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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 453 di lunedì 28 marzo 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 14.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 28 febbraio 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Bergamini, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Capitanio Santolini, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Fava, Fitto, Anna Teresa Formisano, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Mistrello Destro, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Rainieri, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sanga, Schirru, Stefani, Tremonti, Vito, Zacchera e Zampa sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 14,02).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, in data 25 marzo 2011, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla I Commissione (Affari costituzionali):
S. 2569. - «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 febbraio 2011, n. 5, recante disposizioni per la festa nazionale del 17 marzo 2011» (Approvato dal Senato) (4215) - Parere delle Commissioni IV, V, VII e XI.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 14,03).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 26 marzo 2011, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla VI Commissione (Finanze):
«Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26, recante misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali» Pag. 2(4219) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), X e XIV.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera in data 24 marzo 2011, la deputata Giulia Cosenza, già iscritta al gruppo parlamentare Futuro e Libertà per l'Italia, ha chiesto di aderire al gruppo parlamentare Popolo della Libertà. La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Sull'ordine dei lavori (ore 14,05).

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, intervengo per segnalare le tante difficoltà che si stanno verificando nel territorio siciliano. Gli sbarchi dei migranti stanno determinando emergenze umanitarie e sociali gravissime a Lampedusa, ma anche a Mineo, nel Calatino. Lampedusa è assediata da migliaia di migranti disperati, arrivati da diversi Paesi del nord Africa, con le inevitabili conseguenze che si stanno determinando in quel territorio in termini di vivibilità per loro, ma anche per gli abitanti. A Mineo, invece, vi sono problemi di sicurezza nel residence degli Aranci dove migliaia di migranti sono stati localizzati. Si stanno pure verificando problemi di integrazione perché quel territorio è debole e non ha le risorse necessarie per facilitare un processo di integrazione pieno. Inoltre, quel luogo non può esser utilizzato per la lunga permanenza. Il Governo, su questo tema, è in uno stato confusionale; sembra stia inseguendo l'obiettivo di non coinvolgere nell'accoglienza le aree forti del Paese e questo è in forte contraddizione perché una realtà in difficoltà, come il nord Africa, oggi trova disponibilità ed accoglienza nell'area più debole della nostra comunità. Invece di proporre delle ipotesi bizzarre ed assurde, il Governo lavori seriamente, faccia presto, eviti l'esplosione dell'emergenza a Lampedusa, si occupi seriamente del problema e dica che cosa vuole realizzare a Mineo. Noi utilizziamo questa occasione per dare un forte segnale a lei Presidente perché indichi al Governo la presente grande emergenza che si sta determinando in tante parti del territorio siciliano.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, mi consenta anzitutto di unirmi alle considerazioni svolte poco fa nel chiedere un impegno fattivo al Governo perché l'emergenza a Lampedusa, peraltro prevista, venga ricondotta, com'è giusto che sia, entro il perimetro di un'iniziativa italiana e, quindi, in questo modo si eviti, come sta succedendo a Lampedusa, che alcune decine di migliaia di profughi diventino un'emergenza di quelle proporzioni devastanti quando potrebbero non esserlo attraverso un intervento complessivo nazionale.
Signora Presidente, volevo intervenire in apertura della discussione sulla legge comunitaria, per tornare a stigmatizzare con forza la situazione grottesca in cui ci ritroviamo. Da quattro mesi ormai siamo senza Ministro per le politiche comunitarie, con un Governo che non passa giorno in cui chieda o non chieda interventi da parte delle autorità europee, salvo poi disinteressarsi totalmente delle politiche comunitarie e non destinando ad esse Pag. 3l'attenzione che richiederebbero; di contro, sarebbe utile, per l'immagine del Paese nei confronti delle autorità comunitarie, dare anche un piccolo segnale di plenum del Governo o almeno arrivare a coprire la casella del Ministro incaricato per le politiche comunitarie, dal momento che non è prevista nessun'altra delega specifica nell'ambito dei componenti dell'Esecutivo. Trovo che ciò sia gravissimo. La settimana scorsa abbiamo votato una riforma della procedura con cui si approveranno in futuro le leggi comunitarie e oggi ci troviamo a iniziare l'esame in Aula del provvedimento specifico. Sicuramente non sono in discussione la capacità e la dedizione del senatore Augello, sottosegretario ai rapporti con il Parlamento. Resta tuttavia scandaloso che, con l'inizio della discussione in Aula di questo provvedimento, il Governo dia al Parlamento, al Paese e anche all'Unione europea un segnale secondo il quale vi sono molti atti importanti da compiere: tanta discussione sul rimpasto, sulla necessità di coprire le caselle e, addirittura, la richiesta di aumentare il numero dei membri del Governo perché c'è tanto da lavorare. Ad ogni modo, passano le settimane, passano i mesi e rimaniamo senza Ministro per le politiche comunitarie e senza alcun interlocutore del Governo a ciò preposto con una delega specifica. Credo sia scandaloso. Non so se è un segno dei tempi, non so se le difficoltà nascono, come abbiamo visto la settimana scorsa, dal fatto che qualsiasi nomina provoca certamente una persona felice, ma decine di scontenti a cui erano stati promessi incarichi: non so se è questo. Francamente mi interessa anche poco. Tuttavia volevo ribadire, signora Presidente, la nostra totale disapprovazione come gruppo circa il comportamento del Governo in questa fase e la gravità politica - ripeto e concludo - nei confronti del Parlamento, a livello nazionale e a livello di immagine in sede europea, del totale disinteresse del Governo a riassegnare ad un Ministro competente la delega delle politiche comunitarie.

TESTO AGGIORNATO AL 29 MARZO 2011

Discussione congiunta del disegno di legge e del documento: S. 2322 - Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2010 (Approvato dal Senato) (A.C. 4059-A); Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2009 (Doc. LXXXVII, n. 3) (ore 14,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del disegno di legge, già approvato dal Senato, e del documento: Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2010; Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2009.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Prima di iniziare la discussione sulle linee generali del disegno di legge comunitaria devo rendere una comunicazione all'Assemblea.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato approvato dalla Commissione politiche dell'Unione europea l'articolo aggiuntivo 12.04 del relatore - corrispondente all'articolo 19 del testo licenziato dalla Commissione - che introduce disposizioni in materia di responsabilità per danno erariale dei componenti degli organi societari e dei dipendenti delle società a partecipazione pubblica in misura pari o superiore al 50 per cento.
Ricordo che l'articolo 126-ter, comma 4, del Regolamento stabilisce che: «Fermo quanto disposto dall'articolo 89, i presidenti delle Commissioni competenti per materia e il presidente della Commissione politiche dell'Unione europea dichiarano inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio della legge comunitaria, come definito dalla legislazione Pag. 4vigente. Qualora sorga questione, la decisione è rimessa al Presidente della Camera».
È dunque alla legge n. 11 del 2005 che occorre fare riferimento ai fini della verifica del rispetto di tale criterio di ammissibilità, volto a garantire che nel disegno di legge comunitaria - in ragione del peculiare regime procedurale che ne assiste l'esame parlamentare - non confluiscano norme estranee ai limiti di contenuto definiti dall'ordinamento. Ebbene, l'articolo 9 della legge n. 11 stabilisce esattamente quali disposizioni possono trovare posto nella legge comunitaria annuale: disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi comunitari ovvero oggetto di procedure di infrazione avviate nei confronti dell'Italia; disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione degli atti del Consiglio o della Commissione delle comunità europee e per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea; disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive; disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa; disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per definire le sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome; disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 117, quinto comma, della Costituzione».
La disciplina regolamentare sopra richiamata implica dunque che, ai fini dell'ammissibilità delle proposte emendative, deve sussistere un legame diretto con l'adempimento di obblighi comunitari come sopra individuati, non risultando sufficiente una generica applicazione di principi dell'ordinamento dell'Unione europea.
Ora, le disposizioni introdotte con l'articolo aggiuntivo in questione non risultano riconducibili all'adempimento di alcuno degli obblighi indicati dalla legge. Né appare idoneo a ricondurre la proposta emendativa al contenuto proprio della legge comunitaria il richiamo generico alla finalità, riportata nell'articolo aggiuntivo, «di dare piena attuazione ai principi in materia di diritto di stabilimento, libera prestazione dei servizi e libera circolazione di capitali, di cui rispettivamente agli articoli 49, 56 e 63 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea».
L'articolo aggiuntivo pertanto, ai sensi dell'articolo 126-ter, comma 4, del Regolamento, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Peraltro, successivamente alla seduta della Commissione, il rappresentante del gruppo del Partito Democratico nella Commissione medesima, onorevole Gozi, con lettera del 24 marzo, ha posto alla Presidenza la questione.
Ricordo che, a partire dalla XI legislatura, ed a seguito di una specifica pronuncia della Giunta per il Regolamento, è stato precisato che «i poteri del Presidente della Camera sull'ammissibilità degli emendamenti trovano esplicazione sia sulle questioni sottopostegli dal presidente della Commissione e sugli emendamenti presentati direttamente in Assemblea sia sulle disposizioni introdotte dalla Commissione in sede referente senza il vaglio preventivo del Presidente della Camera». Tale potere si traduce in quello di espungere direttamente dal testo l'emendamento inammissibile che sia stato indebitamente approvato dalla Commissione: ciò è accaduto nella prassi parlamentare sia con riferimento a disegni di legge di conversione di decreti-legge sia ad altri tipi di iniziative legislative: in particolare la legge finanziaria, al fine di assicurare il rispetto dei limiti di contenuto imposti da prescrizioni legislative.
Alla luce di queste considerazioni, ed in conformità agli univoci precedenti rilevabili nella prassi, l'articolo 19 deve intendersi espunto dal testo del disegno di legge licenziato a conclusione dell'esame in sede referente e oggetto di esame in Assemblea.

Pag. 5

(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 4059-A e Doc. LXXXVII, n. 3)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che i Presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore sul disegno di legge comunitaria 2010, onorevole Pini, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIANLUCA PINI, Relatore sul disegno di legge n. 4059-A. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge comunitaria 2010 all'esame oggi dell'Assemblea, già approvato dal Senato, è stato, come lei ricordava, in parte modificato durante l'esame presso la Commissione Politiche dell'Unione europea. Il testo attualmente consta di 40 articoli (41 meno quello espunto), rispetto agli originali 18 approvati dal Senato. Ricordo al riguardo che il disegno di legge comunitaria è esaminato per le parti di rispettiva competenza da tutte le Commissioni permanenti che approvano una relazione e possono approvare emendamenti per le parti di loro competenza e che sono poi trasmessi alla XIV Commissione.
Presso la XIV Commissione sono stati presentati 136 emendamenti; di questi 28 sono stati dichiarati inammissibili, 26 invece sono stati ritirati. La Commissione ha poi concluso l'esame in sede referente del provvedimento nella seduta dello scorso 24 marzo. Come già sopra ricordato, sono stati approvati in totale 40 emendamenti ed articoli aggiuntivi.
Cercherò di illustrare sinteticamente, perché il contenuto della legge è molto ampio, quelli che sono i vari articoli partendo naturalmente dall'articolo 1 che, pur modificato nel corso dell'esame in Commissione, di fatto è quello che conferisce una delega al Governo per l'attuazione delle direttive comunitarie riportate in allegato al provvedimento in esame e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi attuativi. Si rileva, per correttezza e chiarezza, che il comma 1 dell'articolo in esame introduce un termine flessibile per l'esercizio della delega: ciascuna direttiva elencata negli allegati A e B dovrà essere attuata nel termine di due mesi antecedenti a quello di recepimento previsto dalla direttiva stessa. Accanto al termine generale «flessibile», si dispone anche, specificatamente, in ordine alle direttive comprese negli allegati A e B il cui termine di recepimento, individuato dalle stesse direttive, sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi all'entrata in vigore del provvedimento in esame. Nel corso dell'esame in Commissione si è poi provveduto, sempre attraverso l'articolo 1, a sopprimere nell'allegato A una direttiva che riguarda i succhi di frutta ed altri prodotti analoghi destinati all'alimentazione umana, mentre nell'allegato B ne sono state soppresse tutta una serie e rimando, per il dettaglio, a quanto già illustrato ed esaminato in Commissione.
L'articolo 2 detta i principi e i criteri direttivi di carattere generale per l'esercizio delle deleghe contenute nell'articolo 1 e questo come in tutte le leggi comunitarie così come richiama la legge n. 11 del 2005 anche se recentemente modificata da questo Parlamento.
L'articolo 3 delega il Governo ad adottare invece disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, in via regolamentare o amministrativa, o in regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della legge.
L'articolo 4 detta disposizioni circa gli oneri derivanti dalle prestazioni e dai controlli che gli uffici pubblici sono chiamati a sostenere in applicazione della normativa comunitaria.
L'articolo 5 conferisce la consueta delega al Governo per l'adozione di testi Pag. 6unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dal disegno di legge.
L'articolo 6, introdotto con un emendamento del relatore nel corso dell'esame in sede referente, reca una disposizione che consente la corresponsione delle diarie per le missioni all'estero per quelle missioni ritenute assolutamente indispensabili ad assicurare la partecipazione a riunioni nell'ambito dei processi decisionali dell'Unione europea, visto che era intervenuta una norma che in qualche modo metteva a rischio la partecipazione dei funzionari dei vari ministeri a queste riunioni, limitando quindi in maniera pesante, in quel caso, l'intervento alla fase partecipativa della formazione del diritto comunitario.
L'articolo 7 riformula la disciplina di alcuni oneri finanziari a carico dei soggetti produttori o distributori di dispositivi medici.
L'articolo 8, anche questo introdotto nel corso dell'esame in Commissione su sollecitazione della Commissione competente, porta una modifica in materia di etichettatura e di presentazione dei prodotti alimentari e relativa pubblicità, con riferimento specifico all'indicazione in etichetta degli allergeni alimentari. Con un emendamento del relatore, anche qui, si è intervenuto affinché in questa previsione fosse specificato che l'indicazione non è necessaria quando la denominazione di vendita indichi già di per sé la presenza dell'allergene nell'ingrediente interessato.
L'articolo 9, modificato durante l'esame presso la Commissione, interviene sulla disciplina del codice del consumo, che riguarda la commercializzazione a distanza di servizi finanziari. Ricordo che l'articolo 9, riguardante la nomenclatura in sede europea di «Roma Capitale», è stato soppresso nel corso dell'esame in Commissione, attraverso tre emendamenti soppressivi: uno del Governo e due di iniziativa parlamentare.
L'articolo 10, modificato nel corso dell'esame presso la Commissione, reca gli specifici principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2009/65/CE, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari.
L'articolo 11, inserito durante l'esame in Commissione, è finalizzato ad attuare le direttive 2009/69/CE e 2009/162/UE, che apportano modifiche alla disciplina del sistema comune dell'IVA. Rimando, anche qui, alla specifica tecnica, a tutto ciò che è stato già ampiamente dibattuto in Commissione, ma è finalizzato, di fatto, anche questo articolo, come tanti altri approvati da questo Governo, ad un contrasto serio e puntuale all'evasione dell'imposta sul valore aggiunto.
L'articolo 12 reca una delega legislativa per il riordino della professione di guida turistica, mentre, l'articolo 13, molto complesso e modificato nel corso dell'esame in Commissione, reca, al comma 1, la delega per il recepimento di due direttive in materia di comunicazione elettronica, ovvero la 2009/136/CE e la 2009/140/CE. Il comma 2-bis, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, prevede, attraverso una modifica dell'articolo 15 del testo unico sui servizi di media audiovisivi, che gli operatori televisivi in ambito locale possano cedere capacità trasmissiva ai fornitori di contenuti di servizi di media audiovisivi e radiofonici autorizzati in ambito nazionale. Questa è una norma fortemente voluta dal gruppo della Lega, affinché vi sia una maggiore capacità trasmissiva per le emittenti locali. Il comma 3, oltre a rinviare ai principi e criteri direttivi generali di cui agli articoli 2 e 3 del disegno legge, reca una serie di ulteriori specifici principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega. Riguardo gli altri commi: il comma 4 modifica l'articolo 33 della legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che reca criteri i criteri e i principi direttivi per l'attuazione della direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori.
L'articolo 14, introdotto alla Camera nel corso dell'esame in Commissione, apporta alcune modifiche all'articolo 37 della legge comunitaria per il 2008, relativo all'attuazione della normativa comunitaria sulla commercializzazione delle uova.
Pag. 7L'articolo 15, anche questo introdotto in Commissione, delega il Governo all'adozione di un decreto legislativo specifico volto ad adeguare la normativa statale a quella comunitaria in materia di immissione sul mercato e sull'uso dei mangimi.
L'articolo 16, anche questo introdotto durante l'esame in Commissione, modifica il decreto legislativo n. 225 del 2005, per adeguare l'apparato sanzionatorio, relativo alle violazioni dell'obbligo di indicazione dell'origine in etichetta dell'olio extra vergine di oliva e dell'olio d'oliva vergine, così come contenuto nel Regolamento (CE) n. 1019/2002, così come modificato dal Regolamento (CE) n. 182/2009.
L'articolo 17, al quale la XIV Commissione in sede referente ha apportato limitate correzioni, delega il Governo ad emanare, entro 24 mesi, decreti legislativi volti ad inserire nel codice civile la disciplina del contratto di fiducia, il cosiddetto Trust, che già esiste in moltissimi Stati membri dell'Unione.
L'articolo 18, molto dibattuto e introdotto con un emendamento del relatore nel corso dell'esame in Commissione, novella l'articolo 2 della legge n. 117 del 1988 (la cosiddetta legge Vassalli) in materia di responsabilità civile dei magistrati.
L'articolo 19, così come da comunicazione del Presidente, è stato espunto dal testo.
Quindi, passiamo all'articolo 20, che modifica la disciplina sulla verifica del valore di parametro per le acque confezionate in bottiglie e contenitori con riferimento naturalmente a quelle rese disponibili per il consumo umano.
L'articolo 21 abroga il comma 2 dell'articolo 01 del decreto-legge n. 400 del 1993, il quale prevede che le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative abbiano durata di sei anni e alla scadenza si rinnovino automaticamente. Tale norma è stata inserita per sanare una procedura d'infrazione pendente da tempo, così come l'articolo 18 sana una procedura di infrazione riguardante la responsabilità civile dei magistrati.
L'articolo 22 reca specifici principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2010/23/UE, recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto concerne l'applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo di inversione contabile. Si tratta della cosiddetta sperimentazione del reverse charge che trova applicazione limitata al momento in Italia già a partire dal prossimo 1o aprile per alcune componentistiche e, nello specifico, i telefonini e i microprocessori destinati alla componentistica specifica dei personal computer.
Secondo la valutazione del relatore, su questo tema potrebbe esserci un ulteriore emendamento durante la fase di dibattito in Aula, perché se la ratio della norma è quella di evitare che vi siano «frodi carosello» relative a questi prodotti elettronici, bisogna anche tener conto - questo è anche un parere abbastanza diffuso nella Commissione - di quali sono i prodotti più largamente diffusi: sicuramente i telefonini, ma se ci si limita solo in maniera specifica ai componenti dei computer si tiene fuori tutto il prodotto finito che è quello che in realtà crea il grosso problema delle «frodi carosello».
Passando all'articolo 23, sempre per contrastare un altro tipo di evasione IVA, cioè quello dell'utilizzo indebito dei depositi fiscali IVA, è stata inserita, con un emendamento del relatore, l'impossibilità per le società neocostituite - spesso e volentieri costituite ad hoc per rimanere in piedi solo pochi mesi ed evadere l'IVA - di attivare la procedura del deposito IVA in importazioni da Paesi terzi. Si tratta di un fenomeno che purtroppo si sta allargando molto e che crea un danno enorme all'erario. Quindi, questa è una novella normativa che introduce una sorta di sperimentazione in fase di importazioni doganali che riteniamo essere assolutamente in linea con il contrasto all'evasione posta in essere da questo Governo.
L'articolo 24 reca una delega al Governo, da esercitarsi in conformità ai principi di cui alla legge n. 185 del 1990, ad adottare uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla direttiva 2009/43/CE che disciplina le modalità e le condizioni Pag. 8dei trasferimenti all'interno delle Comunità di prodotti per la difesa. Si tratta di un articolo molto delicato che non è stato assolutamente toccato durante l'esame in Commissione.
Per quanto riguarda l'articolo 25, invece, riteniamo che sia un passo avanti importante perché lo Stato italiano (se non per primo, fra i primi all'interno dell'Unione europea) recepisce con una delega al Governo la direttiva 2010/63/UE riguardante la protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Questo è un tema molto dibattuto e molto sentito.
L'articolo 26, invece, riguarda la cooperazione tra gli Stati dell'Unione europea in materia di bacini idrografici qualora questi comportino un impatto transfrontaliero sulla qualità delle acque di balneazione. L'articolo 27 riguarda, invece, misure di controllo nelle attività di pesca. L'articolo 28, introdotto alla Camera nel corso dell'esame in Commissione, utilizza la commercializzazione fino all'esaurimento delle scorte di vini immessi sul mercato o etichettati prima del 30 giugno 2012, sempre che siano conformi alla direttiva 2005/26/CE la quale riguarda la possibilità di esitare le scorte di etichette dei vini in cui vengono utilizzati alcuni allergeni.
L'articolo 29, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, delega il Governo ad attuare la normativa comunitaria, in specie il regolamento (CE) n. 2173/2005 relativo all'istituzione di un sistema di licenze FLEGT, cioè Forest law enforcement, governance and trade, per le importazioni di legname nell'Unione europea nell'ambito delle azioni di contrasto alla raccolta e al commercio illegale di legname.
L'articolo 30, inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, modifica l'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo n. 161 del 2006, al fine di eliminare il termine temporale per la non applicazione dei valori limite per i COV (composti organici volatili) ai prodotti (pitture, vernici e prodotti per carrozzeria) che fin dal primo atto di immissione sul mercato sono destinati a essere oggetto di miscelazione o di utilizzazione esclusivamente in Stati non appartenenti all'Unione europea.
L'articolo 31, inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, riscrive, integrandolo, l'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, che disciplina le introduzioni e le reintroduzioni di specie autoctone animali e vegetali di interesse comunitario, che richiedono una protezione rigorosa (sono quelle specie elencate dall'Allegato D del medesimo decreto) nonché delle specie di uccelli selvatici di cui all'allegato I della direttiva 79/409/CEE (la notoria cosiddetta «direttiva uccelli»).
L'articolo 32, inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, prevede una delega al Governo per il riordino della normativa nazionale in materia di inquinamento acustico al fine di coordinarla con la direttiva 2002/49/CE.
L'articolo 33, anche questo inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, prevede una delega al Governo per il riordino, il coordinamento, l'integrazione e la semplificazione della disciplina recata dalla parte III del codice dell'ambiente, relativa alla difesa del suolo e alla tutela e gestione delle risorse idriche.
L'articolo 34, inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, reca una delega al Governo per il recepimento della direttiva 2009/126/CE, relativa al recupero dei vapori di benzina durante il rifornimento dei veicoli a motore nelle stazioni di servizio.
L'articolo 35, inoltre, prevede una delega al Governo per il recepimento della direttiva 2010/75/UE - anche in questo caso in maniera molto anticipata rispetto alla scadenza stessa della direttiva - relativa alle emissioni industriali. I decreti legislativi, nella specifico, dovranno essere emanati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: riordino delle competenze in materia di rilascio delle autorizzazioni e dei controlli; semplificazione e razionalizzazione dei processi autorizzativi; utilizzo dei proventi delle sanzioni amministrative per finalità relative all'attuazione Pag. 9della delega; revisione dei criteri per la quantificazione e la gestione contabile delle tariffe da applicare per le istruttorie e i controlli; infine, revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio, che risulta al momento inadeguato rispetto a quanto è armonizzato all'interno dei vari Stati membri dell'Unione europea.
L'articolo 36, inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, prevede una delega al Governo in materia di riordino della normativa sulla produzione e commercializzazione dei prodotti fitosanitari.
L'articolo 37, è molto importante e delicato soprattutto per quello che riguarda un asset importante dell'industria italiana, cioè l'industria alimentare. È stato introdotto, anche questo, durante l'esame in Commissione e modifica l'articolo 6 del decreto legislativo n. 109 del 1992 in materia di etichettatura, presentazione dei prodotti alimentari e relativa pubblicità, con specifico riguardo alla denominazione degli aromi e di alcuni ingredienti alimentari con proprietà aromatizzanti, destinati ad essere utilizzati nei prodotti alimentari al fine della loro specifica indicazione in etichetta.
L'articolo 38, inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, reca disposizioni volte a recepire la direttiva 2010/78/UE relativa ai poteri e alle funzioni delle tre nuove Autorità di vigilanza europee, costituite per il settore bancario, per il settore assicurativo e pensionistico e per il settore dei mercati e degli strumenti finanziari.
L'articolo 39, inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, estende a decorrere dal 2012 il regime di detraibilità dall'IRPEF dei canoni relativi a contratti di locazione stipulati da studenti universitari fuorisede anche ai contratti di affitto stipulati da studenti universitari italiani presso facoltà di Paesi membri dell'Unione europea. Questo è un passo avanti molto importante, anche al fine dell'integrazione della mobilità nella fase di formazione culturale dei nostri giovani.
L'articolo 40, inserito durante l'esame del provvedimento in Commissione, prevede una serie di modifiche al decreto legislativo n. 117 del 2008, recante attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive.
Infine, signor Presidente, concludo ricordo che l'articolo 41, introdotto anche questo alla Camera nel corso dell'esame in Commissione, è volto ad adeguare la normativa nazionale relativa ai prodotti di cacao e cioccolato, aiutando in qualche modo le aziende italiane ad esitare, in maniera non drammatica ma abbastanza lineare, le scorte di etichette di confezioni, che riportano l'indicazione «cioccolato puro», che ci è stata di fatto vietata da una sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore sul Doc. LXXXVII, n. 3, onorevole Fucci.

BENEDETTO FRANCESCO FUCCI, Relatore sul Doc. LXXXVII, n. 3. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per un fortunato concorso di circostanze, avviamo l'esame in Aula della relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2009, a meno di una settimana di distanza dall'approvazione all'unanimità del testo unificato delle proposte di riforma della legge n. 11 del 2005, con il quale abbiamo prospettato un significativo rafforzamento delle prerogative del Parlamento nella fase di formazione delle politiche e della normativa dell'Unione europea. Infatti molte delle innovazioni introdotte dal testo unificato riprendono indicazioni che avevamo formulato nelle due risoluzioni a prima firma della collega Centemero, approvate in esito all'esame delle relazioni annuali per il 2007 e il 2008. Alcune indicazioni, tra cui proprio quelle relative alla struttura ed ai contenuti delle relazioni annuali, erano state peraltro già tradotte in novelle alla legge n. 11 del 2005 dalla legge comunitaria per il 2009. Ciò a dimostrazione del fatto che l'esame della relazioni annuali del Governo sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea dovrebbe costituire Pag. 10uno degli strumenti di maggiore rilevanza per l'azione in materia europea del Parlamento e per molti aspetti dello stesso Governo.
Partendo dall'analisi del documento, in tutte le Commissioni ed in Aula andrebbero infatti concordate tra Camere e Governo le priorità e le linee generali della politica europea dell'Italia. Devo purtroppo riconoscere che la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2009 giunge - come purtroppo è già avvenuto negli anni precedenti - alla nostra attenzione con un ritardo tale da renderne di scarsa utilità l'esame del merito. La relazione è anzi nata già vecchia, essendo stata predisposta secondo la formulazione dell'articolo 15 della legge n. 11 del 2005 precedente alla sua presentazione.
Per effetto delle già richiamate modifiche introdotte dalla legge comunitaria 2009 in vigore dal 10 luglio 2007 il Governo deve infatti presentare al Parlamento due distinte relazioni annuali: una programmatica entro il 31 dicembre e l'altra di rendiconto. Tale innovazione aveva proprio l'obiettivo di evitare che la relazione annuale si configurasse come un documento obsoleto e retorico e di consentire quindi un esame parlamentare accurato e tempestivo.
La Giunta per il Regolamento della Camera, nel parere del 14 luglio 2010, ha disposto con grande tempestività che la relazione programmatica sia oggetto di esame congiunto con gli strumenti di programmazione legislativa e politica delle istituzioni europee, secondo la procedura già delineata a questo scopo dalla Giunta per il Regolamento il 9 febbraio del 2000. La relazione di rendiconto continuerà invece ad essere esaminata congiuntamente con il disegno di legge comunitaria, secondo il disposto di cui all'articolo 126-ter del Regolamento. La Camera potrà svolgere in tal modo una vera e propria sessione europea di fase ascendente, interamente dedicata alla valutazione e al confronto tra le priorità delle istituzioni europee e quelle del Governo per l'anno in corso, in esito alla quale potremo definire indirizzi generali per l'azione dell'Italia a livello europeo, valutazioni e indirizzi che assumono un valore estremamente significativo in questa fase del processo di integrazione caratterizzata - come ben conosciamo - da grandi rischi e potenzialità. È auspicabile pertanto che il Governo sottoponga tempestivamente alle Camere la relazione recante indicazioni delle sue priorità per il 2011, che sarà esaminata congiuntamente al programma di lavoro della Commissione europea per il 2011, già presentato nello scorso ottobre. Sulla base di questa conclamata obsolescenza della relazione per il 2009 ed in attesa della relazione per il 2010, nel corso dell'esame presso la Commissione politiche dell'Unione europea, così come presso gran parte delle altre Commissioni permanenti, ci siamo pertanto concentrati su questioni di metodo che vorrei ora richiamare brevemente, rinviando al testo completo della relazione per ulteriori dettagli.
Una prima serie di questioni attiene ai criteri per la redazione delle future relazioni di cui all'articolo 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Occorre, in particolare, che la relazione programmatica riporti gli orientamenti del Governo in merito alle singole priorità politiche e alle misure prospettate negli strumenti di programmazione legislativa dell'Unione europea, nonché le iniziative che il Governo intende adottare per dar seguito agli indirizzi generali definiti dalle Camere con riferimento a specifiche politiche e progetti di atti dell'Unione europea. A sua volta, la relazione di rendiconto dovrebbe dare conto degli interventi già adottati nell'anno precedente dal Governo per attuare gli indirizzi definiti dalle Camere sui singoli atti o progetti di atti dell'Unione europea nonché dei casi di apposizione della riserva di esame parlamentare.
Una seconda serie di indicazioni concerne il raccordo tra il Parlamento e il Governo nella formazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea. In attesa dell'entrata in vigore delle modifiche apportate alla legge 4 febbraio 2005, n. 11, sarebbe necessario che il Governo Pag. 11assicuri già un'applicazione più sistematica e rigorosa delle disposizioni vigenti relative al ruolo delle Camere.
In particolare, il Governo dovrebbe assicurare - in coerenza con l'articolo 4-bis della legge 4 febbraio 2005, n. 11 - che la posizione rappresentata dall'Italia nelle sedi decisionali tenga conto degli indirizzi definiti dalle Camere in esito all'esame di progetti o di atti dell'Unione europea nonché su ogni altro atto o questione relativa all'Unione europea.
Confidiamo poi che il Governo accompagni la trasmissione degli atti e dei progetti di atti dell'Unione europea di maggiore rilevanza con una valutazione approfondita e tempestiva sui contenuti dei documenti trasmessi, sul loro fondamento giuridico, sull'impatto previsto sull'ordinamento nazionale e sul rispetto dei principi di sussidiarietà.
Una terza serie di rilievi concerne la partecipazione dell'Italia al processo decisionale dell'Unione europea. Nel corso della discussione in Aula della riforma della legge 4 febbraio 2005, n. 11, molti colleghi hanno rilevato l'assenza di un reale coordinamento dell'azione del Governo nelle sedi decisionali europee. Occorre, quindi, nella direzione indicata dal testo unificato che abbiamo approvato, che il CIACE eserciti un effettivo ruolo di coordinamento dell'azione del Governo nelle sedi decisionali dell'Unione europea e che il comitato tecnico possa definire orientamenti per i rappresentanti, a livello amministrativo, dell'Italia nelle sedi decisionali dell'Unione europea.
Va assicurato, inoltre, sin d'ora un più sistematico raccordo tra la rappresentanza permanente dell'Italia presso l'Unione europea, il CIACE e il suo comitato tecnico permanente.
Mi impegno, signor Presidente, a far confluire queste indicazioni e gli altri spunti che emergeranno nel corso della discussione sulle linee generali nella risoluzione che presenteremo al termine della seduta odierna.
Auspico infine, e concludo, che la risoluzione possa essere sottoscritta da tutti i gruppi in modo da valorizzare il contributo della Camera all'ammodernamento delle procedure per la partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Pompili. Ne ha facoltà.

MASSIMO POMPILI. Signor Presidente, ho pochi minuti a disposizione per parlare, ma vorrei sottolineare il modo con il quale il Governo ha ritenuto di doversi rappresentare in questa discussione - non è una critica al sottosegretario presente che però, va sottolineato, non ha nessun rapporto con la materia di confronto - e le circostanze di un dibattito francamente un po' stanco - penso che dobbiamo dircelo con molta chiarezza -, per cui intenderei fare solo poche brevi considerazioni.
L'onorevole Della Vedova, in un intervento svolto poco fa sull'ordine dei lavori, ha ricordato come nei giorni scorsi la Camera dei deputati abbia proceduto all'approvazione della riforma della legge n. 11 del 2005.
Si tratta di un testo particolarmente innovativo e importante - voglio sottolinearlo - frutto di una elaborazione e di una condivisione da parte di tutti i gruppi parlamentari a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Una parte rilevante di questo disegno di legge, il cui testo passerà all'esame del Senato, è dedicata proprio al rafforzamento dei poteri e delle prerogative parlamentari in materia di Unione europea. Ecco perché facevo riferimento ad un apprezzamento delle circostanze nelle quali l'Aula discute oggi un provvedimento così importante. Si tratta di rafforzamento dei poteri e delle prerogative parlamentari, come è stato già ricordato, sia con riferimento alla fase ascendente del processo normativo europeo, sia a quella discendente, di cui il disegno di legge comunitaria oggi all'ordine del giorno rappresenta Pag. 12lo strumento principale come momento attuativo del procedimento.
Il Partito Democratico si sta misurando con grande impegno per un progetto delle politiche europee per l'Italia e la legge bipartisan che abbiamo approvato la scorsa settimana penso ne sia la riprova.
Però, riprendendo il riferimento dell'onorevole Della Vedova, già la settimana scorsa noi abbiamo sottolineato come una discussione così importante e che potrebbe avere anche dei punti di condivisione, non soltanto relativi alla legge approvata ma anche di prospettiva, si sia svolta senza un Ministro per le politiche europee, dopo le dimissioni dell'onorevole Ronchi. Ha seguito questa materia il sottosegretario Scotti e noi lo ringraziamo, ma come gli abbiamo già detto in Commissione, la sua esperienza è tale che egli stesso non può non ammettere che la sua presenza non equivale a quella di un Ministro.
Che cosa è accaduto da allora, dalla scorsa settimana (non parliamo di una scansione di tempo molto lunga)? È accaduto un fatto istituzionalmente e politicamente molto significativo: il Presidente del Consiglio, nell'ambito di una manovra spartitoria, perché di questo si è trattato, per tenere insieme una maggioranza rabberciata a colpi di promesse di posti, ha ritenuto di dover nominare, attraverso una partita di giro tra politica e istituzioni, i Ministri dell'agricoltura e dei beni culturali, pur sapendo che, a pochi giorni di distanza dalla riforma della legge n. 11 del 2005, sarebbe iniziata la discussione su un altro importante provvedimento, come il disegno di legge comunitaria. Egli non si è nemmeno lontanamente posto il problema della vacanza del Ministero per le politiche europee.
Anche noi, come Della Vedova, abbiamo letto che adesso annuncia e studia un provvedimento per aumentare il numero di sottosegretari. Riteniamo che lo scopo di questo provvedimento sia quello di soddisfare tutti gli appetiti. Questa è la lettura politica, non il rimpasto.
Che cosa significa questo? Significa che persino nella spartizione le politiche comunitarie sono relegate all'ultimo posto e tutto ciò è gravissimo, soprattutto pensando a ciò che sta succedendo in Tunisia, in Egitto, in Libia e da ultimo in Siria.
Come si fa - questo è l'interrogativo che ci poniamo - a pensare di svolgere in questa fase una discussione sulla legge comunitaria avulsa da ciò che sta succedendo in un'area geografica e politica strategica del mondo? Non voglio, naturalmente, entrare di nuovo nel merito del tema: lo abbiamo già fatto, anche qui, la scorsa settimana, discutendo e votando le risoluzioni di maggioranza e opposizione.
Voglio però dire che vi è un'evidente sottovalutazione della necessità di svolgere un ruolo più incisivo in sede comunitaria; una sottovalutazione che non solo acuisce i problemi di gestione della drammatica attualità dei flussi migratori (lo ricordava il collega Burtone poco fa; forse avrebbe aiutato un ministro in più insieme a Frattini e Maroni), ma che si riflette, più in generale, su battaglie decisive e con ricadute importanti sul nostro sistema Paese e sulla sua considerazione in ambito comunitario.
Gli esempi potrebbero essere tanti, ma vado al dunque: ormai il processo di adeguamento alla produzione legislativa europea assorbe la gran parte della legislazione interna degli Stati ed impone un'attenzione più qualificata delle Camere. Un Ministro come quello delle politiche comunitarie non può essere svilito a merce di scambio. Ma voi, signor sottosegretario - in questo caso devo rivolgermi a lei - non avete questa consapevolezza, non c'è niente da fare (ci tornerò brevemente tra poco).
Passo ora rapidamente alla conclusione. Intanto, sulle procedure di formazione della legge comunitaria pensiamo che debbano essere messi dei paletti molto seri, che evitino l'inserimento in essa di materie del tutto estranee agli obblighi comunitari.
Signor Presidente, lei ricordava prima che la Presidenza ha ritenuto di dover cassare l'articolo sul danno erariale subito con riferimento ai componenti del consiglio di amministrazione della RAI, ma noi diciamo qualcosa in più. Ad esempio, che Pag. 13c'entra l'introduzione del contratto di fiducia, che non costituisce un obbligo comunitario, ma è un istituto di carattere internazionale privatistico che richiederebbe una ben più attenta ed approfondita analisi delle Commissioni di merito, per un provvedimento, magari, mirato e dedicato? Per non parlare poi dell'articolo aggiuntivo, arrivato alla conclusione dei lavori della Commissione, che riguarda una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea sui traghetti del Mediterraneo che è stata...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO POMPILI. ...usata come un grimaldello per regolare un tema delicato come quello della responsabilità civile dei magistrati.
Signor Presidente, questa non sarà una discussione come quella degli anni passati: sarà una discussione molto più dura, molto più conflittuale. Non è scontato il nostro voto sulla legge comunitaria. Credo che, a partire dal dibattito in corso, dovremo poi trarre anche l'insegnamento su quello che dovremo assolvere per gli anni 2011 e 2012 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Pompili, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Porcino. Ne ha facoltà.

