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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 446 di mercoledì 9 marzo 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 9,05.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Bindi, Bonaiuti, Brugger, Brunetta, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Frattini, Giro, La Russa, Lo Monte, Mantovano, Meloni, Miccichè, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Rotondi, Saglia, Sardelli, Tabacci, Vito e Zeller sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge:
FRANCESCO DI PASQUALE, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede:
misure per la tutela della mozzarella di bufala campana e per contrastare il fenomeno della cosiddetta «mozzarella blu» (1142) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
l'istituzione della Giornata della vita e dei valori tradizionali (1143) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
misure per favorire l'iniziativa economica privata (1144) - alla X Commissione (Attività produttive);
l'abolizione dei consorzi di gestione dei rifiuti solidi urbani (1145) - alla VIII Commissione (Ambiente);
lo scioglimento delle amministrazioni comunali che non attuano la raccolta differenziata dei rifiuti (1146) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
provvedimenti per migliorare il sistema educativo degli asili nido e della scuola dell'infanzia (1147) - alle Commissioni riunite VII (Cultura) e XII (Affari sociali);
la depenalizzazione dei reati di scarsa rilevanza sociale (1148) - alla II Commissione (Giustizia);
l'istituzione di registri dei ricercatori esperti in energie alternative e degli inventori (1149) - alle Commissioni riunite VII (Cultura) e X (Attività produttive); Pag. 2
provvedimenti volti a garantire la disponibilità dei libri scolastici sin dai primi giorni di scuola (1150) - alla VII Commissione (Cultura);
misure per evitare la proliferazione incontrollata di impianti eolici nell'area del Matese (1151) - alla VIII Commissione (Ambiente);
la riduzione del ticket sulle prestazioni sanitarie per le persone meno abbienti (1152) - alla XII Commissione (Affari sociali);
interventi per evitare la scomparsa dei mestieri tradizionali (1153) - alla X Commissione (Attività produttive);
ELVIO GALLO e MARIA CRISTINA BONATTI, da Milano, chiedono:
nuove norme per la tutela dei diritti e della funzione educativa dei padri (1154) - alle Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali);
misure per contrastare la «sindrome di alienazione genitoriale» (1155) - alla XII Commissione (Affari sociali);
MICHELE VECCHIONE, da Alatri (Frosinone), chiede:
interventi per scongiurare lo scioglimento delle associazioni combattentistiche e dei reduci (1156) - alla IV Commissione (Difesa);
una più equilibrata ripartizione sul territorio degli organici delle Forze dell'ordine (1157) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede modifiche alle norme sul cosiddetto «registro delle opposizioni» (1158) - alle Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive);
MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede l'istituzione di una Commissione di inchiesta sull'attività della SIAE (1159) - alla VII Commissione (Cultura);
EDELWEISS BONELLI, da Benevento, chiede misure per responsabilizzare gli uffici scolastici provinciali in ordine ai dati utilizzati dal sistema informativo dell'istruzione (SIDI) per l'immissione in ruolo dei docenti (1160) - alla XI Commissione (Lavoro);
ALESSANDRO POMPEI, da Martinsicuro (Teramo), chiede l'adozione di nuove norme in materia tassazione dei redditi di impresa e da lavoro (1161) - alla VI Commissione (Finanze);
CESARE SANDRO STROZZI, da Alessandria, e altri cittadini chiedono norme in materia di intervento del condominio nei procedimenti di espropriazione forzata, anche ai fini dell'esame, da parte della Camera dei deputati, della proposta di legge n. 4041, approvata dal Senato (1162) - alla II Commissione (Giustizia);
GIUSEPPE MARINO, da Grammichele (Catania), chiede l'estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori autonomi (1163) - alla XI Commissione (Lavoro);
VINCENZO ARMENIO, da Acireale (Catania), chiede il riconoscimento dell'attività di magistrato onorario come titolo per la partecipazione ai concorsi per l'accesso alla dirigenza pubblica (1164) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
ANTONINO MARSALA, da Palermo, e altri cittadini chiedono che l'insegnamento di «laboratorio di servizi enogastronomici - settore cucina, sala e vendita» sia riservato ai soggetti in possesso di specifica abilitazione (1165) - alla VII Commissione (Cultura);
GIAN ANTONIO CONTE, da Milano, chiede modifiche alla Costituzione per l'introduzione della forma di governo del cancellierato e dell'istituto della sfiducia costruttiva (1166) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
SALVATORE FRESTA, da Palermo, chiede misure per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità (1167) - alla X Commissione (Attività produttive);
GIANQUINTO DURANTI, da Roma, e numerosi altri cittadini chiedono una moratoria Pag. 3agli aumenti di canoni di affitto e ai prezzi di acquisto degli appartamenti del patrimonio immobiliare dell'ENASARCO e l'apertura di un tavolo tecnico (1168) - alla VIII Commissione (Ambiente);
FLORESTANO BIANCHI e MASSIMILIANO MATTIUZZO, da Fiumicino (Roma), e numerosi altri cittadini chiedono misure urgenti per contrastare l'inquinamento acustico prodotto dall'aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma (1169) - alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e IX (Trasporti);
CARMINE GONNELLA, da Londra, chiede l'istituzione, a partire dal 2012, della Giornata dell'Unità d'Italia da celebrare la seconda domenica del mese di marzo (1170) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 9,17).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno avere luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Votazione per l'elezione di un Segretario di Presidenza, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la votazione per l'elezione di un Segretario di Presidenza, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento.
Ricordo che a tale elezione si procede a seguito della richiesta formulata dal gruppo di Iniziativa Responsabile costituitosi successivamente all'elezione dell'Ufficio di Presidenza e non rappresentato in tale organo.
Avverto che ciascun deputato può scrivere sulla scheda un solo nome. Le schede recanti più di un nominativo saranno considerate nulle.
Ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del Regolamento, risulterà eletto il deputato, tra quelli appartenenti al gruppo Iniziativa Responsabile, che otterrà il maggior numero di voti.
Avverto che lo scrutinio avverrà nella sala dei Ministri.
Indico la votazione per schede.
Avverto che la Presidenza ha autorizzato a votare per primi alcuni deputati che ne hanno fatto espressa e motivata richiesta con congruo anticipo prima dell'inizio della seduta.
Per dare ordine all'affluenza alle urne invito i deputati segretari a procedere alla chiama.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito i deputati segretari a procedere nella sala dei ministri allo spoglio delle schede.
Saluto gli studenti dell'Istituto paritario Angelo Poliziano di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Sospendo la seduta sino al termine delle operazioni di scrutinio.

La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 11,20.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per l'elezione di un segretario di Presidenza, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento:

Presenti e votanti: 493
Hanno ottenuto voti: Michele Pisacane 254; Domenico Scilipoti 14; Antonio Razzi 11.
Voti dispersi: 5
Schede bianche: 177
Schede nulle: 32

Proclamo eletto segretario di Presidenza della Camera dei deputati l'onorevole Michele Pisacane. Pag. 4
La Presidenza rivolge le migliori congratulazioni all'onorevole Pisacane per l'importante incarico a cui è stato eletto (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Iniziativa Responsabile).

Hanno preso parte alla votazione:
Abelli Gian Carlo
Abrignani Ignazio
Adornato Ferdinando
Agostini Luciano
Alessandri Angelo
Alfano Gioacchino
Allasia Stefano
Amici Sesa
Angeli Giuseppe
Antonione Roberto
Aprea Valentina
Aracri Francesco
Aracu Sabatino
Argentin Ileana
Armosino Maria Teresa
Ascierto Filippo
Baccini Mario
Bachelet Giovanni Battista
Baldelli Simone
Barba Vincenzo
Barbareschi Luca Giorgio
Barbato Francesco
Barbi Mario
Barbieri Emerenzio
Baretta Pier Paolo
Beccalossi Viviana
Belcastro Elio Vittorio
Bellanova Teresa
Bellotti Luca
Beltrandi Marco
Benamati Gianluca
Berardi Amato
Bergamini Deborah
Bernardini Rita
Bernardo Maurizio
Berretta Giuseppe
Berruti Massimo Maria
Bertolini Isabella
Biancofiore Michaela
Bianconi Maurizio
Biasotti Sandro
Biava Francesco
Binetti Paola
Bitonci Massimo
Bobba Luigi
Bocci Gianpiero
Boccia Francesco
Bocciardo Mariella
Boffa Costantino
Bonavitacola Fulvio
Bonciani Alessio
Bonino Guido
Boniver Margherita
Bordo Michele
Bosi Francesco
Bossa Luisa
Botta Marco
Braga Chiara
Bragantini Matteo
Brancher Aldo
Brandolini Sandro
Bressa Gianclaudio
Brunetta Renato
Bruno Donato
Buonanno Gianluca
Buonfiglio Antonio
Burtone Giovanni Mario Salvino
Calabria Annagrazia
Calderisi Giuseppe
Calearo Ciman Massimo
Calgaro Marco
Callegari Corrado
Cambursano Renato
Capano Cinzia
Caparini Davide
Capitanio Santolini Luisa
Capodicasa Angelo
Cardinale Daniela
Carella Renzo
Carlucci Gabriella
Carra Marco
Cassinelli Roberto
Castagnetti Pierluigi
Castellani Carla
Castiello Giuseppina
Catanoso Basilio
Catone Giampiero
Causi Marco
Cavallaro Mario
Cavallotto Davide
Cazzola Giuliano
Ceccacci Rubino Fiorella
Ceccuzzi Franco
Cenni Susanna
Centemero Elena Pag. 5
Ceroni Remigio
Cesario Bruno
Cesaro Luigi
Chiappori Giacomo
Ciccanti Amedeo
Cicchitto Fabrizio
Ciccioli Carlo
Cicu Salvatore
Cimadoro Gabriele
Ciriello Pasquale
Codurelli Lucia
Colaninno Matteo
Colombo Furio
Colucci Francesco
Comaroli Silvana Andreina
Commercio Roberto Mario Sergio
Compagnon Angelo
Concia Anna Paola
Consiglio Nunziante
Consolo Giuseppe
Conte Gianfranco
Contento Manlio
Corsaro Massimo Enrico
Corsini Paolo
Coscia Maria
Cosentino Nicola
Costa Enrico
Crimi Rocco
Cristaldi Nicolò
Crosetto Guido
Crosio Jonny
Cuomo Antonio
Cuperlo Giovanni
Dal Lago Manuela
Dal Moro Gian Pietro
Damiano Cesare
D'Amico Claudio
D'Anna Vincenzo
D'Antona Olga
D'Antoni Sergio Antonio
De Angelis Marcello
De Biasi Emilia Grazia
De Camillis Sabrina
De Corato Riccardo
De Girolamo Nunzia
Delfino Teresio
Della Vedova Benedetto
Dell'Elce Giovanni
Del Tenno Maurizio
De Luca Francesco
De Micheli Paola
De Nichilo Rizzoli Melania
De Pasquale Rosa
Desiderati Marco
De Torre Maria Letizia
Di Biagio Aldo
Di Cagno Abbrescia Simeone
Di Caterina Marcello
Di Centa Manuela
Di Giuseppe Anita
D'Incecco Vittoria
Dionisi Armando
D'Ippolito Vitale Ida
Di Stanislao Augusto
Distaso Antonio
Di Virgilio Domenico
Di Vizia Gian Carlo
Dozzo Gianpaolo
Duilio Lino
Dussin Guido
Dussin Luciano
Esposito Stefano
Evangelisti Fabio
Fadda Paolo
Faenzi Monica
Fallica Giuseppe
Farina Gianni
Farina Renato
Farinone Enrico
Fedriga Massimiliano
Ferranti Donatella
Ferrari Pierangelo
Fiorio Massimo
Fitto Raffaele
Fluvi Alberto
Fogliardi Giampaolo
Fogliato Sebastiano
Follegot Fulvio
Fontana Gregorio
Fontana Vincenzo Antonio
Fontanelli Paolo
Formichella Nicola
Formisano Aniello
Formisano Anna Teresa
Foti Antonino
Foti Tommaso
Franzoso Pietro
Frassinetti Paola
Froner Laura
Fucci Benedetto Francesco
Fugatti Maurizio
Galati Giuseppe
Garagnani Fabio
Garavini Laura Pag. 6
Garofalo Vincenzo
Garofani Francesco Saverio
Gasbarra Enrico
Gatti Maria Grazia
Gava Fabio
Genovese Francantonio
Germanà Antonino Salvatore
Ghedini Niccolò
Ghiglia Agostino
Giachetti Roberto
Giacomelli Antonello
Giacomoni Sestino
Giammanco Gabriella
Gianni Giuseppe
Gibiino Vincenzo
Gidoni Franco
Ginefra Dario
Ginoble Tommaso
Giorgetti Alberto
Girlanda Rocco
Giulietti Giuseppe
Gnecchi Marialuisa
Goisis Paola
Golfo Lella
Gottardo Isidoro
Gozi Sandro
Granata Benedetto Fabio
Grassano Maurizio
Grassi Gero
Graziano Stefano
Grimaldi Ugo Maria Gianfranco
Grimoldi Paolo
Guzzanti Paolo
Holzmann Giorgio
Iannaccone Arturo
Iannuzzi Tino
Iapicca Maurizio
Isidori Eraldo
Jannone Giorgio
Laboccetta Amedeo
Laffranco Pietro
Laganà Fortugno Maria Grazia
Lainati Giorgio
La Loggia Enrico
La Malfa Giorgio
Lamorte Donato
Landolfi Mario
Lanzarin Manuela
Lanzillotta Linda
Laratta Francesco
Latteri Ferdinando
Lazzari Luigi
Lehner Giancarlo
Leone Antonio
Levi Ricardo Franco
Lombardo Angelo Salvatore
Lo Monte Carmelo
Lo Moro Doris
Lo Presti Antonino
Lorenzin Beatrice
Losacco Alberto
Lovelli Mario
Lucà Mimmo
Lulli Andrea
Lunardi Pietro
Luongo Antonio
Lupi Maurizio
Lusetti Renzo
Lussana Carolina
Maggioni Marco
Mantini Pierluigi
Marantelli Daniele
Marcazzan Pietro
Marchi Maino
Marchignoli Massimo
Marchioni Elisa
Margiotta Salvatore
Mariani Raffaella
Marinello Giuseppe Francesco Maria
Marini Cesare
Marini Giulio
Marsilio Marco
Martinelli Marco
Martini Francesca
Martino Antonio
Martino Pierdomenico
Mattesini Donella
Mazzarella Eugenio
Mazzocchi Antonio
Mazzoni Riccardo
Mazzuca Giancarlo
Mecacci Matteo
Melis Guido
Mereu Antonio
Merlo Giorgio
Meta Michele Pompeo
Miglioli Ivano
Migliori Riccardo
Milanato Lorena
Milanese Marco Mario
Milo Antonio
Minardo Antonino
Minasso Eugenio
Minniti Marco Pag. 7
Miotto Anna Margherita
Misiani Antonio
Misiti Aurelio Salvatore
Misuraca Dore
Moffa Silvano
Mogherini Rebesani Federica
Moles Giuseppe
Molteni Laura
Molteni Nicola
Monai Carlo
Mondello Gabriella
Montagnoli Alessandro
Morassut Roberto
Mosca Alessia Maria
Mosella Donato Renato
Motta Carmen
Mottola Giovanni Carlo Francesco
Munerato Emanuela
Mura Silvana
Murer Delia
Murgia Bruno
Muro Luigi
Mussolini Alessandra
Naccarato Alessandro
Nannicini Rolando
Napoli Osvaldo
Narducci Franco
Nastri Gaetano
Negro Giovanna
Nicco Roberto Rolando
Nicolucci Massimo
Nirenstein Fiamma
Nizzi Settimo
Nola Carlo
Occhiuto Roberto
Oliverio Nicodemo Nazzareno
Orsini Andrea
Pagano Alessandro
Paladini Giovanni
Palagiano Antonio
Palmieri Antonio
Palomba Federico
Paniz Maurizio
Paolini Luca Rodolfo
Parisi Arturo Mario Luigi
Parisi Massimo
Paroli Adriano
Pastore Maria Piera
Patarino Carmine Santo
Pedoto Luciana
Pelino Paola
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido
Pepe Mario (IR)
Pepe Mario (PD)
Pes Caterina
Pescante Mario
Petrenga Giovanna
Pezzotta Savino
Pianetta Enrico
Picchi Guglielmo
Piccolo Salvatore
Piffari Sergio Michele
Pili Mauro
Pini Gianluca
Pionati Francesco
Pisacane Michele
Pisicchio Pino
Piso Vincenzo
Pistelli Lapo
Pizzetti Luciano
Pizzolante Sergio
Poli Nedo Lorenzo
Polidori Catia
Polledri Massimo
Pompili Massimo
Porcino Gaetano
Porcu Carmelo
Porfidia Americo
Porta Fabio
Portas Giacomo Antonio
Proietti Cosimi Francesco
Pugliese Marco
Quartiani Erminio Angelo
Rainieri Fabio
Raisi Enzo
Rampelli Fabio
Rampi Elisabetta
Rao Roberto
Ravetto Laura
Razzi Antonio
Recchia Pier Fausto
Reguzzoni Marco Giovanni
Repetti Manuela
Ria Lorenzo
Rivolta Erica
Romano Francesco Saverio
Romele Giuseppe
Rondini Marco
Rosato Ettore
Rossa Sabina
Rossi Luciano
Rossi Mariarosaria
Rosso Roberto
Ruben Alessandro Pag. 8
Rubinato Simonetta
Ruggeri Salvatore
Rugghia Antonio
Russo Antonino
Russo Paolo
Ruvolo Giuseppe
Saltamartini Barbara
Sammarco Gianfranco
Samperi Marilena
Sanga Giovanni
Sani Luca
Santelli Jole
Sardelli Luciano Mario
Sarubbi Andrea
Savino Elvira
Sbai Souad
Sbrollini Daniela
Scalera Giuseppe
Scalia Giuseppe
Scandroglio Michele
Scapagnini Umberto
Scarpetti Lido
Scelli Maurizio
Schirru Amalia
Scilipoti Domenico
Sereni Marina
Servodio Giuseppina
Siliquini Maria Grazia
Simeoni Giorgio
Simonetti Roberto
Siragusa Alessandra
Sisto Francesco Paolo
Soglia Gerardo
Soro Antonello
Speciale Roberto
Sposetti Ugo
Stagno d'Alcontres Francesco
Stanca Lucio
Stasi Maria Elena
Stracquadanio Giorgio Clelio
Stradella Franco
Strizzolo Ivano
Tabacci Bruno
Taddei Vincenzo
Tassone Mario
Tenaglia Lanfranco
Terranova Giacomo
Testoni Piero
Tidei Pietro
Toccafondi Gabriele
Tocci Walter
Togni Renato Walter
Torazzi Alberto
Torrisi Salvatore
Tortoli Roberto
Toto Daniele
Touadi Jean Leonard
Trappolino Carlo Emanuele
Tullo Mario
Urso Adolfo
Valducci Mario
Valentini Valentino
Vanalli Pierguido
Vannucci Massimo
Vassallo Salvatore
Vella Paolo
Velo Silvia
Veltroni Walter
Ventucci Cosimo
Ventura Michele
Verini Walter
Vernetti Gianni
Versace Santo Domenico
Vico Ludovico
Vignali Raffaello
Villecco Calipari Rosa Maria
Viola Rodolfo Giuliano
Vito Elio
Volpi Raffaele
Zaccaria Roberto
Zacchera Marco
Zampa Sandra
Zamparutti Elisabetta
Zazzera Pierfelice
Zucchi Angelo
Zunino Massimo

Sono in missione:
Albonetti Gabriele
Alfano Angelino
Berlusconi Silvio
Bindi Rosy
Bonaiuti Paolo
Bossi Umberto
Brambilla Michela Vittoria
Brugger Siegfried
Buttiglione Rocco
Carfagna Maria Rosaria
Casero Luigi
Cirielli Edmondo
Cossiga Giuseppe
D'Alema Massimo
Donadi Massimo Pag. 9
Fassino Piero
Fava Giovanni
Frattini Franco
Gelmini Mariastella
Giorgetti Giancarlo
Giro Francesco Maria
La Russa Ignazio
Leo Maurizio
Mantovano Alfredo
Maroni Roberto
Melchiorre Daniela
Meloni Giorgia
Miccichè Gianfranco
Migliavacca Maurizio
Orlando Leoluca
Prestigiacomo Stefania
Rigoni Andrea
Roccella Eugenia Maria
Romani Paolo
Rotondi Gianfranco
Saglia Stefano
Stefani Stefano
Stucchi Giacomo
Tremonti Giulio
Vitali Luigi
Volontè Luca
Zeller Karl

Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge: Caparini ed altri; Cirielli: Incentivi per favorire, nelle regioni dell'arco alpino, il reclutamento di militari volontari nei reparti delle truppe alpine (A.C. 607-1897-A) (ore 11,22).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati Caparini ed altri; Cirielli: Incentivi per favorire, nelle regioni dell'arco alpino, il reclutamento di militari volontari nei reparti delle truppe alpine.
Ricordo che nella seduta del 7 marzo 2011 si è conclusa la discussione sulle linee generali ed ha avuto luogo la replica del relatore, mentre il rappresentante del Governo vi ha rinunciato.
Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri, che sono distribuiti in fotocopia (Vedi l'allegato A - A.C. 607-1897-A).
Avverto che in tale ultimo parere è contenuta una condizione volta a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione che verrà posta in votazione ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis del Regolamento.
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 89, comma 1, del Regolamento, le seguenti proposte emendative, non previamente presentate in Commissione: Recchia 1.22, il subemendamento Rugghia 0.1.201.1, nonché Rosato 1.25 e 1.26, volti ad estendere i benefici che il provvedimento riconosce agli alpini, anche ad altri soggetti quali i volontari delle Forze armate e dei vigili del fuoco. Tali emendamenti non sono riconducibili alla materia del provvedimento che, nel testo così come licenziato dalla Commissione, ha ad oggetto esclusivamente i militari volontari nei reparti delle truppe alpine.
La Presidenza non ritiene altresì ammissibile l'emendamento Rosato 3.20, volto ad istituire un Fondo destinato all'Associazione nazionale carabinieri per valorizzare l'attività di concorso negli interventi di Protezione civile.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.

ETTORE ROSATO. Signor Presidente, le chiedo di intervenire ai sensi dell'articolo 86 del Regolamento per proporre il rinvio in sede di Commissione di questo provvedimento.
Signor Presidente, voglio dire con grande chiarezza - spero di riuscire ad attirare l'attenzione dell'Aula - che non abbiamo nessuna pregiudiziale su questo provvedimento. In sede di Commissione, il dibattito ha avuto un serio contributo da parte nostra. Abbiamo dimostrato di essere attenti al testo presentato dai colleghi della Lega Nord Padania, in particolare, per il nostro affetto e la nostra gratitudine nei confronti delle truppe alpine. In queste settimane e in questi mesi tale gratitudine non può che aumentare, anche in misura Pag. 10del grande sacrificio che stanno sopportando in Afghanistan.
Con questo provvedimento ci stiamo dimostrando molto lontani dalle situazioni del nostro Paese e dalle necessità delle nostre truppe alpine.
Questo è un provvedimento che con modestissimi effetti, tutti peraltro a carico di regioni e comuni, produce una grande e pesante differenziazione e pregiudizio tra un militare che diviene di serie A e un militare che diviene di serie B. Il sottosegretario Crosetto, ieri nel suo intervento in Commissione, ha detto che, se sono necessari degli sgravi fiscali, è giusto che li faccia lo Stato e non gli enti locali.
Richiamerei, inoltre, la lettura di quanto ha detto il sottosegretario Alberto Giorgetti, in sede di V Commissione. Egli fa presente che le disposizioni sarebbero in contrasto con l'articolo 97 della Costituzione ed esprime, comunque, parere contrario sulla concessione di benefici, sia pure di natura non continuativa, di carattere fiscale, ancorché nei limiti consentiti dalla normativa statale. Il sottosegretario continua il suo intervento e fa, altresì, presente che a legislazione vigente, e senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato, è contrario all'istituzione del brevetto militare alpino, perché rileva che le disposizioni comporterebbero nuove attività da parte degli uffici dell'amministrazione della Difesa. Infine, fa riferimento al fatto che questo provvedimento, nella sua natura, non è sostenibile rispetto ai profili finanziari.
Tuttavia, richiamo i profili militari che sono qui all'ordine del giorno. Non è questo il problema del reclutamento. Per risolvere un problema reale e su cui siamo disponibili a ragionare - come ho detto ai nostri colleghi della Lega - non possiamo affrontarlo in maniera demagogica. Su dieci militari che oggi sono in Afghanistan a combattere per questo Stato, solo un militare su dieci che aspira a diventare militare permanente nelle nostre Forze armate avrà la possibilità di farlo, perché non vi sono le risorse per metterli in servizio permanente. È questo il reale problema che caratterizza le nostre Forze armate. Sui dieci ultimi alpini che sono morti in Afghanistan - e lo dico con grande rispetto, anche per l'attenzione che tutta l'Aula ha tributato loro - nessuno di loro avrebbe avuto diritto ai benefici che sono previsti in questo provvedimento. Stiamo discutendo di un provvedimento dei cui benefici nessuno di quei dieci ragazzi avrebbe avuto diritto.
Questo non è un problema tra nord e sud, come qualcuno vuole banalizzare. È un problema di giustizia e di etica. Quei ragazzi, che sono nelle brande, si considerano solidali e fratelli tra di loro e non vogliono che vi sia una differenziazione di paga tra l'uno e l'altro. Quegli alpini che sono lì, a combattere insieme ai nostri paracadutisti della Folgore, non vogliono avere dieci euro in più al mese rispetto ai paracadutisti della Folgore o rispetto ai granatieri di Sardegna, che fanno lo stesso lavoro.
Chiedo veramente che vi sia una riflessione da parte di questo Parlamento e che vi sia un rinvio di questo provvedimento in Commissione, dove tutti noi possiamo riflettere e fornire un contributo per arrivare a un provvedimento che ottenga anche l'unanimità di questo Parlamento. Siamo contro le discriminazioni e le divisioni dei ragazzi che per noi combattono e che rappresentano il nostro Paese.
Pertanto, signor Presidente, chiedo cortesemente - e lo chiedo formalmente, se il relatore non accoglie tale richiesta - che la nostra proposta venga posta in votazione.

PRESIDENTE. A questo punto chiedo il parere del relatore sulla proposta formulata dall'onorevole Rosato.

FRANCO GIDONI, Relatore. Signor Presidente, ho ascoltato il collega Rosato e devo ammettere anche un po' di sorpresa perché, come ben sa, il provvedimento è stato presentato nel 2008 e ha avuto un lungo iter in Commissione. Pertanto, ero convinto che gli amici del Partito Democratico, anche con gli emendamenti che nel corso dell'esame del provvedimento hanno presentato, avessero avuto tutto il Pag. 11tempo di esaminarlo e anche di emendarlo e di farne un testo che per loro fosse più condivisibile.
Prendo atto delle parole del collega Rosato. Devo solo correggerlo un po', perché ricordo che il caporalmaggiore Matteo Miotto era vicentino, alpino e la sua provenienza era dalle zone tradizionali di arruolamento della brigata alpina Cadore. Pertanto, come vede, non erano tutti meridionali o tutti esclusi dalle zone di arruolamento alpino. Questo passaggio è utile, giusto per correggere quanto affermato dal collega Rosato.
È chiaro che il provvedimento tende ovviamente ad incentivare un corpo specializzato della nostra fanteria. Ricordo al collega Rosato che stiamo parlando degli alpini, ossia del più antico Corpo di fanteria di montagna esistente al mondo e quindi questo è l'ennesimo privilegio di cui questa nazione gode. Si tratta di un Corpo che assolutamente merita la nostra attenzione.
Condivido le preoccupazioni del collega Rosato di voler pervenire nel tempo ad un provvedimento migliore, però è ovvio che questo provvedimento giunge oggi all'esame della Camera con il parere favorevole delle Commissioni e a seguito di un esame svoltosi ieri in sede di Comitato dei nove degli emendamenti presentati. Per cui, ritengo - proprio per la storia degli alpini e per il fatto che c'è bisogno di questa testimonianza nei loro confronti - che occorrano gli incentivi contenuti in questo provvedimento e che hanno, collega Rosato, l'approvazione della Commissione bilancio. Lei ha sollevato problemi sulla costituzionalità di questi, ma forse la Commissione bilancio avrebbe dovuto condividere i suoi rilievi e respingerli, invece c'è stata un'approvazione del testo. Quindi, ritengo che la scusa che lei ha addotto per chiedere il rinvio in Aula non sia sostenibile.
Non vorrei che questa sua proposta diventasse nei confronti del Corpo degli alpini un motivo per dilazionare nel tempo il problema. Comprendo le sue motivazioni - è tutto chiaro - quando dice che i corpi specializzati all'interno del nostro esercito sono tanti e quindi, in questo spirito, ritengo che questo possa essere il primo di una serie di provvedimenti tesi ad incentivare la salvaguardia della cultura e della tradizione in armi dei vari corpi che noi abbiamo. Cito qui - perché forse è l'esempio più eclatante - la brigata Sassari, che ha un tipo di reclutamento tipicamente e fortemente connaturato con il suo territorio. Quindi, come vede, questo non è solo un problema che riguarda gli alpini, ma è un problema di molti altri corpi.
È evidente un concetto - se mi permette di sottolinearlo - collega Rosato: se lei compra una scatola di passata di pomodoro napoletana si aspetta che all'interno della scatola ci sia la passata di Napoli e non evidentemente il pomodoro cinese. Oggi, in questa sede, il concetto è analogo: vogliamo che gli alpini abbiano uno zoccolo duro di reclutamento, che provenga dalle tradizionali zone di reclutamento alpino. Non vorrei dimenticare - e non vorrei che quest'Aula lo dimenticasse - che dal 1872 gli alpini sono stati reclutati da ben determinate zone del nostro Paese. Quindi, oggi mi pare che salvaguardarne questa specificità, tentare di salvaguardarne l'identità e la cultura credo che non getti scandalo su nessuno.
Per questo, signor Presidente, dichiaro la mia personale contrarietà al rinvio in Commissione.

PRESIDENTE. A questo punto, in base al Regolamento, darò la parola ad un oratore a favore e ad un oratore contro la proposta formulata dall'onorevole Rosato.

FRANCESCO BOSI. Chiedo di parlare a favore.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, mi associo alla proposta avanzata dall'onorevole Rosato, concernente un rinvio in Commissione. Il nostro Paese vive una situazione molto delicata in questo momento nei confronti delle Forze armate e Pag. 12c'è un grande malessere anche perché dobbiamo ritrovare il modello di difesa che possiamo sopportare.
Certamente tutti vogliamo bene al Corpo degli alpini e tutti vogliamo che anche coloro i quali vivono nelle regioni alpine possano entrare a far parte del Corpo degli alpini al pari degli altri. Voglio ricordare che celebreremo tra qualche giorno i centocinquanta anni dell'unità d'Italia. Nella guerra del 1915-1918 gli alpini vedevano presenze di tutte le regioni italiane e non solo di una particolare regione.
Il problema è anche quello di capire che la selezione all'interno dell'Esercito non la fanno gli incentivi - che, come ha già detto bene il collega, dividono - ma viene fatta sulla base delle attitudini. Quindi eventualmente la norma può essere rielaborata - mi rivolgo al relatore, se è interessato - nel senso di invitare coloro i quali fanno il reclutamento a privilegiare la provenienza rispetto ad altre caratteristiche, altrimenti non risolveremo il problema. Per queste ragioni sono favorevole al ritorno delle proposte di legge in Commissione.

FILIPPO ASCIERTO. Chiedo di parlare contro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, sono contrario al rinvio in Commissione di questo provvedimento per una ragione molto semplice. Non è un'idea prettamente del nord quella di incentivare l'arruolamento nelle truppe alpine nelle regioni dell'arco alpino, ma è un'esigenza dell'Esercito e delle Forze armate. Vivendo a contatto con il personale militare, so che oggi l'arruolamento viene fatto dall'Esercito, che destina al Corpo degli alpini, in base ad esigenze di organico, i ragazzi che entrano nelle Forze armate.
Esiste un malessere, diffuso soprattutto fra i giovani del sud, nel momento in cui vengono cooptati e inviati all'interno di un Corpo, come quello degli alpini, che li distanzia per cultura, tradizioni e anche per volontà, destinandoli alle regioni dell'arco alpino. Sono gli stessi militari a dire che si potrebbe fare una selezione specifica per il reclutamento degli alpini, attingendo proprio fra quei ragazzi più vicini ai battaglioni ed ai reggimenti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 11,40)

FILIPPO ASCIERTO. Questa è la prima ragione, che deriva proprio da un'esigenza di appartenenza dei militari, ma c'è anche una questione sociale.
In secondo luogo, oggi l'incentivo per entrare in corpi altamente specializzati e professionalizzati - come quello degli alpini - può consistere davvero nell'inizio di un percorso per tutte le specializzazioni presenti all'interno delle Forze armate e degli stessi corpi. Voglio ricordare che ci sono incentivi - o meglio retribuzioni differenziate - come ad esempio per i paracadutisti e per tante specialità presenti all'interno degli stessi corpi, quindi non vedo come la questione possa creare dei problemi. Tra l'altro c'è stata una modifica degli incentivi che vengono così estesi anche a soggetti provenienti da regioni non alpine che vogliono entrare nel Corpo degli alpini.
Stiamo davvero dando la possibilità agli stessi giovani e militari di fare un'attività che desiderano e di evitare che giovani del sud vengano inviati al nord e passino tutta la vita a sperare di tornare al sud, non potendolo fare perché sappiamo che i comandi degli alpini al sud sono estremamente pochi. Poi possiamo parlare di storia degli alpini e di tradizione, ma è un'altra cosa. Dobbiamo guardare al futuro.

DAVIDE CAPARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Caparini, su cosa vuole intervenire?

DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, vorrei intervenire sulla proposta di rinvio.

Pag. 13

PRESIDENTE. Onorevole Caparini, il Regolamento prevede, come lei sa, che sulla proposta di rinvio in Commissione intervenga un deputato a favore ed uno contro. Qualora fosse avanzata la richiesta di potere intervenire da parte di altri gruppi, è facoltà del Presidente, come abbiamo già fatto in altri casi, estendere ad altri gruppi. Prendo atto che l'onorevole Reguzzoni è d'accordo a procedere in questa direzione.
Do la possibilità di intervenire anche ad un rappresentante per ciascuno degli altri gruppi. Prego, onorevole Caparini, ha facoltà di parlare.

DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, stupisce questa richiesta da parte del Partito Democratico, che ha contribuito anche in modo determinante all'elaborazione del testo che è oggi alla nostra attenzione. Ricordo che ci sono state tredici sedute di Commissione - il provvedimento è all'ordine del giorno della Commissione difesa sin dal 1o ottobre del 2008 - e che ci sono state anche tre riunioni del Comitato ristretto. Quindi, tutto si può dire tranne che questa materia non sia stata sviscerata all'interno della Commissione.
Credo che questo cambio di rotta da parte del centrosinistra sia più che altro dovuto alla verifica sul campo del consenso che questo provvedimento ha sia all'interno di quest'Aula sia al di fuori. Quindi, sono da tacciare perlomeno come ipocrite e strumentali le obiezioni che ho sentito fare dal collega Rosato. Troppo spesso in quest'Aula sentiamo magnificare il lavoro dei nostri militari, in particolare del Corpo alpino. Sentiamo esaltare il ruolo che hanno sugli scenari internazionali, riconoscere il problema del reclutamento delle truppe alpine, la disaffezione che in questo momento vivono, e poi cosa proponete? Cosa propone la sinistra? Cosa propongono coloro che a parole hanno così a cuore le sorti di questo glorioso corpo? Esattamente nulla. Propongono di non decidere nulla, di rinviare per l'ennesima volta in Commissione, propongono di non proporre, perché sinceramente non abbiamo avuto uno straccio di contributo costruttivo da parte del Partito Democratico, ma solo un lavoro sottotraccia di continuo ritardo sul provvedimento e quindi sull'approdo in Aula. Qui siamo arrivati al dunque: non possiamo più stare ad assistere inermi alla storia che ci passa davanti. Abbiamo preso una decisione molto importante nel 2000, ovvero quella di scegliere l'esercito di professionisti. Abbiamo scelto di abolire la leva, che aveva una struttura unica nel quadro europeo, che portava la società all'interno dell'Esercito e viceversa. Abbiamo quindi scelto la via professionale. Questo ha comportato evidenti squilibri sia nei criteri di reclutamento sia nel rapporto tra coloro che, sia in armi che in congedo, poi ritornano alle loro comunità. Parlo di realtà in cui l'Associazione nazionale alpini e tutti coloro che nel corso di questi anni hanno contribuito in modo determinante al rapporto tra l'Esercito e la professionalità che l'Esercito poi consegna ad ognuno di loro e le nostre comunità hanno fatto sì che ci fosse una sussidiarietà che oggi sta per venire a mancare.
Questa crisi vocazionale deve essere in qualche modo risolta, perché ha generato sulle nostre amministrazioni e sulle nostre comunità una serie di problemi che via via si stanno acuendo. È di questo che oggi dobbiamo parlare. Stiamo rivedendo la normativa e ricordo che la nostra legislazione prevede agevolazioni dal punto di vista economico per quanto riguarda le truppe alpine. Le abbiamo introdotte nel 2004, dal 1o gennaio chi sceglie gli alpini ha 50 euro in più mensilmente in busta paga, dal 1o gennaio del 2005 il reclutamento dalle zone tradizionali tipiche, quindi quelle alpine e appenniniche, ha una corsia preferenziale.
Quindi, non stiamo parlando delle cose che ho sentito dire dal collega Rosato, ma stiamo parlando di come questa normativa debba essere meglio declinata per essere più efficace, per arrivare all'obiettivo che noi tutti, sei anni fa, ci siamo prefissati in questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

Pag. 14

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, intervengo solo per dire che noi sosteniamo la richiesta di rinvio in Commissione. Rispetto alle osservazioni che faceva il collega Caparini, va puntualizzato che questo non è un provvedimento che punta a sostenere e ad agevolare il reclutamento nel Corpo degli alpini. Questo provvedimento introduce - non può essere che così, basta leggerlo - un elemento di discriminazione nel reclutamento a favore dei cittadini residenti in alcune aree del Paese piuttosto che in altre.
È questo elemento che rende, dal nostro punto di vista, incongruente il provvedimento, oltre ad eventuali profili di incostituzionalità ed altro. Se vogliamo predisporre un provvedimento che sostenga il Corpo degli alpini, facciamolo, senza discriminazioni territoriali e senza creare il paradosso per cui, pur di avere gli alpini che provengano da alcuni territori da dove gli alpini non vogliono più provenire, bisogna prevedere spesa pubblica aggiuntiva. Credo che si debba e si possa arrivare ad un testo differente. Per questo, chiediamo il rinvio in Commissione del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).

GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, ho letto questo provvedimento adesso, di fronte alla richiesta dell'onorevole Rosato. Vorrei far presente ai colleghi della maggioranza, che si apprestano a votare questo provvedimento, le conseguenze ordinamentali che esso determina.
Noi introduciamo un principio in base al quale gli enti locali e le regioni possono dare degli incentivi di carattere fiscale. Questo vuol dire non solo che noi creiamo delle disparità. Poniamo che vi siano dei soldati italiani che vanno in Afghanistan: non solo vi saranno differenze tra il Corpo degli alpini e i paracadutisti della Folgore, ma può addirittura avvenire che all'interno dello stesso reggimento degli alpini, a seconda che uno sia sostenuto dalla regione A, che prevede un incentivo più forte, piuttosto che dalla regione B, che prevede un incentivo meno forte, alpini che fanno lo stesso mestiere, nello stesso posto e nello stesso reggimento abbiano un trattamento diverso. Se prevediamo questo, sfasciamo il sistema militare del nostro Paese. Non è possibile!
Il Ministro Brunetta, che si occupa dei problemi del funzionamento della pubblica amministrazione, e il Ministro della difesa, che ha il dovere di seguire questa materia, come possono non esaminare un provvedimento di questo genere, che, per sostenere il reclutamento degli alpini, introduce un elemento di discriminazione all'interno delle Forze armate professionali che ci siamo date? Bisogna rinviare il provvedimento in Commissione e rifletterci seriamente. Questa è una materia troppo importante per lasciarla passare in questa maniera, signor Presidente.
Mi appello ai colleghi della maggioranza perché accettino il rinvio in Commissione del provvedimento per esaminare la questione e ascoltare molto seriamente i vertici delle Forze armate, il Ministro della difesa e il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Su questa materia il Parlamento non è che possa ragionare in termini di maggioranza e di minoranza o di campanilismo; deve ragionare con un senso istituzionale di fondo.

AMERICO PORFIDIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente, voglio solo chiarire alcune cose per fornire delucidazioni all'Assemblea. In effetti, anche noi, con tutta onestà, come gruppo di Iniziativa Responsabile, avevamo Pag. 15fino a ieri qualche problema nel portare avanti questo provvedimento, perché in alcuni punti prevedeva chiaramente delle discriminazioni per quanto riguardava i cittadini italiani.
Infatti, il provvedimento in esame, all'articolo 1, comma 4-bis, prevedeva che soltanto coloro che risiedevano nelle zone in cui vi erano gli alpini, quindi nelle regioni del nord Italia, potessero accedere ai benefici non continuativi di carattere fiscale. Abbiamo sollevato dunque questo problema perché chiaramente discriminatorio rispetto a coloro che risiedevano nelle altre regioni.
La questione è stata presa in considerazione dalla Commissione la quale ha, infatti, presentato un emendamento che prevede che tutti i cittadini italiani, in qualunque zona risiedano, possano usufruire dei benefici fiscali.
Questo accadimento, quindi, ha determinato un trattamento uguale per tutti i cittadini italiani per cui riteniamo che, a questo punto, il provvedimento in oggetto, per quanto ci riguarda, possa essere portato avanti.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta formulata dall'onorevole Rosato di rinvio in Commissione del testo unificato delle proposte di legge n. 607-1897-A.
(È approvata).

La Camera approva per nove voti di differenza (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per l'Italia, Partito Democratico e Italia dei Valori).

Seguito della discussione della proposta di legge Di Stanislao: Disposizioni per la promozione e la diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà (A.C. 2596-A); e dell'abbinata proposta di legge Mogherini Rebesani ed altri (A.C. 3287) (ore 11,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge d'iniziativa del deputato Di Stanislao: Disposizioni per la promozione e la diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà; e dell'abbinata proposta di legge d'iniziativa dei deputati Mogherini Rebesani ed altri.
Ricordo che nella seduta del 7 marzo 2011 si è conclusa la discussione sulle linee generali e che il relatore e il rappresentante del Governo hanno rinunciato ad intervenire in sede di replica.

(Esame degli articoli - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli della proposta di legge, nel testo della Commissione.
Avverto che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A - A.C. 2596-A).

(Esame dell'articolo 1 - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 2596-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Follegot, D'Anna, Moroni, Briguglio, Caparini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 515
Votanti 495
Astenuti 20
Maggioranza 248
Hanno votato
494
Hanno votato
no 1).

Pag. 16

Prendo atto che i deputati Lo Moro, Vessa e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.

(Esame dell'articolo 2 - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 2596-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Follegot, Migliori... Abbiamo una serie di colleghi nella prima fila dei banchi del PD che non riesce a votare... Onorevoli Sposetti, Cesare Marini, Scilipoti, Scanderebech, Caparini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 516
Votanti 500
Astenuti 16
Maggioranza 251
Hanno votato
500).

Prendo atto che i deputati Lo Moro, Vessa e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.

(Esame dell'articolo 3 - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - A.C. 2596-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Di Caterina, Calabria, Brandolini, Mantini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 515
Votanti 460
Astenuti 55
Maggioranza 231
Hanno votato
460).

Prendo atto che i deputati Brandolini, Vessa, Barbareschi e Monai hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.

(Esame dell'articolo 4 - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 4 (Vedi l'allegato A - A.C. 2596-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 4.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Cesare Marini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 512
Votanti 457
Astenuti 55
Maggioranza 229
Hanno votato
457).

Prendo atto che il deputato Alessandri ha segnalato che avrebbe voluto astenersi e che i deputati Vessa, Barbareschi e Monai hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.

Pag. 17

(Esame dell'articolo 5 - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 5 (Vedi l'allegato A - A.C. 2596-A), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 5.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Ceccacci Rubino, Mazzuca, Briguglio, Moroni, Scilipoti, Sardelli, Brandolini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 515
Votanti 459
Astenuti 56
Maggioranza 230
Hanno votato
459).

Prendo atto che i deputati Vessa, Barbareschi e Monai hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per pochissimo tempo, perché vorrei ringraziare i colleghi della Commissione difesa e i colleghi della maggioranza, del PdL e anche della Lega Nord, che hanno dimostrato una grande sensibilità rispetto a questo provvedimento. Si tratta di un provvedimento di principio, che asserisce il sostegno, in termini culturali e di principio, alle nostre Forze armate, affinché l'intero Paese ne prenda coscienza, per le attività, per le iniziative e per quanto di buono operano, dentro e fuori i confini della nostra Nazione.
Credo che parlare della cultura della difesa in questo tempo sia veramente importante, perché ci garantisce la possibilità, attraverso le istituzioni, di poterla farla vivere, praticare e non solo predicare all'interno delle istituzioni, ma anche e soprattutto all'interno delle scuole a favore delle nuove generazioni. Ho la convinzione che abbiamo svolto, tutti quanti insieme, un ottimo lavoro perché chi vi parla, quando ha proposto questo provvedimento nel 2009, aveva in mente un'idea di unitarietà rispetto a questo principio, che tenesse insieme non solo e non tanto la Commissione ma l'intero Parlamento che, intorno al tema della cultura della difesa, doveva, deve e dovrà continuare a sviluppare un'intesa comune e un comune sentire, affinché vi si riconosca l'intero Paese e si invii un messaggio importante alle nuove generazioni.
Ricordo per l'occasione che, già il Ministro La Russa, in occasione dell'incontro di fine anno con la stampa del 17 dicembre 2008, ha fatto riferimento alla cultura della difesa, ossia a quell'insieme di conoscenze che stanno alla base della condivisione consapevole, da parte dei cittadini, delle politiche di sicurezza e di difesa della Nazione e quindi dell'agire quotidiano delle Forze armate. Il Ministro La Russa, in quell'occasione, fece un ulteriore riferimento al suo predecessore, il Ministro Parisi - che ringrazio - ed espresse più volte l'intendimento di favorire la crescita della cultura della difesa. L'allora Ministro Parisi evidenziò la necessità di invertire la tendenza assicurando al Paese una cultura e una politica della difesa comune e trasversale, perché fino a quando nel campo della difesa e della politica estera non disporremo, al di là di possibili divergenze di valutazione su singole contingenze, di saldi e stabili riferimenti comuni, l'Italia non potrà che giocare nel mondo il ruolo di gregario e per di più di un gregario sospettato ingiustamente di inaffidabilità. Pag. 18
L'Europa si propone di promuovere la pace e di contribuirvi nel resto del mondo in un'ottica che prevede una missione esterna dell'Unione Europea, per mantenere la pace, per prevenire i conflitti e per rafforzare la sicurezza. Ogni Paese che ha democraticamente scelto di aderire all'Unione europea adotta i valori di pace e di solidarietà su cui si fonda la costruzione comunitaria. Quello che deve guidarci è il senso di una identità europea formata da un nucleo essenziale di valori, convinzioni ed esperienze. Tra gli elementi principali ci devono essere la vicinanza a coloro che soffrono; la pace e la riconciliazione attraverso l'integrazione; un forte attaccamento ai diritti umani, alla democrazia e al diritto; l'attitudine al negoziato e alla ricerca del compromesso; l'impegno a promuovere con pragmatismo un sistema internazionale basato su regole condivise; infine, un alto senso del ruolo della storia e della cultura.
L'obiettivo di questa proposta di legge è proprio la promozione e la diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà all'interno della comunità nazionale, con particolare riferimento alle nuove generazioni. Cultura della difesa è intesa come integrazione ed esaltazione di tutti quei valori e sentimenti che costituiscono l'identità nazionale, attraverso il riconoscimento del ruolo imprescindibile delle Forze armate in ordine alle attività di tutela e salvaguardia della comunità nazionale e internazionale.
È necessario sottolineare che l'Unione europea ha saputo tradurre in obiettivi definiti e in strutture istituzionali i valori costitutivi della coscienza dei popoli europei quali il valore della pace e della solidarietà. L'Europa ha indicato al mondo intero un modello per la promozione della pace, l'affermazione dei diritti umani e la diffusione della democrazia. La politica estera dell'Unione europea e la sua politica di difesa e di sicurezza sono e debbono essere prevalentemente orientate alla promozione della pace, alla costruzione di istituzioni internazionali democratiche e alla diffusione dei diritti umani nel mondo.
In attuazione di tale principio, occorrono percorsi, contenuti e organizzazioni tesi a favorire il radicamento e la crescita su scala nazionale e territoriale di una cultura della difesa e dei suoi presupposti fondamentali quali l'educazione, il rispetto reciproco, la solidarietà, il riconoscimento delle attività di difesa, tanto in ambito nazionale che internazionale, ed il suo alto significato sociale. È una proposta tesa quindi a favorire e far crescere la cultura della difesa, quell'insieme di conoscenze atte a diffondere presso l'opinione pubblica la consapevolezza della necessità di dotare il Paese di un apparato in grado di garantire la sicurezza.
Questo presuppone, evidentemente e necessariamente, da parte del Ministero della Difesa, la necessità di compiere uno sforzo che progressivamente tende a creare, ravvivare e rafforzare il legame tra Nazione e Forze armate.
L'orgoglio dell'identità nazionale, l'importanza della difesa, della sicurezza e della libertà, l'idea stessa di patria, costituiscono valori e sentimenti condivisi dalle comunità nazionali, così come evidenziato da un sondaggio condotto dall'Istituto per gli studi della pubblica opinione. Questi rapporti e questi legami devono essere tenuti vivi e rafforzati, specie nei confronti dei più giovani.
Sono proprio le giovani generazioni a cui sono principalmente rivolti gli obiettivi di questa proposta di legge, la cui promozione e diffusione potrebbe avere spazio anche nelle scuole e negli istituti di ogni ordine e grado al fine di favorire il radicamento e la crescita nella comunità nazionale di una cultura della difesa e dei suoi presupposti fondamentali quali l'educazione, il rispetto reciproco e la solidarietà.
Ritengo che la cifra di una Nazione la si possa collocare attraverso due elementi fondamentali; lo dico e l'ho detto spesso in Commissione difesa, lo ripeto qui in Aula, soprattutto in virtù di questo provvedimento, che ritengo assolutamente necessario Pag. 19perché richiama profondamente le nostre radici democratiche e pacifiche come Nazione e come Italia.
Ritengo, dunque, che due siano gli elementi che danno la cifra della maturità e della consapevolezza di una Nazione: il welfare e, soprattutto, la difesa. Sono convinto, inoltre, che la nostra interpretazione del modello di difesa che, poi, cerchiamo di esportare, fa rima con la cooperazione, con la pace, con la costruzione e anche con la vicinanza delle Forze armate a tante popolazioni che subiscono e hanno subito angherie.
Pertanto, ritengo che, in questo contesto, vada inserito, promosso e praticato il concetto di cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà, perché è con questo che la nostra Nazione, attraverso le Forze armate, rappresenta il meglio di se stessa, ovvero quando andiamo ad addestrare, ricostruire ed offrire elementi che, dal punto di vista sociale e culturale, possono far progredire quelle realtà e, soprattutto, quelle persone che non hanno mai sperimentato la quotidianità e il vissuto di un Paese democratico e non hanno mai sperimentato in maniera compiuta la pace.
Occorre quindi rimettere al centro, il ruolo delle Forze armate garanti di democrazia e di pace nel mondo, al servizio della pace, come viene percepito sempre più spesso dall'opinione pubblica e come dimostrano le tante missioni umanitarie condotte dai soldati italiani con generosa dedizione in luoghi della terra disagiati e a rischio.
Andando nello specifico - e sto per concludere - la presente proposta di legge intende promuovere, diffondere ed accrescere la cultura della difesa attraverso la pace e solidarietà, volta a rendere consapevoli i cittadini delle politiche di sicurezza e di difesa della Nazione e dell'azione delle Forze armate, nonché del valore che assumono a tal fine gli accordi sul disarmo, il controllo degli armamenti, le misure di cooperazione e fiducia reciproca fra gli Stati.
Le amministrazioni pubbliche possono promuovere iniziative per la conoscenza, l'approfondimento e la sensibilizzazione su temi oggetto della cultura della difesa attraverso la pace, la solidarietà nell'ambito delle attività previste per la Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali di pace. È una giornata importante, quella del ricordo, che rappresenta concretamente la sintesi di azioni quotidiane da cui attingere e alimentarsi senza retorica, sapendo che nessuno può e potrà sottrarsi dal fare la sua parte nella costruzione di un futuro condiviso nel quale la memoria e il ricordo di azioni positive sono le fondamenta su cui poggiare una vera e democratica convivenza civile.
Un altro aspetto importante è che il Ministero della difesa istituisce un premio nazionale annuale da conferire il 12 novembre e da assegnare a persone, enti o altri soggetti culturali che si siano distinti per aver promosso e diffuso la cultura della difesa attraverso la pace e solidarietà.
Viene istituito, altresì, presso il Ministero della difesa, il Comitato per la cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà, formato da cinque componenti in carica per tre anni, nominati con decreto del Ministro della difesa e con il compito di formulare al Ministro della difesa stesso la proposta per la definizione del contenuto del premio nazionale annuale e di proporre il conferimento del patrocinio del Ministero della difesa all'iniziativa senza corresponsione di contributo o altre forme di sostegno finanziario. Infatti, dall'attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri finanziari e il Ministero della difesa deve provvedere al funzionamento del Comitato per la cultura della difesa attraverso la pace e solidarietà nell'ambito delle proprie risorse umane e strumentali.
In definitiva, quindi, una proposta di legge tesa a far vivere, sentire e praticare la cultura della difesa come patrimonio e bene comune da custodire e valorizzare quale irrinunciabile tratto identitario nazionale.
In conclusione, signor Presidente, è mio dovere, ma anche piacere, ringraziare il collega Pag. 20Cicu, i colleghi della Lega Nord Padania e gli altri colleghi che hanno lavorato con me...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Di Stanislao.

AUGUSTO DI STANISLAO. ... per portare avanti questo progetto di legge che non è un progetto Di Stanislao, ma un progetto dell'intero Parlamento che deve servire proprio a favore della comunità nazionale.

PRESIDENTE. Abbiamo compreso la sua passione disinteressata ovviamente, tuttavia doveva concludere, perché ha parlato più del tempo. Colgo l'occasione per salutare gli alunni della terza media della scuola ebraica «A. Da Fano» di Milano che stanno assistendo ai nostri lavori (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ruben. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO RUBEN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel condividere la proposta di legge - per la quale il gruppo di Futuro e Libertà per l'Italia esprime voto favorevole - ritengo utile alla discussione parlamentare in corso esprimere alcune considerazioni di carattere generale.
È da condividere le finalità della proposta di legge che intende far crescere nei cittadini, ed in particolare nei giovani del nostro Paese, la cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà intesa come integrazione ed esaltazione di tutti quei valori e sentimenti che costituiscono l'identità nazionale in un contesto in cui l'azione dei nostri uomini e donne con le stellette deve essere volta sempre al rafforzamento dell'azione di pace e di benessere delle popolazioni civili e della loro tutela. Credo che sia opportuno ricordare ad esempio proprio oggi ciò che i nostri militari in questi giorni stanno facendo in aiuto delle popolazioni del Maghreb. L'agire delle nostre Forze armate deve sempre muoversi all'interno delle precise indicazioni come risultanti dalla volontà dei nostri padri costituenti che all'articolo 11 della Carta costituzionale scrissero: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Sono queste brevi ma alte parole che devono diventare la base per una cultura della difesa che sa utilizzare la propria Forza armata, ma sa bene che le controversia, le crisi internazionali trovano soluzione e stabilizzazione solo attraverso i tavoli negoziali.
Un'ultima breve considerazione. Diffondere come è nelle intenzioni della legge la cultura della difesa significa saper trasferire alla opinione pubblica generale il concetto di complessità e di sofisticata preparazione tecnica che caratterizzano i sistemi militari moderni e che fanno dei soldati dei moderni professionisti.
Ma significa soprattutto diffondere nel nostro Paese modelli culturali di questi giovani che hanno nei loro cuori l'amore di patria, lo spirito di sacrificio e il vivere in funzione dell'aiuto e del sostegno degli altri.
È per questo che i nostri soldati all'estero devono essere considerati la vera bandiera del nostro Paese. Essi sono gli ambasciatori di quegli alti valori morali, di quegli ideali, di quel senso del dovere che sono poi gli stessi sentimenti di amor patrio che spinsero altri giovani, centocinquant'anni fa, a impegnarsi e a lottare per rendere grande questa Italia. È quindi anche pensando alla ricorrenza e alle celebrazioni per il 150o dell'unità d'Italia che questa legge acquisisce ulteriore significato ed importanza (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Porfidia. Ne ha facoltà.

AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente, noi del gruppo Iniziativa Responsabile, condividiamo pienamente questo provvedimento soprattutto perché, in un momento storico in cui l'Italia è impegnata in un numero considerevole di missioni Pag. 21internazionali, una proposta di legge quale quella che stiamo approvando è utile per fare ancora di più conoscere agli italiani e soprattutto ai nostri giovani il ruolo delle Forze armate italiane in queste missioni. Esse hanno il compito di diffondere la cultura della pace, della solidarietà e della libertà. In linea con i dettami dell'Unione europea l'Italia ha il dovere di diffondere, anche attraverso le Forze armate, la pace e ciò non soltanto sul territorio nazionale dove c'è l'esigenza di rafforzare il senso di democrazia, pace e solidarietà, ma anche in quei Paesi in cui la pace e la democrazia sono solo parole ma non ancora fatti concreti. Con questa proposta di legge potremo, attraverso una serie di iniziative delle pubbliche amministrazioni e con un premio annuale proposto dal Ministro della difesa, diffondere, divulgare ma soprattutto cementare nei nostri giovani e nei nostri cittadini i principi in base ai quali le Forze armate operano in Italia e nel mondo. È necessario che venga sempre ricordato agli italiani che le Forze armate sono una forza di pace e non di guerra e ciò in sincronia, con l'articolo 11 della Costituzione. Anche esse ripudiano la guerra, come tutti quanti noi, e con ogni atto fanno in modo di portare la pace e la solidarietà nei luoghi dove questi elementi non sono presenti e, soprattutto, di cementarne il senso presso i popoli che hanno già raggiunto la libertà e la democrazia, creando con gli stessi una cooperazione e un'intesa che abbia uno scopo finale, quello della pace nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Iniziativa Responsabile).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bosi. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, credo che questa proposta di legge, che giunge a compimento col voto favorevole di tutta l'Aula, debba essere segnalata per quello che può significare anche e soprattutto per le nuove generazioni, per le scuole, laddove si deve parlare delle nostre Forze armate, del valore delle missioni internazionali. Ciò, non come elemento, come talvolta purtroppo accade, di mania guerrafondaia, ma come garanzia per la stabilità, per la pace e per la sicurezza internazionale.
Credo che questo debba essere fatto con grande impegno perché si deve dare atto di quello che significa la nostra difesa nella società moderna, di fronte ai grandi problemi che incalzano, anche molto vicino a casa nostra, nel mare mediterraneo. È per questo che è un fatto di assoluta importanza parlare con i giovani delle questioni che li riguardano, che riguardano il loro futuro.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Chiappori. Ne ha facoltà.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, questa mattina in Aula abbiamo portato due provvedimenti; sia per l'uno che per l'altro, ci sono voluti due anni di lavoro per portarli in Aula con un accordo ben preciso. Oggi in quest'Aula gli accordi saltano, come è uso di qualche persona, di qualche gruppo parlamentare fare. Prima si dice una cosa per poi dire: «no», ci siamo sbagliati, non è vero, rimandiamo tutto in Commissione. Tenete presente che questo provvedimento ritornerà in Commissione ma poi tornerà in Aula e passerà e questo perché non è un provvedimento nord contro sud, non è una manfrina della Lega Nord Padania, come si è voluto far credere. Ad esempio, il provvedimento che andremo a votare - e mi dispiace, onorevole Di Stanislao, ma questo gruppo si asterrà, pur avendo dato la parola a suo tempo che avremmo votato a favore, lei sa che noi questo provvedimento lo approveremo - ritengo sia suo. È un provvedimento che è nato, è cresciuto, l'ha portato avanti lei ed è per questo che l'avrei votato, proprio per questo sincero attaccamento ad un provvedimento in cui lei credeva e che è stato seguito per una parte dall'onorevole Cicu. Ci avete creduto, in parte lo avete modificato, siete arrivati a un testo unico ma l'altro ieri al Tg Parlamento ho sentito dire che questo provvedimento Pag. 22non è più il suo, ma del Partito Democratico. Questo solo perché Cicu, giustamente, aveva lasciato l'incarico di relatore, per i fatti che lei conosce. In questo momento, in questo Parlamento italiano, servirebbe più serietà, una serietà che questo gruppo esprime, una serietà che la Lega Nord Padania ha espresso sempre, in questo Parlamento, pur se certe volte non condivisa. La Lega Nord Padania ama la pace, non vuole la guerra ma sa perfettamente che, quando si è chiamati a farla, sotto l'egida dell'ONU, la si deve fare e non si può, ipocritamente dire «si» per poi girarsi a sventolare le bandiere della pace. Peace, amore per tutti, come qualcuno dice ma poi le guerre le hanno fatte prima loro, i morti li hanno fatto ideologicamente prima loro, Stalin ne ha fatti tanti che faceva paura peggio di Hitler.
Con questa gente non sono proprio in linea, ad ogni modo sappia che non intendiamo votare contro una proposta che lei ha portato avanti e sostenuto. È evidente, e anche forse pleonastico: noi vogliamo la pace! Chi è che vuole la guerra? Credo che in questo Parlamento nessuno voglia la guerra!
Avremmo votato a favore, ma oggi, in questo momento dichiaro che ci asterremo dalla votazione perché lei ha visto - parlo sempre con lei - quali atteggiamenti, quali percorsi politici e quale serietà ci sono sui provvedimenti che licenziamo dalle Commissioni per portarli in Aula e poi qualcuno qui dentro si rimangia la parola (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mogherini Rebesani. Ne ha facoltà.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, prima di preannunziare il voto favorevole del mio gruppo su questo provvedimento, non posso non fare riferimento a quanto appena detto dall'onorevole Chiappori perché credo che in quest'Aula sia giusto anche interloquire fra di noi.
Non c'era, da parte del gruppo del Partito Democratico così come credo da parte di nessun altro gruppo parlamentare, nessun patto rispetto ai voti che si sarebbero espressi in Aula anzi, il gruppo del Partito Democratico ha sempre votato contro il provvedimento che è stato ora rinviato in Commissione.
Abbiamo presentato una serie di emendamenti che sono stati tutti respinti o dichiarati inammissibili e che avrebbero cambiato radicalmente il volto di quel provvedimento. Si tratta di una battaglia leale, politica, aperta e trasparente e c'è stato, sul rinvio in Commissione, un voto democratico in quest'Aula. Se non avete la maggioranza in quest'Aula il problema è vostro, non nostro!
Passiamo ora al provvedimento al nostro esame: si tratta di un'occasione molto utile, molto buona - e ci sarebbe stata unanimità se non ci fosse stato probabilmente questo ripensamento del gruppo della Lega Nord Padania - per superare un luogo comune che in Italia purtroppo ha radici antiche, ideologiche, ma non reali. Mi riferisco al luogo comune che contrappone la cultura della difesa alla cultura della pace e della solidarietà.
L'articolo 11 della nostra Costituzione in realtà ci insegna che così non è, che non esiste difesa senza pace, senza il lavoro per la costruzione della pace e della solidarietà e credo che lo sappiano molto bene coloro che operano concretamente, ogni giorno, nei teatri delle missioni internazionali per costruire, appunto, una pace che non è soltanto assenza di guerra, ma anche costruzione delle condizioni di libertà, di democrazia, di sviluppo economico, di accesso alle risorse economiche di larga parte delle popolazioni del mondo.
Perché è importante questo provvedimento, perché lo sosteniamo? Perché è evidente che oggi - e oggi significa ormai già da qualche decennio a questa parte - le minacce alla sicurezza del nostro Paese, le minacce alla sicurezza del mondo occidentale non sono più prevalentemente o unicamente militari, ma sono così complesse da richiedere una reazione, un intervento, un approccio altrettanto complessi. Pag. 23
Si tratta di minacce che derivano dall'instabilità, dalla povertà, dalle guerre locali, etniche, religiose, a volte in Paesi molto lontani dal nostro, riguardano a volte flussi migratori incontrollati, a volte addirittura fenomeni naturali o episodi gravi di sanità internazionale. Prendiamo un esempio che ci è molto vicino ed è molto attuale come quello della Libia. Oggi il colonnello Gheddafi, per minacciare il nostro Paese, non usa la minaccia militare perché sa che è molto più efficace minacciarci di altro, minacciarci di non controllare i flussi migratori, minacciarci sul piano delle risorse energetiche e sul piano del possibile accesso in quel Paese di forze terroristiche o estremistiche dell'islam radicale. Si tratta dunque delle stesse minacce che noi oggi dobbiamo affrontare come Italia e come Occidente e sanno benissimo che il piano più efficace, più concreto per minacciarci non è più esclusivamente e prevalentemente militare, ma è su altri fronti.
Allora per questo è importante che la nostra reazione sia, certo anche militare quando serve e quando è necessario, ma sempre con la consapevolezza che non può mai essere prevalentemente e unicamente militare e che la presenza militare e l'uso delle forze armate sono sempre volti, in realtà, alla costruzione di quelle condizioni più ampie di pace che appunto comprendono la costruzione della libertà, della democrazia e di una più equa distribuzione delle risorse economiche e naturali.
Non c'è difesa efficace e rilevante, quindi, senza lavoro di solidarietà e di costruzione della pace e non c'è solidarietà e costruzione della pace senza, a volte, la tutela e il ricorso all'uso della forza nei teatri di conflitto.
Credo ne siano ben consapevoli le Forze armate e ne sono altrettanto consapevoli, credo, gli operatori di pace e di solidarietà (penso alle tantissime Ong e alle tantissime associazioni che operano nei teatri di conflitto), a volte non ne è altrettanto consapevole la politica. Fa male sentire in quest'Aula parole che forse negli anni Cinquanta potevano essere adoperate rispetto al mondo pacifista. Spero che chi le pronuncia non abbia ben chiaro cosa sia il pacifismo italiano oggi e che non vi sia malafede in queste parole, perché, sinceramente, il pacifismo italiano oggi è fatto di quelle tantissime parrocchie che fanno progetti di cooperazione e di solidarietà in America latina e in Africa, è fatto di tantissimi scout che affollano la marcia Perugia-Assisi e i suoi 23 chilometri, è fatto di Ong che operano in contesti difficilissimi senza fondi (perché sono anni ormai che le finanziarie tagliano i fondi per la cooperazione e lo sviluppo) ed è fatto di tantissimi enti locali, amministrati da destra e da sinistra, che fanno importantissime operazioni di cooperazione decentrata. Tutto questo è pacifismo italiano, nulla di ideologico, nulla di antiamericano, nulla di antimilitarista, anzi, tutt'altro. E devo dire che se in Italia vi è stato chi si è schierato a fianco dei dittatori, anche recentemente, questo non è certo il popolo italiano, non è certo il pacifismo italiano ma è forse una certa politica.
Così come per l'antiamericanismo, devo dire che hanno fatto male, credo, le parole di un Ministro della Repubblica - recentemente, soltanto due giorni fa - che ha definito guerrafondai chi sta in questi giorni pensando a qualche ipotesi di intervento militare in Libia, per fermare un dittatore che sta facendo del male al suo popolo. Definire guerrafondai chi sta adesso lavorando per cercare di fermare un dittatore di certo non fa bene e non fa onore alla storia della politica italiana, che, credo, possa e debba imparare molto dal lavoro per la pace delle Forze armate e delle stesse organizzazioni pacifiste.
Questa proposta di legge è un passo avanti importante per unire questi due mondi, per unire questi due concetti e fare in modo che finalmente anche la politica italiana sia pienamente consapevole del fatto che non vi è contraddizione, ma solo complementarietà, tra cultura della difesa e cultura della pace (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 24

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.

RICCARDO MAZZONI. Signor Presidente, prendo la parola a nome del Popolo della Libertà per annunziare il voto favorevole del PdL a questo provvedimento, che ha un senso solo se serve a declinare in modo nuovo la parola pace. Pace non significa più solo rifiuto della guerra. Il vero senso della pace è proprio la difesa attiva dei principi che reggono la civile convivenza fra i popoli. È questo il senso del nostro impegno, anche militare, in territori vicini e lontani, ed è profondamente condivisibile che questa mozione di difesa della patria sia divulgata e trasmessa soprattutto alle nuove generazioni.
Si pensi all'importanza di far comprendere quanto sia necessario il supporto delle Forze armate e di polizia alla ricostruzione della società civile afgana e delle sue istituzioni, al mantenimento dell'ordine internazionale e al supporto logistico per lo svolgimento delle missioni umanitarie e di cooperazione. Le missioni internazionali del nostro millennio sono iniziate proprio all'insegna della cooperazione tra gli Stati contro un nemico comune, quale quello costituito dalla minaccia terroristica. Non è questa la sede per riaprire la polemica fra la nozione di pace e quella di pacifismo, che della pace è la sua strumentalizzazione politica; non posso però non rilevare che troppe volte, fin dai partigiani della pace degli anni Cinquanta, e, per arrivare ai giorni nostri, al popolo arcobaleno, un certo pacifismo è sceso in campo solo al fianco dei dittatori. Questo l'ho detto in sede di discussione sulle linee generali e lo devo ripetere. Qualcuno è andato a fare uno scudo umano a Belgrado, a favore di Milosevic e la determinazione che vi è oggi contro il dittatore Gheddafi avrei voluto vederla ai tempi del primo intervento in Iraq, dove il pacifismo - un certo pacifismo - si schierò surrettiziamente al fianco di quel dittatore.
Credo che questa proposta di legge abbia un senso se si afferma la nozione che la pace non è un valore assoluto, perché diventa tale solo se accompagnata dalla libertà e dalla giustizia. Quindi, questa proposta di legge ha un senso se si intende che per diffondere la pace occorre rafforzare il concetto di esportazione della democrazia, che fu enunciato da un Presidente americano molto vituperato. Tuttavia, si tratta di una frase che, a mio parere, deve guidare l'azione della comunità internazionale in questi anni difficili.
Concludo dicendo che noi non abbiamo nascosto alcune perplessità sull'effettiva necessità di questo intervento legislativo. Una legge è certamente un'affermazione di principio, ma non deve e non può ridursi solo a quello e questa proposta di legge rischiava a nostro parere di farlo. Infatti, il testo al nostro esame ricalca sostanzialmente i contenuti di quello che abbiamo approvato nel novembre del 2009 per onorare la giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace. Il provvedimento in esame prevede attività ed iniziative molto simili a quelle contenuta nella proposta di legge a cui ho accennato.
Occorre una concordanza nel declinare in modo nuovo il concetto di pace che non è un valore assoluto, ma è un valore solo se accompagnato da libertà e giustizia. Vorrei che il Parlamento per la prima volta tutto insieme votasse a favore della missione che i nostri soldati stanno compiendo in Afghanistan, cosa che purtroppo ultimamente non è più avvenuta. Se si declina la pace in questo nuovo modo di difesa attiva della comunità internazionale dalla minaccia terroristica asimmetrica che il fondamentalismo islamico ha portato contro il modo civile, noi votiamo volentieri questa proposta di legge. Quindi, signor Presidente, annuncio il voto favorevole del Popolo della Libertà (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Ascierto. Ne ha facoltà.

FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, intervengo a titolo personale perché in Pag. 25Commissione mi ero astenuto al momento della votazione per l'Aula di questa proposta di legge, in quanto la ritenevo inutile. Infatti, noi tentiamo di scrivere ciò che è già scritto nell'azione delle Forze armate, ciò che è scritto con il sangue dei nostri soldati che operano per la solidarietà e la pace nel mondo. Il maresciallo Pezzullo mentre distributiva le coperte svolgeva la sua opera di solidarietà in Afghanistan ed è stato ucciso.
Non è questo il modo di trasmettere; con il sacrificio dei nostri militari; quella grande solidarietà verso popoli che soffrono; importante è la vera promozione della pace. Comunque, avete voluto scrivere una cosa in più e le modifiche apportate, che coinvolgono di più i cittadini, mi fanno cambiare opinione.
Tuttavia, manca una cosa importante. Perché non è stato previsto (speriamo di farlo al Senato) l'impegno per il servizio pubblico, per la televisione, per diffondere ancora di più questa cultura della pace attraverso l'opera e i valori della difesa? Quindi, concludo con un fatto. Dato che questa è una proposta di legge che nasce dall'Italia dei Valori, oggi apprezziamo anche questa iniziativa.

PRESIDENTE. Onorevole Ascierto, dovrebbe concludere...

FILIPPO ASCIERTO. Infatti, signor Presidente, da oggi il collega presidente Di Pietro non può più dire le cose che ha detto in passato.

PRESIDENTE. Onorevole Ascierto, deve chiudere...

FILIPPO ASCIERTO. Perché, se questa è una proposta di legge che il Parlamento approva per diffondere la cultura della pace su vostra iniziativa, non dite più che le responsabilità sono di coloro che hanno votato le missioni internazionali di pace, perché proprio attraverso tali missioni internazionali diamo solidarietà e libertà ai popoli, non come dice il vostro presidente!

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Coordinamento formale - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 2596-A)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta di legge n. 2596-A, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Cesare Marini, Sposetti, Castagnetti, Calearo Ciman, Cesario, Granata, De Luca, Gianni, Scilipoti, Goisis...ancora l'onorevole De Luca...l'onorevole Mario Pepe, onorevoli Bonavitacola, Allasia...ancora l'onorevole Mario Pepe...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
«Disposizioni per la promozione e la diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà» (2596-A):

Presenti 505
Votanti 440
Astenuti 65
Maggioranza 221
Hanno votato 440
(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Prendo atto che i deputati Monai e Melandri hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole. Pag. 26
È così assorbita l'abbinata proposta di legge n. 3287.

Sull'ordine dei lavori (ore 12,35).

