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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 473 di martedì 17 maggio 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 12,05.

MIMMO LUCÀ, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 5 maggio 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Boniver, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tempestini, Tremonti, Vito e Zeller sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della nomina di sottosegretari di Stato.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato, in data 5 maggio 2011, la seguente lettera:
«Onorevole Presidente, La informo che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio dei ministri, ha nominato l'avvocato Sonia Viale sottosegretario di Stato all'interno, cessando dalla carica di sottosegretario all'economia e alle finanze.
Cordialmente, firmato: Silvio Berlusconi».
Comunico altresì che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inviato, in data 5 maggio 2011, la seguente lettera:
«Onorevole Presidente, informo la S.V. che il Presidente della Repubblica, con propri decreti in data odierna, adottati su mia proposta, sentito il Consiglio dei ministri, ha nominato i seguenti sottosegretari di Stato.
Sono nominati sottosegretari di Stato:
all'economia e alle finanze: onorevole Bruno Cesario; senatore Antonio Gentile;
allo sviluppo economico: onorevole Daniela Melchiorre; onorevole Catia Polidori;
alle politiche agricole, alimentari e forestali: onorevole Roberto Rosso;
all'ambiente e alla tutela del territorio e del mare: onorevole Giampiero Catone;
alle infrastrutture e ai trasporti: onorevole Aurelio Salvatore Misiti;
al lavoro e alle politiche sociali: onorevole Luca Bellotti; Pag. 2
ai beni e alle attività culturali: senatore Riccardo Villari.

Cordialmente, firmato: Silvio Berlusconi».

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 12,08).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 13 maggio 2011, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze):
«Conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia» (4357) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), VII, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

PRESIDENTE. Comunico che in data 16 maggio 2011 il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il senatore Luigi Compagna in sostituzione del senatore Antonio Gentile, chiamato a far parte del Governo.

Su un lutto del deputato Mauro Libè.

PRESIDENTE. Comunico che il collega Mauro Libè è stato colpito da un grave lutto: la perdita del padre.
Al collega la Presidenza della Camera ha già fatto pervenire le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Annunzio di petizioni (ore 12,10).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

MIMMO LUCÀ, Segretario, legge:
FRANCESCO DI PASQUALE, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede:
agevolazioni previdenziali per i lavoratori precari della scuola (1188) - alla XI Commissione (Lavoro);
l'abolizione di ogni forma di tassazione sulla casa e della possibilità di espropriazione in caso di mancato pagamento delle imposte (1189) - alla VI Commissione (Finanze);
il rafforzamento del ruolo delle province, in particolare nelle politiche di sviluppo del territorio, e di tutti gli enti territoriali in materia di tutela dell'ambiente (1190) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
interventi vari per assicurare l'equità fiscale (1191) - alla VI Commissione (Finanze);
la creazione di un organismo e di una forza multinazionale di pace in grado Pag. 3di intervenire tempestivamente nelle situazioni di crisi (1192) - alla III Commissione (Affari esteri);
la proroga dei termini per l'accatastamento delle cosiddette «case fantasma» in Campania (1193) - alla VI Commissione (Finanze);
MARINO SAVINA, da Roma, chiede:
nuove norme per contrastare il fenomeno del «doppio lavoro» (1194) - alle Commissioni riunite II (Giustizia) e XI (Lavoro);
il blocco definitivo di ogni progetto per la produzione di energia nucleare in Italia e misure per lo sviluppo delle energie rinnovabili (1195) - alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);
nuove norme in materia di notifica degli atti giudiziari (1196) - alla II Commissione (Giustizia);
ANNAMARIA MANCUSO, da Milano, e numerosissimi altri cittadini, chiedono l'abrogazione della norma che ha disposto la sospensione fino al 30 giugno 2011 dei pagamenti dovuti dai produttori di latte per la produzione in eccesso, provvedendo alla relativa copertura finanziaria tramite utilizzo di risorse già destinate anche ad attività in favore dei malati oncologici (1197) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
LORENZO POZZATI, da Milano, chiede l'istituzione della Festa nazionale dell'Unità d'Italia (1198) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede:
la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (1199) - alla II Commissione (Giustizia);
norme per assicurare il coinvolgimento della Regione siciliana in tema di gestione dell'immigrazione (1200) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti delle classi IV ginnasio e I liceo scientifico dell'Istituto «Leone XIII» di Milano, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Discussione del disegno di legge S. 2665 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo (Approvato dal Senato) (A.C. 4307) (ore 12,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo.
Ricordo che nella seduta del 4 maggio 2011 sono state respinte le questioni pregiudiziali Franceschini ed altri n. 1 e Donadi ed altri n. 2.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4307)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni riunite V (Bilancio) e VII (Cultura) si intendono autorizzate a riferire oralmente. Pag. 4
Il relatore per la V Commissione, onorevole Gioacchino Alfano, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIOACCHINO ALFANO, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, poiché gli articoli sui quali dovrei svolgere la relazione sono successivi...

PRESIDENTE. Deve intervenire prima il relatore per la V Commissione (Bilancio) e poi quello per la VII Commissione (Cultura).

GIOACCHINO ALFANO, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, volevo solo dire alla collega Carlucci che cercherò di essere breve. Mi scuso per questo.
Nella premessa ho fatto riferimento alle riflessioni che avevamo concordato con la collega (poi la ascolteremo e faremo una sintesi alla fine). Con questa relazione si intende svolgere una riflessione sugli articoli 5, 6 e 7, e - come più volte detto in Commissione - il testo è stato già esaminato e modificato al Senato.
Preliminarmente ricordo che è stato trasmesso ai sensi dell'articolo 17, comma 8, della legge n. 196 del 2009, l'aggiornamento della relazione tecnica conseguente alla trasmissione del testo dal Senato. Quindi il provvedimento viene accompagnato dalla relazione per le quantificazioni e le appostazioni nel bilancio dello Stato.
Partiamo dall'articolo 5, che reca disposizioni in materia di impianti nucleari. Nella versione originaria tale l'articolo disponeva, allo scopo di acquisire ulteriori evidenze scientifiche sui parametri di sicurezza in ambito comunitario, la sospensione, per la durata di un anno, delle disposizioni del decreto legislativo n. 31 del 2010 concernenti la localizzazione e la realizzazione di impianti nucleari.
Rilevo che, nel corso dell'esame presso l'Assemblea del Senato, è stato approvato un emendamento governativo interamente sostitutivo, il 5.800, che ha modificato sostanzialmente l'articolo in esame. Il nuovo testo dell'articolo 5, quindi, cancella dall'ordinamento tutta una serie di disposizioni in materia di impianti nucleari contenute in più «leggi» del quadriennio 2008-2011 (il decreto-legge n. 112 del 2008, la legge n. 99 del 2009, il decreto legislativo n. 31 del 2010 e il decreto legislativo n. 41 del 2011).
La prima innovazione riguarda la cancellazione del programma in materia di impianti di produzione di energia nucleare e la riformulazione integrale della norma sulla Strategia energetica nazionale. Il primo comma precisa che, al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche relativamente alla sicurezza nucleare, con il supporto dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, e tenendo conto dello sviluppo tecnologico e delle decisioni che saranno prese dall'Unione europea, non si procede più alla definizione ed attuazione del programma sugli impianti nucleari implicato dagli articoli 25 e 26 della legge n. 99 del 2009. Il secondo comma abroga l'articolo 7 del decreto-legge n. 112 del 2008 che introduceva e disciplinava la cosiddetta Strategia energetica nazionale. Il comma 3 incide sugli articoli 25, 26 e 29 della richiamata legge n. 99 del 2009 sostanzialmente sopprimendo i riferimenti all'individuazione, realizzazione ed esercizio degli impianti e attività nucleari e norme connesse. In particolare, è interamente abrogato l'articolo 26 della legge n. 99 del 2009 che disciplinava la materia dell'energia nucleare e sono soppresse o modificate le disposizioni o frasi sullo stesso tema contenute in vari commi e lettere degli articoli 25 e 29 della stessa legge.
Il comma 4 modifica l'articolo 133, comma 1, lettera o), del decreto legislativo n. 104 del 2010 sul processo amministrativo, espungendo anche qui i riferimenti alla tematica nucleare. I commi 5 e 6 apportano modifiche al decreto legislativo n. 31 del 2010 e al decreto legislativo n. 41 del 2011 che lo hanno modificato al fine di coordinare tali disposizioni con la scelta di abrogare le disposizioni concernenti il programma nucleare. Il comma 7 precisa che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 31 del 2010, come modificato dal comma 5 della norma in esame, che stabilisce gli indirizzi in Pag. 5materia di gestione dei rifiuti radioattivi e delle dismissioni degli impianti, sia adottato entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. Infine, come già anticipato, il comma 8 detta una nuova disciplina dei contenuti e delle modalità di adozione della Strategia energetica nazionale.
In merito ai profili di quantificazione degli oneri derivanti dalle disposizioni, ricordo che il Fondo per le dismissioni, costituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, sarebbe stato alimentato dai titolari delle autorizzazioni uniche per la localizzazione, la costruzione e l'esercizio di impianti nucleari, attraverso il versamento di un contributo per ogni anno di esercizio dell'impianto. A valere su tali risorse, la Sogin avrebbe provveduto alle attività di dismissione e, quindi, in proposito osservo che il fondo che viene soppresso dalla norma in esame appare preordinato alla realizzazione di attività di dismissione rispetto alle nuove centrali autorizzate. Pertanto, la soppressione del fondo sembra conseguente al venir meno della normativa riferita a tali nuovi impianti. Rimane confermata, con talune modifiche, la disposizione dell'articolo 26, comma 1, del decreto legislativo n. 31 del 2010 che individua nella Sogin il soggetto responsabile degli impianti a fine vita, del loro mantenimento in sicurezza, nonché della realizzazione e dell'esercizio del Deposito nazionale e del Parco tecnologico, attività espletate con le risorse di cui la Sogin dispone a valere sull'apposita componente della tariffa elettrica. Ricordo che, ai sensi degli articoli 31 e 32 del decreto legislativo n. 31 del 2010, soppressi dall'articolo in esame, il Ministero dello sviluppo economico avrebbe promosso una campagna di informazione in materia di produzione di energia elettrica da fonti nucleari avvalendosi, nell'ambito delle risorse di bilancio disponibili allo scopo, tramite stipula di apposita convenzione, dell'Agenzia per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa. Rilevo che l'aggiornamento della relazione tecnica conferma, peraltro, l'assenza di nuovi o maggiori oneri in relazione alla disposizione in commento.
L'articolo 6, non modificato dal Senato, reca misure di sostegno del personale a tempo determinato e con tipi di contratto di lavoro flessibile utilizzato dagli enti del Servizio sanitario della regione Abruzzo.
In considerazione degli eventi sismici dell'aprile del 2009, l'articolo in esame modifica il parametro annuale su cui computare il limite percentuale della spesa per il personale degli enti del Servizio sanitario della regione Abruzzo con contratti a tempo determinato o con tipologie di contratto di lavoro flessibile. Preciso che l'effettiva disciplina della fattispecie è demandata alla fonte dell'ordinanza di protezione civile. In particolare, viene modificato, spostandolo al 2010, il parametro annuale su cui computare per il 2011 il limite della spesa per il personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, nonché la spesa relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio.
L'articolo in commento reca pertanto una deroga alla disciplina generale, la cui applicazione, anche in considerazione del programma operativo per il rientro del disavanzo sanitario della stessa regione Abruzzo, è demandata ad ordinanze di protezione civile.
Ove necessario, gli eventuali oneri saranno a valere sull'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 14, comma 5 del decreto-legge n. 39 del 2009, destinata agli interventi di ricostruzione in Abruzzo e alle altre misure a favore della popolazione colpita dal sisma dell'aprile 2009, contenute nel citato decreto.
Anche se la relazione tecnica non considera la disposizione in esame, il Governo, già nella documentazione trasmessa l'11 aprile 2011 presso il Senato della Repubblica, ha precisato preliminarmente che l'applicabilità agli enti del Servizio sanitario nazionale della norma di contenimento Pag. 6della spesa per il personale a contratto flessibile è solo in termini di principio.
Pertanto le regioni non sono vincolate al rispetto puntuale del limite di spesa, ma possono modulare l'intervento garantendo comunque una riduzione tendenziale di tale componente di spesa. La relazione tecnica riferita al citato articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 non associava effetti di risparmio alla norma di contenimento del lavoro flessibile con riferimento al sistema delle autonomie, ivi compresi gli enti del Servizio sanitario nazionale.
È esclusa la necessità di ricorrere alla copertura finanziaria della disposizione, peraltro prevista dalla norma stessa come eventuale, in quanto la regione Abruzzo, in coerenza con il piano di rientro dal deficit sanitario in atto, ha già adottato stringenti misure di riduzione della spesa per il personale che consentono il pieno rispetto del vincolo previsto in materia dell'articolo 2, commi da 71 a 74, della legge n. 191 del 2009. Inoltre, la regione Abruzzo sta predisponendo per gli anni 2011 e 2012 un programma operativo che dovrà prevedere specifiche misure di contenimento della spesa anche per il lavoro flessibile.
Infine, anche sulla scorta della precisazione trasmessa dal Dipartimento della protezione civile, le risorse di cui all'articolo 14, comma 5, del decreto-legge n. 39 del 2009 risultano iscritte per l'anno 2011 sul capitolo 7462 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze e sono attualmente disponibili per l'importo di 262,5 milioni di euro.
Non vi sono, pertanto, profili problematici per quanto attiene alla quantificazione degli oneri derivanti dall'articolo in esame.
L'articolo 7, modificato nel corso dell'esame al Senato, è volto ad ampliare l'ambito di operatività della Cassa depositi e prestiti Spa. A tal fine, all'articolo 5 del decreto-legge n. 269 del 2003 è aggiunto un nuovo comma 8-bis che - ferme restando le modalità di gestione delle partecipazioni previste dal comma 8 del medesimo articolo 5 - consente alla Cassa depositi e prestiti Spa di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, livelli occupazionali, entità di fatturato e di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese.
A seguito della modifica introdotta nel corso dell'esame al Senato, le società le cui partecipazioni possono essere oggetto di acquisizione dalla Cassa depositi e prestiti Spa devono altresì risultare in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico ed essere caratterizzate da adeguate prospettive di redditività.
La definizione dei requisiti, anche quantitativi, che devono possedere le società ai fini della qualificazione di «società di interesse nazionale» è demandata ad un decreto, di natura non regolamentare, del Ministro dell'economia e delle finanze, che deve essere trasmesso alle Camere.
Il terzo periodo del nuovo comma 8-bis specifica che le predette partecipazioni in società di interesse nazionale possono essere acquisite dalla Cassa depositi e prestiti Spa anche attraverso veicoli societari, fondi di investimento partecipati dalla società ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o enti pubblici. Qualora l'acquisizione delle partecipazioni da parte della Cassa depositi e prestiti Spa avvenga utilizzando risorse provenienti dalla raccolta postale, esse devono essere contabilizzate nella «gestione separata» della società.
Anche in questa parte, nonostante la relazione tecnica non considera l'articolo in esame, e la relazione illustrativa afferma che dalla norma non derivano implicazioni finanziarie, nel corso dell'esame del provvedimento presso il Senato, il Governo ha fornito alcuni chiarimenti inerenti il profilo finanziario della disposizione. In primo luogo, ha precisato che la disposizione non modifica in modo sostanziale l'oggetto sociale della Cassa: quest'ultimo infatti già prevede la possibilità di acquisizione di partecipazioni azionarie delle quali vengono solo ampliate la tipologia e le modalità di acquisizione. Inoltre Pag. 7il Governo ha evidenziato l'assenza di rischi di riclassificazione della Cassa nel perimetro della pubblica amministrazione, trattandosi di un ente classificato come intermediario finanziario monetario in quanto rispondente ai requisiti a tal fine previsti in sede europea. L'Esecutivo ha altresì assicurato l'assenza di riflessi sui saldi di finanza pubblica e sul fabbisogno dell'eventuale utilizzo delle giacenze del conto che Cassa depositi e prestiti Spa mantiene presso la Tesoreria centrale al fine dell'acquisto di partecipazioni azionarie, in quanto tali giacenze sono infatti già incluse nel debito pubblico e remunerate con tassi di interesse in linea con quello praticato sui titoli del debito pubblico. Da ultimo, si è confermata l'assenza di un incremento di rischio a carico del risparmio postale, in quanto l'eventuale utilizzo delle relative risorse al fine dell'acquisizione delle partecipazioni potrà comunque avvenire solo nei limiti del rischio massimo assorbibile dal capitale disponibile della Cassa depositi e prestiti Spa e dei vincoli di riserva obbligatoria cui questa è soggetta.
In merito ai profili di quantificazione, possiamo non solo prendere atto dei chiarimenti forniti nel corso dell'esame della disposizione presso il Senato, ma confermare che nell'aggiornamento della relazione tecnica si ribadisce l'assenza di effetti sui saldi di finanza pubblica e sul debito pubblico. Osservo comunque che detta neutralità finanziaria appare subordinata alla permanenza della classificazione della Cassa nel settore degli intermediari finanziari, ai fini dei conti economici nazionali, nonché, per quanto attiene al debito, al permanere di condizioni di operatività dell'istituto che escludano la possibilità di escussioni della garanzia statale sulla raccolta postale. Aggiungo, da ultimo, che l'articolo 8 del decreto reca, come di consueto, disposizioni in ordine all'entrata in vigore del decreto stesso.

PRESIDENTE. Il relatore per la Commissione cultura, onorevole Carlucci, ha facoltà di svolgere la relazione.

GABRIELLA CARLUCCI, Relatore per la VII Commissione. Signor Presidente, onorevoli sottosegretari e onorevoli colleghi, la Commissione cultura è chiamata a riferire circa gli articoli 1, 2, 3 e 4 del decreto-legge n. 34 del 2011, recante disposizioni urgenti in materia di cultura, stampa, televisione, spettro radioelettrico, nucleare, Cassa depositi e prestiti ed enti del Servizio sanitario nazionale dell'Abruzzo.
Gli articoli 1 e 2 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, che appunto è oggetto di conversione, recano disposizioni in materia di cultura. Nel dettaglio l'articolo 1, comma 1, autorizza spese aggiuntive a carattere permanente a decorrere dal 2011 per complessivi 236 milioni di euro. Si tratta di 149 milioni di euro annui per il Fondo unico per lo spettacolo, il cosiddetto FUS, di 80 milioni di euro annui per la manutenzione e conservazione dei beni culturali e di 7 milioni di euro annui per interventi in favore di enti ed istituzioni culturali. Va ricordato che questa è una vera novità, in quanto il Fondo unico per lo spettacolo nonché gli altri fondi che vengono stanziati annualmente per i beni culturali e le attività culturali, il restauro e la conservazione, sono normalmente soggetti alle variazioni del bilancio annuale dello Stato. In questo modo, invece, vengono stabilizzate queste risorse ed è veramente una novità, un'introduzione che è richiesta da questo settore: dal 1985 veniva richiesta una stabilizzazione del genere e l'abbiamo ottenuta solamente oggi, con questo decreto-legge.
A tale ultimo riguardo, nell'ambito dell'esame presso l'Assemblea del Senato, il relatore per le parti di competenza della VII Commissione ha precisato che queste risorse - sto parlando dei 7 milioni che vanno ad enti e ad istituzioni culturali - sono stanziati a favore degli enti vigilati dal Ministero, richiamando in maniera esplicita la Biennale di Venezia, il Festival dei due mondi di Spoleto, Italia Nostra, il Fondo per l'ambiente italiano (FAI), la Triennale di Milano e la Quadriennale di Roma. Pag. 8
Per effetto degli incrementi disposti dal provvedimento in discussione e, limitatamente al 2011, dal decreto-legge n. 225 del 2010, l'importo del FUS per il triennio 2011-2013 - a legislazione vigente - viene quindi rideterminato per il 2011 in 422,6 milioni di euro, per il 2012 e il 2013 in 411,5 milioni di euro.
Il comma 2 reca una novella dell'articolo 1, comma 13, della legge di stabilità per il 2011, al fine di escludere il FUS e le risorse destinate alla manutenzione e conservazione dei beni culturali dalle dotazioni finanziarie di bilancio cui si applicano le eventuali riduzioni lineari - ciò che dicevamo prima - previste dalla norma a titolo compensativo, nell'eventualità di minori entrate rispetto alle previsioni derivanti dalle operazioni di cessione delle frequenze radiotelevisive.
L'articolo 1, comma 13, della legge n. 220 del 2010, legge di stabilità per il 2011, prevede, infatti, che, qualora in sede di gara per l'assegnazione dei diritti di uso di frequenze radioelettriche da destinare al servizio di comunicazione elettronica - da cui sono stati stimati proventi non inferiori a 2.400 milioni di euro - si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di entrata, il Ministero dell'economia e delle finanze provvede con proprio decreto alla riduzione lineare, sino a concorrenza dello scostamento finanziario, delle dotazioni finanziarie iscritte nel bilancio dello Stato a legislazione vigente nell'ambito delle spese rimodulabili delle missioni di spesa di ciascun Ministero.
La norma prevede che le procedure di assegnazione dei diritti devono concludersi in termini tali che i relativi introiti vengano versati all'entrata dello Stato entro il 30 settembre del 2011. Dall'eventuale riduzione lineare sono esclusi il Fondo per il finanziamento ordinario delle università, le risorse destinate alla ricerca e le risorse relative al finanziamento del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.
La disposizione di cui al comma 13 della legge n. 220 del 2011 è stata prevista a titolo cautelativo, quale clausola di salvaguardia volta a recuperare, in caso di insuccesso delle operazioni di cessione delle frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazione mobili in larga banda, l'importo pari al corrispettivo mancante attraverso corrispondenti riduzioni di spesa pubblica.
Nella nota depositata dal Ministero dell'economia e delle finanze presso la Commissione bilancio del Senato in data 15 aprile 2011, in risposta ai rilievi formulati dalla Commissione nel corso dell'esame del decreto-legge, il Ministero ha reso noto che sono stati già predisposti, sebbene in via provvisoria, gli accantonamenti lineari sugli stanziamenti di bilancio rimodulabili dei singoli Ministeri per l'intero importo di 2.400 milioni di euro, che, soltanto in caso di conferma di minori introiti derivanti dall'operazione, saranno trasformati in riduzioni di spesa.
Il comma 3 abroga le disposizioni che avevano introdotto un contributo speciale di un euro sui biglietti cinematografici per il periodo 1o luglio 2011-31 dicembre 2013, ai sensi del decreto-legge n. 225 del 2010.
I commi 4 e 5 recano la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni in favore del settore culturale e cinematografico, di cui ai commi 1 e 3, provvedendo ad aumentare l'aliquota dell'accisa su alcuni prodotti energetici, in particolare sulla benzina, sulla benzina con piombo e sul gasolio usato come carburante.
Nel dettaglio, ai sensi del comma 4, per la copertura degli oneri di 236 milioni di euro a decorrere dall'anno 2011 per interventi a favore della cultura e di 45 milioni di euro per il 2011 e 90 milioni di euro per gli anni 2012 e 2013 derivanti dall'abrogazione del contributo speciale a carico dello spettatore per l'accesso alle sale cinematografiche, si dispone l'aumento dell'aliquota delle seguenti accise, di cui all'allegato I del decreto legislativo n. 504 del 1995, recante il testo unico sulle accise: l'accisa sulla benzina, l'accisa sulla benzina con piombo, l'accisa sul gasolio usato come carburante. L'aumento dell'aliquota deve compensare sia i predetti oneri sia Pag. 9l'onere correlato alle disposizioni sui rimborsi previsti a favore degli autotrasportatori dell'ultimo periodo del comma 4 in esame.
Le disposizioni in esame hanno affidato la variazione ad un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane, da adottarsi entro il 7 aprile 2011, cioè entro sette giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in commento, efficace dalla data di pubblicazione sul sito Internet dell'Agenzia. Con la determinazione del direttore dell'Agenzia delle dogane del 5 aprile 2011, pubblicata sul sito Internet il 6 aprile 2011, sono state, quindi, già modificate le aliquote di accisa dei suddetti prodotti energetici.
L'ultimo periodo del comma 4 dispone poi che non trovino applicazione, in alcune ipotesi, i limiti agli eventuali aumenti erariali dell'accisa sulla benzina per autotrazione, di cui all'articolo 1, comma 154, secondo periodo, della legge n. 662 del 1996. Tale norma stabilisce che eventuali aumenti erariali dell'accisa abbiano effetto, nelle regioni che hanno istituito tale imposta, solo per la differenza tra l'aumento erariale e la misura dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione.
In conseguenza della disapplicazione prevista dalla norma in esame, l'aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina si somma ad eventuali imposte regionali sulla benzina vigenti nelle regioni a statuto ordinario.
Infine, il comma in esame reca disposizioni in favore di alcune categorie di soggetti esercenti l'attività di trasporto. Viene a tal fine disposto il rimborso del maggior onere derivante dagli aumenti di accisa, disposti dal comma in esame, nei confronti di: soggetti esercenti le attività di trasporto merci, di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 452 del 2001, con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate; enti pubblici e imprese pubbliche locali, esercenti l'attività di trasporto pubblico locale, di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e relative leggi regionali di attuazione, quali norme richiamate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge n. 452 del 2001; imprese esercenti autoservizi di competenza statale, regionale e locale, di cui alla legge 28 settembre 1939, n. 1822, al regolamento CEE n. 684/92 del Consiglio del 16 marzo 1992, e successive modificazioni, e al citato decreto legislativo n. 422 del 1997; enti pubblici e imprese esercenti trasporti a fine di servizio pubblico per trasporto di persone, di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge n. 452 del 2001.
Il successivo comma 5 autorizza, infine, il Ministero dell'economia e delle finanze a disporre, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.
L'articolo 2 reca misure finalizzate a potenziare le funzioni di tutela dell'area archeologica di Pompei. In particolare, il comma 1 dispone l'adozione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, di un programma straordinario di interventi conservativi di prevenzione, manutenzione e restauro. Il piano è predisposto dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, su proposta del direttore generale per le antichità, previo parere del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, ed è adottato dal Ministro per i beni e le attività culturali.
Al riguardo, segnalo l'opportunità di uniformare la terminologia, utilizzando sempre la parola «programma» o la parola «piano».
Il comma 2 individua le risorse per il finanziamento del programma straordinario di interventi conservativi e di restauro, prevedendo la possibilità di utilizzo innanzitutto delle risorse derivanti dal Fondo per le aree sottoutilizzate - cosiddetto FAS - destinate alla regione Campania.
Segnalo che al comma 2 in esame, primo periodo, occorre modificare la parola «destinati» in «destinate». Inoltre, con riferimento al medesimo comma, segnalo che è all'esame della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale lo schema di decreto legislativo recante l'attuazione dell'articolo 16 della legge delega n. 42 del 2009 in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici Pag. 10e sociali, che prevede, agli articoli 4 e 5, una nuova denominazione e nuovi criteri per la programmazione del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS).
Nel merito, ricordo, al riguardo, che la quota regionale del FAS destinata alla regione Campania è attualmente pari a 3.506,8 milioni di euro. Tuttavia, a valere su di essa, il decreto-legge n. 196 del 2010 ne prevede l'utilizzo per 150 milioni di euro, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, per le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, e per ulteriori 282 milioni di euro, ai sensi del successivo comma 2, per interventi di bonifica ambientale, a seguito della rideterminazione della copertura degli oneri derivanti dall'accordo sottoscritto il 18 luglio 2008, come modificato con atto 8 aprile 2009, tra il Ministero dell'ambiente e la regione Campania.
Infine, segnalo che nella recente seduta del 23 marzo 2011, il CIPE ha autorizzato l'utilizzo delle risorse FAS 2007-2013 relative ai programmi di interesse strategico delle regioni Abruzzo (160 milioni di euro), Campania (322 milioni di euro) e Lazio (796 milioni di euro) per il ripiano dei relativi disavanzi sanitari, come previsto dall'articolo 2, comma 90, della legge n. 191 del 2009, legge finanziaria per il 2010.
Si prevede poi la possibilità di utilizzo di una quota dei fondi disponibili nel bilancio della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, determinata con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali.
In merito all'utilizzo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate e della disponibilità di bilancio della Soprintendenza, ricordo che nel corso della discussione in Aula in questa Camera, nella seduta del 10 novembre 2010, nell'ambito dell'informativa urgente del Governo sul crollo della «Scuola dei gladiatori» presso gli scavi di Pompei, il Governo ha reso noto che già nei «due anni del commissariamento, dal giugno del 2008 al giugno del 2010, quando il commissariamento è cessato per tornare alla normalità, sono stati investiti oltre 79 milioni di euro, dei quali 21 milioni provenienti dai fondi FAS del Ministero dello sviluppo economico e 40 milioni dai residui attivi giacenti nel bilancio della Soprintendenza speciale di Napoli e Pompei», oltre ai fondi derivanti dalla vendita dei biglietti.
Il secondo periodo del comma 2 specifica che la quota di risorse da destinare al programma straordinario di manutenzione da parte della regione Campania verrà individuata dalla regione medesima nell'ambito del programma di interesse strategico regionale (PAR) da sottoporre al CIPE per l'approvazione.
Per la realizzazione del programma previsto dal comma 1, il comma 3 autorizza l'assunzione di personale di terza area, posizione economica F1, nel limite di spesa di 900 mila euro annui a decorrere dall'anno 2011, mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità. Tale personale ha l'obbligo di prestare servizio, per almeno cinque anni, presso le sedi della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e di Pompei. Appartengono alla terza area i lavoratori che, nel quadro di indirizzi generali per la conoscenza dei vari processi gestionali, svolgono, nelle unità di livello non dirigenziale a cui sono preposti, funzioni di direzione, coordinamento e controllo di attività di importanza rilevante ovvero lavoratori che svolgono funzioni che si caratterizzano per il loro elevato contenuto specialistico.
Si autorizza, inoltre, l'assunzione di ulteriore personale specializzato, anche dirigenziale, mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità, nel limite delle ordinarie facoltà di assunzione consentite per l'anno 2011 dalla normativa vigente, da destinare all'espletamento di funzioni di tutela del patrimonio culturale. Le assunzioni possono avvenire in deroga al divieto di cui all'articolo 2, comma 8-quater del decreto-legge n. 194 del 2009, recante il cosiddetto proroga-termini. Tale disposizione ha introdotto il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto per le pubbliche amministrazioni che non abbiano adempiuto l'obbligo, previsto dal precedente comma 8-bis del medesimo articolo 2, di disporre, entro il 30 giugno 2010, Pag. 11una riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10 per cento di quelle risultanti a seguito dell'applicazione dell'articolo 74, comma 1 del decreto-legge n. 112 del 2008 e di rideterminare le dotazioni organiche del personale non dirigenziale apportando una ulteriore riduzione non inferiore al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale risultante a seguito dell'applicazione del predetto articolo 74. Restano esclusi da tale divieto i conferimenti di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione di riferimento di cui all'articolo 19, commi 5-bis e 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Alla copertura degli oneri derivanti dalle suddette assunzioni si provvede nell'ambito di stanziamenti di bilancio previsti a legislazione vigente per il reclutamento del personale del Ministero per i beni e le attività culturali. Inoltre, deve essere rispettata la disciplina in materia di turnover di cui all'articolo 3, comma 102 della legge n. 244 del 2007, come da ultimo modificata dall'articolo 9, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010, in base alla quale, per ciascun anno del quadriennio 2010-2013, si può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente e in ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.
È infine previsto l'obbligo per il Ministero per i beni e le attività culturali di comunicare al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e alla Ragioneria generale dello Stato le assunzioni effettuate ai sensi del comma in esame ed i relativi oneri.
Il comma 4 autorizza la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e di Pompei ad avvalersi, per l'attuazione del programma di interventi conservativi urgenti nell'area di Pompei, della società ALES, mediante la stipula di apposita convenzione che, nel rispetto della normativa comunitaria, potrà prevedere l'affidamento diretto alla società di servizi tecnici, compresi quelli attinenti all'attuazione del programma.
I commi 5, 6 e 7 recano disposizioni speciali volte ad accelerare la realizzazione del programma straordinario. Nel dettaglio, il comma 5 prevede deroghe ad alcuni termini previsti dal codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, ed in particolare la riduzione della metà dei termini minimi indicati dagli articoli 70, 71, 72 e 79, al fine di accelerare la realizzazione degli interventi del programma straordinario di tutela dell'area archeologica di Pompei. Si tratta dei termini di ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte, che variano a seconda che si affidino i lavori con procedure aperte, ristrette o negoziate, con o senza bando di gara, ristrette e negoziate urgenti o con il dialogo competitivo, di cui all'articolo 70; del termine entro il quale le stazioni appaltanti inviano ai richiedenti i capitolati di oneri, i documenti e le informazioni complementari nelle procedure aperte, di cui all'articolo 71; dei termini per l'invio prima della scadenza del termine stabilito per la ricezione delle offerte, ai richiedenti dei capitolati d'oneri, dei documenti e delle informazioni complementari nelle procedure ristrette, negoziate e nel dialogo competitivo, di cui all'articolo 72; dei termini di comunicazione dei mancati inviti, delle esclusioni e delle aggiudicazioni in alcuni casi fornite su richiesta, e in altri casi d'ufficio, di cui all'articolo 79.
Lo stesso comma 5 prevede, inoltre, che per l'affidamento dei lavori compresi nel programma sia sufficiente il livello di progettazione preliminare, in deroga all'articolo 203 del decreto legislativo n. 163 del 2006 che prevede, invece, la progettazione definitiva, salvo che il responsabile del procedimento ritenga motivatamente necessario un maggiore livello di definizione progettuale.
Al riguardo, ricordo che l'articolo 203, che ricade all'interno delle disposizioni Pag. 12specifiche per i lavori sui beni culturali contenute nel citato titolo IV, capo II del Codice, prevede che l'affidamento di tali tipi di lavori avvenga, di regola, sulla base del progetto definitivo, integrato dal capitolato speciale e dallo schema di contratto. Il comma 3-bis dispone, quindi, che per ogni intervento sia il responsabile del procedimento, nella fase di progettazione preliminare, a stabilire il successivo livello progettuale da porre a base di gara e a valutare motivatamente, esclusivamente sulla base della natura delle caratteristiche dell'intervento conservativo, la possibilità di ridurre i livelli di definizione progettuale e i relativi contenuti dei vari livelli progettuali salvaguardandone la qualità.
Il comma 6 riguarda gli interventi previsti dal programma straordinario ricadenti all'esterno del perimetro delle aree archeologiche. Tali interventi sono dichiarati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, e possano essere realizzati, ove occorra, in deroga alle previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale vigenti, sentiti la regione e il comune.
Il comma 7 disciplina i contratti di sponsorizzazione per favorire l'apporto di risorse finanziarie da parte di soggetti privati per la realizzazione del programma straordinario. I contratti di sponsorizzazione dovranno essere stipulati nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità, previsti dagli articoli 26 e 27 del Codice dei contratti pubblici per tali tipologie di contratti.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Carlucci.

GABRIELLA CARLUCCI, Relatore per la VII Commissione. Tali obblighi si considerano assolti con la pubblicazione di un avviso pubblico contenente l'elenco degli interventi da realizzare.
Il comma 8 consente al Ministero per i beni e le attività culturali di provvedere, con proprio decreto, a trasferire risorse tra le disponibilità giacenti sul conto di tesoreria delle soprintendenze speciali ed autonome, al fine di assicurare l'equilibrio finanziario. Tale operazione, effettuata in relazione alle rispettive esigenze finanziarie delle soprintendenze, deve assicurare, comunque, l'assolvimento degli impegni già presi, in deroga a quanto disposto dall'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 240 del 2003.
L'articolo 3 apporta modifiche all'articolo 43, comma 12, del testo unico dei servizi di media audiovisivi che prevede fino al 31 dicembre 2010, termine prorogato al 31 marzo 2011...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Carlucci.

