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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 481 di lunedì 6 giugno 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 16,40.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 30 maggio 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Antonione, Bergamini, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Duilio, Fitto, Antonino Foti, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Mecacci, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della mozione Libè ed altri n. 1-00640 concernente iniziative in materia di riscossione dei tributi (ore 16,42).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Libè ed altri n. 1-00640 concernente iniziative in materia di riscossione dei tributi (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Borghesi ed altri n. 1-00645, Bernardo ed altri n. 1-00647, Reguzzoni ed altri n. 1-00649 e Raisi ed altri n. 1-00650 (Vedi l'allegato A - Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno discusse congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Libè, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00640. Ne ha facoltà.

MAURO LIBÈ. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, questo di Equitalia, che prendiamo come esempio per indicare un sistema, è uno dei temi che interessano il Paese. Vorrei ricordare alcuni passaggi fatti negli ultimi tempi su una questione che riguarda tante aziende e tante famiglie. Pag. 2
È una questione che si inserisce in un momento particolare del Paese, in un momento particolare della storia di tutta l'economia mondiale. Siamo in presenza di una crisi molto forte, oserei dire senza precedenti, che fa fatica a trovare soluzioni e vie d'uscita e che nel nostro Paese è vissuta in modo ancora più pronunciato. Non lo dico per polemica, ma per un motivo diverso, perché riguarda la questione in esame.
Il nostro Paese è strutturato su tantissime aziende piccole e medie, su un sistema famiglia molto forte, che, per tutti noi e per i Governi che si sono susseguiti dal dopoguerra ad oggi, ha costituito un po' quell'ammortizzatore che ha permesso di superare momenti difficili, che però non sono stati così difficili come quello che viviamo oggi.
Vorrei ricordare a tutti noi che nella legge istitutiva di Equitalia vi è subito, all'inizio della relazione, una specifica virgolettata la quale spiega che, con l'istituzione di Equitalia, l'obiettivo è quello di mettere a punto un sistema fiscale più vicino alla condizione reale di tanti cittadini.
Oggi sono qui a chiedere, con questa mozione, prima di tutto, se, facendoci una domanda, riteniamo di aver risposto alle esigenze e alle motivazioni che hanno determinato la nascita di quella legge, se veramente il sistema fiscale oggi è più vicino ai cittadini. Ricordiamo che vi sono sei milioni di famiglie e un milione e mezzo di imprese coinvolte nelle misure cautelari di Equitalia.
Sei milioni di famiglie - concedetemi un metro di misura a naso - vogliono dire 12,15 milioni di persone. Un milione e mezzo di imprese, con annessi e connessi, significa metà Italia. Non credo che metà Italia sia da comprendere nella categoria degli evasori o dei non pagatori cronici. Credo che la maggior parte di queste persone abbiano sempre rispettato le regole e abbiano avuto la volontà di contribuire, anche economicamente, allo sviluppo del Paese.

Certo, vi sono tantissime mele marce e su questo dobbiamo porre le differenziazioni. Per il resto, invece, si tratta di famiglie e imprese che hanno voluto nel tempo costruire lo sviluppo economico di questo Paese, di un Paese che ancora oggi vede un intervento non solo fiscale. Oggi il Presidente del Consiglio, se fosse presente, dovrebbe darci ragione subito ed avviare tutte le procedure che chiediamo, visto quanto sostenuto negli anni passati, ma purtroppo sembra che sia rimasto anche questo uno slogan. Come dicevo, è un sistema che vede, purtroppo, non per colpa solo di chi governa - perché è da troppo tempo che è così - il cittadino che quando si raffronta con il fisco diventa per forza un suddito. Il cittadino ha diritti e ha doveri - e dico «doveri» sottolineandoli - però deve essere chiaro: devono essere chiarissime le modalità e deve essere chiaro che i servizi erogati, compresa la riscossione delle «multe» e dei tributi non pagati, devono essere svolti con rigore, ma occorre ricordare che anche questi sono servizi resi a fronte di un corrispettivo, che nel complesso i cittadini italiani pagano.
Per inciso, con riferimento a quello che sta succedendo in questi giorni, chiedo alla Presidenza - è più che altro un richiamo al Governo - un intervento rapido sulla questione delle Poste Spa, che probabilmente ha anche delle motivazioni che riguardano le tecnologie, le tecniche informatiche o altro, ma che si stanno riversando sui cittadini più deboli del nostro Paese. Non possiamo permetterci un sistema postale che va in tilt e rimane in tilt per tanto tempo, perché c'è gente che purtroppo prende uno stipendio un po' più basso di quello del parlamentare e che fa fatica ad arrivare a pagare il fornaio il giorno dopo. Noi dobbiamo pensarci e dovremmo pensarci con grandissima attenzione.
Come dicevo, quei servizi sono esercitati a fronte di un corrispettivo che spesso viene pagato. Allora, senza polemiche, indicavo le motivazioni, ma ricordo anche - voglio essere un poco bipartisan - che il sindaco di Bari si è accorto delle modalità Pag. 3di riscossione di Equitalia, quando dei vigili urbani gli hanno messo le ganasce alla macchina (non se ne è accorto quando le mettevano alle macchine di tanti cittadini che purtroppo non riuscivano ad arrivare a fine mese). Vi sono stati non tanti, ma tantissimi, casi di blocchi a cittadini per tributi e «multe» non dovuti. C'è stata gente che, per «multe» che non erano di propria competenza, si è trovata l'auto bloccata, senza poter andare a lavorare nel peggiore dei casi, ma senza potere svolgere la funzione di utilizzare un bene che è di diritto assoluto.
Con il sistema delle imposte e delle sanzioni arriviamo in certi casi - lo sapete bene - a oltre il 120 per cento. Abbiamo sanato evasioni dello scudo fiscale facendo pagare il 5 per cento: anche questo dimostra che vi è un sistema che è diverso e che cambia da situazione a situazione, da cittadino a cittadino. Infatti, le modalità di calcolo delle sanzioni, degli interessi e degli aggi è diversa e oggi vediamo che si inizia, da parte del Governo con il Ministro Tremonti e da parte della stessa Equitalia, a fare ammenda di ciò e a dare una disponibilità a modificare le modalità di esecuzione. Sappiamo che molti cittadini non avvezzi a rapporti con avvocati o con la pubblica amministrazione, quando vedono arrivare un ordine di questo tipo, pagano e basta, pagano e stanno zitti. È allora questo lo Stato democratico? Questa è la modalità per avere un sistema fiscale più vicino alla condizione reale dei cittadini? Noi crediamo che tutto quanto è successo, dalle buone intenzioni, ha portato probabilmente ad una applicazione - non posso dire come la penso in un'Aula parlamentare - che è molto, molto discutibile e «discutibile» è una parola molto, molto delicata.
Dunque noi chiediamo il rispetto delle persone e chiediamo il rispetto dei diritti dei cittadini ai quali bisogna chiedere e con i quali bisogna essere duri quando si tratta di andare a recuperare anche l'evasione fiscale, che sappiamo benissimo dove si trova.
Sono stati condotti degli studi e sono stati svolti interventi e relazioni in questo Parlamento. Noi chiediamo questi interventi ma ne chiediamo alcuni anche per le aziende in difficoltà - perché qui si tratta non di sanare qualcosa perché chi deve pagare e ha dei debiti verso lo Stato li ha verso tutta la comunità e i cittadini, ha il dovere di pagarli e lo Stato ha il dovere di riscuotere quei diritti -, però c'è il modo e la discrezione su quali siano, lo dicevo prima, gli evasori cronici e quelli che in questo momento si trovano in difficoltà. Gli interventi sui beni strumentali delle aziende - il che significa dichiarare la chiusura immediata di un'azienda - e gli interventi sulle famiglie, come dicevamo prima, al di là di una vessazione del cittadino nei casi in cui costui è in condizioni di difficoltà e sistematicamente onesto, creano alla fine un impoverimento dell'economia del Paese. Perché se le aziende chiudono come possiamo noi guardare al futuro in un Paese costituito, come dicevo, da piccole e medie aziende? Non siamo e non sono tutti ladri, bisogna intervenire. Come? Cerco di concludere rapidamente perché comunque si tratta di un tema di lungo corso. Vorrei ricordare solo, come vezzo personale e del mio partito, che sono due anni che presentiamo interpellanze ed interrogazioni in Parlamento in merito. Basterebbe andare a rileggere le risposte del Governo e del Ministro Tremonti quando, non dico che ci umiliava, ma ci attaccava con aria di supponenza e considerava le nostre interrogazioni «merce» non adeguata al momento e al «mercato politico». Uso la parola «mercato politico» proprio per far capire a qualcuno gli errori che sono stati commessi.
Noi chiediamo di rivedere tutto il sistema delle modalità di recupero doveroso dei crediti, delle multe e degli interessi perché sono, questo lo dico, interessi spesso da strozzino. Siamo intervenuti tante volte sugli interessi applicati dalle banche ma qui andiamo molto peggio di quello che è successo: è tutto agli atti e non sono parole riferite per sentito dire. Chiediamo una moratoria. Vorrei spiegare tale questione perché la moratoria non è un paletto sul quale ci impicchiamo e con Pag. 4il Governo siamo pronti anche a discutere se si può trovare una modalità diversa, ma riteniamo che se cambiamo il sistema in itinere giorno per giorno, come sembra si stia facendo o meglio si voglia fare adesso - perché non si sta ancora facendo niente -, rischiamo che quelli che sono incappati nelle maglie di Equitalia Spa e del Governo fino a ieri devono pagare in un modo - non la «multa» doverosa, sono ripetitivo, non il dovuto ma tutto l'altro sistema che sono i costi di recupero, gli interessi e le sanzioni - e che si crei, se non si mette un punto fisso o un paletto, una disparità di trattamento tra chi magari entra in un regime il giorno prima rispetto a chi ci entra il giorno successivo. Dobbiamo darci una regola anche riguardo a ciò perché se si vuole cambiare, le riscossioni ingiuste sono tali e basta.
L'altro giorno ho sentito, mi sembra, il Presidente Befera, non vorrei però sbagliarmi, il quale ha detto che gli aggi si possono ridurre immediatamente dell'1 per cento. Visto che non è cambiato il sistema finanziario né è cambiato il tasso di sconto, come mai è possibile di colpo ridurre gli aggi? Un organismo, un ente, una società che lavora per essere più vicina al cittadino ci doveva pensare senza bisogno di una sollevazione popolare al riguardo, invece ha aspettato - noi nelle interpellanze lo chiediamo da anni - che si arrivasse al limite della misura. E quando si interviene in questo modo si tratta sempre di un intervento fatto borderline, fuori tempo massimo. Allora c'è bisogno, dicevo, di una modalità, che noi vediamo nella moratoria, ma siamo disponibili a trovare altre soluzioni, l'importante è che impegnino formalmente il Governo.
Noi abbiamo detto un'altra cosa (dato che qui si parla molto di federalismo): tutte le sanzioni recuperate, poiché si tratta di risorse in più reperite sul territorio da Equitalia che opera ormai con strutture regionali, devono rimanere a beneficio e utilizzo degli organismi pubblici regionali; devono quindi ritornare ed essere utilizzate in servizi per cui ne beneficiano tutte le aziende e tutte le famiglie che in quel territorio lavorano, vivono e producono. Si tratta di un federalismo che noi chiamiamo sostenibile e possibile a differenza di quella grande impalcatura che per oggi non vede -se non a parole - la luce. Signor rappresentante del Governo, noi le chiediamo però una cosa. In Commissione, in sede di esame del provvedimento in materia di sviluppo, abbiamo presentato degli emendamenti. Se effettivamente c'è la buona volontà e l'impegno (perché qui non basta la volontà: i cittadini hanno bisogno di un impegno reale), vi chiedo di accettare i nostri emendamenti. Si possono anche riformulare, non crediamo di avere la verità in tasca, però la strada tracciata è quella che è stata condivisa (a parole) da tanti, dunque accettate i nostri emendamenti, e li inseriremo nel provvedimento sullo sviluppo, dando così ai cittadini nel giro di pochi giorni il segnale che l'impegno contenuto in una mozione anche unitaria e la volontà di un Governo sollecitata dalla nostra mozione per due anni rappresentano un qualcosa di reale.
Grazie a questo farete una grande figura, ma prima di tutto ci sarà sicuramente un risultato di equità importante per i cittadini e ci sarà anche un risultato economico perché le aziende potranno lavorare. Certo, chiediamo ancora fermezza su tutti quelli che restano e rimangono evasori cronici, perché per noi l'evasione fiscale è uno dei mali maggiori in quanto non danneggia il singolo ma un'intera comunità, e dunque va perseguita. Tuttavia il modo in cui uno Stato, un Governo deve utilizzare tali risorse è quello del padre di famiglia rigoroso, che è giusto e che porta a casa i risultati giusti e che non penalizza il figlio più bravo magari a scapito di quello meno bravo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00645. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, alcune questioni sono state sollevate dal collega che è testé intervenuto, quindi anche per brevità prenderò in considerazione alcuni degli aspetti leggermente diversi Pag. 5rispetto a quelli che sono stati approfonditi. Anzitutto bisogna distinguere se si tratta di aziende o di famiglie, perché già questo aspetto rende le problematiche diverse. Si tratta di circa un milione di famiglie, ma prevedibilmente poiché - come è noto - Equitalia è esattore di molti tipi di imposte, contributi, «multe» ed altro, è evidente che bisogna distinguere i casi di «multe» (quindi violazioni di legge) da quelli concernenti imposte vere e proprie.
Riteniamo che in linea di massima i lavoratori e le famiglie raramente si trovino a dover fronteggiare problematiche gravi con Equitalia se non per «multe» derivanti dalla circolazione, e per un motivo molto semplice: i lavoratori le tasse le pagano sempre, immediatamente, ogni mese alla fonte, sulle loro retribuzioni. Pertanto non possiamo neanche immaginare di fare sconti a qualcuno sulla materia delle tasse. Intendo separare le questioni. Le tasse vanno pagate, e se c'è qualcuno in difficoltà, azienda o famiglia (stiamo parlando di tasse, non di quello che si aggiunge ad esse), si acceda a forme di rateizzazione, magari più veloci, più immediate, come atto dovuto invece che a seguito di domanda e di controlli; si preveda dunque qualcosa di più rapido in tema di rateizzazione delle imposte dovute. Altra questione riguarda ciò che si aggiunge a queste imposte. È qui che non sta in piedi il mostro che è stato creato.
Infatti, siamo in presenza di forme diverse tra sanzioni, interessi, interessi sugli interessi cioè quell'anatocismo che diciamo non dovrebbe essere praticato da parte delle banche e poi invece permettiamo tranquillamente ad Equitalia di dar luogo a forme di interessi sugli interessi e spese aggiuntive di riscossione che non stanno in piedi e, in qualche caso, portano molto di più del 120 per cento. Mi è capitato di vedere situazioni paradossali ed allora, a nostro giudizio, su questa parte c'è bisogno di un intervento immediato e rapido del Governo, approfittando magari anche del «decreto sviluppo» sul quale stiamo lavorando. Anche noi abbiamo presentato emendamenti in tal senso e, quindi, bisogna verificare se il Governo ha la volontà politica di intervenire. Ribadisco comunque che le tasse vanno pagate e su questo non ci piove. Pertanto, non ci sentiamo di chiedere una moratoria, come è stata chiesta dal collega, perché si finirebbe inevitabilmente per colpire tutti: forse colpire chi ne ha anche diritto ma si rischierebbe di non colpire ad esempio gli allevatori delle quote latte che, pur avendo scientemente violato la legge, sono stati aiutati già da almeno un paio d'anni e in questo modo rischieremmo di andare ad aiutare tutti.
Non è questo che chiediamo. Chiediamo un intervento mirato: il Governo ha senz'altro la possibilità di disaggregare i dati delle situazioni in corso proprio per separare il grano dall'olio, ammesso che di grano si possa parlare in questo caso e - ripeto - le tasse si pagano; sul resto, sulle sanzioni, sugli interessi e sugli interessi degli interessi e sulle spese invece c'è bisogno di un intervento molto serio, molto rapido anche di taglio per il passato e per il futuro. In questo senso, la nostra mozione chiede esplicitamente alcuni impegni: adottare iniziative tese ad evitare che l'aggravio di costi diventi ingiustificato; adottare iniziative volte a rendere strutturale la possibilità di concedere al debitore un nuovo e diverso piano di rateazione; dare attuazione ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali perché in molti casi è proprio da lì che soprattutto per le imprese nascono i problemi; rafforzare gli strumenti di autotutela del contribuente; adottare iniziative volte a far sì che, qualora il debitore risulti proprietario di un solo immobile, nel quale abbia la propria residenza, l'iscrizione ipotecaria non avvenga sic et simpliciter ma con un termine adeguato per permettere al debitore di pagare; rivedere la disciplina della riscossione degli importi inferiori o pari a 2.000 euro; adottare ogni iniziativa per rivedere il meccanismo di espropriazione sugli immobili elevando a ventimila euro l'importo al di sotto del quale non è possibile iscrivere ipoteca; adottare iniziative volte a Pag. 6rivedere il calcolo delle sanzioni, valutando la possibilità di ridurre l'aggio e adottare ogni iniziativa, volta a prevedere - è un altro caso veramente grave - l'obbligo che Equitalia, in presenza di un'obbligazione solidale, si rivalga in prima istanza sui beni che hanno generato l'imposta e non direttamente sui singoli beni dei coobbligati solidali. È una questione gravissima anche questa, sulla quale in passato il Ministero, rispondendo alle interrogazioni, ha reso dichiarazioni a mio giudizio assolutamente risibili. Tale è il complesso delle richieste che presentiamo con questa mozione. Credo che ce ne siano anche altre. Vediamo se è possibile arrivare ad una mozione unica che ovviamente sarebbe la soluzione migliore per tutti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, l'argomento all'ordine del giorno questo pomeriggio è un argomento complesso e allo stesso modo delicato, che vede confrontarsi in campo diverse sensibilità spesso anche trasversali ai diversi schieramenti.
Voglio, però, iniziare con una considerazione ed invitando tutti - mi sembra che, per ora, si sia lungo questa strada - ad una maggiore pacatezza nel dibattito attorno ad un tema, qual è quello della riscossione coatta, che è molto complesso e molto delicato. Esso, infatti, coinvolge, in primo luogo, i rapporti fra contribuenti e amministrazione finanziaria, fra contribuenti che hanno rispettato il proprio dovere nei confronti dell'amministrazione finanziaria e contribuenti che, per tanti motivi - lungi da me considerare questa seconda parte di contribuenti tutti evasori -, non sono stati in grado di assolvere al proprio compito.
Credo che le manifestazioni a cui, nelle settimane e nei mesi scorsi, abbiamo assistito nei confronti delle sedi di Equitalia e degli agenti della riscossione debbano essere parimenti condannate da parte di tutti, anche perché la protesta nei confronti dei dipendenti e degli agenti della riscossione e dei funzionari di Equitalia non è verso un comportamento soggettivo, in quanto essi non stanno facendo altro che applicare le leggi dello Stato.
Che il tema sia complesso lo dimostra il fatto che la Commissione finanze della Camera, negli ultimi mesi, ha più volte affrontato la questione: da una mia interrogazione sul tema all'inizio dell'anno, fino alla risoluzione approvata all'unanimità, nei giorni scorsi, proprio in vista della discussione, della presentazione degli emendamenti e dell'approvazione del cosiddetto «decreto sviluppo» che, in una sua parte, affronta il tema della riscossione coatta.
Vorrei, però, far riflettere tutti su un aspetto e partire da questo: la riforma della riscossione è avvenuta nel corso del 2005, per iniziare con un nuovo servizio dal 2006. È stata costituita Riscossione Spa, poi trasformata in Equitalia, partecipata nel capitale, per il 51 per cento, dall'Agenzia delle entrate e, per il 49 per cento, dall'INPS. Questo nuovo servizio ha assorbito le numerose società operanti nel settore, andando, a mio avviso, a dare un notevole impulso all'attività di riscossione coattiva.
Dico questo perché, nel breve giro di pochi mesi e di pochi anni, si è passati - sono dati che ci ha fornito il presidente di Equitalia in una delle ultime audizioni presso la Commissione finanze - da 3 miliardi e 800 milioni di euro riscossi nel 2005, a quasi 9 miliardi di euro riscossi nel 2010. Credo che il tema sia questo: il passaggio dal 2005 al 2010 ha significato un incremento di circa il 130 per cento di riscosso.
Un efficientamento dell'attività di Equitalia ha sicuramente prodotto dei problemi - quelli che abbiamo di fronte in questa discussione -, con riferimento ai quali credo che tutti siamo consapevoli di dover intervenire. Questa attività, che ha consentito, assieme all'attività di lotta all'evasione fiscale, di introitare nelle casse dello Stato, nel 2010, circa 25 miliardi di euro - quasi 10 miliardi attraverso Equitalia e 15 miliardi attraverso INPS e Pag. 7Agenzia delle entrate - ha permesso di rispondere meglio alle difficoltà economiche che il nostro Paese sta attraversando, soprattutto sotto il profilo dei conti pubblici. Questa maggiore efficienza di Equitalia ha fatto emergere sicuramente un problema.
Ha fatto emergere il problema a cui facevano riferimento sia l'onorevole Libè nella sua introduzione, sia l'onorevole Borghesi nel suo intervento: il fatto che, fra sanzioni, aggio e via seguitando, si corre il rischio che al montante, al caricato, al dovuto si sommi una mole di interessi e di sovrattasse che spesso rendono sproporzionato l'intervento di riscossione coatta. Credo che questo sia il punto sul quale dobbiamo misurarci. Il 9 per cento dell'aggio è troppo alto? È troppo basso? Non lo so, si tratta di rifletterci, sapendo però una cosa, signor Presidente: che fino al 2005 vi era una sorta di indennità di presidio, che lo Stato corrispondeva ai concessionari, di oltre 500 milioni di euro. Oggi lo Stato non garantisce più un euro di trasferimento ad Equitalia e il funzionamento della riscossione coattiva avviene attraverso le entrate che derivano dall'aggio. Il 9 per cento è troppo, è giusto o meno che il servizio di riscossione coatta sia pagato attraverso la fiscalità generale? Sono interrogativi importanti sui quali siamo chiamati ad esprimerci. Certo, è un po' difficile, dal mio punto di vista, chiamare la fiscalità generale a contribuire ad un servizio quale quello della riscossione coatta. Ripeto però che siamo disponibili ad affrontare il tema; per esempio ad affrontare un tema quale quello del calcolo dell'aggio, al di là dell'entità dello stesso, sul montante, sul debito e non tanto sul debito maturato dalla sanzione e maturato dagli interessi. Un conto è il servizio garantito da Equitalia Spa e un conto sono le sanzioni e gli interessi che sono dovuti alle agenzie fiscali, agli enti previdenziali, ai comuni o alle regioni per il ritardato pagamento di quanto dovuto.
Un'altra questione che, a mio avviso, va a complicare il tema della riscossione è il cronico ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Non so qual è la cifra, Confindustria parla di 60, 70 miliardi di euro di crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. Al di là della cifra, avevamo provato ad introdurre, nel decreto-legge n. 78 del 2010, una norma che consentiva di compensare crediti con debiti, crediti nei confronti del servizio sanitario, delle regioni e degli enti locali con i debiti iscritti a ruolo. Ora, questa norma non è potuta entrare in vigore perché manca un decreto ministeriale, manca un decreto del Ministro dell'economia che consenta appunto a questa norma di entrare in vigore. Comprenderà che anche questo è un problema: imprese e contribuenti che sono in credito nei confronti dello Stato, sono costretti a pagare interessi, sanzioni e aggio sui debiti nei confronti dello Stato stesso. In sostanza lo Stato, attraverso le sue varie articolazioni, le sue varie agenzie, non si comporta allo stesso modo nei confronti di imprese e famiglie che hanno debiti nei suoi confronti.
Concludo, signor Presidente, ribadendo che siamo disponibili ad affrontare il tema e lo dimostra non solo l'interesse che abbiamo manifestato in Commissione finanze dall'inizio di quest'anno, ma anche il fatto che abbiamo approvato all'unanimità, pochi giorni fa, nella stessa VI Commissione, una risoluzione che impegna il Governo su alcuni punti, che impegna il Governo a costruire una norma che impedisca di mettere le ganasce fiscali per debiti al di sotto dei 2 mila euro, che impedisca di procedere all'esproprio ma anche di iscrivere ipoteche su immobili per debiti inferiori a ventimila euro.
Faccio presente che ora il limite è rappresentato da 8 mila euro e, quindi, si tratta di un livello più che doppio rispetto alla sanzione attuale e alla possibilità di esproprio e di ipoteca attuale. Inoltre, vi è la necessità di introdurre maggiori elementi di flessibilità da dare all'agente della riscossione, in modo da non fare interventi generalizzati, ma andando a colpire in positivo i casi di reale bisogno. Pag. 8
Signor Presidente, in un momento di difficoltà come quello attuale, e da quello che è possibile vedere attraverso i dati che ci ha fornito Equitalia, anche la rateizzazione in vigore - i colleghi sanno perfettamente che è possibile avere una rateizzazione di 72 rate, che sono sei anni, per il piano di rientro - rappresenta uno strumento ampiamente utilizzato: oltre 1 milione e 200 mila contribuenti sono stati autorizzati ad avere questo piano di rateizzazione per un importo complessivo di oltre 15 miliardi e mezzo di euro.
L'altro punto sul quale occorre ragionare, a mio avviso, è la necessità di riflettere sul meccanismo di calcolo delle sanzioni, sul meccanismo di calcolo degli interessi e, appunto, sull'aggio, cercando di impedire quella che veniva chiamata dall'onorevole Borghesi, poco fa, una forma di anatocismo, cioè l'applicazione da parte di Equitalia di sanzioni sugli interessi.
Si tratta di temi complessi, non so se il Governo avrà la disponibilità - mi auguro di sì - ad avviare, quanto meno con il decreto-legge n. 70 del 2011, in discussione in questi giorni nelle Commissioni bilancio e finanze della Camera, e a porre in essere alcuni interventi che vanno in questa direzione. Mi auguro di sì, noi tutti ci auguriamo di sì. Credo che insieme dovremo fare una riflessione, come veniva da tutti sollecitata, sul sistema fiscale del nostro Paese e sul sistema di riscossione coattivo.
Il Ministro Tremonti ha più volte ricordato la necessità di introdurre riforme all'interno del sistema fiscale: credo sia quanto mai urgente introdurre dei correttivi che spostino l'attenzione e la pressione del fisco dal lavoro alla rendita. Ciò anche a parità di gettito: fermo restando il gettito attuale, vi è la necessità di spostare il carico della pressione fiscale dal lavoro ad altri asset, in maniera particolare alla rendita. Dall'altro, bisogna rivedere i meccanismi che sino a qui hanno prodotto anche dei risultati positivi, penso alla riscossione coatta e all'attività di Equitalia, portando quei correttivi che eliminano quella parte che può essere considerata come vessatoria da parte dell'agente della riscossione e per impostare un rapporto fra contribuente, sia esso famiglia o impresa, e fisco, enti previdenziali, enti locali e regioni, considerato più corretto e più umano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti, che illustrerà anche la mozione Reguzzoni n. 1-00649, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, l'argomento di cui trattano le mozioni oggi in discussione in quest'Aula è attuale ed importante. Attuale ed importante in quanto diverse e numerose sono state le proteste e le recriminazioni che vi sono state, negli ultimi mesi, nei confronti dell'attività di Equitalia e dei suoi esattori. Si tratta di proteste e di esasperazioni anche fuori limite, a volte, anche se, in qualche caso, pur giustificate e comprensibili.
Come ha detto il collega Fluvi, nel 2005 è stata emanata la riforma della riscossione. Prima di allora, avevano la responsabilità dell'attività di riscossione alcuni concessionari che operavano in modo molto più blando di quanto venga fatto oggi. Nel 2005 l'incasso derivante da questa attività era di circa 3 miliardi di euro; oggi siamo circa a 9 miliardi di euro, quindi è triplicato l'incasso per le casse dello Stato dall'attività di riscossione.
È quasi logico e naturale che, di fronte a questo incasso triplicato e alla crisi economica, i cittadini e le categorie produttive siano esasperati, si sentano ingiustamente vessati e diano vita a queste forme di protesta. D'altronde, di fronte alla crisi economica che stiamo affrontando, l'imprenditore, nel momento in cui la sua impresa è in crisi, cerca di salvaguardarla per farla andare avanti. Allora cosa cerca di fare? Innanzitutto di pagare i fornitori, se ha liquidità, perché, se non riesce a pagare i fornitori, non può procedere con la propria attività.
Poi cosa fa? Cerca di pagare gli stipendi dei propri dipendenti perché, così facendo, da una parte garantisce loro di Pag. 9avere una continuità retributiva e, dall'altra, consente una continuità produttiva ed aziendale. Poi cosa fa? Cerca di pagare le banche perché, altrimenti, se non paga le banche, queste ultime, che già operano il razionamento del credito, chiudono ulteriormente la liquidità all'impresa.
Per ultimo rimane il pagamento delle tasse, dei contributi e quant'altro ed è, pur essendo ovviamente sbagliato sotto l'aspetto etico, quasi naturale che un imprenditore abbia questa priorità nel garantire il pagamento a coloro dei quali l'imprenditore è debitore e, nella scaletta delle priorità, alla fine c'è il pagamento delle tasse, ma non si tratta di una cosa in sé sbagliata. La spiegazione l'abbiamo data: prima vengono i fornitori, i dipendenti e le banche e, alla fine, arrivano le tasse dello Stato.
Cosa accade anche in questo particolare momento? Avviene che, quando l'impresa attua questa scelta e si trova a pagare, come ultima priorità, le tasse dello Stato, rischia anche, se va in crisi, di trovarsi di fronte ad un'accusa di bancarotta preferenziale (e quindi un'accusa pesante) di fronte ad una procedura fallimentare, che rischia di mettere ancora più in crisi l'impresa stessa.
Dico questo per far capire che quello che è accaduto e sta accadendo in questi mesi, di fronte alla crisi economica e all'aumento dell'attività di Equitalia e dell'Agenzia delle entrate, è da rivedere, perché è ben giusto che si cerchi di combattere l'evasione. Tutti siamo favorevoli alla lotta all'evasione e nessun Governo ha mai fatto tanto come questo nella lotta all'evasione.
Però, la lotta all'evasione, dall'altra parte, comporta che, in un momento di crisi economica come questo, le categorie produttive si sentano vessate ed è una cosa che comprendiamo. All'interno di questa crisi e di questa vessazione c'è l'attività, per l'appunto, di Equitalia.
Vorrei ricordare quanto questo Governo ha fatto, ad esempio, in merito ad uno dei temi più critici per le categorie produttive, ossia quello degli studi di settore, sui quali il Governo è riuscito ad intervenire, modificandoli. Il Governo Prodi aveva innalzato verso l'alto l'asticella dei ricavi presunti, creando una serie di polemiche con le categorie produttive che tutti ricordiamo, mentre questo Governo ha modificato gli studi di settore adattandoli alla crisi economica in atto, ha fatto alcune analisi sui diversi comparti, ha valutato che la crisi rendeva necessarie alcune modifiche per tali comparti e ha adattato gli studi di settore.
È stata un'operazione giusta, corretta e che, a nostro modo di vedere, ha dato anche i suoi risultati. È chiaro che le categorie produttive si lamentano ancora per gli studi di settore, però è un dato di fatto che non sono così pesanti come lo erano prima.
Dall'altra parte, però, siamo «calati» sotto questo aspetto ed è aumentata l'azione e la vessazione nei confronti degli imprenditori da parte di Equitalia. Occorre poi considerare le ganasce fiscali, il fermo amministrativo dei beni d'impresa. «Ma come non pago le tasse? Non pago le tasse non perché sono andato al mare, ma perché cerco di provare a tirare avanti e voi venite e bloccate i miei beni produttivi? Come posso poi pagare le tasse se mi bloccate i beni produttivi?» Queste sono le domande logiche che vengono all'imprenditore. Invece, questo accadeva con le ganasce fiscali e con il fermo amministrativo.
Quindi, occorre intervenire e modificare i parametri al di sotto dei quali le ganasce fiscali non devono essere applicate e questa è una norma che faremo e che entrerà in vigore. Questo per far capire che il Governo è obbligato a dare un segnale su questa tematica e lo deve fare perché abbiamo chiesto e stiamo chiedendo ancora troppo a quelle categorie produttive che hanno permesso di portare avanti e mantenere questo Paese. Inoltre, ce lo possiamo dire qui e non sveliamo nulla di strano, sappiamo benissimo che l'attività della guardia di finanza, dell'Agenzia delle entrate, di Equitalia o di chi per esse se in una determinata parte del Paese - parliamo del nord - è pari a 100, in un'altra determinata parte del Pag. 10Paese è pari a 100 meno un altro valore. C'è una parte di Paese nella quale l'attività di questi enti di riscossione è più elevata rispetto ad un'altra parte. Ed è normale che ci siano queste proteste e queste critiche che si levano.
La Commissione finanze ha già approvato una risoluzione che dà alcuni ambiti di intervento. Entrerà nelle modifiche specifiche all'interno del decreto-legge sviluppo che è all'esame delle Commissioni riunite bilancio e finanze in questi giorni e noi crediamo che queste siano cose importanti, che però poi devono essere - ovviamente all'interno delle situazioni e delle possibilità - anche aumentate.
A nostro modo di vedere noi crediamo che per un determinato periodo di tempo occorra limitare l'importo complessivo degli interessi e delle sanzioni a carico del debitore; fino al superamento di questa particolare fase congiunturale. Per un predeterminato di tempo occorre applicare un meccanismo di calcolo diverso rispetto a quello che viene applicato: se prima si parlava della rateazione delle 72 rate, noi crediamo che questa debba essere aumentata magari arrivando fino a 120 mesi.
Inoltre, c'è il problema, che non riguarda il tema che tocchiamo con questa mozione, dei famosi 120 giorni con riferimento all'avviso di accertamento che, come sappiamo, è diventato titolo. Ciò significa che quando uno subisce un avviso di accertamento, questo è già un titolo e, quindi, ci può essere un'esecuzione. All'interno del decreto-legge sviluppo è stata prevista la possibilità di chiedere la sospensiva fino a 120 giorni. Se entro 120 giorni, le commissioni non si pronunciano parte comunque l'esecuzione. Crediamo che questa sia una norma iniqua e sbagliata. Noi come Lega Nord Padania abbiamo chiesto da una parte la soppressione della norma o comunque l'aumento dei 120 giorni ad un periodo di tempo più congruo.
Il tempo medio necessario alle commissioni tributarie per la pronuncia su queste tematiche è di 180 giorni. Tuttavia, crediamo che qui occorra intervenire, perché altrimenti dal 1o luglio - quando entrerà in vigore questa norma - rischiamo che le commissioni tributarie siano intasate di richieste di sospensiva che poi non saranno esaminate entro 120 giorni e, quindi, poi accadrà che il contribuente vedrà su di sé l'obbligo dell'esecuzione e questo creerà una serie di altre problematiche.
Queste sono norme che vanno effettivamente a favore della lotta all'evasione. Tuttavia, crediamo che alla fine, in questo particolare momento, siano norme inique e sbagliate e che, se i contribuenti magari si arrabbiano, sono anche giustificati nel compiere queste azioni. Infatti, se da una parte siamo stati bravi e non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani - nel senso che le imposte e le tasse non sono aumentate - dall'altra, però, un Governo che è dalla parte delle categorie produttive deve stare attento anche a queste tematiche. Non basta dire «non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani», se poi abbiamo queste norme - ed Equitalia da una parte - sulla riscossione e sul contenzioso che effettivamente sono vessatorie in un momento in cui, oltretutto, le banche, sia per la questione di Basilea 3 sia a causa della crisi finanziaria che fa venir meno la liquidità, chiudono i rubinetti o, comunque, erogano con difficoltà i finanziamenti alle imprese. Vi è un circolo da cui le imprese non riescono ad uscire e, quindi, se qualche volta arriva l'esattore di Equitalia e se qualcuno si arrabbia è anche comprensibile che possa accadere.
Crediamo che queste risposte debbano essere date. Già le abbiamo date e le vogliamo dare, come Lega, ancora di più all'interno del decreto-legge «sviluppo», sapendo benissimo quali sono le situazioni di criticità dei nostri conti pubblici e sapendo di aver tenuto una posizione ferma sulla linearità dei conti pubblici, come giustamente ha voluto il Ministro Tremonti che ha optato per questa scelta di rigore, che ha dato e sta dando i suoi frutti per come sono visti i conti pubblici italiani all'interno dell'Unione europea. All'interno di questo scenario, però, dobbiamo riuscire a dare queste risposte alle Pag. 11categorie produttive, sapendo che se non avessimo fatto questa scelta di tenere sotto controllo i conti pubblici oggi la situazione sarebbe sicuramente peggiore per quelle imprese e per quelle categorie produttive.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raisi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00650. Ne ha facoltà.