PAOLA BINETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, volevo semplicemente richiamare l'attenzione di tutti su quello è successo questa mattina in Egitto, dove sono stati uccisi otto cristiani copti in occasione di uno scontro. Voglio dire che accanto a tutte queste battaglie che stanno infiammando il nord Africa e che, in qualche modo, rappresentano un sussulto e un'aspirazione alla democrazia, vi è comunque, forte e drammaticamente virulenta, un'aggressione nei confronti delle minoranze religiose e, in questo caso specifico, nei confronti dei cristiani.
Soltanto poche settimane fa abbiamo votato in quest'Aula una mozione condivisa a favore e a tutela di queste minoranze. Abbiamo voluto e abbiamo chiesto che anche l'Unione europea facesse sua questa esigenza. Eppure, a distanza di poche settimane non solo non è accaduto nulla ma, al contrario, questi episodi si stanno verificando e si stanno intensificando, probabilmente anche con la copertura di questa situazione drammatica che si sta creando che, da una parte, porta a un'esigenza di rispetto dei diritti umani ed esprime l'esigenza dei giovani di muoversi e di vivere in una civiltà più aperta alla libertà ma, d'altra parte, esprime anche un rigurgito di violenza che va a toccare profondamente proprio le minoranze cristiane (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

MASSIMO POLLEDRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, anche la Lega si associa a questo allarme. Non si tratta di un allarme episodico, perché la scorsa settimana abbiamo rivolto un ricordo e, in qualche modo, un apprezzamento e un ringraziamento al Ministro Bhatti, il Ministro delle minoranze pakistano. Ora vi è un fronte aperto, vicino e fuori da casa nostra, che è il fronte dell'intolleranza religiosa, un'intolleranza rivolta sempre di più verso i cristiani.
Tuttavia, non solo non ci vogliamo adeguare e non ci vogliamo assuefare, ma ribadiamo con forza, giorno dopo giorno, un impegno internazionale volto alla tutela dei cristiani e della libertà al di fuori dell'Italia che corrisponda anche alla libertà del nostro Paese.
Pertanto, voglio ricordare gli impegni assunti dal Ministro Frattini, in un recente incontro sempre per la libertà di Asia Bibi che ci ha visto partecipare congiunti, in cui si è chiesto che gli aiuti internazionali venissero vincolati strettamente al grado di protezione delle minoranze, in particolare quelle cristiane.
Non un euro, non un dollaro a chi, in qualche modo, direttamente o indirettamente si rende complice di questi atti e di questi attentati contro la libertà dei cristiani nel mondo, ma anche contro la nostra (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

RENATO FARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, anch'io intervengo, a nome del gruppo del Popolo della Libertà a proposito della persecuzione dei cristiani, che oggi si accanisce particolarmente in Egitto. La morte di questi nostri otto fratelli copti è di una gravità sconvolgente anche perché - e soprattutto perché - si inserisce in un processo di democratizzazione. Non basta dire che ci sono processi di transizione democratica: occorre che questa transizione democratica non sia caratterizzata semplicemente dalla libertà dei popoli di votare i propri leader, ma abbia al suo centro la libertà religiosa, altrimenti la Pag. 27democrazia è un guscio vuoto, un puro sistema di regole che non conduce da nessuna parte.
In particolare, vorrei qui segnalare l'iniziativa che i cristiani pachistani presenti in Italia hanno organizzato per domani pomeriggio alle 15 dinanzi all'ambasciata del Pakistan insieme per ricordare il sacrificio di Shahbaz Bhatti, il Ministro delle minoranze, assassinato da un gruppo di estremisti e per gridare la necessità che la legge contro la blasfemia - essa sì una vera bestemmia - sia abrogata in Pakistan.
Il Governo del Pakistan è fragilissimo, è in questo momento ostaggio di estremisti che vogliono tenere sotto scacco qualsiasi forma di espressione religiosa che non coincida con i loro disegni. Non vorremmo che questo stesso tipo di atteggiamento caratterizzasse l'Egitto, che rischia di passare da una dittatura blanda, ma oppressiva della libertà religiosa, ad una democrazia che opprime ancora di più la libertà religiosa.
Da qui, l'impegno necessario del Governo e dell'opinione pubblica per non gridare semplicemente alla «primavera», quando questa «primavera» rischia di soffocare i virgulti di libertà religiose (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, anche io intervengo per associarmi ai rilievi dei colleghi a nome del gruppo del Partito Democratico. Nel frattempo, purtroppo, le vittime sono aumentate: le agenzie dicono che siamo già arrivati a dieci morti e a dieci feriti e dunque la situazione è veramente molto grave.
Noi chiediamo al Governo di assumere iniziative anche dirette nei confronti dell'attuale Governo provvisorio dell'Egitto. Credo che l'Italia abbia una sua autorevolezza individuale per intervenire e per chiedere protezione. Evidentemente la conflittualità che si è accesa ad Alessandria non ha trovato alcuna soluzione. Approfitto dell'occasione anche per chiedere al Governo di darci conto, di dar conto alla Camera, di quale sia l'esito dell'iniziativa dell'Unione europea, posto che il Consiglio dei ministri europeo non è riuscito - anche in seguito al voto largamente trasversale del Parlamento europeo - a definire una posizione comune.
Il Ministro Frattini si era impegnato a scrivere il testo di una nuova posizione. Vorremmo che si utilizzasse anche questa occasione per essere informati di come stanno le cose in ordine all'impegno che il Ministro Frattini aveva preso proprio qui in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

FRANCESCO TEMPESTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, mi ero iscritto a parlare per sostenere le stesse, medesime cose che un attimo fa ha affermato l'onorevole Castagnetti. Non ho rinunciato a parlare perché penso che dobbiamo in molti, in tanti, in tantissimi oggi sottolineare la gravità di ciò che è accaduto.
Abbiamo in Parlamento assunto delle iniziative, giustamente chiediamo al Governo di fare ciò che occorre. Le richieste dell'onorevole Castagnetti sono certamente assai condivisibili, ma deve rimanere traccia in questo dibattito e in questo confronto parlamentare del fatto che tutta la Camera, al di là degli orientamenti e delle fedi religiose, esprime la sua preoccupazione e la sua condanna per ciò che sta accadendo. Dobbiamo fare uno scatto in avanti, avere la capacità di dire più di quello che abbiamo detto e di gridare con maggiore forza la nostra indignazione e la nostra condanna (Applausi).

FABIO GARAGNANI. Chiedo di parlare.

Pag. 28

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, anch'io mi associo alle dichiarazioni di chi mi ha preceduto, però con una precisazione. Credo che il Governo sicuramente debba fare la sua parte, come l'ha già fatta finora soprattutto a livello europeo, rilevando l'indifferenza di molti Governi europei che si caratterizzano per un laicismo esasperato riguardo a ciò che accade nei confronti delle minoranze cristiane nei paesi arabi. Credo che si imponga un'ulteriore pressione proprio sull'Europa, perché prenda coscienza sempre più delle sue origini e della necessità di non denigrare la sua storia passata attraverso l'indifferenza verso quei cristiani che costituiscono minoranze esigue ma significative dei Paesi musulmani.
Rilevo a questo punto, e concludo, che anche negli enti locali e nelle istituzioni scolastiche, cito la mia provincia, quella di Bologna, dove l'altro giorno si discuteva una mozione di solidarietà contro le persecuzione dei cristiani da parte della maggioranza di sinistra si è preteso di imporre il termine «evitare discriminazioni e persecuzioni nei confronti delle minoranze religiose» quasi che citare il dato cristiano costituisse qualcosa di anomalo. In questo momento sono i cristiani ad essere sotto pressione e perseguitati in vari Paesi a maggioranza musulmana, quindi non vedo perché bisogna citare indifferentemente altri. Vedo ciò non come un desiderio di unificare nella condanna tutte le minoranze religiose, ci mancherebbe, ma come una discriminazione verso i cristiani in quanto tali, che purtroppo caratterizza parte dell'opinione pubblica occidentale e italiana, sinistra e radicale, che è ancora in preda ad una sorta di laicismo che non può essere assolutamente giustificato perché significa rinnegare la propria tradizione, origine ed identità.
Auspico pertanto che il Governo - e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nelle scuole di ogni ordine e grado - si impegni sempre più a definire in termini precisi il valore dell'uguaglianza, della solidarietà, dell'identità e del rispetto della dignità di ogni confessione religiosa, in questo caso della confessione cristiana (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

MATTEO MECACCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, intervengo perché credo che si faccia un po' di confusione a volte, in particolare in quest'ultimo intervento, nell'attribuire a chi ha posizioni laiche e a favore della separazione fra Stato e Chiesa l'indifferenza nei confronti della tutela della libertà religiosa.
I radicali e tante persone che fanno parte di questo Parlamento, che si occupano della questione della laicità, hanno lo stesso impegno anche sulla difesa della libertà religiosa e dei diritti umani. Al collega che è appena intervenuto però voglio ricordare che domani è il 10 marzo ed è un anniversario importante, è il cinquantaduesimo anniversario dell'insurrezione di Lhasa, cioè della rivolta del popolo tibetano contro l'occupazione cinese di quello Stato. Sappiamo che da decenni in Cina chi soffre di limitazione e violazione della libertà religiosa non sono solo la Chiesa del silenzio cattolica ed il movimento di Falun Gong, ma sono anche i buddisti, i musulmani che fanno parte del Turkestan orientale e tutti coloro che cercano di esercitare questo tipo di libertà.
Pertanto richiamare tutti alla necessità di occuparsi, naturalmente quando ci sono crisi importanti come questa, in particolare della situazione dei cristiani, ma non dimenticare le altre situazioni, credo che faccia onore ai documenti che il nostro Paese si è impegnato a rispettare a livello internazionale, che sono a fondamento della nostra Costituzione che parla di libertà religiosa e non soltanto di libertà religiosa dei cristiani (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

ENZO RAISI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 29

ENZO RAISI. Signor Presidente, voglio anche io associarmi alla richiesta dei colleghi di intervenire su quanto sta accadendo in Egitto. Devo dire che lo faccio da laico e credo che la tolleranza religiosa e la tolleranza come principio sia anzitutto un principio valido per tutti.
Ricordo peraltro come in Europa non siamo immuni da problemi di intolleranza religiosa. È ancora aperta la ferita di ciò che è successo in Jugoslavia; nella vecchia Europa irlandese per anni si sono uccisi protestanti e cattolici e a tutt'oggi ci sono delle forti discriminazioni. Quindi, credo che il problema dell'intolleranza religiosa sia un problema che vada al di là del tema religioso musulmano o cristiano. Pertanto, siamo sempre in prima fila a difendere i principi della tolleranza e della libertà religiosa, a prescindere da quale essa sia e anche in questo caso mi associo «senza se e senza ma».
In effetti in questo momento stanno soffrendo le popolazioni cristiane d'Egitto e in altre realtà - ricordava bene prima il collega radicale - in Cina e nel Tibet soffrono altri tipi di religioni. Su questo credo che la nostra battaglia debba essere fatta insieme, tra laici e credenti, cattolici, cristiani e musulmani nel nostro Paese, affinché il principio della tolleranza religiosa sia valido per tutti e non soltanto quando tocca la propria comunità religiosa.

FRANCESCO BARBATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Sempre su questo tema?

FRANCESCO BARBATO. No, Signor Presidente.

PRESIDENTE. Mi scusi, allora aspetti. Ovviamente su un tema così importante e delicato ho dato la possibilità di intervenire ad un rappresentante per gruppo, anzi per alcuni gruppi è intervenuto più di un collega.
La Presidenza si associa a tutti gli interventi dei colleghi nel condannare quanto è accaduto, sottolineandone la gravità. Non è altro che l'ultimo degli episodi di persecuzione nei confronti dei cristiani nel mondo. Ricordo che l'Assemblea all'unanimità ha approvato una mozione che condannava la persecuzione dei cristiani e tutelava e incitava a difendere la libertà religiosa. Credo che anche le richieste presentate dal collega Castagnetti e dagli altri colleghi saranno rappresentate al Governo da parte della Presidenza. Tutto quello che sta avvenendo non può accadere nell'indifferenza delle istituzioni, come quella che noi abbiamo l'onore di rappresentare.
Dobbiamo ora passare all'ultimo argomento all'ordine del giorno. Al termine dei lavori antimeridiani, si svolgeranno gli altri interventi sull'ordine dei lavori.

Seguito della discussione della proposta di legge: S. 10-51-136-281-285-483-800-972-994-1095-1188-1323-1363-1368 - D'iniziativa dei senatori: Ignazio Roberto Marino ed altri; Tomassini ed altri; Poretti e Perduca; Carloni e Chiaromonte; Baio ed altri; Massidda; Musi ed altri; Veronesi; Baio ed altri; Rizzi; Bianconi ed altri; D'Alia e Fosson; Caselli ed altri; D'Alia e Fosson: Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (A.C. 2350-A) e delle abbinate proposte di legge: Binetti ed altri; Rossa ed altri; Farina Coscioni ed altri; Binetti ed altri; Pollastrini ed altri; Cota ed altri; Della Vedova ed altri; Aniello Formisano ed altri; Saltamartini ed altri; Buttiglione ed altri; Di Virgilio ed altri; Palagiano ed altri. (A.C. 625 784-1280-1597-1606-1764-bis-1840-1876-1968-bis-2038-2124-2595) (ore 12,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dal Senato, d'iniziativa dei senatori Ignazio Roberto Marino ed altri; Tomassini ed altri; Poretti e Perduca; Carloni e Pag. 30Chiaromonte; Baio ed altri; Massidda; Musi ed altri; Veronesi; Baio ed altri; Rizzi; Bianconi ed altri; D'Alia e Fosson; Caselli ed altri; D'Alia e Fosson: Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento; e delle abbinate proposte di legge Binetti ed altri; Rossa ed altri; Farina Coscioni ed altri; Binetti ed altri; Pollastrini ed altri; Cota ed altri; Della Vedova ed altri; Aniello Formisano ed altri; Saltamartini ed altri; Buttiglione ed altri; Di Virgilio ed altri; Palagiano ed altri.
Ricordo che nella seduta del 7 marzo 2011 è iniziata la discussione sulle linee generali.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 2350-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baccini. Ne ha facoltà.

MARIO BACCINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, oggi discutiamo su come legiferare in materia di vita, il valore più sacro e inviolabile, tutelato da ogni religione, da ogni Carta costituente e da ogni testo di diritto. È un valore che, come ha ribadito il Santo Padre, non è negoziabile. È giusto che lo Stato democratico, laico e libero si doti di una norma in materia di decisione mediche di fine vita e che lo faccia senza dimenticare che vi sono appunto principi inalienabili e non sacrificabili. I cristiano popolari che io rappresento hanno aderito al Popolo della Libertà nella convinzione che questo partito fosse proiettato nella dimensione sovranazionale del popolarismo europeo, che raccoglie tutti i cattolici e i cristiani sotto un unico vessillo e che fonda le sue radici nella tradizione e nei valori.
L'articolo 3 dello statuto del Partito popolare europeo fa proprio riferimento a queste origini: diritti umani inalienabili, libertà, democrazia, Stato di diritto, solidarietà, giustizia, pari opportunità e uguaglianza tra uomini e donne sono le pietre angolari dei nostri valori. Essi riflettono la nostra concezione dell'uomo, che è stata influenzata soprattutto dal cristianesimo e dall'illuminismo.
Noi, come rappresentanti nel Parlamento italiano del popolarismo e del cattolicesimo, non possiamo sottrarci alla difesa di questi valori. Il valore della vita supera le ragioni contingenti dell'essere e del tempo. Oggi ci troviamo a dibattere e a riflettere sulla necessità di tutelare un bene indisponibile e sacro, che non dovrebbe essere strumentalizzato o banalizzato a fini propagandistici o elettoralistici. Le norme che discutiamo riguardano uno degli ambiti più complessi della biopolitica: è un tema tra i più impegnativi eticamente e giuridicamente.
Sono in gioco principi fondamentali, dai quali passa una parte importante di come si intende costruire la società del futuro: se una società solidale, responsabile, fondata sulla centralità della persona, oppure se utilitaristica, nichilista, lontana dai bisogni reali e incapace di farsi carico dei più vulnerabili. Nel rispetto dell'autonomia delle persone, che non può essere mai assoluta, ma dovrebbe essere sempre declinata in modo relazionale, e nella massima considerazione delle diverse sensibilità culturali e nella doverosa condivisione di regole laiche in una democrazia liberale, come ogni cittadino, sento la necessità di una legge che disciplini le decisioni mediche di fine vita, diminuendo, almeno in parte, l'incertezza delle persone e delle famiglie nei momenti più drammatici dell'esistenza.
Nel formularla, occorre tenere sempre presente la libertà degli individui e, contemporaneamente, tutelare, per quanto possibile, il bene supremo della vita, fuori da qualunque tentazione di risolvere il problema del soffrire eliminandolo alla radice con l'anticipare la morte al momento ritenuto più opportuno, come autorevolmente ammonisce l'enciclica Evangelium vitae. Una buona legge sul cosiddetto testamento biologico deve rifuggire due estremi: quello di ammettere, anche surrettiziamente, derive eutanasistiche e quello di imporre l'accanimento terapeutico, Pag. 31rifiutato da noi cristiani, secondo la coscienza laica e secondo gli ammonimenti della Chiesa.
In questi anni, in cui le ragioni del mercato tendono a prendere il sopravvento sui valori tradizionali fondativi della convivenza civile, della socialità, dello sviluppo interiore dell'essere umano, il valore della vita è ciò che ha messo in moto l'umanità verso il progresso. Fedele a questo principio, reputo necessaria e doverosa politicamente la sua difesa.
Esiste, però, una dignità umana che è parte integrante dello stesso principio. La morte, come ogni buon cristiano sa, è parte della stessa vita. Non siamo padroni di togliere la vita a nessuno o anticipare la morte a nostro piacimento, ma, nel rispetto dell'esistenza stessa e della dignità della persona, è indispensabile che si rispetti la volontà di ciascuno di fare le proprie scelte sulle cure mediche a cui sottoporsi.
A questo riguardo, esemplari sono i documenti del Comitato nazionale per la bioetica, che ben illustrano la sostanza e l'estensione dell'autonomia individuale di fronte alle terapie. L'eutanasia è la negazione della vita e insieme nega la stessa possibilità di scelta. L'accanimento terapeutico trasforma l'uomo in una cavia da laboratorio e ne svilisce la dimensione antropologica più profonda, impedendo che si compia il corso naturale dell'esistenza. I nostri padri costituenti, ispirati e illuminati anche nell'esperienza tragica delle barbarie delle sperimentazioni naziste sugli esseri umani, hanno previsto nella Carta costituzionale la tutela della salute.
L'articolo 32 della Costituzione recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Non vi può essere, cari colleghi, un obbligo ed il medico non è mai tenuto a pratiche contro scienza e conoscenza. Una formulazione perfetta che contiene tutti gli elementi essenziali per orientare la proposta di legge oggi in discussione.
La complessità del tema, l'impossibilità della legge di prevedere e regolare tutti i casi controversi che dovessero emergere e l'irriducibile forza delle circostanze concrete che si dovranno affrontare nelle famiglie e nelle strutture sanitarie mi inducono a proporre un altro strumento fondamentale: un'authority che possa affrontare di volta in volta, caso per caso, persona per persona, nella specificità delle circostanze, i casi controversi e di difficile interpretazione del testamento biologico o i casi di conflitto tra i pazienti, le famiglie e i medici curanti. È fondamentale, cari colleghi, che le decisioni mediche di fine vita non entrino nella spirale dei tribunali e vengano affrontate altrove, nei comitati etici competenti e, in seconda istanza, presso un'authority.
Il valore della vita non è negoziabile mentre i comportamenti umani, invece, hanno bisogno di essere regolamentati nel rispetto di questo principio superiore. In questo particolare momento storico, segnato da un neopaganesimo dilagante, il senso dell'esistenza spesso contemplato sotto l'aspetto utilitaristico e non morale. La vita viene trattata come mero bene materiale e non come valore assoluto. Dobbiamo rovesciare questa visione.
Per tornare a dare significato al principio dell'unicità della essere e dell'inviolabilità della persona bisogna necessariamente fare un passo indietro e porsi in un'ottica esterna al proprio io. È necessario, dunque, tornare a riflettere su quanto siano importanti ed imprescindibili l'immedesimazione e l'accoglienza dell'altro. Solo l'accettazione consapevole ed il rispetto dell'altro come persona ci possono far comprendere il senso pieno dell'esistenza.
Evitiamo, dunque, norme autolesionistiche o difficilmente applicabili, manteniamo invece saldi i principi e i valori che sono alla base della nostra civiltà.

PRESIDENTE. Onorevole Baccini, la prego di concludere.

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MARIO BACCINI. Concludo, signor Presidente.
Resto convinto che in uno Stato laico vi sia la necessità di una legge che tracci i limiti nel rispetto della comune convivenza, che crei dei punti fermi capaci di evitare il disordine delle iniziative fai-da-te e che eviti nuovi procedimenti pericolosi come nel caso Englaro.
La legge va, tuttavia, integrata con la previsione della creazione di un'authority preposta che impedisca la deriva giudiziaria ed il totale caos di sentenze contraddittorie.
Con questa riflessione, signor Presidente, lascio al Parlamento la decisione sul testo che oggi stiamo discutendo, nella convenzione che approvandolo si faccia un passo avanti significativo in una materia così profondamente sentita e importante (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Baccini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il dibattito sulla proposta di legge in esame è falsato da implicazioni di natura politica e ideologica. Viene lasciata, purtroppo, sullo sfondo la grande questione del significato della nostra esistenza, della nostra parentesi sulla terra, così come intendiamo noi cristiani la vita.
Il fine non può che essere la tutela della persona umana, con un equilibrio che tenga conto che a nessuno è consentito l'accanimento terapeutico o l'eccessivo uso di tecnologie per prolungare artificiosamente la vita. Ciò detto, deve essere tuttavia chiaro che nessuna forma di eutanasia o di suicidio assistito è eticamente e moralmente accettabile: la vita è un bene non negoziabile.
Il rapporto tra medico e paziente costituisce un aspetto fondamentale nella vita di chiunque venga colpito da una malattia, più o meno grave che sia. Ad oggi sono troppe le difficoltà di ordine logistico, economico e per certi versi anche umano, che condizionano tale relazione fino a ridurla, purtroppo in molti casi, a una sorta di adempimento routinario e freddo, che non alimenta la reciproca fiducia, ma che invece mortifica le aspettative di chi, al di là della terapia, cerca nel medico una ragione per poter continuare ad avere fiducia nel futuro e a continuare a sperare.
È innegabile che sussistano alcuni fattori che in questi ultimi tempi hanno segnato in maniera incisiva il rapporto tra medico e paziente. Non è più immaginabile un assoluto e totale affidamento alla volontà del professionista. L'avvento delle nuove tecnologie, l'elevazione del livello di istruzione, l'affermazione della rete Internet e il conseguente aumento delle informazioni a disposizione di chiunque hanno posto il paziente sul livello per certi versi paritetico a quello del medico. Chi è colpito da una malattia vuole concorrere alle scelte che riguardano la propria salute e che possono segnare in maniera indelebile la propria esistenza.
Potremmo in questa sede sottolineare come si sia via via affermata spontaneamente l'applicazione dell'articolo 32 della nostra Costituzione, che oltre a sancire la tutela della salute, come diritto fondamentale dell'individuo, e a garantire la gratuità delle prestazioni mediche per gli indigenti, stabilisce che nessuno possa essere obbligato ad un trattamento sanitario, se non per esplicita disposizione di legge, e segna, nel rispetto della persona umana, un limite invalicabile oltre il quale la legge non può andare.
È evidente, quindi, che il paziente ha il diritto di conoscere compiutamente la diagnosi che lo riguarda e il diritto di contribuire all'individuazione del percorso terapeutico che dovrà affrontare per risollevarsi e per superare la malattia che lo ha colpito. È giusto, d'altronde, che nell'informare il paziente della malattia il medico Pag. 33debba necessariamente avere un atteggiamento empatico, così spiccato da poter comprendere la possibile reazione di chi deve ricevere informazioni, non su una malattia in generale, ma sulla malattia personale, su una realtà che lo riguarda direttamente e che segnerà il suo prossimo futuro.
È chiaro che entrano in gioco fattori importanti, che attengono alla sfera emotiva del paziente: la sensibilità, la maggiore o minore fragilità psicologica, gli affetti che egli ha intorno, il sostegno dei familiari e degli amici. Il medico ha il dovere di valutare questo mondo, ogni qual volta è chiamato a rapportarsi con il paziente per comunicare con lui.
È chiaro, dunque, che l'informazione che il medico dà al paziente sul consenso, le osservazioni e le indicazioni da egli espresse sono elementi preziosi, per certi versi indispensabili, per condividere i percorsi terapeutici e gli eventuali interventi chirurgici, che attengono in particolare a malattie particolarmente gravi, che richiedono tempi lunghi per la guarigione o che non prevedono per niente la possibilità di ristabilirsi totalmente.
Il consenso informato, dunque, è un aspetto fondamentale e un momento decisivo, che dà al paziente la possibilità di capire qual è la sua condizione e di adottare le scelte migliori per la sua specifica condizione. È il momento nel quale il medico può e deve dare il meglio di sé, dal punto di vista umano e dal punto di vista professionale, mantenendo la sobrietà di chi sa di non essere onnipotente, di chi rispetta il diritto del paziente di decidere della sua esistenza e di chi non ha un atteggiamento cinico e indifferente, che lascia il malato nella disperazione e nella solitudine della scelta che deve compiere.
Il consenso informato, invece, è stato ridotto a strumento usato dal medico per difendersi dalle eventuali conseguenze derivanti dai trattamenti e dagli interventi da eseguire, insomma lo snaturamento di uno strumento che è ridotto, in questo modo, ad adempimento burocratico che i pazienti avvertono come segno di freddezza ed indifferenza o, peggio, come il mezzo per porsi al riparo da eventuali errori. Tale situazione evidentemente non è tollerabile.
Signor Presidente, la proposta di legge sulla quale la Camera è chiamata a dare il suo contributo punta a fare del consenso informato un elemento che qualifica, migliora e umanizza il rapporto tra medico e paziente, uno strumento che garantisca quindi l'autonomia e la libertà del paziente, che dovrà avere a disposizione tutti gli elementi per poter comprendere il problema che ha e consentirgli di decidere con il medico il percorso migliore da seguire per giungere alla guarigione; un mezzo che, certamente, deve servire a garantire il medico ma che non sarà da questi usato unicamente per sgravarsi dalle responsabilità derivante dagli interventi e dalle cure mediche, uno strumento, dunque, che garantisca che tutto il cammino diagnostico e terapeutico avvenga nel pieno rispetto di medico e paziente.
Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, la componente di Noi Sud alla quale appartengo all'interno del gruppo di Iniziativa Responsabile, difende il valore della vita (Commenti del deputato Giachetti) e ritiene che non ci possano essere invasioni di campo della magistratura, così com'è avvenuto nel caso di Eluana Englaro, che possano dettare surrettiziamente delle modalità di comportamento da parte del medico.
Riteniamo che questa proposta di legge, con equilibrio, nonostante la difficoltà nel trovarlo, possa dare delle risposte innanzitutto dal punto di vista laico, così come deve essere...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ARTURO IANNACCONE. ... la valutazione di Stato di diritto, ma tenendo conto anche della grande sensibilità cristiana propria del popolo italiano. Ritengo, quindi, di dover esprimere una valutazione sostanzialmente positiva rispetto al testo così come è stato licenziato dalla competente Commissione (Applausi dei deputati del gruppo Iniziativa Responsabile).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, oggi ci ritroviamo a proseguire la discussione sulle linee generali su un tema tanto delicato e sensibile che meriterebbe soltanto rispetto e silenzio, che dovrebbe, dunque, farci abbandonare qualsiasi preconcetto e far emergere, invece, la pietas per la mortale condizione umana e per l'altrui sofferenza e il rispetto dell'altrui volontà.
L'onorevole Di Virgilio nella sua relazione ha ricordato bene come il diritto alla vita sia stato sempre garantito e tutelato in tutte le società e come si tratti di questioni delicate e controverse, anche in virtù dei progressi che la medicina compie ogni giorno. Egli ha rammentato, inoltre, che in questo momento, mentre stiamo parlando, tremila persone vivono, per così dire, sospese tra cielo e terra e con loro le loro famiglie. Però, poi non è conseguente sostenere il cosiddetto disegno di legge Calabrò.
Sia chiaro che nessuno vuol tenere in vita forzatamente un individuo destinato a morire, ma neanche abbreviarne volutamente la vita. Occorre, però, rispettarne sempre la fine naturale. Fondamentale dunque è che anche ai malati terminali sia garantito l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore, che riteniamo assolutamente irrinunciabili.
Per questo, come gruppo, abbiamo presentato emendamenti in tale direzione.
La proposta di legge di cui parliamo oggi si propone di vietare la sospensione di alimentazione ed idratazione del paziente in persistente stato vegetativo, anche se contro la stessa volontà del paziente.
Per quanto riguarda le dichiarazioni anticipate di trattamento da parte del paziente (DAT), la proposta di legge in questione prevede che il medico non sia vincolato a seguire le dichiarazioni anticipate di trattamento in previsione di una futura perdita della capacità di intendere e di volere e, quindi, queste non sono più vincolanti per il medico stesso. Per noi, si tratta di un vero e proprio abuso di potere che lede la libertà di ogni individuo e il rispetto della dignità delle persone, valori che prescindono dall'esistenza di un vincolo di cittadinanza che lega il cittadino allo Stato e, per questo, decisioni e libertà inalienabili.
Questa maggioranza, invece, intende portare a casa il provvedimento perché le serve compiacere di là dal Tevere. Un placet, in questo senso, è già arrivato dal cardinal Bagnasco, quando, qualche giorno fa, ha affermato che la legge che sta per essere discussa alla Camera rappresenta un modo concreto per governare la realtà e non lasciarla in balia di sentenze che possono, a propria discrezione, emettere un verdetto di vita e di morte. I malati terminali rischierebbero - continua Bagnasco - di essere preda di decisioni altrui. Appunto, anche le nostre, anche quelle che noi vogliamo imporre qui con questa proposta di legge.
L'onorevole Palagiano, per il nostro gruppo, ha già evidenziato i tratti di incostituzionalità di questo provvedimento. Voglio soltanto ricordare che, nel mese di dicembre, nei giorni della scomparsa del grande regista Mario Monicelli, morto suicida, qui, in quest'Aula, invece che un ricordo, vi è stata una tristissima polemica e la sua morte è diventata argomento di scontro tra destra e sinistra, tra una presunta destra e una presunta sinistra: una destra, che, però, qui, per voce del Ministro Rotondi, all'invito ad inchinarsi e a rispettare la figura del maestro Monicelli, ha rimarcato, invece: «non taccio perché né Monicelli né alcun altro maestro su questa terra hanno diritto assoluto alla propria vita». Eh sì, invece proprio di questo si tratta, del diritto alla propria vita!
Mi sono sinceramente interrogato arrivando a domandarmi: vivere vuol forse dire dipendere da una macchina e continuare a vegetare in eterno fino a quando il corpo non si stancherà di ricevere pressioni dall'esterno? Sull'enciclopedia Treccani vivere significa essere dotato di vita...

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PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Evangelisti.

FABIO EVANGELISTI. ... delle condizioni proprie della vita. Per me, dunque - ed ho finito, signor Presidente -, vivere vuol dire respirare, mangiare autonomamente, muoversi, ridere, piangere, poter dire di sì o di no. Qui, anziché cercare una soluzione condivisa - lo ripeto -, si è volutamente messa in campo una vera e propria operazione di speculazione politica ai danni di un uomo - parlo di Beppino Englaro - a cui la vita aveva già riservato tante amarezze; un'insensibilità per le migliaia di famiglie che realmente sanno di cosa stiamo parlando. Soltanto il bieco cinismo di questa maggioranza di Governo ha rispolverato questo provvedimento soltanto nella speranza che l'argomento stesso potesse diventare il centravanti di sfondamento contro l'unione di Futuro e Libertà per l'Italia e UdC, nella speranza di salvare la baracca sulla pelle letteralmente di migliaia di anime e familiari in pena (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Villecco Calipari. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche oggi discutiamo di una proposta di legge importante, sul testamento biologico, una legge attesa da tutto il Paese e che mi auguro sarà accompagnata, in queste settimane - cosa, purtroppo, non accaduta finora - da un dibattito proficuo e sereno, non da un clima da resa dei conti, né tantomeno dal desiderio di vittoria sull'avversario.
Una legge per definire le scelte relative alla fine della vita non può riguardare solo il ristretto cerchio della politica, di un'Aula o di una Commissione parlamentare, con le sue dinamiche e modalità anche poco comprensibili al di fuori di questi palazzi.
Riguarda invece tutte le persone che prima o poi con la fine della propria vita dovranno fare i conti. Riguarda tutti noi.
Personalmente ritengo, come molti miei colleghi, che è meglio nessuna legge piuttosto che questa legge. E quindi l'appello a tutti è di fermarsi.
Il testo che esce dalla Commissione affari sociali della Camera non è solo irragionevole e autoritario, ma è evidentemente incostituzionale. Nonostante i numerosi moniti dell'opposizione e di tanta parte di società civile (tra cui medici, operatori sanitari, costituzionalisti, associazioni di malati e di famiglie che si sono fatti sentire attraverso appelli volti a fermare l'iter legislativo), questa maggioranza irresponsabilmente si ostina a voler utilizzare un tema così complesso come una moderna indulgenza.
Ora avete la possibilità di fermarvi e di porre almeno un parziale rimedio mettendo da parte ogni arroccamento pretestuoso. Si potrebbe cercare una via condivisa per discutere di una norma che rifletta due principi: libertà e rispetto. La libertà di scegliere fino a che punto si intende essere sottoposti a terapie nel caso di perdita di coscienza e la capacità e il rispetto del medico di esprimersi nel caso in cui manchi una ragionevole speranza di recupero.
Questo dibattito non deve scadere in uno scontro ideologico che pretende di dividere il Paese e anche quest'Aula tra sostenitori della vita e sostenitori della morte. È una divisione che non esiste né tra le persone di buonsenso, né nel Paese che sul biotestamento si dimostra più maturo dei suoi rappresentanti politici. Il valore della vita non può essere contrapposto alla persona, alla sua libertà di scelta e alla sua autonomia, così come previsto anche nella nostra Costituzione. Il legislatore deve sentire il dovere di regolare laddove possibile le condizioni per poter esercitare il diritto di lasciarsi morire, Pag. 36che non c'entra nulla con l'eutanasia o con il suicidio assistito, come ha confermato del resto anche il Comitato nazionale per la bioetica.
Tutto ciò va regolato nella dichiarazione anticipata di trattamento. Nella proposta di legge che stiamo discutendo questo diritto - lo sapete bene - non c'è. La legge proposta dalla destra è esattamente contraria a principi di buonsenso e prevede che il biotestamento non sia vincolante, che il medico abbia la parola finale anche contro la volontà dei familiari o del fiduciario, mentre obbliga i sanitari a somministrare idratazione e nutrizione artificiali sempre, senza valutazioni di merito. Sembra una legge voluta da una politica ipocrita, assolutamente lontana dalla realtà, non curante dei diritti degli individui e irrispettosa del ruolo dei medici e degli infermieri.
È una legge che otterrà il peggiore dei risultati immaginabili, ovvero che sulle scelte che riguardano le fasi terminali della vita di ognuno di noi si finirà a discutere e a decidere in tribunale. E questo non è l'unico motivo per cui questa legge può essere definita profondamente sbagliata, iniqua, menzognera ed incostituzionale.
Quando si dice che il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, di cui parla l'articolo 2 della Costituzione, implicano l'indisponibilità della vita, si dà una interpretazione arbitraria di quell'articolo. Quella norma va letta invece nel quadro dei principi costituzionali sulla libertà della persona e sulla salute, che mostrano chiaramente come il diritto fondamentale da tutelare sia proprio quello relativo all'autonomia della persona che comprende anche quello di disporre della propria vita.
Lo dimostrano casi concreti: quello, ad esempio, di una donna che rifiutando l'amputazione di una gamba ha scelto legittimamente di morire. Esiste una sentenza del 2008 che ha ribadito il diritto dei testimoni di Geova di rifiutare le trasfusioni di sangue anche se ciò determina la morte. L'unica incompatibilità da tenere presente discutendo una legge è quella che riguarda norme e principi costituzionali. Sarebbe estremamente grave se alla Costituzione venisse sostituita qualsiasi tavola di valori ad essa esterna.
La radice culturale del principio di autodeterminazione è salda e profonda nei principi costituzionali espressi nell'articolo 32. Qui, dopo aver considerato la salute come diritto fondamentale dell'individuo, si stabilisce che a nessuno può essere imposto un trattamento sanitario se non per legge e, tuttavia, in nessun caso la stessa legge può violare il limite imposto dal rispetto della persona umana. Questa è una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, perché pone al legislatore un limite invalicabile più incisivo ancora di quello dell'articolo 13 sulla libertà personale. Nell'articolo 32, infatti, si va oltre: quando si giunge al nucleo duro dell'esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all'indecidibile.
Ciò nel senso che nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini e da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell'interessato.
Da questa ricca trama di principi sono partiti i giudici, che, affrontando le drammatiche questioni nate dai casi Englaro e Welby, hanno delineato le modalità di applicazione di quei principi ai casi concreti, come è dovere di ogni buon giudice. Nessuna invasione delle competenze del legislatore dunque: all'orizzonte sta invece comparendo oggi una prepotenza del legislatore, che vorrebbe espropriare le persone del diritto di governare liberamente la propria esistenza, vivendola dignitosamente fino al momento finale.
Qui è il rischio ricordato all'inizio del mio intervento: una legge che nelle apparenze riconosce il testamento biologico, ma in sostanza gli nega ogni valore vincolante, poiché lo subordina alla valutazione del medico ed esclude che possa riguardare l'idratazione e la nutrizione, che invece vengono forzatamente somministrate, perché non sarebbero queste terapie rinunciabili. Questa è un'ulteriore forzatura, perché sono in molti a riconoscere Pag. 37ad esse proprio il carattere terapeutico, come aveva fatto in Italia una Commissione istituita dall'allora ex Ministro della salute Veronesi.
Di fronte alla diversità delle opinioni in materie tanto delicate e difficili, dovrebbe essere buona regola per il Parlamento lasciare gli interessati liberi di decidere secondo i propri convincimenti. Certo, la decisione deve essere libera da ogni forma di condizionamento, ma questo si fa astenendosi da pretese autoritarie e mettendo a disposizione di ciascuno servizi sociali adeguati, assistenza e terapie antidolore.
La discussione parlamentare sul testamento biologico sta già mettendo alla prova il senso dello Stato delle forze politiche e sta già rivelando molte ipocrisie. Si rischia di essere doppiamente crudeli verso i morenti, appropriandosi della loro libertà e dignità, da una parte, e, dall'altra, negando le risorse per i servizi ad essi destinati, come è da poco avvenuto in sede di approvazione del decreto milleproroghe, dove si destinavano fondi a malati di patologie gravissime, come il cancro, poi dirottati dal Governo a sanare il pagamento delle multe sulle quote latte.
Tutti i nostri ragionamenti sono profondamente ancorati ad una serie amplissima di norme, in primis gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, l'articolo 9 della Convenzione di Oviedo del 1997, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la legge sul Servizio sanitario nazionale del 1978, gli articoli del codice di deontologia medica e, infine, le sentenze della Corte costituzionale e della stessa Cassazione.
Il punto di partenza è rappresentato dall'ormai indiscutibile principio del consenso libero ed informato, dal quale discende il potere della persona di disporre del proprio corpo: così si è espressa la Corte costituzionale nel 1990: di qui l'illegittimità di qualsiasi intervento che prescinda dalla sua volontà, un pieno di norme che smentisce la tesi del vuoto normativo e dell'indebita supplenza.
Una legge sul testamento biologico, quella cui aspiriamo come Partito Democratico, deve essere sintetica, lineare, chiara e immediatamente comprensibile. Serve una legge semplice, che rispetti tre principi fondamentali: in primo luogo, le indicazioni che una persona scrive quando è nel pieno delle facoltà devono essere assolutamente vincolanti. In caso contrario non servono a nulla. Perché si dovrebbe lasciare un testamento biologico sapendo che poi verrà disatteso?

