Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 468 di mercoledì 27 aprile 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 10,05.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 19 aprile 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Antonione, Berlusconi, Bonaiuti, Boniver, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leo, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Tabacci, Tremonti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 10,09).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 22 aprile 2011, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VII (Cultura):
S. 2665 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo » (Approvato dal Senato) (4307) - Parere delle Commissioni I, II, III, VI, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), X (ex articolo 73, comma 1-bis del Regolamento), XI, XII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Pag. 2

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26, recante misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali (A.C. 4219) (ore 10,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26, recante misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4219)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Maurizio Fugatti, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURIZIO FUGATTI, Relatore. Signor Presidente, il disegno di legge, del quale l'Assemblea inizia oggi la discussione presso questo ramo del Parlamento, dispone la conversione in legge del decreto-legge n. 26 del 2011 recante «Misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali». L'articolo 1, comma 1, del decreto-legge, prevede che, in deroga alle disposizioni vigenti, per alcune tipologie di società emittenti sia possibile posticipare da centoventi a centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio 2010 i termini per la convocazione dell'assemblea annuale, anche qualora tale possibilità non sia prevista dallo statuto.
Come esplicitamente indicato dal comma 1, l'opportunità di consentire il predetto slittamento delle assemblee annuali è motivato dal fatto che le società dovranno applicare le nuove norme del decreto legislativo n. 27 del 2010 che ha recepito nell'ordinamento italiano la direttiva 2007/36/CE concernente l'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, apportando rilevanti modifiche alla normativa vigente in materia di interventi in assemblea e diritto di voto.
La possibilità di posticipo interessa le società cui si applica l'articolo 154-ter del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, vale a dire le emittenti quotate che hanno l'Italia come Stato membro d'origine, investite dall'obbligo di pubblicare alcune relazioni finanziare a cadenza periodica. Al riguardo, ricordiamo che le norme di cui all'articolo 2364, secondo comma, e all'articolo 2364-bis, sempre secondo comma, del codice civile prescrivono che l'assemblea ordinaria sia convocata entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non oltre centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale.
Lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore a centottanta giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedano particolari esigenze relative alla struttura e all'oggetto della società. In questi casi gli amministratori devono segnalare le ragioni della dilazione nella relazione sulla gestione.
Il comma 2 consente alle predette società che abbiano già pubblicato l'avviso di convocazione dell'assemblea annuale al 27 marzo 2011, data di entrata in vigore del decreto-legge, di convocare a nuova data l'assemblea, in prima o unica convocazione. La nuova convocazione è possibile solo qualora non sia decorso, con riferimento all'assemblea originariamente convocata, il termine stabilito dall'articolo 83-sexies, comma 1, del TUF, per l'invio delle comunicazioni che legittimano all'intervento in assemblea e all'esercizio del diritto di voto nelle società italiane con azioni ammesse alla negoziazione nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione italiani o di altri Paesi dell'Unione europea.
Il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell'articolo 1 contemplano il caso in cui l'assemblea, di cui si dispone il posticipo, sia stata convocata anche per la nomina Pag. 3dei componenti degli organi societari stabilendo, in tale ipotesi, che sia mantenuta anche per la nuova convocazione la validità delle liste già depositate presso l'emittente e che possano essere presentate nuove liste nel rispetto dei termini previsti dall'articolo 147-ter, comma 1-bis, del TUF (ai sensi del quale le liste sono depositate presso l'emittente entro il venticinquesimo giorno precedente la data dell'assemblea chiamata a deliberare sulla nomina dei componenti del consiglio di amministrazione e messe a disposizione del pubblico presso la sede sociale, sul sito Internet o con le altre modalità previste dalla Consob, con regolamento, almeno 21 giorni prima della data dell'assemblea) e delle norme regolamentari dettate dalla Consob per la disciplina delle modalità per l'elezione, con voto di lista, di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza.
Il quarto periodo del comma 2 estende la possibilità di rinvio anche all'assemblea straordinaria convocata con il medesimo avviso.
L'articolo 2 del decreto-legge, infine, dispone che il decreto-legge entri in vigore, ovviamente, il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Come confermato dal Governo, si tratta di una norma di portata generale, non occasionale e limitata, quindi, solo al caso di Parmalat, di cui ovviamente si è parlato, che introduce un elemento di flessibilità sulle attività di gestione delle società. Già lo scorso anno la norma era stata inserita nel decreto-legge di proroga dei termini mentre quest'anno è stata introdotta, comunque, in anticipo sulle scadenze ordinarie di tutte le società italiane. È, quindi, necessario che il decreto-legge sia convertito e, soprattutto, che venga «ricordato» anche per l'anno prossimo, in modo da rimuovere ogni supposizione relativa a interventi specifici.
Ciò nonostante, non vi è dubbio che il provvedimento debba essere considerato anche con riferimento alla vicenda che ha interessato gli assetti proprietari del gruppo Parmalat. Il gruppo alimentare francese Lactalis, nelle settimane precedenti all'emanazione del decreto-legge, ha acquisito, mediante acquisto di azioni sul mercato e attraverso operazioni di acquisto dei pacchetti azionari precedentemente detenuti da alcuni fondi di investimento esteri, circa il 29 per cento del capitale del predetto gruppo Parmalat, acquisendone potenzialmente il controllo. È, altresì, notizia di ieri e di oggi dell'OPA lanciata su Parmalat da parte del gruppo Lactalis.
Gli assetti di controllo del gruppo Parmalat rivestono un evidente rilievo politico in considerazione della centralità di tale gruppo, sia per quanto riguarda il comparto agroalimentare sia per quanto riguarda l'intero sistema economico nazionale.
In tale contesto, l'iniziativa legislativa assunta dal Governo ha dato la possibilità agli amministratori di Parmalat, così come agli amministratori di tutte le altre società, di dotarsi di uno strumento per verificare, in attesa dello svolgimento dell'assemblea annuale, se sussistano ipotesi alternative rispetto all'acquisizione del controllo da parte del gruppo francese che siano più vantaggiose per le prospettive del gruppo Parmalat, per gli azionisti di quest'ultimo nonché per gli interessi complessivi dell'economia italiana.
Il consiglio di amministrazione di Parmalat, riunitosi il 1o aprile scorso, ha dunque deliberato, avvalendosi delle norme del decreto-legge in esame, di revocare la convocazione della precedente assemblea ordinaria e straordinaria e di convocare una nuova assemblea, con il medesimo ordine del giorno, prevista per i giorni 25, 27 e 28 giugno prossimi.
Con provvedimento dell'8 aprile 2011 il tribunale di Parma ha confermato il decreto del presidente del tribunale del 4 aprile 2011, che aveva affermato la conformità della deliberazione di rinvio assembleare del consiglio di amministrazione di Parmalat. Il tribunale, pertanto, ha respinto l'istanza di sospensione della deliberazione impugnata presentata dal gruppo Lactalis.
In tale quadro si ricorda che contestualmente l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, già approvato al Senato e Pag. 4all'esame prossimamente per la conversione in legge alla Camera, ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore, di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese e che, secondo le modifiche introdotte al Senato, risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento, partecipati da Cassa depositi e prestiti ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o enti pubblici.
Conseguentemente, nell'assemblea straordinaria dell'11 aprile, la Cassa depositi e prestiti ha approvato le modifiche statutarie necessarie a consentire l'assunzione dei nuovi compiti istituzionali.
Tali interventi sono conformi con gli indirizzi espressi dal Governo e dal Ministro Tremonti in sede di audizione presso la Commissione finanze nei giorni scorsi. Sappiamo infatti che il problema dell'economia di questo Paese non è tanto quello di difendere, quanto quello di sviluppare le imprese e la loro dimensione, soprattutto in considerazione del fatto che il 90 o 95 per cento del prodotto interno lordo del Paese è composto da imprese con meno di 15 addetti.
Poiché finora gli incentivi alla fusione non hanno portato risultati importanti, è necessario individuare nuove strade: ad esempio, la nuova legge sulle reti che, sulla base di un libero contratto tra imprese, ha consentito di generare un'entità consortile più grande, in grado di interloquire con banche, fisco e mercati da una posizione contrattuale più forte.
Allo stesso modo, il Fondo strategico di Cassa depositi e prestiti - che esamineremo in questo ramo del Parlamento - è volto ad accompagnare il processo di integrazione delle economie con un processo di crescita dimensionale, attraverso la disponibilità di risorse finanziarie e strumentali, know-how e nuove occasioni di sviluppo.
Concludo ricordando che, nel corso dell'esame in sede referente, non sono state apportate modifiche al testo del provvedimento, quindi il provvedimento così come è uscito dal Consiglio dei Ministri, è uscito dalla Commissione competente e arriva in Aula. I pareri del Comitato per la legislazione e delle Commissioni permanenti competenti - vale a dire le Commissioni I (Affari costituzionali), la II (Giustizia), la X (Attività produttive) e la XIV (Unione europea) - sono favorevoli oppure hanno dato il nulla osta.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Ventucci. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante COSIMO VENTUCCI. Signor Presidente, è noto che il nostro Paese è il secondo in Europa nella produzione manifatturiera, avvalendosi per il 95 per cento di piccole imprese con alto grado di specializzazione, suffragato da quell'inventiva o, se più aggrada, da quell'arte di arrangiarsi che ci consente di primeggiare in gran parte del mercato mondiale con prodotti di alta qualità.
Di converso, abbiamo poche grandi imprese: tra i 51 distretti industriali di cui è composta la nostra rete di esportazione, quello di Parma, specializzato nella produzione lattiero-casearia, ha avuto nel 2010 un aumento dell'esportazione del 40 per cento, dando un apporto significativo del 12,9 per cento, che è il dato di incremento dell'esportazione nazionale dell'anno. In quel distretto c'è la Parmalat, società quotata in borsa, con un trascorso manageriale finanziario che ha danneggiato migliaia di risparmiatori, ma che oggi, a risanamento avvenuto, è appetibile per nuovi e vecchi azionisti anche esteri, pronti a mettere le mani su quel tesoretto di circa un miliardo e mezzo di liquidità, rappresentato da profitti, alcuni dei quali hanno origini da accordi extra giudiziari. Pag. 5
Abbiamo usato la locuzione: «anche esteri» perché la specificazione non dovrebbe riguardare le imprese europee, ma il Trattato di Maastricht si dimostra sempre meno agevole nel realizzare i principi fondanti del 1992, al punto che siamo soggetti ad un insieme di regolamenti e direttive, che si inseriscono nella legislazione nazionale, a volte creando disagio proprio a noi che originariamente li osserviamo. La difficoltà sorge perché quelle norme vengono spesso disapplicate non solo in alcuni dei nuovi Paesi dell'Unione europea, ma addirittura in alcuni Stati fondatori del MEC e poi dell'Unione europea.
Ne deriva che, se è vero che non si può essere intelligenti sotto l'ideologia, non si può neanche esserlo sotto i dettami di una burocrazia europea, che viene utilizzata come una sinusoide dove, all'apice delle curve, si trovano vantaggi tutelati nell'interesse di chi si ritiene alla guida dell'Unione.
Non dimentichiamo ciò che è avvenuto nel campo dell'agricoltura - quando a Bruxelles ci proposero di sradicare i nostri vigneti per un compenso di 6 milioni ad ettaro - oppure pensiamo alle 80 mila lire a capo per l'abbattimento dei nostri vitelli. Non era certo un affare per la nostra agricoltura e ne ricevemmo un danno, vi era il timore e contestai la decisione rimessa all'indice - ero scettico - dall'intellighenzia nazionale.
Nel comparto delle dogane, che purtroppo pochi conoscono a causa del mancato cabotaggio tra quelle amministrazioni con il mondo universitario, compresi i professionisti dell'economia e dei tributi, le differenze applicative delle norme comuni sono addirittura eccessive, al punto che conviene sbarcare le merci destinate in Italia nei porti del Baltico, dove si applicano disciplinari interni favorevoli, derivanti dalla cultura mercantile di chi ha gestito per secoli le colonie.
In tal modo si crea una facilità di sdoganamento che induce i nostri importatori ad assecondare distorsioni di traffico a scapito dei nostri porti - e dello stesso fisco - se si prende in considerazione il meccanismo della ripartizione dei diritti di confine a favore del Paese importatore. Si è giunti persino all'opposto di quanto oggi sta avvenendo nel mercato finanziario dove comportamenti nazionalistici hanno a suo tempo impedito a nostri investitori di scalare aziende dell'Unione europea con buona pace per le attuali esternazioni dell'ambasciatore francese in Italia che conferma il vecchio detto latino: «Cicero pro domo sua», dimenticando il cosiddetto modello francese, cioè quello del fondo strategico di investimento gestito dal suo governo.
Vero è che, quando si parla di provvedimento d'urgenza per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali, alcuni rimangono alquanto sorpresi, come se il Governo si fosse reso conto della gravità della situazione solo nel momento in cui è accaduto l'evento oggetto della celerità o impellenza che sia. Trattiamo infatti di un provvedimento legislativo a tutela della buona applicazione della rinnovata disciplina dell'intervento in assemblea e dell'esercizio del diritto di voto - andrà poi in vigore il prossimo anno - così come abbiamo ascoltato dall'esaustiva relazione dell'onorevole Fugatti, nella quale è chiaramente riferita l'intenzione del Governo di reiterare il provvedimento anche per il futuro, fermo restando - e qui manca la conoscenza dei non addetti - che lo stesso principio fu già inserito nel decreto milleproroghe dello scorso anno. A questo proposito alcuni colleghi sostengono che sarebbe opportuno modificare gli articoli del codice civile 2.364, 2.392 e 2.395 e far diventare stabile la norma che porta a centottanta giorni la possibilità di convocare l'assemblea annuale. Riteniamo la proposta accettabile ma ci sembra più logico renderla strutturale in un insieme normativo a livello europeo per far sì che la regola sia rispettata parimenti in tutti gli Stati dell'Unione europea con il fine di evitare quanto precedentemente avvenuto a scapito di scalate messe in atto dalle nostre aziende.
È senza dubbio un serio problema per cui è opportuno che il Governo se ne Pag. 6faccia carico. Sta di fatto che nel provvedimento oggetto dell'odierna discussione non si può negare il riferimento alle vicende in essere nelle quali si presenta l'investitore comunitario in un libero mercato azionario - lo stesso che ha già acquisito il controllo di aziende italiane come la Galbani, Invernizzi, Cademartori, Locatelli e Vallelata - e tenta il colpo grosso con l'acquisizione anche della Parmalat di cui racimola il 29,60 per cento di azioni, vicino a quel 30 per cento che permette l'attivazione della procedura per ottenerne il controllo, peraltro già unilateralmente applicata ieri.
È a questo punto che quel velo di ipocrisia che ammanta gli accordi europei consente ad alcuni di considerare l'operazione di acquisizione come ovvia e nelle regole comunitarie, escludendo il concetto di extraterritorialità per gli investitori, e non passi inosservato che a questa tesi aderiscono in molti, compresi alcuni che si dichiarano economisti, abili nell'analizzare il passato e modesti nel prevedere il domani, sempre pronti ad evitare ogni ritorsione sulla difesa degli interessi nazionali laddove le regole comunitarie potrebbero crearci svantaggi se non rispettate da tutti.
In tale contesto tuttavia, pur nella legittimità delle azioni dell'investitore atte a perseguire i propri interessi, riteniamo che l'azione legislativa del nostro Governo sia opportuna per consentire agli attuali amministratori della Parmalat di verificare se ci siano alternative a quella francese, mirate a prospettive di sviluppo dell'azienda che abbiano come primo obiettivo quello della tutela dell'occupazione e della salvaguardia anche dei piccoli azionisti che hanno rinnovato la fiducia nell'impresa strategicamente inserita nell'interesse dell'economia italiana. D'altra parte, la decisione del tribunale di Parma ha confermato questa disponibilità temporale alla suddetta verifica e in tale quadro è opportuno ricordare la riforma della Cassa depositi e prestiti che in simili occasioni è in grado di finanziare lo sviluppo della nostra economia, impiegando risorse a sostegno del settore produttivo così da consentire al Paese di offrire una risposta seria alle sfide di un'economia sempre più globalizzata. Sia ben chiaro che il riferimento alla Cassa depositi e prestiti non ha nulla a che vedere con un becero invito alla classe imprenditoriale italiana a perdere il gusto della sfida anche perché alla fine, accantonate le vetuste etichette di socialismo e colbertismo, prevale il mercato e quindi la capacità di investimento che nel caso in oggetto dovrà espletarsi entro la fine di giugno del corrente anno.
Invitiamo invece gli imprenditori italiani a compiere un atto di coraggio, un impegno che mentre non manca alla piccola impresa, scarseggia nelle grandi, ancora frenate dai laccioli della pubblica amministrazione e dei sindacati di cui a volte siamo insipienti sostenitori per reciproca mancanza di fiducia.
Infine, cogliamo l'occasione per esprimere preoccupazione per la forza delle economie emergenti in un mercato globalizzato, retto dalla sola concorrenza del privato, con regole non sempre rispettate, perché spesso non rispettabili, dove anche un'azienda strategica nel suo settore potrebbe essere resa debole e annullata, prevalendo interessi esterni ben tutelati. Ed allora le auspicate cordate nazionali potrebbero anch'esse avere un riferimento di garanzia nell'intervento della suddetta Cassa depositi e prestiti, anche perché siamo in un'Europa piuttosto ancorata al proprio piano di autonomia e sovranità nazionale e nella quale, mediante il comparto dell'economia, sarebbe opportuno contribuire ad evitare che si acclari il falso concetto dell'esistenza di un processo di occidentalizzazione nel fatale progresso della modernità.
Se è necessario difendere l'italianità, lo si faccia a condizione però che la difesa sia un mezzo per convincere gli altri che, di fronte alle regole comuni, i comportamenti degli Stati sottoscrittori devono essere reciproci. La cortesia manifestata nell'incontro bilaterale italo-francese svoltosi ieri a Roma e l'improvvisa OPA con le assicurazioni della Lactalis non attenuano la tutela di ciò che è considerato un gioiello dell'imprenditoria nazionale.
COSIMO VENTUCCI. Signor Presidente, è noto che il nostro Paese è il secondo in Europa nella produzione manifatturiera, avvalendosi per il 95 per cento di piccole imprese con alto grado di specializzazione, suffragato da quell'inventiva o, se più aggrada, da quell'arte di arrangiarsi che ci consente di primeggiare in gran parte del mercato mondiale con prodotti di alta qualità.
Di converso, abbiamo poche grandi imprese: tra i 51 distretti industriali di cui è composta la nostra rete di esportazione, quello di Parma, specializzato nella produzione lattiero-casearia, ha avuto nel 2010 un aumento dell'esportazione del 40 per cento, dando un apporto significativo del 12,9 per cento, che è il dato di incremento dell'esportazione nazionale dell'anno. In quel distretto c'è la Parmalat, società quotata in borsa, con un trascorso manageriale finanziario che ha danneggiato migliaia di risparmiatori, ma che oggi, a risanamento avvenuto, è appetibile per nuovi e vecchi azionisti anche esteri, pronti a mettere le mani su quel tesoretto di circa un miliardo e mezzo di liquidità, rappresentato da profitti, alcuni dei quali hanno origini da accordi extra giudiziari. Pag. 5
Abbiamo usato la locuzione: «anche esteri» perché la specificazione non dovrebbe riguardare le imprese europee, ma il Trattato di Maastricht si dimostra sempre meno agevole nel realizzare i principi fondanti del 1992, al punto che siamo soggetti ad un insieme di regolamenti e direttive, che si inseriscono nella legislazione nazionale, a volte creando disagio proprio a noi che originariamente li osserviamo. La difficoltà sorge perché quelle norme vengono spesso disapplicate non solo in alcuni dei nuovi Paesi dell'Unione europea, ma addirittura in alcuni Stati fondatori del MEC e poi dell'Unione europea.
Ne deriva che, se è vero che non si può essere intelligenti sotto l'ideologia, non si può neanche esserlo sotto i dettami di una burocrazia europea, che viene utilizzata come una sinusoide dove, all'apice delle curve, si trovano vantaggi tutelati nell'interesse di chi si ritiene alla guida dell'Unione.
Non dimentichiamo ciò che è avvenuto nel campo dell'agricoltura - quando a Bruxelles ci proposero di sradicare i nostri vigneti per un compenso di 6 milioni ad ettaro - oppure pensiamo alle 80 mila lire a capo per l'abbattimento dei nostri vitelli. Non era certo un affare per la nostra agricoltura e ne ricevemmo un danno, allora vi era il timore che chi contestava la decisione fosse messo all'indice - come euroscettico - dall'intellighenzia nazionale.
Nel comparto delle dogane, che purtroppo pochi conoscono a causa del mancato cabotaggio tra quelle amministrazioni con il mondo universitario, compresi i professionisti dell'economia e dei tributi, le differenze applicative delle norme comuni sono addirittura eccessive, al punto che conviene sbarcare le merci destinate in Italia nei porti del Baltico, dove si applicano disciplinari interni favorevoli, derivanti dalla cultura mercantile di chi ha gestito per secoli le colonie.
In tal modo si crea una facilità di sdoganamento che induce i nostri importatori ad assecondare distorsioni di traffico a scapito dei nostri porti - e dello stesso fisco - se si prende in considerazione il meccanismo della ripartizione dei diritti di confine a favore del Paese importatore. Si è giunti persino all'opposto di quanto oggi sta avvenendo nel mercato finanziario dove comportamenti nazionalistici hanno a suo tempo impedito a nostri investitori di scalare aziende dell'Unione europea con buona pace per le attuali esternazioni dell'ambasciatore francese in Italia che conferma il vecchio detto latino: «Cicero pro domo sua», dimenticando il cosiddetto modello francese, cioè quello del fondo strategico di investimento gestito dal suo governo.
Vero è che, quando si parla di provvedimento d'urgenza per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali, alcuni rimangono alquanto sorpresi, come se il Governo si fosse reso conto della gravità della situazione solo nel momento in cui è accaduto l'evento oggetto della celerità o impellenza che sia. Trattiamo infatti di un provvedimento legislativo a tutela della buona applicazione della rinnovata disciplina dell'intervento in assemblea e dell'esercizio del diritto di voto - andrà poi in vigore il prossimo anno - così come abbiamo ascoltato dall'esaustiva relazione dell'onorevole Fugatti, nella quale è chiaramente riferita l'intenzione del Governo di reiterare il provvedimento anche per il futuro, fermo restando - e qui manca la conoscenza dei non addetti - che lo stesso principio fu già inserito nel decreto milleproroghe dello scorso anno. A questo proposito alcuni colleghi sostengono che sarebbe opportuno modificare gli articoli del codice civile 2.364, 2.392 e 2.395 e far diventare stabile la norma che porta a centottanta giorni la possibilità di convocare l'assemblea annuale. Riteniamo la proposta accettabile ma ci sembra più logico renderla strutturale in un insieme normativo a livello europeo per far sì che la regola sia rispettata parimenti in tutti gli Stati dell'Unione europea con il fine di evitare quanto precedentemente avvenuto a scapito di scalate messe in atto dalle nostre aziende.
È senza dubbio un serio problema per cui è opportuno che il Governo se ne Pag. 6faccia carico. Sta di fatto che nel provvedimento oggetto dell'odierna discussione non si può negare il riferimento alle vicende in essere nelle quali si presenta l'investitore comunitario in un libero mercato azionario - lo stesso che ha già acquisito il controllo di aziende italiane come la Galbani, Invernizzi, Cademartori, Locatelli e Vallelata - e tenta il colpo grosso con l'acquisizione anche della Parmalat di cui racimola il 29,60 per cento di azioni, vicino a quel 30 per cento che permette l'attivazione della procedura per ottenerne il controllo, peraltro già unilateralmente applicata ieri.
È a questo punto che quel velo di ipocrisia che ammanta gli accordi europei consente ad alcuni di considerare l'operazione di acquisizione come ovvia e nelle regole comunitarie, escludendo il concetto di extraterritorialità per gli investitori, e non passi inosservato che a questa tesi aderiscono in molti, compresi alcuni che si dichiarano economisti, abili nell'analizzare il passato e modesti nel prevedere il domani, sempre pronti ad evitare ogni ritorsione sulla difesa degli interessi nazionali laddove le regole comunitarie potrebbero crearci svantaggi se non rispettate da tutti.
In tale contesto tuttavia, pur nella legittimità delle azioni dell'investitore atte a perseguire i propri interessi, riteniamo che l'azione legislativa del nostro Governo sia opportuna per consentire agli attuali amministratori della Parmalat di verificare se ci siano alternative a quella francese, mirate a prospettive di sviluppo dell'azienda che abbiano come primo obiettivo quello della tutela dell'occupazione e della salvaguardia anche dei piccoli azionisti che hanno rinnovato la fiducia nell'impresa strategicamente inserita nell'interesse dell'economia italiana. D'altra parte, la decisione del tribunale di Parma ha confermato questa disponibilità temporale alla suddetta verifica e in tale quadro è opportuno ricordare la riforma della Cassa depositi e prestiti che in simili occasioni è in grado di finanziare lo sviluppo della nostra economia, impiegando risorse a sostegno del settore produttivo così da consentire al Paese di offrire una risposta seria alle sfide di un'economia sempre più globalizzata. Sia ben chiaro che il riferimento alla Cassa depositi e prestiti non ha nulla a che vedere con un becero invito alla classe imprenditoriale italiana a perdere il gusto della sfida anche perché alla fine, accantonate le vetuste etichette di socialismo e colbertismo, prevale il mercato e quindi la capacità di investimento che nel caso in oggetto dovrà espletarsi entro la fine di giugno del corrente anno.
Invitiamo invece gli imprenditori italiani a compiere un atto di coraggio, un impegno che mentre non manca alla piccola impresa, scarseggia nelle grandi, ancora frenate dai laccioli della pubblica amministrazione e dei sindacati di cui a volte siamo insipienti sostenitori per reciproca mancanza di fiducia.
Infine, cogliamo l'occasione per esprimere preoccupazione per la forza delle economie emergenti in un mercato globalizzato, retto dalla sola concorrenza del privato, con regole non sempre rispettate, perché spesso non rispettabili, dove anche un'azienda strategica nel suo settore potrebbe essere resa debole e annullata, prevalendo interessi esterni ben tutelati. Ed allora le auspicate cordate nazionali potrebbero anch'esse avere un riferimento di garanzia nell'intervento della suddetta Cassa depositi e prestiti, anche perché siamo in un'Europa piuttosto ancorata al proprio piano di autonomia e sovranità nazionale e nella quale, mediante il comparto dell'economia, sarebbe opportuno contribuire ad evitare che si acclari il falso concetto dell'esistenza di un processo di occidentalizzazione nel fatale progresso della modernità.
Se è necessario difendere l'italianità, lo si faccia a condizione però che la difesa sia un mezzo per convincere gli altri che, di fronte alle regole comuni, i comportamenti degli Stati sottoscrittori devono essere reciproci. La cortesia manifestata nell'incontro bilaterale italo-francese svoltosi ieri a Roma e l'improvvisa OPA con le assicurazioni della Lactalis non attenuano la tutela di ciò che è considerato un gioiello dell'imprenditoria nazionale.

Pag. 7

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, stamattina in questo decreto-legge discutiamo di ciò che potremmo tranquillamente chiamare una grande ipocrisia. In questo provvedimento c'è una grande ipocrisia e basta leggere i giornali di stamattina per rendersene conto. C'è un'ipocrisia tra il merito di questo decreto-legge e i suoi veri obiettivi, un'ipocrisia che nasconde l'assenza di vere strategie di politica industriale da parte del Governo.
Guardiamo infatti al merito del decreto-legge: si chiede di posticipare fino a centottanta giorni dall'approvazione del bilancio di esercizio la possibilità di convocare l'assemblea dei soci per le società italiane quotate in borsa, al posto dei novanta giorni stabiliti dall'attuale normativa, derogabili peraltro sulla base di previsioni statutarie ovvero di motivi di necessità. Perché questo intervento di urgenza? Come motiva il Governo questo intervento, questo decreto-legge? Il Governo lo motiva in un modo che già di per sé è contraddittorio. Nella motivazione si fa infatti riferimento alle novità introdotte dal decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 27, un provvedimento con cui il nostro ordinamento ha adeguato le norme relative allo svolgimento delle assemblee dei soci alle nuove direttive e ai nuovi principi comunitari.
In tale decreto legislativo del gennaio 2010 si recepiscono direttive comunitarie e si innovano, anche in modo abbastanza profondo, le modalità di intervento in assemblea e di esercizio del diritto di voto. Quindi - dice il Governo -, in sede di prima applicazione di questo provvedimento, per dare in sostanza il tempo alle società italiane di adeguarsi alle nuove regole, posticipiamo fino a centottanta giorni la possibilità di convocare l'assemblea dei soci, anche se non prevista nello statuto. Si parla quindi di un intervento motivato in sede di prima applicazione per tale nuova normativa.
Signor Presidente, tutti sanno però che innanzitutto le nuove norme relative allo svolgimento dell'assemblea dei soci sono del gennaio 2010. Sono già passati quindi quindici mesi dall'introduzione della nuova normativa. Ormai l'hanno imparata tutti, avvocati, dirigenti di società, staff societari, segreterie dei consigli d'amministrazione. Lo dimostra, peraltro, lo svolgimento di tantissime assemblee sia l'anno scorso sia quest'anno, compresa quella, pur molto complicata proprio in base alle nuove norme, di Telecom. Anzi, chi ha seguito le vicende della recente assemblea dei soci di Telecom sa bene che proprio in quella importante assemblea dei soci le nuove norme sono entrate pienamente in vigore e hanno generato una dinamica dell'assemblea dei soci molto diversa da quella che avrebbe potuto esserci in passato con le precedenti norme.
Sarebbe, però, possibile - ed è questo che abbiamo già chiesto in Commissione e che chiediamo di nuovo al Governo e alla maggioranza - fornire un'altra motivazione, che scioglierebbe questa ipocrisia e riporterebbe le previsioni del decreto-legge in esame dentro una logica corretta. Si dovrebbe, cioè, dire che prevedere centottanta giorni, piuttosto che novanta, per la convocazione delle assemblee dei soci ha come obiettivo quello di evitare l'«assembramento» di troppe assemblee in poco tempo. Svolgere in soli tre mesi tutte le assemblee dei soci implica degli effetti che possono essere indesiderati, ossia difficoltà di garantire a tutti i soci e, soprattutto, ai piccoli risparmiatori l'uguale opportunità di partecipazione. Tante assemblee dei soci in poco tempo, con tutti gli adempimenti, anche nuovi, implicati da ciascuna assemblea, possono negare ai piccoli risparmiatori e ad una serie di soggetti l'opportunità di essere presenti a tutte le assemblee a cui vorrebbero partecipare.
Se adottassimo questa motivazione, che, a questo punto, sarebbe logica, dovremmo però rendere permanente il termine di centottanta giorni, come ha proposto il gruppo del Partito Democratico. Voglio ricordare, infatti, che il Partito Democratico ha proposto di rendere permanente il suddetto termine con apposita modifica del codice civile non soltanto Pag. 8adesso, in questi giorni, con appositi emendamenti al disegno di legge in oggetto, ma già nel dicembre del 2009, quando in Commissione finanze si discusse il testo del decreto legislativo n. 27 del 2010, recante misure di adeguamento della normativa italiana alla disciplina comunitaria in materia di partecipazione degli azionisti alle assemblee delle società quotate. Oggi riproponiamo che i centottanta giorni diventino un termine permanente, con conseguente modifica dell'articolo 2364, secondo comma, del codice civile.
Perché lasciare il termine entro il quale possano essere convocate le assemblee nell'incertezza? Perché affidarlo alla discrezionalità, anno per anno, della possibile iniziativa legislativa del Governo, come pure il Ministro Tremonti ha sostenuto in audizione in Parlamento il 20 aprile scorso? A noi sembra una posizione senza senso, ossia, nel vero senso della parola, insensata, posto che il nostro sistema Paese è già così ricco di incertezze giuridiche che allontanano e fanno fuggire gli investitori - certamente quelli esteri, ma credo anche quelli italiani - da non avere bisogno di aggiungerne un'altra. Perché introdurre una nuova incertezza giuridica, una discrezionalità, in base alla quale il Governo si riserva, anno dopo anno, eventualmente tramite il cosiddetto «milleproroghe», di rimandare sino a centottanta giorni la possibilità di convocare le assemblee dei soci? Rendiamo invece permanente il suddetto termine, modifichiamo il citato articolo del codice civile con una motivazione robusta, come quella di garantire la massima accessibilità di soci alle assemblee delle società quotate.
Credo, signor Presidente, che la verità sia un'altra ed è qui l'ipocrisia del decreto-legge in esame. Lo stesso Ministro Tremonti ha nascosto questa verità durante la sua audizione in Parlamento il 20 aprile scorso sostenendo, ipocritamente, la tesi secondo la quale il prolungamento del termine per la convocazione delle assemblee dei soci delle società italiane quotate sarebbe una questione meramente tecnica, da valutare anno dopo anno da parte del Governo.
Meno abile del Ministro nell'arte della dissimulazione, ma più onesto intellettualmente, si è dimostrato il relatore Fugatti, che già nella seduta della Commissione finanze del 29 marzo scorso e di nuovo stamattina, poco fa, in Aula ha detto quello che tutti gli italiani sanno e di cui sulla stampa si discute da diverse settimane, ossia che, al di là del contenuto specifico, non vi è dubbio che il provvedimento in oggetto - dice Fugatti - debba essere inquadrato nell'ambito della vicenda che sta interessando gli assetti proprietari del gruppo Parmalat.
Diamo atto, quindi, al relatore Fugatti di onestà intellettuale e di trasparenza. Resta fermo, però, che siamo di fronte ad una grande ipocrisia. Il decreto-legge in esame ha a che fare con Parmalat e non con la difficoltà delle società italiane quotate ad applicare le nuove regole previste dal decreto legislativo n. 27 del 2010.
Infatti, come ormai sanno anche i bambini - basta leggere i giornali di stamattina - questo decreto-legge va esaminato insieme all'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, approvato dal Senato e ora trasmesso alla Camera, che autorizza la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale. Insomma, facendo perno sulla presunta emergenza relativa a Parmalat, il Governo sta proponendo un apparato normativo, che intende aprire un nuovo ciclo di quelle che un tempo si chiamavano «partecipazioni statali».
Tale nuovo ciclo di partecipazioni statali sembra avere - perché non c'è alcun documento o atto che affronti in modo approfondito e ragionato questa rilevante questione - come unico presupposto la semplice difesa dell'italianità delle aziende. Infatti accanto a Parmalat si discute ad esempio anche del caso di Edison.
Sciolta così l'ipocrisia del decreto-legge in discussione, ci rendiamo facilmente conto che il Governo sta chiedendo al Parlamento di ratificare nuove linee di Pag. 9intervento pubblico in economia, senza che su di esse sia chiara una strategia né di periodo breve né di periodo medio-lungo. Ciò accade perché a me sembra che il Governo una strategia non l'abbia: il Governo naviga a vista e dimostra, proprio in un settore così importante della politica pubblica, tutta la sua inadeguatezza.
Le notizie di oggi e di ieri ce ne danno conferma e direi in modo clamoroso. Cosa ritiene il Governo? Ritiene necessario, come uscito dal vertice italo-francese, procedere ad alleanze industriali italo-francesi, come è stato auspicato dal Presidente del Consiglio italiano e dal Presidente della Repubblica francese durante l'incontro bilaterale dei due Governi svoltosi proprio ieri? Oppure il Governo ritiene invece necessario difendere a tutti i costi l'italianità di qualsiasi azienda quotata italiana, a cominciare da Parmalat? Sono due cose diverse. Sui giornali di oggi leggiamo in modo plastico e trasparente la confusione che ha in testa il Governo nell'affrontare tali rilevanti problemi di politica industriale.
Il minimo che si può dire di questo Governo - ed è davvero il minimo perché voglio essere buono - è che non ha una chiara strategia di politica industriale per il Paese. Peraltro, la questione energetica né è una prova chiarissima, tra «nucleare sì» e «nucleare no», «nucleare forse», ma «forse» solo dopo avere evitato il referendum con sotterfugi e trabocchetti. Non si conduce così la politica industriale in un Paese come l'Italia, uno dei primi grandi Paesi industriali del mondo.
Il combinato disposto, poi, fra questo decreto-legge e l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011 ne è una prova ulteriore ancora più schiacciante e preoccupante. Il punto è molto semplice e mi limito soltanto ad esso: una vera politica industriale non può basarsi sulla mera questione dell'italianità.
Una politica industriale è basata sulle tecnologie, sulla ricerca e sullo sviluppo e, nel caso italiano, sulla crescita dimensionale e patrimoniale delle imprese, su un sistema fiscale che sostenga la patrimonializzazione, sulle reti e sulle alleanze. Le reti e le alleanze, poi, non possono non avere ormai una dimensione internazionale, soprattutto europea. Ma perché mai, se non per assenza di prospettiva e per incapacità di valutazione da parte di questo Governo, dovremmo essere contenti delle alleanze industriali sovranazionali di FIAT, mentre dovremmo preoccuparci delle alleanze industriali intraeuropee, che le imprese italiane e di altri Paesi europei intrecciano con logiche industriali e di mercato? Così per esempio è quella tra Telefonica e Telecom o tanti altri casi che si stanno sviluppando o si sono sviluppati negli ultimi anni.
L'impressione è che, se si considera la sola questione dell'italianità come faro della politica industriale, si vogliono soltanto difendere interessi precostituiti e si costringono poi i gruppi industriali italiani a crescite modeste e confinate, ovvero ridotte nei confini nazionali.
C'è un caso romano che voglio citare, quello di ACEA, che aveva costruito fra il 2003 e il 2008 una solida alleanza industriale con Electrabel (noto, dominante e importante operatore europeo dell'elettricità e molto appetito anche da ENEL, perché ottimo operatore industriale).
Il nuovo management di ACEA non più di un anno e mezzo fa ha rotto questa alleanza industriale con i soci francesi di Electrabel, è uscito così dalla generazione della produzione elettrica, confinando l'azienda ACEA nella sola e mera distribuzione idrica e distribuzione elettrica (ma non più, appunto, generazione elettrica); ha fatto quindi una scelta industriale perdente motivata dall'italianità, dopo di che, oggi, si legge sul giornale che il management di ACEA intende comprare energia e gas da Electrabel perché ne ha bisogno per partecipare alle gare italiane. Quindi Acea ha rotto due anni fa un'alleanza industriale sulla base dell'italianità e oggi va con il cappello in mano da quegli stessi ex soci a chiedere elettricità e gas.
Il punto è questo: non può essere solo l'italianità a costituire il faro di una politica industriale, soprattutto oggi che viviamo non solo in un mondo globalizzato, ma in una Europa fortemente integrata, Pag. 10dove quindi la crescita delle imprese italiane - prima ancora che rischi grandissimi - ha grandissime opportunità di svolgersi in una dimensione europea.
Allora noi, come Partito Democratico, auspichiamo e vogliamo che l'Italia finalmente si doti di una vera politica industriale. Abbiamo già detto sulla questione dei centottanta giorni: noi chiediamo che diventino strutturali; quindi non solo siamo d'accordo, ma chiediamo che diventi un termine strutturale e non discrezionale. Anche questa è questa politica industriale: dare regole certe e permanenti, perché, al contrario, l'incertezza del quadro normativo è il primo motivo per cui le imprese non crescono in Italia e i capitali stranieri, gli investimenti diretti dall'estero, arrivano con così grande difficoltà.
Anche sulla Cassa depositi e prestiti e sul suo possibile ruolo ricordiamo che due anni fa, in occasione dei provvedimenti anticrisi, proponemmo con un nostro emendamento l'istituzione, tramite la Cassa depositi e prestiti, di un fondo strategico di investimento come nuovo strumento di politica industriale. Lo proponemmo noi due anni fa, quindi non ci trovate, signori del Governo, signori della maggioranza, impreparati di fronte alla possibilità che la Cassa depositi e prestiti assuma questo nuovo ruolo oltre agli altri che, mano a mano, le sono stati attribuiti in questi anni.
Nessuna preclusione quindi a discutere di politica industriale e anche di nuovi meccanismi di intervento pubblico, anzi, ben venga questa discussione, arriva in ritardo. Avremmo potuto già due anni e mezzo o tre anni fa fare una serie di cose che per esempio altri Paesi europei hanno fatto mentre noi siamo rimasti al palo, compresa la misura di affiancare tramite adeguati strumenti pubblici le imprese in grado di far crescere e sviluppare progetti industriali a redditività di medio e lungo termine.
Ma pensiamo - mi avvio alle conclusioni - che il modo in cui il Governo e la maggioranza abbiano impostato questa discussione - che non solo comincia oggi sul decreto-legge relativo all'assemblea dei soci, ma continuerà con il decreto-legge n. 34 del 2011, in particolare per quanto riguarda l'articolo 7 relativo alle nuove funzioni della Cassa depositi e prestiti in materia di partecipazioni statali - sia profondamente limitato e distorto. Quindi vogliamo con i nostri interventi in Aula, in sede emendativa, e in Commissione, proporre in questa fase al Governo e alla maggioranza un ripensamento del modo in cui si approccia alla questione della politica industriale.
Prima di tutto la centralità della questione della italianità porta a logiche di salvataggio meramente finanziarie, condotte da istituti bancari privi di know-how industriale specifico. È già avvenuto nel caso di Alitalia, sta riavvenendo nel caso di Parmalat. Guardate che quello che sta succedendo nel caso di Parmalat è esattamente quello che è successo in occasione del caso di Alitalia.
Avendo in testa soltanto la questione difensiva dell'italianità, riusciamo a mettere in piedi mere cordate di tipo finanziario e bancario che non hanno know-how industriale, che non hanno partnership industriali - esattamente come nel caso di Alitalia - e nella migliore delle ipotesi salviamo delle «impresette». Ma siamo davvero sicuri che, se le nostre imprese potessero valutare progetti industriali di livello europeo, tali progetti non potrebbero dare maggiori soddisfazioni a tutti gli azionisti, compresi quelli bancari?
Ben altri potrebbero essere gli scenari se venissero poste al centro le vere questioni industriali con valutazioni, però, che non possono essere compito solo della politica, ma che devono vedere coinvolti pienamente i mercati. Insomma, le logiche di salvataggio meramente finanziarie, che sono quelle automaticamente portate dalle linee di politica industriale perseguite in queste settimane dal Governo, sono alla fine potenzialmente perdenti. Vedi, infatti, il caso di Alitalia che, ancora oggi, dopo tre anni, è alla ricerca di un partner industriale e vedi il caso di Parmalat dove, con l'offerta pubblica di acquisto totalitaria lanciata ieri dal gruppo Lactalis, a Pag. 11questo punto qualsiasi imprenditore o gruppo di imprenditori italiani si trova di fronte un progetto discutibile, migliorabile, ma, comunque, un progetto, tra l'altro molto più costoso di quanto qualcuno avesse pensato quando, in modo forse un po' spensierato, qualche settimana fa ha cavalcato il terreno della italianità.
Ma in più, la possibilità che lo Stato, tramite la Cassa depositi e prestiti, possa acquisire partecipazioni azionarie va, a nostro modo di vedere, seriamente regolamentata. E oggi, in base al testo del decreto-legge che lo stesso relatore Fugatti poco fa ha citato, comprese le modifiche apportate dal Senato, è troppo discrezionale. Vanno inserite regole, paletti, criteri, nei limiti quantitativi delle partecipazioni, negli obiettivi, nei settori di intervento, nelle prospettive temporali degli investimenti, nella governance di tutto quanto ha questo apparato. Non va dimenticato, soprattutto oggi, che proprio l'assenza di regole, ovvero il decadimento delle regole più antiche, ha portato, intorno a trent'anni fa circa, alla crisi delle vecchie partecipazioni statali.
Sarebbe imperdonabile e incomprensibile, nel momento in cui si ripropone l'intervento pubblico diretto nell'economia con lo strumento di politica economica, non trarre insegnamento dagli errori del passato. Come succede, ad esempio, nel caso citato del fondo strategico di investimento messo in piedi tramite la Caisse des depots et consignations dal Governo francese, con strumenti finanziari, sia azionari, ma anche non azionari, di affiancamento alle imprese, che abbiano dei progetti di sviluppo industriale a medio termine, da 5 a 7 anni. Lo Stato valuta, tramite partecipazioni rigorosamente di minoranza, una fase di affiancamento all'azienda nell'arco di quei 5-7 anni in cui si investono risorse di rischio e, quindi, anche da capitale proprio, per ottenere risultati di sviluppo industriale da valutare in periodi di tempo specifici; sempre nel caso francese, vi è una rigorosa assenza, da parte del socio pubblico, nella governance e, quindi, la governance delle imprese partecipate è lasciata ai soci di maggioranza, con la nomina, da parte del suddetto socio pubblico, soltanto dei consiglieri di minoranza di tipo indipendente. Discuteremo di ciò quando avremo, nei prossimi giorni, il decreto-legge n. 34 del 2011 all'esame della Camera dei deputati.
Voglio concludere, però, chiedendo attenzione - e voglio dirlo ai colleghi della maggioranza e del Governo - ad una logica provinciale meramente difensiva. Il concetto dell'italianità può anche avere qualche riscontro elettorale, qualche riscontro di nicchia, può parlare a pezzetti di sistema socio-economico che preferiscono essere protetti piuttosto che andare su sfide competitive. È anche comprensibile che un Governo come questo, un Governo debole, alla ricerca disperata, giorno per giorno, della maggioranza, un Governo che non ha più la maggioranza, né in questo Parlamento né nel Paese, cerchi in tutti i modi di strizzare l'occhio ad interessi di nicchia, dagli allevatori alle quote latte e, in questo caso, probabilmente, ai conferitori del latte, anche se, poi, si legge che Lactalis, tramite le sue partecipazioni italiane, compra molto più latte italiano di quanto non compri la Parmalat. La tanto «degenerata» Lactalis compra più latte italiano, in quota del latte che compra, di quanto ne acquisti la stessa Parmalat. Si può anche capire che ci siano interessi elettorali e di consenso di nicchia dietro questa posizione del Governo, ma noi vi avvisiamo che questa è una posizione perdente per il Paese.
L'Italia è un grande Paese, l'Italia ha una grande industria fatta da tantissime piccole e medie industrie, ma sono tutte grandi nei loro settori, nelle loro specializzazioni.
L'Italia ha bisogno di avere una politica industriale che non sia basata su logiche puramente difensive e sia basata invece sullo sviluppo, sulla tecnologia, sull'internazionalizzazione e sulla piena potenzialità, sul pieno sviluppo delle opportunità che le imprese ed il sistema italiano hanno dentro il sistema europeo e dentro il panorama europeo (tra l'altro è proprio quello che ha fatto la Germania). Adesso con questa politica si stuzzicano sentimenti Pag. 12nazionalistici declinati in questa fase contro la Francia. Ci piace di più la Germania? Ma allora andiamo a guardare che cosa ha fatto la Germania: la Germania ha fatto in questi anni esattamente questo, cioè ha attrezzato il suo sistema industriale ad essere pienamente competitivo in un nuovo spazio economico europeo che abbiamo costruito assieme negli ultimi vent'anni. È questa ancora la sfida tutta intera che anche il sistema industriale e il sistema socio-economico devono giocare, senza rincorrere provincialismi, senza chiudersi in protezionismi, senza pensare che l'unica politica industriale sia la difesa di una mal interpretata italianità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Comaroli. Ne ha facoltà.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Signor Presidente, il decreto-legge n. 26 del 2011, recante misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali, nasce dalla necessità di dare pronta risposta al tentativo di scalata posto in essere dal gruppo francese Lactalis sul gruppo Parmalat. Nelle settimane scorse Lactalis ha raggiunto direttamente o indirettamente la rilevante quota del 29 per cento del capitale di Parmalat. Il 13,67 per cento è detenuto direttamente a seguito di operazioni di rastrellamento di azioni sul mercato, il 15,3 per cento a seguito di accordi per l'acquisto delle azioni Parmalat detenute dai fondi Zenit asset management, Skagen As e Mackenzie financial corporation. La scalata è partita in previsione dell'assemblea Parmalat, già convocata dal consiglio di amministrazione, nella quale all'ordine del giorno è previsto il rinnovo delle cariche sociali.
Il decreto-legge in discussione dà la possibilità all'organo amministrativo della società di rinviare lo svolgimento dell'assemblea ad una data che può arrivare fino al 30 giugno, dando la possibilità ad altri gruppi industriali, magari italiani, di formare cordate alternative. Durante la discussione in sede referente gli altri partiti hanno presentato cinque emendamenti, di cui due dichiarati inammissibili. La proposta di maggior rilevanza è stata quella di rendere permanenti le disposizioni del presente decreto-legge, posticipando in maniera definitiva il termine per la convocazione dell'assemblea a centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale.
Il presente decreto nasce, come detto, dal caso specifico Parmalat e troverà efficacia esclusivamente per le assemblee relative all'approvazione dei bilanci relativi all'esercizio 2010. Di fatto lo scopo per il quale il Governo aveva emanato il decreto è stato raggiunto: il CdA di Parmalat ha posticipato la data dell'assemblea dal 14 aprile previsto, al 28 giugno, per l'approvazione del bilancio e per il rinnovo degli organi di amministrazione.
Anche il tribunale di Parma ha deciso di respingere l'istanza presentata dal gruppo francese Lactalis contro la decisione del consiglio di rinviare l'assemblea, dando tempo ad eventuali soggetti italiani di formare cordate in grado di sopravanzare i francesi. In tale contesto occorre inoltre ricordare che l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011 prevede infatti un ampliamento dell'operatività della Cassa depositi e prestiti, in forza del quale la medesima Cassa potrà assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento partecipati dalla stessa Cassa. Quest'ultima previsione mette a disposizione un ulteriore strumento per sostenere le imprese italiane, che eventualmente potrà essere utilizzato anche con riferimento al gruppo Parmalat.
Il gruppo della Lega Nord sulla vicenda si è già espresso anche attraverso il question time in Aula il 23 marzo scorso, con il quale ha sottolineato l'importanza del sostegno da parte del Governo non solo ai grandi gruppi industriali, ma anche ai medio-piccoli, che operano comunque in settori strategici.
Il settore alimentare è uno di questi, dal momento che con l'indotto arriva a coinvolgere numerosi piccoli allevatori e numerose Pag. 13imprese agricole. Mantenere la governance italiana significa costituire le basi di un polo italiano latteario e caseario.
Successivamente, il 30 marzo, è stata presentata anche un'interrogazione a risposta immediata presso la VI Commissione, con la quale l'onorevole Fugatti chiedeva quali fossero le informazioni a disposizione del Governo, della Consob ed eventualmente degli organi inquirenti sui movimenti azionari che si sono succeduti nei mesi di febbraio e marzo 2011, anche alla luce di eventuali tentativi di elusione dell'obbligo di presentazione dell'OPA obbligatoria.
Addirittura nel 2007, in sede di discussione della legge 20 giugno 2007, n. 77, che recepiva la direttiva europea in tema di OPA, la Lega si era battuta per introdurre nell'ordinamento il concetto di reciprocità fra i Paesi dell'Unione europea nella difesa delle imprese di fronte a potenziali acquirenti esteri. La Lega Nord, già allora, riteneva che quelle norme non fossero in grado di tutelare efficacemente gli interessi delle società italiane, a differenza di quanto avveniva in molti altri Stati membri, che avevano stabilito precise garanzie in favore delle loro imprese nazionali oggetto di offerte pubbliche di acquisto promosse da soggetti esteri.
Quindi, per la Lega Nord, già allora, era necessario introdurre un principio volto ad evitare situazioni in cui le società italiane potevano essere acquistate da società estere, mentre le società italiane non potevano acquistare società estere, poiché negli altri Paesi vi erano norme a tutela delle loro società e della loro economia. Dunque, nel 2007, con il Governo Prodi, sono mancati il coraggio, la capacità politica e la forza di incidere su una direttiva europea che doveva tener conto di aspetti determinanti per il futuro del nostro sistema economico.
Ci tengo a precisare che la Lega Nord non è contro il libero mercato, ma crediamo che debbano esservi regole chiare per tutti. Al limite, se una società italiana potesse compiere operazioni di acquisizioni in un Paese europeo tramite un'OPA ostile, senza che là fossero utilizzabili strumenti di difesa per le società poste sotto OPA, potremmo anche ammettere che, a fronte di una posizione di uguale concetto, la stessa situazione potrebbe valere anche in Italia. Se invece, in quel Paese, esistono strumenti di difesa utilizzabili dalle società, non capiamo perché, nel momento in cui una società di quel Paese attua un'OPA ostile in Italia, noi non possiamo applicare analoghe regole. Questo è il principio in base al quale noi abbiamo preso una posizione che riteniamo sia chiara nel senso del rispetto della reciprocità.
È notizia di ieri che Lactalis ha lanciato un'OPA a sorpresa e del tutto singolare per la tempestività, cogliendo impreparate le possibili «cordate» italiane. Infatti, sono allo studio diverse soluzioni. Una prima soluzione prevede la formazione di una new company con l'azionariato diviso in tre: un terzo a Gran Latte Granarolo, un terzo alle banche e un terzo alla Cassa depositi e prestiti. Questa soluzione, oltre a problemi tecnici, presenta il grosso problema del costo: nel caso di acquisto del 29 per cento di Lactalis, salirebbe di circa 1,5 miliardi di euro e, comunque, i francesi difficilmente venderebbero; nel caso di un'OPA per il 60-70 per cento del capitale, il costo sarebbe di circa 3 miliardi di euro.
Una seconda soluzione prevede la creazione di una holding in cui, oltre alla stessa Cassa depositi e prestiti, parteciperebbero le banche. Il coinvolgimento di Granarolo avverrebbe in un secondo momento, alla stessa stregua del fondo strategico francese, che ha rilevato quote di varie società del settore agroalimentare senza aggregarle tra loro.
Solo in una seconda fase, Parmalat potrà decidere come usare 1,4 miliardi di euro di cassa. A quel punto, l'opzione industriale, Granarolo o altro, sarebbe presa in considerazione, ma, anche in questa ipotesi, incontrerebbe l'ostacolo del costo, considerando che Banca Intesa, azionista al 20 per cento di Granarolo, potrebbe non partecipare con altrettanto interesse a questo tipo di operazione di carattere esclusivamente finanziario. Pag. 14
Non sappiamo come evolverà la situazione Parmalat, però sappiamo che il complesso di misure messe in campo dal Governo corrisponde all'esigenza fondamentale - che è stata ampiamente evidenziata anche nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari svolta dalla Commissione finanze - di ampliare le fonti di finanziamento e di capitalizzazione delle piccole e medie imprese. Inoltre, è utile ricordare che la norma contenuta nel decreto-legge «antiscalata» è generale e non particolare.
Non possiamo assistere impassibili alle scalate dei gruppi industriali stranieri senza che nessuno dica niente o muova un dito. Tutti i grandi Paesi hanno saputo trovare una strada equilibrata per tutelare i settori strategici e il libero mercato. Non si tratta di evocare la strada del protezionismo o del nazionalismo: in ballo c'è l'assetto produttivo ed industriale del nostro Paese con tutte le conseguenze che questo può avere per l'indotto e per l'occupazione.
Riteniamo che il Governo con questo provvedimento abbia agito con assoluto senso di responsabilità e si stia muovendo per tutelare e garantire la nostra società di fronte ad una comunità europea che, ancora una volta, dimostra la fragilità e la poca omogeneità delle regole del gioco (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, all'ordine del giorno della seduta di questa mattina vi è la conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26, che reca norme per garantire lo svolgimento delle assemblee annuali delle società. In sostanza, come è stato anche più volte ripetuto negli interventi che mi hanno preceduto, si consente alle singole società di convocare l'assemblea annuale nel termine di centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio del 2010.
Messa in questi termini si potrebbe dire che la discussione è già finita qui, perché le società interessate hanno già adempiuto agli obblighi della convocazione delle assemblee e chi aveva la necessità di modificare la data delle assemblee lo ha già fatto. Soprattutto, si potrebbe dire che la discussione è già finita qui dopo la dichiarazione di ieri della società francese Lactalis che ha annunciato un'OPA totalitaria su Parmalat. Vorrei ricordare ai colleghi di maggioranza che tale OPA è stata considerata non ostile da parte del Presidente del Consiglio Berlusconi nella conferenza stampa di ieri, svolta insieme al Presidente francese Sarkozy. Detto questo però, la qualità del provvedimento merita alcune considerazioni.
Intervenendo in Commissione finanze, il Ministro Tremonti poche settimane fa ci ha informato che il Governo non ha inteso adottare alcun provvedimento a favore di Parmalat. A dire il vero pensavamo - mi sembra di poter estendere questa mia considerazione anche a tutti gli altri colleghi che fino ad ora sono intervenuti nel dibattito - che questo decreto-legge fosse stato approvato proprio per favorire Parmalat, tant'è che solo pochissime società quotate, oltre ad essa, vi hanno fatto ricorso.
Basta leggere i comunicati della Consob per rendersi conto che, oltre a Parmalat, solo altre tre società hanno utilizzato la norma contenuta nel decreto-legge che consente di spostare le assemblee sociali, ma per motivi differenti da quelli che hanno costretto il consiglio di amministrazione presieduto da Bondi a spostare l'assemblea della società di Collecchio.
Non solo: il Ministro ci ha anche detto che misure come queste, ossia la possibilità di spostare le assemblee sociali, saranno ripetute ogni anno, tanto da auspicare (sono parole testuali del Ministro) un loro inserimento nel software del «milleproroghe».
Mi auguro che il Ministro Tremonti abbia frainteso l'oggetto della discussione, anzi ne sono sicuro. Sarebbe infatti singolare affidare il termine di una scadenza così importante, qual è quella dell'assemblea annuale delle società per l'approvazione del bilancio, cioè consegnare il termine Pag. 15per le assemblee annuali, al decreto-legge cosiddetto mille proroghe, così come non sarebbe sicuramente auspicabile il ripetersi di interventi che ad assemblee già convocate ne autorizzassero lo spostamento.
Se vi è la necessità di intervenire sui tempi di convocazione delle assemblee, lo si faccia una volta per tutte senza sottostare alla volontà del Ministro dell'economia di turno. Fra l'altro - lo ricordava nel suo intervento l'onorevole Causi -, durante la discussione del decreto legislativo di recepimento della direttiva europea 2007/36 sull'esercizio dei diritti degli azionisti nelle società quotate, noi avevamo già proposto di consentire lo svolgimento delle assemblee per l'approvazione dei bilanci entro centottanta giorni e non più entro i centoventi dalla chiusura dell'esercizio, proprio per evitare la concentrazione delle assemblee e consentire l'effettiva partecipazione degli azionisti alle assemblee stesse.
Signor Presidente, a differenza del Ministro noi avevamo inteso che il decreto-legge n. 26 riguardasse la Parmalat, sottoposta ad un attacco da parte dell'azienda francese Lactalis, e in sostanza, dopo l'acquisizione di Bulgari, la vicenda Edison, il tentativo di Groupama di scalare Fondiaria Sai attraverso Premafin, deve essere stata considerata un vero e proprio affronto la comunicazione al mercato dell'acquisizione del 29 per cento di Parmalat da parte di Lactalis. In poche parole deve essere sembrata eccessiva l'intraprendenza transalpina, da qui lo stop ad A2A, da qui l'obbligo di OPA per l'intervento in Premafin, da qui il decreto-legge al nostro esame per consentire a Parmalat di rinviare l'assemblea annuale già convocata - lo ricordo - e permettere ad una ipotetica cordata nazionale di preparare una controffensiva.
Non solo, sono già sulla pista di rullaggio un provvedimento che è stato approvato dal Senato e che investirà questa parte del Parlamento nelle prossime settimane, che consente di utilizzare la Cassa depositi e prestiti per investimenti in aziende ritenute strategiche e di mettere insieme un nuovo provvedimento contenente normativa anti OPA. Ecco, questa è la strategia del Governo per difendere l'italianità, così è stato detto, del nostro sistema industriale. Io ho ancora presente le parole di Bossi quando affermava che Parmalat non sarà mai francese. Che cosa rimane di questa strategia dopo l'intervento di ieri di Lactalis, dopo l'intervento di questa società francese che ha annunciato di lanciare un'OPA totalitaria su Parmalat?
Volevo sottoporvi solamente alcune riflessioni, al di là dell'italianità o meno o al di là di settori strategici o meno. Avremo modo di discuterne quando il provvedimento appena approvato dal Senato arriverà in quest'Aula. Ma se si voleva intervenire per mettere in sicurezza l'azienda di Collecchio, sono convinto che vi era il tempo e il modo perché la scalata era ampiamente annunciata e, per rimanere agli ultimi mesi, basta andare a leggere la risposta che il Governo ha dato il 31 marzo 2001 ad un question time in Commissione finanze presentato proprio dall'onorevole Fugatti, relatore di questo provvedimento.
Il Governo, rispondendo ad un'interrogazione dell'onorevole Fugatti, diceva che la «Consob ha comunicato - leggo testualmente la risposta del Governo - che in data 24 gennaio 2011 hanno iniziato a circolare alcune indiscrezioni circa possibili iniziative da parte dei grandi investitori internazionali presenti nel capitale di Parmalat in vista della prossima scadenza del consiglio di amministrazione guidato da Enrico Bondi». La nota del Governo prosegue, è molto lunga, ma credo che la sostanza sia riassumibile in questo capoverso. Ciononostante l'intervento a difesa dell'azienda è avvenuto a tempo scaduto. Eravamo ai primi di gennaio, mentre il decreto-legge è della fine di marzo, quando Lactalis aveva già acquisito circa il 29 per cento e, quindi, la quota di controllo dell'azienda.
Quindi, mi domando: ma se si aveva a cuore l'italianità di Parmalat, era necessario aspettare l'attacco francese per dare un assetto più solido al capitale dell'azienda? Pag. 16Era necessario aspettare Lactalis per accorgersi dell'urgenza di dare a Parmalat un assetto stabile in grado di farla crescere, di mantenere legami forti con il territorio e con tutta la filiera produttiva? La vicenda Parmalat, a mio avviso, è frutto della vostra incapacità non dico di fare sistema, ma semplicemente di guardare al di là del vostro naso. Una public company come quella di Parmalat che si fa trovare con un capo-azienda seduto su una montagna di soldi senza una vera strategia di espansione con banche e fondi italiani usciti ormai da tempo dal suo capitale: si sapeva che così non poteva andare, ma si sapeva anche che, se qualcuno avesse avuto qualche centinaio di milioni di euro da investire, Parmalat sarebbe stata un bel «bocconcino», un bel giocattolo e Lactalis lo ha capito prima di altri.
Ma il Governo dov'era mentre tutto questo si svolgeva sotto gli occhi degli italiani? Quello che vediamo - e la discussione di questi giorni credo ne sia una prova - non è altro che la conseguenza dell'assenza di una politica industriale nel nostro Paese, della mancanza per troppi mesi di un Ministro dello sviluppo economico, dell'assenza di una politica industriale in grado di coniugare vocazione dei territori ed eccellenza dei diversi settori produttivi.
Ho l'impressione che voi stiate continuamente evocando una sorta di pericolo esterno (molto spesso è l'Europa): l'attacco all'italianità. Tuttavia, questo tentativo non è altro che il tentativo di nascondere la vostra incapacità di guidare il Paese ed il castello che avete eretto a difesa della italianità delle aziende - in questo caso di Parmalat - si è rivelato per quello che è: un castello di carta che non è in grado di reggere al primo venticello di primavera. Che cosa dite ora della difesa dell'italianità dell'azienda?
Non solo: non è mai buona cosa - mi avvio a concludere, signor Presidente - cambiare le regole in corso d'opera, quando la partita è iniziata. Che affidabilità diamo agli investitori e a chi vuole investire nel nostro Paese? Sapete come me che l'Italia ha bisogno come il pane di investimenti esteri. Sapete come me che è necessario rendere il nostro Paese attrattivo per gli investimenti diretti esteri, senza i quali la produttività del lavoro e quella totale dei fattori continueranno a declinare con la conseguenza - anche per questo - che il nostro Paese continua a crescere meno di altri.
Non è vero che il nostro Paese è colonizzato da aziende straniere, basta guardare un'interessante indagine sulla presenza di aziende controllate da capitali stranieri nel nostro Paese. In Austria vi è quasi il 13 per cento di aziende controllate da capitali esteri, in Francia il 10,3 per cento, in Germania il 6,3 per cento, in Spagna il 4,5 per cento e l'Italia è ultima al 4,1 per cento.
Signor Presidente, e concludo, domani discuteremo in quest'aula del Documento di economia e finanze e del piano nazionale delle riforme. Non entro nel merito di questi provvedimenti, li valuteremo della discussione di domani mattina, ma anche dalla questione odierna, dalla vicenda Parmalat, dalla difesa dell'italianità, come voi dite, credo che ormai sia a tutti evidente che una politica economica come quella che state portando avanti, come quella che sta portando avanti ormai da due anni il Ministro Tremonti, tutta ancorata - esclusivamente ancorata - alla tenuta della finanza pubblica, non paghi più.
Occorre, a nostro avviso, raggiungere un equilibrio più avanzato tra rigore nella finanza pubblica e politiche per lo sviluppo. Credo che avere riscoperto, come voi avete fatto in queste settimane, sia pur tardivamente, la categoria degli interessi nazionali, degli interessi del Paese, comporta una svolta prima di tutto nella politica economica di questo Governo a cominciare dall'urgenza, dalla necessità di nuove misure per lo sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, dovremmo dire «dilettanti allo sbaraglio» Pag. 17vista la piega che la vicenda ha preso. Siamo di fronte ad un Governo incapace di avere una visione complessiva di politica economica, meno che meno di politica industriale, e che, a seconda della situazione del momento, si inventa il problema dell'italianità con provvedimenti episodici, slegati, lo ripeto, da una visione complessiva dell'economia, con una «furbata». È il Governo delle «furbate» questo, lo ha fatto in occasione del referendum e anche in questo caso ha tentato una «furbata» che consiste nel fatto che poiché io sono l'arbitro ed ho il fischietto in bocca sospendo la partita anche se la partita ha le sue regole, la sospendo al di là delle regole e poi vedremo quando riprenderla.
Questa è la «furbata» di immaginarsi di intervenire in un tema, alla faccia dei liberali, del Governo dei liberali che intervengono in campo economico dove ci sono regole già scritte per cambiare le regole intanto che la partita è in corso. Infatti l'idea di intervenire persino in una questione così privata come lo statuto delle imprese che è redatto dai soci e stabilire per legge che quello statuto non vale più anche se condiviso e approvato dalla maggioranza dei soci, mi pare dimostri che siamo in presenza altro che di un Governo liberale! Non c'è niente di più illiberale che interrompere e cambiare le regole del gioco quando il gioco è in corso con il risultato che è di fronte agli occhi di tutti. Infatti il fallimento di un tentativo, di una «furbata» come questa è un fallimento da un duplice punto di vista.
L'ultima volta che si era invocata l'italianità era stato a proposito della vicenda Alitalia e si era messa in piedi una cordata che costerà agli italiani un paio di miliardi di euro mentre in questo caso certamente si può discutere del management di questa società che ha permesso alla società stessa di avere una liquidità enorme, mi pare quasi un miliardo e mezzo di euro, investiti in titoli a breve termine, titoli di Stato, cosa che in un'impresa sana è al di fuori di ogni logica aziendale.
Un'impresa sana se ha liquidità la investe da qualche parte e non fa certo investimenti di natura finanziaria. Ma questo è un problema che i soci di quella società avrebbero dovuto eventualmente discutere con il management della società stessa, eventualmente cambiandolo se non andava bene.
Qui la verità è che si è invocata ancora una volta l'italianità. Si è fatta la furbata, ma la furbata si è dissolta. Tra l'altro, vorrei ricordare che qualcuno ha parlato di reciprocità con la situazione francese. Ma ho la sensazione che chi ha detto una cosa del genere non abbia letto la legge sugli investimenti esteri in Francia, che è una legge abbastanza recente. Per provocazione - so che poi verrà dichiarata inammissibile la proposta emendativa che abbiamo fatto - abbiamo proposto un articolo aggiuntivo che, di fatto, introduce una proposta di legge che abbiamo comunque indipendentemente presentato e che è una proposta fatta proprio sulla falsariga della legge francese.
La legge francese - andate a leggerla - individua settori di natura strategica ma minimamente si parla di settore alimentare. Tra l'altro, vorrei fare una piccola osservazione: come è noto, Parmalat è una multinazionale che lavora più all'estero di quanto non faccia in Italia. Stavo cercando alcuni dati che avevo appuntato. Il mercato più grande non è quello italiano ma è quello canadese, dove si concentra il 37 per cento delle vendite. Poi vi è l'Italia, poi l'Australia, poi l'America centrale e del sud e infine l'Africa. Pertanto, è un'impresa multinazionale che svolge tanta attività all'estero.
Ebbene, se nello sviluppo della sua attività avesse incontrato dall'altra parte Stati che intendono comportarsi come si voleva comportare il Governo italiano, questa impresa sarebbe, come qualcuno ha scritto, una latteria e niente più. Se, invece, si è potuta sviluppare è proprio grazie al fatto che le regole internazionali dell'economia sono regole accolte e soprattutto vi sono regole di concorrenza all'interno dell'Unione europea che permettono proprio gli investimenti.
D'altronde, ancora una volta da parte di tanta gente - e in particolare del Pag. 18Governo - si invoca che non vi sono regole per favorire gli investimenti esteri in Italia e che questo è uno dei problemi del nostro Paese. Tuttavia, una volta che vi è qualcuno che decide di investire in Italia gli si chiude la porta in faccia cambiando, lo ripeto, le regole del gioco. No, non ci stiamo a una cosa di questo genere. La politica industriale è una faccenda seria e si fa con una visione complessiva, individuando, se necessario, alcuni settori davvero strategici, ma ricordando che siamo anche in un'Unione europea la quale, per esempio, ha contestato parte della legge francese sugli investimenti proprio evidenziando che sono stati indicati alcuni settori - e questo va bene - che valgono nei confronti dei Paesi extracomunitari. Tuttavia, per i Paesi comunitari su alcuni dei settori che la Francia aveva individuato l'Europa ha detto «no». Quindi, non si capisce bene come potremmo immaginare di bloccare invece un investimento in questo settore.
Peraltro, è evidente che la situazione di liquidità che aveva Parmalat necessariamente non poteva che generare interesse da parte di qualche impresa solida. La sconfitta qui, come dicevo, è duplice. D'altronde, possiamo ricordare che negli ultimi cinque anni la Francia ha fatto acquisizioni in Italia per 36 miliardi di euro. Ricordo la Banca nazionale del lavoro, Cariparma, Bulgari, Gucci ed Edison, anche se su quest'ultima vi è ancora qualche discussione in ballo. Inoltre, se non fosse stato per l'insano gesto di questo Governo di bloccare la vendita già conclusa di Alitalia, che avrebbe risparmiato agli italiani un paio di miliardi di peso di nuove tasse e di perdite che ricadranno, appunto, sugli italiani, anche Alitalia sarebbe già - e non è detto che non lo sia in futuro - francese.
Dall'altro lato, è vero che l'Italia in questo frangente ha invece investito molto meno - possiamo ricordare i magazzini Printemps, Sorgenia, Altergaz - ma la verità è che, se dobbiamo fare un ragionamento vero, dobbiamo chiederci il perché. Questo vuol dire fare politica economica e industriale: se non si permette, se non si fa nulla - deve esserci uno sforzo gigantesco in tal senso - per favorire la crescita dimensionale delle imprese italiane, è evidente che questo sarà sempre un Paese comunque più debole e più fragile e che avrà imprese che faranno più fatica ad investire all'estero.
Ciò detto, credo di aver sufficientemente spiegato il punto di vista del nostro gruppo: noi siamo contrari proprio perché si tratta di una furbata, assolutamente contraria anche ad un principio di carattere generale ossia quello di non cambiare le regole del gioco a gioco in corso. Si tratta peraltro di una partita ormai chiusa perché vista l'offerta - l'OPA di Lactalis - viene da sorridere a pensare che, con la cosiddetta cordata, che doveva essere simile a quella realizzata nel caso Alitalia e che ha peraltro una grande banca al servizio, così com'era stata al servizio del Governo per il caso Alitalia, non abbiamo saputo mettere sul piatto nemmeno un miliardo e mezzo di euro, mentre per fare questa acquisizione Lactalis ne mette sul piatto quasi quattro miliardi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 11,30).