GABRIELLA CARLUCCI. Relatore per la VII Commissione. ..il divieto per i soggetti che esercitano attività televisiva in ambito nazionale attraverso più di una rete di acquisire partecipazioni in imprese editrici.
L'articolo 4 differisce il termine per stabilire il calendario definitivo per la transizione alla trasmissione televisiva digitale terrestre.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Carlucci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica al termine della discussione sulle linee generali.
È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, interverrò ovviamente per le questioni di competenza della Commissione cultura e cercherò di chiarire le ragioni del nostro giudizio negativo su questo provvedimento, esaminando una serie di questioni che mi sembrano particolarmente importanti. Pag. 13
In via generale e in premessa a ciò che intendo dire, vorrei dichiarare la nostra contrarietà - e non di oggi, ma di antica data - su questi decreti omnibus, che contengono le disposizioni più diverse e che hanno un carattere molto confuso anche per la comprensione che la gente, fuori da quest'Aula, avrebbe diritto di avere.
Si mettono nello stesso provvedimento - lo ricordo a chi ci ascolta - disposizioni urgenti in materia di cultura, stampa e televisione, in materia di spettro radioelettrico, disposizioni importanti concernenti il nucleare e le nuove competenze della Cassa depositi e prestiti e una nuova disposizione sul servizio sanitario nazionale dell'Abruzzo. Come si può constatare si tratta di questioni completamente diverse l'una dall'altra, che avrebbero bisogno di approfondimenti per ogni argomento, ben diversi da quelli che ci sono stati concessi durante la discussione in Commissione. Quindi si tratta di una critica di metodo, oltre che di merito.
Oltre a rilevare in negativo che vi sono in uno stesso provvedimento competenze, interessi e interventi così diversi, mi sembra anche da stigmatizzare il pochissimo tempo che la Commissione ha avuto a disposizione per discutere un provvedimento così importante che, peraltro, essendo un decreto-legge, doveva avere un carattere d'urgenza, mentre in realtà qui di urgente non c'è assolutamente nulla, se non la volontà, da molti stigmatizzata, di intervenire sulla questione del nucleare e di intervenire sulla situazione di Pompei. Abbiamo avuto molte polemiche sul fronte di Pompei - è stato citato anche dalla relatrice il crollo della casa dei gladiatori - ma questo è successo mesi fa e tutta questa urgenza probabilmente non c'è.
Detto questo, abbiamo avuto pochissimo tempo in Commissione per discutere la faccenda, nella quale erano peraltro coinvolte le Commissioni bilancio e cultura interessando competenze molto diverse, che avrebbero meritato più tempo. Il Governo avrebbe potuto intervenire e dare spiegazioni, viste le richieste avanzate da tutti noi in Commissione. Questa premessa mi sembrava doverosa perché - lo ripeto - il metodo non è secondario rispetto al merito.
Veniamo alle questioni che ci interessano. Gli articoli 1 e 2 - come è stato ricordato dalla collega - dispongono in materia di cultura. L'articolo 1 autorizza le spese aggiuntive di carattere permanente a decorrere dal 2011 e la cifra totale che viene stanziata è di 236 milioni di euro (non è poco, si tratta di una cifra abbastanza importante): 149 milioni per il Fondo unico dello spettacolo, 80 milioni per la manutenzione e la conservazione dei beni culturali e 7 - come è già stato ricordato e lo ripeto - per interventi a favore di enti e istituzioni culturali.
Il problema è che queste cifre, comunque, non compensano i tagli che sono avvenuti nel passato, ma sono solo un parziale risarcimento dei danni provocati al Ministero della cultura, tanto che il Ministro Bondi, come tutti ricordano, aveva minacciato le dimissioni e aveva avuto scontri nell'ambito del Governo proprio per questi tagli molto incisivi, perpetrati nel mondo della cultura. Pertanto, queste cifre reintegrano solo in parte i tagli attuati.
In ogni caso, riconosciamo che le disposizioni in materia sono positive: è meglio avere avuto la coscienza e la responsabilità di restituire al mondo della cultura qualche cifra, anche se decisamente limitata.
Quando però si parla di autorizzare la dotazione di fondi, dei «famosi» 7 milioni che sono stati qui stanziati, quando si parla di enti nazionali e di istituzioni culturali, rimane il dubbio concernente l'identificazione di queste realtà.
Si parla di comitati nazionali e non si comprende se rientrino o meno in questo finanziamento, si parla di istituti e non si sa se quelli previsti dalla legge 17 ottobre 1996, n. 534, siano inclusi o esclusi da queste cifre; le risorse non sono certamente molte - 7 milioni di euro sono una cifra abbastanza limitata - e resta il fatto che esiste una norma, il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che aveva tagliato Pag. 14della metà le risorse a questi istituti. Il taglio rimane in vigore perché questa norma non è stata abrogata e questi 7 milioni di euro che vengono aggiunti non si riesce a comprendere in maniera esaustiva a chi saranno assegnati. Lo abbiamo chiesto al Governo in più di una occasione ma non abbiamo ricevuto risposte. La questione mi sembra abbastanza rilevante.
Proseguiamo con l'analisi del testo del provvedimento. Il Ministro Bondi, tra l'altro, quando aveva parlato di finanziamenti a enti, comitati, eccetera, aveva ribadito - e credo che il Ministro Galan non abbia smentito questa affermazione - che andava assolutamente data priorità agli enti, agli istituti e ai comitati di carattere nazionale, mentre c'è un ordine del giorno del Senato che invece riguarda anche gli enti locali, territoriali e regionali. Non possiamo che chiederci a chi ci si riferisca e quanto questo ordine del giorno del Senato sia vincolante per l'applicazione di questa norma, ovvero a chi saranno destinati questi 7 milioni di euro e se rientreranno in questo programma anche gli enti locali, territoriali e regionali.
Venendo al comma 4 dell'articolo 1 del provvedimento in esame, si dice che si provvederà al reintegro delle somme stanziate per la cultura mediante l'aumento dell'aliquota delle accise della benzina e della benzina su piombo. Dunque, in realtà si introduce una tassa sulla benzina che pagheranno tutti e che pagheranno maggiormente coloro che avranno un maggiore consumo di benzina per questioni di lavoro, di necessità e per questioni legate alle attività personali e imprenditoriali, eccetera. Ricordo che il Governo aveva sempre espresso parere negativo su questo tipo di interventi, non è la prima volta che si parla di un intervento sulle accise, ma con questa stessa norma da una parte si abroga la disposizione che prevedeva l'euro introdotto come «tassa sullo spettacolo» per affrontare le spese dei beni culturali - perché aveva suscitato una serie di reazioni molto forti da tutti gli addetti del settore che avevano denunciato i pericoli di una misura del genere - e dall'altra si aumenta l'accise sulla benzina.
Non siamo pregiudizialmente contrari alle tasse denominate «di scopo» perché in mancanza di risorse si deve anche ricorrere forse a questi provvedimenti, ma bisogna spiegare ai cittadini, soprattutto a livello locale, a cosa servono queste ulteriori tassazioni.
Quindi, non siamo pregiudizialmente contrari. Il problema è che ci sentiamo continuamente dire che il Governo non mette le mani nelle tasche degli italiani. Ormai questo è diventato uno slogan, che abbiamo tutti imparato molto bene e che ci viene continuamente ripetuto.
Non si potrà più dire! Chiedo al Governo l'onestà di non accennare più a uno slogan di questo genere, perché prevedere accise sulla benzina significa aumentare in qualche modo le tasse e la spesa per le famiglie. Dovremo prendere atto che il Governo ricorre anche a questi mezzi pur di trovare i soldi. Ripeto, si tratta di un'operazione che troviamo strana, vista la negatività del Governo in questa direzione, ma, una volta che è stata presa questa decisione, non ci si venga più a dire che non si aumentano le tasse agli italiani.
Inoltre, si usano le accise come copertura perché, secondo me - non solo secondo me, perché è scritto nel testo - si preconizza, in qualche modo, il mancato conseguimento delle somme che erano state previste dalla vendita delle frequenze radiotelevisive. Siccome noi stiamo dicendo da un pezzo che, in qualche modo, è stata venduta la pelle dell'orso prima di averlo ammazzato e che la vendita delle frequenze radiotelevisive non avrebbe portato tutti i vantaggi e tutte le risorse che erano state sbandierate, in questo provvedimento vi è la prova che le somme indicate per la vendita delle frequenze radiotelevisive evidentemente non sono sufficienti, non sono garantite e presentano degli aspetti problematici.
Quindi, si ricorre a questo sistema. Andiamo avanti: all'articolo 2 si parla del potenziamento delle funzioni di tutela dell'area archeologica di Pompei. Anche questa Pag. 15è una questione che in Commissione abbiamo a lungo dibattuto. Si parla dell'utilizzo di risorse derivanti dai fondi FAS - questi fondi sono sempre chiamati in ballo e sono utilizzati in tutte le direzioni possibili e immaginabili; non mi stupisce, quindi, che si faccia ricorso a questi fondi anche in questa occasione, ma, attenzione, sono fondi FAS destinati alla regione Campania - nonché di una quota dei fondi disponibili nel bilancio della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e di Pompei, determinata con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali. Cosa vuol dire questo discorso? Mi sembra di fare il gioco delle tre carte, perché i fondi FAS non sono fondi inutili, che non vengono utilizzati.
Se si prendono delle risorse FAS e si destinano a Pompei, vuol dire che evidentemente vi è qualcos'altro - tra l'altro i fondi FAS, ricordo, sono destinati alle infrastrutture - che non viene né potenziato né finanziato, né sostenuto. Mi sembra di fare una guerra tra poveri. I fondi FAS sono fondi per le aree sottoutilizzate (sottosviluppate, diciamo così).
Quindi, levare dei fondi FAS e metterli da un'altra parte sarà anche un'operazione indispensabile, vista la situazione drammatica di Pompei, ma non mi pare che possiamo essere soddisfatti di una cosa di questo genere. Inoltre, si prendono risorse anche dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei; avendoli essa a disposizione, le si dice che, invece di spenderli qui, deve spenderli lì, ma si tratta sempre di fondi destinati a quell'area, a quella regione e, probabilmente, anche a Pompei. Non vi sono risorse fresche, ma vi sono le risorse che sono state stanziate nell'articolo 1, con tutti i limiti che abbiamo visto.
Non solo, i fondi FAS, come tutti sappiamo, sono di esclusiva competenza regionale che è in fase di rimodulazione. Infatti, in base all'articolo 61 della legge n. 289 del 27 dicembre 2002, i fondi FAS sono di competenza regionale e, come sappiamo, questi fondi sono in fase di rimodulazione in base ad una delibera del CIPE in relazione al Piano per il sud e al federalismo fiscale.
Ebbene, questi fondi sono destinati alle infrastrutture, stanno per essere rimodulati perché sono di esclusiva competenza regionale e ricordo a me stessa, ma sicuramente tutti i colleghi lo sanno, che questa rimodulazione va concordata a livello europeo. Anche qui, mi sembra che stiamo vendendo la pelle dell'orso prima di averlo ucciso. Siamo sicuri che, a livello di Unione europea, la suddetta rimodulazione sarà approvata? Siamo sicuri che questi fondi andranno a buon fine, perché siamo ancora in fase di discussione a livello di CIPE e quindi si tratta di un discorso ancora in divenire? Credo che, oltre ad essere una guerra tra poveri, sia anche una guerra che forse non porterà agli esiti auspicati, un po' come il discorso in materia di frequenze radiotelevisive.
Proseguendo nell'enunciare le perplessità che il provvedimento in esame crea, al comma 3 dell'articolo 2 - non lo leggo per brevità e per risparmiare una noiosa elencazione di punti - si parla di assunzioni in deroga al blocco delle stesse per il settore del pubblico impiego. Queste deroghe per l'assunzione di personale, così come sono state formulate, sono piuttosto problematiche. Si tratta di deroghe per il personale di Area 3, come è stato spiegato dalla collega Carlucci, e anche deroghe in ordine all'assunzione di personale dirigente, quindi si fa riferimento, in questo caso, allo stanziamento di risorse che fanno capo al Ministero per i beni e le attività culturali, dove non vi sono risorse «fresche» e sappiamo che la coperta è corta.
Sono molto perplessa quando si parla di deroghe perché vorrei capire cosa significa questo, tenendo presente anche che le graduatorie richiamate dal decreto-legge in esame sono molto datate, appartengono ad anni fa, non mi pare che nel provvedimento in oggetto si voglia rivedere, rileggere e riconsiderare l'intera questione relativa al personale per il quale, fino a poco tempo fa, era previsto un blocco delle assunzioni. Pag. 16
Quindi, credo che tutte queste locuzioni «in deroga alle medesime disposizioni», «in deroga alle disposizioni di cui», «in deroga al reclutamento del personale», diano vita ad una cambiale in bianco che non mi sento di firmare perché credo che, invece, bisognerebbe stare molto attenti quando un Governo magari animato dalle migliori intenzioni, non lo metto in discussione, arriva a proporre una serie di deroghe che ci preoccupano.
Inoltre, come è stato già rilevato in Commissione, lo ricordo in Aula, al comma 4 vi è l'idea di avvalersi della società ALES Spa che, come tutti sanno, è totalmente compartecipata dallo Stato ed è una società che si avvale e si occupa di lavoratori socialmente utili. Questa società ha impiegati i suddetti lavoratori socialmente utile che tutti conosciamo.
C'è una domanda da porsi. Qui tratta di lavori di specializzazione in un campo particolarmente complesso, quello archeologico, artistico, culturale. Non è un'attività che si può fare in maniera improvvisata o in maniera superficiale: occorrerebbe personale probabilmente più specializzato. Senza voler nulla togliere a quei lavoratori, mi sembra problematico doverli dirottare su un'attività che richiede, secondo me, delle competenze molto precise. Qui le competenze non pare che siano tenute nel debito conto.
Inoltre, questo affidamento, relativamente ai servizi tecnici in attuazione del programma, viene realizzato con un'apposita convenzione nell'ambito delle risorse disponibili e, addirittura, per realizzare questi interventi, si dimezzano i tempi: si dimezzano i tempi che sono previsti per legge e per l'affidamento dei lavori diventa sufficiente un livello di progettazione preliminare.
In ordine a questa società ALES si immagina, in qualche modo, che vi sia lo stesso carattere di urgenza che veniva usato per la Protezione civile, quando doveva intervenire sulle questioni drammatiche di questo Paese degli ultimi tempi. Però noi sappiamo che cosa è successo per quanto riguarda la Protezione civile e non diamo deroghe in bianco neanche per questo. Questa società, addirittura, può operare così e ci si accontenta di uno studio preliminare.
Siamo sicuri che questo possa essere utile, ovvero dimezzare i tempi e accontentarsi di uno studio preliminare in una zona in cui la criminalità organizzata è presente, incide nelle attività economiche, imprenditoriali, ed è una presenza purtroppo diffusa e difficilmente contrastata? Pertanto, io credo che ciò sia piuttosto pericoloso. Anche se sempre animati dalle migliori intenzioni, mi pare che sia piuttosto pericoloso arrivare a delle rapidità di tempi e una mancanza di controlli che potrebbero poi farci pentire di avere approvato una norma del genere.
Andiamo avanti, al comma 6. Qui c'è un equivoco che io denuncio e poi mi auguro che il Governo vorrà chiarire, perché si dice che gli interventi previsti dal programma che ricadono all'esterno del perimetro delle aree archeologiche sono dichiarati di pubblica utilità. Fin qui non c'è nulla da dire: quello che è esterno alle aree ecologiche è definito di pubblica utilità, molto bene. Però, gli interventi, proprio perché di pubblica utilità, sono indifferibili e urgenti e possono essere realizzati, ove occorra, in deroga alle previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale vigenti, sentita la regione e via dicendo. Ebbene, questo, almeno a mio avviso, si presta a una duplice interpretazione. La prima, se questi interventi, che sono, ripeto, esterni alle aree archeologiche, erano previsti dai piani urbanistici, con i quali si disponeva un'edificazione massiccia, una presenza molto forte di insediamenti di tipo urbanistico, una cementificazione straordinaria, ora, con un provvedimento urgente, si impedisce di fare tutto ciò. In questo caso, allora tutto bene. Ma potrebbe essere - ed è la seconda interpretazione - anche il contrario; e qui il punto non è chiarito. Potrebbe avvenire il contrario e si potrebbe intervenire sul fatto che gli interventi urgenti, improrogabili e indifferibili e così via, possano essere realizzati in deroga alla pianificazione urbanistica territoriale, Pag. 17potendo quindi disporre qualsiasi tipo di deroga. Si potrebbe fare, quindi, anche il contrario.
Allora, anche qui, io credo che i vincoli archeologici e ambientali debbano essere richiamati ma qui non accade, perché tali vincoli non possono essere sorpassati in base al fatto che ci sono dei terreni di pubblica utilità e si interviene in deroga alla pianificazione urbanistica e ciò andrebbe chiarito. Poiché riguardo al problema dei vincoli archeologici e ambientali ci stiamo lacerando in sede di Commissione cultura da mesi - come i miei colleghi sanno, con riferimento agli stadi stiamo discutendo proprio sulle norme relative agli stadi e alle aree che devono insistere intorno ad essi e sulla necessità che i vincoli archeologici e ambientali debbano essere o meno richiamati nella normativa sugli stadi - e ne stiamo, lo ripeto, discutendo da tempo anche con il Governo, non si capisce perché in questo caso i vincoli archeologici e ambientali non vengano richiamati. Allora mi sembra legittimo esprimere preoccupazione almeno come tale.
Come sempre ci sono moltissime deroghe ed è una questione che ci preoccupa molto. Infine, al comma 7 si parla di favorire l'apporto di risorse provenienti da soggetti privati e gli obblighi di pubblicità, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità. Insomma si prevede una serie di interventi che mettano in condizione i privati di potere intervenire e quindi aiutino gli interventi che comunque saranno onerosi e di maggior peso economico rispetto ai soldi che si stanziano con il decreto-legge in esame. Ebbene, mi sembra che non si parli e non ci sia un accenno sufficientemente esaustivo alla defiscalizzazione per tali interventi dei privati, cosa che il Governo aveva richiamato.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Capitanio Santolini.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Sto per concludere, signor Presidente. Il Governo aveva detto più di una volta che la defiscalizzazione per gli interventi del settore privato era una logica del Governo e qui non se ne parla e quindi anche tale aspetto, che ci sembra estremamente importante, è molto carente e problematico.
Concludo dicendo che si poteva certamente fare di meglio e di più, il che è sempre possibile, ma ci preoccupa che ci siano queste norme un po' farraginose. Alcune aprono delle crepe che mi sembrano preoccupanti, non vorremmo tornarci sopra, con il tempo, per correggere gli errori che sono stati commessi con il decreto-legge in esame e mi auguro davvero che all'ultimo minuto si possa ancora intervenire in Aula con gli emendamenti che abbiamo regolarmente presentato per migliorare un decreto-legge che desta molte preoccupazioni e verso il quale esprimiamo un giudizio negativo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.

ERICA RIVOLTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il decreto-legge che ci accingiamo a votare ai fini della sua conversione in legge, provvede ad incrementare, a decorrere dall'anno 2011, la dotazione del FUS, a sostenere spese per la manutenzione e la conservazione dei beni culturali e per interventi a favore di enti e istituzioni culturali, a introdurre accise sulla benzina, nonché sul gasolio per sostenere le agevolazioni fiscali a favore del cinema, a prevedere una serie di iniziative a favore della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, a prorogare al 2012 il divieto di incrocio tra giornali e Tv, a stabilire il calendario definitivo per la transizione alla trasmissione televisiva digitale terrestre, nonché alcune disposizioni speciali per la regione Abruzzo.
Desidero soffermarmi solo su alcuni aspetti di competenza della Commissione VII (Cultura). Nell'ambito dello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali per l'anno 2011 e per il triennio 2011-2013 è stato preso atto di una riduzione di 288,9 milioni di euro, pari Pag. 18a meno 16,8 per cento, che si aggiunge alla riduzione di 20,4 milioni di euro prevista dalla scorsa legge di bilancio e al decremento di 318,8 milioni di euro previsto dalla legge di bilancio 2009.
Il Programma a sostegno, valorizzazione e tutela del settore dello spettacolo, con uno stanziamento in conto competenza pari a 298,6 milioni di euro, ha subito una riduzione di circa 153,3 milioni di euro rispetto al dato assestato del 2010, e a 262 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
L'inadeguatezza e la scarsità di tali stanziamenti per la produzione dell'industria dello spettacolo italiano potrebbero determinare di fatto la chiusura di interi settori di attività che, al contrario, sono da considerare strategici per la ripresa del Paese e necessitano di adeguatezza progettuale sia in termini di finanziamento, sia in termini di programmazione e di politica di interventi.
Nel Programma rientrano in particolare gli stanziamenti per il Fondo unico per lo spettacolo con 258,6 milioni di euro, pari a meno 36 per cento rispetto al dato assestato del 2010. Esprimo quindi soddisfazione per il sostegno che il Governo intende dare alle fondazioni lirico sinfoniche, che la riduzione degli stanziamenti destinati alla cultura aveva messo in grave sofferenza, una sofferenza determinata dalla loro complessità, dai livelli occupazionali e dall'esposizione debitoria con le banche. Il Governo ha previsto nel decreto-legge «milleproroghe» norme di rifinanziamento per il 2011 delle predette fondazioni, per un importo pari a 15 milioni di euro quale apposita integrazione del FUS, con l'esclusione di alcune specifiche fondazioni cui è destinato l'importo di 3 milioni di euro ciascuna (Arena di Verona e Teatro alla Scala di Milano).
La normativa previgente in materia ha sicuramente evidenziato alcuni elementi di criticità che non hanno permesso di raggiungere gli obiettivi prefissati dal legislatore. È infatti venuto meno quello che era il presupposto base del decreto legislativo n. 367 del 1996, la centralità del finanziamento pubblico, che ha seguito l'andamento decrescente del FUS senza che a ciò corrispondesse un'adeguata incentivazione della partecipazione dei privati attraverso la fiscalizzazione del loro contributo. A ciò va aggiunto che la normativa successiva al citato decreto, ha fatto cadere alcuni requisiti imprescindibili per la trasformazione degli enti in fondazioni, come per esempio l'apporto dei privati e l'equilibrio economico-finanziario tra pubblico e privato, provocando forzate trasformazioni.
Convengo con chi sostiene che il FUS sia stato definanziato, ma vi invito a considerare che esso non è stato fino ad ora utilizzato in maniera ragionevole, atteso che con esso si sostenevano interventi disparati, non sempre qualitativamente rilevanti. Ritengo dunque essenziale, anche alla luce dei nuovi contributi previsti in questo decreto-legge, un uso virtuoso delle risorse disponibili secondo un'opportuna selezione, nell'ottica di premiare finalmente il merito. L'inadeguatezza, la scarsità di tali stanziamenti per la produzione nell'industria dello spettacolo italiano potrebbero determinare di fatto la chiusura di interi settori di attività che, al contrario, sono da considerare strategici per la ripresa del Paese, e necessitano di adeguatezza progettuale sia in termini di finanziamento, sia in termini di programmazione di politica di interventi.
Lo spettacolo in Italia nel suo complesso conta all'incirca 250 mila addetti tra artisti, tecnici, operatori, maestranze, e una tale esiguità di finanziamenti pubblici mette in serio rischio i livelli occupazionali dell'intero comparto. Molte delle quattordici fondazioni liriche del nostro Paese versano in una situazione di disagio dovuta alle consistenti spese di mantenimento di tali enti, in particolare le spese per il personale (si parla di circa 5.500 unità), che assorbono circa il 70 per cento del finanziamento pubblico. Per rendersi conto dello stato di crisi del settore lirico-sinfonico basti considerare che ad oggi le spese per il personale sostenute dagli enti lirici, appunto, assorbono un valore economico superiore al finanziamento statale. Risultano accumulate dal settore lirico-sinfonico perdite per complessivi 250 milioni Pag. 19di euro, a fronte di una situazione patrimoniale che vede in molti casi eroso anche il patrimonio indisponibile, costituito dal diritto d'uso gratuito degli immobili. Elevatissimi risultano essere inoltre gli interessi passivi, circa dieci milioni, a causa del continuo ricorso al credito bancario, nonostante la tempestività dell'erogazione dei contributi da parte dello Stato.
Lo stesso Ministro Bondi, nel depositare agli atti della VII Commissione i dati analitici sui bilanci delle fondazioni, aveva segnalato che il deficit delle fondazioni medesime per il 2007 era pari a 16 milioni di euro e che esso è pari a 160 milioni di euro con riguardo al periodo 2002-2008. La razionalizzazione dell'intervento pubblico e l'incentivazione del finanziamento privato in campo culturale restano, quindi, ancora al centro di ogni processo riformatore nell'ambito della cultura e dello spettacolo. Una razionalizzazione che, nel prossimo futuro, dovrà prevedere una serie di azioni, come interventi sulla governance delle fondazioni lirico-sinfoniche, attraverso la rivalutazione dei legami con il territorio. La riforma attuata non ha, a mio avviso, inquadrato correttamente il ruolo dei comuni. Sarebbe stato, invece, più opportuno collocare la riforma approvata nella visione federalista tale da assicurare un bilanciamento tra intervento centrale e autonomie. Inoltre, è necessaria la revisione dei criteri di finanziamento, valorizzando la progettualità e l'identità delle singole istituzioni. Ribadisco che il contributo dello Stato è insostituibile purché si raggiunga un equilibrio tra i finanziamenti statali, degli enti locali e dei privati da un lato e i ricavi ottenuti dalla vendita dei biglietti dall'altro. Attualmente, a fronte di un'assenza quasi totale di sponsor privati e di entrate irrisorie, la maggior parte delle risorse è di fonte statale, a dispetto della natura giuridica delle fondazioni.
Anche per quanto riguarda il cinema, il contributo statale non può più seguire percorsi automatici, ma deve essere mirato a sostenere i giovani, le sperimentazioni e le innovazioni. La disciplina vigente, frutto della riforma del Ministro Urbani di sei anni fa, ha avuto, a mio avviso, il merito di dettare regole di trasparenza e di efficienza, eliminando aree di eccessiva discrezionalità, ridisegnando i meccanismi regolativi del riconoscimento dei benefici, ponendo termine a decennali sprechi di risorse e dando luogo ad una prima fase di risanamento coincisa, non a caso, con un quadriennio di rinascita e di affermazione, in Italia e all'estero, del cinema italiano di qualità. Il contesto attuale, caratterizzato dalle ricadute negative di una crisi economica generale, che ha imposto tagli dolorosi, ma inevitabili, non appare essere tra i più favorevoli all'introduzione di una nuova riforma di sistema del sostegno pubblico alle attività cinematografiche. La risposta risiede, quindi, ancora una volta, nella defiscalizzazione e nel federalismo economico perché la gestione dei fondi dovrebbe, a mio modo di vedere, essere delegata alle regioni per un principio di sussidiarietà e di eterogeneità delle varie realtà italiane.
In merito alla questione di Pompei, è stato il Governo di centrosinistra ad accorgersi, nel 2007, dei fiumi di finanziamenti inutilizzati che venivano inviati a Pompei, tanto da decidere di accorpare le sovrintendenze di Napoli e Pompei. Si parlò di una prima tranche di 79-80 milioni di euro che, appunto, rimanevano inutilizzati. La struttura commissariale di Pompei è costata 2,3 milioni di euro, la mostra «Pompei e il Vesuvio» 600 mila euro, lo spettacolo «Pompei in scena» 113 mila euro, la sostituzione delle transenne che delimitano le rovine di Pompei 99 mila euro, quelle di Ercolano 37 mila euro, l'impianto per la diffusione del suono nello spazio 91 mila euro, una convenzione con l'Università di Tor Vergata per lo sviluppo di tecnologie sostenibili 724 mila euro, l'arresto dell'incremento di cani randagi 102 mila euro, una visita, che poi non c'è stata, del Presidente del Consiglio, 70 mila euro. Insomma, il totale delle spese è di oltre 4,5 milioni di euro e dovrebbero essere queste le uscite collaterali agli interventi di recupero dell'area archeologica. Pag. 20E ancora ricordiamo i 5,5 milioni di euro impiegati per il teatro dell'antica Pompei.
Il Governo, alla luce dei recenti crolli, ha individuato, perciò, nel presente decreto-legge, le risorse necessarie alla realizzazione del programma, affidando l'attuazione del programma stesso di interventi conservativi alla società ALES istituita dal Governo di centrosinistra nel 1998 al fine di consentire la stabilizzazione di personale impiegato in attività socialmente utili presso il Ministero dei beni culturali ed ambientali e che ha come oggetto sociale lo svolgimento di attività e di servizi di conservazione del patrimonio culturale. Ovviamente, nel merito, evidenzio l'esigenza di privatizzare questa società. Il provvedimento prevede, altresì, la proroga al 2012 del divieto di incroci tra giornali e Tv. La norma modifica la misura del «milleproroghe» che fissava al 31 marzo la decadenza del divieto. La modifica recepisce le osservazioni dell'Antitrust, che contestava il fatto che la proroga del divieto fosse nella discrezionalità del Premier, titolare di interessi nel settore.
Il decreto-legge va anche incontro alla richiesta dell'Agcom di prolungare il divieto fissato originariamente dalla legge Gasparri al 31 dicembre 2010. Senza un ulteriore intervento, quindi, dal 1o aprile sarebbe stato possibile per chi possiede più di una rete acquistare un quotidiano. La durata della proroga prevista dalla disposizione è allineata alla previsione dell'arco temporale del completamento della transizione al digitale terrestre la cui conclusione è fissata entro l'anno 2012. All'articolo 4 si proroga il termine per stabilire il calendario definitivo per la transizione alla trasmissione televisiva digitale terrestre. Viene inoltre dettata una nuova disciplina di assegnazione delle frequenze radiotelevisive anche in riferimento alla gara per i servizi di comunicazione elettronica mobili in banda larga.
Quindi direi e concludo, signor Presidente, che viene recepita comunque una necessità che si pone proprio alla base del settore culturale che è quella della lotta ancora e comunque agli sprechi e la necessità, da una parte, di un sostegno, ma anche di una maggiore razionalizzazione nell'utilizzo delle risorse (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, vorrei cercare in tempi contenuti di esprimere i motivi del dissenso dell'Italia dei Valori rispetto a questo decreto-legge e lo farò scorrendo gli articoli e dicendo qualche parola su ciascuno di essi. Abbiamo presentato anche delle pregiudiziali di costituzionalità perché riteniamo che vi siano parecchie censure sotto questo profilo.
Per quanto riguarda il FUS è evidente che l'Italia dei Valori è assolutamente d'accordo di trovare le risorse necessarie a ripristinarlo a livelli accettabili, ma non ci sta bene la scelta che è stata fatta nelle coperture. La copertura è stata fatta con l'accisa sulla benzina dopo che per moltissimo tempo il Governo aveva rifiutato sempre persino di esprimere un parere favorevole sui nostri emendamenti, quando venivano presentati da parte delle opposizioni. Ha invece scelto questa strada, che incide sull'inflazione. L'inflazione, il dato è di ieri, nel rumore dei risultati elettorali se ne è parlato poco, è stata certificata nel 2,5 per cento: è un'inflazione alta, forse destinata a salire ancora e certamente vi contribuisce in modo rilevante anche questa decisione governativa, che poi incide anche sull'IVA. Per questo addirittura abbiamo presentato una proposta di legge per impedire che si vada oltre una certa soglia e che l'IVA venga sterilizzata. Abbiamo proposto una soluzione alternativa. Abbiamo detto: andiamo a prenderli sì nel settore petrolifero, ma andando ad incidere sull'IRES per il settore petrolifero, ed utilizzando uno schema che in passato il Ministro Tremonti aveva utilizzato, quando diceva di voler colpire i petrolieri, e questa poteva essere una soluzione alternativa.
L'articolo 2 riguarda la questione di Pompei: anche qui noi crediamo che si sia disposto in modo sbagliato nell'istituire e Pag. 21nel prevedere deroghe in materia urbanistica e in materia di appalti che rendono ancora più opaca e ancora meno trasparente la gestione di tutti gli interventi che si devono fare in quell'area. Il fatto che si prevedono deroghe di qualunque tipo di natura urbanistica, non soltanto all'interno dell'area archeologica, ma anche in una perimetrazione esterna è un fatto assolutamente negativo, così come è negativo che si possa di fatto istituire anche lì una sorta di «Protezione civile» i cui effetti assolutamente devastanti abbiamo visto al tempo della «cricca» e della vicenda che ha riguardato, come è noto, anche il terremoto de L'Aquila. Abbiamo quindi presentato anche una serie di proposte emendative per evitare questo tipo di deriva, assolutamente negativa per il nostro Paese e per quell'area.
L'articolo 3 riguarda il divieto di incroci tra settore della stampa e settore della televisione.
Noi siamo naturalmente favorevoli alla proroga. Avevamo anche chiesto però, e lo faremo ancora in sede emendativa, che venisse stabilito un meccanismo adeguato per definire la quota al di là della quale scatta il divieto degli incroci. Fatta come è oggi è una quota che viene fissata con un dato dell'8 per cento secco, che è basato peraltro su rilevazioni che si riferiscono a 2 anni fa. Questo per noi è negativo. Noi abbiamo chiesto, con un nostro emendamento, che la cosa si faccia con un meccanismo che generi un automatismo tutti gli anni, basato sui dati aggiornati e man mano che vi è l'aggiornamento. Riteniamo che ciò sarebbe più consono a dare un valore assolutamente adeguato a quella che è la situazione degli incassi della pubblicità in questo settore.
L'articolo 4 riguarda misure sullo spettro radioelettrico. Qui il nostro appunto negativo c'è perché ancora una volta si interviene in un modo che favorisce le grandi reti televisive e quindi ancora una volta, come in moltissime di queste leggi, ci ritroviamo di fronte all'enorme, continuo e devastante conflitto di interessi del Presidente del Consiglio. Qui si finisce con il prelevare le frequenze a scapito - invece che di tutti, come prescrive peraltro la legge - delle reti radiotelevisive locali, che rappresentano uno strumento di pluralismo dell'informazione, non importa se di destra o di sinistra, ma che permettono in sede locale di avere un'informazione di tipo plurale. Invece in questo modo noi ancora una volta favoriamo le grandi reti e favoriamo, come ho detto, il Presidente del Consiglio e le sue aziende.
L'articolo 5 riguarda gli impianti nucleari. Noi abbiamo un referendum, il referendum siamo convinti che si farà il 12 e 13 giugno. Ma intanto ieri ce n'è stato uno, che si è fatto in Sardegna e che ha dato un risultato che è per il Presidente del Consiglio e per questo Governo, che hanno puntato sul nucleare e affermano a parole piene di continuare a voler puntare sul nucleare, non uno schiaffo, ma molto di più. Infatti, oltre il 90 per cento di coloro che hanno partecipato in Sardegna a questo referendum dice che non ne vuole sapere più di nucleare e di impianti nucleari. Dunque perché non approfittare di questo decreto-legge per mettere la parola «fine», una parola finale, una pietra tombale su questa idea sbagliata di riportare il nucleare nel nostro Paese, dopo tutto ciò che è avvenuto e che abbiamo visto anche in Giappone, con tutti i rischi conseguenti? Ma qui si doveva fare un favore a qualche amico, a qualche lobby economica, in particolare a quella legata anche poi al mondo economico francese e alle imprese francesi in questa materia, secondo WikiLeaks addirittura con tangenti già preannunciate o pagate rispetto alle somme in gioco. Quindi, anche qui noi crediamo che quello che è successo in Sardegna dovrebbe insegnare. Noi gli emendamenti li abbiamo fatti perché sia una scelta definitiva e non provvisoria, valutate voi, ma comunque siamo convinti che il 12 andremo comunque - ce lo auguriamo, perché questa è a tutti gli effetti una sospensione e non una cessazione definitiva - al referendum e lì gli italiani daranno la terza «battuta», dopo quella cominciata ieri: noi ci auguriamo che ve ne sia un'altra fra 15 giorni e poi Pag. 22un'altra ancora fra altri 15 giorni e a quel punto penso che anche il Governo ne dovrebbe trarre le conclusioni.
L'articolo 6 riguarda la questione del Servizio sanitario nazionale a L'Aquila. Noi abbiamo fatto alcune proposte, ancora una volta, perché in una situazione che è quella che è, su quei territori non si può immediatamente privare del Servizio nazionale tutta una serie di persone che in questo anno e in questi due anni hanno garantito il servizio, anche se in modo precario. Sulla Cassa depositi e prestiti interverrà sicuramente qualche collega più avanti.
Tuttavia, resta il fatto che noi chiediamo che la Cassa depositi e prestiti non diventi una nuova IRI, non diventi una nuova EFIM, non diventi di nuovo uno strumento messo nelle mani uniche, tra l'altro, del Ministro dell'economia e delle finanze per intervenire ed effettuare salvataggi, o cose del genere.
Sappiamo che ciò è stato fatto in occasione della vicenda Parmalat, in cui il Governo ha dimostrato, ancora una volta, tutta la sua inadeguatezza: infatti, realizzare un intervento nel momento in cui la situazione si era già presentata, significa che non vi sono stati un minimo di progettazione né di previsione in ordine a quanto poteva accadere. Significa che si interviene così, di volta in volta, caso per caso, con interventi spot sbagliati, come quello concernente le assemblee, che si è rivelato inutile, e come quello in oggetto, che, se fatto così, deve chiarire bene quali sono i limiti di intervento della Cassa depositi e prestiti nell'economia.
Con questo ho passato in rassegna tutti gli articoli del provvedimento in discussione, come intendevo fare. Il nostro voto - lo preannuncio già - sarà assolutamente contrario. Non sappiamo se ci aspetta, come io immagino data la blindatura del provvedimento, un bel nuovo voto di fiducia. In ogni caso, se così non dovesse essere, abbiamo preparato una serie di emendamenti: chiederemo all'Assemblea di approvarli per correggere il provvedimento in oggetto che, così com'è, è assolutamente sbagliato ed inutile, anzi dannoso, per la nostra economia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baretta. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, i nodi prima o poi vengono al pettine: ci vuole il tempo e la pazienza di un lavoro quotidiano fatto di contenuti, di proposte, di indicazioni e di denunce. Ci vuole anche un'idea Paese che, per quanto in via di costante definizione a causa del rapido mutare degli eventi internazionali e locali, faccia però emergere una prospettiva ideale e strategica. Questo è il lavoro spesso oscuro, talvolta anche poco riconosciuto, al quale ci siamo dedicati in questi ormai lunghi, troppo lunghi, anni di legislatura.
Come ho potuto dire non molti giorni fa in occasione del dibattito sulla manovra economica e sul Piano nazionale delle riforme, è ormai tempo di bilanci. Abbiamo sempre avuto la convinzione che i bilanci che facciamo noi siano importanti ma mai definitivi, finché non sono i cittadini e gli elettori a farli. Ora il tempo del bilancio politico - perché di questo si tratta - è cominciato.
La questione economica, la natura dello sviluppo e la strategia per affrontare la difficile crisi nella quale versa l'Italia sono parti essenziali di questo bilancio. L'abbiamo detto insistentemente in questi anni: sin dall'inizio si prefiguravano le condizioni per poter dire, oggi, che il bilancio è negativo. Non è più soltanto la nostra opinione, ma è anche quella di una crescente parte di cittadini.
La sicumera con la quale la maggioranza ha gestito proprio la questione della crescita non è estranea alle valutazioni che sto facendo. L'arroganza di un Governo, che è commissariato dal Ministro dell'economia, che non risolve i problemi che sono alla base di tale bilancio negativo, ne è una prova. I dati sono lì a dimostrarlo e, purtroppo, sono visibili ogni giorno e non salvano molti: la disoccupazione in generale, ma quella giovanile e femminile Pag. 23innanzitutto; la scarsa crescita del PIL, che non sfonda l'1 per cento, quando solo ieri la Germania andava verso il 5 per cento; il debito pubblico, cavallo di battaglia del Governo, è al 120 per cento. Esso è stato ereditato al 102 per cento e, dunque, in tre anni, è peggiorato di quasi 20 punti.
Ci vorrà una manovra: il Ministro Tremonti la nega e rinvia a dopo le prossime elezioni politiche - che colloca ancora nel 2013, ma mi sembra lontano, forse vi si arriverà prima - gli interventi più strutturali. Anche qui, vi è uno sbaglio: rinviare l'opera vera di intervento coraggioso è un errore, ma è un errore che si fa perché non si vuole avere una strategia unitaria del Paese.
La Lega, che registra molti motivi di riflessione in queste ore, ci ha spesso deriso in quest'Aula, dicendo: continuate così. Penso che oggi questa dichiarazione sprezzante possa essere, invece, rovesciata su di loro. «Continuate così» lo diciamo noi. Continuate ad appoggiare senza criterio ogni scelta del Governo e del Presidente del Consiglio. Continuate pure ad assumere quell'atteggiamento doppio: populisti con il popolo al nord e realisti con il re a Roma. Continuate ad insultare, a discriminare e ad agitare le paure invece delle speranze, a dividere anziché unire.
Non sto parlando d'altro, signor Presidente, ma esattamente dell'oggetto della nostra discussione di oggi. Si guardi, infatti, al merito del provvedimento omnibus che stiamo affrontando e noteremo come il vuoto di strategia che denunciamo cozzi contro le esigenze reali del Paese, ma come questo vuoto si sposi con la superficialità con la quale si affrontano, da parte della maggioranza, i problemi aperti.
Questo provvedimento cade tra il piano nazionale delle riforme, di cui abbiamo parlato, e il prossimo decreto annunciato, che attendiamo con ansia, quello «balneare»; per capirci: «balneare» non perché è estivo, ma per la folgorante idea della prevendita delle spiagge, questione che, però, pare non interessare nemmeno il titolare dell'economia che, pure, la ha proposta.
Tra questi due provvedimenti - quello macro, ossia il piano nazionale delle riforme (PNR), deludente, e quello prossimo, micro, inutilmente elettorale - questo risulta schiacciato, debole, e, nonostante lo zelo, che apprezzo, del collega Gioacchino Alfano nel difenderlo, è scarsamente difendibile. Si tratta, infatti, sostanzialmente, di un'operazione di potere, come il caso degli incroci tra stampa e televisione, o anche del tentativo di alterare (ne parlerà con più precisione il collega Fluvi) la stessa natura della Cassa depositi e prestiti, oppure è destinato a correggere errori che si sono accumulati in questi anni causata dall'inesorabile necessità di provvedervi, come è il caso del nucleare.
Giustamente, la collega Capitanio Santolini poc'anzi ha denunciato la natura omnibus di questo provvedimento e il fatto che si insista troppo con provvedimenti omnibus, che non affrontano «una organicità».
Il fatto che sia schiacciato e slegato da un filo conduttore è l'esempio della critica di fondo che rivolgiamo alla maggioranza e al Governo: ossia, l'assenza di una strategia ed un'accozzaglia di interventi raffazzonati. Così non si esce dall'angolo.
Tuttavia, non penso che questo vuoto di strategia significhi che non vi sia un disegno. Infatti, volenti o no, il Paese che emerge alla fine di questi tre anni da questo bilancio, non è un Paese migliorato, anzi è un Paese lasciato solo ad arrabattarsi con le difficoltà di tutti giorni.
Analizziamo solo rapidamente, senza entrare nel dettaglio, alcuni aspetti di questo decreto-legge. Ne cito quattro. In primo luogo, l'intervento sulla cultura: era ora. Finalmente si capisce che con la cultura si mangia. È ancora nelle nostre orecchie l'intervento, in quest'Aula, del maestro Muti in occasione del concerto che, con grande rispetto delle istituzioni e senza alcuna polemica, richiamava l'esigenza di riparare ai torti che erano stati fatti al settore della cultura.
Questa è solo una «pezza» ai tagli precedentemente fatti. Ma con quali risorse viene apportata questa «pezza»? Pag. 24Attraverso un aumento dell'accisa della benzina che si scarica sui consumatori. È il momento nel quale si può fare un'operazione di questo tipo? È l'unica risorsa disponibile per fare un provvedimento necessario, sia pure tampone?
Io penso - e lo dico anche nella mia qualità di componente della Commissione bilancio - che ci vorrebbe, in questa Camera, una discussione più rigorosa sull'intero sistema delle coperture. Qui, per esempio, ne era prevista una (so che il tema è controverso, ma non mi sottraggo): quella del prezzo del biglietto sulla benzina
So che vi sono opinioni disparate, ma io mi chiedo se, mettendo su un piatto il prezzo del biglietto del cinema e su un altro l'aumento delle accise sulla benzina, un ragionamento che ci portasse a scegliere con più oculatezza non sarebbe necessario. Quali ricadute hanno dunque le coperture che si fanno a cuor leggero? Peraltro, ricordo che questa copertura è stata più volte rifiutata dal Governo per altri interventi a sostegno, ad esempio, delle famiglie, a sostegno del sociale.
Il secondo capitolo riguarda le frequenze: è evidente che si tratta di un tema molto serio. Anche qui c'è un problema di copertura che è stato affrontato qualche mese fa quando si è definito il quadro quantitativo di quanto si stima possa dare la frequenza; ma la questione non è soltanto un aspetto quantitativo, è il significato che questa operazione assume. Da alcuni di noi fu fatta una battaglia, perché venisse considerato il quadro quantitativo dell'intervento sulle frequenze. Ricordo che nel primo provvedimento queste ultime erano totalmente gratuite, era stato segnalato che sarebbero state concesse senza nessun calcolo del beneficio economico per le casse dello Stato. Si tratta di un tema molto serio, molto delicato che va affrontato in un quadro di strategia generale.
Il terzo capitolo riguarda l'energia. È evidente che il Governo non aveva alternative dopo quanto è accaduto nel dibattito globale a seguito delle drammatiche vicende giapponesi. Questa inversione di tendenza è drastica e, penso, definitiva, nonostante ci sia chi crede che sia solo provvisoria e il Presidente del Consiglio ha fatto in modo di far sembrare che così fosse, ma è difficile pensare che dopo che aver cancellato anche i piani, fra sei mesi possiate tornare indietro come se non fosse successo niente. Ma allora qual è il piano energetico alternativo? Né nel provvedimento sulle riforme precedente, né nell'annunciato provvedimento economico di bilancio successivo, quello «balneare», c'è un piano energetico disponibile. Abbiamo, giustamente, tolto di mezzo il nucleare e, contemporaneamente, tolto gli incentivi alle rinnovabili: siamo senza un piano energetico. Sei mesi fa sembrava che senza energia nucleare l'economia non sarebbe cresciuta, adesso pare che possa crescere addirittura senza energia.
Infine, per quanto riguarda la Cassa depositi e prestiti ne parleranno gli altri colleghi, ma voglio solo accennare al fatto che questo intervento avrebbe avuto bisogno di un contesto di discussione di strategia di politica industriale e di politica economica ben più serio. Passiamo dalla nuova IRI alla Banca per il sud come se fosse niente; senza renderci conto che dietro o c'è un'idea strategica, e in questo caso non può essere nemmeno solo della maggioranza ma deve essere un'idea Paese, oppure ogni provvedimento appare semplicemente finalizzato all'aumento di potere anche interno alla composizione del Governo.
Insomma, signor Presidente, e in tal modo rispetto i tempi che avevamo in qualche modo definito, concludo con un'osservazione di questo tipo: questo piccolo provvedimento omnibus, schiacciato dalle altre grandi manovre, è sbagliato, è una ulteriore dimostrazione che bisogna cambiare il passo. La verità è che in Italia non abbiamo né Obama, né Cameron; siamo in una situazione nella quale il nostro Governo è in palese difficoltà, accentuata anche dalle vicende di queste ultime ore e siamo preoccupati, da questo punto di vista, per le sorti della nostra economia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 25

PRESIDENTE. Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 14,30 con il seguito della discussione sulle linee generali.

La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 14,40.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione (ore 14,41).