PRESIDENTE. Deve concludere onorevole.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Sto concludendo, signor Presidente.
In secondo luogo, è importante l'indicazione di un fiduciario, una persona che in qualunque situazione prenderà le decisioni più giuste, ascoltando il medico, ma soprattutto rispettando la dignità e le indicazioni della persona. Infine, vi è il ruolo del medico e degli infermieri, i più preparati ad affiancare e ad assistere, ma che non possono decidere in autonomia, perché anche se conoscono la medicina non conoscono il paziente e le sue volontà e potrebbero agire contro le volontà dell'ammalato, contravvenendo così anche al loro codice etico.
È semplice, basterebbero due articoli. Una legge non deve risolvere un problema della politica, ma riconoscere un diritto dei cittadini. Dovrebbe affrontare solo le questioni necessarie per definire la validità delle dichiarazioni anticipate. Solo una politica intimamente debole cerca di impadronirsi della vita delle persone, ma così segna una distanza, rinuncia a fare del diritto uno strumento rispettoso della libertà e della stessa umanità dell'individuo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.

ENZO RAISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la legge sul fine vita di cui stiamo discutendo è nata male. Non è nata dall'idea di estendere e disciplinare il principio della libertà di cura in quelle fasi della malattia, sempre più frequenti e temute, Pag. 38in cui i pazienti incapaci non possono più opporre un rifiuto ai trattamenti sanitari a cui sono sottoposti.
Non è nata dall'esigenza di tutelare i pazienti dall'abbandono terapeutico senza imporre loro, nelle fasi più estreme della vita, il dovere di subire trattamenti invasivi, gravosi e eccezionali che giungono a surrogare, pressoché completamente, tutte le funzioni vitali. Non è nata neppure dall'esigenza di fissare un confine certo tra il far morire e il lasciar morire per impedire che il «no» all'eutanasia possa tradursi in un «sì» all'accanimento terapeutico. La legge sul fine vita non è nata da ragioni buone ma da un sentimento cattivo, quello di vendicare la morte di Eluana Englaro e di condannare, sia pure in forma postuma, chi l'aveva «ammazzata», lo dico tra virgolette, come ha detto qualche collega senza senso della realtà e della pietà. L'obiettivo di impedire che la libertà di cura diventasse oggetto di richieste di giustizia e di pronunce giurisdizionali e che l'autorità giudiziaria usurpasse la funzione del Parlamento, ha fatto sì che qualcuno arrivasse alla presunzione di concepire un provvedimento che riscrive le regole del rapporto terapeutico per come si sono consolidate nel codice di deontologia medica. Il risultato sarebbe, e speriamo non sia, se tutti insieme ci fermeremo in tempo, quello di moltiplicare i contenziosi e i ricorsi al tribunale per rimettere ordine in un campo in cui l'intervento del legislatore non porterebbe che incertezze e disordine.
Questo provvedimento stabilisce che l'idratazione e l'alimentazione artificiale non sono trattamenti sanitari, malgrado siano disciplinati e riconosciuti come tali dallo stesso Ministero della salute e possano essere praticati solo da personale medico con il ricorso a strumentazioni sofisticate. Le linee guida sulla nutrizione artificiale del Ministero della salute, al punto 4 dicono testualmente : «la nutrizione artificiale enterale o parenterale è uno strumento terapeutico essenziale in quanto permette di mantenere o reintegrare lo stato di nutrizione dei soggetti in cui l'alimentazione orale è controindicata, impraticabile o non sufficiente». Questo è un documento ufficiale del Ministero della salute. È una contraddizione clamorosa che si finge che neppure esista e non è la sola; l'ossessione del caso Englaro ha accompagnato la discussione a tal punto da far coincidere, durante tutto l'esame del provvedimento al Senato, lo stato vegetativo, la situazione in cui si trovano poche migliaia di pazienti, con i molteplici stati di incapacità in cui versano tutti quei pazienti affetti da patologie che li rendono incapaci di intendere le informazioni loro fornite e di prestare un consenso consapevole ai trattamenti sanitari.
Ora, per quanto riguarda l'impianto approvato dal Senato, la Commissione Affari sociali della Camera ha esteso il campo di applicazione delle direttive anticipate di trattamento a tutti gli stati di incapacità permanente, senza precisare se e in quali casi possono giudicarsi vincolanti; ci si trova di fronte ad una situazione paradossale e contraddittoria. Alcuni medici potranno obbedire a direttive che vietano trattamenti ordinari, come una terapia antibiotica, ad anziani affetti da demenza senile; altri medici potranno disobbedire a direttive che chiedono di sospendere trattamenti straordinari e invasivi, si pensi alla situazione del caso Welby, a pazienti completamente incoscienti e dipendenti dalle macchine. Questa incongruenza, che numerosi bioeticisti e giuristi hanno già segnalato, non viene neppure riconosciuta dai promotori della legge proprio perché essi si muovono su un piano retorico e simbolico e senza alcuna attenzione alla realtà delle cose ed a quella profonda e dolorosa verità umana che caratterizza sempre, per tutti, il rapporto con la malattia e con la morte, con la propria e con quella dei propri congiunti.
Sono personalmente persuaso che, di fronte alla morte, tutto si possa ascoltare fuorché la voce della legge che non può invadere, né legittimamente sostituire, quella della coscienza. Da uomo di destra ho sempre pensato che l'individuo debba avere la precedenza rispetto allo Stato e a ogni collettività che pretende di parlare in Pag. 39sua vece. Per questo penso che sarebbe stato preferibile che anche in Italia, come è avvenuto in molti altri Paesi europei, anche governati da forze liberali e conservatrici, si fosse disciplinata la materia del fine vita, riconoscendo al paziente il diritto di fissare alcune e certe indicazioni per il futuro. Questo non è possibile, ma non è possibile neppure il contrario; non è possibile cercare un accordo senza approfondire il disaccordo; non è possibile approvare una legge su questa materia senza schierare, gli uni contro gli altri, cittadini che nutrono sul tema convinzioni opposte, inconciliabili e forze politiche che non possono trovare, né vogliono cercare alcun compromesso.
Sono, quindi, d'accordo con quanti pensano che la cosa più ragionevole e responsabile da fare sia rinunciare a legiferare, o limitarsi a ribadire, in una soft law, ciò che già è contenuto nel codice di deontologia medica, rimandando al rapporto terapeutico - come è giusto che sia e come, comunque, accadrà - ogni decisione in ordine alle scelte di cura che i pazienti e i loro congiunti prendono nelle fasi estreme della malattia e della vita.
Con questa logica, un anno e mezzo fa, firmai quell'appello per un disarmo bilaterale sottoscritto da molti parlamentari che militano tuttora nelle file della maggioranza. Con questo spirito, oggi, mi riconosco pienamente nell'emendamento del gruppo di Futuro e Libertà per l'Italia per uscire da questa impasse.
Se proprio vogliamo realizzare una legge, limitiamoci prudentemente a ripetere quelli che sono i punti di equilibrio - «no» all'eutanasia, «no» all'accanimento terapeutico - raggiunti nella dottrina e nella pratica deontologica. Non diciamo altre parole a caso, non scriviamo altre norme a caso, da cui milioni di italiani potrebbero sentirsi oltraggiati ed offesi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non mi iscrivo alla categoria dei detrattori della proposta sul testamento biologico, che rischia in quest'Aula di smarrire l'aggettivo «biologico» per assumere quello assai più pericoloso di «ideologico».
Considero in buona fede, infatti, l'istanza che ha mosso i proponenti, così come non posso negare la validità di argomentazioni mosse a confutazione di aspetti non marginali del testo, soprattutto, riferiti alla vexata quaestio dell'idratazione e dell'alimentazione nelle condizioni estreme.
In verità, se per una volta, ognuno di noi fosse chiamato a spendere, per una sola volta, la facoltà di scegliere non secondo le esigenze della politica, ma solo secondo l'insopprimibile istanza della coscienza, ebbene, quest'occasione non potrebbe non essere quella del dibattito che stiamo affrontando.
Confesso, allora, tutta la mia difficoltà di fronte a queste istanze, che interpellano quanto di più profondamente legato al mistero e alla grandezza dell'umana condizione, al suo limite e alla sua imperfezione; così come so partecipare ad un disegno trascendente, per chi ha il dono della fede, confesso l'insufficienza dei miei convincimenti, la mia parzialità e l'assoluta mancanza di certezze. È ben vivo in me il ricordo di un'impegnativa sequenza di audizioni su questo tema che, come presidente della Commissione giustizia, ebbi occasione di promuovere nella passata legislatura.
L'esperienza di vita di molte persone ha proposto drammaticamente l'incontro con il dolore irrimediabile di una persona cara, l'attraversamento di quell'anticamera dell'inferno dei reparti di rianimazione, il consumarsi, senza il lenimento di un'umana speranza, seppur fioca, della vita di un padre, di una madre, di un coniuge; il ricorso ad un prete, ad un medico, ad un amico per comprendere il senso di tanta sofferenza o di tanto silenzio; e il tormento di una risposta insufficiente, di una parola che non dà senso, di una responsabilità che torna nello stesso preciso punto da dove era partita, nell'illusoria ricerca di una condivisione. Pag. 40
Vi è anche la percezione disorientante che la tendenza a normare tutto, anche questo momento estremo della nostra umanità, serva piuttosto ad appagare il nostro senso di controllo sulle cose e non a sovvenire alla naturalità dell'evento, che deve potersi verificare al riparo da ogni inutile dolore - perché il dolore è sempre inutile -, ma coperto da quella pietas che nutre il senso profondo della solidarietà tra esseri umani, a prescindere dal credo religioso o dalla professione di ateismo, ma solo in ragione di essere qui su questa terra.
Dobbiamo portare rispetto a questo delicato dibattito ed affrontarlo con il cuore sgombro da ogni pregiudizio. La saggezza dei nostri costituenti costruì una norma - l'articolo 32 della Costituzione - perfetta nella sua asciuttezza...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

PINO PISICCHIO. ...una norma - mi avviavo a concludere, signor Presidente - che dice già tutto sull'inaccettabilità dell'accanimento terapeutico, sulla contrarietà ad ogni ipotesi di abbandono terapeutico e in coerenza con le sue norme principio che affermano l'anteriorità della vita umana e la negazione dell'eutanasia.
Ora, a quella norma densa di umanità - e concludo - vorrei far riferimento per chiedere a quest'Assemblea di riflettere ancora e di non giungere a costruire norme che, come pietre, potrebbero rendere più difficile la già dolorosa affermazione della nostra umanità nel momento estremo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bianconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BIANCONI. Signor Presidente, finora, su questo argomento, non ho speso una parola, poco male, perché sono intervenuti tutti. Parlo però adesso, anche se sono convinto della totale inutilità pratica di questo gesto. Parlo solo perché, se non lo facessi, non mi sentirei in pace con me stesso. Vi è da premettere che chi come me ha rispetto della politica capisce anche la ragione politica. Ragione politica, peraltro, tanto vilipesa a parole dalle anime candide, ma costantemente praticata da tutti, e, dunque, la chiudo qui. Voglio dire, però, che questo provvedimento è l'emblema di un modo di comportarsi e di ragionare che ha governato e penso purtroppo continuerà a governare molte delle azioni umane.
Signor Presidente, vi è nell'uomo una specie di pretesa presuntuosa e irragionevole di estendere il proprio controllo su tutto: dalle cose terrene, all'universo, all'al di là. Più l'uomo si rende conto di essere piccolo, debole e finito e più si ostina a ritenersi grande, forte e infinito. L'arma preferita per mettere tutto sotto controllo, per manifestare e rendere concreta questa grandezza e questa forza, è regolare tutto, racchiudere tutto dentro le norme, con i perimetri, i permessi, i divieti, le punizioni. Regolo tutto, controllo tutto, comando tutto, nulla mi sfugge, sono così grande, forte, infinito.
Così, la norma, strumento nato per essere regolatore degli ordinamenti e dei rapporti sociali, si trasforma in un'arma affilata per scardinare, penetrare, esplorare, entrare nell'intimità della persona, violarla e determinare artificiosamente il limite fra il lecito e l'illecito, e così ricondurre tutto sotto l'ombrello dell'uomo, dominus di ogni cosa. In questa vicenda, la scienza ha aiutato il signore delle norme, il «normonauta», e ha rotto i confini certi fra vita e morte. La scienza ha così offerto nuovi spazi da regolare, nuovi anfratti sui quali mettere le mani. Bisogna constatare che questa nuova limitazione della libertà della persona nel rapporto fra sé e le proprie recondite sensibilità, è stata provocata da una battaglia laica, un po' tetra, ma condotta sino in fondo nella più perfetta buona fede, e perciò stesso, con una determinazione degna di miglior causa.
Ancora, si è visto come il laicismo esasperato finisca per fare il paio con l'estremismo confessionale; entrambi hanno bisogno di bandiere da piantare, di terreni dell'animo di cui impossessarsi, di martiri, santi, santini, morti, battaglie vinte e sofferenze esibite. Il costo? La Pag. 41riduzione della libertà personale, i sentimenti sottoposti alle norme, i comportamenti agli schemi. È andato in onda un altro episodio di quel lungometraggio malsano che ha impregnato la nostra vita quotidiana, e che ebbe il suo inizio ideale con il bimbo di Vermicino e, giù per li rami, tra realtà e fiction, ci ha impastati di Erike, di Yare, di Sare, di Eluane, di mamme di Cogne, di Grandi fratelli, Amici, Posta per te, Amande ed Elise, dove vero e verosimile si intrecciano e ne esce un quadro che trova il suo esito in una riduzione sempre maggiore della libertà di capire, scegliere, essere padroni di sé. È anche in questo contesto che i «normonauti» hanno lavorato.
Signor Presidente ho ascoltato e apprezzato dai colleghi tutte le citazioni possibili: Vangelo, Paolo di Tarso, encicliche, filosofi, giuristi, i più ricercati e i più elitari. Io di citazioni ne farò solo due, molto più modeste: una è di Ennio Flaiano, che diceva che la nostra epoca sarebbe stata un'epoca di cretini specializzati; e l'altra è di anonimo, che precisava che i critini specializzati, evocati da Flaiano, sono solamente una species del genus dei cretini istruiti. I cretini istruiti sono i più pericolosi di tutti.
Sono quelli che, avendo studiato, appreso, conseguito titoli, diplomi e riconoscimenti accademici si ritengono per ciò stesso intelligenti più degli altri e, dunque, interpreti massimi dell'onnipotenza dell'uomo, quell'onnipotenza della quale parlavo prima.
I cretini istruiti e la species dei cretini specializzati allignano - ve lo dice un avvocato di lungo corso - soprattutto tra i signori della norma, i «normonauti» appunto, ovvero quelli che ritengono loro obbligo morale ed espressione massima dell'intelligenza umana regolare tutto, il visibile e l'invisibile, il principio e la fine, l'al di qua e l'al di là. Quanto sia presuntuoso e sbagliato questo esercizio non lo capiscono proprio, né tanto meno capiscono che l'errore è ancora più grande quando ci si addentra in campi minati come la morte, la premorte, le sofferenze e le scelte drammatiche. Si tratta di quei campi cioè dove la sensibilità di ciascuno ed il suo rispetto sono il più grande atto di grandezza e di libertà della ragione umana. Non capiscono neppure che, riducendo tutto a norma, cancellano il sentimento, il dolore, la pietas, l'umanità della tragedia.
Qualche anno fa si effettuò un aborto terapeutico alla ventiduesima settimana. Nacque un feto vivo. Le autorità, l'assessore regionale competente e i responsabili dell'ASL dichiararono: «Le procedure sono state rispettate. Tutto è avvenuto secondo la legge dello Stato, le norme regionali e i protocolli. Il caso è chiuso». Il feto logicamente morì qualche giorno dopo, ma ciò fu irrilevante. Si sigillò così la mostruosità dell'episodio: la norma è salva, l'uomo domina l'evento, anche se per farlo si trasforma in bestia senz'anima e senza pietas. Ma si dice, signor Presidente, che la legge era necessaria perché altrimenti la giurisprudenza avrebbe fatto supplenza. Può essere una giustificazione anche ragionevole, ma poi si legge il testo e si vede che ciò che si voleva evitare è divenuto invece centrale e legalizzato.
In questa proposta di legge si è pensato a tutto: al cosciente e all'incosciente, al medico e all'ammalato, all'idratazione e alla nutrizione, ai limiti, ai percorsi, alle dichiarazioni, a tutto meno che a una cosa: definire giuridicamente il cuore del problema, che cosa sia l'eutanasia. No, signor Presidente, non è né un paradosso, né uno scherzo. È proprio così: o i «normonauti» si sono distratti o anche - sia pure implicitamente e forse inconsapevolmente - hanno confessato la loro impotenza di fronte a quei temi che si vogliono o si sarebbero voluti codificare e normare.
Di fatto, da domani in poi, attendiamo ansiosi la nuova invasione nel legislativo di giudici solerti, fantasiosi che si eserciteranno nel vestire il vuoto normativo colorando a loro piacimento il concetto. Insomma, al danno si aggiungerà la beffa. Succede anche questo quando la presunzione umana pretende di impossessarsi di un dato che più intimo e privato non si può: ossia quella linea grigia che divide Pag. 42ciascuno di noi fra l'esserci e il non esserci più (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Castellani. Ne ha facoltà.

CARLA CASTELLANI. Signor Presidente, il dibattito mediatico e politico sulle questioni etiche legate all'eutanasia, all'accanimento terapeutico e all'assistenza ai malati terminali rende impellente l'adozione da parte del Parlamento di una disciplina giuridica volta a definire i contorni giuridici del problema. Se, infatti, è vero che tali questioni etiche avrebbero potuto e dovuto essere risolte nel rapporto fiduciario tra medico e paziente, come è avvenuto sino ad oggi, negli ultimi anni l'intervento della magistratura e il conseguente acceso dibattito politico hanno alterato la natura privatistica del problema attribuendogli un forte rilievo pubblico, che necessariamente deve trovare risposta a livello legislativo.
Gli stessi forti cambiamenti socio-culturali intervenuti nel nostro Paese, i notevoli progressi nelle conoscenze scientifiche in campo medico e l'utilizzo sempre più avanzato di biotecnologie che hanno reso possibile la cura, il controllo e il miglioramento prognostico di molte patologie (disabilità e gravi traumi) hanno sollevato problematiche e riflessioni eticamente sensibili.
Esse riguardano: l'equità della allocazione delle risorse sempre più limitate; la definizione del limite terapeutico e della sua proporzionalità rispetto al risultato ottenuto; il riconoscimento e il significato della disabilità particolarmente avanzata; la qualità della vita; il limite della libertà individuale; la corretta applicazione della conquista della ricerca scientifica.
La proposta di legge approvata in un testo unificato al Senato, che ci accingiamo ad esaminare e a dibattere anche in quest'Aula parlamentare, è il frutto di un attento, approfondito e acceso dibattito già svolto nella XII Commissione e che ha visto noi legislatori orientarci seguendo la visione valoriale di fondo contenuta nella nostra Costituzione, in base alla quale sin dal concepimento o comunque dalla nascita la persona è immersa in una serie di relazioni sociali, nelle quali la personalità si espande e nelle quali la persona trova le condizioni per crescere, maturare e divenire pienamente se stessa. Da tali concetti si evince che la persona non è semplicemente un individuo che decide per sé stesso. È in questa ottica, pertanto, che abbiamo cercato di realizzare, con il provvedimento al nostro esame, un delicato e complesso bilanciamento di due valori costituzionalmente protetti: l'autodeterminazione del singolo e la salvaguardia della vita.
L'articolo 32 della nostra Costituzione recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Si ripete allora con evidenza, nella struttura dell'articolo 32, la filosofia laico-valoriale e non laicistica della Costituzione, che bilancia sempre l'autonomia individuale con gli obblighi che derivano alla persona dal fatto di essere membro di una comunità, consegnandoci il diritto all'autodeterminazione non come un diritto assoluto ma come un diritto bilanciato e suscettibile di regolamentazione legislativa.
Tale filosofia laico-valoriale è quella su cui si articolano i concetti espressi su questo tema dalla Convenzione di Oviedo, dal Comitato nazionale di bioetica e dallo stesso recente codice di deontologia medica. Filosofia laico-valoriale a cui si ispirano e su cui si concretizzano i principi del consenso informato, della conseguente alleanza terapeutica e delle dichiarazioni anticipate di trattamento, previste dalla proposta di legge al nostro esame.
Il rapporto medico-paziente è certamente cambiato in questi ultimi decenni. Appare superata la fase paternalistica in cui il paziente, riconoscendo la competenza e il valore del professionista, si Pag. 43affidava a lui, delegandogli gran parte delle decisioni che lo riguardavano, mentre si va sempre più affermando una fase in cui medico e paziente si muovono su un piano di maggiore simmetria, non solo perché condividono un maggior numero di conoscenze ma anche perché il paziente rivendica giustamente il diritto ad essere protagonista consapevole delle scelte che lo riguardano.
È questa una delle più importanti frontiere su cui il medico gioca sempre di più la sua umanità, la sua competenza professionale, il suo interesse genuino per ogni singolo paziente e la sua disponibilità a dedicargli tempo per una corretta, esaustiva e compiuta informazione, con il fine di far maturare nel paziente una scelta consapevole.
È questa la vera sfida di una nuova cultura del consenso informato, che nel recente passato a volte è stato interpretato dalla pubblica opinione più come uno strumento di tipo difensivo del medico piuttosto che un momento qualificante della relazione tra medico e paziente. È evidente che in questo approccio non vi è nulla di paternalistico, perché non vi è nessun tentativo di sostituirsi al paziente nelle sue decisioni. Non vi è nulla di un'ipotetica arroganza di chi sopravvaluta il livello delle proprie conoscenze, sottovalutando il diritto dell'altro a conservare il controllo della propria esistenza. Ma non vi è neppure la sciatta indifferenza di un'asettica oggettività o di chi si limita a descrivere come stanno le cose, facendo delle ipotesi statistiche e lasciando il malato solo davanti alla sua decisione.
L'abbandono del paziente davanti al complesso panorama di alternative terapeutiche caratterizzate da un certo grado di indeterminatezza, come spesso accade nei processi patologici di tipo oncologico, neurodegenerativi e negli esiti di gravi traumi, non è meno inquietante del vecchio paternalismo, spesso dogmatico e a volte umiliante per il paziente stesso.
Alla luce di queste considerazioni, ben si comprende come l'informazione al paziente ed il consenso da lui liberamente espresso siano elementi irrinunciabili per un'alleanza terapeutica in cui si evidenzia e si rafforza la fiducia reciproca e può emergere una decisione libera e responsabile, pur restando sempre aperta la porta alla speranza.
Ma come avviene già nella stesura del consenso informato, quando il soggetto decide in piena coscienza, si ritiene doveroso che anche nella stesura delle DAT possa continuare a sussistere un rapporto fiduciario tra medico e paziente, proprio in quelle situazioni estreme in cui non sembra poter sussistere alcun legame tra la solitudine di chi non può più esprimersi e la solitudine di chi deve decidere.
La funzione giuridica delle DAT è infatti quella di garantire al paziente l'esercizio della libertà di poter decidere lui stesso, o tramite un familiare o un fiduciario, in merito ai trattamenti sanitari che, se fosse capace di intendere e volere, avrebbe il diritto morale e giuridico di scegliere. Ne consegue che alimentazione e idratazione, trattandosi di atti eticamente e deontologicamente dovuti in quanto forme di sostegno vitale, non possono essere oggetto delle DAT e la loro sospensione può essere ammessa solo ed esclusivamente nel caso in cui le medesime dovessero risultare non più efficaci a fornire al paziente terminale i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali.
La disciplina delle DAT inoltre non può non prendere in considerazione due punti strettamente connessi, ma analiticamente distinguibili: quello della contestualità e quindi dell'affidabilità di scelte terapeutiche formulate in un momento temporale distante da quello in cui dovranno attuarsi e quello del carattere vincolante e orientativo che a tali scelte debba o possa essere attribuito da parte del medico. È proprio nel bilanciamento di questi due concetti di libertà che si estrinseca l'espressione più alta e nobile di alleanza terapeutica, conferendo al paziente di orientare le sue scelte terapeutiche in un contesto per lui in quel momento ignoto e al medico la responsabilità nella situazione clinica data di attualizzarne o meno le indicazioni. Pag. 44
Molto importante, anzi centrale, per l'intera proposta di legge è il riconoscimento del diritto del paziente alla protezione contro il dolore. Troppo spesso infatti la preoccupazione di essere condannati a passare un lungo periodo di fine vita in condizioni di insopportabile dolore fisico e psichico può spingere alcuni pazienti alla disperazione e ad un senso di abbandono, tanto da considerare la morte il fine da perseguire.
In questa ottica, questo Parlamento con un voto pressoché unanime ha approvato la legge n. 38 del 2010, che prevede l'istituzione di una rete nazionale e regionale per le cure palliative e il trattamento antalgico del dolore, sia acuto che cronico.

PRESIDENTE. Onorevole Castellani, la prego di concludere.

CARLA CASTELLANI. Sto concludendo, signor Presidente. Si tratta di una legge di grande valenza etica e certamente propedeutica ad affrontare i temi del fine vita oggi al nostro esame.
Altro punto altamente qualificante del provvedimento in discussione è rappresentato dall'introduzione dell'assistenza ai soggetti in stato vegetativo o aventi altre forme neurologiche correlate, evidenziando così come anche lo Stato sia eticamente e concretamente vicino alle gravi problematiche di questi pazienti e delle loro famiglie.
Mi avvio alla conclusione, nella consapevolezza che i contenuti di questa proposta di legge, in linea con il diritto positivo e con i valori della nostra Costituzione, confermano una filosofia di fondo a favore della vita e nobilitano il rapporto fiduciario medico-paziente in un'alleanza terapeutica in cui il paziente è considerato...

PRESIDENTE. Onorevole Castellani, deve concludere.

CARLA CASTELLANI.... un attore attivo e responsabile - e concludo - nella scelta del trattamento terapeutico.
Questa proposta di legge rispetta la libertà decisionale del paziente, senza però farla scivolare in richieste che siano contrarie alle norme giuridiche già vigenti nel nostro Paese in tema di interventi eutanasici o che possano configurarsi come suicidio assistito.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iannuzzi. Ne ha facoltà.

TINO IANNUZZI. Signor Presidente, con questo disegno di legge siamo chiamati a confrontarci su un terreno di straordinaria delicatezza che pone in primo piano valori profondi della persona umana, i valori più profondi, quel sistema di convincimenti e di principi che albergano nella nostra coscienza e che orientano la nostra esistenza; un terreno nel quale vengono in considerazione valori fondamentali diversi, principi di ordine costituzionale.
È il terreno del fine vita, della fase finale nella quale la nostra vita sta per tramontare nell'approdo ultimo della morte e, quindi, abbiamo di fronte a noi la frontiera, la fase del trapasso dalla vita alla morte, una frontiera resa ancora più complessa, difficile, delicata e ardua dal progresso incessante e vorticoso della scienza e della ricerca; una frontiera i cui confini, proprio per l'evoluzione continua della ricerca scientifica, sono incerti, per tanti versi inediti, inesplorati, non pienamente conosciuti; una frontiera nella quale le cognizioni scientifiche non ci consegnano punti di vista ed orientamenti certi, perentori ed immutabili, che non siano accompagnati dal dubbio e dalla perplessità del se, del ma, del forse.
Ecco perché dovremmo varare una legge di grandi principi, una legge di principi generali, chiari, fermi, inevitabilmente elastici e flessibili, nei quali poi inserire e far svolgere la molteplicità e l'eterogeneità delle vicende che contrassegnano le persone. Una legge che muova dall'affermazione di due grandi principi: il «no» all'eutanasia, a ogni forma di comportamento che incentivi o consenta l'eutanasia, direttamente o indirettamente, in Pag. 45maniera aperta o in maniera mascherata, e il rifiuto di ogni forma di accanimento terapeutico, che finisce per costituire un vulnus grave alla dignità della persona; naturalmente, respingendo ogni sorta di concezione che affermi una specie di autodeterminazione individuale senza limite, nella quale le vicende della vita e della morte delle persone vengono trattate come fatti meramente individuali.
Invece abbiamo innanzi a noi una cattiva proposta di legge, pessima, che pretende di entrare nel particolare, di disciplinare il più minuto dettaglio e che sarà fonte inevitabilmente di conflitti infiniti e laceranti; una proposta di legge che con devastante arroganza è fortemente invasiva dell'autonomia e della coscienza della persona; un provvedimento che ancora di più viola e travolge il valore supremo del limite della legge, di quei limiti invalicabili che sempre debbono caratterizzare l'attività legislativa; una proposta di legge che non rispetta nella sua attuale formulazione quella cultura del limite che deve guidare il Parlamento e la politica nella consapevolezza che ci sono terreni e ambiti nei quali il legislatore non può né deve intervenire, per non recare un vulnus, una ferita gravissima ai valori più profondi della coscienza e della dignità della persona.
Ecco perché abbiamo bisogno di una legge che, evitando ogni forma di accanimento legislativo come si delinea nel provvedimento in esame, affermi questi grandi principi, nell'ambito dei quali vanno poi inserite e debbono svolgersi le vicende umane nella loro molteplicità, sulla base di quel sentimento di affetto, di amore, di cura premurosa che ha sempre caratterizzato il rapporto tra il paziente e la famiglia, ponendo il ruolo centrale del medico secondo quei criteri di saggezza, di preziosa esperienza, di prudente apprezzamento e di buonsenso che hanno guidato nel corso di tanti anni l'attività del medico, ponendo al centro quel rapporto e quell'alleanza tra malato, famiglia e medico che deve ispirarsi a quel sentimento di pietas tipicamente cristiano che è il più idoneo e il più degno a guidare e accompagnare la fase terminale del nostro percorso terreno. Ecco perché è giunto il momento di fermarsi, di arrestarsi, di tornare in Commissione, di sospendere l'esame di questo testo per elaborare una proposta di legge di grandi principi generali, che possa davvero unificare e rappresentare la coscienza più profonda del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulle linee generali è rinviato al termine dello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata che avrà inizio alle ore 15.
Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 14,05 è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROCCO BUTTIGLIONE

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, il Ministro della salute, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali.

(Politiche e valutazioni del Governo sulla scuola pubblica e sull'operato del personale scolastico ivi impegnato - n. 3-01500)

PRESIDENTE. L'onorevole Pes ha facoltà di illustrare l'interrogazione Franceschini n. 3-01500, concernente politiche e valutazioni del Governo sulla scuola pubblica e sull'operato del personale scolastico Pag. 46ivi impegnato (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmataria, per un minuto.

CATERINA PES. Signor Presidente, signor Ministro, la nostra interrogazione prende spunto dalle dichiarazioni rese qualche giorno fa dal Presidente del Consiglio, che ha affermato che in qualche modo si vuole dare ai cittadini italiani la libertà di poter educare i loro figli liberamente e non costringerli a mandarli nelle scuole dello Stato, dove si inculcano principi che evidentemente non garantiscono la libertà dell'individuo. A noi non sembra accettabile questo giudizio perché evidentemente è sommario e colpisce anche il lavoro onesto e faticoso di molti insegnanti che in questo periodo comunque, nonostante i tagli che la scuola ha subito, lavorano a lungo e faticosamente per questo.

PRESIDENTE. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, ha facoltà di rispondere.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Signor Presidente, pensare che ci sia da parte del Governo un attacco alla scuola pubblica può essere un pretesto per le opposizioni per scendere in piazza, ma non è certamente un motivo fondato (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico), perché da parte di questo Governo non c'è e non c'è mai stato alcun attacco alla scuola, che in ogni caso resta sempre pubblica, sia quando è statale, sia quando è paritaria. Ogni polemica su questo tema è oggi un nonsenso, oltre che pura ideologia. La scuola non è né di destra né di sinistra è un'infrastruttura del sapere che va migliorata nella sua qualità e, come accade in ogni Paese, anche in Italia dovrebbe essere frutto di un confronto pacato e costruttivo fra maggioranza ed opposizione.
Il Governo Berlusconi ha avviato un cambiamento ambizioso che rovescia i vecchi paradigmi. Siamo tornati a scommettere sulle persone, studenti e insegnanti, e sulle loro competenze, rimettendo al centro il ruolo del capitale umano. Abbiamo ridisegnato la scuola elementare puntando su qualità e merito, introducendo metodi di valutazione standard a cui l'Europa ci richiama. Abbiamo altresì stabilito nuovi criteri per l'accesso all'insegnamento, riformato i licei, rilanciato l'istruzione tecnica e professionale.
Su questi temi e non su polemiche sterili e pretestuose vorremmo un confronto serio e costruttivo con tutte le forze presenti in Parlamento. Credo che non abbia senso dividere la scuola tra opposte tifoserie. La scuola - lo ribadisco - è sempre pubblica in ogni caso. Ciò che va garantito - ed era il senso delle parole del Presidente Berlusconi - è la libertà di scelta in capo ai genitori (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Iniziativa Responsabile).

PRESIDENTE. L'onorevole Franceschini ha facoltà di replicare.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, signor Ministro, siamo totalmente insoddisfatti. Ancora una volta lei ha superato se stessa nel suo dovere istituzionale di difendere sempre e comunque il Presidente del Consiglio, qualsiasi cosa dica e qualsiasi cosa faccia. Sono anni che Berlusconi dice una cosa davanti ai registratori e poi la smentisce. Non ha mancato di ripetere anche in questa occasione lo stesso copione. Quella frase sugli insegnanti che inculcano è stata poi rettificata da una smentita peggiorativa, in cui ha detto che denunciava l'influenza deleteria che nella scuola pubblica hanno avuto ed hanno ancora oggi culture politiche, ideologie ed interpretazioni della storia che non rispettano la verità. Qui c'è scritto tutto.
Vorrebbe essere lui a stabilire qual è la verità, e quindi a stabilire quali sono gli insegnanti che rispettano la sua verità e quelli che, invece, la alterano. Del resto, oltre a queste parole, vi sono gli otto miliardi e mezzo di tagli, che avevate detto che non avrebbero influito sulla vita delle famiglie nel sistema della formazione. Pag. 47
Oggi lo vedono gli allievi, gli studenti e gli insegnanti: le classi sovraffollate, le scuole che cadono a pezzi, non vi sono più gli insegnanti di sostegno. Quando manca un insegnante, non vi sono più supplenti, ma quattro o cinque classi vengono messe nella stessa palestra. Tutto questo, evidentemente, è inaccettabile ed è la prova, ben più di quelle gravissime parole, dell'idea che avete del settore sul quale noi dovremmo investire di più per rispetto dei nostri ragazzi e, soprattutto, per investire sull'unica risorsa che l'Italia ha per reggere nel mondo globale, cioè i cervelli, l'intelligenza, la creatività.
È per questo che, dopo la manifestazione delle donne del 13 febbraio, le piazze torneranno a riempirsi sabato prossimo per difendere insieme la scuola e la Costituzione, che sono due facce della stessa medaglia, due aspetti della stessa battaglia civile. Quelle piazze dimostreranno che vi è un'Italia che ha voglia di voltare pagina (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Intendimenti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca circa l'elaborazione di un piano di immissioni in ruolo degli insegnanti che tenga conto dei requisiti maturati dai precari inseriti nelle graduatorie - n. 3-01501)

PRESIDENTE. L'onorevole Di Pietro ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01501, concernente intendimenti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca circa l'elaborazione di un piano di immissioni in ruolo degli insegnanti che tenga conto dei requisiti maturati dai precari inseriti nelle graduatorie (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ANTONIO DI PIETRO. Signor Ministro, l'Italia dei Valori le fa una domanda semplice, a cui chiediamo una risposta concreta e definitiva: di quei 150 mila precari che fanno parte della graduatoria permanente dei precari, che per anni e anni sono stati utilizzati e sfruttati dalla scuola e che oggi vengono messi alla porta, cosa vuole farci il Governo? Sono persone che hanno maturato dei diritti e che hanno svolto un compito fondamentale per la scuola.
Noi chiediamo formalmente al Governo se questa categoria di persone deve essere cestinata o può essere ancora utilizzata per la scuola o, comunque, per incarichi all'interno della pubblica amministrazione, dopo che per anni hanno offerto un servizio essenziale alla scuola e alla collettività.