ENZO RAISI. Signor Presidente, credo che il problema sia sicuramente complesso, ma va compiuta un'analisi anche rispetto ai programmi dei partiti che si sono presentati alle elezioni. Signor Presidente, tante volte si parla di tradimenti della politica, e lo sappiamo bene anche noi di Futuro e Libertà per l'Italia che tante volte siamo stati, in qualche modo, apostrofati con questo termine. Tuttavia, quando poi andiamo nel merito delle cose ci rendiamo conto che chi ha fatto promesse, chi ha cercato di lavorare, ad esempio, sul tema della fiscalità e del rapporto pubblica amministrazione e cittadino - o contribuente - ha poi ignorato tali argomenti nel momento in cui si è seduto sui banchi del Governo (ma non lo sa il sottosegretario che si è presentato in altre liste e con un altro programma). Ricordo che il centrodestra presentò con forza il tema del rapporto fisco-contribuente, nel tentativo di dire che se avessimo vinto le elezioni avremmo cambiato il sistema fiscale e avremmo cambiato e apportato novità positive nel rapporto contribuente-Stato.
È successo, invece, esattamente il contrario. Oggi discutiamo del problema di Equitalia che viene inserito in un contesto più complessivo, quello del rapporto, appunto, tra Stato e cittadino-contribuente, con una serie di norme che sono figlie dei Governi di centrodestra. Questo dobbiamo dirlo chiaramente e con lucidità perché, a partire dalla norma del 2005, anno in cui appunto eravamo al Governo, si sono susseguite altre normative che hanno dato a Equitalia strumenti ancora più pesanti, come la norma che entrerà in vigore dal 1o luglio 2011 che è figlia del Ministro Tremonti. Questo voglio dirlo chiaramente in questa sede, perché le cose vanno dette.
Sorrido quando il Ministro Tremonti dice che si deve essere più equilibrati nel rapporto tra fisco e cittadini. Ma è lui il capo del Dicastero che dovrebbe, in qualche modo, moderare questo rapporto. Mi fanno anche ridere e sorridere i vertici del Ministero dell'economia e delle finanze quando, appunto, dicono, sul tema delle tasse, che bisogna avere anche più flessibilità nel sistema di accertamento con i cittadini. Ma sono loro che hanno le leve del comando e che danno gli ordini e gli input all'amministrazione pubblica.
Quindi, non capisco come si permettano di dire questo. Invece di dirlo alla gente sui giornali, lo applichino e lo facciano con delle direttive esplicite nei confronti sia dei propri dipendenti, sia di coloro che, come Equitalia, vanno a riscuotere queste «multe» e questi accertamenti.
Siamo poi di fronte ad una realtà italiana - lo ripeto - da Stato africano, ad una magistratura tributaria che viene sottopagata ed è per questo che spesso i giudizi li «fa a peso» perché, in realtà i magistrati vengono pagati per ogni giudizio. Ogni giorno devono valutare e adottare sentenze su tanti giudizi e spesso lo fanno senza neanche accertare ciò che viene contestato in quegli atti e questo complica anche il rapporto tra il cittadino e la pubblica amministrazione.
In questo quadro si inserisce sicuramente una situazione economica delicata e complessa come quella che stiamo vivendo. Gli accertamenti, oggi, di fatto sono delle vere e proprie richieste di pagamento, ossia dei titoli esecutivi: spetta al contribuente l'onere della prova che quell'accertamento è sbagliato, intanto però gli viene confiscato il bene ed Equitalia chiede il pagamento di quegli accertamenti e lo fa con interessi di mora - come hanno detto molte volte tutti i colleghi intervenuti prima di me -, che sono vicini allo strozzinaggio.
Credo che, da questo punto di vista, la questione di Equitalia si inserisca in un contesto esplosivo della situazione italiana sul tema del rapporto cittadino-fisco. Si tratta di un tema molto complesso che, Pag. 12purtroppo, rischia di vedere Equitalia come l'obiettivo sotto gli occhi di tutti, anche perché Equitalia mette del suo nell'esasperare i toni ed i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, ma indubbiamente il problema è a monte e consiste nella mancanza di volontà da parte di chi governa di riequilibrare il rapporto tra il contribuente cittadino e lo Stato.
Mi ricordo, colleghi - e lo dico soprattutto ai colleghi di centrodestra - i manifesti che noi - e dico noi perché anch'io mi presentai con quella coalizione - facemmo con Visco rappresentato come Dracula e che mettemmo in giro in tutta Italia. Non credo che, oggettivamente parlando, il Ministro Tremonti, con tutte le lodi che in questi giorni stiamo manifestando nei suoi confronti, si sia distaccato da quella politica vessatoria che già il Ministro Visco attuò nei confronti del contribuente, anzi ritengo che tutti i suoi provvedimenti siano stati adottati esattamente in sintonia con quella che è stata la politica del fisco. Forse Tremonti è riuscito a fare quello che Visco non è riuscito a fare.
Quindi, il caso Equitalia è eclatante. Cominciamo a citare alcuni aspetti evidenti di questa disparità di rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione intesa come fisco.
Dal 1o luglio 2011 gli atti di accertamento emessi dalle Agenzie fiscali (entrate, territorio e dogane) assumeranno direttamente valenza di atti esecutivi, trascorso il termine per l'impugnativa, ossia i sessanta giorni dalla notifica. Questo è un provvedimento voluto da Tremonti. In sostanza, succede che l'azione esecutiva potrà iniziare immediatamente senza la necessità di attendere l'emissione della cartella esattoriale. Se consideriamo che in materia civile il creditore prima di avviare un'azione esecutiva deve formarsi il titolo - decreto ingiuntivo o sentenza - e notificare poi il precetto, appare evidente l'abnormità della modifica normativa in oggetto, che consente al creditore Stato di autoformarsi il titolo in via del tutto unilaterale e su questo impiantare un'azione esecutiva. Appare chiaro quindi che una tale disposizione riporta l'ordinamento ai tempi non rimpianti del «solve et repete» e cioè: «Prima paga e poi si vede». Questo è un aspetto che ricorre sempre nelle normative volute da questa maggioranza e da questo Governo.
Per quanto concerne i provvedimenti cautelari in assenza di messa in mora, l'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 prevede che trascorso un anno dalla notifica del ruolo (la cartella esattoriale) prima di iniziare un'azione esecutiva, l'agente della riscossione debba preventivamente notificare un ulteriore atto recante l'intimazione al pagamento entro cinque giorni.
La ratio della norma è attribuire al titolo esecutivo - la cartella esattoriale - un'efficacia limitata nel tempo onde evitare che il contribuente si trovi a subire un'azione esecutiva a distanza di molto tempo dalla precedente notifica della cartella.
Ebbene, Equitalia - ecco perché dico che Equitalia ci mette del suo - interpreta questa disposizione nel senso che essa vieta l'avvio di azioni esecutive, ma non l'adozione di provvedimenti cautelari - fermo amministrativo, ipoteca, pegno - con la conseguenza che un contribuente potrebbe a distanza di molti anni vedersi senza alcun preavviso - ma dov'è la trasparenza dello Stato? - fermare il proprio veicolo o iscrivere un'ipoteca sul proprio immobile in ragione di una cartella asseritamente notificata anni prima. Quanti sono i casi in Italia? Migliaia di persone che dalla sera alla mattina si sono trovati questi provvedimenti cautelari senza neanche più ricordarsi quale fosse il riferimento di quell'atto.
Tale interpretazione rappresenta chiaramente il rapporto squilibrato e vessatorio che si sta instaurando fra la riscossione e la massa dei contribuenti, e Equitalia è il braccio armato di questo disequilibrio che sta pesantemente esasperando l'animo dei nostri cittadini, perché è chiaro che questo si inserisce in un contesto di difficoltà economica, ma è Pag. 13evidente che abbiamo dato gli strumenti in mano a una società che addirittura va oltre i suoi compiti.
In merito al pignoramento presso terzi, l'agente della riscossione con questa procedura - cioè sempre Equitalia - utilizza informazioni desunte dall'anagrafe tributaria attraverso le quali individua soggetti potenzialmente debitori del contribuente - ad esempio incrociando i dati del sostituto d'imposta - al fine di procedere ad un eventuale pignoramento degli importi dovuti al contribuente debitore. Anche questo è chiaro che va a danno del contribuente in modo pesante.
In merito alle modifiche e limiti delle compensazioni, altro aspetto veramente assurdo della normativa vigente, con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 - cioè di questo Governo, del Governo di centrodestra che aveva promesso un migliore rapporto tra fisco e contribuente - è stato introdotto il divieto di compensazioni fiscali in presenza di debiti iscritti a ruolo scaduti per importi superiori a 1.500 euro. In presenza di tali debiti il contribuente è obbligato preventivamente a utilizzare i propri crediti tributari in compensazione con i ruoli scaduti. Di per sé la norma non avrebbe particolari profili di negatività ove non si considerassero però gli aspetti sanzionatori praticamente gravosi. Infatti, seppure il divieto non opera in presenza di ruoli impugnati in caso di esito negativo del giudizio, la sanzione per indebita compensazione ritornerebbe applicabile con la conseguenza che la norma in esame si traduce in una fortissima pressione sul contribuente ad estinguere i propri debiti ancorché oggetto di contestazione, cioè lo sto contestando però intanto sono obbligato a pagare. Anche in questo caso, come sopra, il tutto si traduce in una sostanziale riedizione del solve et repete. È questo l'aspetto particolarmente odioso della vicenda, cioè che il contribuente innanzitutto deve pagare e se non paga Equitalia mette in campo degli strumenti vessatori che non solo - lo dico al collega Borghesi - sono pesanti per le famiglie, ma sono pesanti per le imprese, perché dobbiamo smettere di pensare che sono sempre le imprese a evadere, perché un accertamento non è un'evasione fiscale, un accertamento è un accertamento, dopodiché c'è una contestazione e allora il problema a monte è: chi deve giudicare la contestazione è preparato? È giustamente pagato? Perché abbiamo ancora una magistratura tributaria che non è professionale, che non viene selezionata attraverso concorsi? Anche questa storia degli accertamenti è un elemento pericoloso nel momento in cui non hai un soggetto terzo che deve giudicare preparato, ben pagato e super partes.
È evidente che la situazione sta diventando esplosiva, ormai i casi di suicidio dovuti a questa esasperazione sono tanti, così come i casi di fallimento di aziende; quante aziende si sono trovate pignorati immobili come capannoni dalla sera alla mattina, bloccati senza neanche una notifica, dopodiché casomai su quei capannoni ci sono dei mutui, le banche chiedono l'estinzione immediata di quei mutui e le aziende saltano? Queste sono realtà quotidiane e non eccezioni in questo Paese. Il Governo non può - perché risulta essere quasi una seconda presa in giro - dire che Equitalia è la pubblica amministrazione e si deve comportare in modo più inflessibile nei confronti dei cittadini contribuenti.
Sono loro che devono fare le norme, sono loro che devono dare indicazioni chiare a chi le applica, affinché queste vessazioni non siano così quotidiane, a tal punto da esasperare la situazione, perché la situazione sta diventando pesante. Lo dico con la calma e la pacatezza di chi non vuole buttare benzina sul fuoco, ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. Equitalia evidentemente è l'obiettivo principale, perché in questo contesto ha il ruolo, sicuramente non facile, dell'esattore, ma nel proprio ruolo compie un'azione che alle volte va anche oltre il mandato. Allora, è chiaro ed evidente che il Governo deve impegnarsi a cambiare rotta. Noi cosa chiediamo? Chiediamo innanzitutto di valutare l'opportunità di una disciplina nazionale, cui i concessionari della riscossione siano tenuti ad aderire in materia di interessi di mora, di sanzioni e di aggio Pag. 14alla riscossione, che tenga conto del costo medio dell'attività di riscossione, valutato per il periodo di un triennio dal Ministero dell'economia e delle finanze. Su questo bisogna fare regole chiare e bisogna dare indicazioni che rientrino o facciano rientrare qualcuno nella normalità. Equitalia deve tornare in una situazione di normalità. Chiediamo, sempre al Governo, di valutare l'opportunità di una disciplina nazionale delle convenzioni tra enti locali e concessionari della riscossione, che preveda procedure ad evidenza pubblica per l'affidamento del servizio di riscossione, sulla base del maggior favore per il contribuente delle condizioni offerte dal concessionario. I monopoli che abbiamo creato, infatti, alla fine rendono difficile la situazione nel rapporto tra contribuente e fisco.
Noi chiediamo che il Governo si impegni anche a favorire l'adempimento degli obblighi tributari dei contribuenti a più basso reddito, agevolando in particolare quanti sono stati colpiti più duramente dalla crisi economica e occupazionale degli ultimi anni, attraverso le seguenti misure: il prolungamento dei piani di rateizzazione; l'abolizione delle sanzioni e degli interessi di mora applicati ai piani di rateizzazione dei debiti tributari; la previsione che nell'accettazione del piano di rateizzazione siano cancellate d'ufficio tutte le misure cautelari adottate dai concessionari della riscossione; la previsione che la somma rateizzabile, sia con il concessionario della riscossione che in via amministrativa con gli enti impositori, non possa eccedere il quinto del reddito mensile dichiarato, salva la disponibilità dell'impresa o del contribuente a versare una somma maggiore. È evidente che in una situazione di difficoltà lo Stato non può fare lo struzzo, si deve capire che la flessibilità vale anche per lo Stato. Non sono d'accordo con quanto diceva prima il collega della Lega: non possiamo pensare che, poiché è aumentato il gettito tributario, alla fine sia una soluzione giusta vessare sempre di più il contribuente, che poi è sempre lo stesso, perché i grandi evasori non li prendiamo mai e quando li prendiamo facciamo degli accordi che sono veramente inspiegabili. Quante volte abbiamo sentito di grandi sportivi o uomini illustri dello spettacolo che hanno evaso per milioni e milioni di euro, che con basse percentuali riescono a risolvere la propria situazione? Invece il cittadino, il piccolo imprenditore, il cittadino qualunque, quello che rappresenta la normalità della situazione italiana, viene distrutto con poco. Queste sono cose inaccettabili. Lo Stato non può pensare di riequilibrare il proprio bilancio e il deficit pubblico vessando il contribuente, adottando strumenti che non sono presenti in nessun Paese in Europa. Vogliamo dire anche che l'Italia in questo è capofila di un sistema che non esiste in altre parti d'Europa.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 17,50)