GAETANO PORCINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, come è già stato ricordato dai colleghi, la settimana scorsa abbiamo approvato un provvedimento all'unanimità, con grande condivisione di tutti i gruppi. Speravamo che quella che è stata una pagina importante per il nostro Parlamento potesse avere un seguito e ripetersi con i provvedimenti successivi.
Purtroppo, il disegno di legge comunitaria e la relazione in esame non sono andati nella stessa direzione, con nostro grande rammarico. Non vi sono state né condivisione, né unità di intenti, per una serie di motivi che adesso illustrerò.
Il disegno di legge comunitaria e la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea sono stati assegnati, come prevede l'articolo 126-ter del Regolamento della Camera, per l'esame generale in sede referente, alla Commissione politiche dell'Unione europea e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.
La legge comunitaria - lo ricordo per chi ci ascolta - consente all'Italia di adempiere agli obblighi derivanti dalla sua appartenenza all'Unione europea mediante il recepimento delle direttive e la modifica della propria legislazione nelle materie di competenza dell'Unione stessa.
La lista delle direttive da recepire e degli altri provvedimenti ai quali adeguare la legislazione interna è contenuta in due elenchi. La divisione delle direttive tra elenco A e B si giustifica nei seguenti termini: l'elenco A contiene le direttive i cui schemi di decreto legislativo di recepimento devono essere sottoposti al parere consultivo delle Commissioni parlamentari solo se ricorrono allo strumento delle sanzioni penali ai fini della repressione delle violazioni degli obblighi comunitari; l'elenco B, invece, contiene le direttive per il cui recepimento occorre adottare una procedura aggravata dalla sottoposizione del relativo schema di decreto legislativo al parere dei competenti organi parlamentari, in deroga alla legge 23 agosto 1988, n. 400.
Tutte le direttive contenute nell'elenco devono, poi, rispettare i principi ed i criteri direttivi contenuti nel Titolo I della legge comunitaria e nelle direttive comunitarie. Per alcune direttive il Titolo II, dall'articolo 6 all'articolo 18, contiene principi e criteri direttivi ulteriori, integrativi o sostitutivi di quelli generali.
La legge comunitaria 2010 è composta da due capi e due allegati: capo I, capo II, Pag. 14allegato A e allegato B. Però, diversamente da quanto dichiarato dal Governo all'inizio della legislatura, i ritardi nella presentazione e nell'esame del disegno di legge comunitaria sono ormai la regola.
Il relatore della XIV Commissione aveva chiesto a tutti i membri dell'opposizione una limitazione del numero degli emendamenti da presentare per accelerare l'iter del provvedimento. Questa richiesta della maggioranza, visto come sono andati sia l'iter, sia la discussione e considerato come il provvedimento stesso giunge oggi in Aula, appare semplicemente paradossale se si pensa che il disegno di legge comunitaria 2010 è stato presentato dal Governo al Senato solo il 5 agosto 2010, anziché ad inizio anno. L'esame è cominciato in quel ramo del Parlamento a settembre, si è prolungato sino al 2 febbraio 2011, vi sono stati, quindi, cinque mesi di discussione, ed è giunto alla Camera solo il 4 febbraio 2011.
Il problema è politico più che tecnico, così come lo è il fatto che si discuta del disegno di legge comunitaria in assenza, come hanno ricordato alcuni autorevoli colleghi, di un Ministro per le politiche europee, quando sappiamo che, già la settimana scorsa, vi è stato un «mini rimpasto» con lo spostamento di un Ministro da un dicastero ad un altro e la nomina di un nuovo Ministro. Con maggiore correttezza, in considerazione della discussione del testo in oggetto oggi alla Camera, si poteva procedere benissimo alla nomina del Ministro vacante e consentire alla Camera di discutere alla presenza del Ministro incaricato o, quanto meno, sarebbe forse il caso che direttamente il Presidente Berlusconi, che ne ha la delega, seguisse il dibattito in Aula vista la grande rilevanza del provvedimento in esame.
Non da ultimo, si ricorda che in Commissione giustizia alla Camera è stato lo stesso Governo a presentare e far approvare ben tre emendamenti che introducono tre nuovi articoli al disegno di legge comunitaria in esame. Ciò comporterà, in ogni caso, una terza lettura del testo da parte del Senato.
Gli emendamenti presentati dal Governo hanno aggiunto due articoli dopo l'articolo 11: uno attiene alle diciture e stampigliature sulle uova commercializzate, l'altro riguarda il mercato dei mangimi. Gli articoli aggiuntivi sono poi stati approvati dalla XIII Commissione e di questo si parlerà in dettaglio nel seguito della discussione sulle linee generali.
Prima di discutere della legge comunitaria e di quello che noi riteniamo non vada bene, così come abbiamo avuto modo di discutere in Commissione, volevo fare un accenno alla relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea che - guarda caso - si chiama «Relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2009». Già la data dovrebbe dire un po' tutto.
La relazione è stata presentata al Parlamento il 5 agosto 2010. Pur essendo un documento unitario, essa contiene almeno due distinte relazioni: una di rendiconto, che contiene il consuntivo dell'attività svolta dall'Italia a livello di Unione europea nel 2009, e una programmatica, che contiene gli orientamenti e le priorità del Governo italiano per il 2010, in relazione agli obblighi derivanti dalla partecipazione all'Unione europea.
A questo proposito cerchiamo di fare un primo chiarimento e un primo approfondimento. La relazione viene predisposta e presentata ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 11 del 2005. L'articolo 15 è stato modificato dalla legge comunitaria per il 2009, ma la relazione attualmente all'esame del Parlamento è stata predisposta sulla base della formulazione previgente dell'articolo 15, dovendosi applicare il nuovo articolo 15 a partire dalla relazione relativa al 2011.
Pertanto, l'articolo 15 previgente prevedeva la presentazione al Parlamento di un'unica relazione, contenente tanto il rendiconto relativo all'anno precedente quanto il programma per l'anno successivo. La relazione andava presentata e discussa contestualmente all'iter della legge comunitaria, con termine di presentazione il 31 gennaio di ogni anno. Pag. 15
L'articolo 15 vigente, invece, prevede che il Governo presenti al Parlamento due distinte relazioni: una di rendiconto e l'altra programmatica. In particolare, la relazione programmatica deve essere presentata entro il 31 dicembre e deve contenere gli orientamenti e le priorità che il Governo intende assumere per l'anno successivo; la relazione di rendiconto, presentata, invece, al Parlamento entro il 31 gennaio di ogni anno contestualmente alla presentazione della legge comunitaria, deve contenere l'illustrazione delle attività svolte nell'anno precedente dall'Unione europea e dal Governo con riguardo alle evoluzioni istituzionali, alla normativa e alle politiche dell'Unione europea.
Allora, come rilevavo prima, la relazione attualmente all'esame del Parlamento è stata presentata ai sensi del previgente articolo 15. Dobbiamo evidenziare un problema decisivo ai fini della reale utilità dell'esame sulla relazione annuale. La relazione è stata presentata come già detto il 5 agosto 2010, mentre doveva essere presentata entro il 31 gennaio precedente. Per quanto riguarda la parte programmatica, essa non risulta di nessun interesse, come è ovvio e di tutta evidenza, riguardando programmi del Governo per il 2010 che, purtroppo, è già passato e già abbondantemente trascorso, in tutti i sensi, nei termini di cui stiamo dicendo.
La relazione che approverà la Camera adesso, quindi, non potrà incidere in alcun modo sull'azione del Governo. L'esame della relazione si concretizzerà in un passaggio formale, previsto dalla legge, certificativo del consuntivo e di quelli che furono i programmi del Governo per il 2010, costringendo così il Parlamento a un mero ruolo notarile. La centralità del Parlamento viene svilita nel solco di una tradizione di ritardi, con i quali esso viene coinvolto dal Governo nelle scelte che riguardano l'Unione europea.
Nonostante le modifiche all'articolo 15, di cui parlavo prima, l'andazzo quindi non sembra essere per nulla cambiato. Il Governo avrebbe dovuto presentare due relazioni separate: quella di consuntivo relativa al 2010, entro il 31 dicembre 2010; quella programmatica per il 2011 entro il 31 gennaio 2011. Nessuna delle due relazioni è stata ancora presentata al Parlamento.
Ci ritroviamo, quindi, a quanto dicevo all'inizio. Già nella data della relazione abbiamo il senso di quello che stiamo facendo: il Parlamento si trova a discutere di consuntivo 2009, mentre dovrebbe farlo per il 2010; si trova a ragionare di linee programmatiche per il 2010, mentre siamo nel 2011, con il 2010 ormai, come di tutta evidenza, trascorso.
Questa è la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea che noi oggi ci troviamo a discutere e ad approvare.
Penso di avere reso il senso di quello che voglio dire per quello che riguarda la relazione.
Veniamo adesso al disegno di legge comunitaria: mi limiterò soltanto a fare degli accenni concernenti le questioni essenziali - non tutte, visto che il tempo a disposizione non me lo permette - sulle quali c'è il nostro disaccordo e sulle quali abbiamo avuto modo di discutere, sia in sede di Commissione, sia adesso in sede di discussione sulle linee generali sia domani, quando si dovrà votare in Assemblea.
Il 16 febbraio 2011, la XIV Commissione ha iniziato l'esame del disegno di legge comunitaria 2010 in oggetto, il cui esame è stato avviato al Senato nel settembre 2010. Va sottolineato, per quanto concerne la presentazione della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea 2009 quanto ho detto prima.
Sul disegno di legge comunitaria sono pervenute dalle Commissioni interessate in sede consultiva tutti pareri favorevoli, con qualche osservazione. In particolare, la Commissione affari costituzionali ha approvato una relazione favorevole sul disegno di legge comunitaria e un parere favorevole sulla relazione annuale; la Commissione giustizia ha approvato una relazione favorevole e tre emendamenti sul disegno di legge comunitaria e un parere favorevole sulla relazione annuale; la Commissione affari esteri ha approvato Pag. 16una relazione favorevole sul disegno di legge comunitaria e un parere favorevole con osservazioni sulla relazione annuale.
Al disegno di legge sono state, comunque, presentate in sede di XIV Commissione, circa 139 proposte emendative. Di queste, 19 erano irricevibili, in quanto già respinte o dichiarate inammissibili dalle Commissioni di merito, 46 sono stati ritirate e 26 dichiarate inammissibili.
C'è da rilevare però che, diversamente da quanto dichiarato dal Governo all'inizio della legislatura, i ritardi nella presentazione e nell'esame del disegno di legge comunitaria sono ormai divenuti la regola e, quindi, risulta paradossale che la maggioranza pretenda dall'opposizione, così come è stato fatto, per accelerare l'iter, una limitazione del numero degli emendamenti da presentare, senza dimenticare come anche il Governo non si sia astenuto dal presentarne e che, anzi, ne abbia presentati a dismisura, sottraendo, come al solito, al Parlamento la possibilità di poter incidere su materie di particolare rilevanza.
Veniamo al merito del contenuto del disegno di legge comunitaria 2010. Noi rileviamo la gravissima presenza, per esempio, dell'articolo 12 che, in spregio a qualsiasi tipo di indicazione comunitaria, introduce nel nostro ordinamento una delega al Governo per la disciplina del contratto di fiducia. Al riguardo si rileva che, nonostante il nuovo contratto sia immaginato come alternativa al trust di origine convenzionale, ma non comunitaria, non può considerarsi ammissibile che la legge comunitaria rappresenti lo strumento attraverso il quale introdurlo nel nostro ordinamento. Secondo noi servirebbe un iter legislativo ad hoc, che consenta di valutarne la ratio e studiarne gli elementi che lo caratterizzano e lo differenziano dal trust, al punto da giustificarne l'adozione in alternativa a quest'ultimo.
L'approvazione di una disposizione depositata dal relatore estende la responsabilità dei magistrati a ogni violazione manifesta del diritto - così recita testualmente l'articolo in esame - e rischia di ampliare a dismisura le cause contro le sentenze della magistratura. Questo è un altro punto che noi abbiamo contrastato in Commissione e che vogliamo segnalare adesso in sede di discussione sulle linee generali.
Secondo noi si tratta di un emendamento inaccettabile nel contenuto ed offensivo nella forma. In buona sostanza, si è approfittato della legge comunitaria per finalità del tutto estranee alla natura della legge medesima. Anche riguardo a ciò, signor Presidente, l'onorevole Donadi è intervenuto dichiarando che il PdL ha puntato una pistola alla nuca della magistratura e che si tratta di un grave atto intimidatorio che non diventerà mai legge - lo speriamo -, mentre per la Presidente della Commissione giustizia, Giulia Bongiorno, l'emendamento ha una formulazione così vaga e generica che avrà come risultato solo quello di intimidire i magistrati. Non si tratta di una dichiarazione dell'opposizione, ma di un autorevole membro, il Presidente della Commissione giustizia, che fino a poco tempo fa faceva parte della maggioranza.
Un'altra nota dolente - ma a quanto ho appreso dalla Presidente è stata ritirata e sulla quale ci sarebbe stato davvero da discutere in modo energico - riguarda l'approvazione di una proposta presentata dal relatore concernente lo stop relativo a multe e ammende della Corte dei conti per danno erariale alle società pubbliche partecipate oltre il 50 per cento dallo Stato per la responsabilità di componenti degli organi societari o di dipendenti. Era talmente inopportuna questa misura che intendo evitare di discuterla ed approfondirla, ed era talmente inopportuna che si è provveduto per fortuna a «stralciarla», per cui non dobbiamo più discuterne.
Vi è un'altra serie di articoli ed emendamenti che non abbiamo condiviso, sui quali siamo in dissenso e ci siamo già espressi in Commissione; li approfondiremo in Aula ed esprimeremo il nostro voto contrario su tanti di questi. Mi riservo di approfondire tutte le altre parti del provvedimento nella discussione che svolgeremo in Assemblea (penso da domani), anche perché il mio tempo è limitato, Pag. 17poiché ne devo cedere una parte ad un collega che dovrà intervenire per discutere in particolare di alcuni degli articoli e degli emendamenti che abbiamo presentato (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario e il relatore che ha speso parecchio tempo nella stesura di questo complesso atto parlamentare che ci accingiamo a discutere.
Condivido buona parte dei rilievi che sono stati mossi dai colleghi dell'opposizione che mi hanno preceduto. L'approvazione della legge comunitaria annuale rappresenta un momento non solo importante ma certamente qualificante della partecipazione italiana all'Unione europea in quanto consente, da una parte, di porre le basi per un puntuale adempimento degli obblighi comunitari, dall'altra, di realizzare quell'ampio confronto in Parlamento sulle politiche comunitarie e soprattutto sul ruolo dell'Italia in quest'ambito.
Negli ultimi anni l'Unione di Centro ha sempre contribuito con convinzione alla definizione di strumenti che consentano di rafforzare il ruolo del Parlamento tanto nella fase di formazione, quanto in quella di attuazione del diritto comunitario, anche se non sempre con particolare successo. In particolare, questa Assemblea solo pochi giorni fa ha provveduto a varare un'importante riforma con la quale, anche alla luce delle ultime modifiche dei Trattati approvate a Lisbona, sono state riviste le norme sulla partecipazione italiana all'Unione europea, e questo è stato sicuramente un successo bipartisan. La riforma della legge n. 11 del 2005 è il frutto di uno sforzo di maggioranza e opposizione che riguarda anche i tempi e le modalità della cosiddetta fase discendente, ovvero il recepimento del diritto comunitario.
Quella che stiamo esaminando, onorevoli colleghi, potrebbe anche essere l'ultima legge comunitaria annuale, in quanto il Parlamento in futuro dovrà esaminare periodicamente la legge di delegazione europea e la legge europea, tutto ciò naturalmente qualora i tempi di approvazione della riforma lo dovessero consentire.
Nel corso dei lavori parlamentari che hanno caratterizzato questa nuova fase l'Unione di Centro ha voluto fornire - come cerchiamo sempre di fare del resto - un contributo responsabile in uno spirito europeista che intende interpretare la partecipazione dell'Italia con un ruolo attivo, cosa che non sempre le viene riconosciuta anche per evidenti suoi limiti in campo internazionale (purtroppo sempre più evidenti). Tale partecipazione non deve mai prescindere da una presenza costante e un indirizzo delle istituzioni democratiche rappresentative. Per questo resta centrale il ruolo del Parlamento a nostro giudizio. Non sono sufficienti buone regole, ma occorre applicarle con equilibrio, cosa che purtroppo non sempre riesce quando istanze particolari prevalgono sulla ragione delle istituzioni e sull'interesse generale.
Ricordiamo tra queste l'aspetto dell'assenza del Ministro delle politiche comunitarie dopo le dimissioni dell'onorevole Ronchi (che saluto e vedo al banco della Presidenza). Questo è un grave vulnus nell'ambito del dibattito parlamentare. Evidentemente si è ritenuto più urgente la nomina - uno scambio - concernente il Ministero dell'agricoltura piuttosto che la nomina di un Ministro essenziale, soprattutto alla luce del dibattito che stiamo svolgendo in queste ore.
Questo aspetto, onorevoli colleghi, ci deve portare ad essere prudenti anche nella scelta della materia da trattare nella legge comunitaria annuale. Non dimentichiamoci che, nonostante gli sforzi fatti dal Parlamento, l'Italia ancora fatica rispetto agli altri Paesi dell'Unione nella fase di adattamento dell'ordinamento interno al diritto dell'Unione europea.
Lo dimostra, da ultimo, il non molto edificante penultimo posto ottenuto, nei primi mesi del 2011, nella classifica redatta dalla Commissione sul controllo dell'applicazione del diritto comunitario nell'ordinamento Pag. 18interno. Peggio di noi ha fatto soltanto l'Ungheria. Il dato relativo al numero di lettere di messa in mora ricevute dal nostro Paese per mancata comunicazione delle misure di attuazione delle direttive conferma l'andamento, purtroppo, del 2010.
La premessa è d'obbligo per richiamare la vostra attenzione su alcuni aspetti del provvedimento in esame che, a nostro giudizio, non sono certo nella linea di favorire una corretta e tempestiva attuazione del complesso di direttive e ulteriori obblighi considerati dal provvedimento stesso.
Mi riferisco agli inserimenti dell'ultima ora, da parte del relatore, su questioni di primaria importanza, come la responsabilità civile dei magistrati, in un provvedimento omnibus come questo della legge comunitaria annuale, senza, appunto, che questo aspetto fosse esaminato correttamente o doverosamente in Commissione giustizia, che già aveva un provvedimento analogo in itinere. Erano state svolte ben due audizioni e c'era una discussione in atto. In Commissione giustizia, abbiamo soltanto «sorvolato» su questo provvedimento, esprimendo un parere, peraltro vincolato ad essere dato in poche ore.
Mi riferisco, appunto, all'emendamento n. 12 del relatore che appare del tutto estraneo ai contenuti del disegno di legge relativo ad una materia, la responsabilità civile dei magistrati, che, certo, non trova idonea collocazione nella legge comunitaria annuale, soprattutto nei termini in cui viene proposta. Nulla da dire dal punto di vista regolamentare, ma, dal punto di vista del rapporto istituzionale fra le Commissioni nel Parlamento, sicuramente ciò ha creato un grave vulnus, anche se non è la prima volta che la Commissione giustizia vede sorvolare dei provvedimenti sulla sua testa, come è accaduto anche per quanto riguarda alcuni aspetti del processo civile, senza che sia chiamata direttamente in causa.
Purtroppo, diverse volte, con i colleghi, in Commissione giustizia ed anche in Aula, noi abbiamo denunciato questo atteggiamento, ma, ancora una volta, vediamo che prevale una ragione che sicuramente non è di Stato, ma è molto personale, molto di parte e - oserei dire - per certi versi è quasi un'iniziativa punitiva nei confronti di una categoria come quella dei magistrati. L'esame, invece, dovrebbe avvenire in Parlamento serenamente, alla luce del sole, con il contributo di maggioranza ed opposizione, ascoltate tutte le categorie interessate.
Sul disegno di legge si pongono problemi sia di metodo che di merito e, per il merito, sembra si voglia abbandonare la costruttiva strada del confronto e dello sforzo, che, solo pochi giorni fa, ha portato all'approvazione delle modifiche alla legge n. 11 del 2005. Il tentativo di ricondurre, a tutti i costi, una problematica così delicata alle posizioni comunitarie è di per sé criticabile ma, se volessimo veramente aderire alla palese forzatura, ritenendo che l'intervento, come proposto, sia necessario per la migliore attuazione del diritto comunitario rispondendo al giudicato del 2006 e alla procedura di infrazione avviata nel 2009 contro l'Italia, appare anche del tutto evidente che non è la legge comunitaria lo strumento per un intervento tanto delicato, tanto specifico e che tante ripercussioni ha dal punto di vista dei rapporti tra i poteri dello Stato e anche degli effetti economici che potrebbe avere sulle casse dello Stato.
Nel disegno di legge n. 2854, approvato pochi giorni fa, ci si è sforzati di ribadire, per l'ennesima volta, che lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, danno tempestiva attuazione alle direttive e agli altri obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea. Il disegno di legge di delegazione europea e il disegno di legge europea non sono strumenti esclusivi per l'attuazione, ma devono assicurare il periodico adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento dell'Unione europea con riferimento agli obblighi in scadenza. È del tutto inopportuno, quindi, trattare in questi strumenti periodici, per loro natura omnibus e, quindi, esaminati dal Parlamento con procedimenti speciali, temi delicati Pag. 19su cui è necessario - lo dicevo prima - un confronto politico o questioni particolarmente complesse, come quella della responsabilità civile dei magistrati. La materia in questione ritengo abbia entrambe le caratteristiche.
Già in passato si è potuto sperimentare come una scelta del genere rischi di bloccare l'attuazione delle direttive scadute o in scadenza per le quali non ci sono analoghe questioni o di trattare, in maniera inadeguata, temi delicati. Nel caso specifico della responsabilità civile dei magistrati - lo dicevo prima -, sono in corso di esame in Commissione giustizia diverse proposte di legge per rivedere la cosiddetta legge Vassalli, la n. 117 del 1988: tre proposte presentate dal Popolo della Libertà, due dalla Lega Nord Padania, una dal Partito Democratico e una dall'Unione di Centro.
La Commissione giustizia ha peraltro ritenuto in fase istruttoria di avviare un'attività conoscitiva con audizioni: tutto questo è stato vanificato da questa procedura speciale come se vi fosse un'urgenza particolare di arrivare ad una soluzione in tempi rapidi, senza molto dibattito, e sicuramente non ampiamente condivisa. Tutto ciò viene interrotto quindi per trattare la materia in correlazione all'adempimento degli obblighi comunitari con procedimento speciale, dicevamo, ma abbiamo delle serie riserve anche nel merito.
Riteniamo infatti - lo abbiamo detto nelle Commissioni, sia in Commissione giustizia nelle poche ore in cui abbiamo dibattuto su questo tema, sia in Commissione politiche dell'Unione europea con il Vicepresidente Buttiglione che ha sottolineato tale aspetto in diverse occasioni - che al fine di rispondere al giudicato comunitario sarebbe sufficiente circoscrivere la responsabilità del giudice nei termini in cui viene proposta ai casi che rientrano più strettamente nel meccanismo di collaborazione tra giudice europeo e giudice nazionale e comunque in relazione all'applicazione del diritto dell'Unione europea.
Inoltre, la casistica dovrebbe essere limitata, come dice la sentenza da cui è stata ripresa e che ha reso possibile questo emendamento, al giudice di ultima istanza. Una formula così generica, quindi, come quella dell'emendamento proposto dal relatore appare ultronea rispetto alle richieste della Corte di giustizia la quale, com'è noto da anni a partire dalla famosa sentenza Francovich del 19 novembre 1991, ha introdotto il principio in base al quale sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciute se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro.
Colleghi, sul piano normativo l'implementazione di tale principio è tutt'altro che semplice e appare un gesto di leggerezza pensare di affrontare la questione nell'ambito del provvedimento che ci impegna oggi. Non è che noi non vogliamo affrontare questo argomento. Siamo pronti anche a sederci ad un tavolo, a discutere ma non in questi termini, non in questa sede, non in questo provvedimento. Non interessa fare una cosa di fretta, non interessa mettere una «pistola fumante» sul tavolo per intimidire un'intera categoria. A noi interessa discutere per migliorare il sistema giustizia.
In quest'Aula siamo probabilmente tutti d'accordo - siamo in pochi ma anche se fossimo di più non cambierebbe - che il sistema giustizia in Italia ha più di qualche cosa che non va. Condividiamo queste considerazioni. Il problema è come affrontare questo aspetto: se prenderlo dalla testa, affrontando una riforma complessiva come pure era stata in qualche modo promessa e proposta dal Ministro Alfano, o prenderlo dalla coda, a pezzi e a bocconi, come purtroppo da circa 15 anni avviene in questo Paese con piccole leggi ad hoc che poi si dimostrano spesso inefficaci, che poi molto spesso dimostrano di non superare il vaglio dell'ammissibilità, della costituzionalità e che non risolvono il problema ove - ed è successo molte volte - non finiscono addirittura per aggravarlo. Questo ci allontana dalla Pag. 20strada maestra che vogliamo percorrere di favorire un ruolo centrale dell'Italia nella scena europea. È un ulteriore passaggio: dovrebbe essere un passaggio comunitario, europeo per eccellenza che finirà inevitabilmente per allontanarci dalla scena europea. Infatti negli altri Paesi europei la norma, così, non esiste.
Colleghi, la sussistenza di un procedimento di infrazione contro l'Italia per violazione della normativa comunitaria nonché della relativa giurisprudenza è un presupposto necessario per l'inserimento nella legge comunitaria ma non è un presupposto sufficiente. Devono sussistere altre condizioni che ho cercato di indicare e che dovrebbero far parte del bagaglio di esperienza che ci porta ad escludere tassativamente l'opportunità di un'attuazione con tali modalità.
Abbiamo certamente l'obbligo di uniformarci, ma nei limiti entro i quali ci viene richiesto dalle istituzioni dell'Unione europea e non certo nei modi in cui ci viene proposto che possono causare un impatto normativo secondo me non sufficientemente valutato in termini di rapporti tra poteri dello Stato e in termini di effetti economici e sull'economia del Paese, su cui il Ministro Tremonti si dimostra sempre molto attento. Mi astengo da considerazioni sui motivi che hanno spinto a tale scelta e mi appello ancora una volta al senso di responsabilità della maggioranza nel non voler insistere su un'operazione che potrebbe causare disfunzioni al sistema della giustizia italiana. Ripeto: abbiamo tempo, abbiamo ancora qualche ora. Mi rivolgo al relatore Pini che ha dimostrato certo una buona dose di scaltrezza, di preparazione ma anche di competenza e di sensibilità.
C'è ancora tempo per evitare che il sistema giustizia in Italia, già così provato, vada incontro ad una nuova scossa di cui, come spesso accade quando si propongono norme così estemporanee, non si valuta l'impatto finale.
Per quanto riguarda il disegno di legge all'esame dell'Assemblea, osserviamo preliminarmente che la struttura del provvedimento rispetta, con pochi aggiustamenti, l'impostazione ormai consolidata che abbiamo anche noi contribuito, in qualche modo, a strutturare e a migliorare. Sono definiti gli aspetti procedurali ovvero i principi e i criteri direttivi generali, le norme per il coordinamento e la semplificazione della normativa di attuazione e di esecuzione, le deleghe per le sanzioni penali e amministrative. Sono dettate disposizioni particolari per adempimenti di obblighi ed alcuni criteri specifici di delega.
Il testo ripropone altre questioni a nostro giudizio critiche circa l'uso delle deleghe. Gli articoli 2 e 3, ad esempio, consentono, tra l'altro, al Governo, con decreto delegato, di stabilire le sanzioni penali per le violazioni di direttive comunitarie con principi e criteri direttivi troppo generici per la materia penale. Anche il mantenimento della previsione, già contenuta nelle precedenti leggi comunitarie, in base alla quale, una volta emanati i decreti delegati, scatta una delega per le correzioni di ulteriori 24 mesi, appare eccessivo. Ci auguriamo che questi temi possano essere, in futuro, oggetto di riflessione anche a tutela delle prerogative e del ruolo del Parlamento che vediamo, ancora una volta, purtroppo, svilito.
La legge prevede diversi interventi diretti e deleghe legislative per il recepimento di trenta direttive, di cui quattro contenute nell'allegato A, per cui non è previsto il parere parlamentare, e ventisei nell'allegato B.
Nel merito delle diverse materie trattate dalle direttive da attuare con delega legislativa, ci riserviamo di intervenire poi nel corso dell'esame del provvedimento e, sicuramente, meglio di noi lo farà il Presidente Buttiglione, che ha seguito sin dall'inizio l'iter di questa norma.
Chiediamo soltanto, per concludere, signor Presidente, ancora alla maggioranza di valutare con grande attenzione quello che può essere l'esito finale di un provvedimento adottato, a mio avviso, con troppa leggerezza. Credo che il nostro gruppo possa essere disposto anche ad un ripensamento sull'atteggiamento nei confronti di questo provvedimento sulla base Pag. 21dei ripensamenti che, a partire dal relatore, il Popolo della Libertà, la Lega e gli altri gruppi di maggioranza vorranno affrontare.
Tali ripensamenti, a nostro giudizio, sono doverosi per evitare che la macchina della giustizia in Italia subisca un ulteriore gravissimo rallentamento per una smania di «revanscismo», di rivendicazione, forse, potremmo dire puerile, se non fosse pericolosa, nei confronti della magistratura italiana (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, interverrò prima sulla relazione e, poi, sulla legge comunitaria, ma in realtà interverrò sull'atteggiamento schizofrenico della maggioranza che, una settimana fa, era mister Hyde e oggi si ripresenta in materia europea come dottor Jekyll. È un atteggiamento schizofrenico che, tra l'altro, riguarda anche l'atteggiamento del Governo in materia di politica europea. Cercherò, ma non è difficile - basta fare riferimento alle interviste dei Ministri Maroni e Frattini di questa mattina -, di dimostrare la schizofrenia del Governo in materie così importanti. Ho parlato di schizofrenia della maggioranza, perché la scorsa settimana abbiamo adottato, e abbiamo fatto bene, una riforma organica, fortemente voluta dal Partito Democratico sin dall'inizio di questa legislatura, giustamente condivisa. Abbiamo detto che su certe scelte fondamentali e sugli interventi di sistema dobbiamo cercare sempre, a prescindere da chi in quel momento è alla maggioranza o all'opposizione, di arrivare a soluzioni condivise. Poi ci ritroviamo una legge comunitaria in cui di condiviso non vi è praticamente nulla. E, inoltre, vi è un atteggiamento del Governo in materia di politica europea che non è condiviso neppure al suo interno.
Procediamo per ordine. Innanzitutto, dovevamo ricevere la relazione in oggetto molto prima e non doveva essere collegata alla legge comunitaria: non perché lo chiediamo noi, ma perché lo dice la legge.
La legge n. 11 del 2005 era già stata modificata in questo punto; già il Governo poteva presentare la propria relazione sulle attività di politica europea all'inizio dell'anno, senza aspettare la legge comunitaria e, per un errore evidente del Governo, ci ritroviamo a trattare di storia dell'Europa, perché trattare di qualcosa che è accaduto un anno e mezzo fa è trattare di storia e non di attualità politica. Per questa ragione è sull'attualità politica che vorrei intervenire; sono evidenti tutti gli errori che il Governo ha fatto a livello procedurale, sia per quanto riguarda la legge comunitaria sia per quanto riguarda la relazione annuale, sono talmente evidenti che addirittura il relatore Fucci li ha indicati.
Credo però che sia importante, in questi giorni, stigmatizzare alcuni atteggiamenti di alcuni Ministri, che vengono meno non solo alla necessità di tutelare in maniera efficace l'interesse nazionale in Europa ma anche al loro dovere di fronte al Parlamento. Il Ministro Tremonti è stato impegnato, varie settimane, vari mesi, a riscrivere, sotto dettatura di altri ovviamente, perché non ha svolto alcun ruolo rilevante, le nuove regole di governance economica europea, ha riscritto il Patto di stabilità e di crescita, ha assunto degli impegni molto gravosi per l'Italia, non si è mai degnato di venire in Parlamento a spiegarci cosa stava negoziando per l'Italia in Consiglio ECOFIN. E dire che noi formalmente, come Partito Democratico, abbiamo chiesto praticamente ogni settimana in Commissione la presenza del Ministro Tremonti su questa materia; egli non ha ancora riferito al Parlamento, non so quando lo farà, dovrebbe farlo subito e dovrebbe farlo regolarmente, perché certamente la questione economica europea non si ferma con l'ultimo Consiglio europeo di primavera.
Da cinque mesi non abbiamo un Ministro delle politiche europee, credo che sia un caso record in tutti i 27 paesi membri; non credo che ci sia un precedente di un Governo che rimane senza Ministro delle politiche europee per cinque mesi nel momento in cui si devono Pag. 22riscrivere le regole economiche, nel momento in cui c'è un'urgenza europea nel Mediterraneo in materia di immigrazione, in materia di competitività. Non sorprendiamoci se poi sul brevetto europeo rimaniamo gravemente isolati, perché se non c'è nessuno che difende le posizioni dell'Italia è difficile vincere negoziati che sono già di per sé molto difficili.
Vengo alle questioni urgenti, signor Presidente, e lo faccio in maniera veramente sbigottita perché questa mattina abbiamo un Ministro dell'interno che dichiara addirittura di essere contrario all'intervento in Libia e abbiamo un Ministro degli affari esteri che dice di aver avviato un negoziato particolare con un altro Paese membro dell'Unione europea, la Germania, salvo che poi dalla Germania ci viene detto che non è vero, che loro non hanno nessun rapporto particolare con l'Italia, e che parlano con tutti.
Per quanto riguarda la nostra materia la schizofrenia però è ancora più evidente, perché da una parte abbiamo un Ministro degli affari esteri, Frattini, che parla di fondi per i rimpatri e di fondi europei per rimpatriare i tunisini che sono sulle nostre coste a Lampedusa, e dall'altra parte abbiamo un Ministro dell'interno che si rifiuta di recepire in questa legge comunitaria la «direttiva rimpatri». Da una parte invochiamo per i rimpatri i fondi europei e dall'altra parte ci rifiutiamo di adottare la «direttiva rimpatri»; ricordo che il termine per il recepimento di questa direttiva è già scaduto il 24 dicembre dello scorso anno e quindi verrà avviata una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, ma questo certamente non è sufficiente per convincere il Ministro Maroni. Sono tre anni che chiediamo al Ministro Maroni, in ogni legge comunitaria, di recepire la «direttiva rimpatri». Il termine è scaduto, il nostro Ministro degli affari esteri parla di fondi per i rimpatri, ma la «direttiva rimpatri» continua a non essere recepita.
È evidente il motivo politico per cui non è recepita: la «direttiva rimpatri» smonta la filosofia del pacchetto sicurezza e obbliga l'Italia a modificare parti importanti della legge Bossi-Fini; certifica in via legislativa che l'Italia va in una direzione che è totalmente diversa dalla direzione che, in materia di immigrazione, è indicata dall'Unione europea. Capiamo le esigenze del Ministro però sono esigenze che non corrispondono con quelle del Paese e che sarebbero quelle di avere recepita la direttiva in tempo utile e anche in maniera adeguata.
L'altro aspetto che veramente non riusciamo a capire e sul quale avremmo voluto avere spiegazioni, anche su questo avevamo chiesto in Commissione che il Ministro Maroni venisse a riferire, è perché, nonostante si parli di esodo biblico per quanto riguarda la questione di Lampedusa, il Governo non abbia chiesto l'attivazione della direttiva sulla protezione temporanea. È una direttiva che vige dal 2001, che passa attraverso lo stato di emergenza dichiarato dal Consiglio europeo - ma Berlusconi è stato molto silente su questo punto all'ultimo Consiglio europeo - e che, una volta che il Consiglio europeo dichiara lo stato di emergenza, prevede l'obbligo, signor Presidente, non la facoltà, l'obbligo per gli Stati membri di farsi carico, fisicamente, dei richiedenti asilo e degli immigrati.
Quindi, quello che, da mesi, il Governo «urla» volere dall'Europa, potrebbe ottenerlo se convincesse il Consiglio europeo, e ovviamente poi la Commissione, ad attivare una procedura che vige dal 2001. Anche su questo, certamente, la nostra valutazione dell'attività di politica europea del Governo non può che essere estremamente negativa ed estremamente preoccupata, perché è evidente che, i danni che questo Governo sta facendo all'Italia in questo momento, paghiamo tutti oggi e pagheremo ancora di più domani, perché la scarsa influenza dell'Italia la paghiamo tutti.
Signor Presidente, vengo all'altro provvedimento, cioè alla cosiddetta legge comunitaria. Si tratta di un provvedimento che arriva in ritardo (siamo ancora alla legge comunitaria 2010 e siamo a marzo 2011) e anche su questo vi è schizofrenia. All'inizio di questo iter alla Camera il Pag. 23relatore e il Governo ci chiedevano di non presentare troppe proposte emendative e di non appesantire questo provvedimento, perché si trattava di un provvedimento arrivato molto in ritardo alla Camera e, quindi, era opportuno non appesantirlo ulteriormente e aspettare la successiva legge comunitaria per introdurre nuovi elementi. Tra l'altro, questa è stata la risposta che il Governo - non rappresentato dal Ministro Maroni - ci ha dato quando, in Commissione, abbiamo chiesto di recepire la direttiva riguardante i rimpatri.
Abbiamo poi assistito, in Commissione, alla presentazione di una raffica di proposte emendative da parte del Governo e ad una raffica di proposte emendative da parte del relatore, di cui alcune palesemente inammissibili. Quindi la ringrazio, signor Presidente, delle informazioni che ci ha dato all'inizio di questa seduta, e del fatto che la Presidenza abbia accolto il ricorso che, a nome del mio gruppo, ho presentato su una delle proposte emendative che erano palesemente inammissibili - e a mio parere avevano anche elementi di incostituzionalità - ma, nonostante questo, vi è stata una serie di proposte emendative presentata dal Governo e dal relatore su aspetti che, tra l'altro, solo indirettamente si possono ricollegare alla materia comunitaria.
Infatti, non è perché una norma ha avuto una lontana origine in una direttiva comunitaria che si può sempre e comunque usare la legge comunitaria per intervenire su quella materia. La legge comunitaria serve per fare entrare nel nostro ordinamento le direttive comunitarie; una volta che quelle sono entrate nel nostro ordinamento, non si può usare la legge comunitaria per modificare gli specifici decreti che danno attuazione, o modificano, i precedenti decreti che attuavano le direttive, ma questo è esattamente quello cui abbiamo assistito in quasi tutte le proposte emendative che sono state presentate in questa materia.
L'altro aspetto che volevo citare è che da una parte si utilizza la legge comunitaria in modo improprio e, dall'altra, si recepiscono le direttive riportate in allegato negando al Parlamento di svolgere il proprio ruolo, cioè non accettando l'indicazione di principi e criteri direttivi che in alcune materie sono assolutamente molto importanti. Penso, ad esempio, alla direttiva che introduce sanzioni per i datori di lavoro che impiegano immigrati irregolari. Si tratta di un passo avanti, perché già lo scorso anno il nostro gruppo aveva proposto di recepire questa direttiva presentando proposte emendative a questo fine, e il Governo allora si era rifiutato di farlo. Si tratta di un passo avanti perché tale direttiva viene recepita, ma per una direttiva così importante, in un Paese che ha un problema così grave riguardo al cosiddetto caporalato, come è l'Italia, è veramente e profondamente scorretto, e vuol dire utilizzare in maniera impropria lo strumento della delega su cui poggia la legge comunitaria, recepire questa direttiva senza stabilire tutta una serie di principi e criteri direttivi.
Anche su questo, certamente, data l'importanza del provvedimento e data la sua rilevanza nello scenario economico italiano - soprattutto in alcune regioni, ma ormai neppure solo nelle regioni del Sud, perché nell'edilizia il fenomeno del caporalato è sempre più diffuso anche al Nord, soprattutto con la crisi -, l'atteggiamento che maggioranza e Governo hanno avuto è stato molto negativo. Ancor più grave per quanto riguarda la sanzione dei datori di lavori, perché questa direttiva era stata esaminata in fase ascendente proprio dalla XIV Commissione.
Noi conosciamo cioè perfettamente questo provvedimento: lo abbiamo esaminato e abbiamo adottato un parere in fase ascendente, ed eravamo perfettamente in grado, conoscendo molto bene il provvedimento, di adottare dei principi e dei criteri direttivi per adeguare e per rendere pienamente efficace quella direttiva in Italia, ma questo non è stato fatto.
Però è stata utilizzato il disegno di legge comunitaria per introdurre degli istituti che nulla hanno a che fare in realtà con l'obiettivo del disegno di legge stesso. Non riesco ancora a capire per quale Pag. 24ragione maggioranza, relatore e Governo insistano nell'utilizzare il disegno di legge comunitaria per introdurre la disciplina dell'istituto del contratto di fiducia, il cosiddetto trust. La ragione che mi è stata fornita in Commissione è che c'è già giurisprudenza in materia in Italia. Ma che risposta è questa? Ma come si può introdurre un istituto che modifica in parti così sostanziali il codice civile, che prevede una nuova disciplina di grande importanza senza un apposito disegno di legge, ma agganciandolo in seconda lettura al «treno» della legge comunitaria? Quindi, da una parte certamente non si può utilizzare la comunitaria per recepire la «direttiva rimpatri», ma si può certamente utilizzare la comunitaria per la disciplina del contratto di fiducia che nulla ha a che fare con questi obiettivi.
Certamente è ancora più grave - lo dirà poi anche la collega Capano, lo ha detto anche il collega Pompili e sono d'accordo anche con quanto dicevano i colleghi dell'Italia dei Valori e dell'Unione di Centro Porcino e Rao - l'uso assolutamente improprio e strumentale della legge comunitaria per portare avanti un pezzo di quella che la maggioranza considera la riforma epocale: la responsabilità civile dei giudici. Da questo punto di vista, si tratta assolutamente di una questione di opportunità politica: come si può con un emendamento che estrapola una riga di una sentenza molto complessa della Corte di giustizia utilizzare quella riga per scardinare l'istituto della responsabilità civile dei giudici in Italia, quando c'è un pacchetto costituzionale e legislativo che il Governo ha annunciato e sul quale deve esprimersi il Parlamento?
È evidente che si utilizza strumentalmente il disegno di legge comunitaria per stravolgere la normativa sulla responsabilità dei magistrati. È molto grave che ciò sia fatto con un emendamento presentato in fretta e furia, sottobanco dal relatore. È molto grave che il relatore abbia chiesto addirittura durante la discussione di emendamenti di rimandare al giorno dopo la discussione di certi emendamenti. Certamente in futuro avremo un atteggiamento meno flessibile rispetto alle richieste della maggioranza in questa materia, perché se poi il giorno dopo scopriamo che si utilizza il disegno di legge comunitaria per regolare i conflitti che il Presidente del Consiglio ha con la magistratura capite che anche il nostro atteggiamento in materia di disegno di legge comunitaria sarà molto più intransigente e duro di quello da noi avuto fino ad ora.
Tra l'altro, si tratta di un emendamento davvero sbagliato perché prende una riga relativa alla manifesta violazione del diritto. Tuttavia, non si ricorda che occorre che vi sia l'inescusabilità; che occorre che l'affermazione e la negazione del diritto derivino da una negligenza inescusabile; che occorre che vi siano - ad esempio - provvedimenti concernenti la libertà della persona fuori dei casi previsti dalla legge. La sentenza della Corte di giustizia, in altre parole, non si limita a parlare di manifesta violazione del diritto, ma stabilisce una serie di criteri sia sul carattere inescusabile o meno, sia sul carattere intenzionale o meno dell'atto adottato dal giudice che non si ritrovano nell'emendamento del relatore.
Quindi, anche se formalmente possiamo dire che si tratta di una sentenza della Corte di giustizia e, quindi, formalmente si può utilizzare il disegno di legge comunitaria, almeno occorre che utilizziate tutto il dispositivo della sentenza della Corte di giustizia e non quello che vi è più comodo per esigenze mediatiche e per soddisfare le esigenze, le battaglie e le lotte del Presidente del Consiglio contro la magistratura. Riteniamo che questo sia veramente un passaggio molto grave, che certamente non può non incidere, signor Presidente, sull'atteggiamento del nostro gruppo rispetto all'intero provvedimento e non può non incidere nell'atteggiamento del nostro gruppo rispetto alla maggioranza in materia europea.
Il relatore sarebbe ancora in tempo a correggere il grave errore, altrimenti questo veramente potrebbe essere un punto di svolta: signor Presidente, noi non potremo mai accettare in futuro che anche la legge comunitaria e anche l'Europa vengano Pag. 25messe a servizio della battaglia ventennale del Presidente del Consiglio contro la magistratura. Infatti, già pensavamo di aver visto il superamento di tutti i limiti.
Oggi abbiamo visto un ulteriore superamento del limite. Anche l'Europa è stata coinvolta e ora ci manca solo che vengano schierate anche le Nazioni Unite nella battaglia epocale del Presidente del Consiglio contro i giudici. Credo che questo sia veramente molto grave. Ma, vi è ancora tempo - e lo dico al relatore Pini - per correggere.
Del resto - ed è l'ultimo punto e mi rivolgo, in particolare, ancora al relatore - già avevamo avvisato (mi riferisco ad un altro aspetto, quello del danno erariale) che la maggioranza stava facendo qualcosa di totalmente sbagliato. Abbiamo dovuto aspettare l'intervento della Presidenza per vedere accolte le nostre istanze. Non vi è un ricorso di ammissibilità sulla questione della responsabilità civile dei giudici, ma vi è una questione di ragionevolezza e di opportunità politica. Se vogliamo continuare a collaborare e a lavorare per quanto possibile insieme in materia di politica europea sarebbe decisamente opportuno che il relatore ritirasse questo emendamento. Se non lo farà certamente da questo dipenderà il nostro atteggiamento sul disegno di legge sulla legge comunitaria 2010 e anche sui provvedimenti futuri.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, colleghi, non resterò all'interno di un'atmosfera ovattata, quasi fossimo a Bruxelles. Qui siamo in una sede del Parlamento italiano, dove si vorrebbe consumare un'operazione assolutamente inaccettabile e fraudolenta che consiste nell'introduzione di soppiatto, notte tempo, furtivamente, clam, come direbbero gli antichi romani, di una norma «extravagante» all'interno di un disegno di legge e di adeguamento a disposizioni comunitarie.
Chi avesse la curiosità di esaminare questo provvedimento vi vedrebbe disposizioni in materia di dispositivi medici, etichettatura dei prodotti alimentari, gas naturale, cessioni di navi, professione di guida turistica, comunicazioni elettroniche, mangimi, commercializzazione dell'olio d'oliva, qualità delle acque, protezione delle cavie, licenza di pesca, importazioni di legname, lotta alla desertificazione, impianti di distribuzione di benzina, prodotti fitosanitari, pensioni aziendali, contratti di locazione di studenti universitari, rifiuti delle industrie estrattive e prodotti di cacao e di cioccolato.
Ebbene, si tratta sempre di temi assolutamente importanti, per carità, e ce ne guardiamo bene dal contestarli. Sono questioni che attengono alla sicurezza e all'interesse dei cittadini. Tuttavia, la legge comunitaria si deve occupare di questo, e solo di questo. In questo caso, invece, la maggioranza ha compiuto un'operazione davvero esecrabile, nel metodo e nel merito. Nel metodo perché ha espropriato le competenze della Commissione giustizia, ce le ha proprio «sgraffignate», come si direbbe, sottraendole dall'esame attento che stavamo conducendo in ordine alla responsabilità civile dei magistrati. Un colpo di mano come i borseggiatori abili (Commenti del deputato Pini) mi sia permesso dire, senza alcuna offesa, perché intendo riferirmi all'abilità e non alla qualifica. Ma poiché il relatore si offende, ritiro quanto ho detto dopo avere specificato, però, che il senso non era offensivo. In questo vi è anche, in un certo senso, il riconoscimento di un'abilità.
Dunque, la Commissione giustizia si stava occupando ex professo di molte proposte di legge in questa materia e vi aveva dedicato numerose sedute. Tra queste vi sono anche alcune proposte di legge della Lega.
Mi meraviglio del fatto che i componenti della Commissione giustizia della Lega abbiano acconsentito a questo scippo e lo dico con chiarezza, almeno questo mi sarà consentito di dirlo e comunque dico quello che voglio. In poche ore di discussione - questo emendamento è stato presentato la sera prima - in Commissione giustizia abbiamo dovuto prendere atto di Pag. 26un'operazione che veniva condotta in una maniera che consideriamo urticante in senso istituzionale. Tutto ciò per approfittare di un'occasione, ossia della sentenza della Corte di giustizia del 13 giugno 2006 nota come «Traghetti del Mediterraneo», per trasformarla in un'arma impropria da usare contro i magistrati per intimidirli e per ridurne l'indipendenza. Altrimenti non si spiegherebbe perché non avete consentito che la Commissione giustizia si occupasse di tale questione.
Noi nella Commissione conoscevamo benissimo - molto meglio di voi - quella sentenza «Traghetti nel Mediterraneo» e ce ne stavamo occupando. Ve ne siete voluti appropriare voi. Ma occupatevi delle cose di cui vi dovete occupare, ossia di cose importanti di vostra spettanza come dell'olio d'ulivo, dei traghetti e di tutte quelle cose che ritenete opportuno fare, mentre la giustizia, per favore, lasciatela a chi di essa si deve occupare!
Cos'è successo? Considerata la sentenza della Corte europea di giustizia, nota come «Traghetti del Mediterraneo», a seguito della presentazione di questo emendamento non vedo alternative. Le cose sono due: o la decisione non è stata letta bene, e allora c'è un problema di incapacità, oppure è stata letta bene e applicata dolosamente male, per incominciare a deformare la Costituzione in termini di responsabilità dei magistrati, ed allora la nostra valutazione, come gruppo dell'Italia dei Valori, è assai più severa. In questo modo, i cittadini vengono orientati in maniera sbagliata al fine di scatenarli contro i giudici. Così si procura per interessi privati un grave danno pubblico, che ci vorranno decenni per eliminare.
Cosa prevede la sentenza? Lo ricordo a me stesso per primo, come si dice nelle Aule di giustizia: la sentenza è stata emessa in un caso di violazione del diritto comunitario e prevede cinque punti precisi. In primo luogo, bisogna sanzionare anche la violazione del diritto comunitario operata in una sentenza nazionale. In secondo luogo, la sentenza dispone che sia lo Stato a dover risarcire il danno e non il magistrato. In terzo luogo, si deve trattare di una sentenza di ultima istanza. In quarto luogo, in queste ipotesi è prevista la condanna anche nel caso eccezionale di violazione nell'applicazione della legge. In quinto luogo, questo deve essere fatto alla luce di un certo numero di criteri: il grado di chiarezza della norma violata, il carattere inescusabile o scusabile dell'errata interpretazione, la mancata osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale, fermo restando che la giurisprudenza comunitaria è vincolante per gli Stati. Questo è l'ambito in cui viene circoscritto il dispositivo della sentenza comunitaria.
E voi della maggioranza cosa avete fatto? Avete preso a pretesto questa sentenza per fare un'altra cosa, approfittando di essa per estenderla anche alla normativa interna per stravolgerla. Infatti, non avete precisato che si parla di violazioni del diritto comunitario.
Voi, invece, l'avete applicata a tutti i casi, abrogando il comma in base al quale, di fronte ad un'interpretazione della legge o del fatto si deve fermare la responsabilità civile purché sia motivata: ma la legge 13 aprile 1988, n. 117 prevede alcuni casi in cui la responsabilità civile sussiste. Avete, quindi, approfittato della sentenza per abrogare il divieto di responsabilità nel caso di interpretazione della legge e di applicazione e interpretazione del fatto e delle prove.