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 4307)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è molto difficile - come è già stato detto, fra l'altro - trovare un filo conduttore che tenga insieme i diversi articoli di questo decreto-legge: si va dal rifinanziamento del Fondo unico per lo spettacolo agli incroci fra stampa e televisioni, dal nucleare al ruolo della Cassa depositi e prestiti, e l'elenco potrebbe continuare.
Per carità di patria evito di commentare questo pot-pourri normativo, così come non mi soffermo sul fatto che, come è già stato detto, abbiamo avuto solo pochi giorni per esaminare nelle Commissioni questo testo. Si tratta di un argomento che abbiamo più volte portato all'attenzione dell'Aula e ormai credo sia di fronte a tutti che viga una prassi: che i provvedimenti del Governo vengono esaminati solo da un ramo del Parlamento e ratificati dall'altro, e anche questo decreto-legge non sfugge a questa regola.
Signor Presidente, fatta questa premessa vorrei dedicare il tempo del mio intervento ad una riflessione su un aspetto contenuto in questo decreto-legge, che riguarda il ruolo della Cassa depositi e prestiti così come delineato dall'articolo 7.
Non vi è dubbio che la discussione si intreccia con quella che abbiamo svolto solo pochi giorni fa sul decreto-legge n. 26 del 2011, che contiene misure atte a consentire per l'anno in corso lo slittamento delle assemblee annuali delle società e, oggi come allora, non possiamo che ricordare la genesi dei due provvedimenti legislativi, il riferimento alla discussione che ha animato il dibattito pubblico negli ultimi mesi, cioè il tentativo di fermare lo straniero sulle Alpi e di impedire la conquista di Parmalat da parte di Lactalis. La chiamata alle armi per fermare l'invasore transalpino si è conclusa con un lancio dell'OPA totalitaria di Lactalis su Parmalat, si è conclusa con l'autorizzazione da parte della Consob all'azienda francese dell'OPA e si è conclusa con il «sì» dei sindacati al piano industriale di Lactalis.
Qualche volta, onorevoli colleghi, sarebbe utile una discussione per verificare la coerenza delle intenzioni agli obiettivi, verificare cioè se le barricate erette a difesa della italianità hanno sortito gli effetti sperati, verificare la coerenza fra le affermazioni del Ministro Bossi (ricordo ancora che qualche settimana fa disse che Parmalat non sarebbe stata mai dei francesi), gli strumenti predisposti dal Ministro Tremonti, cioè i due decreti - quello cui facevo riferimento prima, che consentiva lo slittamento delle assemblee delle società e questo decreto, recante l'ampliamento del perimetro di intervento della Cassa depositi e prestiti - e, infine, le dichiarazione del Presidente del Consiglio al termine del vertice italo-francese, quando ebbe Pag. 26a dichiarare che l'OPA di Lactalis su Parmalat non poteva considerarsi certo ostile.
Parmalat che passa in mani francesi è sicuramente una perdita per il nostro Paese, per le opportunità che questa piccola multinazionale offre in termini di valore aggiunto sul fronte dell'innovazione e del capitale umano. Ma la vicenda Parmalat è anche il frutto dell'incapacità del nostro sistema economico e finanziario di guardare al di là del suo naso: una public company che si fa trovare con un capo-azienda seduto su una montagna di soldi senza una vera strategia di espansione, con banche e fondi italiani ormai usciti da tempo dal suo capitale.
Il punto vero, come più volte abbiamo avuto modo di dire, è che in questo Paese manca una politica industriale. Per semplicità ricordo soltanto che siamo stati mesi senza un Ministro dello sviluppo economico, e per di più al Ministero dell'agricoltura si sono ormai avvicendati tre Ministri. La vicenda Parmalat è la dimostrazione più evidente, signor sottosegretario, che l'italianità non si difende e non si promuove per decreto-legge o con furberie. La verità è che anche gli ultimi dati sulla crescita, quelli diffusi qualche giorno fa dall'ISTAT, e la differenza con gli altri Paesi europei sono la dimostrazione più evidente del fallimento di una politica economica tutta centrata sulla tenuta della finanza pubblica. Sono la dimostrazione, a mio avviso, della necessità di una sintesi nuova, della necessità di coniugare rigore nella finanza pubblica a misure di impulso alla crescita e allo sviluppo.
E non ci si venga a dire che il recente decreto-legge varato dal Governo va in questa direzione! Gli unici aspetti positivi riguardano le misure che avete ripristinato dopo averle inopinatamente cancellate dai provvedimenti del Governo Prodi.
Francamente, colleghi, rimane difficile immaginare gli assi e le linee portanti della politica economica del Governo e della maggioranza. Da una parte, si guarda con favore alla modifica dell'articolo 41 della Costituzione dicendo che occorre togliere lacci e lacciuoli alle imprese, come se l'articolo 41 fosse fra i problemi che hanno impedito la crescita di Parmalat, e, dall'altra, create strumenti (penso alla Cassa depositi e prestiti e alla Banca del sud) posseduti dallo Stato: da una parte, la Cassa depositi e prestiti, il cui 70 per cento è detenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze, dall'altra, la Banca del sud costruita attraverso l'acquisizione da parte di Poste di Mediocredito centrale, e Poste, come sappiamo, è posseduta al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze. Altro che colbertismo, onorevoli colleghi! In altre epoche e in altri tempi avremmo usato altri termini, forse più appropriati, tipo quello di socialismo reale.
Non c'è dubbio che anche la Cassa depositi e prestiti può svolgere un ruolo importante; può essere, a nostro avviso, uno strumento utile di politica industriale, uno strumento utile al sistema economico del nostro Paese, ma rischia di essere uno strumento industriale senza una politica industriale.
Il ruolo che storicamente Cassa depositi e prestiti ha ricoperto è stato quello di erogatore di mutui ad enti locali e Tesoro, utilizzando il risparmio postale. Nel 2003 è diventata una società per azioni, sempre controllata dal Tesoro, è uscita dal perimetro della pubblica amministrazione, ha ampliato le sue funzioni e, in ultimo, sono state introdotte nel 2010, con il decreto-legge n. 78, ulteriori modifiche al suo raggio di azione. Insomma, in tutti questi anni Cassa depositi e prestiti ha cambiato pelle: non più solo erogatore di mutui e prestiti ad enti locali, ma anche strumento di sostegno alle imprese. Nell'audizione che abbiamo avuto agli inizi del mese di marzo con l'amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, il dottor Gorno Tempini, egli ha sottolineato in maniera particolare il ruolo centrale di sostegno alle imprese. Cito testualmente: «Raddoppieranno, rispetto al triennio precedente, i volumi di nuovi impieghi nel comparto, raggiungendo i 14 miliardi».

Pag. 27

Si va dal plafond per le piccole e medie imprese, che finanzia le imprese tramite le banche, al Fondo italiano di investimento (un fondo di private equity per ricapitalizzare le piccole e medie imprese), dal Fondo rotativo al supporto all'export con la SACE.
Non vorrei in questa sede entrare nel merito dell'attività di Cassa depositi e prestiti. Quello che mi interessa sottolineare in questo dibattito è che attorno a questo cambiamento di pelle - come ho cercato di definire - non vi sia stato modo di discutere né nel 2003, quando la Cassa è stata trasformata in società per azioni, né nel 2010 quando abbiamo ampliato il periodo di intervento. Infatti, in entrambe le occasioni il Governo ha posto la questione di fiducia. Temo che la storia torni a ripetersi anche su questo provvedimento.
È un peccato, perché non siamo pregiudizialmente contrari ad utilizzare Cassa depositi e prestiti come strumento di politica industriale, ma un conto è dire questo e un conto è leggere l'articolo 7 di questo decreto-legge. Si autorizza, in sostanza, Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico e produttivo del Paese. I requisiti sono definiti dal Ministro dell'economia con proprio decreto.
Cari colleghi, si converrà con me che, così com'è scritto, il testo, da un lato, è estremamente vago e, dall'altro, vi è un eccesso di discrezionalità da parte del Ministro dell'economia. Che cosa significa, per esempio, «di rilevante interesse nazionale» in termini strategici? Che cosa vuol dire? Quali sono i settori strategici? Parliamo di reti, di energia, di industria della difesa oppure intendete qualcosa di diverso oppure vi è la disponibilità ad allargare il campo? Ha senso parlare di «settori» strategici oppure conviene esplorare il terreno dei «progetti» strategici? È giusto che sia il Ministro dell'economia a dettare le condizioni per le acquisizioni? È giusto che non vi sia un ruolo per il Parlamento?
La Cassa non è una società quotata, la sua gestione è fortemente condizionata dall'azionista di maggioranza, cioè dal Ministro dell'economia senza un confronto reale con il mercato. È vero che la Cassa possiede delle competenze nel settore delle infrastrutture, ma ha competenze nella gestione di imprese industriali che ad oggi non sono la sua mission? I fondi della Cassa derivano principalmente dalla raccolta postale che viene remunerata a condizioni non di mercato per via dell'assicurazione che lo Stato garantisce. In sostanza, gode di una forma di sussidio. Di fatto, la Cassa è una banca senza essere assoggettata alla regolazione delle banche.
Il decreto-legge, inoltre, oltre all'intervento diretto, lascia anche spazio ad un'altra strada a mio avviso più virtuosa che è quella di partecipazioni a fondi o a società assieme ai privati, ma anche oggi la Cassa, per esempio, insieme alle grandi banche italiane partecipa al Fondo italiano di investimento.
Il Fondo italiano di investimento - i colleghi sicuramente lo sapranno - è un fondo chiuso e investe in un'ottica di medio e lungo periodo in aziende con fatturato fra i 10 e i 100 milioni di euro e l'obiettivo è agevolare i processi di patrimonializzazione. Si tratta di un obiettivo lodevole, considerato il panorama del sistema industriale italiano e considerato che il nostro sistema economico è in gran parte fatto da piccole e piccolissime imprese.
È uno sforzo, quello del Fondo italiano d'investimento, che fino ad oggi ha prodotto due o tre investimenti nel nostro Paese. Pertanto, mi domando: in Italia ci sono 188 operatori di private equity, in dieci anni dal 2000 al 2010 l'attivo dei fondi è cresciuto da 580 milioni a 5,8 miliardi. Signor sottosegretario, poniamo interrogativi e domande a cui sino ad oggi non è stata data risposta, almeno in Commissione. Non abbiamo ricevuto risposte in Commissione, non vi è stato il tempo né la possibilità di confrontarsi su questi e Pag. 28altri interrogativi. Mi auguro che il dibattito in Aula aiuti a capire e a chiarire tali questioni.
Signor Presidente, concludo con un ultimo invito al confronto. Lo ripeto, non siamo pregiudizialmente ostili o contrari ad un ruolo di Cassa depositi e prestiti. Abbiamo presentato emendamenti volti a definire meglio quel concetto di strategicità così troppo vagamente definito nell'articolo 7, abbiamo provato a definire meglio le piste di lavoro di Cassa depositi e prestiti e con i nostri emendamenti abbiamo provato a sottrarlo alla discrezionalità del Ministro «di turno», restituendo centralità al Parlamento.
Mi auguro, e concludo signor Presidente, che questa disponibilità venga raccolta con favore dal Governo e dalla maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, innanzitutto mi interrogo - lei me lo consentirà, vero, signor Presidente? - su come andrà a finire questo provvedimento. È legittimo chiedermelo perché mi risulta che l'ordine del giorno di quest'Aula oggi si trasformerà in un dibattito molto «partecipato» come lei potrà ben vedere, poi si interromperà per parlare di testamento biologico e poi si vedrà, se il Governo e il suo Presidente del Consiglio - il suo - valuteranno esserci le condizioni per un voto di fiducia - se i Responsabili saranno ancora tali - su questo provvedimento, visto che i tempi iniziano a stringere rispetto alla sua scadenza. Oppure no, visti i risultati di questa notte e di ieri sera: ossia, è meglio non rischiare e, quindi, tentare di andare ad un corso naturale delle cose sperando che nulla venga modificato e che tutti nella vostra maggioranza siano «allineati e coperti». Staremo a vedere.
Intanto constato, come ho detto durante la discussione in Commissione, che non c'erano e non ci sono le condizioni e i requisiti di necessità e urgenza così come previsto dall'articolo 77 della Costituzione, perché non c'è l'urgenza. Rispetto a cosa c'è l'urgenza? Dov'è? Sulla questione del nucleare, qualcuno ha detto: sì e no. Sì per alcuni Paesi, no per il nostro, perché l'urgenza è stata prevista dal Piano europeo limitatamente a quei Paesi in cui le centrali nucleari ci sono e, quindi , per quei Paesi, quei siti e quelle centrali che necessitano di una serie di verifiche. Noi non ne abbiamo funzionanti, quindi queste necessità e urgenza non ci sono.
In compenso constatiamo, signor Presidente - ma non lo scopriamo oggi perché è stato detto da altri colleghi - che in queste tre anni il Dicastero secondo per importanza, almeno sul fronte economico, dopo quello dell'economia, vale a dire il Ministero dello sviluppo economico, in un momento così difficile e grave per il nostro Paese non c'è mai stato.
Non c'era con il Ministro Scajola, perché si occupava d'altro, e non c'è stato subito dopo, perché il Presidente del Consiglio lo ha avocato a sé, ma poi sappiamo quanto non abbia dedicato a questo Dicastero; per la verità, non ha dedicato nulla neanche al resto, se non ai suoi problemi personali.
Poi, finalmente, ha trovato l'uovo di Colombo, pardon, il Paolo Romani di turno: gli ha affidato questo Dicastero e sappiamo di cosa si sta occupando (di televisione ne parleremo tra poco). Qual è la constatazione? Non vi è stata e non vi è una politica economica industriale vera di questo Governo e di questa maggioranza. Non se ne è mai vista traccia! A dirlo, come sono solito dire io, non è chi vi parla, non è Renato Cambursano, ma è un giornale sul rosé, che si chiama il Sole 24 Ore, di qualche giorno fa (per la verità, di tre settimane fa).
Il titolo era: «Politica industriale non pervenuta». È come quando vi sono le previsioni del tempo o le temperature delle varie città italiane: in qualche caso vi è scritto n. p., non pervenuta. La politica industriale è questa: non pervenuta, non c'è. Ecco perché la presidente di Confindustria aveva buon motivo, purtroppo, per dire Pag. 29che gli imprenditori, tutti, piccoli e grandi, sono stati lasciati soli dal Governo e dalla maggioranza. Non ci si è preoccupati di fare una vera politica industriale in questo Paese.
Non vi è neppure una conoscenza reale di quali sono le potenzialità vere di un Paese come il nostro, che non ha materie prime e che, ahimè, non ha più una serie di produzioni industriali, perché, nel contempo, le ha abbandonate, come quelle della chimica, dell'informatica o della telematica. Ha delle potenzialità enormi, come quella sul fronte della cultura, dei beni storici, architettonici e paesaggistici, del turismo. Vi è una politica industriale rivolta - potrà sembrare profanatorio dire una cosa del genere - al miglior uso di questi beni enormi del nostro Paese, e cioè i beni culturali, storici e architettonici?
Se la sola Toscana, signor Presidente, ha più beni storici e architettonici di tutta la Spagna - non stiamo parlando di un paesino, ma di un importante Paese, che ha una storia millenaria tanto quanto quella italiana - vi è una politica rivolta a quei due settori trainanti? Non se ne vede traccia, anzi, in compenso, la politica adottata, esclusivamente finanziaria, dal Ministro dell'economia e delle finanze, definita da lui stesso, ma anche da noi, la politica dei tagli lineari, cioè con l'accetta trasversale su tutti i settori, ha portato le conseguenze di cui stiamo parlando e di cui ci si rende conto anche in questo decreto-legge, con l'articolo 1, quello a proposito, per l'appunto, del Fondo unico per lo spettacolo, o con quello successivo sulla situazione drammatica di Pompei, con tutti i suoi beni architettonici di fama mondiale, unici al mondo.
I tagli lineari sono la legittima conseguenza di una filosofia che ha impregnato l'azione del Ministro dell'economia e delle finanze, che non c'è, cioè quella per cui con la cultura non si mangia. Appunto, non si mangia, e quindi si può tagliare, salvo poi rendersi conto che le conseguenze sono disastrose, non solo per i crolli, ma anche perché tutta una potenzialità enorme di questo Paese sul fronte culturale stava andando dove stava andando.
A fronte di sollecitazioni, finalmente, ci si rende conto che, forse, era bene mettere mano al portafoglio, ed eccoci qui. Si stanziano alcuni milioni aggiuntivi, però, lo sa, signor Presidente, che la legge finanziaria per il 2008 - non governava l'attuale Esecutivo, ma si tratta di una legge finanziaria approvata dal Governo Prodi - aveva aumentato la dotazione del Fondo unico per lo spettacolo, portandolo a 510 milioni di euro nel 2008?
Adesso siamo, per l'anno 2011, con le ultime integrazioni oggetto di discussione, a soli 422 milioni di euro che diventeranno 411 milioni di euro per gli anni 2012 e 2013.
Ora, per incrementare queste risorse, visto che ci si è resi conto che i tagli lineari non funzionavano, che cosa si fa? Ci si contraddice. Si è sempre detto di non mettere le mani in tasca ai cittadini mentre adesso, invece, vi si mettono pesantemente, ma lo si fa in maniera subdola, di modo che non se ne accorgano. Con gli incrementi sulle accise dei prodotti petroliferi, infatti, il carburante costerà di più anche per quei cittadini che, per necessità, ne hanno bisogno per far funzionare il proprio mezzo per andare a lavorare o per usarlo in altro modo. Ecco perché si mettono le mani in tasca ai cittadini e si fa una cosa contraria a quella che è sempre stata detta sinora. Si dice una cosa e se ne fa un'altra. Signor Presidente, in relazione ad emendamenti presentati dal gruppo Italia dei Valori, del Partito Democratico, dell'Unione di Centro per il Terzo Polo e, qualche volta, addirittura dalla vostra maggioranza - signor sottosegretario, lei lo sa bene, lo dico con simpatia ed amicizia, se me lo permette - per la cui copertura finanziaria si proponeva di reperire le risorse, per l'appunto, dall'aumento delle accise, ci è sempre stato risposto «no, non si può!». Anzi, addirittura, per ricordare il fatto più recente relativo all'A.C. 2128 in tema di trasporto pubblico ferroviario, un rappresentante del Governo, non era lei sottosegretario, definì Pag. 30il ricorso all'incremento delle accise, leggo: «in contrasto con le linee generali di politica economica del Governo». Poi forniva anche la spiegazione di ciò. Perché era contrario alle politiche del Governo? Perché attivava una spinta inflazionistica. Naturalmente, questo avviene solo se lo fanno gli altri, se lo fate voi invece no, questo non accade, perché voi siete, ovviamente, al di sopra di ogni sospetto. Quindi, vi è stata «un'inversione ad U» proprio quando il prezzo dei carburanti è salito alle stelle, proprio quando si sarebbe dovuto fare l'esatto contrario, ossia sterilizzare gli effetti fiscali di questi aumenti.
Parlerò velocemente dei successivi articoli. In merito all'articolo 2, relativo al finanziamento di un programma straordinario per Pompei, vi chiedo dove prendete i quattrini? Si dirà «dove ci sono». Infatti, dal solito Fondo FAS e, in particolare, da quello spettante alla regione Campania la quale, poverina, si vede sottratte ulteriormente queste risorse mentre sappiamo quanti bisogni alti e robusti vi siano per quella realtà territoriale, per cui, forse, sarebbe stato più opportuno provvedere diversamente, ma la vostra fantasia arriva soltanto fin lì.
Deve essere individuato un altro strumento perché vi è bisogno di reperire risorse umane per fare fronte alle necessità di cui abbisognano quei territori di Pompei, quindi di specialità professionali di altissimo profilo. Ebbene, dove si attingono le risorse umane? Dalla società ALES Spa alla quale è affidata la realizzazione dei lavori. Quali sono queste risorse umane dentro ad ALES Spa? Lavoratori socialmente utili, ossia profili che nulla hanno a che vedere con l'alta specializzazione richiesta, per l'appunto, per questo tipo di attività.
Vi è poi un'altra ciliegina sulla torta, sempre a proposito dell'articolo 2 del decreto-legge in esame, ma questa è una vostra specialità, in questo devo dire che siete coerenti: l'uso del territorio è ad libitum, ognuno faccia quello che ritiene più opportuno. Si possono occupare le coste, si può costruire sulle spiagge, si può fare tutto quello che si vuole, libertà assoluta! Infatti vi chiamate popolo - poi parleremo del Popolo - della Libertà. Nel suddetto articolo che cosa prevedete? I terreni esterni al perimetro delle aree archeologiche potranno non essere soggetti al rispetto delle leggi urbanistiche e di tutela del paesaggio.
Complimenti! Ognuno ci metta quello che vuole lì dentro! Sappiamo che stiamo parlando di una regione, la Campania, dove ovviamente i poteri di un certo tipo vanno alla grande. Mi pare che si chiami «Camorra», vero, quella roba lì?

PIERFELICE ZAZZERA. Casalesi.

RENATO CAMBURSANO. ...Casalesi e dintorni. E, allora, cosa si fa? Fate quello che volete e intorno a Pompei agite liberamente.
Passiamo all'articolo 3. Qualcuno potrebbe dire: finalmente c'è stato un po' di ripensamento e parrebbe un elemento positivo quanto previsto da questo articolo: per i soggetti che esercitano attività televisive in ambito nazionale attraverso più di una rete c'è una nuova proroga del divieto di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o di partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici. Questa è la parte, per così dire, positiva, ma c'è l'altra faccia della medaglia, che tentate di tenere nascosta, ma non ci riuscite. Allora ecco che c'è il problema di determinare la valutazione del valore economico del Sistema integrato della comunicazione, cosiddetto SIC. Le cifre sono quantificate in modo scientifico e devo dire che in questo avete una specializzazione assoluta - siete precisi fino alla virgola - perché non consentite a quelle società che hanno attività televisive con ricavi superiori all'8 per cento del SIC (leggasi Sky) di intervenire per l'appunto sull'acquisizione di partecipazioni in attività editoriali. Oppure i soggetti i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche siano superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, anche questi non potranno farlo (quest'altra condizione Pag. 31ha un nome: Telecom Italia Spa). È la scientificità portata alle estreme conseguenze!
Ovviamente si conoscono le ragioni di tutto ciò. La formulazione, propria della proposta emendativa presentata nel corso dell'esame nell'altro ramo del Parlamento del decreto-legge «milleproroghe» che sostituiva l'ambito di applicazione soggettiva del divieto, viene ripresa in toto; in seguito alle modifiche introdotte dal testo definitivo del «milleproroghe», si è attribuito al Presidente del Consiglio - udite - il potere di prorogare o meno il divieto di incroci azionari tra giornali e TV dopo il 31 marzo 2011. Si tratta di una previsione normativa altamente inopportuna, che avrebbe attribuito al Presidente del Consiglio ampia discrezionalità in merito alla gestione di TV e giornali. Poi in sede di esame del provvedimento il nostro gruppo dell'Italia dei Valori, al Senato, ha presentato un ordine del giorno per segnalare l'inopportunità di una disposizione che riportava nelle mani del Presidente del Consiglio un simile potere, per una questione semplice, ovvero quell'ennesimo e terribile conflitto di interessi, che quella persona, per quel ruolo di Presidente del Consiglio, ha in quanto azionista di riferimento - ovviamente sapete bene di quale partecipazione sto parlando - nel campo delle telecomunicazioni e soprattutto dell'informazione.
Di ciò si è reso conto anche il presidente dell'Agcom, in seguito all'approvazione del decreto-legge «milleproroghe», il quale scriveva che è inopportuno attribuire al Presidente del Consiglio il potere di prorogare o no il divieto di incroci proprietari tra giornali e TV, successivamente al 31 marzo 2011. L'Antitrust esprimeva inoltre l'auspicio che la disciplina del divieto di incroci sia sottratta alle competenze - leggo testualmente, signor sottosegretario - dell'attuale Premier. Quindi anche l'alta autorità, importante e indipendente, ci scrive quanto sopra. Vado velocemente alla conclusione rispetto a questo punto. Se da una parte, come dicevamo, consideriamo positivo il rinvio del divieto al 31 dicembre 2012, va però detto che praticamente con una forma elegante di furbizia - in questo bisogna dire che siete davvero dei campioni - si è stabilito che, se il Presidente del Consiglio non può acquisire il Corriere della Sera - tale, infatti, è sempre stato il suo obiettivo - o qualsiasi altro ulteriore giornale, non potranno farlo neppure gli altri soggetti concorrenti. Come dire: visto che non posso farlo io, perché devi farlo tu? Allora io ti metto la museruola e ti pongo delle condizioni perché tu non possa entrare in questa partita.
Adesso passo all'articolo 4 che definirei sottrazione di capacità trasmissiva alle emittenti locali. Vedo un caro amico rappresentante della Lega Nord in quest'Aula affollatissima, l'unico rappresentante della Lega Nord e voglio ricordare che stiamo parlando di televisioni locali. Lei è un rappresentante di quella forza politica, da stanotte un po' meno, che ha detto a parole di avere una grande attenzione verso quei territori locali, e poi che cosa fate? Approvate un provvedimento con il quale, di fatto, non consentite alle televisioni locali di avere quello spazio che competerebbe loro. Perché lo fate? Perché questa disposizione prevede che la proroga al 30 settembre 2011 del termine per la fissazione del calendario definitivo dello switch off e cioè del passaggio alla trasmissione televisiva digitale terrestre nonché l'anticipazione del termine per l'assegnazione dei diritti d'uso al 30 giugno 2012, possano avvenire solo per gli operatori di rete che in ambito locale abbiano alcuni requisiti. Leggo quali sono questi quattro requisiti: entità del patrimonio al netto delle perdite, numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, ampiezza della copertura della popolazione e priorità cronologica dello svolgimento dell'attività nell'area, anche con riferimento all'area di copertura. Tradotto, l'insieme e il combinato disposto di questi quattro criteri si legge in un solo modo: Rai e Mediaset. Non ci sono altre televisioni quindi quelle locali possono dimenticarsi di avere la possibilità di sopravvivenza. L'aggravio poi delle procedure che prevedete è suscettibile di mettere Pag. 32a rischio la possibilità di avere degli introiti finanziari dalle aste per le frequenze da cui poi ricavare, lo dite voi stessi, risorse per finanziare anche in questo caso, il settore della cultura, ma non si sa bene se queste risorse ci saranno, proprio per le condizioni che voi stessi ponete.
Vengo ora, signor Presidente, ai due articoli che mi stanno più a cuore, il nuovo articolo 5 che sostituisce quello che conteneva la sospensione dell'efficacia delle disposizioni del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, adottato dal Governo in base alla delega contenuta nella legge 23 luglio 2009, n. 99, la quale, all'articolo 25, dettava le norme relative alla localizzazione, realizzazione ed esecuzione di impianti di produzione di energia nucleare. Signor sottosegretario, lei ha partecipato alla discussione, anche se nel chiuso delle Commissioni, nel novembre e dicembre scorsi, quando le Camere erano chiuse perché erano in corso altre trattative tra i responsabili, più o meno, provenienti da più parti, anche dalla mia, per garantire il 14 dicembre scorso il voto di fiducia al Governo, operazione riuscita, come lei ricorderà. In quel frangente, l'unica Commissione che lavorava era la Commissione bilancio per discutere del Programma nazionale di riforma. Ebbene, quella bozza di piano, a proposito di politica energetica, prevedeva ancora che tutto fosse incentrato sul nucleare, ponendo in secondo piano le politiche di risparmio energetico e di sostegno alle fonti ed energie rinnovabili. Poi è capitato l'imprevedibile, ahimè, il disastroso tsunami in Giappone con le conseguenze che conosciamo sull'impianto nucleare di Fukushima.
Io - signor sottosegretario - in questa Aula, il 23 marzo di quest'anno e 15 giorni dopo il 6 di aprile, ponevo al Ministro (si fa per dire) dello sviluppo economico due question time, due interrogazioni a risposta immediata: l'una sulle politiche energetiche, in particolare sulla sospensiva (mi riferisco alla data del 23 marzo) che si intendeva fare rispetto alle centrali nucleari. Dicevamo in quella sede anche quale era la nostra posizione in merito. Interloquivo direttamente con lui chiedendo di revocare immediatamente la scelta del nucleare, spiegando che noi eravamo in sintonia con il Paese e sapevamo molto bene come la pensava il popolo italiano rispetto al nucleare, ma non dopo Fukushima, molto prima, un anno e mezzo fa, cioè quando l'Italia dei Valori da sola raccoglieva le firme per il referendum abrogativo di quella legge che ho appena citato (quella che prevedeva la realizzazione di centrali nucleari nel nostro Paese). Sa che cosa mi ha risposto il Ministro Romani? Che ero un allarmista, uno strumentalizzatore, uno speculatore. Caspiterina, mi sono sentito piovere addosso tutta una serie di insulti incredibili. Peccato che non fosse così, perché non sono figlio di preveggente, non ho la sfera di cristallo in mano, non potevo sapere un anno e mezzo fa che sarebbe successo quello che è successo a Fukushima.
Era la nostra una scelta convinta «non nucleare». Ecco perché proponevamo - e proponiamo - il referendum abrogativo di quella legge. Poi nell'interrogazione successiva gli spiegavo anche perché vi fosse tanta vivacità attorno alla questione del nucleare in Italia di aziende francesi che guardavano con attenzione al nostro Paese, della concorrenza americana che si è mossa dopo che aveva sentito alcune registrazioni (WikiLeaks ha trasmesso alcuni di questi cable) dove si diceva che piovevano le tangenti. Si è sentito, ahimè, un po' offeso quando gli chiedevo se era al corrente di questa notizia. Ma la sostanza era altra. Sa che cosa mi ha risposto il dottor professor Ministro Romani? Le tragiche vicende accadute in Giappone - leggo testualmente - hanno imposto quella che ho chiamato una pausa di riflessione (questo era il 6 aprile, cioè dopo il provvedimento di cui stiamo discutendo), pausa di riflessione finalizzata ad un'effettiva ed ancora più rigorosa verifica nell'ambito delle iniziative che sono state assunte a livello di Unione Europea delle condizioni di sicurezza degli impianti nucleari. Ma poi aggiungeva anche: sarebbe un grave errore - udite - affidare il futuro Pag. 33energetico dell'Italia e le scelte strategiche per i prossimi anni alla pancia e non ai risultati della ricerca scientifica e tecnologica, e alla razionalità.
Ebbene, voi sapete che a quella data facevo presente al Ministro (per quello che valgono, ma lei lo sa che il suo Presidente del Consiglio è uno specialista di sondaggi) che i sondaggi dicevano che il 68 per cento - lo ripeto, a quella data - era contrario alle centrali nucleari, e il 6 aprile era già salito al 75 per cento. Lei, signor sottosegretario sa come è andata ieri in Sardegna? Il 93 per cento dei sardi che si sono recati alle urne hanno detto «no» a centrali nucleari in Sardegna. Ecco perché bisognava assolutamente intervenire, e il vostro Presidente del Consiglio che non sa stare zitto, non sa tacere (anche quando a volte gli converrebbe, ma è talmente la foga del parlare), ce lo ha detto chiaramente: questo provvedimento, quello di cui stiamo parlando, l'articolo 5 ha un unico scopo, bloccare il referendum. Ce ne sono anche altri oltre a questo, soprattutto quello sul legittimo impedimento, ma al momento mi riferisco a questo. Tant'è che ci sono state alcune valutazioni non sufficientemente ponderate. Mi riferisco ai commi 2 e 7 che riportano quasi integralmente il testo del referendum così come lo abbiamo proposto e la Cassazione lo ha avallato, ma si è dimenticato che esiste anche il comma 1 e il comma 8. Meglio ancora, non si è dimenticato, lo sa benissimo, ma vuole lasciare aperta la porta, in modo da fregare il popolo italiano togliendogli la possibilità di pronunciarsi democraticamente (ecco lo stupro di democrazia, la violenza contro la democrazia e contro il popolo di cui voi dite di volere essere l'espressione della libertà).
Togliere questo referendum di mezzo, però lasciare la porta aperta. E, allora, mi auguro davvero che la Cassazione svolga bene il proprio compito - lo farà sicuramente - e che, eventualmente, la Corte costituzionale si richiami ad una propria sentenza recente con la quale si affermava che, al di là del merito, si valutano anche quali sono le reali intenzioni le quali, nel caso presente, sono chiaramente dette, non solo tra le righe, ma nelle parole usate dai commi 1 e 8 e, cioè, che il nucleare non è una scelta revocata definitivamente, ma ancora lì aperta e bisogna solo toglierlo di mezzo di qui al 12 e al 13 giugno quando, per l'appunto, si terranno i referendum. Infatti, la sentenza n. 68 del 1978 della Corte costituzionale precisava - glielo leggo letteralmente -che: «l'intervento del legislatore non è in grado di bloccare un referendum se si limita ad abrogare formalmente le disposizioni la cui abrogazione è richiesta dal quesito referendario. Per bloccarlo è necessario, altresì, che l'intenzione espressa nella legge sia la stessa perseguita dal referendum». E, quindi, lo scopo unico di questo articolo è quello di ridurre la sovranità popolare a mera apparenza.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. Quanti minuti ho ancora, signor Presidente?

PRESIDENTE. Trenta secondi.

RENATO CAMBURSANO. No, troppo poco.