ENZO RAISI. Chiediamo, sempre al Governo, di escludere dalle procedure esecutive la prima abitazione - come si fa a colpire la prima abitazione, il bene primario del cittadino, delle famiglie? - e per le imprese, i beni mobili registrati utilizzati nell'esercizio della professione e d'impresa. Se facciamo saltare le imprese con questo sistema vessatorio non solo salta il nostro sistema produttivo, ma incamereremo ovviamente meno tasse, meno imposte, perché se le aziende chiudono non pagano le imposte. È un ragionamento abbastanza semplice, che un attento studioso di economia come è il Ministro Tremonti dovrebbe capire da solo. Chiediamo infine al Governo di effettuare una ricognizione della normativa in materia di riscossione, eliminando, ove presente, il principio del solve et repete, prima paghi e poi reclami, contrario ai principi costituzionali di garanzia e di tutela del contribuente.
Rivendichiamo, come Futuro e Libertà, la necessità di un cambiamento culturale da parte della pubblica amministrazione. Non è possibile che si dica sempre, attraverso gli accertamenti, che una persona ha Pag. 15evaso le tasse. Gli accertamenti sono accertamenti, dopodiché gli accertamenti non devono diventare anche prove, che non devono essere a carico del contribuente; è lo Stato che deve dimostrare che uno è un evasore, non il contrario.
Ma in quale giustizia è mai successo che sia l'imputato che deve dimostrare di essere innocente? Solamente in Italia succedono queste cose! Siamo tutti d'accordo che le tasse debbano essere pagate da tutti, siamo tutti d'accordo che chi non paga le tasse deve essere duramente punito, ma in questo Paese accade purtroppo il contrario: chi non paga le tasse e gli evasori totali riescono sempre a farla franca, e, quando vengono presi, in qualche modo, aggiustano il problema, ma il cittadino normale, quello che rappresenta il 99 per cento della nostra cittadinanza, proprio attraverso questi strumenti vessatori rischia di saltare per aria, rischia di far saltare la propria famiglia, la propria impresa, perché questo è un Paese fatto da tante piccole, medie e micro imprese.
Sono milioni le imprese in Italia che vengono poste sotto le tenaglie di Equitalia, con tutto quello che ne consegue, e anche questi monopoli sulla riscossione sono un'assurdità, per cui la pubblica amministrazione deve per forza ricorrere ad uno strumento come quello di Equitalia. Ha fatto bene il sindaco di Bari a fare una scelta diversa. Crediamo che da questa battaglia su Equitalia inizi una battaglia molto più importante, quella della riforma del rapporto tra fisco e cittadino.
Partiamo da Equitalia perché, forse, è l'esempio più forte, più evidente, quello più antipatico, che è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo fatto una manifestazione nazionale poche settimane fa davanti agli edifici di Equitalia per sensibilizzare l'opinione pubblica. Personalmente aderirò, e spero che lo faccia anche tutto il mio partito, alla manifestazione che il 16 giugno, alle ore 15, si terrà proprio a Piazza del Popolo, qui a Roma, su Equitalia, contro Equitalia, contro le vessazioni di Equitalia, ma questo Parlamento deve uscire da questo dibattito con delle indicazioni chiare per il Governo.
Non ci accontentiamo più delle dichiarazioni del Ministro Tremonti e del suo direttore del Ministero dell'economia e delle finanze: lì ci attendiamo dei segnali forti. Questo è un Paese che sta soffrendo pesantemente per la crisi economica, in modo più forte di altri Paesi, anche perché abbiamo tenuto in pari i conti pubblici secondo quanto ci ha chiesto l'Unione europea, ma non abbiamo previsto una politica di sviluppo economico. Le nostre imprese stanno soffrendo pesantemente per questo. Siamo il fanalino di coda per la crescita del PIL in Europa, e di questo stanno soffrendo le nostre imprese. Un sistema fiscale non può non tenere conto anche di situazioni particolari come questa. Ci vuole quella flessibilità che il Ministro Tremonti rivendica, ma poi non applica nelle norme. Speriamo e auspichiamo che la norma che entrerà in vigore il 1o luglio venga rivista immediatamente e che si ragioni su questo, perché ci vuole trasparenza. Non è che posso non sapere quello che mi sta accadendo, perché mi fanno dei pignoramenti senza neanche notificarmelo, e sulla base di accertamenti, non perché ho effettivamente commesso qualcosa, che deve essere ancora provato.
Da questo deve anche essere avviata una riforma della magistratura tributaria. Il problema va preso seriamente, il toro va preso per le corna. Non si possono fare semplicemente dei comunicati e delle dichiarazioni pubbliche: bisogna adottare dei provvedimenti seri, bisogna fare una vera riforma su questa materia. Quante volte si è parlato di una riforma? La stiamo aspettando dal 1994, da quando è sceso in campo il Cavaliere. Abbiamo tutti creduto alla riforma fiscale: adesso pare che in pochi mesi arrivi anch'essa.
Noi ci accontenteremmo, ad esempio, che già venissero risolti questi problemi, che sono i problemi quotidiani degli italiani, perché sono milioni gli italiani e le imprese che sono colpiti da queste norme, che sono vessatorie, che hanno ribaltato il rapporto tra cittadino e Stato. È evidente che il cittadino non creda più nello Stato, se si trova di fronte a situazioni di questo genere. Come si fa a chiedere ai cittadini Pag. 16di rispettare lo Stato, quando vengono prevaricati i propri diritti? Dov'è il diritto del contribuente? Dove viene garantito? In quale sede?
Allora, da una maggioranza di centrodestra - che in campagna elettorale ha fatto delle lotte sul fisco uno dei suoi cavalli di battaglia - e da questo Governo ci attendiamo che finalmente vengano dei segnali chiari e innovativi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagano, che illustrerà anche la mozione Bernardo ed altri n. 1-00647, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO PAGANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, la riforma del sistema delle riscossioni coattive dei tributi, di cui al decreto-legge n. 203 del 2005, ha sancito la fine della concessione al servizio nazionale della riscossione e l'affidamento ad Equitalia. Dobbiamo dare atto, in premessa, che Equitalia sicuramente ha prodotto efficienza nel sistema, visto che è riuscita a passare dal 2005 al 2010, quindi, in cinque anni, da 3,8 miliardi di riscosso a 8,8 miliardi di euro, con un aumento del 130 per cento. Bisogna fare una considerazione, per anni si è lamentato che vi era un sistema di riscossione assolutamente ingiusto, che penalizzava coloro che invece erano corretti nel rapporto col fisco. Quindi per anni si è invocata efficienza del sistema. Nello stesso tempo, la ritrovata efficienza - o forse «trovata», visto che non c'era stata mai stata prima - ha generato un vero contrasto all'evasione, tema che è caro a tutti.
Un riconoscimento ufficiale su questo terreno è stato reso dal nostro Governatore Draghi, il 31 maggio ultimo scorso, quando in maniera chiara ha ufficializzato che il contrasto all'evasione è stato forte rispetto alle azioni che prima erano state intraprese dal Governo. Tutto questo, ovviamente, ha generato un vantaggio per il sistema Italia: è stato evitato il default, ovvero il fallimento e, come è stato detto, è stata anche bloccata l'evasione. Il carico eccessivo, pur non di meno, è stato oggettivamente elevato. Anche coloro che non sono liberali - quest'Aula è stata anche illuminante in tal senso - ormai concordano nel fatto che effettivamente vi è eccessiva pressione. L'Italia ha un debito pubblico altissimo e un'instabilità oggettiva dei mercati e vi è una speculazione internazionale che ha causato le note crisi del 2008. Ecco quindi perché, al di là di tutto, la ritrovata - o «trovata» - equità ha, di fatto, generato il risultato che sappiamo. Però il nostro sistema tributario è barocco, complesso, pieno di adempimenti formali e questo, soprattutto per le piccole e medie imprese, che sono le aziende su cui è fondato il nostro sistema, non lo possono più reggere. Ciò ha di fatto generato tante complessità e tante difficoltà.
Dunque, siamo in presenza di un sistema che sta vivendo delle difficoltà ereditate da un ventennio, una situazione di difficoltà che ovviamente non è di questi anni e che paradossalmente, all'interno della ritrovata efficienza, ha vissuto il dramma di una crisi economica. Il nostro obiettivo è anche quello di salvaguardare il tessuto imprenditoriale della nostra nazione. Questo aspetto va rimarcato, non solo perché esso rappresenta la nostra ossatura sociale, ma anche perché bisogna avere una visione alta della questione tributaria. Molti contribuenti oggi sono in difficoltà e guai se tutto questo non fosse oggetto di attenzione e di disamina. Essi sono in difficoltà soprattutto nelle aree più deboli del Paese. Oggi lo hanno rimarcato tutti. Tutti temono l'effetto a catena e il rischio che il sistema salti c'è, ed è forte.
La colpa di questa crisi - io la definirei crisi di liquidità - di chi è? Ebbene, intanto, vi è una generale difficoltà della pubblica amministrazione. Noi abbiamo, in questo momento, un tempo medio dei pagamenti di 87 giorni, che detta così sembra una cosa quasi normale, ma 87 giorni di media significa che vi sono aree del Paese dove è maggiore questa inefficienza e che scontano ritardi della pubblica amministrazione nell'ordine di mesi, di decine di mesi, forse anche di anni. Poi non parliamo del Servizio sanitario nazionale Pag. 17di alcune aree del Paese, guarda caso sempre le più deboli. È quindi evidente che tutto questo ha prodotto una crisi del sistema in termini di liquidità.
Il secondo aspetto è legato anch'esso alla crisi di liquidità: il nostro sistema bancario. Ci siamo divertiti negli anni Ottanta e Novanta a volere un sistema bancario così come lo stiamo vedendo in questo momento. Abbiamo inseguito il sistema universale che poi era quello che staccava al sistema bancario il cordone ombelicale verso il territorio. Oggi abbiamo un sistema bancario che è distante rispetto alle esigenze del sistema produttivo e del sistema familiare. Non c'è collegamento fra essi, con il risultato che questa crisi di liquidità, ha prodotto dei risultati ancora più complicati.
Allora, ricapitolando, c'è stata severità nella gestione del controllo delle imprese; c'è una rigidità del sistema delle riscossioni fiscali; abbiamo una scarsa capitalizzazione del sistema imprenditoriale; il nostro sistema bancario non eroga credito a sufficienza ovvero in maniera adeguata rispetto alle reali esigenze e poi c'è una oggettiva difficoltà del nostro sistema impresa a recuperare i crediti.
Tutto questo produce un rischio di default del sistema. Quindi, è vero che dobbiamo salvare il tessuto imprenditoriale, ma c'è da dire che, se non ci fosse stato un giusto equilibrio nella gestione della riscossione, tutto il sistema oggi sarebbe a rischio.
Dopo questa premessa, sorge l'esigenza di intervenire concretamente e questo è quanto viene chiesto dai contribuenti, dalle associazioni di categoria e dal Paese nella sua interezza: una flessibilità che significa, nel caso specifico della mozione che stiamo discutendo, anche minori oneri in termini di mora, interessi e sanzioni.
Il Governo e la maggioranza cosa hanno fatto in questi anni? Sono stati indifferenti? Poco fa ho provato a spiegare che la ritrovata efficienza della riscossione non è stata un optional ma si era obbligati. C'è stata insensibilità da parte del Governo e della maggioranza? Ritengo assolutamente di no. Cito tre casi, ma potrei menzionare un elenco molto più lungo: il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, nel quale la rateizzazione è passata da sessanta a settantadue rate. Cito, ancora, il DL 2010 che ha previsto l'allungamento della rateizzazione quando una o due rate vengono meno rispetto alle cause di forza maggiore che hanno determinato il mancato pagamento delle rate stesse da parte degli imprenditori. Cito, da ultimo, anche il «decreto sviluppo» (decreto-legge n. 70 del 2011 che discuteremo la prossima settimana in Aula) e nel quale viene riservata grande attenzione all'atteggiamento negativo e vessatorio da parte di coloro che sono preposti alla riscossione dei tributi medesimi.
Lo stesso Ministro dell'economia, che è stato criticato poc'anzi, ha stigmatizzato in maniera chiara e per la prima volta anche in maniera forte tali comportamenti circa la riscossione coattiva, soprattutto in relazione al problema del fermo amministrativo.
Quindi, mi pare ci sia una svolta chiara in questo senso. E che ci sia sensibilità sulla materia lo può testimoniare la Commissione preposta ovvero la Commissione finanze di cui mi onoro di far parte e che ormai da tempo, (quasi un anno), ha realizzato un processo di confronto vero con le istituzioni, con una serrata interlocuzione, con l'Agenzia delle entrate e di Equitalia, i cui vertici coincidono nella persona del direttore Befera.
Il 31 maggio è stata discussa la risoluzione Bernardo ed altri n. 7-00590, che oggi stiamo discutendo in forme diverse ma che ci tengo a precisare è assolutamente bipartisan, nel senso che tutti l'abbiamo condivisa...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ALESSANDRO PAGANO. D'altronde, si sono verificati anche dei casi di ribellione fiscale a tutti noti: è una cosa che dispiace a tutti. Ciò ci preoccupa perché si tratta di un segnale inquietante da parte del Paese; il medesimo ragionamento ha prodotto in sede di Commissione l'approvazione, lo ripeto, ancora una volta, in maniera bipartisan, Pag. 18della risoluzione Bernardo ed altri n. 7-00590, nonché il risultato odierno e che va esattamente nella stessa direzione. Non riprendo la medesima mozione, anche per non far annoiare nessuno, perché è stata abbondantemente citata nei cinque punti qualificanti da parte di tutti i colleghi che mi hanno preceduto.
Allora, qual è il ragionamento che oggi dobbiamo fare? Intanto c'è un elemento di riflessione: sia pure in ritardo oggi cominciamo, tutti quanti assieme, a chiedere un blocco della produzione normativa.
Signor sottosegretario, penso che nell'attesa di una riforma, ormai improcrastinabile, per rilanciare il sistema Paese e per abbassare la pressione fiscale, oggi abbiamo l'esigenza di bloccare la produzione di norme. Al massimo possiamo accettare una manutenzione delle norme, ma certamente deve trattarsi di un complesso di norme che non complichi ulteriormente la vita e non aumenti i costi indiretti rispetto al sistema produttivo. È soprattutto alleggerendo il prelievo fiscale che potrà realizzarsi un vero e proprio rilancio. Rispetto alla logica collettivista di prima «pagare tutti per pagare meno» oggi dobbiamo lanciare uno slogan di altro tipo: «pagare meno per pagare tutti».
Questo non è più soltanto un invito indirizzato al Governo, è un'esigenza colta da tutti, anche da parte di settori che francamente prima non la pensavano in questa maniera.
L'Agenzia delle entrate, che certamente ha un grado di efficienza notevolissimo e che forse potrebbe essere anche oggetto di emulazione da un punto di vista organizzativo da parte di grandi imprese, deve avere - signor sottosegretario - nuovi obiettivi. Ma non più obiettivi monetari. È arrivato il momento che il Ministero dell'economia e delle finanze fissi obiettivi legati all'incremento del gettito spontaneo. Se fino ad oggi questo sistema è stato accettato è per via di quella ritrovata efficienza, per quel sistema che rischiava di saltare e di andare in default.
Pertanto, paradossalmente, chi ha un minimo di conoscenze di carattere economico e di onestà intellettuale non può che riconoscere che quella era una strada giusta, ma oggi sorge l'esigenza di girare la bolina, e di cambiare completamente l'impostazione e, quindi, di lavorare per una diminuzione in termini quantitativi delle norme, e soprattutto per un abbassamento delle aliquote, che ovviamente significa una vera e propria valutazione dei costi (un cost review) che possa poi consentire il taglio della spesa inutile, quella spesa che produce solo esclusivamente diseconomie.
Se su queste basi va affrontato il presente dibattito, all'interno di una mozione che si presenta largamente condivisa nei contenuti e nel merito. È chiaro che la stabilità finanziaria del sistema famiglie e delle piccole imprese va realizzata contemporaneamente alla legalità fiscale, ma anche attraverso un rilancio dell'economia, che ritengo (com'è stato appena accennato) possa essere realizzato. Per queste ragioni ovviamente riteniamo che questa mozione che a sua volta richiama la risoluzione Bernardo e altri approvata in Commissione finanze, sia da condividere.

PRESIDENTE. Colleghi, è sorto un piccolo problema. L'onorevole Pili sostiene di avere chiesto questa mattina di essere iscritto alla discussione sulle linee generali della mozione, nei tempi regolamentari ovvero un'ora prima dell'inizio della seduta. Di fatto non è risultato iscritto nell'elenco se non successivamente a tale termine. Era comunque iscritto l'onorevole Cicu, il quale ha rinunziato. Allora, pur consapevole di una deroga al Regolamento, chiedo all'Assemblea se posso comunque dare la parola all'onorevole Pili.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, la ringrazio per aver scelto la forma più lineare. Non abbiamo ovviamente nulla in contrario sul fatto che l'onorevole Cicu parli. Si è trattato di un equivoco. Pag. 19Basta che rimanga agli atti che è una deroga alla quale si arriva attraverso il consenso dei gruppi perché l'elenco ufficiale che è stato depositato e che ho preso entrando in aula non prevedeva il collega Pili. È del tutto evidente che quest'ultimo - ci sarà stato un equivoco o altro - non era iscritto a parlare a termini di Regolamento. Poiché non abbiamo nulla in contrario e nulla cambia se interviene il collega Pili, diamo il nostro consenso al suo intervento, avendo chiaro tuttavia che si tratta di una deroga concordata con i gruppi.