PRESIDENTE. Onorevole Palomba, la invito a concludere.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, godo del recupero del tempo non utilizzato dal collega Porcino, considerato il tempo complessivo attribuito al nostro gruppo.

PRESIDENTE. Onorevole Palomba, mi informo.

FEDERICO PALOMBA. Non avete detto che si tratta di una sentenza definitiva...

PRESIDENTE. Onorevole Palomba, ha ancora quattro minuti a disposizione.

Pag. 27

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, sono più che sufficienti. Non avete detto che si tratta di una sentenza definitiva, né precisate i criteri. L'unica cosa che non potevate fare, e che per fortuna questo emendamento non ha fatto, è stato consentire l'aggressione diretta dei magistrati, tenendo ferma la responsabilità dello Stato così come afferma questa sentenza comunitaria.
A noi dell'Italia dei Valori pare chiaro che si tratta di una occasione carpita per incominciare ad attuare quella per noi scellerata pretesa riforma della Costituzione in termini di responsabilità civile dei magistrati, per ottenere due effetti: il primo è quello di intimidire, il secondo è quello di limitare comunque l'indipendenza della magistratura.
I magistrati devono decidere senza timore e senza speranza, devono decidere liberi da ogni condizionamento. In questo modo, invece, li si intimidisce e ne si limita l'indipendenza, perché è chiaro che vedere sopra la propria testa la possibilità di una gragnuola di cause sia pure nei confronti dello Stato che si può rivalere nei confronti dei magistrati, diventa una preoccupazione. Pensiamo ad un magistrato che ritenga di dover modificare un orientamento giurisprudenziale - è capitato tante volte - e che in scienza e coscienza ha applicato la legge in modo difforme e diverso rispetto alla normalità dei casi; nella situazione che volete porre in campo crediamo che ci penserebbe due volte.
Quali sono le conseguenze di questa disciplina «sbadata»? L'enorme lievitazione delle cause per responsabilità e dei costi per lo Stato, peraltro inefficace, considerato che i magistrati sono generalmente assicurati, perché non si sa mai a cosa si può andare incontro.
In definitiva, signor Presidente, ci sono procedure di infrazione e procedure di infrazione. Quando si è trattato di quella per le quote latte, cosa ha fatto una parte della maggioranza imponendolo all'altra parte della maggioranza e a tutto il Parlamento? Ha accollato allo Stato e alla comunità le infrazioni degli allevatori del nord, qui invece... (Commenti del deputato Pini) - è così, anche se lo si contesta, lo sanno tutti, lo sa anche chi l'ha pretesa - mentre sulla giustizia si è approfittato di una procedura di infrazione per randellare chi fa applicare la legge.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, dicendo che denunciamo in tutte le sedi questa operazione che, in maniera fraudolenta, intende partire da un'occasione (una sentenza) per sfruttarla e utilizzarla per finalità completamente diverse da quanto previsto.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capano. Ne ha facoltà.

CINZIA CAPANO. Signor Presidente, i giornali di questa mattina annunziavano una modifica dell'emendamento Pini, che introduce una diversa disciplina della responsabilità civile dei magistrati nell'ordinamento interno. Ed infatti questo emendamento andrebbe profondamente modificato, a partire dal suo nome: lo si dovrebbe chiamare «emendamento inganno», «emendamento truffa», perché attraverso inganni e raggiri si mira a farlo passare come obbligato da una sentenza della Corte di giustizia europea, mentre ha tutt'altro scopo, o meglio il solito scopo, quello di intimidire la magistratura. Del resto, lo ha candidamente confessato stamattina il senatore Quagliariello sul Corriere della Sera, quando, riferendosi a queste misure ordinarie all'esame del Parlamento in relazione alla riforma costituzionale sulla giustizia, egli ha affermato che non si può discutere la riforma costituzionale lasciando che in altre aule Berlusconi venga accusato senza strumenti adeguati per difendersi, perché servirebbe a poco riscrivere le regole del gioco consentendo che nel frattempo il giustizialismo vinca a tavolino la sua partita della vita.
Quindi, questo emendamento, come il processo breve, serve al Premier per dargli gli strumenti adeguati di difesa, come dice Quagliariello, che consistono nel far prescrivere i processi e intimorire i giudici. Questo emendamento va profondamente modificato perché non c'entra nulla con Pag. 28gli obblighi comunitari e con le sentenze della Corte di giustizia europea. Nella sentenza della Corte sulla Traghetti del Mediterraneo Spa si discute infatti sulla responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli per violazione del diritto comunitario e non nazionale, imputabile ad un organo giurisdizionale in ultimo grado, ma in quella sentenza si precisa che essa può sorgere nel caso eccezionale in cui tale organo abbia violato in modo manifesto il diritto vigente. Ma non si ferma qui e offre alcuni criteri per affermare che per sostenere una violazione manifesta del diritto vigente bisogna avere a riferimento alcuni principi: il primo, il grado di precisione e chiarezza delle norme violate; il secondo, il carattere dell'errore scusabile o inescusabile nell'interpretare il diritto comunitario, non nazionale; il terzo, la mancata osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale dell'articolo 234, terzo comma, del Trattato della Comunità europea e la manifesta contrarietà alla giurisprudenza della Corte europea. Insomma quella sentenza fa riferimento ai principi stabiliti nella sentenza Köbler, punti 53-56. Del resto, solo in data 17 novembre 2010 il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha emesso una raccomandazione in cui testualmente si afferma: l'interpretazione della legge, l'apprezzamento dei fatti e la valutazione delle prove effettuate dai giudici per deliberare su affari giudiziari non deve fondare responsabilità disciplinari o civili, tranne nei casi di dolo o colpa grave. Sono esattamente il dolo e la colpa grave che l'emendamento elimina dalla legge sulla responsabilità dei giudici.
Nella vicenda relativa ai Traghetti del Mediterraneo il curatore fallimentare, peraltro, aveva convenuto lo Stato italiano davanti al tribunale di Genova perché vi era stata una violazione consistente nel non aver rimesso la questione in via pregiudiziale alla Corte. Nell'ordinamento comunitario esiste una misura che non ha eguali nell'ordinamento interno, per cui la manifesta violazione del diritto in teoria potrebbe coincidere con tutte le volte in cui una sentenza viene riformata. Infatti, affinché una sentenza venga riformata, soprattutto in grado di legittimità della Cassazione, deve esserci una violazione del diritto.
Quindi, questo farebbe nascere una giurisprudenza del tutto pavida. Di questo non dobbiamo preoccuparci per tutelare i giudici, ma per tutelare i cittadini. Pongo al sottosegretario, dottor Caliendo, una questione: all'inizio degli anni Novanta la Corte di cassazione, facendo un revirement rispetto ad una consolidata giurisprudenza, affermò diversi limiti al divieto di anatocismo, che è quell'istituto per cui i cittadini vedevano triplicare all'infinito gli interessi dovuti alle banche.
Allora la Corte di cassazione compì un revirement avendo alle spalle una consolidatissima giurisprudenza in senso totalmente opposto. Se passasse oggi nell'ordinamento una norma come quella contemplata, quei giudici potrebbero essere intimoriti dal fatto che avrebbero contro una forza come quella costituita dalle banche e potrebbero pacificamente rispondere, in teoria, di manifesta violazione di legge, perché vi sarebbe la contrarietà rispetto a tutti i precedenti della Corte di cassazione. Avremmo una giurisprudenza assolutamente incapace di adeguare la norma al divenire della realtà sociale. Questo è il tipo di giurisdizione a cui porterebbe un'approvazione così improvvisata, impedendo alla Commissione giustizia, che ha già iniziato l'esame, di continuare a svilupparlo, apportando a quel provvedimento le modifiche che saranno necessarie per tutelare i cittadini, senza disintegrare la struttura stessa della giurisdizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 4059-A e Doc. LXXXVII, n. 3)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore sul disegno di legge comunitaria 2010, onorevole Pini.

Pag. 29

GIANLUCA PINI, Relatore sul disegno di legge n. 4059-A. Signor Presidente, ho cercato di ascoltare il più attentamente possibile gli interventi dei colleghi. Chi più chi meno hanno incentrato tutta la replica relativamente alla relazione che ho illustrato prima solo ed esclusivamente sulla questione relativa all'emendamento sulla responsabilità civile dei giudici. Vi è chi lo ha fatto in maniera assolutamente garbata ed istituzionale e chi invece - devo dire che sono abbastanza basito della cosa - lo ha fatto in maniera assolutamente volgare, arrogante e denotando un livello di ignoranza delle leggi assolutamente improprio per chi è chiamato a formarle.
Infatti, richiamare in maniera espressa il fatto che questa norma sarebbe addirittura incostituzionale denota un livello di ignoranza assoluta del contenuto dell'infrazione e delle indicazioni date dalla Commissione europea. È proprio sul fatto della non distinzione tra diritto comunitario e diritto interno che deve vertere l'adeguamento della norma italiana. Altrimenti, lì sì che vi sarebbe un pesante vulnus ai diritti dei cittadini, prima che dei magistrati che possono essere chiamati in causa qualora sbaglino.
Abbiamo detto una cosa, io come relatore e tutta la maggioranza, che è molto chiara: non si è trattato di un blitz. Magari la tempistica della presentazione (Commenti del deputato Gozi). ..onorevole Gozi, non è stato un blitz per un semplice motivo: la tempistica della presentazione dell'emendamento potrebbe anche essere sospetta, ma nella forma, nella pratica e nella sostanza non lo è, perché non abbiamo evitato di chiedere alla Commissione giustizia, quindi alla Commissione competente, un parere. Con riferimento al collega Palomba, che ha detto «noi abbiamo approfondito il tema, lo stiamo approfondendo, perché vi sono numerose proposte di legge, e voi ce lo avete scippato», voglio dire che qui nessuno scippa nulla a nessuno. Semplicemente, noi ci stiamo conformando ad un obbligo comunitario che è previsto dall'articolo 9 della legge n. 11 del 2005, che, tra l'altro, abbiamo appena riformato.
Bisognerebbe, quindi, stare più attenti alle norme che passano in questo Parlamento e non solo schiacciare un bottone a favore o contro. Ci stiamo conformando ad un obbligo e stiamo cercando di farlo nella maniera più neutra, serena ed istituzionale possibile, tant'è che abbiamo dato alla Commissione giustizia la possibilità di esprimere il parere, al quale ci siamo conformati. Infatti, ci è stato dato un parere favorevole con delle osservazioni, che stiamo tenendo in debita considerazione per un'eventuale modifica del testo approvato dalla Commissione.
Qualora ci fossero arrivate delle condizioni le avremo recepite immediatamente e chi era presente in XIV Commissione, durante il dibattito in quella sede, sa benissimo che il relatore si è reso disponibile a recepire qualsiasi tipo di proposta migliorativa del testo.
Quindi, non vi è un atteggiamento pregiudiziale e «talebano» come ho sentito, invece, dire da alcuni colleghi. Non vogliamo né intimidire né punire nessuno, ma semplicemente adempiere agli obblighi comunitari.

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore sul Documento LXXXVII, n. 3 rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, intervengo solo perché esplicitamente sollecitato dall'onorevole Capano, non avendo seguito l'intero dibattito.
Credo, onorevole Capano, che secondo il parere espresso dalla Commissione giustizia, nella parte in cui specifica come si deve interpretare la manifesta violazione del diritto, ossia secondo quelli che sono i dettami della Corte di giustizia europea espressi nella sentenza Köbler e nella sentenza Traghetti, si deve tener conto non solo della scusabilità o inescusabilità dell'errore e della chiara portata della legge, ma, se mi permette, - preciso che non ho ancora visto gli emendamenti presentati, ma so che ne sono stati presentati Pag. 30vari -, rispetto al testo elaborato dalla Commissione giustizia in cui si fa riferimento ad una precisazione della sentenza Traghetti e della sentenza Köbler, anche del fatto se si sia ignorata manifestamente la giurisprudenza della Corte di giustizia europea.
Ora, questa ipotesi dovrebbe essere riferita anche al diritto interno, per cui, come lei mi insegna, secondo la giurisprudenza della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ciò che è sanzionabile non è la diversa interpretazione, ma la manifesta ignoranza di precedenti giurisprudenziali che, quindi, nell'esaminare ed interpretare la norma, non tiene conto di quelle che sono state le interpretazioni della Corte di cassazione per quanto riguarda il diritto interno, della Corte di giustizia per quanto riguarda il diritto comunitario.
Quindi, quel limite interpretativo cui faceva riferimento anche l'onorevole Palomba, ove negli emendamenti - ripeto, non so se ne sono stati presentati - si dovesse ripetere questa dizione della Commissione giustizia, con la correzione che ho indicato, probabilmente ci troveremmo in una situazione di diversa dimensione della responsabilità dello Stato, ma non tale da pregiudicare la libertà decisionale del giudice.

(Annunzio di risoluzioni)