PRESIDENTE. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, ha facoltà di rispondere.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Signor Presidente, dell'interrogazione che mi è stata rivolta condivido un aspetto: il fatto che sicuramente al tema del precariato il Governo ha il compito di dare risposte concrete. Preciso anche, però, che l'insorgenza del fenomeno del precariato non può essere ascritta esclusivamente alla responsabilità del Governo in carica, perché, in realtà, quel fenomeno è frutto di scelte sbagliate che Governi di colore politico diverso hanno fatto nel corso del tempo, pensando che le capacità della scuola di assorbire posti di lavoro fossero illimitate.
Detto questo, il Governo Berlusconi si è preso la responsabilità di intervenire innanzitutto per impedire l'insorgenza di nuovo precariato. Per questo, abbiamo previsto una graduale immissione in ruolo proporzionata alla capacità di assorbire posti di lavoro da parte della scuola. Riguardo al piano pluriennale di 150 mila immissioni, previsto dalla finanziaria 2007, vorrei ricordare che quella legge ne subordinava l'attuazione ad una verifica annuale da effettuare d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Dipartimento della funzione pubblica.
Quanto alla riduzione degli organici prevista dal decreto-legge n. 112 del 2008, faccio presente, in realtà, che la contrazione di posti per il corrente anno scolastico Pag. 48risulta contenuta in circa tremila posti, dal momento che le riduzioni sono state in buona parte compensati dai pensionamenti.
Il problema del precariato, cioè, in parte si risolve con i pensionamenti, in parte evitando l'insorgenza di nuovo precariato, che possa appesantire la situazione già esistente, e in parte ancora attraverso accordi con le regioni, che il Governo ha sostenuto e che determinano un miglioramento dell'offerta formativa.
Abbiamo comunque previsto che nell'arco di sette, otto anni - questa è la stima del Ministero - evitando, appunto, di aumentare ulteriormente il numero dei precari, quelli esistenti potranno trovare definitiva collocazione e quindi un posto a tempo indeterminato dentro la pianta organica della scuola.

PRESIDENTE. L'onorevole Di Pietro ha facoltà di replicare.

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, Ministro, prendiamo atto della sua intenzione, un domani, di vedere se si può trovare una soluzione.
Il problema è che oggi bisogna trovare la soluzione! Quella soluzione era stata trovata ed è stata cancellata dal vostro Governo semplicemente perché il Ministro dell'economia, con cui dovevate trovare un accordo, invece di darveli i soldi ve li ha tolti e voi avete permesso di far togliere i soldi ad un settore così importante come la scuola!
Stabilito questo concetto, contestiamo il fatto che sia stata una scelta sbagliata ricorrere a quel personale perché oggi come oggi vi sono «classi pollaio»! Così avete ridotto le classi, soltanto per togliere del personale perché volevate risparmiare soldi. Perché, oggi come oggi, voi avete tolto delle ore di lavoro, di scuola, e avete accorpato delle materie che non ha senso accorpare! Così come non ha senso accorpare storia e geografia al liceo! Non ha alcun senso proprio perché si è voluto, in questo modo, ridurre l'apprendimento.
La verità è una e una sola: voi volete usare il personale come carta usa e getta. Quando vi è servito l'avete utilizzato, adesso che dovete fare quadrare la cassa ve la prendete con le fasce sociali più deboli.
Stabilito, quindi, che la Corte costituzionale, i tribunali italiani, la direttiva europea hanno dichiarato illegittimo il comportamento di un Governo che ricorre sistematicamente al sistema determinato per non garantire i diritti dei cittadini, in questo caso di 170 mila persone, chiediamo formalmente o che si ripristini questa graduatoria per fare in modo che vengano tutti reinseriti oppure che si vada attraverso una mobilità intercompartimentale, cioè che si faccia in modo che questo personale possa essere inserito e riutilizzato in altre amministrazioni che ne hanno bisogno. Non ha senso che dopo per almeno tre anni...

PRESIDENTE. Onorevole Di Pietro, la prego di concludere.

ANTONIO DI PIETRO. ... dopo che per decenni, si è usato del personale qualificato ora lo si butta al macero semplicemente per far quadrare i conti e si spendono tanti altri soldi, che non devono essere spesi, magari per andare a fare la guerra in Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

(Tempi e modalità di attuazione del piano per il Sud - n. 3-01502)

PRESIDENTE. L'onorevole Commercio ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01502 concernente tempi e modalità di attuazione del piano per il Sud (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, signor Ministro, il 13 e 14 aprile 2008 il centrodestra vince le elezioni con un programma che, al punto 5, prevede un patto per il sud. Segue oltre un anno di silenzio. Pag. 49
Nell'estate 2009 il Governo annuncia il varo di un piano straordinario per il rilancio del Mezzogiorno. Seguono altri sei mesi di silenzio.
Il 25 gennaio 2010 il Ministro Scajola dichiara che entro un mese sarebbe stato varato il piano decennale per il sud. Ancora otto mesi di silenzio.
Il 29 settembre 2010 tra i cinque punti con i quali il Presidente Berlusconi chiede la fiducia entra il piano per il sud. Ancora due mesi di silenzio.
Il 26 novembre 2010 viene presentato al Consiglio dei ministri un documento programmatico basato su otto tematiche e denominato Piano per il sud. Altri mesi di silenzio.
Il 2 febbraio 2011 lei, signor Ministro, garantisce che entro il mese di febbraio saranno adottati i primi atti concreti del piano per il sud. Altri giorni di silenzio interrotti solo da incontri con i governatori regionali.

PRESIDENTE. Onorevole Commercio, la prego di concludere.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Poi, l'ennesima sua dichiarazione: entro il primo marzo vi sarà l'approvazione definitiva delle delibere CIPE. Inutile dire che ciò non è successo.
A che punto siamo, signor Ministro? Continueranno gli annunci o qualcuno ci spiegherà una volta per tutte cos'è questo piano per il sud?

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, Raffaele Fitto, ha facoltà di rispondere.

RAFFAELE FITTO, Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. Signor Presidente, come è stato ricordato anche dall'interrogante, il Governo, nel mese di novembre dello scorso anno, ha varato il Piano nazionale per il sud ed una serie di atti ad esso collegati.
Non vi sono stati dei periodi di silenzio perché lo stesso interrogante ricorda che in questi mesi si sono avviati una serie di incontri tra il Governo e le regioni per andare a monitorare e verificare lo stato di attuazione delle risorse pregresse non utilizzate; da tale quadro è venuta fuori una situazione abbastanza preoccupante dal punto di vista della quantità di risorse che possono essere finalizzate ad utilizzate per gli obiettivi del piano.
Nel frattempo abbiamo attivato anche un percorso di riprogrammazione delle risorse europee, che si completerà entro il 30 marzo. Nell'occasione alla quale si rinvia noi avevamo già assicurato che entro il mese di marzo, e comunque non oltre aprile, il Governo avrebbe completato l'iter approvativo, relativamente alla definizione delle intese alle quali abbiamo fatto riferimento.
È chiaro che il riferimento al 1o marzo era per segnare, così come dall'attuazione emersa all'interno del Consiglio dei ministri avevamo indicato, un periodo entro il quale completare questa fase. Peraltro, è di questi giorni la definizione con i singoli Ministeri degli aspetti collegati al piano, per quanto riguarda gli argomenti settoriali e, quindi, giungeremo nei prossimi giorni alla sottoscrizione di queste intese con le regioni, così come condiviso con tutti i presidenti delle regioni negli incontri, che abbiamo tenuto appunto nei giorni scorsi.
È un programma complesso e il tema del Mezzogiorno, ahinoi, non nasce negli ultimi mesi né negli ultimi anni, ma è un tema che riguarda diversi decenni. L'obiettivo che il Governo ha messo in campo è quello di raggiungere realmente una realizzazione di un programma chiaro, concreto e che punti a utilizzare in modo adeguato le risorse, concentrandole su alcuni punti strategici, condividendole fra i diversi livelli istituzionali e definendo anche una tempistica adeguata perché ciò possa accadere.
Il cronoprogramma approvato in Consiglio dei ministri, al quale rinvio, è stato fino ad oggi puntualmente rispettato e Pag. 50posso assicurare che nel mese di marzo e di aprile assisteremo agli altri passaggi ai quali si è fatto riferimento, che saranno puntualmente rispettati così come indicato.

PRESIDENTE. L'onorevole Commercio ha facoltà di replicare.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, signor Ministro, prendo atto che il Piano per il sud rimane ancora soltanto un annuncio e un programma. Ad oggi non ci sono disegni di legge né tanto meno risorse di bilancio. Non sono previsti investimenti aggiuntivi e, addirittura, nella legge di stabilità, la cosiddetta finanziaria, non vi è traccia del suddetto piano.
Le risorse teoriche provengono soltanto dalla riprogrammazione dei fondi strutturali e FAS 2007-2013, cioè da risorse già assegnate al sud. L'unico dato certo, in questi anni di proclami e di assenza di una politica che abbia al centro il Mezzogiorno, è che il divario tra nord e sud si è ulteriormente aggravato e che nel Mezzogiorno cresce la disoccupazione, si diffonde la povertà, si estende la desertificazione industriale, si indebolisce l'economia e si amplia il divario infrastrutturale.
Signor Ministro, la questione meridionale, come più volte anche lei ha annunciato, è questione nazionale: non può esservi ripresa e competitività se non si sana il divario tra le diverse parti del Paese. Molti cittadini meridionali aspettano - e lo ribadiamo - che dai proclami si passi all'azione concreta e che dal predicato si passi al praticato.
Ministro Fitto, dedicheremo spesso il nostro question time al Piano del sud. Ci auguriamo, anche per merito della sua determinazione, che la prossima volta lei sia in grado di parlarci di provvedimenti già approvati e di azioni già realizzate, altrimenti tutti gli ulteriori annunci saranno soltanto le prove generali di un ulteriore tradimento ai diritti e alle legittime aspettative dei cittadini del Mezzogiorno d'Italia.

(Chiarimenti in merito agli effetti per i lavoratori della qualificazione del giorno festivo del 17 marzo 2011 - n. 3-01503)

PRESIDENTE. L'onorevole Di Biagio ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01503, concernente chiarimenti in merito agli effetti per i lavoratori della qualificazione del giorno festivo del 17 marzo 2011 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, ha facoltà di rispondere.

RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Signor Presidente, in riferimento all'atto di sindacato ispettivo dell'interrogante, concernente il riconoscimento quale giorno festivo del 17 marzo 2011, ricorrenza del 150o anniversario della proclamazione dell'Unità di Italia, va premesso che la relazione tecnica del provvedimento è stata predisposta dalla Presidenza del Consiglio, che unitamente al Ministero della difesa e al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha proposto il decreto-legge. In ogni caso il provvedimento d'urgenza è stato approvato dal Governo nella sua collegialità.
La relazione tecnica del provvedimento illustra puntualmente gli effetti giuridici del decreto-legge ed è stata pubblicata sul sito istituzionale del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, proprio al fine di assicurare la piena conoscibilità del deliberato del Consiglio dei ministri e di fugare eventuali incertezze in ordine alla sua applicazione.
In particolare, la relazione tecnica ribadisce che il 17 marzo 2011 è considerato giorno festivo. Dal momento che, per una Pag. 51precisa scelta del Consiglio dei ministri, dall'attuazione del provvedimento non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il decreto in oggetto prevede che gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali connessi alla festività del 4 novembre siano imputati per l'anno 2011 alla data del 17 marzo. Conseguentemente, i lavoratori non potranno disporre liberamente di tutte e quattro le giornate di astensione dal lavoro per festività soppresse, essendo previsto l'obbligo ex lege di utilizzare una delle quattro giornate in corrispondenza della festa nazionale del 17 marzo 2011. Si tratta di un sacrificio del tutto trascurabile, limitato all'anno 2011 e giustificato da una finalità che davvero si auspica condivisa.

PRESIDENTE. L'onorevole di Biagio ha facoltà di replicare.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, signor Ministro, ci tengo a ringraziarla per l'attenzione dimostrata su un tema rilevante proprio per la solennità dell'evento e l'esigenza di massimo coinvolgimento della società civile che è fatta di uomini e di donne che lavorano ma che non sanno esattamente che profilo contrattuale avrà quel giorno per il lavoro o meglio c'è massima discrezionalità secondo di dove si lavora e che cosa si abbia.
Il punto di partenza sta in un decreto pasticciato sebbene si componga di appena due articoli a cui si aggiunge un'evidente superficialità da parte dell'amministrazione nel veicolare il dettato del decreto della festività una tantum. Mi rendo conto che il suo Dicastero si è pronunciato attraverso una relazione tecnica ma non si rinviene in essa una conformità con la ratio di questo giorno di solennità nazionale. Parla di riposo compensativo, destinato ad altre festività soppresse piuttosto che di ferie obbligate. Non mi sembra che ciò sia congruente con la disciplina del giorno festivo ai sensi della legge 27 maggio 1949, n. 260. Inoltre, per quei dipendenti che hanno abbiano già usufruito dei riposi, magari nel mese di gennaio, quale interpretazione dovrebbe valere? E per i dipendenti privati? Non sussiste forse, in capo alle aziende, l'obbligo di retribuire la giornata ai dipendenti?
Desidero ricordare che, ai sensi della legge 27 maggio 1949, n. 260, in caso di prestazione lavorativa in tale giornata, spetterebbe la retribuzione del lavoro festivo prevista dalla legge vigente. Questo dovrebbe valere per tutte le tipologie di lavoratori anche quelli non dipendenti dalle aziende. Gentile Ministro, non si vuole mettere in discussione una festa solenne, attesa e sentita dagli italiani, ma proprio questa consapevolezza avrebbe dovuto condurre l'amministrazione a gestire in tempi razionali il problema.

PRESIDENTE. Onorevole Di Biagio, la prego di concludere.

ALDO DI BIAGIO. Bisognava fare chiarezza quando si è deciso il profilo da dare a questo giorno e non certamente - sto per concludere signor Presidente - attendere che i datori di lavoro in genere e in piena confusione formulassero un interpello formale. Questo non solo per l'evidente perdita che ne conseguirà, ma anche per il rispetto che si deve ai lavoratori italiani. Si dovrebbe, magari, non essere soggiogati fino alla fine alle chiare reticenze della Lega nei confronti di una festa di tale livello.

(Orientamenti in ordine alla determinazione dei cosiddetti «criteri di pesatura» della popolazione per il riparto delle risorse destinate al funzionamento del Servizio sanitario nazionale - n. 3-01504)

PRESIDENTE. L'onorevole Laura Molteni ha facoltà di illustrare l'interrogazione Reguzzoni n. 3-01504, concernente orientamenti in ordine alla determinazione dei cosiddetti «criteri di pesatura» della popolazione per il riparto delle risorse destinate al funzionamento del Servizio sanitario nazionale (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmataria.

Pag. 52

LAURA MOLTENI. Signor Presidente, finora, per la determinazione delle risorse per la copertura della spesa sanitaria regionale si è seguito il consueto meccanismo di riparto basato sul criterio della quota capitaria calcolato sulla base della popolazione residente a sua volta corretto in base a parametri quali la frequenza per consumi sanitari l'età e il sesso. Per la prima volta c'è oggi chi vorrebbe introdurre quale criterio di correzione della quota capitaria il cosiddetto «indice di deprivazione», un indice statistico atto a rappresentare le condizioni socio-economiche in cui versano i cittadini, legato al livello di istruzione e alle condizioni reddituali; situazioni queste opinabili, che attengono più alla sfera sociale che a quella sanitaria.
Considerato che non è scientificamente provata la diretta correlazione tra le condizioni di deprivazione e lo stato di salute dei cittadini e, quindi, è erronea l'attribuzione alle aree deprivate di maggiori risorse finanziarie per soddisfare i bisogni sanitari rilevati a livello regionale; considerato inoltre che il riparto del bisogno sanitario per l'anno 2011 assume un'importanza strategica nella prospettiva della futura applicazione del meccanismo di determinazione ...

PRESIDENTE. Onorevole Laura Molteni, la prego di concludere.

LAURA MOLTENI. ... dei costi e dei fabbisogni standard, chiedo di sapere quale sia l'orientamento del Ministro interrogato e se non ritenga opportuno rinviare alla fase attuativa dell'emanando schema di decreto legislativo sui fabbisogni standard nel settore sanitario la rideterminazione dei criteri di pesatura della popolazione per il riparto delle risorse destinate al funzionamento del Servizio sanitario nazionale, con particolare riguardo all'inserimento dell'indice di deprivazione.

PRESIDENTE. Il Ministro della salute, Ferruccio Fazio, ha facoltà di rispondere.

FERRUCCIO FAZIO, Ministro della salute. Signor Presidente, i criteri di pesatura della quota capitaria sono oggetto di discussione in molti Paesi avanzati. Si utilizzano e si sono proposti come criteri l'età, la disabilità, la mortalità, la povertà e anche l'indice di deprivazione. Su questo indice descritto dall'onorevole Molteni vi sono di fatto dati controversi, in particolare sull'associazione di questo indice ad un aumento di incidenza di patologie. In particolare, un recente studio dell'Agenas associa l'indice di deprivazione alla presenza di patologie quali broncopneumopatie, scompenso cardiaco, disturbi psichici o diabete. Queste sono patologie che devono essere - è noto - trattate sul territorio e non a livello ospedaliero, mentre i dati che noi abbiamo di incidenza delle patologie in Italia di prevalenza sono riferiti unicamente alle SDO, alle schede di dimissione ospedaliera quindi ai ricoveri ospedalieri. Poiché regioni con alto indice di deprivazione hanno anche in genere un'alta inappropriatezza di ricoveri ospedalieri (e cioè ricoverano in ospedale questo tipo di patologie mentre non dovrebbero ricoverarle) in assenza di dati territoriali usare oggi l'indice di deprivazione avrebbe il rischio di premiare - per così dire - l'inappropriatezza. Cos'è che possiamo usare in un futuro? Anche l'età non è un indice preciso; pensate soltanto che un tumore in una persona giovane costa di più di un tumore in una persona anziana. È un indice assolutamente impreciso. L'unico indice preciso che si possa usare - riteniamo di arrivarci entro 2-3 anni - è la prevalenza delle malattie. Noi riteniamo entro 2-3 anni di arrivare alla prevalenza delle malattie pesata per l'età, e questo è un indice oggettivo che può esser utilizzato. In ogni caso l'indice di deprivazione, oggi come oggi, per i motivi descritti è inapplicabile, in particolare è sicuramente inapplicabile al riparto 2011. Per rispondere puntualmente ritengo effettivamente necessario rinviare alla fase attuativa del decreto sui fabbisogni standard dei meccanismi di pesatura diversi, quindi al Parlamento; si tratta, lo ripeto, di meccanismi Pag. 53di pesatura diversi da quelli, peraltro imperfetti, attualmente utilizzati (cioè la pesatura per età).

PRESIDENTE. L'onorevole Laura Molteni ha facoltà di replicare.

LAURA MOLTENI. Signor Presidente, ringrazio il Ministro per la sua esposizione e per il suo conforto su questo che per noi era un punto importante in quanto si lega strategicamente all'attuazione del federalismo fiscale per quello che riguarda la pesatura della popolazione che è attinente alla proposta di riparto del fondo sanitario nazionale della spesa tra le regioni per il 2011. Lo ringrazio perché effettivamente viene preso come principio cardine quello di stabilire un indice sulla prevalenza delle malattie. Questo ritengo sia il principio più corretto e più sensibile, anche perché il concetto di deprivazione riguarda caratteristiche più di tipo sociale che sanitario e concerne interventi che riguardano gli enti locali (quali i comuni), ma non sicuramente il comparto sanitario. Dico che se si devono premiare delle regioni vanno premiate quelle che hanno razionalizzato di più, che hanno tenuto bassi i costi, e che hanno condotto fino ad oggi una politica di bilanci in equilibrio. Quindi ho gradito molto che lei abbia deciso di non introdurre l'indice di deprivazione in questo piano di riparto della spesa sanitaria tra le regioni, in quanto non è giusto cambiare le regole del gioco in un momento in cui si va verso il federalismo fiscale. Con il federalismo regionale sarà ancora più evidente che gli amministratori dovranno esporre la loro immagine pubblica per il rispetto del bilancio e per l'assicurazione di salute e l'erogazione ai cittadini di prestazioni sanitarie legate ai livelli essenziali di assistenza. Quanto sopra senza causare buchi di bilancio (come è successo in parecchie regioni che ben conosciamo).

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LAURA MOLTENI. Credo, quindi, che le regioni del sud, coinvolte dai piani di rientro, debbano compiere un atto di responsabilità che passi attraverso una corretta gestione delle risorse. Se il principio di solidarietà e perequazione interverrà per i costi standard, per gli extra costi, (i costi al di fuori dei costi standard), sarà chi amministra che dovrà risolvere il problema, che non dovrà essere posto a carico dello Stato Pantalone. Con il meccanismo del federalismo fiscale - e qui voglio tranquillizzare le popolazioni del sud -, si ingenererà un meccanismo virtuoso per cui i cittadini, finalmente, si vedranno restituita una sanità di buona qualità, di buon livello, rispondente ai veri bisogni territoriali e non ad altre logiche. Inoltre, vorrei dire che non esiste nessun supporto scientifico certo, così come ha detto il Ministro, che dimostri che i redditi bassi significano più povertà e, quindi, più malattie e, di conseguenza, più necessità di soldi per la sanità (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

(Misure per la valorizzazione dell'attività dei ristoranti italiani all'estero e per la promozione della tradizione enogastronomica italiana - n. 3-01505)

PRESIDENTE. L'onorevole Razzi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01505, concernente misure per la valorizzazione dell'attività dei ristoranti italiani all'estero e per la promozione della tradizione enogastronomica italiana (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, signor Ministro, la cucina, l'attenzione per il cibo e lo stare a tavola costituiscono elementi distintivi della cultura italiana. Esistono decine di migliaia di ristoranti siti fuori dal territorio nazionale che si ispirano alla tradizione enogastronomica e culinaria italiana e tali esercizi sono frequentati da milioni di clienti in tutto il mondo. Un elevato numero di tali esercizi si avvale di riferimenti impropri all'italianità, pur non rispettando la cultura enogastronomica e la tradizione culinaria italiane, esclusivamente al fine di ottenere un Pag. 54vantaggio commerciale. È, perciò, necessario offrire uno strumento di tutela a favore dei ristoratori esercenti all'estero che dimostrano di conoscere, rispettare, valorizzare e diffondere la tradizione enogastronomica italiana e i prodotti agroalimentari di qualità che la caratterizzano. Chiedo, quindi, al Ministro interrogato quali iniziative abbia intenzione di mettere in campo al fine di valorizzare il lavoro dei ristoranti italiani all'estero, promuovendo, al contempo, la tradizione enogastronomica italiana e i prodotti di qualità che ne costituiscono l'essenza. Signor Presidente, mi scusi, avrei finito.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Razzi. Scrive un grande poeta tedesco, Hölderlin, che «i vecchi alla fine tendono al bello». Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Giancarlo Galan, ha facoltà di rispondere.

GIANCARLO GALAN, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, onorevole Razzi, lei ha colto nel segno, ha colto uno degli aspetti importanti. La ristorazione italiana rappresenta indiscutibilmente il fiore all'occhiello del made in Italy agroalimentare e noi abbiamo il dovere di difendere quella vetrina di prodotti eccellenti. Inoltre, dopo il riconoscimento, da parte dell'UNESCO, della dieta mediterranea come patrimonio immateriale dell'umanità, abbiamo un dovere rafforzato nel difendere i prodotti che vengono a comporre quella dieta e quello stile che ci contraddistingue nel mondo. Allora, è importante che, proprio nel centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, si dimostri vicinanza agli italiani che sono all'estero, in giro per il mondo. In quest'ottica, raccogliendo i suoi suggerimenti e quelli anche di qualcun altro, ho già fatto predisporre un decreto con cui si istituisce un riconoscimento, sotto forma di targa ad hoc con il logo del Ministero, per i ristoratori italiani all'estero di qualità che acquistino certi quantitativi di prodotti agroalimentari italiani e che si impegnino, in questo modo, a diffondere la cultura alimentare del nostro Paese. Quali sono i due vantaggi che penso si possano ottenere? Primo: permettere ai consumatori di conoscere e riconoscere i ristoratori ed i ristoranti davvero italiani, che utilizzano materie prime italiane e cucinano secondo la tradizione italiana. Tra l'altro - perché no? -, incrementare la vendita di prodotti italiani all'estero alimentando anche un meccanismo competitivo tra gli stessi ristoratori di qualità.
Non sarà facile stabilire i criteri utili, non sarà facile dipanare le controversie, ma credo che ne valga la pena.

PRESIDENTE. L'onorevole Razzi ha facoltà di replicare.

ANTONIO RAZZI. La ringrazio, signor Ministro. La ringrazio per aver valorizzato in maniera definitiva e capillare il settore della ristorazione italiana nel mondo. Questa iniziativa segna un momento storico, accorda il giusto riconoscimento ai nostri prodotti e ai nostri concittadini del settore che operano all'estero, cui è affidata una buona fetta dell'immagine del nostro Paese. La tradizione enogastronomica italiana basata sui principi della dieta mediterranea, di recente dichiarata dall'UNESCO patrimonio immateriale dell'umanità, va protetta dall'imitazione e dalla contraffazione per salvaguardare la storia, la cultura, la qualità e la genuinità. I ristoranti di cucina italiana all'estero possono costituire un canale privilegiato per far conoscere e diffondere i prodotti agroalimentari di qualità italiana, incentivando in tale maniera l'incremento dell'esportazione dei nostri prodotti. L'incremento dell'esportazione di prodotti agroalimentari di qualità, riconosciuta ed apprezzata in tutto il mondo, potrebbe costituire il volano per il rilancio del sistema agroalimentare italiano. In America, così come nel resto del mondo, i nostri prodotti sono contraffatti: su otto prodotti, sette sono contraffatti. L'Italia ha pertanto una perdita di circa 60 miliardi l'anno. Recuperando tale perdita ne beneficeranno senz'altro anche le piccole e medie imprese. Signor Ministro, ho preparato cinque o sei modelli di targhe da Pag. 55consegnare ai ristoratori italiani all'estero. Spero che il Ministero sarà riconoscente nei confronti di quei ristoratori italiani all'estero che importano i nostri prodotti, così da incentivare anche i nostri produttori, ostacolati nel loro lavoro dall'ormai diffuso fenomeno della contraffazione.

(Elementi in merito alla recente proroga relativa al pagamento delle multe sulle quote latte - n. 3-01506)

PRESIDENTE. L'onorevole Libè ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01506, concernente elementi in merito alla recente proroga relativa al pagamento delle multe sulle quote latte (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

MAURO LIBÈ. Signor Presidente, signor Ministro, in questa interrogazione abbiamo citato dati di agenzia non perché li riteniamo dati reali o li riteniamo oro colato, ma per il fatto che nel tempo si sono susseguiti continuamente numeri completamenti diversi. Signor Ministro, a lei chiediamo la certezza sui numeri reali riguardanti un settore che ha sollevato l'indignazione in tutto il Paese a 15 giorni dall'ennesima proroga di un sistema che ha premiato i lavoratori disonesti e a fronte di una enorme moltitudine di agricoltori e allevatori che tutti i giorni lavorano per produrre quel bene dei nostri prodotti che lei citava prima. Da lei ci aspettiamo parole di verità in questo campo e dato che riteniamo la trasparenza la cosa più importante per chi fa politica, vorremmo anche capire quali sono e chi sono gli allevatori che ancora oggi sono in condizioni di mantenersi fuori dalle regole e dalla legge e se qualcuno è presente anche nel nostro Parlamento.

PRESIDENTE. Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Giancarlo Galan, ha facoltà di rispondere.

GIANCARLO GALAN, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, non so se le darò soddisfazione, onorevole, ma sulla trasparenza credo proprio di sì.
Inizio riepilogando e dando i numeri esatti: gli allevatori sono circa 40.000 in Italia e questo è noto. L'importo delle rate in scadenza il 31 dicembre ammontava a 27.654.664 euro, ripartito fra i produttori che avevano aderito alla «rateizzazione Alemanno» del 2003, che erano 11.327, e quelli aderenti alla «rateizzazione Zaia» del 2009, 250 produttori. Quindi, se l'ammontare è quello, trattandosi di un differimento di termini di un pagamento, l'onere che effettivamente ne deriverebbe e ne deriva per l'erario è solo quello rappresentato dagli interessi che quella cifra matura e quindi, ipotizzando un 6 per cento di rata annua per sei mesi, su 27.654.664 euro l'importo sarebbe stato di 829.640 euro. Però, siccome il milleproroghe è entrato in vigore più tardi, nel frattempo qualcuno aveva pagato. Anzi, parecchi avevano già pagato.
Per quanto attiene alla legge n. 119 del 2003, 9.808 produttori avevano pagato. Per quanto riguarda quelli aderenti alla legge del 2009, 191 avevano pagato. Da questo si deduce che l'importo, il cui pagamento viene effettivamente differito, è pari a 7.555.278 euro, che al 3 per cento danno un interesse di 226.658 euro.
Poi ci sono quelli che non hanno aderito né all'una né all'altra rateizzazione, che sono quelli fuorilegge, ma tra questi lei sa che il mio Ministero, tramite l'Agea, ha impartito l'ordine di requisizione delle quote.
Perché nel decreto milleproroghe vi sia un importo di 5 milioni di euro io proprio non glielo so dire: questo lo deve chiedere al mio collega Tremonti, che addirittura nella prima versione aveva scritto 30 milioni di euro.
Da ultimo, le ricordo anche - ma non c'è bisogno che io glielo ricordi - che sulla proroga si doveva pronunciare la Commissione europea per le verifiche della compatibilità della misura con l'ordinamento comunitario.

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PRESIDENTE. L'onorevole Libè ha facoltà di replicare.

MAURO LIBÈ. Signor Presidente e signor Ministro, mi dichiaro soddisfatto per la trasparenza sui numeri che ci ha elencato il signor Ministro, ma sicuramente non soddisfatto per la vicenda quote latte, perché da lei - credo immagini che glielo avremmo ricordato - il mondo agricolo si aspettava tanto: si aspettava quel ripristino della legalità che lei tanto ha annunciato ed al quale lei ha legato la sua permanenza. Infatti il 7 luglio 2010 in quest'Aula disse: «Non voglio credere alla possibilità di una norma che siffatta sia approvata. Se lo sarà, farò le valutazioni che il caso richiede e che gli insegnamenti che mi sono stati impartiti impongono».
Oggi - 15 giorni fa - ci siamo trovati ad un'altra proroga. L'agricoltura, come dicevo, confidava molto in lei e confidavano tutti gli italiani onesti, come abbiamo confidato noi e lei sa bene quanto sostegno le abbiamo dato. Quell'agricoltura, come ho detto anche prima, è il fiore all'occhiello di questo Paese, quell'agricoltura onesta, quella di quegli allevatori che oggi stanno soffrendo perché devono pagare le rate del mutuo per aver comprato legalmente le quote latte. Questo è il fatto. L'esempio delle quote latte purtroppo è un esempio che rappresenta molte situazioni del nostro Paese. Credevamo che l'agricoltura con un Ministro come lei ci desse segnali diversi. Oggi ci troviamo a non avere questi segnali.
Crediamo - siamo duri, ce lo permetta - che lei, signor Ministro, dovrebbe essere conseguente: non per lei, ma per dare un segnale forte a tutti quei cittadini onesti e, prima di tutto, ad un Governo che si è fatto «impiccare» - alla Lega - per pochi.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MAURO LIBÈ. Infatti, signor Ministro, ciò che lei ha detto sulla riduzione del numero degli allevatori che non hanno aderito dimostra, ancora di più, che si sta tutelando una enclave minima. Lei non ci ha detto chi sono e noi continueremo a chiederlo: abbiamo bisogno che il Paese sappia per chi paga (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

(Iniziative per tutelare e rilanciare il comparto vitivinicolo - n. 3-01507)

PRESIDENTE. L'onorevole Biava ha facoltà di illustrare l'interrogazione Baldelli n. 3-01507, concernente iniziative per tutelare e rilanciare il comparto vitivinicolo (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

FRANCESCO BIAVA. Signor Presidente, signor Ministro, la grave crisi economica e finanziaria che ha attraversato l'Europa, e non solo, ha colpito diversi settori produttivi della nostra nazione. Non è esente, ovviamente, il settore vitivinicolo, che sappiamo essere un settore trainante per l'intero comparto agricolo nazionale ed anche per l'intera economia della nostra Italia.
Questa crisi colpisce soprattutto la produzione di qualità media e, quindi, il largo e diffuso consumo, tant'è che si dovrà dare avvio alla procedura di distillazione di crisi per 114 mila ettolitri di vini a denominazione di origine (DO) e ad indicazione geografica (IG). Le regioni maggiormente colpite ed interessate in ordine ai citati 114 mila ettolitri sono il Piemonte, il Lazio, la Calabria, la Puglia, le Marche e la Sardegna.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FRANCESCO BIAVA. Per quanto riguarda il vino comune, si dovrà procedere alla distillazione di crisi per - si presuppone - 135 mila ettolitri. La regione maggiormente interessata è la Puglia. Il costo complessivo dell'operazione è intorno ai 10 milioni di euro: 7 milioni di euro per i vini a denominazione di origine e ad indicazione geografica e 2,9 milioni di euro per il restante vino.

PRESIDENTE. Deve concludere.

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FRANCESCO BIAVA. Signor Presidente, sento che mi richiama alla conclusione...

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Biava.

FRANCESCO BIAVA. Chiediamo, quindi, quale sia, alla luce di questi dati, lo stato di salute complessivo del settore vitivinicolo e quali iniziative il Governo, e lei signor Ministro, intendiate promuovere per tutelare e rilanciare questo settore.

PRESIDENTE. Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Giancarlo Galan, ha facoltà di rispondere.

GIANCARLO GALAN, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, innanzitutto, la richiesta di distillazione di crisi è pervenuta da sei regioni, per un totale pari a 249 mila ettolitri. Questa sembra una cifra enorme e significativa, ma si tratta di 249 mila ettolitri su 49 milioni di ettolitri: facendo la divisione, sarebbe pari a 0,005.
Per il resto, ho alcune buone notizie. La prima: dopo il primo semestre del 2010, i prezzi hanno registrato una ripresa, fino all'inizio dell'attuale campagna. La seconda: l'incremento delle quotazioni è proseguito anche nei primi due mesi del 2011, e giungono segnali positivi da parte della domanda estera. La terza: nei primi nove mesi del 2010, l'Italia ha esportato all'estero un milione di ettolitri in più rispetto allo stesso periodo del 2009, con un leggero aumento dei prezzi. La quarta: la richiesta di distillazione di crisi attiene ad un periodo di grave crisi internazionale che aveva visto una flessione dei mercati esteri, quindi, si riferisce ad un periodo ben preciso e i segnali sono di tutt'altro tipo. Il budget è stato effettivamente dell'importo di 7 milioni di euro che, però, è ben al di sotto della soglia massima prevista, e cioè 30 milioni di euro, che per la normativa comunitaria sarebbero destinati a questa attività.
Convengo, tuttavia, che, nonostante tutti questi buoni segnali e nonostante lo stato di buona salute che attraversa il settore vitivinicolo, la distillazione di crisi di prodotti soprattutto a denominazione di origine è una dichiarazione di fallimento. È una gran brutta cosa, un brutto segnale.
Comunque, abbiamo anche sostenuto, per quanto riguarda le iniziative, l'esportazione dei vini con una cifra di 45 milioni di euro. Inoltre, al settore il Governo ha dedicato 115 milioni di euro per la ristrutturazione e la riconversione dei vigneti e 15 milioni di euro per gli investimenti più una cifra meno significativa, ma pur sempre un sostegno, che si aggiunge agli stati di calamità e particolari situazioni climatiche avverse. Quindi, mi sembra che vengano buoni segnali dal mercato e buoni segnali dal Governo.

PRESIDENTE. L'onorevole Biava ha facoltà di replicare.

FRANCESCO BIAVA. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro, sono soddisfatto della risposta e sono soprattutto rincuorato così come lo sono i produttori di questo importante settore, sia perché la crisi sembra lentamente avviarsi alle nostre spalle e per gli interventi che tempestivamente il suo Dicastero, con lei alla guida ha posto in essere.
In effetti, il quantitativo è più preoccupante per quello che ricordava lei, cioè le DO e le IG che per il volume stesso. La cifra appunto, che si aggira intorno ai 10 milioni di euro, se non vado errato, di fatto copre il 10 per cento dello stanziamento assegnato al programma di sostegno per il settore vitivinicolo. Guardiamo quindi con fiducia al futuro e la ringrazio.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 16 con il seguito della discussione sulle linee generali della proposta di legge recante disposizioni in materia di alleanza terapeutica, consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.

La seduta, sospesa alle 15,50, è ripresa alle 16,05.

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Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alessandri, Antonione, Brunetta, Bruno, Caparini, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Ferranti, Fitto, Alberto Giorgetti, Jannone, Lo Monte, Martini, Mazzocchi, Migliori, Paniz, Ravetto, Reguzzoni, Ruben, Sardelli, Stefani, Tabacci, Vito e Zaccaria sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione della propostadi legge n. 2350-A.