PRESIDENTE. Una deroga che, peraltro, si rende necessaria per una mancanza di comunicazione che sembra esserci stata.
Do la parola all'onorevole Pili che quindi è iscritto a parlare. Ne ha facoltà.

MAURO PILI. Signor Presidente, ringrazio i colleghi per questa concessione. Comunque stamane ho inoltrato la comunicazione ed evidentemente, per un disguido, questa non è pervenuta poi all'Aula.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, come hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, per ultimo il collega Pagano, una buona politica fiscale è fondata su tre elementi: l'equità, il rigore e il buonsenso, cioè la capacità di equilibrare una politica fiscale rispetto alle esigenze di un Paese, una politica fiscale che oggi, come tutti noi abbiamo sottolineato e come i colleghi che mi hanno preceduto hanno rimarcato, ha bisogno di essere equilibrata rispetto alle esigenze, da una parte, del rigore e, dall'altra, anche di uno sguardo alle condizioni economiche delle nostre imprese.
Credo che sia questo l'elemento su cui oggi le parti politiche, senza elevare le bandiere della propria appartenenza ma anzi abbassandole, devono confrontarsi in quest'Aula. Ritengo che il Parlamento, da questo punto di vista, sia il consesso più adeguato per intervenire su un tema che non può più consentire deroghe, sia in termini di tempo che di azioni che il Governo deve mettere in campo, che sono azioni emergenziali ed urgenti sulle quali non si può più attendere.
Credo che sia fondamentale un concetto: il Governo Berlusconi e il Ministro Tremonti hanno fondato gran parte dell'azione di questi anni di crisi economica su una parola chiave e, cioè, il rigore: rigore nella ricerca di un'equità fiscale, ma anche la capacità di intervenire in maniera puntuale sul tema del recupero delle risorse per la gestione non soltanto ordinaria ma anche della politica degli investimenti.
Ebbene, in questi ultimi anni rispetto alla parola rigore molto spesso, dai soggetti che hanno gestito lo strumento del recupero delle risorse da parte dello Stato, si è travalicato, si è arrivati all'abuso e in qualche caso a quella che tutti hanno riconosciuto come una vera e propria, autentica vessazione.
Credo che sia questo il tema su cui il Parlamento ha il dovere di ripristinare la parola rigore, l'azione del rigore nella fiscalità e, dall'altra parte, l'eliminazione di tutte quelle sacche di abuso che si sono verificate e che si verificano - credo - in tutto il Paese. Mi permetterei di citare il caso della Sardegna dove questo abuso è stato reiterato ed è stato ampiamente dimostrato con carte alla mano.
Il Parlamento, dunque, colleghi, ha il dovere di intervenire su questo tema e ha bisogno di farlo prima che quella che si preannuncia come una catastrofe economica si possa manifestare in tutta la sua gravità.
In altri Paesi vi abbiamo assistito, e la grave crisi economica che paghiamo è legata a tutto il default delle grandi banche mondiali che hanno creato le condizioni per un crollo del sistema economico. Ebbene, su quel mancato intervento tutto il mondo, economico, finanziario e sociale, ha pagato conseguenze di grande rilievo.
Io credo che la sottovalutazione che vi è stata, innanzitutto nel sistema americano, del default delle grandi banche, oggi, debba essere prevenuta anche a un grande patrimonio - quello delle piccole e medie imprese - cui, credo, nessuna bandiera di Pag. 20partito possa sottrarsi dal difendere e tutelare. Ciò rispetto a quell'abuso, che è diverso dal rigore, che, invece, deve essere portato avanti nell'azione di riscossione e di recupero dei denari necessari alla vita delle istituzioni e del sistema sociale del nostro Paese.
Colleghi, non possiamo permetterci che un intero sistema produttivo venga cancellato da atteggiamenti che appaiono, a detta di tutti - da destra a sinistra -, ai limiti della legalità, soprattutto, quando vi sono elementi accessori rispetto alla riscossione della quota capitale, che certamente fanno dichiarare illegale ed illegittimo l'atteggiamento che viene messo in campo. Citerò alcuni episodi, alcuni dati, che rendono emblematico ciò che sta accadendo.
Colleghi, con riferimento al caso che tutti voi avete richiamato e che io mi permetto di richiamare, cioè quello relativo al sistema economico del Paese, vi è qualche sistema che è ancora più gravemente colpito. In questo caso, mi permetto di richiamare una parte dell'Italia che soffre ancora di più, che è gravata da una grave situazione economica, che ha il peso della sua insularità, che vive una crisi economica drammatica e che è allo strenuo delle forze. Mi riferisco ad un'isola, la Sardegna, che sta pagando in maniera assolutamente gravissima una situazione che potrebbe portare al crollo totale del sistema economico della regione.
Con riferimento ai dati relativi alla Sardegna, vorrei citare soltanto il 40 per cento delle imprese che sono duramente colpite dal sistema della riscossione di Equitalia nella nostra regione, che lasciano intendere come la Sardegna potrebbe essere - essa sì - a rischio di default, di fallimento totale del sistema economico, trovandosi, quindi, davvero a non essere più in grado di gestire, né sul piano sociale né su quello economico, l'attività di tantissime, di migliaia di imprese. Si contano, infatti, oltre 64 mila imprese che rischiano il fallimento di fronte ad un atteggiamento messo in campo da Equitalia assolutamente inaccettabile.
Credo che il fallimento di queste imprese debba essere valutato anche in ordine al rischio del fallimento della riscossione stessa. Basti pensare che il fallimento di tante aziende già avvenuto in Sardegna ha provocato un danno al Paese attraverso la mancata riscossione di oltre un miliardo di euro: solo in Sardegna, il fallimento di decine di migliaia di imprese ha portato ad una mancata riscossione, per quanto riguarda i tributi, di oltre un miliardo di euro.
È evidente che ci troviamo di fronte ad un sistema perverso in cui, da una parte, stringiamo le «ganasce fiscali», e dall'altra parte, però, non siamo in grado di recuperare non soltanto l'accessorio del tributo fiscale, ma anche quanto, invece, dovrebbe essere dovuto rispetto alla politica del rigore, e non dell'abuso, così come sta avvenendo.
Credo che siano queste le ragioni delle impetuose mobilitazioni che in tutta la regione, così come in tutta Italia, si sono moltiplicate e che stanno arrivando, ormai, verso la capitale. Credo che questa sia la dimostrazione della necessità di un intervento rapido, perché le 64 mila imprese sarde sono alle prese non soltanto con le tasse da pagare, ma con oneri insostenibili legati a costi aggiuntivi caricati sulle cartelle esattoriali. Cito soltanto il dato relativo al 40 per cento delle 160 mila imprese sarde che risultano indebitate, di cui ben 2.354 sono state dichiarate fallite, con una perdita complessiva di 950 milioni di euro a carico, ovviamente, dello Stato.
Le rateizzazioni, che sono state pure proposte come strumento di alleviamento della condizione in cui queste imprese si trovavano, sono diventate esse stesse un elemento perverso di ulteriore carico non soltanto sul piano della quota capitale, ma anche di tutti quegli accessori che sono stati caricati.
Cito soltanto un dato: un piano di rateizzazione avanzato da Equitalia in Sardegna ha come quota capitale 1.559 euro; su questi, risultano calcolati 566 euro di interessi di mora, 715 euro di quota di interessi di dilazione, 287 euro Pag. 21per quota compensi di riscossione, 939 euro per spese esecutive, 245 euro per diritti di notifica della cartella. Ovvero, quei millecinquecento euro, di quel povero cittadino, sono stati trasformati in brevissimo tempo in un importo di 4.315 euro. Credo quindi, onorevoli colleghi, che se questo dato potesse, come, in molti casi è, essere reiterato nel sistema della stessa rateizzazione, esso diventa non rigore, ma diventa abuso, diventa vessazione nei confronti delle imprese.
Cito un caso di rateizzazione: 72 rate mensili; si calcola un onere che passa da 113 mila euro a 181 mila euro ovvero oneri aggiuntivi pari a 67.934 euro. Un dato che lascia intendere come probabilmente sia necessario ritornare dalla politica dell'abuso a quella del rigore, politica che è sostanzialmente diversa rispetto all'impostazione che Equitalia e il sistema della riscossione nel Paese ha dato in questi ultimi anni, e che deve essere ricondotta su quella chiave, su quella logica del buonsenso che invece è venuta meno.
C'è un atteggiamento di psicosi vero e proprio. Cito un dato: in Sardegna si sono verificate situazioni anomale: tre milioni di euro di rimborsi per i contribuenti, notificati da Equitalia Sardegna, cioè soldi che venivano restituiti ai contribuenti, non sono stati ritirati perché i cittadini avevano paura che dentro quelle cartelle, che hanno sempre lo stesso colore e la stessa intestazione, ci fossero altre tasse. Quindi, sono rientrati in carico allo Stato tre milioni di euro che dovevano essere restituiti ai cittadini; questo per descrivere la psicosi che si sta registrando in tutta la Sardegna.
I dati sono eloquenti; cito il caso della regione forse più colpita e che è stata in prima linea, fin dal primo momento, nella denuncia di questa situazione: nella sola città di Nuoro risultano notificati tremila preavvisi di fermo amministrativo in appena sei mesi. A Sassari, città capoluogo del nord Sardegna, rischierebbero di essere pignorati 12.500 immobili e oltre ventimila automezzi. Colleghi, siamo di fronte ad una situazione che rischia di portare al tracollo non solo l'economia, ma la società, della nostra regione.
Credo che l'esempio della Sardegna, di questi dati, debba richiamare tutti, il Governo per primo, ad azioni incisive, non soltanto impegni formali; occorrono interventi sostanziali, urgenti per evitare che la crisi economica che arriva dal fallimento delle banche americane possa oggi essere avallata e in qualche modo aggravata ulteriormente dal tracollo dell'unica grande risorsa del nostro Paese che è quella delle piccole e medie imprese, e cioè di un sistema che chiede di poter contribuire al benessere del Paese, pagando le tasse ma di non subire un abuso nella loro gestione.
Credo quindi che, con la risoluzione approvata dalla Commissione bilancio e con le mozioni che sono state presentate e sulle quali le parole del collega Pagano inducono a ritenere di pensare che ci possa essere una unità di intenti, si possa trovare quella strada per cancellare tutto ciò che è abuso, per riportare tutto ciò nel buonsenso e nella gestione corretta della riscossione pubblica nel nostro Paese. A proposito della moratoria, sulla quale credo vi sia una divergenza, ritengo che la moratoria possa e debba riguardare la parte dello strumento accessorio della riscossione. Dobbiamo cioè trovare lo strumento perché su quel tema ci possa essere una «attesa», una sospensione di quegli oneri per consentire una valutazione più attenta, compresa la revoca, anche legislativa, di quegli oneri che risultano essere balzelli non sostenibili, ingiusti, illegali in molti casi. Credo che ciò sia indispensabile perché questo non è, colleghi, un terreno di scontro politico, questo è il momento sicuramente del rigore ma non dell'abuso, non della vessazione su un sistema economico già duramente provato per il quale occorre che ognuno di noi ammaini le bandiere e possa elevare invece il buonsenso di una discussione civile di un Paese come il nostro che merita che le piccole e medie imprese possano continuare a svolgere un ruolo fondamentale nella vita del nostro Paese.

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PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Avverto che sono state testé presentate le mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00651 e Pisicchio ed altri n. 1-00652, i cui testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - mozioni).
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Narducci ed altri n. 1-00631 sulle iniziative concernenti i rapporti tra Italia e Svizzera, con particolare riferimento alle doppie imposizioni e ad altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio (ore 18,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Narducci ed altri n. 1-00631 sulle iniziative concernenti i rapporti tra Italia e Svizzera, con particolare riferimento alle doppie imposizioni e ad altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Reguzzoni ed altri n. 1-00644, Galletti ed altri n. 1-00646 e Ventucci, Razzi ed altri n. 1-00648 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Narducci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00631. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi... mi scusi, Presidente, ma non ho capito chi siede al banco del Governo e lo rappresenta.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, ha ragione, è l'onorevole Giachino.