Testo sostituito con l'errata corrige del 29 MARZO 2011 PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 126-ter, comma 6, del Regolamento, sono state presentate le risoluzioni Gozi ed altri n. 6-00072 e Fucci, Buttiglione ed altri n. 6-00073 riferite alla relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2009 (Vedi l'allegato A - Risoluzioni).
Ricordo che, a norma dell'articolo 126-ter, comma 7, del Regolamento, su tali atti di indirizzo l'Assemblea sarà chiamata a deliberare dopo la votazione finale del disegno di legge comunitaria.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 126-ter, comma 6, del Regolamento, sono state presentate le risoluzioni Gozi ed altri n. 6-00074 e Fucci, Buttiglione ed altri n. 6-00075 riferite alla relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2009 (Vedi l'allegato A - Risoluzioni).
Ricordo che, a norma dell'articolo 126-ter, comma 7, del Regolamento, su tali atti di indirizzo l'Assemblea sarà chiamata a deliberare dopo la votazione finale del disegno di legge comunitaria.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge S. 1880 - D'iniziativa dei senatori: Gasparri ed altri: Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Approvata dal Senato) (A.C. 3137-A) (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, d'iniziativa dei senatori Gasparri ed altri: Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempia sarà pubblicato in calce al resoconto della seduta odierna.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3137-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Unione di Centro ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Paniz, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURIZIO PANIZ, Relatore. Signor Presidente, il testo che è pervenuto dal Senato era stato oggetto di forti polemiche. Era un testo forte, un testo importante, un testo che modificava radicalmente il regime processuale attuale, introducendo novità molto significative. Pag. 31
L'esame che si è svolto alla Camera rappresenta la prova provata di quanto un lavoro parlamentare può servire per migliorare e, se del caso, anche modificare radicalmente un testo e non perché il lavoro del Senato non fosse stato svolto bene con impegno, con attenzione, con dedizione e con significativo apporto dal punto di vista tecnico e giuridico, ma perché una serie di altre considerazioni sugli effetti dell'introduzione della norma nel sistema processuale hanno imposto l'opportunità di una variazione significativa. È questo dunque un caso emblematico di come un approfondito ed attento lavoro in Commissione e l'apporto, altrettanto importante, delle audizioni possa portare alla modifica di un testo considerato a priori blindato da una parte di gruppi parlamentari.
Io sono il relatore e il relatore ha un compito istituzionale. Come tale, ho avvicinato l'esame di questo testo, la valutazione delle problematiche connesse a questo testo e la valutazione delle implicazioni che dallo stesso testo derivavano per cercare di sviluppare al meglio proprio l'istituzionalità del compito e arrivare il più possibile ad un testo condiviso. Avevo segnalato nel mio primo intervento in Commissione che sarei stato disponibile ad eliminare la norma transitoria, che rappresentava il cardine di obiezione rispetto al testo pervenuto dal Senato, auspicando successivamente una collaborazione operativa, reale e concreta per vedere di arrivare ad un testo condiviso. Francamente tutto ciò non è bastato. Si è partiti dall'idea che questa norma dovesse favorire soltanto una persona, il Presidente del Consiglio, e su questo convincimento si è rimasti ancorati, giorno dopo giorno, nonostante le significative varianti. Non solo. Anche quando ho eliminato la norma transitoria, annunciando la presentazione di un emendamento ad hoc, non ho ricevuto quella collaborazione che sarebbe stata opportuna per arrivare ad un testo che consentisse di uscire con un'approvazione complessiva da parte di un numero di parlamentari il più possibile esteso.
È inutile che ritorni a valutare quali sono state le ragioni che hanno portato alla stesura di questo testo. Lo esplicita il titolo: «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi», che poi prosegue «in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali». Noi ci muoviamo perché siamo stati sollecitati a muoverci in questa direzione, perché da anni e anni le lungaggini dei procedimenti rappresentano un limite forte alla credibilità della nostra giustizia e perché, a livello europeo, il messaggio affinché si intervenga attraverso un'opera modificatrice è talmente significativo e forte da non poter rimanere inascoltato. Non è un problema di destra, di sinistra o di centro perché non sfugge ad alcuno che l'impostazione del testo normativo trova anche in autorevolissimi esponenti della sinistra delle matrici molto significative. Ricordo le proposte dei senatori Finocchiaro, Fassone e Calvi che sono assolutamente univoche nel dare un messaggio in linea con quanto era stato poi costruito dal Senato e rivalutato in sede di riesame qui alla Camera.
L'iter in Commissione mi ha portato ad andare oltre l'originaria affermazione che avevo fatto, quando avevo garantito l'eliminazione della norma transitoria. Se avessi voluto fare una norma ad personam, se avessi voluto determinare un risultato favorevole esclusivamente al premier, come incautamente si è continuato a dire anche negli ultimi giorni, sarebbe bastato soltanto lasciare il testo così come era uscito dal Senato. Quel testo sì avrebbe determinato un risultato assolutamente immediato a favore del Premier, ma così non è stato. Sono intervenuto in maniera radicale, ho raccolto i messaggi che erano provenuti dall'opposizione e dalle audizioni, ho cercato di fare un testo che fosse assolutamente attuativo del messaggio dato dall'articolo 111 della Costituzione e dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Pag. 32Ho acconsentito all'eliminazione dell'articolo 1, che creava alcuni problemi di compatibilità con il sistema in relazione all'attuazione della «legge Pinto» e dell'articolo 4 originario, che atteneva alla magistratura contabile, e ho soffermato l'attenzione su due articoli, l'originario articolo 5 e l'originario articolo 4-bis (poi diventato articolo 3 nel testo che oggi andiamo ad esaminare).
Purtroppo, nonostante l'impegno e la disponibilità - devo dirlo con franchezza -, l'opposizione ha levato un muro di conflittualità che ha irradiato anche attraverso forti messaggi nei media, tanto che passa o tende a passare il messaggio per il quale il testo normativo all'esame abbia un significato prettamente a beneficio del premier. Così non è. Lo dico in termini molto chiari e non ho nessuna difficoltà ad affrontare i due articoli cardine dell'impianto normativo che sottoponiamo all'attenzione del Parlamento.
Il nuovo articolo 205-quater, in attuazione del principio della ragionevole durata del processo, riscrive la tempistica ma non più in termini di prescrizione con un contenuto immediatamente «abrogativo» dei processi, men che meno di quelli in corso, ma in termini di norma propositiva. Si tratta di un grande atto di fiducia che il relatore e il Parlamento, se approverà questo testo, fanno nei confronti della magistratura, alla quale viene inviato un messaggio molto chiaro per indicare la strada di una tempistica che possa apparire obiettivamente ragionevole. Avrebbe potuto determinare conseguenze forti sui processi nei casi in cui la tempistica non fosse stata rispettata.
Nella nuova stesura le conseguenze si limitano a dare un'indicazione che finisce per essere un messaggio chiaro a favore del giudicante che, quando vede che il processo si avvia verso una tempistica ulteriore rispetto al termine indicativo che è stato dato, ha la possibilità di correggere il percorso ed arrivare a raggiungere, nell'ambito di una tempistica ragionevole, il risultato della conclusione del grado di giudizio nel quale opera.
Si tratta anche di un messaggio che finisce per essere utile per la stessa struttura del sistema giustizia, perché la segnalazione al Ministero della giustizia - che peraltro non è nuova nell'ambito del sistema normativo nazionale - e finanche la segnalazione a chi altri sarà - procuratore generale della Cassazione oppure, in eventuale accoglimento di emendamenti proposti o che ulteriormente concentreranno l'attenzione del relatore, per esempio al CSM - finisce per essere un segnale di attenzione nel caso in cui la tempistica suggerita non venga rispettata.
Devo dire che non c'è nessun intento punitivo nei confronti dei magistrati, come qualcuno ha incautamente definito questo quadro normativo.
A torto questa nuova disciplina è stata considerata punitiva nei confronti dei magistrati, in quanto il superamento del termine di fase determinerebbe una responsabilità disciplinare per i magistrati. Non è vero, non è vero assolutamente. Non è vero perché chi afferma questo finisce per dimenticare il principio della tipicità dell'illecito disciplinare, che è stato introdotto nel decreto legislativo n. 109 del 2006 e la susseguente sua applicazione. Non è vero perché tutto ciò è stato chiaramente precisato anche dal sottosegretario Caliendo proprio in sede di spiegazione, in Commissione, del quadro normativo che veniva prospettato. La fissazione di termini oggettivi - come ho detto - significa dare un messaggio di fiducia e nel contempo un aiuto al magistrato, che può regolarsi di conseguenza, cercando di mantenere la durata del grado di giudizio nell'ambito di un'assoluta ragionevolezza.
Non basta: ho introdotto la norma dell'articolo 161 c.p., modificato secondo il testo dell'articolo 3 del provvedimento in esame, in ossequio ad un principio che ritengo assolutamente giusto. Chi guarda l'articolo 161 del codice penale nell'attuale formulazione si rende perfettamente conto che, oggi come oggi, sono previste tre categorie di persone rispetto alle quali l'effetto sospensivo o interruttivo della prescrizione determina un effetto di prosecuzione del termine. Una categoria è Pag. 33quella degli incensurati e dei recidivi, una categoria è quella dei recidivi infraquinquennali, una categoria è quella dei delinquenti abituali. La norma dell'articolo 161 del codice penale è chiara in questo senso.
Penso che, una volta accettata la distinzione categoriale (ed è di fatto accettata perché questo articolo è in vigore da molti anni senza che nessuno abbia detto «bah», senza che nessuno abbia proposto una qualsivoglia questione di costituzionalità, senza che la magistratura si sia rifiutata di applicarla negli anni), sia assolutamente contro il sistema considerare equiparati coloro che sono incensurati e coloro che sono recidivi. I recidivi sono coloro che sono stati condannati per un delitto non colposo e che non possono essere trattati come colui che non è mai stato condannato. Questo è un principio di ragionevolezza, un principio di obiettività, un principio che qualsivoglia cittadino comprende perfettamente.
È vero, avevo due possibilità: partire dal testo attuale della norma con l'estensione di un quarto e poi di un mezzo per la categoria dei recidivi infraquinquennali, e dei due terzi di prosecuzione per i delinquenti abituali, e, partendo da un quarto, aumentare progressivamente verso l'alto i termini finali. Ma è mai possibile che uno Stato possa accettare e addirittura codificare una durata del procedimento in termini più lunghi di quelli attuali che sono assolutamente al di fuori di qualsivoglia limite di ragionevolezza, tant'è vero che l'Europa ci sollecita a intervenire per attuare l'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo? Certamente no, non potevo andare quindi in questa direzione. L'unica direzione possibile per distinguere gli incensurati e i recidivi era quella di ridurre per la categoria degli incensurati di un qualche cosa la durata del termine successivo allo spirare del termine originario di prescrizione nell'ipotesi di interruzione o sospensione del termine stesso.
L'ho portata da un quarto ad un sesto. La riduzione è assolutamente minimale. Come ho detto, risponde ad un principio di ragionevolezza e di buon senso, perché ogni cittadino capisce che incensurati e recidivi non possano essere equiparati e far parte della stessa categoria soggettiva di persone.
Ho letto le critiche che l'Unione delle camere penali, anche recentemente, ha esteso all'applicazione di questo principio, ma l'Unione delle camere penali non ha criticato negli ultimi cinque anni la distinzione categoriale.
Perché non l'ha fatto? Poteva farlo. Poteva suggerire ed intervenire, attraverso i suoi avvocati, nell'ipotesi in cui la norma fosse stata - come di fatto è stata - per cinque anni applicata. Non ha detto assolutamente nulla; perché interviene ora sulla distinzione tra incensurati e recidivi, quando accetta la distinzione categoriale di recidivi infraquinquennali e di delinquenti abituali? Evidentemente, in questo intervento attuale, c'è, secondo me, una significativa irragionevolezza.
Non si dica che questa norma favorisce il Presidente del Consiglio. Lo dico senza mezzi termini: i suoi procedimenti pendenti, come il processo Mediatrade, il processo Mediaset e, financo, il cosiddetto processo Ruby, sono molto lontani dallo spirare e sono tali da avere di fronte almeno quattro anni di tempo, per non dire l'oltre quindicina del processo Ruby. Mi rifiuto di pensare che, in quattro anni, non si possa arrivare alla conclusione di un percorso giudiziale che prevede i tre gradi di giudizio.
Per quanto riguarda, invece, il processo Mills, sfido chiunque a dimostrarmi che, da qua al gennaio dell'anno prossimo, del 2012, quando, comunque, il processo sarebbe prescritto in ossequio ai termini attuali, si riuscirebbe a fare il primo, il secondo e il terzo grado. Nel primo ne sono già passati almeno una buona decina di anni, come tutti sanno; qualcuno vuol dirmi che, da qui a gennaio, in 9-10 mesi, si riuscirebbe a concludere il primo grado, il secondo ed il terzo grado?
Voi direte che, dal punto di vista mediatico, esiste un risultato popolare anche nel fatto che venga emessa, per esempio, la sola sentenza di primo grado. È possibile, Pag. 34se si dimentica, però, il portato della nostra Carta costituzionale. La Carta costituzionale non si invoca a piacere, ma si invoca sempre e, in essa, c'è l'articolo 27 che prevede una presunzione di innocenza fintanto che non venga emessa la sentenza definitiva. Una prescrizione, quindi, dichiarata, in primo, in secondo o in terzo grado, non sposta di una virgola l'applicazione giuridica di una terminologia che è già segnata in termini chiari; non sposta di una virgola il convincimento che, a tutto concedere, impugnante che sia il pubblico ministero nell'ipotesi di assoluzione in primo grado, o impugnante che sia l'imputato nell'ipotesi di condanna in primo grado, comunque porta ad una declaratoria di prescrizione. Questo è il dato di fatto. Anzi, si dovrebbe financo dire grazie all'introduzione di questa norma che evita di lavorare a vuoto su un processo che si sa, comunque, «fulminato» cronologicamente dall'effetto della declaratoria di prescrizione.
Queste circostanze evidenziano, in maniera molto chiara, che l'intento non era assolutamente diretto a favorire il Premier. Ma vado ancora più in là: il relatore ha voluto introdurre una norma che ne esclude l'applicazione ai processi di secondo e di terzo grado. Perché l'ha fatto? Ad evidenza, l'ha fatto per evitare che ci potesse essere un effetto distruttivo di procedimenti nel caso in cui questi fossero in corso, secondo la regolamentazione che i giudici, sul piano organizzativo, si erano già fatti e che teneva conto della tempistica di ordinaria prescrizione. Ciò vuol dire che, esclusa l'applicazione ai processi di secondo e di terzo grado, non vi saranno conseguenze che eliminino dal panorama dei procedimenti pendenti quelli che, comunque, potrebbero essere conclusi.
Se, invece, un procedimento in primo grado subisce l'effetto della riduzione del termine prescrizionale prevista dal relatore nel nuovo articolo 161 c.p., vuol dire che sarebbe un processo comunque destinato alla prescrizione e che, di conseguenza, non avrebbe nessuna possibilità di essere concluso.
Aggiungo un'ultima considerazione, il segnale di gratitudine a tutti coloro che sono stati auditi nell'ambito delle audizioni: esponenti della magistratura, dell'avvocatura, della dirigenza degli uffici giudiziari, professori universitari, presidenti di corte d'appello, procuratori generali.
Il loro contributo è stato tenuto dal relatore in grande conto, tant'è che la stesura del nuovo articolo 205-quater delle disposizioni di attuazione del c.c.p. nasce esplicitamente dalle considerazioni che sono state fatte. Questo conferma il fatto che nel lavoro in sede parlamentare e di Commissione, la collaborazione delle opposizioni per me è stata è e mi auguro continuerà ad essere assolutamente preziosa. Spero che le opposizioni mi aiutino nel completamento del percorso, segnalandomi, tra i molti emendamenti che mi dicono essere stati presentati, quali possano essere utili per una costruzione corretta di un testo da sottoporre all'approvazione dell'Aula e quali, invece, abbiano un significato esclusivamente inflattivo e strumentale.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, ovviamente non entro nel merito del provvedimento e rimango sull'ordine dei lavori, tuttavia ritengo che sia necessario - e lo faccio di proposito prima che, se ritiene di farlo, prenda la parola il rappresentante del Governo, il sottosegretario Caliendo - sottolineare un aspetto affinché rimanga agli atti. Penso che il collega Paniz conosca qual è il livello di stima che ho nei suoi confronti e credo anche di averlo pubblicamente espresso ripetutamente. Tuttavia, ritengo che non possa essere sottaciuto, nell'ambito della relazione che il collega Paniz ha svolto, un'affermazione più o meno testuale di tale tenore (che si potrà rileggere sui resoconti stenografici): se il relatore avesse voluto mantenere un provvedimento a favore Pag. 35del Presidente Berlusconi, si sarebbe limitato a riproporre il testo che arrivava dal Senato. Tale affermazione implica, per una deduzione non solo logica ma anche politica e di carattere naturale - vorrei dire -, che il collega Paniz ci informa e rende noto che il provvedimento originario, messo in campo al Senato, era ritagliato per risolvere i problemi del Presidente del Consiglio.
Al di là della gravità in sé (è utile saperlo, visto che dovremmo legiferare in un clima di un certo tipo, e non vorrei neanche entrare nel merito, ma la mia posizione rispetto alla materia della giustizia è ben nota), questo denota un clima che considerare di legittimo sospetto, onorevole Paniz, non è poco. Perché mi devo fidare che lei ha epurato il testo delle parti che il Senato invece ha voluto inserire per favorire il Presidente del Consiglio? Ho molta stima di lei, relatore Paniz, ma qualcuno di noi potrebbe anche pensare che magari la situazione peggiori rispetto all'intento originario, non indicato da me, ma da lei affermato nell'ambito della relazione.

MAURIZIO PANIZ, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURIZIO PANIZ, Relatore. Signor Presidente, l'interpretazione dell'onorevole Giachetti è totalmente distorsiva delle mie parole. Io ho guardato soltanto il dato storico e oggettivo. Se fosse rimasta la norma così come era stata approvata, sicuramente ci sarebbe stato un beneficio per il Presidente del Consiglio, ma non ho mai detto - e lo sottolineo in termini chiari - che questo era un intento del Senato nel momento in cui ha approvato questa norma o che questo era un obiettivo da raggiungere. C'è una grande differenza, onorevole Giachetti! Non mi metta in bocca cortesemente interpretazioni che sono totalmente distorsive del mio pensiero.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, chiedo sin d'ora l'autorizzazione a depositare un intervento scritto, in quanto ritengo che nel termine assegnato forse non riuscirò a individuare tutte le tematiche che questo provvedimento ha comportato per l'esame della Commissione giustizia. Certo è che si tratta di un provvedimento uscito dal Senato con un'impostazione completamente diversa da quella che abbiamo oggi di fronte. L'aver eliminato, con emendamenti del relatore che erano sovrapponibili a quelli rappresentati dall'opposizione, la cosiddetta prescrizione processuale (cioè l'estinzione dei processi dopo lo scadere del gong, di alcune date, di alcuni termini fissati per il primo, secondo e terzo grado), credo sia stato un percorso a cui il relatore è dovuto arrivare anche e soprattutto in relazione all'attività in Commissione giustizia alla Camera e all'attività delle opposizioni.
Credo che l'ammissione sostanziale con cui l'onorevole Paniz ha voluto rappresentare quella norma transitoria - che costituiva una misura di accompagno alla prescrizione processuale e che poneva nel nulla tutti i processi in primo grado riguardanti i reati puniti fino a dieci anni commessi per fatti anteriori al 2 maggio 2006 -, anche come dato storico, come egli stesso ha voluto precisare, cioè che si trattava di una norma in favore del Presidente del Consiglio, sia un fatto sicuramente grave, soprattutto, con riferimento alla sua storicità.
Noi riteniamo che la strada che si è continuato a percorrere sia sempre quella relativa alla prescrizione e al taglio ulteriore della prescrizione sostanziale che riguarda il reato, di cui, caso strano, beneficia da subito un processo, il cosiddetto processo Mills, che vede, però, come coimputato, il Presidente del Consiglio Pag. 36Berlusconi. Ebbene, crediamo che anche il fatto che possa beneficiarne da subito, anziché aspettare l'esito della sentenza di primo grado, sia un dato storico che non può e non deve essere trascurato.
Tutto ciò in quella linea che ha caratterizzato due anni di dibattiti al Senato e alla Camera, audizioni e impegno di risorse e di energie per arrivare a qualcosa che l'onorevole Paniz ci dice che, comunque, si sarebbe avverato, perché i termini di prescrizione del reato stanno per essere consumati nel 2012. Quindi, comunque, ciò si sarebbe verificato, magari, nel secondo o nel terzo grado di giudizio.
Questa non è una considerazione ragionevole, ma è una considerazione che sconcerta, perché, comunque, anche nel provvedimento in oggetto, in cui vengono eliminate altre abnormità e altre configurazioni, come quelle relative alla prescrizione processuale (mi riferisco, cioè, ad una serie di processi che sarebbero andati al «macero» per salvarne uno), si congegna qualcosa in termini processuali che non ha pari in nessun ordinamento europeo, che tra l'altro, incide nel nostro sistema e che non è vero, onorevole Paniz, che risponde a ciò che ci chiede l'Europa.
Cerchiamo di lasciare l'Europa un po' al di fuori dei nostri traffici interni. L'Europa, di cui ogni tanto ci riempiamo la bocca, ha detto ben altro e lo sappiamo tutti: infatti, anche nelle audizioni che lei giustamente ha ricordato, onorevole Paniz, abbiamo ascoltato, su questo punto, proprio il presidente Zagrebelsky, che ci ha rappresentato quali sono state le pronunce dell'Europa e i loro significati; peraltro, basta leggerli.
Vorrei iniziare dalla fine, proprio da questo punto che è stato toccato dall'onorevole Paniz.
La condanna che la Corte europea dei diritti dell'uomo infligge all'Italia è in relazione al diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata in tempi ragionevoli: a tale proposito sono numerose le pronunce, che ho indicato anche nella mia relazione scritta. Ebbene, la Corte di Strasburgo ha considerato il tempo impiegato nell'ambito dei giudizi celebrati in Italia per esaminare il merito della causa.
La Corte di Strasburgo vuole che il processo si celebri in un tempo ragionevole, ma non che cessi perché vi sono delle estinzioni del processo derivanti da termini per fase o da termini stretti che riguardano la prescrizione del reato. Questo è il punto. Questo è il travisamento dei fatti che, continuamente, viene ad essere celebrato, allorché in un provvedimento intitolato in maniera «magnifica», concernente la durata ragionevole dei processi per il cittadino, in realtà, si perviene ad un unico provvedimento, ad un'unica norma, ad un unico strumento che viene inserito per far sì che la durata sia effettivamente ragionevole. Qual è questo strumento? Quello di accorciare ancora di più i termini di prescrizione del reato per una categoria che viene identificata in coloro che non hanno subito mai condanne, cioè i cosiddetti incensurati.
Credo che non solo agli occhi del comune cittadino questo non sembri, non possa essere, la strada da percorrere per accorciare i tempi di durata ragionevole del processo, ma tanto meno può esserlo agli occhi dell'Europa che in tutte le pronunce, in realtà, non guarda mai ai termini di fase astrattamente previsti. Questi termini di fase, onorevole Paniz, ritornano in quella specie di norma in cui si prevedono comunicazioni dal capo dell'ufficio giudiziario al procuratore generale della Corte di cassazione e al Ministro e su cui tornerò dopo; ritornano quei termini astratti che prevedono la durata del primo, secondo e terzo grado, ed era quella l'impostazione originaria del cosiddetto processo breve, ritornano per indicare la durata cosiddetta ragionevole, ma che non può mai essere prevista in astratto, perché ogni processo ha una sua identità che deriva dal numero delle parti, dalla complessità degli accertamenti, dalla complessità dell'imputazione, dal modo in cui si pone la difesa, da quante parti civili ci sono.
Ecco perché, come è stato detto e risulta agli atti della Commissione giustizia, dato che abbiamo svolto sul punto Pag. 37un'indagine conoscitiva, la Corte di Strasburgo nel valutare la ragionevole durata di un procedimento è portata a commisurare i tempi necessari con riferimento all'esecuzione della decisione giudiziaria finale, non allo svolgersi delle sue diverse fasi nei suoi vari gradi. Al riguardo, le condanne che sono state pronunciate nei confronti dell'Italia hanno riguardo proprio al fatto che non si arriva ad una pronuncia di merito; ma vi dico di più, c'è stata nel 2003 una condanna che riguardava la Grecia, l'unico Paese insieme all'Italia nel quale la prescrizione del reato continua a decorrere anche durante il processo, con riferimento alle vittime, perché la vittima di un reato, che magari si è costituita parte civile, ha diritto a veder riconosciuta la propria posizione all'interno del processo penale.
A nulla importa che ci siano dei meccanismi che poi portano quella vittima a riproporre la sua azione in sede civile, perché quel reato si è estinto. Questo è il punto, questo è il travisamento dei fatti che viene costantemente riproposto, demagogicamente riproposto. Di questa ulteriore scorciatoia nessuno sentiva il bisogno, perché nessuno sentiva il bisogno che per un incensurato, cioè una persona che non ha sulla fedina penale un'altra condanna, ci fosse un termine di prescrizione del reato più corto, anche perché si creeranno così delle problematiche molto serie in tema di diritto processuale.
Ci potranno essere coimputati dello stesso reato in cui uno, per il solo motivo di avere una fedina penale su cui non c'è una condanna, ha un tempo di accertamento del reato e quindi un processo più breve; magari potrebbe avere anche una posizione più forte e più importante, più determinante ai fini della commissione del reato ma ciò non porterà a una pronuncia di merito perché quei sei mesi, quell'anno (da sei mesi a un anno è il termine massimo di riduzione di cui si può beneficiare) possono in realtà produrre dei gravi e irragionevoli sfasamenti.
Tra l'altro, mi viene da ricordare ai colleghi della maggioranza, che proprio in uno dei pacchetti sicurezza che avete approvato, proprio il fatto di essere incensurati addirittura viene escluso come parametro per concedere le attenuanti generiche. Qui siamo all'assurdo, alla contraddittorietà massima del sistema in cui la stessa persona, incensurata, non può beneficiare solo perché incensurata delle attenuanti generiche ma può beneficiare di un accorciamento del tempo del processo, cioè della pronuncia di merito, e può beneficiare quindi di una causa estintiva.
Come la mettiamo, dato che avete sempre in bocca questa Europa per giustificare le nefandezze più assurde come quella effettuata nella legge comunitaria di cui si è discusso poc'anzi? Come la mettiamo su quello che ha detto l'Europa in riferimento alla corruzione? L'esempio viene proprio «a fagiolo», perché parliamo della corruzione in atti giudiziari, parliamo della corruzione in atti giudiziari nel processo Mills. Come la mettiamo con il fatto che, tra l'altro, l'articolo 29 della Convenzione ONU contro la corruzione stabilisce che ciascun Stato fissa nell'ambito del proprio diritto interno un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti possono essere avviati per uno dei reati stabiliti, appunto, dalla Convenzione ONU contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003, con risoluzione n. 58/4, e che è stata ratificata dall'Italia con la legge 3 agosto 2009, n. 116? Questo come viene conciliato?
Ecco che, quindi, nell'ambito delle nostre proposte emendative, abbiamo voluto tener fede a questo impegno, perché l'articolo 30 di quella Convenzione - che per noi è esecutiva - raccomanda agli Stati di adottare tutte le misure necessarie al fine di ricercare, perseguire e giudicare effettivamente la colpevolezza, la responsabilità o l'innocenza; ma una pronuncia di merito, invece, viene interrotta da questo accorciamento ulteriore. Una specifica menzione la vorrei fare proprio in quest'ambito, perché credo sia quello più importante, che va poi a incidere sull'economia italiana, ed è questa malattia e questo male diffuso della corruzione, a cui noi non riusciamo a dare nessuna risposta, Pag. 38anzi, diamo risposte contrarie. Stiamo dando e state dando delle risposte contrarie, perché la relazione redatta dal gruppo degli Stati contro la corruzione, che agisce nell'ambito del Consiglio d'Europa (la commissione Greco) ha detto e sottolineato, nel rapporto del 2 luglio 2009, quando si è soffermata sul dato relativo all'eccessiva durata dei processi in Italia, come in Italia i processi per corruzione, sovente, non arrivino alla decisione di merito.
Con questa proposta, che scardina il sistema, e che peggiora quello dell'ex Cirielli, credo che il Governo e la maggioranza diano l'ennesima prova che non ha tra le sue priorità una giustizia efficiente, trasparente ed effettiva per il cittadino (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, è quasi una «non stop» sulla giustizia quella che stiamo facendo oggi e che è cominciata la settimana scorsa, settimana che noi dell'Italia dei Valori consideriamo horribilis, per tre strappi che sono stati fatti sul sistema giustizia. Il primo, in ordine di tempo, è quello di cui ci stiamo occupando in questo momento, il secondo è il conflitto di attribuzioni, che la Giunta per le autorizzazioni ha rocambolescamente approvato mercoledì, e il terzo è quell'introduzione, assolutamente inopinata, nella legge comunitaria della norma sulla responsabilità civile dei magistrati che, sostanzialmente, tende alla loro intimidazione e alla loro punizione. Essa è stata introdotta notte tempo, di soppiatto, in un provvedimento che ha una sua grande dignità, quello dell'adeguamento della normativa nazionale alle direttive comunitarie, mentre si sarebbero dovute rispettare le prerogative e le competenze della Commissione giustizia, che si stava occupando ex professo del tema.
La settimana scorsa, dunque, siamo stati posti di fronte ad un'accelerazione violenta e a tre strappi molto forti al sistema della giustizia, che noi consideriamo molto pericolosi e, comunque, assolutamente urticanti in un quadro generale.
Infatti, alcuni sono rivolti a consentire a questa maggioranza di proseguire nella linea che fino ad ora ha cercato di mandare avanti e cioè quella di consentire al Capo del Governo di difendersi dai processi e non nei processi. Inoltre, vi è la necessità di mandare un segnale molto forte ai magistrati: stiano attenti alla loro indipendenza perché, quale che sia l'interpretazione che essi danno della legge e del fatto, potranno essere trascinati di fronte ad un altro giudice per rispondere in termini di responsabilità civile.
Ci si sia consentita questa introduzione perché noi dell'Italia dei Valori consideriamo che sul tema della giustizia questo Parlamento sia stato «sequestrato» intorno all'obiettivo della risposta alle ossessioni giudiziarie del Presidente del Consiglio, il quale non ha nessuna intenzione di farsi giudicare dai magistrati, ma ha intenzione di farsi una giustizia sua propria personale che è quella attraverso la quale vorrebbe mettersi al riparo - a differenza di tutti gli altri cittadini - dalle direttive costituzionali per le quali la giustizia deve fare il suo corso e chi applica la giustizia è la magistratura, e gli imputati non possono ovviamente scegliersi i giudici né i pubblici ministeri che si occupano dei loro affari.
Ecco dunque che siamo qui ancora una volta a sprecare denaro pubblico e a tenere incatenato il Parlamento per occuparci di questioni che riguardano le vicende private del Capo del Governo. Lo abbiamo visto in tanti provvedimenti normativi (parliamo di trenta leggi ad personam). Non le abbiamo inventate noi, ma è una lista, un elenco che ormai è patrimonio comune. Noi faremo in modo che lo sia anche della maggior parte possibile dei Pag. 39cittadini. Siamo di fronte ad una rincorsa disperata, che sta producendo danni molto gravi sul piano dei rapporti istituzionali. Rischia cioè di minare nei cittadini la fiducia in uno dei poteri costituzionali come la magistratura, senza che si possa distinguere tra magistrati buoni e magistrati cattivi (la distinzione naturalmente è fatta da chi ha interesse a farla). Sotto questi colpi di maglio ci vorrà molto tempo per ripristinare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nel Parlamento, che non manca occasione per salvare i deputati nei casi che arrivano alla Giunta per le autorizzazioni, e nella magistratura che viene indicata a più riprese dal Capo del Governo come un'istituzione politicizzata, salvo poi dire che il rimedio alla politicizzazione della magistratura è accrescerne il tasso inserendo più politici all'interno degli organismi che si devono occupare della gestione dei problemi della magistratura. Si tratta di una contraddizione assoluta. Noi denunciamo con preoccupazione questo rischio, anche se abbiamo visto che i sondaggi recenti abbastanza concordemente attribuiscono alla magistratura oltre il 50 per cento della fiducia, ben al di là della fiducia nella politica, che è all'ultimo posto.
Siamo costretti ad occuparci ancora una volta di queste vicende. Lo facciamo anche oggi sulla proposta di legge che prevedeva la prescrizione abbreviata dei processi, anche se ora essa è stata ampiamente stravolta dalla stessa maggioranza.
Ricordiamo che quella proposta di legge è stata approvata dal Senato nel gennaio del 2010 dopo essere stata presentata nel 2009 come usbergo a difesa del Capo del Governo che era disposto anche a sacrificare decine di migliaia - se non centinaia di migliaia - di processi purché quelli che lo riguardavano venissero a morire.
Dopo il gennaio 2010 questa proposta di legge, considerato che era stata approvata la legge sul legittimo impedimento, è entrata in letargo, salvo poi rispuntare fuori non appena la Corte costituzionale l'ha dichiarata parzialmente illegittima - con una sentenza interpretativa - ripristinando il primato del giudice nel valutare il legittimo impedimento come fatto non automatico.
A questo punto, quasi per miracolo o forse per la primavera che sarebbe venuta di lì a poco, questo provvedimento si è risvegliato ed è stato posto di nuovo all'ordine del giorno della Commissione giustizia. Quel provvedimento ha trovato, da parte dell'Italia dei Valori ed anche da parte delle altre opposizioni e della cultura giuridica più avveduta del nostro Paese, un fuoco di sbarramento adeguato alla sua straordinaria gravità, poiché incideva negativamente sia sulla «legge Pinto» sia, soprattutto, sulla durata dei processi, mentre non era volto a predisporre misure utili per potenziare l'andamento della giustizia essendo soltanto proteso a realizzare l'eutanasia di un grande numero di processi. Di particolare gravità era la norma transitoria che prevedeva l'applicabilità del provvedimento ai processi in corso e, cioè, esattamente ai processi in cui era coinvolto il Capo del Governo.
Ci sia consentito di ragionare in questi termini, che non sono da noi inventati ma sono imposti dalla sequenza temporale che ha costantemente e prevalentemente prodotto non provvedimenti che consentissero alla giustizia di funzionare meglio in termini ordinamentali, di risorse, procedimentali, di modifica delle norme per l'eliminazione degli ostacoli che impediscono alla giustizia un sollecito corso, ma di provvedimenti che hanno riguardato in gran parte la situazione personale del Presidente del Consiglio.
Sia consentito a noi dell'Italia dei Valori di ragionare in questi termini visto che la realtà ci ha costantemente spinto in questa direzione. Ci sia consentito di fare ogni volta un saggio delle diverse disposizioni di legge o dei diversi provvedimenti che la maggioranza ci propone, al fine di verificare se essi - che stanno tenendo impegnato il Parlamento per il 50 per cento sul fronte della giustizia e per il quasi 100 per cento di questo 50 per cento sui problemi del Presidente del Consiglio - favoriscano la situazione penale del Presidente del Consiglio o meno. Finora così è stato. Pag. 40
Dunque, su questo provvedimento di cui ci stiamo occupando abbiamo fatto un fuoco di sbarramento sulla formulazione vecchia di un testo che tra l'altro - e lo ricordo per inciso - ha tenuto il Senato impegnato per molto tempo e sta tenendo ora impegnata la Camera, con un dispendio di attività, di risorse, di mezzi e, quindi, anche di energie personali per tanto tempo, salvo poi, come in questo caso, constatarsi che tutto quel castello che era stato costruito per arrivare alla prescrizione breve del processo era un castello pericolante. Lo ha riconosciuto la stessa maggioranza nel momento in cui lo ha smantellato completamente. Tuttavia, da quelle macerie è saltata fuori una norma che per noi è inaccettabile.
Le disposizioni che sono rimaste di quel vecchio provvedimento sarebbero state assolutamente irrilevanti, e credo che la stessa maggioranza non avrebbe avuto alcun interesse a mantenerle in vita; salvo che a quel treno in corsa, smontato in molti dei vagoni contenenti materiale atomico, è stato appiccicato un vagoncino contenente anch'esso sostanze velenose, che è quello riguardante la cosiddetta prescrizione breve.
Voglio parlare in termini oggettivi perché il rispetto e la stima nei confronti del relatore sono tali che non voglio scendere a valutazioni di carattere personale. Noi, sul piano della prescrizione breve del reato, abbiamo molte riserve, anche perché quel saggio cui ho accennato, cioè la verifica se il provvedimento all'esame in questo momento serva al Presidente del Consiglio. Il risultato di questo saggio è ampiamente positivo perché dalla riduzione dei termini di prescrizione per gli incensurati deriva il fatto che ci sarà una riduzione che consentirà, per esempio nel processo Mills, di non arrivare neppure a sentenza di primo grado e negli altri processi favorirà un ostruzionismo giudiziario che potrebbe anche arrivare a determinare, con la cosiddetta prescrizione breve, tempi favorevoli al Presidente del Consiglio.
Ci dobbiamo domandare le ragioni per le quali sia stata inserita adesso, ed al di fuori di una disciplina organica dell'istituto della prescrizione. Non si sbaglia se si sospetta che anche questa sia una norma a favore del Presidente del Consiglio. Infatti, francamente i termini di prescrizione, così come abbreviati dalla cosiddetta legge Cirielli, erano già stati abbreviati in maniera rilevante e non si capisce la tempistica e neanche perché in questo momento fosse opportuno abbreviare ulteriormente anche i termini per gli incensurati. Ciò anche perché andando di questo passo si fa in modo che gli incensurati restino sempre più tali. Anzi il modo per farli rimanere per sempre incensurati sarebbe quello di dire che il processo si prescrive in un anno, così tutto finisce e non se ne parla più. Tuttavia, in questo modo, anche un provvedimento personale rischia di risultare anche a favore di tanti altri ostacolando l'applicazione della giustizia, cioè il perseguimento dei reati. Soprattutto al secondo comma dell'articolo 3 vediamo una palese contraddizione ed un profilo di incostituzionalità, tanto che abbiamo proposto una pregiudiziale. Sostanzialmente, gli incensurati sarebbero tali fino alla sentenza di primo grado, mentre gli altri non lo sarebbero in contrasto con l'articolo 26 della Costituzione, che opportunamente il collega Paniz ha citato come un principio da tener presente sempre. Noi siamo garantisti e crediamo alla presunzione di non colpevolezza, ma non si capisce perché sia incensurato chi arriva fino alla sentenza di primo grado e non sia tale chi magari successivamente propone appello e non ha ancora avuto una sentenza definitiva di condanna. Vediamo una contraddizione: noi siamo garantisti, crediamo nell'articolo 27 della Costituzione, nella presunzione di non colpevolezza e quindi, tutti devono essere considerati incensurati fino al momento della sentenza definitiva di condanna, anche se condannati in primo grado. Questa è una delle incongruenze che riscontriamo perché si vuole con questa norma che il Presidente del Consiglio non arrivi neanche alla sentenza di primo grado.
Ecco una ragione per la quale, conclusivamente, noi dell'Italia dei Valori abbiamo Pag. 41 osteggiato una disciplina di carattere personale, mentre valutiamo come una nostra vittoria il fatto che la maggioranza abbia deciso di smantellare se stessa smantellando quella costruzione che aveva venduto anche ai cittadini come una cosa positiva. Avremmo accettato definitivamente anche una resipiscenza, un pentimento operoso della maggioranza che aveva smontato quel castello, se non avesse però fatto sorgere dalle macerie una sorta di «serpentello» che inquina questa situazione.
Vediamo anche un'incongruenza tra il titolo del provvedimento che parla di «durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione» e una norma che ne costituisce una forzatura. L'unica cosa per noi indegna in questo provvedimento è la prescrizione breve, che non è coerente con il disegno originario della durata indeterminata dei processi. Vogliamo anche dire che la durata indeterminata dei processi è cosa diversa dall'articolo 111 della Costituzione, che parla di «ragionevole durata del processo», per cui c'è un processo che ragionevolmente può durare tre, quattro, cinque anni e c'è un processo che ragionevolmente può durare un anno e mezzo o due anni, come per esempio una contravvenzione o una diffamazione che si basa su fatti documentali, mentre ci sono procedimenti che richiedono perizie delicate, rogatorie, eccetera. Ecco perché la ghigliottina che arriva a scadenze fisse non va bene.
Non va bene neanche l'ex articolo 5, come modificato (oggi articolo 4) anche se prima prevedeva l'eutanasia dei processi e adesso comporta solo una segnalazione al capoufficio e ad alcune autorità nel caso in cui quei termini vengano superati.
Così non si può andare avanti. I cittadini hanno sete di giustizia, hanno bisogno di processi più rapidi, ma ciò significa consentire alla giustizia civile e alla giustizia penale di funzionare meglio, attraverso una profonda riforma che prescinda assolutamente dalle questioni personali del Presidente del Consiglio, che inquinano ogni possibilità di discussione sulle cose serie. Ecco la ragione anche per la quale valuteremo attentamente l'ipotesi formulata dal relatore di una collaborazione per quelle disposizioni che possono essere positive in questa dimensione della riforma del processo, per farlo funzionare meglio e non per far prescrivere quel processo o quel reato.
Tuttavia, la valutazione degli emendamenti migliorativi sul piano della riforma della giustizia non può essere comunque in compensazione di un benevolo atteggiamento nei confronti della prescrizione breve. Abbiamo presentato 130 emendamenti in Commissione e ne abbiamo ripresentati quasi altrettanti in Aula; gli emendamenti sono a disposizione di tutti - del relatore, della maggioranza e dell'opposizione - e mirano a far funzionare il processo. La maggioranza ci dica se ha intenzione di scendere sul terreno del miglioramento delle condizioni dei processi e della giustizia, per farlo funzionare meglio ma senza che ci chieda di rinunciare all'opposizione nei confronti della norma sulla prescrizione breve.
Lo diciamo - ripeto - in termini oggettivi e non in termini personali. Rispettiamo le opinioni di ciascuno, tanto più se proposte o prospettate da persona che gode della nostra stima, ma oggettivamente faremo di tutto perché l'articolo 3, quello sulla prescrizione breve, non venga approvato dall'Assemblea, mentre siamo disponibili a discutere e valutare separatamente ogni emendamento che consenta al processo di funzionare meglio.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Siliquini, iscritta a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Procediamo adesso ad una pausa tecnica dei nostri lavori. La seduta riprenderà alle ore 17,30.