PRESIDENTE. Sarò costretto a toglierle la parola, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. No, lei mi concederà qualche secondo in più. Mi riferisco ora all'articolo 7. Sono stato - lei, forse, lo sa - consigliere di Cassa depositi e prestiti per qualche anno e ne conosco nel dettaglio la funzionalità ed i meccanismi. Sono stato uno di quelli che, in questi tre anni, in ogni occasione - ci sono gli atti parlamentari che parlano molto chiaro - ha proposto, nelle varie finanziarie, nei vari provvedimenti, anticrisi, come li definivate voi, di utilizzare la Cassa depositi e prestiti. Essa, infatti, fa raccolta pari a 300 miliardi e investe pari a 150 miliardi e, quindi, ha una disponibilità di risorse di 150 miliardi. Ho proposto di farvi ricorso per invertire la rotta di questo Paese, far funzionare questo Paese; Pag. 34suggerivo la costituzione di fondi per avviare le imprese, per sostenere le imprese, per rispondere alle esigenze dei comuni che non potevano, per il Patto di stabilità e crescita, pagare le imprese locali. Si poteva attingere da quel fondo che Cassa depositi e prestiti andava a costituire o avrebbe potuto costituire. Invece, cosa fate voi? Avete risposto «picche» rispetto a questo e, in compenso, adesso costituite, o almeno ci sono forti rischi che così avvenga, la nuova EFIM e, cioè, le aziende decotte da salvare perché vi interessa di più la governance che non il risultato. Ed ecco che è scontato il 7 a 0 - pardon, il 7 a 1 - dell'incontro bilaterale franco-italiano perché è stato vinto 7 a 1 dai francesi, meno che per l'altezza del tacco del Presidente visto che era più alto il nostro (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bratti. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente, ci troviamo ancora una volta, come è già stato più volte ricordato da chi mi ha preceduto, di fronte ad un provvedimento omnibus che, tra i tanti scopi, ne ha uno, quello, all'articolo 5, di impedire di fatto il referendum sul nucleare. Le motivazioni sono state spiegate molto bene dallo stesso Presidente del Consiglio che, dopo aver visto i sondaggi dopo alcuni giorni seguenti il disastro di Fukushima, si è reso conto che questo era il referendum che aveva serie possibilità di raggiungere il quorum e, quindi, di trascinare quello a lui caro del legittimo impedimento. D'altronde, la riprova è costituita dal grande successo ottenuto, come veniva ricordato questa mattina, dal referendum consultivo sul nucleare tenuto in Sardegna; un risultato che dimostra la grande sensibilità degli italiani su queste questioni. Negli ultimi due anni ci avete spiegato che questo Paese senza il nucleare non avrebbe avuto futuro e ci avete promesso una strategia energetica, nel decreto-legge n. 112 del 2008, che non sappiamo dove è andata a finire, dentro la quale ci doveva essere una strategia nucleare, anche questa mai vista, forse discussa in qualche corridoio, a meno che il tutto, come sembra, non si riducesse alla costruzione di quattro, forse otto, centrali ed alla costituzione di quella Agenzia per la sicurezza nucleare di cui vi siete dati solo un gran daffare per nominare il consiglio di amministrazione.
Ora ci riproponete, tempo un anno, una nuova strategia energetica nazionale: questo c'è scritto in questo decreto-legge. Abbiamo quindi ormai finito la legislatura e in cinque anni forse si inizierà a discutere su quale tipo di scelta energetica il nostro Paese dovrà cimentarsi e, di conseguenza, quale tipo di strategia industriale adottare. Ciò, significa che in questi anni avete navigato a vista decidendo sotto le pressioni di lobby interessate ai propri affari e non certo nell'interesse dei cittadini italiani. Insomma credo che questo sia un provvedimento che è la prova documentale del fallimento non tanto della vostra azione, che non c'è mai stata, ma addirittura dei vostri propositi. Un vero pasticcio all'italiana: dilettanti allo sbaraglio. Ma la farsa tragicomica si è manifestata successivamente al disastro di Fukushima dove siete passati dalle dichiarazioni del Ministro Romani («Andremo avanti lo stesso») a quelle del Ministro Prestigiacomo («Non possiamo perdere le elezioni amministrative per il nucleare») ad una proposta di moratoria di un anno. Poiché però questo non era sufficiente per smorzare la discussione sui disastri del nucleare, soprattutto per impedire il referendum vi siete inventati, con la scusa che lo fa tutta l'Europa, la moratoria a lungo termine in attesa dei test, i cosiddetti stress test. Ora una moratoria di una cosa che non c'è è perlomeno una questione curiosa. Penso che alcuni test dovrebbero invece essere realizzati su alcuni Ministri di questo Governo per cercare di capire se hanno l'idoneità per gestire problematiche così serie e importanti per il Paese. Questa considerazione è supportata da un'ulteriore confusione e danno che avete provocato attraverso il cosiddetto decreto Romani riguardo alle rinnovabili: qui nonostante Pag. 35le indicazioni precise della direttiva europea 2009/28/CE siete riusciti, ancora una volta, cedendo a lobby fortemente organizzate a mettere i bastoni tra le ruote a una delle poche realtà produttive e in crescita di questo Paese. L'industria italiana delle rinnovabili vale oggi circa 21 miliardi di euro, di cui circa 11 miliardi sono rappresentati dal fotovoltaico, settore che in maniera scientifica avete deciso di ostacolare. Ma prima di entrare nel merito del decreto-legge e dell'emendamento, che è stato presentato al Senato, mi corre l'obbligo di fare alcune considerazioni generali sul nucleare: una scelta che, al di là della grande tragedia giapponese, come Partito Democratico, abbiamo sempre considerato fuori tempo massimo e del tutto unica nel mondo occidentale. Eravamo l'unico Paese - ricordo - che da zero pensava di implementare del 20 per cento al 2030 l'energia prodotta con il nucleare.
Vorrei quindi brevemente ricordare alcuni dei luoghi comuni dei vostri punti di forza su cui il Governo ha cercato di portare avanti il suo disegno. Il primo: il nucleare è in sviluppo in tutto il mondo. In realtà la produzione di energia nucleare è stazionaria da vent'anni e negli ultimi tempi è decisamente in declino. Nel 2009 le due fonti energetiche in Europa in grande contrazione sono state il carbone e proprio il nucleare. La questione dei costi è il vero vostro punto di forza, sostenendo più volte che l'atomo sarebbe stato assolutamente conveniente per le bollette degli italiani. Anche qui dal 2003 i costi di costruzione delle centrali nucleari sono aumentati drasticamente con una media del 15 per cento l'anno in più come dimostrano le esperienze giapponesi e coreane. Nel 2007 secondo i nuovi dati del MIT, importante istituto internazionale, realizzare una centrale nucleare costa 4.000 dollari per kilowatt/ora contro i 2.000 di quattro anni prima. Un aumento molto più consistente di quanto accaduto nel carbone e nel gas attualmente stimati a 2.300 dollari e 850 dollari a kilowatt/ora contro i 1.300 e i 500 del 2003. In buona sostanza perché il nucleare sia competitivo - questo voi lo avevate già capito - oggi deve essere incentivato al pari e se non più delle energie rinnovabili. È interessante riportare inoltre come l'agenzia Moody abbia avvertito che la partecipazione di un'utility ad un progetto nucleare aumenti il suo profilo di rischio e abbassi il suo rating, così come Citigroup, la più grande azienda finanziaria del mondo, ha affermato: al nuovo nucleare l'economia dice «no».
Ma veniamo ad un esempio concreto, quello della centrale Areva EPR, il reattore di Olkiluoto, in Finlandia del tipo di quelli che ENEL e EDF avrebbero forse dovuto installare in Italia.
Il contratto «chiavi in mano» stabiliva un tempo di costruzione di 4 anni, con un costo di 3 miliardi di euro. La prima pietra era prevista nel settembre 2005. A settembre 2009 si prevedeva un ritardo nella costruzione dai 3 ai 5 anni, con un aumento del costo di circa 2,3 miliardi di euro. Poi, nel novembre 2009, come noto le autorità per la sicurezza nucleare francese e finlandese hanno stabilito che dovevano essere completamente modificati i sistemi di controllo e sicurezza.
Veniamo al tema dell'indipendenza della fonte primaria energetica, l'uranio. Ricordo che questo minerale è presente in quantità limitata, non è rinnovabile e in Italia non esiste.
Il tema delle scorie: non esiste al mondo nessun deposito definitivo. Il deposito del Nevada, il cosiddetto progetto Yucca Mountain, nel 2009 è stato dichiarato definitivamente fallito. Il rischio quindi che le scorie rimangano nei luoghi dove sono state prodotte è altissimo.
Ma veniamo al riciclo delle scorie: in un articolo di Nature, una delle riviste scientifiche più prestigiose a livello mondiale, nel 2006 si diceva che «il riprocessamento del combustibile nucleare è un'idea che dovrebbe essere abbandonata; il riciclo interessa componenti che possono facilmente essere usate per costruire armi; il riciclo del combustibile esaurito è interessante sulla carta, in concreto è una parte del problema, non la soluzione».
L'alto grado di pericolosità: in attesa purtroppo di sapere realmente quali saranno Pag. 36le conseguenze legate collegate al disastro giapponese di Fukushima, siamo però in grado, sempre anche qui facendo riferimento alla rivista Nature, di avere qualche dato, quindi non di riportare qualche intervista di professori universitari più o meno pentiti. Come dicevo, per quantificare questi danni causati da Chernobyl: 56 vittime immediate, 9.000 persone sono morte o moriranno prematuramente, 350.000 persone evacuate, 3 milioni di bambini hanno avuto bisogno di trattamenti medici, gravi problemi di salute mentale e di alcolismo per vasti strati della popolazione. Ma - e concludo - quello che più ci sorprende è questa grande scommessa azzardata del futuro, cioè quanto tempo necessita un ciclo completo di una centrale: l'individuazione dei siti permessi è dai 3 ai 5 anni, la costruzione della centrale dai 7 ai 10 anni, il periodo di funzionamento salvo inconvenienti 40-60 anni, un tempo di attesa per lo smantellamento dai 50 ai 100 anni e infine la pericolosità delle scorie radioattive, dai 10 ai 100.000 anni. Se ritorniamo all'Italia, la proposta del Governo, con le quattro centrali previste, avrebbe prodotto un 15 per cento dei consumi elettrici, lasciando un debito immenso a centinaia di prossime generazioni, una vera e propria follia.
Tralascio altre questioni per ritornare al decreto. È indubbio che avremo sicuramente la necessità, in questo Paese, di affrontare in modo serio e sicuro il tema delle vecchie scorie nucleari, quelle degli impianti costruiti negli anni Settanta e Ottanta, così come credo che la ricerca e la formazione del personale tecnico sulla tecnologia del nucleare vada incentivata e realizzata. Esiste anche il trattamento e la conservazione delle scorie a bassa radioattività. Quindi è necessario un forte presidio che sia saldamente in mano pubblica. Nel 2007 anche rispetto a Sogin un indirizzo importante era stato dato dal Governo Prodi e su quella traccia credo si debba ritornare.
Mi trova invece molto perplesso il fatto che si mantenga l'Agenzia per la sicurezza nucleare, agenzia che nel contesto precedente consideravamo debole e non completamente terza. Al di là della nomina del CdA, nulla ad oggi è capitato, anzi siamo in una situazione in cui il direttore di ISPRA è nel consiglio di amministrazione dell'agenzia e non ha ancora lasciato il suo precedente incarico, così come invece da ampie rassicurazioni che aveva dato nella Commissione parlamentare competente. Il Governo ha proposto quindi l'istituzione di un'agenzia di importanza fondamentale senza prevedere spese aggiuntive in tema di formazione e di assunzione del personale. Non è mai stato chiaro, anzi non è proprio previsto se l'agenzia avrebbe operato tramite strutture regionali. Oggi il sistema di allarme radiologico è molto capillare e diffuso e numerosi sono gli enti che se ne occupano. Vi sono alcune regioni (Piemonte ed Emilia-Romagna) che possiedono reti di allerta. Le professionalità che oggi sono incardinate nelle agenzie regionali per l'ambiente non è chiaro come si sarebbero collocate rispetto al progetto presentato.
Al solito, come è stato per la costituzione di ISPRA, si è scelta una strada fortemente centralista e poco attenta alle autonomie regionali e locali. Sappiamo che, per diversi anni, l'attività di controllo sarà ancora destinata al decommissioning e alla sistemazione dei rifiuti radioattivi.
La domanda che ci si pone è se, nel momento in cui - se è vero - si abbandona l'idea di costruire nuovi impianti, abbia senso mantenere l'Agenzia o se, invece, non sia sufficiente dar gambe più forti alla parte che si occupa di nucleare all'interno di ISPRA e rafforzare la struttura della rete presente sui territori.
Rispetto, poi, ai contenuti riportati all'articolo 5 del provvedimento in oggetto, in coerenza con le nostre posizioni, dovremmo esprimere in teoria, forse, un parere favorevole. Infatti, ad una lettura un po' superficiale, sembrerebbe che le intenzioni del Governo siano quelle di abbandonare il programma - se così si può chiamare - del nucleare. In realtà, come è stato ricordato da diversi colleghi che mi hanno preceduto, così non è.
Il provvedimento è stato costruito ad arte - così come dichiarato dal Presidente Pag. 37del Consiglio - per prendere tempo e cercare di vanificare il referendum in attesa di tempi migliori. Si tratta di un ulteriore attacco alla libertà di espressione e di svuotamento ulteriore di un istituto, quello referendario, che sicuramente necessita di una riforma, ma non certo di uno svilimento totale.
Non è, quindi, una vittoria di coloro che da sempre giudicano la reintroduzione del nucleare nel Paese una scelta diseconomica e pericolosa, ma una delle solite «furbate» di questo Governo, che servono per dare risposta al contingente, fare propaganda e soddisfare apparentemente le esigenze immediate, senza una visione di prospettiva per il Paese. Un tratto purtroppo comune a diverse azioni di questo Governo e dell'attuale maggioranza.
Concludo, signor Presidente, auspicando - come ricordava prima il collega Cambursano - che, alla luce della poca chiarezza del provvedimento in oggetto, la Corte mantenga la possibilità per gli italiani di esprimersi in maniera democratica il 12 e il 13 giugno su un tema, come dicevo, così importante per il Paese, a meno che non vengano accettati quegli emendamenti, che discuteremo, che mettono una pietra tombale su questa scelta infausta del nucleare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, proverò anch'io, come altri colleghi, a discutere del provvedimento in oggetto, che è giunto in aula prima che accadesse tutto quanto a noi conosciuto in queste ultime ore. Il decreto-legge in oggetto, infatti, è definito «omnibus»: se dovessimo tradurre questa espressione dal latino, significherebbe «di ogni cosa un po'». Ciò vuol dire, quindi, che, all'interno di questo decreto-legge «polpettone», viene inserito un po' di tutto. Di fatto, il Governo vi ha inserito un po' di tutto: ha inserito i fondi per la cultura, dopo che li aveva tagliati; ha inserito le questioni relative all'acquisto dei giornali da parte di chi possiede televisioni; ha inserito la questione delle frequenze radioelettriche; infine, ha inserito quello che è il suo vero obiettivo e, cioè, impedire, attraverso tale provvedimento, che i cittadini italiani possano esprimere la loro volontà rispetto a tre problematiche e a quattro quesiti referendari.
Con tali quesiti si chiede, appunto, di dire «sì» o «no» alla presenza nel nostro Paese di centrali nucleari; di dire «sì» o «no» alla gestione pubblica dei servizi, in modo particolare dell'acqua; di dire «sì» o «no» alla legge uguale per tutti, anche per il Presidente del Consiglio.
Se dovessimo usare il titolo di un libro di Hemingway, diremmo oggi Per chi suona la campana: forse, ieri sera, è suonata la campana a morte per voi, visto il risultato elettorale. Quest'ultimo, infatti, dimostra come questo Paese abbia ancora gli anticorpi di fronte ad un sistema di regime che cerca di bloccare la volontà popolare e che cerca di bloccare ancora quell'intelligenza del popolo italiano che c'è, che è capace di esprimersi attraverso una volontà, che ha dimostrato di scegliere di non farsi intimidire e di scegliere i propri amministratori nella libertà.
Possiamo dire che oggi, finalmente, in questo Paese il vento cambia e questo decreto-legge omnibus evidentemente finirà; finirà di fronte alle sentenze, finirà di fronte alla sua incostituzionalità e soprattutto, ancora una volta, finirà contro la volontà popolare.
Credo che anche il metodo utilizzato, quello del decreto-legge e quindi dell'urgenza, dimostri ancora una volta come voi violate le regole costituzionali e violate le regole parlamentari in questo Paese. Di urgente, come diceva il mio collega Cambursano, in questo provvedimento non c'è nulla. Cosa c'è di urgente nel finanziamento del Fondo unico per lo spettacolo dopo che sono state cancellate le fondazioni lirico-sinfoniche? Cosa c'è di urgente nel finanziare gli enti culturali con 7 milioni di euro senza sapere i metodi del finanziamento, a chi vanno questi soldi, come vanno, quali criteri vengono individuati? Per arrivare poi addirittura ad un paradosso: emanare un decreto-legge d'urgenza Pag. 38quando Pompei è crollata. Invece di farlo prima, invece di prevenire le malattie, noi arriviamo quando ormai il danno è fatto, quando, appunto, Pompei è «deceduta».
Nella distribuzione dei fondi poi, signor Presidente, mi rivolgo al sottosegretario, voi siete bravi a fare comunicazione ma forse in quest'ultimo caso avete sbagliato la comunicazione - mi riferisco alle elezioni - avete sbagliato i sondaggi, avete sbagliato un po' tutto, e credo che abbiate sbagliato anche qui nell'affidamento dei fondi per la cultura, per lo spettacolo, per gli enti culturali.
Dite di voler incentivare il Fondo unico per lo spettacolo, Fondo in cui arrivano delle risorse che comunque sono sempre inferiori a quella soglia di 511 milioni di euro che il Governo di centrosinistra, il precedente Governo - e ci auguriamo che, mandandovi a casa arriveremo presto a governare meglio questo nostro Paese - aveva individuato come soglia minima per ridare ossigeno e vitalità al settore. Quindi quei 149 milioni di euro che voi individuate per finanziare il Fondo unico per lo spettacolo arrivano tardi, quando ormai c'è un atto di Governo che ha deciso che solo due fondazioni lirico-sinfoniche si salvino, le altre dodici finiranno, come stanno finendo, per non fare più cartellonistica, per non fare più le stagioni, e stanno licenziando anche il personale. Davvero quindi non è solo un ritardo ma un'ammissione di colpa; voi ammettete di non aver finanziato, di non aver fatto una politica culturale in questo Paese.
Lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze ha detto che con la cultura non si mangia e di fatto con la cultura non si è mangiato, anzi oggi chiedete di rifinanziare il Fondo abrogando, tra le altre cose, scelte vostre, e quindi cancellando, andando in contraddizione con quanto voi avete fatto approvare, portando nel «milleproroghe» l'aumento della tassa sul cinema e poi chiedendo, con questo provvedimento, che la tassa sul cinema non esista più.
Non solo, ma dove li andate a prendere questi soldi? Bisogna anche capire da dove si prendono i soldi per finanziare la cultura. È giusto finanziare la cultura, è giusto che ci siano risorse per il Fondo unico per lo spettacolo ma vorrei capire dove prendiamo il denaro necessario. Voi lo prendete da un fondo che ancora non conosciamo, che è quello dell'affidamento delle frequenze digitali, una somma di 2 miliardi e mezzo di euro che ancora non sappiamo se c'è, se non c'è, quando arriverà, se arriverà, e dall'altra parte vi gettate sulla parte più facile cioè andate a prendere i soldi direttamente nelle tasche dei cittadini mettendo l'accisa sulla benzina, sulla benzina senza piombo, sul gasolio. Questo lo fate voi che andate nel Paese e fate propaganda dicendo che volete ridurre le imposte, che volete abbassare le tasse.
I cittadini italiani oggi devono sapere che voi non andate a mettere le mani nei forzieri delle società petrolifere e non aumentate, per esempio, come abbiamo chiesto noi dell'Italia dei Valori, l'imposta IRES sulle società petrolifere. Queste ultime vengono nel nostro Paese, pagano delle royalty ridicole, fanno trivellazioni in Adriatico - e gliele concedete -, fanno estrazione di petrolio, fanno profitti, e voi non gli chiedete neppure di contribuire alla crescita sociale e culturale del nostro Paese, ma lo chiedete al prodotto finale, cioè al consumatore, al lavoratore che la mattina deve andare sul posto di lavoro e dovrà pagare di più la benzina e lo chiedete all'autotrasportatore che dovrà andare a lavorare e pagherà di più il gasolio.
In questa maniera voi non state aiutando la cultura ad essere finanziata, ma state facendo solamente un'operazione, perché avete operato dei tagli in questo Paese, dove avete deciso che è meglio dare 5 miliardi di dollari a un dittatore sanguinario - perché bisognava far gestire le infrastrutture in Libia all'ENI e all'Impregilo - piuttosto che prendere quei 5 miliardi di dollari e trasformarli in finanziamenti all'istruzione, all'università e alla ricerca, a un sistema della cultura fatta da artisti, da fondazioni e da una rete di teatri. Pag. 39
Signor sottosegretario, questo è un Paese che oggi fa propaganda su questo finanziamento al Fondo unico per lo spettacolo, ma che non ha ancora una legge-quadro sullo spettacolo, e non ha ancora una legge-quadro perché non vuole averla, non ha ancora una legge-quadro che non consenta di finanziare in maniera assistenzialista, e mi rivolgo a voi che provenite dalla Lega e che ci dite sempre che noi siamo statalisti, ma non investite su un'idea della cultura che crea defiscalizzazione, che crea incentivazione, che permetta ai privati di dire: benissimo, forse è meglio investire nella cultura piuttosto che investire nel petrolio, piuttosto che investire nell'edilizia, piuttosto che investire nella distruzione del territorio, perché abbiamo incentivi fiscali. No, questo Paese oggi non ha neppure quella legge-quadro, perché è ferma, perché è bloccata da veti e da personalismi tra l'ex Ministro Bondi e i parlamentari dello stesso gruppo di maggioranza.
Quando si vuole finanziare nel complesso un'idea di cultura del Paese, bisogna fare una scelta che sia coerente, una scelta chiara, una scelte forte, che significa che lo Stato mette a disposizione risorse non per un settore, ma investa per esempio sui giovani, sui giovani che vogliono fare cultura, nella ricerca della cultura, in questi settori, ma non lo state facendo.
All'articolo 2, poi, individuate 80 milioni di euro per finanziare la riqualificazione e la ristrutturazione di Pompei, quando ormai il cadavere è nella bara, quando ormai lì, ogni giorno, crolla qualcosa, e voi siete alla ricerca di rabberciare 80 milioni di euro per provare a rimettere su le cose. I soldi servono; anche in questo caso, però, bisogna capire bene come vengono gestiti, e credo che in questa maniera quegli 80 milioni di euro, gestiti attraverso una nuova megastruttura privata che si chiama ALES, che è un ente che trasformerà i beni culturali alla stessa maniera della Protezione civile trasformata in una Protezione civile Spa, noi avremo di fronte, probabilmente tra qualche anno, un nuovo caso Balducci e un nuovo caso di «cricca», che avrà gestito attraverso l'affidamento diretto dei lavori e in deroga ad ogni procedura, anche per l'assunzione del personale. Quindi, evidentemente, ciò vi serviva per la fare la campagna elettorale e per dire in Campania che potevate assumere un po' di personale nei beni culturali in deroga alle stesse leggi che voi fate, persino in deroga alle leggi urbanistiche.
Vorrei capire - e lo chiedo al sottosegretario - in deroga anche ai vincoli idrogeologici e ai vincoli archeologici sarà possibile dire che possiamo costruire al di fuori del perimetro di Pompei? Costruire cosa? E al di fuori del perimetro di Pompei cosa significa? Quanti metri fuori dal perimetro di Pompei? Quanti chilometri fuori dal perimetro di Pompei? E cosa possiamo trovarci fuori dal perimetro di Pompei: un campo di calcio, un supermercato, un colosso? Vorrei capire esattamente cosa significa detta in questa maniera, perché il decreto-legge dice proprio che al di fuori del perimetro è possibile andare in deroga ai piani urbanistici. Credo che ci sono talmente tanti spazi per interpretazioni di ogni tipo che lasciano presagire che, mentre all'interno si cercherà di rimettere a posto gli scavi archeologici, all'esterno del recinto ci saranno una serie di «cricche» imprenditoriali, amici di politici, amici di Governo, amici di ALES, in questo caso, che potranno beneficiare di vantaggi rispetto ad altri concorrenti.
Vi invito a riflettere attentamente su ALES, perché la stessa Unione europea vi invita a valutare bene la gestione di una società in house come ALES, che altera la concorrenza perché si occupa di servizi. Ve lo hanno detto esponenti autorevoli del mondo della cultura di stare attenti alla trasformazione di ALES in società in house di servizi, perché entra in concorrenza con privati che offrono gli stessi servizi. Allora capite bene che domani, probabilmente, ci troveremo con una marea di contenziosi di fronte ad una società di questo tipo.
Infine, il vostro programma nel decreto-legge cosiddetto omnibus, la vostra idea della cultura è pensare di trovare 7 milioni Pag. 40di euro per finanziare gli enti culturali, quasi fosse una grande iniziativa. Anche su questo nel decreto-legge non dite come date questi soldi, a chi li date, come individuate i criteri. Forse ne daremo di più agli enti culturali del nord rispetto a quelli del sud, li sceglieremo in base al dialetto di provenienza, rispetto ai confini territoriali. Fateci capire, perché 7 milioni di euro non sono tanti, gli enti culturali sono tantissimi, finiremo per dare delle briciole che forse, magari, non serviranno nemmeno ad una programmazione.
In questi articoli, quindi, che riguardano la parte di programmazione della cultura nel decreto-legge cosiddetto omnibus, manca proprio la programmazione. Si tratta di un provvedimento che butta come si butta la carruba nel porcile ai maiali: prendete! Non c'è una programmazione, non c'è un'idea di investimento di quantità, di qualità, per fare cosa, con quali metodi si utilizzano le risorse in questo Paese.
È chiaro che in una situazione di questo tipo, senza regole e senza un metodo, è più facile che possano trovare ospitalità fenomeni di illegalità, è più facile che possa determinarsi che ditte che possono ricevere appalti in trattativa privata da ALES possano anche non avere in deroga, per esempio, il certificato antimafia. Evidentemente non è uno scherzo, se il clan dei Casalesi domani si dovesse occupare degli affari e dei soldi destinati alla cultura o al recupero del patrimonio di Pompei.
In questo provvedimento vi è in tutta evidenza il dramma del nostro Paese. Nei due articoli che riguardano il sistema radiotelevisivo e l'affidamento delle frequenze questo provvedimento dimostra ancora una volta che voi vi definite liberali ma, a mio giudizio, non sapete neppure cosa sia essere liberali. Oggi c'è un Presidente del Consiglio, che è proprietario di emittenze televisive, che approva e firma una legge che prevede queste cose, ossia la possibilità per lui di interferire sulla concorrenza di mercato per altri soggetti interessati all'acquisto di giornali. Si dice cioè che, se non posso acquistare il Corriere della Sera, e quindi approvo una legge, non permetto però neanche al mio concorrente di poterlo fare da una posizione forte qual è quella della Presidenza del Consiglio.
Credo che, se non sciogliete, per il bene vostro e del Paese, questo dramma che riguarda la sovrapposizione dell'interesse pubblico all'interesse privato, noi avremo di fronte sempre leggi che fanno il male del Paese e del bene comune. Esse evidentemente si possono annidare anche in una cosa positiva che riguarda la deroga al 31 dicembre 2012: basta mettere il tetto dell'8 per cento e dire a un soggetto come Sky che non può acquistare il Corriere della Sera. E chi lo decide? Queste cose dovrebbe deciderle la regola naturale del mercato. Dovrebbe deciderle la libera concorrenza. Altro che sovietici, voi controllate qualsiasi cosa nel rapporto di mercato tra soggetti! Per non parlare poi della razionalizzazione dello spettro radioelettrico e di quelle frequenze che dovrebbero essere liberate per offrire servizi che aspettiamo da anni.
Il wireless e la banda larga, infatti, sono cose di cui abbiamo sentito parlare solamente da tre anni a questa parte in enunciazioni di leggi che non diventano azioni amministrative pratiche e ancora oggi approvate un provvedimento che ha, ancora una volta, il sapore di un evidente conflitto di interessi: mettete in difficoltà le emittenze locali, che ovviamente sono state già martoriate dalle scelte economiche del Ministro Tremonti che ha tagliato i finanziamenti a vantaggio di un duopolio di soggetto pubblico e privato (Raiset), che ormai ha il 99 per cento della pubblicità presente sul mercato nazionale.
Quindi, fermatevi: vi invito a farlo e a prendere coscienza che forse è il momento di prendervi una pausa di riflessione e ve lo stanno dicendo in maniera chiara i cittadini.
Concludo perché in questo decreto-legge omnibus (oltre, forse, all'unica vera urgenza che è quella dell'Abruzzo della quale, invece, non vi volete occupare) il vero obiettivo è bloccare - come ho detto all'inizio - il referendum sul nucleare. Pag. 41Anche in questo caso non è che voi volete bloccare il referendum sul nucleare perché vi interessa aprire una riflessione e una discussione sincera e franca sulle prospettive energetiche nel nostro Paese.
Voi non volete aprire un confronto. State usando solamente un trucchetto truffaldino legislativo perché temete l'aria che tira con l'incidente di Fukushima e la precedente raccolta di firme dell'Italia dei Valori di 2 milioni di cittadini che hanno messo la faccia e la loro firma dicendo in maniera chiara che non vogliono assolutamente il nucleare, ma soprattutto facendo una proposta sul piano energetico nel nostro Paese.
Signor sottosegretario, noi non diciamo «no» al nucleare perché ci piace dire «no». Diciamo «no» al nucleare perché chiediamo al Governo di investire sulle fonti energetiche alternative rinnovabili laddove il Ministro Romani sulle fonti energetiche alternative rinnovabili mette una marea di paletti per cui ieri conveniva investire nel fotovoltaico nel nostro Paese e nell'eolico, mentre oggi non conviene più. Oggi le aziende straniere stanno scappando dall'Italia perché non vogliono più investire, perché non conviene investire in fonti energetiche alternative rinnovabili nel nostro Paese. Occorre incrementare la ricerca su fonti come quelle geotermiche e ad idrogeno. Questo è il lavoro che dovrebbe fare il Governo se volesse migliorare la qualità di vita del nostro Paese. Questo è il lavoro che dovrebbe fare un Governo serio che dice di voler intraprendere sul serio l'abrogazione del nucleare.
Mi auguro che la Corte di Cassazione e la Corte costituzionale possano inequivocabilmente mettere la parola fine a questo gioco delle parti in cui state dicendo ai cittadini italiani che tanto non si voterà.
I cittadini italiani devono sapere che si andrà ugualmente a votare perché si andrà a votare certamente per altri tre referendum e anche per il referendum sul nucleare, perché non potete arrivare a due settimane prima del voto per decidere con un trucchetto che improvvisamente vi siete accorti che il nucleare è pericoloso e che non è conveniente; però, mantenete il Parco tecnologico nucleare delle scorie e l'Agenzia per la sicurezza nucleare e fate dire al Presidente del Consiglio che abrogate le disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari, tanto tra un anno tutto passerà e si ricomincerà a discuterne.
Questo significa prendere per i fondelli i nostri cittadini e il nostro Paese e credo che non sia giusto in questo caso. È più corretto dire che siete per riportare il nucleare in questo Paese. Rimettetevi al giudizio degli elettori e del popolo che fa delle scelte, e può anche darsi che vi possa premiare e dire che siete stati così convincenti nel sostenere che l'energia nucleare convenga da vincere questa battaglia.
Sapete che non potete vincere questa battaglia e che i cittadini tengono più al rispetto del territorio; lo sapete perché volete andare a impiantare le centrali con delle mappe nascoste, perché non volete far vedere dove intendete realizzarle (qualche volta nel Veneto, ma il presidente del Veneto si solleva perché non le vuole, poi in Sardegna e il presidente della Sardegna si solleva perché non le vuole). Quindi, è evidente che prevale il rispetto del territorio e che deve prevalere il rispetto della salute.
È un gioco al massacro intorno a un provvedimento che va rigettato per intero. Mi auguro che venga rigettato per le vie giudiziarie perché purtroppo, attraverso questo Parlamento, non è possibile cambiare la vostra testa e le vostre scelte. Ci appelleremo ai cittadini, alla magistratura ordinaria, agli organi di controllo come la Corte costituzionale perché possano riportare le regole e la normalità in un Paese che normale non è (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il 29 marzo ultimo scorso in V Commissione (Bilancio), in sede di audizione del Ministro Tremonti, nell'ambito Pag. 42dell'esame della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'Analisi della crescita, il Ministro Tremonti ebbe modo di fare la seguente dichiarazione: usando il metodo Newton, disse il Ministro Tremonti, di causa ed effetto, post hoc, ergo propter hoc, abbiamo introdotto argomenti che alla fine hanno portato alla formulazione di un testo che consideriamo molto equilibrato.
La traduzione della colta citazione in latino è la seguente: «dopo di ciò, dunque a causa di ciò», e tale citazione viene utilizzata per indicare l'errore logico che deriva dal considerare qualcosa che è avvenuto in seguito a qualcos'altro, come conseguenza di questo ultimo. Insomma, Einstein le direbbe, signor Ministro, che lei continua ad essere convinto che la distinzione tra passato, presente e futuro sia soltanto un'illusione, anche se ostinata.
Ergo il Ministro «cogita» l'articolo 7 del provvedimento in discussione relativo all'operatività della Cassa depositi e prestiti quando la proprietà italiana di Parmalat poteva essere salvata, e a causa di ciò, ergo propter hoc come direbbe il Ministro, intende attribuire alla Cassa depositi e prestiti un ruolo centrale per risolvere uno dei mali antichi del sistema economico italiano: un capitalismo senza capitali.
Per il Ministro la Cassa depositi e prestiti è la risposta alle debolezze della nostra economia, per cui l'articolo 7 del decreto-legge, che ha l'oggetto dell'omnibus, prevede che la Cassa possa assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese.
Qui, onorevole sottosegretario - anche se intendo parlare con il Ministro - iniziano le domande. La Cassa come carta jolly nella partita della definizione degli assetti del capitalismo italiano: è questo il suo ruolo? Dopo circa venti anni dall'avvio delle privatizzazioni in Italia, la Cassa depositi e prestiti rappresenterà o vuole rappresentare un nuovo IRI?
Mentre queste sono le domande, mi permetto ancora, signor Ministro, benché assente, di chiederle quando e in quale sede si classificherà definitivamente la Cassa depositi e prestiti? Ella sa, signor Ministro, che la Cassa nacque nel 1863. Alla fine dell'Ottocento diventò direzione generale del Ministero del tesoro, dotata di sola autonomia contabile, e l'oggetto sociale erano soprattutto i prestiti agli enti locali e al Tesoro offerti utilizzando il risparmio postale. Nel 1983 fu dotata di autonomia organizzativa ed amministrativa e nel 2003 diventa società per azioni, sempre controllata dal Tesoro.
Oggi è inclusa tra le istituzioni finanziarie e monetarie europee, eppure la Cassa depositi e prestiti non è una banca, anche se dal 2006 paga, come tutte le banche europee, la riserva obbligatoria, perché non è iscritta nell'albo delle banche, ed è soggetta in parte alla vigilanza. La Cassa depositi e prestiti ha da sempre posseduto partecipazioni in società industriali. In passato la Cassa partecipava al capitale dell'IMI e del Crediop. Con la trasformazione in Spa, lo Stato ha trasferito alla nuova società quote del capitale di ENI, ENEL e di Poste Spa.
La novità è rappresentata dalla possibilità per la Cassa di acquistare partecipazioni nelle imprese considerate strategiche mediante l'utilizzo di risorse provenienti dalla raccolta postale; non si tratterebbe, quindi, di un nuovo IRI. Ma se non è un nuovo IRI, signor Ministro, è un nuovo credito immobiliare o un nuovo credito mobiliare, che, a differenza della Società generale di credito mobiliare, quella che fallì nel 1893, sarebbe di proprietà pubblica?
Quindi, signor Ministro, si vuole effettuare, attraverso la Cassa depositi e prestiti, investimenti stabili in industrie, attingendo, oltre che al capitale proprio, alle risorse finanziarie derivanti dai depositi e dalle obbligazioni, al fine di contribuire allo sviluppo dei mercati mobiliari? Questa Pag. 43è la terza domanda. Signor Ministro, la Cassa depositi e prestiti è una risposta alla scarsità di capitale di rischio?
Ancora, Ministro Tremonti, con il modello di banca universale, quella del 1993, prende atto anche lei che non si è riusciti a cambiare i tratti distintivi del capitalismo italiano, in particolare a causa della debolezza relativa dei mercati finanziari? Ancora, signor Ministro, in questo contesto, dato che i capitalisti privati, da soli, non si mobilitano per difendere la proprietà italiana, forse ella vuole scegliere la strada di fare intervenire la Cassa depositi e prestiti? Con questa soluzione il Ministero dell'economia e delle finanze italiano mostrerebbe di voler ripercorrere probabilmente una strada già nota.
Allora, la vicenda Parmalat da parte della Cassa depositi e prestiti e l'istituzione della Banca del sud rappresentano, a mio parere, l'idea di un sistema bancario che è reso nell'articolo 7. Dirò meglio, un sistema bancario reso funzionale per lo sviluppo economico fondato sul credito speciale a medio e lungo termine che è affidato alle banche pubbliche.
Allora, sono obbligato ad insistere e a chiedere direttamente a lei, Ministro, con semplicità, se la Cassa depositi e prestiti sia un istituto preposto al salvataggio o al sostegno del sistema industriale italiano. Come ella sa meglio di me, o forse quanto me, le due cose non sono la medesima cosa. Tuttavia, se questa istituzione acquisisse i caratteri della banca lei, Ministro, sa bene che, in quel caso, questa istituzione dovrà essere sottoposta alla regolamentazione e alla vigilanza della Banca d'Italia per assicurare le ragioni di parità concorrenziale e per evitare un ritorno al passato, sapendo bene che lei, in maniera colta, sarà forse anche in grado di dire in quest'Aula che si tratterebbe di un ritorno al futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto i «minisindaci» dei Parchi d'Italia, inseriti nel progetto «Coloriamo il nostro futuro» e gli studenti della scuola secondaria di primo grado Soprani di Castelfidardo in provincia di Ancona, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, vorrei sviluppare alcune osservazioni e valutazioni esaminando il decreto-legge in oggetto dal punto di vista delle politiche economiche ed industriali.
Non ho sbagliato decreto, so bene che ne è appena stato adottato uno concernente disposizioni urgenti per l'economia, a seguito del semestre europeo. Esprimeremo in sede di esame di quel provvedimento le nostre osservazioni, ma già ora si può dire che lo consideriamo del tutto insufficiente e inadeguato, ancora di più dopo i dati degli ultimi giorni che confermano la minore crescita dell'Italia rispetto ad altri Paesi europei, in primo luogo la Germania, ma anche la Francia.
Però anche nel decreto-legge al nostro esame vi sono elementi rilevanti che possono essere valutati dal punto di vista delle politiche economiche e industriali. Mi riferisco, in particolare, a tre aspetti: gli interventi relativi alla cultura, le questioni in materia di nucleare e di politiche energetiche, gli interventi della Cassa depositi e prestiti.
Potrà sembrare strano che colleghi la cultura alle politiche economiche e industriali, ma lo faccio per due motivi. In quest'ultimo decennio vi è stato un unico provvedimento di politica industriale che si proponesse l'obiettivo di sostenere l'innovazione in settori strategici per il futuro del Paese, parlo di Industria 2015, adottato dal Governo Prodi, Ministro, allora, Pierluigi Bersani. Questo provvedimento interveniva in alcuni settori strategici e tra questi aveva individuato anche quello dei beni culturali. Pierluigi Bersani ne parla anche nel suo ultimo libro come di un settore dove gli investimenti mondiali sono in forte crescita per le iniziative di nuovi Paesi che vanno scoprendo i compiti della tutela. L'Italia, se solo lo volesse, avrebbe la possibilità di diventare un centro mondiale di alta formazione nell'ambito dei beni Pag. 44culturali e di costruire un brand nazionale per le imprese internazionali che vendono tecnologie e competenze per il restauro.
La seconda ragione, collegata alla prima, è quella di guardare ad un settore essenziale per la crescita e lo sviluppo, vale a dire il turismo, che in Italia è una parte fondamentale della nostra economia ed è collegato alla presenza di beni culturali che non ha pari nel mondo. Molti di questi non sono delocalizzabili, non possono essere portati da altre parti, sono solo qui.
Disinvestire sulla cultura significa disinvestire sul presente e sul futuro del Paese e anche su un punto essenziale, ossia quello del turismo per la crescita. È allora indubbio che, per certi versi, gli interventi proposti nel decreto-legge in esame hanno aspetti positivi, ma sembrano essere più legati all'esigenza che il nuovo Ministro, per spostarsi dal settore dell'agricoltura, potesse presentarsi con un primo provvedimento positivo, che fondati su indirizzi strategici.
Siamo sempre di fronte all'impostazione per cui «con la cultura non si mangia» e lo dimostra il finanziamento del FUS. È positivo che si stanziano 236 milioni di euro dal 2011 a carattere permanente per la cultura, di cui 149 milioni per il FUS. Tuttavia, dopo questo intervento straordinario, con entrate straordinarie - tornerò più avanti su questo aspetto - cosa succede al Fondo unico per lo spettacolo? Succede che nel 2008, dopo la manovra finanziaria del Governo Prodi, esso poteva contare su 511 milioni, previsti in aumento per il 2009-2010 (567-563 milioni), e con questo Governo lo stanziamento è caduto a 398 milioni nel 2009, salito a 418 milioni nel 2010 e caduto a 258 nel 2011. Dopo questo provvedimento - e uno precedente di 15 milioni per le fondazioni lirico-sinfoniche - siamo a 422,6 milioni nel 2011, che si ridurranno a 411,5 milioni nel 2012-2013. Ciò significa quasi 100 milioni in meno rispetto al 2008.
Alla fine di tutte le manovre e «manovrine» fatte, noi abbiamo il risultato di ridurre i finanziamenti per il Fondo unico per lo spettacolo - e quindi il sostegno all'attività - e contemporaneamente di aumentare il livello di imposizione fiscale. Vengo a questo aspetto. Con cosa si finanzia l'intervento per la cultura, comprensivo anche dell'abrogazione del contributo speciale di 1 euro sui biglietti cinematografici, per il periodo dal 1o luglio 2011 al 31 dicembre 2013, previsto dal recente decreto-legge milleproroghe, su cui avete dovuto fare subito marcia indietro? Lo si finanzia con un incremento sulle accise sui carburanti e proprio in una fase di aumento dei prezzi dei prodotti energetici sui mercati internazionali, una questione che, già di per sé, provoca un aumento dell'inflazione. È forse irrilevante? No, è la maggior causa dell'inflazione in Italia.
Su questo vi ricordiamo una misura prevista sempre nell'ultima manovra finanziaria del Governo Prodi, quel Governo che, secondo voi, poneva solo delle tasse... mentre voi non mettete mai le mani nelle tasche dei cittadini... Il Partito Democratico ritiene che, per dare immediato sostegno al potere d'acquisto delle famiglie e ridurre immediatamente i costi energetici delle imprese, occorre riprendere quella misura dell'ultima finanziaria Prodi, che consenta, attraverso un semplice decreto ministeriale, di ridurre l'accisa sui carburanti in presenza di significativi aumenti dei prezzi dei prodotti petroliferi oltre le previsioni contenute nei documenti di finanza pubblica. Si tratta di una misura che non necessita di copertura finanziaria, perché si compensa con il maggiore ed imprevisto gettito IVA determinato dall'innalzamento dei prodotti petroliferi.
Voi avreste dovuto ridurre le tasse sui carburanti, per evitare che lo Stato «faccia la cresta» su questi aumenti, e invece, voi che... non mettete le mani nelle tasche dei cittadini... gli succhiate il sangue. Io non credo che in questi anni vi siano stati dei Ministri meritevoli di essere definiti «Dracula», ma, considerato che le forze dell'attuale maggioranza hanno ingiustamente denominato così l'ex Ministro Visco, cosa si dovrebbe dire del Ministro Tremonti, Pag. 45che non solo non riduce l'accisa, ma l'aumenta, non per interventi nuovi sulla cultura, ma per ripristinare parzialmente i tagli fatti? Credo che occorra procedere al più presto con questa riduzione dell'accisa prevista dalla finanziaria Prodi in riferimento all'aumento dei prezzi. Lo dico anche perché in tempi di minore inflazione misure come questa dal punto di vista della copertura finanziaria erano state proposte per altri provvedimenti. Ad esempio, in occasione dell'esame della proposta di legge A.C. 2128 in materia di potenziamento del trasporto pubblico ferroviario. Certamente vi era allora maggiore connessione per materia, ma il Governo disse «no», sottolineando che l'incremento delle accise si poneva in contrasto con le linee generali di politica economica del Governo, in ragione della spinta inflazionistica derivante da tale incremento. Sono forse cambiate le linee generali del Governo nel frattempo? È forse un Governo che considera l'inflazione non più un problema? Se queste linee sono cambiate dovete dirlo chiaramente e non raccontarci la storiella che gli italiani sono contenti di pagare di più la benzina per finanziare la cultura. Soprattutto, non sono contenti se si finanzia un parziale ripristino dei tagli.
Il secondo aspetto riguarda il nucleare e le politiche energetiche. Qui siamo di fronte a furbizia ed assenza di strategie, se non le strategie per evitare i processi del Premier. Sul merito del nucleare ha parlato già ampiamente il collega Bratti e mi riconosco pienamente nel suo intervento. Vorrei ricordare il percorso degli ultimi mesi. Il Governo nella bozza di Piano nazionale di riforme di novembre incentrava gran parte della sua politica energetica sulla ripresa di produzione di energia nucleare, anche se in nessuna regione, dove governa, si manifestava la disponibilità ad accogliere le centrali nucleari.
Contemporaneamente si facevano affermazioni sull'efficienza energetica di continuità rispetto alle politiche precedenti ma non si rifinanziava il 55 per cento in ordine all'efficienza energetica degli edifici, recuperato solo all'ultimo momento nella legge di stabilità e si adottavano obiettivi più contenuti di quelli europei per la produzione di energia da fonti rinnovabili, nonché un decreto che ha modificato, ristretto e resi incerti gli incentivi per il fotovoltaico. Poi Fukushima. Inizialmente il Governo ha detto che non cambiava nulla. Poi ha previsto la moratoria di un anno per far credere che non vi era più la necessità di partecipare al referendum. Per la moratoria si è basato su due atti, da una parte ha modificato il PNR, il Piano nazionale delle riforme, lasciando il Paese senza un piano energetico, perché non si è imboccata nessun altra strada ma solo si è una assunta posizione di attesa e poi ha introdotto la moratoria nel decreto-legge in esame. Ma, poiché voi fate politica solo con i sondaggi e avete percepito che ugualmente si poteva raggiungere il quorum nel referendum, trascinando in tal modo il raggiungimento del quorum sul legittimo impedimento che vi interessa più delle politiche energetiche ed industriali, allora avete fatto un'altra mossa, giustificata anche dal fatto che ieri il referendum in Sardegna ha visto il 60 per cento della partecipazione con una grande maggioranza per il «no» al nucleare, quindi il timore è giustificato. Quale mossa? L'emendamento che avete inserito nel decreto-legge: da una parte, l'abrogazione delle norme soggette a referendum e altre successive, e poi, al comma 1, dell'articolo 5, una posizione di attesa sul nucleare. In esso si dice che, «al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche mediante il supporto dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea, non si procede alla definizione ed attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio, nel territorio nazionale, di impianti di produzione di energia elettrica nucleare. Si tratta di un'evidente posizione di attesa che non chiude la partita del nucleare ed è strumentale soprattutto se la mettiamo in connessione con il comma 8, che prevede di adottare entro un anno la strategia energetica nazionale. Lo prevede, lasciando Pag. 46aperta qualunque possibile scelta. È pensabile che in un anno si abbiano quelle conoscenze previste nel comma 1 sul nucleare? No, e allora bisogna fare chiarezza anche perché nel frattempo non si è risolta nemmeno con l'ultimo provvedimento la questione degli incentivi per le energie rinnovabili, anzi, critiche e proteste arrivano da tutte le parti, comprese regioni, province e comuni. Ricordo che dopo la presentazione di quest'emendamento e la sua approvazione da parte del Senato, il Presidente del Consiglio ha detto che il nucleare è la fonte energetica più sicura, è la prospettiva del futuro, ma che si doveva legiferare così per evitare un referendum che avrebbe raggiunto il quorum, precludendo per il futuro la possibilità del nucleare. E allora si pongono due questioni: la normativa contemplata nel decreto-legge in esame non può avere come finalità solo quella di evitare il referendum. Ritengo che una formulazione letterale delle disposizioni come approvate dal Senato e ora al nostro esame, sia tale da non potersi evitare il referendum, che ha la finalità di dire »no" al nucleare mentre con questo testo il nucleare resta una possibilità della politica energetica nazionale. Come si usa dire dalle mie parti: o si va a messa o si sta a casa. Se volete tenere aperta la prospettiva del nucleare dovete accettare il giudizio del popolo, quello che richiamate sempre come sovrano e fonte del vostro potere e che ora non vorreste più si pronunciasse. Se volete stare a casa allora dovete essere più chiari sul nucleare: via il comma 1, perché, per quel che già si sa e si è verificato, il nucleare non è sicuro e bisogna cambiare il comma 8, chiarendo che, nel predisporre la strategia energetica nazionale, si deve comunque escludere il ricorso all'energia nucleare. Voi non accoglierete queste proposte che avanziamo non in un comizio ma in atti parlamentari e allora non si potrà evitare il referendum. L'altra questione è che subordinare la politica energetica ai problemi giudiziari del Premier vuol dire causare un danno al Paese: si perde tempo quando da anni si dice che il costo eccessivo dell'energia è uno dei problemi principali che pesa sulla competitività del Paese, non si fa il nucleare e non si investirà su fonti rinnovabili ed efficienza energetica. Ciò non è politica energetica né politica industriale, è solo un correre dietro ai sondaggi. Il Ministro dell'economia non ci venga a raccontare che stiamo meglio degli altri perché hanno i costi del decommissioning. Tali costi possono pesare sulla loro finanza pubblica mentre l'attesa, l'incertezza e i maggiori costi attuali di approvvigionamento energetico pesano sulle imprese e sulle famiglie italiane, adesso e non tra dieci o vent'anni.
Il Partito Democratico nella sua proposta di politica industriale ha indicato cosa fare sulla questione energetica: investire sull'efficienza energetica, ripristinando in tre anni anziché in dieci la detrazione d'imposta del 55 per cento per le spese di ristrutturazione edilizia eco-compatibile, e la proroga di questa agevolazione almeno per un triennio; l'introduzione degli incentivi per i motori ad alta efficienza energetica; promuovere lo sviluppo di energia da fonti rinnovabili (eolico, solare, biomasse, energia idraulica, biocarburanti, geotermia) con l'obiettivo di puntare ad un'industria nazionale del settore. Abbiamo proposto liberalizzazioni della filiera petrolifera, cioè libertà di approvvigionamento ai punti di vendita e rimozione dei vincoli al commercio all'ingrosso e alla distribuzione dei carburanti; liberalizzazioni per la distribuzione di energia, con la separazione dell'operatore della rete di trasporto del gas naturale e degli stoccaggi dall'ENI. Abbiamo inoltre proposto, come si richiamava sull'altro punto, la sterilizzazione degli aumenti fiscali a seguito dell'aumento del prezzo dei carburanti.
Vengo ora più velocemente al terzo punto, la Cassa depositi e prestiti. Il Governo dovrebbe chiarire quale sia la sua strategia in materia di partecipazioni statali, precisando in particolare se intende procedere alla costituzione di una sorta di nuovo IRI o di nuovo EFIM. Sarebbe opportuna un'ampia discussione parlamentare in tal senso, e non potendosi svolgere Pag. 47nello stretto ambito di riconversione di questo decreto-legge, occorre stralciare l'articolo 7. Subordinatamente dovrebbero almeno essere fissati limiti e condizioni più precisi di quelli contenuti nel testo del decreto-legge in esame, assicurando altresì modalità più stringenti di coinvolgimento del Parlamento. In particolare, rilevo che attualmente l'articolo 7 si limita a prevedere la trasmissione alle Camere del decreto ministeriale chiamato a definire i requisiti della società oggetto di possibile acquisizione da parte della Cassa deposito e prestiti Spa, senza prevedere tuttavia alcuna forma di esame di tale decreto.
Penso che la rilevanza dei temi affrontati dall'articolo 7 richiederebbe invece la previsione di più efficaci forme di indirizzo e controllo da parte delle Camere. In conclusione, si tratta di un decreto che ha bisogno di forti modifiche sui punti che ho richiamato e su altri. C'è bisogno di cambiare la politica economica del Governo, perché non viene mai il tempo di politiche vere per la crescita, l'occupazione, il lavoro, di politiche industriali vere. Ma questo Governo questa svolta non può farla perché non ce l'ha in testa, e allora - come ci hanno indicato ieri gli italiani - oltre e più che cambiare un decreto c'è da cambiare un Governo incapace di indicare un futuro credibile per l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, concentrerò il mio intervento sull'articolo 7 del decreto, quello relativo alla vicenda di Cassa depositi e prestiti. Se ne è già parlato, quindi cercherò anche di far tesoro delle cose che sono state dette, aggiungendo però qualche altro argomento. Il primo punto, quello di partenza, è che dobbiamo chiarire bene qual è la vera novità di questo decreto, perché in realtà la Cassa depositi e prestiti, già a legislazione vigente, può acquisire partecipazioni azionarie e di fatto possiede rilevanti partecipazioni azionarie (ad esempio in ENI, in Terna). Quindi ci aiuta in questo una nota del Ministro dell'economa e delle finanze, depositata presso la Commissione Bilancio del Senato della Repubblica il 15 aprile di quest'anno, con la quale il Ministro chiarisce che l'intervento normativo di cui all'articolo 7 di questo decreto sia sostanzialmente volto - cito testualmente - ad ampliare la tipologia e la possibilità di intervento della Cassa depositi e prestiti.
Quindi, l'obiettivo è ampliare le possibilità di intervento della Cassa depositi e prestiti tramite il meccanismo delle partecipazioni azionarie. Insomma, il Governo chiede in questo decreto di avviare, tramite Cassa depositi e prestiti, una politica economica più attiva nel campo di quelle che, una volta, si chiamavano le partecipazioni statali. Ebbene, Presidente, le dico subito che una discussione sullo Stato imprenditore, sulla possibilità che lo Stato intervenga direttamente in economia anche tramite il possesso di imprese o la partecipazione di imprese, sulle partecipazioni statali, una discussione di questo tipo non mi procura nessuno scandalo, ed è una discussione che si può fare.
Direi forse al Governo ed alla maggioranza che c'è una certa incoerenza nel proporre oggi questa discussione per le partecipazioni statali alla luce del fatto che, con l'articolo 23-bis di due leggi comunitarie fa, modificato, poi, dall'articolo 10 del decreto-legge cosiddetto Fitto-Ronchi, soggetto a referendum da qui a poche settimane, questo stesso Governo e questa stessa maggioranza hanno, invece, privilegiato una strada di privatizzazione forzata, forzosa ed obbligatoria per tutte le società pubbliche di livello locale nel campo dei servizi pubblici locali. Chiederei a voi, quindi, un po' di coerenza; ma come, privatizziamo le società comunali mentre, invece, aumentiamo le partecipazioni statali? Qual è, in sostanza, l'idea di intervento pubblico diretto in economia che il Governo ci propone? Mi pare che il Governo sia un po' confuso in merito, ma, comunque, nessuno scandalo a discutere della possibilità di uno strumento di politica Pag. 48economica interventista tramite partecipazioni statali. Voglio ricordare, da questo punto di vista, che, proprio a mio nome, oltre che a nome dei miei colleghi Lulli e Vico, presentammo in quest'Aula un emendamento al decreto-legge n. 185 del 2008, cosiddetto anticrisi, ossia quello in cui si modificarono allora già alcune delle strumentazioni operative disponibili per la Cassa depositi e prestiti proprio in questa direzione. Se ne può discutere, dunque, ma, naturalmente, lo Stato può fare l'imprenditore solo quando il mercato non sa risolvere quei problemi imprenditoriali. Inoltre, devono essere previste regole certe e trasparenti.
Questa discussione si può affrontare, quindi, ma - lo dico subito - può funzionare solo a quattro condizioni: prima di tutto, uscire dall'ipocrisia di questo decreto-legge che è legato alla vicenda Parmalat; secondo: guardando bene ai modelli degli altri Paesi; terzo: mettendo a frutto le nostre esperienze italiane storiche del passato; quarto: superando l'ambiguità del concetto di rilevante interesse nazionale. Svolgo adesso questi quattro punti. Innanzitutto, uscire dall'ipocrisia. Quando questo decreto-legge è stato emanato dal Consiglio dei ministri, quest'ultimo ha emesso anche un comunicato stampa, in data 31 marzo 2011, con il quale, nell'informare che aveva autorizzato il Ministro dell'economia e delle finanze a predisporre ed attivare strumenti di finanziamento e di capitalizzazione mirati ad assumere partecipazioni in società e via dicendo, affermava anche che Parmalat è inclusa nella casistica di cui sopra. Parmalat, quindi, è inclusa nella casistica di intervento diretto da parte della Cassa depositi e prestiti. L'ipocrisia è che questo intervento è stato messo in piedi, un pò in fretta e furia, assieme all'altro, parallelo ed analogo, di slittamento di proroga dei termini per le assemblee societarie delle quotate, come norma ad hoc per Parmalat. Un tentativo goffo, male organizzato, pessimamente riuscito, di dar voce ad un interesse governativo nei confronti della vicenda Parmalat, una vicenda che, come tutti sappiamo, ormai si è conclusa con un'OPA di mercato da parte di Lactalis, un'OPA, il cui piano industriale è stato anche discusso e accettato con le organizzazioni sindacali, un'OPA, che lo stesso Presidente del Consiglio, dopo che, qualche settimana prima, aveva dato il mandato di comprare azioni di Parmalat per evitare la scalata di Lactalis, ha definito, alla fine del vertice intergovernativo italo-francese, non aggressiva e, quindi, ne ha riconosciuto il valore industriale ed il valore di mercato. Usciamo dall'ipocrisia e discutiamo non più di Parmalat, ma di come potrebbe lo Stato, tramite lo strumento delle partecipazioni azionarie, migliorare la sua performance di politica economica. Guardiamo bene poi - questo è il secondo punto - ai modelli degli altri Paesi e, soprattutto, al modello francese. In Francia, l'analoga della Cassa depositi e prestiti italiana, insieme al Ministero dell'economia, ha messo in piedi, nel 2008, un fondo strategico di investimenti; ma, attenzione, esso - punto primo - entra nel capitale di società strategiche importanti per l'aumento della competitività del Paese. Non si fa riferimento ad un vago concetto di interesse nazionale, ma si fa esplicito riferimento al concetto di competitività del Paese. Secondo: favorisce i coinvestimenti e, quindi, non è mai l'unico investitore; terzo: sostiene le imprese nel medio e lungo termine e, infine - quarto punto - entra in possesso di quote partecipative minoritarie e non di controllo. Tutti questi paletti, tutte queste regole, non ci sono, invece, nelle normative che qui ci proponete perché nella normativa che, infatti, il Governo ci propone, c'è un vaghissimo e molto discrezionale potere di acquisto di partecipazioni azionarie senza nessuna regola, senza nessun paletto, senza nessuna logica di tipo strategico.
Terzo punto, terza condizione: mettiamo a frutto gli insegnamenti del passato. Non possiamo dimenticare che il nostro Paese, l'Italia, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del passato secolo attraverso lo strumento delle partecipazioni statali è riuscito a fare un grandissimo salto di sviluppo da Paese agricolo diventando una delle potenze economiche Pag. 49mondiali. Gli studiosi di tutto il mondo, inglesi, americani, australiani, giapponesi, venivano qui in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta a studiare le partecipazioni statali italiane. Non è quindi uno strumento di cui non dobbiamo andare fieri ma, attenzione, la crisi di quello strumento è venuta poi dalla fine degli anni Ottanta fino all'inizio degli anni Novanta e ci lascia qualche insegnamento di cui sarebbe per davvero inaudito comunque non tener conto nel momento in cui volessimo rilanciare questa politica. Gli insegnamenti della crisi di quel modello sono, anzitutto, che è necessario organizzare questo strumento di intervento dentro una vera strategia di politica industriale. Le partecipazioni statali italiane declinarono rispetto a quello che riuscirono a fare negli anni Cinquanta e Sessanta appunto perché persero di vista la missione dello sviluppo e iniziarono a fare un po' di tutto, iniziarono ad avere una governance prevalentemente politica e non più un imprenditoriale, non fecero più attenzione all'equilibrio gestionale e alla redditività delle imprese. Questo quindi è un elemento da evitare.
Il secondo insegnamento della crisi delle vecchie partecipazioni statali è un insegnamento relativo alla governance, perché l'altro elemento di crisi fu evidentemente quello della governance: le vecchie partecipazioni statali italiane esplodono con la fine della Prima Repubblica per evidenti, notissimi problemi di governance e quindi di rapporti distorti tra politica e gestione imprenditoriale. Anche questo è un insegnamento di cui dobbiamo ricordarci e trarne frutto se volessimo per davvero condurre una politica industriale tramite nuove partecipazioni statali. E infine, quarta condizione, dentro cui è possibile discutere di nuove partecipazioni statali è di superare, rimuovere ogni ambiguità e ogni elemento distorsivo connesso a questo concetto di rilevante interesse nazionale. Vorrei ricordare che lo stesso Governo ha ritenuto che il concetto di rilevante interesse nazionale andasse in qualche modo qualificato. Infatti con un suo emendamento al Senato ha aggiunto che le partecipazioni non devono essere soltanto di rilevante interesse nazionale ma che risultino anche in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e che siano caratterizzate da imprese partecipate da adeguate prospettive di redditività. Quindi, in pratica, ha messo il paletto che tramite queste partecipazioni di Cassa depositi non si devono fare salvataggi di imprese «decotte». Va bene, voglio soltanto ricordare ed è interessante e direi quasi istruttivo ricordare che è esattamente questo che aveva richiesto l'assemblea dei soci di Cassa depositi e prestiti quando in data 11 aprile modificò il suo statuto e che, soltanto in data 20 aprile, cioè 9 giorni dopo, la legge viene emendata in Parlamento. È un singolare precedente di una norma di legge che trae origine da una modifica dello statuto della società Cassa depositi e prestiti e non viceversa. Lo statuto non è stato modificato in relazione ad una norma ma la norma è stata modificata in relazione allo statuto. Non mi sembra questo un modo di procedere in cui il Governo abbia dimostrato una sufficiente intelligenza. Ma andiamo poi a vedere il decreto da poco uscito, uscito da pochi giorni fa che qualifica il rilevante interesse nazionale. Ai fini di tale qualificazione - dice il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze - si considerano tutte le imprese con fatturato netto superiore a 300 milioni di euro, con dipendenti non inferiori a duecentocinquanta ma nel caso in cui il livello di fatturato e il numero dei dipendenti sono inferiori a quei limiti indicati basta che comunque siano entro il 20 per cento dei suddetti valori, se l'attività della società risulta rilevante in termini di indotto e di benefici nel sistema economico e produttivo del Paese.
Quindi in sostanza un decreto che lascia la più ampia discrezionalità nella decisione di che cos'è di rilevante interesse nazionale. Credo che questo sia il vero punto su cui discutere e su cui vorrei farvi riflettere in negativo e in positivo.
In negativo perché, signori del Governo e della maggioranza, la pura difesa dell'italianità degli assetti proprietari non è Pag. 50un criterio industriale, soprattutto nel mercato unico europeo. Non ho il tempo e non voglio annoiarvi, ma noi potremmo fare una lunga casistica di imprese italiane andate in crisi negli ultimi vent'anni, rilevate da grandi gruppi esteri e che oggi, anche dopo essere passate tramite dolorose fasi di razionalizzazione, sono state poi rilanciate e rappresentano componenti importanti dentro multinazionali. Potrei citare il caso di Nuovo Pignone, il caso di Telettra, potrei citare per converso il caso di Alitalia. Alitalia l'abbiamo salvata per salvarne l'italianità e oggi è una compagnia di medio raggio, che cerca ancora un partner industriale per stare dentro una grande alleanza produttiva. Quindi non vorrei qui, ma ricordo che qualche giorno fa l'onorevole Martino, dai banchi della maggioranza, ci ha ricordato che noi non possiamo gioire quando FIAT ricapitalizza Chrysler e invece piangere quando Lactalis fa un'OPA a Parmalat, perché quando FIAT ricapitalizza Chrysler, come ci ha ricordato l'onorevole Martino, sono capitali italiani che vanno fuori, e quando Lactalis acquisisce Parmalat o quando Nuovo Pignone o Telettra entrano in grandi gruppi multinazionali sono capitali esteri che vengono a investire in Italia e aumentano lo stock di capitale del Paese. Quindi dobbiamo affrontare tali questioni con razionalità e non con superficialità. Insomma, ma siete davvero sicuri che blindare le catene di controllo delle società quotate italiane ne potrà favorire la crescita? È da circa trent'anni che sappiamo esattamente il contrario, cioè che l'eccessiva blindatura e scarsa trasparenza delle catene di controllo delle quotate italiane è uno degli elementi di freno allo sviluppo industriale e allo sviluppo in generale capitalistico del Paese.
Ma allora vediamo in positivo e non soltanto in negativo che cos'è rilevante interesse internazionale: è, a mio modo di vedere - e vi è un nostro emendamento in questa direzione -, legato ai progetti industriali e ai contenuti tecnologici degli investimenti che si fanno. È lì che vi è un rilevante interesse nazionale di accostarsi con un side capital di minoranza, in una prospettiva di medio e lungo periodo, a sostenere processi di sviluppo industriale e soprattutto quelli che si muovono sulle frontiere della tecnologia e che quindi possono avere poi un impatto positivo e una esternalità positiva tramite il miglioramento tecnologico. È proprio questo che fanno i francesi: non ne fanno una questione proprietaria, ma ne fanno una questione di competitività tecnologica. Infatti proprio in Francia in realtà, che viene spesso considerata il paese più protezionistico d'Europa, vi sono molti più gruppi stranieri di quanto non ve ne siano in Italia. In Francia, nonostante anche lì il meccanismo del controllo proprietario sia abbastanza poco anglosassone, così com'è in Italia, vi è comunque un meccanismo più trasparente di quello che vi è in Italia.
Quindi concludo proponendovi la cosa più semplice: visto che la questione Parmalat, da cui eravate partiti per questo goffo e rozzo tentativo abortito di intervento, ormai non sta più davanti al nostro tavolo e non è più un dossier prioritario, io vi propongo - e questo è un altro nostro emendamento - di stralciare questo articolo 7 e di portare invece in Parlamento, con una discussione che siamo disponibili come opposizione ad affrontare costruttivamente col Governo e con la maggioranza, un provvedimento che nell'autorizzare la Cassa depositi e prestiti a questa nuova strumentazione di intervento metta però in modo chiaro, certo e trasparente tutta una serie di regole: che le partecipazioni siano solo di minoranza, che sia ben regolamentata la partecipazione a sua volta di Cassa depositi ai vincoli societari previsti, che al centro dell'intervento vi siano obiettivi industriali di sviluppo tecnologico, che si finanzino non vaghi settori di intervento, ma soltanto progetti davvero strategici, che si chiarisca che queste partecipazioni non vanno nelle banche e quindi vanno soltanto nell'industria e nei servizi e non nelle banche; che si instauri una corretta e proficua comunicazione e trasparenza di questa attività nei confronti del Parlamento e dei cittadini. Voglio ricordare che nel tanto bistrattato modello delle vecchie Pag. 51partecipazioni statali italiane vi era anche l'obbligo normativo di una relazione annuale del Governo al Parlamento, al cui interno erano contenuti tutti i piani industriali, tutti i piani di investimento e tutti i prospetti gestionali di bilancio delle partecipazioni statali.
Credo che il nuovo Parlamento, con le nuove partecipazioni statali, dovrebbe chiedere almeno questo.
Propongo, inoltre, che si affronti anche il tema della governance: non voglio entrare nell'argomento, ma ricordo soltanto ciò che è passato alla storia come «metodo Ciampi». Quando Carlo Azeglio Ciampi fu Ministro dell'economia - allora Ministro del tesoro - nel primo Governo Prodi, tra il 1996 e il 1998, instaurò un metodo, che consisteva nel mandare dirigenti generali e funzionari pubblici nei consigli di amministrazione delle società partecipate per avere, tramite la dirigenza pubblica, una buona informazione in ordine a quanto accadeva nelle società stesse e ridurre il tasso di spartizione politica di questi posti. Affrontiamo, dunque, il tema della governance.
Pertanto, vi chiedo: a questo punto, non sarebbe meglio realizzare un vero provvedimento che riformi questo strumento di intervento? Non vi è più la questione Parmalat e, dunque, potremmo affrontare tale argomento con un'altra prospettiva. Naturalmente, dovete avere la testa per fare questo. La mia impressione è che voi non abbiate voluto proporre una politica industriale, perché non avete in testa una vera politica industriale: questi provvedimenti nascono giorno per giorno, in una sorta di galleggiamento quotidiano.
Non mi sembra che abbiate la testa per decidere sul medio e lungo periodo, ma semmai voleste ascoltare la nostra opinione, vi proponiamo di stralciare l'articolo 7 e di aprire una vera discussione nel Parlamento e nel Paese su provvedimenti di intervento diretto dello Stato in economia, che siano, però, davvero legati ad obiettivi di sviluppo e non soltanto ad obiettivi di salvataggio giornaliero, e un po' trasandato, delle imprese italiane che hanno difficoltà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, il decreto-legge n. 34 del 31 marzo scorso, che stiamo discutendo, inizialmente è stato presentato dal Governo come un decreto-legge che finalmente affrontava il tema del recupero di risorse da destinare alla cultura; ma, poi, come accade sempre più spesso con questo Governo, anche questo è diventato un decreto-legge omnibus. Così oltre alla cultura, sono state introdotte altre materie.
Si è tentato di confondere le acque ed evitare una discussione approfondita da parte del Parlamento anche su ognuno degli argomenti molto importanti contenuti nel decreto-legge in oggetto, come ad esempio il nucleare. Si tratta di norme introdotte nel provvedimento con l'evidente obiettivo di annullare il referendum, o almeno di «sterilizzarlo», per non sottoporre la scelta del nucleare fatta dal Governo al giudizio degli elettori. Ciò per la preoccupazione, più che fondata, di essere clamorosamente bocciati, come dimostra l'esito del referendum in Sardegna che si è svolto ieri e l'altro ieri.
Inoltre, vista la sensibilità diffusa sul tema, il referendum potrebbe trainare la partecipazione al voto anche con riferimento agli altri referendum, in particolare, quello concernente il legittimo impedimento. Così, ancora una volta, sui problemi del Paese, il Governo fa prevalere i problemi e le vicende giudiziarie del Presidente del Consiglio.
Considerato il tempo a mia disposizione, nel prosieguo del mio intervento, non affronterò altri argomenti diversi da quello della cultura. Pertanto, focalizzerò il mio intervento sul contenuto degli articoli 1 e 2 del provvedimento in discussione, quelli appunto relativi alla cultura.
Con l'articolo 1 si prevede, in particolare, di destinare al settore 236 milioni di euro, così ripartiti: 149 milioni di euro per Pag. 52il Fondo unico dello spettacolo, 80 milioni di euro per la manutenzione e conservazione dei beni culturali del sito archeologico di Pompei e 70 milioni di euro per interventi in favore di enti e istituzioni culturali.
Voglio subito sottolineare che la decisione di destinare finalmente delle risorse alla cultura, recuperando almeno una parte dei tagli effettuati in questi tre anni dal Governo, è da iscrivere alla grande mobilitazione, alle tante battaglie e ai molteplici appelli di tutto il mondo della cultura, da noi sostenuto con grande convinzione, contro l'abbandono e i tagli operati dal Governo. Mai si era vista nel nostro Paese una protesta così diffusa e coinvolgente, rappresentata da figure indiscusse e prestigiose in tutti i settori della cultura.
In tutti questi mesi, l'unico che ha ascoltato con la sua grande sensibilità istituzionale il mondo della cultura è stato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il Governo, invece, ha continuato a perseguire per tre anni la linea Tremonti, esplicitata con la famosa affermazione «la cultura non si mangia» ed ha taglieggiato il settore fino al punto da mettere in discussione la sopravvivenza delle nostre istituzioni più preziose, dal cinema al teatro, alla musica, alla lirica, per non parlare degli enti culturali, degli archivi e delle biblioteche pubbliche e private.
Le risorse che ora vengono stanziate sono quindi necessarie ad assicurare un futuro alle istituzioni culturali, ma ancora del tutto insufficienti per continuare a far vivere pienamente, nel nostro Paese, un'ampia ed adeguata offerta culturale capace di produrre crescita, occupazione e reddito, capace di promuovere il prestigio del nostro Paese nel mondo, di attrarre turismo e investimenti, di elevare il livello culturale del Paese; cosa fondamentale, questa, insieme alla ricerca, all'istruzione, alla formazione e all'innovazione, per la fuoriuscita dalla crisi e per un nuovo sviluppo dell'Italia. Il nostro Paese possiede il più grande patrimonio artistico e archeologico del mondo ed è conosciuto, a livello internazionale, per la sua musica, il suo cinema e le sue istituzioni culturali.
Le scelte del Governo sono state il frutto dell'idea di abbandonare interi settori culturali al mercato e di affidarli esclusivamente al privato, ma la storia e l'esperienza dimostrano che la cultura per svilupparsi ha bisogno dell'investimento pubblico. Un recente rapporto di Federcultura documenta una correlazione diretta fra investimenti pubblici e privati e in particolare sottolinea come gli investimenti privati si riducano insieme a quelli statali. Infatti, in concomitanza con i tagli alle risorse pubbliche, nel 2009 i privati hanno investito il 30 per cento in meno rispetto al 2008 e le fondazioni bancarie hanno erogato per la cultura il 20 per cento in meno. Ora, con questo decreto-legge, le risorse vengono solo parzialmente reintegrate rispetto al 2010 quando già avevano subito tagli rispetto all'anno precedente, dunque, non possiamo che essere contenti di questo anche se riteniamo che si potesse e si dovesse fare di più.
A conferma della nostra convinzione basta analizzare i dati: le risorse destinate al Fondo unico per lo spettacolo con il disegno di legge di stabilità per l'anno 2011 erano di soli 258,6 milioni di euro, ben il 36 per cento in meno rispetto all'assestamento del 2010 che era di 416,6 milioni di euro. Era stato così toccato il minimo storico che avrebbe comportato la morte certa di istituzioni culturali che costituiscono la storia e l'identità del nostro Paese quali il cinema, il teatro, la musica, la danza, le fondazioni lirico-sinfoniche con conseguenze drammatiche anche sul piano dell'occupazione e dell'economia che si fonda sull'indotto, aggravando così la crisi economica dalla quale il nostro Paese non riesce ad uscire. Inoltre, dall'analisi dei dati dei bilanci dei vari anni che hanno preceduto questo, risulta che le risorse assegnate al Fondo unico per lo spettacolo, nel corso del tempo, toccano le punte più elevate durante i governi di centrosinistra e quelle minime durante i governi di centrodestra. È semplicemente un fatto; è un fatto che durante i governi di centrodestra le voci di bilancio Pag. 53che riguardano cultura, cinema, spettacolo sono sempre con il segno meno, ma mai si erano toccate punte così basse come quest'anno.
Per quanto riguarda le risorse destinate ai beni culturali anche queste costituiscono un reintegro minimo dei tagli che si sono sommati nelle varie manovre economiche del triennio. A conferma di ciò bastano i dati concreti: nel disegno di legge di stabilità per l'anno 2011, rispetto alle previsioni assestate per l'esercizio finanziario 2010, si prevede per il Ministero per i beni e le attività culturali una riduzione di ben 288, 9 milioni di euro, vale a dire il 16,8 per cento in meno che si aggiunge alla riduzione di 20,4 milioni di euro prevista dalla precedente legge di bilancio e al decremento di ben 318,8 milioni di euro previsto dalla legge di bilancio 2009. L'incidenza percentuale sul totale generale del bilancio dello Stato, diversamente dalla media europea, è scesa dallo 0,28 per cento del 2008 allo 0,06 per cento di quest'anno.
Nel decreto, inoltre, non sono stati stabiliti i criteri in base ai quali impiegare gli 80 milioni di euro per i beni culturali e i 7 milioni di euro per le istituzioni culturali. Chiediamo perciò con forza al Governo di condividere con il Parlamento i criteri di riparto, con l'obiettivo fondamentale di ridare fiato a istituzioni prestigiose finora abbandonate a se stesse e per dare più forza alle Soprintendenze mettendole nelle condizioni di continuare a esercitare quelle funzioni di tutela previste dall'articolo 9 della nostra Costituzione e che sempre più difficilmente riescono a svolgere per la carenza di risorse umane e tecnologiche. I 236 milioni di euro stanziati con questo decreto-legge danno un po' di ossigeno, ma sono sempre pochi rispetto alle necessità.
Voglio inoltre sottolineare il nostro fermo dissenso circa la copertura finanziaria prevista con l'aumento delle accise sulla benzina: riteniamo sia un grave errore ricorrere all'aumento della benzina proprio in questo momento di turbolenze internazionali, che hanno già prodotto sensibili aumenti negli ultimi mesi. Si tratta di una scelta che, ancora una volta, contraddice clamorosamente le affermazioni del Presidente del Consiglio Berlusconi sul fatto che non avrebbe mai aumentato le tasse, anzi, le avrebbe diminuite, e messo le mani nelle tasche degli italiani.
Quello che invece è accaduto in questi anni è che è stata aumentata la pressione fiscale e che anche questo aumento delle accise inciderà sul prezzo della benzina e, quindi, ricadrà sui bilanci già così tartassati delle famiglie e sui consumi. Altre soluzioni, a nostro avviso, erano e sono possibili, come abbiamo indicato con le nostre proposte.
Ma insieme alle risorse riteniamo che sia fondamentale approvare un nuovo strumento normativo, un provvedimento quadro capace di mettere a sistema tutto il settore dello spettacolo dal vivo. La VII Commissione sta da molti mesi lavorando unitariamente, con un grande contributo propositivo da parte del gruppo del PD, nell'interesse esclusivo della cultura, ad un testo di legge unificato che tiene conto delle varie proposte di legge presentate, tra le quali, appunto, quella del gruppo del Partito Democratico. Il testo è in dirittura di arrivo e quindi chiediamo al Governo di impegnarsi positivamente per sostenere l'approvazione di questo importantissimo provvedimento.
Per quanto riguarda l'articolo 2, cioè gli interventi di tutela dell'area archeologica di Pompei, prendiamo atto che finalmente anche il Governo afferma la necessità di interventi urgenti anziché tendere a minimizzare, come è accaduto finora con l'ex Ministro Bondi. I cinque crolli che si sono succeduti in poche settimane nei mesi di novembre e dicembre dello scorso anno, soprattutto della domus dei gladiatori e della casa del moralista, hanno reso drammaticamente evidente che si stava toccando un punto di non ritorno. L'area archeologica di Pompei, è bene ricordarlo, è il sito più vasto e noto nel mondo, il secondo tra i musei italiani più visitati, con più di due milioni di visitatori l'anno. Esso dovrebbe essere nel cuore e nella mente di chiunque governa. Pag. 54
Occorre fare scelte urgenti e impegnative, dotare quel sito delle necessarie risorse umane ed economiche e di strumenti per poter garantire, innanzitutto, gli interventi urgenti di messa in sicurezza degli edifici più a rischio, con l'immediato avvio di un adeguato piano di manutenzione ordinaria dell'intero sito ed un programma di intervento a medio e lungo termine che rispondano alle esigenza reali di conservazione.
Riteniamo che solo in parte, però, le misure previste nel provvedimento rispondono a tali esigenze, e alcune di esse presentano aspetti non convincenti, addirittura sbagliati, quali, ad esempio, il ruolo secondario attribuito alla sovrintendenza rispetto al ruolo del direttore generale del Ministero per le antichità per quanto concerne la definizione del programma straordinario e urgente di intervento, la copertura finanziaria che fa riferimento all'utilizzo anche di fondi per le aree sottoutilizzate - ancora una volta il FAS - destinati alla Campania, ma senza precisarne i limiti temporali, il ricorso alla società ALES Spa ai fini dell'attuazione del programma di interventi senza garanzie di efficienza, di efficacia e di trasparenza. Le stesse norme positive sulle deroghe al blocco delle assunzioni per l'area di Pompei, con la previsione di attingere dalle graduatorie in corso di validità, non danno tuttavia certezze per il futuro in caso di esaurimento di dette graduatorie con l'indizione di nuovi concorsi e, soprattutto, non viene prevista l'estensione delle deroghe a tutte le soprintendenze, sempre più con gravi carenze di personale.
Per concludere, signor Presidente, come avrà constatato, le nostre considerazioni sono tutte ancorate al merito del contenuto del decreto e abbiamo considerato le risorse assegnate, seppure insufficienti, come un primo segnale di inversione di tendenza. Ci auguriamo, dunque, che sulla cultura si possa avviare una riflessione più ampia, una fase nuova. Ci auguriamo che sia archiviata definitivamente la fase sciagurata dei tagli indiscriminati e che si avvii un confronto serio e attento, sul merito, in Parlamento, valutando con attenzione le nostre osservazioni e le nostre proposte su questo provvedimento e su altri importanti provvedimenti.
In particolare, voglio ancora una volta sottolineare la necessità di portare in Aula e di approvare al più presto la legge sullo spettacolo dal vivo in discussione in VII Commissione. Signor Presidente, concludo dunque con questo auspicio, e cioè che si possa aprire sul serio un confronto e un dialogo in Parlamento, nell'interesse della cultura e del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, interverrò sul punto relativo al nucleare, cioè l'articolo 5 del provvedimento in esame. È una disposizione, quella che poi è uscita dalla discussione avvenuta al Senato, che poteva essere anche salutata positivamente in un primo momento quanto a volontà di soprassedere sul rientro nel nucleare, perché questa decisione era legata e abbinata a pubbliche dichiarazioni di impegno volte a definire la Strategia energetica nazionale.
Tuttavia questo scenario, che appariva in un primo momento positivo, è stato nel breve tempo modificato innanzitutto dalle parole che il Presidente del Consiglio Berlusconi ha usato nell'incontro con il suo omologo francese Sarkozy, ma anche da un'assenza di alcuna azione concreta nel senso della convocazione di una conferenza nazionale su energia e ambiente. In questo modo la maggioranza e il Governo hanno rivelato che non ci si trova di fronte ad alcuna seria volontà politica nel campo energetico, ma semplicemente ci si trova di fronte all'ennesimo boicottaggio dello strumento referendario.
Su questo però voglio dire che il boicottaggio dei referendum non è di certo prerogativa o caratteristica di questa maggioranza e del Governo che ne è espressione. È un connotato che percorre e attraversa tutta la storia del nostro Paese, della nostra Repubblica, se ricordiamo, ad esempio, gli scioglimenti anticipati del Parlamento Pag. 55negli anni Settanta per evitare che si tenessero i referendum, esemplificato anche dalle innumerevoli sentenze interpretative della Corte costituzionale volte appunto ad evitare che si tenessero i referendum. Ricordo anche gli innumerevoli tradimenti, laddove poi un referendum si sia potuto tenere, di quello che ne è stato l'esito da parte delle forze politiche rappresentate in Parlamento.
In realtà, proprio per questo ripetuto boicottaggio dello strumento referendario, credo che in questo modo si sia spianata la strada a quei comportamenti, a cui oggi assistiamo da parte del Governo e della maggioranza, che sono in palese violazione dei principi propri dello Stato di diritto e che nel settore energetico continuano a manifestare un'assoluta inadeguatezza ad affrontare le pur rilevanti e importantissime problematiche connesse, anche nella prospettiva di uno sviluppo economico del nostro Paese.
Noi, come radicali, abbiamo sempre rifiutato di assecondare le problematiche connesse al nucleare che potessero avere un legame con fattori emotivi, cercando e chiedendo invece costantemente un confronto pragmatico al di fuori di ogni pregiudiziale su quelle che possono essere le scelte energetiche. Ma questo non è stato possibile. Non è stato possibile avere un confronto neanche rispetto a quegli elementi importanti, che avevamo fornito proprio in merito alla valutazione legata ai costi e ai benefici che una scelta di questo tipo poteva avere per il nostro Paese, quando abbiamo dimostrato i costi di un rientro nel nucleare di circa 30 miliardi di euro che arrivavano a coprire, ben che vada, il 4,5 per cento del fabbisogno legato ai consumi finali di energia.
È questa l'impostazione che, a nostro avviso, occorre perseguire, ossia cercare di valutare le opzioni possibili che nell'ambito energetico esistono e rapportarle in termini di costi-benefici.
Noi rileviamo che queste incapacità e inadeguatezza ad affrontare le problematiche energetiche non sono legate soltanto alla questione del nucleare, ma si sono manifestate anche rispetto all'altro settore delle rinnovabili, dove abbiamo assistito a un modo di procedere davvero grave per quanto riguarda gli incentivi che, in un primo momento, si sono addirittura consentiti attraverso il decreto «salva Alcoa» in misura abnorme per poi retrocedere all'inizio dell'anno e poi adottare un nuovo decreto per quanto riguarda gli incentivi al fotovoltaico.
Si tratta di un modo di procedere che - debbo dire anche rispetto alle altre forze politiche, quindi non soltanto rispetto alla maggioranza - ha evidenziato a mio avviso una inadeguatezza: c'è stato un appiattimento rispetto alle energie rinnovabili elettriche che non ha consentito di tenere nella dovuta considerazione altri settori molto importanti e rilevanti per la ripresa e per lo sviluppo del nostro Paese, quali sono innanzitutto l'efficienza energetica e le rinnovabili termiche.
Insomma, si tratta di un modo di procedere inadeguato, che dimostra soprattutto l'inaffidabilità di questo Governo che può continuare a reggersi soltanto perché non c'è adeguata informazione su questi temi. La vicenda relativa all'adozione del regolamento per quanto riguarda la disciplina dell'informazione sui temi referendari è stata, da questo punto di vista, emblematica e dimostra come in realtà per il nostro Paese la priorità, anche in termini di ripresa economica, sia innanzitutto quella di rimettere il nostro Paese sui binari delle regole minime dello Stato di diritto (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 4307)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica. Pag. 56
Il seguito del dibattito pertanto è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Proroga dei termini per l'esercizio della delega di cui alla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale (A.C. 4299-A) (ore 17,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Proroga dei termini per l'esercizio della delega di cui alla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4299-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la V Commissione, onorevole Ceroni, ha facoltà di svolgere la relazione.