FRANCO NARDUCCI. Il Partito Democratico segue da mesi, con preoccupazione, il peggioramento dei rapporti e delle relazioni tra l'Italia e la Confederazione elvetica. Siamo preoccupati per gli attacchi subiti dai nostri lavoratori frontalieri che, quotidianamente, varcano il confine per recarsi nei Cantoni Ticino, Vallese e Grigioni, i quali sono stati oggetto di una campagna a sfondo xenofobo che li raffigurava come ratti che vanno a rubare il formaggio in Svizzera.
Siamo preoccupati dall'inazione del Governo che, anziché affrontare i problemi, si ostina ad ignorarli, e ha portato i rapporti tra i due Paesi ad un punto di crisi e di tensione tale da compromettere i tradizionali rapporti di amicizia e di cooperazione che sono secolari e che hanno consentito a centinaia di migliaia di nostri connazionali di avere un lavoro in Svizzera e, in molti casi, di restarvi definitivamente.
Soltanto nel dopoguerra, signor Presidente, oltre due milioni di italiani hanno lavorato in Svizzera, e attualmente oltre mezzo milione di nostri connazionali vive stabilmente nella Confederazione, mentre 50 mila cittadini svizzeri vivono in Italia. La Svizzera non è soltanto un mercato del lavoro di grande interesse per lo sbocco occupazionale di così tanti italiani, ma anche un considerevole partner per l'Italia sotto il profilo economico e degli investimenti.
Infatti, dopo la Germania, l'Italia è il più importante partner commerciale della Confederazione, con un interscambio intensissimo di ben 29 miliardi di euro, Pag. 23quasi sei volte il nostro interscambio con il gigante India, e un saldo notevole di quasi due miliardi di franchi svizzeri a favore del nostro Paese.
La Svizzera ha investito 22 miliardi di franchi in Italia: si tratta di un investimento che ha fruttato 80 mila posti di lavoro e che potrebbe e dovrebbe essere ulteriormente intensificato, perché sappiamo tutti quanto sia importante attrarre investimenti nel nostro Paese per contrastare la disoccupazione e dare migliori prospettive di lavoro, soprattutto ai tantissimi giovani che hanno perso la fiducia nel futuro, vivono di precarietà e sempre più vanno via dal nostro Paese, emigrano e vanno anche in Svizzera.
Signor Presidente, con questa mozione il gruppo del Partito Democratico invia un messaggio chiaro al Governo: bisogna far ripartire il negoziato sulla questione fiscale, che da due anni costituisce il punto di crisi nelle relazioni tra l'Italia e la Svizzera, e ha fatto crescere a dismisura le tensioni, in particolare fra il Canton Ticino e l'Italia.
Il Ministro Tremonti, sia detto per chiarezza, ha posto in questi due anni questioni di grande rilievo sul ruolo della piazza finanziaria svizzera e ticinese in particolare, nonché sulla ricerca di trasparenza e regole nuove, ma con pari chiarezza va anche detto che non comprendiamo l'ostinatezza con cui il Ministro dell'economia e delle finanze rifiuta, quasi a priori, di riaprire la trattativa per negoziare con la Svizzera una nuova convenzione per evitare le doppie imposizioni fiscali e per regolare le questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio.
Non vuole prendere atto che, in due anni, la Svizzera ha modificato il modello di convenzione praticato fino al 2009, adeguandolo anzitutto alle regole dell'OCSE. Signor Presidente, c'è stato un tempo, prima dell'entrata in vigore degli accordi bilaterali tra la Svizzera e l'Unione europea, in cui l'Italia e la Svizzera hanno regolato bilateralmente, attraverso trattati e convenzioni, molti aspetti di natura fiscale, previdenziale e di accesso al mercato del lavoro svizzero.
Questi trattati e queste convenzioni, risalenti agli anni Settanta e Ottanta, sono tuttora vigenti, a dimostrazione che costituiscono un telaio valido sul quale operare le modifiche necessarie in un contesto che è cambiato, senza disperderne i principi fondamentali che traevano origine anche dai buoni rapporti tra Italia e Svizzera, l'unico Paese al mondo che annovera l'italiano tra le proprie lingue nazionali.
Vorrei qui citare alcuni di detti trattati, in particolare quello sui trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera che ha dato origine alla legge 5 giugno 1997, n. 147 e quello sul ristorno ai comuni italiani dell'imposta trattenuta alla fonte sui salari dei frontalieri.
Come dicevo poc'anzi, i lavoratori frontalieri hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo dei Cantoni svizzeri di frontiera, in particolare nella realizzazione delle grandi infrastrutture e dell'industria manifatturiera. Soprattutto il Canton Ticino rappresenta da sempre uno sbocco fondamentale per le regioni italiane di confine, sia ai fini occupazionali, sia per l'importanza economica a vantaggio dei comuni in cui risiedono questi nostri lavoratori.
Di tale importanza si ha contezza già nella dimensione numerica: in Ticino lavorano al momento poco più di 50 mila frontalieri, mentre altri 7 mila frontalieri lavorano nei Cantoni Vallese e Grigioni, ma negli ultimi anni, grazie agli accordi bilaterali con l'Unione europea che hanno comportato una rivisitazione della legislazione in materia di frontalierato, si registra un forte aumento degli addetti alle attività di servizio che comprendono anche i lavoratori frontalieri interinali, ai quali tuttavia non è garantito un reddito nei periodi di inattività, né tanto meno alcuni vantaggi di imposizione fiscale che, invece, spettano ai frontalieri residenti nella storica linea di demarcazione di 20 chilometri dal confine riguardante sia il comune di residenza che il luogo di lavoro. Pag. 24
Fino al 2010 la Svizzera ha retrocesso al nostro Paese le indennità giornaliere di disoccupazione trattenute sulla massa salariale dei frontalieri, indennità che hanno alimentato il fondo gestito fuori bilancio dall'INPS che, nel frattempo, ha accumulato un vero e proprio «tesoretto», utilizzandolo per il trattamento di disoccupazione ai frontalieri italiani caduti in disoccupazione.
Anche su questo versante, signor Presidente, il Partito Democratico chiede da tempo che il Governo assuma l'iniziativa per ridefinire un quadro di certezze nei confronti dei nostri lavoratori e lavoratrici frontalieri e, a tal fine, ha presentato una proposta di legge. Lo sbocco deve essere, a nostro parere, un ulteriore passo avanti a livello europeo nei trattamenti di disoccupazione per i lavoratori frontalieri.
Su un altro versante, come dicevo dianzi, Italia e Svizzera hanno sottoscritto, il 3 ottobre 1974, l'Accordo relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine, recepito successivamente nella Convenzione italo-svizzera del 9 marzo 1976.
Come stabilito in tale Convenzione, la Svizzera ristorna ai comuni italiani che ne hanno diritto, una consistente quota, attualmente il 38,8 per cento delle imposte fiscali riscosse alla fonte sulle retribuzioni dei frontalieri.
Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, tutti noi abbiamo ben presente l'importanza di questa fonte finanziaria per i comuni italiani di frontiera, soprattutto in questi ultimi anni di difficoltà, di una calante offerta di lavoro e, non da ultimo, a seguito del Patto di stabilità che ha tagliato consistenti risorse alle autonomie locali.
Inoltre, occorre considerare le ripetute minacce della Lega dei Ticinesi - diventata recentemente la maggiore forza politica dell'omonimo Cantone - di modificare la consistenza del ristorno ai comuni, diminuendolo al 12,5 per cento. Si tratta di una richiesta che riteniamo ingiustificata e inammissibile, stanti i Trattati vigenti e che, di certo, costituirebbe un duro colpo per le economie dei predetti comuni.
Tuttavia, qui manca il ruolo ancora una volta del Governo e, soprattutto, del Ministero dell'economia e delle finanze per trovare le soluzioni opportune. Se pensiamo alla provincia Verbano-Cusio-Ossola e alle numerose chiusure aziendali che negli ultimi mesi hanno avuto luogo in tale provincia - per esempio della Bialetti o della cartiera - ci rendiamo conto che una drastica riduzione delle retrocessioni fiscali come quella prospettata dalla Lega Ticinese avrebbe conseguenze davvero pesanti per i comuni interessati. Ci chiediamo allora cosa osta e cosa impedisce al nostro Governo di discutere con quello elvetico le soluzioni concertate, impedendo la radicalizzazione delle tensioni politiche.
Visto che siamo sempre in piena celebrazione del 150° dell'Unità d'Italia, un anniversario che coincide anche con i 150 anni dei rapporti diplomatici tra Italia e Confederazione elvetica, vorrei ricordare che il 13 gennaio 2011 la presidente elvetica Micheline Calmy-Rey ha consegnato al Ministro Frattini a Berna in maniera simbolica un carteggio diplomatico e due lettere del 1861 nelle quali si riconosce il Regno d'Italia assieme ad espressioni di stima. Vi è, dunque, molto in comune soprattutto tra il sud della Svizzera e alcune province del nord Italia tanto che nel 1995 si costituì la comunità di lavoro transfrontaliera chiamata Regio Insubrica di cui facevano parte le province italiane di Varese, Como, Verbano e dall'altra parte il Canton Ticino, poi allargata alla partecipazione della provincia di Lecco e di Novara.
Per i cittadini europei la Svizzera è ormai un paese accessibile senza le difficoltà del passato. Infatti, gli accordi bilaterali del 1999 e del 2002 hanno aperto reciprocamente le frontiere alla libera circolazione dei cittadini, sia degli svizzeri nei paesi dell'Unione europea che di quelli dell'Unione europea in Svizzera e, quindi, anche degli italiani, oltre a prevedere la possibilità di soggiornare per l'esercizio delle professioni e per il lavoro, anche se non si è andati avanti sulla questione che Pag. 25riguarda le limitazioni poste agli acquisti di immobili per i cittadini stranieri compresi quelli dell'Unione europea in Svizzera.
È tempo, dunque, di tornare a parlarsi e di discutere la controversa questione di natura fiscale, riprendendo il negoziato sulla nuova convenzione interrotto perché da settembre 2010 - secondo fonti diplomatiche - il Governo italiano rifiuta ogni contatto. L'Italia non può far finta di ignorare che nel frattempo in questi ultimi due anni la Svizzera ha dato una impostazione adeguata al problema delle doppie imposizioni fiscali. Dopo le richieste formulate dal G20, il consiglio federale elvetico ha deciso di concedere assistenza amministrativa e fiscale a tutti gli Stati che ne fanno richiesta conformemente all'articolo 26 del modello OCSE. Ciò significa che la Svizzera concederà informazioni caso per caso non solo per ipotesi di delitti o contravvenzioni fiscali, bensì anche per consentire se necessario all'altro Stato di accertare i redditi dei soggetti ivi residenti.
Noi crediamo che si tratti di un sostanziale passo avanti rispetto alla prassi precedente che prevedeva soltanto la concessione delle informazioni relative alla corretta applicazione della convenzione esistente. Tuttavia, in ogni caso non basta criticare attraverso i media. Occorre confrontarsi e individuare le soluzioni del caso. Dal 13 marzo 2009 questa convenzione è stata firmata con una trentina di nazioni, tra le quali figurano la Germania, l'Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti, il Canada, ma non l'Italia che, tra l'altro, mantiene tutt'ora la Svizzera in diverse black list riguardanti il fisco, le persone fisiche e le persone morali.
Quindi, il gruppo del Partito Democratico auspica che la promessa di un negoziato in tempi brevi, offerta dal Presidente Berlusconi al presidente della Confederazione elvetica Calmy-Rey nell'incontro ufficiale di mercoledì scorso, non si riveli una promessa vana.
Ce lo chiedono i nostri lavoratori frontalieri e i nostri concittadini in Svizzera e, non da ultimo, le nostre imprese che esportano in Svizzera secondo dimensioni, che prima ricordavo, che sono estremamente importanti. Non dimentichiamo, signor Presidente, signor sottosegretario, che la Svizzera è impegnata in un'opera colossale, la nuova trasversale delle Alpi, la parte più importante ed onerosa del corridoio Amsterdam-Genova che passa sotto il San Gottardo, un'opera d'importanza primaria per il nord dell'Italia e per il porto di Genova.
Credo che nel mondo di oggi - ma è sempre stato così - per trovare le soluzioni importanti bisogna mettersi intorno a un tavolo. È questo l'auspicio che è nel dispositivo della nostra mozione: chiediamo al Governo e soprattutto al Ministro Tremonti, ad agire affinché si ponga fine a questo stato di tensione e affinché il gelo, che da tempo caratterizza i rapporti tra Berna e Roma, venga sciolto e si passi veramente a trovare le forme giuste, secondo anche le legittime richieste del Governo italiano. Auspichiamo che tutto ciò venga fatto prima che aumenti l'escalation nei confronti dei nostri 50 mila lavoratori e lavoratrici che quotidianamente vanno a lavorare in Canton Ticino e che si prevengano, insomma, queste minacce molto dure che esasperano quotidianamente il clima nel Canton Ticino.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti, che illustrerà anche la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00644, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, a partire dal 2008 il manifestarsi della crisi economica internazionale ha evidenziato i forti elementi di fragilità e ingovernabilità della dimensione finanziaria che ha portato a sforzi significativi, tuttora in atto, per rendere più trasparenti i mercati dei servizi bancari e finanziari a livello globale.
Già nel Vertice del G20 di Londra del 2 aprile 2009 era stato deciso di porre fine sostanzialmente all'istituto del segreto bancario, autorizzando l'OCSE a pubblicare l'elenco dei cosiddetti paradisi fiscali e mettendo conseguentemente a punto una serie di sanzioni mirate. La Svizzera è Pag. 26risultata inclusa nella cosiddetta lista grigia, quale Paese che ha formalmente accettato di collaborare nel rispetto delle regole di trasparenza finanziaria dell'OCSE ma che poi, nella sostanza, sembra non avere concretamente attuato le misure richieste.
Nel medesimo contesto di crisi finanziaria il nostro Paese, per favorire al massimo il rientro di capitali italiani depositati all'estero, ha messo a punto, nel 2009, la normativa comunemente nota come «scudo fiscale», che tuttavia all'atto della sua concreta applicazione ha presentato alcuni punti problematici, in particolare per quel che riguarda i lavoratori frontalieri.
A ciò si sono aggiunti alcuni provvedimenti amministrativi che sono stati interpretati come lesivi da parte della Confederazione elvetica e, in particolare, dai Cantoni confinanti con lo Stato italiano, quale il Canton Ticino. Si tratta del cosiddetto fisco velox e di alcune ispezioni selettive alle filiali italiane di istituti bancari svizzeri, oltre a quelle che ai firmatari del presente atto di indirizzo appaiono improvvide dichiarazioni di esponenti di Governo che hanno paragonato la piazza finanziaria di Lugano a paradisi fiscali come le isole Cayman, passi che hanno causato tensioni nei rapporti diplomatici tra i due Paesi, culminati con la convocazione dell'ambasciatore italiano a Berna da parte del Ministro degli esteri svizzero per esprimere sorpresa per le azioni compiute. Successivamente tali provvedimenti sono stati mitigati e sia l'Agenzia delle entrate sia gli esponenti di Governo hanno chiaramente affermato la volontà di non penalizzare in alcun modo i lavoratori frontalieri, adottando tutti i provvedimenti necessari ad un'applicazione corretta dello «scudo» a questa particolare categoria di lavoratori.
Il dialogo Italia-Svizzera contempla oggi la necessità di una revisione della Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni, sulla base dell'evoluzione dei modelli OCSE in materia. La Convenzione oggi in vigore, risalente al 1978, contiene l'esplicito divieto di scambiare tra le due amministrazioni fiscali informazioni suscettibili di rivelare segreti bancari, industriali o professionali. A livello bancario, ad oggi, questa clausola non potrebbe essere più rinnovata.
Per la Confederazione elvetica la revisione del Trattato sulle doppie imposizioni viene inserita in un più vasto quadro di rapporti bilaterali, che rimettono in discussione anche l'Accordo tra l'Italia e la Svizzera relativo alla imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine, firmato a Roma nel 1974.
L'Accordo prevede che l'imposizione sui redditi dei lavoratori italiani frontalieri maturati in Svizzera sia in parte versata dalla stessa Confederazione elvetica ai comuni italiani di confine, quale compensazione delle spese sostenute dai comuni italiani in relazione alla residenza dei frontalieri sul loro territorio.
Tale compensazione è oggi assestata al 38,8 per cento dell'ammontare lordo delle imposte sulle remunerazioni dei frontalieri italiani, tra le più alte riconosciute dalla Svizzera a fronte di ristorni molto inferiori previsti da analoghi accordi bilaterali con Austria e Germania.
Ad oggi sono più di 50 mila i lavoratori italiani che ogni giorno si recano in Svizzera per svolgere la propria attività lavorativa, partendo dai comuni di frontiera della Lombardia e del Piemonte, apportando un contributo indispensabile all'economia elvetica, in particolare quella del Canton Ticino. Si osserva, in particolare, che anche negli ultimi due anni di crisi internazionale questo trend è cresciuto di almeno duemila unità, segno che l'apporto delle professionalità italiane, spesso di alto livello di specializzazione, è sostanziale per il dinamismo dell'economia Svizzera.
La lingua, la storia, i costumi, le radici culturali hanno accomunato nei secoli gli abitanti del Canton Ticino con quelli delle province del Verbano Cusio Ossola, di Como, di Varese e di Sondrio, generando un'area omogenea che travalica i confini amministrativi tra Svizzera ed Italia. Ciò implica che il deterioramento delle relazioni fra Italia e Svizzera si ripercuote Pag. 27direttamente ed in modo preponderante sulle comunità locali transfrontaliere lombarde, piemontesi e ticinesi, oltre che dei Cantoni Vallese e Grigioni.
I rapporti economici tra i due Stati non si riducono esclusivamente al fenomeno del frontalierato, ma sono fatti di rapporti economici, sociali e commerciali fitti, quotidiani e di rapporti fiduciari ormai consolidati con il sistema bancario elvetico. In quest'ottica, inoltre, conformemente a quanto stabilito dalla Convenzione di Madrid del 1980 sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività ed autorità territoriali, è stata costituita la comunità di lavoro Regio Insubrica, formata dagli enti locali e dalle autonomie delle province padane e del Canton Ticino.
Dopo le recenti elezioni cantonali del Ticino, seppure i toni in campagna elettorale siano stati particolarmente accesi, come è pienamente legittimo in un sistema democratico in cui vigono libertà di espressione e di opinione, nessun atto concreto e nessuna dichiarazione di intenti lascia intendere la volontà di penalizzare concretamente i lavoratori frontalieri da parte delle autorità elvetiche e anzi, all'indomani dei risultati elettorali, l'ufficio presidenziale della comunità di lavoro Regio Insubrica ha adottato formalmente una dichiarazione contenente l'impegno ad un dialogo franco e costruttivo, in uno spirito di comprensione e collaborazione reciproca e alla ricerca di soluzioni condivise, a testimonianza di come il dialogo tra le comunità locali sia continuo, positivo e attento, molto più di quanto non avvenga tra le rispettive capitali.
Oggi la Svizzera, che ha un prodotto interno lordo pro capite tra i più alti d'Europa e un'economia fiorente e solida, è Paese membro degli accordi di Schengen sulla libera circolazione ed è allineata alla normativa comunitaria in base agli accordi bilaterali con l'Unione europea, e non può subire un trattamento finanziario penalizzante da parte di uno dei suoi partner più stretti ed affini come l'Italia.
Ad oggi, permangono dubbi e sospetti fra le parti interessate a causa dell'assenza di congrue iniziative diplomatiche volte a ricondurre le relazioni tra Stato italiano e Confederazione elvetica nell'alveo degli storici ottimi e proficui rapporti bilaterali.
Per questo, la Lega Nord, con questa mozione, intende impegnare il Governo ad assumere immediate e significative iniziative diplomatiche per riaprire un dialogo proficuo con la controparte elvetica su tutti i temi prima citati in premessa. Inoltre, chiede di considerare come elemento prioritario nel dialogo italo-svizzero la tutela dei lavoratori frontalieri, quale elemento portante dell'economia nella quale operano e pertanto meritevoli di tutela e di assoluta non discriminazione.
Si chiede, peraltro, di adoperarsi in ogni modo perché l'entità della compensazione ai comuni di confine a valere sui redditi dei frontalieri sia mantenuta nelle percentuali attualmente applicate e di valorizzare e supportare i rapporti esistenti tra le collettività territoriali confinanti dei due Paesi come primo e più forte canale di dialogo tra le due realtà statuali.
Infine, si chiede di adoperarsi, nelle opportune sedi internazionali, affinché la Confederazione elvetica possa essere esclusa dalla cosiddetta lista grigia, in relazione al concreto rispetto delle regole sulla trasparenza finanziaria.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ventucci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00648. Ne ha facoltà.