La seduta, sospesa alle 17,20, è ripresa alle 17,30.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Angela Napoli. Ne ha facoltà.

Pag. 42

ANGELA NAPOLI. Signor Presidente, non possiamo non condividere l'obiettivo di assicurare il rispetto del principio della ragionevole durata del processo; pertanto, ci siamo accinti a valutare il provvedimento che stiamo discutendo senza alcun pregiudizio. Tuttavia, la proposta in esame, pervenutaci dal Senato e oggi totalmente modificata dalla maggioranza della Commissione giustizia, a nostro avviso non introduce le misure efficaci in tal senso, necessarie per rispettare il principio della ragionevole durata del processo.
Occorre premettere che, così come proposto, il provvedimento, a nostro avviso, pone a rischio il principio costituzionale dell'uguaglianza di tutti i cittadini, prevedendo una distinzione tra incensurati e recidivi, con un'eccessiva garanzia per i primi, che, tra l'altro, nulla avrebbe a che vedere con il giusto processo. Se è vero che occorre garantire la certezza dei diritti degli imputati, è altrettanto vero che dovrebbe esserci l'esigenza di tutelare le vittime dei reati, nonché l'esigenza di assicurare al cittadino un processo che risponda ai canoni costituzionali e ai principi europei nell'ambito di una riforma dell'intero sistema processuale.
È inimmaginabile, a nostro avviso, pensare che si possano annullare per legge migliaia di processi senza prima valutare gli interventi necessari a far funzionare la macchina giudiziaria, anche alla luce del fatto che il legislatore nell'ultimo periodo ha introdotto nuove ipotesi criminose che impegnano l'autorità giudiziaria in migliaia di processi. Parlo di macchina giudiziaria riferendomi alla necessità di semplificazione delle procedure, alla modifica del sistema delle notifiche, all'assetto delle circoscrizioni giudiziarie, all'assetto degli organici e all'organizzazione all'interno degli uffici giudiziari, nonché alle risorse, che, anche alla luce dell'articolo 7 del provvedimento, così come varato dalla Commissione giustizia, non mi pare possano avere prospettive future.
La proposta di legge in esame, a nostro avviso, non nasce sicuramente per tutelare gli interessi e soddisfare le legittime aspettative dei cittadini. Infatti essa, anche se, ribadisco, rivisitata dalla maggioranza in Commissione giustizia e abilmente presentata dal Governo come una misura contro la durata indeterminata dei processi, in realtà si rivela solo come un provvedimento utile a tutti quei processi che vedono coinvolti incensurati, anche se responsabili di reati tutt'altro che di poco conto.
Tanto per intenderci, la soppressione dell'articolo relativo alla norma transitoria non può che considerarsi un bluff, vista l'introduzione dell'articolo 3, che finisce con il dare, di fatto, un premio agli incensurati. Sappiamo benissimo che questo articolo contribuirà a garantire l'esito di determinati processi che coinvolgono il Presidente del Consiglio, ma personalmente devo dire che poco ci e mi importerebbe, se lo stesso articolo non andasse a «ghigliottinare» migliaia di processi che vedono coinvolti numerosi incensurati.
Tra le persone coinvolte penso, naturalmente, a quelle accusate di corruzione e concussione. È devastante non solo per i processi in corso, ma anche per quelli futuri. Non ci sembra accettabile che la lentezza processuale ricada direttamente sulle persone offese che nessuna responsabilità hanno rispetto alla stessa lentezza e, invece, vada a premiare i colpevoli che sfruttano meccanismi e tempi dilatati che, a questo punto, avrebbero tutto l'interesse ad incentivare per giungere all'estinzione del processo che li vede imputati.
L'Europa ci chiede di ridurre i termini dei processi, ma ci rimprovera anche per la mancanza di considerazione dei diritti e degli interessi delle vittime dei reati e per il sistema di sostanziale impunità che scaturisce dai condoni e dalle amnistie più o meno mascherate. L'estinzione del processo per violazione dei termini di ragionevole durata non è in alcun modo funzionale alla soluzione dei problemi relativi alla ragionevole durata del processo. Abbiamo già la legge n. 251 del 5 dicembre 2005 che ha, tra l'altro, modificato i termini di prescrizione dei reati e non ha contribuito a diminuire i carichi di lavoro, contemporaneamente ha però fatto esplodere Pag. 43le carceri proprio in conseguenza della nuova disciplina dell'istituto della recidiva.
A nostro avviso, l'introduzione della sentenza di proscioglimento per violazione della ragionevole durata del processo diventa peggiore di un'amnistia. L'introduzione di questa nuova normativa, anche senza la norma transitoria, porterebbe ad interrompere tutti i programmi in atto nei vari uffici giudiziari e a ripartire da zero, scegliendo i processi già perenti, quelli a rischio di perenzione e, quindi, distruggendo tutto il lavoro che ha avuto risultati positivi in tutta l'Italia nel 2010.
Il contenimento dei tempi di definizione peraltro, senza alcuna flessibilità, porterà a scoraggiare l'introduzione di attività di indagine che richiedono tempi lunghi, con la prospettiva di una minore analiticità dell'accertamento. Il magistrato si troverà di fronte al dilemma di dover scegliere tra un approfondimento istruttorio, che di per sé esige tempi lunghi, con il rischio di incorrere nella prescrizione processuale, ovvero di omettere accertamenti indispensabili sia per la costruzione dell'accusa sia per l'esercizio del diritto di difesa, per evitare l'estinzione. Verrà sicuramente altresì ridotto il ricorso ai cosiddetti riti alternativi, tanto sarebbe del tutto inutile accedere ad una funzione accelerata, vista la prescrizione processuale.
Poi, non può che ritenersi incostituzionale la creazione sostanziale di due diversi modelli processuali, uno per gli incensurati e uno per i pregiudicati e recidivi. Continuo ad insistere su questo punto. È evidente che è un paradosso la previsione in base alla quale il processo si deve concludere entro una data particolare solo per uno dei due concorrenti in uno stesso reato la cui posizione processuale sia differenziata solamente da un dato personale come l'esistenza di un precedente penale. In tal senso, vorrei fare capire che la prescrizione per gli incensurati va ad agevolare coloro che si rendono responsabili, per esempio, del reato di truffa sui finanziamenti pubblici o della Comunità europea.
Questi personaggi che si rendono responsabili del reato di truffa, nella stragrande maggioranza dei casi sono incensurati. Noi veniamo richiamati continuamente dall'Unione europea proprio perché le truffe sono all'ordine del giorno. Ebbene, si continuerà tranquillamente a commettere questo reato, perché tanto le persone coinvolte sono per lo più incensurate e, quindi, si proseguirà tranquillamente. Proprio a causa di questo provvedimento i giudici saranno costretti a modificare i calendari processuali, a svantaggio di quei processi che non sono soggetti alla prescrizione processuale introdotta appunto dall'eventuale normativa - nel caso in cui questo provvedimento dovesse essere approvato -, cioè vale a dire in primo luogo i processi per i reati più gravi, quali l'omicidio volontario e i reati di criminalità organizzata.
Allora, dobbiamo anche dirci una volta per tutte in che cosa consiste, per questo Governo, la lotta alla criminalità organizzata. Non vi è dubbio che, nel momento in cui determinati processi non potranno essere svolti - perché la priorità richiesta è proprio per quei processi ai quali sono sottoposti imputati per reati minori - è chiaro che la criminalità organizzata, avendo la garanzia della dilatazione dei tempi processuali e, quindi, avendo la certezza della non espiazione della pena - che non verrà nemmeno inflitta, perché i processi non si potranno svolgere - naturalmente il tutto andrà a beneficio di questo cancro, che purtroppo incide pesantemente sulla realtà italiana. Naturalmente anche questo non potrà che comportare scarcerazioni per decorrenza dei tempi di imputati non giudicati.
Come allora ho detto durante il mio intervento, pur sapendo che in particolare l'articolo 3 e comunque la distinzione tra incensurati e recidivi andrà ad incidere benevolmente su qualche processo che vede imputato il Presidente del Consiglio, lascio da parte queste considerazioni. Non è assolutamente un discorso personale. Io mi rivolgo realmente al relatore, al quale voglio dare atto di essere riuscito a stravolgere il provvedimento così come era Pag. 44pervenuto dal Senato, viste le accuse che, dal mio punto di vista, sono state forse anche eccessive nel controllo o nell'attenzione sull'articolo 9, relativo alla norma transitoria. Il problema non è quello. Mettiamo da parte gli interessi di qualche persona, ma andiamo a valutare attentamente un provvedimento che, peraltro, ci saremmo aspettati venisse ritirato dalla calendarizzazione dei nostri lavori.
Ricordo a tutti quanti noi che, nel momento in cui il Presidente del Consiglio e il Ministro della giustizia hanno presentato la riforma ordinamentale, come peraltro una riforma costituzionale sicuramente necessaria, avendo ascoltato che nell'ambito di quella presentazione è stato ricordato che finalmente si sarebbe andati avanti con norme legislative capaci di garantire tutti i cittadini italiani, noi ci saremmo augurati che questo provvedimento fosse effettivamente ritirato dal calendario dei nostri lavori.
Così non è stato fatto. È bene che ci si assuma la responsabilità di valutare attentamente l'impatto negativo che il provvedimento potrebbe avere rispetto a quanto ho annunciato. Noi abbiamo presentato pochissimi emendamenti, proprio perché non vogliamo strumentalizzare né accingerci ad esaminare un provvedimento che sicuramente ha la sua importanza, all'insegna della demagogia e, lo ripeto, della strumentalizzazione Ci augureremmo che, nell'ambito di quella collaborazione che lo stesso relatore ha più volte richiamato, almeno tali emendamenti venissero presi in considerazione durante i nostri prossimi lavori d'Aula e si riuscisse a dare, con il provvedimento in esame, il minore impatto negativo possibile sulla giustizia per tutti i cittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, signor sottosegretario, alla fine, nonostante gli imbarazzi e le promesse di riforme epocali, nonostante le parole spese per prendere tempo, la maggioranza ha detto «sì» alla prescrizione abbreviata per gli incensurati. Mi sembra questo, forse, l'aspetto più rilevante, purtroppo, di una legge che era partita per essere una legge alta, con un titolo molto pretenzioso sul quale non si poteva che essere d'accordo e siamo finiti con qualcosa di molto ridotto. L'Unione di Centro, lo sapete, lo sa chi è in quest'Aula, è da sempre favorevole ad approvare una legge sulla ragionevole durata dei processi. Chi può essere contrario? Per noi ogni cittadino ha diritto di essere giudicato in tempi certi, in un processo che garantisca il fondamentale diritto costituzionale alla difesa così come, del resto, le vittime dei reati hanno diritto alla celebrazione di un processo e all'individuazione di un colpevole, se c'è.
È dovere del legislatore ordinario disciplinare e organizzare il processo secondo modalità e attraverso strutture tali da assicurare il raggiungimento del risultato finale, ovvero la sentenza di accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità, ma ciò deve avvenire entro termini congrui rispetto alla natura e alla difficoltà delle attività processuali necessarie per la decisione del giudice. Tutto ciò significa che il primo compito di un legislatore che voglia raggiungere un tale obiettivo è, nel settore penale, ferme restando ovviamente le imprescindibili garanzie dell'imputato, quello di puntare sull'efficienza della macchina processuale, efficienza che tante volte abbiamo sollecitato e che tanti provvedimenti anche fermi in Commissione sollecitano, ma su cui non si concentra, purtroppo, l'attenzione della maggioranza e del Governo, soprattutto nella ricerca e nella formazione dialettica delle prove, sfrondandola, dicevo, nel contempo, degli adempimenti superflui e degli inutili formalisti che troppo spesso ne appesantiscono senza ragione l'itinerario verso la sentenza definitiva. Spesso sono dei «bravi» avvocati che sfruttano tali adempimenti e formalismi per ritardare la sentenza. Metto la parola bravi tra virgolette, ovviamente, perché l'avvocato dovrebbe arrivare, aiutando così il suo assistito, all'accertamento della verità.
Pag. 45Secondo i dati forniti dalla direzione statistica del Ministero della giustizia, occorrono tre anni e mezzo per concludere un processo penale in dibattimento, dal tribunale alla Cassazione, senza contare la fase investigativa, che allunga la fase del giudizio fino a cinque anni.
Ancora più drammatica la situazione del processo civile, in cui sono necessari quasi dieci anni per arrivare ad una pronuncia conclusiva. Si può risparmiare fino ad un anno e mezzo soltanto se in primo grado ci si imbatte nei giudici di pace. Eppure, nonostante questo, mi sembra che la strada che sia stata scelta non sia quella di abbreviare i tempi, ma soltanto di tagliarli e di far cadere nel nulla tutto quello che è stato fatto in diversi processi, in tanti dibattimenti e in tante ore e giornate perse da parte di magistrati e anche degli stessi imputati, vanificando tutto quello che è stato fatto fino al momento della prescrizione.
Detto questo, risulta evidente che la legge che oggi vi accingete ad approvare, tanto maldestra quanto - secondo noi - costituzionalmente incerta, serve a poco o a nulla nel fissare la ragionevole durata del processo, ma approfitta di un sacrosanto principio costituzionale per incidere invece su alcuni procedimenti penali a carico del Premier (non solo su quello, ma sicuramente anche su quello).
Un'opposizione responsabile deve farsi anche carico di risolvere il conflitto permanente tra magistratura e politica, che si è acuito in maniera esponenziale dopo tangentopoli e dopo la discesa in campo dell'attuale Presidente del Consiglio. Noi abbiamo dato dimostrazione tante volte di un atteggiamento non pregiudiziale e costruttivo - siamo stati anche attaccati dalle altre opposizioni per questo - perché abbiamo cercato di rimuovere questo macigno senza accapigliarci troppo sul come. È però necessario che sgombriamo il campo da provvedimenti che servano agli uni contro gli altri, con atteggiamenti punitivi o - come a noi sembra essere in questo caso - per difendersi dal processo (da alcuni processi) e non nel processo (in alcuni processi).
Altrimenti rischiamo di non riequilibrare mai un rapporto che va regolato in maniera conforme ai principi costituzionali. L'irruzione periodica delle norme sulla prescrizione breve rappresenta l'ennesimo anello da aggiungere alla catena delle leggi ad personam e non certo un provvedimento utile per riformare la giustizia italiana, contrario tra l'altro alle raccomandazioni comunitarie che fino a questo momento hanno visto l'Aula impegnata in un altro provvedimento, e di cui ci si è fatti scudo proprio per inserire invece un'altra norma, molto discutibile a nostro giudizio, come quella sulla responsabilità civile dei magistrati.
Il Rapporto del gruppo di Stati contro la corruzione istituito nel 1999 dal Consiglio d'Europa per incrementare la normativa in questo settore e controllarne l'applicazione nei Paesi aderenti ha manifestato in passato un profondo allarmismo per il fatto che troppi processi non arrivano a sentenza, ma in quanto estinti dalla prescrizione intervenuta nelle more dei vari gradi di giudizio anche dopo l'esercizio dell'azione penale, quindi una spugna ingigantita dalla legge ex Cirielli, che nel 2005 aveva accorciato i termini di prescrizione di molti reati.
Non si producono quindi effetti miracolistici sulla durata del processo senza che si realizzi una più razionale distribuzione delle risorse umane e non si affronti il problema dell'insufficienza qualitativa e quantitativa del personale amministrativo. Non si dovrebbe prescindere anche dalla semplificazione e informatizzazione dei servizi di comunicazione e notificazioni, da un efficace smaltimento dell'enorme arretrato di sentenze, partendo da quelle del giudice di pace, nonché dalla revisione della geografia giudiziaria (tutti sappiamo che le circoscrizioni sono abbastanza obsolete) tenendo conto di alcuni parametri, come ad esempio quelli dei flussi dei singoli uffici e del rapporto numerico tra i magistrati e popolazione.
Ma noi tutti conosciamo quali sono i problemi della giustizia in Italia, semplicemente ci ostiniamo a non affrontarli o a metterli in fondo ad una scaletta di priorità, Pag. 46che vede, ancora una volta, privilegiate invece alcune norme molto specifiche e non sostanzialmente risolutorie.
Quindi noi chiediamo ancora una volta al Governo, al suo Capo soprattutto, di uscire dalla trincea e di impegnarsi in una vera riforma che parta dalla testa e non dalla coda, perché c'è un'Italia fatta di cittadini utenti, avvocati, magistrati, operatori del settore e detenuti, che chiede trasformazioni e cambiamenti condivisi, perché durino, e soprattutto che non ci siano leggi punitive.
La prescrizione breve, che come abbiamo detto avvantaggerà Berlusconi in almeno due dei quattro processi ripresi a Milano contro di lui (quello per la corruzione legata al caso Mills, per il quale non ci potrà essere neppure la sentenza di primo grado, e quello per i fondi neri Mediaset: questo è un dato oggettivo e l'abbiamo riconosciuto anche in una discussione animata ma serena in Commissione giustizia) getta il peso delle vicende giudiziarie del Premier ancora una volta in una riforma che dovrebbe riguardare la generalità e sembra fatta apposta per allontanare la semplice prospettiva della convergenza di una parte o di tutta l'opposizione su alcune riforme (perché non siamo affatto insensibili ai richiami di una riforma in senso garantista).
A nulla valgono le parole del relatore sul fatto che non si applicherà ai processi di secondo e terzo grado. Non è questo secondo noi il problema centrale. Non si comprende infatti la ragionevolezza e la ratio giuridica che imporrebbe l'introduzione nell'ordinamento di una norma la cui legittimità costituzionale è incerta perché presuppone per gli incensurati - anche se ha cercato di spiegarlo il relatore Paniz - un vantaggio rispetto ai recidivi che si motiva per via logica solo con una presunzione, giusta, di innocenza per i premi e una specie di presunzione di colpevolezza, sbagliata, per i secondi, che cozza contro il principio di uguaglianza e contro il principio generale di non colpevolezza fino alla condanna definitiva dell'imputato.
In Commissione giustizia, il collega Ria si è molto dilungato su questo aspetto che, a me, sembra centrale e che riproporremo anche in sede di emendamenti.
Il fatto che l'iniziativa sia stata presa in sede parlamentare direttamente dal relatore Paniz e non sia venuta, invece, da parte del Governo, fa calare solo un pallido velo formale su una promessa che non è stata mantenuta: la promessa - lo ricordiamo tutti - dello stesso Presidente del Consiglio e del Ministro Alfano che ci avevano assicurato che non ci sarebbero stati provvedimenti sospettabili di favorire il Premier o, almeno, che sarebbero venuti dopo altre riforme considerate molto più importanti, perché il Premier, come tante volte ha detto, di quei provvedimenti non ne aveva bisogno. Quella assicurazione sembra oggi caduta nel nulla ed è il turno della prescrizione breve. Domani potrebbe essere la riproposizione, sotto mentite spoglie, del processo breve, dopodomani chissà. Le contraddizioni emerse sono, dunque, palesi. È proprio il caso di dire che, alla prima curva, siete usciti dalla strada delle promesse che avevate fatto.
Avevamo posto una sola condizione, semplice, per sederci al tavolo delle riforme: cancellare il sospetto di nuove leggi ad personam. La maggioranza ha pensato bene di farlo saltare e se ne assumerà tutta la responsabilità.
Il Presidente della Repubblica, nel messaggio inviato lo scorso ottobre all'Unione delle camere penali, ha ricordato di aver più volte indicato come il tema del rinnovamento della giustizia vada affrontato con interventi non disorganici né settoriali, ma di ampio respiro. Solo un confronto scevro da sterili contrapposizioni, non influenzato dalle contingenze - diceva il Capo dello Stato -, può condurre a scelte capaci di restituire qualità ed efficienza al processo penale, dando piena attuazione al principio del giusto processo sancito dall'articolo 111 della Costituzione.
Signor Presidente, concludo e lascio così la parola poi ad altri colleghi che, su questo tema, si dilungheranno anche in maniera molto più specifica e competente del sottoscritto. Ripensateci, ripensate a Pag. 47questa norma; ci sono questioni più urgenti, più importanti che vanno affrontate nell'interesse di tutti e, soprattutto, se ne avete reale volontà, nell'interesse del dialogo su una riforma che deve vedere magistrati, politica, maggioranza ed opposizione dalla stessa parte e non gli uni contro gli altri. Siamo stufi di essere messi in campo gli uni contro gli altri su un tema che sta a cuore a tutti gli italiani, soltanto per litigare (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.

ENRICO COSTA. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento oggi all'esame dell'Aula nasce dalla presa d'atto di quella che è unanimemente riconosciuta come la maggiore criticità del sistema giustizia nel nostro Paese. Mi riferisco, ovviamente, alla durata eccessiva e spropositata dei processi. Tale problema ricorre ad ogni inaugurazione dell'anno giudiziario. Vengono stilate statistiche, raccolti dati, analizzati documenti e il risultato è sempre il medesimo. Vengono anche evidenziati tutti i dati relativi alle sanzioni sborsate dal nostro Stato proprio in ragione delle lungaggini processuali, sanzioni alle quali viene, appunto, condannato il nostro Stato.
Nel nostro Paese la giustizia viene resa con grande ritardo, con la conseguenza che l'effetto della sentenza non arriva mai ed è sostituito da quello di provvedimenti cautelari o che dovrebbero essere, invece, a garanzia dell'imputato. Mi spiego: molti magistrati, anch'essi sfiduciati verso i tempi della giustizia, largheggiano - o, forse, è meglio dire abusano - con la custodia cautelare, svincolandola dal suo reale scopo e finalizzandola a sostituire un obiettivo punitivo che difficilmente arriverà o arriverà molto in ritardo con la sentenza definitiva.
Che dire dell'effetto degli avvisi di garanzia, sentenze di condanna vere e proprie, anticipatorie di verdetti della Cassazione che arriveranno dopo anni ed anni? La presunzione di innocenza prevista dalla Costituzione è travolta, fatta a pezzi, a causa di questi perversi meccanismi che vivono e si mantengono grazie alla lunghezza dei processi. Dal verso opposto, consentono a chi è colpevole davvero di far perdere credibilità ed efficacia alla sua condanna definitiva che può giungere dopo molti anni dal fatto, su una persona che è diversa, magari molto diversa, rispetto a colui che l'ha commesso.
Un sistema giustizia di un Paese civile dovrebbe mettere al centro l'uomo, la persona, perché dietro ad ogni numero delle fredde statistiche che siamo abituati a leggere c'è una persona, una storia, ci sono emozioni, sentimenti e spesso famiglie che si logorano nell'attesa di una sentenza.
Si pensi alla sofferenza di chi è innocente e finisce nelle maglie di una giustizia gridata, fatta talvolta di magistrati che amano le conferenze stampa in cui lanciano stralci di intercettazioni, pezzi di verbale, accuse da dimostrare poi in dibattimento, facendole apparire come sentenze già emesse. Chi è innocente e finisce in questo tritacarne vorrebbe potersi difendere, vorrebbe farlo subito, immediatamente, vorrebbe far valere le sue ragioni nel processo, ma nelle more del processo vero deve difendersi sulla stampa, dove però la sentenza è già stata emessa e dove l'impatto mediatico delle accuse è molto più forte delle eventuali difese.
Ciò che è ancor più grave è che la giustizia nel nostro Paese è a macchia di leopardo. Se hai la fortuna, per così dire, di finire in tribunale a Trieste puoi contare su tempi stretti, su una giustizia rapida ed efficace, diversamente, se hai a che fare con altri tribunali, tutto cambia.
Ci chiediamo: è giusto tutto questo? Non è lo Stato tenuto ad intervenire? Ebbene, di fronte a questa situazione, che vede tra cause civili e cause penali quasi dieci milioni di fascicoli pendenti, la maggioranza ha predisposto questo provvedimento. È una proposta di legge non certo nuova visto che la primogenitura, almeno a livello concettuale, è di altri, mi pare di alcuni esponenti dell'attuale opposizione Pag. 48che peraltro oggi la disconoscono. Forse esistono convinzioni ed esistono convenienze a far valere tali convinzioni.
Così come esistono gruppi - mi riferisco ad alcuni gruppi di questa maggioranza che non fanno più parte della stessa - i cui deputati al Senato si sono espressi favorevolmente ma, dopo la loro uscita dalla maggioranza, hanno probabilmente cambiato idea.
Cosa conteneva questo provvedimento? Oggi ci troviamo ad analizzare un provvedimento che, grazie allo sforzo del relatore e della maggioranza, è stato modificato alla luce di tutta una serie di osservazioni che sono giunte. In questo provvedimento erano scanditi tempi ragionevoli di un processo, divisi per singola fase processuale in modo da individuare in modo chiaro in quale fase venisse generato il ritardo. Si parla di processo breve, ma tanto breve non era perché dai sei anni e mezzo ai dieci anni si parla comunque di tempi immensi.
Vorrei aggiungere una parentesi, che questa maggioranza arriva a questo provvedimento non certo senza aver emanato altri provvedimenti in questo tempo: la riforma della giustizia civile, severe norme antimafia, la riforma dell'avvocatura (che adesso è giunta alla Camera e che auspichiamo possa essere affrontata nel più breve tempo possibile anche dall'Aula), le norme sulla mediazione civile, numerose norme in tema di sicurezza, l'avvio della digitalizzazione negli uffici giudiziari, la predisposizione di un testo ambiziosissimo di riforme costituzionali.
Quando il Parlamento si è trovato di fronte queste norme sulla durata dei processi, auspicavamo che avrebbe dovuto discutere nel merito delle singole norme, magari migliorarle, adeguarle e rettificarle. Invece il dibattito si è spostato altrove. Il nucleo della polemica e - me lo si consenta - della propaganda è diventata la norma transitoria: l'applicazione o meno ai processi in corso. Come sempre accade quando questa maggioranza interviene in materia di giustizia, il dibattito non è sulla bontà o meno della norma, ma sui processi del Presidente del Consiglio.
La strategia dell'opposizione si è palesata sin dai primi giorni del dibattito in Commissione, quando il relatore ha chiesto di accantonare il dibattito sulla norma transitoria - che sarebbe stata espunta lo aveva anticipato sin dall'esordio del procedimento in Commissione - per concentrare gli sforzi sul merito del provvedimento. Purtroppo, è stato un appello senza esito. La tentazione di fare propaganda ha prevalso. Era certo più difficile e mediaticamente forse anche meno efficace spiegare uno sforzo per migliorare il testo, per confrontarsi punto su punto, norma su norma.
Comunque, nonostante tutto ciò, la maggioranza pur convinta della bontà della sua proposta originaria ha scelto di svelenire il clima e di riformulare il testo non solo intervenendo sulla norma transitoria, espungendola, ma anche sulla norma a regime.
È stato mantenuto il principio, è stata mantenuta la scansione temporale, è stata mantenuta l'idea di individuare dei tempi precisi in cui ragionevolmente dovrebbero svolgersi le varie fasi del giudizio, ma è stato affievolito l'effetto. L'effetto da «estinzione del processo» è passato ad un effetto di «segnalazione a determinati organi». Tutto ciò per offrire un segnale di disponibilità al dialogo, che è stato immediatamente rigettato. Anzi, l'attacco al testo si è spostato sull'emendamento del relatore in materia di prescrizione sostanziale, finalizzato ad una sacrosanta distinzione tra soggetti incensurati e soggetti recidivi.
Su questo punto intendo far rilevare all'onorevole Rao, che ho udito poc'anzi, e a tutti coloro che hanno evidenziato il rischio di esposizioni ad attività ostruzionistiche o cavillose da parte degli avvocati, che, proprio recentemente, le camere penali hanno pubblicato un testo molto interessante: un'indagine sull'attività di ventisette tribunali - tribunali piccoli e più grandi - realizzata in modo puntuale e preciso, individuando nel merito quali fossero le ragioni che creavano questa durata ad effetto «lumaca» dei processi. Pag. 49
Ebbene, la conclusione è stata che, solo in piccolissima parte, l'attività - tra virgolette - dilatoria da parte dei legali incide su questi fenomeni, anche perché, quando viene dato un rinvio a quattro, cinque o sei mesi, non vi è attività dilatoria di legale che tenga: tali rinvii sono causati sicuramente da altre cause.
Noi sappiamo qual è la ratio di un termine di prescrizione ed è ben chiaro che parte da un affievolimento dell'interesse dello Stato a punire un soggetto dopo molto tempo dal fatto. Ebbene, questa esigenza di punizione si affievolisce in modo diverso - è chiaro - a seconda che un soggetto non sia mai stato chiamato a rispondere di nulla, cioè sia un soggetto incensurato, ovvero sia un soggetto recidivo, che, in sostanza, è già ricaduto nel reato. È proprio per questo che si è giunti a tale distinzione.
Abbiamo assistito, poi, in molte circostanze, recentemente, a levate di scudi da parte, per esempio, dell'Associazione nazionale magistrati, che ha bollato la norma in oggetto come incostituzionale, in quanto, a suo avviso, la distinzione tra soggetti non avrebbe ragion d'essere nel nostro ordinamento. Si dimentica probabilmente che nel nostro ordinamento essa esiste ormai da molti anni e non mi sembra che vi siano stati magistrati che abbiano sollevato questioni di legittimità costituzionale su questo tema.
Ebbene, mi auguro che, a partire dal provvedimento in oggetto, per giungere poi ad un provvedimento molto ambizioso come quello relativo alle riforme costituzionali, si possa recuperare il filo del dialogo, che sicuramente potrà portare ad un testo di compromesso: qualche passo indietro da parte della maggioranza e qualche passo avanti da parte dell'opposizione; il tutto per un settore che, probabilmente, è stato sacrificato molte volte a demagogie propagandistiche e che, probabilmente, invece, meriterebbe un'attenzione molto più costruttiva da parte di tutti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolini. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che la norma che ci accingiamo ad esaminare in quest'Aula non sia, certamente, decisiva dei problemi italiani - ci mancherebbe - ma che si incammini verso la giusta direzione.
Non di rado sentiamo parlare di un termine reso noto da Luca Ricolfi, cioè il termine «benaltrismo», già noto: qualunque cosa fai, bisogna fare altro. Io parto dal presupposto che tutti quanti abbiamo parlato di ragionevole durata del processo e di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, ma abbiamo dimenticato una cosa, che si ricorda: uguaglianza di tutti cittadini italiani rispetto a tutti i cittadini europei.
Infatti oggi, se io fossi un imputato innocente, avrei molto più interesse a farmi processare dalla giustizia inglese, dalla giustizia tedesca, dalla giustizia francese, piuttosto che dalla giustizia italiana. Perché questo? Ripeto, se io fossi innocente, grazie a quella organizzazione giudiziaria certamente migliore della nostra, avrei la possibilità di arrivare a una pronunzia di innocenza in tempi giusti e ragionevoli. Questo non lo ricorda mai nessuno.
La norma di cui stiamo parlando, modificando quella che è arrivata dal Senato di cui è relatore l'onorevole Paniz, qui presente, si pone anche questo problema e si chiede, nella sua filosofia, cosa significhi «ragionevole»: significa non indeterminato e non arbitrario. Qui sentiamo ripetere dei «mantra» ricorrenti, come quelle cose che fanno certe religioni orientali: ripeto un termine cento volte alla fine questo produce un effetto quasi ipnotico, così qualunque cosa si proponga è sempre, surrettiziamente o nel suo profondo motivata dall'esigenza di produrre una norma ad personam.
Poco fa, il collega Costa ha detto una cosa giustissima: alla proposta di abbreviare di soli sei mesi norme già esistenti, l'associazione nazionale magistrati, un organo di soggetti molto competenti, ha gridato allo scandalo, all'incostituzionalità, dimenticando che nell'articolo 161 quelle Pag. 50norme già ci sono; semplicemente il legislatore, io ritengo nel pieno della sua facoltà innovativa dell'ordinamento, ha ritenuto di poter ulteriormente differenziare un trattamento che è già differenziato. Tra parentesi, con quale sconvolgente risultato? Che quello che si prescriveva prima in sette anni e mezzo, cioè sei anni più un quarto, si prescrive ora in sette anni, sei anni più un sesto, questi sono i termini della questione.
Poco prima la collega ha detto che tra i cittadini italiani nessuno sente il bisogno di una norma sulla prescrizione più breve; questo lo dice una persona che tra l'altro faceva il pubblico ministero nella vita e che probabilmente non si mette mai dalla parte dell'innocente. Per gli innocenti, la vera pena in Italia, oggi, non è essere condannati, perché poi esistono un'infinità di scappatoie che tutti conosciamo e che alla fine rendono la pena effettiva il più delle volte teorica piuttosto che pratica, quanto stare sotto processo.
Ho difeso una persona assolutamente innocente, comprovatamente innocente agli atti, e infatti assolta dal giudice di merito, che il pubblico ministero si è ostinatamente deciso a processare e che è stata tre anni e mezzo, senza alcuna ragione, iscritta nel registro degli indagati. Questo significa che questo signore, un giovane, se avesse dovuto cercarsi un lavoro, o presentarsi in un ufficio e gli avessero chiesto il certificato dei carichi pendenti, avrebbe dovuto esibire un certificato in cui risultava imputato per danneggiamento aggravato, lui che non aveva fatto niente e con un testimone che diceva che il danneggiamento presunto era stato commesso dal suo amico e che lui non c'entrava nulla. Questo è un caso che mi è capitato personalmente.
Mi chiedo allora se il legislatore possa intervenire in qualche modo in questa direzione. Credo che lo possa fare, anche perché non abbiamo sempre solo delle cose negative; abbiamo sentito in Commissione giustizia quasi tutti i presidenti di corte d'appello del nostro Paese che ci hanno dato il loro punto di vista, punto di vista qualificato, e ci hanno tutti detto che il vero punto di snodo, il vero collo di bottiglia è il processo d'appello, tutti ci hanno portato un quadro veritiero, non tanto statistiche ministeriali astratte, quanto esperienza viva.
Ebbene, costoro ci hanno fornito anche dei dati e abbiamo scoperto che ci sono delle differenze incredibili di rendimento a parità di norme: certi tribunali, certe corti d'appello i processi li fanno, li fanno bene e li fanno in tempi ragionevoli e addirittura con meno risorse di altri. Abbiamo paradossalmente l'effetto per cui chi ha meno organico, molto spesso ha una produttività addirittura tre volte superiore; vi do dei numeri precisi: Roma ha un consigliere ogni 31.924 abitanti, Venezia ne ha uno ogni 95892, tre volte tanto; lo stesso vale per Bologna che ne ha 70.327 sempre contro 31.924, più del doppio; lo stesso vale per il personale amministrativo.
Dobbiamo chiederci se nell'ambito di questa riforma dobbiamo cominciare ognuno a guardare - e la magistratura per prima - anche a una diversa distribuzione delle forze e del personale a lei direttamente riferibile. Sappiamo, invece, che quando lo stesso CSM propone un trasferimento d'ufficio, per colmare delle lacune - come ad esempio al tribunale di Paola, il cui presidente ha fatto sapere che, avendo carenza di 15 giudici non può più assicurare quel minimo di giustizia penale - questi provvedimenti presi da magistrati e non dal potere politico, vengono regolarmente impugnati al fine di verificarne in modo - se non ricordo male - totalitario l'effetto.
Quando parliamo del cittadino italiano che ha diritto ad essere altrettanto ben giudicato come il cittadino europeo, non diciamo nulla di clamoroso. Credo che questa norma si incammini non con una finalità - come detto poc'anzi - di favorire questo o quell'imputato, ma con quella di favorire tutti gli imputati e di favorire, in piccola misura, quegli imputati che, essendo incensurati, possono ritenersi più prevedibilmente innocenti e, quindi, maggiormente afflitti da un processo che non finisce mai. Non vi vedo nulla di clamoroso.
Pag. 51Venendo al merito, credo che si riscontri un modestissimo effetto innovativo sui termini di prescrizione massima e, ricordo, non sulla prescrizione ordinaria. La prescrizione ordinaria, cioè, resta di sei anni, così com'è - e sei anni non sono pochi a nostro avviso, perché negli altri Paesi svolgono tre processi, mentre noi non riusciamo a farne uno - e, laddove questo termine venga sforato, comunque, non si potranno superare dei termini massimi. Abbiamo già, quindi, nell'ordinamento un'opportunità di valutare la colpevolezza o l'innocenza del soggetto, in un tempo assolutamente adeguato.
Forse bisogna meglio organizzarsi, ma questo dipende anche dalla magistratura, come dicevo. Abbiamo avuto un caso, che è stato criticato: la cosiddetta «circolare Maddalena». Si tratta di un giudice che, togliendosi ogni paravento ideologico e il feticcio dell'azione penale obbligatoria, ha detto che è inutile svolgere i processi morti. È esattamente quello che fanno in Francia, dove gli irreperibili, quelli che non sono individuati, non li processano nemmeno, perché dicono che processare un fantasma, uno che tanto non prenderai mai, è una pura perdita di tempo. Sarà pragmatismo francese, benissimo, ma proviamo a introdurre questa norma - come Paniz ha ben intuito - per introdurre un minimo di pragmatismo anche nel nostro ordinamento, senza effetti devastanti, come invece ho sentito dire.
Vi è chi dice che noi pensiamo all'innocente e al colpevole, ma non è così, noi vogliamo che il processo duri poco, e questa maggioranza è convinta che anche questa misura serva a stimolare, in ogni operatore giudiziario, vuoi che sia il magistrato, il funzionario di cancelleria o l'ufficiale giudiziario, un maggior senso di responsabilità e un maggior senso di attenzione al proprio lavoro.
Ho sentito dire poco fa in Aula che la colpa sarebbe degli avvocati, ma da che mondo è mondo gli avvocati - che, tra l'altro, si chiamano normalmente difensori - hanno il dovere professionale di sfruttare tutte le pieghe dell'ordinamento. Mi dispiace che si imputi a una categoria, che fa il suo lavoro, di applicare la legge, semmai, come poco fa ha ricordato ancora una volta il collega Costa - che, facendo l'avvocato lo sa bene - laddove si incappa in un magistrato che percepisce la volontà puramente dilatoria della tua condotta, anziché darti un rinvio di un anno, ti darà un rinvio di tre mesi. A quel punto la volontà dilatoria viene meno.
Questo da cosa dipende? Dall'attenzione del singolo giudice alla singola causa. Il giudice, con questa norma, sarà ancora più portato a studiare le cause, a guardarle con attenzione, e a far sì che quella che è prossima alla prescrizione, magari venga non curata con la particolare attenzione, se è impossibile arrivare ad una sentenza definitiva, mentre quella che si può recuperare dalla giustizia sia portata a buon fine.
Credo anche che molto spesso l'atteggiamento dell'opposizione sia davvero contrario ad ogni riforma per quella pregiudiziale ideologica - il più delle volte dichiarata, molte volte sottintesa - per cui ogni cosa che si compie è fatta nell'interesse di una specifica persona. Viceversa, non è così, palesemente: Paniz prima è stato ripreso dal collega per aver ricordato che, se avesse voluto seguire quel fine, avrebbe potuto tranquillamente lasciare la norma così come era, intendendo tutt'altra cosa, ma questo è il senso. Invece, così non è: non era prima e non è ora.
Alla fine dobbiamo concludere con una piccola replica strettamente connessa a questo provvedimento. Va ricordata la materia della responsabilità, su cui si è polemizzato anche nel dibattito relativo a questa norma. Giustamente si dice: perché il magistrato non deve rispondere e il medico sì? Il medico svolge una funzione altrettanto importante di quella del magistrato ed è giusto così. Penso che nessuno abbia dubbi sul fatto che il medico che sbaglia qualche cosa, debba rispondere del suo operato davanti ad un giudice terzo. Così pure dovrebbe fare il magistrato.
Quindi, riteniamo che il dibattito possa ben incanalarsi con queste premesse e che il testo possa eventualmente venire migliorato. Sarebbe interessante farlo con il Pag. 52concorso dell'opposizione, laddove questa - anziché limitarsi ad un atteggiamento pregiudiziale - potesse concorrere seriamente con emendamenti utili al miglioramento della norma e contribuire ad apportare questa innovazione nel nostro ordinamento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Samperi. Ne ha facoltà.