REMIGIO CERONI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, il disegno di legge in esame intende consentire il completamento, in tempi congrui, del procedimento di attuazione del federalismo fiscale avviato con l'approvazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, garantendo al contempo un adeguato spazio per l'esame parlamentare degli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.
In proposito, ricordo preliminarmente che l'articolo 2, comma 1, della legge n. 42 del 2009 prevedeva che la delega legislativa ivi prevista dovesse essere esercitata entro 24 mesi dall'entrata in vigore della medesima legge e, quindi, entro il 21 maggio 2011. In questi mesi, il procedimento di attuazione delle deleghe ha raggiunto uno stato piuttosto avanzato.
Infatti, sono già stati emanati 5 decreti legislativi: il n. 85 del 2010, relativo al cosiddetto federalismo demaniale; il n. 156 del 2010 concernente l'ordinamento transitorio di Roma capitale; il n. 216 del 2010 in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province; il n. 23 del 2011 in materia di federalismo fiscale e municipale; infine, il n. 68 del 2011 in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, delle province e di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
Entro la giornata di domani le Commissioni bilancio dei due rami del Parlamento concluderanno l'esame dello schema di decreto legislativo in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali sul quale la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha già espresso il proprio parere nella seduta del 5 maggio 2011.
Nella giornata di oggi la Commissione bilancio e la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale hanno inoltre avviato l'esame dello schema relativo all'armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali. Un ulteriore schema di decreto legislativo relativo alla definizione dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni nonché all'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica è stato invece approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri ed è già stato sottoposto alla Conferenza unificata per la prescritta intesa.
Nonostante i numerosi passi compiuti, non è tuttavia possibile completare il percorso per l'attuazione nei tempi previsti dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, anche in considerazione della necessità di garantire tempi di esame tali da assicurare un Pag. 57approfondimento dei contenuti degli schemi di decreto legislativo adeguato alla complessità delle materie da trattare, consentendo altresì di perseguire l'obiettivo del raggiungimento del più ampio consenso a livello istituzionale e parlamentare.
Proprio la ricerca di una condivisione dei contenuti dei pareri da esprimere in sede parlamentare ha portato all'esigenza di prorogare i termini previsti dall'articolo 2, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42. Infatti dopo l'intesa da sancire in sede di Conferenza unificata la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e le Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario esprimono il proprio parere sugli schemi di decreto legislativo nel termine di 60 giorni. Al fine di garantire che l'esame da parte della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale avvenga con il dovuto approfondimento, specialmente in relazione alla complessità della materia o all'andamento dei lavori, l'articolo 3, comma 6, prevede che su richiesta della stessa Commissione i Presidenti delle Camere possano accordare una proroga di 20 giorni per l'espressione del parere. Tale proroga, che si estende di fatto anche ai lavori delle Commissioni bilancio, è stata finora richiesta pressoché costantemente con l'esclusione dello schema di decreto legislativo relativo all'ordinamento transitorio di Roma Capitale. Come evidenziato anche nella relazione illustrativa, gli ulteriori 20 giorni non sono sempre risultati sufficienti a garantire la conclusione dell'esame parlamentare.
In questo contesto il disegno di legge in esame, che si compone di un solo articolo, dispone in primo luogo al comma 1, lettera a), una proroga di sei mesi del termine previsto per l'esercizio della delega di cui all'articolo 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42, che pertanto scadrebbe il 21 novembre 2011.
In correlazione a tale modifica, la successiva lettera g) dispone un'identica proroga del termine previsto dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, relativa all'adozione delle norme di attuazione degli statuti speciali concernenti il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà al Patto di stabilità interno e agli obblighi posti dall'ordinamento comunitario.
La successiva lettera b) incrementa invece da 60 a 90 giorni il termine per l'espressione dei pareri sugli schemi di decreto legislativo da parte delle Commissioni parlamentari. In relazione a tale modifica la lettera d) sopprime la possibilità per la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale di richiedere una proroga del termine per l'espressione del proprio parere, modificando anche il meccanismo di scorrimento automatico del termine finale della delega operante nel caso in cui il termine per l'espressione del parere parlamentare cada nei 30 giorni che precedono il termine finale della delega o successivamente, mentre attualmente si prevede che in questi casi l'esercizio della delega sia prorogato di 90 giorni. Il disegno di legge prevede una proroga automatica di centocinquanta giorni.
Il comma 2 esclude che le disposizioni relative al nuovo termine per l'espressione dei pareri parlamentari e allo scorrimento automatico del termine finale della delega si applicano gli schemi di decreto legislativo che alla data di entrata in vigore della legge siano stati già trasmessi alla Conferenza unificata ai fini dell'intesa prescritta dall'articolo 2, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42. Restano quindi esclusi dall'applicazione di tale disposizione, oltre allo schema relativo alla rimozione degli squilibri economici e sociali, sia lo schema di decreto relativo all'armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci di regioni ed enti locali, già trasmesso alle Camere, sia lo schema di decreto relativo alla definizione dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni nonché all'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

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Questo disegno di legge apporta anche ulteriori modifiche alla legge n. 42 del 2009, volte a favorire un maggiore approfondimento dei temi da affrontare in sede di attuazione del federalismo fiscale. La lettera c) del comma 1 proroga, infatti, il termine a disposizione per l'adozione di eventuali decreti legislativi integrativi e correttivi da due a tre anni, decorrenti dall'entrata in vigore di ciascuno di detti decreti legislativi da integrare e correggere, mentre la lettera f) del medesimo comma proroga di un anno, fino al 21 maggio 2013, il termine per l'adozione dei decreti legislativi istitutivi delle città metropolitane.
Nel corso dell'esame in sede referente l'impianto del disegno di legge è stato sostanzialmente confermato, essendo stata introdotta soltanto una limitata modifica volta a precisare il contenuto della delega di cui all'articolo 16 della legge n. 42 del 2009 in materia di interventi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione.
In particolare, l'emendamento, recependo riflessioni maturate nell'ambito della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo, chiarisce che gli interventi sono riferiti a tutti gli enti territoriali per i quali ricorrono i requisiti di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.
In considerazione dell'imminente scadenza del termine per l'esercizio della delega di cui all'articolo 2 della legge n. 42 del 2009, che è il 21 maggio 2011, ricordo che il comma 3 dell'articolo 1 del provvedimento dispone che esso entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Alla luce di tale circostanza e dello spirito di condivisione che ha sempre caratterizzato i lavori parlamentari in occasione dell'esame dei provvedimenti attuativi del federalismo fiscale, auspico che si possa pervenire rapidamente all'approvazione del disegno di legge in esame.
Per concludere, desidero ringraziare il collega Soglia, relatore per la VI Commissione, per la collaborazione che si è resa necessaria per predisporre unitariamente questa relazione.

PRESIDENTE. Il relatore per la VI Commissione, onorevole Soglia, ha facoltà di svolgere la relazione.