ANTONIO BORGHESI. Mi pare che la vicenda si possa considerare conclusa, con una sconfitta su tutti i fronti del Governo, per la sua incapacità di fare politica economica ed industriale, per il Ministro Tremonti, che pensava con un'ulteriore furbata di risolvere qualche problema e per la stessa imprenditoria e per il sistema bancario italiano, che non sono stati comunque capaci neppure di fare un'offerta, che in qualche modo si possa avvicinare a quella che sarà invece presentata dalla società francese.
Per cui, il nostro voto a questo provvedimento sarà assolutamente contrario.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fogliardi. Ne ha facoltà.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli Pag. 19colleghi, come è stato già ampiamente illustrato questa mattina, il provvedimento che siamo chiamati ad esaminare dà la possibilità di posticipare, da quattro mesi a centottanta giorni, il termine per l'approvazione dei bilanci 2010 in favore delle società quotate. È già stato ben precisato nella relazione illustrativa, che nella prossima stagione assembleare potranno avvalersi di tali norme le società del decreto legislativo 27 gennaio 2010 n. 27, che ha recepito nell'ordinamento italiano la direttiva 2007/36/CE.
In realtà, questa è la dimostrazione della tanta confusione che si viene a creare su questi aspetti con questo provvedimento.
Vi è, da un lato, l'aspetto della posticipazione dell'approvazione dei bilanci societari: questo termine era già ampiamente previsto dal nostro Codice civile, proprio all'articolo 2364. L'onorevole Ventucci questa mattina nel suo intervento, signor Presidente, ha fatto presente come alla richiesta del Partito Democratico di rendere la norma certa, fissa e determinata con il cambiamento definitivo del citato articolo del Codice civile - e non con un mero cambiamento per singole posizioni e annualità - sia stato risposto che questo non si potesse fare perché non avrebbe trovato l'armonizzazione con la normativa europea.
Ebbene, ribadisco che gli aspetti sono due: da un lato, l'aspetto che riguarda la norma del Codice civile, dall'altra parte, quello che riguarda la politica industriale del nostro Paese.
Per quanto riguarda l'aspetto del codice civile, vorrei ricordare come proprio l'articolo 2364 del codice civile, per le società che si sono adeguate alla normativa europea - il decreto, entrato in vigore nel 2010, ha previsto che i professionisti, le società, gli avvocati, i commercialisti eccetera provvedessero all'adeguamento degli statuti - recita che «Lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore a centottanta giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura e all'oggetto della società; in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall'articolo 2428 le ragioni della dilazione».
Questa è una possibilità che c'è ed era prevista anche anteriormente, una possibilità ampiamente adoperata; vorrei infatti ricordare che negli ultimi anni molti professionisti e molte società hanno fatto ricorso all'applicazione di questa norma, ad esempio per il maggior tempo necessario per provvedere alla rivalutazioni dei beni, alla stima delle perizie e ad altri aspetti straordinari che potevano verificarsi. Abbiamo fatto presente che, qualora questa fosse una necessità, in ogni caso non si intervenga, come il Ministro Tremonti nell'audizione della scorsa settimana ha fatto presente, parlando di una sorta di «appendice al milleproroghe solo per il 2010», ma in maniera definitiva correggendo e mutando la norma del codice civile.
Apro una parentesi. Sempre nella scorsa settimana, in audizione, il Ministro Tremonti ha parlato di oppressione dell'impresa e abbiamo affrontato l'aspetto che molto spesso opprime molti imprenditori e molte imprese: il rispetto di norme, di scadenze, di adempimenti, di controlli, inoltre ha ribadito come si debba intervenire su questi aspetti precisando che ciò debba avvenire non in futuro ma fin dalle prossime settimane. Vorrei sottolineare, osservando strettamente la norma sull'approvazione del bilancio, che anche questo è un modo per opprimere gli imprenditori e le società tenute ad approvarlo, considerata l'incertezza che vige in questi momenti e in queste annualità. L'applicazione di questo decreto ne è la fattispecie più tipica tant'è vero che offre anche, tra l'altro, la possibilità per chi già ha convocato l'assemblea dei soci di poterla riconvocare, rispettando il suddetto termine.
In realtà, il provvedimento non ha nulla a che fare con la norma del codice civile perché sarebbe stata una cosa a sé stante, è un provvedimento che come molti questa mattina, in modo particolare i colleghi della Lega Nord Padania, hanno Pag. 20correttamente ammesso, non fa altro che concedere due mesi in più per convocare l'assemblea degli azionisti per approvare il bilancio di esercizio soprattutto per la questione Parmalat. Questo decreto, che è stato chiamato anche decreto anti-scalate, è stato varato con un provvedimento che gli esperti in materia finanziaria non hanno esitato a bollare come «ad aziendam» per sottolineare il tempismo con cui è stato approvato proprio nei giorni in cui la francese Lactalis ha annunciato di aver raccolto il 28,97 per cento di Parmalat. Questo è un altro aspetto e si deve avere la chiarezza di dire che è un aspetto di politica industriale che va affrontato per proprio conto; pensare di affrontare un problema di questa entità solamente andando ad incidere sui due mesi per la convocazione dell'assemblea dei soci è l'ennesima dimostrazione che è peggio la toppa del buco, è l'ennesima dimostrazione di una corsa, in affanno, all'ultimo minuto, in assenza di qualsiasi strategia e previsione all'interno di una corretta politica industriale che il Governo di un Paese dovrebbe avere. Quando abbiamo sottolineato, anche nei dibattiti dei giorni scorsi su altri temi, che il Governo avrebbe dovuto concentrare più la sua azione sui problemi veri del Paese, questa ne è la dimostrazione, citerò poi anche l'autorevole commento pubblicato oggi su Il Sole 24 Ore - ovviamente un giornale non certamente di centrosinistra - su questi aspetti di politica del Paese.
Tutto è iniziato - lo abbiamo detto - il 15 marzo, quando la francese Lactalis ha acquistato il 3,13 per cento di azioni dell'azienda di Collecchio, è salita poi al 5,3 il 16 marzo e con un accordo con la Société Générale avrebbe acquistato altre azioni con la promessa di rivendita all'azienda stessa. Il 21 marzo, una settimana esatta dal primo acquisto, la Société Générale era già al 5,8 per cento di Parmalat, la Lactalis all'8,6 per cento e i tre fondi Mackenzie, Zenit e Skagen, che insieme detenevano il 15,3 dell'azienda italiana, erano pronti a vendere tutto alla cordata francese. Solo a questo punto, a sette giorni di distanza e con quasi il 30 per cento del capitale di Parmalat controllato di fatto dai francesi, ci si è accorti del misfatto e si è tentato di correre ai ripari da entrambe le parti. Da un lato, i francesi sembravano subito preoccupati di evitare di superare la soglia del 30 per cento per non essere obbligati a lanciare un'offerta pubblica sul restante 70 per cento delle azioni, dall'altro, vi erano gli italiani con la paura che Parmalat, con tutti i suoi brevetti e impianti industriali unici, finisse «impacchettata» al di là delle Alpi, con danno enorme per l'industria agroalimentare italiana ed il relativo indotto. È a questo punto che è intervenuto il Governo Berlusconi, che con questo decreto-legge ha fatto ripristinare quanto già previsto dal decreto legislativo n. 27 del 2010, che consentiva per fondati motivi a tutte le società di spostare dal 30 aprile al 30 giugno il termine massimo per chiudere il bilancio dell'anno precedente. Per il Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti la strategia è quella che nei 60 giorni in più a disposizione si possa contrastare il blitz di Lactalis attraverso un fronte commerciale-diplomatico, per consentire ad un'ipotetica cordata italiana, che prevede nomi importanti come Granarolo, Banca Intesa, Mediobanca, si parlava di Ferrero, di mettere insieme un pacchetto di azioni almeno uguale a quello detenuto dai francesi. In alternativa, sembrava negoziare con i francesi una sorta di stop alla scalata. Alcuni quotidiani francesi autorevoli avrebbero addirittura avanzato l'ipotesi che Lactalis e Ferrero potessero essere intenzionate a creare una nuova società controllata a metà, ma non è stato possibile. Questa è la cronaca fino ai giorni nostri, fino a ieri, quando invece Lactalis ha lanciato l'OPA. L'onorevole Comaroli poco fa nel suo intervento ha detto giustamente, sotto alcuni aspetti, che non possiamo permettere che questo patrimonio italiano vada a finire in mani straniere. Ma anche qui si apre un interrogativo, non c'è ombra di dubbio: abbiamo fatto e stiamo cercando di fare l'Europa economica e politica e abbiamo spesse volte lamentato l'esigenza che investimenti stranieri vengano sul nostro Pag. 21territorio? Ora mi pongo la domanda del cittadino profano, che non capisce più nulla e che si chiede: da un lato, si dice che dovrebbero venire ad investire sul nostro territorio, dall'altro, quando vengono si fa di tutto per cacciarli via. Ripeto: nulla in contrario per quanto riguarda il rinvio delle norme del codice civile previsto da questo provvedimento, quello che però urge e serve sottolineare è che stiamo assistendo ad una situazione che - lo ripeto - nulla ha a che fare con le corrette e lecite ipotesi sopra formulate. Stiamo assistendo ad una corsa all'ultimo minuto per tamponare una situazione che è l'ennesima dimostrazione della mancanza di qualsiasi strategia industriale da parte del Governo italiano. Oggi, la Lactalis di fatto ha lanciato l'OPA e sembra che sarà molto dura per le nostre cordate. Molto probabilmente, secondo i commenti che si sono susseguiti già nella serata di ieri, la cordata italiana potrà avere forse in un secondo momento, in seconda battuta, un esiguo ruolo di minoranza nella rivendita di quote da parte della Lactalis. Credo che più autorevole di tutti sia quanto scrive oggi il Sole 24 ore precisando che: tirando le somme, Lactalis ha già stanziato 1,3 miliardi per mettere assieme il primo 29 per cento, ne spenderà almeno altri 3 per l'OPA, ma potrà recuperare da Parmalat almeno la metà di quanto messo complessivamente sul piatto, cedendo a Collecchio alcune delle sue attività e scaricandole parzialmente sulle spalle parte del debito contratto per l'operazione.
Con la cessione di qualche attività in sovrapposizione potrebbe abbassare ancora l'esborso netto, portandosi a casa per non più di un paio di miliardi di euro il primo gruppo italiano del settore. C'è da chiedersi perché nessuno in patria ci abbia fatto un pensierino quando, senza l'assillo dell'emergenza, confezionare un'operazione sarebbe costato molto, ma molto meno. Questo era il commento e la valutazione.
Il decreto che è stato presentato dal Ministro Tremonti, appoggiato dal Ministro dello sviluppo economico, oggi, di fatto, viene meno nella sua sostanza. Era già stato letteralmente bocciato da Confindustria per i motivi espressi in precedenza, per cui non si capisce perché poi accettiamo che investitori stranieri vengano sul nostro territorio. Tra l'altro il presidente del gruppo Lactalis, Besnier, avrebbe dichiarato ieri che il gruppo ha intenzione, appunto, di rimanere sul territorio nazionale e di essere quotato nella borsa italiana. Si capisce, quindi, la preoccupazione anche di Confindustria su queste difficoltà che verrebbero perpetrate.
Ancora, in conclusione, vogliamo ricordare altri autorevoli interventi che hanno sottolineato come il provvedimento in esame non porti certamente aiuto alla sopravvivenza delle aziende e come oggi non si possa più ragionare in termini locali, ma si debba ragionare in termini globali.
Credo che il richiamo espresso nell'intervento di questa mattina dal collega Causi relativo all'invito ad una seria riflessione da parte del Governo su quelle che sono le prospettive della politica industriale del nostro Paese vada seriamente sottolineato e riproposto in questa occasione alla luce dei fatti che sono emersi dalla cronaca recentissima di questa giornata e di questa notte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4219)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Fugatti, ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è pertanto rinviato al prosieguo della seduta.

Pag. 22

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (A.C. 4220-A) (ore 11,48).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4220-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la IV Commissione (Difesa), onorevole Cicu, ha facoltà di svolgere la relazione.

SALVATORE CICU, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, discutiamo oggi del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, che la Camera dei deputati si appresta a convertire in legge.
A nostro giudizio, il decreto-legge in esame rappresenta un provvedimento di grande significato, in primo luogo per i suoi contenuti economici. Parliamo, infatti, di uno stanziamento di 345 milioni di euro per il triennio 2011-2013 a favore delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che, aggiungendosi ai 160 milioni di euro già disponibili, consentirà di erogare 195 milioni di euro annui per i primi due anni e 115 milioni di euro nel terzo anno. Si tratta sicuramente di somme significative, anche se tutti auspichiamo che possano essere incrementate.
Vorrei, però, sottolineare in questa sede anche il significato politico del provvedimento in esame che attesta la grande attenzione per il comparto difesa e sicurezza. Come è noto, infatti, nel quadro di drastici tagli e di una politica di obbligato contenimento della spesa pubblica, attuati con il decreto legge n. 78 del 2010, tale comparto, mostrando, a mio avviso, grande senso di responsabilità, non si era sottratto alla propria parte di sacrificio al momento della definizione di una manovra di complessiva riduzione dei trattamenti economici nel pubblico impiego.
Già in quell'occasione, tuttavia, pur in un contesto complessivamente e sicuramente difficile, il Parlamento aveva sentito la necessità di rimarcare, comunque, che vi sono dei settori, dei lavori e delle professioni che hanno bisogno di un riconoscimento della loro specificità. Si tratta appunto del comparto sicurezza e difesa. Tale principio è stato poi cristallizzato nell'articolo 19 del cosiddetto collegato lavoro.
Il principio di specificità dei lavoratori, che operano in ambiti così difficili e delicati, impone di affrontare le problematiche del settore in modo sistematico, senza poter ad esse applicare in modo automatico le logiche e gli istituti che operano per la restante parte del pubblico impiego. Questa è la ragione per cui l'attuale Governo aveva previsto un fondo destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, interessato dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali, con una dotazione di 80 milioni di euro annui per gli anni 2011 e 2012. Risulta, infatti, fuorviante il titolo, che si riferisce a un'indennità una tantum, perché con questo provvedimento non avremmo una copertura a pioggia riferita a tutti, ma una diversificazione che riguarderebbe lo sblocco citato e, quindi, la possibilità di una valorizzazione, oltre che di una destinazione ulteriore di somme che vanno ad incrementare logicamente il reddito e che si riferiscono al riconoscimento di un Pag. 23lavoro prezioso per il Paese, che si svolge tutti giorni in un impegno che significa difesa e sicurezza. Infatti, da un lato si integra il citato fondo, fino all'ammontare di 505 milioni di euro, e dall'altro lato si copre l'intero triennio 2011-2013 sterilizzando, di fatto, il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali.
Viene così data concreta attuazione al citato principio di specificità del comparto sicurezza e difesa e viene dato seguito agli impegni assunti dal Governo in sede parlamentare. Io stesso, da relatore, avevo presentato un ordine del giorno che impegnava il Governo ad interpretare le norme del citato decreto-legge n. 78, nel senso meno penalizzante possibile per il comparto in ordine al congelamento della massa stipendiale. Così pure era stato presentato l'ordine del giorno Fallica, con il quale il Governo si era impegnato a garantire interventi perequativi e totalmente compensativi, a tutela della specificità di status e di impiego del personale interessato, e a rinvenire adeguate risorse anche per l'anno 2013.
Nel lasciare la parola alla collega Stasi, relatore per la I Commissione, mi soffermo velocemente sul comma 4, che reca la copertura finanziaria del provvedimento. In particolare esso incide sull'autorizzazione di spesa finalizzata a due distinti interventi: da un lato il riallineamento di alcune posizioni di carriera del personale delle Forze armate; dall'altro il riordino dei ruoli e delle carriere di parte del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia.
Nelle Commissioni sono emerse riserve sull'opportunità di utilizzare tali fondi, nel timore che ciò possa rendere difficile procedere al riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia. Ritengo, però, che si tratta di polemiche infondate. Mi limito a ricordare, infatti, che contestualmente all'approvazione in Consiglio dei ministri del decreto-legge in esame, lo scorso 23 marzo 2011, il Ministro della difesa, onorevole Ignazio La Russa, ed il Ministro dell'interno, onorevole Roberto Maroni, hanno formalmente dichiarato di voler procedere quanto prima alla predisposizione di un disegno di legge delega per il riordino dei ruoli e delle carriere del comparto sicurezza e difesa, quindi un inizio importante e positivo di una valutazione complessiva e globale, che attiene a tutto il settore e alla specificità dello stesso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgere la relazione l'onorevole Stasi, relatore per la I Commissione.

MARIA ELENA STASI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, per completare l'illustrazione del provvedimento iniziata dal collega Cicu, ricordo che l'articolo 1, comma 2, prevede la possibilità di integrare il fondo di cui si è detto. Sul punto è, peraltro, intervenuta una modifica delle Commissioni, introdotta con l'approvazione di un emendamento dei relatori.
Il testo del decreto-legge deliberato dal Consiglio dei Ministri prevedeva infatti due diverse forme dell'eventuale integrazione del Fondo, una per il personale del comparto difesa e una per il personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Più precisamente, il testo del Governo prevedeva che potesse essere destinata al personale delle Forze armate una parte dei risparmi corrispondenti alle eventuali minori spese effettuate rispetto al precedente anno per missioni internazionali di pace, mentre al personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco potessero essere destinate risorse eventualmente disponibili nel Fondo unico per la giustizia.
Le modifiche apportate dalle Commissioni hanno voluto, da una parte, eliminare tale rigidità nella destinazione delle risorse disponibili sui due predetti Fondi, quelli per le missioni internazionali di pace e quello del Fondo unico giustizia, e, dall'altra, prevedere un ulteriore canale di finanziamento eventuale delle misure in favore del personale dei comparti difesa, sicurezza e Protezione civile, prevedendo la possibilità di utilizzare per le finalità del decreto-legge anche gli eventuali risparmi Pag. 24di gestione conseguiti sui bilanci ordinari delle amministrazioni interessate.
Con l'approvazione di un altro emendamento dei relatori è stato inoltre introdotto all'articolo 1 il comma 2-bis per precisare che le somme del Fondo per la corresponsione di assegni al personale dei tre comparti non impegnate nell'esercizio di competenza possano essere utilizzate per i medesimi scopi nell'anno successivo, anche aggiungendosi alla dotazione prevista per il nuovo anno.
Il comma 3 è stato poi modificato nelle Commissioni al fine di specificare che gli assegni al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono assegni perequativi individuali aventi la stessa natura giuridica dell'emolumento corrispondente, e non soltanto assegni una tantum, come prevede il testo del Governo.
L'emendamento dei relatori su questo punto ha la finalità di chiarire che gli assegni al personale dei comparti interessati dal provvedimento devono servire - come ha affermato il sottosegretario Crosetto nel corso dell'esame in sede referente - a sterilizzare integralmente gli effetti pregiudizievoli derivanti per il personale dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali disposto con il decreto-legge n. 78 del 2010, in modo da compensare tutti i tagli subiti dal personale dei comparti interessati (come ha già ricordato il collega Cicu).
In relazione alle modalità di corresponsione dei citati assegni, il decreto-legge rinvia alle disposizioni già vigenti sul riparto delle somme del Fondo tra i diversi Ministeri, le quali affidano tale compito a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta dei Ministri competenti. Con il medesimo decreto è previsto - a seguito delle modifiche introdotte dalle Commissioni - che siano definite le modalità di attuazione del comma 2-bis di cui ho testé detto.
Per quanto riguarda i pareri espressi sul provvedimento dal Comitato per la legislazione e dalle Commissioni competenti in sede consultiva ricordo che i pareri delle Commissioni II (Giustizia) e XI (Lavoro pubblico e privato) sono stati favorevoli, mentre quello della Commissione XIII (Agricoltura) è stato favorevole con osservazioni. Quanto al Comitato per la legislazione, questo ha espresso un parere recante due osservazioni e due condizioni, queste ultime riferite entrambe all'uso degli strumenti normativi.
Le due condizioni hanno avuto adeguata attenzione in sede referente, ma si è ritenuto di non modificare il testo per recepirle in quanto: da un lato, si è ritenuto preferibile che la dotazione del Fondo possa essere incrementata, se necessario, con semplice atto amministrativo, senza quindi dover ricorrere a modifiche legislative che richiedono tempi lunghi; dall'altro, si è ritenuto che il ricorso al decreto del Presidente della Repubblica - come suggerito dal Comitato per la legislazione - per l'individuazione degli assegni da corrispondere al personale interessato dal decreto-legge fosse suscettibile di determinare un eccessivo irrigidimento delle procedure di attuazione del provvedimento in esame.
Non è ancora stato espresso invece il parere della V Commissione (Bilancio), che dovrebbe pronunciarsi intorno alla 14,30 di oggi e quindi direttamente per l'Assemblea. La discussione del provvedimento in tale Commissione è peraltro già iniziata martedì 19 aprile: è intervenuto il rappresentante del Governo, sottosegretario Casero, il quale ha espresso un orientamento contrario alle modifiche introdotte dalle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IV (Difesa) nel corso dell'esame in sede referente, alla luce del quale il presidente della Commissione e relatore sul provvedimento ha formulato una proposta di parere favorevole con tre condizioni volte a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, e con un ulteriore condizione. Le tre condizioni volte al rispetto dell'articolo 81 ripristinano in buona sostanza il testo iniziale del Governo, cancellando quasi tutte le modifiche apportate dalle Commissioni.
L'ulteriore condizione tende, invece, ad aggiungere, al comma 2 dell'articolo 1, un Pag. 25periodo volto a precisare che le risorse di cui al comma in questione devono essere attribuite in modo da assicurare trattamenti omogenei al personale delle Forze armate e a quello delle Forze di polizia. Come si è detto, il testo del Governo prevede, al comma 2, due fonti di finanziamento aggiuntivo del fondo distinte per le Forze armate da una parte e quelle di polizia e vigili del fuoco dall'altra.
Considerato che le modifiche apportate al testo del decreto-legge in sede referente discendono da emendamenti dei relatori, sui quali il parere del rappresentante del Governo presente alla seduta della votazione, il sottosegretario Crosetto, è stato favorevole, e considerato che, nella Commissione bilancio, il Governo, nella persona del sottosegretario Casero, si è espresso, invece, contro le stesse modifiche, sarebbe opportuno che il Governo stesso chiarisse quanto prima la sua posizione su questo punto, fermo restando che, se la Commissione bilancio dovesse oggi approvare la proposta di parere formulata dal presidente Giorgetti martedì scorso, i relatori non potrebbero che prenderne atto.
Concludo assicurando che, in ogni caso, l'auspicio dei relatori è che sul provvedimento possa raggiungersi la più ampia convergenza, al di là delle logiche di schieramento, in modo da testimoniare il concreto apprezzamento del Parlamento e del Paese per la quantità e la qualità del lavoro svolto dai militari, dalle forze dell'ordine e dai vigili del fuoco, premiandone l'impegno e riconoscendone i disagi.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Santelli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione ed interesse i due relatori, il collega Cicu per la IV Commissione e la collega Stasi per la I Commissione. Mentre li ascoltavo, pensavo a vicende antiche che hanno contrassegnato le Forze armate, ma, soprattutto, all'attività legislativa che ha riguardato e riguarda le Forze armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Noi ci troviamo di fronte ad un provvedimento che, per alcuni versi, come hanno detto i relatori, fa giustizia rispetto ad un taglio o ad un mancato esborso di risorse per le Forze armate e le Forze di polizia. Il riferimento è, certamente, al decreto-legge n. 78 del 2010, più volte richiamato e citato. Ma poi vi è un altro aspetto, un altro dato, ossia il riferimento ricorrente alla specificità dei ruoli e dei compiti delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Si è anche ricordata con forza l'attività di quest'Aula, ma non soltanto di essa, bensì, come presumo, pure l'attività della IV Commissione. Noi, come I Commissione, certamente lo abbiamo fatto; ecco perché non ho ceduto, come faccio sempre, alle richieste e alle sollecitazioni del presidente della medesima I Commissione, verso il quale nutro grande affetto e grande stima, il quale mi invitava a consegnare il mio intervento. Dovevo esprimere queste riflessioni, ecco perché non ho ceduto.
Che cosa significa un provvedimento di questo genere? Che cosa significa? Siamo tutti soddisfatti perché vi è questo ampliamento del fondo, questa «ricarica» del fondo.
Anzi, un fondo che doveva valere per due anni adesso vale per tre anni e mi pare che nella sua relazione l'onorevole Cicu abbia fatto intravedere questo aspetto Pag. 26importante: in questi tre anni dovrebbero essere destinati 505 milioni di euro, ossia 115 più 115 e il primo anno 195 milioni di euro. Poi, se noi le spalmiamo, tutte queste risorse che vanno alle Forze armate, alle forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco certamente sul piano delle retribuzioni sono modeste.
Poi vi è anche il discorso di come si reperiscono queste risorse, vi è il problema delle missioni internazionali e vi è il problema, ancora, di un arresto delle carriere, delle qualificazioni e degli avanzamenti. Poi si dice che tutto il problema dell'organico e dell'ordinamento verrà attenzionato o, meglio ancora, che successivamente il Governo, dopo averlo attenzionato - non sappiamo quando -, provvederà con un provvedimento legislativo apposito. Non sappiamo se questo provvedimento sarà un provvedimento di urgenza o se sarà un disegno di legge ordinario: questo non lo sappiamo.
Allora, signor Presidente, vorrei capire: è un problema semplicemente di retribuzioni? Se è un problema di retribuzioni, ricordo che qualche collega nelle sedute delle Commissioni congiunte I e IV ha fatto anche un conteggio, secondo il quale a ciascuno degli appartenenti a questo comparto sarebbero attribuiti 25 euro in più (non sappiamo se siano 25 o 26 euro, ma siamo lì). Ma non è questo il punto.
Ecco perché la presenza del sottosegretario al Ministero dell'economia e finanze ci fa molto piacere, però non è un problema solo del Ministero dell'economia e finanze. Lo dico ai colleghi con estrema chiarezza, al di là della simpatia nei confronti del sottosegretario, che ho espresso anche l'altra volta, quando ci siamo confrontati con un atto di sindacato ispettivo in aula. Non è questo: il problema è la disattenzione su un tema che dovrebbe essere certamente oggi attenzionato anche da parte dei colleghi della Commissione IV. Infatti, non è un problema di risorse, a meno che il Ministero dell'economia e finanze, con la scusa dell'esborso o dei mancati esborsi, abbia commissariato questo aspetto.
Ma vorrei tornare sulla specificità: onorevoli relatori, veramente per voi la specificità si riconosce con la corresponsione di un aumento di risorse? Sì, anche con questo, ma l'aumento delle risorse deve essere livellato, agganciato o collegato al riconoscimento del ruolo e della peculiarità dello status, sia per quanto riguarda le Forze armate, sia per quanto riguarda le forze di polizia, sia per quanto riguarda il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Tutto questo non c'è. Infatti, se mi si dice chiaramente, rispetto al punto cui facevo poc'anzi riferimento, che parte di queste risorse dovrebbe intaccare il fondo per le missioni internazionali, o almeno il risparmio che si fa sulle missioni internazionali, non c'è dubbio che ritorna un dato, un aspetto importante e fondamentale: quello di non avere mai previsto - e non mi riferisco soltanto a questa legislatura e a questo Governo ovviamente - un capitolo a parte di sostegno e di copertura delle spese a livello internazionale per quanto riguarda le nostre missioni all'estero.
Ma è un altro aspetto quello che fugge e che sfugge: la specificità del ruolo e la peculiarità dei compiti. Io avverto sempre di più con grande disagio questa decadenza forte della struttura delle Forze armate all'interno del nostro Paese.
Le Forze armate, che svolgono il loro dovere in patria e «fuori area», come si suole dire, all'estero e nelle varie missioni, certamente, non sono utilizzate e non sono riconosciute per tutto ciò che possono rappresentare e per le energie morali e materiali che esprimono.
Siamo distanti da quelle che furono le riforme del 1978: la legge n. 382 del 1978 apriva una fase nuova nella vita del nostro Paese, quando le Forze armate si collegavano e si inserivano all'interno della società. Non vi era semplicemente un problema di rivendicazione salariale: è la questione dell'una tantum che mortifica. Non vi era il problema dell'una tantum, ma vi era un problema di forte riconoscimento della presenza del nostro Paese e delle Forze armate, che rappresentavano allora, che rappresentano oggi e che dovranno rappresentare nel futuro l'unità di Pag. 27questo nostro Paese; altrimenti, le evocazioni e le celebrazioni che consegniamo alla nostra storia non serviranno a nulla.
Senza far polemica con alcuni colleghi che hanno presentato un certo provvedimento, vorrei dire che, quando parliamo di specificità, mi riferisco anche ad un aspetto importante ed inquietante relativo ad un provvedimento che prevede venti eserciti regionali. Qualcuno potrebbe chiedermi cosa c'entri l'una tantum con tutto questo e con il provvedimento urgente in oggetto. Dobbiamo capire che le risorse del nostro Paese non devono essere «raccattate» o «rastrellate» come se si trattasse di un'elargizione perché vi sono state le manifestazioni.
La risposta è alle manifestazioni, non è un'esigenza reale sul piano di un riconoscimento degli istituti delle Forze armate, del Corpo di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Pertanto, il problema dei venti eserciti dà il segno e la dimensione forte di una decadenza, ma soprattutto, di una smentita da parte di alcuni settori della maggioranza rispetto alla specificità, almeno, delle Forze armate.
Visto e considerato che si parla di Forze armate, una certa risposta il Governo dovrebbe darcela. Certamente, non mi riferisco al sottosegretario per l'economia e le finanze, ma a coloro che parlano e che oggi sono impegnati, a chi ha responsabilità, a chi ha la titolarità. Infatti, al di là di qualche battuta da parte del Ministro della difesa per quanto riguarda il provvedimento in oggetto, vi è stato poi un silenzio: ma ovviamente, alcune cose le ha consegnate, le ha lasciate, perché vi è chi ci disorienta, vi è chi entra in crisi rispetto a quello che dovrebbe essere, ovviamente, un impegno corale per quanto riguarda il ruolo delle Forze armate.
Con riferimento alle Forze armate e al passaggio dall'esercito obbligatorio all'esercito di volontari, dalla leva obbligatoria alla professionalità, oggi si dice chiaramente - qualcuno dice - che c'è un grande numero di presenze e che bisognerebbe ridurlo. Dunque, è necessario capire e, forse, in questo rientra anche la competenza del Ministero dell'economia e delle finanze: è necessario ridurre gli armamenti e ridurre le spese; poi, vi sono i corpi specializzati che utilizziamo con il turnover per le missioni all'estero, ma sono soltanto quelli (Commenti del deputato Salvatore Cicu). Sì, Salvatore Cicu, sono soltanto quelli. Vogliamo elencarli? «Garibaldi», «Col Moschin», «San Marco»...

SALVATORE CICU, Relatore per la IV Commissione. Il nostro Esercito è questo.