MARILENA SAMPERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Caliendo, oggi discutiamo in Assemblea su una proposta di legge dal titolo roboante: misure contro la durata indeterminata dei processi. Si tratta di un tema che non può che raccogliere la condivisione dei parlamentari, della magistratura e dei cittadini. La declinazione però che di questo giusto e legittimo principio, condivisibile e condiviso da tutti, ha fatto la maggioranza ha suscitato l'indignazione delle opposizioni, degli operatori del diritto e di molti cittadini di buon senso.
Il provvedimento, infatti, non è che una tagliola ai processi pendenti più che una cura ai mali del sistema giustizia. È l'ennesima legge - qui lo ribadisco e dimostrerò perché - a favore del Presidente del Consiglio più che un rimedio alla insostenibile lungaggine dei tempi processuali. Il provvedimento, che è stato ampiamente rimaneggiato con emendamenti del relatore, neanche nella sua stesura originaria rispondeva alla necessità di dare attuazione all'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (obiettivo che i presentatori esplicitavano nella relazione di accompagnamento), ma piuttosto finiva con il negarla.
Il testo, infatti, non era compatibile con le esigenze della Convenzione europea, perché non teneva conto della complessità del procedimento e del comportamento delle parti processuali. Inoltre, fissava un termine solo con riferimento alla sanzione, senza tener conto della natura del reato e della maggiore o minore necessità dell'accertamento richiesto in concreto, eludendo un dato che può essere assai più indicativo dell'indice di gravità del reato stesso. Per esempio, i processi di insider trading, puniti con la pena di due anni (quindi, una sanzione lieve rispetto alla gradazione della pena di tanti altri reati) sono estremamente complessi sotto il profilo dell'esame documentale.
Quindi, quello non è un indice che possa essere sufficiente e neanche attendibile e, soprattutto, non teneva conto della tutela delle vittime del reato. Piuttosto, si poneva in contrasto con alcuni obblighi internazionali dell'Italia come quello dell'esigenza di mettere in opera una procedura giudiziaria idonea a concludersi con la repressione dell'illecito.
Per esempio, in materia di corruzione l'efficace repressione è un obbligo che l'Italia ha ufficialmente assunto nei confronti dell'Unione europea e l'Europa per questo ha già chiesto giustificazione più volte allo Stato italiano dei casi di prescrizione dei procedimenti riguardanti la corruzione. Molti di questi vizi, seppure in misura ridotta, permangono nel testo emendato. Inoltre, il provvedimento né incideva né incide positivamente sul problema annoso della durata eccessiva dei processi, che ha cause complesse e stratificate nel tempo, mai affrontate efficacemente e che non possono essere risolte miracolisticamente, con un tocco di bacchetta magica.
Abbiamo tutti la consapevolezza che i dati dello stato della giustizia in Italia sono drammatici. Lo ha relazionato, nelle sue comunicazioni alla Camera, anche il Ministro Alfano in occasione, appunto, della comunicazione annuale. Vi sono 5.381.427 procedimenti civili pendenti e 3.341.261 procedimenti penali pendenti. Questa enorme mole di lavoro, che non ha eguali negli altri Paesi europei, viene gestita da poco più di novemila magistrati togati e da 46 mila unità di personale giudiziario, che ha anche il carico di effettuare circa 28 milioni di notifica manuali ogni anno. Il 12 per cento dei soli processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica e ben 170 mila processi vengono dichiarati prescritti. Pag. 53
Cercare rimedio a questa situazione così grave e così drammatica senza analizzare le cause è irragionevole, oltre che irresponsabile. Come fare a non tenere in considerazione il livello di contenzioso italiano pari a quello di Francia, Germania e Spagna messe insieme? Ricordo, altresì, le lentezze della procedura, i formalismi esasperati che lungi dall'essere frutto di garantismo diventano strumentali mezzi per dilatare i tempi processuali, lo stato inadeguato delle risorse e del personale (primo fra tutti la carenza di cancellieri) e il collasso dell'organizzazione del processo penale. E come fare a non tenere in nessun conto l'avvertimento che ci viene da esperti e da operatori del diritto e che è stato formalizzato nei lavori della commissione Riccio che la prescrizione, se vista nella sua eccezionalità, può funzionare come agente terapeutico, perché può sollecitare efficienza e rigore organizzativo. Tuttavia, essa può diventare agente patogeno in caso contrario, perché scoraggia le premialità trasparenti e legali dei riti alternativi, impedendo al processo accusatorio di potere funzionare e incentivando tecniche dilatorie, con moltiplicazione delle impugnazioni.
La domanda a cui non risponde questa proposta di legge, neanche così come emendata, ma alla quale non ci possiamo sottrarre è se questa normativa sia in grado di conseguire lo scopo dichiarato, quello cioè di abbreviare la durata dei processi, perché rimane sempre questo il titolo della proposta di legge.
Eppure, da operatori del diritto, professori universitari, avvocati, magistrati, studiosi ed esperti erano state indicate, in modo preciso, misure necessarie su cui si era determinata un'ampia convergenza e che avrebbero potuto - queste sì - intervenire sul sistema giustizia, migliorandolo. Si era proposta la riorganizzazione degli uffici giudiziari, una nuova definizione dei distretti, la modifica dei codici di rito per snellire le procedure e superare formalismi superflui, la depenalizzazione delle fattispecie a minore impatto sociale, il sostegno ai riti alternativi, l'ammodernamento delle strutture, l'informatizzazione, la riqualificazione del personale di cancelleria, la razionalizzazione della copertura dei ruoli, le previsioni di preclusioni endoprocessuali in tema di competenza e invalidità degli atti, l'eliminazione del giudizio contumaciale a favore dell'istituto dell'assenza consapevole e informata dell'imputato, l'inammissibilità delle impugnazioni manifestamente infondate o aspecifiche.
Ma, di tutti questi contrappesi, di tutte queste indicazioni per arrivare alla diminuzione della lungaggine dei tempi processuali non vi è traccia nella proposta di legge. Si tratta, ancora una volta, di un'occasione perduta per migliorare il sistema giustizia. Si continua a fingere di ignorare le cause che ne determinano l'insopportabile lunghezza, o forse l'obiettivo vero di questa proposta è quello di sfuggire alla giurisdizione, interrompendo i processi nel corso del loro svolgimento invece di farli concludere rapidamente. Si tratta di un modello di giustizia sommaria, in cui non si contrasta la lentezza dei tempi, intervenendo sulle ormai ben note cause - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente - ma riducendo ancora i tempi di prescrizione del reato. Cosa è rimasto della proposta originaria? Sono stati eliminati tutti gli articoli che riguardavano l'introduzione delle prescrizioni processuali sia per i procedimenti civili e penali, che per quelli contabili; è stata eliminata l'istanza di sollecitazione e, in cambio, è stato introdotto un emendamento che taglia i tempi della prescrizione sostanziale per gli incensurati, appena una sforbiciata, quanto basta. L'abbreviazione della prescrizione sostanziale, in una situazione che di fatto sancisce l'estinzione dei processi, indurrà ad un inevitabile allungamento dei tempi, funzionale al maturare della prescrizione. Questo prevalere del tecnicismo mortificherà l'obiettivo fondamentale del processo a favore della ricerca del tempo della prescrizione, con buona pace della tutela delle vittime dei reati e con buona pace della giustizia, che vede, ancora una volta, l'introduzione di insopportabili norme derogatorie a favore anche - non solo, ma anche - del Presidente del Consiglio, Pag. 54visto che non migliora minimamente lo stato della giustizia. Che ne è stato dell'impegno assunto dal Ministro Alfano di non avanzare proposte che avrebbero potuto avvantaggiare l'onorevole Berlusconi?
Signor Presidente, dovendo concludere, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Samperi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, fa un certo effetto leggere sull'ordine del giorno della seduta odierna che ci stiamo ancora occupando di un provvedimento che reca il titolo: «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione», l'articolo 111 della Costituzione parla di giusto processo, «e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali», l'articolo 6 della Convenzione europea parla di processo equo. Fa un certo effetto soprattutto a chi continua a sostenere che la lentezza dei processi e l'imprevedibilità del loro esito sono vere e proprie contraddizioni dei diritti individuali dei cittadini e non fanno altro che contribuire a creare un clima di sfiducia e di diffidenza verso il sistema giudiziario.
Ecco perché noi, fin dall'inizio, abbiamo condiviso l'idea di una riforma della giustizia che significasse innanzitutto ottenere giudizi certi e più rapidi attraverso una razionalizzazione del sistema e che consentisse una maggiore prevedibilità per i cittadini rispetto alle conseguenze giuridiche dei loro comportamenti perché lo Stato è forte solo quando la giustizia e il rispetto delle regole sono punti fermi di riferimento nella vita dei consociati.
Quindi, altro che pregiudiziale ideologica da parte delle opposizioni, collega Paolini.
La verità è che nel corso dei due anni di lavoro su questo provvedimento abbiamo dovuto constatare che questa visione, se volete ideale del diritto, non sempre ha trovato riscontro nella realtà politica del nostro Paese, anzi spesso si è fatto di tutto per aggirare e contraddire quei principi che riteniamo essere il cardine del sistema giustizia e di tutto l'ordinamento italiano.
Il processo breve o giusto, come ama definirlo il Ministro Alfano, poteva rappresentare davvero un passo avanti per questo Parlamento perché idealmente può rispecchiare questa «romantica» concezione del sistema processuale; invece ci troviamo di fronte ad un testo che non solo non sviluppa il principio della ragionevole durata secondo il dettame dell'articolo 111 della Costituzione ma ha finito per snaturare del tutto l'essenza del processo stesso.
Il processo equo, il processo breve è per tutti noi un'idea cui l'ordinamento deve fare lo sforzo di tendere, ma il testo che approda oggi in Aula non ha molto a che vedere con questo principio, tant'è che noi dell'Unione di Centro abbiamo presentato un emendamento per modificare già il titolo di questa proposta oggi all'esame della Camera. Ancor meno hanno a che vedere con i principi cui ho fatto riferimento la riduzione di termini di prescrizione dei reati e la continua confusione che la maggioranza fa tra il garantismo e l'impunità, perché è proprio l'impunità per gli autori di gravi delitti il primo rischio della riduzione dei termini di prescrizione.
Il testo sul processo breve nel corso del suo iter in Commissione è stato del tutto svuotato della sua ratio originaria: dopo lo stralcio della norma transitoria, le modifiche introdotte in materia di prescrizione rappresentano ormai - lo abbiamo anche visto in questo inizio di discussione sulle linee generali - l'unico tema che interessa alla maggioranza in nome di quella rincorsa Pag. 55alla riduzione dei tempi e della nullificazione dei processi che ne è la conseguenza diretta.
Già con la legge «ex Cirielli», come ricordava il collega Rao nel suo intervento, i termini di prescrizione dei reati furono drasticamente ridotti tanto che, come ci ha segnalato la stessa associazione nazionale magistrati, nel 2009 il numero dei reati estinti per prescrizione è stato di oltre 140 mila, cioè in un solo anno più di 140 mila persone accusate di un reato hanno usufruito della scappatoia della prescrizione. Ecco che espedienti come questo rappresentano una disfatta per il sistema penale, che non dà certezza ai cittadini sulla responsabilità dei reati e creano un danno anche a quelle vittime che inevitabilmente non hanno modo di ottenere giustizia.
Noi non ci siamo mai posti pregiudizialmente nei confronti di questo provvedimento, ma a nulla è servito volerlo affrontare nel merito, perché la maggioranza ha deciso di tagliare i tempi di prescrizione senza accettare nemmeno il confronto sui criteri per effettuare tali cambiamenti. Si pensi ad esempio alla scelta di riservare un trattamento premiale allo stato di incensuratezza: al di là delle considerazioni politiche ed anche al di là delle agevolazioni che la legge già prevede per il reo - lo ricordava l'onorevole Paniz - che non ha commesso reati in precedenza, qual'è la ragione che spinge alla differenziazione del regime di prescrizione del reato in ragione dell'imputato? È evidente il contrasto con i princìpi costituzionali di uguaglianza e di ragionevolezza.
Un provvedimento simile riconoscerebbe un privilegio al semplice fatto di comportarsi senza violare norme di rilevanza penale, facendo venir meno qualsivoglia funzione preventiva della pena e rendendo sempre più difficile la concreta possibilità di portare a termine un procedimento penale fino all'accertamento definitivo. Le modifiche introdotte in Commissione dal relatore, dal collega Paniz, hanno ridotto in particolare - lo voglio ricordare - da un quarto ad un sesto il limite massimo di prescrizione del reato, ma soltanto per gli incensurati e per i processi di primo grado. Ciò implica anzitutto che un procedimento con imputato incensurato si avvii più rapidamente alla prescrizione, con ciò indebolendo la portata dissuasiva della minaccia di pena per coloro che non hanno ancora mai violato la legge penale, ovvero per l'unico target al quale la minaccia di pena si rivolge. Tale previsione potrebbe avere, inoltre, l'effetto di incitare a delinquere, tra virgolette, proprio quei soggetti che ancora non l'hanno fatto, peraltro dando un segnale di indebolimento della politica criminale dello Stato e di affievolimento della tutela penale in generale. Si consideri che il verificarsi di cause interruttive è fatto tutt'altro che raro nel corso del processo. Le cause interruttive sono da considerarsi, al contrario, eventi appartenenti alla fisiologia del processo. La richiesta di rinvio a giudizio o il decreto di fissazione dell'udienza preliminare sono degli esempi. Di conseguenza, intervenire sui limiti massimi dei termini di prescrizione in caso di loro interruzione, riducendoli, significa operare una riduzione di scala del termine reale di prescrizione di tutti i reati. Farlo solo per la categoria degli incensurati comporta, inoltre, l'accentuazione di quella linea di politica criminale, che è tanto criticata in dottrina - lo sapete meglio di me -, del cosiddetto diritto penale del nemico. In breve, è come se si creassero due filoni penalistici paralleli, quello dell'amico, nel nostro caso l'incensurato, per il quale la legge penale è più mite, quello del nemico, nel nostro caso il recidivo, per il quale la legge penale è più aspra. Le critiche a tale impostazione si fondano sul totale rigetto della possibilità di creare una giustizia per classi, ovvero una serie di leggi ad personam o per categorie ad hoc.
Signor Presidente, capisco che al sottosegretario Caliendo queste considerazioni possono anche non interessare, però penso che non si possa parlare senza il rappresentante del Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Ria, le chiedo scusa, ma non ce ne siamo accorti.

Pag. 56

LORENZO RIA. Siccome sono di fronte, per me è più facile. Stavo proprio cercando di guardare negli occhi il sottosegretario, che tra l'altro so essere un interlocutore attento soprattutto alle considerazioni che riguardano le politiche criminali.

PRESIDENTE. Onorevole Ria, lo stanno chiamando. Se vuole può aspettare.

LORENZO RIA. Continuo perché so che sta arrivando.

PRESIDENTE. È una pausa tecnica, onorevole Ria.

LORENZO RIA. Chiaramente sono due o tre minuti che poi si aggiungeranno al tempo che ho a disposizione.

PRESIDENTE. Sicuramente, ne ha già tanto, ma arriveremo al massimo.

LORENZO RIA. Signor sottosegretario, alla fine avremmo preso un caffè insieme.
Dicevo che la nostra critica all'impostazione del diritto penale del nemico e di quello dell'amico si fondano sul totale rigetto della possibilità di creare una giustizia per classi, ovvero una serie di leggi ad personam o per categorie ad hoc, dal momento che il diritto penale in uno Stato liberale punisce il fatto di reato e non il reo e tutela beni giuridici e sanziona la loro aggressione a prescindere dal tipo di autore.
Per tale motivo, parliamo di diritto penale del fatto e non di diritto penale dell'autore, caratteristico, quest'ultimo, per intenderci, dei regimi totalitari. Signor sottosegretario, un fatto che la legge considera penalmente illecito è tale perché danneggia un bene giuridico che lo Stato ha ritenuto meritevole di tutela penale. Ciò che ne deriva in termini di lesione del bene giuridico, che sia, di volta in volta, la persona, il patrimonio, la pubblica fede o l'amministrazione della giustizia, è un danno ugualmente rilevante, a prescindere da chi lo abbia posto in essere.
Non si può giustificare una riduzione dei termini prescrizionali per gli incensurati sulla base di una previsione già esistente, peraltro introdotta con la legge ex Cirielli, di termini più lunghi per i recidivi. Su questo argomento so che si è soffermato molto il collega Paniz. Quest'ultima previsione, per quanto criticabile, si basa, onorevole Paniz, su una diversa ratio, che giustifica una sorta di rinvigorimento della potestà punitiva statale, che perdura per un tempo più lungo nei confronti di chi ha già avuto condanne penali passate in giudicato e, ciononostante, ha nuovamente commesso reati.
È un fatto che di per sé denota un fallimento del sistema sanzionatorio, specie sotto il profilo della rieducazione del reo. Se i tempi di prescrizione dei reati sono resi ancora più ristretti solo per gli incensurati, l'effetto più devastante ricadrà sul sistema complessivo. Non si arriverà quasi mai ad una sentenza di merito, che sia di condanna o di assoluzione; in compenso, sulla carta avremo sempre più incensurati e sempre meno recidivi. Solo sulla carta, però.
Saranno incensurati non perché all'esito di un processo giusto un giudice li ha pienamente assolti, ma perché per legge il processo non si è potuto portare a termine causa scadenza ravvicinata. In realtà, chi ne farà le spese saranno non solo i cittadini offesi dal reato, ma la società tutta in termini di incertezza sulla delinquenza reale. Inoltre, va segnalato che la clausola contenuta al secondo comma dell'ex articolo 4-bis, introdotto dal relatore, in base alla quale le nuove disposizioni non si applicherebbero ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stata già pronunciata una sentenza di primo grado, potrebbe essere esposta a profili di illegittimità costituzionale, data la ormai riconosciuta natura di norma sostanziale dell'istituto della prescrizione del reato.
L'incostituzionalità potrebbe essere rilevata in ordine al principio di retroattività della cosiddetta lex mitior, la legge più mite, affermatosi da tempo come principio nelle pronunce della Corte. Ancora, l'ex Pag. 57articolo 5, che poi è divenuto 4 nella stesura definitiva, impone l'obbligo di segnalare i giudici requirenti e giudicanti al Ministro della giustizia, oltre che al procuratore generale presso la Corte di cassazione, determinando così l'apertura di una serie di numerosi procedimenti disciplinari per superamento dei termini di durata massima del processo fissati per fase a processo già in corso, peraltro applicabili contestualmente all'entrata in vigore della proposta di legge.
Noi abbiamo sostenuto che, per apportare una simile modifica, che riteniamo disfunzionale allo scopo della riduzione dei tempi processuali, posto che prevede unicamente l'apertura di numerosissimi procedimenti disciplinari fondati su un criterio del tutto nuovo, senza incidere in alcun modo sul processo, sia necessaria una legge costituzionale, dato che andrebbe ad incidere, da ultimo, sull'equilibrio dei poteri dello Stato, e più precisamente sulla distinzione tra potere esecutivo e potere giudiziario.
Ciò in relazione al fatto che è previsto come destinatario della segnalazione il Ministro della giustizia. Valutazioni di tal genere non possono essere svolte in sede di approvazione di una proposta di legge originariamente destinata a tutt'altro scopo, in maniera disorganica e lacunosa, come avverrebbe in questa fase.
Per tale ragione abbiamo richiesto e torniamo a chiedere e a proporre una modifica soppressiva delle disposizioni che sto citando, proposta che, naturalmente, è rimasta del tutto inascoltata in Commissione, a dispetto del clima collaborativo che sia il Presidente del Consiglio, sia il Ministro Alfano hanno garantito all'opposizione sulle tematiche della giustizia. Un impegno, questo, sistematicamente violato soprattutto in queste ultime settimane, perché è evidente che si fa fatica a perdere l'abitudine di fare il gioco delle tre carte. Da un lato, si promette solennemente lo stralcio delle norme ad personam e poi, subito dopo, si fa rientrare di soppiatto un emendamento «paracadute» per gli incensurati. Dapprima si promette concertazione sulle riforme della giustizia, poi si inseriscono in maniera occulta disposizioni di grande portata innovativa nella prima legge utile.
Mentre si cerca, da un lato, di aprire la discussione sulle riforme importanti che stanno per innovare completamente l'ordinamento giudiziario, improvvisamente, si adottano metodi che inevitabilmente compromettono il clima dei rapporti tra maggioranza ed opposizione. Non credo che si possa ulteriormente andare avanti con questi metodi.
Noi del gruppo Unione di Centro siamo rammaricati per l'assenza di un reale dialogo con la maggioranza che, come al solito, non ha voluto prendere in considerazione, nemmeno in questa ennesima occasione di confronto, anche le soluzioni alternative proposte dall'opposizione.
Abbiamo sollecitato più volte il Parlamento a mettere mano al sistema processuale attraverso, per esempio, un incentivo agli strumenti deflativi - su questo tema è stato presentato un emendamento dal collega Rao - attraverso la revisione delle circoscrizioni, attraverso l'aumento dell'organico dei magistrati e, soprattutto, delle risorse per la giustizia, dal momento che i tagli, come abbiamo sempre detto, non possono essere generalizzati, lineari, ma devono tendere a stabilire anche un ordine di priorità dei tagli, pur necessari alla spesa pubblica. Abbiamo proposto il completamento del processo di informatizzazione delle procure.
Questi sono tutti provvedimenti che davvero alleggeriscono il carico del sistema e, allo stesso tempo, non minano i principi di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e del giusto processo come invece fa il testo in esame nella sua ultima versione.
È evidente che se si arriverà ad un'ulteriore riduzione dei termini di prescrizione, senza prevedere nessun altro intervento che assicuri un migliore funzionamento del sistema giudiziario nel suo complesso, l'unico riflesso di questa norma sarà l'incremento del numero dei processi destinati alla prescrizione.
Mi auguro, ci auguriamo, che l'Aula nel corso dei lavori di questi giorni abbia la lungimiranza di guardare a questo provvedimento Pag. 58alla luce della Costituzione e delle garanzie di giustizia e di imparzialità che tutti siamo chiamati a salvaguardare, al di là di ogni legame di partito.
Dobbiamo tenere conto delle conseguenze per i cittadini che deriveranno dal nostro voto e non solo delle conseguenze per il futuro politico del Presidente e onorevole Berlusconi. Sono più di tre anni che assistiamo, infatti, ad un continuo alternarsi di proposte di provvedimenti in virtù delle vicende giudiziarie del Premier.
È sotto gli occhi di tutti che il lodo Alfano, la proposta Costa-Brigandì sul legittimo impedimento, l'iter intermittente che questa proposta di legge sul processo breve ha vissuto (dapprima approvato dal Senato, poi abbandonato e riesumato al bisogno), la proposta di legge Vitali immediatamente sconfessata dallo stesso PdL, perché troppo evidente era il vantaggio che ne derivava per il premier, sono tutte vicende tristissime e non solo per la giustizia italiana, ma anche per il Parlamento e le Commissioni, che sono costretti a confrontarsi quotidianamente con l'espediente di turno che risolva le vicende giudiziarie del premier, proprio lui che da uomo pubblico non solo dovrebbe dare l'esempio di chi incarna un'etica di responsabilità che in Italia fatica ad attecchire, ma dovrebbe anche rinunciare alla prescrizione per dimostrare la propria innocenza nel processo.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Ria.

LORENZO RIA. Ho concluso, signor Presidente. Non so se il lavoro di questi giorni potrà partorire un provvedimento migliore di quello che oggi esaminiamo. Io mi auguro che anzitutto possa farsi un passo indietro sulle modifiche da ultimo introdotte dal relatore, ancora una volta definibili ad personam, e soprattutto che si archivi definitivamente quest'irragionevole abitudine alla ricerca del cavillo salva-premier, che non fa altro che prendere in giro i parlamentari per primi e, di conseguenza, anche tutti gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciriello. Ne ha facoltà.

PASQUALE CIRIELLO. Signor Presidente, in apertura di questo mio intervento vorrei formulare un facile pronostico, cioè che la proposta di legge ora in discussione, qualora dovesse essere condotta in porto così come licenziata a maggioranza dalla Commissione giustizia, sarà una di quelle che maggiormente segnerà questa legislatura e la segnerà, purtroppo, in senso negativo e non certo positivo.
Non mi è difficile argomentare quest'affermazione. Non sono mancati, infatti, sinora provvedimenti mirati unicamente a consentire al Presidente del Consiglio di uscire dai processi nei quali risulta coinvolto. Valga per tutti il richiamo al lodo Alfano o al legittimo impedimento, solo che quei provvedimenti avevano il pregio, per così dire, di presentarsi palesemente, al di là di ogni affabulazione retorica, secondo la loro vera natura. Erano cioè provvedimenti ad personam con il problema, peraltro, di non avere seguito la via obbligata dalla legge costituzionale e di essere pertanto incorsi nelle censure della Consulta.
In questo caso, invece, l'operazione è più sofisticata, poiché la proposta è stata presentata come tesa ad offrire garanzie a tutti i cittadini ove coinvolti in un processo. Questa è la facciata, ma, a ben vedere, la sostanza e l'obiettivo perseguito non sono mutati affatto e qualcuno ha già fatto argutamente notare che parlare nel titolo di «misure a tutela del cittadino» e non già dei cittadini, è una sorta di lapsus calami, in cui sono evidentemente incorsi i proponenti. Aggiungerei di mio che, essendo il diritto di difesa, ovvero il diritto alla giustizia, garantito dall'articolo 24 della Costituzione a tutti, cittadini e non cittadini, non si comprende bene perché queste misure di tutela dovrebbero riguardare i soli cittadini.
Ma andiamo con ordine, giacché, ora che siamo in dirittura di arrivo, volgendo lo sguardo all'indietro, tanti passaggi relativi a questa proposta di legge si possono inquadrare nella loro luce più corretta. Pag. 59
La vicenda inizia con un'operazione apparentemente banale, che definirei di «slittamento semantico»: si è cercato, cioè, di convincere l'opinione pubblica che l'articolo 111 della Costituzione, nella sua rinnovata formulazione, avesse sancito il principio del processo breve, laddove una lettura, anche cursoria, di questo articolo può agevolmente dimostrare che ad essere costituzionalizzato è stato il principio del giusto processo. Naturalmente nessuno nega che la brevità possa costituire uno degli strumenti utili a condurre al giusto processo ma, appunto, si tratta di uno solo di questi strumenti. Il che vuol dire che qualora in funzione della brevità si dovessero sacrificare uno o più degli interessi coinvolti in ogni vicenda processuale, il processo, ancorché breve, ben potrebbe essere ingiusto e, come tale, contrario al dettato costituzionale.
A questo punto, citando spesso a sproposito normative comunitarie e pronunzie della Corte di giustizia, si è sostenuto che il processo breve rappresenti una sorta di obbligo cui saremmo chiamati in ragione della nostra appartenenza all'Unione europea. Da questa falsa rappresentazione della realtà è originata la fissazione dei cosiddetti termini di fase, come sappiamo, una sorta di vera e propria ghigliottina processuale. È appena il caso di ricordare che l'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali recita testualmente: «Ogni persona ha diritto a un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole». La norma richiama, cioè, la ragionevole durata, già presente nell'articolo 111 della nostra Carta fondamentale.
In terzo e ultimo luogo, i termini di fase, divenuti misteriosamente non più obbligatori, vengono sostanzialmente cancellati e dal cilindro viene estratto, secondo copione, il classico coniglio, qui rappresentato dall'articolo 3, ex 4-bis, sul quale mi soffermerò brevemente più avanti. Per essere chiari, noi del Partito Democratico siamo stati drasticamente contrari all'introduzione dei termini di fase, per il sacrificio che avrebbero comportato degli interessi di migliaia e migliaia di persone in attesa di giustizia. Plaudiamo dunque alla loro eliminazione. Ciò non toglie che sia lecito porsi una domanda: davvero si vuol far credere che il previsto obbligo di segnalazione al Ministro di giustizia e al Procuratore generale della Corte di cassazione dell'avvenuto superamento dei predetti termini rappresenti una reale forma di tutela per il comune cittadino? Sinceramente mi piacerebbe incontrare una sola persona che si dichiari soddisfatta da questa ipotizzata procedura.
Signor Presidente, com'è largamente noto, nel suo Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Marx scrisse che nella storia gli accadimenti si presentano due volte, una prima come tragedia e una seconda come farsa. Ebbene, facendo applicazione di questa affermazione, sulla scala evidentemente assai più circoscritta della questione che ci occupa, potrei dire che, mentre la prima versione del processo breve rappresentava la tragedia per gli effetti deflagranti che avrebbe prodotto, quest'ultima ne è fatalmente la riproposizione in chiave farsesca.
E veniamo, infine, alla cosiddetta prescrizione breve. Una prima considerazione di metodo: non è più accettabile che vengano presentate e pubblicizzate versioni di un testo su cui si spendono tesori di tempo ed energia per arrivare, poi, in limine litis, a un repentino cambio di scena, con ogni verosimiglianza scientemente preorganizzato, il tutto in spregio di chi esercita il pur fondamentale ruolo di opposizione.
Nel merito, per economia di tempo, mi limito a segnalare che la normativa proposta, in quanto fondata sulla condizione soggettiva di incensurato - un incensurato che per giunta e chissà perché non abbia ancora ottenuto la sentenza di primo grado - è palesemente in contrasto con quel criterio di ragionevolezza che da sempre costituisce il parametro alla stregua del quale la Corte costituzionale valuta il rispetto o la violazione del principio di uguaglianza, sicché non è difficile prevederne la sorte futura. Pag. 60
La circostanza che mentre se ne discuteva in Commissione ci si è inopinatamente trovati a parlare dell'opportunità o meno di tornare alla vecchia formulazione dell'articolo 68 della Costituzione, e cioè all'immunità parlamentare (che come è noto con la condizione dei comuni cittadini non ha nulla a che vedere), la dice lunga sul significato reale di questa norma.
Concludo, signor Presidente, dichiarando con grande amarezza che questa vicenda, per come si è venuta gradualmente delineando, appare profondamente degradante per la dignità di questa Assemblea e per quella di quanti vi operano con l'occhio rivolto all'interesse generale. Noi faremo di tutto perché questa dignità venga reintegrata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallaro. Ne ha facoltà.

MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, uno dei più prestigiosi e antichi ordini cavallereschi del mondo, l'Ordine della Giarrettiera, ha per motto: Honi soit qui mal y pense. Ora, io penso che se il Governo e la sua maggioranza dovessero istituire un ordine cavalleresco per premiare chi si è illustrato o si illustrerà di iniziative in merito di giustizia, dovrebbero istituire un ordine il cui nome non so se sarebbe scelto alla stessa stregua (anche se i tempi remoti e quelli moderni in questo caso suggerirebbero di adottare la stessa denominazione), ma soprattutto credo che dovrebbero adottare un motto di diametralmente opposto e simmetrico: Honi soit qui bien y pense. Infatti in questa condizione - come già molti ed autorevoli colleghi hanno detto - non è un dubbio, non è un sospetto ma è una certezza che le iniziative legislative presentate con tanta enfasi e con tanta accorata passione non abbiano che come modesto scopo quello di tentare di aggiustare processi o di intervenire in fattispecie personali.
Ovviamente lo dico non perché questo contraddica o contrasti con quanto noi abbiamo detto in quest'Aula, o precedentemente in Commissione, ma perché il 20 gennaio, quindi un paio di mesi fa, con molta enfasi il senatore Gasparri nell'annunziare il voto favorevole del suo gruppo, del PdL e della maggioranza a questo provvedimento in Senato (provvedimento che aveva contenuti completamente diversi da quelli che qui vengono rassegnati all'Aula) dichiarava che questo voto era essenziale per le sorti della verità e della giustizia del Paese.
Francamente questa evaporazione di così forte intendimento non trova nessuna giustificazione in nessun accadimento, perché certamente non sono le vicende della Libia o del Giappone che qui provochino qualche influsso su questo argomento e su questi ragionamenti, anzi direi che rassegnano la miseria di questa nostra condotta tesa ad occuparci di questioni così bagatellari rispetto a quello che accade nel mondo.
Dunque, qui non si tratta del fatto che qualcuno si sia stracciato le vesti deducendo la sua onorabilità personale, che non è assolutamente in discussione, ma qui si tratta di valutare questa contraddizione politica e istituzionale, perché questo provvedimento che era stato consegnato originariamente come strumento per accelerare il corso dei processi (e peraltro già poteva essere discutibile, perché ne configurava una sorta di tagliola necessitata), qui viene consegnato per cui nel merito l'unico argomento in realtà paradossalmente che rimane a favore del cittadino comune è l'aumento (nessuno forse se lo è ricordato) del costo di questi processi. Infatti, i processi innanzi alle corti che prima erano esenti dal contributo unificato adesso sono a pagamento. In altre parole, dopo aver detto al cittadino comune, ovviamente a quello di tutti i giorni e di tutti i fatti, che dobbiamo tutelarlo e dobbiamo dargli dei processi più rapidi, però nel frattempo l'unica cosa che facciamo in concreto è quella di fargli pagare un qualche diritto in più rispetto a quello che precedentemente avevamo stabilito. Pag. 61
Per il resto, nel merito, è poca cosa il provvedimento. È stata introdotta una sorta di obbligo di segnalazione, che è o troppo o troppo poco, perché - come è stato già richiamato - alcuni processi possono essere persino fin troppo costretti in spazi brevi, per la complessità, per l'articolazione, per la difficoltà tecnica o per il numero delle parti, ed altri processi invece effettivamente potrebbero essere anche - perché no? - oggetto di una sanzione, perché per quanto mi riguarda in particolare non intendo difendere astrattamente né corporativamente alcuna categoria dalle sue eventuali responsabilità.
Infatti i processi, come del resto dimostrano molte best practices in corso nel nostro Paese, possono essere celebrati più rapidamente, soprattutto se il Ministero e l'ordinamento apprestano mezzi, strumenti, risorse tecnologiche ed organizzative che, com'è noto, molto più e comunque non meno delle norme processuali contribuiscono a creare un'efficacia complessiva del sistema processuale nel nostro Paese.
Che dire di più? Qui va notato piuttosto un fatto politico che a me pare rilevante: tutta questa attività si iscrive in un mutamento di rotte e di strategia. Questo, invece, va segnalato e, se possibile, censurato con non minore asprezza rispetto alla tecnica precedente, che era quella dell'attività in una parola, direi per capirci, antiprocessuale. Infatti adesso si sceglie da parte della maggioranza una tecnica che non è endoprocessuale in senso stretto, ma è certamente metaprocessuale. Dunque, i processi del Premier vengono metabolizzati attraverso la ricerca di interpolazioni in istituti minori: non quindi la distruzione di centinaia di migliaia di processi, ma l'interpolazione della prescrizione, comunque istituto pericoloso a maneggiare specie se, per poterla maneggiare, si introduce la figura dell'incensurato che è figura abbastanza opaca nel nostro ordinamento e specie se si è costretti poi, per un empito e per uno scrupolo di giustizia, a mettere uno sbarramento a questa figura al termine del primo grado, che non ha alcun pregio né alcun rilievo costituzionale perché il principio di innocenza del nostro ordinamento opererebbe intatto e intemerato fino alla fine dei gradi della giurisdizione.
Dunque, si fa questo ragionamento, si cerca di fare questo perché tutto si iscrive in una strategia che non è più quella della fuga dai processi, ma è quella di inserirsi, interpolare i processi e tentare, ad esempio in questo caso, come in qualche misura con una certa lealtà è stato dichiarato, di ottenere una pronuncia di primo grado molto rapida e molto favorevole perché comunque è meglio uscire, come talvolta diciamo noi avvocati, con una cattiva prescrizione piuttosto che con un'eroica condanna che poi andrà affrontata nei gradi successivi di giudizio.
Quindi, vi è tra l'altro un interesse preciso e non c'è assolutamente da scandalizzarsi o da meravigliarsi se anche questo, e certamente non soltanto questo, verrà perseguito in questo provvedimento, che per il resto sarebbe assurdo perché abbiamo incominciato e siamo venuti nelle Aule del Parlamento a parlare completamente d'altro e non si capisce perché. Se volessimo allora riformare l'istituto della prescrizione, questo noi non lo faremmo organicamente anche attraverso una riforma del codice penale perché la prescrizione attiene agli elementi sostanziali del reato che sarebbe un altro dei meccanismi per sgombrare i tavoli dei magistrati, per accelerare i processi e per impedire che ci si occupi dei molti reati bagatellari che tuttora ingombrano le aule della nostra giustizia penale.
Pertanto questo sarebbe stato, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi della maggioranza, un modo nitido e limpido di procedere e questo noi avremmo capito essere una vera finalità di intervenire non solo sulla durata dei processi e, quindi, sul diritto del cittadino di averli brevi, ma addirittura sul sistema della repressione penale che, com'è noto, non per buonismo, ma per l'efficacia del sistema, deve scegliere la linea del diritto penale minimo e del diritto penale mite cioè di quelle risposte adeguate dell'ordinamento Pag. 62soltanto quando si è in presenza di gravi condotte che penalmente sono rilevanti e quando si è in presenza degli interessi delle vittime, che per l'ennesima volta questo provvedimento ovviamente tiene in assoluto non cale. Infatti, se prima era possibile in qualche modo occuparsene, quando ci si voleva occupare della durata dei processi in termini ultimativi, ancora meno mi pare che vengano tenuti in considerazione attraverso norme che si limitano semplicemente a far finire alcuni dei processi penali e ad una generica segnalazione ed attenzione da parte del capo dell'ufficio al Governo.
Un provvedimento, peraltro, che finirà per non avere alcuna efficacia perché collide per l'ennesima volta con i principi generali non solo dell'ordinamento, ma della nostra Costituzione perché il principio di uguaglianza è un principio inalterabile e inalienabile e perché collide con il principio che spesso nelle nostre discussioni bonarie ed amichevoli si può anche in qualche modo integrare nel principio che la legge è legge, collega relatore, signor rappresentante del Governo.
Poi, certo, Kafka ha anche reso nobile tale principio, configurandolo come la porta della legge, dove non si entra né si esce a proprio piacimento, ma solo quando chi la costruisce lo vuole. Basta questa semplice frase relativa ad una nozione di comune esperienza per dire, per l'ennesima volta, che questa legge non è una legge e che come tale, quindi, avrà la sorte che tutti questi provvedimenti hanno avuto nel corso degli anni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, innanzitutto credo che dobbiamo dire una cosa molto chiara a chi ci segue, ai cittadini che seguono questi dibattiti attraverso Radio radicale e attraverso i pochi altri strumenti a loro disposizione: questa non è una riforma. È stato detto da qualche collega in questo dibattito, ma non credo che possiamo riportarci a questo termine. Io credo che, a seguito delle modifiche e delle soppressioni che sono state apportate a questa proposta di legge non vi sia, ormai, quasi più traccia del provvedimento originario e che non vi sia alcuna corrispondenza fra il titolo, che giustamente numerosi colleghi hanno riletto, e il contenuto.
Vorrei dare una notizia, se vogliamo parlare di riforme, annunciate purtroppo: la riforma epocale della giustizia, che è stata approvata un bel po' di tempo fa in Consiglio dei ministri, ancora non è stata depositata. Vi è stato un certo palleggiamento fra Camera e Senato: in un primo momento, sembrava dovesse essere presentata al Senato, sembra che arriverà alla Camera dei deputati. Ma non sappiamo quando, mentre alla conclusione della legislatura mancano poco più di due anni. Allora, mi chiedo come sarà possibile in due anni fare ciò che non si è fatto in tutti gli anni precedenti, per di più, con un tipo di riforma che richiede numerosi passaggi parlamentari e maggioranze qualificate.
Credo che lo scopo di questo provvedimento sia stato spiegato molto bene dall'onorevole Calogero Mannino, che è stato, in Commissione, il deputato capace di rivelare una verità. Infatti, in Commissione giustizia, l'onorevole Calogero Mannino, mentre gli esponenti della maggioranza si affannavano a dire che questo non era un provvedimento ad personam, ci ha detto che votava a favore e si esprimeva a favore di questo provvedimento proprio perché riguardava il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Con la sua storia, credo che questa affermazione sia importante, tanto più che egli ha avuto l'onesta intellettuale di aggiungere: anzi, vi dirò di più, dovrebbe essere fatta una riforma per ritornare all'immunità parlamentare. Questo è ciò che ha detto Calogero Mannino. Certo è che la situazione della giustizia, di sofferenza del sistema giudiziario italiano è così enorme che richiederebbe ben altri interventi. Ma veniamo al merito.
L'articolo 3, che è stato aggiunto in Commissione attraverso un emendamento del relatore, rafforza, come è stato ricordato, Pag. 63il regime differenziato di prescrizione del reato fra incensurati e recidivi, sulla scia di quanto previsto già dall'ex legge Cirielli. A proposito di questa legge, vorrei rivedere chi l'ha votata, proprio per ricomporla con i gruppi attualmente presenti in Parlamento. Infatti, adesso tutti si allontanano, ma è proprio la legge Cirielli che prevede un regime differenziato che da molti, in quest'Aula, viene oggi definito incostituzionale ed ingiusto.
Sarà interessante vedere chi l'ha firmata, per esempio voglio vedere chi, tra gli esponenti di Futuro e Libertà per l'Italia, all'epoca, l'aveva sostenuta. Fatto sta che è la legge Cirielli, insieme alla legge riguardante i tossicodipendenti e a quella sugli immigrati a riempire le carceri italiane.
Questo provvedimento aggiunge altre prescrizioni a quelle che già ogni anno si verificano e a proposito delle quali il Ministro della giustizia si è espresso come di un debito che la giustizia italiana ha nei confronti dei cittadini quando faceva presente la mole di milioni di processi arretrati per i quali poi ogni anno si verificano queste quasi duecentomila prescrizioni. Ma per chi sono queste prescrizioni? Sono per chi non ha denaro da spendere per potersi permettere grandi studi di avvocato e sono per le persone che fisiologicamente sono destinate all'emarginazione perenne, come i tossicodipendenti, che magari, come mi è capitato tante volte di verificare nelle carceri, dopo essere riusciti a riprendersi la vita in mano lavorando, comportandosi da buoni cittadini, vedono arrivare una condanna che riguarda fatti e reati risalenti a 15 anni prima. Già, le carceri sono un problema che voi non volete affrontare ma che è stato definito, opportunamente credo, da Marco Pannella, come un nucleo consistente di Shoah di cui tutti sapete l'esistenza e la realtà e che ci tocca come violazione di norme da parte dello Stato.
Concludo, ricordando che la Corte costituzionale tedesca con una sentenza storica ha avuto il coraggio di obbligare le autorità penitenziarie di quel Paese a rilasciare un detenuto qualora le istituzioni non siano in grado di assicurare una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. Voi, in questa legislatura non avete fatto niente, niente per rimuovere lo stato di illegalità delle carceri italiane, lo stato di sofferenza e di morte che si verifica nei nostri istituti penitenziari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3137-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Paniz.

MAURIZIO PANIZ, Relatore. Signor Presidente, sarò molto telegrafico. Primo: la prescrizione è un elemento fondante del sistema processuale di uno Stato democratico, non ci deve più essere interesse dello Stato a perseguire reati trascorso un certo periodo di tempo e questo interesse si affievolisce in modo diverso a seconda che l'imputato sia incensurato, recidivo, recidivo infraquinquennale o delinquente abituale.
Secondo: questa distinzione per categorie è prevista dall'articolo 161 del codice penale. In cinque anni nessuno ha sollevato una questione di costituzionalità, in cinque anni nessuno ha detto niente; inutile tirare fuori oggi una presunta illegittimità costituzionale che nessuno ha mai prospettato fino a questo momento.
Terzo: per l'opposizione vanno protetti coloro che sono in carcere, i condannati, i recidivi; per me no, vanno protette le persone incensurate, per me vanno protette le persone perbene. C'è una differenza logica, una differenza di comportamento, una differenza ontologica nell'impostazione delle persone; io non proteggo i delinquenti, io proteggo le persone incensurate e che hanno minore probabilità di delinquere. Questo è un dato di fatto e una scelta legislativa. Pag. 64
Ulteriore punto: questa non è una tagliola per i processi pendenti, non lo è affatto, non elimina nessun processo pendente salvo quelli che comunque sarebbero già destinati alla prescrizione. È bene dirlo in termini molto chiari perché non c'è alcun impatto negativo e non ci può essere nei confronti dei procedimenti in corso.
Sono queste le considerazioni sulle quali ritenevo di dover fare una replica immediata (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

Testo sostituito con errata corrige volante GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, credo che quando si discute di problemi di giustizia tutti dovremmo ragionare a mente fredda, per valutare quali sono i costi e i benefici rispetto ad un sistema complessivo. Di fatto, ascolto sempre, quando si discute un provvedimento di giustizia, parole del tipo: «i provvedimenti dovrebbero essere ben altri». Questo «benaltrismo», che ormai impera nel nostro dibattito, non tiene conto di quanto è stato fatto. Proprio oggi, in una circolare che è stata mandata a tutti gli uffici giudiziari, vi è l'informativa che riguarda l'attività di diffusione, in tutti i tribunali e le corti di appello d'Italia, dei sistemi informatici di gestione dell'intero processo civile di cognizione e dell'esecuzione e dei fallimenti.
Nessuno dimentica che negli ultimi due anni sono stati investiti 16 milioni di euro sull'informatizzazione del sistema penale e, nelle ultime tre settimane, 50 milioni di euro per l'intera digitalizzazione del sistema penale. È inutile, quindi, che si venga a dire: «si doveva fare altro». Mi limito solo a citare questo, perché altrimenti potrei ricordare le norme del processo civile e la riduzione dei riti interventi su quelle che sono state le procure disagiate, che non ha avuto effetto per una resistenza corporativa del Consiglio superiore della magistratura, che non ha attuato i trasferimenti d'ufficio. Altrimenti, oggi, avremmo risolto anche quel problema. In questi tre anni, addirittura, abbiamo avuto il massimo dei concorsi per magistratura. Bisogna risalire al 1965 o al 1967 per avere pari numeri di concorsi in magistratura.
Di fronte a questo, devo dire che ho votato il provvedimento al Senato e ho dato parere favorevole, nella perfetta convinzione e nella certezza matematica della possibilità di rispettare quei tempi di cui all'articolo 5. Se così non fosse stato, non vi era alcuna possibilità che votassi quel provvedimento, perché si trattava di tradire quelli che erano i principi generali, cioè portare al macero il processo, e non era così. Basta andare a rivedere i tempi attuali del processo penale e della capacità minima. Un minimo di dirigenza e di capacità organizzatoria dei capi degli uffici e dei giudici monocratici avrebbe consentito il rispetto di quei tempi.
Ha ragione l'onorevole Giachetti, ho dato parere favorevole e ho votato quel provvedimento, perché vi era quella norma transitoria, che portava al macero, è vero, un gruppo di procedimenti, ma non per favorire qualcuno, perché si trattava di un gruppo di procedimenti. Quello che sto ripetendo qui è stato verbalizzato nella seduta del Senato: ho invitato il Presidente del Senato a convocare una seduta, nel 2013, per verificare se, per ipotesi, senza una corsia privilegiata contra personam, fosse possibile che uno solo di quei processi arrivasse a sentenza definitiva.
Se abbiamo questa cognizione, tutti dobbiamo renderci conto che cosa ha fatto il relatore. Il relatore ha trasformato questo provvedimento, per il quale ho espresso parere favorevole in Commissione - come l'onorevole Samperi sa - perché nessuno di voi ha sollevato una questione che avrei sollevato. L'onorevole Paniz ha mantenuto fermi quei tempi che erano dilatati. Voi vi state lamentando dei tempi previsti dall'allora articolo 5 (oggi articolo 4), ma sono dei tempi dilatati, perché portavano all'estinzione del processo penale. Oggi, invece, l'onorevole Paniz ha mantenuto quei tempi e l'ha limitata ad una comunicazione al Ministro della giustizia Pag. 65e al procuratore generale. Nel sistema di tipizzazione dell'illecito disciplinare, come ha ricordato il relatore, non è stato previsto il rapporto o l'informativa disciplinare.
Ha previsto la comunicazione, nonostante quei tempi dilatati che dovevano soltanto quindi ancora consentire la possibilità di valutazione di quelle situazioni eccezionali che mi hanno indotto a dare parere favorevole, di quelle situazioni eccezionali che avrebbero potuto portare ingiustamente alla perenzione o prescrizione del processo secondo il modello approvato al Senato.
Quindi, se non siamo d'accordo nemmeno su quanto proposto dal relatore che è un tempo dilatato, badate che allora significa che noi siamo tutti colpevoli di non cambiare la legge Pinto. Infatti, noi condanniamo nel nostro Paese, lo Stato italiano, a risarcire i danni perché un processo dura più di sei anni e, tranne casi eccezionali per numero di imputati o per la difficoltà nell'istruttoria, si consente di sforare quel tempo di sei anni. E com'è che noi consentiamo, quindi, la condanna dello Stato italiano e non teniamo conto di questa realtà? Certamente, quindi, noi abbiamo addirittura dato la possibilità di valutare al procuratore generale e al Ministro della giustizia le eventuali ulteriori giustificazioni.
Badate che questo sistema non è altro che un modello organizzatorio, un criterio. Per anni, interessandomi delle riforme della magistratura e dell'ordinamento giudiziario, con la maggioranza di molti che stanno oggi sui banchi dell'opposizione abbiamo sostenuto insieme che vi fosse la necessità che solo il Parlamento potesse dare dei criteri di organizzazione dell'azione penale, e non i singoli procuratori della Repubblica. Era la nostra tesi, di tutti, che dovevamo restituire all'organo centrale nel nostro sistema democratico la possibilità di intervento sui criteri per mantenere fermo il principio di obbligatorietà dell'azione penale, che è un principio costituzionale.
Allora, questi diventano dei criteri e dei modelli organizzatori che un minimo di capacità organizzatoria porta a rispettare. Se mi si dice che non c'è possibilità di rispettare i processi per dieci anni o sei anni e mezzo significa che allora questo Paese ha delle responsabilità enormi nei confronti dei propri cittadini, perché non riesce a garantire giustizia in quei tempi ritenuti in Europa e nel mondo già eccessivamente lunghi.
L'onorevole Ria mi dice che noi dobbiamo sempre ricordare che abbiamo il processo del fatto e non del reo. Onorevole Ria, da sant'Agostino in poi - il Presidente ci insegnerà che il nostro Paese si ispira a Sant'Agostino nella sua architettura - noi vogliamo punire il reato per recuperare il reo. Non sono cose di oggi! Ma non si può dire questo in relazione a quella che impropriamente si chiama prescrizione breve. Onorevole Ria, la prescrizione è uguale per tutti i reati, compresi quelli di cui stiamo discutendo.
Noi stiamo discutendo esclusivamente dell'aumento del termine ordinario di prescrizione per effetto di atto interruttivo di sospensione del processo. L'articolo 161, che oggi vige nel nostro sistema, tiene conto di qualità soggettive del reo. Non è che oggi viene «inventato» un incensurato. Non c'è scritto, nell'emendamento Paniz, incensurato perché si distingue tra recidive reiterate, delinquenti abituali e professionali e nella generica dizione non si specifica che rientrano anche i recidivi semplici con gli incensurati. L'emendamento dell'onorevole Paniz prevede di applicare un diverso termine all'incensurato rispetto al recidivo semplice.
Quindi, si mantiene quello che questo Parlamento ha votato, che attualmente è applicato e che ha superato il vaglio di costituzionalità. Badate che nella riforma cosiddetta Cirielli vi era una norma transitoria che prevedeva la non applicazione dell'eventuale riduzione della prescrizione nei processi d'appello, in quelli davanti alla Corte di cassazione e nei processi di primo grado, ove fosse stato dichiarato aperto e, dunque, ove si fossero concluse le formalità di apertura del dibattimento.
Questa è stata la ragione per cui la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale Pag. 66l'aver collocato alla formalità di apertura del dibattimento quell'impedimento a godere della prescrizione. Correttamente ha affermato che, nell'ambito del sistema, il procedimento non poteva essere fermato all'apertura e ha fatto anche un riferimento nella motivazione, sostenendo che la formalità di apertura del dibattimento non è neanche un atto interruttivo della prescrizione come lo è, invece, la sentenza di primo grado. Credo, dunque, sia questa la ragione per cui l'onorevole Paniz ha proposto la sentenza di primo grado. Ma questa è anche la ragione per cui il Governo ha espresso parere contrario su tutti quegli emendamenti che si riferivano proprio all'apertura del dibattimento, al suo inizio e al rinvio al giudizio, che erano momento non tali da giustificare una diversa collocazione.
Attualmente, badate, anche la vigente norma di cui all'articolo 161 del codice penale prevedeva, nella sua fase transitoria, la non applicabilità ai processi d'appello e di Cassazione. Quindi, se stiamo discutendo stasera probabilmente qualcuno discute per il problema che ci assilla in questo Paese, ossia se sia una norma contra personam o una norma personale. Dimentichiamolo, perché se la norma è personale o contra personam o se ci sia o non ci sia non fa distinzione, perché il tempo è tale che non vi è possibilità diversa di risoluzione e di arrivare a sentenze di tipo diverso da quelle definitive. Credo, allora, che tutti dovremmo avere un po' di resipiscenza, sia maggioranza sia opposizione, e cercare di individuare questo sistema, che è un sistema - badate - non di soluzioni epocali, ma certamente tale da fornire un'indicazione forte. Quei termini che il Parlamento ha votato e quell'idea dell'articolo 111 della Costituzione che il Parlamento ha finalmente introdotto nel nostro ordinamento può avviarsi ad avere una concreta attuazione solo così, dando cioè delle norme di carattere organizzatorio. Invece, se nemmeno questo possiamo più fare allora probabilmente il Parlamento è destinato solo a votare diminuzioni o aumento di sanzioni penali, senza avere alcuna possibilità di incidenza.
GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, credo che quando si discute di problemi di giustizia tutti dovremmo ragionare a mente fredda, per valutare quali sono i costi e i benefici rispetto ad un sistema complessivo. Di fatto, ascolto sempre, quando si discute un provvedimento di giustizia, parole del tipo: «i provvedimenti dovrebbero essere ben altri». Questo «benaltrismo», che ormai impera nel nostro dibattito, non tiene conto di quanto è stato fatto. Proprio oggi, in una circolare che è stata mandata a tutti gli uffici giudiziari, vi è l'informativa che riguarda l'attività di diffusione, in tutti i tribunali e le corti di appello d'Italia, dei sistemi informatici di gestione dell'intero processo civile di cognizione e dell'esecuzione e dei fallimenti.
Nessuno ricorda che negli ultimi due anni sono stati investiti 16 milioni di euro sull'informatizzazione del sistema penale e, nelle ultime tre settimane, 50 milioni di euro per l'intera digitalizzazione del sistema penale. È inutile, quindi, che si venga a dire: «si doveva fare altro». Mi limito solo a citare questo, perché altrimenti potrei ricordare le norme del processo civile e la riduzione dei riti interventi su quelle che sono state le procure disagiate, che non ha avuto effetto per una resistenza corporativa del Consiglio superiore della magistratura, che non ha attuato i trasferimenti d'ufficio. Altrimenti, oggi, avremmo risolto anche quel problema. In questi tre anni, addirittura, abbiamo avuto il massimo dei concorsi per magistratura. Bisogna risalire al 1965 o al 1967 per avere pari numeri di concorsi in magistratura.
Di fronte a questo, devo dire che ho votato il provvedimento al Senato e ho dato parere favorevole, nella perfetta convinzione e nella certezza matematica della possibilità di rispettare quei tempi di cui all'articolo 5. Se così non fosse stato, non vi era alcuna possibilità che votassi quel provvedimento, perché si trattava di tradire quelli che erano i principi generali, cioè portare al macero il processo, e non era così. Basta andare a rivedere i tempi attuali del processo penale e della capacità minima. Un minimo di diligenza e di capacità organizzatoria dei capi degli uffici e dei giudici monocratici avrebbe consentito il rispetto di quei tempi.
Ha ragione l'onorevole Giachetti, ho dato parere favorevole e ho votato quel provvedimento, perché vi era quella norma transitoria, che portava al macero, è vero, un gruppo di procedimenti, ma non per favorire qualcuno, perché si trattava di un gruppo di procedimenti. Quello che sto ripetendo qui è stato verbalizzato nella seduta del Senato: ho invitato il Presidente del Senato a convocare una seduta, nel 2013, per verificare se, per ipotesi, senza una corsia privilegiata contra personam, fosse possibile che uno solo di quei processi arrivasse a sentenza definitiva.
Se abbiamo questa cognizione, tutti dobbiamo renderci conto che cosa ha fatto il relatore. Il relatore ha trasformato questo provvedimento, per il quale ho espresso parere favorevole in Commissione - come l'onorevole Samperi sa - perché nessuno di voi ha sollevato una questione che avrei sollevato. L'onorevole Paniz ha mantenuto fermi quei tempi che erano dilatati. Voi vi state lamentando dei tempi previsti dall'allora articolo 5 (oggi articolo 4), ma sono dei tempi dilatati, perché portavano all'estinzione del processo penale. Oggi, invece, l'onorevole Paniz ha mantenuto quei tempi e l'ha limitata ad una comunicazione al Ministro della giustizia Pag. 65e al procuratore generale. Nel sistema di tipizzazione dell'illecito disciplinare, come ha ricordato il relatore, non è stato previsto il rapporto o l'informativa disciplinare.
Ha previsto la comunicazione, nonostante quei tempi dilatati per consentire la possibilità di valutazione di quelle situazioni eccezionali che mi hanno indotto a dare parere favorevole, di quelle situazioni eccezionali che avrebbero potuto portare ingiustamente alla perenzione o prescrizione del processo secondo il modello approvato al Senato.
Quindi, se non siamo d'accordo nemmeno su quanto proposto dal relatore che è un tempo dilatato, badate che allora significa che noi siamo tutti colpevoli di non cambiare la legge Pinto. Infatti, noi condanniamo nel nostro Paese, lo Stato italiano, a risarcire i danni perché un processo dura più di sei anni e, tranne casi eccezionali per numero di imputati o per la difficoltà nell'istruttoria, si consente di sforare quel tempo di sei anni. E com'è che noi consentiamo, quindi, la condanna dello Stato italiano e non teniamo conto di questa realtà? Certamente, quindi, noi abbiamo addirittura dato la possibilità di valutare al procuratore generale e al Ministro della giustizia le eventuali ulteriori giustificazioni.
Badate che questo sistema non è altro che un modello organizzatorio, un criterio. Per anni, interessandomi delle riforme della magistratura e dell'ordinamento giudiziario, con la maggioranza di molti che stanno oggi sui banchi dell'opposizione abbiamo sostenuto insieme che vi fosse la necessità che solo il Parlamento potesse dare dei criteri di organizzazione dell'azione penale, e non i singoli procuratori della Repubblica. Era la nostra tesi, di tutti, che dovevamo restituire all'organo centrale nel nostro sistema democratico la possibilità di intervento sui criteri per mantenere fermo il principio di obbligatorietà dell'azione penale, che è un principio costituzionale.
Allora, questi diventano dei criteri e dei modelli organizzatori che un minimo di capacità organizzatoria porta a rispettare. Se mi si dice che non c'è possibilità di rispettare i tempi dei processi di dieci anni o sei anni e mezzo significa che allora questo Paese ha delle responsabilità enormi nei confronti dei propri cittadini, perché non riesce a garantire giustizia in quei tempi ritenuti in Europa e nel mondo già eccessivamente lunghi.
L'onorevole Ria mi dice che noi dobbiamo sempre ricordare che abbiamo il processo del fatto e non del reo. Onorevole Ria, da sant'Agostino in poi - il Presidente ci insegnerà che il nostro Paese si ispira a Sant'Agostino nella sua architettura - noi vogliamo punire il reato per recuperare il reo. Non sono cose di oggi! Ma non si può dire questo in relazione a quella che impropriamente si chiama prescrizione breve. Onorevole Ria, la prescrizione è uguale per tutti i reati, compresi quelli di cui stiamo discutendo.
Noi stiamo discutendo esclusivamente dell'aumento del termine ordinario di prescrizione per effetto di atto interruttivo o di sospensione del processo. L'articolo 161, che oggi vige nel nostro sistema, tiene conto di qualità soggettive del reo. Non è che oggi viene «inventato» un incensurato. Non c'è scritto, nell'emendamento Paniz, incensurato perché si distingue tra recidive reiterate, delinquenti abituali e professionali e nella generica dizione non si specifica che rientrano anche i recidivi semplici con gli incensurati. L'emendamento dell'onorevole Paniz prevede di applicare un diverso termine all'incensurato rispetto al recidivo semplice.
Quindi, si mantiene quello che questo Parlamento ha votato, che attualmente è applicato e che ha superato il vaglio di costituzionalità. Badate che nella riforma cosiddetta Cirielli vi era una norma transitoria che prevedeva la non applicazione dell'eventuale riduzione della prescrizione nei processi d'appello, in quelli davanti alla Corte di cassazione e nei processi di primo grado, ove fosse stato dichiarato aperto e, dunque, ove si fossero concluse le formalità di apertura del dibattimento.
Questa è stata la ragione per cui la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale Pag. 66l'aver collocato alla formalità di apertura del dibattimento quell'impedimento a godere della prescrizione. Correttamente ha affermato che, nell'ambito del sistema, il procedimento non poteva essere fermato all'apertura e ha fatto anche un riferimento nella motivazione, sostenendo che la formalità di apertura del dibattimento non è neanche un atto interruttivo della prescrizione come lo è, invece, la sentenza di primo grado. Credo, dunque, sia questa la ragione per cui l'onorevole Paniz ha proposto la sentenza di primo grado. Ma questa è anche la ragione per cui il Governo ha espresso parere contrario su tutti quegli emendamenti che si riferivano proprio all'apertura del dibattimento, al suo inizio e al rinvio al giudizio, che erano momenti non tali da giustificare una diversa collocazione.
Attualmente, badate, anche la vigente norma di cui all'articolo 161 del codice penale prevede, nella sua fase transitoria, la non applicabilità ai processi d'appello e di Cassazione. Quindi, se stiamo discutendo stasera probabilmente qualcuno discute per il problema che ci assilla in questo Paese, ossia se sia una norma contra personam o una norma personale. Dimentichiamolo, perché se la norma è personale o contra personam o se ci sia o non ci sia non fa distinzione, perché il tempo è tale che non vi è possibilità di arrivare a sentenze definitive. Credo, allora, che tutti dovremmo avere un po' di resipiscenza, sia maggioranza sia opposizione, e cercare di individuare questo sistema, che è un sistema - badate - non di soluzioni epocali, ma certamente tale da fornire un'indicazione forte. Quei termini che il Parlamento ha votato e quell'idea dell'articolo 111 della Costituzione che il Parlamento ha finalmente introdotto nel nostro ordinamento può avviarsi ad avere una concreta attuazione solo così, dando cioè delle norme di carattere organizzatorio. Invece, se nemmeno questo possiamo più fare allora probabilmente il Parlamento è destinato solo a votare diminuzioni o aumento di sanzioni penali, senza avere alcuna possibilità di incidenza.

(Annunzio di questioni pregiudiziali e di una questione sospensiva - A.C. 3137-A)

PRESIDENTE. Avverto che, prima dell'inizio della discussione sulle linee generali, sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Rao ed altri n. 1 e Di Pietro ed altri n. 2.
Avverto inoltre che, dopo l'inizio della discussione generale, sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Franceschini ed altri n. 3 e la questione sospensiva Franceschini ed altri n. 1.
L'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità e della questione sospensiva presentate avrà luogo prima di passare all'esame degli articoli della proposta di legge.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 29 marzo 2011, alle 11:

1. - Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
REALACCI ed altri; ZACCHERA; MARCHI ed altri; FAVA ed altri; STRADELLA e CARLUCCI; LUCIANO ROSSI ed altri; RAZZI ed altri: Disciplina dell'attività Pag. 67di costruttore edile e delle attività professionali di completamento e finitura edilizia (C. 60-496-1394-1926-2306-2313-2398-A).
- Relatore: Lanzarin.

3. - Seguito della discussione della proposta di legge:
REALACCI ed altri: Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni (C. 54-A).
- Relatori: Vannucci, per la V Commissione; Guido Dussin, per l'VIII Commissione.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge e del documento:
S. 2322 - Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2010 (Approvato dal Senato) (C. 4059-A).
- Relatore: Pini.

Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2009 (Doc. LXXXVII, n. 3).
- Relatore: Fucci.

5. - Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità e della questione sospensiva presentate):
S. 1880 - d'iniziativa dei senatori: GASPARRI ed altri: Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Approvata dal Senato) (C. 3137-A).
- Relatore: Paniz.

La seduta termina alle 19,40.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MASSIMO POMPILI IN SEDE DI DISCUSSONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 4059-A E DEL DOCUMENTO LXXXVII, N. 3.