GERARDO SOGLIA, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, come ha già detto l'onorevole collega Ceroni, abbiamo predisposto una relazione comune tra la V e la VI Commissione. Infatti, il disegno di legge si compone di un solo articolo e si rileva sostanzialmente dall'esame del disegno di legge che le modifiche proposte hanno un carattere ordinamentale, in quanto rispondono all'esigenza di incrementare il tempo a disposizione dei soggetti coinvolti con riferimento ai termini originariamente previsti per l'attuazione della delega legislativa in materia di federalismo fiscale, attribuita al Governo dalla legge n. 42 del 2009.
Inoltre, vorrei far rilevare che il testo tende a consentire l'esercizio della delega entro termini temporali più idonei rispetto a quelli attualmente previsti, in considerazione dell'esigenza di un approfondimento delle articolate questioni dell'autonomia finanziaria e fiscale. Infatti, il prolungamento da 24 a 30 mesi di diverse scadenze previste dalla legge sul federalismo fiscale è necessario per garantire tempi di esame tali da assicurare un approfondimento dei contenuti degli schemi di decreto legislativo adeguato alla complessità della materia da trattare, consentendo, altresì, di perseguire l'obiettivo del raggiungimento del più ampio consenso a livello istituzionale e parlamentare.
Vorrei far rilevare, infine, che la complessità dei lavori è stata tale che per tutti i decreti le Commissioni esaminatrici si sono avvalse della possibilità di poter ritardare di venti giorni l'emissione del proprio parere.
Concludo facendo giusto rilevare alcuni punti che vorrei porre all'attenzione dell'Assemblea. Il provvedimento ha avuto un generale Pag. 59consenso da parte di tutti i gruppi. Non è stato esplicitamente accolto il parere del Comitato per la legislazione riguardante il meccanismo di scorrimento automatico di 90 giorni del termine finale per l'esercizio della delega in quanto il Governo intende consentire un minimo di flessibilità, che reputa opportuno.
Infine, voglio anche far notare che, in sede di esame parlamentare della legge sul federalismo, il Governo aveva già proposto di stabilire in tre anni il termine per l'esercizio delle deleghe legislative. La riduzione a due anni di questo termine è stato poi frutto di una mediazione rispetto alle istanze parlamentari, che, addirittura, chiedevano che la delega fosse esercitata entro soli 12 mesi.
Se vogliamo, quindi, era già stato preventivato che ci sarebbe voluto un maggior tempo per esercitare tutte le deleghe.
Per quanto concerne la relazione della VI Commissione, concludo così.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, il gruppo Partito Democratico dà un giudizio positivo sul disegno di legge governativo che proroga i termini per l'emanazione dei decreti attuativi della legge n. 42 del 2009.
Lo abbiamo richiesto noi stessi per due motivi. Il primo è che molti decreti sono ancora da approvare. Qualcuno è già stato citato dai relatori, per esempio il decreto relativo all'armonizzazione dei bilanci, quello concernente i premi e le sanzioni, il vero decreto su Roma Capitale, i decreti sui fondi perequativi a regime di comuni e province. A questo aggiungerei, però, due grandi temi ancora mancanti e cioè, da un lato, il trattamento delle spese in conto capitale e delle corrispondenti entrate attualmente gestite da comuni, province e regioni, quindi le entrate derivanti da alienazione o da debito, e, dall'altro, tutta la questione relativa alla fissazione dei LEP e dei LEA nel perimetro delle funzioni garantite costituzionalmente nell'ambito delle lettere m) e p) dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione concernenti i servizi essenziali e le funzioni fondamentali e i connessi obiettivi di servizio. Quindi, vi è certamente, ancora, da lavorare molto per arrivare ad una piena attuazione della legge n. 42 del 2009.
Vi è, però, un secondo motivo per il quale riteniamo che vi sia bisogno di più tempo, ossia quello in base al quale va aperta un'attenta fase di registrazione, coordinamento e verifica dell'insieme dei decreti già approvati. È su questo che concentrerò il resto del mio intervento perché voglio subito dire che il giudizio del gruppo Partito Democratico sull'attuazione della legge n. 42 del 2009 dipende essenzialmente dall'esito di questa fase di registrazione, coordinamento e verifica.
Riteniamo che la suddetta fase debba avere effetti anche prima del 21 novembre prossimo e che, quindi, non vada riferita soltanto a futuri decreti correttivi ed integrativi, ma debba trovare anche sbocchi immediati. Infatti, riteniamo che non sia possibile dare un giudizio positivo dell'insieme dei decreti di attuazione così come oggi si sono configurati.
Se si guarda ai decreti uno per uno, ve ne sono, a nostro avviso, di migliori e di peggiori. Abbiamo anche diversificato, come si sa, il nostro voto in Commissione bicamerale a seconda dei giudizi di merito espressi decreto per decreto. Complessivamente, però, quello che manca è un vero coordinamento tra i diversi decreti. Il Governo ha privilegiato una logica, se vogliamo, settoriale, verticale; prima i comuni, poi le regioni, prima i fabbisogni, ma ancora non vi sono i LEP, prima gli interventi speciali, ma ancora non vi è nulla sulla spesa ordinaria in conto capitale. Una logica, quindi, settoriale, pezzo per pezzo.
Non sempre è stato chiaro al Governo e non sempre è chiaro nei decreti legislativi emanati alla fine dell'intenso lavoro svolto, anche proficuamente, in Commissione bicamerale l'intero complesso delle Pag. 60interrelazioni e degli elementi di coordinamento che ancora oggi mancano tra i decreti.
Quindi, abbiamo proposto al Governo - do atto al Ministro Calderoli di aver fornito una risposta positiva, arrivata nella seduta della Commissione bicamerale del 19 aprile scorso - di aprire in Commissione bicamerale una fase di verifica e di coordinamento dei decreti già adottati.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 17,30)

MARCO CAUSI. Voglio anche ricordarvi, prima di dire quali sono, secondo noi, le principali priorità, che l'attuazione dei decreti già adottati produrrà comunque un contesto normativo che è ancora, in gran parte, da registrare.
Pensate che, secondo l'analisi effettuata dai servizi tecnici del Parlamento, i primi cinque decreti legislativi finora approvati produrranno in futuro bene sessantasette atti normativi che vanno ancora predisposti, a ricaduta di soli cinque decreti. Atti che saranno decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, regolamenti, decreti ministeriali.
Soltanto questo dà l'idea della mole di lavoro che si sta sviluppando a partire dalla legge delega n. 42 del 2009, ma anche della complessità attuativa su cui riteniamo vi sia bisogno non di correre, magari per preoccupazioni politiche, ma di fermarsi a riflettere su quello che finora è stato fatto e su come migliorarlo.
Vi sono sei aree di possibili miglioramenti dei decreti legislativi già emanati. Innanzitutto, come prima area, vi è il decreto legislativo relativo alle regioni. Nel decreto legislativo relativo alle regioni, dove peraltro i fondi perequativi sono sostanzialmente positivi anche rispetto a esperienze storiche precedenti, ci sono però ancora delle ambiguità relativamente alle modalità di trasformazione degli attuali trasferimenti dello Stato alle regioni, in materia di servizi essenziali e di funzioni fondamentali, nella nuova grammatica finanziaria del federalismo. Riteniamo che vada chiarito all'articolo 2 e anche all'articolo 11 del decreto legislativo sulle regioni che tutti i servizi essenziali e le funzioni fondamentali vengono perequati, come dice la legge n. 42 del 2009, con la compartecipazione IVA, destinando la perequazione via addizionale IRPEF solo alla categoria dei servizi non essenziali e delle funzioni non fondamentali.
Secondo il Partito Democratico, restano anche aperti dei nodi da sciogliere con una discussione più approfondita relativamente alla definizione dei fabbisogni sanitari, alla definizione dei costi standard della sanità, all'arricchimento dei sistemi informativi per la sanità.
Una seconda area di intervento correttivo e integrativo, che va attuato prima del 21 novembre, quindi con interventi delegati alla verifica e al coordinamento che è in corso, è quella relativa al decreto legislativo sui comuni. Nel decreto legislativo sulle regioni abbiamo introdotto una clausola di salvaguardia sui tagli del decreto-legge n. 78 del 2009; questa clausola va estesa, a nostro avviso, anche ai comuni e alle province.
Va verificato sul piano quantitativo il funzionamento dei fondi di riequilibrio provvisorio per comuni e province, che ancora non sono stati resi noti, va verificato sul piano quantitativo il funzionamento della compartecipazione IVA ai comuni, va coordinato, nel caso dei comuni, il fondo di riequilibrio con il calcolo della compartecipazione IVA, vanno introdotte norme di indirizzo per coordinare i fondi di riequilibrio provvisori destinati a comuni e province da parte di Stato e regioni.
Una terza area di intervento riguarda alcune omissioni. Nei decreti legislativi finora approvati ci sono alcune omissioni, innanzitutto, in merito al sistema della perequazione a regime dei comuni. In secondo luogo, in merito alle relazioni finanziarie tra regioni e comuni, quindi alla possibilità da parte delle regioni di stabilire criteri di riparto dei fondi perequativi destinati agli enti territoriali compresi nei loro territori regionali; occorre Pag. 61che in qualche modo questi si integrino e si parlino con i corrispondenti fondi perequativi di origine statale.
C'è un'area, come dicevo poco fa, ancora inesplorata relativamente ai collegamenti tra i fabbisogni standard di comuni e province e i livelli essenziali delle prestazioni.
C'è un tema ancora non esplorato relativo al trasporto pubblico locale. Vorrei ricordarvi che nella legge n. 42 del 2009, accanto alle due grandi categorie dei servizi essenziali, di cui alla lettera m), e dei servizi non essenziali, abbiamo, introdotto un'altra categoria, quella del trasporto pubblico locale parte corrente, per cui la legge parla di livelli adeguati di servizio, ma il Governo non ha ancora portato in Parlamento una norma che definisca cosa siano questi livelli adeguati di servizio, che sono qualcosa di diverso rispetto ai livelli essenziali delle prestazioni.
C'è un'omissione - lo ripeto - sul trattamento delle spese ordinarie in conto capitale e delle fonti di finanziamento attuali della spesa in conto capitale di comuni, province e regioni.
Ci sono da costruire le regole per il funzionamento dei piani per il conseguimento degli obiettivi di convergenza. Credo che su questo vada integrato opportunamente il decreto legislativo su premi e sanzioni, perché non si tratta soltanto di dare premi o sanzioni, ma si tratta anche di affiancare le amministrazioni divergenti con piani per il conseguimento della convergenza.
C'è infine il grande tema inesplorato e irrisolto della futura tassazione comunale, della seconda grande imposta comunale, la TARSU ovvero TIA, che è un po' la grande dimenticata della riforma della finanza comunale. Il Governo si è dimenticato della TARSU-TIA all'interno del provvedimento. Ha promesso un futuro decreto legislativo, ma questo dovrebbe arrivare velocemente perché molti enti locali e molte società concessionarie di servizi sono in grandissima incertezza relativamente alle basi giuridiche della nuova TARSU-TIA.
Esiste poi una quarta area di incoerenze tra i decreti sinora adottati. Una prima incoerenza che emerge, quella forse più clamorosa, è che non è chiaro fino a che punto il Governo abbia lavorato su un coordinamento tra gli elementi tributari di questa riforma e la complessiva riforma del sistema fiscale più volte annunciata dal Governo e su cui il Ministro dell'economia ha messo al lavoro alcune Commissioni. Il Ministro ha annunciato che già prima dell'estate queste Commissioni potranno completare i primi lavori ma ci sarà, a questo punto, un problema di coordinamento tra i pezzi di riforma tributaria che in modo un po' scoordinato e sgangherato - lasciatemelo dire - sono passati attraverso i decreti di attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, e il complesso della riforma fiscale.
C'è un tema di coordinamento tra perequazione infrastrutturale e definizione dei fabbisogni standard, tra interventi speciali e spese ordinarie in conto capitale, nonché tra definizione della spesa LEP nei settori cofinanziati tra diversi livelli di Governo, come assistenza ed istruzione.
Abbiamo affrontato il tema della sanità ma essa è finanziata integralmente dalle regioni. È molto più complicato e quindi finora non è stato affrontato il tema dell'assistenza e dell'istruzione, dove convivono e si sovrappongono finanziamenti statali, regionali, provinciali e comunali.
Va, infine, meglio coordinato il legame tra fissazione dei LEP, ossia dei livelli adeguati di servizi, la loro ricognizione e la fissazione degli obiettivi e dei livelli di servizio.
Una quinta area su cui chiediamo al Governo anche urgentemente di risponderci è quella dei fabbisogni informativi. Esistono alcuni vuoti informativi soprattutto relativamente alla compartecipazione IVA, nel momento in cui si decide di ancorare tali compartecipazioni all'IVA effettivamente riscossa sui diversi territori e, quindi, al modello VT delle dichiarazioni IVA. Il Governo aveva promesso di portare i famosi dati del modello VT ma essi ancora non sono stati resi pubblici dal dipartimento delle finanze e noi siamo Pag. 62qui, quindi, di nuovo a chiedere di ottemperare a questo urgente fabbisogno informativo da cui dipende anche il funzionamento del nuovo sistema perequativo per i comuni.
Infine, c'è un tema molto rilevante, quello di verificare lo stato di attuazione di alcuni decreti attuativi. Qui, in particolare, voglio ricordare lo stato di attuazione del decreto sul trasferimento del patrimonio demaniale. Come voi sicuramente sapete - perché anche voi ascoltate le lamentele e i disagi di tanti sindaci e presidenti di provincia - c'è stato un rifiuto in blocco da parte della Conferenza delle autonomie delle prime liste prodotte dall'Agenzia del demanio. Si tratta di liste molto più povere di quanto già non fossero, ben delimitate su un perimetro molto ristretto sulla base della previsione del decreto, ma certamente questa è una verifica da fare tramite un apposito insieme di audizioni all'interno della Commissione bicamerale.
C'è anche un problema di verifica dello stato di attuazione del decreto sul calcolo dei fabbisogni standard di comuni e province ed infine - questo è un punto positivo del disegno di legge in esame - bisognerebbe già cominciare a fare una verifica sullo stato di attuazione della riforma federalistica nelle regioni a statuto speciale.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARCO CAUSI. Concludo rivolgendomi al sottosegretario Belsito che mi ascolta - con noi non c'è il Ministro Calderoli, ma credo di poterlo giustificare perché lo abbiamo visto tutti ieri fino a tarda notte in tv e stamattina in sede di Commissione bicamerale - pregandolo di riferirgli da parte del gruppo del Partito Democratico che questa proroga dei termini è positiva, ma il nostro giudizio sull'attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, potrà cambiare e diventare positivo da negativo soltanto se nelle prossime settimane non si lavorerà solo su nuovi decreti ma anche intensamente sull'agenda della verifica e del coordinamento dei decreti già emanati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, la ringrazio per la possibilità di realizzare questo intervento. Inizio subito dicendo che, quanto alla visione della proroga in esame e rispetto a quanto ha detto sin d'ora l'onorevole Causi, anche la Lega Nord ha una visione positiva in funzione di un'attuazione completa del percorso di riforma fiscale del nostro Paese.
Infatti, l'approvazione del presente disegno di legge si rende necessaria per consentire il completamento del processo di attuazione della legge delega, la n. 42 del 2009 in materia di federalismo fiscale, fissato al 21 maggio di questo anno (24 mesi dalla sua entrata in vigore). È già stato ricordato prima dal correlatore che il Governo propose un termine di tre anni (nel 2009, quando si votò questa legge delega), mentre la sinistra propose addirittura due anni in meno (un anno); si optò per la soluzione di due anni, e adesso giustamente si arriva al terzo anno per l'esercizio della delega. Oggi sono stati emanati cinque decreti legislativi; li ricordo proprio per evidenziare l'enorme mole di lavoro che il Parlamento e le Commissioni hanno fatto in funzione di una rivisitazione totale del sistema fiscale degli enti locali e delle regioni: il n. 85 del 2010, concernente il federalismo demaniale; il n. 156 del 2010, sull'ordinamento transitorio di Roma capitale); il n. 216 del 2010 relativo alla determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province; il n. 23 del 2011 in materia di federalismo fiscale municipale; il n. 68 del 2011 (dell'inizio di questo mese) in riferimento all'autonomia tributaria di regioni e province, e di costi standard nel settore sanitario.
La Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale e le Commissioni Bilancio dei due rami del Parlamento concluderanno Pag. 63l'esame dello schema di decreto legislativo in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (già votato in Commissione bicamerale, al Senato, e questa settimana all'esame della V Commissione della Camera). Abbiamo già avviato lo schema relativo alla normalizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci di regioni e di enti locali con l'audizione oggi della Ragioneria dello Stato e della Corte dei conti. Un ulteriore schema di decreto legislativo è relativo alla definizione dei meccanismi sanzionatori e premiali per gli enti locali, nonché all'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, che è stato invece approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 30 novembre scorso, ma che non è ancora stato trasmesso alle Camere.
Nonostante il processo di attuazione sia quindi a buon punto, vi è la necessità di garantire tempi di esame tali da assicurare un adeguato approfondimento dei contenuti degli schemi di decreto adeguato alla complessità delle materie da trattare e alla volontà politica di raggiungere, è doveroso fare quindi questa proroga (cui ci accingiamo attraverso questo dibattito e questa votazione). È inutile sottolineare che il federalismo, seppur nella sola componente fiscale (quella attuale), costituisce l'obiettivo primario della Lega Nord fin dalla sua nascita, e la sua completa attuazione non è solo auspicabile ma addirittura necessaria per la sopravvivenza economica stessa dello Stato. Fa parte dei punti salienti del Semestre europeo l'obiettivo di dare una fiscalità certa e ordinata dell'intero Paese. Al fine di garantire che l'esame da parte della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale avvenga con il dovuto approfondimento, specialmente in relazione alla complessità della materia o all'andamento dei lavori, l'articolo 3, comma 6, della legge n. 42 prevede che su richiesta della Commissione i Presidenti delle Camere possano accordare una proroga di 20 giorni per l'espressione del parere. In tal caso il termine finale per l'esercizio della delega è prorogato quindi di 20 giorni.
La complessità delle materie da trattare e la necessità di realizzare il più ampio consenso istituzionale parlamentare sugli schemi dei decreti legislativi hanno messo in luce quanto il termine per l'esercizio della delega stessa, fissato in 24 mesi, risulti limitato rispetto all'obiettivo di completare in maniera adeguata l'ampia e complessa riforma mediante la decretazione delegata. La prassi, tra l'altro, ha altresì rilevato l'insufficienza del termine dei 60 giorni previsto in via ordinaria per l'espressione del parere parlamentare. Infatti, la Commissione parlamentare ha in più occasioni esercitato la facoltà di richiedere ai Presidenti delle Camere di poter usufruire della proroga di 20 giorni, e talvolta abbiamo sforato anche questa proroga. Questi ultimi sono stati a loro volta - come ricordavo - insufficienti, per esempio nell'iter dell'esame dello schema del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale, allorché in ambito parlamentare tra l'altro è emersa anche l'esigenza di richiedere al Governo di non avvalersi della facoltà di procedere in assenza dei pareri parlamentari alla scadenza del termine già prorogato di venti giorni, se non dopo ulteriori 6 giorni.
L'intervento legislativo in esame prevede: una proroga di 6 mesi (da 24 a 30 mesi) del termine per l'adozione da parte del Governo dei decreti attuativi; l'estensione, da 60 a 90 giorni, del termine per l'emanazione del parere da parte della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale che, quindi, non potrà più richiedere la proroga dei venti giorni; la proroga di un anno (da 2 a 3) del termine per l'adozione dei decreti legislativi correttivi e integrativi; l'estensione, da 90 a 150 giorni, della proroga del termine per l'esercizio della delega qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine finale per l'esercizio della delega medesima; la proroga di un anno (da 36 a 48 mesi) del termine per l'adozione dei decreti istitutivi delle singole città Pag. 64metropolitane e di 6 mesi (da 24 a 30) del termine per l'adozione, da parte delle regioni a statuto speciale, delle norme di attuazione degli statuti speciali.
Il comma 2 dell'articolo stabilisce che le nuove disposizioni relative all'emanazione del parere parlamentare non si applicano ai procedimenti relativi agli schemi di decreto legislativo che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono già stati trasmessi alla Conferenza unificata ai fini dell'intesa prevista dall'articolo 2, comma 3, secondo periodo, della legge n. 42 del 2009.
Vorrei ritornare parzialmente su quanto espresso poc'anzi dal rappresentante del Partito Democratico che chiedeva una registrazione, una verifica, un coordinamento, dei testi già espressi affinché si costruisca un completamento di questa riforma epocale. Mi compiace sentire, oggi, in Aula, che non viene messo in discussione l'impianto costitutivo e sostanziale di questa riforma fiscale, ma vengono richieste giustamente delle verifiche e dei coordinamenti, però all'interno della cornice e attraverso l'utilizzo delle riforme e dei pilastri che sono stati creati grazie ad un'azione congiunta fra Governo, Parlamento e Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale. Questi organi hanno lavorato per la concretizzazione, attraverso l'emanazione, come abbiamo ricordato, di vari decreti, dell'effettivo passaggio di denaro dalla spesa storica - mi riferisco all'afflusso costante e perpetuo di risorse che lo Stato attribuiva agli enti locali senza un controllo rigido della spesa, appianando il trasferimento attraverso un conteggio di spesa storica non paragonato e non parametrizzato - ad uno standard di spesa che è quello che, invece, viene ad essere costituito attraverso il federalismo fiscale. Ora lo Stato trasferirà in funzione di un costo standard, di una spesa determinata, attraverso una ricerca di dati essenziali svolta attraverso la concretizzazione del decreto sul calcolo dei fabbisogni e dei costi standard. La disponibilità, quindi, data da Calderoli ad effettuare tali verifiche e tali coordinamenti non può che essere avallata dalla Lega Nord Padania con una differenza, però, rispetto al Partito Democratico: noi esprimiamo, all'opposto di quanto detto da Causi, un giudizio più che positivo circa l'impostazione costruita fin d'ora che necessita esclusivamente di un semplice coordinamento aggiuntivo, ma che, nel suo insieme, non può che essere considerata più che buona rispetto al periodo economico in cui stiamo vivendo.
La stessa enunciazione della necessità di emanare più di sessanta provvedimenti, DPCM e regolamenti, dà significato alla complessità e a quanto grande sia la riforma che è stata messa in campo. Non posso, quindi, che evidenziare che il coordinamento non potrà prescindere dall'IMU solo sulla seconda casa, dalla compartecipazione dell'IVA, dalla cedolare secca sui canoni di affitto delle abitazioni e che, quindi, non andiamo ad intaccare quanto già predisposto in sede di prima votazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, non credo che sia questa la sede, la presente proroga, per svolgere una valutazione complessiva sui decreti e sull'andamento dell'attuazione del federalismo fiscale per il quale, peraltro, come è noto, noi dell'Italia dei Valori abbiamo avuto un comportamento diverso.
Infatti, su ognuno dei decreti legislativi abbiamo voluto attenerci a contenuti specifici e così siamo stati anche l'unica opposizione che ha votato a favore del decreto legislativo nella legge quadro iniziale; abbiamo votato a favore del decreto legislativo sul federalismo demaniale e invece contro quelli sul federalismo comunale e regionale.
Ma non è questa credo la sede anche perché in questo caso si tratta di una discussione che riguarda una proroga. Non abbiamo difficoltà ad accogliere complessivamente la richiesta di proroga. Ci siamo soltanto chiesti e non comprendiamo francamente per quale motivo realmente il Governo abbia ritenuto di non accedere ad Pag. 65una nostra proposta che era quella di prevedere che la nuova normativa si applicasse anche eventualmente ai decreti già in corso di discussione presso la Commissione bicamerale per il federalismo. In effetti non vi sarebbe stato alcun obbligo di applicare ulteriori dilazioni perché semplicemente, se la volontà era di mantenere i termini già previsti dalla normativa preesistente, lo si poteva fare. Era un'opportunità in più che mi auguro non costringa poi magari all'ultimo momento a qualche intervento specifico - cosa che poteva essere evitata - semplicemente permettendo che queste nuove scadenze potessero essere applicate anche ai casi attualmente in corso di discussione e non ancora arrivati alla fine del loro iter. Ciò detto, confermo che comunque complessivamente noi riproporremo in aula questo nostro emendamento e peraltro complessivamente restiamo favorevoli al provvedimento.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Misiani non è presente in aula. Prendo altresì atto che l'onorevole Nannicini non è presente in aula.
È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, collega relatore Ceroni, onorevoli colleghi, con la proroga dei termini per l'esercizio della delega in materia di federalismo fiscale ossia della legge n. 42 del 2009 questo Governo, questa maggioranza denuncia il proprio fallimento riformatore, essendo questa l'unica riforma organica che in questi tre anni è stata proposta al Parlamento. Si arriverà al 2013, alla fine di questa legislatura, con una legge spot fatta sulla carta perché inattuata e inattuabile. Noi dell'Unione di Centro abbiamo detto dal primo giorno che il meccanismo complicato, farraginoso posto dalla legge delega - facevo parte del Comitato dei nove e l'ho sottolineato con forza negli interventi sui vari articoli - non avrebbe funzionato così com'è e non sta funzionando. I ritardi del Governo nell'emanazione dei decreti legislativi di attuazione hanno fatto il resto, cioè hanno confermato le nostre preoccupazioni. Il clima di scontro politico dentro e fuori questa maggioranza e tra questa e il sistema delle autonomie hanno reso ancora più complicato il percorso.
Tutto però ha un vizio d'origine, un vizio politico genetico che è proprio della maggioranza, cioè la convinzione dell'autosufficienza politica e numerica dal punto di vista parlamentare.
La convinzione che si governi con la forza dei numeri è il vizio di questa maggioranza, ma anche la sua condanna politica, perché si è cacciata in un vicolo cieco dove un processo riformatore di cui questo Paese ha bisogno non trova approdi. In tre anni di Governo non solo non ha fatto una riforma utile alla modernizzazione del Paese, ma si è sempre di più indebolita politicamente per la perdita di credibilità tra gli italiani e l'appuntamento elettorale di ieri ne ha dato una dimostrazione abbastanza esplicita.
Oggi questo Governo e questa maggioranza sono più deboli del 2008. Quello che è grave è che tale debolezza non deriva dall'impatto di riforme impopolari ma utili all'Italia, ma dal non aver fatto nulla, preoccupati solo della gestione del potere, dei sottosegretari, dei Ministri, di cui ancora non vediamo nemmeno la fine.
Il federalismo fiscale è stata l'unica riforma degna di nota, come dicevo, su cui questo Governo ha scommesso, anche perché è la ragione dell'esistenza della Lega Nord in questa coalizione di maggioranza, è la ragione sociale per cui esiste la Lega Nord. Va riconosciuta al Ministro Calderoli la generosità e la determinazione con cui ha portato avanti il suo disegno riformatore. Parimenti va registrata però la debolezza realizzativa di tale disegno riformatore. Fin dalla sua nascita questo disegno riformatore è andato avanti per assestamenti progressivi. È stato costruito, si può dire, giorno per giorno, spot dopo spot. La Lega ha giustificato mese dopo mese, crisi dopo crisi, la sua presenza nel Governo con la chimera del federalismo, ha tenuto sui suoi binari l'elettorato del nord, indicando nella riforma del federalismo Pag. 66fiscale il traguardo finale, la madre di tutte le loro battaglie. A vedere le cose come stanno, si può dire che il prodotto finora ottenuto è tutt'altra cosa rispetto alle promesse fatte. In campagna elettorale era stato promesso un federalismo fiscale secondo il modello lombardo, ossia basato su una concezione proprietaria del tributo, vale a dire di un tributo regionale che poi diventava nazionale in ragione della perequazione. Secondo la proposta di legge della regione Lombardia, fatta propria dalla Lega Nord e dal Popolo della Libertà, erano le regioni del nord a distribuire i tributi e non lo Stato. Le cose sono andate diversamente: è stata abbandonata la promessa elettorale ed è stata presa come riferimento la proposta di legge del Governo Prodi, dove i tributi rimanevano erariali, ossia erano entrate dello Stato, a prescindere dalla loro origine regionale.
La legge n. 42 del 2009 che ne è derivata ha previsto una riforma che per realizzarsi contava almeno 20 decreti legislativi da definirsi in 24 mesi, ossia entro il prossimo 21 maggio. Ad oggi sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale soltanto cinque decreti legislativi: il n. 85 del 2010 sul federalismo demaniale, il n. 156 del 2010 su Roma capitale, il n. 216 del 2010 sui fabbisogni standard di comuni e province, il n. 23 del 2011 sul federalismo municipale e l'ultimo decreto sul federalismo regionale e i fabbisogni sanitari. Praticamente poco o niente, se andiamo a vedere la sostanza di questi decreti legislativi.
Il federalismo demaniale si è rivelato uno spot e di cattivo gusto per i comuni e le province. Infatti, il trasferimento dei beni e delle cose individuati negli accordi di valorizzazione ancora devono essere effettuati, nonostante sia trascorso un anno dall'indicazione.
Ma c'è di peggio: l'articolo 9, comma 2, del decreto, prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri emetta uno o più decreti per ridurre le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle regioni e agli enti locali in proporzione alla riduzione delle entrate erariali conseguenti al trasferimento dei beni. A che è servito questo decreto, ai fini del federalismo, se i beni trasferiti alle regioni e agli enti locali poi vengono pagati con la riduzione dei trasferimenti di risorse?
Forse a valorizzare il patrimonio pubblico? Sarebbero bastati degli accordi di programma tra le Agenzie delle entrate, del demanio e del territorio e i rispettivi enti locali di ubicazione dei beni e si sarebbe fatto prima e meglio.
Non mi soffermo sul decreto per Roma capitale, perché non solo non dice niente, in quanto rimanda tutto al nuovo statuto, ma non c'entra niente con il federalismo fiscale. Anzi, è l'esatto opposto di quel federalismo a trazione leghista, che era stato concepito contro «Roma ladrona». Basti pensare che la legge n. 42 del 2009 ha come titolo l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, mentre il capitolo di Roma capitale, del tutto estraneo al contesto normativo del federalismo fiscale, è posto all'articolo 114, comma 3, della Costituzione.
Si è trattato, evidentemente, del prezzo che Bossi ha dovuto pagare alla componente di Alleanza nazionale del Popolo della Libertà e al sindaco Alemanno, al quale sono stati anche regalati alcuni miliardi, in questi tre anni, dalle varie manovre finanziarie, a differenza dei tagli operati sugli altri comuni italiani.
Diverse sono le valutazioni sul decreto relativo alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard dei comuni e delle province. Esso è, forse, il provvedimento cardine del federalismo fiscale, perché cambia il criterio della spesa storica quale parametro di trasferimento delle risorse dallo Stato agli enti locali.
Questo decreto - va sottolineato - è entrato in vigore il 18 dicembre 2010, ossia un anno e mezzo dopo l'entrata in vigore della legge sul federalismo fiscale. È legittimo chiedersi: cosa ha fatto il Governo in 18 mesi, su 24 che ne aveva disposizione, per attuare la legge n. 42 del 2009? Attenzione: non avremo questa nuova parametrazione dei costi e delle funzioni fondamentali dei comuni e delle province prima del 2014. Infatti, nel 2011, saranno Pag. 67determinati i fabbisogni standard per almeno un terzo delle funzioni fondamentali, che entreranno in vigore nel 2012 e, nello stesso anno, saranno determinati gli altri due terzi di fabbisogni standard, che entreranno in vigore nel 2013. Solo nel 2014, saranno determinati i fabbisogni standard di tutte le funzioni fondamentali.
Su questo punto, però, entriamo in un altro girone infernale, quello delle funzioni fondamentali. La critica di fondo che ho fatto a nome dell'Unione di Centro durante l'approvazione della legge di riforma del federalismo fiscale è che mancava l'oggetto, ossia si modificava il meccanismo tributario di finanziamento delle funzioni degli enti locali senza conoscere le funzioni che essi esercitavano. Un assurdo giuridico e politico.
La risposta fu data con l'articolo 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009, indicando le funzioni fondamentali in modo provvisorio, valide, cioè, in via transitoria, per un periodo non superiore a cinque anni. Infatti, le vere funzioni fondamentali dei comuni e delle province aspettano di essere ancora definite, come prevede l'articolo 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione, modificata nel 2001, da almeno dieci anni. Esse sono state individuate in prima lettura, da un anno ormai, da questo ramo del Parlamento e riposano in pace da tale data presso la Commissione affari costituzionali del Senato.
L'elenco delle funzioni fondamentali dei comuni e delle province previste nel cosiddetto codice delle autonomie è più del doppio di quelle elencate dal ricordato articolo 21. Pertanto, è di tutta evidenza il danno che subiranno gli enti locali dal 2014, quando andranno a regime i fabbisogni standard.
Infatti, avranno copertura integrale solo le funzioni fondamentali provvisorie mentre per tutte le altre funzioni, anche quelle che per il codice delle autonomie sono da considerarsi fondamentali, in quanto non legiferate, saranno coperte solo parzialmente dalle entrate. Le funzioni non fondamentali, infatti, secondo l'articolo 11 della legge n. 42 del 2009, saranno finanziate da entrate proprie e da un fondo perequativo basato sulla capacità fiscale per abitante. In base all'articolo 9 della legge n. 42 del 2009, la capacità fiscale per abitante in ogni regione o comune è in rapporto al gettito medio nazionale per abitante e quindi può essere superiore, e in tal caso non dà diritto al fondo perequativo, oppure può essere inferiore e allora dà diritto al fondo perequativo. Attenzione, però, il fondo perequativo non copre integralmente il fabbisogno standard come per le funzioni fondamentali, ma tende a ridurre il differenziale della capacità fiscale per abitante e quindi finanzia solo parzialmente le funzioni non fondamentali.
Ecco perché la norma transitoria di cui all'articolo 21, che ho richiamato, è vessatoria per i comuni: perché non verranno finanziate funzioni come quelle attinenti le attività e la realizzazione con manutenzione di impianti sportivi e culturali, di beni culturali, del turismo o dello sviluppo economico del territorio; ogni comune, almeno per una parte, queste funzioni se le dovrà finanziare da solo. In tal modo i comuni poveri diventeranno più poveri e quelli ricchi diventeranno più ricchi posto che quelli poveri sono tali perché hanno minori entrate fiscali significative; ma, poiché questo accade per mancanza di cespiti imponibili, tali comuni, quindi, non possono neanche aumentare la pressione fiscale. Il federalismo fiscale targato Lega Nord Padania - farebbero bene gli amici e i colleghi del Partito Democratico e di Italia dei Valori a riflettere sulle indulgenze concesse in alcuni decreti legislativi - realizza questo tipo di federalismo: le funzioni fondamentali formato tascabile per cinque anni sono finanziate integralmente secondo il fabbisogno standard; le altre funzioni saranno finanziate integralmente per i comuni del nord, ossia soprattutto del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e forse anche dell'Emilia Romagna perché hanno una elevata capacità fiscale e quindi non hanno nemmeno bisogno del fondo perequativo, mentre i comuni e le province del resto d'Italia, a minore capacità fiscale, saranno costretti Pag. 68ad un parziale finanziamento con il fondo perequativo. Questo parziale finanziamento è ancora tutto da inventare e da definire. L'Italia a due velocità è bella e servita; anziché fare delle leggi per il sud, questa basta, di per sé, ad agire in senso opposto.
Un altro decreto, quello sul federalismo municipale, invece, ha visto di tutto. Quello che rileva sul piano politico è stata l'approvazione, con voto di fiducia, di una risoluzione del Parlamento che ha imposto a tutte le realtà municipali, di qualunque colore politico, una soluzione legislativa raffazzonata e contraddittoria che non reggerà sicuramente nel tempo. La prima osservazione è che tale decreto è entrato in vigore il 7 aprile scorso, dopo quasi due anni dall'approvazione della legge n. 42 del 2009, La seconda osservazione è dettata dalla rateizzazione della sua applicazione, si tratta in realtà di un impianto sbagliato ma che si realizza nel tempo. Si tratta cioè di uno spot elettorale, di una «legge annuncio». Bisogna aspettare infatti, entro il corrente anno, il decreto che compensa con l'accisa erariale la cancellazione per i comuni dell'addizionale dell'accisa sull'energia elettrica. Bisogna aspettare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che firma la percentuale della compartecipazione dei comuni al gettito dell'IVA. Bisogna aspettare annualmente, entro il 30 novembre, il decreto del Ministro dell'interno che fissa le modalità di alimentazione e di riparto del fondo sperimentale di riequilibrio.
Inoltre, bisogna aspettare annualmente il decreto che riduce i trasferimenti ai comuni di pari importo a riparto del fondo sperimentale di riequilibrio e al gettito di compartecipazione IVA, bisogna aspettare il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze che fissa a dopo il 2012 l'incremento della quota di cedolare secca in rapporto all'ulteriore riduzione dei trasferimenti erariali, bisogna aspettare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale possono essere modificate le aliquote e le quote del gettito dei tributi da attribuire ai comuni con riferimento all'imposta di registro e di bollo, alle imposte catastali e ipotecarie e del gettito sulla compartecipazione IVA, del gettito della cedolare secca e del gettito dei tributi da trasferimento immobiliare.
Bisogna ancora aspettare il regolamento per l'attuazione dell'imposta di soggiorno, bisogna aspettare il regolamento per il graduale sblocco, anche se parziale, dell'addizionale comunale IRPEF, bisogna aspettare il regolamento di revisione dell'imposta di scopo, bisogna aspettare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui può essere modificata l'aliquota della imposta municipale propria - oggi allo 0,76 per cento - prevista sugli immobili diversi dall'abitazione principale, bisogna aspettare il regolamento dell'imposta municipale secondaria, e potrei seguitare ancora. Questo è il federalismo municipale che è stato svenduto al popolo del nord come cosa fatta e realizzata.
Come si vede si sbandiera una delle riforme più importanti della legge delega sul federalismo fiscale come un grande successo ma, in realtà, è una scatola vuota. Il federalismo municipale, ammesso che sia un impianto fatto bene, e abbiamo visto che non lo è, è ancora tutto da scrivere. Quello che vogliamo rilevare quando ne sarà stesa la scrittura definitiva è l'inconsistenza dell'impianto logico e legislativo: soprattutto, è in esso presente un errore di impostazione generale. Infatti, secondo il Ministro Calderoli nasce dal presupposto federalista vedo-pago-voto. In realtà chi vota non paga e chi paga non vede e, quindi, non giudica politicamente l'operato del sindaco e del governo municipale.
Le entrate dei comuni sono principalmente dovute all'IMU e alla compartecipazione IVA, alla tassa di soggiorno, all'ICI e, eventualmente, alla tassa di scopo. L'ICI sulle seconde e terze case la paga prevalentemente chi non risiede nel comune e, quindi, non vota. L'IMU, sugli immobili per le attività produttive, commerciali e professionali, non richiede la residenza, Pag. 69così come l'imposta di soggiorno e, quindi, chi paga le tasse in quel comune non vota in quel comune.
Allora, che federalismo è questo? Di una cosa siamo certi: è un federalismo che aumenterà la pressione fiscale. Di un'altra cosa siamo certi: che dell'aumento delle tasse e della contraddizione di questo federalismo si vedranno gli esiti soltanto dopo il 2013, quando saranno state fatte le elezioni nazionali e i danni non potranno più essere sanzionati politicamente con il voto degli elettori. L'ultimo decreto legislativo approvato in ordine di tempo è quello sulle regioni e la sanità. Anche qui la rideterminazione dell'addizionale IRPEF dal 2013, la definizione dei criteri per l'attribuzione del gettito della compartecipazione IVA, la maggiorazione dell'addizionale regionale IRPEF oltre lo 0,5 per cento per l'anno 2013, la soppressione di alcuni trasferimenti statali, la definizione delle modalità gestionali ed operative dei tributi regionali, la quantificazione finanziaria delle misure compensative di interventi statali sulla base imponibile e sulle aliquote dei tributi regionali e la definizione delle modalità di convergenza verso i costi standard delle spese per i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere finanziate integralmente attraverso il fondo perequativo, sono tutti adempimenti da compiere con ulteriori provvedimenti governativi e ministeriali o convenzionali, che fanno di questo decreto legislativo un'altra scatola vuota.
Anche questo decreto legislativo è uno spot elettorale per il popolo padano. Mancano ancora da definire, perché sono in corso di esame, l'attuazione dell'articolo 16 della legge n. 42 del 2009 in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, per il quale manca solo il parere della Commissione bilancio, il decreto legislativo attinente alle disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali e manca anche il decreto legislativo relativo ai meccanismi sanzionatori e premiali relativo a regioni, province e comuni, ai sensi degli articoli 2, 17 e 26 della richiamata legge n. 42. Mancano per il momento questi decreti legislativi che sono già stati adottati dal Governo e altri che bollono in pentola non sono di conoscenza di questo Parlamento. Comunque la seconda relazione semestrale che il prossimo mese verrà fatta per la verifica dello stato di attuazione del federalismo ci darà migliore e maggiore cognizione sullo stato dell'arte.
Appare quindi più che opportuna una proroga dei termini. Noi dell'Unione di Centro la chiediamo da mesi perché una valutazione più serena dei precedenti decreti legislativi, come quello sul federalismo municipale, non gravata dalle scadenze avrebbe portato probabilmente ad esiti migliori. Riteniamo però questa decisione tardiva, un'occasione mancata per rivedere alcune norme di procedura, come per esempio la formalizzazione del parere delle Commissioni bilancio di Camera e Senato da esprimersi sul testo del parere della Commissione bicamerale sul federalismo oppure sui criteri di decorrenza dei termini per l'espressione del parere della Conferenza unificata e sulle modalità di confronto tra questa Conferenza unificata e il Governo. Riteniamo però ancora più sconfortante politicamente la caparbietà con cui ci si ostina a difendere una legge delega che ignora completamente il ruolo della famiglia e un corretto assetto tributario sulla tipologia di tributi da destinare alle funzioni fondamentali dei comuni e delle province.
Fin qui, dall'inizio ho sostenuto che il gettito sulla compartecipazione IRPEF, in quanto basato sul principio di progressività, fosse prevalentemente destinato a finanziare i fabbisogni standard di funzioni solidaristiche, connesse cioè ai livelli essenziali per le prestazioni sociali e sanitarie, mentre tutte le altre entrate derivanti da altre imposte dovevano essere destinate per finanziare i fabbisogni standard relativi a funzioni di carattere generale e attinenti lo sviluppo economico, fatta salva ovviamente la compartecipazione IVA per finanziare il solo fondo perequativo. Abbiamo sostenuto, come Unione di Centro, di inserire criteri e Pag. 70principi direttivi di delega per differenziare la base imponibile dei tributi municipali, compresa l'addizionale e la compartecipazione IRPEF, su un sistema di detrazioni e di deduzioni per i componenti a carico delle famiglie ovvero di differenziare le tariffe sui servizi a domanda individuale in base ai principi del fattore famiglia. Da questo punto di vista abbiamo trovato un Governo e una maggioranza sorda e grigia, che ha guardato dall'altra parte rispetto alle difficoltà delle famiglie italiane in questo particolare momento di crisi.
Voteremo questa proroga dei termini come un atto burocratico, privo di contenuti significativi e di merito, rimanendo sul merito della legge n. 42 del 2009 un giudizio dell'Unione di Centro fortemente negativo. Assicuriamo il Ministro Calderoli che, una volta al Governo, rimetteremo le mani su questa riforma proprio a cominciare dal federalismo municipale che tanti guai causerà al sistema delle autonomie secondo i rilievi e le denunce che ho voluto fare con questo intervento in quest'Aula perché rimanga agli atti.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 4299-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la V Commissione (Bilancio), onorevole Ceroni.