MARIO TASSONE. ...sì, il nostro Esercito è questo, ma non arriviamo a 176 mila unità, bensì a molto meno. Arriviamo a molto meno: non è questo il riconoscimento. Siamo d'accordo sulle valutazioni che facciamo. Se il nostro Esercito è questo, dico che vi sono solo quelli, tuttavia, vi è anche un problema che riguarda il territorio, che riguarda questo aspetto a cui poc'anzi mi riferivo in ordine al ruolo e ai compiti delle Forze armate. Su questo ci troviamo d'accordo, ci troviamo perfettamente d'accordo.
Il mio ragionamento era un altro, ossia che, tolte queste professionalità che dobbiamo certamente rafforzare ed arricchire, ci sono situazioni che debbono essere guardate e considerate. Un provvedimento una tantum non credo sia risolutorio. Ho visto che vi sono state anche alcune valutazioni tra il Governo e le Commissioni ed i relatori hanno posto delle valutazioni e delle eccezioni, ma il problema dell'una tantum mi sembra possa essere considerato certamente deflagrante rispetto agli obiettivi complessivi di carattere generale.
Allora, se c'è questo dato, parliamo anche del Corpo di polizia. Prima ho fatto riferimento, per quanto riguarda le Forze armate, alla legge n. 368 del 1978 e ai vari passaggi legislativi per la trasformazione delle Forze armate, all'Esercito di ragazzi che dovevano obbligatoriamente rispondere alla circoscrizione obbligatoria e quindi all'assenza di professionisti e volontari.
Parliamo delle forze di polizia e anche e soprattutto della specificità. Ma non vi Pag. 28viene in mente che, come le Forze armate, la specificità deve essere considerata rispetto al ruolo e ai compiti, rispetto alla professionalizzazione? La specificità era contenuta nello spirito della legge n. 121 del 1981. Emergeva una specificità rispetto alla peculiarità e al ruolo sia per quanto riguarda le Forze armate, ma anche in relazione alle condizioni e allo status di militari che vede alcuni diritti affievoliti. Rispetto alle altre categorie del pubblico impiego, anche le forze di polizia hanno diritti affievoliti, perché l'interesse generale e le funzioni forti sul piano pubblico prevalgono su vicende e su interessi particolari. L'interesse generale è prevalente. Vengono operati un contemperamento e un bilanciamento rispetto alla natura dell'impiego e all'azione che deve essere garantita da parte delle forze dell'ordine.
La formazione e la professionalizzazione sono importanti. Disporre un provvedimento una tantum significa non volere affrontare i problemi, questo è tutto, come se si trattasse semplicemente di una categoria cui vanno elargite delle risorse. Invece, l'impostazione è di carattere generale, tanto è vero che non si capisce come si fa a dire che per quanto riguarda gli avanzamenti e altri aspetti si vedrà. C'è gente che aspetta anni!
Ma non avete capito che c'è anche nel Paese l'esigenza di una soddisfazione materiale, ma che occorre lavorare perché sia sempre di più insita nelle Forze armate e nei corpi di polizia e dei vigili del fuoco l'esigenza di una soddisfazione morale e spirituale? Questo aspetto ormai non viene evidenziato con riferimento all'impiego, alla funzionalità e al rispetto dei compiti delle forze di polizia. Quando parliamo della legge n. 121 del 1981 facciamo riferimento alla mancanza di coordinamento e alla mancanza di informazione. Abbiamo dato i gradi e li abbiamo livellati, però abbiamo abbassato il dato della soddisfazione.
Le forze di polizia che sono tutelate anche attraverso i loro sindacati trascinano le Forze armate che hanno gli organismi rappresentativi (quelli previsti dalla legge n. 382 del 1978) che si agganciano alla trattativa del pubblico impiego. Ma il dato vero è che, per quanto riguarda le forze di polizia, manca un quadro di carattere generale. Abbiamo sempre parlato dell'assenza di coordinamento e di quei gruppi speciali che non si raccordano fra di loro, nonché della disarticolazione.
Molte volte vi è una grande frustrazione anche per quanto riguarda le presenze delle nostre forze di polizia in zone calde, a rischio, sensibili (come si suol dire) che non vengono supportate necessariamente da mezzi, strutture e da strumenti.
Al «povero» maresciallo dell'Aspromonte con pochi carabinieri, al «povero» carabiniere da solo in qualche zona gli possiamo dare anche molto di più di 25 euro, come ha detto giustamente e dirà l'onorevole Cicu, ma essi non vogliono soltanto questo, vogliono anche un riconoscimento e poter fare il loro lavoro, il loro servizio attraverso i mezzi, e ovviamente non contare i litri di benzina. Vi è un'emergenza e non vi è la possibilità di andare avanti, ma c'è anche tutto un problema di rivedere l'articolazione e la struttura delle forze di polizia.
Abbiamo sempre detto che non possiamo lasciare sul territorio le caserme dei carabinieri senza raccordarle e coordinarle, senza tagliare qualche ramo, che è importante e fondamentale, bisogna avere anche il coraggio, bisogna avere una politica per quanto riguarda le Forze armate e il Corpo di polizia perché non è possibile che le stazioni dei carabinieri chiudano alle sette di sera. Ciò non è proprio possibile, non è ammissibile, per cui, rispetto all'esigenza di contrastare la criminalità comune come quella organizzata, credo che bisogna avere una visione di carattere generale attraverso un collegamento e un raccordo molto forte, soprattutto molto più incisivo rispetto anche alle altre articolazioni che ci sono e che si evidenziano all'interno delle forze di polizia.
Più volte ho detto che all'interno delle forze di polizia ci sono varie specializzazioni. Per esempio per quanto riguarda le criminalità o la criminalità ci sono vari Pag. 29uffici che molte volte sono importanti e fondamentali, i quali non si raccordano, e molte volte sono inutili. Con riguardo all'inutilità, se il Ministro dell'economia e delle finanze facesse anche una valutazione sul piano della vera ed effettuale utilità di alcune strutture, sarebbe già un fatto importante e fondamentale.
Per quanto riguarda poi i vigili del fuoco, abbiamo un provvedimento al nostro esame, è vero presidente Donato Bruno? Ci sono stati tre colleghi che hanno presentato delle proposte di legge con le quali tentavano di rompere il circuito del precariato e salvare le professionalità. È venuto da noi il sottosegretario all'interno Nitto Palma, che come al solito fa il suo lavoro con grande civiltà e soprattutto con grande professionalità, portatore ovviamente di notizie ferali per quanto riguarda lo sforzo che i colleghi presentatori di queste proposte di legge avevano evidenziato. Non è possibile, non è più possibile andare avanti con queste proposte di legge perché c'è una situazione di squilibrio.
E noi pensiamo di risolvere i problemi del Corpo dei vigili del fuoco con l'una tantum? Questi sono i problemi! E noi prevediamo l'una tantum? Intanto c'è il grande problema dei vigili del fuoco che dipendono dal Ministero dell'interno però sono utilizzati dal Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio, e questa è una situazione drammatica. Poi alcune realtà dei vigili del fuoco non accettano che il Capo del dipartimento venga ad essere un prefetto. Vi è stata una riforma dell'Arma dei carabinieri, con la quale è stata elevata a rango di Forza armata come la guardia di finanza, in cui è ovviamente prevalsa anche nella fase applicativa la nomina di questi comandanti all'interno di queste forze di polizia, dell'Arma dei carabinieri e della guardia di finanza.
Ma questo è un'altro aspetto, certamente. Vi è un dato dove prevalgono gli avventizi, i precari, per i vigili del fuoco che svolgono un ruolo importante e fondamentale, si interessano di tutto, e se uno dovesse andare a vedere quali sono le pluralità dei compiti dei vigili del fuoco si troverebbe di fronte una gamma vastissima di impieghi e soprattutto di attività e di interventi in tutti i campi che riguardano la sicurezza. Pertanto, siccome noi parliamo di questo comparto della difesa, ciò che manca complessivamente nelle forze di polizia e nei vigili del fuoco è una visione complessiva della sicurezza. E con l'una tantum certamente non si va da nessuna parte.
Qualcuno mi potrebbe chiedere a conclusione di questo intervento se siamo d'accordo o meno. Non lo so.
Si può non essere d'accordo principalmente perché c'è l'una tantum, però questo mi inquieta. Infatti, non so se il Governo - mi sto rivolgendo moltissimo ai colleghi - è convinto di aver fatto per intero un percorso politico non di concessione, non di cassa, perché il Governo non è un ufficio postale o un bancoposta che dà il prestito, l'elargizione o il premio. Non lo è e il problema è della politica. Vorrei capire se questa una tantum è un riferimento ad un'azione politica successiva e complessiva rispetto ai nodi da sciogliere oppure no.
Purtroppo, qui non si parla mai di queste vicende. Si parlerà in questi giorni di Libia, degli interventi che si coniugano maggiormente alla risoluzione n. 1973 del 2011 del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Ci sono divisioni all'interno della maggioranza, ma non voglio entrare nel merito su questo. Ma dobbiamo considerare anche tali divisioni, il modo di impiegare le nostre Forze armate (perché parliamo di questo) in un certo modo. Partiamo in un modo (ci siamo tutti interrogati), e poi oggi c'è un altro tipo di ingaggio e di intervento per quanto riguarda i nostri aerei. Vogliamo capire, dunque, se c'è uno spazio per parlare anche delle Forze armate che non sono lo strumento, il bancomat del Governo e del Parlamento, per cui se c'è una crisi internazionale, si spinge il bottoncino e si ha il pronto-cassa.
Manca il quadro di una visione complessiva generale. Parliamo di uomini o no? Parliamo di uomini e di esigenze importanti e fondamentali in una strategia politica complessiva all'interno del nostro Pag. 30Paese. Il problema della sicurezza non riguarda semplicemente le Forze armate e il comparto. Noi parliamo del «comparto», che rientra pienamente sul piano culturale nella storia di questo Paese per gli interessi che sono in gioco, per gli appuntamenti che ci interessano profondamente come Parlamento, che interessano - o almeno dovrebbero interessare - voialtri come Governo. Essi dovrebbero essere prevalenti rispetto ad altri interessi che hanno riempito e riempiono costantemente e continuamente i nostri giorni attraverso i mass media e certamente interessano poco la gente, rispetto a quelle che sono ovviamente le esigenze di ritrovare i connotati di un'identità che questo nostro Paese sta sempre più perdendo e va sempre più smarrendo. Ecco perché parlavo di Forze armate, ecco perché parlavo ovviamente dei corpi di polizia e dei vigili del fuoco.
Concludo veramente, appellandomi a due colleghi che sono poi due carissimi amici ai quali poco fa ho detto della mia stima per l'uno e per l'altro. Ma veramente voi o il Governo potete pensare e immaginare di chiudere la partita con i nodi in piedi che riguardano le forze di polizia, i vigili del fuoco e le Forze armate con questa donazione, elargizione o regalia (non so come chiamarla)? Se voi siete convinti e sicuri di questo, io sarò sconvolto, però prenderò atto che c'è una risposta politica di vedere queste problematiche da un certo angolo visuale e di collocarle in una certa marginalità.
Se ci fosse ovviamente l'occasione, partendo da questo provvedimento, chiaramente sarebbe anche utile per chiarirci le idee e per evitare languori, insofferenze e insufficienze. Infatti, se qualcuno pensa di avere così guadagnato qualche mese rispetto a tensioni diffuse in queste realtà si sbaglia di grosso. Queste elargizioni e regalie valgono lo spazio di un mattino, amici e colleghi. Per poco tempo hanno valore e significato. Poi rimarranno i problemi, i grovigli, le disillusioni e gli inganni.
È un Paese, questo nostro, alla ricerca della sua unità e della sua identità ed ha bisogno di Forze armate solide, di Corpi di polizia organizzati e articolati con mezzi e strumenti e di vigili del fuoco dello stesso tipo. Se le risposte sono, come dicevo poc'anzi, i venti eserciti regionali, allora c'è un disegno: quello del federalismo in un certo modo, spinto in un certo modo. Ognuno fa la sua parte con coerenza, ma questa parte non è coerente con la storia del Paese, con la nascita e con lo spirito dell'Unità d'Italia di cui quest'anno celebriamo il centocinquantesimo anniversario e ieri abbiamo anche celebrato la festa di liberazione con quello che ha significato e che deve significare anche oggi nello spirito dei valori che si sono tramandati nel tempo (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bragantini. Ne ha facoltà.

MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, innanzitutto volevo ringraziare i colleghi che mi hanno permesso di anticipare il mio intervento.
Il decreto-legge n. 27 del 2011, oggetto del disegno di legge di conversione al nostro esame oggi, stanzia 345 milioni di euro nel triennio 2011-2013 e si inquadra nel paniere di misure concepite per venire incontro alle istanze del personale militare e delle forze di polizia rimasto penalizzato da provvedimenti di contenimento della finanza pubblica degli ultimi anni al quale verrà concessa una tantum denominata in sede di commissione «assegno perequativo individuale».
In questo senso, come gruppo Lega Nord, consideriamo questo intervento come una sorta di riparazione, un atto in un certo senso dovuto agli uomini e alle donne che contribuiscono decisamente in Italia e all'estero alla sicurezza della nostra esistenza.
Rappresenta altresì il soddisfacimento di un nostro preciso impegno con gli elettori e gli operatori del comparto difesa e sicurezza. Materialmente l'Atto Camera 4220 contempla un unico articolo recante dispositivo di conversione in legge del Pag. 31decreto-legge n. 27 del 2011. Quest'ultimo invece consta di due articoli, l'articolo 1: incremento di 115 milioni di euro l'anno rispettivamente nel 2011, 2012 e 2013 delle risorse del fondo creato dal decreto legge n. 78 del 2010 per enumerare le specificità del comparto difesa e sicurezza aprendo la via a possibili ulteriori aumenti finanziati da eventuali risparmi su capitoli che coprano le missioni internazionali di pace o a valere sul fondo unico giustizia.
Il richiamo ai risparmi sugli interventi militari all'estero è un riferimento che come gruppo Lega Nord apprezziamo particolarmente essendo convinti che la situazione interna e internazionale consigli di ridurre la nostra esposizione esterna almeno su alcuni teatri come quelli balcanici o del Libano.
Eventuali fondi non spesi potranno essere riallocati sul bilancio di esercizio successivo. Si specifica al comma 3 come tali risorse serviranno a permettere l'erogazione degli assegni perequativi individuali tenendo conto degli incrementi stipendiali non concessi al personale promosso, degli assegni funzionali e degli altri cespiti interamente cancellati.
Sostanzialmente si tratta quindi di una forma di reintegrazione che dovrebbe tutelare il personale delle forze di polizia, delle Forze armate e dei vigili del fuoco rimasto vittima dei duri tagli imposti dalle circostanze per garantire presso i mercati internazionali la tenuta del debito sovrano della Repubblica.
Vogliamo con ciò sottolineare come i sacrifici richiesti, per i quali oggi si offre una compensazione, non siano stati il frutto di un capriccio, ma di una stringente necessità alla quale ci si è piegati in nome di un interesse superiore.
Il comma 4 precisa che gli assegni perequativi verranno alimentati anche con le risorse provenienti dalla legge n. 350 del 2003 nella quale peraltro erano stati accantonati degli stanziamenti per permettere di finanziare il riallineamento delle carriere delle Forze armate e dell'ordine, un'esigenza che prima o poi si dovrà comunque considerare.
L'articolo 2 dispone la procedura accelerata di entrata in vigore del provvedimento.
La discussione in sede di Commissione I e IV non ha mostrato forti motivi di contrasto sul merito del provvedimento e dunque spero che oggi ci sarà un confronto molto positivo e su queste basi auspichiamo pertanto un voto rapido e a larga maggioranza che attesti l'attenzione dello Stato verso coloro che lo servono nel modo più nobile e rischioso.
Per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Tassone vorrei dire che piuttosto di niente è meglio dare qualcosa a queste persone, a questi uomini e donne che stanno lavorando per la nostra sicurezza e per il nostro bene.
E vorrei dire sempre all'onorevole Tassone che forse questi tagli, che si sono dovuti fare negli ultimi anni anche da questo Governo, sono stati fatti perché quelli della mia generazione si sono trovati in una situazione - soprattutto del debito pubblico - spaventosa. Dunque, se non fossimo intervenuti in maniera anche pesante, forse avremmo fatto la fine di altri Paesi come la Grecia, la Spagna e l'Irlanda.
Forse l'onorevole Tassone, che è stato parlamentare per molti anni, dovrebbe fare un po' di autocritica e vedere cosa è successo soprattutto negli anni Ottanta, quando è stata fatta una spesa smisurata da parte dello Stato italiano senza tener conto che alla fine i debiti fatti dai parlamentari e dai politici degli anni Ottanta saranno pagati da quelli della mia generazione e dai nostri figli e nipoti.
Pertanto, siamo favorevoli a questo intervento. È un piccolo riconoscimento, ma è meglio un piccolo riconoscimento che niente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho ascoltato con molta attenzione gli interventi che hanno preceduto il mio e penso che sinceramente su questo provvedimento qualcuno non Pag. 32abbia compreso cosa è avvenuto. Vorrei cercare sinteticamente di dire la mia e quella del mio gruppo su questo punto.
Signor Presidente, ci troviamo di fronte ad un provvedimento che ha dovuto porre rimedio ad un altro provvedimento del Governo che è stato penalizzante per le forze dell'ordine. Non ho capito cosa volesse dire il collega della Lega. Non ho ben compreso per il semplice motivo che forse non ha seguito questa vicenda e come lui forse anche altri.
Signor Presidente, questo provvedimento, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nasce da una cosa molto semplice. Esso nasce perché il 14 marzo vi è stata una manifestazione di piazza di tutti i sindacati di polizia riuniti, che il Governo è riuscito a mettere insieme in riferimento allo stato di disattenzione, sottovalutazione, superficialità e non conoscenza dei compiti delle forze dell'ordine. Il Governo ha praticamente attuato sistematicamente un provvedimento legislativo degno di altri tempi e di altre epoche ma soprattutto - come ho detto - rivelatore di poca conoscenza di quello che è il mondo delle forze dell'ordine.
Signor Presidente, questa una tantum, che qualcuno ha anche paragonato ad una concessione, è presente in questo provvedimento fatto appositamente per cercare di sanare un problema molto semplice, ossia un diritto delle forze dell'ordine che, invece, il Governo ha sistematicamente ignorato. Ora, con l'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, poi convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, si è istituito un fondo destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, della Polizia di Stato, dei Vigili del fuoco, del Corpo forestale e della Polizia penitenziaria, che sono stati interessati da questo blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali, con la dotazione di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012.
Signor Presidente, era avvenuto che un dipendente che faceva un concorso e che vincendo il concorso da agente diventava funzionario, ispettore o sovrintendente, non avrebbe potuto ricevere l'adeguamento economico perché rimaneva all'interno dello stesso ruolo. Pertanto, egli andava a svolgere mansioni superiori percependo, tuttavia, lo stesso stipendio di coloro che erano ancora nel ruolo precedente. Credo che sia una cosa assurda.
Forse non si è capito bene, chi l'ha fatto non ha capito bene cosa andava a fare e pertanto c'è stata la rivolta - è normale - e non solo per questo, ma anche naturalmente per i contenuti che il decreto-legge stabiliva per le risorse del fondo. Per fortuna si è arrivati alla corresponsione di un assegno una tantum nei confronti del personale delle Forze armate, del Corpo dei vigili del fuoco e delle Forze di polizia.
Il Governo ha coperto i costi che derivano dai benefici previsti dal decreto-legge, riducendo per il triennio l'autorizzazione di spesa prevista dall'articolo 3, comma 155, ultimo periodo, della legge n. 350 del 2003, destinata al riallineamento di alcune posizioni di carriera del personale delle Forze armate e al riordino dei ruoli e delle carriere del personale non direttivo e non dirigente delle Forze armate e delle Forze polizia.
Signor Presidente, si è creata molta preoccupazione per le modalità di copertura finanziaria del decreto-legge, che toglie risorse al fondo per il riordino delle carriere. Si tratta di un provvedimento importante nell'ottica di garantire un giusto riconoscimento al personale delle forze dell'ordine, che da anni attende questo provvedimento. La riduzione di tali risorse pone tuttavia una seria ipoteca sulla possibilità di proseguire l'iter delle proposte di legge in materia di riordino dei ruoli. Chi mi ha preceduto prima ha detto che questo problema riguardante la dotazione del fondo attiene ad un atto amministrativo e non più legislativo. Mi auguro che Pag. 33sia così perché altrimenti si deve tornare in Aula e procedere naturalmente all'aspetto normativo, perché sotto il profilo normativo così funziona.
Signor Presidente, la riduzione di queste risorse ha posto una seria ipoteca per l'iter; per quanto riguarda noi è molto importante che il riordino delle carriere - soprattutto per i comparti sicurezza e difesa, che attualmente sono all'esame delle Commissioni I e IV della Camera dei deputati - prosegua, vada avanti e anzi abbia un impulso. Non si può pensare che il personale delle forze dell'ordine sia ricordato alle Camere o abbia l'attenzione soltanto per un minuto o gli applausi dell'Assemblea e poi non ci si ricordi di un tema importante, ossia del riordino delle carriere.
Il pubblico impiego è stato oggetto di due riforme: il riordino delle carriere serve al personale delle forze dell'ordine per un semplice motivo. Si pone il problema dei trattamenti omogenei, che purtroppo con il riordino delle carriere - soprattutto con le due riforme adottate nel pubblico impiego e quella realizzata nella carriera prefettizia - ha creato un fortissimo disallineamento dentro le forze dell'ordine.
Quando il collega della Lega dice che le forze dell'ordine hanno comunque avuto negli anni un trattamento migliore, credo che non abbia, ancora una volta, seguito la storia e l'iter delle stesse perché è da 15 anni, quasi da 20, che si aspetta il riconoscimento del riordino delle carriere, un trattamento importante dopo che sono state fatte ben due riforme del pubblico impiego (con uno scavalcamento del personale delle forze dell'ordine e con assetti diversi) e soprattutto dopo la riforma della carriera prefettizia, che ha portato un sistema completamente diverso. Credo che lui non abbia seguito il tema delle forze dell'ordine, ma soprattutto è vero che è stata fatta la specificità - è vero, questo va detto -, ma essa non è stata finanziata. Quindi, praticamente siamo alle nozze con i fichi secchi: è stata fatta una cosa, ma poi non viene finanziata. Credo che questo sia un altro tema, che va affrontato con grande interesse.
Non parliamo poi dei parametri: altro tema! Anche questa è una farsa: è stata data attenzione ai parametri perché, attraverso la specificità, i parametri dovevano essere differenziati dal pubblico impiego e anche questi naturalmente non sono stati portati avanti.
Se parliamo delle indennità, onorevoli colleghi, nel 2010 trattare di due euro, un euro e mezzo, tre euro è veramente una cosa avvilente, da «terzo mondo». Ecco perché non decolla il sistema retributivo delle forze dell'ordine attraverso una diversificazione dal pubblico impiego, perché anche le stesse indennità non hanno un senso oggi nel 2011, non hanno assolutamente senso per il tipo di retribuzione cui sono sottoposte le forze dell'ordine. Vi prego di andare a vedere le indennità delle specialità, come le specialità cui prima si è fatto cenno, specialità dimenticate, non c'è una differenza, quindi è inutile che si parli di formazione o di altro quando nella realtà all'interno dello stesso posto di lavoro ci sono persone che hanno differente specialità ma equivalente retribuzione. Credo che a questo bisognerà naturalmente porre rimedio.
Se parliamo dell'organico, che io definirei «sotto-organico», c'è stata la diminuzione, di anno in anno, dei fondi destinati alla pubblica sicurezza, parlando di turnover del personale e del blocco delle assunzioni. È chiaro che quando si parla di Polizia stradale, di caserme dei carabinieri, della guardia di finanza, della polizia delle frontiere, dei reparti operativi, delle sezioni di Polizia giudiziaria e di tutti gli uffici in genere ma soprattutto dei reparti che hanno un rapporto con la gente, quindi le «volanti», le «pantere», i reparti operativi che la gente chiama sempre attraverso il 113 e il 112, tutte quelle attività molto importanti, bisognerebbe andare nelle questure, nei comandi dei carabinieri e della guardia di finanza, nei reparti operativi, a vedere in quali contesti lavorano. Soprattutto l'impiego del personale per la tutela dell'ordine pubblico cui Pag. 34si fa sempre ricorso nelle festività, o ancora dove il personale delle forze dell'ordine esercita un'attività completamente diversa da tutti gli altri dipendenti dello Stato.
Per non parlare, signor Presidente, del problema delle carceri, ormai è endemico e in tutto il Paese è emerso il grosso problema delle carceri, soprattutto il sotto-organico del personale e tutto ciò che non si sta facendo. Il collega che mi ha preceduto ha svolto un'ampia relazione sui vigili del fuoco, è vero che hanno moltissimi compiti e sono molto amati dalla popolazione per il semplice motivo che intervengono su molte problematiche, ed è chiaro che naturalmente non si può dimenticare il loro valore anche in termini di vite umane, che pagano sempre attraverso naturalmente l'impiego giornaliero insieme alle forze dell'ordine.
Signor Presidente, quando si parla di questi temi non ci si rende conto che molte volte le forze dell'ordine e tutti gli altri apparati hanno mezzi inferiori a quelli della criminalità, molto inferiori, basti guardare che abbiamo dovuto dotare le frontiere dei mezzi sequestrati alla criminalità, specialmente gli scafi perché non riuscivamo a raggiungere gli scafisti che hanno scafi dieci volte più potenti e meglio organizzati, compreso il radar, cosa che naturalmente non avevano le nostre forze dell'ordine. Con il provvedimento di sequestro e confisca di questi mezzi, sia navali che terrestri, si è arrivati a un buon risultato ma siamo ancora molto lontani dai mezzi di cui dispone la criminalità in confronto alle forze dell'ordine.
Se vogliamo parlare del lavoro straordinario, signor Presidente, la nostra è una nazione atipica, è l'unica nazione che ha purtroppo, per motivi economici, sottoposto il lavoro straordinario a riposo compensativo. Questo la gente non lo sa, non sa neanche di cosa sto parlando, ma è molto semplice: ogni agente di polizia o delle forze dell'ordine, per il ruolo degli agenti e dei sovrintendenti, può fare al massimo 9 ore al mese di straordinario, 30 per gli altri ruoli, quindi ispettori e direttivi.
Signor Presidente, siamo al paradosso per cui, se gli uffici superano il monte ore previsto (potete immaginare specialmente gli uffici operativi, che fanno lo straordinario a causa di eventi molto importanti, anche per la criminalità organizzata, ma soprattutto quelli territoriali, che la domenica inviano i propri uomini per il servizio di ordine pubblico, che arrivano anche a quindici o diciotto ore al giorno di straordinario) si trovano una settimana o un mese dopo a dovere mettere il personale in riposo compensativo, perché non riescono a pagare le ore straordinarie che sono state effettuate durante la settimana; per superare nove ore non è che ci voglia una grande volontà.
Penso che questo voi non lo sappiate. Penso sia una cosa del tutto italiana, che negli altri Paesi non esiste: fare ricorso al riposo compensativo per non pagare gli straordinari alle forze dell'ordine; è una cosa assurda, ma che esiste nel nostro Paese. Quindi, quando c'è la diminuzione degli uomini, quando si parla delle caserme citofoniche, della riduzione delle «volanti», delle «pantere» e così via, questo è determinato per l'80 per cento dal fatto che il personale deve essere messo a riposo compensativo, perché non vi sono i soldi per pagare gli straordinari.
Credo sia una cosa italiana che, comunque, debba finire e che la gente soprattutto debba conoscere, altrimenti si può pensare che le forze dell'ordine non lavorano per una propria volontà, quando invece non lavorano per il semplice motivo che molti svolgono la loro attività oltre le loro ore e non gli vengono pagati gli straordinari; quindi, lavorano lo stesso ma non vengono pagati. Credo sia una cosa che bisogna sapere perché non tutti i dipendenti pubblici sono uguali e non tutti i dipendenti pubblici non fanno nulla. Ho una grande stima nei confronti dei dipendenti pubblici. Chiaramente chi sbaglia deve pagare e questa è una cosa che riguarda tutto il mondo, perché loro addirittura non hanno l'immunità, quindi se sbagliano pagano di sicuro.
L'altro tema che vorrei affrontare, che prima ha citato anche il mio collega, è che Pag. 35purtroppo dal 1981 sono passati esattamente quarant'anni. La legge n. 121 del 1981 prevedeva il coordinamento delle sale operative, il coordinamento delle forze di polizia. Dopo quarant'anni vi saranno forse due o tre sale operative al massimo in tutta la nazione sempre in via sperimentale, tutto il resto è farsa, è solo sulla carta, perché non c'è alcun coordinamento, perché c'è sempre il problema dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, perché ogni forza di polizia va per conto proprio. Questo è un tema che naturalmente va affrontato. Credo che oggi dovremmo affrontare anche un altro tema molto importante, che presto si farà sentire, quello dei fondi pensione. I fondi pensione previsti dalla riforma, quindi dei tre sistemi, retributivo, contributivo e misto, non sono ancora partiti. Quindi, quelli che nel 1995 avevano meno di diciotto anni di anzianità - impiegati pubblici, ma anche tutta la parte che riguarda le forze dell'ordine - si troveranno presto quando andranno in pensione, se ci andranno, nella grande difficoltà di avere un abbattimento di oltre il 40 per cento sulla loro pensione. Quindi, avranno una pensione che andrà dal 57 al 62 per cento. Credo sia un tema che vi dovrete porre perché è molto importante, altro che una tantum, questi sono i temi che dovremmo discutere in Aula e soprattutto che si dovrebbero comprendere. Oltretutto nelle stesse amministrazioni con le riforme si sono creati problemi non indifferenti. Prima si parlava della riforma dell'Arma dei carabinieri, proprio nella stessa Arma dei carabinieri avviene una cosa incredibile, anch'essa tipica dell'Italia: nella stessa amministrazione due persone fanno un concorso, entrambe per ufficiali dell'Arma, perché c'è un ruolo supremo, quello ordinario e quello speciale.
Nella stessa realtà, con gli stessi titoli e con le stesse attribuzioni, anzi, nel ruolo speciale, persone che appartengono già all'Arma e partecipano ad un concorso hanno un diverso trattamento all'interno dello stesso ruolo, ossia un avanzamento e un'anzianità diversa e, quindi, un ruolo procede in avanti mentre l'altro sta fermo, pur esplicando le stesse funzioni e condividendo gli stessi aspetti all'interno dell'attività di polizia giudiziaria, quindi essendo ufficiale di polizia giudiziaria o ufficiale di pubblica sicurezza, ma diversi all'interno dello stesso ruolo. Abbiamo capitani diversi, maggiori diversi, tenenti diversi, tenenti colonnelli diversi, pur avendo lo stesso ruolo e svolgendo la stessa funzione. Anche questa è una cosa tutta italiana.
Abbiamo presentato una proposta di legge e mi auguro che, al più presto, si ponga rimedio non solo per l'Arma dei carabinieri, ma anche per la Guardia di finanza, per il ruolo speciale, per la Polizia penitenziaria. È chiaro che si tratta di un tema complesso che deve essere affrontato. Non si può pensare che all'interno della stessa amministrazione, svolgendo la stessa funzione e avendo lo stesso ruolo, vi siano differenze di casta dove lo stesso ufficiale è diverso dall'altro.
Credo che questo sia un tema importante sostanziale che va evidenziato e portato avanti nelle Aule del Parlamento. Questi sono i temi di cui si dovrebbe parlare, e non venire in Aula e, attraverso un provvedimento una tantum, cercare di rimediare ad un provvedimento di cui lo stesso Governo è stato autore.
Quello in esame non è un provvedimento che attribuisce una concessione a qualcuno, ma che cerca di porre rimedio ad una cosa incredibile che è stata fatta dal Governo stesso, tanto che il 14 marzo i sindacati hanno detto: «Cosa avete combinato? Qui, scoppia la rivoluzione», perché si partecipa ad un concorso per lo stesso ruolo, ma senza riconoscere tutto il resto, come l'indennità di funzione. Si svolge una funzione e questa non viene riconosciuta.
Credo che questo riallineamento sia assurdo anche perché all'interno delle forze dell'ordine vi sono delle prerogative e delle funzioni completamente diverse dal pubblico impiego, si pensi all'attribuzione di agente o ufficiale di polizia giudiziaria, all'attribuzione di agente o ufficiale di pubblica sicurezza o all'attribuzione di Pag. 36agente o ufficiale di polizia tributaria. Credo che questo non sia mai stato verificato attraverso la funzione.
Signor Presidente, andando avanti, credo sia anche del tutto singolare che non si parli dei temi essenziali per le forze dell'ordine, come ad esempio il tema della formazione. Il provvedimento in esame ha colpito anche questa.
Voglio parlare anche del tema dei trasferimenti. Guardate che le forze dell'ordine, a differenza del pubblico impiego, devono stare, per alcuni reparti, almeno quattro anni nella sede di assegnazione e non possono andare a casa loro come fanno invece altri impiegati. Devono trascorrere molti anni, minimo nove o dieci, nella sede di assegnazione per poter rientrare a casa loro. Credo che questo sia un tema essenziale come quello delle aggregazioni che riguarda una materia fondamentale per il personale che è lontano dalla famiglia, dalle case e dai figli.
Credo che questi siano i temi da affrontare come i regolamenti di servizio. Sempre di più la disciplina interessa ed interviene fortemente in tema di personale delle forze dell'ordine e sempre più bisogna cambiarla questa disciplina, bisogna darle una democrazia perché all'interno del personale delle forze dell'ordine la disciplina, le sanzioni disciplinari e l'aspetto disciplinatorio sono molto negativi così come regolamentati.
Anche a proposito dei regolamenti di servizio, specialmente quelli militari, bisogna avere l'esercizio del diritto della difesa che è sacrosanto anche per loro. Deve essere visto con un'ottica diversa, moderna, più leale. Non si deve sempre punire il dipendente, tanto si sa che fine fanno i ricorsi.
Volevo anche parlare di un altro aspetto importante. Signor Presidente, ho ancora tempo a disposizione?

PRESIDENTE. Sì, onorevole Paladini, ha ancora del tempo, anche se non molto.

GIOVANNI PALADINI. Gli impegni assunti dal comparto difesa e sicurezza e dalla politica della sicurezza sono completamente diversi da quelli portati avanti oggi in quest'Aula. Nel provvedimento in esame si parla di ampia convergenza delle forze politiche.
Noi voteremo a favore di questo provvedimento, ma per un semplice motivo. È infatti un una tantum e mi auguro che poi il provvedimento cambi completamente modello e soprattutto mi auguro che il problema che riguarda i trattamenti omogenei introdotti dal Governo e soprattutto quello che riguarda l'aspetto della dotazione del fondo per il riordino delle carriere siano veramente portati avanti e non si continui, come si fa da 15 anni, a reiterare senza mai arrivare alla fine e ad una conclusione.
Soprattutto, occorre non spendere male i soldi, invece di prevedere, ad esempio, 100 milioni di euro per le ronde (abbiamo visto che cosa hanno fatto le ronde, cosa hanno significato nel Paese, cosa hanno portato avanti e a che cosa servono), ovvero invece di dare i soldi per l'impiego dei militari nei servizi di ordine pubblico, destinandoli diversamente. I militari, infatti, devono svolgere la loro funzione e non fare ordine pubblico, peraltro non si pagano nemmeno gli stessi appartenenti alle forze dell'ordine, perché non vi sono le risorse per retribuire gli straordinari. Invece, ci si permette di spendere somme come 100 milioni di euro da attribuire in una forma tale per cui non si comprende quale sia l'azione della pubblica sicurezza. Oppure, ci si permette di sovvenzionare modelli come quelli dei sindaci, cui potevano essere attribuiti compiti di pubblica sicurezza soprattutto con riferimento alle ordinanze, che la Corte costituzionale in questi giorni ha immediatamente colpito e bocciato, precisando che è incostituzionale l'ordinanza di pubblica sicurezza.
Ma in questo Paese bisogna sempre arrivare alla Corte costituzionale. Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e la Costituzione non sono stati osservati e sono stati assegnati compiti che, per legge, sono attribuiti all'autorità locale di pubblica sicurezza. E quando c'è l'autorità di pubblica sicurezza, ovvero il questore o il funzionario, il sindaco non ricopre questo Pag. 37ruolo. Lo assume solamente nei casi in cui non vi è il commissariato o l'autorità di pubblica sicurezza prevista dalla legge. Quindi, credo che anche questo tema sia stato chiarito in maniera molto semplice e lineare. Ma non era stato capito e compreso da altri gruppi politici e partiti, che hanno fatto di esso la loro campagna elettorale, ma che adesso gli si ritorcerà contro, perché si sono resi conti che o si modifica la Costituzione o il testo unico, oppure il problema naturalmente si pone.
Signor Presidente, in conclusione, credo che siamo di fronte ad una situazione nella quale il Governo, per far fronte ad una emergenza, ne ha creata un'altra, tradendo tra l'altro gli impegni assunti per il riordino dei ruoli e delle carriere e per il riconoscimento della specificità del comparto della difesa. Parlo in termini economici, ovviamente, perché il riconoscimento vi è stato normativamente, ma, economicamente, non è stato assolutamente retribuito. Siamo di fronte ad un una tantum e anche a Forze armate, quelle della sicurezza o del soccorso pubblico, che meritano sinceramente di ricevere chiare risposte sulla possibilità di approvare la legge in materia di riordino dei ruoli, delle carriere e del comparto sicurezza. Credo che bisogna sostenere tutte le forze politiche in questo senso. Non demagogicamente, ma attraverso un provvedimento specifico, va affrontato questo tema: è da più di venti anni che le forze dell'ordine aspettano e questa manovra, che ha dimostrato una forte disattenzione su questo tema, ha dovuto togliere delle somme da una parte per darle dall'altra.
Noi voteremo a favore di questa una tantum perché è chiaro che bisogna restituire a coloro a cui è stato tolto una cosa che già avevano. Ma non è che gli si fa un favore! Non si fa altro che restituire una cosa che dovevano avere, che gli abbiamo tolto e che adesso gli restituiamo. Quindi, torniamo a zero. Il risultato non è un più 10, un più 5, un più 4, un più 3, un più 1, ma è un più 0. Infatti, quello lo avevano già ed il riordino delle carriere è stato finanziato e poi gli abbiamo tolto dei soldi.
Mi auguro appunto che, nonostante i decreti-legge del Governo siano stati insufficienti e contraddittori, specialmente quello che ha tolto loro in parte i soldi, si vada al più presto ad una definizione per non pregiudicare ulteriormente i comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico. Queste misure, infatti, che chiamo misure tampone, potrebbero avere almeno l'effetto di limitare temporaneamente alcuni dei disagi dei lavoratori creati attraverso questo decreto-legge, ma non sono sicuramente sufficienti per le forze dell'ordine e naturalmente per un loro prosieguo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Laganà Fortugno. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, cari colleghi, il disegno di legge che stiamo esaminando prevede la corresponsione di assegni perequativi individuali al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, questo per tentare di porre rimedio ad alcune delle norme contenute nella legge 30 luglio 2010 n. 122. Questa legge reca misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, che prevedono per tutto il triennio 2011-2013 il blocco dei meccanismi automatici di adeguamento retributivo, nonché degli effetti economici legati alle progressioni di carriera. In sostanza, per effetto di tali misure, si viene a verificare che in seguito ad una promozione vi è contestuale incremento della responsabilità, senza però che vi sia un conseguente incremento proporzionale della retribuzione.
Tutto questo, signor Presidente, non è soltanto palesemente contrario ad ogni logica ma, ancor peggio, deleterio se non addirittura anticostituzionale. Al riguardo, è doveroso ricordare - questo ci tengo a sottolinearlo - che, proprio in relazione agli effetti devastanti che tale norma determina sulle organizzazioni come quelle in questione (le quali organizzazioni sono basate su strutture gerarchiche, sul principio Pag. 38fondamentale della responsabilità del comando), la stessa è stata decisamente criticata e contrastata dal Partito Democratico fin dal momento della sua presentazione.
Purtroppo - come ricorderete - i nostri sforzi tesi ad emendare il provvedimento sono stati resi vani dalla scelta del Governo di porre l'ennesima fiducia. Anche le organizzazioni sindacali delle Forze di polizia e gli organismi della rappresentanza militare, nonché il personale dei vigili del fuoco, hanno manifestato fermamente e in ogni circostanza la propria contrarietà di fronte a queste misure. Non è lontana nel tempo la manifestazione del personale di polizia che si è svolta ad Arcore davanti all'abitazione del Presidente del Consiglio, e che sicuramente ha avuto un effetto di spinta sulla decisione di emanare il decreto-legge in argomento. Infatti, proprio perché viviamo in un momento non facile, che cosa fa il Governo? Il Governo ha ritenuto opportuno di non perdere ulteriori consensi, soprattutto tra il personale dei comparti sicurezza, difesa e Protezione civile, impegnandosi nell'emanazione di un provvedimento correttivo che si è tradotto nel disegno di legge che stiamo esaminando.
Fatta questa premessa, però, ritengo doveroso fare alcune osservazioni sulla finalità e sulla inadeguatezza delle risorse economiche messe a disposizione del provvedimento in esame, che a mio avviso rappresenta l'ennesima promessa del Governo priva di contenuti validi e sostanziali. La specificità dei comparti interessati, già da tempo formalmente riconosciuta, meriterebbe infatti ben altra considerazione e soprattutto ben altri livelli di risorse stanziate. Basti pensare che in totale i fondi messi a disposizione per l'esigenza ammontano a 195 milioni di euro per il 2011-2012, e a 115 milioni per il 2013. Per dare un'indicazione di massima - visto che non vengono forniti dati più precisi, ma viene demandata ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio la ripartizione dei fondi tra il personale - ciò significa che, secondo una ripartizione uniforme, il valore medio dell'una tantum viene a quantificarsi in circa 25 euro netti mensili pro capite, valore questo che sicuramente non può esser riconosciuto come giusta e adeguata ricompensa dei vincoli, delle limitazioni, nonché dei sacrifici a cui è sottoposto il personale dei comparti in discussione, che mette quotidianamente a repentaglio e talvolta sacrifica la propria esistenza per il bene comune e la sicurezza internazionale.
Peraltro debbo rilevare - lo faccio in maniera molto critica - che le risorse individuate sono quelle che erano state programmate per il provvedimento relativo al riordino delle carriere.
E anche se ci è stato assicurato che troveranno i fondi per questo comparto, ormai posso affermare personalmente che tutto il comparto medesimo sente un'esigenza forte e indilazionabile. Ho avuto modo, infatti, di raccogliere personalmente queste esigenze in tutti i comandi e reparti militari - e non sono pochi - che ho visitato in questi anni in qualità di componente della Commissione difesa. Prosciugare lo stanziamento previsto per il riordino delle carriere significa, quindi, procrastinare ulteriormente la discussione e l'approvazione del relativo provvedimento e diffondere disagio e sentimenti di amarezza e di delusione tra il personale interessato.
Per quanto riguarda la previsione di integrare gli stanziamenti citati con risorse rinvenibili dai risparmi connessi allo svolgimento delle missioni internazionali, mi pare poco convincente vista sia la situazione che caratterizza i teatri in cui le nostre forze sono già impegnate, sia le condizioni di forte tormento esistente in molte zone, anche a noi vicine, come quelle arabe. Ci vuole, poi, tutto il «coraggio» del Governo per credere alla possibilità che si possano utilizzare, per l'esigenza, i risparmi di altre amministrazioni dello Stato, quando è all'attenzione di tutti il fatto che la giustizia è rallentata da tempo a causa della mancanza di risorse umane e di fondi, che il mondo dell'istruzione è impossibilitato ad attuare delle vere e sostanziali riforme, che la sanità è Pag. 39carente ed è costretta a chiudere molte delle strutture esistenti e potrei continuare il lungo elenco.
Concludo evidenziando, come ulteriore e sostanziale critica, che, nel provvedimento in questione, non è stata prevista alcuna forma di contrattazione e di concertazione con gli organismi sindacali e di rappresentanza, passo procedurale che, a mio avviso, dovrebbe essere considerato fondamentale per definire, con criteri di equità e di giustizia, la ripartizione delle risorse da destinare al personale interessato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Naccarato. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO NACCARATO. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, il decreto-legge al nostro esame dimostra lo stato confusionale del Governo, denota approssimazione e superficialità. Ho l'impressione che pochi abbiano seguito la relazione dell'onorevole Stasi, relatrice per la I Commissione, quando ci ha ricordato, all'inizio, in modo preciso e coraggioso, come il Governo si sia espresso in modo diametralmente opposto nella prima e nella seconda fase di esame del decreto-legge medesimo. Abbiamo assistito al sottosegretario Crosetto che, alle Commissioni riunite I e IV, ha espresso parere favorevole su alcuni emendamenti migliorativi dei relatori, tant'è che sono stati accolti - dopo entrerò nel merito -, mentre, in Commissione bilancio, come siamo appena stati informati dalla relatrice Stasi, un altro rappresentante dello stesso Governo - e la questione andrebbe chiesta al Governo per capire se si tratta, appunto, del medesimo Governo -, il sottosegretario Casero ha dato un parere diametralmente opposto sugli emendamenti su cui Crosetto aveva espresso, invece, un parere favorevole, tanto da farli accogliere.
Questo è un po' il tema che tiene insieme il presente decreto-legge. Il Governo, cioè, è intervenuto, nell'estate scorsa, come è stato appena ricordato, prima di me, dalla collega Laganà Fortugno, con un decreto-legge che ha tagliato pesantemente le risorse al comparto delle forze di polizia, delle Forze armate e dei vigili del fuoco. Adesso, invece, corre ai ripari, emanando un decreto-legge per assegnare l'una tantum, con modalità che, però, rimangono confuse e poco comprensibili, tant'è vero che si fa una cosa in una Commissione e se ne fa una diversa in un'altra.
Arriviamo così in Aula senza sapere - lo vedremo tra qualche decina di minuti - il parere che la Commissione bilancio darà proprio su quegli emendamenti, per capire che tipo di correzione il Governo ha in mente sul testo. Questo credo non sia un modo di agire rispettoso per il personale di cui stiamo discutendo, di cui tutti parlano bene e che tutti elogiano, quando è ora magari di ricordare le funzioni importanti che svolge. Tuttavia, quando poi andiamo a vedere come viene davvero trattato, notiamo che l'interesse è molto scarso tanto che, alla fine, poco si fa per questi settori. Non a caso il decreto legge n. 78 del 2010, dell'estate scorsa, aveva deciso sostanzialmente di bloccare per un triennio il trattamento economico individuale e complessivo dei dipendenti pubblici, compresi quelli del comparto Forze armate e forze di polizia, e aveva stabilito che, sempre per il triennio 2011-2013, veniva sostanzialmente esclusa l'applicazione per i dipendenti pubblici dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti dalla legge.
In questo modo si è creato un danno pesantissimo, che ha rischiato di mettere in discussione il funzionamento stesso di questo comparto. Da qui è nata una protesta e credo che oggi - questo va ricordato -, se non fosse stato per le organizzazioni dei sindacati delle forze di polizia, che in maniera molto seria, molto rigorosa e molto responsabile hanno posto con forza questi problemi al Governo, non avremmo neanche assistito a questo tentativo di correggere le cose da parte del Governo. Quindi, è solo grazie al lavoro delle organizzazioni sindacali che si è arrivati al testo del Governo, che ha provato Pag. 40a mettere qualche toppa e a correggere i danni che erano stati prodotti.
Credo che anche da questo punto di vista si sia persa un'occasione, perché pensare ai lavoratori di comparti così delicati e che funzionano attraverso strutture gerarchiche, quindi con la delicatezza che ciò comporta, e vederli costretti a scioperare per rivendicare dei diritti fondamentali, tra cui il funzionamento delle loro mansioni, la dice lunga sulla scarsa attenzione del Governo. Questo è quello che è successo: il Governo ha partorito il decreto-legge e noi oggi stiamo esaminando un testo che ancora non sappiamo se la Commissione bilancio correggerà ulteriormente o manterrà così.
Ci sono dei limiti - e vengo al testo - anche dal punto di vista del metodo: al momento siamo in pochi, ma mi auguro che i colleghi prima di votarlo nel pomeriggio prendano visione del parere del Comitato per la legislazione, che in maniera molto puntuale ha segnalato alcuni limiti di metodo presenti nel decreto-legge in esame, in particolare il fatto che non si può incrementare la dotazione del Fondo destinato al finanziamento delle misure perequative con un decreto ministeriale, che è fonte normativa di rango secondario, perché la dotazione è fissata per legge, tramite risorse che derivano da autorizzazioni legislative, e alle norme di legge si può derogare soltanto con atti di forza di legge. Questo ci scrive il Comitato per la legislazione e credo che dovremmo tenerne conto, così come ci viene segnalato il fatto che gli assegni una tantum vengono individuati con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre l'individuazione dovrebbe avvenire mediante un regolamento di attuazione, nelle forme di decreto del Presidente della Repubblica. Anche questa è una notazione non solo di natura formale, perché quando si parla di destinazione di fondi per questioni così delicate e in un momento così delicato la forma diventa sostanza e sarebbe importante mantenere le caratteristiche che il nostro ordinamento prevede per attribuire queste funzioni, senza contare poi il fatto che viene completamente bypassata la concertazione e la contrattazione delle organizzazioni sindacali. Io credo che su questo aspetto, se non altro per rispetto ancora una volta per le rappresentanze sindacali in settori così importanti e che hanno dimostrato una responsabilità così elevata nel corso della vertenza che vi è stata, sarebbe stato il minimo ricorrere a forme di concertazione.
Poi vi sono i problemi di sostanza, che sono sostanzialmente tre. Uno riguarda il fatto che per il 2013 manca la copertura, cioè noi integriamo il fondo con il decreto di 115 milioni di euro per il 2011, 115 milioni per il 2012, si sommano gli 80 milioni che già c'erano e arriviamo quindi a 195 milioni per due anni, ma per il 2013 mancano gli 80 milioni che erano stati stanziati con i provvedimenti precedenti. Quindi questo è un primo punto che il Governo dovrà chiarire e mi auguro voglia chiarire, perché al momento il 2013 resta scoperto.
Un secondo aspetto riguarda il fatto che parliamo di assegni di entità assolutamente modesta. Ci siamo confrontati in Commissione sul punto: parliamo, nella migliore delle ipotesi, di poco più di 25 euro netti al mese per soggetto che potrà recepire questa una tantum. Quindi vi rendete conto che solo con le ore di sciopero fatte nel corso della contrattazione questi aumenti in qualche modo rischiano di essere già vanificati.
L'ultima questione, che è la più importante - e su questo concludo, signor Presidente - riguarda il fatto che sostanzialmente 345 milioni (115 milioni per ciascun anno del triennio) vengono dal riordino delle carriere e dal riallineamento di alcune posizioni delle carriere del personale delle Forze armate e delle forze di polizia. Questo penso sia un punto che andrebbe in qualche modo chiarito e spiegato con maggiore forza, perché sostanzialmente non vi è un euro in più per il comparto forze di polizia, Forze armate e Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Si prende quello che era stanziato - ed è stato stanziato dopo tutte le promesse che sono state fatte nel corso di questi anni - e lo si sposta per pagare gli assegni una tantum. Pag. 41Il che vuol dire che, una volta che il decreto-legge in esame verrà convertito in legge, di riordino delle carriere, di riforma e di riallineamento non si potrà parlare più, è un tema che scomparirà dall'agenda politica del Governo e del Parlamento, perché non vi sarà più la copertura finanziaria per poterlo affrontare.
Pertanto, viene meno uno degli argomenti di propaganda che, in questi anni, hanno caratterizzato l'iniziativa del Governo.
Noi abbiamo provato - per questo siamo ancora in tempo e mi auguro che si voglia ragionare - a presentare emendamenti correttivi su questo punto. Abbiamo provato a chiedere di lasciare lì i 345 milioni di euro per il riordino delle carriere, perché servono per svolgere quel tipo di attività e per fare la riforma di cui tutti a parole siamo d'accordo, anche se poi, nei fatti, il Governo dimostra di non esserlo; prendiamo tale somma da qualche altra parte. Abbiamo indicato delle alternative: abbiamo proposto, per esempio, di individuare le risorse nella tassazione sulle bevande alcoliche e nelle sanzioni per l'evasione e l'elusione della tassazione sulle bevande alcoliche. Questo è un altro tema di cui si discute ogni tanto e dal quale potrebbero pervenire le risorse sufficienti per pagare gli assegni una tantum.
A fianco a questo, credo che vada fatta un'altra considerazione. È di oggi - e, forse, sarebbe stata importante una sua presenza in Aula - la notizia che i tagli che sono stati operati, in particolare, nei confronti del Ministero dell'interno e delle forze di polizia iniziano anche quest'anno - e siamo quasi al mese di maggio - a non consentire il funzionamento ordinario delle funzioni di polizia.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ALESSANDRO NACCARATO. È di oggi la notizia dell'esaurimento della gestione del fondo dei pentiti: in ordine a questo tema, il sottosegretario Mantovano, che si è già dimesso una volta dal Governo, per poi rientrare, forse, sarebbe potuto venire in Aula e spiegare che tipo di problemi vi sono.
Inoltre - e concludo davvero, signor Presidente - vi è il fatto che, nell'arco del triennio, il taglio del 30 per cento delle risorse per le forze di polizia e il Ministero dell'interno ha sostanzialmente messo in ginocchio le forze di polizia. Ogni volta, i tagli venivano in qualche modo bilanciati, dicendo che si sarebbero realizzati la riforma e il riordino delle carriere. Adesso che questo argomento non c'è più, perché quei soldi vengono «tolti» con il provvedimento in oggetto, voglio vedere in che modo si potrà raccontare al personale delle forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo dei vigili del fuoco che il Governo è ancora attento alle loro esigenze e cerca in qualche modo di valorizzare il loro operato.
Per queste ragioni - vedremo, nel pomeriggio, l'esame delle proposte emendative, signor Presidente - siamo molto scettici su come il Governo si è presentato con riferimento ad un provvedimento così importante (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 4220-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Melchiorre ed altri; Gozi ed altri; Di Pietro ed altri; Bernardini ed altri: Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale (A.C. 1439-1695-1782-2445-A) (ore 13,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle Pag. 42proposte di legge di iniziativa dei deputati Melchiorre ed altri; Gozi ed altri; Di Pietro ed altri; Bernardini ed altri: Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 19 aprile 2011.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1439-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Rao, ha facoltà di svolgere la relazione.