MASSIMO POMPILI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, nei dieci minuti che mi sono concessi io intendo porle tre questioni: la prima è una considerazione di ordine politico; la seconda riguarda le procedure di formazione della legge comunitaria; e la terza entra nel merito dei contenuti della legge stessa.
Allora, intervengo sul primo punto. Onorevole sottosegretario, come lei sa, nei giorni scorsi la Camera dei deputati ha proceduto all'approvazione della riforma della legge n. 11 del 2005. Si tratta di un testo di riforma particolarmente innovativo ed importante, frutto - voglio sottolinearlo - di una elaborazione e di una condivisione da parte di tutti i gruppi parlamentari, in seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Una parte rilevante di questa legge (il cui testo passerà ora all'esame del Senato) è dedicata al rafforzamento dei poteri e delle prerogative parlamentari, sia in riferimento alla fase ascendente del processo normativo europeo, sia a quella discendente, di cui la legge comunitaria - oggi all'ordine del giorno - rappresenta lo strumento principale come momento attuativo del recepimento.
Il Partito Democratico si sta misurando con grande impegno per un progetto delle politiche europee per l'Italia e la legge bipartisan che abbiamo approvato ne è la riprova. Ma già la scorsa settimana noi abbiamo sottolineato come una discussione così importante si sia svolta senza un Ministro delle politiche comunitarie dopo le dimissioni dell'onorevole Ronchi. C'era l'onorevole Scotti, noi la ringraziamo, ma la sua esperienza è tale che non può non aver contemplato che politicamente non è la stessa cosa. Pag. 68
Perché, che cosa è accaduto da allora? Un fatto istituzionalmente e politicamente molto significativo: il Presidente del Consiglio dei ministri, nell'ambito di una manovra spartitoria per tenere insieme una maggioranza rabberciata a colpi di promesse di posti, ha nominato i Ministri per le politiche agricole e per i beni culturali con una partita di giro tra politica ed istituzioni e, pur sapendo che a pochi giorni di distanza dalla riforma della legge n. 11 del 2005 sarebbe iniziata la discussione su un'altra importante legge come quella comunitaria, non si è neanche lontanamente posto il problema della vacanza del Ministro per le politiche comunitarie. Adesso leggiamo che annuncia e studia un provvedimento per aumentare il numero dei sottosegretari, il cui unico scopo è quello di soddisfare tutti gli appetiti. Questa è la lettura, non il rimpasto.
Allora questo che significa? Significa che perfino nella spartizione in corso le politiche comunitarie sono relegate all'ultimo posto. Tutto ciò è gravissimo, soprattutto pensando a ciò che sta accadendo: Tunisia, Egitto, Libia, Siria. Ma come si fa a pensare di svolgere in questa fase una discussione sulla legge comunitaria avulsa da ciò che sta succedendo in un'area geografica e politica strategica per il mondo? Non voglio rientrare nel merito del tema, l'abbiamo già fatto la settimana passata discutendo e votando le mozioni di maggioranza ed opposizione. Voglio però dire che c'è una evidente sottovalutazione della necessità di svolgere un ruolo più incisivo in sede comunitaria. Una sottovalutazione che non solo acuisce i problemi di gestione della drammatica attualità dei flussi migratori (avrebbe aiutato un Ministro in più, assieme a Frattini e Maroni), ma che si riflette più in generale su battaglie decisive e con ricadute importanti sul nostro sistema Paese e sulla sua considerazione in ambito comunitario.
Gli esempi potrebbero essere tanti, ma vado al dunque. Ormai il processo di adeguamento alla produzione legislativa europea assorbe la gran parte della legislazione interna degli Stati e impone un'attenzione più qualificata delle Camere, e un Ministro come quello per le politiche comunitarie non può essere svilito a merce di scambio. Ma voi questa consapevolezza non ce l'avete, non c'è niente da fare! Ci tornerò più brevemente, in conclusione.
Passo ora, onorevole Scotti, al secondo punto: le procedure di formazione della legge comunitaria. Su questo noi pensiamo che debbano essere messi a punto criteri stringenti che evitino l'inserimento nella legge comunitaria di materie del tutto estranee agli obblighi comunitari. Che c'entra con il dibattito odierno l'introduzione del contratto di fiducia, che non costituisce obbligo comunitario ma che è un istituto di carattere internazionale-privatistico, che richiederebbe un ben più attento e appropriato esame nelle commissioni di merito per un provvedimento mirato dedicato? Che c'entra con la legge comunitaria il danno erariale subito da componenti del Cda della RAI da parte dell'azienda, che oltre ad essere palesemente estraneo al contenuto proprio della legge pone anche problemi di costituzionalità? Per non parlare poi dell'articolo aggiuntivo arrivato alla conclusione dei lavori della Commissione che riguarda una sentenza della Corte di giustizia Ue su traghetti del Mediterraneo e che voi usate come un grimaldello per regolare un tema delicato come quello della responsabilità civile dei magistrati, fatto ancora più grave se il Governo dice di avere pronta la riforma sulla giustizia e sull'ordinamento giudiziario. Questi articoli vanno soppressi.
Ma per andare ancora più dentro, l'intera procedura seguita per l'esame della legge comunitaria è stata frutto non di espresse norme regolamentari ma di un'interpretazione in via di prassi propria di questa legislatura. Faccio degli esempi: è invalsa una procedura barocca che prevede due volte l'esame degli articoli e degli emendamenti nelle Commissioni di merito, con un aggravio dei tempi di esame; l'esame in sede consultiva nelle Commissioni di merito diventa vincolante se il parere espresso è favorevole; la XIV Commissione che, voglio ricordarlo, è la sede referente, può solo pronunciarsi sui profili Pag. 69di compatibilità con la normativa comunitaria; se una Commissione di merito esprime un parere contrario, alla XIV Commissione è anche precluso l'esame sotto il profilo comunitario. Converrà che tutto questo è quantomeno singolare.
Anche per questo ci auguriamo che la riforma della legge n. 11 del 2005 venga tempestivamente approvata dal Senato e sia previsto, mi lasci passare il termine, uno sdoppiamento della legge comunitaria, da una parte una legge di delegazione europea dedicata alle sole deleghe per il recepimento delle direttive, dall'altra una legge europea nella quale far confluire tutti i contenuti tipici dell'attuale legge comunitaria, con particolare riferimento alle disposizioni per far fronte alle procedure di infrazione. Ciò, come dicevo, dovrebbe consentire l'inserimento di norme più stringenti sotto il profilo del contenuto proprio degli obblighi comunitari e un'approvazione più rapida dei provvedimenti in grado di risolvere anche il problema del ritardo nell'attuazione delle direttive. Noi ci aspettiamo un cambiamento importante da parte del Governo nell'approccio a queste tematiche con la riforma, anche perché le vostre responsabilità diventeranno più evidenti di oggi (e ce ne sono!) perché noi siamo alla fine di marzo 2011 e invece di discutere la legge comunitaria del 2011 stiamo votando quella del 2010. È o non è questa una vostra responsabilità politica?
Infine, terzo punto, più nel merito della legge stessa come annunciato all'inizio. Noi non ci siamo comportati come la maggioranza. Non abbiamo presentato una montagna di emendamenti di cui diversi, come ricordavo prima, estrinsechi alla legge comunitaria. Ne abbiamo presentati un numero contenuto, coerenti con la ratio e le finalità della legge, nessuno è stato accolto, nonostante il loro carattere qualificante e migliorativo del testo. Ne cito alcuni: l'introduzione della direttiva rimpatri, con relativa esplicitazione di principi e criteri stringenti in applicazione della direttiva stessa; l'inserimento di principi e criteri per una effettiva attuazione della direttiva sulle sanzioni per i datori di lavoro; discorso analogo per ciò che riguarda la riqualificazione energetica degli edifici, comprensiva dell'introduzione a regime delle misure di agevolazione e detrazione del 55 per cento; le modifiche all'articolo riguardante le guide turistiche, in particolare sui soggetti abilitati alla guida turistica; le modifiche concernenti l'articolo di attuazione sulle comunicazioni elettroniche, perché i rilievi recepiti dal relatore non garantiscono a sufficienza il diritto all'accesso alla rete e il ruolo indipendente dell'Autorità di garanzia per le comunicazioni; l'introduzione di norme volte al recepimento di due importanti decisioni quadro in materia di confisca di beni frutto di attività illecita e mafiosa e di corruzione in affari privati, materie delicate che richiedono un urgente adeguamento alla nostra normativa europea la cui mancata attuazione è responsabilità di questo Governo che non ha esercitato in tempo utile la delega, facendola scadere.
Io ho concluso, signor Presidente, voglio solo fare una considerazione conclusiva. Il costante ritardo col quale noi arriviamo a questo appuntamento, svilisce il momento parlamentare più importante ed organico per adeguarci alla normativa Ue. E tuttavia tale svilimento non è che lo specchio di una mancanza di visione strategica e di un'azione coerente ed efficace di questo Esecutivo sulle politiche europee. La sua rinuncia a svolgere un ruolo non acritico e il suo sentirsi invece a proprio agio in un'Europa spostata a destra e che fatica ad agire in modo unitario da temi come quello della governance economica fino a quelli attualissimi della gestione dei flussi migratori e del coordinamento delle politiche di integrazione. In tutti questi temi si sente la necessità di un ritorno dell'Italia ad assumere un ruolo fondamentale. Ma voi non ce la fate, questa era una farsa annunciata: noi ne eravamo pienamente consapevoli. Non ci aspettiamo nulla da un Presidente del Consiglio dei ministri che non riesce nemmeno a chiudere un ciclo di discussione così importante ripristinando la pienezza dei poteri rappresentativi del Governo.

Pag. 70

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI DONATELLA FERRANTI E MARILENA SAMPERI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 3137-A

DONATELLA FERRANTI. Il testo del progetto di legge n. 3137, approvato dal Senato in data 20 gennaio 2010, prevedeva norme volte a realizzare una durata maggiormente ragionevole dei processi.
Significativamente modificato rispetto al testo inizialmente presentato al Senato, il punto qualificante di quella proposta era senz'altro la nuova disciplina sulla sentenza di proscioglimento per durata ragionevole del processo, contenuta nell'articolo 5 del progetto.
Un meccanismo volto a stabilire l'estinzione anticipata del processo, con assoluzione dell'imputato che vi sia sottoposto, quando il processo si fosse protratto per un tempo irragionevole, calcolato in relazione a ciascun grado del procedimento (primo grado, secondo grado, giudizio di cassazione, eventuale giudizio di rinvio).
Un sistema costruito secondo una progressiva riduzione dei tempi di espletamento man mano che si avanza nei gradi del processo: più lungo per il primo grado, intermedio per l'appello, più breve per la cassazione.
Il punto critico fondamentale era dato dalla coesistenza fra la prescrizione prevista dal codice penale, che rimaneva inalterata nella sua struttura, e la nuova disciplina della durata massima del processo.
Quando il processo avesse avuto inizio, continuavano a decorrere i termini di prescrizione del reato, cui si aggiungevano ora i tempi di durata massima di ciascuna fase.
Questo accavallarsi di limiti cronologici dentro il processo era ed è nefasto, poiché di fatto continuava a rendere conveniente per le parti assumere un contegno dilatorio, improntato a prolungare la durata del processo.
Anzi, la sovrapposizione di due distinte gabbie cronologiche al processo amplificava la convenienza alla dilazione: poiché se anche non si riuscisse a sforare il termine di fase, il tempo guadagnato gioverebbe comunque per cercare di guadagnare la prescrizione del reato.
Non vi era alcuna ragione per questo accavallarsi di discipline, che finiva solo per rendere il processo più intricato e complicato.
La soluzione coerente doveva essere quella di armonizzare le regole sulla durata del processo con le norme sulla prescrizione dei reati, stabilendo che queste ultime cessino definitivamente di applicarsi quantomeno dal momento in cui viene esercitata l'azione penale.
Non solo si deve dire che la disciplina era ed è (per quello che oggi è l'articolo 5) eccessivamente rigida, poiché i termini sono fissi; una rigidità che contrasta con le stesse indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, ma non si predispone alcun meccanismo che contrasti con questa rigidità. Manca qualsiasi sistema che consenta di recuperare in un segmento processuale il tempo risparmiato in una fase precedente: un processo che giungesse con massima celerità alle soglie della cassazione, ma che poi si protraesse in questa fase per un tempo superiore ad un anno e sei mesi finiva per estinguersi anche se, complessivamente riguardato, non può essere ritenuto un processo irragionevolmente lungo. Nei termini previsti per il giudizio d'appello e di Cassazione rientra pure la fase di redazione della sentenza del grado precedente e di decorso del termine per impugnare, con l'effetto di ridurre ulteriormente il tempo utile per il valido espletamento del giudizio d'impugnazione.
La logica di tempi tarati essenzialmente per gravità del reato desta non poche perplessità, posto che la complessità dell'accertamento può non coincidere affatto con la gravità del reato perseguito.
Ma che non si trattasse di una normativa volta ad assicurare la ragionevole durata dei processi per i cittadini veniva confermato dall'articolo 9, la cosiddetta transitoria, rivelatrice dell'abitudine di coniare norme ad personam.Pag. 71
Non servono molte parole per osservare come questa norma confliggeva con la ragionevolezza e con la parità di trattamento dei cittadini. Essa si applicava ai processi in corso solo quando si trattava di procedimenti per reati commessi anteriormente al 2 maggio 2006 e puniti con pena inferiore a dieci anni. Già questa è una prima singolare disparità di trattamento. Di più, la norma transitoria concerne solo la durata dei processi di primo grado, non anche nei gradi successivi. Infine, essa prevede termini di durata del processo di primo grado più brevi di quanto previsto nella disciplina generale dell'articolo 5: due soli anni, invece di tre. Un coacervo di disparità di trattamento che, in quanto tali, suonavano difficilmente giustificabili all'interno di un giudizio di costituzionalità.
Invero la prescrizione, se vista nella sua eccezionalità e straordinarietà, può funzionare come agente terapeutico, perché può sollecitare efficienza e rigore organizzativo. Tutti abbiamo sottolineato però che la prescrizione processuale o sostanziale è un agente patogeno, non terapeutico per il processo, se non è vista come un esito assolutamente raro e straordinario.
Essa induce infatti le difese a premialità di fatto, scoraggia quindi le premialità trasparenti e legali dei riti alternativi, laddove l'accusatorio può funzionare in quanto funzionano i reati alternativi, ma, se non funzionano gli alternativi, non funzionerà neppure questa scelta di fondo del rito accusatorio.
Essa incentiva inoltre tecniche dilatorie, implementa oltre ogni misura le impugnazioni in vista di quell'esito proscioglitivo.
Non è stato inserito alcun contrappeso alla prescrizione abbreviata.
Tali contrappesi dovevano consistere innanzitutto nello sterilizzare la prescrizione del reato dopo l'esercizio dell'azione penale, perché la nostra disciplina della prescrizione di tipo sostanziale del reato non ha uguali in nessuna altra parte del mondo. Nel resto del mondo lo Stato che decide di esercitare l'azione penale attraverso i suoi organi non si vede prescritto il reato per il quale procede perché ha mostrato la volontà di voler procedere in ordine a quello.
Sarebbe stato necessario irrobustire fortemente le premialità negoziali con misure larghe e trasparenti all'interno dei riti alternativi; prevedere rigorose preclusioni endoprocessuali in tema di competenza e di invalidità degli atti; semplificare avvisi, comunicazioni e notificazioni a parti e difensori; eliminare radicalmente come pretende anche la Corte europea dei diritti dell'uomo il giudizio contumaciale a favore dell'istituto dell'assenza consapevole e informata dell'imputato; prevedere casi di inammissibilità de plano delle impugnazioni manifestamente infondate o aspecifiche; ridurre le impugnazioni incidentali.
Tener conto della particolare complessità della ricostruzione probatoria del fatto o della pluralità degli imputati e delle imputazioni, come ci dice la giurisprudenza della Corte europea; rafforzare i poteri della persona offesa come vittima del reato dentro il processo; enunciare il dovere di lealtà processuale delle parti nel processo; prevedere fattispecie tassative di sospensione dei termini di fase in ogni caso oggettivo e non imputabile al resto delle attività processuali.
In difetto dei contrappesi, la prescrizione funziona solo come agente patogeno e può comportare il rischio del collasso e della perdita di autorevolezza della giurisdizione penale, programmando una fine scontata, quindi non più straordinaria e eccezionale ma ordinaria e tipica del processo penale per il mero decorso del tempo.
Quella che, se razionalmente organizzata, dovrebbe essere una conclusione straordinaria ed eccezionale, perché fallisce la funzione primaria della funzione cognitiva dell'accertamento e della ricostruzione probatoria dei fatti, perché c'è la sconfitta dell'ansia di verità delle vittime del reato e di giustizia della collettività, della comunità di riferimento, viene invece disciplinata come uno dei tipici e ordinari esiti proscioglitivi, e l'imputato avrà ben diritto di tendere a questo esito nel momento in cui lo si pone nello sfondo. Pag. 72
Aumenta ulteriormente la distanza della nostra disciplina rispetto all'apparato di tutela riconosciuto dalle fonti convenzionali e sovranazionali alla vittima del reato, alla persona fisica che ha subìto il pregiudizio da quelle violazioni del diritto penale riconosciuto da uno Stato membro.
Avremmo potuto comprendere una rivisitazione della prescrizione sistematica, inserita in un complesso di interventi processuali e organizzativi o per funzionamento, sarebbe stato necessario incidere sull'insufficienza drammatica del personale amministrativo dal punto di vista qualitativo e quantitativo, perché il personale amministrativo di cancelleria della giustizia oggi è a esaurimento, perché negli ultimi quindici anni non sono stati banditi concorsi ed è stata diminuita di oltre un terzo la forza lavoro negli uffici giudiziari, che risultano per giunta sprovvisti delle più moderne specializzazioni.
Sarebbe stato necessario inoltre considerare l'esigenza di semplificazione e informatizzazione di tutti i servizi di comunicazione e notificazione, il sovraccarico della domanda di giustizia penale, il sovradimensionamento della classe forense, con un numero di avvocati assolutamente spropositato rispetto al numero degli abitanti di questo Paese e anche se comparati con qualunque altro Paese europeo.
Ricordo che il 17 novembre 2010 il Comitato dei Ministri e quindi anche il nostro Ministro al Consiglio d'Europa ha approvato la raccomandazione Raccomandazione CM/Rec(2010)12, su indipendenza, efficacia e responsabilità dei giudici.
Essa raccomanda ai Governi degli Stati membri di fornire ai giudici mezzi per svolgere le loro funzioni in conformità a queste disposizioni: «L'efficacia dei giudici e dei sistemi giudiziari è una condizione necessaria per la tutela dei diritti di ogni persona. L'efficacia sta nell'emettere decisioni di qualità entro un termine ragionevole e sulla base di un apprezzamento equo delle circostanze. Spetta alle autorità responsabili per l'organizzazione e il funzionamento del sistema giudiziario creare le condizioni che consentano ai giudici di svolgere la loro missione e raggiungere l'efficacia.
Ogni Stato deve assegnare ai tribunali risorse, strutture e attrezzature adeguate, che consentano loro di operare in conformità delle esigenze di cui all'articolo 6 della convenzione e per consentire ai giudici di lavorare in modo efficace. Ai tribunali deve essere assegnato un numero sufficiente di giudici e di personale di supporto adeguatamente qualificato».
Il principio di efficienza e di giusta durata del processo deve essere contemperato con gli altri valori costituzionalmente protetti, che sono quelli del giusto processo, del diritto di difesa dell'imputato, della tutela delle vittime del reato specie se vulnerabili, della funzione cognitiva di ricerca della verità del processo penale, dell'obbligo di motivazione delle decisioni dei giudici.
Occorre fare i conti con quella che la citata raccomandazione del novembre 2010 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa chiama «esigenza di qualità e serietà della giurisdizione penale». È verosimile prevedere che l'attuale articolato normativo così come è strutturato non supererà indenne lo scoglio dello scrutinio di costituzionalità, né quello di coerenza con i princìpi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Il giudice Zagrebelsky, nell'illustrare le linee fondamentali della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull'argomento, evidenziò alcuni punti che a me sembrano fondamentali per una corretta impostazione del problema del processo breve.
In particolare la Corte di Strasburgo, nel valutare la ragionevole durata di una procedura è portata a commisurare i tempi necessari con riferimento all'esecuzione della decisione giudiziaria finale e non allo svolgersi del processo nelle sue diverse fasi o nei suoi diversi gradi.
Il giudice Zagrebelsky ebbe occasione di rilevare che non è irrilevante il fatto che la procedura si sia sviluppata attraverso varie fasi e attraverso vari gradi, ma la durata del procedimento in una fase o grado non è mai stata presa in considerazione Pag. 73di per sé, tanto che non esiste una giurisprudenza relativa alla durata del procedimento di primo grado o alla durata del procedimento in grado di appello.
Qualunque durata prefissata in astratto vista da Strasburgo potrebbe rivelarsi in concreto eccessiva o troppo breve. La ragionevole durata è solo un aspetto dell'efficienza e quindi della competitività del sistema giustizia, per cui pensare di ingabbiare la decisione del giudice in tempi rigidi e predeterminati, non trova riscontro in nessun Paese europeo, tanto meno nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo che semmai dice il contrario.
Per le vittime del reato esiste poi una specifica decisione quadro del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea del 15 marzo 2001, che mira a realizzare a trecentosessanta gradi un sistema articolato di misure di assistenza alle vittime del reato prima, durante e dopo il procedimento penale, individuando uno standard minimo di diritti che ogni Stato deve garantire alle vittime del reato.
Per dare concreta attuazione a questa finalità con riferimento alle vittime del reato, il Ministro della giustizia provvide a istituire nell'aprile del 2001 una Commissione di studio sui problemi e sul sostegno da dare alle vittime dei reati; ma il progetto elaborato dalla Commissione nei termini prefissati, non ha avuto attuazione, poiché non si sono trovati i finanziamenti necessari a renderlo concretamente operativo.
È indubitabile che qualunque persona responsabile si deve porre il problema della ragionevole durata dei processi sotto due ordini di profili, innanzitutto quello dei tantissimi processi che in un modo o nell'altro finiscono con la prescrizione ed è doveroso riflettere sulle condanne subìte dall'Italia per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.
Ma quale è la soluzione? Non certo quella prospettata negli emendamenti del relatore Paniz, che è tanto semplicistica quanto incauta e quasi sembra irridere le voci disperate che si sono levate dagli uffici giudiziari, che hanno denunciato dati significativi e allarmanti; ad esempio il procuratore Generale Maddalena ha segnalato nel suo intervento all'ultima inaugurazione dell'anno giudiziario che a Torino nell'ultimo anno sono finiti in prescrizione (comprendendo le archiviazioni per prescrizione, che non superano neanche la fase delle indagini preliminari e quelle tra indagini preliminari, udienza preliminare, primo grado e appello), complessivamente 10.000 processi.
Che cosa si fa nella nuova versione del processo breve? Si riduce il termine massimo della prescrizione del reato, ma solo per gli incensurati che, quale che sia il reato commesso, avranno la sicurezza che il loro reato si estinguerà prima di quello del correo che magari precedentemente ha commesso un reato di lieve entità.
A prescindere dalla scelta di politica criminale che contrasta addirittura con le indicazioni contenute nel pacchetto sicurezza, il fatto di far scaturire dall'incensuratezza un particolare beneficio, è già di per sé contraddittorio con la natura delle potestà punitiva e contrasta con le esigenze general-preventive del diritto penale e non ha nulla a che vedere con il principio della durata ragionevole del processo.
L'istituto della prescrizione era già stato oggetto di un recente intervento legislativo: la legge n. 251 del 2005 (ex Cirielli) non solo ha lasciato irrisolti i nodi più rilevanti in punto di interferenza tra disciplina sostanziale dell'estinzione del reato e tempi processuali, ma ha anche aggravato gli effetti indiretti, e non per questo meno significativi, che la prescrizione oggi è capace di produrre proprio nel senso di un allungamento della durata degli accertamenti. Ciò perché la rimodulazione del tempo della prescrizione, che per vasti settori di fattispecie penali anche gravi è stato sensibilmente ridotto, non ha tenuto conto delle effettive capacità del sistema giudiziario di smaltire il rilevante carico di lavoro e del comprensibile atteggiamento difensivo del ricorso a strumenti dilatori del processo per «ottenere», male che vada, la pronuncia di estinzione. Pag. 74
L'ulteriore riduzione del termine massimo di prescrizione (da un quarto del massimo edittale ad un massimo del sesto edittale) non fa altro che aggravare le difficoltà del sistema giustizia e aumentare il numero dei processi che quotidianamente si estinguono.
Per i reati che sono puniti con pena nel massimo non superiore a sei anni il termine complessivo di prescrizione si riduce di 6 mesi (da 7 anni e mezzo a 7 anni).
Per i reati che sono puniti con una pena di dieci anni, il termine complessivo di prescrizione scende da dodici anni e mezzo a undici anni e otto mesi (10 mesi in meno di prima).
Per i reati che sono puniti con una pena di dodici anni, il termine complessivo di prescrizione scende da quindici anni a quattordici anni (1 anno in meno di prima).
Per i reati che sono puniti con una pena di venti anni, il termine complessivo di prescrizione si riduce di oltre un anno (da venticinque anni a ventitré anni e quattro mesi).
Potrebbero sembrare riduzioni non clamorose ma esse operano su termini di prescrizione che già ora sono - a seguito delle «sforbiciate» alla prescrizione imposte dalla legge Cirielli - troppo brevi per le potenzialità effettive del sistema giustizia, specie per i reati minori.
Per l'ennesima volta, quindi, le esigenze della giustizia penale - che sarebbero quelle di un allungamento dei termini massimi di prescrizione - vengono sacrificate a quelle del singolo.
Si deve per di più aggiungere che la differenziazione dei termini di prescrizione fra imputati incensurati e non (o, meglio, fra imputati dichiarati recidivi e non) solleva non pochi dubbi di legittimità costituzionale, poiché gli interessi che la prescrizione mira a tutelare non paiono mutare, in qualità o in intensità, a seconda che l'imputato sia o meno recidivo.
Un altro aspetto non secondario deriva dalla condanna che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha inflitto all'Italia in relazione al diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole (in termini, Corte EDU, sentenze nn. 36813/97, 64890/01, 64699/01, 65102/01. Si veda anche la sentenza della Corte di Strasburgo in data 5 luglio 2007, Locatelli c. Italia).
La Corte di Strasburgo ha considerato il tempo impiegato, nell'ambito dei giudizi celebrati in Italia, per esaminare il merito della causa; ed ha affermato la responsabilità dello Stato discendente dalla violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU. La Corte ha pure posto a carico dello Stato italiano una liquidazione supplementare rispetto a quella riconosciuta dalle Corti d'Appello nel quadro della Legge Pinto, ritenendo che detta previsione non fornisca una riparazione equa del ritardo subito.
Non sembra allora che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, così sinteticamente richiamata, legittimi in alcun modo l'introduzione di termini accorciati di prescrizione del reato di corruzione sanzionati con l'estinzione dello stesso reato; cioè a dire la previsione di un meccanismo che ostacola l'accertamento sul merito della questione dedotta in giudizio.
Invero, il diritto consacrato dall'articolo 6 della Convenzione, e prima di essa dagli articoli 24 e 111 della nostra Costituzione, è anzitutto che il processo ci sia e che sia un processo che si concluda con una decisione di merito. In secondo luogo che sia un processo di durata non irragionevole ed improntato agli altri principi descritti dalla norma costituzionale.
Si osserva, inoltre, che le nuove norme proposte in tema di prescrizione sembrano pure confliggere con le previsioni promananti da fonti sovranazionali di origine pattizia, recentemente recepite dallo Stato italiano. Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31 Pag. 75ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 (La Convenzione contro la corruzione alla quale si fa riferimento nel testo è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2009, n. 188).
La predetta Convezione è stata ratificata dall'Italia con Legge 3 agosto 2009, n. 116. L'articolo 2 della citata legge n. 116 del 2009 stabilisce invero espressamente che «Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione» ONU contro la corruzione.
La Convenzione raccomanda il rafforzamento, da parte degli Stati firmatari, delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace. Non vi è dubbio, pertanto, che rientrano nell'ambito della Convenzione anche le figure di reato individuate dagli Stati aderenti al fine di contrastare il fenomeno corruttivo. Con riguardo all'Italia, vengono pertanto in rilievo i delitti contro la pubblica amministrazione di cui al Libro Secondo, Titolo II, del codice penale, delitti per i quali la pena edittale è, in numerosi casi, inferiore a dieci anni di reclusione e che perciò astrattamente rientrano nella previsione di modifica dei termini di prescrizione.
Tanto premesso, si osserva che l'articolo 29 della Convenzione ONU contro la corruzione, stabilisce che «... ciascuno Stato Parte fissa, nell'ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti possono essere avviati per uno dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione». La previsione risente ovviamente dell'ambiente di common law in cui la Convenzione stessa è maturata ove, come sopra si è rilevato, l'esercizio dell'azione penale mediante l'instaurazione del giudizio preclude l'ulteriore corso della prescrizione del reato. Tanto chiarito, non appare revocabile in dubbio che la ratio della disposizione sia quella di garantire l'effettiva celebrazione dei processi in materia di corruzione.
Rafforza il convincimento rilevare che l'articolo 30 della Convenzione in esame raccomanda agli Stati di adottare le misure necessarie al fine di «ricercare, perseguire e giudicare effettivamente» i responsabili di fatti corruttivi (articolo 30, comma II). L'articolo in commento invita poi gli Stati ad adoperarsi affinché i relativi procedimenti giudiziari si svolgano in modo tale da «ottimizzare l'efficacia di misure di individuazione e di repressione di tali reati» (articolo 30, comma 3).
Orbene, la previsione della estinzione anticipata del reato - che ben può riguardare anche i delitti di corruzione, come sopra chiarito - quale effetto automatico derivante dal decorso di predeterminati limiti temporali, sembra allora porsi in netto contrasto con i principi sanciti dalla richiamata Convenzione contro la corruzione, ai quali l'azione degli Stati firmatari dovrebbe ispirarsi.
Infine, una specifica menzione deve essere riservata al rapporto redatto dal Gruppo di Stati contro la corruzione che agisce nell'ambito del Consiglio d'Europa (GRECO) (Joint First and Second Round Evaluation Report on Italy, adottato in data 2 luglio 2009 dal Group of States against corruption (GRECO) del Consiglio d'Europa), che ha recentemente valutato le politiche anticorruzione poste in essere dall'Italia.
Il rapporto adottato il 2 luglio 2009 si sofferma sul dato relativo alla eccessiva durata dei processi, sottolineando il fatto che in Italia i processi per corruzione sovente non arrivino ad una decisione di merito, in considerazione del maturare del termine di prescrizione del reato, prima di una pronuncia definitiva. Nel Rapporto (PAR 54) si osserva che detta evenienza scardina l'efficienza e la credibilità del diritto penale, poiché in tali casi, pur in presenza di un forte quadro probatorio, il giudice deve pronunciare il non luogo a procedere per estinzione del reato. Ed il predetto rapporto si conclude con una raccomandazione all'Italia, ove si Pag. 76auspica l'individuazione di soluzioni che consentano di addivenire ad una pronuncia di merito, in un tempo ragionevole.
Questa proposta di legge costituirà l'ennesima prova di una volontà di un Governo che non ha tra le sue priorità una giustizia efficiente, trasparente ed effettiva per il cittadino.

MARILENA SAMPERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Caliendo, oggi discutiamo in aula su una proposta di legge dal titolo roboante: Misure contro la durata indeterminata dei processi. Un tema questo che non può che raccogliere la condivisione dei parlamentari, della magistratura, dei cittadini.
La declinazione però che di questo giusto e legittimo principio ha fatto la maggioranza ha suscitato l'indignazione delle opposizioni, degli operatori del diritto, dei cittadini. Il provvedimento infatti non è che una tagliola ai processi pendenti più che una cura ai mali del sistema giustizia, l'ennesima legge a favore del Presidente del Consiglio più che un rimedio alla insostenibile lungaggine dei tempi processuali.
Il provvedimento che è stato ampiamente rimaneggiato con emendamenti del relatore neanche nella sua stesura originaria rispondeva alla necessità di dare attuazione all'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, obiettivo che i presentatori esplicitavano nella relazione di accompagnamento, piuttosto finiva per negarla. Il testo infatti non era compatibile con le esigenze della Convenzione europea perché non teneva conto della complessità del procedimento e del comportamento delle parti; fissava un termine solo con riferimento alla sanzione, senza tener conto della natura del reato e della maggiore o minore necessità dell'accertamento richiesto in concreto eludendo un dato che può essere assai più indicativo dell'indice di gravità del reato (esempio: processi di insider trading puniti con la pena di due anni, ma estremamente complessi sotto il profilo dell'esame documentale) né teneva conto della tutela delle vittime del reato. Piuttosto si poneva in contrasto con alcuni obblighi internazionali dell'Italia come quello dell'esigenza di mettere in opera una procedura giudiziaria idonea a concludersi con la repressione dell'illecito (esempio: in materia di corruzione l'efficace repressione è un obbligo che l'Italia ha assunto). L'Europa ha per questo già chiesto giustificazioni allo Stato italiano dei casi di prescrizione di procedimenti riguardanti la corruzione. Molti di questi vizi, seppure in misura quantitativamente ridotta, permangono nel testo emendato.
Né il provvedimento incide positivamente sul problema annoso della durata eccessiva dei processi che ha cause complesse, stratificate nel tempo, mai affrontate efficacemente e che non possono essere risolte miracolisticamente.
Abbiamo tutti la consapevolezza che i dati dello stato della giustizia in Italia sono drammatici, come ha avuto modo di rilevare il Ministro della giustizia in occasione della comunicazione alla Camera: 5.381.427 procedimenti civili e 3.341.261 procedimenti penali pendenti. Questa enorme mole di lavoro - che non ha eguali negli altri paesi europei - viene gestita da poco più di 9.000 magistrati togati e 46.000 unità di personale giudiziario che ha anche il carico di effettuare circa 28 milioni di notifiche manuali ogni anno. Circa il 12 per cento dei soli processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica e ben 170 mila processi vengono dichiarati prescritti.
Cercare rimedi senza analizzare le cause è irragionevole oltre che irresponsabile. Come fare a non tenere in considerazione il livello di contenzioso italiano pari a quello di Francia, Germania e Spagna messe insieme, le lentezze della procedura, i formalismi esasperati che lungi dall'essere frutto di garantismo diventano strumentali mezzi per dilatare i tempi processuali, lo stato inadeguato delle risorse e del personale, primo fra tutti la carenza di cancellieri, il collasso dell'organizzazione del processo penale? E come fare a non tenere in nessun Pag. 77conto l'avvertimento che ci viene da esperti e da operatori del diritto e che è stata formalizzata nei lavori della Commissione Riccio: la prescrizione se vista nella sua eccezionalità può funzionare come agente terapeutico perché può sollecitare efficienza e rigore organizzativo ma può diventare agente patogeno in caso contrario perché scoraggia le premialità trasparenti e legali dei riti alternativi, impedendo al processo accusatorio di poter funzionare e incentivando tecniche dilatorie con moltiplicazione delle impugnazioni.
La domanda a cui non risponde la proposta di legge come emendata ma alla quale non ci possiamo sottrarre è se questa normativa sia in grado di conseguire lo scopo dichiarato, quello cioè di abbreviare la durata dei processi, perché è sempre questo il titolo della proposta di legge.
Eppure da operatori del diritto, professori universitari, avvocati, magistrati, studiosi, esperti erano state indicate alcune misure necessarie su cui si era determinata un'ampia convergenza: riorganizzazione degli uffici giudiziari, nuova definizione dei distretti, modifica dei codici di rito per snellire le procedure e superare formalismi superflui , depenalizzazione delle fattispecie a minor impatto sociale, sostegno ai riti alternativi, ammodernamento delle strutture, informatizzazione, riqualificazione del personale di cancelleria, razionalizzazione della copertura dei ruoli, previsione di preclusioni endoprocessuali in tema di competenza e invalidità degli atti, eliminazione del giudizio contumaciale a favore dell'istituto dell'assenza consapevole e informata dell'imputato, inammissibilità delle impugnazioni manifestamente infondate o aspecifiche.
Di tutto ciò non vi è traccia nella proposta di legge. Ancora una volta un'occasione perduta per migliorare il sistema giustizia.
Si continua a fingere di ignorare le cause che ne determinano l'insopportabile lunghezza? O forse l'obiettivo vero di questa proposta è quello di sfuggire alla giurisdizione interrompendo i processi nel corso del loro svolgimento invece di farli concludere rapidamente?
Un modello di giustizia sommaria in cui non si contrasta la lentezza dei tempi intervenendo sulle ormai ben note cause ma riducendo ancora i tempi di prescrizione del reato.
Cosa è rimasto della proposta di legge originaria?
Sono stati eliminati tutti gli articoli che riguardavano l'introduzione della prescrizione processuale sia per i procedimenti civili e penali che per quelli contabili, eliminata anche l'istanza di sollecitazione, in cambio è stato introdotto un emendamento che taglia i tempi della prescrizione sostanziale per gli incensurati: appena una sforbiciata, quanto basta.
L'abbreviazione della prescrizione sostanziale in una situazione che di fatto sancisce l'estinzione dei processi indurrà ad un inevitabile allungamento dei tempi funzionale al maturare della prescrizione.
Questo prevalere del tecnicismo mortificherà l'obiettivo fondamentale del processo a favore della ricerca del tempo della prescrizione con buona pace della tutela delle vittime dei reati e con buona pace della giustizia che vede ancora una volta l'introduzione di insopportabili norme derogatorie a favore anche del Presidente del Consiglio visto che non migliora minimamente lo stato della giustizia. Che ne è stato dell'impegno assunto dal Ministro Alfano di non avanzare proposte che avrebbero potuto avvantaggiare l'onorevole Berlusconi? Risibile la giustificazione che questo non è un disegno di legge governativo, ma una proposta di iniziativa parlamentare. Non ho sentito esprimere pareri negativi all'emendamento da parte del Governo che non è certo succube del Parlamento ma piuttosto lo manovra a suo uso e consumo.
Come si può sostenere, come fa il relatore, allora che questa non sia l'ennesima Pag. 78legge che avvantaggerà Berlusconi sia nel processo per corruzione legata al caso Mills sia in quello per i fondi neri Mediaset, sia per il processo per concussione e istigazione alla prostituzione minorile dal momento che di prescrizione in prescrizione Berlusconi si potrà vantare di non essere mai stato condannato potendo attingere a piene mani a questa micronorma a cui si è ridotta l'intera proposta di legge, che come in un recente orwelliano introduce anche il principio che alcuni cittadini sono più incensurati di altri.
Una norma di poche righe, signor Presidente, tanto quanto basta.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 3137

Pdl n. 3137 - Misure contro la durata indeterminata dei processi

Tempo complessivo: 20 ore e 30 minuti di cui:

  • discussione generale: 7 ore;
  • seguito dell'esame: 13 ore e 30 minuti.
  Discussione generale Seguito esame
Relatore 20 minuti 30 minuti
Governo 20 minuti 30 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici   1 ora e 30 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 8 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 2 ore e 2 minuti (con il limite massimo di 20 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore e 2 minuti 8 ore e 48 minuti
Popolo della Libertà 53 minuti 2 ore e 5 minuti
Partito Democratico 51 minuti 1 ora e 57 minuti
Lega Nord Padania 36 minuti 58 minuti
Unione di Centro 34 minuti 49 minuti
Futuro e Libertà per l'Italia 33 minuti 47 minuti
Iniziativa Responsabile 33 minuti 47 minuti
Italia dei Valori 32 minuti 44 minuti
Misto: 30 minuti 41 minuti
Alleanza per l'Italia 10 minuti 15 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 8 minuti 10 minuti
Liberal Democratici - MAIE 6 minuti 8 minuti
Minoranze linguistiche 6 minuti 8 minuti