REMIGIO CERONI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, rinunzio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la VI Commissione (Finanze), onorevole Soglia.

GERARDO SOGLIA, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, rinunzio alla replica.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo dell'esame del provvedimento.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 4193, 4248 e 4249.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: - S. 2538 Ratifica ed esecuzione della Convenzione di Oslo sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, fatta a Dublino il 30 maggio 2008, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno (Approvato dal Senato) (A.C. 4193); e delle abbinate proposte di legge: Sarubbi ed altri; Di Stanislao (A.C. 3716-3771) (ore 18,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione della Convenzione Oslo sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, fatta a Dublino il 30 maggio 2008, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno e delle abbinate proposte di legge di iniziativa dei deputati Sarubbi ed altri, Di Stanislao.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4193)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Pag. 71
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione.

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo questa maratona credo che illustrerò brevemente il testo della ratifica al nostro esame, riservandomi di consegnare il testo integrale per gli atti.
Onorevoli colleghi, la Convenzione sulle munizioni a grappolo (cluster munitions) è stata adottata a Dublino nel maggio del 2008 ed è entrata in vigore a livello internazionale il 1o agosto 2010.
La Convenzione giunge a conclusione del percorso negoziale denominato «processo di Oslo» e costituisce il risultato di un processo diplomatico tra Stati al quale hanno preso parte anche il comitato internazionale della Croce rossa e le Nazioni Unite e su cui è intervenuto anche l'appello del Pontefice Benedetto XVI lanciato nel giorno dell'entrata in vigore della Convenzione.
Il processo di Oslo avviato nella capitale norvegese nel febbraio del 2007 con la sottoscrizione da parte di un nucleo iniziale di 46 Paesi, tra i quali l'Italia, di una dichiarazione, impegnava i firmatari a definire uno strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a vietare l'impiego, la fabbricazione, il trasferimento e il deposito di munizioni a grappolo. La Convenzione, pertanto, proibisce l'uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo e, inoltre, prevede l'assistenza alle vittime e la bonifica delle aree contaminate e la distruzione delle scorte. Rappresenta una sintesi bilanciata delle considerazioni di carattere umanitario e di quelle di sicurezza degli Stati.
L'illiceità dell'uso delle munizioni a grappolo può essere rinvenuta già nei principi generali del diritto internazionale umanitario. Per la loro natura di produrre effetti che non possono essere circoscritti alla sfera temporale del conflitto armato, esse contraddicono i principi di distinzione e di divieto di attacchi indiscriminati ed il principio di proporzionalità, così come risultano codificati nel I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1977 applicabile ai conflitti armati internazionali.
Risultano evidenti i rischi per la popolazione civile derivanti dall'uso di questi mezzi di offesa che colpiscono, disperdendosi, una superficie ben più ampia e indefinita di quella target.
Inoltre le munizioni a grappolo destano preoccupazione a causa del numero elevato di sub-munizioni che rimangono inesplose - ne abbiamo avuto contezza in questi giorni nella contesa in corso in Libia - e che, quindi, si trasformano in residuati bellici pericolosi, in grado di esplodere successivamente, venendo a creare un vero e proprio iato tra l'obiettivo militare e l'effetto duraturo nel tempo contro le popolazioni civili, una chiara violazione quindi del principio di proporzionalità.
Questo è un trattato molto discusso, signor Presidente, perché sicuramente ci sono delle parti ancora incomplete, ma credo che quelle che ho elencato siano ragioni sufficienti per ratificare al più presto, anche se si poteva migliorare il dispositivo, questa importante Convenzione che rappresenta per il mio gruppo un atto di civiltà. Le esperienze del passato e i disastri umanitari che le munizioni a grappolo hanno provocato non devono farci avere dubbi sulla improrogabile necessità della loro messa al bando, esse infatti rappresentano il volto di una delle dimensioni più orribili, crudeli e ingiuste della guerra, lo dobbiamo alle popolazioni innocenti e al futuro del nostro pianeta.
È dunque necessario...

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la invito a concludere.

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. È dunque necessario assicurare priorità alla tempestiva ratifica della Convenzione, nell'auspicio che, parallelamente a questo fondamentale passaggio, cessino le attività di Pag. 72finanziamento e di sostegno alle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e sub-munizioni cluster da parte delle banche, delle SIM, delle società di gestione del risparmio, delle SICAV, dei fondi pensione, eccetera.
Sono convinto che ratificando questa Convenzione parteciperemo ad un percorso di civiltà e di umanità senza però dimenticare il dovere di contribuire a sminare quei territori vittime di attacchi con le munizioni a grappolo, un obiettivo realizzabile unicamente, questo va detto, con l'adeguato potenziamento delle risorse finanziarie destinate allo sminamento umanitario.
Credo tuttavia che si potrebbero fare ulteriori passi in avanti sul piano del diritto internazionale, prevedendo una responsabilità penale degli individui che violano il divieto dell'uso di queste munizioni sul piano internazionale, introducendo signor Presidente, una specifica figura criminis.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, la rapida ratifica di questa Convenzione rende credibile l'azione svolta dall'Italia per rendere universale la Convenzione di Oslo e oltretutto consentirà al nostro Paese di partecipare come Stato parte all'Assemblea degli Stati parte della Convenzione, che ci sarà a Beirut a settembre. Quindi, ci auguriamo vivamente di poter annunciare a Beirut l'avvenuto deposito dello strumento di ratifica e siamo anche molto lieti che questo provvedimento abbia avuto un forte sostegno bipartisan presso il Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, le bombe a grappolo sono armi composte da un contenitore che contiene da 200 a 250 bombe più piccole, il contenitore viene lanciato e a mezz'aria si apre disperdendo il contenuto su un'area di circa un chilometro quadrato. Al momento dell'impatto sul terreno un meccanismo fa avvenire l'esplosione; si ottiene così la possibilità di colpire tanti obiettivi dislocati in quell'area.
Le case produttrici di cluster bomb affermano che circa un 5 per cento o forse più, per difetto del dispositivo, non esplodono a contatto con il terreno e queste sub-munizioni inesplose sono così assimilabili a delle vere e proprie mine antipersona e costituiscono un grave pericolo soprattutto per i bambini che vengono uccisi o subiscono lesioni in particolare agli arti. Oltre alla sofferenza, sono esseri umani - soprattutto nei Paesi in via di sviluppo - destinati all'emarginazione e alla miseria. Le cluster bomb, simili alle mine antipersona, sono ordigni di cui l'umanità deve particolarmente vergognarsi, bisogna dirlo e gridarlo con forza.
A fronte di questa vergogna, nel febbraio 2007, a Oslo 46 Paesi, fra cui l'Italia, come ha ben illustrato il relatore ed ha evidenziato il sottosegretario Craxi, hanno avviato il cosiddetto processo di Oslo e la relativa dichiarazione con il fine di approdare entro il 2008 ad un atto internazionale giuridicamente vincolante, che ponesse il divieto assoluto per l'impiego, lo sviluppo, la fabbricazione, l'acquisto, il deposito, la conservazione o il trasferimento di munizioni a grappolo.
È questo l'esito della Conferenza diplomatica di Dublino del 30 maggio 2008, che ha dato luogo alla Convenzione sulle munizioni a grappolo che è al nostro esame. La Convenzione è già entrata in vigore il 1o agosto 2010, ma faccio rilevare che non è stata firmata e ratificata da molti Paesi. L'hanno firmata solo 108 Paesi dei 192 che compongono le Nazioni Unite e tra coloro Pag. 73che non l'hanno firmata vi sono Paesi produttori quali gli Stati Uniti, la Repubblica popolare cinese, la Federazione russa, l'India e l'Iran.
A questo riguardo, desidero sottolineare l'articolo 21 della Convenzione, che impegna gli Stati parte della Convenzione a incoraggiare gli Stati che non ne fanno parte ad aderire alla Convenzione e a non impiegare le munizioni a grappolo. Ritengo utile, pertanto, che l'Italia metta in atto azioni attinenti questo articolo in occasione di incontri con rappresentanti di Paesi non parte, che cioè non hanno né firmato né ratificato la Convenzione.
Al tempo stesso, l'articolo 21 permette agli Stati parte di partecipare ad operazioni militari in cooperazione con Stati non parte, che potrebbero utilizzare munizioni a grappolo. Inoltre, faccio rilevare che la Convenzione non vieta cluster bomb che contengano meno di dieci submunizioni o che siano costituite da submunizioni esclusive di peso superiore ai quattro chilogrammi. Credo che queste caratteristiche possano essere oggetto di discussione e valutazione in occasione delle prossime Assemblee degli Stati parte e della Conferenza per il riesame, come pure la possibilità da parte degli Stati parte che hanno ratificato la Convenzione di impegnarsi in operazioni militari con Stati non parte.
Questi ultimi, infatti, potrebbero utilizzare in operazioni congiunte munizioni a grappolo e credo che dobbiamo valutare e approfondire meglio tutte queste clausole. L'ormai imminente ratifica permetterà all'Italia di partecipare, come ha detto il sottosegretario, a Beirut, a settembre, all'Assemblea degli Stati parte, e potrà quindi dare il proprio contributo per aiutare a ridurre sempre di più l'utilizzo delle cluster bomb.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, voglio ricordare che, già nel 2006, un rapporto dell'associazione Handicap international ha evidenziato che sarebbero circa 100 milioni le bombe a grappolo rimaste inesplose nel mondo delle oltre 440 milioni dal 1965. Da allora, oltre 100 mila persone, la quasi totalità civili, sono state uccise o mutilate dagli ordigni a grappolo e più di un quarto sono bambini, che scambiano le bombe per giocattoli o lattine.
Nel maggio del 2008, 107 nazioni hanno firmato a Dublino la Convenzione internazionale sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, micidiali ordigni che contengono al loro interno centinaia di bombe più piccole, che si diffondono sul territorio creando molti più danni a cose e persone. La Convenzione è stata firmata ufficialmente a Oslo nel dicembre dello stesso anno e impegna i firmatari a non usare in alcuna circostanza le cosiddette cluster bomb, né a produrre, acquistare, conservare o trasferire a chiunque, direttamente o indirettamente, questo tipo di armi.
L'Accordo impegna, altresì, i Paesi firmatari all'assistenza delle vittime e alla bonifica delle aree interessate, nonché a prevedere anche la distruzione degli arsenali nel giro di otto anni, ma lascerebbe la possibilità di impiego di munizioni a grappolo più piccole o di nuova generazione, in grado di colpire gli obiettivi con maggiore precisione e provviste di un sistema di autodistruzione.
Sebbene l'Italia abbia firmato la Convenzione a Oslo nel dicembre del 2008, essa non è stata tra i primi 30 Paesi che l'hanno ratificata, grazie ai quali, il 1o agosto 2010, è entrata in vigore la stessa Convenzione. Inoltre, da un documento di Human Rights Watch, l'Italia risulta tra i Paesi che hanno prodotto munizioni cluster e che possono averne stoccata un'ampia quantità. Non vi è alcun dato sulla quantità e sulla tipologia di munizioni cluster in nostro possesso a tutt'oggi.
Voglio ricordare, altresì, che l'Italia è stata uno dei maggiori esportatori mondiali di mine fino alla messa al bando della loro produzione nel 1994. La presidenza del Gruppo EveryOne, un'organizzazione al di fuori di ogni corrente politica che opera a livello internazionale per la tutela dei diritti umani e civili, ha sottolineato che, a dispetto degli impegni assunti, Pag. 74il Governo italiano ha smesso da alcuni anni di destinare fondi all'operazione di bonifica delle mine antiuomo e ha limitato gli aiuti destinati all'assistenza delle vittime.
Il Segretario generale dell'ONU ha definito le mine antipersona come armi dall'utilizzo indiscriminato che causano gravi mutilazioni, uccidono ed ostacolano la ricostruzione nelle aree devastate dai conflitti. Il gruppo EveryOne denuncia, inoltre, che l'Italia ha proseguito nella produzione dei componenti che servono per assemblare le mine.
In questo ambito, un aspetto altrettanto importante e da sottolineare è il controllo degli investimenti nei settori delle mine antiuomo e delle munizioni a grappolo effettuati dai gruppi bancari e finanziari internazionali. Infatti, BNP Paribas, gruppo di cui fa parte l'italiana BNL, è tra i maggiori finanziatori di aziende che producono bombe a grappolo, al secondo posto della graduatoria, preceduto solo da Unicredit e seguito a ruota da Intesa Sanpaolo. Naturalmente, non si tratta di investimenti diretti; le banche operano sul mercato delle cluster bomb tramite fondi di investimento e società di investimento a capitale variabile.
La Convenzione di Oslo, però, prevede la proibizione dell'uso, della produzione, del commercio e dello stoccaggio delle munizioni a grappolo ed impegna i governi a distruggerne gli stock, a bonificare i territori infestati e a fornire un'assistenza alle vittime. Inoltre, l'8 luglio scorso, la Commissione europea ha approvato la risoluzione sull'entrata in vigore della Convenzione sulle munizioni a grappolo nella quale, tra l'altro, al punto 2 esorta tutti gli Stati membri e i Paesi candidati a firmare e a ratificare con urgenza la Convenzione prima del 1o agosto 2010, inclusi gli Stati non firmatari, tra i quali l'Estonia, la Finlandia, la Grecia, la Lettonia, la Polonia, la Romania, la Slovacchia e la Turchia e quelli che, pur avendo firmato, non hanno ancora proceduto alla ratifica, come la Bulgaria, Cipro, la Repubblica ceca, l'Ungheria, la Lituania, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Svezia e anche l'Italia.
Al punto 6 esorta gli Stati membri che ancora non sono parti contraenti ad adottare provvedimenti temporanei in attesa dell'adesione, come, ad esempio, una moratoria sull'uso, la produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo e l'avvio della distruzione delle scorte di tali munizioni in qualità di misura urgente.
Al punto 9 esorta gli Stati membri dell'Unione europea che hanno firmato la Convenzione ad adottare gli atti normativi necessari per attuarla a livello nazionale.
Al punto 14 sollecita gli Stati membri a garantire la trasparenza in relazione alle misure adottate sulla base della presente risoluzione e a riferire pubblicamente sulle attività svolte.
Il gruppo Italia dei Valori ritiene che, per le motivazioni citate e nel pieno rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, l'obiettivo primario debba essere la promozione della disciplina di misure concernenti il disarmo e la non proliferazione nucleare sul territorio italiano al fine di adempiere a tutti gli impegni assunti a livello nazionale ed internazionale.
Pertanto, da ultimo, riteniamo che la ratifica ed esecuzione della Convenzione di Oslo sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, fatta a Dublino il 30 maggio 2008, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno, seppure in ritardo, sia un passo importante e fondamentale al quale aderiamo sapendo che alcuni passaggi sono mancati, ma che è comunque un passo in avanti verso cui dobbiamo tendere tutti insieme.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, normalmente le discussioni sulle linee generali sulle ratifiche sono una sorta di brindisi di compleanno. Ci si fa gli auguri, si improvvisano due o tre parole di circostanza, si spegne la candelina e si passa ad altro.
Con questo mio intervento non vorrei mandare le bollicine di traverso a nessuno, ma, proprio per l'importanza del momento, per non banalizzare tutto e per Pag. 75non ridurre questa discussione ad un atto dovuto, come spesso avviene in circostanze simili, mi sembra onesto dire a chi ci ascolta che i nostri bicchieri oggi sono pieni solo a metà.
Comincio dagli aspetti positivi perché non ne mancano e, anche volendo, non potrete tacerli visto che il disegno di legge governativo in esame recepisce una proposta di legge a mia prima firma, una proposta pluripartisan, messa a punto con passione dagli uffici del gruppo Partito Democratico e poi sottoscritta da ottantasei deputati seduti in ogni parte di questo emiciclo: centrosinistra, centrodestra, terzo polo e gruppo misto. Sappiamo, però, che le firme da sole servono a poco e, quindi, riconosciamo al Governo il merito di avere lavorato perché questo testo arrivasse in Aula. In particolare, il merito va al Ministero degli affari esteri, visto che ha preso a cuore il tema e ha trovato un po' di fondi per la copertura, mentre il Ministero della difesa, per dirla alla maniera del film Via col vento, se ne è «francamente infischiato».
Eppure il Ministro La Russa, che magari in queste ore è un po' distratto dai risultati delle elezioni amministrative di Milano - e c'è da capirlo -, dovrebbe sapere quanto sia fondamentale l'opera quotidiana dei nostri soldati per lo sminamento in Libano, dove le munizioni a grappolo rappresentano ancora, sia per i civili, sia per il nostro contingente, uno dei maggiori ostacoli sulla via del ritorno alla normalità.
La buona notizia di oggi è che l'Italia finalmente si adegua agli obblighi internazionali, con una norma che vieta senza ambiguità l'uso, la produzione, il trasferimento, la vendita e lo stoccaggio delle munizioni a grappolo, garantisce la distruzione delle scorte esistenti di munizioni e submunizioni esplosive, ci obbliga a bonificare i territori infestati ed a fornire assistenza alle vittime. Lo facciamo con tre anni di ritardo, perché la Convenzione di Oslo sulla messa al bando delle munizioni a grappolo è del 30 maggio 2008, ma comunque lo facciamo, a differenza di altri Paesi anche molto importanti come Stati Uniti, Russia e Cina.
La speranza, dunque, è che dopo questo passaggio in Parlamento riusciamo ad esercitare pressione anche sugli Stati più refrattari alla firma: altrimenti, purtroppo, le armi a frammentazione continueranno a provocare stragi di innocenti, come sta avvenendo ora in ventitré aree di guerra e come probabilmente avverrà ancora, visto che le munizioni inesplose possono restare letali molti anni dopo la loro dispersione.
Degli 11 mila morti l'anno per le cluster, il 98 per cento sono civili, e un quarto sono addirittura bambini: insieme alle vittime, è il caso di dirlo, saltano in aria anche le norme di diritto umanitario, ed è su questo punto che ci aspettiamo dal Governo un'azione incisiva in campo internazionale.
L'altra buona notizia è che, come anticipavo poco fa, il Ministero degli affari esteri ha reperito qualche risorsa aggiuntiva per il Fondo per lo sminamento umanitario, ormai ridotto ai minimi termini. D'altra parte, nelle finalità iniziali di questo Fondo - istituito dieci anni fa - la messa al bando delle munizioni a grappolo non c'era, ed è dunque logico che un compito aggiuntivo preveda anche una spesa aggiuntiva. Ma qui arriviamo alla parte mezza vuota del bicchiere, che personalmente ho cercato di colmare con gli strumenti legislativi a mia disposizione: prima con alcuni emendamenti in Commissione, purtroppo tutti respinti, ed ora con i diversi ordini del giorno che ho intenzione di presentare in Aula e sui quali spero che il Governo dia parere favorevole.
Sul fronte cassa, dunque, la metà vuota del bicchiere ci dice che - mentre i tagli alla cooperazione proseguono, in spregio a tutti gli impegni presi in sede internazionale con l'ONU - questo testo non prevede risorse adeguate per aiutare le vittime delle munizioni a grappolo: servono almeno altri 2 milioni di euro, più o meno il prezzo di una villa a Lampedusa su un terreno di proprietà del demanio, e noi ci auguriamo che il Presidente del Consiglio li trovi.
Poi c'è un'altra lacuna del testo, che potrebbe essere facilmente colmata: a differenza della legge che questo Parlamento Pag. 76approvò quattordici anni fa, recependo la Convenzione di Ottawa sulle mine antipersona, qui non c'è nessun obbligo di denuncia a carico di chi dispone di diritti di brevetto o di tecnologie idonee alla fabbricazione di munizioni a grappolo. È vero che al momento non risultano aziende italiane produttrici; è vero che esiste un divieto di produzione di questi ordigni sul territorio nazionale; può accadere, però, che le tecnologie o i diritti di brevetto esistenti vengano ceduti da un titolare italiano ad un'azienda americana o cinese, e siccome Stati Uniti e Cina non hanno aderito alla Convenzione, qualche nostro connazionale senza scrupoli potrebbe arricchirsi sul commercio di un'arma che oggi stiamo vietando.
Ecco perché, a mio parere, sarà necessario predisporre in tempi brevi un nuovo provvedimento, che preveda un obbligo specifico di denuncia al Ministero dello sviluppo economico a carico di coloro che dispongano, a qualsiasi titolo, di diritti di brevetto o di tecnologie idonee alla fabbricazione di bombe a grappolo o di parti di esse.
Infine, l'ultimo aspetto migliorabile di questo testo - anch'esso contenuto nella mia proposta di legge iniziale, ma purtroppo non recepito dal disegno di legge governativo - riguarda il tema delicatissimo dei finanziamenti. Può una banca italiana - o un intermediario italiano - finanziare la produzione di munizioni a grappolo in Russia? Noi crediamo di no, noi crediamo che non sia giusto. E vorremmo che non fosse neppure lecito: d'altra parte, è ciò che accade in Belgio, in Irlanda, in Lussemburgo, in Nuova Zelanda, e che presto accadrà in Danimarca, nei Paesi Bassi, in Norvegia, in Svizzera e in Germania, dove si stanno predisponendo progetti in tale direzione. Anche Francia, Canada e Regno Unito stanno discutendo il tema, sollecitando iniziative parlamentari in questo senso.
La nostra idea - contenuta appunto in un ordine del giorno che presenteremo - è che sia la Banca d'Italia a controllare tutto ciò: ci vorrà, anche per questo aspetto, un provvedimento successivo, che confidiamo possa arrivare in questa legislatura. Il tempo, d'altronde, non ci manca: anche perché, dopo i risultati delle amministrative di ieri, pare che al Presidente del Consiglio la voglia di andare a votare sia passata del tutto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4193)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Narducci.

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito ed in sede di voto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo della discussione e in sede di voto.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: - S. 2517 Ratifica ed esecuzione dell'accordo di cooperazione culturale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato del Qatar, fatto a Doha il 14 gennaio 2007 (Approvato dal Senato) (A.C. 4248) (ore 18,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'accordo di cooperazione culturale tra Pag. 77il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato del Qatar, fatto a Doha il 14 gennaio 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4248)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Corsini, ha facoltà di svolgere la relazione.

PAOLO CORSINI, Relatore. Signor Presidente, intendo associarmi all'appello alla brevità con il quale ha esordito nella sua precedente relazione l'onorevole Narducci, anche perché questo provvedimento è stato oggetto di ampia valutazione e discussione in sede di Commissione con un esito sostanzialmente concorde. Il testo in esame riguarda un Paese dalla crescente rilevanza strategica ed è volto a gettare le basi in vista di un ulteriore miglioramento qualitativo dei rapporti bilaterali nel settore della cooperazione culturale. Metto conto a tal proposito di sottolineare il ruolo attivo che Doha sta assumendo negli equilibri del Medio Oriente, soprattutto nella gestione della crisi in Libia e in Yemen, come peraltro è già emerso nel corso dell'esame dei disegni di legge di ratifica delle intese bilaterali nell'ambito del settore della difesa e in tema di doppie imposizioni, questo ultimo approvato definitivamente con legge 2 luglio 2010, n. 118. L'accordo risponde all'esigenza di sanare una lacuna sul versante culturale delle relazioni bilaterali, considerata la crescente importanza che la cooperazione culturale, scientifica e tecnologica sta assumendo nell'ambito delle relazioni internazionali. In effetti la diplomazia culturale costituisce oggi un fattore caratterizzante della presenza dell'Italia sulla scena internazionale e come tale richiede un aggiornato quadro giuridico oltre che un'adeguata mobilitazione di risorse finanziarie. I tratti caratterizzanti dell'accordo sono costituiti dalla previsione di un proficuo scambio di informazioni culturali e di iniziative attraverso biblioteche nazionali ed istituzioni culturali, dalla programmazione di manifestazioni artistiche, di settimane e scambio di visite tra gruppi, alla creazione di un canale di collaborazione istituzionale tra i responsabili del settore delle biblioteche, dei musei, degli scavi archeologici e dei progetti di restauro. L'accordo riveste una validità triennale e sarà rinnovato in via automatica per un periodo analogo qualora nessuna delle parti contraenti abbia inviato all'altra una comunicazione formale di risoluzione. Quindi, per concludere, esprimiamo l'auspicio di un sollecito iter di esame del provvedimento e di un ampio consenso, anche in considerazione dei notevoli sforzi che il Qatar sta profondendo sia in termini politici che economici per un positivo evolversi della crisi nel Medio oriente (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intervengo solo per aggiungere che questo strumento avrà una grande potenzialità grazie anche alla recente nomina di un addetto culturale a parlare del Golfo che sarà proprio di stanza ad Abu Dhabi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Lo Stato del Quatar ha un milione 700 mila abitanti su 11 mila chilometri quadrati con un PIL pro capite che è il primo del mondo pari a 86 mila dollari, ha giacimenti di petrolio e gas naturale è il maggior esportatore mondiale di gas liquefatto e svolge una politica estera molto attiva che si è espressa anche in occasione della recente crisi libica, ha contribuito anche in ragione degli stretti rapporti con la Francia e insieme al Consiglio di cooperazione del Golfo a determinare la costituzione della cosiddetta no fly zone; inoltre ha riconosciuto per primo il consiglio nazionale transitorio come legittimo Pag. 78rappresentante del popolo libico. Il gruppo di contatto sulla Libia, della quale fanno parte ventun Paesi, insieme ad ONU, NATO, Unione europea, Lega araba e Organizzazione della Conferenza islamica, proprio in ragione del dinamismo del Quatar si è riunito per la propria volta il 13 aprile scorso a Doha e poi, come sappiamo, a Roma il 5 maggio scorso e successivamente si riunirà negli Emirati Arabi.
Inoltre, un particolare ruolo sarà svolto dal Primo Ministro e dal Ministro degli esteri del Qatar per quanto attiene alla gestione del fondo sovrano che utilizzerà i beni libici congelati all'estero nell'ambito del gruppo di contatto attraverso meccanismi di finanziamento al Consiglio nazionale transitorio e aiuti umanitari.
La questione libica ha anche contribuito al rafforzamento dei rapporti con Washington, pur considerando che il Qatar ospita ormai da tempo una grande base aerea americana a breve distanza dalla capitale Doha. Questo fatto non aveva impedito di esprimere precedentemente posizioni in opposizione alla politiche statunitensi in Medio Oriente, e quindi questo fa capire il dinamismo della politica estera di questo Stato. Da questi pochi cenni si comprendono la capacità e il dinamismo di politica estera dell'Emiro del Qatar.
Tra l'altro - è una notizia di questi giorni - il prossimo Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sarà appunto una persona dello Stato del Qatar.
Desidero anche ricordare, per confermare l'importanza dell'azione diplomatica del Qatar sulla scena internazionale, l'esito positivo nel 2008 della mediazione in Libano che ha permesso alle fazioni politiche locali di accordarsi per l'elezione del generale Michel Suleiman alla Presidenza della Repubblica libanese. In questo contesto s'inserisce l'Accordo di cooperazione culturale tra Qatar e Italia, firmato a Doha il 14 gennaio 2007, e l'approvazione della ratifica va intesa come azione stabilizzatrice di una particolare area o regione di valore strategico assoluto e di squisita valenza politica, considerati gli interessi nazionali e gli impegni assunti in ambito internazionale nella regione mediorientale e dell'Asia centrale.
Il provvedimento in esame riguarda un Paese - come ho sottolineato prima - dalla crescente rilevanza strategica ed è inteso a gettare le basi per un ulteriore miglioramento qualitativo dei rapporti bilaterali nel settore della cooperazione culturale, e richiama il ruolo che Doha sta assumendo negli equilibri del Medio Oriente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, l'Italia e il Qatar attraverso questa intesa intendono porre rimedio alla mancanza di un accordo di cooperazione culturale tra i due Paesi. Va ricordato che con questo Paese arabo noi abbiamo già stipulato un Accordo sulle doppie imposizioni fiscali, mentre in una prossima nostra seduta ci occuperemo della ratifica di un'intesa bilaterale nel settore della difesa recentemente licenziata dalla Commissione competente. Però, oggi parliamo della cosiddetta diplomazia culturale, che è un fattore caratterizzante la presenza dell'Italia, del nostro Paese, sulla scena internazionale, e come tale richiede un aggiornato quadro giuridico oltre che un'adeguata mobilitazione delle risorse finanziarie.
Il provvedimento oggi al nostro esame dunque riveste una certa rilevanza, soprattutto tenendo conto della crescente importanza che nelle relazioni internazionali riveste la stipula di accordi volti a soddisfare nuovi bisogni culturali, scientifici e tecnologici. Certamente la ratifica di questo Accordo di cooperazione consentirà al nostro Paese di consolidare anche i rapporti di amicizia e di collaborazione con una realtà importante dal punto di vista geopolitico, e anche economico, soprattutto dopo i fatti che dall'inizio dell'anno hanno sconvolto e ancora sconvolgono sia il Maghreb che il Mashreq.
Piccolo, ma ricchissimo Emirato, il Qatar, si trova sulle sponde del Golfo Persico ed è diventato indipendente dal settembre Pag. 79del 1971; diversamente dalla maggior parte dei vicini Emirati ha rifiutato, da un lato, di diventare parte dell'Arabia Saudita e, dall'altra, degli Emirati arabi uniti.
Così oggi lo Stato del Qatar si trova con un'economia di volume consistente legata allo sfruttamento anche di bacini di gas naturali che arrivano direttamente persino nel nostro Paese, in Italia, e recentemente - lo sappiamo - ha assunto anche una posizione centrale nel contesto dei Paesi arabi.
È opportuno sottolineare - è già stato fatto - il ruolo che sta giocando, insieme agli altri partner occidentali, nella delicata, difficile e contraddittoria vicenda libica.
Ma quello che più interessa è tornare, appunto, oggi, ai contenuti di questo accordo che prevede norme per assicurare un proficuo scambio di informazioni culturali, sia attraverso biblioteche nazionali e istituzioni culturali, sia attraverso l'organizzazione di manifestazioni artistiche, di settimane culturali, di scambi di visite fra gruppi teatrali e la collaborazione tra responsabili nel settore di scavi archeologici e progetti di restauro. Una piccola digressione, se me lo permette, per augurare davvero che le professionalità dei nostri tecnici in questo settore, soprattutto quello del restauro, possano essere unite alla salvaguardia ed alla promozione del patrimonio culturale del Qatar, più di quanto siano stati capaci di fare per l'enorme ed invidiata ricchezza culturale ed archeologica qual è la nostra Pompei. Chiusa la parentesi, voglio ricordare, infine, che è prevista anche l'istituzione di una commissione mista per la realizzazione di questo accordo e per la promozione e lo sviluppo della collaborazione culturale. Per questi motivi, annuncio fin da adesso il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori su questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, intervengo semplicemente per dire che il nostro gruppo condivide in pieno la relazione svolta dall'onorevole Corsini e per sottolineare l'importanza che questo provvedimento ha in termini di cooperazione culturale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato del Qatar. Preannuncio, quindi, fin da ora, il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4248)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Corsini.

PAOLO CORSINI, Relatore. Signor Presidente, nessuna replica perché dagli interventi emerge una sostanziale approvazione del provvedimento in questione e, quindi, auspichiamo una rapida approvazione anche in Aula.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, anche per me nessuna replica, ma auspico solamente la rapida e bipartisan approvazione dell'Aula.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge S. 2516: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Libano per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Beirut il 22 novembre 2000 (Approvato dal Senato) (A.C. 4249) (ore 19).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già Pag. 80approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Libano per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Beirut il 22 novembre 2000.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4249)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il vicepresidente della Commissione, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il disegno di legge di ratifica della Convenzione tra l'Italia e la Repubblica del Libano, approvato dall'altro ramo del Parlamento, deve essere inserito nel contesto generale di ampliamento della rete di convenzioni stipulate dall'Italia al fine di evitare le doppie imposizioni. L'esigenza di dotarsi di un accordo con il Libano deriva dalla necessità di creare un quadro giuridico di riferimento competitivo e non discriminatorio per gli operatori economici italiani attivi in Libano, i quali si relazionano con operatori di Paesi i cui Governi hanno già stipulato analoghe convenzioni. La Convenzione, inoltre, mira a favorire una più intensa cooperazione economica ed una più stretta collaborazione amministrativa tra i due Paesi. È noto come l'economia libanese sia caratterizzata da una notevole dinamicità, rafforzata dalla stabilizzazione in corso, grazie alla mediazione internazionale ed alla presenza del contingente Unifil in cui l'Italia è largamente protagonista. Il nostro Paese, con una quota di mercato dell'8 per cento, rappresenta il primo fornitore europeo del Libano ed il terzo fornitore a livello globale dopo la Cina, che è divenuta ora il primo fornitore del Libano, e gli USA.
In tal senso è necessario che il Ministero degli affari esteri assuma anche in collaborazione con l'ICE le opportune iniziative per rafforzare la presenza degli operatori economici italiani in Libano in linea con l'impegno profuso dal nostro Paese a favore del Libano anche nell'ambito della missione UNIFIL2, come dicevo poc'anzi. Quanto ai contenuti dell'articolato, sono in linea con le raccomandazioni dell'OCSE: lo vorrei evidenziare perché oggi nella lotta ai paradisi fiscali e a quei Paesi che offrono il fianco all'evasione fiscale - le raccomandazioni dell'OCSE sono fondamentali. Quindi, dicevo, segnala la sfera soggettiva di applicazione della Convenzione, costituita dalle persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti. Per quanto attiene alla sfera oggettiva di applicazione, le imposte italiane sono l'IRPEF, l'IRPEG e l'IRAP. La tassazione dei redditi immobiliari è prevista a favore del Paese in cui sono situati gli immobili mentre per i redditi di impresa è attribuito il diritto esclusivo di tassazione allo Stato di residenza dell'impresa stessa, fatto salvo il caso della stabile organizzazione.
Il trattamento convenzionale riservato ai dividenti è caratterizzato dalla previsione della tassazione definitiva nel Paese di residenza del beneficiario così come in ordine alla disciplina degli interessi e canoni. Quanto ai metodi per eliminare la doppia imposizione, nella Convenzione è stata inserita la clausola sulla concessione del credito di imposta ordinario. Affinché la Convenzione risulti il più possibile inattaccabile da eventuali tentativi elusivi od evasivi è stata inserita all'articolo 29 una clausola, una limitazione dei benefici che consente ad uno Stato contraente la limitazione e il diniego dei benefici convenzionali al fine di contrastare possibili manovre abusive del Trattato, il cosiddetto treaty shopping. Esprimo l'auspicio che la situazione politica libanese, da alcuni mesi nuovamente incerta per le dimissioni del Governo Hariri, torni ad essere orientata Pag. 81al rafforzamento dello Stato democratico senza risentire negativamente della crisi che ormai è aperta anche in Siria.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il provvedimento rappresenta uno strumento non solo atto a consolidare le relazioni di amicizia e collaborazione tra i due Paesi ma è anche uno strumento che può incoraggiare sulla base della reciprocità la presenza delle nostre imprese in Libano anche in considerazione del fatto che il Libano sta proprio ampliando le relazioni economiche con i Paesi dell'Unione europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, la storia libanese recente ha visto alternarsi momenti di grande tensione a situazioni di sviluppo sociale ed economiche anche notevoli, fin dagli anni del protettorato francese alla indipendenza del 1943 anche con la formalizzazione di un patto nazionale che definiva la divisione delle cariche tra i principali gruppi religiosi, ancora oggi considerato valido: il presidente della Repubblica, cristiano maronita; il Primo Ministro, sunnita; il presidente del Parlamento, sciita. E questo esprime veramente la definizione di un mosaico culturale e religioso che caratterizza questo Paese. Poi ci fu il conflitto arabo-israeliano del 1948 che determinò un esodo di palestinesi in Libano. Nel 1982 solamente l'intervento multinazionale consentì di evitare un bagno di sangue.
Nel 2005 ci fu la cosiddetta rivoluzione dei cedri che fu a seguito dell'assassinio del Primo Ministro Hariri e che portò al ritiro delle truppe siriane.
Nel luglio 2006 ci fu un'offensiva militare israeliana per rispondere alle milizie hezbollah, filo-siriane e iraniane che avevano ucciso tre soldati israeliani e catturati due. La risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell'agosto 2006 pone fine alle ostilità e interpone la forza multinazionale UNIFIL tra le frontiere israelo-libanesi e il fiume Litani con una consistente presenza italiana e con una presenza, anche a livello di comando, del contingente italiano.
Le dimissioni del Governo Siniora e di cinque Ministri filosiriani hezbollah per divergenze circa l'istituzione del tribunale internazionale per indagare sull'assassinio di Hariri e l'assassinio del Ministro Pierre Amin Gemayel del novembre 2006 costituiscono ulteriori momenti di tensione e forte instabilità.
Ho delineato sommariamente alcune vicende della recente storia libanese, a cui si possono aggiungere anche le attuali proteste, in questo momento, anti-Assad in Siria, che potrebbero prefigurare scenari anche molto turbolenti, in grado di contagiare il fragile equilibrio libanese. Ma nonostante queste vicende, alcune delle quali molto tragiche, il Libano ha attraversato momenti di notevole sviluppo. Anche ora sta attraversando un periodo di sviluppo economico molto elevato: si è di fronte ad un incremento del 7-8 per cento. In questo contesto l'Italia svolge un ruolo veramente importante. Nel primo trimestre 2011 l'Italia è diventata il secondo Paese fornitore del Libano a livello mondiale e occupa il primo posto tra i Paesi dell'UE. Con 431 milioni di dollari e una quota di mercato pari a quasi il 10 per cento, l'Italia chiude il primo trimestre con un più 27 per cento dell'export. In particolare le voci principali sono state macchinari, prodotti petroliferi raffinati, prodotti chimici, tessile ed abbigliamento. Sono presenti nostre industrie sia nel settore manifatturiero sia nel comparto delle infrastrutture. Il Libano guarda al made in Italy, soprattutto a quello delle piccole e medie imprese, come ad un modello da seguire.
L'accordo per evitare le doppie imposizioni fa seguito ad un precedente accordo del 2000 relativo alla promozione e protezione degli investimenti. Si tratta dunque di un accordo che può favorire un'ulteriore spinta ai buoni rapporti bilaterali Pag. 82fra i nostri due Paesi, anche perché il Libano storicamente è sempre stato per il nostro Paese un partner commerciale apprezzato anche come veicolo verso l'intera area mediorientale e del Golfo.
Pertanto l'esigenza dell'Italia di dotarsi di un accordo con il Libano è giustificata appunto dal fatto di creare un quadro giuridico di riferimento, per gli operatori economici italiani attivi in Libano, competitivo e non discriminatorio rispetto agli operatori stranieri i cui Governi hanno già stipulato con il Paese analoghe convenzioni, e poi di favorire quindi la cooperazione economica e la collaborazione amministrativa fra i due Paesi. Per questo vi è l'augurio che possa essere ratificato quanto prima.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, io parto dal fondo, laddove ha lasciato il collega che mi ha preceduto, per dire che sono assolutamente d'accordo sulla necessità e sull'urgenza di ratificare quanto prima la convenzione in esame, anche perché è stata firmata il 22 novembre del 2000, cioè sono 11 anni che questa convenzione aspetta di essere ratificata. È una di quelle convenzioni utili, come suggerisce l'OCSE, a fornire un quadro giuridico di riferimento per gli operatori economici italiani, operanti in questo caso in Libano, che sia, come è stato detto, competitivo e non discriminatorio rispetto ad altri operatori stranieri, i cui Governi hanno già stipulato con il nostro Paese analoghe convenzioni e a favorire la cooperazione economica fra l'Italia e il Libano. Quindi, come ripeto, la necessità è quella di un quadro giuridico chiaro, definito e più vantaggioso, almeno in termini di competitività, per coloro i quali dall'Italia o dal Libano operano o decidono di operare nei rispettivi mercati nazionali e su quelli internazionali.
Non da meno è da considerare l'importante valenza sotto il profilo politico, storico e diplomatico della convenzione in oggetto. Si sa, l'Italia e il Libano da decenni sono legati da ricchi rapporti e anche - credo di poter usare questa espressione - da una profonda amicizia, se non altro perché da ultimo si ricorda il forte e qualificato impegno svolto dai nostri militari in missione al confine, a creare una zona di sicurezza. Sono missioni tra l'altro ancora in corso, sebbene con un graduale disimpegno.
È noto come l'economia libanese sia caratterizzata da una notevole dinamicità, nonostante tutti i problemi drammatici che hanno caratterizzato le vicende politiche ed istituzionali di quel Paese. Un'economia rafforzata dalla stabilizzazione in corso, appunto, grazie anche alla presenza del contingente UNIFIL.
L'Italia, con una quota di mercato dell'8 per cento, rappresenta il primo fornitore europeo del Libano e il terzo fornitore a livello globale, dopo la Cina, divenuta ora il primo fornitore, e poi gli Stati Uniti.
Non mi soffermo, ovviamente, sul testo della Convenzione, compito che è già stato ben svolto dal relatore, ma ricordo che essa ricalca lo schema di riferimento riconosciuto internazionalmente dall'OCSE, che tante volte abbiamo già discusso e ratificato in quest'Aula per altri Paesi.
Voglio soltanto confermare il voto favorevole del mio gruppo, dell'Italia dei Valori, su un provvedimento che riguarda le persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti, in riferimento alla tassazione dei redditi, anche quelli pensionistici.
Per questi motivi, preannunzio il nostro voto favorevole, auspicando che in futuro, di fronte a provvedimenti di tale portata, non si debba sopportare questo incomprensibile ritardo per la ratifica che, lo ripeto, è di ben undici anni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Corsini. Ne ha facoltà.