ROBERTO RAO, Relatore. Signor Presidente, come da accordi presi con la Presidenza, preannunzio l'intenzione di consegnare una parte del mio intervento. Vorrei soffermarmi in Aula per sottolineare come il testo che ci accingiamo ad esaminare sia diretto ad adeguare il diritto nazionale allo statuto della Corte penale internazionale, che è stato firmato, peraltro, qui a Roma nel 1998.
Quindi, siamo ad un passo fondamentale per l'Italia affinché nel nostro ordinamento sia data effettiva concretezza alle funzioni svolte dalla Corte penale internazionale, per la quale - è bene ricordarlo - la collaborazione degli Stati parte è indispensabile al funzionamento. Soltanto alcuni Paesi - come i colleghi sanno - non riconoscono il valore dei rapporti multilaterali su cui questa Corte e questo statuto, evidentemente, si innestano, ma questo, chiaramente, sarebbe oggetto di un altro dibattito, peraltro, abbastanza ampio. Evidentemente l'Italia non fa parte di questi Paesi.
Per comprendere l'importanza che riveste il provvedimento che si trova oggi all'attenzione dell'Assemblea, può essere utile inquadrare, sia pure sinteticamente, la Corte in ambito storico. La Corte è la prima giurisdizione internazionale creata per giudicare crimini gravissimi, che vanno dal genocidio ai crimini di guerra, a quelli contro l'umanità. Con l'istituzione della Corte si è concretizzato lo sforzo di imporre, anche a livello sovranazionale, la forza del diritto contro il diritto del più forte.
L'esigenza di istituire una giurisdizione a livello internazionale si è manifestata fortemente in un congresso internazionale tenuto a Parigi subito dopo il processo di Norimberga: stiamo parlando, quindi, del 1946.
Da quel Congresso uscì la decisa volontà di adottare un codice penale internazionale e di istituire una Corte penale internazionale. Tralascio gli altri dati storici, che rimando alla parte del testo che consegnerò, limitandomi a sottolineare alcuni aspetti.
La Corte ha una competenza complementare rispetto a quella dei singoli Stati e dunque può intervenire solo se e quando gli Stati non vogliono o non possono agire per punire i crimini internazionali. La Corte ha ricevuto denunce per crimini di sua competenza da 139 diversi Paesi. Il procuratore della Corte ha aperto sei inchieste che hanno per oggetto le drammatiche vicende del nord dell'Uganda, della Repubblica democratica del Congo, della Repubblica centroafricana, del Darfur, del Sudan, del Kenya e, da ultima, della Libia che ci riguarda evidentemente molto da vicino per le conseguenze che potrebbe avere in ambito nazionale per il nostro Paese.
Faccio un riferimento a parte e una piccola digressione sul punto perché è stata proprio la criminale repressione degli insorti perpetrata dal leader libico Gheddafi a costituire un acceleratore dei lavori della nostra Commissione, che si erano arenati in attesa della preannunciata presentazione da parte del Governo Pag. 43di un disegno di legge finalizzato appunto a dare attuazione allo statuto della Corte.
In veste di relatore ho fatto presente alla Commissione che, finché l'Italia non avesse approvato la legge che adegua il nostro ordinamento allo statuto, il leader libico avrebbe potuto in realtà stabilirsi in Italia senza correre il rischio di essere consegnato alla Corte stessa, come invece chiesto dal Consiglio di sicurezza dell'ONU, anche se il Ministro Frattini, intervenendo in Aula, aveva affermato il contrario. Tuttavia, noi continuiamo a ritenere che il rischio ci sia.
Ricordo, qualora ve ne fosse bisogno, che il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha adottato all'unanimità una risoluzione che impone delle severe sanzioni contro Gheddafi e, a causa della mancata attuazione dello statuto, l'Italia non potrebbe consegnare il leader libico alla Corte penale internazionale che lo dovrebbe giudicare per crimini contro l'umanità (sempre se, ad esempio, il leader o alcuni suoi uomini, che dovessero essere giudicati per questi crimini, decidessero di stabilirsi o semplicemente di passare in Italia).
Ciò significa che queste persone, dopo le violenze perpetrate nei confronti del proprio popolo e culminate con la feroce repressione anche di questi ultimi giorni, potrebbero trovare rifugio sicuro (più o meno) nel nostro Paese o almeno transitarvi senza problemi prima di raggiungere la meta definitiva del loro eventuale esilio.
L'Italia, dunque, si è posta, almeno dal punto di vista pratico, sullo stesso piano di quei Paesi che non hanno sottoscritto il Trattato istitutivo della Corte penale internazionale e l'Assemblea, con questo provvedimento, è chiamata proprio a sanare questo vulnus che attualmente è grave ma senza conseguenze, ma che potrebbe diventare molto più grave se la vicenda precipitasse.
Devo dire che tutte le forze politiche in Commissione e anche il Governo hanno preso atto che il ritardo nell'attuazione dello statuto da parte dell'Italia era diventato ormai ingiustificabile a fronte della crisi libica e quindi si è concordato di procedere celermente alla definizione di un testo da sottoporre all'Assemblea in tempi brevissimi e senza attendere un testo del Governo, che però, lo ricordo, su questo tema è stato molto collaborativo.
Come spesso capita, le vicende anche drammatiche della cronaca, come quelle della guerra che al di là del Mediterraneo (il mare su cui si affaccia il nostro Paese), hanno contribuito all'accelerazione di questo provvedimento. Quindi, come spesso accade, stiamo inseguendo gli eventi, ma speriamo in questo caso di anticipare un loro drammatico epilogo.
L'esigenza di celerità ha indotto quindi la Commissione ad elaborare un testo unificato e di portata più ridotta rispetto all'intenzione originaria, demandando all'esame in Assemblea e quindi sostanzialmente al Comitato dei nove (che riuniremo quanto prima) il compito di completarlo in quella parte non strettamente essenziale all'attuazione dello statuto che la Commissione non avrebbe fatto in tempo a definire.
In Commissione ci siamo ripromessi di individuare quei reati di competenza della Corte che necessitano di essere introdotti specificamente anche nel nostro ordinamento, al fine di colmare eventuali lacune, essendo comunque consapevoli che la maggior parte dei reati di competenza della Corte già trovano corrispondenza nel nostro sistema penale.
Prima di fare un ultimo accenno, vorrei ringraziare il presidente Eugenio Selvaggi, sostituto procuratore generale della Corte di cassazione per un'audizione particolarmente illuminante che si è svolta in Commissione giustizia e che ha dato spunto a quest'ultima riflessione che vado ad esprimere.
Il Ministro Frattini, intervenuto in Assemblea - come facevo riferimento prima - il 24 marzo scorso, ha asserito che per l'Italia le norme sulla Corte penale internazionale sarebbero immediatamente applicative anche in assenza di una normativa interna di attuazione e ha affermato quindi che il Governo è favorevole a che si approvi la legge sulla Corte penale internazionale comunque in tempi brevi. La tesi dell'applicabilità diretta dello statuto Pag. 44non può essere tuttavia condivisa in quanto, come ha bene evidenziato anche il dottor Selvaggi, la Costituzione richiede che il diritto di libertà personale possa essere ristretto e limitato solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.
La circostanza che l'Italia abbia ratificato con legge l'adozione dello statuto della Corte non è certo sufficiente a legittimare limitazioni della libertà personale sulla base di richieste da parte della Corte penale internazionale. Occorre quindi che la legge disciplini le modalità della convalida dell'arresto, la competenza dell'organo e l'eventuale impugnazione. A tali fini non si può certamente fare ricorso all'analogia per le norme previste, ad esempio per l'estradizione o per il mandato di arresto europeo. L'analogia troverebbe grandi difficoltà anche per le disposizioni relative all'assistenza giudiziaria previste dallo statuto della Corte e dal nostro codice di rito in relazione ad altri istituti.
Per quanto attiene alle disposizioni di natura penale sostanziale contenute nello statuto e non riportate nel testo unificato, dobbiamo chiederci cosa accadrebbe se il testo venisse approvato così come elaborato dalla Commissione e se la sentenza della Corte possa non essere riconosciuta per la mancanza della doppia incriminazione. Per evitare tale rischio si potrebbe procedere ad una scelta mirata dei reati - questa è una riflessione che stiamo facendo anche in sede di Comitato dei nove - da introdurre nell'ordinamento limitandoci a quelli che, attraverso anche il combinato disposto di più disposizioni, non trovano alcuna disciplina nel nostro ordinamento. In quest'ottica si potrebbero prendere dallo statuto, ad esempio, i reati di mercenari (articolo 84), arruolamento forzato (articolo 46), sterilizzazione forzata (articolo 37), diniego del giusto processo (articolo 47), uso di scudi umani (articolo 49), danni ambientali e dispersione dei beni culturali.
Come avete sentito, essi sono dei reati particolarmente gravi e particolarmente odiosi di cui però purtroppo abbiamo sentito parlare anche in questi giorni, per cui ritengo che l'approvazione immediata di questo provvedimento, con la giusta discussione che deve avvenire a questo punto anche approfonditamente nel Comitato dei nove, sia una questione che nobiliterebbe l'intero Parlamento soprattutto vista la convergenza anche trasversale e sostanzialmente unanime che c'è su questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Rao, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, anch'io, come da accordo, consegnerò l'intervento e mi limiterò ad alcune riflessioni, cominciando col ringraziare il relatore Roberto Rao per l'ottimo lavoro che ha svolto su un tema che è di grandissima importanza perché, se c'è un problema oggi centrale in materia di diritti umani, non è tanto la loro affermazione quanto la loro effettiva tutela, e quanto stiamo facendo assicurerà un'effettiva tutela ai diritti umani fondamentali.
È evidente infatti che la Corte penale internazionale per poter funzionare ha bisogno innanzitutto della cooperazione degli Stati ed è proprio sul lato della cooperazione con la Corte che, per le ragioni che egli stesso ha invocato, si è concentrato il relatore perché questo passaggio è assolutamente imprescindibile per dare piena attuazione e piena rilevanza allo statuto della Corte. È evidente che questo passaggio è importante per reprime in sede nazionale alcuni crimini, per eseguire i mandati di arresto, per dare seguito a richieste di ricerca delle prove, per consentire anche le indagini e cooperare Pag. 45con le indagini che potrebbero svolgersi sul proprio territorio.
Se oggi infatti, prima di questo passaggio parlamentare, l'Italia fosse chiamata a prestare attività di cooperazione, in assenza delle disposizioni che stiamo introducendo non potrebbe farlo o comunque non potrebbe farlo in modo tempestivo. Neppure io condivido l'analisi fatta dal Ministro Frattini. Non ritengo e non riteniamo, come gruppo del Partito Democratico, che il testo dello statuto della Corte possa essere direttamente applicabile; trattandosi di vicende legate alla libertà personale occorre una disposizione esplicita di tipo legislativo. Insomma, Presidente, rischieremmo ancora oggi di trovarci nell'imbarazzante posizione che si verificò proprio in Italia nel 2000 rispetto all'attività del tribunale non permanente per il Ruanda, per quanto riguarda la richiesta di estradizione di padre Athanase Seromba, che si trovava a Firenze.
Era accusato di crimini di genocidio, ma le nostre autorità giudiziarie, di fronte alla richiesta di arrestarlo e trasferirlo, furono costrette a dichiarare che, in assenza di una legge di cooperazione col tribunale, non potevano dare seguito alle richieste. Fu il Governo, attraverso pressioni politiche e diplomatiche, che riuscì a portare padre Seromba davanti ad un tribunale che effettivamente lo condannò proprio per i crimini per i quali era incriminato.
È anche sulla scorta di questa esperienza legata ad un precedente illustre e importante della Corte penale internazionale, come il tribunale per il Ruanda, che dobbiamo rapidamente adottare questa proposta legislativa per attuare lo statuto. L'adeguamento potrebbe anche diventare cruciale qualora fosse un cittadino italiano a dovere rispondere dei crimini previsti dallo statuto. Infatti, in assenza di una puntuale normativa di attuazione correremmo il rischio che il sistema italiano venga considerato carente nella sua capacità di procedere contro alcuni crimini internazionali e si potrebbe essere addirittura esposti alla vergogna di essere «processati» per questa carenza dalla Corte penale internazionale.
Quindi, certamente condividiamo le esigenze di speditezza che il relatore ha appena ricordato. Anche noi abbiamo ritenuto che non si potesse più aspettare perché tanto, anzi troppo tempo è passato senza che l'Italia ratificasse uno statuto che fu introdotto in una conferenza che si aprì a Roma nel 1996, con l'Italia che fu il primo Paese europeo firmatario dello statuto. Tali esigenze di speditezza sono rese ancora più giustificate dall'aggravarsi degli eventi in Libia. Infatti, il relatore Rao lo ha ricordato chiaramente: oggi l'Italia, qualora fosse incriminato, non potrebbe processare Gheddafi per alcuni crimini contro l'umanità, non potrebbe perseguire i mercenari libici, italiani e africani che stanno - sembra - perpetrando degli atti contro i civili. Non potrebbe punire coloro che stanno compiendo, se alcune informazioni saranno confermate, degli atti di tortura. Tutto ciò perché non abbiamo ancora adattato l'ordinamento interno allo statuto della Corte.
Quindi, anche noi abbiamo ritenuto importante concentrarci sulla parte essenziale per attivare la cooperazione della Repubblica italiana con lo statuto della Corte e abbiamo voluto però presentare alcuni emendamenti volti a recepire quelle fattispecie di reato più gravi non riconducibili né direttamente, né indirettamente al codice penale sostanziale. Ricordava il relatore il reato di mercenario, la sterilizzazione e l'arruolamento forzati, i danni ambientali, la dispersione dei beni culturali. È evidente, infatti, che riteniamo molto importante anche recepire questi aspetti sostanziali.
Concludo, signor Presidente, ricordando solo che stiamo costruendo un importante pilastro di un nuovo ordine internazionale basato sulla coscienza dell'interdipendenza globale e sulla conseguente globalizzazione delle responsabilità, contro l'arroccamento dei nazionalismi. Si tratta di una battaglia per i diritti che noi del Partito Democratico portiamo avanti convintamente in Italia, in Europa e anche Pag. 46su scala globale con questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Gozi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.

ENRICO COSTA. Signor Presidente, anch'io cercherò di adeguarmi alla speditezza nell'intervento. Ci tengo però ad evidenziare alcuni punti. Questo provvedimento nasce certamente da una domanda crescente di una giustizia penale a livello internazionale. Nasce anche dalla necessità e dall'esigenza di colmare una lacuna del nostro ordinamento. È chiaro che la credibilità di una nazione sul piano internazionale è anche direttamente proporzionale alla sua capacità di adeguarsi e rendere esecutivi proprio gli impegni assunti a livello internazionale. Quello che andiamo ad affrontare con questa discussione sulle linee generali è un tema sicuramente interessante e certamente una scommessa affrontata dalla comunità internazionale fin dal 1998, che sta muovendo i primi passi con i tempi lunghi che chiaramente necessitano questi documenti che devono essere condivisi in modo molto ampio.
La Corte penale internazionale è la prima giurisdizione internazionale creata per giudicare di crimini gravissimi che vanno dai crimini di guerra a quelli contro l'umanità, al genocidio.
Si tratta, in questo caso, di arrivare ad una stabile giurisdizione internazionale rispetto a tribunali che erano, invece, in passato creati ad hoc per punire determinati crimini. Penso, per esempio, ai crimini efferati commessi nell'ex Jugoslavia o nel Ruanda.
L'impegno dell'Italia sotto questo profilo deve essere soprattutto dal punto di vista politico perché è chiaro che, se andiamo ad analizzare in modo critico, anche facendoci aiutare dalla dottrina, i testi che sono stati posti in essere, quello dello statuto e l'eventuale applicazione a livello nazionale, possiamo essere assaliti da alcuni dubbi. Però è chiaro che, nel bilanciamento tra l'esigenza politica di andare incontro a un impegno internazionale assunto e quello di andare a sviscerare punto per punto i dubbi, prevale certamente il primo di questi aspetti.
Teniamo conto che sulla Corte penale internazionale pesa però un aspetto che non è assolutamente di secondo piano ed è quello della posizione degli Stati Uniti. Sappiamo che gli Stati Uniti non hanno aderito e non hanno sottoscritto lo statuto, quindi chiaramente sono fuori dalla giurisdizione e dalle norme di attuazione relative alla medesima Corte, anzi, si sono posti in modo diverso attraverso tutta una serie di intese bilaterali con determinate nazioni, tese proprio a negare l'applicazione delle norme relative alla Corte penale internazionale. Ciò sicuramente dovrà essere oggetto di riflessione e di valutazione.
L'Unione europea ha fatto una valutazione complessiva certamente forte, uno degli atti che sicuramente caratterizzano e rendono credibile come istituzione complessiva l'Unione europea, che ha dato un segnale forte sotto questo profilo, però è necessario sicuramente che si arrivi a un sempre maggiore coinvolgimento della giurisdizione della Corte penale internazionale.
Certo ci possono essere alcune riflessioni: è condivisibile il percorso che è stato posto in essere? Ci sono e possono emergere anche delle discrepanze tra il diritto previsto dallo statuto e il diritto penale italiano? Qual è il fondamento del diritto penale internazionale? Infatti è chiaro che in questo caso si tratta di uno statuto che è stato posto in essere non da rappresentanti diretti del popolo, come sono i Parlamenti, ma da organi esecutivi che hanno trovato un'intesa sul testo del medesimo statuto.
È molto interessante anche analizzare il profilo della pena: anche in questo caso Pag. 47tale profilo come descritto dallo statuto è più simbolico che retributivo e quindi qualche contraddizione e divergenza rispetto alle finalità della pena previste o alle quali comunque si ispira il nostro ordinamento penale possono emergere. E poi la peculiarità dei crimini che sono previsti, sicuramente anche alla luce della pianificazione istituzionale di molti di essi.
Detto questo, sicuramente noi privilegiamo l'aspetto politico della credibilità della nostra nazione nel dare attuazione a tali impegni dal punto vista procedurale e auspichiamo poi una maggiore riflessione anche dal punto di vista penale sostanziale.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Siliquini, iscritta a parlare, non è presente in Aula. Si intende vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, intervengo nel dibattito e inizierò, come anche altri colleghi, da alcune riflessioni di carattere generale. Credo però che sia importante dire qualcosa anche per chi ascolta - anche se non saranno magari numerosi i cittadini che lo stanno facendo in questo momento - e far sapere che ci sono voluti undici anni per arrivare all'attuazione, nel nostro ordinamento, del funzionamento di un'istituzione che è stata fortemente voluta dal nostro Paese a partire dalla convocazione della conferenza istitutiva della Corte penale internazionale a Roma, ma soprattutto di un'istituzione che è nata da un'esigenza globale di non vedere più commettere crimini sul nostro pianeta come quelli che si sono verificati nel secolo scorso e che hanno visto la morte di milioni di persone per genocidi, crimini contro l'umanità e crimini di guerra.
Credo che questo rappresenti, purtroppo, lo specchio della realtà del nostro Paese che, magari a parole, si fa portatore di grandi iniziative e di grandi battaglie ideali ma che poi, a livello istituzionale, non riesce a darvi pratica attuazione. Signor Presidente, sono passati undici anni per fare qualcosa che l'Italia si è impegnata a promuovere come capofila a livello internazionale e credo che, appunto, questo testimoni lo scarso funzionamento del nostro sistema democratico.
Sono lieto che il collega Costa abbia voluto esplicitare, pur esprimendo il sostegno a questo processo legislativo che è in corso, quelle che sono state evidentemente alcune delle ragioni che hanno bloccato il nostro Parlamento e i nostri Governi nel corso di questi anni dal fare qualcosa che era dovuto e che il nostro Paese si era impegnato a fare, non solo a livello internazionale ma anche nei confronti di tutte le forze politiche. Si è parlato del ruolo degli Stati Uniti. Mi limito semplicemente a notare che nel primo Governo Berlusconi, dal 2001 al 2006, quando alla Casa Bianca vi era George W. Bush, l'amministrazione americana ha avviato una vera e propria offensiva diplomatica contro la Corte penale internazionale e deve far riflettere il fatto che il Paese, che è stato promotore di questa istituzione che allora era stata ratificata da oltre sessanta Paesi - e oggi da oltre cento -, si sia fatto condizionare in modo così pesante dall'amministrazione americana, al punto da non arrivare al completamento di questo processo legislativo.
Posso comprendere le ragioni della realpolitik e quelle che possono essere le esigenze della politica estera. Tuttavia, quando il nostro Paese si espone in questo modo a favore di un'istituzione come la Corte penale internazionale e poi, senza spiegare pubblicamente il perché, si mette semplicemente in «frigorifero» questa istituzione e non si consente alle nostre istituzioni giudiziarie di cooperare con l'attività di questa Corte che, come il collega Rao ha già detto, si è sviluppata in vari continenti e su varie situazioni molto importanti, credo che questo confermi, ancora una volta, lo stato non positivo delle nostre istituzioni.
Questo è continuato anche successivamente e anche con il Governo del centrosinistra la Corte penale internazionale non Pag. 48è stata una priorità. Poi si è giunti al 2008, all'arrivo di questa nuova maggioranza di Governo e a un atteggiamento che abbiamo riscontrato. Vi sono state iniziative parlamentari in Commissione giustizia con dichiarazioni e impegni assunti dai sottosegretari di Stato per la giustizia che però oggi, signor Presidente, non vedo in quest'Aula. Speriamo che con il rimpasto di Governo in via di preparazione si possa quanto meno garantire che sia presente in Aula il rappresentante del Governo che è competente a discutere di ciò di cui si parla. Tuttavia, al di là di questo non è pervenuta alcuna dichiarazione impegnativa alla presentazione di un disegno di legge del Governo. Poi vi è stata l'approvazione all'unanimità di una risoluzione in Commissione giustizia, che impegnava il Governo a presentare immediatamente o nel più breve tempo possibile il disegno di legge alle Camere. Invece, tutto fermo, palude e pantano completi.
Ad un certo punto, tuttavia, ci si risveglia perché le Nazioni Unite adottano una risoluzione ai sensi del capitolo 7 - e, quindi, una risoluzione vincolante e obbligatoria per tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite - che invita il procuratore della Corte ad indagare per i crimini che sarebbero forse stati commessi o in via di commissione da Gheddafi. A questo punto ci si ricorda che il nostro Paese è stato il primo paese promotore di questa istituzione.
Francamente, mi chiedo come si possa poi pensare di avere un peso all'interno delle istituzioni internazionali - e mi avvio a concludere, signor Presidente - quando si ha un atteggiamento così schizofrenico che corrisponde, però, a un'impostazione politica che è quella di cercare, da un lato, di essere, all'interno del mondo occidentale, alleati degli americani e dell'Unione europea, membri e partecipi alle iniziative della NATO, e, dall'altra parte, di stringere sempre l'occhio, dal punto di vista politico, anche ai vari dittatori con i quali in giro per il mondo il nostro Presidente del Consiglio ha cercato di avere rapporti privilegiati. In particolare, mi riferisco a Gheddafi, a Lukashenko, a Nazarbayev e, non per ultimo, ricordo anche il Presidente del Sudan al-Bashir, che è incriminato dalla Corte penale internazionale. Sappiamo che alcuni degli interessi del nostro Paese verso il Sudan evidentemente hanno fatto pensare che fosse possibile posporre l'adozione di questi provvedimenti legislativi perché, in un certo senso, non opportuni dal punto di vista della politica estera.
La realtà ci ha detto che invece occorre fare questo perché la comunità internazionale lo richiede, quindi sarebbe positivo che la Camera oggi - e nei prossimi giorni - portasse a compimento questo percorso (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Italia dei Valori ha contribuito in modo rilevante all'elaborazione di questo testo unificato attraverso una propria proposta di legge, in gran parte recepita. Noi l'abbiamo presentata perché riteniamo che una Corte penale internazionale debba esistere come strumento di garanzia della realizzazione dei principi delle Nazioni Unite. Tra questi ve ne sono alcuni molto importanti, che vietano comportamenti contro l'umanità e che prevedono la possibilità di reprimere gravi delitti contro l'umanità.
Purtroppo, per le evenienze che continuamente la storia e le situazioni ci propongono, sembra proprio ci sia una necessità profonda che la Corte penale internazionale funzioni. Il fatto che alcuni Paesi dittatoriali siano contrari alla Corte penale internazionale e che non abbiano sottoscritto il relativo trattato si può anche capire, ma ci preoccupa e ci dispiace che alcune grandi potenze internazionali dell'Europa occidentale abbiano delle riserve nei confronti di questo strumento. Noi lo sosteniamo in maniera molto leale. Anche se con ritardo il nostro Paese sta esaminando questo testo, che si adegua alle norme dello statuto costitutivo della Corte penale internazionale. Avremmo presentato Pag. 49alcuni emendamenti - che crediamo importanti - e confidiamo nel fatto che il relatore li possa esaminare attentamente e possa eventualmente recepirli perché si tratta di emendamenti tecnici, importanti per il miglioramento del provvedimento, ma allo stato comunque il testo finora elaborato ci convince.
Perciò, signor Presidente, non mi dilungo oltre in questa sede di discussione sulle linee generale e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Palomba, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1439-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Pertanto il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 13,50).

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori e per richiamo al Regolamento con riferimento al prossimo provvedimento, di cui inizierà adesso la discussione sulle linee generali. Infatti, il gruppo dell'Italia dei Valori ha sollevato una questione procedurale al Presidente della Camera in ordine alla seduta nella quale è stato dato mandato al relatore. Avendo il nostro gruppo un suo rappresentante di minoranza, e avendo proceduto formalmente alla nomina di un sostituto, quando il sostituto si è presentato all'ora fissata per la riunione della Commissione ha scoperto che la riunione si era già tenuta e conclusa in quanto ne era stata anticipata la data senza che a lui, nonostante formalmente nominato come sostituto, fosse stata data alcuna comunicazione.
Poiché questo fatto ha comportato anche la decadenza di tutti gli emendamenti presentati dal gruppo dell'Italia dei Valori, ancorché essi siano stati fatti propri da altri gruppi parlamentari, cosa che però non è esattamente la stessa, credo che, prima di avviare la discussione sulle linee generali di questo provvedimento, sarebbe giusto conoscere la decisione della Presidenza in ordine a questo fatto, perché altrimenti verrebbe meno la validità stessa di ciò che ci stiamo accingendo a fare.

PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, prendo atto del suo intervento, le posso solo assicurare che il Presidente risponderà al suo rilievo prima dell'inizio del seguito della discussione del provvedimento. Formalmente non ho «argomenti» per evitare di passare al punto successivo all'ordine del giorno. Le assicuro, ripeto, che riceverà una risposta prima dell'inizio del seguito della discussione del provvedimento.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Tommaso Foti; Iannuzzi ed altri; Iannuzzi; Bocci ed altri: Disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici e dei borghi antichi d'Italia (A.C. 169-582-583-1129-A) (ore 13,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Tommaso Foti; Iannuzzi ed altri; Iannuzzi; Bocci ed altri: Disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici e dei borghi antichi d'Italia.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 19 aprile 2011.

Pag. 50

(Discussione sulle linee generali - A.C. 169-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Stradella, ha facoltà di svolgere la relazione.

FRANCO STRADELLA, Relatore. Signor Presidente, vorrei aggiungere un'osservazione in termini di descrizione di quello che il provvedimento si propone. Sto parlando della salvaguardia, nei limiti del possibile - attuata attraverso i finanziamenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, anche se dovrebbe essere un provvedimento che interessa più ministeri, trattando di cultura e turismo -, dei borghi antichi e dei centri storici del nostro Paese. Questi ultimi, infatti, rappresentano un patrimonio che non può essere lasciato al decadimento e all'usura del tempo. Su un giornale è stata pubblicata una notizia, sintomatica di quello che può succedere relativamente ad un piccolo borgo del milanese, Monte Canto, sopra Pontida; si tratta di un borgo del quattrocento comprato dalla regione Lombardia per un milione di euro e abbattuto perché pericolante. È una testimonianza della cultura lombarda, ma non solo, che si è persa per mancanza di risorse.
Se vogliamo evitare che questo accada e si perpetui in modo indefinito sul nostro territorio perché sono innumerevoli i centri meritevoli di questo intervento, possiamo evitare di approvare questo provvedimento, altrimenti si suggerirebbe di accelerarne addirittura l'iter e verificare la possibilità di ottenere i necessari finanziamenti.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Stradella, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica. È iscritto a parlare l'onorevole Bocci. Ne ha facoltà.

GIANPIERO BOCCI. Signor Presidente, il collega Stradella, relatore nonché veterano dei lavori della Commissione ambiente, ha ricordato le ragioni che hanno spinto alcuni colleghi, compreso il sottoscritto, a ripresentare anche in questa legislatura un disegno di legge per il recupero e la riqualificazione dei centri storici e dei borghi antichi d'Italia. L'onorevole Stradella non lo ha ricordato, io ricordo che già questa Camera nelle legislature XIV e XV, ha approvato pressoché all'unanimità disegni di legge sulla riqualificazione dei centri storici. Purtroppo l'altro ramo del Parlamento non ha avuto la possibilità di trasformare il progetto in una legge dello Stato.
Le ragioni che ci hanno spinti a presentare un disegno di legge in parte sono state ricordate, voglio ricordare che non c'è soltanto l'esigenza di tutelare una parte dell'Italia che rappresenta una delle ricchezze più straordinarie del nostro territorio, ma ci sono anche ragioni che vanno oltre la salvaguardia del patrimonio storico, artistico e paesaggistico. Si tratta di ragioni che abbiamo anche ricordato in occasione del dibattito sulla proposta di legge sui piccoli comuni e che riguardano l'economia di una parte del territorio nazionale. Faccio l'esempio delle tante straordinarie produzioni tipiche delle realtà montane e dei piccoli comuni.
Concludo il mio intervento ricordando una novità di rilievo che questa volta abbiamo rispetto alle altre due legislature e agli altri progetti di legge. È una novità che ho marcato nella mia proposta di legge, la quale riguarda obiettivi strategici che tendono a valorizzare i cosiddetti centri commerciali naturali. Insomma, si Pag. 51tratta di favorire la costituzione di uno o più esercizi commerciali, strutture ricettive, attività artigianali e di servizio, organizzati anche in forme societarie e che insistono proprio all'interno dei centri storici. Ho citato questa parte del provvedimento perché sostanzialmente sta a documentare quella premessa che ho fatto all'inizio del mio intervento: occorre non solo tutelare il nostro bene storico e artistico, ma anche dare una prospettiva di sviluppo e di crescita alle tante belle, piccole realtà dei borghi antichi d'Italia.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Bocci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Iannuzzi. Ne ha facoltà.

TINO IANNUZZI. Signor Presidente, il testo unificato per la riqualificazione dei centri storici al nostro esame viene da lontano, perché già nella XIV e nella XV legislatura questa Camera all'unanimità ha approvato un testo sostanzialmente analogo a quello che oggi, con il lavoro del relatore Stradella, che ringrazio, viene portato all'attenzione dell'Assemblea di Montecitorio. È un testo che parte da un'iniziativa bipartisan che nella XIV legislatura vide convergenti su questa linea, con proposte di legge distinte e autonome ma convergenti nelle finalità di fondo e nel significato complessivo, sia il sottoscritto sia il collega Foti. È stato un percorso legislativo che si è poi arricchito dalla XV legislatura con l'iniziativa del collega Bocci. Ed è un testo unificato che muove da un'idea guida precisa, che è quella di valorizzare i centri storici considerandoli un punto di forza, un punto di eccellenza e di qualità del sistema Italia, una risorsa unica, per tanti versi inimitabile, una peculiarità tutta del nostro Paese, una risorsa che non ha uguali e non ha riscontri nell'economia vorticosa del «villaggio globale» e che, quindi, non può temere quella concorrenza e quella competizione così aggressiva e violenta che il nostro Paese, come altri Paesi europei, è costretto a subire in tante produzioni, in tanti settori di attività economica e in tanti comparti del mercato globale, da parte delle grandi economie emergenti dell'Oriente, a cominciare dalla Cina e dalle altre «tigri asiatiche».
È evidente che il centro storico e i borghi antichi costituiscono una qualità, una caratteristica tutta del nostro Paese, che quindi deve essere messa a regime, deve essere messa a sistema, deve poter produrre e realizzare tutte le potenzialità e le risorse di cui in astratto è suscettibile. Il provvedimento che è ancora una volta al nostro esame muove anche da un'idea precisa, da una filosofia innovativa, lontana da ogni cultura dell'assistenzialismo e da ogni disegno di distribuzione di risorse e di finanziamenti «a pioggia». Questo testo unificato vuole promuovere interventi integrati pubblico-privati, che mettano assieme per la loro realizzabilità risorse finanziarie dello Stato e risorse finanziarie dei privati, prevedendo poi una corsia prioritaria per quei progetti di recupero dei centri storici in cui ci sia il contributo aggiuntivo ulteriore di risorse attinte dai propri bilanci da parte dei comuni e delle province, anche lasciando sullo sfondo un intervento finanziario ulteriore delle singole regioni. Quindi, l'intendimento del testo unificato è di mettere in moto e di innescare un processo e un percorso virtuoso per fare il modello e il sistema dei centri storici, stimolando e incentivando l'attivazione di tutte le risorse progettuali ed economiche dei privati. Anche l'oggetto e la tipologia - è l'altra breve considerazione che voglio rendere - degli interventi pubblico-privati di recupero e di riqualificazione dei centri storici sono molto chiari.
Prevede il recupero del patrimonio edilizio esistente dei privati, quindi con una chiara scelta del legislatore verso la ristrutturazione e la riutilizzazione dell'edificato esistente, magari vecchio, fatiscente e inadeguato, rispetto alla nuova edificazione, a cui si tenta il più possibile di Pag. 52porre un argine e un limite, ma anche la realizzazione di opere pubbliche, la manutenzione di beni pubblici, il miglioramento di servizi essenziali, una frontiera così importante come quella del consolidamento statico e antisismico degli edifici storici.
Naturalmente le risorse che poniamo in campo rappresentano soltanto un primo segnale: cinquanta milioni di euro sono assolutamente una cosa insufficiente, ma sono un segnale che vuole muoversi in una direzione precisa, che è quella di venire incontro, dare voce e creare una politica organica, misure serie, scelte chiare e coraggiose per un'idea di Paese che c'è. È un Paese profondo, che si collega anche al disegno della piccola, grande Italia, alla valorizzazione di un'Italia di qualità in cui vi sono borghi antichi e centri storici, bellezze naturali, volontà e desiderio di curare il territorio, capacità di proporre e intercettare fette nuove e significative della domanda turistica.
È un modello di Paese vero, nuovo, profondo; se è possibile usare questa espressione, un Paese antico, ma profondamente attuale, nel quale è anche possibile lavorare per recuperare e valorizzare quel senso profondo della comunità che è indispensabile per tenere, oggi più che mai, assieme e unito il nostro Paese. Ecco perché è un testo unificato che va nella direzione di scrivere pagine di buona politica, di buona legislazione e di buon operare di questa Assemblea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Libè, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Tommaso Foti. Ne ha facoltà.

TOMMASO FOTI. Signor Presidente, vedrò di andare molto velocemente. È già stato ricordato che questa proposta di legge, che il Parlamento, nel ramo della Camera, si accinge ad approvare, ha fatto un suo percorso: nelle due passate legislature è sempre stato approvato alla Camera.
Devo dire - non so se sia un auspicio o un motivo a contrario - che, ogni volta che questa proposta di legge è arrivata al Senato, si sono sciolte le Camere, e quindi non ha completato il suo iter; ma è stato un peccato, indubbiamente, visto il lavoro che è stato fatto in questi anni dalla Commissione, anche affinando il contenuto rispetto al passato. I testi che oggi sono stati riportati molto bene dal relatore, onorevole Stradella, in un testo unificato, direi pressoché da tutti condiviso, portano a delle valutazioni molto significative.
Abbiamo la necessità che la cosiddetta «bella Italia» sia una realtà e non soltanto una bella immagine da utilizzare qualche giorno all'anno. Abbiamo pensato che in questo Paese, dove molta gente vive durante la settimana nelle metropoli, si registra un fenomeno che merita attenzione, che è quello di una valorizzazione nel fine settimana di luoghi non estremamente frequentati, che hanno dietro di sé una storia antica, ma che, molto spesso, sono privi delle necessarie e indispensabili strutture che oggi un comune richiede.
Ancora, abbiamo in numerosi centri, borghi e aree del nostro Paese un patrimonio di inestimabile valore, che molto spesso rischia di essere disperso (lo faceva prima presente il collega Stradella). Si tratta di un patrimonio che, molto spesso, è soggetto e vittima di terremoti e di frane, ma che, con un minimo di accortezza, poteva e potrebbe essere salvato e riportato ai suoi antichi splendori. Questa proposta di legge, che oggi arriva all'attenzione della Camera, si preoccupa, certo, di recuperare, per quello che è possibile, i centri storici, artistici e paesaggistici in queste aree, ma soprattutto si pone anche il problema di un recupero significativo dell'area dei centri storici, lasciando ai comuni la facoltà di individuare e perimetrare quelle aree meritorie di un intervento.
Certo, abbiamo individuato i comuni fino a 5 mila abitanti perché quella ci pare l'indicazione forse più saggia per poter Pag. 53effettivamente svolgere un buon lavoro sotto questo profilo, fermo restando che non rimane un'indicazione vincolante per quanto riguarda il successivo esame degli emendamenti in Assemblea.
Penso anche al fatto di esserci posti il problema di valorizzare i centri commerciali naturali, dandone una sommaria indicazione proprio perché si vuol lasciare all'ente locale l'autonomia di una organizzazione di questi centri, anche al fine di valorizzare le migliori peculiarità della zona e di poter consentire una commercializzazione vasta di quei prodotti tipici di cui l'Italia abbonda e di cui può legittimamente andare fiera e farsene vanto.
Infine, ritengo che un elemento particolarmente qualificante di questo testo unificato di proposte di legge sia l'attribuzione del marchio «borghi antichi d'Italia». Su questo mi permetto di dire che già vi sono delle iniziative meritorie che si sono sviluppate nel Paese. Il fatto di porre in capo al Ministero e poi alla Conferenza unificata la possibilità di individuare quali siano i caratteri qualitativi per poter attribuire questo marchio mi sembra rappresenti un elemento di garanzia sostanziale per una valorizzazione del nostro patrimonio storico, culturale ed artistico quale ritengo il nostro Paese meriti e, soprattutto, meritino quei tanti borghi ai più sconosciuti, ma che, una volta visitati, lasciano il visitatore incantato, lo colpiscono e lo entusiasmo proprio per la bellezza e la naturalezza di quanto viene offerto e proposto.
È con questo spirito che mi auguro che il Governo possa unirsi al lavoro svolto dalla Commissione per poter inviare al Senato, senza particolari operazioni di «macelleria normativa», quello che è il testo approvato dalla Commissione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 169-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Stradella, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

MARIO MANTOVANI, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, rinunzio alla replica.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15 con lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta, sospesa alle 14,10, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro per i rapporti con il Parlamento, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro della difesa.

(Iniziative per l'adeguamento ed il miglioramento della linea ferroviaria Aosta-Chivasso - n. 3-01610)

PRESIDENTE. L'onorevole Nicco ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01610 concernente iniziative per l'adeguamento ed il miglioramento della linea ferroviaria Aosta-Chivasso (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, signor Ministro, in questi mesi si è molto discusso dell'Unità d'Italia.
Pag. 54
Uno dei principali strumenti dell'unificazione fu certamente la costruzione, nella seconda metà dell'Ottocento, di una rete ferroviaria che collegasse le differenti parti della penisola, compresa la Valle d'Aosta.
Oggi il Paese si sta dotando di una nuova importante rete nazionale, quella ad alta velocità, in connessione con la rete europea TEN-T. In Valle d'Aosta, al contrario, gli utenti dell'unica linea ferroviaria che collega quella regione al Paese e all'Europa, la linea Aosta-Chivasso, sperimentano ogni giorno una realtà radicalmente ed insopportabilmente diversa e non di rado, per il sovrapporsi di problemi infrastrutturali e gestionali, ritengono di essere ancora nella seconda metà dell'Ottocento.

PRESIDENTE. Onorevole Nicco, la prego di concludere.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Nell'interrogazione vengono richiamate le iniziative assunte nel corso degli ultimi anni per fronteggiare la situazione che non hanno dato alcun esito significativo e il cahier de doléances degli utenti si allunga ogni giorno.
Chiediamo, pertanto, al Governo quali iniziative intenda assumere, in quali tempi e con quali finanziamenti per un rapido e risolutivo intervento.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevole Ricco, le rispondo sulla base degli elementi forniti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
La tratta Chivasso-Ivrea è già stata elettrificata a seguito dei lavori completati nel dicembre 2006 e si sono conclusi anche i lavori di adeguamento della galleria di Caluso. Sono in corso le attività per la realizzazione della nuova sottostazione elettrica di Ivrea, la cui attivazione è prevista per il 2012.
Il finanziamento di 21 milioni di euro per la realizzazione di questi interventi è previsto nella tabella A, aggiornamento 2009, del contratto di programma 2007-2011 tra lo Stato e Rete Ferroviaria Italiana Spa.
Nella stessa tabella del contratto di programma è previsto un finanziamento di 40 milioni di euro per la progettazione esecutiva e la realizzazione del collegamento diretto della linea Chivasso-Aosta con la linea Torino-Milano, conosciuto come «Lunetta di Chivasso», e per altri interventi diffusi. L'attivazione della «Lunetta di Chivasso» è pianificata per l'anno 2016.
La progettazione preliminare dell'elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta con sistema 3 chilovolt è stata completata a giugno 2010 ed è stato avviato, presso il Ministero dell'ambiente, il procedimento di verifica e di assoggettabilità, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e di valutazione d'incidenza, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997. Il Ministero dell'ambiente, con provvedimento del 18 febbraio 2011, ha disposto l'esclusione del progetto dalla procedura di valutazione di impatto ambientale.
Secondo il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la progettazione preliminare dell'elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta ha preventivato in 81 milioni di euro la spesa di realizzazione dell'intervento che non ha, al momento, nessuna copertura finanziaria sia per la progettazione definitiva, sia per la realizzazione. I tempi stimati per la realizzazione dell'intervento di elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta sono di circa quarantatré mesi.
Lo scorso 6 marzo sono state introdotte alcune modifiche nel servizio ferroviario sulla linea Torino-Aosta riguardanti, sostanzialmente, il cambio da treno elettrico a diesel e viceversa. Infatti, ai treni a trazione diesel è stato inibito il transito nella galleria passante sotterranea di Torino Porta Susa a seguito di ordinanza dell'amministrazione comunale di Torino. Pag. 55
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti evidenzia che la modernizzazione della linea ferroviaria Aosta-Chivasso è inserita fin dal 2006 in tutti i documenti di programmazione stipulati tra la regione autonoma Valle d'Aosta e il Governo italiano e che nella rimodulazione dell'intesa istituzionale-quadro 2010, in corso di rielaborazione tra la regione e il Governo, l'opera continua a conservare il suo carattere di strategicità, peraltro confermato anche dall'Allegato infrastrutture alla Decisione di economia e finanza all'attenzione del Parlamento.

PRESIDENTE. L'onorevole Nicco ha facoltà di replicare.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, ringrazio il Ministro per la risposta e per gli elementi forniti che mi sembra non rappresentino, però, quella svolta di cui noi abbiamo bisogno su questa infrastruttura.
Le ricordo che stiamo parlando del collegamento con una rete ferroviaria nazionale e internazionale di una regione, che è certamente la più piccola del Paese, ma che ha dignità istituzionale di Regione. Quel collegamento, ovvero la linea ferroviaria Aosta-Chivasso, rappresenta oggi per la regione Valle d'Aosta la principale criticità infrastrutturale.
Noi pensiamo che ci voglia una svolta e che occorra una cabina di regia al massimo livello (i Ministeri competenti, le due regioni Valle d'Aosta e Piemonte e Rete Ferroviaria Italiana) per definire finalmente un cronoprogramma di questi interventi e soprattutto poi anche le modalità di copertura degli oneri quantificati nell'intesa generale-quadro che lei ha ricordato.
Noi vediamo, proprio anche nel documento che lei ha citato, il Programma delle infrastrutture strategiche, che si continua a parlare e a sovrapporre due questioni: una è quella della modernizzazione della linea esistente; la seconda è quella del collegamento internazionale della Valle d'Aosta o del nord Italia con la Svizzera.
Già c'è stata in passato una felice intuizione per un collegamento internazionale attraverso la Valle d'Aosta, ma stiamo parlando degli anni ottanta. Oggi che la rete europea e i collegamenti attraverso le Alpi sono state definiti, abbiamo la preoccupazione che continuare a parlare di questa nuova tratta, così come definita in questo documento, Martigny-Aosta-Ivrea significhi sostanzialmente un diversivo.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Nicco.

ROBERTO ROLANDO NICCO. In conclusione, signor Presidente, abbiamo invece bisogno di fornire risposte che siano concrete, precise, rapide e credibili a quella che è una situazione di una linea ferroviaria che rappresenta, purtroppo, una completa e organica summa di tutto ciò che non dovrebbe essere il trasporto pubblico nel nostro Paese.
Comunque, prendiamo intanto per buono l'impegno di questo Governo e su questo continueremo a lavorare.

(Iniziative in relazione ad episodi di intimidazione e minaccia nei confronti di amministratori locali in Calabria - n. 3-01611)

PRESIDENTE. L'onorevole Tassone ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01611, concernente iniziative in relazione ad episodi di intimidazione e minaccia nei confronti di amministratori locali in Calabria (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

MARIO TASSONE. Signor Presidente, senza mancare di rispetto nei confronti del Ministro per i rapporti con il Parlamento, avrei preferito che fosse presente il Ministro dell'interno. Noi avevamo anche aggiornato la nostra interrogazione a risposta immediata su richiesta del Ministro Maroni. Non vi è dubbio che il rinvio ulteriore avrebbe svuotato di significato l'atto di sindacato ispettivo in questione.
Credo che sia abbastanza chiara la nostra interrogazione, signor Presidente, onorevole Ministro. Noi denunciamo fatti Pag. 56e vicende che stanno certamente creando grande preoccupazione nella regione Calabria. Sono minacce, intimidazioni, violenze e danneggiamenti a beni mobili e immobili di amministratori. L'ultimo episodio riguarda il consigliere regionale Gallo, sindaco di Cassano all'Ionio, conosciuto come amministratore corretto, che ha rilanciato e soprattutto riqualificato la gestione amministrativa di Cassano all'Ionio.
Noi chiediamo interventi e soprattutto una politica rispetto a delle vicende che sono forse passate sotto silenzio o sono state minimalizzate da parte del Governo.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signora Presidente, onorevole Tassone, rispondo comunque sulla base degli elementi forniti dal Ministero dell'interno e voglio ricordare la consueta disponibilità che il Ministro Maroni ha sempre avuto nei confronti del Parlamento.
La questione delle intimidazioni nei confronti degli amministratori pubblici, con particolare riferimento a sindaci, assessori, consiglieri comunali della regione Calabria, è da tempo all'attenzione del Governo. Per quanto riguarda il fenomeno nel suo complesso, nel corso del primo trimestre del corrente anno, secondo i dati forniti dall'Arma dei carabinieri, il numero degli atti intimidatori nei confronti di amministratori locali della Calabria risulta in calo di circa il 13 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2010. Comunque, a dimostrazione dell'attenzione riservata alle situazioni di esposizione a rischio il Ministero dell'interno segnala che nella regione sono attualmente in atto 191 servizi di vigilanza in favore di altrettanti amministratori e politici locali, disposti dalle competenti autorità provinciali di pubblica sicurezza.
Quanto poi agli atti intimidatori nei confronti del sindaco di Cassano all'Ionio in provincia di Cosenza, la questione è stata esaminata in diverse riunioni tecniche di coordinamento delle forze di polizia, nel corso delle quali è stata intensificata la misura di vigilanza già in atto presso l'abitazione del sindaco e quella del suo nucleo familiare. Analogamente è stata intensificata la misura di vigilanza nei confronti del presidente del consiglio regionale della Calabria, già in atto presso l'abitazione e presso la sede della segreteria politica.
Su entrambi gli episodi sono in corso indagini coperte da segreto istruttorio. Comunque, le posizioni degli amministratori vittime di atti intimidatori sono costantemente valutate in ordine al livello di esposizione al rischio per ogni necessario adeguamento delle misure di prevenzione in atto. A riprova, poi, della straordinaria azione di contrasto svolta sul territorio dalle forze di polizia contro la 'ndrangheta per la salvaguardia delle istituzioni e della civile convivenza, il Ministero ricorda le 205 operazioni che hanno portato, dall'insediamento del Governo a oggi, alla cattura di 2.654 affiliati alla 'ndrangheta. Nello stesso periodo sono stati arrestati sull'intero territorio nazionale 69 pericolosi latitanti legati alla 'ndrangheta, di cui 63 nella regione Calabria; inoltre, sono stati sequestrati 5.901 beni per un valore superiore a due miliardi e mezzo di euro, di cui 4.057 nella sola regione Calabria, per un valore di oltre un miliardo e 600 milioni di euro e confiscati 1.239 beni, per un valore di oltre 500 milioni di euro, di cui 843 in Calabria per un valore di circa 300 milioni di euro. Risultati che hanno trovato un'ulteriore conferma nell'eccezionale operazione del 21 aprile scorso della Guardia di finanza e dei carabinieri di Reggio Calabria che ha portato al sequestro di beni per un valore di 190 milioni di euro riconducibili alla cosca Pesce di Rosarno.

PRESIDENTE. L'onorevole Tassone ha facoltà di replicare.

Pag. 57

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione la risposta del Ministro Vito. Quando si parla di percentuali, del 13 per cento in meno, andrei molto cauto, perché non credo che ci sia ormai un trasporto e una fiducia nelle denuncia da parte di chi è vittima o destinataria di minacce e intimidazioni.
Voglio dir questo perché in centinaia di intimidazioni e violenze di cui sono stati oggetto sindaci, amministratori provinciali e comunali e consiglieri regionali non si è avuta notizia dell'individuazione dei responsabili. Ma c'è un altro aspetto: ad esempio, il sindaco di Cassano all'Ionio, l'avvocato Gallo, ha ricevuto una serie di sms per mesi, con minacce di morte alla propria famiglia e tutto questo non ha avuto nessun riscontro per quanto riguarda un'azione non dico di contrasto ma di individuazione e quindi di repressione dei responsabili. Allora qualcosa manca. Nessuno ovviamente ha messo in discussione il risultato che i magistrati e le forze dell'ordine hanno raggiunto in Calabria nella lotta e nel contrasto alla criminalità organizzata, quindi alla 'ndrangheta. Però se questo aspetto della criminalità comune che nasce ovviamente da un disegno esistente, se questa vicenda non viene ad essere monitorata e continua in termini oppressivi, certamente questi grandi risultati contro la criminalità organizzata saranno vanificati.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, la prego di concludere.

MARIO TASSONE. Per cui, signor Presidente, signor Ministro, non sono molto soddisfatto della risposta. È una risposta che non prende coscienza di questa nuova realtà: molti, tutti gli amministratori subiscono un'azione di intimidazione, c'è un affievolimento della vita democratica e dei principi di libertà in questa nostra regione che sembra essere sotto sequestro e non credo ci sia una risposta adeguata e puntualmente attrezzata da parte delle istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

(Elementi in merito alla matrice degli attentati di natura politica compiuti negli ultimi anni e iniziative per intensificare il sistema dei controlli al fine di tutelare la sicurezza di chi ricopre incarichi «sensibili» - n. 3-01612)

PRESIDENTE. L'onorevole Paglia ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01612, concernente elementi in merito alla matrice degli attentati di natura politica compiuti negli ultimi anni e iniziative per intensificare il sistema dei controlli al fine di tutelare la sicurezza di chi ricopre incarichi «sensibili» (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

GIANFRANCO PAGLIA. Signor Presidente, dopo l'attentato avvenuto il 31 marzo scorso presso la caserma «Ruspoli» che ha colpito il tenente colonnello Alessandro Albamonte, capo di Stato maggiore della brigata Folgore, chiedo al Ministro cosa si sta pensando di fare e quali possano essere le iniziative per evitare che episodi del genere possano ripetersi. Per quanto mi riguarda questo è un vero e proprio attacco al sistema.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, rispondo all'onorevole Paglia sulla base degli elementi forniti dal Ministro dell'interno.
Alle ore 16 circa del 31 marzo scorso a Livorno, presso il Comando brigata dei paracadutisti della Folgore in viale Marconi, è deflagrato un plico esplosivo indirizzato al comandante dello Stato maggiore. Lo scoppio ha provocato il ferimento alle mani e al volto del tenente colonnello Alessandro Albamonte che si accingeva ad aprire la busta con all'interno un volantino a firma FAI-Rete internazionale. Sull'episodio sono in corso indagini del ROS di Firenze delegato dalla DDA del capoluogo. Pag. 58
La sigla FAI - Federazione anarchica informale - era già stata utilizzata in precedenza per rivendicare tre attentati commessi tra dicembre 2009 e marzo 2010 presso un Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo in provincia di Gorizia, presso l'Università Bocconi, e presso l'ufficio postale di piazzale Lugano a Milano.
Il Ministero dell'interno assicura che l'operatività di tutte le strutture investigative, di intelligence e degli apparati di prevenzione e di vigilanza è ai massimi livelli.
Nella stessa giornata del 31 marzo episodi analoghi si sono verificati in Svizzera, ove è esploso un ordigno giunto per posta con affrancatura italiana nei pressi della sede della Federazione dell'industria nucleare svizzera, e in Grecia, vicino ad Atene, dove un'altra busta esplosiva, indirizzata al direttore del locale carcere di massima sicurezza veniva intercettata dalla polizia greca.
In entrambi gli episodi veniva rinvenuto un comunicato, contributo al dibattito delle Sorelle in armi - Nucleo Mauricio Morales, seguito dalla medesima sigla FAI - Rete internazionale.
I fatti evidenziati e i contatti virtuali che quotidianamente avvengono tramite le inserzioni su siti Internet ed alias secondo la Direzione centrale della polizia di prevenzione segnalano una progressiva internazionalizzazione della lotta che coinvolge oltre i Paesi comunitari tradizionalmente interessati da episodi definiti di ribellismo insurrezionale - come Italia, Grecia e Spagna - anche realtà extraeuropee quali Cile, Messico e Argentina in cui è considerevole la presenza dei gruppi anarchici.
Con riferimento agli episodi criminosi del 31 marzo sono stati intensificati i contatti fra gli uffici di polizia dei Paesi interessati anche attraverso riunioni ad hoc finalizzate allo scambio di informazioni utili a fini investigativi.
Il Ministero dell'interno infine segnala - onorevole Paglia - i contatti in corso tra la polizia postale e Poste Spa per garantire migliori standard di sicurezza, e soprattutto il potenziamento delle misure preventive di cautela e di controlli radiogeni sui plichi più a rischio.

PRESIDENTE. L'onorevole Paglia ha facoltà di replicare.

GIANFRANCO PAGLIA. Signor Ministro, sono contento che comunque qualcosa si stia muovendo in tal senso, anche perché si è dato poco spazio all'episodio e all'importanza di quanto accaduto il 31 marzo.
Spero obiettivamente che il Ministero dell'interno e il Ministro Maroni (che da questo punto di vista ha la mia piena fiducia) non abbassino mai la guardia in modo tale che episodi del genere non avvengano più. Quindi, ancora grazie.

(Iniziative di competenza per la riduzione dei premi assicurativi, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia - n. 3-01613)

PRESIDENTE. L'onorevole Iannaccone ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01613, concernente iniziative di competenza per la riduzione dei premi assicurativi, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signor Ministro, la mia interrogazione trae spunto da una vicenda di qualche settimana fa, e che ha riguardato le Assicurazioni generali.
In consiglio di amministrazione dieci consiglieri hanno presentato una mozione di sfiducia nei confronti del presidente, il dottor Geronzi, il quale si è dimesso e pare che abbia avuto come liquidazione un compenso di 16,65 milioni di euro (circa 34 miliardi delle vecchie lire).
La vicenda non è solo scandalosa perché è scandalosa, ma perché stride con l'aumento dei premi assicurativi, in modo particolare nelle regioni meridionali dove non solo c'è stato un incremento notevole Pag. 59dei premi assicurativi ma anche una riduzione dei posti di lavoro per la chiusura di numerose agenzie assicurative.
Quindi, la richiesta è di sapere se il Ministro stia assumendo iniziative per intervenire in un settore così delicato.

PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, ha facoltà di rispondere.

PAOLO ROMANI, Ministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, il Ministero dello sviluppo economico segue con particolare attenzione l'andamento dei premi assicurativi, in particolar modo per quanto riguarda il livello elevato raggiunto dalle tariffe in alcune aree del Mezzogiorno d'Italia, anche rispetto alle medie europee.
Al riguardo, ho tenuto personalmente incontri con i vertici nazionali di ISVAP e di ANIA per analizzare i diversi aspetti del problema e le diverse proposte sulle iniziative da adottare per il contenimento delle tariffe assicurative.
Il Ministero ha supportato e condiviso l'iniziativa parlamentare, attualmente in corso, per istituire una struttura ad hoc che, operando in stretta sinergia con le forze di polizia e le autorità giudiziarie, coordini e rafforzi in modo significativo le attività di prevenzione delle frodi nel settore dell'RC-auto.
Per accelerare il più possibile l'iter legislativo, il nostro Dicastero, lo scorso 15 aprile, ha, infatti, dato l'assenso alla sede legislativa in Commissione finanze alla Camera.
È, inoltre, in corso di definizione il regolamento di standardizzazione dei risarcimenti in base alla tabellazione delle menomazioni e del relativo valore dei punti di invalidità, anche per le macrolesioni, già previsto dal Codice delle assicurazioni. Il relativo schema di decreto del Presidente della Repubblica è attualmente sottoposto al parere del Consiglio di Stato da parte del Ministero della salute.
Vanno segnalate anche iniziative da parte di ISVAP rivolte a contrastare le violazioni dell'obbligo assicurativo e i comportamenti anomali da parte di imprese assicurative che propongono, a determinate categorie di assicurati, tariffe elevate e prive di reale connessione con gli indicatori di rischio.
Infine, fra le iniziative curate dal Ministero, è da segnalare l'introduzione del preventivatore unico al fine di migliorare l'informazione dei consumatori e di favorirne comportamenti consapevoli utili a migliorare la concorrenza nel settore.
Per quanto concerne un maggiore rigore nei confronti di politiche di remunerazione dei vertici aziendali, va specificato che tali scelte sono, purtroppo, rimesse all'autodeterminazione degli organi sociali e all'autonomia delle singole imprese. Tuttavia, l'ISVAP sta lavorando alla definizione di un regolamento che punti a contenere le remunerazioni nelle imprese di assicurazione, con particolare riferimento agli amministratori, ai dirigenti e al personale delle imprese medesime. Il Ministero, per quanto di sua competenza, supporterà l'entrata in vigore di questo provvedimento che potrà avere ricadute sensibili sul fronte della razionalizzazione dei compensi.

PRESIDENTE. L'onorevole Iannaccone ha facoltà di replicare.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signor Ministro, la ringrazio per la risposta e mi auguro che tutte le iniziative di cui lei ha parlato possano produrre risultati positivi.
Noi, però, dobbiamo partire da un dato: le compagnie assicurative, in Italia, stanno facendo «cartello» danneggiando i cittadini, aggirando le norme sulla concorrenza; e continuano in questa politica di aumento e di rincaro dei premi assicurativi che penalizza in modo particolare le regioni meridionali, come lei ha ricordato.
Non ci si può nascondere solo dietro l'alibi delle cosiddette frodi che, sicuramente ci sono e rappresentano un fenomeno che va combattuto; lei stesso ha preannunciato un sostegno ad un'iniziativa di tipo di parlamentare. Se, però, non si interviene in maniera efficace da subito, i Pag. 60cittadini italiani saranno costretti a non circolare più in auto.
Vi è una difficoltà oggettiva, in modo particolare nelle regioni meridionali, a stipulare dei contratti assicurativi. Se lei pensa che, per assicurare un motociclo, si deve pagare un premio di circa 2 mila euro, si renderà conto che praticamente, in modo particolare nelle regioni meridionali, ci sono impedimenti difficili da superare (Applausi dei deputati del gruppo Iniziativa Responsabile).

(Intendimenti del Governo in relazione alla predisposizione di un piano energetico nazionale, con particolare riferimento allo sviluppo delle energie rinnovabili - n. 3-01614)

PRESIDENTE. L'onorevole Rota ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01614, concernente intendimenti del Governo in relazione alla predisposizione di un piano energetico nazionale, con particolare riferimento allo sviluppo delle energie rinnovabili (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

IVAN ROTA. Signor Presidente, signor Ministro, ieri il Capo del Consiglio dei ministri ha tolto la maschera e ha detto in maniera chiara che il nucleare è la migliore fonte di energia e non intende rinunciarvi. Questo mentre sono riconosciuti ormai dappertutto, in tutto il mondo, la potenzialità, la sostenibilità e i vantaggi legati alle fonti alternative e alle fonti rinnovabili, fonti alternative e rinnovabili che non hanno avuto, in tre anni di legislatura, un sostegno particolare da parte di questo Governo, anche perché era interessato a portare avanti la fonte arricchente per le piccole lobby, che è quella del nucleare.
Allora, considerata l'ottusità finora dimostrata da questo Governo nonostante gli accadimenti mondiali e fatte queste premesse, a nome di Italia dei Valori e a nome dei cittadini che ci stanno seguendo le chiediamo, signor Ministro, se non ritenga urgente varare un nuovo piano energetico, che superi definitivamente la nefasta parentesi nucleare garantendo le necessarie risorse finanziarie allo sviluppo delle energie rinnovabili (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, ha facoltà di rispondere.

PAOLO ROMANI, Ministro dello sviluppo economico. Il Governo, come lei sa, ha previsto nel 2008 il ritorno al nucleare secondo un programma delineato e definito dalla cosiddetta legge sviluppo votata dal Parlamento. Tale programma è stato superato dagli accadimenti di Fukushima, in risposta ai quali è stata tempestivamente decisa prima una moratoria e successivamente, a causa dell'evolversi della situazione giapponese, l'abrogazione dell'impianto normativo del ritorno all'atomo, ottenendo così lo stesso effetto di un eventuale esito abrogativo del referendum previsto.
Non basta comunque dire «no» al nucleare per assicurarsi che anche il nostro Paese non sia coinvolto nelle conseguenze di un incidente ad una delle centrali nucleari poste sul territorio europeo, dalle quali per di più importiamo energia per il nostro fabbisogno.
In questa settimana è stata continua la consultazione con gli altri Paesi europei, nei quali le scelte che stanno maturando hanno tutte la medesima finalità: alzare i livelli di sicurezza attraverso standard di massima garanzia e rafforzare la ricerca.
Ci siamo inseriti in questo percorso, al quale vogliamo contribuire con l'avvio della nostra Agenzia per la sicurezza nucleare.
Al tempo stesso l'emendamento proposto dal Governo e approvato al Senato affida di nuovo al Governo il compito di predisporre la strategia energetica nazionale. Fra parentesi, del decommissioning lei ha parlato nella sua interrogazione a risposta immediata e sorprende che ci si accorga solo ora di un costo che grava sulla collettività fin dal 1987, cioè da quando si decise di abbandonare il nucleare Pag. 61in Italia, e che continueremo a pagare fino a quando non avremo dismesso e trattato tutti i materiali radioattivi. Non è un costo, quindi, legato alla scelta del nucleare, quanto piuttosto alla scelta del «no» al nucleare.
Il sistema Paese ha investito, sta investendo ed investirà nelle energie rinnovabili. Il decreto di cui parla l'onorevole interrogante è un decreto attuativo, uno dei molti decreti previsti dal decreto legislativo sulle rinnovabili, e che regola, nell'ambito dei criteri già fissati dal decreto legislativo, il nuovo sistema di incentivazione dell'energia fotovoltaica.
Non so di quale bozza parli l'onorevole interrogante. L'unico testo valido è quello che domani sarà sottoposto al parere delle regioni e che è il frutto di un lungo, complesso ed articolato confronto con tutte le parti interessate, produttori di fotovoltaico ed altre fonti rinnovabili, consumatori e grandi energivori, e se lei non lo sa non faccia altro che informarsi.

FABIO EVANGELISTI. Guardi che è lei che deve rispondere!

PAOLO ROMANI, Ministro dello sviluppo economico. Per quanto riguarda, in particolare, il ruolo delle fonti rinnovabili, non condivido in alcun modo la critica per cui il Governo in questa legislatura o è rimasto inerte o ha agito in modo contraddittorio. Obiettivo del decreto, in attuazione del decreto legislativo n. 28 del 2011 ed in coerenza con gli obiettivi condivisi a livello di Unione europea, è offrire strumenti di incentivazione efficaci nel favorire lo sviluppo della filiera, accompagnare il settore al raggiungimento della competitività, garantire la sostenibilità economica per il sistema Paese, in modo tale che possa davvero rappresentare, anche in virtù delle successive innovazioni tecnologiche, una valida alternativa per la copertura del fabbisogno energetico nazionale.

PRESIDENTE. Deve concludere.

PAOLO ROMANI, Ministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, ho quasi concluso. Rispondo, quindi, in ultimo rassicurando l'onorevole interrogante in merito alla nuova strategia energetica nazionale, da ridefinire alla luce di quanto è accaduto e di quanto è previsto dall'emendamento al decreto-legge omnibus, che vedrà sicuramente un impulso alle rinnovabili, finalmente competitive grazie al nuovo sistema di incentivazione, ma che dovrà tener conto anche di altri temi altrettanto importanti, come l'efficienza energetica, il risparmio energetico ed il completamento delle reti intelligenti.

PRESIDENTE. L'onorevole Rota ha facoltà di replicare.

IVAN ROTA. Signor Presidente, signor Ministro, evito di soffermarmi sull'arroganza e sull'insolenza con cui, nella sua risposta, mi invita a documentarmi meglio.

PAOLO ROMANI, Ministro dello sviluppo economico. Lei mi da dell'ottuso e io le rispondo per le rime!

IVAN ROTA. Signor Ministro, sono documentato e lo sono altrettanto i cittadini italiani che ci stanno seguendo: la risposta non mi soddisfa, non soddisfa me, non soddisfa l'Italia dei Valori e non può convincere neppure i cittadini che seguono con preoccupazione l'evolversi del dramma di Fukushima e che hanno ancora l'incubo degli accadimenti di 25 anni fa a Chernobyl.
In queste settimane, questo Governo ha messo in atto il solito copione: dire tutto e il contrario di tutto. Signor Ministro, abbiamo sentito lei, il Ministro Prestigiacomo, altri Ministri di questo Governo e il suo Presidente, anzi, Capo del Consiglio dei ministri confondere le idee con lo scopo di perseguire con cinismo i propri interessi, che, in questo caso, si chiamano il «business del progetto nucleare».
State dicendo agli italiani che il Governo non perseguirà il progetto nucleare. Ebbene, signor Ministro, evidentemente, io sono poco documentato, ma lei ascolta poco le dichiarazioni di ieri del suo Capo del Consiglio dei ministri. Proprio ieri, Pag. 62infatti, Berlusconi, in una conferenza stampa con Sarkozy, diceva che il nucleare è il miglior sistema di approvvigionamento energetico mondiale. Lo diceva ancora ieri, con un «emendamento truffa», come quello che lei, signor Ministro, ha menzionato prima decantandolo, invece, in maniera positiva, che non sospende o annulla definitivamente il progetto del nucleare, ma è un emendamento antireferendum.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Rota.

IVAN ROTA. Lo ha detto il suo Capo del Consiglio dei ministri proprio ieri, dicendo che i sondaggi alla mano lo portavano a procrastinare e a spostare il progetto nucleare ad uno o due anni, affinché questo non cadesse vittima e nella trappola del referendum del 12 e 13 giugno. Un referendum in cui gli italiani avranno l'occasione di dire non solo «no» al nucleare, ma «no» a questo Governo con la sua arroganza e con la sua insolenza che anche lei, signor Ministro, ha avuto modo di evidenziare, dicendo al sottoscritto, come di solito si dice agli italiani, di informarsi meglio. Siamo informati, signor Ministro (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

(Iniziative di competenza volte a favorire la partecipazione ai bandi pubblici di aziende europee che non abbiano delocalizzato le loro produzioni - n. 3-01615)

PRESIDENTE. L'onorevole Chiappori ha facoltà di illustrare l'interrogazione Reguzzoni n. 3-01615, concernente iniziative di competenza volte a favorire la partecipazione ai bandi pubblici di aziende europee che non abbiano delocalizzato le loro produzioni (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, mi rivolgo al Ministro, perché prendiamo ad esempio l'ultimo bando di gara pubblicato, concernente la fornitura di 79 mila completi da lavoro per i postali; ciò era già accaduto per la difesa.
Naturalmente, questi bandi riportano i requisiti che comprendono esplicitamente le certificazioni ISO14001 e ISO9001. Tuttavia, quando nel bando di gara è indicata la somma di 210 euro come totale del kit, evidentemente, ci troviamo di fronte ad un problema reale. Infatti, la somma dei costi di questi materiali, compresa la manodopera, nel nostro Paese, arriva ben oltre a tale cifra. Quindi, apriamo una via infinita ai mercati asiatici o, comunque, a produttori europei che realizzano la produzione in Asia.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Chiappori.

GIACOMO CHIAPPORI. Pertanto, chiediamo al Ministro quali siano le iniziative di competenza per poter non dico tutelare il made in Italy, ma, comunque, per far sì che queste commesse non superino i confini europei, andando a finire in Asia o in Cina, come di solito accade.

PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, ha facoltà di rispondere.

PAOLO ROMANI, Ministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, premetto che le informazioni contenute in questa risposta sono state fornite dalla stessa società Poste italiane, dal momento che l'autonoma attività contrattuale di tale società non rientra nella funzione di vigilanza svolta dal Ministero dello sviluppo economico.
Come ricordano gli onorevoli interroganti, il 7 febbraio scorso, è stato pubblicato il bando di gara per la fornitura dei completi da lavoro degli addetti di Poste italiane, che prevede il rispetto di stringenti standard di qualità, anche ambientali, dettati dalle regole tecniche di certificazione. Il capitolato prevede un articolato collaudo finalizzato a verificare la rispondenza dei prodotti proposti alle previsioni tecniche, pena l'annullamento dell'aggiudicazione. Pag. 63
In merito al quesito posto dagli interroganti sui prezzi posti a base d'asta, si segnala che essi non possono essere oggetto di iniziative a carattere normativo da parte del nostro Ministero, in quanto la disciplina è stabilita a livello comunitario con direttive recepite nel Codice dei contratti pubblici. L'articolo 234 del Codice prevede, infatti, una specifica disposizione volta a tutelare la concorrenza rispetto ai prodotti dei Paesi terzi. A tale proposito, gli enti aggiudicatori hanno la facoltà di prevedere nell'avviso di gara che non sono ammesse offerte in cui la parte dei prodotti originari di Paesi terzi superi il 50 per cento del valore totale dei prodotti che compongono l'offerta.
D'altra parte, la vigente normativa non esclude la possibilità, per imprese comunitarie, di partecipare a gare d'appalto, proponendo prodotti, o loro componenti, provenienti da Paesi terzi.
Con riferimento al caso concreto, posso comunque rilevare come il prezzo unitario a base d'asta, di 210 euro, per un kit di vestiario per gli addetti al recapito, possa, in effetti, apparire modesto, qualora non vengano considerate le economie di scala giustificate dall'ampiezza della fornitura.
Aggiungo che, dal momento che la gara oggetto dell'interrogazione è in corso di svolgimento, il Governo si impegna - se richiesto in sede parlamentare - a dare conto degli sviluppi che potranno verificarsi, facendosi comunque parte diligente affinché Poste Italiane possa effettuare tutti i controlli e le verifiche previste, come ho appena ricordato, dalla normativa vigente, con particolare riferimento alla sussistenza dei requisiti soggettivi e di idoneità tecnica dei soggetti partecipanti al bando di gara in esame, nonché alla qualità dei prodotti che verranno forniti e al loro grado di protezione dagli agenti atmosferici.

PRESIDENTE. L'onorevole Chiappori ha facoltà di replicare.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro. Mi devo dichiarare soddisfatto in parte e con qualche dubbio ancora. È, infatti, evidente che quel prezzo, quella base d'asta equivale ad aprire direttamente le porte a mercati paralleli che non sono i nostri. Effettivamente succede che, come ho detto prima, per quanto riguarda addirittura i costi del materiale e della manodopera, con le nostre imprese italiane non riusciamo ad arrivare, né a formulare una mezza lira di più o di meno, anzi quasi potremmo comprarli noi per andare a vederli e guadagnarci qualche cosa: questo è il commercio in generale.
Quello che le avevamo chiesto e che le continueremo a chiedere, è quanto segue: noi rispettiamo tutte le direttive europee. Abbiamo rispettato la Bolkestein, stiamo dietro a quella della Damanaki, stiamo dietro alle direttive europee di tutta l'Europa. Sempre ce le trasmettono e poi, sforando un po' nel ragionamento, non siamo capaci di dire che qualche direttiva dovrebbero vederla anche loro, quando noi siamo invasi dai tunisini e loro non li vogliono accogliere. Rispetteremo anche queste direttive. Possiamo anche rispettarle tutte le volte, però ricordiamoci che quando i nostri imprenditori non riusciranno ad entrare sul mercato perché questi sono i prezzi, poi, magari, quando quelle fabbriche chiuderanno, noi andremo a chiedere o a vedere quali sono i correttivi per poterle tenere aperte.
Pertanto, la richiesta era precisa. È evidente che noi dobbiamo seguire le regole: lei lo deve fare e, giustamente, mi ha risposto. Niente da dire su questo. Però, l'interrogante diceva: stiamo attenti, vediamo se ci possono essere correttivi, vediamo se possiamo aggiungere qualche cavillo importante, per dire, nelle more, non solo: Asia, venite, la porta è aperta; ma anche: Europa, forse potete esserci anche voi. Forse quel «210 euro a pezzo» potrebbe risalire anche un po'. Infatti, a mio avviso, rimanere comunque ad un prezzo leggermente più alto potrebbe portarci, domani, ad avere qualche posto di lavoro in più. Non mi sembra che sia protezionismo. Una volta si parlava di dazi. Ci hanno detto che i dazi sono una vergogna: ce lo hanno detto quelli di Pag. 64destra, ce lo hanno detto quelli di sinistra, ce lo hanno detto tutti. Forse, magari, dobbiamo fare un po' di protezione sul mercato, altrimenti, «Ciao Nina» anche da questa parte qua, insomma (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Iniziativa Responsabile).

PRESIDENTE. Dovremmo ora passare all'interrogazione dell'onorevole Franceschini n. 3-01616, rivolta al Ministro della difesa, il quale è impegnato nelle Commissioni congiunte, Affari esteri e Difesa, per una comunicazione del Governo sui recenti avvenimenti che riguardano la nostra presenza in Libia.
Il Ministro ha terminato di parlare e sta raggiungendo l'Aula. Ecco, è arrivato il Ministro.

(Chiarimenti sulle regole di ingaggio e sulle nuove tipologie di missioni affidate alle Forze armate italiane sul territorio libico - n. 3-01616)

PRESIDENTE. L'onorevole Maran ha facoltà di illustrare l'interrogazione Franceschini ed altri n. 3-01616, concernente chiarimenti sulle regole di ingaggio e sulle nuove tipologie di missioni affidate alle Forze armate italiane sul territorio libico (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, signor Ministro, nel futuro della Libia l'Italia ha una posta in gioco importante: sono in gioco la nostra sicurezza, i nostri interessi, i nostri valori. Non si tratta di combattere una battaglia di politica interna ma, come sanno tutti, il Governo ha oscillato a lungo prima di abbracciare fino in fondo la linea dell'alleanza - poi confortata da un amplissimo consenso in Parlamento - e ogni giorno assistiamo all'alternarsi continuo, ondivago, di posizioni diverse espresse da autorevoli membri del Governo.
Bossi ha minacciato di votare contro in Consiglio dei ministri e al malumore dei leghisti sia è aggiunto quello dei sottosegretari Mantovano e Giovanardi. La domanda è molto semplice: alla luce dei dissensi e dei contrasti quotidiani nel Governo, quali sono le nuove missioni concordate a livello internazionale e se, soprattutto, saranno confermate.

PRESIDENTE. Il Ministro della difesa, Ignazio La Russa, ha facoltà di rispondere.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Signor Presidente, mi scuso per essere arrivato solo in questo momento, ma ero impegnato nell'informativa alle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato, nel corso della quale abbiamo svolto con più tempo, e quindi con più possibilità argomentare, argomenti che oggi vengono riproposti in questa interrogazione.
Avviso subito che la risposta migliore a ciò che sta avvenendo nel dibattito interno al Governo è stata data proprio nelle Commissioni dove, il presidente di gruppo della Lega, Reguzzoni, ha affermato in maniera chiara e precisa che l'opposizione non speri di creare un dissidio all'interno del Governo e della maggioranza, perché non vi è nessun parallelo tra l'attuale situazione e quello che avveniva nel Governo Prodi, quando una parte della maggioranza voleva interrompere e modificare i rapporti internazionali dell'Italia in quanto contraria all'amicizia con i Paesi della NATO.
Oggi, il presidente di gruppo della Lega ha detto che si tratta di un dibattito nel Governo, non contro il Governo, e ha riconfermato la solidarietà ai nostri alleati, la vicinanza e l'adesione alle alleanze italiane e alle scelte fatte dal Parlamento da parte della Lega, pur mantenendo le proprie perplessità circa le scelte generali dell'ONU stessa complessivamente, e ribadendo che le scelte in Parlamento saranno conseguenti e, quindi, siccome non è sul dibattito che una maggioranza e una opposizione si devono interrogare, ma in questi casi, sui fatti concreti, credo che non vi sia alcun dubbio che appaia pretestuoso, anziché andare al merito dei problemi, discutere di una eventuale diversità Pag. 65di opinioni che non si concretizza in divisioni all'interno del Governo.
Credo tuttavia che l'interrogazione chiedesse anche quali siano i nuovi assetti e, nel breve tempo che mi rimane, voglio confermare che non aumenteremo il numero degli aerei messi a disposizione della NATO. Si modificherà soltanto la modalità di armamento dei quattro Tornado più dei quattro aerei trasportati, eventualmente, in questo secondo caso, sulla nave Garibaldi, facendo in modo che accanto all'armamento ECR, cioè destinato a sparare contro i razzi, per metterli in silenzio, possano essere utilizzati anche armamenti in grado di colpire chirurgicamente obiettivi squisitamente militari, stando attenti a che non vi sia alcuna possibilità di colpire i civili, esattamente come fanno gli alleati ed esattamente come abbiamo contribuito a fare finora.
Non vi è quindi modifica etica, ma solo operativa. Non vi è cambio di strategia, ma solo un adeguamento reso necessario dal maggiore bisogno e dall'estrema necessità di questo intervento che ci è stato richiesto dalla NATO e da tutti gli alleati.

PRESIDENTE. L'onorevole Maran ha facoltà di replicare.

ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, signor Ministro, il Governo all'inizio ha creduto di tutelare i nostri interessi con una posizione defilata, ammiccante a Gheddafi. Era il tempo in cui Berlusconi non voleva disturbare il colonnello. Ora prendiamo atto che si è fatta strada la convinzione più realistica che i nostri interessi nella Libia del futuro si tutelano meglio essendo ben integrati nella NATO, accettando le richieste di maggiore impegno che sono giunte dall'alleanza, e di ciò siamo lieti.
Ma non siamo soddisfatti, perché non si è mai visto un Governo o un Premier parlare ogni giorno in maniera così diversa su un tema così importante. Non siamo soddisfatti, perché l'immagine che il Paese sta dando è quella di chi non sa che pesci pigliare. Ovviamente la Lega non aprirà la crisi di Governo sulla Libia, perché punta unicamente a raccogliere il malcontento di una parte dell'elettorato di centrodestra, ma la Lega è parte di un Governo interventista e le due cose non stanno insieme.
Siamo dispiaciuti, perché il nostro atteggiamento rischia di risultare perdente su tutti i fronti. Abbandonato Gheddafi per ultimi, ora dobbiamo solo sperare che un'eventuale futura dirigenza tripolina sia ben disposta nei nostri confronti, senza contare che in questo modo la nostra capacità di farci ascoltare dagli alleati, e quindi di influire sulle decisioni comuni, è ai minimi livelli. Come ha detto Bossi, non contiamo nulla.
Inoltre, siamo insoddisfatti perché restiamo dell'opinione che l'insurrezione andava aiutata subito, che l'Italia non poteva restare indifferente alla sofferenza della popolazione, che l'Italia si deve muovere nel solco della risoluzione ONU e d'intesa con gli alleati e che l'unico modo per difendere il nostro interesse nazionale sia quello di ancorare una visione lungimirante della politica estera, che investa sul cambiamento e non sulla conservazione di uno status quo ormai indifendibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Chiarimenti in ordine alle caratteristiche dell'intervento militare italiano in Libia - n. 3-01617)

PRESIDENTE. L'onorevole Cicu ha facoltà di illustrare l'interrogazione Baldelli n. 3-01617, concernente chiarimenti in ordine alle caratteristiche dell'intervento militare italiano in Libia (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, riteniamo che la scelta compiuta dal nostro Governo non sia stata certamente facile, tuttavia riteniamo che si collochi nel solco dell'impegno coerente e consapevole di un Paese che non può restare indifferente davanti alla sanguinaria repressione nei Pag. 66confronti del popolo libico. Certo, non abbiamo agito come si fece nel 1999 quando andammo nel Kosovo, dove non avevamo né legittimazione ONU, né vi era stata alcuna preventiva autorizzazione parlamentare. Oggi tutti siamo consapevoli, invece, che occorre che ci sia una autorizzazione parlamentare e siamo qui a discuterne.
Vorremmo anche che si discutesse di un'azione che sia rispondente al voto e alla condivisione che c'è stata nelle Commissioni esteri e difesa e che c'è stata ancora oggi nelle Commissioni esteri e difesa riunite, per cui chiediamo al Governo quale impegno vogliamo profondere oggi attraverso l'aiuto e il sostegno umanitario in Libia nella continua evoluzione di quello che è stato il mandato ONU.

PRESIDENTE. Il Ministro della difesa, Ignazio La Russa, ha facoltà di rispondere.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Signor Presidente, ringrazio i presentatori per la loro interrogazione. L'Italia ha aiutato subito, sin dal primo momento, gli insorti. Anche prima del cambio operativo di oggi, siamo stati i primi, all'avanguardia, sia nell'azione di solidarietà, sia nell'azione di evacuazione, sia nel mettere a disposizione i nostri assetti e le nostre sei basi con l'aiuto operativo e logistico senza il quale le conseguenze per la popolazione civile della Libia sarebbero state inimmaginabili.
Per questo abbiamo la vicinanza e la gratitudine della NATO, dell'ONU e dei Paesi che partecipano. Non abbiamo modificato il parere - la ringrazio di averlo sottolineato - perché cambiamo idea ogni giorno, ma perché è mutata la condizione. Così come l'America ha modificato il suo atteggiamento e la Germania lo ha fatto due o tre volte, nella stessa maniera l'Italia, anzi in maniera assai più coerente, è sempre rimasta in testa all'aiuto sia umanitario sia militare, scegliendo oggi di modificare il proprio assetto, perché urgente era la necessità, nuova, di aiutare inglesi, francesi e altri nel colpire al suolo coloro che mettono a repentaglio la vita dei civili. Questo non ci era stato chiesto fino a ieri.
Avevo concordato io l'utilizzo degli ECR non degli ADS, che sono gli aerei che montano i missili, e fino a quel momento non avevamo necessità di fornirli. Nel momento in cui tutta la comunità internazionale ci dice che è cambiata la situazione, dovete aiutarci a difendere i civili, l'Italia non avrebbe potuto certamente sottrarsi ad un obbligo politico ma anche morale, nonché al prestigio di potere poi continuare ad essere decisiva in ciò che succederà nel Mediterraneo, di fronte a casa nostra, anche con riferimento alle conseguenze persino sul terreno dell'immigrazione che derivano certamente non dalla nostra volontà, ma da ciò che sta avvenendo in tutto il continente africano.
Ciò che sta avvenendo - non dimentichiamolo - ha anche un aspetto fortemente positivo: è un anelito di libertà e di democrazia. Infatti, amici di Gheddafi, i vicini non si scelgono, in politica internazionale si tratta con chi c'è. Ci ha provato Prodi, ci hanno provato gli altri e l'unica differenza è che l'Italia era riuscita ad ottenere un Trattato con la Libia dove non erano riusciti gli altri. Fino ad allora mai Gheddafi aveva bombardato con gli aerei i propri cittadini, nel momento in cui lo ha fatto, così come lo stanno abbandonando e lo hanno abbandonato i suoi ambasciatori e molti suoi Ministri, ha cambiato atteggiamento anche l'Italia. Diversamente saremmo stati degli ignobili ciechi (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. L'onorevole Cicu ha facoltà di replicare.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, ringrazio il Ministro della difesa, Ignazio La Russa, che in maniera forte, importante e coerente ha delineato quella che è stata considerata dallo stesso Presidente della Repubblica la naturale evoluzione di un mandato e di un'autorizzazione. Credo però che sia importante soffermarsi anche nell'individuare comunque tutte quelle soluzioni diplomatiche che possano immediatamente Pag. 67e con efficacia attivare un meccanismo di aiuto e di sostegno umanitario e di possibilità di rafforzare un percorso e un processo di democrazia.
Credo comunque che sia altrettanto importante, Ministro, che in questo momento si possa richiamare quel vuoto normativo che dobbiamo assolutamente colmare e che attiene appunto alla necessità che le missioni internazionali abbiano una definitiva consacrazione attraverso una norma giuridica sulla procedura per quanto riguarda le partecipazione alle missioni internazionali. Per cui ribadisco il sostegno del gruppo del Popolo della Libertà all'azione del nostro Governo, ritenendone fondata la legittimazione del mandato, ma anche la coerenza e la capacità dell'evolversi di una situazione che sempre di più sta sconfinando in una guerra civile (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 15,55, è ripresa alle 16.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bongiorno, Caparini, Jannone, Lombardo, Pisacane e Romano sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori e inversione dell'ordine del giorno (ore 16,02).

DARIO FRANCESCHINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, intervengo per fare presente che sembra che i nostri lavori parlamentari procedano - non per responsabilità sua - su un binario completamente distinto rispetto ai temi che attraversano il Paese e il dibattito politico nel Paese.
Soltanto in queste ultime giornate siamo di fronte a una serie di eventi, ognuno dei quali meriterebbe l'attenzione e il pronunciamento dell'Assemblea. Posso solo citare le incredibili parole del Presidente del Consiglio sul nucleare e sulla scelta di approvare un provvedimento semplicemente per aggirare il referendum e togliere la parola al popolo sovrano. Posso citare il caso Parmalat, che contraddice parole spese molto spesso in passato e soprattutto possiamo citare la spaccatura profonda della maggioranza sul tema più delicato attorno al quale si misura l'esistenza stessa di un Governo, cioè la politica estera, con le parole pronunciate nella totale leggerezza e superficialità da parte di Ministri che poi, come abbiamo visto oggi, vengono smentiti nelle Commissioni congiunte dal capogruppo della Lega che annuncia che la Lega voterà, sempre e comunque, i provvedimenti del Governo. Pertanto, siamo di fronte a una maggioranza che non c'è più, a singoli brandelli che stanno insieme solo per la paura di perdere la gestione del potere.
Mi sembra che di fronte a questi episodi sarebbe utile che l'Assemblea si pronunciasse e non viceversa. Come sappiamo è già stato annunciato da giorni dalla maggioranza che si proponga un'inversione dell'ordine del giorno, per passare direttamente al provvedimento sul testamento biologico. È chiara tutta la strumentalità di questa richiesta. Per questo, signor Presidente, le chiediamo che la Conferenza dei presidenti di gruppo, an Pag. 68che anticipando la sua riunione, riveda il calendario dell'Aula, riportando qui gli argomenti in ordine di importanza e non in ordine di convenienza da parte della maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PIER FERDINANDO CASINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, ho sentito l'intervento del collega Franceschini. Ha fatto molte considerazioni condivisibili, ma mi preme anticipare all'Assemblea un punto. Se lei ritiene che debba svolgere l'intervento adesso lo posso svolgere nel limite dei cinque minuti che mi assegna il Regolamento. Per logiche che non appartengono certo alla dinamica fisiologica maggioranza-opposizione, ma per alcune considerazioni maturate all'interno del nostro gruppo, il gruppo dell'Unione di Centro, intende chiedere l'inversione dell'ordine del giorno rispetto agli argomenti oggi all'esame di questa Camera.
In particolare, vorrei anticipare nella giornata di oggi il seguito della discussione della proposta di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, il DAT. Dunque, se lei lo ritiene opportuno posso formulare delle brevi considerazioni. Lo faccio adesso? Va bene.
Il provvedimento sul cosiddetto testamento biologico ha già subito diversi rinvii nel nostro calendario e non certo perché siamo impegnati nell'esame di importanti priorità programmatiche o politiche ma per la difficoltà, per alcuni versi condivisibile, a misurarsi con questioni che sfuggono alla logica dei nostri abituali scontri politici per investire, invece, la coscienza di tutti noi e per affrontare direttamente questioni che riguardano il senso della vita, della morte e del futuro dei nostri cari.
Per il mio gruppo parlamentare - colgo l'occasione per ribadirlo - le DAT verranno affrontate con totale libertà di coscienza.
Ciascuno esprimerà il voto di cui è convinto senza imposizioni ideologiche o partitiche, ma questo voto, signor Presidente, qualunque esso sia, noi chiediamo venga espresso dal Parlamento senza ulteriori rinvii, in particolare per il rischio che, in mancanza di un'iniziativa legislativa siano i giudici a colmare il vuoto con iniziative più o meno estemporanee.
Per questo motivo, signor Presidente, formulo a lei la richiesta di inversione dell'ordine del giorno in modo da iniziare oggi stesso l'esame di questo provvedimento.
Domani - tutti lo sanno - esamineremo il documento di economia e finanza la cui approvazione è necessaria entro il 30 aprile. Ricordo che i decreti all'ordine del giorno non hanno scadenze immediate e, proprio per questo, non credo vi possano essere altre ragioni per procrastinare l'esame del testamento biologico.
Mi auguro, onorevoli colleghi, che nessuno voglia strumentalizzare una questione molto seria e che ci sia quest'Aula la serenità necessaria per dibattere in modo approfondito questioni così delicate. Esse non sono parte né della campagna elettorale imminente, né della nostra, purtroppo quotidiana, polemica politica, ma fanno parte delle scelte esistenziali che un Parlamento in alcune circostanze è chiamato ad assumere.
Con questo spirito le chiedo di procedere alla votazione dell'inversione dell'ordine del giorno (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 16,09).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Pag. 69

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Sulla richiesta dell'onorevole Casini di inversione dell'ordine del giorno, nel senso di passare direttamente all'esame del punto n. 10, recante il seguito della discussione della proposta di legge A.C. 2350-A ed abbinate, in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento, darò la parola, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del Regolamento, ad un oratore, contro e ad uno a favore, per non più di 5 minuti.
Ha chiesto di parlare contro l'onorevole Franceschini. Ne ha facoltà.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, mi consentirà - anche se la cosa può sembrare un po' strana - di rivolgermi, in questo mio intervento contro l'inversione dell'ordine del giorno, non al Presidente Casini, che è stato costretto dalla dinamica politica a proporre un'inversione dell'ordine del giorno che non voleva il suo gruppo, ma che ha chiesto insistentemente - come lei ricorda - la maggioranza in seno alla Conferenza dei presidenti di gruppo, senza motivazioni politiche, ma semplicemente con la pretesa di imporre un cambiamento dell'ordine dei nostri lavori.
Prima di dire due cose nel merito vorrei rilevare e fare presente alla sua attenzione come lo strumento dell'inversione dell'ordine del giorno debba essere usato con molta cautela da parte della maggioranza. Nelle mani dei gruppi di opposizione può essere evidentemente uno strumento di lotta politica, ma se la Conferenza dei presidenti di gruppo non raggiunge il quorum previsto dal Regolamento per la formazione del calendario e - come prevede il nostro Regolamento - il Presidente della Camera formula, secondo la sua volontà, il calendario e già durante la stessa riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo viene annunciato che la maggioranza verrà in Aula e lo stravolgerà secondo il suo volere, mi chiedo, come sarà possibile continuare nei nostri lavori e quale sarà l'utilità delle stesse Conferenze dei presidenti di gruppo, dato che il loro esito non viene rispettato perché la maggioranza annuncia di venire in Aula e cambiare l'ordine dei lavori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Siccome ci alterniamo nei ruoli e - piaccia o non piaccia continueremo ad alternarci - quello che voi fate oggi è un precedente pericoloso, come abbiamo detto più volte, non per l'attuale opposizione, ma per il funzionamento della Camera. Proponete di andare subito - come ha detto anche oggi il Presidente del Consiglio - a votare il testamento biologico.
La domanda che vi pongo è molto semplice: dov'è l'urgenza? Dove sono le ragioni dell'urgenza per cambiare il calendario dei lavori e passare direttamente alle norme sul testamento biologico? Ci sono emergenze nel Paese - lo abbiamo provato a dire in apertura di seduta - ognuna delle quali richiederebbe l'attenzione e un dibattito dell'Assemblea: dalla situazione economica, al voltafaccia del Governo sull'energia nucleare, alla vicenda Parmalat, al fatto che non esiste più una maggioranza in politica estera, come abbiamo visto dalle dichiarazioni di questi giorni, solo parzialmente smentite per ragioni di sopravvivenza da parte della Lega nelle riunioni delle Commissioni congiunte Affari esteri e Difesa, che si sono appena svolte.
Ci sono tanti temi che meriterebbero l'urgenza e l'attenzione dell'Aula e invece voi cosa fate? Proponete prima di tutti gli altri il tema che più di qualsiasi altro porta all'attenzione del Parlamento e di fronte alle coscienze dei singoli parlamentari, che siano laici o cattolici, le domande più profonde, che interrogano sul rapporto fra la vita e la morte, sul rapporto tra valori e libertà individuale, sul rapporto tra fede e laicità dello Stato. Voi trasformate tutto, con una cinica strumentalità, in un argomento per spostare altrove i riflettori, per allontanarli dalla crisi economica, per allontanarli dalla crisi della maggioranza, per allontanarli dai processi e dai problemi del Presidente del Consiglio, Pag. 70o forse perché immaginate che su questo ci potrebbe essere una divisione all'interno dei gruppi di opposizione, in particolare del gruppo del Partito Democratico. Sappiate che noi siamo orgogliosi della ricchezza del nostro dibattito interno, perché proprio quella ricchezza di posizioni su un tema così delicato dimostra la serietà di un partito che non è e non sarà mai una caserma come voi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), che anche sui più profondi temi che riguardano la libertà di coscienza guardate soltanto alla convenienza del momento. Buttate i temi che riguardano la vita e la morte nel tritacarne della campagna elettorale, non pensate ai valori, ai diritti o alle coscienze, ma pensate semplicemente alla comodità di un sondaggio o ad un argomento in più da usare nei comizi e negli scontri elettorali. Noi diciamo «no» a questa legge. Molti di noi dicono «no» ad una legge su questi argomenti, qualunque essa sia. Quindi, siamo contro l'inversione dell'ordine del giorno, voteremo a favore della sospensiva che abbiamo presentato e voteremo a favore della pregiudiziale di costituzionalità che è stata presentata. C'è ancora tempo per fermarvi e non fare questa inutile forzatura. Fermatevi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono spiacente di dover rilevare che non mi risulta che l'onorevole Casini e il gruppo dell'Unione di Centro siano entrati a far parte della maggioranza, cosa che per quanto mi riguarda gradirei molto, ma che purtroppo non è avvenuta. Quindi, tutto il discorso che ha fatto l'onorevole Franceschini è semplicemente destituito di fondamento (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania). È vero che noi abbiamo chiesto che il tema del testamento biologico venisse inserito nel calendario della Camera, dopodiché abbiamo avuto un dibattito all'ultima Conferenza dei presidenti di gruppo. C'è stato un orientamento diverso di più gruppi e quindi si è arrivati ad una certa soluzione. Dopodiché nella seduta di oggi, per le stesse ragioni per le quali noi lo sosteniamo, cioè non per ragioni di strumentalità politica - tant'è che noi non abbiamo mai forzato nel corso di questi mesi perché il tema del testamento biologico venisse messo in calendario in tempi rapidissimi - ma per l'esigenza di misurarsi con questo tema, sul quale addirittura si è già svolta la discussione sulle linee generali, abbiamo sostenuto questa necessità. Questa necessità, che non è passata alla Conferenza dei presidenti di gruppo, viene oggi riproposta da un gruppo dell'opposizione, ragion per cui tutto il ragionamento svolto dall'onorevole Franceschini sulla prevaricazione della maggioranza sull'opposizione è totalmente destituito di fondamento. Noi aderiamo ad una proposta fatta da un gruppo dell'opposizione, non credo per le ragioni che lei ha attribuito a noi, ma per le ragioni che ha espresso poco fa l'onorevole Casini, per l'importanza di un tema sul quale prima o poi il Parlamento si deve confrontare e rispetto al quale manovre assolutamente dilatorie non sono condivisibili.
Quindi, questa è la questione! Per cui, tutto quello che lei, onorevole Franceschini, ha detto va azzerato dalla A alla Z, perché noi, semplicemente, votiamo una proposta che è stata presentata dall'onorevole Casini e dall'Unione di Centro negli stessi termini e per le stesse valutazioni di fondo che l'onorevole Casini ha espresso (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Riteniamo che su questo non vadano adottati i toni esagitati che lei ha già adottato e vada aperto un confronto serio e positivo su delle questioni che - ci rendiamo perfettamente conto - sono delle ragioni e delle questioni molto profonde.
Aggiungo anche che, se non vi fosse stata un'iniziativa, quella del dottore Englaro, che ha messo in moto dei meccanismi da parte della giustizia e dei giudici, Pag. 71anche noi avremmo preferito di gran lunga che questo tema fosse affidato, come è stato fatto nel passato, alla sapienza delle famiglie e del medico curante. Ma siccome si è introdotto in questa vicenda un elemento costituito dall'intervento dei giudici, riteniamo che il nodo vada sciolto in termini legislativi.
Quindi, con assoluta tranquillità, senza voler strumentalizzare nulla, votiamo a favore della richiesta di inversione dell'ordine del giorno fatta dall'onorevole Casini, che non ha nessuno degli obiettivi perversi di cui lei, onorevole Franceschini, ha parlato (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Iniziativa Responsabile).

PRESIDENTE. Passiamo, dunque, ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di inversione dell'ordine del giorno formulata dall'onorevole Casini, nel senso di passare direttamente al punto n. 10 dell'ordine del giorno, recante il seguito della discussione della proposta di legge concernente disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (A.C. 2350-A).
(È approvata).

Preliminarmente, desidero precisare che, come comunicato all'Assemblea lo scorso 19 aprile a seguito della Conferenza dei presidenti di gruppo svoltasi in quella giornata, è stato stabilito che l'ordine del giorno di domani, giovedì 28 aprile, rechi al primo punto l'esame del Documento di economia e finanza e solo successivamente il seguito dell'esame degli argomenti previsti per la giornata di mercoledì 27 e non conclusi.
Ciò corrisponde ad una scelta esplicitata in seno alla Conferenza dei presidenti di gruppo per garantire che la deliberazione dell'Assemblea possa avvenire entro il 30 aprile, cioè in tempi compatibili con il termine per la presentazione nelle sedi comunitarie del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma, i cui schemi sono contenuti nelle sezioni I e III del Documento.
Pertanto, l'ordine del giorno della seduta di domani corrisponderà a quanto stabilito nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.
Domani mattina, quindi, la seduta si aprirà con l'esame del Documento di economia e finanza.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su cosa?

ROBERTO GIACHETTI. Su questa sua comunicazione, signor Presidente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, abbiamo testé assistito ad uno scenario nel quale la Conferenza dei presidenti di gruppo non aveva trovato un accordo e lei, signor Presidente, aveva formulato un'ipotesi di ordine del giorno per la seduta di oggi e, presumo sulla base del fatto che l'Aula è sovrana, l'Aula stessa ha deciso di invertire l'ordine del giorno.
Volevo capire le sue parole rispetto, invece, a quanto accadrà domani. La sua comunicazione vuol dire che precostituiamo - basta saperlo - un'occasione nella quale vi è una decisione assunta dalla Conferenza dei presidenti di gruppo attraverso il Presidente della Camera e quindi è impedito, eventualmente, alla Camera stessa, sovranamente, di invertire l'ordine del giorno così stabilito? Vorrei sapere semplicemente questo.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, diciamo che è impedito alla Camera di dimenticare che entro il 30 aprile va discusso ed approvato da uno dei due rami del Parlamento il Documento di economia e finanza e che domani è il 28 di aprile.
Quindi, domani, 28 aprile, è un termine entro il quale è giusto che la Camera si pronunci. L'Aula è sempre sovrana, ma non sul calendario.

Pag. 72

Seguito della discussione della proposta di legge: S. 10-51-136-281-285-483-800-972-994-1095-1188-1323-1363-1368 - D'iniziativa dei senatori: Ignazio Roberto Marino ed altri; Tomassini ed altri; Poretti e Perduca; Carloni e Chiaromonte; Baio ed altri; Massidda; Musi ed altri; Veronesi; Baio ed altri; Rizzi; Bianconi ed altri; D'Alia e Fosson; Caselli ed altri; D'Alia e Fosson: Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (A.C. 2350-A) e delle abbinate proposte di legge: Binetti ed altri; Rossa ed altri; Farina Coscioni ed altri; Binetti ed altri; Pollastrini ed altri; Cota ed altri; Della Vedova ed altri; Aniello Formisano ed altri; Saltamartini ed altri; Buttiglione ed altri; Di Virgilio ed altri; Palagiano ed altri. (A.C. 625 784-1280-1597-1606-1764-bis-1840-1876-1968-bis-2038-2124-2595) (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dal Senato, d'iniziativa dei senatori Ignazio Roberto Marino ed altri; Tomassini ed altri; Poretti e Perduca; Carloni e Chiaromonte; Baio ed altri; Massidda; Musi ed altri; Veronesi; Baio ed altri; Rizzi; Bianconi ed altri; D'Alia e Fosson; Caselli ed altri; D'Alia e Fosson: Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento; e delle abbinate proposte di legge Binetti ed altri; Rossa ed altri; Farina Coscioni ed altri; Binetti ed altri; Pollastrini ed altri; Cota ed altri; Della Vedova ed altri; Aniello Formisano ed altri; Saltamartini ed altri; Buttiglione ed altri; Di Virgilio ed altri; Palagiano ed altri.
Ricordo che nella seduta del 9 marzo 2011 si è conclusa la discussione sulle linee generali e che il rappresentante del Governo è intervenuto in sede di replica mentre i relatori vi hanno rinunciato.

(Esame di questioni pregiudiziali - A.C. 2350-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame delle questioni pregiudiziali presentate.
A norma dell'articolo 40, comma 2, del Regolamento dobbiamo passare all'esame e alla votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità e, ove respinte, alla questione sospensiva. Passiamo, quindi, all'esame delle questioni pregiudiziali di costituzionalità Palagiano ed altri n. 1 e Farina Coscioni ed altri n. 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 2350-A).
Avverto che la questione pregiudiziale Farina Coscioni ed altri n. 2 è stata sottoscritta anche dagli onorevoli Colombo, Gozi, Villecco Calipari, Meta, Concia, Argentin, Pompili, Bucchino, Mattesini, Cuperlo, Pollastrini e Gatti.
A norma dell'articolo 40, comma 3, del Regolamento uno solo dei proponenti ha facoltà di illustrare ciascuna questione pregiudiziale, per non più di dieci minuti. Può altresì intervenire nella discussione un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.
Ai sensi del comma 4 dello stesso articolo 40, nel concorso di più questioni pregiudiziali, ha luogo un'unica discussione.
Una volta conclusa la discussione, l'Assemblea procederà ad un'unica votazione, atteso che entrambe le questioni pregiudiziali sono state sollevate per motivi di costituzionalità.
L'onorevole Palagiano ha facoltà di illustrare la sua questione pregiudiziale di costituzionalità n.1.

ANTONIO DI PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, intervengo per ricordare che ho sottoscritto la questione pregiudiziale di costituzionalità.

PRESIDENTE. Sta bene.
Prego onorevole Palagiano, ha facoltà di parlare.