COSIMO VENTUCCI. Signor Presidente, spesso i buoni rapporti politici fra due Stati come l'Italia e la Svizzera, caratterizzati da storici vincoli di amicizia e collaborazione, possono essere incrinati da atteggiamenti e dichiarazioni che vanno sopra le righe, ma che proprio la storia ci chiede di riportare nell'alveo della ragionevolezza, tanto è pericoloso il rinchiudersi a difesa di idee nazionaliste, quanto xenofobe. Tale atteggiamento, di certo, non appartiene al popolo svizzero, laborioso, quanto pragmatico nel consesso civile delle moderne società.
Il Governo italiano con lo scatenarsi della crisi finanziaria, che ha colpito molte economie, e la susseguente crisi globale, è Pag. 28stato costretto a garantire la tenuta della finanza statale, che ha visto in molti Stati impiegare risorse pubbliche, per evitare il crollo generalizzato dei mercati finanziari e il collasso del sistema creditizio.
In questo contesto di crisi finanziaria e reale non ancora superata, da diversi mesi a questa parte risultano innegabili le tensioni sorte fra Italia e Svizzera con l'introduzione dello «scudo fiscale» e a seguito dell'inserimento della Svizzera nella black list degli Stati che agevolano l'evasione fiscale. A questo proposito è bene riflettere che la lotta all'evasione è un tema che riguarda non solo il comparto economico e tecnico ma anche squisitamente etico, che non può essere ridotto a un solo calcolo ragionieristico per fare cassa in quanto fa parte di una complessa architettura fiscale dove purtroppo è entrata la decisione sulla black list.
Comunque, il clima di tensione appare trasformato in vera ostilità in occasione delle elezioni del 10 aprile 2011, quando il Canton Ticino ha rinnovato il Parlamento e il Governo regionale e la Lega dei Ticinesi guidata da Giuliano Bignasca è passata dal 22 per cento al 30 per cento dei voti decretando lo storico sorpasso sul Partito liberale radicale, elezioni il cui risultato ha fatto suonare un campanello d'allarme, in quanto la Lega dei Ticinesi si è sempre caratterizzata per le posizioni anti-frontalieri italiani tanto è vero che già nei mesi scorsi il partito UDC Ticinese, alleato della Lega ticinese, ha promosso una campagna pubblicitaria denigratoria proprio contro i lavoratori frontalieri italiani definiti ratti che rubano il lavoro agli svizzeri, e all'indomani del risultato elettorale le dichiarazioni rilasciate dal leader dei leghisti ticinesi hanno destato molte e fondate preoccupazioni per i toni violenti ed offensivi usati soprattutto nei confronti dei lavoratori frontalieri italiani.
Dobbiamo prendere atto che ci sono circa 48 mila italiani, di cui la maggior parte provenienti dalle province di Varese (circa 26 mila) e di Como (circa 20 mila), che ogni giorno varcano la frontiera per recarsi a lavorare in Svizzera e che costituiscono una risorsa fondamentale per l'economia dei Cantoni Ticino, Vallese e Grigioni, e che la presenza di un così consistente numero di frontalieri in Svizzera ha indotto l'Italia e la Confederazione svizzera a stipulare numerosi accordi bilaterali per regolare le varie questioni che riguardano la previdenza sociale, l'imposizione fiscale, l'indennità di disoccupazione.
Tra questi trattati una posizione importante è ricoperta dall'Accordo del 3 ottobre 1974, citato dall'onorevole Narducci poc'anzi, relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri e alla compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine. In conformità a tale convenzione, la Svizzera ristorna ai comuni italiani che ne hanno diritto una consistente quota - attualmente il 38,8 per cento - delle imposte fiscali riscosse alla fonte sulle retribuzioni dei frontalieri.
Negli ultimi tempi sembra che tale Accordo voglia essere rinegoziato da parte della Svizzera a svantaggio naturalmente dei lavoratori frontalieri, e il pericolo è senza dubbio reale perché lo scorso mese di marzo il Parlamento del Canton Ticino ha adottato all'unanimità un'iniziativa del gruppo PPD il cui titolo è «Rinegoziare l'accordo sui frontalieri, rifondere al Ticino gran parte del ristorno dell'imposta alla fonte e togliere la Svizzera dalla black list italiana». Qualora venisse approvata, una simile modifica dei ristorni provocherebbe conseguenze senza dubbio negative per le risorse dei comuni italiani di confine.
Premesso quanto sopra, chiediamo che l'impegno per il Governo debba essere di intraprendere le necessarie iniziative con il Governo della Confederazione elvetica al fine di riaprire un proficuo dialogo sulle tematiche fiscali, soprattutto quelle a tutela delle migliaia di lavoratori frontalieri che ogni giorno si recano in Svizzera per lavorare onestamente, costituendo per la Svizzera una ricchezza; di riprendere anche un negoziato sulla nuova convenzione fiscale per evitare la doppia imposizione sul reddito e sulla sostanza, formulando e discutendo in quella sede le legittime richieste di interesse del nostro Paese; di Pag. 29porre in essere tutte le misure idonee per scongiurare la rinegoziazione degli accordi già esistenti fra Italia e Confederazione elvetica in tema di ristorni fiscali ai comuni di frontiera.
Crediamo che il Governo ovviamente debba mettere anche sul tavolo il problema della famosa black list che probabilmente è ciò che ha irritato più di tutto il Governo elvetico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, chiedo di poter sottoscrivere la mozione Narducci ed altri n. 1-00631 e di ringraziare i presentatori della mozione per aver riportato all'attenzione del Parlamento e, in particolare, del Governo la questione dei frontalieri, dei cittadini italiani, ma anche dei cittadini svizzeri. Tale questione da parte dell'Italia dei Valori, in particolare del sottoscritto e del collega Cimadoro, era stata già posta all'attenzione del Governo con una interrogazione in data 13 dicembre, perché da ciò che avevamo letto sulla stampa, da ciò che avevamo sentito dai nostri concittadini che si recavano a lavorare in Svizzera, ma anche dai concittadini che risiedono per periodi più lunghi in Svizzera o anche dai nostri concittadini che sono nati lì, che hanno il doppio passaporto, che sono cittadini svizzeri ma nello stesso tempo mantengono i diritti dei cittadini italiani, gli stessi si sono spaventati per l'atteggiamento tenuto da alcuni ticinesi e, in particolare, dai rappresentanti della Lega ticinese.
Il Corriere della Sera il 28 settembre 2010 nella cronaca di Milano scriveva sulla questione, riportando una campagna razzista e diffamatoria fatta contro i lavoratori frontalieri italiani che venivano paragonati a ratti famelici, con cartelloni sei per tre ed altro. La questione, come hanno già detto i colleghi in più interventi precedenti, oggi riguarda circa cinquantamila lavoratori, in realtà sono molti di più quelli che hanno questi interessi, riguardanti non solo lavoratori dipendenti, ma anche imprese e lavoratori autonomi.
La questione è stata sollevata per una serie di motivi che anche qui sono stati richiamati. Da marzo il partito ticinese in Svizzera ha sollevato la questione di volere di fatto rinegoziare, o anche intervenire in modo unilaterale e quindi non applicare più, l'accordo che oggi si applica sulla compensazione e sulle tasse pagate dai nostri lavoratori in Svizzera, che di fatto vengono trasferite ai comuni italiani nella fascia di venti chilometri. Si tratta di cifre consistenti e gli svizzeri dicono di voler riformulare e ritrattare queste condizioni, come hanno già fatto con l'Austria e altri Stati.
Credo però che da marzo ad oggi il Governo debba dire cosa ha fatto. Non possiamo pensare alle grandi questioni, cioè ai 100 miliardi di capitale che all'incirca abbiamo individuato in Svizzera o che perlomeno sono stati riportati in Italia attraverso lo «scudo fiscale» o attraverso la classificazione della Svizzera come cattivo Stato, avendola inserita nella black list, e pensare di lasciare un partner economico e sociale come la Svizzera per mesi a rivendicare una parte di diritti, senza dargli la giusta considerazione, perché poi gli unici a sopportare le conseguenze sono i lavoratori, che subiscono subito la recriminazione. Abbiamo visto tutti anche in trasmissioni televisive le dichiarazioni di questo rappresentante della Lega ticinese.
Egli, tra l'altro, si appellava anche ai leader italiani, perché da fonte giornalistica abbiamo appreso che questo signore svizzero, Giuliano Bignasca, rappresentante della Lega dei Ticinesi, chiedeva al Ministro Umberto Bossi di convincere Tremonti a rivedere le proprie posizioni.
Si appellava, quindi, nella fraternità leghista, ad un intervento dello Stato, ma neanche questo è successo. Non vorrei che il Governo affrontasse in questo momento la questione come è successo a Lampedusa, cioè esasperando la situazione per far vedere che vi sono gli angeli che intervengono e sanano o cercano di alleviare queste tribolazioni o sofferenze.
Non arriviamo effettivamente a provocare una reazione stile Paesi arabi da Pag. 30parte degli svizzeri, e quindi al blocco delle frontiere, alle code o, addirittura, alla riduzione delle autorizzazioni dei 10 o 15 mila lavoratori frontalieri, come è stato minacciato.
Poi possiamo dire che va tutto bene tra Italia e Svizzera, che si tratta di forzature di colore da parte di alcuni ticinesi, ma tutto procede bene tra Italia e Svizzera. Vorrei che il Governo, al di là della mozione che voteremo, magari portasse già una scaletta di impegni, già un qualcosa che faccia vedere o intravedere una luce di rinegoziazione di questi accordi con il Ticino. Credo che il dialogo debba sempre esistere: non ci si può chiudere, anche se abbiamo sane ragioni per evitare che la Svizzera diventi sempre il refugium peccatorum di un elenco di ladroni italiani; però, nello stesso tempo, ripeto, il dialogo deve servire per ascoltare anche le ragioni degli svizzeri ed evitare che le conseguenze le sopportino solo i lavoratori che vanno lì semplicemente per lavorare, pagano le tasse agli svizzeri, sono disposti a pagarle anche agli italiani, ma vorrebbero essere quantomeno tutelati nella loro dignità e nel loro lavoro da parte del Governo italiano (Applausi del deputato Narducci).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è quindi rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Guido Dussin ed altri: Sistema casa qualità. Disposizioni concernenti la valutazione e la certificazione della qualità dell'edilizia residenziale (A.C. 1952-A) (ore 19).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Guido Dussin ed altri: Sistema casa qualità. Disposizioni concernenti la valutazione e la certificazione della qualità dell'edilizia residenziale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1952-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Pili, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURO PILI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'obiettivo e la filosofia di questa proposta di legge sono chiari sin dal titolo: riqualificare l'Italia con case e quartieri di qualità, che risparmino energia, non inquinino e garantiscano una moderna ed elevata vivibilità.
Onorevoli colleghi, si tratta di un progetto energetico ambientale rilevante di riconversione del nostro patrimonio edilizio nazionale pubblico e privato, capace di rimettere in moto l'economia rispondendo ad una grande esigenza di qualità insediativa.
Si tratta, colleghi, di case a «consumo zero» o comunque limitato, di quartieri riqualificati e nuovi insediamenti residenziali moderni, con impatto ambientale limitatissimo e un risparmio energetico garantito, così come la strategia europea ha indicato in tutte le ultime direttive in materia. Questa proposta di legge, che la Commissione ambiente ha esitato all'unanimità, rappresenta il cardine dell'attuazione italiana di quelle disposizioni comunitarie.
Con questa proposta di legge, sostanzialmente, si avvia quello che è stato Pag. 31definito da più parti un lungimirante e fattivo impegno del nostro Paese non solo sul versante concreto e diretto di una produzione energetica più ecocompatibile, ma soprattutto verso una migliore qualità della vita.
È questo l'obiettivo che ci poniamo per il nostro Paese e che credo sia importante per le nostre abitazioni e per il sistema immobiliare italiano. Si tratta non solo di produrre energia alternativa ed ecocompatibile, ma di risparmiare energia azzerando in concreto i coefficienti di inquinamento, a partire proprio dagli immobili. Considereremo alcuni elementi che sono emersi da una lunga serie di audizioni che hanno portato alla predisposizione di questo testo di legge, che parte dalla proposta di legge del collega Guido Dussin e che la Commissione ha valutato nell'arco di un anno e mezzo. Non si offenderanno quindi alcuni - proprio su questo mi permetto di soffermarmi - per l'inversione di tendenza.
Con quest'azione del sistema «casa qualità», entriamo nel cuore del problema, ovvero eliminare totalmente la capacità del sistema immobiliare italiano, così come quello europeo, di produrre realmente un inquinamento atmosferico rilevante. Quindi, non si offenderanno i profeti del certificato verde, che molto spesso hanno visto quest'incentivo trasformarsi in un perverso meccanismo, utile solo alle coscienze di chi continua ad inquinare, senza incidere in alcun modo, né concretamente né direttamente, sull'inquinamento stesso. È notorio infatti, onorevoli colleghi, che i certificati verdi in molti casi sono diventati funzionali a quelle attività industriali ed energetiche che comunque continuano ad inquinare: qualche pala eolica di qua e di là, di certo, non solo non compensa l'inquinamento, ma sostanzialmente, proprio con i certificati verdi, finisce per assolvere chi inquina.
Con questa proposta di legge invece si inverte il processo. Noi andiamo direttamente alla radice dei problemi. La Commissione ambiente ha voluto focalizzare la radice delle questioni fondamentali dell'ambiente, l'inquinamento e il consumo energetico, partendo dal presupposto che vanno alla radice cancellati ed eliminati. Bastino solo alcuni dati per comprendere l'imponenza del problema che stiamo affrontando e l'urgenza per il nostro Paese di agire in tempi immediati per la realizzazione di quello che abbiamo definito un vero e proprio piano strategico, che mira a riqualificare d'Italia.
Il comparto edilizio è uno dei settori dell'economia a più elevato impatto in termini di consumi energetici e di emissioni di gas ad effetto serra, sia in fase di costruzione che in fase di uso, gestione e manutenzione del nostro patrimonio immobiliare, pubblico e privato. È una tendenza che anche a livello europeo è consolidata. In Europa i consumi complessivi di energia, per il solo riscaldamento degli edifici, superano di poco il 40 per cento del totale. Ciò significa che sull'insieme del consumo energetico dell'Europa, il 40 per cento è esclusivamente ricadente sulla gestione del sistema degli edifici e quindi del patrimonio immobiliare, con una grandissima influenza sulle emissioni di anidride carbonica. Pensate che quel 40 per cento di consumo energetico si ripercuote per il 50 per cento sull'effetto serra, con un incremento esponenziale anche del danno all'ambiente.
Bisogna dunque intervenire radicalmente, sia sul piano del risparmio energetico che sulla stessa gestione ambientale dei nuovi edifici, che con questo sistema «casa qualità» vogliamo introdurre. Si calcola che ottimizzando l'uso delle energie negli edifici pubblici e privati si potrebbero ridurre le emissioni di gas ad effetto serra del 42 per cento. Sarebbe dunque anche per il nostro Paese il più importante e più rilevante contributo in termini di abbattimento dell'effetto serra e, quindi, di quel contributo che l'Italia deve dare anche rispetto ai Protocolli di Kyoto, sino agli ultimi siglati in Messico.
Credo, pertanto, che sia assolutamente necessario porre questa proposta di legge con la giusta rilevanza all'esame anche del Governo, che ha seguito l'iter del provvedimento con attenzione e con un'attenta Pag. 32riflessione, che richiamerò più avanti, sulle competenze dello Stato rispetto a questa materia, che molti hanno visto essere esclusivamente concorrente, ma che è invece, proprio per quanto riguarda l'ambiente, una competenza primaria ed esclusiva dello Stato.
I dati che ho richiamato rendono ancora più evidente l'esigenza di un intervento normativo sulla materia a cui possono far seguito provvedimenti rilevanti sul piano attuativo - ed è questa la sfida che la Commissione ambiente ha già avviato con un'altra proposta di legge che va ad attuare proprio il sistema casa qualità - che possono introdurre nel nostro sistema Paese non soltanto potenziali nuovi edifici a qualità assolutamente elevata, capaci di risparmiare non soltanto sul piano energetico, ma anche di abbattere totalmente l'inquinamento che ne deriva.
Perché dobbiamo farlo noi, deve farlo il Parlamento in tempi rapidi? Perché, secondo un'indagine condotta a livello europeo, l'Italia è al primo posto per consumi energetici dovuti al riscaldamento invernale dagli edifici e per le conseguenti emissioni inquinanti di anidride carbonica. Siamo pertanto al primo posto in Europa, mentre è paradossale che siamo al penultimo posto in Europa per l'utilizzo di materiali isolanti in edilizia. Quindi, da una parte abbiamo il massimo consumo e dispendio di energia, dall'altra siamo quelli che fanno meno per evitare che ciò avvenga.
È quindi indispensabile questo intervento legislativo che proponiamo all'Assemblea come elemento imprescindibile del meccanismo che si vuole attivare con la presente proposta di legge, cioè quello che in qualche modo ha posto nella certificazione energetica qualitativa del nostro sistema immobiliare uno degli elementi cardine e che credo sia assolutamente indispensabile. Si tratta di un'attività propedeutica tanto nella progettazione di nuovi edifici ad elevate prestazioni quanto nella ristrutturazione complessiva. Con questo sistema casa qualità non soltanto guardiamo a quello che di nuovo deve essere costruito, ma l'orizzonte è quello di recuperare e riqualificare quanto si può, sia pubblico che privato, al servizio del risparmio energetico e della qualità ambientale, incentivando quindi nel medio termine la riqualificazione degli edifici a bassa prestazione energetica.
Il sistema casa qualità che è all'attenzione dell'Aula rappresenta una vera e propria leva per incrementare l'efficienza, ma è soprattutto capace di introdurre un elemento di chiarezza per l'utente. Voglio sapere quanto la mia casa consuma. Abbiamo imparato in questi anni a valutare le automobili in base al consumo di carburante per chilometro e a quanto inquinamento producono. Ecco, dobbiamo applicare quella stessa logica nella valutazione dell'abitazione: la mia casa va a un litro di carburante al mese, produce zero emissioni ed ha una capacità e un'efficienza assolutamente elevate per quanto riguarda i servizi e la qualità della stessa residenza. Quindi, introduciamo un nuovo stile di vita e di considerazione della qualità della vita all'interno delle nostre case e conseguentemente dell'ambiente che ci circonda.
Credo sia assolutamente importante introdurre la misurazione dell'inquinamento e della capacità energetica anche in termini di risparmio, perché poi vedremo che il dato che emerge è che più la casa è rispettosa dei parametri qualitativi e meno costa al cittadino. Quindi, è meno impattante sul piano economico e sociale una casa di qualità rispetto a una casa che ha oneri eccessivi. Il dispendio di energia che provochiamo per illuminare, riscaldare, far funzionare elettrodomestici e produrre materiale di ogni tipo è assolutamente improponibile rispetto ad una logica globale che deve puntare proprio a porre i consumi energetici quale problema focale sia sul piano del costo della produzione degli stessi consumi energetici sia per quanto riguarda la partita nazionale. Tutti gli Stati, su scala nazionale e locale, hanno il dovere di intervenire in maniera puntuale su questo tema e credo che la presente proposta di legge si stia discutendo con grande attenzione. Il Governo, da questo punto di vista, con il Piano Pag. 33nazionale della logistica ha messo in campo un'azione anche insieme all'ANCI per affrontare il tema della distribuzione delle merci che, come è noto, costituisce esso stesso un ulteriore aggravio all'inquinamento ambientale del nostro Paese.
Quando noi parliamo però di azioni che devono tradursi essenzialmente in elementi per il miglioramento dell'efficienza energetica ci proponiamo non soltanto l'obiettivo della sostituzione energetica delle fonti ma anche quello di limitare al massimo quel tipo di consumo che diventa assolutamente improponibile rispetto a livelli di eccesso di consumo energetico. Quindi mi permetto di sintetizzare - per correre e per non tediare troppo l'Aula - quali sono oggi gli obiettivi prioritari di questa proposta di legge sulla certificazione energetica e sulla qualità degli edifici che noi poniamo alla base.
Il primo è quello di orientare strategie d'incentivazione dell'efficienza energetica, cioè vorremmo portare, con questa proposta di legge, dentro le case degli italiani il tema dell'efficienza energetica facendo sapere che ogni casa che ha più qualità risparmia, non soltanto sul piano energetico e sul piano dell'impatto ambientale, ma anche in termini di denaro. In altre parole, una casa che ha un elevato grado di qualità energetica fa costare e costa sicuramente meno nel bilancio domestico e quindi ha sicuramente un risultato importante. Il secondo è creare i presupposti oggettivi di misurazione per il miglioramento continuo della qualità energetica degli edifici, facendo una semplice equazione: alla qualità energetica corrisponde un maggior valore dell'immobile; più si risparmia nella qualità energetica, più la qualità energetica è elevata, più si risparmia nella gestione quindi è chiaro che nel bilancio economico dell'immobile vi è un vantaggio per il cittadino.
Il terzo obiettivo è migliorare la trasparenza del mercato immobiliare. Il sistema casa qualità che noi introduciamo punta a fornire agli acquirenti e ai locatari di immobili un'informazione oggettiva sul costo reale delle spese energetiche dell'immobile, cioè sappiamo che una casa in classe G oggi costa l'anno 2 mila e 300 euro nella gestione del riscaldamento e del raffreddamento, mentre con una casa in classe A si arriverà a spendere non più di 200-300 euro l'anno. Quindi, vi è una diretta dipendenza tra la classe energetica qualitativa che affidiamo alla casa e il costo della sua gestione.
Quarto obiettivo è informare e rendere coscienti i proprietari degli immobili del costo energetico con il quale si realizza un sistema di trasparenza di gestione del patrimonio immobiliare. Allo stesso modo, si consente agli interessati di pretendere dal fornitore, e quindi dal venditore di un immobile, informazioni affidabili sui costi di conduzione, che molto spesso vengono omessi o in qualche modo mistificati anche con dichiarazioni che non sono certificabili. Cito per tutti il caso delle coperture coibentate: è difficile dire se una copertura è coibentata o meno con uno sguardo a vista, e probabilmente con la certificazione quello diventa un elemento centrale nel risparmio energetico e conseguentemente nell'abbattimento dell'inquinamento atmosferico.
Occorre considerare la qualità dell'edilizia offerta come elemento in grado di valorizzare il mercato. Noi possiamo mettere in moto uno strumento, che è quello della riqualificazione dell'esistente e della qualità del nuovo, che diventa un elemento centrale nello sviluppo di un nuovo settore trainante per l'economia come quello dell'edilizia e in questo caso della qualità nell'edilizia.
La Commissione ambiente su questo tema del risparmio energetico ha intrapreso da tempo una lavoro fecondo e propositivo - devo dirlo ai colleghi che sono qui in Aula - senza il riconoscimento e le divisioni delle parti politiche, senza che nessuno di noi abbia elevato la bandiera dell'appartenenza, ma ragionando insieme al mondo universitario, scientifico, alle parti datoriali. È emerso un lavoro che va oltre quello che può essere un semplice progetto di legge. È emersa la valutazione che occorre che lo Stato riassuma le sue competenze. È questo uno dei passaggi fondamentali su cui la Commissione Pag. 34ha trovato, con l'avallo della competente Commissione affari costituzionali della Camera, una valutazione univoca.
Ci sono competenze come quella dell'ambiente sulla quale lo Stato non può non assumersi in toto la responsabilità e può non solo mettere in campo attività legislativa come questa, ma può essere di traino, di trascinamento per quel sistema, che poi va a coincidere con le norme concorrenti con le regioni, per definire, ad esempio, il governo del territorio. Ciò sicuramente partendo da un elemento cardine: questo sistema che introduciamo pone come elemento fondamentale l'ambiente, dal quale deve discendere poi la gestione del territorio e, quindi, lo Stato ha la competenza, la fondamentale pertinenza del governo di un percorso legislativo che deve attuare in maniera organica e concreta questo orizzonte.
In questa direzione credo che sia assolutamente fondamentale aver posto l'intesa e il richiamo alla Conferenza unificata, per trovare quel raccordo tra la norma che stiamo proponendo in chiave di esclusiva competenza statale sull'ambiente con quella concorrente della gestione del territorio. Su questo riteniamo si debba trovare quel rapporto imprescindibile tra lo Stato, le regioni e gli enti locali che deve rappresentare il filo rosso dell'attuazione di questo provvedimento in tutta la sua fondamentale attuazione.
Lo Stato, l'Italia in questo caso, è chiamato a decidere e incidere in maniera decisiva su questo tema. L'Italia deve agire su larga scala, perché occorre intervenire in maniera radicale e in maniera incisiva sull'inquinamento atmosferico e sul consumo energetico. Lo Stato ha poi, colleghi, nella propria responsabilità il recepimento delle norme europee. Come tutti noi sappiamo lo Stato italiano è stato più volte richiamato in questi anni dalla Commissione europea, perché si traduca il tema della certificazione in tema di energia, di risparmio ambientale, di qualità delle residenze ma soprattutto di azioni che possano attuare su larga scala un intervento che mira a tutelare l'ambiente.
Si tratta quindi, colleghi, di un piano strategico - concludo - in grado di recuperare il tempo perso, in grado di rilanciare l'economia e tentare l'azione più rilevante di riqualificare il nostro patrimonio abitativo, residenziale, tutto quello che è immobiliare nel nostro Paese e magari abbandonato.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Pili.

MAURO PILI, Relatore. Tentiamo con questa proposta di legge cioè di passare da uno Stato inseguitore ad uno Stato apripista, concludo, signor Presidente. Credo che questo sia per davvero un obiettivo strategico da perseguire al di sopra delle parti con un unico interesse: quello della qualità della vita dei nostri cittadini e del nostro Paese.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole, la Presidenza la autorizza sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

