspicio che in tempi brevi si possa tornare in Parlamento con un provvedimento di più ampio respiro sulla previdenza dei professionisti, che sono pronti al confronto.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 2)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Doc. IV, n. 11-A 554 511 43 256 296 215 18 Appr.
2 Nom. Pdl 1524-B - voto finale 526 523 3 262 522 1 18 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.