Pag. 73

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, l'articolo 1 del provvedimento in esame fa esplicito riferimento agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione come per sottolineare che la proposta di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento si muova nell'ambito e nel rispetto della Costituzione.
In realtà le cose non stanno così perché nel testo del provvedimento in oggetto vi sono norme, articoli e commi che sono in palese conflitto con gli articoli della Costituzione e danno di essi un'interpretazione distorta e fuorviante. Vorrei entrare nel merito.
L'articolo 32 della nostra Costituzione stabilisce letteralmente che «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e che «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Quindi è evidente l'imperativa indicazione dell'articolo 32, che vieta appunto qualsiasi trattamento che possa violare «il rispetto della persona umana».
Secondo i diritti che la nostra Costituzione ci riconosce, deve quindi intendersi consentito il diritto al rifiuto e/o all'interruzione dei trattamenti sanitari, diritto che non può essere disatteso nel nome di un presunto dovere pubblico di cura che affermerebbe l'idea di uno Stato illiberale, ripudiato dai nostri padri costituenti, una sorta di Stato «nazional-salutista», che non garantisce nulla - o comunque poco - durante la vita e che concentra le sue attenzioni in prossimità della morte.
Non esistono quindi altre interpretazioni della nostra Carta, tant'è vero che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 471 del 1990, ha ribadito il «valore costituzionale dell'inviolabilità della persona» che comprende il «potere della persona di disporre del proprio corpo».
Il diritto di rifiutare trattamenti medici non è solo espressamente riconosciuto dall'articolo 32, secondo comma, alla cui stesura, ricordo, Aldo Moro collaborò e dichiarò, il 28 gennaio 1948, che quel limite era necessario perché il legislatore non cadesse nella tentazione dell'onnipotenza. Questo diritto è desumibile anche dall'articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti dell'uomo. È, infine, parte integrante dei diritti inviolabili della persona, di cui all'articolo 2 della nostra Carta costituzionale.
A nulla vale, a mio avviso, l'escamotage di definire la nutrizione e l'idratazione meri sostegni vitali, allo scopo di sottrarli ai vincoli dell'articolo 32, che vieta appunto i trattamenti sanitari obbligatori, in quanto la somministrazione forzata di liquidi e nutrienti ravviserebbe comunque una violazione dell'articolo 13, che garantisce l'inviolabilità della libertà personale, che riguarda tutti gli atti che vengono compiuti sulla persona, per qualunque scopo, sia medico sia assistenziale. Definirli atti medici o atti assistenziali non li sottrae, quindi, alla libertà della persona di accettarli o meno.
L'articolo 13 della Costituzione afferma, infatti, che la libertà personale è inviolabile, per cui, se ogni persona è libera ed ha il diritto di rifiutare qualsiasi terapia, ne segue che il dovere del medico non può prescindere dalla volontà del paziente.
Ed è anche nel ruolo assegnato al medico dal provvedimento in esame che si ravvisa il contrasto, non solo con l'articolo 32 della Costituzione, ma anche con l'articolo 3 della medesima, che sancisce che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Vi è, quindi, una palese disparità di trattamento in questa proposta di legge tra chi è cosciente e chi è incosciente. Si viene a creare, cioè, una sorta di doppia cittadinanza: i cittadini che possono fruire di tutti i diritti - quelli che esprimono il consenso informato per esempio - e i cittadini che, invece, poiché perdono conoscenza, non possono più fruire del consenso informato e possono subire qualunque trattamento, qualunque atto medico o qualunque sostegno vitale. Pag. 74
La violazione dell'articolo 3 della Costituzione, secondo cui tutti i cittadini sono eguali, è ravvisabile nella previsione, contenuta al comma 1 dell'articolo 7, laddove si stabilisce che le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono prese in considerazione - quindi non si tratta di una volontà - ma «sono prese in considerazione» dal medico curante, il quale annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno. Tutto va quindi in mano al medico e nulla conta la volontà del paziente. Al medico spetta, così, la responsabilità della decisione ultima, che può quindi anche essere in contrasto con la stessa volontà del paziente precedentemente espressa.
Ricordo che la ragione per cui siamo in quest'Aula a parlare delle dichiarazioni anticipate di trattamento, è quella di ridare ad ogni cittadino italiano la possibilità di decidere come vivere, ma di riappropriarsi anche della propria morte. Invece, con questo testo, tutto viene demandato nuovamente al medico, cioè come effettivamente accade ancora oggi.
Ebbene, la previsione di incostituzionalità, quindi, avviene alla luce degli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, proprio quelli citati dal primo articolo del provvedimento in esame e che vengono tutti e quattro sistematicamente violati. Dalle considerazioni che abbiamo appena esposto il provvedimento intero risulta inficiato da una palese incostituzionalità, in quanto limita la libertà di cura, il fondamentale diritto all'autodeterminazione nonché il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini, aprendo la porta a molti contenziosi giuridici e a future probabili bocciature da parte della Corte costituzionale, così come di fatto già sta avvenendo nei confronti della legge 19 febbraio 2004, n. 40 sulla procreazione assistita. Per le ragioni elencate l'Italia dei Valori pone la questione pregiudiziale di costituzionalità e invita l'Assemblea a votare favorevolmente la sua proposta (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Maurizio Turco ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale di costituzionalità Farina Coscioni ed altri n. 2, di cui è cofirmatario.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, a quanto abbiamo ascoltato - perché di questione pregiudiziale costituzionale stiamo parlando e quindi di questioni come dire tecniche - aggiungerei anche l'articolo 25 della Costituzione, che viene violato dal provvedimento in esame.
Com'è noto infatti, sulla base dell'articolo 25 della Costituzione in vigore - o meglio, che dovrebbe essere in vigore nel nostro Paese come in tutti gli altri Stati liberali - i principi di legalità, tassatività, determinatezza e precisione delle norme penali non sono affatto rispettati dal provvedimento in esame. Abbiamo ascoltato nelle settimane scorse dichiarazioni contraddittorie da parte degli stessi membri della maggioranza, preoccupati, sia coloro che sono favore del provvedimento in esame sia coloro che sono contro di esso, della possibilità che questa legge dia ampi margini di manovra al potere giudiziario, ma questo è esattamente ciò che si intende per violazione dell'articolo 25 della Costituzione.
Noi chiediamo il voto a tutti i colleghi di questo Parlamento sulle pregiudiziali perché questo tipo di voto, ancor meno di quello sul merito, non riguarda affatto la collocazione nella maggioranza o all'opposizione, la destra o la sinistra o una linea divisoria delle confessioni religiose. È un voto sulla Costituzione, sui principi di uno Stato liberale, sullo Stato di diritto, sul rispetto delle regole fondanti di questo Paese.
È stato citato prima dal collega Palagiano il fatto che Aldo Moro avesse partecipato insieme a Giovanni Leone alla stesura della parte finale dell'articolo 32 della Costituzione, laddove dice che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Pag. 75
Tale articolo va necessariamente letto insieme all'incipit dell'articolo 13, laddove si prevede che la libertà personale è inviolabile e soprattutto all'articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (...)», i diritti inviolabili di quell'uomo, del singolo uomo. Quindi, qui, noi oggi stiamo dibattendo di un provvedimento che vorrebbe impedire a tutti di poter esercitare la loro inviolabile libertà personale, che ancora una volta, la Costituzione dice essere riconosciuta e garantita.
Ma Aldo Moro perché aveva così puntigliosamente operato nell'Assemblea Costituente? Aveva operato così perché sosteneva che il limite imposto dal rispetto della persona umana era necessario perché il legislatore non cadesse nella tentazione dell'onnipotenza. Potremmo dire, leggendo la vostra legge, che Aldo Moro aveva previsto che qualcuno - un legislatore - potesse cadere nel delirio dell'onnipotenza, e, nonostante avesse voluto quella parte finale nell'articolo 32 della Costituzione, oggi è dimostrato che quel lavoro è stato del tutto inutile. In altre parole, ancora una volta anziché rispettare la lettera della Costituzione, la Costituzione viene interpretata, cioè violata.
Questa è una legge inutile. È una legge sulla dichiarazione anticipata di volontà che nel punto chiave impedisce la dichiarazione anticipata di volontà, cioè la rende vana e senza effetti operativi. Devo necessariamente, ancora una volta, su questo punto richiamarmi agli articoli 32 e 13 della Costituzione. La combinazione di autodeterminazione e libertà è qui intesa a disporre della propria vita e del proprio corpo nelle condizioni estreme. Non si può fare retorica sull'abuso della libertà e sostenere che noi proponiamo un'idea per cui ognuno è libero di fare quello che vuole. Si sta parlando di condizioni estreme: la fine di una vita, una vita che si chiude con la morte. In quelle condizioni il cittadino responsabile e consapevole ha diritto di esprimere un parere vincolante, non un'opinione che qualcuno deve, può, vuole e decidere se interpretare; vincolante per chi deve assisterlo e per chi è tenuto per deontologia professionale a rispettare fino in fondo le sue volontà.
Il punto fondamentale che noi stiamo qui ad affermare e che affermeremo sempre, anche dopo che questa pessima legge sarà passata, è il diritto di scelta, il diritto del singolo individuo, non dell'ammasso di un gruppo, di misurarsi con il proprio destino e con la possibilità di decidere una cosa difficilissima, difficilissima per chiunque che può anche essere libero di non decidere sulle proprie condizioni di fine vita. Il diritto di rifiutare trattamenti medici è espressamente riconosciuto nell'articolo 32, è altresì desumibile sia dall'articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, sia dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti dell'uomo, ed è inoltre parte integrante dei diritti inviolabili della persona di cui all'articolo 2 della nostra Carta fondamentale.
Peraltro se, con non poco azzardo, si volesse negare persino la qualifica di trattamento sanitario alla nutrizione e idratazione artificiali o ad altri interventi salvavita che non ripristinano ma sostituiscono funzioni compromesse, esse sarebbero comunque pienamente rifiutabili secondo l'articolo 13 della Costituzione, come qualsiasi altra ingerenza sulla persona fisica: se non è un atto sanitario a maggior ragione qualsiasi atto sul mio corpo senza la mia volontà non può essere fatto.
Abbiamo sentito uno strano silenzio nonostante la presenza di tanti medici in quest'Aula. Vi è l'articolo 53 del Codice di deontologia medica il quale afferma che, quando una persona rifiuta volontariamente di nutrirsi, se è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive. La vostra proposta di legge impone al medico di assumere iniziative costrittive...

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Maurizio Turco.

MAURIZIO TURCO. ... queste sono le ragioni per le quali noi chiediamo, sulla base della lettera della nostra Costituzione, Pag. 76di votare le pregiudiziali di costituzionalità (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, vorrei invitare il collega Maurizio Turco ad avere più rispetto per la memoria di Aldo Moro, per la lettera e per lo spirito della Costituzione repubblicana (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Popolo della Libertà). Avendo conosciuto Aldo Moro e avendo avuto l'onore di essere stato suo amico, non ho il minimo dubbio su quali fossero i suoi principi e su quali sarebbero le posizioni che lui, oggi, in quest'Aula, difenderebbe se potesse essere qui insieme con noi.
Non è accettabile che una parte politica tenti di appropriarsi della Costituzione citandola in modo tendenzioso e allontanandosi dal suo spirito e della sua lettera. Da Aldo Moro ho imparato che la Costituzione, questa nostra Costituzione repubblicana, cui noi siamo affezionati, l'hanno fatta i comunisti, i quali pensavano che l'uomo fosse classe sociale, fosse società, e l'hanno fatta i liberali, che pensavano fosse un individuo libero, e l'hanno fatta i cattolici che sapevano che l'uomo è sia un individuo libero che membro di una comunità. E se voi leggeste la Costituzione, vedreste che, ad ogni passo, torna questa cadenza: la difesa del diritto di libertà, ma, contemporaneamente, la difesa del fatto che l'uomo fa parte di una comunità.
Leggiamo questo articolo 32 della Costituzione, leggiamolo senza paraocchi: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo» - l'individuo liberale - «e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Esiste, dunque, una riserva di legge sui trattamenti sanitari obbligatori perché, a termine di Costituzione, sono pensabili anche trattamenti sanitari obbligatori.
Val la pena di osservare che questo provvedimento non impone trattamenti sanitari obbligatori, ma afferma semplicemente che il diritto di rifiutare cure salvavita - è un'espressione secondo me migliore di quella che è nel testo del provvedimento, ne rende il senso - è un diritto personalissimo. Se tu le vuoi rifiutare le rifiuti, ma devi farlo tu, non puoi lasciare un pezzo di carta scritto in cui un altro lo può fare al posto tuo. Questo non è lecito. Sosteneva, in un commovente intervento, l'onorevole Scapagnini, proprio oggi in Commissione, che, quando sei lì dentro, in quella condizione esistenziale, la pensi diversamente da come la pensavi prima di entrarci e la volontà lasciata per iscritto non vale. Di questo si tratta.
La Costituzione permette trattamenti sanitari obbligatori, questo provvedimento non impone un trattamento sanitario obbligatorio.
Infine, l'articolo 32 della Costituzione conclude affermando: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». E il primo limite imposto dal rispetto della persona umana è di non uccidere la gente, perché la distruzione della vita umana è l'offesa più drammatica e più sanguinosa che si possa fare alla dignità della persona umana (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Questa proposta di legge nasce male perché avete tentato di darle un senso eutanasico.
L'avete inserita dentro ad una campagna che avete condotto per imporre l'eutanasia in Italia. Non lo dico a tutto il Partito Democratico, lo dico alla sua componente radicale, che si è trascinata dietro il resto del partito. Dentro questa campagna avete incontrato una resistenza e quando avete incontrato questa resistenza avete detto: «No, è meglio che la legge non si faccia», dopo che per via giudiziaria avevate già posto le premesse per l'introduzione in Italia dell'eutanasia.
È su questo che vi è lo scontro politico di oggi. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Voi vi arrogate il diritto di sapere, voi soli, cos'è il rispetto della Pag. 77persona umana. Io oggi potrei dirvi che la vostra posizione è anticostituzionale e la gran parte dei costituenti, la quasi totalità dei padri costituenti sarebbe d'accordo con me nel dire che l'eutanasia è esclusa dal nostro ordinamento, sulla base della prescrizione dell'articolo 32 della Costituzione a tutela del rispetto della persona umana.
Non lo dico - non lo dico perché dobbiamo essere molto cauti nel trattare la Costituzione - nel pretendere che la Costituzione appoggi incondizionatamente le nostre posizioni. Ma non dimenticatelo: questa Costituzione, che è stata fatta anche con i cattolici, non può dire che la tutela del diritto della vita è anticostituzionale. Può dire che si discute, può dire che si trova una mediazione, può dire che alla fine si vota se non si trova un accordo, ma non potete dire a priori che il rispetto del diritto della vita è incostituzionale. E mi meraviglio che il Partito Democratico si presti a questa farsa, perché sarebbe come dire che tutti i cattolici italiani sono cittadini di seconda categoria. Questo noi non possiamo accettarlo, non lo accetteremo e vi batteremo nelle urne, quando vi saranno le elezioni, e vi batteremo anche qui, adesso, in questa votazione (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.

MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, siamo di fronte ad una questione pregiudiziale di costituzionalità che involge questioni non soltanto giuridiche, com'è evidente, ma che vengono poste sul piano della violazione di alcuni principi costituzionali.
Già il collega Buttiglione ha sgombrato il campo da una lettura dell'articolo 32 della Costituzione che molto spesso è stata utilizzata per tentare di impedire al Parlamento di varare una legge in questo settore e in questo campo.
Ma vi è un altro aspetto, a nostro giudizio, che va riportato all'attenzione dell'Assemblea e che ha un alto valore costituzionale: se, in effetti, partendo da quel tipo di interpretazione della Carta costituzionale, il principio di autodeterminazione può arrivare sostanzialmente ad entrare in conflitto con un'altro diritto indisponibile, che è quello della vita, garantito dal nostro ordinamento costituzionale, garantito dalle convenzioni internazionali e dai trattati a cui l'Italia ha volontariamente aderito, questo però ha un limite profondo, che è dato dalla scelta che l'individuo fa in termini di attualità.
Questo significa che l'articolo 32 della Carta costituzionale può essere invocato quando il paziente intende rifiutare una cura, perché quella cura è in atto e perché quella cura il medico vorrebbe predisporre a tutela della sua salute.
Ma di qui a sostenere che vi sarebbe una violazione del principio di uguaglianza, quando le dichiarazioni anticipate di trattamento sono scritte in un tempo precedente all'epoca in cui dovrebbero essere applicate ce ne va. Infatti, mentre l'indisponibilità della vita può essere trattata da chi ne dispone in quel momento, attraverso appunto il principio di autodeterminazione, nel preciso istante in cui voi equiparate situazioni diverse portate a delle conseguenze paradossali, perché autore e in qualche modo determinatore di quella volontà è un terzo.
Quindi, il principio di indisponibilità della vita non verrebbe più affermato, perché mettereste nelle mani di un terzo, sia esso il fiduciario sia esso il medico, il compito di sopprimere una vita (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
È questo il limite costituzionale di cui non vi rendete conto ed è questo l'aspetto che fra mille difficoltà affrontiamo (io appunto non ho difficoltà a sottolineare che vi è un dibattito anche all'interno del Popolo della Libertà)! È questo limite che voi non vi sforzate di comprendere, come noi molto spesso facciamo per comprendere le vostre ragioni, in un confronto che, come ho detto, non è politico ma è addirittura etico e addirittura di principio.
Lo stesso vale per le questioni relative all'alimentazione e all'idratazione. Pag. 78
Voi sapete che, sotto questo profilo, vi è un confronto aperto che non può essere risolto - ecco il punto che ci distingue ancora una volta - da una decisione della magistratura che non è nemmeno passata al vaglio della Corte costituzionale.
Questo è un altro aspetto che ci divide, perché noi, a fronte del principio di inviolabilità della vita, non possiamo non ammettere che vi sia un confronto molto profondo su una questione fondamentale: qual è il limite tra alimentazione ed idratazione in difesa della vita? Qual è il limite del trattamento sanitario oltre il quale si va a toccare il principio dell'inviolabilità?
Voi avete la presunzione di saperlo, noi umilmente cerchiamo di mantenerci all'interno dei principi della nostra Carta costituzionale per affrontare un tema che riguarderà, di qui in avanti, il diritto di tutti quanti, in particolare, affermando un principio che è contenuto nella Carta costituzionale: il diritto alla salute non è soltanto un diritto individuale, ma riguarda l'intera collettività, come previsto da quella chiave di lettura dell'articolo 32 della Costituzione. Paradossalmente, voi state tentando, attraverso il principio di autodeterminazione, di trasformare e rovesciare i principi della nostra Carta costituzionale.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MANLIO CONTENTO. Per voi, se noi non facessimo ciò che stiamo facendo, sarebbe estremamente naturale immaginare - ho concluso, signor Presidente - che non esiste un diritto alla salute che, in qualche modo, sia perseguito da una struttura sanitaria, ma che, attraverso quella struttura sanitaria, si possa paradossalmente eliminare il diritto alla salute per affermare il diritto all'eutanasia.
Noi su questo non ci stiamo e, quindi, chiediamo che vengano respinte le questioni pregiudiziali in oggetto (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, esprimo il voto contrario del gruppo della Lega Nord sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità concernenti la cosiddetta dichiarazione anticipata di trattamento.
Riteniamo doveroso che il Parlamento si esprima chiaramente su un tema così importante che riguarda la vita delle persone gravemente ammalate. È materia difficile da normare, di questo ne siamo assolutamente consapevoli, tuttavia, non può essere lasciata alle interpretazioni di principi generali - richiamati, peraltro, anche dai proponenti di queste stesse questioni pregiudiziali -, perché trattasi di situazioni specifiche che riguardano la stessa vita umana e i suoi diritti.
Il Senato ci propone un testo che esclude in capo al medico di ottemperare a dichiarazioni di volontà che determinino la morte del paziente, garantendo, comunque, l'alimentazione e l'idratazione dello stesso. Su questi temi, il legislatore non può e non deve sottrarsi, deve indicare una precisa linea guida ed evitare che le decisioni siano delegate ad altri ordini dello Stato, come è accaduto anche recentemente.
Per questi motivi, intendiamo respingere le questioni pregiudiziali in oggetto per iniziare l'esame del provvedimento già nella stessa giornata di oggi, proprio per uscire da quelle ambiguità che un tema così delicato non merita nel modo più assoluto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, potrei anche svolgere un intervento utilizzando interventi di colleghi del Popolo della Libertà che hanno affrontato a fondo la questione, arrivando ad una valutazione di anticostituzionalità, ma poiché la questione è seria, voglio semplicemente dire quanto segue in relazione ad alcune cose che ho ascoltato.
Cari colleghi, dobbiamo partire dal presupposto che in nessuna vicenda, tanto meno in quella con la quale ci confrontiamo, Pag. 79sia possibile espellere dal circuito della decisione, ovvero dei ricorsi, il giudice. Quella per la magistratura e per i giudici rischia di essere un'ossessione che ci porta a dimenticare come il giudice sia il pilastro di una vita in un Paese libero e democratico, in una democrazia costituzionale in cui, alla fine, quale che sia la legge che voteremo, il ricorso al giudice non potrà essere escluso per definizione.
Anzi, questa è la valutazione che diamo: il testo del provvedimento che ci viene proposto rappresenterà una fonte infinita di contenziosi e, quindi, in ultima istanza, di decisioni affidate alla magistratura. Questo è un dato certo al quale arriveremo. E se davvero qualcuno pensasse di predisporre una legge, affinché un pronunciamento fosse contrastato attraverso una legge che ne vietasse altri, otterrà - questo è pacifico - esattamente il risultato contrario.
Allo stesso modo, riteniamo che, nelle valutazioni che sono state fatte rispetto alla Costituzione e all'articolo 32, stante il testo del provvedimento, sono insite possibilità infinite di ricorso alla Corte costituzionale. C'è già stato un precedente - la legge n. 40 del 2004 - in cui un irrigidimento di natura pregiudiziale del legislatore ha poi portato automaticamente ad una legge completamente ridisegnata da parte della Corte costituzionale.
Noi voteremo a favore delle questioni pregiudiziali di costituzionalità perché siamo spaventati dall'esito finale di questa proposta di legge, proprio in relazione alla questione di costituzionalità. E l'esito finale di questo provvedimento è che, dopo il vaglio della Corte costituzionale, avremo regalato al Paese una legge «eutanasica». Succederà questo, infatti, se non ci fermiamo prima, se non deponiamo le armi che qualcuno ha dissotterrato e non affrontiamo una discussione molto più calma e molto meno agitata da elementi di emotività.
Questa è la ragione per cui abbiamo presentato un emendamento che dice «no» all'eutanasia, «no» all'accanimento terapeutico, e richiama il ruolo dei medici secondo il codice di deontologia professionale (che è già un documento perfetto), nonché alla decisione dei familiari, caso per caso, in termini di fine vita.
Tuttavia, oggi, questo provvedimento - lo ripeto - per domani o dopodomani preparerebbe la via ad una legge che, corretta dalla Corte costituzionale per le forzature che vi sono, diventerebbe una legge «eutanasica», che noi non vogliamo. Lo sappiano coloro che la portano avanti. Questo è il destino scritto: di ripetere l'esperienza della legge n. 40 del 2004, che è stata necessariamente corretta dalle forzature che il legislatore ha avuto.

PRESIDENTE. Onorevole Della Vedova, la invito a concludere.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Concludo, signor Presidente. In una liberaldemocrazia, sovranità parlamentare non significa che la maggioranza può andare oltre i limiti imposti dalla Costituzione. Può cambiare la Costituzione, se vuole, ma quest'ultima resta presidio della libertà e della democrazia, ed è garanzia per tutti, oggi per qualcuno e domani per qualcun altro.
Pertanto, consapevoli della delicatezza della questione, voteremo a favore delle questioni pregiudiziali perché chiediamo altro al Parlamento italiano su questo tema (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ai sensi dell'articolo 45 del Regolamento, ha chiesto di parlare l'onorevole Bressa, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, il gruppo del Partito Democratico vuole fermare questa proposta di legge, sbagliata e pericolosa. Per questo motivo, votiamo a favore delle questioni pregiudiziali, anche quelli tra noi che sono contrari a qualsiasi legge sul fine vita. Pag. 80
Vogliamo chiarire una cosa di fondo: il testamento biologico non serve a dire cos'è la vita dal punto di vista del medico, bensì cosa significa «vita» per il paziente. Il problema etico-giuridico non sta nel merito della scelta, ma negli strumenti per garantire che essa sia libera e attuale.
Se vogliamo discutere del possibile contenuto di un testamento biologico, dobbiamo farlo necessariamente in nome dell'autonomia dell'individuo nel decidere come condurre la propria vita: diritto ad una vita che si sceglie, degna anche quando si è incapaci.
Il piano di discussione è, dunque, quello della difesa della libertà di autodeterminazione dell'uomo.
Il nodo da sciogliere è se la libertà di autodeterminazione stia in un rapporto assiologico di preminenza assoluta rispetto ad altri valori o, invece, si inserisca in una logica di bilanciamento. È qui che si passa dal piano delle scelte individuali a quella dei limiti che l'ordinamento pone a tali scelte. In uno Stato costituzionale di diritto tali limiti vanno ricercati nell'interpretazione della nostra Carta costituzionale.
La teoria del bilanciamento impone però di fornire al giudice un criterio interpretativo, e nel nostro ordinamento tale criterio si desume dei primi articoli della Costituzione, dai quali si traggono quei principi supremi riconosciuti come immodificabili: sono l'articolo 2 e l'articolo 3, li rilegga, onorevole Contento. Sono il principio personalista, il principio pluralista, il principio di uguaglianza che espressamente collegano il riconoscimento dei diritti alla dignità e allo sviluppo della personalità dell'uomo, e quando la Costituzione pone direttamente come limite il rispetto della persona umana non vi è volontà parlamentare, anche unanime, che possa sostituirsi alla volontà del singolo, perché, altrimenti, il costo che si paga è quello della tirannia dei valori, di schmittiana memoria, per la quale la libertà puramente soggettiva di porre valori, senza più il limite reale del testo costituzionale, conduce ad una lotta eterna dei valori, ad una guerra di tutti contro tutti.
Si comprende allora che anche la libertà di autodeterminazione per l'uomo non rappresenta un valore assoluto in se stessa, ma solo nella misura in cui la scelta sia riconosciuta nel bilanciamento con altri diritti o doveri, propri o altrui, scelta, questa sì, non negoziabile, in quanto chiama in gioco il mio essere come persona, la mia dignità. E l'unico valore non negoziabile in Parlamento è la Costituzione. Ci aiuta la grande lezione di Aldo Moro - voglio dirlo senza malizia all'amico Buttiglione - che in tema di diritti, di nuovi diritti, diceva che la politica deve essere conscia del proprio limite, pronta a piegarsi su questa nuova realtà che toglie la rigidezza della ragione di Stato per darle il respiro della ragione dell'uomo.
La ragione per l'uomo, la dignità dell'individuo come persona, questo è in gioco, non altro, ma questo non c'è nella vostra proposta di legge, perché al centro di essa non vi è il respiro della ragione dell'uomo, ma vi è il dogma di quella che per voi è la verità, che deve vincere e non convincere. Ma questo non solo è sbagliato, è pericoloso, perché mettere in gioco il ruolo di limite della Costituzione significa privare la Costituzione della sua unità di senso. Tutto questo perché? Per raccattare qualche voto per le prossime elezioni amministrative, ma anche questo è sbagliato e pericoloso. Non illudetevi, gli italiani lo capiscono perfettamente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità Palagiano ed altri n. 1 e Farina Coscioni ed altri n. 2. Pag. 81
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Presenti 539
Votanti 532
Astenuti 7
Maggioranza 267
Hanno votato sì 225
Hanno votato no 307.

(La Camera respinge - Vedi votazionia ).

Prendo atto che il deputato Portas ha segnalato che avrebbe voluto astenersi.

(Esame di una questione sospensiva - A.C. 2350-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame della questione sospensiva Franceschini ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 2350-A) che, a norma del comma 3 dell'articolo 40 del Regolamento, può essere illustrata per non più di dieci minuti da uno solo dei proponenti. Potrà altresì intervenire un deputato per ognuno degli altri gruppi per non più di cinque minuti.
L'onorevole Lenzi ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Franceschini ed altri n. 1, di cui è cofirmataria.

DONATA LENZI. Signor Presidente, siamo tutti consapevoli in quest'Aula che stiamo discutendo e iniziando a confrontarci su una proposta di legge di grande importanza e di grande delicatezza, che toccherà la vita di tantissime famiglie e inciderà sulle condizioni di vita di tanti pazienti attuali e futuri. Nel farlo potremmo anche dire che il Parlamento entra nelle camere degli ospedali, entra dentro gli hospice per i malati terminali, nelle RSA per lunga degenza e si mette al letto del paziente.
Nel fare questo passo dovremmo avere l'attenzione, il tatto e la delicatezza di entrare in punta di piedi e questo vuol dire una discussione tra di noi serena, libera inevitabilmente, perché capace di entrare nel merito ed essere trasversale tra i diversi gruppi. Come in altri Paesi europei, quali la Germania e la Francia, non dovremmo vedere esercitare in questo campo una qualche forma di disciplina di partito.
Perché questa discussione sia così, noi riteniamo sia opportuno dedicare ad essa un po' più di tempo. Vi chiedo, colleghi, in questi giorni, a tre settimane dalle elezioni amministrative, quando inevitabilmente la lotta politica si fa più dura, le posizioni si irrigidiscono, il messaggio viene semplificato ed è chiesta la rigidità e la compattezza delle coalizioni dei gruppi, a tre settimane dall'elezione amministrative, è questo il momento per affrontare una discussione come questa, così delicata e così importante?
Siamo chiamati a scegliere e a trovare un punto di equilibrio tra principi ugualmente rilevanti: l'inviolabilità e la dignità della vita e la libertà di ciascuno di noi di decidere per sé. Siamo chiamati anche a scegliere se prendere la strada di affermare dei principi o cedere alla tentazione di una lunga e puntigliosa regolamentazione di ogni singola fattispecie. Ebbene, lo possiamo fare, vi chiedo, di fronte a temi così complessi, in questo momento e in questa fase politica?
State cedendo alla tentazione, evidentemente troppo forte, di fare di questo tema un oggetto di campagna elettorale. State cedendo alla tentazione di usare questo strumento, una legge sulle dichiarazioni di fine vita, per acquisire titoli di merito o per riconquistare una credibilità morale. Mi permetto di ricordarvi le parole di Panebianco, stimato laico commentatore del Corriere della Sera che nel 2009 ha scritto: « (...) la politicizzazione della morte è il misfatto più grande che la democrazia possa commettere». Nel 2009 non lo abbiamo ascoltato, nel 2009 il Senato ha affrontato, in un dibattito infuocato e in giorni difficilissimi, il testo di questa proposta di legge, segnato da quello che stava accadendo da un singolo, tragico evento. Neanche allora ci sono state la serenità e la tranquillità necessarie. Pag. 82
Da questo singolo caso avete voluto trarre una normativa che riguarda ora - ve lo ricordo - 250 mila malati terminali, 100 mila malati in terapia intensiva, i malati di Alzheimer e molte altre tipologie di malati ancora che non riesco ad elencare per mancanza di tempo. I vincoli che abbiamo posto all'espressione del consenso, alla volontà del singolo, avendo in mente quel singolo caso, vi chiedo se sono adesso replicabili ad un così ampio campo di diverse patologie, di diversi decorsi, di diverse tipologie di cure, a tante migliaia di pazienti che hanno la loro storia, il proprio carattere, la propria rete di relazioni affettive, le loro singole, forti convinzioni. Possiamo loro imporre un'unica visione?
Il tentativo fatto di trovare una mediazione con l'impegno del relatore ha portato però ad esiti contraddittori. Proprio l'intervento dell'onorevole Contento che è stato svolto prima, nel portare ragioni alla costituzionalità della proposta di legge, in realtà ha negato alla radice la possibilità che si vada a fare delle dichiarazioni anticipate di trattamento, ha negato il senso stesso della proposta di legge, ne ha mostrato le contraddizioni. In questi giorni, in queste ore, autentiche emergenze incalzano e dovrebbero occupare queste Aule: l'allargamento del conflitto in Libia, un Documento di programmazione economica e finanziaria dietro il quale noi vediamo nuove manovre di lacrime e sangue e voi lo state nascondendo al Paese. Ci sono decreti in scadenza il cui contenuto viene smentito dal Presidente del Consiglio dei ministri. Ci sono decreti in scadenza strumentalmente piegati alle necessità di negare all'elettorato - qualcuno potrebbe dire al popolo - la possibilità di esprimersi con i referendum. Dedichiamoci a questi temi, temi urgenti, che richiedono la nostra attenzione.
Mai come in questo momento io sento il peso dell'articolo 67 della Costituzione, che dice: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Ne sento il peso e la responsabilità. Ognuno di noi dovrebbe avere le condizioni per formarsi una propria opinione e dovrebbe dare il proprio contributo. È quello che è avvenuto nel Partito Democratico. È quello che abbiamo fatto tra di noi e continueremo a fare nel rispetto della diversità, in gran parte superata, in una mediazione alta che rappresenterà la posizione del gruppo, ma nel rispetto della libertà di coscienza dei singoli parlamentari. È ciò che chiediamo a voi, che ci attendiamo, che vorremmo potesse realizzarsi nei prossimi mesi. Dovremmo avere la possibilità che l'intero Parlamento sia in condizioni di dare vita ad un diritto mite, come ha chiesto l'ordine dei medici, e per diritto mite intendo un diritto che è capace di fermarsi sulla porta di quella camera di quell'ospedale. Per questo vi chiediamo di votare a favore della questione sospensiva (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Palagiano. Ne ha facoltà per cinque minuti.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, il mio intervento non potrà non tenere conto di quella che è stata la tempistica di questo provvedimento legislativo, che abbiamo trattato in Commissione affari sociali per venti mesi continuati, poi vi è stata una sospensione inspiegata e inspiegabile di circa otto mesi e poi è ripreso l'iter con una velocità inaudita, testimoniata dal fatto che ne stiamo parlando oggi dopo che è avvenuta un'inversione dell'ordine dei lavori.
Quindi il mistero di questa proposta di legge che diventa improvvisamente per questo Governo un problema urgente, un problema da affrontare, perché ovviamente - è stato anche detto in Commissione - abbiamo delle elezioni alle porte e quindi c'è più di qualche forza politica che vuole in qualche maniera dimostrare con i fatti la sensibilità a questo problema. Non è un'illazione. Io ho già parlato in discussione generale di quella che è stata un'intervista a la Repubblica del 25 gennaio scorso al Ministro Sacconi.
In quella intervista il giornalista diceva al Ministro Sacconi: «Ministro, il cardinale Pag. 83Bagnasco ha detto che chi si accinge a una vita politica deve avere anche una vita sobria e misurata». Come si sposano queste due qualità, che dovrebbe avere il politico ideale, con quello che stava accadendo, con la cronaca rosa-giudiziaria cui purtroppo assistiamo settimanalmente? Ebbene, ho virgolettato le parole del Ministro Sacconi, il quale ha dichiarato: «Avremo presto modo di tradurre i principi in atti legislativi per tutelare sempre e comunque la vita, anche quella che si ritrova in condizioni di estrema fragilità e alla quale bisogna garantire alimentazione e idratazione».
Dunque, nessuna illazione. Vi sono stati, evidentemente, dei calcoli politici che hanno determinato lo stop and go di questo provvedimento. Dunque, ci troviamo ad affrontare un provvedimento legislativo che tutela la vita come un bene a sé, ma non tutela la salute dei cittadini italiani, ossia quello che nelle corsie degli ospedali italiani chiamiamo vitalismo medico, cioè quella corrente di scienza che ha a cuore la vita in sé, e non la salute dei cittadini. Vediamo che questo Stato, che non è per niente interessato alla salute dei cittadini, è particolarmente sensibile all'inizio, al concepimento, e alla fine, alla morte con il testamento biologico, mentre la parte centrale non interessa affatto. La parte centrale, invece, è quella che più mi sta più a cuore.
Ebbene, credo che la questione sospensiva debba tenere conto dell'inopportunità di dover affrettare questi lavori parlamentari in quanto, appunto, non hanno come oggetto il cittadino, ma hanno come oggetto soltanto dei meschini interessi politici. Devo anche ricordare, sempre per la cronistoria, che tutti noi avremmo dovuto spogliarci un po' dei nostri credi religiosi e delle nostre ideologie per poter affrontare un tema così delicato. Quando il dolore e la morte diventano un terreno per lo scontro politico credo che davvero stiamo attraverso un brutto periodo e una brutta pagina della politica italiana.
Credo che sarebbe stata necessaria una certa moderazione per poter conciliare le diverse sensibilità di questo Parlamento. Invece, si è voluto fare uno scontro, un muro contro muro, che non ha prodotto nulla se non aumentare ed esasperare quella lacerazione che si era già manifestata al Senato. Ricordo che quando l'onorevole Di Virgilio ha proposto questo testo come testo base, nonostante gran parte delle opposizioni richiedessero un testo diverso, vi erano state delle dichiarazioni molto forti al Senato. Il Ministro Sacconi aveva dichiarato: «Con questo provvedimento non sarà più possibile un caso Englaro». Il senatore Quagliariello aveva dichiarato in Aula il 9 febbraio 2009: «Eluana non è morta, Eluana è stata ammazzata». Ebbene, proporre come testo condiviso un testo che aveva prodotto queste lacerazioni sicuramente non è stato, da parte della maggioranza, una maniera di affrontare il tema con una volontà costruttiva, ma solo con la volontà di scontrarsi con quelli che la pensavano diversamente.
Signor Presidente, credo che il provvedimento, che ha subito adesso questa brusca accelerazione poteva, in qualche maniera, essere migliorato. Vi sono stati tanti emendamenti dettati dal buon senso e presentati dalle opposizioni, dall'Italia dei Valori, ma anche, per onestà intellettuale, dal Partito Democratico, che non sono stati presi in considerazione. Per queste ragioni voteremo a favore della questione sospensiva presentata dal Partito Democratico.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, colleghi, l'Unione di Centro voterà contro la questione sospensiva. Lo fa in modo totalmente consapevole, perché sono già due anni che questa proposta di legge è nella nostra Commissione. È passata attraverso tutte le altre Commissioni di competenza. È tornata, la abbiamo preso in considerazione e oggi stesso abbiamo cominciato l'esame degli emendamenti. Mi sembra che vi sono alcune osservazioni che possiamo condividere. Le posizioni sono molto chiare, sono posizioni molto nette, Pag. 84sono posizioni che riflettono orientamenti di valore, riflettono le nostre culture, culture personali, culture politiche, riflettono le nostre storie.
Non mi sembra che ci siano stati realmente sostanziali cambiamenti in questi due anni. Credo che questo sia un disegno di legge che, in qualche modo, parla a quel nucleo profondo che ha la sua collocazione in quella parte così intima dell'anima di ognuno di noi e che la formulazione giuridica cerca di dare atto a valori già assunti in precedenza.
Non credo che il ritorno in Commissione contribuirebbe molto a cambiare questo disegno di legge. Peraltro, ne è conferma la struttura stessa degli emendamenti. Se noi prendiamo in esame anche i due grossi fascicoli di emendamenti che sono stati presentati, ci rendiamo conto di come la stragrande maggioranza degli emendamenti che vengono da una parte politica sono emendamenti che esplicitamente - direi quasi brutalmente - chiedono un ricorso all'eutanasia e la sua legittimazione. Non è vero che nessuno vuole l'eutanasia, non è vero che tutti noi siamo contrari a questo e ciò non per un'interpretazione «esoterica» dei testi, ma per un'esplicita dichiarazione.
Commentavamo oggi uno degli emendamenti che propone addirittura di staccare la spina al paziente già a distanza di un anno, considerando questo come un tempo ultimativo per cercare di capire se ci sono possibilità di recupero, ossia possibilità per la persona di recuperare una realtà esistenziale, cosa confermata da molti casi nella storia di questi anni nei quali abbiamo prestato a questo tema un'attenzione particolare. Ci sono emendamenti che tornano sempre sugli stessi punti, avvitandosi strettamente. Ci sono, in realtà, anche alcuni emendamenti che invece propongono una dialettica migliorativa del testo di legge, ma questi potremo discuterli in Aula, potremo restituire a quest'Aula il privilegio di riappropriarsi della propria dignità parlamentare perché - non dimentichiamolo - questo è uno dei pochissimi disegni di legge di iniziativa parlamentare, che questa Camera è chiamata ad approvare nel giro dei prossimi giorni.
Noi abbiamo lavorato molto spesso rincorrendo le proposte e i decreti-legge, che ci vengono dal Governo; ci siamo lamentati di questo, ossia dell'esproprio che veniva fatto di questo Parlamento e oggi a tutti noi è data la possibilità di esprimere con forza le nostre convinzioni con l'esercizio di quella razionalità, per la quale ognuno di noi sta cercando di dare ragione ad un diritto alla vita, che va esercitato fino al momento ultimo perché nessuno ha il diritto di interrompere questo itinerario.
So bene che su questo punto le posizioni sono diametralmente opposte con alcuni e non c'è possibilità di tornare indietro per chi ritiene la vita un valore che nemmeno la libertà personale può in qualche modo consegnare al suo termine anticipato e se lo fa - quando lo fa - ha dietro di sé una storia di solitudine, di dolore, e di abbandono. Assai raramente mi è dato di conoscere casi di chi ponga fine alla propria vita come un'affermazione di libertà autonoma e scevra da condizionamenti.
Questo disegno di legge è atteso con molta energia - sto per concludere, signor Presidente - dalla classe medica, che ha bisogno di interrogarsi sul nuovo rapporto che si stabilisce tra tecnologie sempre più sofisticate e impegno di un'umanizzazione della medicina, che ci porti a stare accanto al paziente anche quando sembra che per questo paziente non ci sia più nulla da fare e che l'unica cosa che resta da fare è proprio la relazione di accompagnamento. Ce lo chiedono i malati perché hanno bisogno di capire e di riflettere su questo valore straordinario, che è la libertà di ognuno di noi, ma una libertà che ha il senso del limite.
Siamo tutti invitati a tornare a riflettere e a riappropriarsi del senso del limite. La libertà non è un diritto illimitato, ma è un diritto che ha i suoi paletti, che gli sono assegnati dalla natura, dalla cultura e che noi vogliamo rispettare. Quindi noi crediamo davvero che questo disegno di legge possa essere...

Pag. 85

PRESIDENTE. Onorevole Binetti, la prego di concludere.

PAOLA BINETTI. Per questo, il nostro gruppo voterà contro la sospensiva (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

MASSIMO POLLEDRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, il gruppo Lega Nord voterà contro la questione sospensiva, perché ormai è giunto il momento che questo Parlamento si riappropri della sua centralità su un tema che è discusso fortemente nel Paese. Non vedo perché si possa discutere nel Paese, onorevoli colleghi e colleghe, anche con campagne pubblicitarie dirompenti, con raccolte di firme, con sottoscrizioni multiple, e si neghi in qualche modo a questo Parlamento il diritto/dovere di dire una parola chiara. Noi non abbiamo paura della discussione, anzi auspichiamo una discussione che siamo sicuri alla fine sarà serena, presenterà delle divisioni sicuramente, ma sarà autorevole. Pensiamo che questa sarà forse una delle leggi più importanti che questo Parlamento sarà chiamato a discutere ed approvare. È una legge che dovrà decidere del confine tra l'autodeterminazione e la tutela della salute, tra essere lasciati soli ed essere assistiti da uno Stato, tra la propria libertà individuale e la propria capacità e la capacità di una collettività di farsi carico del dolore ma anche di un fatto naturale. Non ci stiamo a demonizzare e a trasportare ciò in ambiti che non sono propri del Parlamento. Discuteremo con la Costituzione in mano, discuteremo sull'articolo 32, sulla tutela della salute. Ne discutiamo dopo che per due anni il dibattito, dapprima al Senato e poi nelle Commissioni parlamentari alla Camera, è stato esaustivo. È stato un dibattito che ci ha portato a formarci un'opinione cosciente che vogliamo consegnare a quest'Aula e agli italiani. Non ci stiamo, però, a farci tirare la giacchetta e in qualche modo a consegnare tutto alla strumentalizzazione politica. Non è possibile sempre e comunque cercare di fare cassetta elettorale, non è possibile sempre e comunque arrivare a fare cassetta elettorale addirittura sulla pelle dei malati, come è stato fatto in questo momento. Noi non discutiamo per una manciata di voti, discutiamo per la dignità del Parlamento, per la dignità dei malati e degli operatori sanitari. Per questo la Lega Nord voterà contro la questione sospensiva (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, la questione sospensiva sottoscritta dall'onorevole Franceschini ed altri per il Popolo della Libertà è sostanzialmente illogica ed ha un obiettivo di puro intralcio ai lavori parlamentari, in quanto pone tra le sue motivazioni principali quella di consentire un ulteriore approfondimento della materia. La pretestuosità delle motivazioni addotte dal documento presentato dal gruppo del Partito Democratico è del tutto evidente. Quale ulteriore approfondimento è infatti necessario se il testo all'esame dell'Assemblea è il frutto di un dibattito assai approfondito sia al Senato, sia presso la XII Commissione in sede referente qui alla Camera? È praticamente dall'inizio della XVI legislatura che si discute su questi temi e qui alla Camera, in particolare, sono state esaminate congiuntamente ben tredici iniziative legislative in materia. Vorrei inoltre ricordare che è dal mese di aprile 2009 che si discute in Commissione in sede referente di queste proposte di legge con un dibattito ampio e approfondito. Quindi, non si vede proprio quale altro approfondimento si debba fare, dato che c'è una chiara maggioranza a favore di questo testo. Si sostiene che il Paese non sia pronto e che sia necessario rimandare di un anno, ma il sospetto che nasce spontaneo è che sia il Partito Democratico a non essere pronto e che si chieda di rimandare il voto nella speranza Pag. 86di evitarlo del tutto per impedire che le diverse anime del Partito Democratico si dividano su questo tema. Il sospetto cresce se consideriamo che nel Partito Democratico emergono in modo ricorrente, per esempio dal senatore Marino, proposte di una disciplina rigida di partito, che escluda la libertà di coscienza. C'è chi evidentemente ha molto a cuore la libertà di morire, ma non la libertà di votare secondo le proprie convinzioni, ma c'è ancora un altro aspetto che viene in mente di fronte alla richiesta di sospensiva, che si voglia lasciare alla magistratura il tempo di arrivare ad un'altra sentenza sul modello del caso Englaro.
Una seconda sentenza della Cassazione, infatti, creerebbe una giurisprudenza consolidata, che il legislatore difficilmente potrebbe modificare. A tutti coloro che difendono la centralità del Parlamento solo quando fa comodo a una parte politica rispondiamo con una piena assunzione di responsabilità. I cittadini ci hanno votato affinché facciamo il nostro mestiere di parlamentari, e cioè discutere e votare le leggi che servono al Paese.
Peraltro, nel ragionamento che stiamo illustrando dobbiamo fare una necessaria premessa, che serve a sgombrare il campo da dannosi equivoci: nonostante si parli spesso di testamento biologico, ovvero di biotestamento, questo termine non ha niente a che vedere con il testo che ci accingiamo a votare. Con il testamento, infatti, disponiamo di beni materiali in previsione della nostra morte, mentre con le DAT, le dichiarazioni anticipate di trattamento, diamo indicazioni circa le terapie a cui vogliamo o non vogliamo essere sottoposti quando siamo ancora vivi, ma incapaci di esprimere la nostra volontà.
A questo proposito bisogna sottolineare che, anche nel caso della volontà testamentaria, vi sono condizioni da rispettare e nessun giudice, nemmeno quelli più «rossi», nonostante in questo caso si tratti solo di oggetti da trasmettere e non di vita umana da portare alla fine, sarebbe disposto a consentire che un bene passasse ad un erede sulla base della ricostruzione ex post della volontà, magari tenendo conto degli stili di vita del testatore.
Questo, invece, è quanto la magistratura ha stabilito per Eluana Englaro, che è morta perché un tribunale ha ritenuto che il principio di autodeterminazione possa non passare dal consenso informato, anzi, possa essere affermato a suo scapito. È questo, dunque, il rischio più grande che si corre in assenza di un testo di legge sulla materia in esame, ovvero quello di indebolire, in nome del principio di autodeterminazione, quello del consenso informato.
Quest'ultimo è la parte giuridica con la quale possiamo garantire la nostra libertà di scelta nelle terapie ed è diretta emanazione del principio costituzionale enunciato dall'articolo 32 della Carta costituzionale. È il consenso informato che rende possibile l'autodeterminazione e questo è vero al di là di ogni convinzione religiosa o di visioni contrapposte del mondo.
Si tratta, piuttosto, di una questione di fondamentali garanzie della persona per la sua dignità e libertà ed è una questione di laicità, quella laicità positiva di cui noi riformisti andiamo fieri. Con questo provvedimento, per la prima volta...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LUCIO BARANI. ... stabiliamo per legge il principio del consenso informato. Concludo dicendo che, per i motivi e le ragioni suesposte, noi del Popolo della Libertà respingiamo convintamente la questione sospensiva Franceschini ed altri n. 1 (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Barani, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Briguglio. Ne ha facoltà.

Pag. 87

CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, il gruppo di Futuro e Libertà per l'Italia voterà a favore della questione sospensiva sulla proposta di legge in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (sul biotestamento, per intenderci). Lo vogliamo fare in base a delle riflessioni brevi, ma estremamente pacate; direi delle ragioni laiche, senza essere particolarmente aggressivi nei confronti delle tesi dei nostri avversari, almeno sul punto.
Stiamo andando a discutere o si vorrebbe discutere una proposta di legge che coinvolge certamente la visione della vita e del mondo di ciascuno di noi, ma anche la visione dello Stato, della Costituzione, della libertà personale, dei diritti individuali, dell'etica medica e dei diritti delle famiglie. Discutiamo questa proposta di legge - voglio sposare anche la buona fede di chi vorrebbe che questa proposta di legge si discutesse immediatamente - in un momento - spero che lo si riconosca - assolutamente sbagliato e con una fretta che si contrappone all'importanza ed allo spessore politico e culturale profondo a cui questa proposta di legge ci richiama.
Non possiamo banalizzare questa discussione immergendola nel sospetto di strumentalità di una campagna elettorale in pieno svolgimento in vista delle elezioni amministrative. Sarebbe come negare il valore profondo del dibattito che pure si vorrebbe svolgere.
Voglio dire senza particolare acrimonia che la lettera del Presidente del Consiglio ai deputati del gruppo Popolo della Libertà e della maggioranza, certamente, ci porta a concludere nel senso e nella direzione di questa banalizzazione e di questa strumentalità.
Abbiamo grandi problemi nel Paese, non abbiamo alcuna urgenza o emergenza, nemmeno quella pretesa che i giudici possano, in questo momento, sostituirsi al Parlamento. Non vi è alcun caso eclatante o non eclatante alle porte o all'esame dei tribunali della Repubblica che potrebbe, in qualche modo, costituire una motivazione in grado di spingere alcuni settori del Parlamento ad esprimersi immediatamente sul tema.
Siamo, invece, un Paese in guerra che sta mettendo in atto degli atti bellici, seppure ampiamente giustificati e motivati. Siamo impegnati sul fronte libico, domani dovremo affrontare, come Parlamento, l'esame del Documento di economia e finanza, il primo che si allinea alle regole dateci dall'Unione europea.
Queste condizioni politiche, ma non soltanto queste, dovrebbero portarci ad una maggiore riflessione e a rinviare l'esame del provvedimento in oggetto a tempi più pacati, al di là di quello che è scritto in senso letterale nella questione sospensiva in esame. Tutti dovremmo affrontare con uno spirito di reciproca comprensione questa questione. Noi del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia lo facciamo senza accanimenti ideologici, sulla base di una laicità positiva che ci ispirerà nell'accompagnare e nell'affrontare questa questione.

PRESIDENTE. Onorevole Briguglio, la prego di concludere.

CARMELO BRIGUGLIO. Sto per concludere, signor Presidente.
All'interno del gruppo Futuro e Libertà per Italia vi è un pluralismo di opzioni in questo campo, sia filosofiche, sia culturali, sia religiose.
Vorremmo dispiegare, al nostro interno e all'interno del Parlamento italiano, questo confronto con una grande pacatezza che questo momento politico non assicura.
Per questo il gruppo Futuro e Libertà per l'Italia voterà a favore della questione sospensiva in esame (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla questione sospensiva Franceschini ed altri n. 1.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Pag. 88

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:

Presenti 556
Votanti 554
Astenuti 2
Maggioranza 278
Hanno votato 248
Hanno votato no 306.
(La Camera respinge - Vedi votazionia ).

Prendo atto che il deputato La Loggia ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario.
Essendo state respinte le questioni pregiudiziali di costituzionalità e la questione sospensiva dobbiamo passare al seguito della discussione della proposta di legge A.C. 2350-A: Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.

GIANCARLO GIORGETTI, Presidente della V Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANCARLO GIORGETTI, Presidente della V Commissione. Signor Presidente, purtroppo la Commissione bilancio non ha potuto esprimere il proprio parere sulle proposte emendative, perché il Governo ha chiesto un supplemento di tempo per il supporto tecnico della Ragioneria di Stato.
Credo che adesso quantomeno sull'articolo 1 si possa procedere in Commissione, ma per fare questo è necessaria una sospensione dei nostri lavori, almeno di un'ora.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non me ne voglia se intervengo e non me ne voglia neanche il presidente Giorgetti, però questa storia delle sospensioni per un'ora le conosciamo tutti. Sono le ore 17,45 e penso che il dibattito sulle proposte emendative al DEF che dobbiamo affrontare domani mattina non sia una cosa puramente rituale. Suggerirei di ponderare un orario di permanenza in Commissione, per così dire, adeguato al tema che abbiamo di fronte. La pregherei, quindi, di fare una valutazione, che vada oltre l'ottimismo del presidente Giorgetti.

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, siamo arrivati in Aula alle ore 16 ed è stata chiesta l'inversione dell'ordine dei lavori per passare ad esaminare questo provvedimento. Dopo neppure un'ora dall'inizio, noi andiamo in sospensione.
Signor Presidente, a me pare che sarebbe da portare alla Giunta per il Regolamento l'idea che non si possa fare un'inversione dell'ordine del giorno per un provvedimento di legge, che ancora non ha ottenuto il parere della Commissione. A me parrebbe il minimo.
I lavori, infatti, potevano tranquillamente andare avanti con gli altri provvedimenti previsti dall'ordine del giorno (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

Sull'ordine dei lavori (ore 17,40).

LUCA SANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCA SANI. Signor Presidente, ho chiesto di intervenire a fine seduta sull'ordine dei lavori per ricordare un fatto che ha colpito l'opinione pubblica italiana e in particolar modo i residenti della mia provincia.
Nella mattina del 25 aprile, due carabinieri in servizio, impegnati in un posto di blocco sulla strada che va da Pitigliano a Sorano, sono stati vittima di una violenta aggressione da parte di quattro giovani tra Pag. 89i 17 e 19 anni. Questi giovani, all'uscita di un rave party, hanno aggredito a bastonate e gravemente ferito i due militari, che stavano per sequestrare l'auto, perché il conducente era risultato positivo all'alcol test.
I due carabinieri feriti sono stati ricoverati ed operati di urgenza al policlinico Le Scotte di Siena. Si tratta del carabiniere scelto Domenico Marino di 34 anni, originario della provincia di Caserta, che rischia di perdere un occhio, e dell'appuntato scelto Antonio Santarelli, di 43 anni, originario di Teramo, sposato e padre di un ragazzo di 13 anni. Antonio Santarelli è in prognosi riservata e sta lottando contro la morte. Gli autori sono stati consegnati all'autorità giudiziaria. I prossimi giorni saranno utili a chiarire tutti i dettagli dell'accaduto.
Nel ricordare questa drammatica vicenda, che ha sconvolto l'opinione pubblica del nostro Paese, le chiedo di esprimere a nome della Camera i sentimenti di solidarietà all'Arma dei carabinieri e alle famiglie dei militari coinvolti (Applausi).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sani, la Presidenza della Camera si associa alle sue parole.
Concederò ulteriormente la parola dopo la seguente comunicazione e comunque prima che si concluda la seduta, così come il nostro Regolamento prevede.

Si riprende la discussione della proposta di legge n. 2350-A.

PRESIDENTE. Alla luce della richiesta del presidente Giancarlo Giorgetti e alla luce degli interventi degli altri colleghi, la Presidenza ritiene che sia opportuno a questo punto sospendere i nostri lavori, che riprenderanno domani mattina alle ore 9,30.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad un atto del sindacato ispettivo (ore 17,43).

FILIPPO ASCIERTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, desidero esprimere la mia personale solidarietà ai carabinieri feriti e porre in evidenza il rischio imprevedibile di un lavoro come quello che svolgono le forze dell'ordine ma va, altresì, sottolineato che non possiamo più permettere che a livello nazionale, sul nostro territorio, possano avvenire manifestazioni quali i rave party, che sono luoghi di spaccio di sostanze stupefacenti di origine sintetica che bruciano il cervello dei giovani, li rendono irrazionali e fanno loro commettere atti gravi come quello che hanno compiuto. La solidarietà va anche ulteriormente estesa ai carabinieri perché non hanno fatto uso, seppur legittimamente, delle armi in quella circostanza, evitando ulteriori conseguenze che sono oggi tutte sulla pelle degli operatori di quel momento. Per cui rivolgiamo un grazie sentito a questi ragazzi e speriamo che guariscano presto.