BARTOLOMEO GIACHINO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, stiamo parlando di una proposta di legge che ha come titolo: «Sistema casa qualità. Disposizioni concernenti la valutazione e la certificazione della qualità dell'edilizia residenziale». È materia, come sappiamo, che la Costituzione ha di fatto trasferito alle regioni. È una materia in parte ancora concorrente, tanto è vero che le regioni, o almeno una parte di esse, già hanno legiferato e anche investito risorse. Pag. 35
L'intenzione è di creare una certificazione unificata con le stesse regole su tutto il territorio italiano con gli stessi strumenti o parametri di misurazione di questa qualità. È una proposta di legge che arriva all'esame dell'Assemblea e ripropone in maniera sostanziale gran parte della proposta di legge che ha presentato il collega Guido Dussin; istituisce un sistema unico per la certificazione della qualità dell'edilizia residenziale.
E questo è un problema intanto. È stata denominata casa qualità prevedendo incentivi ed agevolazioni in favore dell'edilizia sostenibile.
Fino ad adesso, sappiamo che, di fatto, in alcune realtà vi era già la certificazione obbligatoria: alcune regioni, come dicevo prima, hanno già prodotto una legislazione e, quindi, il passaggio di proprietà di immobili e di appartamenti residenziali deve essere accompagnato da una certificazione in materia energetica. Quindi, in parte, nell'ambito dell'edilizia nuova, il legislatore ha già trovato delle soluzioni.
Noi avremmo voluto che la proposta di legge in oggetto non fosse concentrata solo sulla questione dell'edilizia residenziale: vi è, infatti, una parte concernente l'edilizia pubblica e una parte concernente l'edilizia industriale. Quindi, avremmo voluto allargare l'attenzione un po' a tutto il sistema dell'edilizia.
In pratica, il testo in discussione si pone come una sorta di legge-quadro volta a migliorare la qualità dell'edilizia residenziale e introduce un vero e proprio marchio di qualità da applicare agli edifici residenziali, che certifichi la riduzione dei consumi energetici e il miglioramento del «conforto abitativo». Il concetto del conforto abitativo entra di fatto, per la prima volta, in una normativa di legge ma, a nostro parere, crea alcuni dubbi in ordine alla sua misurazione. Infatti, è chiaro che, in un paese dell'Alto Adige, è molto più facile rispettare il conforto abitativo rispetto ad abitazioni e residenze che si trovano in città molto urbanizzate e molto inquinate, che presentano, quindi, elementi che fanno degenerare la qualità abitativa non solo in funzione dell'immobile stesso, ma per il contesto in cui si trova.
Durante l'esame in Commissione ambiente, sono state apportate diverse modifiche al testo: tra queste, vi è anche un emendamento dell'Italia dei Valori con il quale si prevede la possibilità di revocare la prevista certificazione del sistema «casa qualità», facendo, quindi, decadere le conseguenti agevolazioni fiscali, qualora interventi successivi sull'immobile abbiano comportato il venir meno di quei requisiti in virtù dei quali il medesimo immobile aveva potuto precedentemente beneficiare della suddetta certificazione. Quindi, vi è un'assegnazione rigida anche della qualità.
Purtroppo, però, l'approvazione, tra gli altri, di diversi emendamenti, che prevedono la clausola della non onerosità per la finanza pubblica, ha ulteriormente un po' svuotato, ai fini della sua concreta applicabilità ed efficacia, questo testo: da questo punto di vista, è già abbastanza debole e rischia così di essere relegato, probabilmente, a poco più di una «legge manifesto». E le leggi manifesto sono buone a fare scuola, ma un po' meno a ottenere quegli obiettivi che ci siamo impegnati, anche a livello europeo, di raggiungere in termini di minori emissioni di CO2 nell'atmosfera.
Le finalità del provvedimento - è bene sottolinearlo - sono sostanzialmente condivisibili, in quanto mirano a stimolare la crescita di un'edilizia molto più sostenibile e finiscono per scontrarsi, nella loro pratica attuazione sul territorio nazionale, con l'assenza di qualsiasi stanziamento di risorse, demandando parte degli incentivi e delle agevolazioni previste alle risorse che, eventualmente, le regioni e gli enti locali riusciranno a mettere a disposizione. Questo è un problema perché, di fatto, in una materia che è quasi già di esclusiva competenza regionale, andiamo ad intervenire e a legiferare, ma di nostro non mettiamo niente: mettiamo le buone intenzioni, ma non credo che basti.
Il provvedimento introduce un sistema di valutazione della qualità degli edifici basato sull'adesione volontaria al cosiddetto Pag. 36sistema casa qualità e mira a dare un contributo positivo, seppur parziale, nell'ambito delle politiche volte alla riqualificazione ambientale del nostro patrimonio edilizio. Questo aspetto, come dicevo prima, è innovativo, perché si inserisce anche nella ristrutturazione e nel recupero dell'edilizia esistente: pertanto, non va ad incentivare nuove urbanizzazioni e, quindi, nuove cementificazioni.
Ciò, come dicevo poc'anzi, nell'ambito delle politiche volte alla riqualificazione ambientale del nostro patrimonio edilizio e individuando strumenti utili a perseguire un adeguamento qualitativo dal punto di vista ambientale delle abitazioni, sia sotto l'aspetto legato alla qualità dei prodotti per l'edilizia sia sotto l'aspetto dell'abitabilità, dell'efficienza e del risparmio energetico. Quindi, è anche necessaria l'innovazione dei prodotti e la valorizzazione di queste nuove tecniche di ristrutturazione o miglioramento degli immobili esistenti.
Il raggiungimento dei requisiti minimi ambientali richiesti consente in tal modo di ottenere la relativa certificazione di qualità e di poter conseguentemente beneficiare delle agevolazioni previste. Queste sono agevolazioni principalmente fiscali, ma qualcosa si può fare anche in termini di oneri di urbanizzazione ridotti o attraverso la previsione che i comuni possano vincolare l'edificabilità - questa, però, è la scommessa che devono fare gli enti locali, il Governo poco può fare - a quella parte delle aree di edificabilità residenziale che abbiano ottenuto la suddetta certificazione. Quindi, si fa in modo che l'utilizzo del territorio necessario venga quanto meno individuato con questi vincoli e non liberamente secondo le volontà degli imprenditori.
In tale ambito si inserisce questa proposta di legge: incentivare l'innovazione e la trasformazione nella direzione di una maggiore eco-sostenibilità del settore edilizio-residenziale introducendo questi requisiti minimi che devono essere soddisfatti dall'immobile al fine di ottenere la relativa certificazione del sistema casa qualità. Detta certificazione dovrà avvenire sulla base di valutazioni riguardanti, innanzitutto, l'efficienza energetica, e questo è un punto molto importante; noi fino adesso abbiamo solo pensato ad intervenire per misurare l'efficienza nel consumo di energia elettrica e invece dobbiamo pensare a un'efficienza e quindi ad un consumo molto più globale dell'energia in particolare nell'edilizia, come ricordava prima il relatore, basato sul consumo di energia per metro quadrato.
La certificazione dovrà poi comprendere valutazioni relative al soddisfacimento delle esigenze fisiche e psichiche dei fruitori, con tutti i dubbi e i problemi che dicevo già prima, e al soddisfacimento di requisiti di eco-compatibilità. Con riferimento alla valutazione relativa all'efficienza energetica, prevista dalla lettera a) dell'articolo 4, si sottolinea come il miglioramento dell'efficienza, oltre ad essere un fattore prioritario per l'uso razionale dell'energia, rappresenta uno strumento centrale nella lotta ai cambiamenti climatici e alla riduzione di emissioni nell'aria. Il tema dell'efficienza energetica degli edifici è infatti, da molto tempo, al centro delle politiche europee volte alla riduzione delle emissioni di gas serra. Il ruolo che può svolgere un'efficace politica di risparmio energetico, a cominciare dall'edilizia residenziale - noi diciamo sempre anche la non residenziale - al fine della lotta all'inquinamento, diventa fondamentale.
Secondo gli scenari costruiti dall'ENEA, per il conseguimento degli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni di gas serra previsti per il 2020, con gli interventi di miglioramento dell'efficienza energetica negli usi finali dell'energia - in questo ambito un ruolo importante lo svolge proprio il settore dell'edilizia - si realizza il 45 per cento delle riduzioni totali di CO2. È questa quindi un'importanza fondamentale di cui non possiamo fare a meno. Il 25 per cento si ottiene attraverso interventi nel settore residenziale e terziario.
Con riferimento alla lettera successiva, relativa alla qualità della vita, va sottolineato che la valutazione degli aspetti che incidono sul benessere psichico e fisico dei fruitori indicati nella proposta di legge Pag. 37appare problematica per il fatto che per molte abitazioni localizzate, per esempio, in aree urbanizzate, si creano ovviamente problemi a misurare esattamente quanto si riesce a realizzare.
In questo ambito va inoltre considerato che non poche regioni si sono già dotate di una propria disciplina per l'efficienza, la certificazione energetica ed il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici, in conformità a quanto stabilito dal decreto n. 192 del 2005. Un ulteriore problema che in quest'ambito può venire dal provvedimento è che esso istituisce un sistema di casa qualità a livello nazionale e quindi individua criteri uguali per tutte le regioni. Il problema è che un sistema di qualità basato quasi esclusivamente sulla volontarietà, questo è un altro vulnus della proposta di legge, e sull'incentivazione da parte della pubblica amministrazione come quella proposta da questo provvedimento, rischia fortemente di essere molto poco incisivo ed efficace. Sarebbe poi interessante, nel corso di questa discussione, capire gli obiettivi che il Governo pensa di raggiungere attraverso questa proposta di legge.
Relativamente alla necessità di dover sempre più puntare ad una edilizia sostenibile, ricordiamo che già nell'ottobre 2008 nell'osservatorio dell'ANCE, l'associazione nazionale costruttori edili, si leggeva che le imprese sono pronte a raccogliere la sfida della sostenibilità, ma chiedono un quadro completo delle regole con le quali operare e con le quali confrontarsi assieme a progettisti, produttori dei materiali, investitori, venditori e consumatori. Si tratta di regole che, per un corretto ed efficace funzionamento del mercato, occorre siano chiare, univoche e conosciute con congruo anticipo rispetto alle scadenze.
L'Associazione costruttori è intervenuta più volte per chiedere una regolamentazione unica, sia per i sistemi di calcolo delle prestazioni sia per la classificazione energetica degli edifici. Eppure, nonostante i rilevanti obiettivi assegnati al risparmio energetico degli edifici, ancora non si è realizzato un quadro definito e completo delle regole da applicare. Anzi, si assiste ad una sovrapposizione di norme che impedisce un funzionamento efficiente del mercato.
Il provvedimento in esame avrebbe avuto, peraltro, sicuramente più efficacia se avesse esteso i previsti meccanismi premiali agli edifici non residenziali, mentre si rivolge principalmente all'edilizia residenziale. È vero che la proposta in commento prevede che le leggi regionali possano estendere l'applicazione del sistema casa di qualità anche agli edifici pubblici, come uffici, scuole e così via, ma questa possibilità rischia di essere di difficile attuazione, se rimane a carico completo degli enti locali.
Uno studio dell'ENEA ha mostrato come mettere in atto un piano di interventi di riqualificazione energetica sull'edilizia pubblica, soprattutto non residenziale, oltre a comportare un risparmio sulla bolletta elettrica e benefici in termini di riduzione sulle emissioni inquinanti, è in grado di determinare effetti economici importanti sia nella fase di cantiere che nella fase a regime e in termini di creazione di valore aggiunto, di occupazione e di incremento complessivo del prodotto interno lordo.
Abbiamo avuto già momenti di discussione per altri interventi urgenti che vanno a riqualificare il sistema edilizio residenziale, e l'abbiamo magari anche richiamato quando si parlava di fonti energetiche rinnovabili, dell'utilizzo di pannelli solari e delle agevolazioni per la sostituzione dei tetti laddove ancora oggi vi è parecchio amianto.
Sappiamo quanti guai e quanto danno dà alla salute - oltre all'inquinamento e il maggior spreco di energia - mantenere ancora in essere strutture ed edifici con materiale altamente tossico. Credo, quindi, che l'intervento vada visto nel suo insieme e che sia necessario, da parte del Governo, accelerare al massimo il confronto con le regioni attraverso la Conferenza unificata, in modo tale che le regioni stesse prendano subito in mano questi provvedimenti e li inseriscano nella loro programmazione. Pag. 38
Infatti, se quanto prodotto oggi diventerà efficace solo fra alcuni anni, essendo già leggero in termini di incisività - perché non stanziamo risorse -, rischia di diventare leggero anche come indicazione se non sollecitiamo gli enti locali e le regioni ad applicarlo con il massimo rigore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, la proposta di legge per l'incentivazione della qualità nell'edilizia residenziale, oggetto di questo dibattito, è una buona proposta di legge, che noi, come gruppo del Partito Democratico, voteremo, avendo presentato anche delle proposte emendative ed avendo anche dato un contributo importante e significativo grazie, soprattutto, al lavoro svolto per prima in Commissione dall'onorevole Chiara Braga, per redigere il testo della proposta di legge.
La proposta di legge in esame è una buona proposta, come tutti quei provvedimenti che vanno, in qualche modo, nella direzione di una modernizzazione del nostro sistema - in questo caso del patrimonio edilizio -, anche se è una proposta parziale, che contiene molti limiti e che non mi spingerei a definire, come ha fatto l'onorevole Pili - anche se ne capisco le motivazioni -, e nonostante il voto favorevole che esprimeremo sul provvedimento, una proposta di legge che ha un valore strategico.
Purtroppo in materia di edilizia, in materia di governo del territorio, in materia urbanistica in generale e forse anche in quello che riguarda le opere pubbliche e gli appalti, vi è bisogno di ben altro per dare uno scossone di carattere strategico al nostro Paese, che, purtroppo, su questi argomenti, sta andando indietro e sta registrando una crisi, che pagano in primo luogo i nostri territori, le città e anche il sistema dell'impresa.
Lo ripeto: è un buon provvedimento, un po' per il merito delle norme in esso previste, pur parziali, delle quali dirò rapidamente nel corso di questo intervento, ma anche perché è una proposta di legge di iniziativa parlamentare, cioè frutto del lavoro delle Commissioni e adesso dell'Aula e questo non è poco e va valorizzato.
O, meglio, in qualche modo si può dire che invece sia poco, per converso, ma proprio per questo è importante, in una situazione in cui la vita parlamentare è di fatto ormai ridotta dal Governo ad una sequenza di atti di indirizzo, mozioni, o di ratifiche, magari con la fiducia, di proposte del Governo e di decreti-legge. Soprattutto in questa delicatissima materia il ruolo del Parlamento non esiste.
Invece, approfitto anche dell'ascolto dei cittadini in queste occasioni di dibattiti parlamentari e mi scuso anche per qualche riflessione che andrà un po' oltre l'argomento della proposta di legge in esame. In particolare sui temi dell'edilizia, del Governo del territorio, dell'uso del suolo, delle risorse naturali, del loro risparmio ed anche della loro rigenerazione, vi sarebbe bisogno di una grande attenzione delle istituzioni e di un protagonismo del Parlamento e dell'intera comunità nazionale, della cultura e delle professioni.
Ripeto che la proposta di legge in discussione, pur essendo buona, contiene degli elementi di parzialità che vanno segnalati. Si tratta di un provvedimento settoriale. Contiene aspetti positivi, che sono stati ricordati sia dall'onorevole Pili che dall'onorevole Piffari, perché in qualche modo introduce delle innovazioni, in particolare nel campo del risparmio energetico, della incentivazione ad intervenire sull'impiantistica nella realizzazione delle abitazioni residenziali prevalentemente per il mercato privato e della durabilità e dell'uso dei materiali in relazione alle modifiche e all'evoluzione della normativa antisismica che si è prodotta negli ultimi tempi.
Inoltre, la proposta di legge accenna anche, se non ad alcune prescrizioni, però ad alcuni indirizzi sulla cosiddetta qualità dal punto di vista della fruibilità psico-fisica delle abitazioni. Si tratta di una serie di principi che tengono conto di un concetto più esteso della qualità, non solo Pag. 39strettamente edilizia, ma che mette in causa l'idea di abitazione, più che di alloggio, e dell'uso anche di tecnologie avanzate nel campo della domotica e dell'informatica, tutte cose estremamente positive.
Ma, come è già stato ricordato, c'è un primo elemento che va segnalato e che rende il provvedimento in qualche maniera insufficiente, e cioè la mancanza di incentivi e di danaro. Le amministrazioni centrali e le regioni sono invitate a mettere a disposizione degli incentivi perché naturalmente il mercato, quando si fanno delle innovazioni, non si muove da solo, ma ha bisogno di una leva, seppur minima, di carattere pubblico che metta in moto la macchina.
Queste risorse non ci sono, mentre sarebbero state invece utilissime e lo sarebbero, ad esempio, per intervenire nella ristrutturazione degli edifici esistenti. Bisogna ricordare che quasi metà dello stock edilizio italiano è concentrato soprattutto nelle grandi città italiane, quelle cresciute in corrispondenza del boom edilizio del dopoguerra. Si tratta di uno stock edilizio poco conosciuto, molto spesso privo della possibilità di avere dai comuni l'abitabilità per le modifiche legislative e normative edilizie che nel tempo sono intervenute e che quindi è soggetto anche ad un deprezzamento sul mercato immobiliare che incide proprio sul valore del bene casa delle famiglie, monoreddito in genere, che vivono in certe parti di periferia consolidata delle grandi città, la periferia più densa.
Su queste grandi città sarebbe stato molto utile e molto importante - e potrebbe esserlo tornandoci e integrando questo provvedimento - intervenire per esempio con una norma incentivante che possa consentire di rimuovere le coperture in eternit di molti edifici residenziali delle grandi città.
Queste ultime sono tra i principali responsabili non solo di alcune particolari malattie che si diffondono per la presenza di queste coperture e di questi rivestimenti, ma che hanno, per esempio, una grandissima responsabilità nella diffusione delle polveri sottili che non dipendono soltanto dal traffico, ma anche dalla presenza dei rivestimenti di alcuni edifici.
Questo elemento di parzialità è anche più complesso di questa proposta di legge. Per esempio, il provvedimento non si occupa, pur essendo stato sollevato in Commissione (lo accenna ma senza una ricaduta diretta), della qualità che riguarda il patrimonio edilizio e la creazione di nuovo patrimonio edilizio nel settore terziario: la dotazione da parte delle nostre città di un patrimonio di offerta di uffici pubblici e privati, ma anche di attività produttive in grado di sostenere le innovazioni di mercato che nel corso degli ultimi anni sono determinate.
Il nostro Paese ha un patrimonio edilizio terziario per uffici di classe A, cioè adatto ad ospitare un certo tipo di attività di sviluppo molto innovative, che è infinitesimamente più basso di quello che esiste nei maggiori Paesi europei: gran parte delle aree produttive del nostro Paese - quelle soprattutto legate alla piccola, piccolissima e media impresa - sono nate e cresciute sotto la spinta delle leggi per il condono per coprire l'abusivismo edilizio e oggi sono molto spesso impianti che non hanno una capacità di tenuta sul mercato e spesso vanno avanti solo con il genio e l'invenzione dei nostri produttori nelle varie regioni del Paese. Ciò vale sia per il nord, per il centro, per il sud e soprattutto nelle periferie delle grandi città.
Quindi, questo provvedimento contiene dei limiti e però è un provvedimento parziale anche perché purtroppo si inserisce in un clima di dibattito su queste materie, nel quale sostanzialmente non si vuole affrontare per le corna il problema del governo del territorio nel nostro Paese e nelle nostre regioni. Questa settorialità e questa parzialità ormai purtroppo sono una cifra costante e non da ora del modo in cui in Italia si legifera sui temi dell'edilizia, dell'urbanistica e del territorio. Nei prossimi giorni, per esempio, arriverà in discussione sulle linee generali - lo voglio accennare, ma se ne tornerà a parlare - il decreto-legge per lo sviluppo Pag. 40proposto dal Governo (sul quale, sembra di capire, sarà addirittura posta la questione di fiducia).
Tale decreto-legge consta di tre articoli, proprio sulla materia urbanistico-edilizia e degli appalti, che stravolgono l'ordinamento vigente e che rischiano di mandare in «canzoncina» (se posso utilizzare questo termine) tutte le belle proposte contenute in questo provvedimento sulla qualità edilizia. Infatti, la qualità non è soltanto un fatto che si racchiude dentro le quattro mura dell'abitazione privata, ma è un fatto più esteso e più ampio, che riguarda il modo in cui si trasformano i territori, la dotazione di servizi, di opere pubbliche, la capacità di realizzare nuovi servizi e nuove opere pubbliche, di manutenere e gestire la parte pubblica delle città che sono il vero elemento di crisi del nostro Paese.
In quei tre articoli del decreto-legge per lo sviluppo - lo ripeto - si stravolge l'ordinamento vigente in materia urbanistica e si mette in gioco l'edificabilità delle spiagge, degli arenili, delle scogliere e (nonostante le intenzioni: il decreto-legge si chiama «per lo sviluppo») si colpiscono lo sviluppo e le attività produttive che creano lavoro e innovazione e si consegnano alla rendita fondiaria le nostre città e le nostre periferie. Ne parleremo, ma è proprio questo il problema: perché quest'Assemblea e le Commissioni competenti non riescono ad affrontare il problema essenziale di una discussione organica sui temi del governo del territorio?
Esistono i provvedimenti e le proposte di legge di tutte le forze politiche. Tuttavia, questa discussione organica, che mette insieme la necessità di modernizzare la legislazione urbanistica nel nostro Paese ormai molto vecchia, non viene affrontata per un motivo molto semplice: non si ha la forza di mettere pienamente le mani (scontando i conflitti e affrontando le contraddizioni che questo comporta) sul tema del riequilibrio dei rapporti di forza con la rendita urbana che guida l'economia del Paese e che alimenta la stessa rendita finanziaria che comanda l'economia del Paese e, più in generale, dei Paesi occidentali ormai da molti anni.
Questo è il punto fondamentale e non basterà una pur buona e anche parziale legge per mettere in campo una operazione di inversione di tendenza strategica.
Certamente, possiamo consentire, seppure in via volontaria, a molti operatori di costruire case migliori, di fare degli interventi edilizi che siano più innovativi del passato, di costruire con tecnologie più avanzate e di risparmiare suolo ed energia. Questo è molto importante, ma è pur sempre un aspetto settoriale, se non si affronta il nodo del problema. Il nodo del problema è che oggi le amministrazioni locali, in primo luogo i comuni, ma conseguentemente anche le regioni, le province e gli enti di diritto pubblico in generale o, comunque, che svolgono funzioni di servizio pubblico, sono, a causa delle normative urbanistiche molto vecchie, in condizioni ormai molto difficili per realizzare le loro azioni di governo e di trasformazione del territorio con un fine pubblico e con un obiettivo di vantaggio collettivo.
La vecchia legislazione, che imponeva il dominio del pubblico sul privato, ormai è inattuabile per tanti motivi. È una legislazione vecchia di tanti anni e di tanti decenni e viene da chiederci se mai è stata applicata (forse poco). È stata, tuttavia, una legislazione molto innovativa negli anni passati, ma che non ha avuto poi quella forza di mettere in condizioni le amministrazioni pubbliche di essere la guida di un processo di trasformazione del territorio negli anni passati. Questo non è avvenuto neanche negli anni Sessanta, che sono stati gli anni di pieno sviluppo di questa legislazione, nata alla fine degli anni Quaranta (mi riferisco alla legge fondamentale urbanistica). Essendo ormai terminata quell'epoca vi è la necessità di una modernizzazione e di una nuova fase che metta ben chiari i paletti dei rapporti con il mondo della rendita fondiaria e della rendita urbana e che nello stesso tempo, però, cancelli le ideologie di quanti Pag. 41pensano che con una vecchia legislazione, tutta pubblicista, si possano risolvere i problemi.
Mi scuso per questa digressione, ma credo che sia fondamentale anche per comprendere un problema. Possiamo incentivare e migliorare il mercato privato attraverso iniziative innovative, con proposte di legge come quella in discussione che consentono di costruire e di realizzare interventi migliori e più in sintonia con le domande del mercato. Tuttavia, non avremmo risolto il problema fondamentale della qualità del vivere nelle nostre città, che è fatto della quantità di dotazioni di verde, servizi e opere pubbliche, dell'agilità nel realizzare opere pubbliche e della manutenzione e della gestione del patrimonio collettivo.
Questo è il grande problema che abbiamo di fronte oggi ed è un problema che non si risolve se non si mette in discussione la possibilità di intervenire sul regime dei suoli e sulla possibilità di togliere alla rendita fondiaria - di ottenere dalla rendita fondiaria e dalla rendita urbana - attraverso leggi nazionali, che possano essere recepite, in onore alla Costituzione, anche dalle leggi regionali, parte del valore che si genera oggi, in modo incredibilmente alto per l'andamento dell'economia internazionale, attraverso le trasformazioni urbane e che viene quasi totalmente incassato dalla rendita fondiaria e dalla rendita urbana.
Se i comuni non ottengono suoli, cessioni di aree e valori immobiliari che vengono incamerati creando dei demani pubblici di aree, gli stessi comuni non avranno mai la possibilità di trasformare le città in modo equilibrato e, pertanto, ogni discorso sulla qualità si limiterà a toccare soltanto una parte dell'aspetto edilizio del problema, ma non metterà mai in causa il tema strategico di come si vive nelle nostre città e nelle nostre periferie.
Ho visto che nel testo di quello che si chiama «decreto per lo sviluppo» paradossalmente si dà una grande spinta all'espansione del mercato residenziale privato, mentre si deprime, per esempio, il mercato finalizzato all'innovazione delle attività terziarie e delle attività produttive. Non si parla, inoltre, di edilizia residenziale pubblica. Ma una città e le sue periferie possono essere sottoposte a questo stress? Si può continuare a spingere il mercato solo nella direzione di allargare i quartieri di periferia e renderli quartieri dormitorio, magari realizzando anche belle case che abbiano tutte le innovazioni e tutti gli elementi di risparmio energetico, di tecnologia e di impiantistica che sono previsti in questo provvedimento? Evidentemente, qui il concetto della qualità viene relegato soltanto dentro le quattro mura dove vive una famiglia, un individuo, una persona o un gruppo di persone, ma non si allarga il contesto dell'osservazione a ciò che accade nel complesso dell'equilibrio della città.
Questa discussione organica e questo insieme di problemi non possono essere elusi attraverso una serie di norme settoriali. Oggi discutiamo della qualità edilizia: benissimo, approveremo questa proposta di legge, la discuteremo e la voteremo emendandola, ma poi a un certo punto forse arriverà alla discussione della Camera il provvedimento sulla realizzazione dei nuovi stadi per tutte le società di calcio che vogliono realizzare gli stadi in project financing, avendo in cambio la cessione di diritti edificatori. Poi arriverà la discussione su come si realizzano le opere per i penitenziari e per gli istituti carcerari, anche questi in mancanza di soldi, attraverso la concessione di diritti edificatori che appesantiscono le nostre città. Poi arriverà - ho visto - un provvedimento, già all'esame delle Commissioni competenti, sull'uso del verde pubblico, un provvedimento importante e giusto, ma molto poetico, che non si pone il problema di come ampliare la dotazione di verde pubblico nel Mezzogiorno, dove vi sono città e centri urbani che non hanno piani regolatori dagli anni Cinquanta, e non si pone il problema di come manutenere il verde pubblico esistente, che è il vero problema delle grandi metropoli e delle grandi aree urbane del centro nord.
Concludendo, voglio dire ciò. A questo provvedimento, che è un provvedimento Pag. 42che ha una sua qualità - per usare un gioco di parole - il Partito Democratico ha dato un contributo e lo voterà, anche se ne rileviamo le limitatezze, i problemi e la parzialità. Tuttavia, l'occasione di questa discussione, in vista anche della discussione sul decreto-legge per lo sviluppo, è un'opportunità che si offre per richiamare, ancora una volta, la necessità di non procedere più in modo settoriale e parziale, ma affrontando il tema dello sviluppo e del governo del nostro territorio in maniera pienamente organica, perché dalla trasformazione del suolo, dall'uso della terra e dall'uso del bene primario attraverso il quale si muove l'economia dipendono l'indirizzo del nostro Paese, gli equilibri dell'economia, il modo in cui si vive nelle nostre città e quindi anche la qualità del vivere, dell'abitare e la qualità della vita degli individui (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, la proposta di legge in esame è stata presentata dal gruppo della Lega Nord e presenta un carattere innovativo che, per la prima volta, introduce nell'ordinamento italiano un sistema unico di certificazione della qualità in edilizia abitativa, denominato «sistema casa qualità». La proposta ha lo scopo di coniugare la certificazione energetica con la sostenibilità ambientale e il benessere dei fruitori. Questo è lo scopo dell'iniziativa parlamentare ed è un approccio nuovo all'edilizia, che diventa un vero e proprio incentivo per elevare la qualità dell'edilizia residenziale.
Si tratta di una risposta valida per l'individuazione delle odierne esigenze dell'abitare, esigenze che si misurano anche con la qualità del vivere quotidiano in una casa confortevole e con una crescente attenzione della popolazione per la qualità ambientale e per l'utilizzo di materiali ecocompatibili.
L'idea promotrice della legge è stata quella dell'esperienza «Casa Clima» dell'Alto Adige. A tale esperienza si deve senz'altro riconoscere il merito per la diffusione di una cultura «energicamente consapevole» e per la realizzazione di una casa, progettata per ottenere un significativo risparmio energetico rispetto ad un edificio tradizionale. Infatti, la provincia di Bolzano ha introdotto l'obbligo della certificazione energetica «Casa Clima» già dal 2005, con l'obiettivo di abbattere i consumi di energia e le emissioni di anidride carbonica. Successivamente anche altre regioni hanno adottato sistemi di certificazione, più che altro centrati sulla certificazione energetica.
Gli obblighi assunti dal nostro Paese in sede internazionale impongono infatti la realizzazione di obiettivi di tutela ambientale, che determinano la necessità di politiche coerenti nei settori dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento atmosferico, conformemente con gli accordi del Protocollo di Kyoto e con gli obiettivi comunitari in materia di energia e clima.
In Alto Adige, la certificazione «Casa Clima» prevede la dimostrazione da parte dei progettisti e dei costruttori che la casa di nuova realizzazione avrà consumi energetici misurabili inferiori a 50 kilowattora per metro quadro all'anno, a fronte di una casa tradizionale che consuma solitamente dai 90 ai 120 kilowatt per metro quadro all'anno. La certificazione «Casa Clima» prevede una vera e propria classificazione: «Casa Clima oro» per un fabbisogno termico inferiore a 10 kilowattora per metro quadro all'anno, «Casa Clima A» per un fabbisogno termico inferiore a 30 kilowattora per metro quadro all'anno, «Casa Clima B» per un fabbisogno termico inferiore a 50 kilowattora per metro quadro all'anno.
I settori di intervento per ottenere l'abbassamento dei consumi e la conseguente certificazione sono la costruzione dell'involucro edilizio, i serramenti, le strutture interne, gli impianti e così via.
Parallelamente, a livello statale, il decreto del Ministro delle attività produttive del 20 luglio 2004 ha introdotto il meccanismo dei certificati bianchi o, più propriamente, titoli di efficienza energetica, in Pag. 43forma di incentivo per ridurre il consumo energetico, che tuttavia non è mai effettivamente decollato.
Successivamente, in attuazione delle direttive comunitarie sul rendimento energetico nell'edilizia, il decreto legislativo n. 192 del 2005 e successive norme attuative hanno stabilito i criteri per la certificazione energetica degli edifici e la metodologia di calcolo delle prestazioni energetiche.
L'efficienza energetica è una delle misure sulle quali il Governo basa le proprie strategie per raggiungere gli obiettivi di Kyoto fissati dall'Unione europea e rientra nelle misure previste dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, conosciuto come decreto sulle fonti rinnovabili.
La presente proposta di legge ha lo scopo di armonizzare le norme nazionali, regionali e degli enti locali ai fini della valutazione dei requisiti delle costruzioni per assicurarne la sostenibilità ambientale, il contenimento energetico e il benessere dei fruitori. Si tratta di un sistema di certificazione volontaria per l'edilizia residenziale, costruito sulla base di criteri elencati nel testo della legge e sulla base di linee guida ministeriali recanti i requisiti minimi del sistema. Le leggi regionali possono, inoltre, prevedere l'applicazione del sistema casa qualità agli edifici ad uso direzionale per uffici, nonché ad edifici con altre destinazioni d'uso. L'oggetto della certificazione del sistema casa qualità comprende la valutazione sull'efficienza energetica, sul soddisfacimento di esigenze fisiche e psichiche dei fruitori, nonché di requisiti di eco-compatibilità.
Le regioni e gli enti locali possono prevedere incentivi finanziari e premi in favore di privati che intendono aderire a tale sistema, con particolare riferimento alle giovani coppie che intendono costruire o ristrutturare unità immobiliari adibite a prima abitazione.
La proposta di legge presentata dal gruppo Lega Nord Padania va quindi oltre l'efficienza energetica nell'edilizia, verso la qualità della costruzione e l'eco-compatibilità. La certificazione relativa al sistema unico per la qualità dell'edilizia residenziale, denominato casa qualità, rappresenta un aiuto concreto ai fruitori per risparmiare sui costi energetici e per migliorare il comfort abitativo e può diventare nel tempo una misura valida per la valutazione del mercato delle costruzioni e per la regolamentazione del mercato degli affitti.
Il sistema prevede la classificazione delle singole unità immobiliari secondo le categorie di efficienza energetica A, B, C e D e le serie di qualità 1, 2, 3 e 4. Le categorie sono legate all'efficienza energetica delle costruzioni valutata in base al consumo annuo di energia per metro quadro ai sensi della direttiva 2002/91/CE e del relativo decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, nonché delle relative norme di attuazione.
Inoltre si prevede l'attribuzione della qualifica di casa qualità eco-compatibile per quelle abitazioni che dimostrano una particolare sensibilità per la tutela dall'ambiente attraverso l'utilizzo di materiali naturali.
Le agevolazioni fiscali e finanziarie previste dall'articolo 9 della proposta di legge hanno lo scopo di incentivare e diffondere lo strumento della certificazione. Lo scopo è quello di rendere conveniente la certificazione di qualità abbattendo i costi della certificazione con una serie di incentivi che rendano conveniente l'investimento. L'iniziativa parlamentare è all'avanguardia per il settore delle costruzioni ed è coerente con una serie di iniziative del nostro gruppo, sia per la diffusione della certificazione energetica degli edifici sia per la conferma e proroga degli incentivi fiscali per il risparmio energetico e per l'abbattimento delle emissioni di CO2.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1952-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Pili, e il rappresentante del Pag. 44Governo rinunziano alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annunzio dell'elezione del Presidente della Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Comunico che in data odierna il Presidente della Corte costituzionale ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera:
«Illustre Presidente, ho l'onore di comunicarLe, ai sensi dell'articolo 6 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che la Corte costituzionale oggi riunita nella sua sede del Palazzo della Consulta mi ha eletto Presidente. Con viva cordialità. Firmato: Alfonso Quaranta. Roma, 6 giugno 2011».