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono proseguiti gli interventi in discussione sulle linee generali.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 2350-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, abbiamo tanto discusso fuori da quest'Aula (in Commissione e in tanti dibattiti) di questo tema. Credo che si stia raggiungendo il livello massimo di astrazione, di distanza dal sentimento comune con il quale ciascuno di noi, e penso ciascun cittadino italiano, viva con un sentimento di intimità i momenti che caratterizzano il termine della vita delle persone che ama o, in prospettiva, della propria vita.
Credo che il tentativo che stiamo facendo - o che qualcuno vorrebbe fare e che consiste nell'incastonare in una legge che nasce più per vietare che per regolare - allontani quello che noi facciamo dall'esperienza comune e quotidiana degli italiani. Quando parlo di «senso comune» non mi riferisco a tutti i sondaggi disponibili, che dicono che gli italiani, sia pure rispondendo a quesiti generici, in larghissima maggioranza si dicono favorevoli all'eutanasia. Penso nello specifico a quei sondaggi - ne ho qui uno - che hanno caratterizzato i giorni della vicenda da cui tutto questo origina. Sono sondaggi che, in modo se non unanime e uniforme, segnalano come gli italiani avessero un'idea diversa su quello che bisognasse fare rispetto al destino della cara Eluana Englaro.
Tutti quei sondaggi segnalavano in modo convergente a larghissima maggioranza - ne ho uno qui di Renato Mannheimer pubblicato su il Corriere della Sera in quei giorni - che quella decisione dovesse spettare ai familiari e ai medici e non a noi. Infatti, credo che questo sia uno dei punti che ci portano - questa naturalmente è la mia valutazione - a fare degli errori gravi nel testo che abbiamo scritto. Si confondono due piani e si mischiano continuamente: il piano del cosa ciascuno di noi, in maggioranza o in minoranza, vorrebbe che si facesse in alcune situazioni di gravi malattie terminali, ma non solo; e il piano, invece, di chi sia colui o chi siano coloro ai quali debba spettare quella decisione drammatica, come spesso è.
Credo che ciascuna singola decisione non spetti al tentativo improbo del legislatore di decidere ora per sempre (ovvero finché la legge cambierà) per tutti i casi con modalità precise quello che si debba o non si debba fare.
Credo che quella decisione spetti a quella che qualcuno ha chiamato la piccola comunità che si raccoglie attorno al malato: si tratta delle persone di fiducia del malato, delle persone che lui ha amato e dei suoi medici; o spetta a loro o credo che inevitabilmente debba spettare a lui ora per allora. Confondere i piani credo che ci abbia allontanato dal sentimento e dal senso comune - lo ripeto - rispetto a chi Pag. 59debba compiere la decisione e non rispetto alla decisione. In relazione a questa, chiaramente ciascuno qui dentro la pensa in modo diverso per se stesso, quindi figuriamoci la generalità della popolazione.
Si tratta di un testo massimalista, con la faccia cattiva sul piano dei contenuti e fragilissimo ed inconsistente sul piano giuridico, innanzitutto sul piano dei principi costituzionali. È un testo pieno di forzature, ne cito soltanto una: il comma 2, dell'articolo 4, come riformulato dalla Commissione rispetto al testo del Senato, in cui si prevede: «Eventuali dichiarazioni di intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di fuori delle forme e dei modi previsti dalla presente legge» - si tratta delle disposizioni anticipate di trattamento - «non hanno valore e non possono essere utilizzate ai fini della ricostruzione della volontà del soggetto». In un emendamento precedente era contenuta la locuzione: «è fatto divieto al medico di», ma privare di valore le suddette dichiarazioni risponde a un principio antigiuridico. Si tratta di un principio che non reggerebbe ad un qualsiasi ricorso innanzi ad un qualsiasi tribunale, laddove per esempio la volontà fosse espressa in modo univoco e incontestabile in forme diverse da quelle previste dalla legge.
Quindi, se qualcuno ha pensato che questa legge potesse o dovesse essere un modo per sottrarre ai giudici - come è stato detto - l'ultima parola, in realtà questo testo - basterebbe leggerlo tutto, io non voglio dilungarmi perché non ho nemmeno il tempo - è stato scritto appositamente per creare tonnellate di faldoni di conflitti. Infatti, chiunque potrebbe andare davanti al medico rispetto alla propria madre, al proprio figlio o alla persona che lo ha nominato fiduciario, dicendo che è vero che non è stata scritta alcuna dichiarazione anticipata di trattamento o che è vero che essa è scaduta, ma comunque rappresentando inevitabilmente e incontestabilmente la volontà di quella persona di questa credo che sarebbe difficile non tenerne conto.
Si aprirà - o potrebbe aprirsi - qualora questa legge venisse approvata, un'autostrada di ricorsi perché dobbiamo intenderci, colleghi: in qualsiasi Paese libero, democratico, retto come uno Stato di diritto le controversie finiscono davanti ad un giudice - è inevitabile - e qui il tentativo di sottrarre ai giudici il loro compito, ossia quello di giudicare alla fine e dopo un procedimento giusto quello che, di fronte ad un ricorso, la legge stabilisce, il tentativo assurdo di eliminare una facoltà proprio della giustizia in uno Stato di diritto finisce naturalmente per essere un'autostrada di ricorsi, per preparare il fatto che questa legge - così come molti hanno denunciato dal fronte, per esempio, dei «bioeticisti» cattolici - finirebbe per essere tutta «bucherellata» dei ricorsi, lasciando una legge - abbiamo l'esperienza recentissima della legge n. 40 - che altri hanno definito eutanasica perché si crea il tentativo di mettere un muro rigido oltre il quale si può fare tutto perché non c'è nessun elemento di gradualità. C'è il divieto tetragono di fare alcune cose, ma - superato quel divieto - per un medico o un collegio medico si può fare tutto.
Credo che ci sia un dato politico al di là delle tecnicalità importanti della proposta di legge su cui, se ci toccherà, discuteremo quando sarà il momento di analizzarla articolo per articolo. Posto che ciascuno di noi ha - ripeto - visioni probabilmente diverse innanzitutto rispetto a se stesso, le proprie cure, il proprio destino, ha senso fare una legge - qualcuno ha detto, la facciamo per dividere, per stanare, altri, dall'altra parte, hanno detto la fanno per pagare qualche cambiale - su un tema che riguarda tutti, indiscutibilmente tutti i cittadini italiani, se qui dentro, nella comunità che rappresentiamo, non c'è una convergenza significativa su di un testo? Decidiamo sul vivere e il morire a maggioranza? Sulla vita di ciascuno, a maggioranza, e non sulla vita di altri, come potrebbe esser per altre questioni che hanno a che fare con l'etica e la bioetica. Ha senso fare una legge che non ci vede, ragionevolmente, Pag. 60proporla assieme e imporla a maggioranza a tutti gli italiani che vivono al di fuori di quest'Aula?
Questo è il principale motivo per cui noi come gruppo di Futuro e Libertà per l'Italia abbiamo scelto di proporre - lo faremo con un emendamento interamente sostitutivo dell'articolo 1 dell'intera proposta di legge - invece oggi di fare tutti un passo indietro, di fermarci e di votare su un piccolo contenuto sul quale tutti o quasi tutti o la gran parte di noi possa riconoscersi, nella convinzione che se ci riconosciamo in larghissima maggioranza su quel testo, probabilmente si riconosce la grande maggioranza degli italiani, fissando due delimitazioni: il «no» all'eutanasia - sapendo che ci sono legittimamente tanti italiani che l'eutanasia la vorrebbero - e all'accanimento terapeutico, e richiamando per la decisione finale quella comunità che caso per caso si riunisce, fatta di famigliari quando ci sono - signor Presidente, mi avvio alla conclusione - di fiduciari, di medici. Questo chiediamo, perché se si vogliono fare le DAT bisogna farle fino in fondo - come in Germania - prevedere che siano vincolanti e che la volontà non espressa valga come quella espressa.
Chiudo citando quanto espresso da Giovanni Reale in una memoria ad hoc mandata alla Commissione su questo testo, «spero proprio che lo Stato non giunga a stabilire per legge che la nutrizione artificiale possa essere non proposta, ma imposta in tutti i casi. Lo Stato non può e non deve stabilire se, come e quando l'uomo debba morire sulla base delle acquisizioni della tecnologia che si sostituisce alla natura. Uno Stato di questo genere diventerebbe peggiore del mostro del Leviatano di cui parla Hobbes». Questo è scritto su questo testo, a partire da questo testo, e credo che sia un rischio quello di scimmiottare il Leviatano di Hobbes dal quale tutti noi dovremmo guardarci.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della III media di Londa, in provincia di Firenze, con i loro compagni di una scuola polacca, precisamente della cittadina di Gmina Brzeszcze, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Benvenuti, oggi non trovate molti deputati in Aula, la ragione è che è in corso la discussione sulle linee generali, ovvero si discute di un provvedimento ed intervengono i deputati che vogliono parlare e hanno un particolare interesse su quel provvedimento. Se veniste invece in un giorno in cui si vota, trovereste tutto il Parlamento qui. Cosa fanno adesso gli altri parlamentari? Sono riuniti nelle Commissioni e negli altri luoghi di lavoro dei parlamentari.
Voglio sottolineare l'importanza di questa visita perché salutiamo anche con particolare cordialità i nostri amici polacchi. L'Italia è ricordata nell'inno nazionale polacco «Marcia, marcia Dabrowski dalla terra italiana alla Polonia», perché allora il generale Dabrowski con Napoleone e con una legione di polacchi era in Italia ed ha partecipato con i polacchi alle guerre del Risorgimento per la liberazione dell'Italia, così come gli italiani hanno partecipato con la legione di Nullo alla grande insurrezione polacca del 1863 e nell'Inno italiano ricordiamo la Polonia, quando Mameli diceva - contro gli austriaci per la verità - «il sangue Polacco, bevè, col cosacco», contro la repressione delle lotte di indipendenza polacche da parte degli Austriaci e dei Russi, due Paesi particolarmente legati. Grazie della vostra visita, «dziekujemy za wizyte».

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bertolini. Ne ha facoltà.

ISABELLA BERTOLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si può morire per fame e per sete in Italia? Qualsiasi persona normale a questa domanda vi risponderà, in moto sdegnato, che non è possibile. Non si può immaginare che una cosa del genere possa avvenire nel nostro Paese, dopo che abbiamo imboccato da oltre un decennio gli anni Duemila. La nostra coscienza sarebbe turbata se fossimo a conoscenza di cose di questo tipo. In un Paese dove siamo sempre pronti a mobilitarci per qualsiasi causa, più o meno Pag. 61nobile, un fatto ripugnante come questo non può avvenire.
Eppure, colleghi, è successo. È successo con tanto di sigillo della magistratura. Chi ha stabilito che Eluana Englaro doveva morire è stato un giudice chiamato ad emettere sentenze e a fare giustizia. Ma la giustizia di cui è stata vittima Eluana noi la rifiutiamo, perché è stata proprio la vita soppressa della cittadina italiana Eluana Englaro uno dei motivi che ci hanno portato alla discussione di questa proposta di legge. E dire che per salvarla dalla terribile morte per fame e per sete si era addirittura mosso il Governo. L'Esecutivo guidato da Silvio Berlusconi ha avuto il coraggio di fare l'unica cosa che andava fatta, un decreto-legge per salvare la vita di Eluana. È stata una delle pagine migliori nella storia della difesa della vita umana. Sappiamo tutti però come è andata a finire e conosciamo bene le responsabilità di ognuno. Per quanto mi riguarda, non avrei avuto un solo attimo di esitazione a votare quel decreto-legge. Ma se oggi siamo qui ad affrontare questa proposta di legge è anche perché la discussione sul testamento biologico parte da lontano ed è da anni oggetto di scontro nel nostro Paese, perché l'obiettivo che si vuole raggiungere, cioè quello di garantire ad ogni individuo che il trattamento medico che gli verrà riservato quando non fosse più capace di intendere e di volere corrisponda alla sua reale volontà, è un obiettivo veramente molto complesso.
La difficoltà infatti è trovare un giusto bilanciamento, un giusto equilibrio tra diversi principi fondamentali, tutti egualmente tutelati dalla nostra Carta costituzionale. Da un lato, c'è il diritto alla vita e la sua indisponibilità, il diritto alla tutela della salute, che è un bene per la persona, ma anche per l'intera società, tant'è vero che lo Stato investe su questo ingenti risorse. C'è anche il dovere del medico di curare i suoi pazienti. Dall'altro lato, però, c'è il diritto di ogni individuo all'autodeterminazione nelle scelte terapeutiche e il diritto al rifiuto di trattamenti sanitari non voluti. Allora, a mio avviso, per trovare questo giusto bilanciamento dobbiamo fare una legge che si ispiri e si radichi ad una forte concezione valoriale e che assuma, anche nel tempo, una funzione pedagogica e culturale. Oggi siamo di fronte ad un contesto sociale che tende a rendere sempre più invadente la concezione dei desideri, che devono per forza diventare diritti.
Anche questa proposta di legge è trascinata da un effimero consenso interamente mediatico sulla perentoria rivendicazione di questo nuovo diritto: il diritto a morire. Siamo di fronte ad un sovvertimento dei valori che oggi ci impongono un modello di vita che deve essere sempre vincente. Di fronte a questo pericoloso e snaturato modello, situazioni di vita diverse non possono nemmeno lontanamente essere prese in considerazione. In questo desolante senso di vuoto valoriale il passo che ci porta a dire che una vita, magari costretta per anni in un letto, non è degna di essere vissuta è davvero brevissimo. Ed ecco che a supportare la necessità della vita vincente a tutti i costi e a mettere in moto la degenerata classifica delle vite non degne di essere vissute arriva il testamento biologico. È un sapiente espediente che si basa su false promesse per l'uomo che ha deciso di volere a tutti i costi una vita fatta solo ed esclusivamente di gioie, alla mercé di qualunque capriccio.
Da tempo assistiamo ormai quotidianamente ad una ignobile propaganda da parte dei fautori del testamento biologico o, peggio ancora, dell'eutanasia. Basta pensare ad alcune trasmissioni televisive recenti o alla messa in onda di un spot voluto dal Partito Radicale a favore della dolce morte o ancora all'enfatizzazione data al suicidio del regista Mario Monicelli, fatto passare non come il gesto disperato di un uomo molto anziano e gravemente ammalato, ma come un significativo gesto di libertà. C'è una vera e propria lobby pro-eutanasia che sta tentando di plagiare l'opinione pubblica sul fine vita, spesso con messaggi demagogici e fuorvianti rivolti ad un pubblico indifferenziato, potenzialmente molto suggestionabile. Penso soprattutto ai più giovani. Pag. 62Non viene data, però, uguale voce a chi chiede garanzie di assistenza e di cura, a chi si batte per riaffermare il diritto a vivere. Evidentemente, non fa audience mostrare la sofferenza, la disabilità, la difficoltà, la solitudine, la malattia, che però non tolgono alla persona la dignità e il diritto a continuare a vivere.
In tutto questo dibattito mi viene un grande dubbio, che dovrebbe essere quello di tutti noi che siamo chiamati a votare questa proposta di legge: sono i malati che invocano il testamento biologico e l'eutanasia o sono le persone sane? Chi soffre, di solito, chiede aiuto, chiede cure adeguate, desidera assistenza, spera di non essere abbandonato, cerca affetto, calore umano. Chi si sente amato non desidera affatto morire. Se invece uno si sente solo, se è depresso, angosciato, se teme di essere un peso per chi lo assiste, se soffre, forse può desiderare di morire, ma certamente non percepirebbe l'eutanasia come il godimento di un diritto fondamentale, cioè quello di disporre della propria vita, ma solo come una disperata scelta obbligata.
Chi tende a farsi paladino dell'eutanasia è chi è sano e, vedendo la sofferenza altrui, tende a proiettare se stesso nella medesima realtà di sofferenza, unita magari alla paura di non farcela, oppure ha paura di dover assistere chi già soffre e di stare accanto a malati così complessi. È molto difficile legiferare su questa materia. Non per niente, nel corso delle varie legislature, il Parlamento, con maggioranze di sinistra e di centrodestra, non è riuscito fino ad oggi a licenziare un testo. Non è detto che di per sé questo sia un male, anzi, ritengo che l'importante ruolo di approfondimento svolto da entrambi i rami del Parlamento vada sottolineato una volta di più. L'attenzione e lo scrupolo sono ottime qualità per un legislatore; non sono inutili orpelli da sacrificare sull'altare delle classifiche di produttività.
Personalmente, sono sempre stata contraria ad una legge sulla materia del fine vita e i miei dubbi non sono stati del tutto fugati dal grande lavoro fatto prima al Senato e poi alla Camera. Desidero, al riguardo, davvero ringraziare il lavoro svolto dal relatore per la maggioranza, onorevole Di Virgilio, ma anche dal Governo e da tutti i membri della Commissione, che però, forse, ancora non basta. Nonostante la mia contrarietà, mi rendo conto che, in assenza di un riferimento normativo, sarà ancora la magistratura a decidere sul fine vita. Vi sono, infatti, già alcuni giudici tutelari che ritengono di poter utilizzare l'istituto dell'amministratore di sostegno, nato per dare assistenza alle persone non autonome, per raccogliere, invece, dichiarazioni anticipate, per poi renderle eventualmente esecutive, quando il soggetto dovesse finire in uno stato di incoscienza.
Ma da tempo è in atto anche un altro inaccettabile tentativo di forzare la mano all'unico luogo competente su questa materia, che tutti sappiamo essere il Parlamento. Vi sono alcuni comuni che si sono inventati i cosiddetti registri per il testamento biologico: trovate estemporanee e inutili, che non hanno alcuna validità giuridica, ma che testimoniano la pervicace e invasiva volontà della lobby che vuole mettere le mani sulla vita e sulla morte dei cittadini. Solo a titolo informativo, negli enti locali che hanno istituito questo tipo di registro i cittadini non se ne sono nemmeno accorti: i richiedenti sono nell'ordine dello zero virgola. Questo è un altro dato che dovrebbe farci riflettere su come spesso si senta affermare - lo abbiamo sentito anche oggi in quest'Aula, parlando di sondaggi - che è la società che ci chiede di legiferare su questa materia.
Molti sostengono che questa proposta di legge ancora in discussione sia servita come deterrente per evitare ulteriori sentenze come quella del caso Englaro, ma che siano molti i casi giudiziari che potrebbero trovare un avvio se la legge non venisse approvata. Questa legge potrebbe rappresentare una barriera, un argine contro queste derive relativiste, diventando anche strumento per una battaglia culturale a favore della vita. Se questo è l'obiettivo, vi è però bisogno di una legge chiara, che non lasci spazio ad interpretazioni e ad equivoci. Su questo dobbiamo e possiamo ancora lavorare, perché, a mio avviso, Pag. 63vi sono punti inderogabili sui quali non vi possono essere mediazioni, alcuni già compresi nella proposta di legge, altri che forse possono essere rivisti. Primo punto, il principio che la vita è un bene indisponibile e va tutelata dall'inizio alla sua fine naturale, senza deroghe e senza tentennamenti. Dobbiamo riaffermare che vi è un diritto a vivere e che non vi è un diritto a morire. Quindi, esiste un diritto a rifiutare i trattamenti sanitari, ma esiste anche il dovere di tutelare la propria salute e la propria vita. Esiste un diritto a rifiutare l'accanimento terapeutico, ma questo rifiuto non può essere oggetto di scelta, per il semplice fatto che esso è illegittimo sia sul piano clinico sia sul piano etico. Non avrebbe senso invitare i cittadini a firmare una dichiarazione per ottenere in termini di scelta...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Bertolini.

ISABELLA BERTOLINI....ciò che deve essere loro garantito dallo stesso sistema sanitario nazionale e dalla buona prassi clinica.
Le dichiarazioni anticipate di trattamento non possono, come previsto nella proposta di legge, essere obbligatorie. Fatemi spiegare brevemente perché. Prima di tutto, nessuna persona al mondo può anche solo immaginare che cosa proverà veramente se un giorno si troverà affetta da una malattia invalidante o da un male incurabile in uno stato di incoscienza. È chiaro, quindi, a chi ha l'onestà intellettuale per ammetterlo, che la volontà espressa oggi potrebbe non essere la stessa quando la persona sarà colpita dalla malattia. Il tutto senza considerare che nessuno è in grado di prevedere oggi e di immaginare il futuro dei progressi della medicina.
Come può allora una DAT prefigurare scenari futuri non prevedibili? Come può cogliere le differenze nell'ambito delle stesse patologie? Come può immaginare le differenze di contesto in cui un evento può accadere?
Un altro punto, signor Presidente, riguarda l'idratazione e l'alimentazione. Queste non sono, a mio avviso, un atto medico e, come tali non possono mai essere sospese. Sono cure nel senso che rappresentano per il paziente un sostegno vitale. Inutile puntualizzare che possono essere sospese quando risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche del corpo. Nessun medico, oggi, si accanisce ad iniettare sostanze che non giovano ad un malato.
Dobbiamo però salvaguardare anche l'autonomia del medico, la sua professionalità, e tutelare il rapporto fondamentale dell'alleanza terapeutica tra medico e paziente. Un corretto rapporto tra questi due soggetti non può essere alterato facendo entrare in rotta di collisione la legittima autonomia del malato e gli intangibili doveri che ha un medico.
Concludo, signor Presidente, dicendo che vorrei votare a favore della proposta di legge in esame solo, però, avendo la certezza che licenziando questo testo possiamo evitare la discrezionalità e l'ingerenza, ancora una volta, della magistratura, solo se questo provvedimento sarà in grado di vincolare adeguatamente coloro che la dovranno applicare. Ho ancora molti dubbi in proposito perché i magistrati, sino ad oggi, hanno dimostrato di essere favorevoli alla cultura della morte e non a quella della vita. Mi chiedo se chi ha già più volte esplicitato il proprio orientamento relativista potrà continuare a comportarsi come prima. Ecco perché, signor Presidente, non riesco ancora ad amare questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Bertolini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole D'Anna. Ne ha facoltà.

VINCENZO D'ANNA. Signor Presidente, credo che l'Aula si sia già espressa Pag. 64relativamente all'esame dei vari articoli di cui si compone questa proposta di legge e che, prima che in Aula, questa sia stata lungamente dibattuta e discussa in Commissione affari sociali.
Credo che debba venirci in soccorso un principio di buonsenso. L'assenza di una legge, anche non assolutamente perfetta o che non comprenda tutta la casistica possibile - questo è ciò che accade nel caso di una legge che deve affrontare tematiche spinose - e l'esistenza di una legge sia pur, a seconda dei punti di vista, lacunosa certo non danno ad un giudice il potere di determinare il fine vita o di individuare, così com'è stato fatto nel caso Englaro, intuitivamente e deduttivamente una volontà inespressa e, tra l'altro, interpretarla per interposta persona, a distanza di anni.
L'esigenza, quindi, di non affidare alla giurisprudenza ed alle sentenze che in assenza di una normativa precisa sono, per loro natura, ondivaghe, è fatto certamente positivo, soprattutto quando quello di cui si interessa la legge è il bene supremo che uno Stato di diritto deve poter garantire, ossia la tutela e la conservazione della vita, la tutela e la conservazione delle aspettative di vita e la tutela in favore di coloro che sono gravemente malati.
Non intendo ideologizzare, come ho sentito poc'anzi, la questione. L'onorevole Della Vedova richiamava Il Leviatano di Hobbes, ma non credo che sia questa la fattispecie, non fosse altro perché, visto che egli invoca la liberalità, gli si potrebbe opporre il concetto delle due libertà di cui Isaiah Berlin ci ha parlato: le libertà negative e le libertà positive.
Ebbene, a parte il fatto che è strano che da parte della sinistra, sempre incline alla concezione delle libertà in positivo, cioè di quelle libertà che possono essere esercitate nel contesto di un'autorizzazione e di una norma che le disciplina e quindi le prevede e come tale le rende fruibili, oggi invece ci si innamora delle libertà negative, ovvero della sfera dei diritti indisponibili verso ciascuna autorità e certamente indisponibili dallo Stato, ovvero dall'intervento statale.
Bisognerebbe, quindi, mettersi d'accordo, se in questa nazione vogliamo fare una volta i liberali e una volta gli statalisti. Quando dobbiamo curare le patologie, abbiamo un sistema sanitario d'impronta squisitamente statalista. Quando dobbiamo giudicare fatti e circostanze, elevare giudizi morali sui comportamenti privati delle persone, farne addirittura oggetto di scandalo, elevare il peccato al reato e processare un Presidente del Consiglio - il quale nella sua sovrana libertà negativa di cittadino può vivere la vita come più gli pare - di converso, poi, diventiamo i titolari delle libertà negative e diciamo che nessuno può interferire nella volontà di un individuo, il quale dovrebbe pienamente disporre della propria libertà.
Dobbiamo però ricordare, nel dire questo, che non è il caso della vita. È, infatti, vero che quello di autodeterminazione è il principio che meglio garantisce e connota le società aperte, liberali e con istituzioni avanzate, ma è pur vero che non credo che si possa ritenere la vita come un bene disponibile, di cui l'uomo si possa privare, solo perché in una determinata fase della propria vita così gli è sembrato.
A parte il principio di precauzione, che è sempre opportuno utilizzare, credo che tanti di noi abbiano rideterminato, dopo anni, decisioni che sembravano immodificabili, presi dallo sconforto, dalla depressione e da una valutazione di una situazione, che poi si è rivelata non tragica né irrecuperabile. Quindi, già immaginare, come propone il collega Della Vedova, in assenza di un'esplicita dichiarazione, che la mancanza di espressione chiara di una dichiarazione anticipata di trattamento possa essere interpretata nel senso positivo significa introdurre surrettiziamente il concetto dell'eutanasia.
Questo è il momento di contrapposizione, perché credo che questa proposta di legge abbia previsto con criteri di buon senso alcuni elementi. Innanzitutto, ha previsto di accertare nelle forme dovute e di codificare quale sia la volontà del cittadino, rispetto alla dichiarazione anticipata di trattamento, nonché la perfetta esecuzione di questa volontà anche per il tramite Pag. 65di un fiduciario. È, inoltre, positivo che questa proposta di legge abbia chiaramente definito quali siano gli ambiti di intervento medico nei pazienti in stato vegetativo irreversibile e che non sia possibile nessun trattamento o accanimento terapeutico contro la volontà del paziente, ovviamente quando è in grado di esprimere tale volontà.
Abbiamo affidato, nella proposta di legge, la decisione non al medico curante ma ad un collegio medico composto da uno specialista nella patologia di cui è affetto il malato terminale o che si trovi in uno stato irreversibile della sua patologia, di un anestesista e di un altro medico - verosimilmente il medico curante o quello del luogo ove si trova il paziente - e quindi al fiduciario e a un collegio medico compete la valutazione dello stato delle cose.
Tutti quanti si affannano ad essere interpreti delle volontà altrui ma, quando tale interpretazione porta ad assentire l'interruzione delle cure, è considerata un fatto positivo di emancipazione e di progresso, quando invece la medesima interpretazione porta a dire che la soppressione dell'acqua e del cibo rappresenta una moderna condizione di barbarie sia umana che sanitaria è considerata un fatto negativo. L'acqua e il cibo non possono essere annoverate tra i trattamenti medici e sfido chiunque a dimostrare il contrario, perché il medicamento è qualcosa di estraneo alla fisiologia corporea mentre acqua e glucosio non credo possono considerarsi trattamenti medici. Nel caso di Eluana Englaro non abbiamo avuto un fine vita determinato dalla sospensione delle cure mediche bensì dalla disidratazione del soggetto malato, quindi si è trattato di una morte atroce, per fame, per sete. Che ciò sia stato richiesto dal padre non ci esime dal considerare la gravità dell'interruzione di questa condizione di vita né ci esime il fatto che qualcuno abbia interpretato ex post questa volontà da parte di Eluana Englaro. In conclusione, signor Presidente, ritengo che la proposta di legge della quale Di Virgilio è relatore per la maggioranza, sia non solo puntuale, perché credo rispetti, per quanto possibile, tutte le varie situazioni nelle quali ci si possa venire a trovare ma, soprattutto, perché è ispirata al buonsenso, al rispetto della persona sofferente e ovviamente al rispetto della sua volontà quando esiste per una canonica e prescritta dichiarazione anticipata di trattamento.
Per quanto riguarda il paradigma per cui sospendere le cure e assecondare la morte equivale a una situazione di liberalità mentre fare il contrario equivale a una condizione in cui si evoca addirittura il Leviatano, devo ricordare al collega Della Vedova che lo stesso teorizzatore della libertà negativa, Isaiah Berlin, affermava che: «Per poter parlare di libertà negativa dobbiamo avere già in mente una delimitazione chiara del soggetto morale. Non possiamo attribuire la libertà negativa a qualcosa che non consideriamo soggetto morale. Per esaltare la libertà negativa come concetto dotato di una sua personalità, dobbiamo avere risolto non solo il problema delle identificazione del soggetto morale ma anche la questione dell'area entro la quale ciascuno è libero di autodeterminarsi».
Non credo che in uno Stato, per quanto minimo, per quanto liberale ed emancipato e nel contesto di una società aperta nella quale i diritti del cittadino sono indisponibili ad ogni forma di potere, possa essere consentito che la vita, il bene più prezioso e costituzionalmente più garantito, possa essere riconosciuta tra le libertà negative né essere ricompresa nel principio di autodeterminazione del soggetto la facoltà di privarsi della propria vita.
Al di là di ogni arzigogolo, se noi consentiamo questo, noi varchiamo la soglia dell'eutanasia, sanciamo il diritto per gli esseri umani di poter porre fine alla propria vita. Non credo che questo sia auspicabile, non credo che questo possa essere garantito in uno Stato di diritto. D'altronde per paradosso, onorevoli colleghi, se ci accaloriamo nel dare attraverso il sistema sanitario non solo le cure per le patologie, e a partire dalla legge n. 833 del 1978 prevediamo tra i diritti dell'uomo Pag. 66quello ad un regime di vita tutelato attraverso la prevenzione della malattia, vuol dire che ci troviamo in una condizione che va oltre la ristretta interpretazione dell'articolo 32 della Costituzione, dove è prevista la cura gratuita per gli indigenti e l'obbligo dello Stato di provvedere alla cura delle patologie. Abbiamo in tal modo ampliato il concetto di cura con il concetto di prevenzione, in modo da garantire uno stile di vita sano agli individui.

PRESIDENTE. Deve concludere.

VINCENZO D'ANNA. Se siamo andati oltre il dettato costituzionale (e questo è ritenuto una conquista dello Stato sociale introdotta dalla legge n. 833 del 1978) non riesco a capire perché poi - concludo, signor Presidente - noi dovremmo di converso ritenere tra le libertà negative, cioè tra i diritti disponibili rientranti nell'autodeterminazione dei singoli soggetti, il diritto di privarsi della vita, il diritto alla buona morte.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, il Popolo della Libertà, che sbandiera continuamente di essere l'espressione dei liberali italiani, ci ha proposto, e porterà all'approvazione, una proposta di legge che - se approvata - eserciterà un atto di violenza inaudita alla mia libertà, alla mia essenza di uomo libero, un atto di violenza inaudita al mio spirito, al mio cervello, e a tutto ciò che è più intimo di me stesso.
Che io possa decidere quando sono consapevole e non lo possa fare avendolo dichiarato prima in una situazione di non consapevolezza, è una violenza che viene commessa ai danni miei e di ogni cittadino che in piena consapevolezza di uomo libero ha preso determinate decisioni che riguardano il suo futuro.
Non voglio riferirmi a quanto scritto da tanti filosofi sul tema della libertà dell'uomo. Voglio ricordare Platone che ne la Repubblica diceva che «è libero chi sceglie il proprio destino», e Aristotele che nell'Etica nicomachea diceva che «è libero chi sceglie con consapevolezza». Ce ne sono stati tanti altri, molto più vicini a noi nel tempo, che hanno ribadito sostanzialmente quest'ultimo concetto; voglio però ricordarne uno, che è uno dei padri della dottrina liberale, John Stuart Mill, che nel suo volume Saggio sulla libertà scriveva: «su se stesso, sul proprio corpo, sulla propria mente l'individuo è sovrano». Ecco Presidente, penso che questa legge nasca per motivi che nulla hanno a che vedere con la libertà garantita dalla Costituzione, e nasca semplicemente per uno scambio, uno scambio - che è evidente - di volontà di apparire disponibili ad una gerarchia ecclesiastica che chiede, forse, questo tipo di intervento.
Ciò è chiaro; basti ricordare le dichiarazioni del Ministro Sacconi ad un grande giornale italiano quando il cardinal Bagnasco ha fatto delle osservazioni sulla misura e la sobrietà di chi assume cariche pubbliche. Il Ministro in questione ha detto che tra un po' il Governo avrebbe realizzato degli interventi legislativi cari al cardinal Bagnasco, citando proprio questo tipo di interventi.
Penso che sia inaccettabile uno scambio della libertà dei cittadini italiani, di una libertà che non impone nulla ad altri, mentre qui una parte di questi cittadini, invece, vogliono imporre, ad un'altra parte di italiani, un comportamento attraverso addirittura una legge su aspetti che riguardano la coscienza individuale.
A proposito di questo scambio di voti tra Stato e Chiesa, guardavo, qualche giorno fa, una trasmissione storica che ripercorreva la vita di Alcide De Gasperi. Quando dopo la cosiddetta legge truffa ci furono proposte per riunire insieme la Democrazia Cristiana di allora con altri partiti molto più lontani, anche dal punto di vista del pensiero, e De Gasperi nicchiava, venne attaccato come uno...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Borghesi.

ANTONIO BORGHESI. ... Presidente, dato che non interverrà l'onorevole Cambursano, Pag. 67utilizzo il suo tempo per terminare il mio intervento: l'onorevole Cambursano aveva cinque minuti e, quindi, parlo ancora per un paio di minuti. Dicevo che Alcide De Gasperi fece avere alla segretaria del Papa gli interventi che erano stati effettuati dal suo Governo e chiese un colloquio al Papa Pio XII il quale glielo rifiutò. Disse allora De Gasperi che, come cattolico, accettava di subire questa umiliazione da parte del Papa, ma che, come Presidente del Consiglio, non poteva che esprimere il suo rammarico ed il suo stupore per il comportamento della Chiesa nei confronti dello Stato. Ma questi erano uomini, signor Presidente, uomini veri e non «omuncoli» come il Presidente del Consiglio, Berlusconi, che è pronto persino, per motivi di interesse diretto, a scambi di questo tipo.
Voglio chiudere dicendo che, in questo Paese, abbiamo approvato delle leggi che, certamente, riguardavano problemi di coscienza, come la legge sul divorzio e la legge sull'aborto, ma questa legge è la più violenta di tutte perché va a colpire ciò che c'è di più recondito nella coscienza delle persone. È un nuovo oscurantismo che, tra l'altro, aumenterà l'eutanasia clandestina e chi voterà questa legge in qualche modo sarà responsabile anche di atti di eutanasia clandestina che saranno innescati dalla legge stessa (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, non credo sia appropriato definire come «omuncolo» un membro di questa Camera ed il Presidente del Consiglio della Repubblica italiana.

ANTONIO BORGHESI. Mi scuso.

PRESIDENTE. La sua offesa, infatti, finisce con l'andare al popolo italiano che lo ha eletto, molto più che alla persona su cui uno può avere i giudizi che crede.

ANTONIO BORGHESI. Mi permetta, signor Presidente, ovviamente il problema non riguardava la statura del Presidente del Consiglio; comunque, vorrei precisare che mi riferivo al Presidente del Consiglio e non al Presidente della Repubblica. Lei ha detto Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Ovviamente, ove mi fossi sbagliato, chiedo scusa. È iscritta a parlare l'onorevole Pollastrini. Ne ha facoltà.