MAURIZIO TURCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, desidero intervenire sull'ordine dei lavori nel senso che siamo stati chiamati d'urgenza ad esprimerci su un testo che sembrava essere di estrema attualità ed urgenza per il popolo italiano e ci ritroviamo, dopo un'ora e mezzo, che era tutto uno scherzo, ancora una volta, perché quando si parla delle libertà personali c'è, come sempre, un'estrema, quando va bene, disattenzione, altrimenti c'è un estremo sfregio delle libertà personali.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,48)

MAURIZIO TURCO. Noi riteniamo che quanto sia accaduto - lo dico con un termine popolare - ha più l'aria di una buffonata che di un qualcosa davvero sentito come urgenza. Improvvisamente abbiamo assistito ad un cambiamento del nostro ordine dei lavori e non si è capito Pag. 90bene perché dopo un'ora dovevamo improvvisamente smettere di discutere. Ci è stato spiegato che era un'emergenza, non se ne poteva fare meno e bisognava fare presto. Abbiamo fatto prestissimo, andrà a finire che abbiamo consegnato ancora una volta a un'iniziativa parlamentare unicamente il valore elettorale. Vedremo quando riprenderemo il dibattito, di certo un simile comportamento politicamente non può che essere censurabile. È un comportamento, posto in essere innanzitutto dall'Unione di Centro con il Popolo della Libertà e la Lega che sicuramente che non fa onore a quest'Aula.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, volevo richiamare la sua attenzione, e possibilmente anche quella del Governo, su una questione molto incresciosa (anche se lo so che lei non ci può far nulla). Qui è in discussione - per quello che sto per dire, signor Presidente - il prestigio, la dignità della Camera e il ruolo dei parlamentari. Ritengo che questa è la questione di fondo, perché il 30 marzo la Commissione XI ha approvato all'unanimità una risoluzione, dopo una serie di incontri fra i gruppi parlamentari, presenti sia all'interno della stessa Commissione sia in Aula, e dopo una serie di confronti anche con il Governo, tendente al mantenimento, quindi alla prosecuzione dell'impiego, di lavoratori con contratti di somministrazione di lavoro operanti presso gli enti previdenziali, in particolare presso l'INPS.
Il Governo - via breve - ha dato la sua disponibilità e ha «ricercato» anche questo atto di indirizzo parlamentare che lo confortasse per un provvedimento d'urgenza. Tengo a far presente che questi lavoratori a contratto, precari che svolgono il servizio presso gli enti previdenziali e in particolar modo presso l'INPS, svolgono un lavoro e una attività preziosissimi. Questo mantenimento in servizio, la prosecuzione del rapporto, non costerebbe nulla all'INPS, e allo Stato, perché l'INPS ha la disponibilità finanziaria. Anzi l'INPS sta cercando la prosecuzione di questo rapporto perché questi ragazzi, perché di ragazzi si tratta, hanno impiegato i loro sforzi e le loro energie verso compiti importanti, ad esempio nel campo del lavoro nero, delle liquidazioni, della mobilità, del recupero quindi di risorse, ambito in cui l'INPS certamente si proietta in termini seri, e soprattutto svolge un'attività alla cui realizzazione tutti quanti dovremmo offrire un aiuto. Sono 1.850 ragazzi, sono rimasti in 1.280, e oltre 500 ragazzi sono venuti meno il 31 dicembre del 2010. Quindi, sono 1.850 ragazzi, e inoltre l'INPS quest'anno perderebbe 1.200 persone. Avremo dunque il collasso dell'INPS.
L'INPS non potrà realizzare i suoi servizi e quindi perderà risorse. Ho fatto riferimento alla mobilità, alle liquidazioni, al lavoro nero, al lavoro sommerso e ad altro, ma credo che ci troviamo di fronte ad una situazione certamente imbarazzante e per alcuni versi preoccupante, considerato che viene messa in discussione la dignità di una Commissione parlamentare, la dignità del Parlamento e, quindi, dei singoli parlamentari.
Detto questo, Presidente, è una questione nostra, ma riguarda anche la Presidenza della Camera. Gli atti indirizzo parlamentare realizzati, posti in essere attraverso questo confronto non possono cadere sotto silenzio, soprattutto quando si riferiscono ad una struttura e ad un servizio ritenuti importanti e fondamentali. Per concludere, è incomprensibile questo silenzio del Governo, dopo la sollecitazione nei confronti dell'INPS - che ha i fondi e che perde 1.300 persone perché vanno in pensione - e considerato che ci sono servizi delicati e importantissimi che procurano risorse alle casse dell'INPS, quindi al Paese, snelliscono i servizi, e danno risposta agli utenti. Voglio capire il motivo di questo silenzio da parte del Governo. Non lo dico perché sono un parlamentare in questo momento dislocato nei banchi dell'opposizione. Questo certamente è un insulto al Parlamento, rappresenta un'insensibilità rispetto al Parlamento, Pag. 91di cui certamente tutti i gruppi parlamentari, al di là delle collocazioni e dislocazioni che essi hanno in quest'Aula, dovrebbero prendere coscienza. Per questo essi dovrebbero reagire, se vogliamo dare senso e significato anche al prosieguo del lavoro del nostro Parlamento, della nostra Aula in termini di serietà, di decoro e di onestà.

ENZO RAISI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENZO RAISI. Signor Presidente, anch'io intervengo per manifestare il mio stupore rispetto a quanto è accaduto alla Camera oggi pomeriggio. Ero venuto qui pensando di votare importanti provvedimenti economici e mi sono trovato un dibattito, che ho ascoltato attentamente, in cui molti colleghi sono intervenuti anche dimostrando certezze su temi che onestamente invidio, certezze di taluni temi come la malattia e la morte. Però ho ascoltato rispettosamente, ho votato, e mi aspettavo che di fronte a questa urgenza ci fosse una continuità di lavori parlamentari.
Ora assisto e prendo atto che il Parlamento chiude alle ore 18 perché, in realtà, tutto quello che è accaduto poc'anzi e a cui abbiamo assistito era una mera manovra di marketing politico. Credo che questo comportamento, ancora una volta, allontani sempre più il Paese reale rispetto alle istituzioni. Non credo che quella di oggi sia una bella pagina della nostra storia, affrontando in modo inadeguato argomenti molto delicati su cui - ripeto invidio chi ha certezze - ma, soprattutto, non dando neanche continuità rispetto a quello che abbiamo votato e - sottolineo - rimandando a più avanti il dibattito su argomenti - questi sì - che toccano quotidianamente gli italiani e sui quali questo Parlamento e questo Governo si dovrebbero impegnare un po' di più. Per cui, ho voluto che rimanesse agli atti tale stupore parlamentare e spero veramente che questa pagina non si debba ripetere.

MARCO ZACCHERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, intervengo per ritornare alla vicenda dei due carabinieri feriti a Grosseto perché - e mi rivolgo soprattutto ai colleghi della Lega Nord Padania - la scorsa settimana la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimo il provvedimento dell'anno scorso, voluto dal Ministro Maroni, che forniva ai sindaci determinati poteri di intervento. È questo un atteggiamento schizofrenico della nostra magistratura; non riesco a capire, infatti, dove sia repressivo il fatto che, per esempio, un sindaco possa, sul proprio territorio, come ho fatto io nel mio comune, vietare il consumo di alcolici al di fuori di determinate fasce orarie e in determinate località. Da una parte la magistratura vieta ai sindaci di mettere i divieti, poi, dall'altra, ci preoccupiamo se, alla fine, la gente o si ubriaca o, peggio ancora, partecipa a certi party e perde la testa.
Credo che, da parte anche del Parlamento, ci dovrebbe essere una sottolineatura di questi fatti perché è veramente difficile, in una comunità, riuscire a reggere se non si ha una guida precisa. Prima che succedano altri fatti come quelli di Grosseto ai danni di carabinieri, ritengo che, se tutti qui crediamo nel federalismo - e, più o meno, tutti lo vogliamo -, si dovrebbe permettere maggiormente all'autorità locale di poter liberamente, con coscienza e nei limiti, prendere, per quanto possibile, anche provvedimenti di carattere di ordine pubblico o di contenimento di determinate forme di espressione che, qualche volta, sono, non soltanto al di là del buon senso, ma anche contro la salute e la normale attività delle persone.

GIOVANNI PALADINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, proprio oggi abbiamo svolto la discussione Pag. 92sulle linee generali del provvedimento recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Ho evitato oggi, per non strumentalizzare il tema, di parlare di quello che è accaduto in questi giorni. Ora, invece, voglio esprimere la solidarietà del nostro gruppo, dell'Italia dei Valori, a questi carabinieri che praticamente sono stati colpiti durante l'esercizio della propria professione.
Bisogna, però, dire una cosa molto importante e il sindaco che ha parlato ora è anche deputato: come ho già detto oggi, il problema del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza riguarda naturalmente una diversità di vedute. Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e la Costituzione o li modifichiamo o non si può pensare che, in Italia, le forze di polizia vengano naturalmente esercitate dai sindaci oppure si possa dare compiti di polizia alle Forze armate oppure, addirittura, ad associazioni, come abbiamo fatto con le cosiddette ronde.
Non si possono distribuire prebende di 100 milioni di euro invece di darle alle forze di polizia per pagare gli straordinari. Ma c'è un tema molto importante, ossia il problema della sicurezza. Questo in parte è anche accaduto perché una volta gli operatori di polizia erano tre, oggi, invece, sono due o, addirittura, uno. Infatti, il poliziotto di quartiere e il carabiniere di quartiere - norma inventata per far avere alla gente, anche in questo campo, un po' di visibilità sulla sicurezza - propone una concezione di insicurezza per le forze dell'ordine. Un uomo solo o due uomini soli rappresentano un problema di sicurezza del personale delle forze dell'ordine. Sono in inferiorità numerica, sono senza giubbotto antiproiettile e sono con un'arma corta, a differenza dei delinquenti. Immaginatevi che un agente di polizia o un carabiniere di quartiere debba intervenire in una rapina. Un solo uomo dovrebbe fronteggiare almeno 3-4 individui armati con arma lunga, con giubbotti e, naturalmente, con l'elemento della sorpresa.
Questo è il senso di sicurezza che si vuole dare al Paese... Poi, vi sono le vittime delle forze dell'ordine mal pagate e sottopagate. Soprattutto, con il provvedimento di oggi si è dovuto tornare indietro ad un provvedimento per ridare gli stessi soldi alle forze dell'ordine e noi veniamo praticamente qui in quest'Aula a dire: «Poveri ragazzi, poveri agenti di polizia, poveri carabinieri, che cosa succede!».
Io, invece, direi che dovrebbe finalmente prendere una coscienza il Parlamento, non solo pubblica, ma anche parlamentare, e capire che le forze dell'ordine non sono dipendenti dello Stato comuni, ma svolgono un servizio particolare, eseguono dei compiti molto particolari e il loro servizio molte volte è irripetibile, perché se sbagliano, a differenza di altri, ci lasciano la pelle. Quindi, credo che sia molto forte il tema della sicurezza e naturalmente anche quello relativo all'uso legittimo delle armi, che in Italia ha una sua limitazione.
Dunque, tengo a sottolineare tutti questi sistemi che vengono attuati contro le forze dell'ordine. Soprattutto oggi abbiamo visto tante cose che sono state dimenticate, dal riordino delle carriere alla specificità, ai parametri, alla specialità, al sotto organico, alla formazione professionale: sono questi i temi di cui si dovrebbe parlare in relazione alle forze dell'ordine. Qui il Governo e il Parlamento dovrebbero esprimere la solidarietà agli appartenenti alle forze dell'ordine. È l'unico Paese che accede al riposo compensativo, cioè invece di fare gli straordinari si mettono gli uomini a riposo. Credo che sia un tema molto importante. È l'unico Paese in cui si danno i soldi per fare le ronde e sono questi i temi che interessano alle forze dell'ordine.
Soprattutto, vi è il problema della sicurezza: un operatore o due operatori sono pochi per svolgere un servizio di polizia. Bisogna stare molto più attenti, Pag. 93perché la criminalità organizzata e i mezzi della criminalità sono superiori alle forze dell'ordine.
Per questo, a nome del nostro gruppo Italia dei Valori, esprimiamo la nostra solidarietà e mi auguro che il Parlamento, nelle prossime leggi, sia veramente vicino agli operatori di polizia (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Barbato? No...? Prego, onorevole Gidoni, ha facoltà di parlare.

FRANCO GIDONI. Signor Presidente, anche a nome della Lega Nord volevamo portare la nostra solidarietà ai due carabinieri feriti a Grosseto: a loro e naturalmente alle loro famiglie va il nostro sostegno e l'augurio di una pronta ripresa.
Abbiamo sentito toccare parecchi temi oggi, sulla scia e sull'onda di questo gravissimo episodio, e purtroppo dobbiamo anche sottolineare che non è l'unico: forse questo ha colpito per la ferocia e per la giovane età dei ragazzi che lo hanno compiuto. Tuttavia, dobbiamo dire che le aggressioni nei confronti delle nostre forze dell'ordine si contano in decine se non in centinaia di casi all'anno.
Mi associo all'elogio fatto dal collega Ascierto sulla professionalità delle nostre forze dell'ordine, che seppur aggredite riescono a gestire queste situazioni al meglio. Certo, si pone il tema relativo a questi rave party, a come essi nascano e da chi vengano gestiti e magari anche su questo tema poi ci colleghiamo a quanto citato dal collega in tema di ordinanze ed alla posizione presa dalla Corte costituzionale.
È chiaro che noi sosteniamo l'operato dei sindaci. Riteniamo che l'operato dei sindaci sia fondamentale nel controllo dei territori ed è chiaro che, affinché questo avvenga, deve esserci anche la possibilità per loro, che hanno una grande conoscenza delle loro realtà locali, di poter adoperarsi attraverso delle ordinanze mirate.
È ovvio che tutto questo deve avvenire in collaborazione con le forze dell'ordine, di cui riconosciamo la professionalità e la preparazione. Non possiamo dimenticare che, in tema di sicurezza, la nostra Arma dei carabinieri è apprezzatissima, è molto apprezzata anche nelle missioni che fa all'estero ed il suo contributo è spesso richiesto nell'addestramento di analoghe forze all'estero, a testimonianza della preparazione delle nostre forze di sicurezza.
Quindi, concludo rinnovando l'augurio ai due carabinieri di una pronta guarigione (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

LUCA RODOLFO PAOLINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Signor Presidente, intervengo a titolo personale per dire una cosa affinché rimanga agli atti. Pare che uno o più di questi giovani, autori di un gesto che definisco infame senza mezzi termini, abbia portato a giustificazione la seguente frase: «Abbiamo perso la testa», come se perdere la testa giustificasse massacrare due padri di famiglia, riducendoli in fin di vita.
Questo è frutto, a mio avviso, di una certa cultura di perdonismo, di comprensione a tutti gli effetti, di sociologia d'accatto che sempre indaga non sul fatto, ma sulle ragioni, magari, andando a scavare, dicendo che si trattava di una famiglia difficile, che i giovani erano disoccupati, eccetera.
Questi fatti devono essere stigmatizzati dal Parlamento. È necessario intervenire sul fenomeno dei rave party, che sono delle vere e proprie licenze di fare ciò che si vuole, di spacciare droghe e di delinquere; soprattutto, occorre che, anche sul piano culturale, si cominci a distinguere le azioni prive di alcuna giustificazione. Mi auguro che questa volta la magistratura, come non è accaduto in tante altre occasioni, applichi la legge nella misura più dura possibile. Ricordiamoci che un gesto del genere potrebbe capitare anche contro di noi: questi signori hanno aggredito due carabinieri, ma avrebbero potuto ridurre in fin di vita qualunque altro cittadino che si Pag. 94fosse, magari, per caso, trovato con loro ad avere un tamponamento o un diverbio. Queste cose devono essere stigmatizzate e represse nel modo più duro possibile (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PIETRO TIDEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, mi rivolgo a lei per chiederle un autorevole intervento nei confronti del Ministro La Russa, visto che sono già due volte che segnalo questa necessità. La stampa nazionale, infatti, per ben due o tre volte, ha riportato la notizia di un accordo tra il sindaco di Roma, Alemanno, e il Ministro La Russa per trasferire la più grande discarica d'Europa da Roma-Malagrotta a Civitavecchia-Allumiere.
Ho presentato già da tempo un'interrogazione per sapere se questo accordo corrisponde al vero: il Ministro La Russa si ostina a non rispondere ed io continuo a chiedere un intervento del Presidente della Camera affinché solleciti questa risposta. Non è pensabile che da un accordo segretamente sottoscritto si possano scavalcare la regione, la provincia, i comuni, le popolazioni interessate, in un'area che è parco pubblico e zona a protezione speciale. Non riesco a capire per quale motivo un rappresentante del Governo, in questo caso, il Ministro La Russa, si ostini a non rispondere ad un'interrogazione che un parlamentare ha legittimamente posto.
Non so cos'altro devo fare e quante altre volte dovrò chiedere la parola per avere una risposta ad un'interrogazione, la cui risposta appunto è attesa da migliaia e migliaia di persone, da migliaia e migliaia di cittadini, da decine di comuni, dalla provincia e dalla regione stessa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Tidei, l'ulteriore sollecitazione verrà fatta.

RAFFAELLO VIGNALI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELLO VIGNALI. Signor Presidente, desidero intervenire in relazione ad alcuni articoli che sono comparsi nei giorni scorsi su un importante quotidiano, nei quali sono stato definito un «assaltatore» della Costituzione che usa i costituenti per giustificare la propria nefandezza. Intervengo in questa sede perché, avendo scritto al direttore di quel quotidiano e non avendo visto la risposta pubblicata (e credo che non la vedrò mai), volevo chiarire alcune cose, non giustificarmi - perché credo che non ce ne sia nemmeno bisogno - ma chiarire.
Desidero chiarire che la mia proposta di legge sulla Corte costituzionale ricalca esattamente la proposta che fece tal Piero Calamandrei, il quale non era un «assaltatore» della Costituzione, ma, anzi, di quella parte della Costituzione era relatore assieme a Giovanni Leone nel febbraio del 1947. Dico questo perché i giornalisti che ne hanno parlato - autorevoli giornalisti di quel quotidiano - lo sanno, in quanto ciò è scritto nella relazione. Pertanto, credo che ciò non sia imputabile ad ignoranza, quanto piuttosto alla malafede.
Detto questo, non che io mi preoccupi, credo anzi che faccia parte dell'attività parlamentare presentare progetti di legge di cui si è convinti, ed io sono convinto che la separazione dei poteri sia un bene e che ogni potere dello Stato debba fare il suo compito, non quello di altri. Ne sono convinto sin da quando ero studente, lo sarò ancora e sicuramente credo anche che valga la pena ricordare a me stesso che il dettato costituzionale del «senza vincolo di mandato» non vale soltanto rispetto alla propria parte politica, ma anche ai quotidiani italiani, per quanto grandi essi siano.

RENATO FARINA. Bravo!

Modifiche nella denominazione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che il presidente del gruppo parlamentare Unione di Pag. 95Centro, con lettera pervenuta in data 21 aprile 2011, ha reso noto che l'assemblea del gruppo ha deliberato di modificare la denominazione del gruppo in «Unione di Centro per il Terzo Polo».
Comunico, altresì, che il presidente del gruppo parlamentare Futuro e Libertà per l'Italia, con lettera pervenuta in data 26 aprile 2011, ha reso noto che il gruppo ha modificato la propria denominazione in «Futuro e Libertà per il Terzo Polo».

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 28 aprile 2011, alle 9,30:

1. - Discussione del documento:
Documento di economia e finanza 2011 (Doc. LVII n. 4).
- Relatori: Toccafondi, per la maggioranza; Baretta, Ciccanti e Borghesi, di minoranza.

2. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 10-51-136-281-285-483-800-972-994-1095-1188-1323-1363-1368 - d'iniziativa dei senatori: IGNAZIO ROBERTO MARINO ed altri; TOMASSINI ed altri; PORETTI e PERDUCA; CARLONI e CHIAROMONTE; BAIO ed altri; MASSIDDA; MUSI ed altri; VERONESI; BAIO ed altri; RIZZI; BIANCONI ed altri; D'ALIA e FOSSON; CASELLI ed altri; D'ALIA e FOSSON: Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (C. 2350-A).

e delle abbinate proposte di legge: BINETTI ed altri; ROSSA ed altri; FARINA COSCIONI ed altri; BINETTI ed altri; POLLASTRINI ed altri; COTA ed altri; DELLA VEDOVA ed altri; ANIELLO FORMISANO ed altri; SALTAMARTINI ed altri; BUTTIGLIONE ed altri; DI VIRGILIO ed altri; PALAGIANO ed altri (C. 625-784-1280-1597-1606-1764-bis-1840-1876-1968-bis-2038-2124-2595).
- Relatori: Di Virgilio, per la maggioranza; Palagiano, di minoranza.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26, recante misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali (C. 4219).
- Relatore: Fugatti.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (C. 4220-A).
- Relatori: Stasi, per la I Commissione; Cicu, per la IV Commissione.

5. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
MELCHIORRE ed altri; GOZI ed altri; DI PIETRO ed altri; BERNARDINI ed altri: Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale (C. 1439-1695-1782-2445-A).
- Relatore: Rao.

6. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
TOMMASO FOTI; IANNUZZI ed altri; IANNUZZI; BOCCI ed altri: Disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici e dei borghi antichi d'Italia (C. 169-582-583-1129-A).
- Relatore: Stradella.

Pag. 96

(al termine delle votazioni)

7. - Svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta termina alle 18,15.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO JOLE SANTELLI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 4220-A

JOLE SANTELLI. Onorevoli colleghi, il provvedimento in esame rappresenta soprattutto, come già ha sottolineato il relatore, il grande impegno che il nostro Governo si è assunto nei confronti del comparto difesa e sicurezza.
Un impegno che si è inizialmente manifestato nella volontà di inquadrare a livello normativo la «specificità» del comparto, principio che è stato esplicitato dall'articolo 19 del cosiddetto «collegato lavoro» (Legge n. 183 del 4 novembre 2010).
Nei provvedimenti di tagli, anche drastici, che si sono succeduti in questi anni al fine di attuare una politica di obbligato contenimento della spesa pubblica si è tenuto comunque conto della necessità di dare contenuti al principio di specificità, non applicando in modo automatico le misure adottate per il restante pubblico impiego.
Nel 2010, quando il decreto-legge n. 78 del 2010 ha tagliato in modo cospicuo le spese per il pubblico impiego, il Governo ha previsto un Fondo destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco interessato dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali, con dotazione di 80 milioni di euro annui per gli anni 2011 e 2012.
Ed ora, onorevoli colleghi, ha stanziato ulteriori 345 milioni di euro per il triennio 2011- 2013 a favore delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che - aggiungendosi ai 160 milioni di euro già disponibili - consentirà di erogare 195 milioni di euro per i primi due anni e 115 milioni di euro nel terzo anno.
Certo, ne servono di più, ma le donne e gli uomini, che del comparto sicurezza e difesa fanno parte, hanno capito gli enormi sforzi e la grande attenzione che il nostro Governo mostra nei loro confronti, l'impegno a riempire di contenuti economici la specificità ed a riconoscere il valore strategico del comparto.
Voglio rimarcare in questa sede il senso di responsabilità dimostrato da quei sindacati di categoria che non sono scesi in piazza né hanno manifestato davanti alla residenza del Presidente del Consiglio il 14 marzo scorso: si tratta di quelle organizzazioni sindacali, che, sottolineo, riguardano i due terzi degli iscritti, e che sono state convocate a Palazzo Chigi in seguito agli impegni presi dal Presidente Berlusconi, che sono state ascoltate senza che fosse necessario ricorrere a forme di protesta.
I rappresentanti dei sindacati Siulp, Sap, Ugl per la Polizia di Stato, Sappe per la Polizia penitenziaria, Conapo per i Vigili del fuoco, Sapas per il Corpo forestale nonché i Cocer delle Forze armate sono stati ricevuti dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e dei loro rilievi si è tento conto nel redigere il decreto-legge al nostro esame oggi.
Il Parlamento lo ha migliorato attraverso l'approvazione di alcuni emendamenti nelle Commissioni referenti, su cui non mi dilungherò, date le esaurienti relazioni svolte.
Nel concludere questo mio intervento voglio portare l'attenzione su un argomento che mi sta particolarmente a cuore e su cui, da anni, mi sono personalmente impegnata: il riordino delle carriere. Molti hanno protestato per il fatto che questo decreto attinga al fondo per il riordino delle carriere al fine di provvedere alla copertura finanziaria e tuttavia non credo che si possa per questo parlare di mancanza di volontà nel riordinare il settore o addirittura di abbandono del progetto. Pag. 97
Sono semplicemente sicura che la questione del riordino sarà all'ordine del giorno di questo Parlamento perché vi sono chiari segnali che vanno in tale direzione e soprattutto perché è evidente che è necessario procedere ad una riforma organica del settore.
Il Governo, del resto, contemporaneamente all'approvazione del presente decreto-legge, si è impegnato a voler procedere quanto prima alla predisposizione di un disegno di legge delega per il riordino dei ruoli e delle carriere del comparto sicurezza e difesa: in quella sede saranno reperite le risorse necessarie per tale obiettivo, per noi assolutamente prioritario: l'apporto che daremo come parlamentari sarà fondamentale, come già abbiamo dimostrato con le proposte di legge che sull'argomento abbiamo presentato sin dall'inizio della legislatura.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ROBERTO RAO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 1439-A ED ABBINATE

ROBERTO RAO, Relatore. L'esigenza di istituire una giurisdizione a livello internazionale si è manifestata fortemente in un congresso internazionale tenuto a Parigi subito dopo il processo di Norimberga, concluso il 10 ottobre 1946. Da quel congresso uscì decisa la volontà di adottare un codice penale internazionale e di istituire una Corte Penale Internazionale. La guerra fredda impedì la realizzazione di questo obiettivo. Ciò che ha poi dato un impulso fortissimo all'istituzione della Corte sono state alcune missioni di pace che hanno avuto tra i protagonisti l'Unione Europea ed, in particolare, quanto accaduto in Bosnia-Erzegovina nel 1992.
Finalmente in una conferenza tenuta a Roma dal 15 giugno al 17 luglio 1998, alla quale hanno partecipato 160 Stati, è stato adottato lo Statuto con 120 voti a favore. Tra gli Stati che hanno votato contro figurano il Sudan, la Cina, la Nigeria, gli Stati Uniti e Israele. Il primo Stato a ratificare lo Statuto è il Senegal. L'Italia lo ha ratificato il 26 luglio 1999, mentre gli Stati Uniti dopo aver firmato in favore del trattato istitutivo della Corte nel dicembre del 2000, nel maggio del 2002, con una lettera inviata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, dichiarano di non voler diventare parte del trattato e di non sentirsi in alcun modo vincolati dalla firma apposta nel 2000.
La Corte è stata quindi istituita a l'Aia. La competenza del Tribunale è limitata ai crimini che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, come il genocidio, i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium) e il crimine di aggressione (articolo 5, paragrafo 1). Obiettivo della Corte è l'attuazione del diritto internazionale penale e, in particolare, del diritto internazionale umanitario.
La I Camera Preliminare della Corte, accogliendo la richiesta del procuratore Luis-Moreno Ocampo, ha emesso un mandato d'arresto a carico del Presidente sudanese Omar Al Bashir per crimini internazionali commessi in Darfur. Il 15 dicembre 2010, il Procuratore della Corte Penale Internazionale, Luis-Moreno Ocampo, ha presentato due casi di crimini contro l'umanità alla Camera Preliminare della Corte, richiedendo l'emissione di sei mandati di comparizione per altrettanti cittadini kenioti accusati di tali crimini nel contesto delle violenze post-elettorali scoppiate in Kenya tra il 2007 e il 2008.
Il testo unificato approvato dalla Commissione, infatti, si limita ai due aspetti essenziali dei rapporti tra l'Italia e la Corte, relativi alla cooperazione giudiziaria ed all'esecuzione dei provvedimenti della Corte, tralasciando la parte relativa al diritto penale sostanziale, invece presente nella prima proposta di testo unificato che avevo presentato nonché in alcune delle proposte abbinate.
In Commissione ci siamo tutti ripromessi di individuare quei reati di competenza della Corte che necessitano di essere introdotti specificamente anche nel nostro ordinamento al fine di colmare eventuali Pag. 98lacune, essendo comunque consapevoli che la maggior parte dei reati di competenza della Corte già trovano corrispondenza nel nostro sistema penale.
Come ho avuto modo di precisare in occasione della presentazione della prima proposta di testo unificato, questo era stato redatto prendendo come spunto quelle disposizioni delle proposte di legge abbinate che avevano una sorta di crisma di ufficialità essendo state elaborate a seguito di approfonditi lavori da parte di commissioni ministeriali, come la Commissione Conforti, ovvero da parte di organismi internazionali, come l'Assemblea degli Stati-parte svoltasi a New York dal 3 al 10 dicembre 2002.
La proposta di testo si componeva di 85 articoli suddivisi in due titoli aventi ad oggetto rispettivamente il rapporto tra giurisdizioni e le norme penali sostanziali.
Il primo titolo era stato ripreso dalla proposta di legge presentata dall'onorevole Melchiorre, la quale, a sua volta, riprendeva l'elaborato della Commissione Conforti costituita dal Ministro della Giustizia il 27 giugno 2002 per l'attuazione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale.
Il titolo II aveva invece ad oggetto norme, penali sostanziali previste dalle proposte di legge presentate rispettivamente dagli onorevoli Bernardini e Gozi, che a loro volta avevano fatto riferimento alle descrizioni fornite dallo Statuto e dagli Elements of Crimes, approvati dall'Assemblea degli Stati-parte svoltasi a New York dal 3 al 10 dicembre 2002.
Come si è detto, il testo unificato adottato dalla Commissione è stato limitato poi alla prima parte. A questo proposito vorrei ricordare le audizioni svolte dal sostituto procuratore generale della Corte di cassazione dottor Eugenio Selvaggi, che sono state di grande ausilio ai lavori della Commissione. In merito alla scelta di adottare un testo unificato che non contenesse anche la parte di diritto penale sostanziale, il dottor Selvaggi ha evidenziato come l'esigenza improcrastinabile di introdurre norme interne di adattamento allo Statuto della Corte riguardi principalmente le disposizioni relative all'obbligo di corrispondere ad una richiesta di consegna sulla base di un mandato di cattura emesso dalla Corte e in via secondaria all'obbligo di corrispondere a richiesta di assistenza giudiziaria in vista del perseguimento dei fini propri della Corte medesima.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI SANDRO GOZI E FEDERICO PALOMBA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 1439-A ED ABBINATE

SANDRO GOZI. La pace presuppone l'edificazione della giustizia. Non esiste pace durevole senza giustizia. La pace non si può perpetrare se i diritti umani non vengono riconosciuti e per esserlo occorrono giustizia e norme universali.
Questa nuova consapevolezza giuridica, che afferma l'esistenza e concretizza la tutela dei diritti umani, ha voluto lanciare un messaggio chiaro ai potenti della terra: per l'umanità è iniziata una nuova era, quella della tutela dei diritti umani.
La Germania, la ex-Jugoslavia, il Ruanda, lo Zaire, il Darfur, la Repubblica Centrafricana, l'Uganda, la Corea, il Bangladesh, il Vietnam, il Cile, l'Argentina, la Cambogia e aggiungerei la Libia di oggi, ci dovrebbero aver insegnato che non si può proprio restare immobili.
Nonostante princìpi di diritto internazionale posti a tutela dei diritti umani sembrino ormai consolidati in realtà la prassi e le esperienze di questi decenni confermano la necessità di rinnovare costantemente le giustificazioni poste a fondamento della necessità di punire i responsabili di crimini internazionali.
Sapere eppur tacere rende corresponsabili quantomeno e soprattutto sul piano morale.
L'impunità dei responsabili di orrendi crimini, infatti, oltre a risultare un'ennesima onta nei confronti delle vittime, spesso porta a dimenticare le gravi atrocità commesse. Inoltre, proprio l'esistenza Pag. 99di un'impunità, specie ad alti livelli, ha come conseguenza vendette e faide senza fine, come dimostrano le tristi vicende degli ultimi tempi in Palestina. Gli individui devono muoversi e gli Stati che si definiscono democratici altrettanto. La democrazia non può negare sé stessa, la democrazia non è legittimata a voltare le spalle a tali crimini.
La Corte penale internazionale è la prima e l'unica giurisdizione penale internazionale a carattere permanente e potenzialmente universale. La caratteristica di essere una corte permanente permette di superare la logica dell'emergenza che ha caratterizzato le analoghe esperienze sinora esistenti.
Non esiste pace duratura senza giustizia.
Con lo Statuto della Corte agli Stati non è più permesso di trattare i propri cittadini a loro piacimento né di farsi scudo del principio di non ingerenza negli affari interni.
Come insegna la lezione di Bobbio il problema dei diritti umani è la loro effettiva tutela ed in questo la Corte penale internazionale è certamente uno dei maggiori successi della comunità internazionale.
La punizione dei criminali di guerra potrà dunque diventare un atto di giustizia e non più la prosecuzione delle ostilità in forme apparentemente giudiziarie; valendo la competenza della Corte per vincitori e vinti, sarà fatta salva la natura giuridica delle norme punitive, consentendo il raggiungimento di una giustizia penale internazionale imparziale.
La Corte penale internazionale per poter funzionare ha bisogno innanzitutto della cooperazione degli Stati. E proprio sulla cooperazione si è giustamente concentrato il relatore, dato che è questo il passaggio assolutamente imprescindibile per dare piena attuazione allo Statuto della Corte: reprimendo in sede nazionale i crimini; eseguendo mandati d'arresto; dando seguito a richieste di ricerca delle prove; consentendo le indagini sul proprio territorio.
Se oggi l'Italia fosse chiamata a prestare attività di cooperazione, in assenza delle disposizioni che stiamo introducendo, non potrebbe farlo o comunque non potrebbe farlo in modo tempestivo.
Rischieremmo di trovarci di nuovo nell'imbarazzante posizione che si verificò in seguito ad una richiesta di arresto, detenzione e trasferimento del Tribunale per il Ruanda nel caso Sèromba (nel 2000).
Padre Athanase Séromba era un sacerdote ruandese ricercato (e poi condannato) per crimini di genocidio. Si trovava a Firenze, ma alla richiesta del TPIR di arrestarlo e trasferirlo le nostre autorità giudiziarie furono costrette a dichiarare che in assenza di una legge di cooperazione con quel tribunale non potevano dar seguito alle richieste. Il nostro governo riuscì comunque a convincere, attraverso pressioni politiche e diplomatiche, Sèromba a presentarsi davanti al Tribunale.
Ma proprio anche sulla scorta di questa esperienza dobbiamo rapidamente adottare questa proposta di legge per attuare lo statuto della CPI.
L'adeguamento potrebbe anche diventare cruciale anche qualora fosse un cittadino italiano a dover rispondere dei crimini di cui sopra. In assenza di una puntuale normativa di attuazione infatti, si corre il rischio che il sistema italiano venga considerato carente nella sua capacità di procedere contro crimini internazionali e si potrebbe addirittura essere esposti alla «vergogna» di essere «processati» dalla CPI.
La piena applicabilità in Italia delle norme contenute nello Statuto presuppone infatti l'adeguamento dell'ordinamento interno al sistema di diritto penale sostanziale e processuale delineato dallo Statuto.
Noi condividiamo le esigenze di speditezza invocate dal relatore e abbiamo ritenuto che non potessimo più aspettare, dato che tanto - troppo tempo - è passato senza che l'Italia ratificasse lo Statuto.
Esigenze di speditezza rese ancora più giustificati dall'aggravarsi degli eventi in Libia. Pag. 100
Oggi infatti l'Italia, nel caso fosse incriminata, non potrebbe processare Gheddafi per crimini contro l'umanità, non potrebbe perseguire i mercenari che attaccano i civili, non potrebbe punire gli atti di tortura. Perché? Perché non abbiamo ancora adattato l'ordinamento interno allo statuto della corte!
Abbiamo comunque voluto presentare emendamenti volti a recepire nell'ordinamento italiano quelle fattispecie di reati più gravi, quelle «gross violations» che non sono riconducibili né direttamente né indirettamente al codice penale italiano, come i mercenari, vari atti contro i civili e soprattutto il reato di tortura.
L'Italia è sempre stato un paese in prima linea nella battaglia per le affermazioni di valori universali condivisi e nella difesa dei diritti umani.
Spesso però ai proclami non sono seguiti i fatti. Oggi, seppur in grande ritardo, stiamo finalmente facendo seguire i fatti: La costituzione della CPI, importante pilastro nella costruzione di un nuovo ordine internazionale basato sulla coscienza dell'interdipendenza globale, la conseguente globalizzazione delle responsabilità, contro l'arroccamento nel fortilizio dei privilegiati e dei nazionalismi, la battaglia per i diritti che noi del PD portiamo avanti convintamente in Italia, in Europa, nel mondo.
L'Italia che da sempre è stata impegnata nella battaglia per l'affermazione dei diritti umani e nella promozione della giustizia internazionale ha avuto un ruolo significativo nella storica campagna che ha portato alla nascita della Corte Penale Internazionale. Nel 1994, infatti, il Governo italiano avanzò formalmente l'offerta di ospitare a Roma la Conferenza Diplomatica al Segretario Generale dell'ONU Kofi Annan, entrando a pieno titolo nel novero dei paesi promotori del percorso giuridico e politico volto a porre fine all'impunità per coloro che venissero riconosciuti colpevoli di genocidio, di crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Il successo della Conferenza Diplomatica tenutasi a Roma nel giugno-luglio 1998 e l'adozione dello Statuto istitutivo della Corte con il voto favorevole di 120 Paesi, è stato un significativo passo in avanti nella tutela dei diritti umani fondamentali. Il nostro Paese ha firmato lo Statuto della Corte il 18 luglio 1998, è stato il quarto paese nel mondo ed il primo in Europa a firmare. L'Italia ha ratificato lo Statuto di Roma con la legge n 232 del 12 luglio 1999 ma ancora oggi mancano le norme di adattamento interno dell'ordinamento italiano che ne possano consentire l'operatività. Questa impasse impedisce di fatto che i tribunali nazionali possano investigare e perseguire i responsabili dei crimini previsti dallo Statuto e in particolare che le autorità italiane possano cooperare con la Corte nelle sue indagini e azioni giudiziarie.
L'adeguamento delle norme del diritto interno, così come richiesto dallo statuto della Corte, sancisce un principio fondamentale: il limite della sovranità nazionale, anche se solo per certi ambiti, in nome di un principio, la tutela di diritti internazionali.
Adeguamento che è tanto più necessario perché senza di esso la nostra adesione allo Statuto della Corte sarebbe lettera morta perché non potremmo rispettare nessuno degli obblighi che pone.
Oggi più che mai l'immagine internazionale dell'Italia deve cambiare. Una legge di attuazione è fondamentale per consentire alle autorità competenti di rispondere tempestivamente ad eventuali richieste di cooperazione.