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 7 giugno 2011, alle 11,30:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione delle mozioni Libè ed altri n. 1-00640, Borghesi ed altri n. 1-00645, Bernardo ed altri n. 1-00647, Reguzzoni ed altri n. 1-00649, Raisi ed altri n. 1-00650, Lo Monte ed altri n. 1-00651 e Pisicchio ed altri n. 1-00652 concernenti iniziative in materia di riscossione dei tributi.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Narducci ed altri n. 1-00631, Reguzzoni ed altri n. 1-00644, Galletti ed altri n. 1-00646 e Ventucci, Razzi ed altri n. 1-00648 sulle iniziative concernenti i rapporti tra Italia e Svizzera, con particolare riferimento alle doppie imposizioni e ad altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio.

4. - Dimissioni del deputato Ceccuzzi.

5. - Seguito della discussione della proposta di legge:
GUIDO DUSSIN ed altri: Sistema casa qualità. Disposizioni concernenti la valutazione e la certificazione della qualità dell'edilizia residenziale (C. 1952-A).
- Relatore: Pili.

6. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
MELCHIORRE ed altri; GOZI ed altri; DI PIETRO ed altri; BERNARDINI ed altri: Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale (C. 1439-1695-1782-2445-A).
- Relatore: Rao.

7. - Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
DONADI ed altri: Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province (C. 1990-A/R)

e delle abbinate proposte di legge costituzionale: SCANDROGLIO ed altri; CASINI ed altri; PISICCHIO; VASSALLO (C. 1836-1989-2264-2579).
- Relatore: Bruno.

La seduta termina alle 20,05.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MAURO PILI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 1952-A

MAURO PILI, Relatore. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l'obiettivo di questa proposta di legge è chiaro: riqualificare l'Italia, con case e quartieri di qualità, che risparmino energia, non inquinino e garantiscano una moderna ed elevata vivibilità. Un grande progetto energetico ambientale di riconversione del patrimonio Pag. 45edilizio nazionale capace di rimettere in moto l'economia rispondendo a una grande esigenza di qualità insediativa.
Case a consumo zero o minimo, quartieri riqualificati e nuovi insediamenti residenziali moderni con impatto ambientale limitatissimo e risparmio energetico garantito.
Con questa proposta di legge all'esame oggi della Camera si avvia un lungimirante e fattivo impegno del nostro paese, non solo sul versante concreto e diretto di una produzione energetica più ecocompatibile, ma soprattutto verso una migliore qualità della vita del nostro paese a partire dalle case.
Dunque, non solo produrre energia alternativa, ma risparmiare energia e azzerare in concreto i coefficienti di inquinamento, a partire proprio dagli immobili.
Non si offenderanno i profeti del certificato verde se mi permetto di affermare che molto spesso quell'incentivo si è trasformato in un perverso meccanismo utile solo alle coscienze di chi continua ad inquinare senza incidere concretamente e direttamente sull'inquinamento stesso.
È notorio che i certificati verdi in molti casi sono divenuti funzionali a quelle attività industriali ed energetiche che inquinano. Qualche pala eolica di qua e di là di certo non solo non compensa l'inquinamento ma sostanzialmente proprio con i certificati verdi si finisce per assolvere chi inquina.
Con questa proposta di legge si vuole metter mano alla radice dei problemi: l'inquinamento e il consumo energetico.
Bastino solo alcuni dati per comprendere l'imponenza del problema e l'urgenza di agire per la realizzazione di un vero e proprio piano strategico che miri a «riqualificare l'Italia».
Il comparto edilizio è uno dei settori dell'economia ad impatto più elevato in termini di consumi energetici e di emissioni di gas ad effetto serra, sia in fase di costruzione che in fase di uso, gestione e manutenzione.
In Europa i consumi complessivi di energia per il solo riscaldamento degli edifici superano di poco il 40 per cento del totale, con grande influenza sulle emissioni di anidride carbonica, responsabile del 50 per cento dell'effetto serra.
Si calcola che ottimizzando l'uso dell'energia negli edifici si potrebbero ridurre le emissioni di gas ad effetto serra del 42 per cento.
Questi dati rendono ancora più evidente l'esigenza di un intervento normativo straordinario sulla materia, a cui possano far seguito provvedimenti rilevanti sul piano attuativo in grado di stimolare un profondo intervento strutturale nel nostro Paese, tema sul quale la Commissione Ambiente sta già lavorando con un organico provvedimento legislativo.
Secondo un'indagine condotta su scala europea, l'Italia si colloca al primo posto per i consumi energetici dovuti al riscaldamento invernale degli edifici e per le conseguenti emissioni inquinanti di anidride carbonica mentre è paradossalmente al penultimo posto per l'utilizzo di materiali isolanti in edilizia.
Elemento imprescindibile del meccanismo che si vuole attivare con la presente proposta di legge è quello della certificazione energetica e qualitativa del nostro patrimonio immobiliare.
Un'attività propedeutica tanto alla progettazione di nuovi edifici ad elevate prestazioni quanto alla ristrutturazione complessiva degli edifici, in grado di determinare verosimilmente effetti positivi sul valore di mercato degli immobili, incentivando nel medio termine la riqualificazione degli edifici a bassa prestazione energetica.
Il Sistema casa qualità che qui si propone rappresenta una leva per incrementarne l'efficienza ma soprattutto capace di introdurre un elemento di chiarezza per l'utente, che deve essere messo nelle condizioni di scegliere con la massima semplicità e convenienza la nuova filosofia realizzativa e gestionale della propria abitazione.
La nostra società e il nostro stile di vita dipendono da un enorme consumo di energia che viene prodotta per illuminare, Pag. 46riscaldare, far funzionare gli elettrodomestici, produrre materiali di ogni tipo e far muovere i mezzi di trasporto.
I consumi energetici pongono seri problemi di carattere «globale», al cui miglioramento si può contribuire con azioni su scala locale.
Tali azioni devono tradursi essenzialmente in azioni per il miglioramento dell'efficienza energetica (sia nelle fasi di produzione e di trasformazione dell'energia che negli usi finali) e in misure per la sostituzione delle fonti energetiche non rinnovabili con fonti energetiche rinnovabili.
Quando parliamo di efficienza energetica facciamo riferimento a tutta quella serie di azioni che permettono, a parità di servizi offerti, di consumare meno energia. L'efficienza è quindi, prima di tutto, quella del sistema energetico nel suo complesso, ossia la capacità di garantire un determinato servizio (ad esempio il riscaldamento) attraverso la fornitura della minore quantità di energia possibile.
Gli obiettivi prioritari della certificazione energetica e qualitativa degli edifici possono essere così sintetizzati: orientare strategie di incentivazione dell'efficienza energetica; creare i presupposti oggettivi per un miglioramento continuo della qualità energetica degli edifici: qualità energetica=maggiore valore; migliorare la trasparenza del mercato immobiliare fornendo agli acquirenti e ai locatari di immobili un'informazione oggettiva e trasparente sulle caratteristiche (e sulle spese) energetiche dell'immobile; informare e rendere coscienti i proprietari degli immobili del costo energetico legato alla conduzione del proprio «sistema edilizio» in modo da incoraggiare interventi migliorativi dell'efficienza energetica della propria abitazione; consentire agli interessati di pretendere dal fornitore (venditore) di un immobile informazioni affidabili sui costi di conduzione; mettere l'acquirente nelle condizioni di poter valutare se gli conviene o no spendere di più per un prodotto migliore dal punto di vista della gestione e della manutenzione; dare anche ai produttori e ai progettisti la possibilità di confrontarsi nella qualità edilizia offerta; riconoscere e valorizzare gli investimenti dei proprietari che apportano miglioramenti energetici importanti ma poco visibili, come isolamenti di muri, di tetti, eccetera.
La Commissione Ambiente sul tema della qualità ambientale e del risparmio energetico ha intrapreso un percorso fecondo e propositivo che ha visto il contributo di tutte le parti politiche, del mondo universitario e scientifico, comprese le parti datoriali.
E quanto questo lavoro risulti strategico per il nostro Paese si rileva dall'analisi della Commissione europea che, ritiene l'uso dell'energia nell'edilizia residenziale e commerciale la quota principale del consumo finale totale di energia e delle emissioni di anidride carbonica nell'Unione europea, con una percentuale pari a circa il 40 per cento. L'ampio margine di risparmio energetico da sfruttare in tale settore potrebbe consentire all'Unione europea, secondo la stessa Commissione, di ridurre dell'Il per cento il consumo finale di energia entro il 2020.
Si tratta di valutazioni strategiche che rendono ancora più urgente l'intervento strutturale e sovraordinato dello Stato italiano che, proprio in virtù di questa preminente competenza sul piano ambientale, energetico e, quindi, climatico, ha l'obbligo di intervenire con atti legislativi in grado di orientare e definire le politiche relative al risparmio energetico, non fermandosi alla mera predisposizione di norme di principio ma individuando percorsi legislativi che mirino ad attuare in modo organico e concreto tale nuovo orizzonte.
Per questa ragione, pur nella salvaguardia della legislazione concorrente relativa al governo del territorio, l'impostazione di questa proposta di legge riafferma, anche alla luce degli aspetti richiamati dall'ordinamento comunitario, una preminente competenza dello Stato nell'attuazione di una politica attiva nel campo della tutela dell'ambiente e del risparmio energetico edilizio.
Nel contempo la proposta di legge, fatte salve le competenze esclusive dello Stato, Pag. 47vuole riaffermare un elemento imprescindibile del rapporto tra Stato, regioni ed enti locali: quello dell'intesa. In questo caso si riconosce l'indispensabile collaborazione tra i vari livelli istituzionali già avviata nella Conferenza unificata.
La tutela ambientale è la grande questione sulla quale si interroga il pianeta. L'Italia, prima di tutto attraverso lo Stato, deve decidere e incidere. Deve agire su larga scala per intervenire radicalmente e in modo incisivo sull'inquinamento atmosferico e sul consumo energetico. Lo Stato ha, poi, l'obbligo dell'adeguamento della norma statale a quella europea, che impone non solo la certificazione del risparmio energetico ma anche il raggiungimento in tempi rapidi di obiettivi comunitari ben definiti in materia di inquinamento atmosferico.
Con i princìpi, gli obiettivi e gli strumenti individuati nella proposta di legge all'esame dell'aula si pongono le basi per attuare un piano strategico in grado di recuperare il tempo perso, rilanciare l'economia e riqualificare il proprio patrimonio abitativo. In poche parole, lo Stato, da «inseguitore» può diventare «apripista».
Prima di tutto scommettendo sulla qualità dell'edilizia residenziale attraverso l'introduzione di «un vero e proprio marchio di qualità» da applicare agli edifici residenziali, che certifichi la riduzione dei consumi energetici e il miglioramento del comfort abitativo.
Una scommessa che rilancia la «qualità» del nostro paese.
Il sistema casa qualità che oggi esaminiamo è di certo uno dei più importanti provvedimenti elaborati dalla VIII Commissione in questa legislatura, grazie al contributo fattivo dei deputati della maggioranza e dei deputati dell'opposizione, a partire dal collega Guido Dussin primo firmatario della proposta di legge.
L'obiettivo è chiaro: dare risposte alla domanda crescente di qualità nell'abitare - di innovativi servizi rivolti alla casa, agli spazi e alle persone -, nonché all'esigenza di un più efficace utilizzo degli immobili e di un più consapevole uso del suolo edificabile, quali presupposti di un nuovo modello di sviluppo urbano e del territorio.
Elevare la qualità dell'edilizia residenziale, per assicurare non solo il risparmio energetico ma anche la tutela dell'ambiente interessato dagli interventi edilizi e il benessere fisico e psichico dei fruitori, delle persone che vivono e lavorano negli edifici, è l'asse portante di questa proposta.
Insieme all'approvazione delle misure per il rilancio dell'edilizia privata contenute nel decreto-legge sviluppo, con il varo di un nuovo «Piano Casa» al quale la commissione ha dato e sta dando un decisivo contributo, riteniamo si possa dare un segnale di concreta attenzione verso una forte innovazione delle politiche abitative nel nostro Paese.
La VIII Commissione ha svolto lo scorso anno un'importante indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, ponendo in evidenza, con realismo e senza infingimenti, l'ampiezza della crisi che ha colpito il settore industriale delle costruzioni a partire dal 2008, ma cercando, al contempo di individuare le soluzioni possibili e gli strumenti da mettere in campo per superare la difficile congiuntura economica.
In questo ambito, la «qualità dell'edilizia», il miglioramento della qualità architettonica e dei livelli di innovazione tecnologica del prodotto edilizio rivolto alle famiglie, è sicuramente emersa come una delle priorità su cui intervenire.
In primo luogo perché occorre dare risposta alla crescente domanda dei cittadini di residenze di qualità. Quando parlo di qualità, non parlo di lusso, ovviamente, ma di qualità anche gestionale degli immobili che si traduce in minori oneri a carico del bilancio familiare: in questo senso, passare dalla costruzione di edifici di «classe G» alla realizzazione di edifici di «classe A» significa dare al cittadino la possibilità di spendere 300 euro all'anno, invece che 2.000, per la loro gestione.
In secondo luogo, perché investire nella qualità dell'edilizia significa mettere in campo concrete misure per fronteggiare la Pag. 48crisi del settore e per sostenere le aziende oggi in difficoltà, a partire da quelle artigiane e dalle piccole e piccolissime imprese che costituiscono l'ossatura sia del settore delle costruzioni che di quel particolare settore industriale della produzione di materiali eco-compatibili, di impiantistica per l'efficienza energetica degli edifici, di dispositivi per la messa in sicurezza dal rischio sismico, della domotica, ecc., nel quale l'Italia ha un ruolo di eccellenza e in molti casi di leadership in ambito internazionale.
Infine, la qualità dell'edilizia è fattore decisivo per lo sviluppo dei mercati immobiliari, per il recupero e la riqualificazione di aree urbane degradate o dismesse, oggi sempre più indispensabili per elevare la qualità e la sicurezza della vita quotidiana dei cittadini.
Sono certo, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, che l'esame e l'approvazione di questa legge segnerà un passaggio fondamentale nel sistema Paese, introducendo regole e principi capaci di rispettare l'ambiente, limitare i consumi energetici e far vivere meglio i nostri cittadini.
Il sistema casa qualità è il primo pilastro di un moderno percorso in cui la qualità della vita e dell'ambiente in cui viviamo dovranno essere al primo posto. Un obiettivo strategico da perseguire al di sopra delle parti con un unico interesse: quello della qualità della vita dei nostri cittadini e del nostro paese.
Relazione sull'articolato.
Per quanto riguarda il contenuto della proposta di legge, rilevo che l'articolo 1 istituisce un sistema unico per la certificazione della qualità dell'edilizia residenziale, denominato «casa qualità», la cui finalità è quella di armonizzare, conformemente al dettato costituzionale, le norme nazionali, regionali e degli enti locali relative alla valutazione dei requisiti delle costruzioni per assicurarne la sostenibilità ambientale, il contenimento energetico e il benessere dei fruitori.
L'articolo 2 delimita l'ambito di applicazione della proposta in esame, che si applica agli interventi relativi agli edifici residenziali, ivi compresi gli edifici di edilizia residenziale pubblica, con riguardo alle nuove costruzioni, alla manutenzione straordinaria, al restauro, al risanamento conservativo e alla ristrutturazione, nonché agli ampliamenti. Il comma 4 dell'articolo 2 prevede che i proprietari di edifici residenziali possono aderire volontariamente al sistema «casa qualità», al fine di accedere alle agevolazioni previste dall'articolo 9. Le leggi regionali possono, inoltre, prevedere l'applicazione del sistema «casa qualità» agli edifici ad uso direzionale e per uffici, nonché ad edifici con altre destinazioni d'uso.
L'articolo 3 prevede l'adozione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, di specifiche Linee guida recanti i requisiti minimi del sistema «casa qualità», i livelli di prestazione e i metodi di verifica e di calcolo. Il comma 1 disciplina la procedura per l'emanazione delle citate Linee guida, che dovrà avvenire con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro delle infrastrutture, previa intesa in sede di Conferenza unificata e sentite le competenti Commissioni parlamentari.
L'articolo 4 disciplina l'oggetto della certificazione del sistema «casa qualità», che comprende la valutazione sull'efficienza energetica, sul soddisfacimento delle esigenze fisiche e psichiche dei fruitori nonché di requisiti di eco-compatibilità.
Gli articoli 5, 6 e 7 specificano i criteri e le modalità in base ai quali valutare rispettivamente l'efficienza energetica, il soddisfacimento delle esigenze dei fruitori e dei requisiti di eco-compatibilità. Su questo tema in Commissione si è svolta un'approfondita discussione volta a una razionalizzazione dei criteri e delle modalità di valutazione rispetto alla proposta di legge presentata.
L'articolo 8 stabilisce che la dichiarazione per la certificazione con sistema «casa qualità» venga presentata alle regioni, ovvero alle province o ai comuni a seguito di apposita delega regionale, ai fini della verifica delle dichiarazioni e del rilascio della relativa certificazione.
L'articolo 9 affida allo Stato il compito di promuovere specifiche iniziative per il Pag. 49sostegno del settore immobiliare, anche con il coinvolgimento di soggetti privati, destinate unicamente alle unità immobiliari che rispondono ai requisiti del sistema «casa qualità». Al fine di favorire la diffusione del sistema «casa qualità», ogni regione, provincia o comune può prevedere incentivi finanziari e premi, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio, in favore di privati o di consorzi pubblici e privati che intendono aderire a tale sistema - che ha natura volontaria - con particolare riferimento alle giovani coppie che intendono costruire o ristrutturare l'unità immobiliare adibite a prima abitazione. Si dà anche la facoltà ai comuni di vincolare l'edificabilità di parte delle aree del piano regolatore comunale all'edilizia residenziale aderente al sistema «casa qualità», attraverso la stipula di apposite convenzioni con i privati interessati o con consorzi pubblici e privati. Al fine di incentivare l'adesione al sistema «casa qualità», i comuni, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio, possono inoltre prevedere riduzioni delle aliquote dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) e, a decorrere dal 2014, dell'imposta municipale propria (IMU), anche derogando al limite minimo stabilito, ai fini della determinazione delle aliquote, dalla normativa vigente alla data di emanazione.
L'articolo 10 reca disposizioni transitorie sull'applicazione della legge, mentre l'articolo 11 dispone che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità della legge in esame, secondo le modalità previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione.
Per quanto riguarda il recepimento dei pareri espressi dalle Commissioni competenti, faccio presente che sono state recepite tutte le condizioni formulate dalla Commissione bilancio, dirette a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, volte a precisare che alle attività di cui all'articolo 8 si provvede nell'ambito delle risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente e che le disposizioni di cui all'articolo 9 vengano attuate nel rispetto degli equilibri di bilancio. Tra le,condizioni recepite si segnala, inoltre, la soppressione dei commi 3, 4 e 5 dell'articolo 8 concernenti l'attivazione dei corsi di formazione e l'istituzione dell'Osservatorio per il monitoraggio dell'applicazione del sistema «casa qualità». La Commissione ha, infine, recepito due condizioni formulate nel parere della VI Commissione riguardanti la soppressione del secondo periodo del comma 1 dell'articolo 9, che consentiva di destinare prioritariamente le detrazioni fiscali vigenti in materia di riqualificazione energetica degli edifici e di ristrutturazione edilizia alle unità immobiliari dotate del sistema «casa qualità»: e il coordinamento della previsione di cui al comma 6 dell'articolo 9 con il dettato del decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale che prevede la sostituzione dell'ICI con l'imposta municipale propria (IMU) a decorrere dal 2014. Tale ultima condizione, peraltro, coincide con l'osservazione formulata dalla Commissione bilancio.