BARBARA POLLASTRINI. Signor Presidente, aggiungo la mia voce a quanti del mio gruppo, ma non solo, come abbiamo sentito anche poc'anzi, invocano un ripensamento su un testo incostituzionale e punitivo. Come sappiamo, il testamento biologico è materia densa e carica di implicazioni.
La complessità d'altronde si coglie al volo se osserviamo le differenze che attraversano tutti gli schieramenti e non può che essere così. I sentimenti toccano ognuno di noi innanzi a dilemmi che investono la sfera più intima quando riflettiamo sulla perdita di ogni autonomia, sull'impotenza di uno stato vegetativo prolungato che potrebbe ingabbiare noi e i nostri cari. Entrano in gioco convinzioni profonde, appartenenze di fede, i limiti della scienza e del sapere medico. Ma appunto per ciò, dobbiamo avere la consapevolezza che, al di là delle nostre opinioni legittime, per legiferare abbiamo il dovere di individuare una norma che, in ragione del suo carattere di universalità, non possa coartare la volontà e la coscienza di qualcuno comunque la pensi. Vedete quell'ipotetico frangente ci interroga sulla storia di una vita, la nostra vita. Ci interroga su un passaggio indicibile che potrebbe essere ceduto irrevocabilmente ad altri: certo, agli affetti più vicini o alle mani premurose di un medico, ma anche a tecniche invasive e lesive di quella che per alcuni è la propria identità. Ho ascoltato qui parole vere sull'amorevolezza e la presenza dedita delle famiglie che vanno aiutate e, io dico, vanno aiutate molto di più. Ma pensiamo per un istante anche a chi è solo, circondato unicamente dalla professionalità di medici, infermieri e strutture sanitarie. Una legge deve riguardare tutti anche coloro i quali, più disagiati, Pag. 68il destino riservi quelle corsie di ospedali dove - riprendo una bella espressione del cardinale Martini - l'affidamento è nelle mani del Padre, si intende ovviamente il padre con la «P» maiuscola. In quel momento è il medico che porge però le mani, ma è un diritto di ciascuno di noi - aggiunge Martini - potersi sentire innanzitutto nelle proprie mani. Dunque ascoltiamo scienziati, giuristi, associazioni, singoli cittadini che ci invitano a riflettere ancora, a non promulgare una legge viziata da norme irragionevoli, illiberali. Tutte realtà che giungono a invocare: meglio nessuna legge che una cattiva legge. Il testo in esame è contraddittorio con il principio del consenso informato, con il codice deontologico della professione medica e dunque con il senso stesso di un'alleanza medico-paziente: una legge saggia deve avere invece il pregio della semplicità, ispirarsi a un diritto mite, essere vincolante, non permettere di aggirare la scelta, porre paletti verso l'eutanasia da una parte e dall'altra parte da ciò che viene giudicato un inutile accanimento. Non deve discriminare - aggiungo - tra chi possiede gli strumenti per dominare la norma e chi, al contrario, rischia dalla norma di essere sopraffatto al di là della sua volontà. Affermo questo con rispetto verso i punti di vista di tutti. Sono convinta, infatti, che cogliere la quota di verità presente nelle ragioni degli altri sia una garanzia di crescita per ognuno. Ma con la stessa sincerità devo dire che questa attenzione non ha trovato finora la necessaria reciprocità. Vede onorevole Bartolini, lei parla della pagina migliore del Governo quando in quelle giornate drammatiche intese intervenire con un decreto. Io ricordo quelle giornate drammatiche come una cittadina prima ancora che come una parlamentare che si è sentita ferita quando il Presidente del Consiglio ha detto che quella donna poteva avere figli. Allora lasciamo stare perché l'amore per la vita, per l'unicità della persona, almeno quella consideriamolo per ciò che è: un principio, quello sì indisponibile alla polemica di parte.
Care colleghe, cari colleghi, guardate è scontato, quanto meno per quanto riguarda il mio gruppo, il rispetto per la libertà di coscienza di ogni singolo parlamentare.
Alla fine però, come gruppo del Partito Democratico, dopo esserci confrontati e volerlo fare ancora tra noi e con le altre legislazioni, qui in quest'aula, dopo aver soppesato le opinioni della comunità scientifica, dopo avere ascoltato e riascoltato testimonianze, sappiamo di dover scegliere e di doverlo fare limpidamente. Non è vero che il Parlamento, questo Parlamento sia privo di una guida, di una bussola: quella bussola è la nostra Costituzione, la mappa che ci è data dagli articoli 2, 3, 13 e 32 della Carta, a cui fra l'altro si sono riferite Corte costituzionale e Cassazione nei drammatici casi Welby ed Englaro. Da questo punto di vista l'equilibrio tra i principi, in questo caso il diritto alla salute, anche come bene comune, e il diritto all'autodeterminazione che ispira il consenso informato, è persino più semplice da ravvisare che in altri contesti, perché entrambi si ispirano a salvaguardare la persona nella cura e nella scelta rispetto alla cura e nella sua responsabilità sull'uso di tecniche e imposizioni.
Proprio nell'articolo 32 il tema della costituzionalità della persona si manifesta con particolare intensità: dopo aver considerato la salute come diritto fondamentale dell'individuo si prevede che i trattamenti obbligatori possano essere previsti solo dalla legge e tuttavia in nessun caso - e sottolineo: in nessun caso - possano violare il limite imposto dal rispetto della persona umana. È questo uno dei passaggi più forti della nostra Costituzione, come una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus, un principio entrato nella Carta grazie ad un emendamento voluto da Aldo Moro, uno statista non certo sprovveduto di cultura o di fede.
Ma è esattamente questo principio ad essere negato in radice dal testo che stiamo discutendo, perché questo testo impone che io, cittadina cosciente, non possa rilasciare una regolare dichiarazione vincolante Pag. 69e reiterata nel tempo su come chiedo di essere trattata nel caso in cui mi trovassi in condizioni prolungate di incapacità di intendere e di volere.
Noi, insomma, siamo chiamati a valutare una proposta di legge che impone un'obbligatorietà anche a fronte di un esplicito rifiuto precedentemente espresso. Un testo dunque palesemente incostituzionale, che annulla quella differenza mirabilmente sintetizzata da un filosofo cattolico come il professor Giovanni Reale tra l'espressione «fammi morire», porta di accesso ad una qualche forma di eutanasia, e la formula «lasciami morire, nella mia dignità di donna o di uomo, credente o meno, lasciami se lo ritengo avvalermi di ogni tecnica fino all'ultimo minuto e lo Stato e l'assistenza intervengano con ogni ausilio necessario; oppure, se lo dichiaro anticipatamente e in coscienza, lasciami andare senza ciò che considero un accanimento, perché così interpreto la mia dignità, così interpreto il mio credo, così interpreto la mia convinzione». Entrambe le scelte meritano rispetto e vanno tutelate. Questa tra l'altro è l'attitudine più corretta anche verso i medici, con i loro legittimi dilemmi, verso le persone a cui voglio bene, che si troveranno o per cui noi ci troveremo a dover scegliere, oltre che verso noi stessi.
Sto concludendo, conosco le obiezioni: quella persona ha rilasciato il testamento biologico senza sapere cosa avrebbe davvero provato trovandosi in quella condizione estrema. O ancora: se l'avanzare della medicina consentisse ciò che oggi non è prevedibile? Ma vedete, non c'è obiezione superiore alla responsabilità della volontà della persona nella scelta di cura, sancita, come ripeto, nella nostra Carta, ispirata a principi solidali e laici. Ecco perché assume una valenza primaria il ruolo del fiduciario, il quale, avendo ben nota la mia volontà, saprà misurare eventuali progressi scientifici con la mia concezione della dignità.
Care colleghe e cari colleghi, pensate davvero che su una materia come questa non si debba ricercare il più largo consenso, che l'opinione pubblica non reagisca quando vede usare temi così sensibili per operazione di carattere politico o per l'ansia di riguadagnare qualche benedizione?
Anch'io mi sento di chiedervi con il cuore, e spero non vanamente né ingenuamente, di riflettere e di fermarvi. In un momento politico già così aspro, il Parlamento non aggiunga ferite alla credibilità delle istituzioni. Lo dico a tutti, anche alla mia parte; lo dico ad una maggioranza da cui sono giunti toni inaccettabili, ma che ha al suo interno personalità in grado di correggere la rotta. Pensiamoci, cerchiamo ancora, impediamo un danno, un ingiustificato atto di superbia nei confronti delle persone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, cari colleghi, questo è un provvedimento difficile, perché è la materia ad essere difficile. La morte, infatti, è la parte più importante della vita, è quella più difficile da vivere. È insieme un evento personale, perché ogni morte appartiene ad uno e ad un solo individuo, ed è un evento sociale perché, se la vita è relazione con gli altri, lo è non di meno la sua fine. È evento personalissimo, al punto che chi ne è esterno può solo accostarvisi in punta di piedi ed in silenzio per non disturbare un incontro che, in sé, esclude interferenze. La legge non può intervenire perché non può comprendere, sia nel senso di capire che in quello di contenere, la grandezza, l'unicità e il mistero di quell'incontro. Per sua natura, la legge oggettivizza, semplifica, cataloga, respinge il mistero e l'unicità.
Per questa ragione, una legge sul fine vita, a mio avviso, è un non senso. La fine della vita arriva a modo suo, è un soffio, così com'era stato un soffio l'inizio della vita. Quel soffio non va né anticipato né allontanato, basterebbe ribadire ciò che già dice l'ordinamento: «no» all'eutanasia e «no» all'accanimento terapeutico. Ciò che precede è vita, malattia, cura, terapia Pag. 70sociale o sanitaria e lotta dura con la morte, proprio perché la morte non abbia l'ultima parola. Ma, poi, quando si è vinta, la si può e la si deve lasciare venire.
Per i cristiani, è l'amore che vince la morte; per tutti, è la dignità, cioè il rispetto di sé e la responsabilità personale, in primo luogo. Che c'entra la legge in tutto ciò? Ecco perché io sono da sempre semplicemente contrario a qualsiasi legge e, fino a pochissimi anni fa, mi sono compiaciuto di condividere tale convinzione con la gran parte della filosofia e della teologia, e, sia detto, con la posizione ufficiale della Chiesa, e in Italia dello stesso Comitato scienza e vita. Dunque, questa posizione, in sé, in linea di principio, è coerente con il pensiero cristiano, per chi è interessato a questo dato. E io lo sono.
Non fosse altro, perché credo nel valore sacro della vita e sono contento che, in un tempo di dilagante relativismo, anche dei cardini fondanti la civiltà e l'umanesimo contemporaneo come è questo, vi sia chi, come la Chiesa, proclama, pur se a volte incompresa e sbeffeggiata, questo semplice valore che, fino a poco tempo fa, era condiviso anche da gran parte della cultura laica. Mi viene in mente quanto scritto, ad esempio, da Hans Jonas. La verità semplice: anche nel tempo secolarizzato, la vita resta sacra, diceva Jonas.
È una posizione non di conservazione o di estraneità all'attuale spirito del tempo, ma di anticonformismo e alterità rispetto ad un nuovo senso comune costruito sul vuoto, sul nulla o sul poco. Tuttavia, ora ci viene risposto ed opposto da taluno, insistentemente, anche dal sottosegretario Roccella, che le cose sarebbero cambiate, perché è intervenuta la sentenza sul caso Englaro; e se non si vuole essere ingenui - si aggiunge - occorre predisporre una legge per evitare il ripetersi di casi simili.
A me sembra questo un argomento fragile, che rappresenta - come ha osservato recentemente un intellettuale laico, ma non ostile alla Chiesa - se no non alibi, sicuramente un'ossessione. Quella sentenza (si tratta di una sola sentenza), per quanto sbagliata, laddove tra l'altro ricostruisce la volontà attraverso gli stili di vita di una persona (non è per un caso che in tutti i disegni di legge presentati si prevede che la volontà sia esplicitata e formalizzata da chi sottoscrive le DAT), è stata frutto di un clima, della politicizzazione di una emozione lungamente mediatizzata e anche strumentalizzata, che non potrà ripetersi, e lo sapete anche voi. Anche perché quella sentenza contraddice numerose altre sentenze, non potrà fare giurisprudenza. Ma se proprio fosse questa la preoccupazione, allora si abbia l'onestà di riconoscere che questo testo di legge produrrà una proliferazione di contenziosi da indurre una giuridicizzazione della morte senza precedenti nel nostro Paese.
Voi che volete tener lontano i giudici, li avrete al capezzale di ogni moriente, con questa legge. Se invece la preoccupazione non detta, o non detta da tutti, è quella di evitare una deriva eutanasica, allora si dovrà considerare che la sottilissima barriera, rappresentata dal divieto di inserire nelle DAT i processi nutrizionali vitali (perché poi solo l'acqua, il cibo e non l'ossigeno?), prima o poi non resisterà ai venti culturali e politici delle alterne maggioranze parlamentari. Meglio, decisamente meglio, scegliere il silenzio della legge a favore del buonsenso, della responsabilità e dell'intelligenza, che hanno sempre funzionato nell'alleanza terapeutica tra il paziente, la sua famiglia o il fiduciario (quando non vi è la famiglia) e il medico, a cui l'esperienza e gli affetti hanno tradizionalmente affidato la custodia, la rappresentanza e la rappresentazione responsabile della volontà di chi, incamminato nel suo personalissimo ultimo chilometro, avesse nel frattempo perso la facoltà di esprimere, esplicitare la sua volontà.
In quell'alleanza terapeutica non sarà un codicillo che vieta o autorizza una certa procedura, ma la coscienza di quel familiare o di quel fiduciario e di quel medico che, se credente, registrerà - come ha recentemente detto il cardinal Bagnasco, citando Newman - l'eco di Dio; e se non è credente sarà comunque la voce dell'amore che li ha legati alla persona e che Pag. 71sta penando l'incontro con la propria morte. Quel momento sarà carico, una volta liberato il moriente da macchine divenute inefficaci, di una potenzialità magisteriale, che nessun documento o parola potrà anche solo avvicinare. La morte diventa così cattedra per chi l'osserva e l'ascolta dall'esterno e da vicino. Ma come si possono scrivere questi sentimenti e questi valori, in una norma? Ecco perché vi diciamo di soprassedere. Fermiamoci! Meglio nessuna legge che una legge, dico io, altri diranno: meglio nessuna legge, che una legge cattiva.
Per fortuna mi sembrano superati i toni di due anni fa, quando sembrava che si fronteggiassero i sostenitori della vita da una parte e gli assassini dall'altra. Sono state usate parole così pesanti. La democrazia, cari colleghi, è luogo ospitale per le dispute filosofiche e teologiche, ma non è luogo adatto a risolverle: su Dio non si vota! Oggi, se non altro, sembra che si disputi fra chi sostiene la necessità di una legge e chi no. Se ne può discutere civilmente, escludendo, in ogni caso, una legge qualsiasi, perché sino ad adesso si è detto questo: occorre la legge! «La legge s'ha da fare», è stato intitolato un articolo. Sulla sofferenza e sulla dignità delle persone non si interviene con una legge purchessia. Si ascoltino, dunque, ancora tutte le opinioni e i contributi intelligenti e generosi che anche oggi e anche stamattina abbiamo letto sui giornali, ma poi, se la legislazione non consente passi ulteriori per migliorare il testo, mi auguro si abbia, da parte di tutti, l'intelligenza e la disponibilità semplicemente a fermarsi (Applausi dei deputati del gruppo del Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Saltamartini. Ne ha facoltà.

BARBARA SALTAMARTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non accadeva da tempo che una legge arrivasse a provocare ed interpellare tante e tante coscienze diversissime tra di loro, a volte unite da uno stesso amore alla vita, sia pure declinato in modi apparentemente contrastanti, ma altre volte inguaribilmente separati da una concezione della libertà che segna un crinale drammaticamente conflittuale ed inconciliabile. Per questo, sono convinta che la discussione che l'Assemblea sta svolgendo sia importante e possa anche contribuire a vincere alcune perplessità o le molte perplessità che molti di noi possono avere.
Intanto, credo che vada definitivamente sgombrato il campo - secondo me - da alcuni errori di comunicazione. In questa proposta di legge, si parla di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento. Sbaglia chi insiste sul paragone con le volontà testamentarie. Con le DAT, infatti, non si dispone di un bene materiale in previsione di una morte, ma si stabilisce se rifiutare o meno una terapia quando si è ancora vivi anche se non coscienti.
Questo proposta di legge afferma un principio indiscutibile sancito dalla nostra Costituzione, che è quello della libertà di cura. La sentenza sul caso Englaro ha creato una situazione a mio giudizio paradossale: in nome dell'autodeterminazione, i magistrati hanno indebolito proprio il principio liberale del consenso informato. Eluana, infatti, il suo consenso informato non l'ha mai dato. I giudici hanno ritenuto di ricostruire le sue volontà di morire per assenza di cibo e di acqua in base allo stile di vita, ricostruendole sulla base di esso. Ma un consenso informato, per essere tale, deve rispondere a due condizioni: ci deve essere il consenso (dunque una firma) e l'informazione (dunque un colloquio con il medico).
Se è certamente vero - come più volte è stato detto in questa discussione - che il nostro ordinamento già prevede i reati di suicidio assistito e di omicidio del consenziente, è altrettanto vero che i giudici non li hanno applicati al caso di eutanasia passiva che ha visto, purtroppo, Eluana Englaro protagonista. Quindi, con le norme già in vigore non siamo riusciti ad impedire che Eluana fosse condotta alla morte per disidratazione e denutrizione.
Con quella sentenza si è creato un precedente, a mio giudizio molto pericoloso, Pag. 72secondo il quale non serve il consenso informato, ma basta avere espresso la propria volontà in qualunque forma o desumerla - ancor peggio - ex post dagli stili di vita della persona. Ecco perché credo sia importante porre un argine a tutto ciò. Infatti, se non si regola la materia, potrebbero esserci decine di nuovi casi giudiziari e si arriverà ad una normativa costruita per sentenza, come accaduto in tanti altri Paesi con le leggi sull'eutanasia.
Molti anche degli interventi che ci sono stati tra lunedì ed oggi hanno avanzato il sospetto che con questo progetto di legge si voglia soltanto compiacere la Chiesa. I fatti indicano, invece, che è avvenuto esattamente il contrario: è stato il Parlamento a considerare la sentenza Englaro come un'indebita invasione di campo da parte della magistratura (la sua parte più creativa), sollevando il conflitto di competenze dinanzi alla Corte costituzionale, quando ancora il mondo cattolico era sostanzialmente contrario ad una legge in materia di fine vita. Su questo sospetto si è voluto in modo artificiale creare uno sconto tra laici e cattolici.
In alcuni casi, si è anche ceduto alla tentazione di chiamare in causa parti del catechismo, cercando di legittimare singole posizioni personali, rispettabili ovviamente come tali, ma che non mi sento di condividere anche perché frutto spesso di letture parziali. Chi ha letto tutto il catechismo sa che viene specificato che è legittimo il rifiuto all'accanimento terapeutico. Ciò non significa avallare il testamento biologico.
Tant'è vero che, in riferimento all'intervento legislativo, la Chiesa ha sempre parlato di regolamentazione del fine vita e non di testamento biologico. È anche bello che ci sia chi desideri essere in sintonia con la posizione dei cattolici, ma per farlo si dovrebbe dire esplicitamente che idratazione e alimentazione non sono terapie, ma sostegno vitale, affermazioni che, al tempo del caso di Eluana Englaro, non ho avuto modo di sentire dichiarare. Chi ha fatto anche alcune dichiarazioni farebbe bene a leggere del catechismo anche i due articoli che seguono quello più volte citato, affinché si possa rendere pienamente comprensibile quale sia l'insegnamento della Chiesa cattolica al riguardo, senza strumentali interpretazioni.
Ciò detto, sono fortemente convinta che il terreno di confronto non debba essere quello dello scontro tra laici e cattolici, ma credo che occorra riflettere e confrontarsi sul testo in maniera laica, come siamo chiamati a fare tutti noi in Parlamento.
Anch'io, come altri, ho delle perplessità: i punti, in particolare, su cui continuo ad avere delle perplessità sono due. Il primo concerne l'estensione dei soggetti destinatari delle dichiarazioni anticipate di trattamento, non più - come si prevedeva nel testo del Senato - i soggetti in stato vegetativo persistente, bensì i soggetti in condizione di incapacità permanente. Nell'accezione di incapacità permanente si collocano gli ammalati di Alzheimer, gli affetti da demenza senile, ma in stato di incapacità permanente si trova anche chi versa nei primi stadi del coma. Ma io mi chiedo: quante persone escono dallo stato di coma e ritrovano una condizione di vita normale?
Il secondo punto concerne la sospensione di acqua e di cibo nel caso in cui risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari. Si tratta di una precisazione - a mio avviso - che, laddove scritta nero su bianco e non lasciata alla valutazione del medico secondo scienza e coscienza, potrebbe indurre qualcuno, magari proprio quei magistrati creativi, a supporre che se il legislatore l'ha scritto forse qualcosa vorrà pure significare e quindi magari potrà ancora intervenire.
Quindi - e concludo anche non utilizzando tutti i minuti a mia disposizione perché credo di aver detto già molto - mi auguro che il confronto continui ad essere aperto e che, proprio per mezzo di questo confronto, l'Assemblea possa contribuire anche a migliorare il nostro testo.
Del resto, credo che ci sia una ragione per la quale valga la pena che un Parlamento attento alla tutela del diritto alla vita vari delle norme sulle dichiarazioni Pag. 73anticipate di trattamento che è quella di riaffermare che l'esistenza di ogni uomo, di ogni donna e di ogni persona è intangibile anche quando volessero permetterne la sua compromissione i giudici o peggio - come ho avuto modo di sentire i quest'Aula - i sondaggi (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, da friulano, partecipo a questa discussione con una particolare emozione che deriva dalla vicinanza geografica ed etnica che mi lega a Beppino Englaro - carnico come mio nonno - e alla vicenda di Eluana, che si è consumata nelle sue ultime battute vitali proprio a Udine, città nella quale ho studiato e nella quale ho tante relazioni.
Oggi, qui, in quest'Aula siedono per assistere ai nostri lavori anche alcuni protagonisti di questa drammatica vicenda.
Voglio ricordarli, il dottor Amato De Monte e la sua signora Cinzia Gori, che hanno avuto la gravosa responsabilità di accettare l'appello di Beppino Englaro a dare esecuzione alle volontà di Eluana e di liberarla da quella sorta di accanimento terapeutico che per diciassette lunghi anni la mantenne in stato vegetativo. Insieme a loro, oggi qui, in questo Parlamento, c'è stato anche Beppino Englaro, con il quale abbiamo condiviso valutazioni su quello che sta accadendo e le critiche di approccio a questo tema che la proposta di legge che stiamo discutendo sta dando. Dicevo, un senso di frustrazione pervade i liberi cittadini italiani che hanno, pur nella loro religiosità e nel senso cristiano che ci accomuna, già dato testimonianza in passato di interpretare in maniera laica la tematica dei diritti civili. Lo abbiamo visto fare in occasione del referendum sul divorzio e poi nuovamente quando fu posta all'attenzione la questione dell'aborto, e anche oggi penso che ci sia un grande distacco da parte della nostra comunità nazionale rispetto a quanto sta accadendo in questo momento in Aula e all'esempio che diamo delle nostre istituzioni.
Quella che volete dare è l'immagine di uno Stato etico, che nel nome del valore della vita come indisponibile costringe persone che non sono più in grado di manifestare liberamente il loro pensiero - perché colte da infermità ed incapacità di intendere e di volere - a vedere frustrare il loro diritto alla libera scelta, quel diritto sancito dall'articolo 32 della Costituzione che innerva tutto il nostro Stato di diritto e che è basilare anche nelle fonti normative internazionali. Quel diritto alla libera scelta che è presupposto dal consenso informato e che è contemperato anche dalla libertà negativa di rifiutare delle cure alle quali non si riconosce o non si vuole attribuire una valenza corrispondente alla dignità umana e al rispetto della percezione di sé stessi, che ogni singolo individuo è giusto che abbia, a prescindere dalla volontà politica delle gerarchie cattoliche piuttosto che dei partiti che vogliono decidere anche per la vita degli altri.
In quella Carnia, che è stata anche nella storia recente testimone di una tenacia, di una lealtà, di una voglia di affermazione dei diritti democratici - cito l'esempio della Repubblica libera della Carnia, che nel 1944 fu il primo esempio nel quale le donne ebbero diritto di voto, in quelle intemperie post-belliche che videro poi soffocare nel sangue anche quell'esperienza così innovativa - si trovano quelle carniche che nella guerra del 1915-1918 imbracciarono la gerla come portatrici di libertà e di voglia di democrazia nel momento in cui piegarono le loro schiene sui sentieri di montagna per garantire a noi oggi un libertà e una capacità di esplicitare i nostri diritti che anche esse hanno contribuito a garantirci.
Perché oggi voi vi approcciate a questo tema così essenziale rispetto ai valori costituzionali della libertà della persona e dei suoi diritti personalissimi in questo modo così fazioso? C'è il sospetto che lo facciate in un'ottica strumentale, quasi a voler distogliere l'opinione pubblica dalla dicotomia, dal grottesco in cui le istituzioni sono cadute a causa dei comportamenti del Premier. Pag. 74
Quasi a compiacere quelle gerarchie cattoliche che qualche mese fa avevano manifestato tutto il loro disagio e il loro imbarazzo a fronte delle gravi imputazioni da cui il Premier si deve difendere e a cui dovrebbe dare giustificazione immediata, prima ancora che nelle aule giudiziarie, davanti al Paese e ai suoi elettori.
Non avete voluto fare leggi ragionate in una chiave dialettica, avete voluto imporre decreti-legge sull'onda dell'emozione della vicenda di Eluana ed oggi insistete ancora sulla contraddizione in termini. Se è vero che c'è un diritto alla libera scelta delle cure, che l'articolo 32 della Costituzione ci riconosce, non potete poi negare validità alle dichiarazioni anticipate di trattamento solo quando una persona non sia più in grado di esplicitare liberamente il proprio pensiero.

PRESIDENTE. Onorevole Monai, la prego di concludere.

CARLO MONAI. Il fatto che poi cassiate la possibilità che le dichiarazioni anticipate di trattamento si riferiscano anche alla nutrizione e all'idratazione artificiale è un'ulteriore contraddizione tra il non prevedere nulla sulla respirazione artificiale, che dovrebbe essere un prius rispetto al pane e all'acqua, che in maniera molto forzata avete posto come parallelismo rispetto alla vicenda, e il principio secondo cui, se il libero cittadino può decidere di curarsi, può anche decidere di non farlo. Il fatto che queste DAT non abbiano più valore vincolante ma solo orientativo per il medico è un'ulteriore lesione dei diritti costituzionali (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Servodio. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA SERVODIO. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Roccella, innanzitutto vorrei esprimere un riconoscimento per il lavoro svolto dalla Commissione. C'è stato un grande confronto, ma il risultato, al di là delle intenzioni, a mio avviso, non ha contribuito ad abbassare i toni, anzi le polemiche si sono ampliate e - devo dire con sincerità - anche con l'esposizione di alcune presunte verità su una questione, il fine vita, che, come diceva prima il collega Castagnetti, è una questione difficile. Infatti, nutro molti dubbi, molte perplessità e preoccupazioni soprattutto in merito all'accentuazione su una questione così delicata e complessa che tutti rappresentano, dai medici alle famiglie, ai teologi, alla società intera, come di difficile soluzione.
Però, su tale questione mi sto preoccupando, sottosegretario Roccella, che stiano maturando spinte ideologiche, spinte di integralismi di segno diverso. Io sono cattolica e credo che dobbiamo ritrovare un terreno squisitamente laico che unisca tutti nel rispetto dei comuni principi costituzionali. A noi legislatori in questo momento, al di là delle nostre convinzioni culturali e religiose, tocca confermare un chiaro «no» all'accanimento terapeutico e all'eutanasia. Dunque, guardiamo il testo.
Purtroppo, il testo al nostro esame va oltre e si avventura, perché è un'avventura normare la fase finale della vita, e sceglie una strada che è fatta di procedure, di tempi e di modalità, che rispetto a questo tema sembrano avere un profilo di artifizi burocratici. È una strada inopportuna e pericolosa, perché non scioglie il nodo del mettere insieme i due grandi valori sui quali credo che questa Aula verifichi la sua unità: il valore della libertà della persona con quello del valore della vita. La proposta di legge è un'impresa che rischia di essere invasiva e inapplicabile.
Molti colleghi hanno nel dettaglio dimostrato questa inapplicabilità della proposta di legge. Legiferiamo su un problema segnato da molte zone grigie. Non diciamo che sia una questione chiara: vi sono molte zone grigie, anche perché, signor Presidente, la casistica è imprevedibile, varia.
Se spingiamo per normare questa questione, offendiamo un po' lo spirito di una Costituzione laica, che non assegna allo Stato l'imposizione di regole in modo astratto e ideologico. Credo che dobbiamo riprendere Pag. 75la consapevolezza che non si può normare nei particolari e non si possono prevedere tutte le situazioni. Come si fa a sostenere che il consenso sarà informato?
La dichiarazione è comunque resa in modo astratto, in anticipo rispetto ad elementi e fatti imprevedibili, e pertanto non riconoscibili prima. Il buonsenso, come hanno detto alcuni colleghi, dovrebbe prevalere e invitare tutti noi a sospendere l'iter di questo provvedimento e a riflettere. Ho letto con molta attenzione un passaggio dell'intervento del collega Bressa, che citava Moro: la politica deve essere conscia del proprio limite. Credo che questa riflessione di Aldo Moro sia proprio calzante. Con questa riflessione abbiamo una bussola per affrontare un tema così personale e intimo quale il fine vita.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Servodio.

GIUSEPPINA SERVODIO. Vorrei dire a tanti colleghi che si richiamano alla fede cristiana che Moro era un cattolico e, da cattolico, ha affrontato temi sensibili. Ha sempre detto che è sbagliato far coincidere la religione con la tutela giuridica. Mi auguro che questo dibattito, che il Partito Democratico ha chiesto di prolungare anche nel tempo, possa portare il Governo e la maggioranza, nella quale autorevoli personaggi e personalità in questi giorni hanno alzato una voce libera, a ripensare e fermare questa nostra riflessione, per offrire al Paese una risposta che sia adeguata ai sentimenti e all'ansia di un popolo che su queste vicende è stato sempre molto saggio. La consuetudine ci può aiutare a risolvere questa questione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fucci. Ne ha facoltà.

BENEDETTO FRANCESCO FUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in primo luogo vorrei esprimere la mia soddisfazione per il fatto stesso che, dopo un lungo e complesso iter in sede referente nella Commissione affari sociali, il presente provvedimento sia giunto in Aula. Mi sia consentito anche di ringraziare il relatore per la maggioranza, onorevole Di Virgilio, per il proficuo ed encomiabile lavoro svolto.
Tutti noi sappiamo bene la rilevanza etica e sociale che la materia oggetto del nostro esame, ovvero il fine vita, ha assunto nel Paese, soprattutto dopo la drammatica vicenda di Eluana Englaro; vicenda che, fermo restando il rispetto sul piano umano per il dolore che ha travagliato i genitori, non ho esitato a definire come il primo caso di eutanasia autorizzata dallo Stato attraverso la nota sentenza della Cassazione sull'interruzione dell'alimentazione e dell'idratazione. Sono certo che una certa retorica mi considererà cinico nei confronti dei genitori di Eluana Englaro, e di ciò mi dispiace, ma non saprei come altro definire il far spegnere per fame e per sete una vita umana.
Da allora, e ciò si è nuovamente accentuato nelle ultime settimane, alla vigilia della conclusione dell'esame in sede referente del provvedimento, abbiamo assistito al grande dibattito apertosi in ogni settore della società intorno alla ricerca di una risposta plausibile ad una domanda che ci assilla e che la drammatica vicenda di Eluana Englaro ha reso ancor più assillante: qual è il confine che separa l'eutanasia dal rispetto del diritto di un uomo o di una donna a non subire, contro la sua volontà, forme di accanimento terapeutico? È difficile rispondere. Per questo ho condiviso l'onorevole Capitanio Santolini, quando lunedì ha parlato di atteggiamento in punta di piedi. È difficile, dicevo, rispondere a questa domanda, a mio parere anche a causa di quanti hanno irresponsabilmente alzato i toni, arrivando a sostenere tesi utili solo ad esacerbare gli animi.
Penso al professore Stefano Rodotà che sul quotidiano la Repubblica del 21 febbraio scorso affermava che il provvedimento Pag. 76in esame significherebbe la riconsegna della persona e del suo corpo al potere politico e al potere medico.
Passi che la Repubblica non perda occasione per attaccare il centrodestra e che, quindi, anche un tema eticamente sensibile sia utile alla bisogna, è deplorevole, ma non sorprendente. Davvero inqualificabile è, però, che si parli di un presunto potere medico che metterebbe le mani sulla vita delle persone. Il medico ha come stella polare il giuramento di Ippocrate e come unico fine quello di aiutare chi sta male a guarire o, se ciò è impossibile, a garantirgli, con umanità e senza imporre forme di accanimento terapeutico, una qualità della vita il migliore possibile.
Tutti noi abbiamo il dovere di non farci condizionare da posizioni così strumentali e meschine. Pur con umiltà e con la consapevolezza di doversi muovere nell'ambito dei nostri limiti umani, dobbiamo pensare ognuno con la propria testa ed essere consapevoli che la difficoltà della domanda di cui sopra sul confine tra eutanasia e non accanimento terapeutico non può essere un alibi perché il legislatore non assolva al proprio compito di dettare regole chiare e di riempire quel pericoloso vuoto normativo nel cui ambito si è sviluppato il drammatico epilogo della vicenda Englaro.
In quest'ottica, signor Presidente, a mio parere, una certezza c'è: idratazione e alimentazione, pur se somministrate per via artificiale a persone, purtroppo, non più in grado di provvedere a se stesse, non possono e non potranno mai essere considerate come forme di accanimento terapeutico. Esse sono i più naturali dei sostegni vitali. Questo deve, a mio parere, rappresentare già un punto fermo nella nostra discussione. In effetti, l'articolo 3 del testo varato dalla Commissione si muove proprio in questa direzione.
Vi è poi un altro punto fermo che mi sembra che questa proposta di legge sappia focalizzare in modo attento e puntuale: quello di cui all'articolo 7, riguardante il ruolo del medico. Il provvedimento afferma che le indicazioni contenute nella DAT sono prese in considerazione dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell'inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo principi di precauzione, proporzionalità e prudenza. È importante, e non solo formale, che una legge sul fine vita affermi, pur nel pieno rispetto del diritto al non accanimento terapeutico, che è tutelato in modo sacrosanto dall'articolo 32 della Costituzione, il fatto che compito della medicina sia quello di fare il possibile per salvare vite umane.
In terzo luogo, tra gli elementi qualificanti del provvedimento in esame, sottolineo quello relativo al ruolo del fiduciario. La vicenda Englaro mi ha colpito in modo profondo perché in quella tragica vicenda il fiduciario, nella persona del padre, si è basato su un consenso che si presume esistente in base allo stile di vita tenuto da una persona, ma senza che vi fosse qualche documento inoppugnabile che giustificasse la volontà espressa da Eluana. Non posso non chiedermi come sia stato possibile, per decidere sulla vita e sulla morte di un essere umano, basarsi su una volontà del tutto presunta. Per questo apprezzo il contenuto dell'articolo 6 del testo al nostro esame che definisce in modo chiaro il ruolo e i compiti del fiduciario.
Personalmente, come spero sia emerso con chiarezza dalla breve analisi del testo appena conclusa, condivido il contenuto della proposta al nostro esame perché in essa ritrovo proprio quelli che sono i miei valori non negoziabili sul piano etico e della professione medica: il rispetto della volontà individuale, che però non deve mai sovrastare il principio della tutela dell'inviolabilità della vita che è superiore a qualunque altro; l'importanza della collaborazione tra il medico ed il fiduciario nell'ambito dell'alleanza terapeutica; la piena garanzia che la professionalità dei medici sia salvaguardata e che essi non siano strumentalizzati come semplici esecutori della volontà loro imposta.
Fatte queste pur brevi considerazioni sul testo che ci accingiamo ad esaminare, vorrei aggiungere qualche ulteriore riflessione. Pag. 77Lo faccio, anzitutto, per augurarmi davvero che, così come accaduto in Commissione, i lavori d'Aula su questo provvedimento si svolgano in modo costruttivo.
E per questo, al tempo stesso, auspico vivamente che, quando entreremo nel merito del testo, esaminando i singoli articoli e le proposte emendative presentate, non vi siano polemiche strumentali sul genere di quelle ascoltate in quest'Aula lunedì scorso, quando è stato addirittura detto che il provvedimento in esame sarebbe simbolo di un misterioso delirio di onnipotenza da parte della maggioranza e che esso sarebbe il cavallo di Troia per scardinare il diritto di tutti i cittadini a non subire l'accanimento terapeutico di cui all'articolo 32 della Costituzione.
Ritengo profondamente ingeneroso e irresponsabile accusare il provvedimento al nostro esame di estremismo o di violazione dei principi costituzionali. Sul primo piano, infatti, ci troviamo di fronte a un'iniziativa di legge che, a mio modesto parere, tutto è tranne che estremista. Mi chiedo, infatti, cosa ci sia di estremista nel cercare semplicemente una soluzione che sia di puro buon senso e umanità e che sia in grado, al tempo stesso, di porre rimedio a quello che oggi è oggettivamente un vuoto legislativo. Quanto alla questione dell'incostituzionalità, davvero non capisco, sia come legislatore che come medico, a cosa ci si possa riferire.
Infatti il testo statuisce come «in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura». E inoltre, sul contenuto della dichiarazione anticipata di trattamento, il testo al nostro esame prevede che in essa «il dichiarante esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un'eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere». Si afferma, infine, che «le indicazioni sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell'inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo i principi di precauzione, proporzionalità e prudenza».
In che modo - mi chiedo e vi chiedo - tutto ciò andrebbe a ledere il principio del non accanimento terapeutico di cui all'articolo 32 della Costituzione?

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Fucci.

BENEDETTO FRANCESCO FUCCI. Auspico infine, signor Presidente, che vi sia un confronto costruttivo, che ci consenta di arrivare al testo più equilibrato possibile, soprattutto sulle parti che sono ancora al centro di un dibattito, che è acceso. Non lo nascondo certo, ritenendo anzi tale dibattito un fattore di arricchimento e confronto che può solo far bene, anche all'interno del mio stesso gruppo parlamentare. Più che le appartenenze politiche, ad essere chiamate in causa sono le nostre diverse e profonde convinzioni in campo etico, rispetto alle quali abbiamo oggi la possibilità, forse irripetibile e per questo, quindi, da non sprecare, di arrivare a una sintesi che risulti utile all'intero Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, avremmo avuto bisogno nel nostro Paese di una buona legge sulla dichiarazione anticipata di trattamento e sul testamento biologico, frutto del dialogo fra le forze politiche, una legge che rispettosa del confronto con il mondo scientifico e con la comunità. Sarebbe stata una grande conquista etica dei nostri tempi.
La proposta di legge che invece abbiamo in discussione va cambiata e cogliamo anche la sollecitazione che viene per ultimo dal collega Fucci. La proposta di legge che è uscita dalla Commissione affari sociali è un pessimo provvedimento, frutto di un certo estremismo ideologico. Pag. 78Questa proposta di legge rimuove l'alleanza terapeutica tra paziente, famiglia e medico e il dovere del medico, sotto il profilo deontologico, di compiere ogni azione per salvare una vita umana, ma pure il dovere di non accanirsi terapeuticamente e di guardare anche con carità alla dignità della morte.
Non ho molto tempo, quindi mi limiterò soltanto ad alcuni aspetti. Partirò da un dato che considero positivo della norma, ovvero il percorso rigoroso che viene posto - e mi rivolgo in particolare all'onorevole Di Virgilio - per il consenso informato. Si stabilisce che il cittadino che necessita di terapia deve dare il proprio consenso sulle cure e lo deve fare di fronte alle proposte che vengono dai medici. Rispetto a queste indicazioni il paziente può accettare, ma può anche rinunciare.
La DAT, la dichiarazione anticipata di trattamento, cosa è se non un'estensione logica del consenso informato, che va redatta anticipatamente prima che nel soggetto si verifichi un danno cerebrale che potrebbe impedire la consapevole espressione della volontà? Il provvedimento che è uscito dalla Commissione affari sociali contraddice fortemente il consenso informato che viene indicato con la dichiarazione anticipata di trattamento, anche perché si pongono due questioni fondamentali, che dobbiamo discutere. Mi auguro si possa trovare una soluzione comune, anche sulla scorta delle indicazioni che provengono dal mondo scientifico. La prima questione riguarda il tema dell'idratazione e della nutrizione...

PRESIDENTE. Onorevole Burtone, la prego di concludere.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Non cibo e acqua - stiamo attenti a dire queste cose, mi rivolgo a qualche collega che è intervenuto prima di me - parliamo di idratazione e nutrizione attraverso preparati farmacologici che vengono forniti dall'industria farmaceutica e somministrati con atto medico. Perché nella DAT vengono esclusi, se hanno questi requisiti? La seconda questione è il fatto che il biotestamento non è considerato vincolante. È una scelta libera, di autodeterminazione ma non è obbligatoria, però per chi la fa deve essere rispettata. Ecco perché - e concludo - il collega e amico Pierluigi Castagnetti ha affermato che è meglio non legiferare piuttosto che adottare una cattiva legge, anche perché ciò potrebbe determinare risvolti fortemente negativi. Abbiamo bisogno di un diritto mite su questi temi, ma soprattutto la necessità di riaffermare la libertà e l'autodeterminazione previste dall'articolo 32 della Costituzione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bocciardo. Ne ha facoltà.