FEDERICO PALOMBA. Il provvedimento in esame reca norme per l'adeguamento alle disposizioni dello Statuto istitutivo delle Corte penale internazionale (CPI).
La Corte penale internazionale (CPI) è l'istituzione permanente competente ad esercitare a livello internazionale la «giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale». Lo Statuto della Corte è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza convocata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Pag. 101
L'Italia ha ratificato lo Statuto mediante la legge n. 232 del 1999 che, all'articolo 3, ha valutato il connesso onere (contribuzione alla CPI) nel limite massimo di euro 774.685 annui a decorrere dal 2000. La legge n. 213 del 2005 ha autorizzato, da ultimo, l'integrazione del contributo dell'Italia alla CPI nella misura di 3.240.995 euro annui a decorrere dal 2004.
La Corte Penale Internazionale (Corte) è la prima giurisdizione internazionale creata per giudicare crimini gravissimi che vanno dal genocidio ai crimini di guerra a quelli contro l'umanità. In effetti, con l'istituzione della Corte si è concretizzato lo sforzo di imporre anche in ambito sovranazionale la forza del diritto contro il diritto del più forte.
L'esigenza di istituire una giurisdizione a livello internazionale si è manifestata in un congresso internazionale tenuto a Parigi subito dopo il processo di Norimberga, concluso il 1o ottobre 1946. Da quel congresso uscì decisa la volontà di adottare un codice penale internazionale e di istituire una Corte Penale Internazionale. La guerra fredda impedì la realizzazione di questo obiettivo. Ciò che ha poi dato un impulso fortissimo all'istituzione della Corte sono state alcune missioni di pace che hanno avuto tra i protagonisti l'Unione Europea ed, in particolare, quanto accaduto in Bosnia-Erzegovina nel 1992. Finalmente in una conferenza tenuta a Roma dal 15 giugno al 17 luglio 1998, alla quale hanno partecipato 160 Stati, è stato finalmente adottato lo Statuto con 120 voti a favore. Tra gli Stati che hanno votato contro figurano il Sudan, la Cina, la Nigeria, gli Stati Uniti e Israele. Il primo Stato a ratificare lo Statuto è il Senegal. L'Italia lo ha ratificato il 26 luglio 1999, mentre gli Stati Uniti dopo aver firmato in favore del trattato istitutivo della Corte nel dicembre del 2000, nel maggio del 2002, con una lettera inviata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, dichiarano di non voler diventare parte del trattato e di non sentirsi in alcun modo vincolati dalla firma apposta nel 2000.
La Corte è stata quindi istituita a l'Aia. La competenza del Tribunale è limitata ai crimini che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, come il genocidio, i crimini contro l'umanità i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium) e il crimine di aggressione (articolo 5, paragrafo 1). Obiettivo della Corte è l'attuazione del diritto internazionale penale e, in particolare, del diritto internazionale umanitario. La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire solo se e solo quando gli Stati non vogliono o non possono agire per punire crimini internazionali. La giurisdizione della Corte si esercita nel caso di crimini commessi sul territorio di uno Stato parte o di un cittadino di uno Stato parte alla Corte. Ne consegue che quindi anche i crimini commessi sul territorio di uno Stato parte, da parte di un cittadino di uno Stato non parte, rientrano nella giurisdizione della Corte.
La Corte ha ricevuto denunce per crimini di sua competenza da 139 diversi paesi. Il Procuratore della Corte ha aperto ufficialmente quattro inchieste, che hanno per oggetto le drammatiche vicende del Nord Uganda, della Repubblica democratica del Congo, della Repubblica centrafricana, e del Darfur-Sudan. Il 4 marzo scorso la I Camera Preliminare della Corte, accogliendo la richiesta del procuratore Luis-Moreno Ocampo, ha emesso un mandato d'arresto a carico del presidente sudanese Omar Al Bashir per crimini internazionali commessi in Darfur.
Le proposte di legge presentate sono dirette ad introdurre nell'ordinamento italiano una serie di norme di procedura penale e di diritto penale necessarie affinché l'Italia possa essere realmente e non solo formalmente parte della Corte. A tale proposito ricordo che il 20 gennaio il dottor Cuno Tarfusser, Procuratore Capo della Repubblica di Bolzano, è stato eletto dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in un quadro di forte competizione tra i candidati di 21 Stati, giudice della Corte Penale Internazionale. Pag. 102
L'esigenza dell'adeguamento del diritto nazionale al funzionamento della Corte rappresenta oramai una priorità alla quale non si può non dare una risposta. Va infatti considerato come la Corte penale internazionale non abbia una propria polizia giudiziaria, né una propria struttura carceraria; sicché la collaborazione degli Stati parte è indispensabile per il suo funzionamento.
Lo scorso 4 febbraio la commissione Giustizia ha approvato una risoluzione in materia con la quale si impegnava il Governo «a predisporre con la massima urgenza un disegno di legge di adeguamento interno delle norme dello Statuto di Roma, al fine di giungere al più presto all'adattamento dell'ordinamento giuridico italiano e sanare così un'inadempienza politicamente e giuridicamente molto rilevante che mette a rischio la credibilità del nostro paese e le aspirazioni dei candidati italiani a far parte della Corte».
L'esame del provvedimento, di iniziativa parlamentare, è cominciato a maggio 2009 e a marzo 2011 Roberto RAO (UdC), relatore, ha presentato una proposta di testo unificato scevra della parte di diritto penale sostanziale, rimandando alla fase emendativa la scelta di quali nuove figure di reato introdurre nell'ordinamento.
Il Ministro degli affari esteri, dopo aver precisato come a suo parere per l'Italia le norme sulla Corte penale internazionale siano immediatamente applicative anche in assenza di una normativa interna di attuazione, ha affermato che il Governo è comunque favorevole a che si approvi la legge sulla Corte penale internazionale in tempi brevi.
Il relatore ha espresso perplessità sull'affermazione secondo la quale non sarebbero necessarie norme interne di attuazione ma ha sottolineato come il dato importante sia che il Governo è favorevole alla rapida approvazione del provvedimento in esame. Ha auspicato quindi una rapida approvazione del provvedimento.
Il testo all'esame ripropone in linea di massima anche una proposta di legge a firma Di Pietro (A.C. 1782).
La proposta di legge A.C. 1782 Di Pietro ed altri, trasfusa sostanzialmente nel testo unificato, reca disposizioni volte all'adeguamento dell'ordinamento interno allo Statuto della Corte penale internazionale, ratificato dall'Italia con legge 12 luglio 1999, n. 232 ed entrato in vigore il 1o luglio 2002.
Lo Statuto costituisce lo strumento normativo primario per disciplinare le finalità, la struttura ed il funzionamento della Corte penale internazionale; esso individua i principi posti alla base dell'attività giurisdizionale in materia e disciplina, in particolare, le procedure di cooperazione tra la Corte e gli Stati ai fini dello svolgimento di atti di indagine sul territorio di uno Stato nonché il ruolo degli Stati nell'esecuzione delle pene irrogate dalla Corte.
Viene attribuito al Capo I al Ministro della giustizia il ruolo di autorità centrale per la cooperazione con la Corte penale internazionale. Spetta quindi al Ministro ricevere le relative richieste di cooperazione e dar seguito ad esse conformemente alle previsioni dello Statuto e previa intesa con i Ministri interessati (in particolare, con il Ministro della difesa per i reati commessi da militari italiani o in loro danno).
Le competenze giudiziarie sono invece concentrate nella Corte d'appello di Roma (nella Corte d'appello militare di Roma, nel caso di reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali ai sensi del codice penale militare di pace); le richieste formulate dalla Corte penale internazionale sono quindi trasmesse dal Ministro al procuratore generale presso la corte d'appello di Roma.
Viene, poi, disciplinata la modalità di esecuzione della cooperazione con la Corte penale internazionale, prevedendosi in particolare che la Corte d'appello di Roma dia corso alla richiesta con decreto, delegando un giudica all'attuazione. Vengono disciplinati, tra gli altri, i seguenti profili: l'accompagnamento coattivo di testimoni e periti non comparsi; la trasmissione, con il consenso dello Stato estero interessato, di atti e documenti riservati provenienti dal Pag. 103medesimo Stato; la sospensione della trasmissione di atti giudicati dal Ministro idonei a compromettere la sicurezza nazionale; la possibile trasmissione di atti e documenti relativi a procedimenti penali, coperti dal segreto istruttorio; l'immunità temporanea del testimone o dell'imputato che debba essere presente in Italia, in esecuzione di una richiesta della Corte; l'accesso al gratuito patrocinio da parte della persona nei cui confronti la Corte penale internazionale procede; le modalità delle eventuali richieste dell'autorità giudiziaria italiana alla Corte internazionale.
L'A.C. 1782 reca inoltre ulteriori disposizioni volte in particolare a disciplinare: il contenuto della richiesta di cooperazione che perviene dalla Corte penale internazionale (aspetto peraltro già disciplinato dallo Statuto); la possibile applicazione di misure cautelari reali, a seguito di richiesta della Corte internazionale; il trasferimento alla Corte internazionale anche dei beni e documenti sequestrati in Italia a scopo di prova; la possibile devoluzione dei beni sequestrati a scopo di confisca al Fondo di garanzia per le vittime, previsto dallo Statuto della Corte penale internazionale; la possibilità di accordare nel nostro Paese, previa richiesta della Corte, protezione alle vittime, ai testimoni o ai loro congiunti.
Al Capo II viene disciplinata la consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovino sul territorio italiano.
Si prevede, in particolare, a seguito dell'emissione da parte della Corte penale internazionale di un mandato di arresto (ovvero di una sentenza di condanna a pena detentiva), l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere (revocabile nei casi indicati). Ad essa provvede la Corte d'appello, con ordinanza ricorribile in Cassazione; la misura cautelare può essere inoltre disposta provvisoriamente, anche prima della richiesta di consegna, purché la Corte penale abbia fornito elementi idonei a identificare con certezza la persona e abbia annunciato l'intenzione di richiederne la consegna. Per l'esecuzione della consegna è necessario il consenso dell'interessato ovvero una pronuncia favorevole della Corte di appello (contro la cui decisione è esperibile il ricorso per cassazione anche per il merito). Il giudice italiano può negare la consegna nelle seguenti ipotesi: la Corte penale internazionale non ha emesso una sentenza irrevocabile di condanna né un provvedimento restrittivo della libertà personale; non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna; per lo stesso fatto e la stessa persona è stata pronunciata in Italia una sentenza irrevocabile; l'A.C. 1439 aggiunge anche l'ipotesi in cui il fatto in relazione al quale la consegna è richiesta non è compreso nella giurisdizione della Corte penale internazionale, sempre che la consegna non debba far seguito ad una sentenza definitiva della Corte stessa.
Sia nell'ipotesi di consenso dell'interessato, sia in quella di favorevole pronuncia della Corte d'appello di Roma (avverso la cui decisione è esperibile il ricorso per cassazione anche per il merito), spetta al Ministro della giustizia - con proprio decreto - provvedere entro 45 giorni alla consegna, prendendo accordi con la Corte penale internazionale sul tempo, il luogo e le concrete modalità.
L'A.C. 1782 disciplina inoltre l'eventuale sospensione della procedura di consegna (per cause di forza maggiore, ovvero circostanze urgenti ed eccezionali), il rinvio della consegna o la consegna temporanea (se la persona deve essere sottoposta a procedimento penale in Italia o deve espiare una pena in Italia) e il transito sul territorio italiano di persona che un altro Stato consegni alla Corte penale internazionale. La medesima proposta di legge sancisce inoltre il principio di specialità della consegna, da cui deriva che la consegna del soggetto alla Corte è autorizzata esclusivamente in relazione al fatto per cui si procede.
In apposito Capo (Capo V dell'A.C. 1782) è disciplinato il profilo dell'esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale, in primo luogo, individuando il giudice nazionale competente nella Corte d'appello di Roma. Le proposte Pag. 104di legge in particolare disciplinano la procedura applicabile nel caso in cui l'Italia sia individuata dalla Corte internazionale come Stato di espiazione di una pena detentiva; in tal caso, l'AC 1782 richiede, oltre che l'accettazione della designazione, anche il riconoscimento della sentenza della Corte penale internazionale e specifica le ipotesi in presenza delle quali la sentenza della Corte non può essere riconosciuta nel nostro Paese.
La proposta di legge prevede inoltre che: l'esecuzione della pena avvenga in base all'ordinamento penitenziario italiano (legge n. 354 del 1975), oltre che in conformità allo statuto ed al regolamento della Corte penale internazionale, e attribuisce esplicitamente al Ministro della giustizia, previa consultazione della Corte internazionale, il potere di disporre il regime penitenziario speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario; il Ministro della giustizia trasmetta alla Corte penale internazionale ogni richiesta del detenuto di accesso a qualsivoglia beneficio penitenziario o misura alternativa alla detenzione; la detenzione possa avere luogo in una sezione speciale di un istituto penitenziario ovvero in un carcere militare.
Quanto all'esecuzione delle pene pecuniarie si stabilisce che, su richiesta del procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, la medesima Corte possa provvedere all'esecuzione della confisca dei profitti e dei beni disposta dalla Corte internazionale e prevedendo che i beni confiscati vengano messi a disposizione della Corte penale internazionale per il tramite del Ministero della giustizia.
La proposta di legge n. 1782 reca ulteriori disposizioni in materia. Tra queste si segnala la previsione, nel caso di richiesta di grazia, che il Ministro informi la Corte penale internazionale per l'acquisizione del consenso e che, nel caso di mancata decisione della Corte entro il termine indicato, la richiesta del condannato venga inoltrata al Presidente della Repubblica.
L'A.C. 1782 (al Capo IV) disciplina le conseguenze sull'ordinamento interno della giurisdizione penale internazionale, e in particolare su un eventuale procedimento penale pendente in Italia avente ad oggetto gli stessi fatti: Il medesimo Capo ribadisce il principio del ne bis in idem, sancendo esplicitamente che se una persona è stata condannata dalla Corte penale internazionale, non può essere nuovamente sottoposta a procedimento penale in Italia per i medesimi fatti.
La medesima proposta di legge, inoltre, reca (al Capo VI) disposizioni penali, funzionali agli obblighi di cooperazione con la Corte penale internazionale.
Si prevede in particolare: l'estensione di numerose fattispecie di reato, ricomprese dal codice penale nell'ambito dei delitti dei pubblici ufficiali contro la PA ai giudici, al procuratore generale, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte e della procura della Corte medesima, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte che esercitano funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o degli agenti della Corte stessa, nonché ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base del citato Trattato istitutivo; l'estensione di ulteriori fattispecie di reato, ricomprese nell'ambito dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione, nell'ipotesi in cui il reato sia commesso nei confronti della Corte e dei soggetti sopra indicati; l'introduzione del delitto di atti di ritorsione nei confronti di una persona che esercita le sue funzioni presso la Corte o per conto di questa e in conseguenza delle funzioni esercitate dalla Corte; l'introduzione di ulteriori fattispecie di reato che riproducono alcuni dei delitti contro l'attività giudiziaria previsti dal codice penale, estendendone l'applicazione al caso in cui essi vengano commessi innanzi alla Corte o al procuratore generale presso la medesima.
La stessa proposta di legge n. 1782 (al Capo VII), infine, reca la clausola di invarianza degli oneri e dispone in ordine alla data della sua entrata in vigore. Pag. 105
Poiché il testo pervenuto in aula, sostanzialmente condivisibile, non contiene alcune disposizioni, l'Italia dei Valori ha presentato numerosi emendamenti per l'Assemblea miranti ad integrare il testo base con diverse disposizioni previste dalla proposta di legge n. 1782, cui confidiamo che il relatore vorrà dare parere favorevole.
Ed ora espongo alcuni principi ed elementi che possono far meglio comprendere l'importanza della materia in trattazione.
Lo Statuto - ossia lo strumento normativo primario per disciplinare le finalità, la struttura ed il funzionamento della Corte penale internazionale - individua i princìpi posti a base dell'attività giurisdizionale in materia, ravvisati essenzialmente nell'indipendenza dei giudici, nella cooperazione della Corte con gli Stati, nei presupposti normativi della nuova funzione giudiziaria internazionale, nonché nell'automaticità dell'attivazione della giurisdizione stessa.
Lo Statuto si compone di 128 articoli, preceduti da un preambolo, ed è diviso nei seguenti 13 capitoli: istituzione della Corte; giurisdizione, ricevibilità, legge applicabile; princìpi generali di diritto penale; composizione ed amministrazione della Corte; indagini e incriminazione; processo; pene; appello e revisione; cooperazione ed assistenza giudiziaria internazionali; esecuzione; Assemblea degli Stati parti, finanziamento; clausole finali.
La Corte penale internazionale, come accennato, nasce in quanto «istituzione permanente che può esercitare la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale» ai sensi dello Statuto. Essa avrà sede a L'Aja, in Olanda, e suoi organi saranno la Presidenza, le sezioni preliminari, dibattimentale e d'appello, l'ufficio del Prosecutor (ovvero il Procuratore) e la Cancelleria.
La Corte sarà composta da 18 giudici, scelti tra persone che, nei diversi Paesi, risultino in possesso dei relativi requisiti di nomina ai più alti uffici giudiziari. I giudici della Corte, eletti per nove anni dall'Assemblea degli Stati parti - con equa rappresentanza dei vari sistemi giuridici, distribuzione delle provenienze geografiche e proporzione tra i sessi - dovranno avere esperienza in diritto e procedura penale o in diritto internazionale umanitario e tutela dei diritti umani. Requisiti analoghi saranno richiesti, con specifica competenza nel campo dell'investigazione ed istruzione penale, per il Procuratore ed il Viceprocuratore.
Di particolare rilievo appare anzitutto l'acquisizione nello Statuto della Corte dei più significativi - e condivisi - princìpi in materia di diritto e procedura penale. Si tratta, in particolare, dei princìpi della responsabilità penale personale, del «nullum crimen, nulla poena sine lege», della irretroattività della legge penale, del ne bis in idem, del giudice naturale, del contraddittorio e dell'equo processo.
La Corte potrà giudicare solo i crimini commessi dopo l'entrata in vigore dello Statuto. La Corte avrà, inizialmente, competenza sui cosiddetti core-crimes ossia sul genocidio, sui crimini contro l'umanità e di guerra.
La Corte potrà esercitare il proprio potere giurisdizionale anche sul crimine di aggressione, ma solo successivamente all'adozione della disposizione che, in accordo con le relative norme della Carta dell'ONU, definirà il crimine stesso, stabilendone le condizioni di perseguibilità. Tale definizione dovrebbe essere adottata con la Conferenza di revisione dello Statuto, la prima delle quali si prevede dopo almeno sette anni dalla data di vigenza dello stesso.
Il crimine di genocidio viene definito secondo quanto già previsto dalla convenzione ONU del 1948; nei crimini contro l'umanità rientrano diverse fattispecie criminose commesse contro le popolazioni civili, nonché numerosi reati a sfondo sessuale come lo stupro, la schiavitù sessuale, la costrizione alla prostituzione e alla sterilizzazione, la gravidanza forzata. Per la configurazione dei crimini di guerra rientranti nella giurisdizione della Corte è necessario l'inserimento di tali atti in un piano o disegno politico, mentre per l'individuazione dei relativi comportamenti illeciti si fa riferimento alle violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949 ed alle Pag. 106regole ed usi applicabili nei conflitti armati. Ricadono nell'ambito dei crimini di guerra anche gli atti commessi in conflitti armati interni («conflitti armati non di carattere internazionale»), escluse le rivolte e i disordini isolati.
La Corte è poi competente per la perseguibilità di una serie di reati contro l'amministrazione della giustizia come la falsa testimonianza resa innanzi alla stessa Corte, la subornazione di testimoni, la presentazione volontaria di prove false, l'intimidazione o la ritorsione, la corruzione attiva o passiva nei confronti di un funzionario della Corte.
Uno dei princìpi fondamentali previsti dallo Statuto è la complementarità della giurisdizione della Corte penale internazionale rispetto a quelle degli Stati parte. In ragione di tale princìpio, gli Stati parte si impegnano ad inserire nei rispettivi ordinamenti nazionali le norme incriminatrici di cui all'articolo 5 dello Statuto precisando la giurisdizione anche della Corte per la cognizione delle stesse.
La Corte, pertanto, potrà procedere per uno dei crimini indicati nello Statuto soltanto se per tale fatto gli Stati che avrebbero giurisdizione primaria non procedano, ovvero abbiano proceduto in maniera negligente.
L'articolo 20 sancisce il basilare princìpio del ne bis in idem in ordine ai reati perseguiti dalla Corte, prevedendo altresì l'eccezione di una giurisdizione concorrente in caso di inefficienza dei sistemi giudiziari nazionali.
Una delle questioni sulle quali nel corso della Conferenza di Roma si è maggiormente discusso è stata quella relativa all'estensione della giurisdizione della Corte stessa, ossia la precisazione di criteri di collegamento tra i fatti qualificati come reati dallo Statuto e la relativa attribuzione della cognizione sugli stessi. La Corte, infatti, al contrario del Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, nato in virtù di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, viene istituita in seguito a trattato internazionale che obbliga soltanto gli Stati che ne sono parte (ovvero che lo abbiano ratificato). Nello stesso tempo, lo Statuto affida un preciso ruolo al Consiglio di Sicurezza in materia di procedibilità per i reati di competenza della Corte che abbiano comportato, in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.
La soluzione adottata in relazione ai meccanismi di attribuzione della competenza della Corte ha da più parti suscitato critiche e riserve.
È infatti previsto che la Corte avrà giurisdizione circa i reati di sua competenza quando siano avvenuti nel territorio di uno Stato aderente allo Statuto o che, in base ad un apposito accordo, abbia accettato la giurisdizione della Corte, oppure quando l'autore del crimine sia cittadino di uno di tali Stati. La Corte dovrà quindi ottenere, verosimilmente nella grande maggioranza dei casi, il consenso dello Stato di nazionalità dell'imputato o dello Stato sul cui territorio è stato perpetrato il crimine prima di poter esercitare la propria giurisdizione. Come è stato osservato, tale criterio potrebbe essere ancor più penalizzante se si pensa che molto spesso i crimini vengono commessi nel contesto di conflitti interni dove la nazionalità dell'autore del crimine e quella della vittima coincidono.
Tali criteri non saranno invece vincolanti - e la giurisdizione della Corte non sarà quindi soggetta a limiti - nel caso in cui sia lo stesso Consiglio di sicurezza dell'ONU a sottoporre al Procuratore presso la Corte uno o più dei fatti criminosi previsti dall'articolo 5 dello Statuto, che abbiano comportato una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali.
Un ulteriore limite alla giurisdizione della Corte è poi quello relativo al contenuto della disposizione transitoria introdotta dall'articolo 124 dello Statuto (che recepisce la cosiddetta clausola opt-out), che consente ad uno Stato, al momento della ratifica del Trattato, di non accettare, per un periodo di sette anni successivo all'entrata in vigore dello Statuto, la Pag. 107giurisdizione della Corte sui crimini di guerra se commessi da un suo cittadino o sul suo territorio.
Altra norma che limita in qualche modo l'indipendenza della Corte penale internazionale è quella prevista dall'articolo 16 dello Statuto, per effetto della quale al Consiglio di sicurezza dell'ONU è consentito, con risoluzione, di chiedere la sospensione delle indagini o del proseguimento dell'azione penale per un anno, con facoltà di rinnovare la richiesta.
Apposite procedure di cooperazione tra la Corte e gli Stati dovranno disciplinare lo svolgimento di atti di indagine sul territorio di uno Stato. La richiesta di assistenza giudiziaria costituirà modalità necessaria di acquisizione delle prove nel corso delle indagini e l'esclusione della celebrazione del processo in contumacia renderà necessaria la consegna dell'imputato da parte dello Stato ove verrà localizzato e arrestato.
Uno degli aspetti più discussi durante la Conferenza è stato quello della possibilità o meno dello svolgimento di indagini in loco da parte del Procuratore presso la Corte sul territorio di uno Stato: sul punto, lo Statuto si limita a prevedere l'ipotesi in cui lo Stato parte, per manifesta incapacità del proprio sistema giudiziario nazionale, non sia in grado di cooperare con la Corte ai sensi delle norme dello Statuto: in tal caso, la Camera preliminare potrà autorizzare il Procuratore a svolgere indagini direttamente in loco sul territorio dello Stato parte.
Come accennato, gli Stati Uniti d'America hanno comunicato al Segretario Generale delle Nazioni Unite il 6 maggio 2002 l'intenzione di non volere diventare Parte del Trattato. La posizione statunitense, determinata dal timore che l'attività della Corte possa essere strumentalizzata a fini politici e compromettere la posizione dei militari americani impegnati in missioni all'estero, ha avuto un primo effetto sulle decisioni relative alla prosecuzione della missione di pace ONU in Bosnia. Gli Stati Uniti hanno infatti prospettato la possibilità di porre il veto sulla prosecuzione qualora non fosse stato possibile raggiungere un accordo sull'estensione dell'ambito di operatività della Corte.
La vicenda si è conclusa il 12 luglio 2002, quando il Consiglio di sicurezza ha raggiunto un compromesso approvando all'unanimità la Risoluzione n. 1422, che, invocando l'articolo 16 dello Statuto, esclude per un anno dalla giurisdizione della Corte i cittadini degli Stati che non sono Parte dello Statuto e che partecipano alle operazioni di peace-keeping dell'ONU. Il Consiglio di sicurezza si è nuovamente riunito per discutere della questione il 12 giugno 2003 e ha adottato la Risoluzione n. 1487, con la quale il termine previsto dalla precedente risoluzione è stato ulteriormente prorogato di 12 mesi a partire dal lo luglio 2003.
L'Amministrazione statunitense avrebbero desiderato altre proroghe, ma l'emergere in Iraq della grave situazione del carcere di Abu Ghraib - gestito dalle autorità USA -, con documentate accuse di ripetuti maltrattamenti e sevizie sui prigionieri iracheni catturati dopo l'invasione del Paese mediorientale, non ha reso possibile nel 2004 continuare a posticipare l'avvio della piena applicazione dello Statuto di Roma.
Invocando l'articolo 98 dello Statuto - che limita la possibilità della Corte di richiedere ad un Paese la consegna di una persona sospetta se lo Stato richiesto fosse costretto ad agire in contrasto ad obblighi derivanti da accordi internazionali - il Governo statunitense ha inoltre proposto la conclusione di intese bilaterali per impedire che militari americani possano essere estradati per essere giudicati dalla nuova Corte. L'iniziativa statunitense ha avuto una notevole rispondenza, e alla metà del 2005 risultavano stipulati almeno cento accordi di questo genere con altrettanti Paesi - senza dimenticare che non tutti gli accordi sono stati resi noti. Tra i firmatari figurano diversi Stati dell'Europa orientale, dell'Asia, dell'Africa, e dell'America centrale, nonché Paesi arabi come Egitto, Mauritania e Tunisia. Con una legge approvata dal Congresso nel 2003 (n. 107/206 «American Service-members' Pag. 108Protection Act») gli Stati Uniti hanno deciso di sospendere l'assistenza militare a quei Paesi che si sono rifiutati di stipulare un'intesa bilaterale per esentare i militari americani da eventuali processi dinanzi alla Corte penale internazionale.
Le proposte americane sono state rivolte anche ai partner europei e su questo tema il Parlamento europeo il 26 settembre 2002 ha adottato una risoluzione in merito, nella quale si è pronunciato contro la conclusione di accordi bilaterali con gli USA »che possano pregiudicare l'efficace attuazione dello Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale«, precisando che la firma di un tale accordo risulta incompatibile con l'appartenenza all'Unione europea.
La questione è stata successivamente dibattuta nel Consiglio dei Ministri degli esteri dei Paesi UE, riunitosi a Bruxelles il 30 settembre 2002, dove è stato raggiunto un accordo. La soluzione concordata dai Quindici ha evitato una rottura del fronte europeo nel contenzioso con gli USA. Sono stati quindi fissati alcuni princìpi-guida cui dovranno attenersi i Paesi nel concludere intese con gli Stati Uniti, al fine di tutelare la credibilità e l'integrità della Corte stessa. Si tratta di princìpi «irrinunciabili», come il rispetto degli accordi esistenti, la garanzia di non impunità, nonché il fatto che qualsiasi soluzione debba riguardare cittadini di uno Stato che non è Parte dello Statuto e che si trovino sul territorio di un Paese europeo nello svolgimento di una missione o di un compito ufficiale per conto della propria Amministrazione.
Tali princìpi sono stati riaffermati dal Consiglio dell'Unione europea riunito a Lussemburgo il 16 giugno 2003. In tale occasione è stata adottata una nuova posizione comune sulla Corte penale internazionale, che mira a promuovere un appoggio universale a quest'ultima incoraggiando una partecipazione quanto più ampia possibile allo Statuto di Roma.
Il 25 giugno 2003, inoltre, i dieci Paesi che nel 2004 sarebbero entrati a far parte della UE, nonché la Bulgaria e la Romania, hanno sottoscritto una dichiarazione nella quale si impegnano ad uniformarsi alla posizione comune europea definita dal Consiglio affari generali. Nessun Paese membro ha concluso accordi bilaterali in materia di immunità con gli Stati Uniti. A sostegno della Corte e in contrapposizione agli accordi di esenzione proposti dagli Stati Uniti d'America si era espressa anche l'Assemblea parlamentare congiunta UE-ACP riunitasi a Brazzaville dal 31 marzo al 3 aprile 2003.
Il 25 settembre 2002 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha adottato una risoluzione che esprime preoccupazione per il fatto che alcuni Stati Abbiano deciso di attentare all'integrità dello Statuto della Corte penale internazionale sottoscrivendo accordi bilaterali diretti ad esentare il loro personale militare dalla giurisdizione della Corte. L'Assemblea ritiene che tali accordi (cosiddetto exemption agreements) siano inammissibili secondo il diritto internazionale, in particolare secondo la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che impone agli Stati membri di astenersi dal compiere atti incompatibili con l'oggetto e lo scopo di un trattato anche solo firmato.
Dopo aver sollecitato l'adesione di tutti i Paesi membri del Consiglio d'Europa allo Statuto della Corte, l'Assemblea ha rivolto un appello diretto a Giappone, Israele e in particolare agli Stati Uniti (Paesi con status di osservatore), affinché procedessero alla ratifica dello Statuto. Nove mesi dopo, il 25 giugno 2003, è stata adottata una nuova risoluzione di condanna delle pressioni esercitate dagli USA per ottenere la firma di accordi di immunità nei confronti del personale impegnato in missioni militari all'estero.
L'11 marzo 2003 si è svolta all'Aja la cerimonia inaugurale della Corte, con l'insediamento ufficiale dei diciotto giudici, eletti dall'Assemblea delle Parti nella precedente sessione del 3-7 febbraio, tra cui l'italiano Mauro Politi. Presidente della Corte è stato nominato il giudice canadese Philippe Kirsch. L'avvocato argentino Luis Moreno Ocampo, nominato Procuratore Generale, Pag. 109ha prestato giuramento dinanzi alla Corte il 16 giugno 2003, all'inizio della seconda sessione plenaria conclusasi il 27 giugno.
I giudici si sono poi organizzati in Gruppi di lavoro per discutere varie questioni inerenti le loro funzioni, come le regole procedurali da seguire nelle diverse Camere della Corte e la predisposizione di un Codice deontologico (Code of Ethics). Particolare attenzione è stata dedicata anche al tema delle vittime dei reati e al loro ruolo nel procedimento.
Completate tutte le procedure relative alla nomina dei vari organismi in cui è strutturata, la Corte ha potuto quindi dirsi operativa, così come il suo staff permanente, inizialmente composto da 323 persone provenienti da 58 Paesi.
L'avvio dell'attività della Corte è stato lento, ma negli ultimi tempi il profilo dell'Istituzione è venuto più chiaramente in primo piano.
Nel periodo 2003-2005 tre Stati Parte (Uganda, Repubblica democratica del Congo e Repubblica Centrafricana) hanno deciso di rivolgersi al Procuratore generale della Corte in ordine a gravi crimini commessi sul proprio territorio. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, inoltre, ha deferito alla Corte la grave situazione del Darfur.
Nell'ottobre 2005 la Corte ha emesso cinque mandati di arresto contro altrettanti capi del Lord Resistance Army, da un ventennio impegnato nella guerriglia contro il governo ugandese nel nord del Paese, utilizzando metodi sanguinosi e ripugnanti: i mandati di arresto sono infatti stati basati su accuse di omicidio, mutilazioni, torture, stupri e rapimento di bambini per ridurli in schiavitù o indurli a combattere. I destinatari dei mandati di arresto sono anzitutto Joseph Kony, il fanatico leader del movimento di guerriglia, unitamente ad altri quattro dirigenti, tra i quali il vice di Kony, Vincent Otti. L'emissione dei mandati, tuttavia, non ha incontrato l'atteso unanime favore - ed è questo un profilo dell'attività della Corte che tornerà ancor più prepotentemente nelle vicende più recenti -, in quanto suscettibile di inasprire il conflitto proprio in un momento in cui sembrava imminente la resa di una parte dei guerriglieri, mentre esponenti religiosi nord-ugandesi, sia cristiani che musulmani, avevano in corso trattative per porre fine al sanguinoso contrasto politico.
Il 27 febbraio 2007 il procuratore della CPI, Luis Moreno Ocampo, ha chiesto alla Corte di emettere un mandato di comparizione per l'ex ministro dell'interno sudanese Haroun e per il comandante di una milizia conosciuto come Ali Kushayb, in relazione al conflitto nel Darfur, che da quattro anni provocava eccidi tra i civili e una catastrofe umanitaria di enormi proporzioni, i due esponenti sudanesi sono stati accusati di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità. La reazione del governo di Khartoum ha evidenziato come la CPI non abbia giurisdizione su cittadini sudanesi, non avendo il Paese ratificato lo Statuto di Roma, e ha altresì minimizzato il bilancio delle vittime nel Darfur che secondo Khartoum non avrebbe superato a quel momento la cifra di novemila persone - le principali fonti internazionali parlavano invece di circa duecentomila morti e di due milioni di profughi.
Il 24 maggio 2008 è stato imprigionato l'ex vicepresidente della Repubblica democratica del Congo Jean Pierre Bemba: questi tra il 2002 e il 2003 aveva fatto intervenire il proprio gruppo armato, Il Movimento di liberazione del Congo, nel conflitto allora in corso nella Repubblica centrafricana. Nel corso dell'intervento appartenenti al MLC avevano commesso crimini contro l'umanità, consistenti soprattutto nell'organizzazione e nell'esecuzione di stupri di massa: dopo che la Repubblica centrafricana aveva riconosciuto l'impossibilità di perseguire gli autori degli stupri, era stata investita del caso la CPI, e di qui l'accusa contro Bemba e il suo arresto, avvenuto quando già si trovava in esilio dopo lo scontro politico e militare del 2007 con le fazioni congolesi legate al presidente Joseph Kabila.
Con l'arresto di Bemba il numero totale dei detenuti in base ad accuse formulate dal procuratore della CPI saliva a quattro, mentre dodici erano fino a quel momento i mandati di cattura emessi. Oltre a Pag. 110Bemba, tra gli arrestati figurava Thomas Lubanga Dyilo, presunto leader dell'Unione dei patrioti congolese, accusato di crimini di guerra in relazione all'arruolamento di bambini-soldato nel conflitto che aveva interessato nel 2002-2003 la Repubblica democratica del Congo. Completavano l'elenco degli arrestati altri due congolesi a capo di fazioni armate ribelli, incolpati di analoghi crimini perpetrati nel 2003 nella provincia nord-orientale dell'Ituri.
Senza alcun dubbio, tuttavia, l'iniziativa più clamorosa dall'inizio dell'attività della CPI è stata, alla metà di luglio del 2008, la richiesta di arresto del presidente sudanese Bashir con le accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Secondo il procuratore Ocampo, infatti, con il pretesto di combattere i movimenti di guerriglia nati nel Darfur dal malcontento per la posizione sempre più marginale del territorio e dei suoi abitanti, Bashir avrebbe pianificato e in buona parte realizzato un piano per l'annientamento quasi totale dei tre gruppi etnici darfuriani (Fur, Masalit e Zaghawa). In una prima fase le azioni degli emissari di Bashir, tanto regolari quanto miliziani, contro i civili del Darfur avrebbero condotto alla morte di decine di migliaia di persone, causando altresì la fuga di un gran numero di quelle risparmiate dalle scorrerie dei filogovernativi.
La prova più consistente per l'accusa di genocidio è stata tuttavia fornita da quanto verificatosi nella seconda fase del conflitto, quando gli sfollati sono stati sistematicamente attaccati persino nei campi profughi, ove del resto le condizioni miserrime di vita già si incaricavano di compiere una parte del massacro. La Procura della CPI ha messo al centro Bashir proprio in considerazione del carattere pervasivo e indiscusso del suo potere a tutti i livelli, che riconduce a lui ogni responsabilità, non ultima quella di aver garantito l'impunità dei suoi agenti per assicurarsi della loro efficacia e fedeltà.
La reazione di Khartoum è stata ancora una volta assai dura, misconoscendo qualsiasi atto della CPI: inoltre il Sudan ha espresso velate minacce sulla prosecuzione dei processi di pacificazione in corso nel Paese e sulle connesse presenze internazionali. A queste affermazioni ha replicato il Segretario generale dell'ONU Ban-Ki Moon, chiedendo al Sudan di continuare a garantire la sicurezza del personale delle Nazioni Unite presente nel Paese. Il presidente Bashir ha inoltre compiuto con grande spiegamento di mezzi un viaggio proprio nel Darfur, come a smentire il quadro tracciato dai media internazionali e confermato dalle accuse della CPI. Bashir riceveva inoltre l'appoggio della Lega araba, insieme all'ipotesi - peraltro non accettata da Khartoum con entusiasmo - di istituire autonomamente, da parte del Sudan, speciali giurisdizioni per indagare su eventuali crimini nel Darfur, la cui attività potrebbe di per sé escludere la successiva competenza della CP1.
Il 4 marzo 2009 la CPI ha emesso un mandato di cattura per Bashir per i soli crimini di guerra e contro l'umanità, escludendo il genocidio. Conformemente allo Statuto di Roma, la Corte ha fatto appello alla Comunità internazionale - incluse le autorità sudanesi - per una pronta esecuzione del mandato.
La reazione di Bashir si è concretizzata in accuse, rivolte da suoi stretti collaboratori, di neocolonialismo da parte degli Stati occidentali, contrari a loro dire alla stabilità del Sudan: la Lega araba ha del pari espresso preoccupazione per la portata dell'iniziativa, preannunciando passi presso le Nazioni Unite per un posponimento di essa. Il 5 marzo dieci organizzazioni internazionali non governative presenti in Sudan, e accusate di cooperare con il progetto occidentale neocolonialista, sono state espulse, mentre Bashir ha rigettato le accuse di crimini contro l'umanità nel campo occidentale e sionista (con riferimento all'operazione israeliana nella striscia di Gaza dell'inizio del 2009) durante una manifestazione di solidarietà nei suoi confronti. Nei giorni successivi il presidente sudanese si è impegnato in una serie di visite ufficiali in paesi amici, per rinsaldare la propria immagine internazionale. Pag. 111
In questa circostanza, l'iniziativa della CPI è apparsa ad alcuni analisti fortemente condizionata dal potenziale di ricatto di cui si avvale il governo del Sudan, un paese nel quale agiscono numerose organizzazioni internazionali impegnate nel consolidamento dei processi di pace e, soprattutto, nella attività vitali di assistenza a milioni di profughi. Tale analisi è inoltre rafforzata dall'atteggiamento, ad esempio, della Lega araba che nel corso del suo XXI vertice svoltosi a Doha il 30 e 31 marzo scorsi ha reiterato in pieno l'appoggio a Bashir.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCO STRADELLA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 169-A ED ABBINATE

FRANCO STRADELLA, Relatore. Signor Presidente, la proposta di testo unificato che viene sottoposta all'attenzione dell'Assemblea rappresenta una sintesi positiva delle quattro proposte assegnate alla VIII Commissione (A.C. 169 Foti, A.C. 582 dell'onorevole Iannuzzi ed altri, A.C. 583 dell'onorevole Iannuzzi e A.C. 1192 dell'onorevole Bocci ed altri) e finalizzate a consentire la riqualificazione urbanistica e ambientale dei centri storici dei piccoli comuni italiani.
Si tratta di una proposta che muove da ragioni profonde, condivise negli anni recenti, trasversalmente, da tutti i gruppi parlamentari e che avevano portato, sia nella XIV che XV legislatura, all'approvazione in questo ramo del Parlamento di testi, purtroppo, mai divenuti legge per la mancata approvazione definitiva da parte del Senato.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, ho parlato di ragioni profonde del provvedimento in esame e la prima di queste ragioni sta nella esigenza di tutelare quella propensione, tutta italiana, a vivere in centri per lo più di piccola dimensione e ad uno stile di vita diverso da quello delle grandi metropoli. La seconda ragione, poi, sta nella necessità di salvaguardare il grande patrimonio storico, artistico, paesaggistico e delle produzioni tipiche dei piccoli comuni. Una terza ragione, infine, altrettanto importante, risiede nella consapevolezza, sempre più diffusa fra le forze sociali e politiche, del ruolo decisivo per la crescita e la competitività dei sistemi nazionali delle azioni per il recupero e la valorizzazione dei centri storici e per l'innovazione e l'attrattività delle cosiddette «reti urbane».
Prima di illustrare sinteticamente il contenuto del nostro provvedimento, desidero segnalare, inoltre, che esso si inserisce in un'azione legislativa coerente della VIII Commissione, giacché fa seguito alla predisposizione, congiuntamente alla V Commissione, della proposta di legge recante disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, approvato dalla Camera dei deputati il 5 aprile scorso.
Vi è infatti una grande sintonia tra quest'ultima proposta di legge e il provvedimento che sarà sottoposto oggi e nei prossimi giorni al confronto e al voto dell'Assemblea concernente la riqualificazione dei centri storici. Entrambi contengono misure che possono contribuire a rivitalizzare il tessuto socio-economico dei piccoli centri e a migliorare le condizioni di vita in alcune delle aree di «disagio insediativo», entrambi originano dalla profonda convinzione delle grandi potenzialità dei piccoli comuni, in generale, e dei cosiddetti «borghi antichi d'Italia», in particolare, in termini di turismo, produzioni tipiche, rilancio dell'edilizia e di fruizione delle risorse culturali e ambientali.
Alla Commissione ambiente sono state assegnate tre proposte di legge finalizzate a consentire l'avvio di interventi integrati volti alla riqualificazione urbana dei centri storici. Dopo un lavoro costruttivo e un confronto serio tra tutte le forze politiche all'interno della Commissione, si è giunti all'elaborazione di un testo unificato che ora viene sottoposto all'esame dell'Assemblea Pag. 112e che rappresenta il risultato di un lavoro unitario svolto in Commissione.
Grazie al contributo di tutte le forze politiche possiamo dire che oggi sottoponiamo all'attenzione dell'Assemblea un testo che, senza avere la pretesa di essere una normativa particolarmente complessa, interviene sulla materia del recupero e della riqualificazione dei centri storici cogliendo alcuni punti importanti e offrendo un contributo concreto e, per certi aspetti, innovativo su un versante che riteniamo stia particolarmente a cuore agli italiani e che ha incrociato l'attenzione, l'interesse e l'apprezzamento - nell'ambito degli incontri informali avvenuti in questi anni - dei rappresentanti degli enti locali, del mondo delle costruzioni, del turismo del commercio, nonché dell'associazionismo ambientale e culturale.
Alcune considerazioni puntuali sul provvedimento che viene sottoposto all'attenzione di quest'Assemblea.
In primo luogo, si tratta di un testo incentrato sull'idea che gli strumenti più idonei per la realizzazione di operazioni urbanistico-ambientali come quelli previsti, diretti non solo alla salvaguardia ma anche alla rivitalizzazione del territorio urbano e del suo tessuto civico, non possano che fondarsi sugli istituti della cosiddetta «urbanistica consensuale», a partire dallo strumento rappresentato dai cosiddetti «interventi integrati» previsti dalla legislazione urbanistica. In questo senso, le misure che abbiamo individuato coinvolgono soggetti sia pubblici sia privati, prevedendosi un concorso, una condivisione, una partecipazione sia di risorse private sia di risorse pubbliche. Sotto questo profilo, si tratta di un impianto normativo - e, a nostro avviso, anche di un modello - che crediamo possa consentire a soggetti pubblici e privati che vogliano operare sul versante del recupero e della valorizzazione dei centri storici, di tracciare insieme un progetto sul quale concorrere a realizzare interventi coerenti con gli obiettivi e le ambizioni fissati dalla legge. Quanto alla tipologia degli interventi da realizzare le proposte di legge in esame definiscono un quadro omogeneo di misure, anch'esse adeguate all'obiettivo di attirare l'interesse e le risorse dei soggetti privati oltre che di quelli pubblici, che vanno dal risanamento e recupero del patrimonio edilizio, alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, compresa la manutenzione straordinaria dei beni pubblici già esistenti, fino al miglioramento e adeguamento dei servizi urbani e agli interventi finalizzati al consolidamento statico e antisismico degli edifici storici. Inoltre, su un piano di parziale novità rispetto alle proposte discusse nelle precedenti legislature, il testo oggi all'esame dell'Assemblea indica fra gli interventi ammessi a finanziamento anche quelli diretti alla valorizzazione dei cosiddetti «centri commerciali naturali», con particolare riferimento alle tematiche relative alla promozione della distribuzione e della commercializzazione delle produzioni tipiche locali, nonché allo svolgimento di funzioni informative per la promozione turistica e culturale del territorio.
In secondo luogo, voglio far rilevare che il lavoro in Commissione ha consentito di approfondire le questioni relative alla correttezza del testo sotto il profilo del rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite. In tal senso, la Commissione ha ritenuto opportuno rilevare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, anche nelle materie di legislazione concorrente possono trovare spazio interventi finanziari diretti dello Stato a favore dei comuni, vincolati nella destinazione per normale attività e compiti di competenza di questi ultimi, nell'ambito dell'attuazione di discipline dettate dalla legge statale nelle materie di propria competenza esclusiva, ovvero nell'ambito della disciplina degli speciali interventi finanziari in favore di determinati comuni, ai sensi dell'articolo 119, comma 5, della Costituzione. A tal fine, si è ritenuto che, per un verso, la finalità di disporre interventi di riqualificazione edilizia su beni ricadenti nei centri storici e, quindi, in aree sottoposte a tutela dei beni culturali, rientri appieno nelle tipologie di legislazione esclusiva per le quali una legge statale - come quella in esame - ben può Pag. 113disporre misure normative, mirate sostanzialmente a destinare risorse finanziarie e a disciplinare le relative modalità applicative in linea di principio. Allo stesso tempo, si è osservato che limitare le disposizioni del provvedimento ad una determinata fascia di comuni, avrebbe consentito di inquadrare il provvedimento stesso all'interno della cornice tracciata dall'articolo 119, comma 5, della Costituzione, che autorizza lo Stato a destinare risorse aggiuntive e ad effettuare interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni, allo scopo di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, e per rimuovere gli squilibri economici.
In terzo luogo, sottolineo che la Commissione ha avuto ben presente l'esigenza di trovare una forte compatibilità e integrazione con la normativa comunitaria. Sotto questo profilo, il provvedimento non solo non solleva profili problematici in riferimento alla normativa comunitaria ma, anzi, si integra bene con i nuovi programmi di intervento comunitari. Per questo la Commissione ha ritenuto opportuno chiarire, anche sul piano testuale, che l'azione dello Stato diretta a favorire interventi finalizzati al recupero, alla tutela e alla riqualificazione dei centri storici dei piccoli comuni deve intendersi anche come un'azione tesa ad agevolare l'attivazione dei finanziamenti per gli interventi nelle aree urbane eventualmente previsti nei programmi operativi nazionali e regionali adottati nell'ambito dei fondi strutturali per il periodo 2007-2013. In tal modo, crediamo che sia possibile realizzare, da un lato, quell'effetto moltiplicatore delle risorse pubbliche, tanto più importante in un periodo, come quello attuale, caratterizzato da vincoli di bilancio particolarmente stringenti sul piano locale e nazionale; dall'altro lato, realizzare quelle condizioni di sviluppo economico indispensabili per contribuire a rimuovere gli squilibri economici che si possono registrare in gran parte dei centri storici del nostro Paese.
La quarta considerazione sulla quale ritengo utile soffermarmi è relativa alle risorse economiche messe a disposizione dal provvedimento. Al riguardo, il testo unificato delle proposte di legge prevede una pluralità di strumenti: una quota di contributo statale, a mio parere significativa, con la costituzione, presso il Ministero delle infrastrutture, di un fondo nazionale per il recupero, la tutela e la valorizzazione dei centri storici e dei borghi antichi d'Italia, con una dotazione annua di 50 milioni di euro; la possibilità di accedere, come già detto, ai finanziamenti comunitari per gli interventi nelle aree urbane; l'ulteriore possibilità di accedere, ove previsti a livello locale, ai finanziamenti aggiuntivi messi a disposizione dagli enti territoriali. Proprio questa pluralità di strumenti, centrata, ovviamente, sulla prevista stabilizzazione del fondo nazionale per il recupero, la tutela e la valorizzazione dei centri storici e dei borghi antichi d'Italia (al riguardo, ricordo che, oltre alla previsione di una dotazione di 50 milioni di euro per il 2012 si prevede che, a decorrere dal 2013, al finanziamento del fondo stesso si provvede in sede di legge di stabilità), potrà produrre importanti conseguenze in termini di incentivazione al coinvolgimento di soggetti privati, attratti sia dalla stabilità delle risorse del fondo che dalla possibilità di accedere a risorse aggiuntive rispetto a quelle del fondo stesso.
Ancora sotto il profilo delle risorse economiche messe a disposizione dal provvedimento per gli interventi di recupero e valorizzazione dei centri storici dei piccoli comuni, desidero sottolineare due scelte che a mio avviso qualificano positivamente il testo predisposto dalla Commissione: la prima, di carattere generale, attiene al fatto che anziché distribuire a pioggia le non illimitate risorse disponibili, il testo cerca di indirizzarle e selezionarle da un lato, valorizzando il ruolo centrale di iniziativa e di proposta dei soggetti privati, dall'altro lato, sollecitando gli stessi enti locali ad uno sforzo di partecipazione in prima persona, attraverso il riconoscimento della priorità di accesso ai finanziamenti (assegnati in base ad un bando che sarà predisposto dal ministero delle Pag. 114infrastrutture) ai progetti supportati dal contributo di risorse degli enti locali, dello Stato e dei privati. In tal modo, la Commissione ritiene che sia possibile mettere in campo un innovativo percorso di qualificazione e responsabilizzazione nell'allocazione delle disponibilità pubbliche, capace di superare un metodo che troppo spesso in passato è stato curvato in senso localistico e assistenzialistico e che, per questo, non ha consentito di realizzare investimenti davvero produttivi.
Segnalo, peraltro, che nel corso dell'esame in sede referente, a seguito dell'intervenuto parere della V Commissione, la Commissione ha ritenuto di espungere dal testo due disposizioni aventi riflessi sul versante finanziario: la prima di esse prevedeva la possibilità di accedere alle risorse incrementali individuate nelle economie conseguenti alle eventuali revoche dei contributi statali relativi ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio di cui all'articolo 54 del decreto legislativo n. 112 del 1998; la seconda disposizione prevedeva, invece, un espresso richiamo - ritenuto sostanzialmente ridondante - alla possibilità di godere, in aggiunta ai contributi previsti dalla legge, anche delle agevolazioni fiscali, quali quelle comunemente note con le espressioni «36 per cento» e «55 per cento», spettanti in caso di ristrutturazioni edilizie e di interventi di riqualificazione energetica degli edifici (su tale disposizione si era espressa, in senso negativo, anche la VI Commissione).
La VIII Commissione non ha ritenuto invece di accogliere l'ulteriore indicazione proveniente dalla V Commissione, volta a sopprimere l'intera copertura finanziaria del provvedimento, dato che l'accantonamento del quale, in forza dell'articolo 2, comma 5, è previsto l'utilizzo ai fini della costituzione del più volte citato fondo nazionale, reca allo stato le necessarie disponibilità.
Segnalo, infine, che opportunamente il testo prevede, anche come segno della particolare attenzione che è dovuta alla varietà, alla qualità e alle bellezze italiane, una salvaguardia a favore dei comuni che avranno assegnato, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, il marchio di «borghi antichi d'Italia», prevedendosi a loro favore la riserva di una quota pari almeno al 25 per cento delle risorse del citato fondo nazionale istituito dalla legge.
In conclusione, nel ribadire una valutazione positiva sul testo unificato delle proposte di legge in esame, formulo un forte auspicio per una sua rapida approvazione da parte dell'Assemblea della Camera dei deputati.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GIANPIERO BOCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N. 169-A ED ABBINATE

GIANPIERO BOCCI. Il testo unificato sul recupero e sulla riqualificazione dei centri storici e dei borghi antichi d'Italia deriva dall'unificazione di quattro proposte di legge che riproducono sostanzialmente i due provvedimenti - purtroppo non divenuti legge - approvati pressoché all'unanimità dalla Camera dei deputati, sia nella XIV sia nella XV legislatura, e contiene norme dirette a coordinare e rafforzare gli interventi nei settori delle politiche territoriali, urbanistiche e per lo sviluppo socio-economico delle realtà urbane.
Il testo nasce da ragioni profonde: la prima di queste ragioni sta nell'esigenza di tutelare quella propensione, tipicamente italiana, a vivere in centri di piccola e media dimensione e ad uno stile di vita diverso da quello delle grandi metropoli. La seconda ragione sta nella necessità di salvaguardare il grande patrimonio storico, artistico, paesaggistico e delle produzioni tipiche dei piccoli comuni al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali di determinati territori. Infine, una terza ragione, altrettanto importante, risiede nella consapevolezza, sempre più diffusa fra le forze sociali e politiche, del ruolo Pag. 115decisivo per la crescita e la competitività dei sistemi nazionali - a prescindere dalle dimensioni più o meno ampie dei comuni interessati - delle azioni per il recupero e la valorizzazione dei centri storici e per l'innovazione e l'attrattività delle reti urbane.
Un ulteriore elemento, politicamente rilevante, è rappresentato dalla comune volontà dei proponenti di ricercare negli istituti della cosiddetta «urbanistica consensuale» gli strumenti più idonei per la realizzazione di iniziative urbanistico-ambientali di ampio respiro, diretti non solo alla salvaguardia ma anche alla rivitalizzazione del territorio urbano e del suo tessuto civico. In questo senso, viene indicato nei cosiddetti programmi integrati d'intervento (disciplinati dalla legge n. 179 del 1992 e basati sull'incontro delle volontà pubblico-private nella fissazione delle prescrizioni urbanistiche e nella realizzazione degli interventi predisposti), lo strumento urbanistico più adeguato al raggiungimento dell'obiettivo fissato sul piano legislativo, del recupero e della valorizzazione dei centri storici.
Si vuole affermare, in modo ancora più forte di quanto non faccia la legislatura vigente, il ruolo che, in una moderna politica infrastrutturale e per lo sviluppo sociale ed economico delle realtà urbane, hanno gli strumenti volontari di integrazione tra pubblico e privato, che sempre più devono - in una visione positiva del rapporto tra cittadino e istituzioni - accompagnare gli interventi pubblici regolamentativi e unilaterali.
Quanto alla tipologia degli interventi da realizzare, si prevedono: il risanamento, la conservazione e il recupero del patrimonio edilizio da parte di privati; la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico; la manutenzione straordinaria dei beni pubblici già esistenti da parte dell'ente locale; il miglioramento e l'adeguamento degli arredi e dei servizi urbani e gli interventi finalizzati al consolidamento statico e antisismico degli edifici storici; la realizzazione di infrastrutture e di servizi adeguati; il miglioramento dei servizi urbani quali l'illuminazione, l'arredo urbano, i parcheggi, l'apertura e la gestione di siti di rilevanza storica, artistica e culturale. Le regioni possono prevedere forme di indirizzo e di coordinamento finalizzate al recupero e alla rivitalizzazione dei centri storici, anche in relazione agli interventi integrati approvati dai comuni.
La novità di rilievo, del tutto coerente con i princìpi ispiratori e con le ragioni di fondo delle proposte precedenti, riguarda l'esplicitazione, tra gli obiettivi strategici dell'intervento del legislatore, della valorizzazione dei cosiddetti «centri commerciali naturali», già peraltro normativamente definiti e regolamentati in diverse realtà regionali e territoriali, e che in questa sede trovano una prima definizione normativa da parte del legislatore nazionale. Si tratta di favorire la costituzione di uno o più insiemi organizzati, anche in forme societarie, di esercizi commerciali, di strutture ricettive, di attività artigianali e di servizio, che insistono all'interno dei centri storici, in cui si concentra un'offerta di prodotti, di servizi e di attività da parte di una pluralità di soggetti, con particolare riferimento o collegamento alla valorizzazione, alla distribuzione e alla commercializzazione delle produzioni tipiche locali, nonché allo svolgimento di funzioni informative per la promozione turistica e culturale del territorio.
Le ulteriori disposizioni prevedono che, nelle zone oggetto di interventi integrati, si applichino in favore dei soggetti privati le detrazioni fiscali spettanti per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 nonché tutte le ulteriori agevolazioni fiscali e incentivi eventualmente spettanti per interventi edilizi realizzati mediante l'utilizzazione di tecniche costruttive di bioedilizia o di fonti di energia rinnovabile o di risparmio delle risorse idriche e potabili.
Infine, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono definiti i parametri qualitativi di Pag. 116natura storica, architettonica e urbanistica, sulla base dei quali individuare centri storici e insediamenti urbanistici in comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, ai quali assegnare il marchio di «borghi antichi d'Italia». L'assegnazione del marchio non comporta il riconoscimento dell'interesse culturale o paesaggistico dei beni o delle aree compresi negli insediamenti urbanistici interessati, che rimane disciplinato dalle vigenti disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio.
Secondo uno dei nostri più illustri urbanisti, Edoardo Salzano, in Italia si sono comprese prima che altrove tre verità importanti: che ciò che ha valore e merita di essere conservato della nostra storia non sono soltanto i monumenti; le costruzioni eccezionali e «artistiche», ma le città storiche nel loro insieme: che esse sono un valore perché testimoniano modi di vivere e di abitare nei quali tra le cose e l'uomo c'è equilibrio, formano nel loro insieme ambienti che la cultura e la tecnica moderne riescono raramente a eguagliare; che la bellezza e l'utilità dei centri storici non è costituita soltanto dalle pietre che li formano, dai materiali e dalle forme degli edifici e degli spazi aperti che li organizzano, ma anche dalla società che li vive: dagli uomini e le donne, dai bambini e dai vecchi, dai lavoratori nei diversi mestieri; dai residenti stabili e dai viandanti e visitatori che vi arrivano; che i centri storici non vivono separati dal territorio che li circonda, ma devono saper ricostituire con questo (con i nuovi quartieri e con gli altri centri antichi e nuovi; con i nuovi luoghi di produzione e con le vie di comunicazione, con le campagne e i paesaggi aperti) un rapporto efficace: se non si progetta l'insieme del territorio, anche i centri storici decadono.
Un momento significativo della comprensione di queste verità è costituito da un documento, approvato nel 1960 in un convegno di studiosi e di amministrazioni comunali particolarmente consapevoli la cosiddetta Carta di Gubbio, nella quale si delineano alcuni essenziali principi, ancora oggi in gran parte validi.
Era una fase particolarmente significativa della nostra storia. Nel dopoguerra si era costruito per ogni dove. L'esigenza di una ricostruzione rapida di tutto ciò che era stato distrutto dalla guerra prevalse, in Italia, su ogni altra esigenza e attenzione. Alla fine degli anni Cinquanta si cominciavano a vedere i danni di un'edificazione senza scrupoli: Si cominciava a sentire come un delitto la devastazione dei vecchi centri e quartieri con edifici moderni. Furono gli anni in cui l'esigenza di una profonda riforma urbanistica diventò un grande tema politico e culturale. Bisognava salvare qualità preziose che minacciavano di scomparire. Ecco perciò l'impegno della cultura e dell'amministrazione più avveduta per correre ai ripari.
Di fronte agli scempi che si perpetravano la Carta di Gubbio pone in primo piano la salvaguardia, ma non basta il risanamento fisico: «nei progetti di risanamento una particolare cura deve essere posta nell'individuazione della struttura sociale che caratterizza i quartieri e che, tenuto conto delle necessarie operazioni di sfollamento dei vani sovraffollati, sia garantito agli abitanti di ogni comparto il diritto di optare per la rioccupazione delle abitazioni e delle botteghe risanate, dopo un periodo di alloggiamento temporaneo, al quale dovranno provvedere gli Enti per l'edilizia sovvenzionata; in particolare dovranno essere rispettati, per quanto possibile, i contratti di locazione, le licenze commerciali ed artigianali eccetera, preesistenti all'operazione di risanamento».
Possiamo dire che da allora, in Italia, la buona cultura urbanistica e la buona amministrazione hanno sempre considerato gli insediamenti storici come luoghi di eccellenza per più d'una ragione.
Sono testimonianza di un modo di vivere a misura d'uomo, nel quale l'individuale e il sociale, il privato e il pubblico trovavano l'espressione e lo strumento per il loro equilibrio.
Sono il prodotto memorabile di un rapporto tra costruito e non costruito, tra città e campagna, tra manifattura e agricoltura, tra il pieno (di pietre, di abitanti) Pag. 117e il vuoto (ma pieno di natura, di lavoro, di cultura millenaria) delle campagne.
Sono elementi nodali d'un paesaggio di rara bellezza, soprattutto nelle regioni nelle quali dall'assiduo lavoro della costruzione del territorio agrario nasceva la crescita d'una economia e d'una civiltà cittadine adornate anch'esse da suggestiva bellezza di forme.
Ogni centro storico ha una duplice caratteristica, una duplice finzione, e pone quindi una duplice serie d'esigenze, le quali sono due facce d'una medesima medaglia.
Da un lato, vi è il ruolo e il valore che deriva ai centri antichi dalla loro storicità: dal lato cioè che in essi si è verificata, nel corso dei secoli, una intensa accumulazione di valori; la quale là oggi dei centri storici un patrimonio di grandissima rilevanza. Dall'altro lato, vi è il ruolo che deriva dal fatto che nei centri storici si deve vivere, si deve lavorare, si deve abitare: che perciò essi devono essere comunque porzioni vive, attive, dinamiche degli organismi urbani e territoriali di cui sono parte.
I due aspetti sono strettamente intrecciati; e si sostengono anzi l'uno con l'altro. Infatti, mentre è ormai chiaro che i centri storici non trovano la ragione della loro bellezza solo nelle pietre e negli intonaci da cui sono costituiti ma anche (e in modo essenziale) nella vita che in essi si svolge, è chiaro che solo nella misura in cui diverranno un patrimonio effettivamente considerato come tale - e perciò attivamente tutelato, messo in valore, concretamente utilizzato dalla collettività nazionale - i centri storici potranno diventare ancora una volta luoghi realmente vitali, sedi di attività non lesive dell'assetto formale che il trascorrere dei secoli e l'accumularsi del lavoro umano ha conferito a essi, ma capaci invece di integrarsi fecondamente con gli antichi valori.
Si apre a questo punto un problema di notevole rilevanza metodologica: tutelare in modo effettivo i centri storici significa, per quel che s'è detto, trovare un rapporto equilibrato e organico tra «strutture vitali» e «strutture formali'; significa in altri termini individuare, tra i »tipi organizzativi«, le attività, le specifiche forme della vita produttiva presenti nella nostra epoca, quali siano quelle che possono non solo non risultare dannose all'assetto formale dei centri storici, ma anzi costituirne il contenuto organico e omogeneo, e perciò ravvivarlo e conferirgli nuova forza.
Questo è il tema che è di fronte a noi. Come fare della tutela, della conservazione, del risanamento e restauro, non qualcosa che sia fine a se stesso, ma la premessa e l'occasione per ripristinare una nuova vivibilità e vitalità del centro storico.
Le parole di Salzano spiegano perfettamente lo spirito che ha ispirato questa legge e il compito che, come legislatori, siamo tenuti a portare a termine nella massima condivisione, con celerità ed efficacia.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO LUCIO BARANI. IN SEDE DI ESAME DELLA QUESTIONE SOSPENSIVA FRANCESCHINI ED ALTRI N. 1 RIFERITA ALLA PROPOSTA DI LEGGE N. 2350-A

LUCIO BARANI. Con questo provvedimento, per la prima volta stabiliamo per legge il principio del consenso informato, estendendolo anche al momento in cui non saremo più in grado di esprimere le nostre scelte. È una legge di libertà che applica e regola l'articolo 32 della Costituzione e la Convenzione di Oviedo, quando prevede che bisogna tener conto - non c'è una questione di vincolatività nella medesima convenzione - dei desideri precedentemente espressi dal paziente nel caso questi non sia più in grado di farlo.
Esso interviene a protezione di concetti fondamentali quali quello di cura e di alleanza terapeutica senza i quali il nostro sistema sanitario, fondato sulla vocazione a curare e sul favor vitae, subirebbe una metamorfosi radicale e profonda e così accadrebbe alla professione medica e al codice deontologico.
È vero che le disposizioni in materia di trattamento sanitario nella fase finale Pag. 118della vita sono, ovviamente, estremamente delicate ed hanno dato luogo ad un serrato dibattito sul piano medico, biologico ed etico che è stato per alcuni versi di alto profilo, e questo è indubbiamente un fatto positivo, in quanto le Aule parlamentari devono dibattere ampiamente ed approfonditamente questioni fondamentali come quelle che stiamo trattando; ma c'è da dire che, accanto ad un giusto e doveroso dibattito anche con toni appassionati ed accesi, si è svolto, in parallelo, un secondo tipo di discussione tutto ideologico, che ha in parte oscurato il primo. In particolare la sinistra ha dato luogo ad una sorta di guerra di religione contro norme di obiettivo buon senso, che possono essere discusse serenamente ed approfonditamente.
Questo provvedimento si dedica in particolare a quei cittadini che decidono di dare una indicazione preventiva, sul tipo di terapie cui intendono sottoporsi in caso di malattia o incidente, che ne provochi la perdita della capacità di intendere e di volere e quindi, l'impossibilità di dare il proprio consenso informato alle terapie cui devono essere sottoposti, consenso che devono rendere, tutti coloro che sono in condizioni di coscienza vigile.
La proposta disciplina la dichiarazione anticipata di trattamento qualificandola come «proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di una futura perdita di capacità di intendere e di volere»; questo perché, in ogni caso, l'articolo 7 primo comma, del presente progetto di legge dispone che »le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono prese in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazione per le quali ritiene di seguirle o meno«. Questo significa che la Dat costituisce un orientamento per il medico ma non un obbligo in quanto resta sempre a lui assegnata l'ultima parola in merito di trattamento da somministrare o effettuare, in base a scienza e coscienza, al paziente reso, dall'infermità, privo della capacità di intendere e di volere.
Questo è il punto essenziale della legge che qualifica come non vincolante la Dat del paziente ora in stato di incoscienza e, parimenti, non vincolante quella dell'eventuale fiduciario; è lui quindi, il medico curante, sempre e comunque, l'arbitro ultimo delle scelte terapeutiche.
È chiaro che le valutazioni su questo aspetto specifico possono essere considerate secondo le diverse convinzioni etiche o religiose, comunque la legge non può mancare di disciplinare questo fondamentale aspetto in quanto, diversamente, resteremmo nell'attuale situazione di far west dove ognuno si comporta come meglio crede.
Non siamo quindi di fronte, come afferma la questione sospensiva, ad un provvedimento che «prevede norme talmente farraginose, semmai a volte palesemente irragionevoli» e tali «da causare una proliferazione di ricorsi giudiziari».
Questo perché le norme sulle dichiarazioni anticipate di trattamento sono del tutto chiare, precise e basate sui principi di equilibrio e di buon senso in quanto l'ultima parola viene lasciata ai medici, come è giusto che sia.
Per tali ragioni e perché non è accettabile che venga impedito con artifizi procedurali alla maggioranza di approvare una disciplina organica su tale delicata materia, chiedo che la questione sospensiva Franceschini ed altri, sia respinta dall'Assemblea.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 2)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Pdl 2350 e abb.-A -Quest.preg. 1,2 539 532 7 267 225 307 24 Resp.
2 Nom. Quest. sosp. n.1 556 554 2 278 248 306 22 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.