PAOLO CORSINI. Signor Presidente, intervengo soltanto per svolgere alcune brevissime considerazioni, perché riteniamo Pag. 83soddisfacente ed appagante la relazione introduttiva del collega Narducci.
Le motivazioni per le quali il Partito Democratico guarda favorevolmente a questo provvedimento sono sostanzialmente tre. La prima concerne il fatto che siamo in presenza di un dispositivo sostanzialmente consolidato. Infatti, questo provvedimento deve essere inserito nel contesto più generale di ampliamento delle reti di convenzioni stipulate dall'Italia al fine di evitare il meccanismo della doppia imposizione.
La seconda considerazione riguarda i temi delle relazioni internazionali e, in modo particolare, la politica mediterranea del nostro Paese e il ruolo che è stato profuso a favore del Libano anche nell'ambito della missione UNIFIL 2. Quindi, un ruolo di dissuasione, di interposizione, di pace che la nostra presenza intende svolgere.
Infine, come anche altri colleghi hanno già sottolineato, nel quadro di una complessiva dinamicità dell'economia libanese, va segnalata una presenza significativa dell'Italia, che detiene quote rilevanti di mercato.
Quindi, in ragione di queste motivazioni, noi riteniamo di valutare positivamente la ratifica e l'esecuzione della Convenzione in oggetto e preannunziamo fin d'ora il voto favorevole.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4249)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il vicepresidente Narducci, in sostituzione del relatore.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, intervengo soltanto per constatare la sostanziale condivisione, da parte di tutti i colleghi intervenuti, di questo consolidato meccanismo teso ad evitare le doppie imposizioni fiscali e a favorire l'interscambio, in questo caso, tra Italia e Libano. C'è, quindi, poco da replicare e auspichiamo che ci sia una rapida conclusione dell'iter con l'approvazione del disegno di legge di ratifica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intervengo solo per sottolineare l'enorme lavoro svolto dagli uffici del Ministero degli affari esteri in questi due anni e mezzo per portare alla ratifica diversi provvedimenti che giacevano da diverso tempo. È uno sforzo che continuerà, però vorrei sottolineare che in questi due anni e mezzo il lavoro è stato enorme.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 18 maggio 2011, alle 10,30:

1. - Seguito della discussione delle mozioni Della Vedova ed altri n. 1-00612, Rao ed altri n. 1-00614, Ferranti ed altri n. 1-00615, Costa, Lussana, Belcastro ed altri n. 1-00616, Bernardini ed altri n. 1-00617, Di Pietro ed altri n. 1-00618 e Mosella ed altri n. 1-00619 concernenti iniziative relative alla situazione delle carceri.

(ore 12,30 e ore 16)

2. - Deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dal Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Taranto, di cui all'ordinanza della Corte costituzionale n. 87 del 2011.

Pag. 84

3. - Deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dal Senato della Repubblica nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e del Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, di cui all'ordinanza della Corte costituzionale n. 104 del 2011.

4. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 10-51-136-281-285-483-800-972-994-1095-1188-1323-1363-1368 - d'iniziativa dei senatori: IGNAZIO ROBERTO MARINO ed altri; TOMASSINI ed altri; PORETTI e PERDUCA; CARLONI e CHIAROMONTE; BAIO ed altri; MASSIDDA; MUSI ed altri; VERONESI; BAIO ed altri; RIZZI; BIANCONI ed altri; D'ALIA e FOSSON; CASELLI ed altri; D'ALIA e FOSSON: Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (C. 2350-A).
e delle abbinate proposte di legge: BINETTI ed altri; ROSSA ed altri; FARINA COSCIONI ed altri; BINETTI ed altri; POLLASTRINI ed altri; COTA ed altri; DELLA VEDOVA ed altri; ANIELLO FORMISANO ed altri; SALTAMARTINI ed altri; BUTTIGLIONE ed altri; DI VIRGILIO ed altri; PALAGIANO ed altri. (C. 625-784-1280-1597-1606-1764-bis-1840-1876-1968-bis-2038-2124-2595).
- Relatori: Di Virgilio, per la maggioranza; Palagiano, di minoranza.

5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 2665 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo (Approvato dal Senato) (C. 4307).
- Relatori: Gioacchino Alfano, per la V Commissione; Carlucci, per la VII Commissione.

6. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Proroga dei termini per l'esercizio della delega di cui alla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale. (C. 4299-A).
- Relatori: Ceroni, per la V Commissione; Soglia, per la VI Commissione.

7. - Seguito della discussione del disegno di legge e del documento:
S. 2322 - Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2010 (Approvato dal Senato) (C. 4059-A/R).
- Relatore: Pini.
Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2009. (Doc. LXXXVII, n. 3-A/R).
- Relatore: Fucci.

8. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
S. 2538 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione di Oslo sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, fatta a Dublino il 30 maggio 2008, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno (Approvato dal Senato) (C. 4193).
e delle abbinate proposte di legge: SARUBBI ed altri; DI STANISLAO. (C. 3716-3771).
- Relatore: Narducci. Pag. 85
S. 2517 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato del Qatar, fatto a Doha il 14 gennaio 2007 (Approvato dal Senato) (C. 4248).
- Relatore: Corsini.
S. 2516 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Libano per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Beirut il 22 novembre 2000 (Approvato dal Senato) (C. 4249).
- Relatore: Stefani.

(ore 15)

9. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 19,20.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GABRIELLA CARLUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 4307

GABRIELLA CARLUCCI, Relatore per la VII Commissione. Gli articoli 1 e 2 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, oggetto di conversione recano disposizioni in materia di cultura.
Nel dettaglio, l'articolo 1, comma 1, autorizza spese aggiuntive a carattere permanente, a decorrere dal 2011, per complessivi 236 milioni di euro. Si tratta di 149 milioni di euro annui per il Fondo unico per lo spettacolo (FUS); di 80 milioni di euro annui per la manutenzione e conservazione dei beni culturali; di 7 milioni di euro annui per interventi in favore di enti ed istituzioni culturali. A tale ultimo riguardo, nell'ambito dell'esame presso l'Assemblea del Senato, il relatore per le parti di competenza della 7a Commissione ha precisato che queste risorse sono stanziate a favore degli enti vigilati dal Ministero, richiamando in maniera esplicita Biennale di Venezia, Festival dei due mondi di Spoleto, Italia nostra, Fondo Ambiente Italiano (FAI), Triennale di Milano e Quadriennale di Roma.
Per effetto degli incrementi disposti dal decreto-legge in esame e, limitatamente al 2011, dal decreto-legge n. 225 del 2010, l'importo del FUS per il triennio 2011-2013 - a legislazione vigente - viene quindi rideterminato per il 2011 in 422,6 milioni di euro, per il 2012 e 2013 in 411,5 milioni di euro.
Il comma 2 reca una novella all'articolo 1, comma 13, della legge di stabilità per il 2011, al fine di escludere il FUS e le risorse destinate alla manutenzione e conservazione dei beni culturali dalle dotazioni finanziarie di bilancio cui si applicano le eventuali riduzioni lineari previste dalla norma a titolo compensativo, nell'eventualità di minori entrate rispetto alle previsioni derivanti dalle operazioni di cessione delle frequenze radioelettriche. L'articolo 1, comma 13, della legge n. 220 del 2010, legge di stabilità 2011, prevede infatti che, qualora in sede di gara per l'assegnazione dei diritti d'uso di frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazione elettronica - da cui sono stati stimati proventi non inferiori a 2.400 milioni di euro - si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alla previsione di entrata, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede con proprio decreto alla riduzione lineare, sino a concorrenza dello scostamento finanziario, delle dotazioni finanziarie iscritte nel bilancio dello Stato a legislazione vigente nell'ambito delle spese rimodulabili delle missioni di spesa di ciascun Ministero. La norma prevede che le procedure di assegnazione dei diritti devono concludersi in termini tali che i relativi introiti vengano versati all'entrata dello Stato entro il 30 settembre 2011. Dalla eventuale riduzione lineare sono esclusi il Fondo per il finanziamento ordinario delle università, le risorse destinate Pag. 86alla ricerca e le risorse al finanziamento del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.
La disposizione di cui al comma 13 della legge n. 220 del 2011 è stata prevista a titolo cautelativo quale clausola di salvaguardia, volta a recuperare, in caso di insuccesso dell'operazione di cessione delle frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazioni mobili in larga banda, l'importo pari al corrispettivo mancante attraverso corrispondenti riduzioni di spesa pubblica. Nella Nota depositata dal Ministro dell'economia presso la Commissione bilancio del Senato in data 15 aprile 2011, in risposta ai rilievi formulati dalla Commissione nel corso dell'esame del decreto-legge, il Ministero ha reso noto che sono stati già predisposti, sebbene in via provvisoria, gli accantonamenti lineari sugli stanziamenti di bilancio rimodulabili dei singoli Ministeri per l'intero importo di 2.400 milioni di euro, che, soltanto in caso di conferma di minori introiti derivanti dall'operazione, saranno trasformati in riduzioni di spesa.
Il comma 3 abroga le disposizioni che avevano introdotto un contributo speciale di un euro sui biglietti cinematografici per il periodo 1o luglio 2011-31 dicembre 2013, ai sensi del decreto-legge n. 225 del 2010.
I commi 4 e 5 recano la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni in favore del settore culturale e cinematografico, di cui ai commi 1 e 3, provvedendo ad aumentare l'aliquota dell'accisa su alcuni prodotti energetici, in particolare sulla benzina, sulla benzina con piombo e sul gasolio usato come carburante.
Nel dettaglio, ai sensi del comma 4, a copertura degli oneri di 236 milioni di euro a decorrere dall'anno 2011 per interventi a favore della cultura e di 45 milioni di euro per il 2011 e 90 milioni di euro per gli anni 2012 e 2013 derivanti dall'abrogazione del contributo speciale a carico dello spettatore per l'accesso nelle sale cinematografiche si dispone l'aumento dell'aliquota delle seguenti accise, di cui all'Allegato I del decreto legislativo n. 504 del 1995, recante il testo unico sulle accise: l'accisa sulla benzina; l'accisa sulla benzina con piombo; l'accisa sul gasolio usato come carburante. L'aumento dell'aliquota deve compensare sia i predetti oneri, sia l'onere correlato alle disposizioni sui rimborsi previsti a favore degli autotrasportatori dall'ultimo periodo del comma 4 in esame.
Le disposizioni in esame hanno affidato la variazione a un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane, da adottarsi entro il 7 aprile 2011, cioè sette giorni dalla data di entrata in vigore del decreto- legge in commento, efficace dalla data di pubblicazione sul sito internet dell'Agenzia. Con la determinazione del direttore dell'Agenzia delle Dogane del 5 aprile 2011, pubblicata sul sito internet il 6 aprile 2011, sono state quindi già modificate le aliquote di accisa dei suddetti prodotti energetici.
L'ultimo periodo del comma 4 dispone poi che non trovino applicazione, in alcune ipotesi, i limiti agli eventuali aumenti erariali dell'accisa sulla benzina per autotrazione di cui all'articolo 1, comma 154, secondo periodo, della legge n. 662 del 1996. Tale norma stabilisce che eventuali aumenti erariali dell'accisa abbiano effetto, nelle regioni che hanno istituito tale imposta, solo per la differenza tra l'aumento erariale e la misura dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione. In conseguenza della disapplicazione prevista dalla norma in esame, l'aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina si somma ad eventuali imposte regionali sulla benzina vigenti nelle regioni a statuto ordinario.
Infine, il comma in esame reca disposizioni in favore di alcune categorie di soggetti esercenti l'attività di trasporto. Viene a tal fine disposto il rimborso del maggior onere derivante dagli aumenti di accisa disposti dal comma in esame nei confronti di: soggetti esercenti le attività di trasporto merci, di cui all'articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 452 del 2001, con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate; enti pubblici e imprese pubbliche locali Pag. 87esercenti l'attività di trasporto pubblico locale, di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e relative leggi regionali di attuazione, quali norme richiamate dall'articolo 5, comma 2 del decreto-legge n. 452 del 2001; imprese esercenti autoservizi di competenza statale, regionale e locale, di cui alla legge 28 settembre 1939, n. 1822, al Regolamento CEE n. 684/92 del Consiglio del 16 marzo 1992, e successive modificazioni, e al citato decreto legislativo n. 422 del 1997, tutti richiamati dall'articolo 5, comma 2 del decreto-legge n. 452 del 2001; enti pubblici e imprese esercenti trasporti a fune in servizio pubblico per trasporto di persone, di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge n. 452 del 2001.
Il successivo comma 5 autorizza infine il Ministro dell'economia e delle finanze a disporre, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.
L'articolo 2 reca misure finalizzate a potenziare le funzioni di tutela dell'area archeologica di Pompei.
In particolare, il comma 1 dispone l'adozione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, di un programma straordinario di interventi conservativi di prevenzione, manutenzione e restauro. Il piano è predisposto dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, su proposta del Direttore generale per le antichità, previo parere del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, ed è adottato dal Ministro per i beni e le attività culturali.
Al riguardo, segnalo l'opportunità di uniformare la terminologia, utilizzando sempre la parola «programma» o la parola «piano».
Il comma 2 individua le risorse per il finanziamento del programma straordinario di interventi conservativi e di restauro, prevedendo la possibilità di utilizzo innanzitutto delle risorse derivanti dal Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) destinate alla regione Campania.
Segnalo che al comma 2 in esame, primo periodo, occorre modificare «destinati» in «destinate».
Inoltre, con riferimento al medesimo comma, segnalo che è all'esame della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale lo schema di decreto legislativo (n. 328) recante l'attuazione dell'articolo 16 della legge delega n. 42 del 2009 in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, che prevede, agli articoli 4 e 5, una nuova denominazione e nuovi criteri per la programmazione del Fondo per le aree sottoutilizzate (rinominato «Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale»).
Nel merito, ricordo, al riguardo, che la quota regionale del FAS destinata alla regione Campania è attualmente pari a 3.506,8 milioni. Tuttavia, a valere su di essa, il decreto-legge n. 196 del 2010 ne prevede l'utilizzo per 150 milioni di euro, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, per le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, e per ulteriori 282 milioni, ai sensi del successivo comma 2, per interventi di bonifica ambientale, a seguito della rideterminazione della copertura degli oneri derivanti dall'Accordo sottoscritto il 18 luglio 2008, come modificato con Atto 8 aprile 2009, tra il Ministero dell'ambiente e la regione Campania per gli interventi di bonifica ambientale. Infine, segnalo che nella recente seduta del 23 marzo 2011 il CIPE ha autorizzato l'utilizzo delle risorse del FAS 2007-2013 relative ai programmi di interesse strategico delle Regioni Abruzzo (160 milioni di euro), Campania (322 milioni di euro) e Lazio (796 milioni di euro) per il ripiano dei relativi disavanzi sanitari, come previsto dall'articolo 2, comma 90, della legge n. 191/2009, legge finanziaria per il 2010.
Si prevede poi la possibilità di utilizzo di una quota dei fondi disponibili nel bilancio della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, determinata con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali.
In merito all'utilizzo delle risorse del Fondo aree sottoutilizzate e delle disponibilità di bilancio della Soprintendenza, ricordo che nel corso della discussione in Aula alla Camera, nella seduta del 10 Pag. 88novembre 2010, nell'ambito dell'«Informativa urgente del Governo sul crollo della scuola dei gladiatori presso gli scavi di Pompei», il Governo ha reso noto che già nei «due anni del commissariamento, dal giugno del 2008 al giugno del 2010, quando il commissariamento è cessato per tornare alla normalità, sono stati investiti oltre 79 milioni di euro, dei quali 21 milioni provenienti dai fondi FAS del Ministero dello sviluppo economico e 40 milioni dai residui attivi giacenti nel bilancio della soprintendenza speciale di Napoli e di Pompei», oltre ai fondi derivanti dalla vendita di biglietti.
Il secondo periodo del comma 2 specifica che la quota di risorse da destinare al programma straordinario di manutenzione da parte della Regione Campania verrà individuata dalla Regione medesima nell'ambito del Programma di interesse strategico regionale (PAR) da sottoporre al CIPE per l'approvazione.
Al riguardo, con riferimento alle risorse finanziarie indicate nel secondo periodo del comma 2 in esame, andrebbe chiarito se la quota che la Regione Campania deve individuare nell'ambito del PAR per il finanziamento del Piano di manutenzione straordinario provenga da Fondo FAS desinato alla regione Campania (posto che i Programmi di interventi di interesse strategico regionale (PAR) sono fondamentalmente finanziati a valere sulle risorse del FAS destinate alle singole regioni), ovvero se tale quota debba intendersi a valere sulle ulteriori fonti di finanziamento, quali ad esempio i fondi regionali di cofinanziamento o i Fondi comunitari destinati alla regione stessa, che possono essere considerati nella programmazione finanziaria complessiva del Programma strategico regionale. Tale chiarimento appare opportuno anche alla luce di quanto prevede, sul punto, la relazione illustrativa all'A.S. 2665 che reca un generico riferimento ad un «concorso finanziario della regione Campania con una quota che verrà individuata dalla regione medesima».
Per la realizzazione del programma previsto dal comma 1, il comma 3 autorizza l'assunzione di personale di III area, posizione economica F1, nel limite di spesa di euro 900.000 annui a decorrere dall'anno 2011, mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità. Tale personale ha l'obbligo di prestare servizio per almeno 5 anni presso le sedi della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei. Appartengono alla Terza Area i lavoratori che, nel quadro di indirizzi generali, per la conoscenza dei vari processi gestionali, svolgono, nelle unità di livello non dirigenziale a cui sono preposti, funzioni di direzione, coordinamento e controllo di attività di importanza rilevante, ovvero lavoratori che svolgono funzioni che si caratterizzano per il loro elevato contenuto specialistico.
Si autorizza inoltre l'assunzione di ulteriore personale specializzato, anche dirigenziale, mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità, nel limite delle ordinarie facoltà di assunzione consentite per l'anno 2011 dalla normativa vigente, da destinare all'espletamento di funzioni di tutela del patrimonio culturale. Le assunzioni possono avvenire in deroga al divieto di cui all'articolo 2, comma 8-quater, del decreto-legge 194 del 2009, recante il cosiddetto proroga-termini. Tale disposizione ha introdotto il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto per le pubbliche amministrazioni che non abbiano adempiuto l'obbligo - previsto dal precedente comma 8-bis del medesimo articolo 2 - di disporre, entro il 30 giugno 2010, una riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10 per cento di quelli risultanti a seguito dell'applicazione dell'articolo 74, comma 1, del decreto-legge n. 112/2008, e di rideterminare le dotazioni organiche del personale non dirigenziale apportando una ulteriore riduzione non inferiore al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale risultante a seguito dell'applicazione del predetto articolo 74. Restano esclusi da tale divieto i conferimenti di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione Pag. 89di riferimento, di cui all'articolo 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Alla copertura degli oneri derivanti dalle suddette assunzioni si provvede nell'ambito degli stanziamenti di bilancio previsti a legislazione vigente per il reclutamento del personale del Ministero per i beni e le attività culturali. Inoltre, deve essere rispettata la disciplina in materia di turn over di cui all'articolo 3, comma 102, della legge n. 244 del 2007, come da ultimo modificata dall'articolo 9, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010, in base alla quale, per ciascun anno del quadriennio 2010-2013, si può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente e in ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.
È infine previsto l'obbligo, per il Ministero, di comunicare al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e alla Ragioneria generale dello Stato le assunzioni effettuate ai sensi del comma in esame ed i relativi oneri.
Al riguardo, rilevo che nell'ambito del suddetto comma 3, oltre che l'assunzione di personale da destinare alla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, sembrerebbe essere prevista una più generale assunzione di personale da destinare all'espletamento di funzioni di tutela del patrimonio culturale.
Il comma 4 autorizza la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei ad avvalersi, per l'attuazione del programma di interventi conservativi urgenti nell'area di Pompei, della società ALES, mediante la stipula di apposita convenzione che, nel rispetto della normativa comunitaria, potrà prevedere l'affidamento diretto alla società di servizi tecnici, compresi quelli attinenti all'attuazione del programma.
I commi 5, 6 e 7 recano disposizioni speciali volte ad accelerare la realizzazione del programma straordinario di interventi per la tutela dell'area archeologica di Pompei, nonché per favorire le relative sponsorizzazioni.
Nel dettaglio, il comma 5 prevede deroghe ad alcuni termini previsti dal Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, e, in particolare, la riduzione della metà dei termini minimi indicati negli articoli 70, 71, 72 e 79, al fine di accelerare la realizzazione degli interventi del programma straordinario di tutela dell'area archeologica di Pompei. Si tratta dei termini di ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte, che variano a seconda che si affidino i lavori con procedure aperte, ristrette o negoziate con o senza bando di gara, ristrette e negoziate urgenti o con il dialogo competitivo, di cui all'articolo 70; del termine entro il quale le stazioni appaltanti inviano ai richiedenti i capitolati d'oneri, i documenti e le informazioni complementari nelle procedure aperte, di cui all'articolo 71; dei termini per l'invio, prima della scadenza del termine stabilito per la ricezione delle offerte, ai richiedenti dei capitolati d'oneri, dei documenti e delle informazioni complementari nelle procedure ristrette, negoziate e nel dialogo competitivo, di cui all'articolo 72; dei termini di comunicazione dei mancati inviti, delle esclusioni e delle aggiudicazioni, in alcuni casi fornite su richiesta, ed in altri d'ufficio, di cui all'articolo 79.
Lo stesso comma 5 prevede, inoltre, che per l'affidamento dei lavori compresi nel programma sia sufficiente il livello di progettazione preliminare, in deroga all'articolo 203, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 163 del 2006, che prevede, invece, la progettazione definitiva, salvo che il responsabile del procedimento ritenga motivatamente necessario un maggiore livello di definizione progettuale.
Al riguardo, ricordo che l'articolo 203, che ricade all'interno delle disposizioni specifiche per i lavori sui beni culturali contenute nel citato Titolo IV, Capo II, del Pag. 90codice, prevede che l'affidamento di tali tipi di lavori avvenga, di regola, sulla base del progetto definitivo, integrato dal capitolato speciale e dallo schema di contratto. Il comma 3-bis, dispone, quindi, che per ogni intervento sia il responsabile del procedimento, nella fase di progettazione preliminare, a stabilire il successivo livello progettuale da porre a base di gara ed a valutare motivatamente, esclusivamente sulla base della natura e delle caratteristiche dell'intervento conservativo, la possibilità di ridurre i livelli di definizione progettuale ed i relativi contenuti dei vari livelli progettuali, salvaguardandone la qualità.
Sul punto, segnalo che con l'ordine del giorno G1.101 (testo 2) accolto nella seduta del 19 aprile 2011, il Governo si è impegnato a «prevedere, quale condizione per l'affidamento dei lavori compresi nel programma di tutela dell'area archeologica di Pompei, l'adozione del progetto definitivo, non risultando sufficiente, al riguardo, il solo livello di progettazione preliminare».
Il comma 6 riguarda gli interventi previsti dal programma straordinario ricadenti all'esterno del perimetro delle aree archeologiche. Tali interventi sono dichiarati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere realizzati, ove occorra, in deroga alle previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriali vigenti, sentiti la Regione e il Comune territorialmente competente.
Rilevo che la disposizione, per l'ampia formulazione utilizzata, sembra possa consentire di derogare agli atti di pianificazione ad ogni livello, locale e regionale, siano essi piani urbanistici, ma anche territoriali, con valenza ambientale e paesaggistica.
Il comma 7 disciplina i contratti di sponsorizzazione per favorire l'apporto di risorse finanziarie da parte di soggetti privati per la realizzazione del programma straordinario. I contratti di sponsorizzazione dovranno essere stipulati nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità previsti dagli articoli 26 e 27 del codice dei contratti pubblici per tali tipologie di contratti. Tali obblighi si considerano assolti con la pubblicazione di un avviso pubblico contenente l'elenco degli interventi da realizzare, con l'importo di massima stimato per ciascuno intervento nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e, ove occorrente, nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea nonché su due quotidiani a diffusione nazionale per almeno trenta giorni. In caso di presentazione di una pluralità di proposte di sponsorizzazione, la Soprintendenza potrà assegnare a ciascun candidato gli specifici interventi definendo le modalità di valorizzazione del marchio o dell'immagine aziendale dello sponsor secondo quanto previsto dall'articolo 120 del Codice dei beni culturali di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004. Qualora, invece, le candidature risultino insufficienti o non ne venga presentata alcuna, il Soprintendente potrà ricercare ulteriori sponsor, senza altre formalità e anche mediante trattativa privata.
Secondo la relazione tecnica, i commi 5, 6 e 7 hanno carattere meramente procedurale e quindi non comportano effetti per la finanza pubblica.
Il comma 8 consente al Ministro per i beni e le attività culturali di provvedere, con proprio decreto, a trasferire risorse tra le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria delle Soprintendenze speciali ed autonome, al fine di assicurarne l'equilibrio finanziario. Tale operazione, effettuata in relazione alle rispettive esigenze finanziarie delle soprintendenze, deve assicurare comunque l'assolvimento degli impegni già presi sulle disponibilità suddette. La disposizione è esplicitamente assunta in deroga a quanto disposto dall'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 240 del 2003, il quale, prevedendo una procedura differente di riequilibrio, pone anche un limite percentuale alle risorse attingibili dal Ministero. Al riguardo, la relazione tecnica di cui era corredato l'A.S. 2665 evidenzia che la finalità della norma è assicurare «secondo Pag. 91modalità immediate il trasferimento diretto di risorse tra i conti di tesoreria di diverse Soprintendenze».
In considerazione del fatto che la disposizione sembrerebbe introdotta a regime, occorrerebbe chiarire la ragione della previsione della deroga. Ove l'interpretazione secondo cui l'applicazione della disposizione non è soggetta a un termine temporale sia corretta, sembrerebbe conseguentemente opportuno novellare l'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 240 del 2003.
Rilevo peraltro, più in generale, che la norma - a differenza degli altri commi del medesimo articolo, specificamente rivolti alla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei - assume portata generale.
L'articolo 3 apporta modifiche all'articolo 43, comma 12, del testo unico dei servizi di media audiovisivi, che prevede fino al 31 dicembre 2010 - termine prorogato al 31 marzo 2011 dal decreto-legge n. 225 del 2010 - il divieto per i soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale attraverso più di una rete, di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani.
L'articolo in esame, oltre a prorogare il divieto fino al 31 dicembre 2012, ridefinisce l'ambito di applicazione dello stesso divieto, prevedendo che esso si applichi ai soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma che, sulla base dell'ultimo provvedimento di valutazione del valore economico del Sistema integrato delle comunicazioni (SIC) adottato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, hanno conseguito ricavi superiori all'8 per cento di tale valore. Viene inoltre introdotta una deroga al divieto qualora la partecipazione riguardi imprese editrici di giornali quotidiani diffusi unicamente in modalità elettronica.
L'articolo 4 differisce il termine per stabilire il calendario definitivo per la transizione alla trasmissione televisiva digitale terrestre; viene, inoltre, dettata una nuova disciplina di assegnazione delle frequenze radiotelevisive, anche in riferimento alla gara per i servizi di comunicazione elettronica mobili in larga banda.
In particolare, il comma 1, primo periodo, proroga al 30 settembre 2011 il termine per stabilire, con le modalità di cui all'articolo 8-novies, comma 5, del decreto-legge n. 59 del 2008, il calendario definitivo per il passaggio alla trasmissione televisiva digitale terrestre. Tale comma 5 prevede che, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto-legge, venga definito il calendario per il passaggio definitivo alla trasmissione televisiva digitale terrestre con l'indicazione delle aree territoriali interessate e delle rispettive scadenze. In attuazione di tale previsione è stato emanato il decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2008. La disposizione in esame non appare peraltro diretta a modificare il termine per la transizione definitiva alla trasmissione televisiva digitale terrestre, che in base a quanto previsto dall'articolo 2-bis, comma 5, del decreto-legge 5/2001, è fissata al 2012, ma solo quello per la definizione del calendario, relativo alle singole aree tecniche in cui è stato suddiviso il territorio nazionale.
Il secondo periodo del comma I prevede che, entro il 30 giugno 2012, il Ministero dello sviluppo economico provvede all'assegnazione dei diritti di uso relativi alle frequenze radiotelevisive nel rispetto dei criteri e delle modalità disciplinati dai commi da 8 a 13 dell'articolo 1 della legge n. 220 del 2010. Per quanto concerne le frequenze radiotelevisive in ambito locale, il provvedimento ministeriale dovrà predispone, per ciascuna area tecnica o Regione, una graduatoria dei soggetti legittimamente abilitati alla trasmissione radiotelevisiva in ambito locale che ne facciano richiesta sulla base dei seguenti criteri: a) entità del patrimonio al netto delle perdite; b) numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato; c) ampiezza della Pag. 92copertura della popolazione; d) priorità cronologica di svolgimento dell'attività nell'area, anche con riferimento all'area di copertura.
Il comma 1, terzo periodo, prevede che nelle aree in cui, alla data del 1o gennaio 2011, non ha avuto luogo il passaggio alla trasmissione in tecnica digitale, il Ministero dello sviluppo economico non procede all'assegnazione a operatori di rete radiotelevisivi in ambito locale dei diritti d'uso relativi alle frequenze di cui al primo periodo del citato comma 8 dell'articolo 1 della legge n. 220 del 2010.
Il comma 1, quarto periodo, prevede che nelle aree in cui alla medesima data del 1o gennaio 2011 ha avuto luogo il passaggio alla trasmissione in tecnica digitale, il Ministero dello sviluppo economico rende disponibili le frequenze di cui al citato primo periodo del comma 8, assegnando ai soggetti titolari di diritto d'uso relativi alle frequenze nella banda 790-862 Mhz, risultanti in posizione utile in base alle rispettive graduatorie, i diritti d'uso riferiti alle frequenze nelle bande 174-230 Mhz e 470-790 Mhz.
Il comma 1, quinto periodo, demanda all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di definire le modalità e le condizioni economiche secondo cui i soggetti assegnatari dei diritti d'uso hanno l'obbligo di cedere una quota della capacità trasmissiva ad essi assegnata, comunque non inferiore a due programmi, a favore dei soggetti legittimamente operanti in ambito locale alla data del 1o gennaio 2011 non destinatari di diritti d'uso sulla base delle citate graduatorie.
Al riguardo, segnalo che l'articolo 13, comma 3, del disegno di legge comunitaria 2010 (C. 4059-A), all'esame della Camera, reca una modifica dell'articolo 15 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, con la quale si prevede che l'operatore di rete televisiva su frequenze terrestri in tecnica digitale in ambito locale può concedere capacità trasmissiva ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati in ambito nazionale.
Ricordo infine che il Comitato per la legislazione della Camera ha espresso in data 28 aprile il proprio parere sul decreto-legge in esame.
In particolare, il Comitato ha rilevato, fra l'altro, che all'articolo 2, comma 8 - che introduce una disposizione derogatoria dell'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 240 del 2003 in materia di trasferimenti di risorse tra i conti di tesoreria delle Soprintendenze speciali ed autonome - dovrebbe valutarsi l'opportunità di prevedere l'abrogazione dell'articolo 39-vicies septies del decreto legge n. 273 del 2005, che, al comma 1, dispone che il succitato articolo 4, comma 3, si applichi anche nei confronti della Soprintendenza archeologica di Pompei.
Il Comitato ha rilevato, inoltre, che all'articolo 4, comma 1, primo periodo - che differisce al 30 settembre 2011 il termine per stabilire il calendario definitivo per il passaggio alla trasmissione televisiva digitale terrestre, senza novellare l'articolo 8-novies, comma 5, del decreto-legge n. 59 del 2008 - dovrebbe valutarsi l'opportunità di riformulare la disposizione in termini di novella al citato articolo 8-novies, comma 5. Parimenti, ha rilevato che al medesimo articolo 4, comma 1, secondo, terzo e quarto periodo, il quale, ancorché preveda che l'assegnazione dei diritti d'uso relativi alle frequenze radiotelevisive avvenga nel rispetto dei criteri e delle modalità disciplinati dai commi da 8 a 12 (rectius, 13) dell'articolo I della legge n. 220 del 2010, introduce in realtà ulteriori e diversi criteri e modalità di assegnazione - dovrebbe valutarsi l'opportunità di riformulare la disposizione in termini di novella ai succitati commi da 8 a 13 dell'articolo 1 della legge n. 220 del 2010.
Infine, il Comitato ha rilevato che all'articolo 1, comma 1, lettere b) e c), che introduce due autorizzazioni di spesa decorrenti dall'anno 2011 e aventi carattere permanente, rispettivamente, per la manutenzione e la conservazione dei beni culturali e per interventi in favore di enti ed istituzioni culturali, senza indicare le Pag. 93modalità attuative della spesa, le Commissioni in sede referente dovrebbero valutare l'opportunità di indicarne modalità di ripartizione ed eventuali forme di controllo del Parlamento, in analogia con quanto disposto dagli articoli 2 e 6 della legge n. 163 del 1985, recante «Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo».

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 4193

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Onorevoli colleghi, la Convenzione sulle munizioni a grappolo, o cluster munitions, (CCM), è stata adottata a Dublino nel maggio del 2008 ed è entrata in vigore a livello internazionale il 1o agosto 2010. La Convenzione è giunta a conclusione del percorso negoziale denominato «Processo di Oslo» e costituisce il risultato di un processo diplomatico tra Stati al quale hanno preso parte anche il Comitato Internazionale della Croce rossa e le Nazioni Unite e su cui è intervenuto anche l'appello del Pontefice Benedetto XVI, lanciato nel giorno dell'entrata in vigore della Convenzione.
Il Processo di Oslo, avviato nella capitale norvegese nel febbraio del 2007 con la sottoscrizione da parte di un nucleo iniziale di 46 Paesi, fra i quali l'Italia, di una dichiarazione, impegnava i firmatari a definire uno strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a vietare l'impiego, la fabbricazione, il trasferimento e il deposito di munizioni a grappolo.
La Convenzione, pertanto, proibisce l'uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo; inoltre prevede l'assistenza alle vittime, la bonifica delle aree contaminate e la distruzione delle scorte. Rappresenta una sintesi bilanciata delle considerazioni di carattere umanitario e di quelle di sicurezza degli Stati.
L'illiceità dell'uso delle munizioni a grappolo può essere rinvenuta già nei principi generali del diritto internazionale umanitario; per la loro natura di produrre effetti che non possono essere circoscritti alla sfera temporale del conflitto armato, esse contraddicono i principi di distinzione e di divieto di attacchi indiscriminati ed il principio di proporzionalità così come risultano codificati nel I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1977 applicabile ai conflitti armati internazionali.
Risultano evidenti i rischi per la popolazione civile che deriva dall'uso di questi mezzi di offesa che colpiscono, disperdendosi, una superficie ben più ampia ed indefinita di quella target. Inoltre le munizioni a grappolo destano preoccupazione a causa del numero elevato di sub-munizioni che rimangono inesplose e che quindi si trasformano in residuati bellici pericolosi, in grado di esplodere successivamente venendo a creare un vero e proprio iato tra l'obiettivo militare e l'effetto duraturo nel tempo contro le popolazioni civili, una chiara violazione, quindi, del principio di proporzionalità.
Credo siano ragioni sufficienti per ratificare al più presto, anche se si poteva migliorare il dispositivo, questa importante Convenzione che rappresenta un atto di civiltà. Le esperienze del passato, i disastri umanitari che le munizioni a grappolo hanno provocato non devono farci avere dubbi sulla improrogabile necessità della loro messa al bando. Esse, infatti, rappresentano il volto di una delle dimensioni più orribili, più crudeli e più ingiuste della guerra; lo dobbiamo alle popolazioni innocenti, lo dobbiamo al futuro del nostro pianeta.
Ad oggi hanno firmato la Convenzione 108 Paesi, molti dei quali appartenenti al gruppo dei Paesi in via di sviluppo, ma solo 54 Stati l'hanno ratificata. Purtroppo la Convenzione, com'è noto, non è stata né firmata né ratificata da alcune grandi potenze produttrici di questi terribili strumenti di morte.
Circa i contenuti della Convenzione, essa si compone di un Preambolo che descrive gli obiettivi e di 23 articoli. Particolare rilievo assume l'articolo 1 che Pag. 94stabilisce il divieto assoluto, in ogni circostanza, riferito all'impiego, lo sviluppo, la fabbricazione, l'acquisto, il deposito, la conservazione o il trasferimento di munizioni a grappolo. Il divieto è esteso altresì all'assistenza, all'incoraggiamento e all'istigazione a impegnarsi in attività contrarie alla Convenzione. Il paragrafo 3 del medesimo articolo, inoltre, precisa che la Convenzione non si applica alle mine. L'articolo 2 contiene la dettagliata definizione dei termini utilizzati nel testo della Convenzione e fornisce la definizione di «vittime di munizioni a grappolo» che ricomprende non solo gli individui direttamente colpiti, ma anche la loro famiglia e la loro comunità. Inoltre, il concetto di «vittima», oltre che a designare coloro che abbiano perso la vita o abbiano subito un danno corporale o psicologico, è esteso anche a coloro che abbiano subito un'emarginazione sociale o un pregiudizio sostanziale del godimento dei propri diritti. L'articolo 3 disciplina la distruzione delle scorte esistenti indicando come prima misura la marcatura delle munizioni a grappolo conservate ai fini di un loro possibile impiego, e la separazione dalle altre armi. L'articolo 4 riguarda la bonifica delle aree contaminate e ne detta le modalità: la responsabilità dello sminamento è in capo allo Stato parte sotto la cui giurisdizione o sotto il cui controllo si trova la zona contaminata. L'articolo 5 impegna le Parti a prestare assistenza alle vittime poste sotto la sua giurisdizione o il suo controllo. L'assistenza dovrà essere prestata in conformità alle norme del diritto umanitario internazionale e del diritto internazionale dei diritti dell'uomo. Speciale rilievo assume inoltre l'articolo 7 sulle cosiddette «misure di trasparenza» che impone agli Stati Parte di sottoporre al Segretario Generale delle Nazioni Unite rapporti annuali, da presentarsi entro il 30 aprile di ogni anno, contenenti informazioni rilevanti ai fini dell'attuazione della Convenzione.
Tra le norme contenute nel disegno di legge di ratifica, è da segnalare l'articolo 3, comma 1, che stabilisce che sia il Ministero della difesa a provvedere alla distruzione delle scorte di munizioni a grappolo e di sub-munizioni esplosive, così come definite dall'articolo 2, paragrafo 2, della Convenzione. In base al comma 3, la distruzione delle scorte deve risparmiare una quantità limitata di munizioni e sub-munizioni al fine di garantire lo sviluppo e l'addestramento relativi alle tecniche di rilevamento, rimozione o distruzione dei medesimi ordigni, come previsto dall'articolo 3, paragrafo 6, della Convenzione. L'articolo 4, comma 1, individua nel Ministero degli affari esteri l'autorità nazionale competente a tenere i rapporti con il Segretariato Generale dell'ONU in particolare per quanto riguarda la presentazione dei rapporti periodici, ai sensi dell'articolo 7 della Convenzione, e la cooperazione nel fornire aiuti e chiarimenti ai sensi dell'articolo 8.
L'articolo 5 apporta alcune modifiche alla legge 7 marzo 2001, n. 58, istitutiva del Fondo per lo sminamento umanitario e la bonifica di aree con residuati bellici esplosivi. Il comma 1, inserito nel corso dell'esame al Senato, dispone la sostituzione della lettera g) dell'articolo 1, comma 1, della legge citata legge n. 58 del 2001 citata, al fine di estendere alle munizioni a grappolo l'opera di sensibilizzazione ivi prevista. Il comma 2 prevede l'inserimento di un nuovo comma all'articolo 1 della legge n. 58 del 2001, avente lo scopo di estendere l'utilizzo del Fondo per lo sminamento umanitario e la bonifica di aree con residuati bellici esplosivi anche alle aree interessate dalla presenza di residui di munizioni a grappolo. L'articolo 6, aggiunto durante l'esame in Commissione al Senato, prevede una modifica alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, che disciplina la cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo, volta ad includere il sostegno alle vittime delle mine antipersona tra le attività di cooperazione, tramite programmi di risarcimento, assistenza e riabilitazione.
L'articolo 7 contiene le sanzioni che verranno applicate ai trasgressori dei divieti contenuti nella Convenzione (sviluppo, produzione, stoccaggio, conservazione, trasferimento, incoraggiamento o Pag. 95assistenza all'uso di munizioni a grappolo). Nel corso dell'esame al Senato è stata adottata una norma che ha inteso specificare che è punibile il comportamento di chi assista anche finanziariamente l'impegno nelle attività vietate suddette.
Segnalo che in aprile le organizzazione non governative che promuovono la campagna «Stop explosive investments», collegata alla Coalizione mondiale sulle bombe cluster (Cluster Munition Coalition, CMC), hanno presentato un aggiornamento del Rapporto «Worldwide investments in cluster munition: a shared responsability» già pubblicato nel 2009, secondo il quale attualmente un centinaio di istituzioni finanziarie forniscono investimenti e servizi finanziari per un valore di circa 30 miliardi di dollari alle otto imprese che producono bombe cluster. Sulla spinta delle denunce del Rapporto, la CMC sta facendo pressione sulle istituzioni dei Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Oslo perché adottino normative che vietino agli investitori pubblici e privati di finanziarie questo settore. I Parlamenti di Belgio, Irlanda e Lussemburgo hanno già approvato delle leggi in tal senso, mentre il Parlamento tedesco sta dibattendo la questione.
È dunque necessario assicurare priorità alla tempestiva ratifica della Convenzione nell'auspicio che, parallelamente a questo fondamentale passaggio, cessino le attività di finanziamento e di sostegno alle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e sub-munizioni cluster da parte delle banche, delle SIM, delle società di gestione del risparmio, delle SICAV, dei fondi pensione, delle fondazioni bancarie e di tutti i diversi tipi di intermediari finanziari, nel senso indicato dalle proposte di legge abbinate al disegno di legge di ratifica presentato dal Governo ed esaminate nel corso dell'esame in sede referente.
Sono convinto che ratificando questa Convenzione parteciperemo ad un percorso di civiltà e di umanità senza però dimenticare il dovere di contribuire a sminare quei territori vittime di attacchi con le munizioni a grappolo. Un obiettivo realizzabile unicamente con l'adeguato potenziamento delle risorse finanziarie destinate allo sminamento umanitario. Credo tuttavia che si potrebbero fare ulteriori passi avanti sul piano del diritto internazionale prevedendo una responsabilità penale degli individui che violano il divieto dell'uso di queste munizioni sul piano internazionale, introducendo una specifica figura criminis.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 3 maggio 2011:
a pagina III, seconda colonna, le righe settima ed ottava si intendono sostituite dalle seguenti: «Della Vedova, Vernetti, Lo Monte e La Malfa n. 1-00634: Impegno italiano in»;
a pagina 82, la ventitreesima riga si intende sostituita dalla seguente: «Vernetti, Lo Monte e La Malfa»