MARIELLA BOCCIARDO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il terribile caso della morte di Eluana Englaro, avvenuta il 9 febbraio 2009, con le forti tensioni e divisioni registratesi nel Paese, ha fatto maturare l'esigenza di avviare un iter legislativo che si occupasse del fine vita. Personalmente ho trovato insopportabile, in questi due anni, l'inutile polemica che ha visto confrontarsi, su schieramenti contrapposti, laici e cattolici, come se la vita e la sacralità di cui è espressione fosse costretta a ridursi alla stregua di una sterile disputa tra faziosi tifosi di squadre rivali. Siamo impegnati, invece, ad impedire che altri casi analoghi si ripetano, lasciando inalterato quel vuoto normativo che ci ha condotto al tragico epilogo del caso Englaro.
Per la prima volta, nel nostro Paese, la magistratura ha colmato questo vuoto legislativo con una sentenza di morte che non può non far rabbrividire. Dall'articolo 2 della nostra Costituzione si desume chiaramente la tutela del diritto alla vita. Il bene della persona è quindi collocato in via indiscutibilmente prioritaria nella gerarchia di tutela della vita. Riassumendo, il bene dell'individuo, che coincide con la persona stessa, è la sua vita. Insistere pervicacemente nel negare il diritto alla vita significa negare la persona in sé, negarne lo sviluppo, la crescita, la formazione Pag. 79e soprattutto negare la comunità in cui vive e lo Stato. Corollario di quanto precede è che la vita dell'uomo, di ogni uomo, è il bene costituzionalmente garantito quale bene non disponibile. Non sono io a sostenerlo, ma l'articolo 579 del codice penale. Nella dottrina penalistica si ritiene infatti che il consenso non esclude la punibilità dell'omicidio del consenziente, perché il diritto alla vita è, appunto, indisponibile. Si evince, quindi, che l'istituzione del testamento biologico con la dichiarazione anticipata di trattamento circa la propria volontà di morire, si pone in contrasto con la norma della Costituzione stabilita a tutela della vita.
Mi chiedo come sia possibile, quindi, far finta di nulla di fronte all'azione coercitiva voluta da alcuni settori della magistratura che - è bene ricordarlo - a differenza di noi legislatori, liberamente eletti dal popolo, non rappresenta invece nessuno.
Il potere giudiziario ha molto spesso esondato i propri limiti usurpando di fatto quelli della politica. È triste verificare come la scelta tra vita e morte sia stata ordita unicamente in base a precisi stilemi culturali fortemente intrisi dell'ideologia di alcuni giudici tesi a tutelare maggiormente la seconda possibilità a discapito della prima, palesando di fatto la volontà di esercitare una funzione rappresentativa che mal si adatta all'indipendenza del ruolo. Parliamo di giudici non più impegnati unicamente ad applicare - come di norma - le leggi, ma di autorità capaci di crearne addirittura di nuove, esaltando presunte coscienze sociali di parte, come confermato dalla sentenza della Cassazione dell'ottobre 2007. Una decisione, quest'ultima, che non solo ha annullato quella della corte d'appello emessa nel dicembre 2006, ma che soprattutto lasciava indelebilmente presagire il triste destino della povera Eluana, per esempio nelle motivazioni. Così recita un passaggio: si qualifica come trattamento sanitario suscettibile di dar luogo ad accanimento l'idratazione e l'alimentazione artificiale. La stessa sentenza afferma anche che una pregressa manifestazione di volontà del paziente di sottrarsi all'alimentazione artificiale, comunque espressa, giustifica che egli, divenuto incapace di intendere e di volere, sia privato di tale aiuto e senza che sia prevista alcuna formalità utile ad attribuire serietà e certezza alla addotta manifestazione di preferenza. Il giudice quindi può ricavare un'implicita volontà del paziente dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dei suoi convincimenti, dal suo modo di concepire prima di cadere in stato di incoscienza l'idea stessa di dignità della persona. È quindi il giudice a sostituirsi alla volontà del paziente.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 17,55).

MARIELLA BOCCIARDO. Che maggioranza e opposizione si confrontino, anche duramente, in quest'Aula è normale prerogativa del Parlamento. Sarebbe del resto in questa fase decisamente opportuno scremare le distinte posizioni ed irrigidimenti faziosi, nonché pregiudizi dannosi tipici di chi politicamente ha posizioni antitetiche.
Credo però che il processo di blocco dell'idratazione e dell'alimentazione di un essere umano non più in grado di farlo autonomamente vada considerato alla stregua di una barbarie inaccettabile per un Paese civile. Come è possibile che una norma di garanzia per un paziente ammalato possa essere considerata alla stregua di un campo di battaglia tra forze politiche contrapposte? Chi può essere tanto convinto che un paziente in stato vegetativo voglia scegliere di morire di sete? Questa è da considerarsi una dolce morte? Già alla morte di Terri Schiavo l'articolo 25 della Convenzione ONU sui disabili ha sancito il divieto di sospensione di idratazione e di alimentazione ai disabili e ai malati. La volontà chiara dalla Carta è di evitare che una persona venga privata dell'acqua e del cibo. Bisogna essere chiari su questo punto. Vogliamo seguire questa indicazione, oppure no? Come dobbiamo comportarci, ad esempio, con bambini che sono affetti da paralisi cerebrale infantile o con gli anziani affetti Pag. 80da forti demenze senili? Neghiamo loro il nostro amore, cure e protezione perché non più autonomi e autosufficienti?
Molti intellettuali sono pronti a manifestare un sentimento di indignazione per l'abbattimento di un albero secolare, ma poi festeggiano come un successo personale l'estinzione eutanasica di un essere umano. Gli ammalati danno amore e chiedono amore. È bene non dimenticarsene mai, e invece ce ne dimentichiamo, eccome.
Mi rivolgo alla solerte stampa nostrana - unica eccezione la rivista Tempi - sempre attenta alla pornopolitica ed al buco della serratura delle case altrui. Secondo un'indagine pubblicata da The Indipendent nelle case di riposo anglosassoni sono morti 650 anziani per carenza di liquidi e 157 di fame negli ultimi cinque anni. Questo orrore si è consumato nel silenzio, mentre dobbiamo decidere come affrontare il tema del cosiddetto testamento biologico per evitare l'accanimento terapeutico.
Il problema è l'abbandono, questo sì, terapeutico, e la solitudine di uomini e donne sole non più autosufficienti. D'altra parte, per molti intellettuali - mi ripeto - e benpensanti, dei quali non sentiamo francamente la necessità delle continue invasioni di campo, è risaputo che vale maggiormente la vita di un cane sano che quella di un anziano gravemente malato e bisognoso di cure. Il mistero della vita è spesso nascosto nel paradosso della sofferenza. Per questo motivo vorrei concludere con le parole che suor Albina, direttrice della clinica «Beato Luigi Talamoni» di Lecco, rivolse con commozione al personale della casa di cura «La Quiete» dove si è spenta Eluana.
Parole che sono un garbato monito ed una riflessione sull'amore. «Vogliamo inviare un messaggio ai nuovi operatori della casa di cura di Udine di accarezzare Eluana, osservare il suo respiro ed ascoltare il battito del suo cuore. Sono i tre elementi che li porteranno ad amarla perché lei non è un caso, ma una persona viva» (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bossa. Ne ha facoltà.

LUISA BOSSA. Signor Presidente, meglio di una cattiva legge, nessuna legge. Lo hanno ripetuto molti colleghi nel corso di questo dibattito. Mi sembra una norma di buon senso che vale per tutti gli argomenti, a maggior ragione per un tema su cui il discorso è davvero insidioso; un tema dove trovare un punto di equilibrio è un'operazione complessa, faticosa, che richiede tempo e riflessione. Si può dire «no» all'eutanasia e, al tempo stesso, «no» anche all'accanimento terapeutico? Penso di sì. Ovviamente, dire entrambi questi «no» significa riuscire a trovare un punto di ragionevole equilibrio che ci consenta di individuare con sufficiente chiarezza che cos'è eutanasia e che cos'è accanimento terapeutico. Questa proposta di legge trova il punto di equilibrio? Penso di no e, per questo, sarebbe utile un supplemento di riflessione, tornare a ragionarci su perché, finché non siamo certi di fare una buona legge, è meglio non farne alcuna.
Sono una cattolica e credo nella vita, credo nella sua strenua difesa, credo nella sua sacralità, credo nella sua inviolabilità. Ci credo così tanto da sapere di non poterne disporre. La mia vita non è mia. Sono una credente e affido la mia vita a Dio in ogni momento. Lo faccio nella gioia e nelle difficoltà, nella coscienza e nell'incoscienza. Sono cattolica e credente e, per questo, non abortirei, così come non sceglierei mai di sopprimere una vita, né la mia né quella di un'altra persona. Tuttavia, proprio perché da cattolica conosco l'importanza delle scelte, so che uno Stato non deve determinare per legge una volontà di coscienza. Le leggi dello Stato parlano a tutti. La voce della Chiesa dà luce e forza, ma chi ha responsabilità pubbliche deve discernere, governare e decidere per tutti e non solo per una parte. L'ha detto il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scàlfaro, un uomo del cui attaccamento alla fede cattolica nessuno può dubitare. Mi sembrano parole chiare che, peraltro, propongono, in maniera Pag. 81limpida, l'assunto dei nostri padri costituenti. Già dall'Assemblea Costituente, infatti, fu preminente la ricerca di un denominatore comune sui temi dei diritti e della dignità delle persone. Il grande tema, per i cattolici in quella fase, era fare sintesi tra diritti e doveri del cittadino e diritti e doveri del cristiano, portare nella politica il pensiero filosofico che anima i principi cristiani sempre e con grande rispetto per le impostazioni altrui. Uscì un quadro di straordinario equilibrio. Fu Aldo Moro a lavorare all'articolo 32 della Costituzione, dicendo che un limite andava posto per evitare che chi legifera cada nella tentazione dell'onnipotenza. Mi sembra, invece, che la discussione condotta al Senato e ripresa qui alla Camera sul testamento biologico contenga esattamente questo pericolo: l'idea rischiosa di imporre una propria visione a tutti, l'idea rischiosa di obbligare tutti ad una strada che appartiene alla libera scelta di ciascuno. Non è certo un caso che l'orientamento di tutta la comunità internazionale su questo tema è univoco. Negli Stati Uniti d'America, in Belgio, in Germania e in Spagna l'orientamento è chiaro.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Bossa.

LUISA BOSSA. Ho finito, signor Presidente. Qui, allora, il tema vero è quello dell'identità delle nostre istituzioni, su quale deve essere la loro natura profonda. È fuorviante sentire pronunciare discorsi che tendono ad indicare in chi difende il diritto a rifiutare determinate terapie il portatore di una cultura che rifiuta l'esperienza del dolore e della morte. Dentro un limite, dentro un equilibrio, che va costruito faticosamente, a me pare, che ciò manchi in questa legge. Manca nella sua testa, manca nel suo cuore. Meglio nessuna legge che questa legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Renato Farina. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, colleghi, scelgo in questo mio intervento di non intervenire nello specifico tecnico della proposta di legge in esame. Salgo sulle spalle delle considerazioni degli onorevoli Di Virgilio, Rizzoli, Toccafondi e Bocciardo che hanno spiegato molto bene come questa proposta di legge abbia alcuni capisaldi.
Il «no» all'eutanasia, il «no» al concetto che la vita sia un bene disponibile da parte dello Stato e da parte dei giudici, il «sì» all'autodeterminazione ma anche ai limiti dell'autodeterminazione quando essa finisca per andare contro il bene comune che non è un'idea astratta ma sono le persone che circondano gli individui e senza cui gli individui sono, sì, pura astrazione. Il mio contributo è umilmente questo e si riferisce ad un principio essenziale, senza cui ci sarebbe un permanente e umiliante scontro tra fideismi. Il principio è questo: la ragione ha il primato e la ragione ha per principio la categoria suprema della possibilità. Dove c'è l'ignoto occorre aprirsi alla categoria della possibilità. Lo diceva Kierkegaard che amava il singolo e l'individuo contro il collettivo e lo Stato etico di Hegel e che fece scrivere sulla sua tomba «quel singolo».
La categoria della possibilità dunque. Chi sono coloro che si affacciano alle soglie della morte? Tutti, siamo tutti. Sappiamo cosa in quel momento penseremo di noi stessi, della nostra vita, della speranza o della disperazione? Non lo sappiamo. Come ci insegna tutto l'esistenzialismo e tutta l'esperienza dei padri, il nostro nome è quello che saremo nella prova. Come possiamo stabilire il nostro nome senza che la prova ci sia ancora? Questo è il limite del testamento biologico. Esso è una gigantesca illusione, figlia della presunzione di un umanesimo da uomini di paglia che presumono di se stessi ciò che non sono. Non è una questione di coerenza. Essa è stata posta più volte in quest'Aula. La coerenza infatti è stupida se diventa coerenza con un errore che si palesa per tale dentro l'esperienza.
La ragione o si sottomette all'esperienza o è il letto di Procuste che taglia via a colpi di ascia ciò che non sta dentro le misure di un'ideologia, atea, laica, buddista Pag. 82o cristiana che sia. Leggo qui un testo scritto da una donna atea malata di cancro, Oriana Fallaci: «Va da sé che il testamento biologico è una buffonata perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla morte. Inutile fare gli eroi ante litteram e annunciare che dinanzi al plotone di esecuzione sputerai addosso ai tuoi carnefici. Inutile dichiarare che in un caso simile a quello di Terri vorrei staccare la spina, morire stoicamente come Socrate: l'istinto di sopravvivenza è incontenibile e incontrollabile. L'ho visto alla guerra, può rendere timidi o vili i più coraggiosi; può indurre a cambiare idea i più decisi. E se nel testamento biologico scrivi che in caso di grave infermità vuoi morire ma al momento di guardare la morte in faccia cambi idea, se a quel punto ti accorgi che la vita è bella anche quando è brutta e piuttosto che rinunciarvi preferisci vivere con il tubo infilato nell'ombelico ma non sei più in grado di dirlo e gli altri dicono che sei senza coscienza mentre te ne resta un barlume, in tal caso quel documento scritto diventa la tua autocondanna, magari gestita da un barbablù che ha dimenticato di essere tuo marito o da un parente che ansioso di ricevere la tua eredità non vede l'ora di vederti crepare in fretta. Il trattamento biologico è anche un'ipocrisia dentro l'ipocrisia perché è consentito agli adulti e basta. Come fa un bambino a decidere se in caso di grave infermità vuole vivere o morire? E un neonato, un feto, un embrione, una cellula embrionale? Sul bambino, sul neonato, sul feto, sull'embrione, sulla cellula embrionale la legge con la «l» maiuscola quella dei giudici non dice un bel nulla.
A decidere se vuole vivere o morire è dunque chi ne dispone e chi ne dispone spesso è, se non sempre, un barbablù». Finisce qui la citazione di Oriana Fallaci, leggo poi gli appunti di una testimonianza lucida, udita con le mie orecchie, da un collega che sta qui in Parlamento con noi e che senza questa legge, sulla base di un testamento ideologico che intendeva fare e avrebbe fatto, sarebbe stato lasciato alla mercé del ricordo dei suoi parenti, i quali avrebbero chiesto di fatto che fosse lasciato andare. Questo collega non sarebbe qui a parlare e parlo dell'onorevole e amico Scapagnini, che parlerà credo quando la discussione del provvedimento arriverà alla fase finale. Tale collega ha detto (dagli appunti che ho trascritto da un incontro avuto con lui): «Avrei firmato un testamento biologico dove avrei rifiutato il sostegno dell'alimentazione e dell'idratazione. Si dava per scontato, in base alle conoscenze mediche, che non percepissi nulla. Nel crepuscolo della coscienza però desideravo vivere, al contrario di quanto avrei sottoscritto a priori. Nel coma e in quello che poteva essere identificato come stato vegetativo ho la memoria netta di una luce e di affetti vivi e del desiderio di vivere». Allora cosa facciamo, gli diamo del mistico, del pazzo irragionevole?
La proposta di legge che vorremmo approvare invece vuole che diventi impossibile un errore di quel genere, contemperare il principio di autodeterminazione con il bene della vita anche per evitare che si innestino speculazioni penose. La meschinità umana non ha limite dinanzi alla possibilità di togliersi un peso davanti mascherandolo per amore. Come sarebbe facile allora applicare questo principio dell'idratazione e della nutrizione inclusi in un testamento biologico per eliminare i malati di Alzheimer? Credetemi che ne so qualcosa.
La vita vera non è solo quella che si ha con la coscienza. La libertà non è solo quella di essere capaci di determinazione, ma è anche la libertà di essere amati, accuditi, assistiti e curati come i bambini nelle acque materne. Attenzione: la libertà che coincide con l'essere persone non è solo dunque la libertas minor, come diceva San Tommaso, ma è soprattutto la libertas maior, vale a dire è partecipazione dell'essere e dell'amore, che è possibile anche adesso a un malato di Alzheimer che non capisce nulla e che per sopravvivere deve essere imboccato.
Altrimenti si arriva al caso da manuale di Peter Singer il bioeticista che oggi insegna bioetica all'università di Princeton, Pag. 83il quale nel 1993 - ed è rimasto ammirevolmente coerente con le sue tesi - sostenne che nessun neonato deve essere considerato una persona fino a 30 giorni dopo la nascita e che il medico curante può liberamente uccidere i bambini che appaiono disabili, direttamente alla nascita. Assieme a Singer altri filosofi hanno sostenuto e tuttora sostengono che un essere umano - e cito un recente testo di Singer - possiede un reale diritto alla vita solo se possiede consapevolezza di sé come soggetto.
Ancora si rifletta su un dato: fino a quando c'è una legge che, con tutte le imperfezioni delle cose umane, cerca di tutelare la vita, si può essere tranquilli che non siamo in una dittatura. Non si capisce perché la citatissima - e a ragione - Hannah Arendt non viene mai citata quando assicura che sia il nazismo a promuovere l'affrettarsi del fine vita in nome della misericordia. La dignità delle persone anziane e dei malati non sta in una presunta qualità della vita, la dignità non sta nella forza e nella salute. Guai a chi fa propaganda, lo dico di cuore, come sta facendo Veronesi in questo periodo, del suo testamento biologico, dove usa della sua giustissima fama di medico per reclamizzare di fatto l'assenza di speranza, uscendo dal suo campo e permettendosi di presumere un'esperienza che non ha ancora fatto.
Di fatto, egli si pone come réclame dell'idea di farsi un testamento, che include il permesso di spazzare via gli inguaribili; del resto, mi auguro, con scarso successo. In America, negli Stati dove vi è la pratica di legge del testamento biologico, esso viene sottoscritto soltanto dal 17 per cento della popolazione, in barba ai sondaggi qui citati. Per fortuna, il popolo è più saggio dei maestri che gli vogliono insegnare, come dice la Bibbia.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RENATO FARINA. Concludo. Sono le società totalitarie a prevedere la soppressione dei malati inguaribili. Siamo tutti inguaribili dinanzi alla morte, ma siamo curabili, curabilissimi, purché vi sia la speranza di essere amati. E questo provvedimento tiene aperta la porta a questa speranza (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meta. Ne ha facoltà.

MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, colleghi, credo che la discussione che stiamo svolgendo in quest'Aula sia davvero molto importante. Mi auguro che ciascuno di noi sia in grado di mantenere o di ritrovare l'autonomia culturale e politica per contribuire a ricostruire tutte quelle condizioni che oggi non vi sono più, e che sono necessarie ad approcciare una questione davvero assai delicata, che non consente scorciatoie.
Il clima di scontro politico presente in quest'Aula e nel Paese non aiuta a costruire quella sintesi alta e nobile, che è indispensabile per realizzare una legge che metta al centro solamente due principi fondamentali: la libertà e il rispetto. Anch'io sono convinto, come hanno detto tanti colleghi che mi hanno preceduto, che sia meglio non avere una nuova legge, piuttosto che avere questa legge.
Proprio per questo, dovremmo fermarci. Il testo licenziato dalla Commissione non è affatto condivisibile, è molto pasticciato, presenta anche qualche elemento di autoritarismo e, forse, contiene anche qualche elemento di incostituzionalità. Fin qui, non si sono voluti ascoltare i suggerimenti che sono venuti da tanta parte della società civile, quelli della comunità scientifica, di associazioni di malati e di tante famiglie; suggerimenti che sono venuti anche dalle associazioni dei medici e dagli operatori sanitari.
La maggioranza ha preferito percorrere una strada che rischia di portare su un terreno molto complesso e davvero minato. In questo passaggio, non servono né autosufficienze né tanto meno arroccamenti. Noi proponiamo di tracciare un nuovo percorso condiviso che metta insieme i principi fondamentali, rifuggendo dalla voglia di uno scontro ideologico di cui davvero non abbiamo bisogno. Pag. 84
Non ci si può dividere, come è stato detto, tra sostenitori della vita e della morte, perché questa divisione non esiste nel nostro Paese. Il grande valore della vita non può essere visto come un valore contro la persona. La sua libertà di scelta, la sua autonomia, questo caposaldo è previsto nella nostra Costituzione ed è metabolizzato dalla cultura di questo Paese, che, anche in questo caso, si dimostra più avanti e più equilibrato di una parte dei suoi rappresentanti politici.
Purtroppo, le posizioni della maggioranza si sono orientate fin qui in senso opposto, fino a prevedere che il testamento biologico non sia vincolante e che la funzione del medico sia il verdetto conclusivo, a volte anche contro la volontà dei familiari o del fiduciario del paziente. Allo stesso tempo, questo provvedimento obbliga i medici a somministrare artificialmente idratazione e nutrizione sempre e comunque.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MICHELE POMPEO META. Un provvedimento così proposto - e mi avvio alle conclusioni, cari colleghi - nega i diritti degli individui e offende il ruolo del personale sanitario.
Se si dovesse andare sino in fondo ci troveremmo di fronte a scenari inimmaginabili: sulle scelte che riguardano la fase terminale della vita di ogni persona, ci sarebbe il rischio di trovarsi sicuramente in tribunale, per decidere. Credo che dovremmo vincolarci, per scrivere una buona legge, sulla base di tre principi fondamentali: quando una persona sottoscrive una DAT tale scelta deve essere vincolante per il medico, perché altrimenti sarebbe inutile; qualsiasi testamento si sottoscriva, affinché sia eseguito, è importante l'indicazione del fiduciario capace di confrontarsi apertamente con i medici, ma che rispetti le indicazioni della persona; il personale sanitario non può decidere in autonomia e contro la volontà dell'ammalato.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MICHELE POMPEO META. Concludo, signor Presidente. Dunque, sarebbe opportuno ascoltare il Paese, mettere da parte dannose contrapposizioni e convincersi che, in questo caso, il limite della politica può essere anche il suo punto di forza, allora, almeno su questo, si apra un vero cantiere capace di costruire un edificio normativo essenziale che tuteli la libertà e il rispetto delle persone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Farina Coscioni. Ne ha facoltà.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, nei diversi Paesi del mondo le leggi approvate in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento sono modulate e incentrate sul principio del rispetto della volontà del dichiarante, dell'interessato, attraverso tutti gli strumenti possibili. Questo per impedire che una persona subisca trattamenti medici che non desidera. Il testo di legge che stiamo discutendo va in senso esattamente opposto: non è a favore del testamento biologico - così come avevamo sperato quando abbiamo iniziato questo percorso già nelle legislature precedenti - ma contro di esso. Si tratta di una pessima proposta di legge, da archiviare e rispedire al mittente al più presto. Altro che legge in sintonia con il comune sentire della gente, come sostiene la sottosegretaria Eugenia Roccella! Tutti i sondaggi - ripeto, tutti -, unanimi, da anni, ci dicono che la realtà è esattamente opposta. Non arroccatevi in maniera pretestuosa, deponete le vostre armi ideologiche, mettete da parte questa legge e discutiamo di una che si ispiri a due principi: libertà e rispetto.
Il dibattito sul testamento biologico è nato negli Stati Uniti negli anni Settanta, a seguito del caso della ragazza Ann Quinlan, nel 1975, rimasta in coma neurovegetativo irreversibile, e il padre, titolare della rappresentanza legale, aveva insistito perché fosse interrotto ogni sostegno vitale. Dopo una lunga battaglia legale, la Corte suprema statunitense ha dato Pag. 85ragione al padre, e la vita artificiale interrotta.
La vicenda che ho appena evocato rese consapevole il mondo intero che la tecnica medica moderna è in grado di spostare in avanti il termine della vita, al di là della morte naturale, introducendo una vita artificiale, che permette agli organi del corpo umano di rimanere vitali, anche senza un'attività psichica, senza una coscienza e senza un'attività cerebrale.
Nacque così living will, che si è tradotto in testamento biologico, prima in California nel 1976, e poi in tutti gli Stati americani. Approdò poi in Europa con apposite leggi: in Gran Bretagna con il caso del diciassettenne Bland, in Francia, in Danimarca, in Olanda, in Belgio, in Lussemburgo, in Spagna e nei Paesi scandinavi, ed è recentissima anche quella tedesca del 2009. Il comune denominatore delle leggi approvate nei Paesi che ho citato è sostanzialmente sempre il medesimo: il rispetto e la tutela della volontà della persona, anche quella di rifiutare un trattamento medico (anche extracorporeo), di non essere mantenuto, se non lo vuole, in stato vegetativo in un letto per anni, per molti anni.
Tali leggi prevedono dunque la tutela della volontà del dichiarante di iniziare, non iniziare e sospendere i trattamenti sanitari. Il dibattito sull'eutanasia, che in Italia è stato esasperato, in Olanda è stato risolto pragmaticamente. Infatti, la legge olandese - come sottolinea opportunamente il professor Cosmacini dell'Università Vita-Salute San Raffaele, di Milano - non fa menzione formale di eutanasia attiva o passiva, diretta o indiretta, ma si limita ad affermare non punibili il medico curante che abbia accertato la volontà spontanea e fondata del paziente che pratichi l'interruzione volontaria della vita, oppure assista e accompagni alla morte un paziente inguaribile e sofferente.
L'effetto non secondario della legge - nata anche in risposta all'incremento delle richieste di eutanasia - è stato che, proprio in virtù della sua applicazione, si è registrata una drastica riduzione delle pratiche eutanasiche.
Che certe posizioni in quest'Aula siano ideologiche e nient'affatto cristiane è dimostrato dal fatto che in Germania esistono le cosiddette «disposizioni del paziente cristiano» già dal 1999, elaborate dalla Conferenza episcopale tedesca, dal Consiglio delle chiese evangeliche tedesche e dalla Comunità delle chiese cristiane in Germania, che prevedono per il testatore cristiano di richiedere, quando ogni terapia prolungherebbe soltanto il processo del mio morire, il non inizio o l'interruzione di trattamenti salvavita, come la nutrizione artificiale, la respirazione assistita, la dialisi o l'impiego - per esempio - di antibiotici.
Oggi quelle disposizioni sono state aggiornate dopo l'approvazione in Germania delle dichiarazioni anticipate di trattamento e includono la tutela degli interessi legittimi del paziente divenuto incapace. Il testo al nostro esame non solo non rispetta la volontà espressa dal cittadino, ma va in direzione esattamente opposta, perché la volontà della persona non è tenuta in alcun conto e si prevede che alimentazione e idratazione non formino oggetto di dichiarazioni anticipate di trattamento.
Ma non solo: il comma 5 dell'articolo 3 prevede che l'alimentazione e l'idratazione nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente debbono essere mantenute fino al termine della vita. È proprio questo l'elemento che permette il prolungamento indefinito del coma anche contro la volontà di una persona che non può rifiutare. Anche uno studente di medicina sa che alimentazione e idratazione artificiale sono atti medici veri e propri che richiedono un'elevatissima competenza. C'è chi vuol far credere che si tratti di qualcosa come una bottiglia di acqua minerale che si nega o si concede.
Sapete benissimo che non è così: posizionare una cannula nutrizionale nello stomaco è un atto difficile. Fare una gastrostomia endoscopica percutanea (PEG) è un atto difficile, che solo chirurghi, medici, anestesisti e rianimatori sono in grado di fare e possono compiere. Allo stesso modo, inserire un sondino naso-gastrico Pag. 86attraverso il naso e superare correttamente il tratto gola-esofago-stomaco è altrettanto difficile e anche pericoloso: richiede lo stesso un grado di specializzazione particolare, perché la sonda può introdursi in trachea anziché nell'esofago con conseguenze disastrose.
Inoltre, nel successivo trattamento nutrizionale la definizione delle proteine, dei glucidi e degli elettroliti somministrati come composto chimico non può che essere eseguito da medici nutrizionisti. Quindi, che da una parte l'intubazione gastrica e dall'altra i trattamenti nutrizionali siano atti medici è affermato non solo da tutti i trattati di medicina, ma dalla Corte suprema degli Stati Uniti, dall'American Accademy of Neurology, dalla British Medical Association, dalla House of Lords della Gran Bretagna, dalla legge Leonetti della Francia per citare solo alcuni casi. Ma se vogliamo citare l'Italia tutto ciò è affermato dal gruppo di lavoro del Ministero della sanità del 2000 (Umberto Veronesi), un gruppo di lavoro che doveva trattare la nutrizione e l'idratazione artificiale nei soggetti in stato irreversibile di perdita della coscienza. Ma si sa che questo Governo ha memoria corta.
Questo per dire che, a proposito di alimentazione forzata, se una persona in perfetta lucidità di pensiero non desidera più alimentarsi, questa sua volontà va rispettata come sostiene il codice di deontologia medica. Per questo dico che il testo al nostro esame è contro il testamento biologico e, quindi, inutile. Chi compilerà le direttive anticipate se sa già che non verranno rispettate? Nessuno.
Quindi, è meglio nessuna legge, perché ogni legge deve soddisfare le aspettative dei cittadini o tutelare i loro diritti. Diversamente, questo testo non soddisfa alcuna aspettativa e, in particolare, non tutela il diritto del rifiuto alle cure, una delle maggiori conquiste civili e democratiche degli ultimi tempi. I principi del consenso informato, dei trattamenti e dell'autodeterminazione sono i capisaldi di una concezione liberale di uno Stato, ma questi di fatto sono calpestati. Così come è redatto questo provvedimento, viola in modo clamoroso l'articolo 32 della Costituzione che - lo ricordo ed è già stato ricordato - fu voluto e scritto da Aldo Moro: «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario contro la propria volontà». Lo ricordo perché questa legge - se mai verrà promulgata inevitabilmente come è accaduto per un'altra legge improntata ad analogo spirito proibizionista, la legge n. 40 del 2003 sulla procreazione assistita - verrà impugnata per i suoi indubbi aspetti di costituzionalità.
Mi dispiace che il sottosegretario Roccella abbia abbandonato l'Aula.
Si può ben dire che il mondo civile osserva quanto sta avvenendo in Italia perché siamo gli ultimi in Europa e nel mondo sulla decisione di introdurre una legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Il testo di legge in discussione si configura come una destrutturazione totale di tutto quello che ha prodotto la giurisprudenza fino ad oggi. Stabilire che la nutrizione e l'idratazione non sono terapie e che pertanto il medico ha facoltà di disattendere le disposizioni redatte dal cittadino è lo svuotamento - come già avvenne con la legge n. 40 del 2004 - di una pratica che, a livello giurisprudenziale, si è già affermata. Si tratta a tutti gli effetti di una controriforma, non tanto rispetto ad una riforma che non c'è mai stata, quanto rispetto a ciò che prescrive la Costituzione. Si vanifica inoltre quanto fatto nel 2001 con l'istituzione di una commissione per la definizione di nutrizione e idratazione artificiali, che stabilì che si trattava a tutti gli effetti di trattamenti sanitari.
A ognuno è accaduto di pensare che in quelle condizioni - quelle di Eluana Englaro, per intenderci - avrebbe preferito la morte. I paladini del martirio e della morte - come li definiva Luca Coscioni - ieri erano contrari al divorzio, all'aborto, alla ricerca sulle cellule staminali ed embrionali e oggi lo sono all'eutanasia; sono però favorevoli ai nuovi roghi, che hanno per vittime i malati che soffrono senza speranza, purché questi roghi avvengano nelle intimità delle mura domestiche, lontano Pag. 87dai riflettori e purché il dibattito e il confronto politico non abbiano luogo.
Luca Coscioni, al contrario, riteneva necessario che questo confronto esplodesse, un confronto non ideologico, un dibattito non fuorviante, così come invece spesso è accaduto: c'è chi ha parlato di malati scomodi e di giudici simili agli spartani che sacrificano i bambini deformi, i malati, sostenendo che oggi sarebbero cambiati i metodi di uccisione e selezione, ma non la sostanza dal momento che i giudici decidono se far vivere o morire un essere umano.
Mi chiedo cosa tutto questo abbia a che fare con l'argomento in discussione e se non sia stato proprio Luca Coscioni a parlare della condizione dei disabili gravi, facendo della sua malattia la più grande battaglia per il diritto all'assistenza personale, all'assistenza autogestita con progetti di vita indipendenti e con gli strumenti tecnologici più avanzati, come la scrittura con gli occhi e con la testa per permettere ai malati e ai disabili di uscire, finché è possibile, dalla prigionia del silenzio.
Semmai esiste il problema di una forte disattenzione verso i disabili ed i malati, una carenza di risposte alla solitudine dei tanti Coscioni, Welby, Nuvoli e Ravasin, di coloro che letteralmente dal corpo del malato sono arrivati al cuore della politica. Un silenzio sempre più assordante è quello del Governo sulla non emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi livelli essenziali di assistenza e il mancato aggiornamento del nomenclatore degli ausili e delle protesi.
Invito, ancora una volta, signor Presidente, le colleghe e i colleghi a non essere preda della disonestà intellettuale che caratterizza chi vorrebbe contrapporre un partito della vita a quello della morte. Nessuno vuole imporre qualcosa a qualcuno, nessuno vuole imporre ad altri la propria morale ed i propri valori, c'è semmai il partito dei divieti sempre e comunque e il partito del diritto e della facoltà di scegliere.
A quanti si oppongono ad una regolamentazione di queste questioni e non riconoscono la facoltà di porre fine ad atroci ed inutili sofferenze e lo fanno in nome della vita e della sua sacralità va chiesto cosa vi sia di misericordioso in questo atteggiamento.
Onorevoli colleghi, tutti noi ricordiamo la lunga e dolorosa malattia di un Pontefice molto amato, Giovanni Paolo II. Credo che nessuno metta in dubbio la fede di Carole Wojtyla. Voglio leggere - per evitare una qualsiasi obiezione circa l'autenticità di quello che dirò - dagli Atti apostolicae sedis, la raccolta ufficiale degli atti della Santa Sede. Il supplemento del 17 aprile 2005, a pagina 460, ci riferisce: «Giovedì 31 marzo veniva rispettata l'esplicita volontà del Santo Padre di rimanere nella sua abitazione, ove era peraltro assicurata una completa ed efficiente assistenza». Nella successiva pagina 461 si può poi leggere: «Sabato 2 aprile, verso le ore 15,30, con voce debolissima e parola biascicata in lingua polacca il Santo Padre chiedeva: lasciatemi andare alla casa del Padre. Poco prima delle 19 entrava in coma».
Quello che si chiede è null'altro che il riconoscimento e la tutela del diritto di libertà di scelta riconosciuto a Giovanni Paolo II. In sostanza, si ritiene che non esiste l'obbligo di utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che la scienza mette a disposizione, ma ciò è esattamente quello che nel testo di legge viene negato. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi se non sia più misericordioso interrompere la sofferenza quando viene chiesto dallo stesso malato, invece di prolungarla inutilmente a chi, stremato, chiede di esserne liberato.
Ognuno di noi dovrebbe chiedersi se non sia più misericordioso interrompere la sofferenza quando viene chiesto dallo stesso malato invece di prolungarla inutilmente a chi, stremato, chiede di esserne liberato. Ognuno di noi deve chiedersi la ragione del sordo opporsi all'introduzione del testamento biologico con il quale il cittadino, se vuole, stabilisce preliminarmente quali cure gli devono o non gli devono essere prestate nel caso in cui si venga a trovare in stato di incapacità di Pag. 88intendere e di volere, nominando un fiduciario che garantisca il rispetto delle sue volontà.
Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Paolo Ravasin e tanti altri malati al momento non noti al pubblico, che del loro corpo malato hanno fatto letteralmente politica, hanno disvelato tutto questo ed è grazie a loro che queste questioni, che si voleva relegate fra i problemi di coscienza, sono diventate argomento di cui tutta la città parla e di cui anche la politica deve occuparsi. Grazie a loro, il Paese ha preso coscienza e conoscenza di una realtà esistente e negata, sommersa e ignorata, quella di migliaia di persone vive, lucide, capaci di amore per la vita e per il diritto.
Esiste infatti un diritto a non soffrire inutilmente e di questo diritto si è titolari in quanto persone libere, perché lo scopo della terapia medica presuppone la persona, la cui volontà deve essere rispettata. L'attuale maggioranza sostiene che occorre scongiurare il ripetersi di nuovi casi come quello di Eluana Englaro; quello che si vuole scongiurare è dunque il diritto di tutti cittadini di poter disporre il proprio testamento biologico, compreso il diritto a includervi eventualmente la rinuncia all'alimentazione e all'idratazione artificiale. Beninteso, ufficialmente e pubblicamente, perché poi nella realtà si continuerà nella pratica di sempre, il classico «si fa ma non si dice».
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, ma prima voglio ricordare quanto ebbe a scrivere il professor Cosmacini dell'università Vita-Salute del San Raffaele di Milano: se è antiumano opporre limitazioni alla persona del malato, limitarne la personalità è anticostituzionale e antidemocratico. Una legge limitativa, restrittiva, che conculca la validità di un testamento liberamente sottoscritto da persona dotata di piena capacità, in vista di una futura incapacità, oltre a contraddire molti valori ignora il dibattito scientifico, disattende l'appello degli addetti alle cure, non ascolta le sofferenze dei familiari, sposa un'incultura che ha la presunzione di possedere il monopolio dei principi etici e religiosi. Credo che meglio non si possa dire contro questa legge che nega il diritto di vivere, visto che anche la morte fa parte appunto della vita.
Questo pensiero Luca Coscioni lo espresse con le sue parole: «non privare mai un uomo dell'amore e della speranza, questo uomo cammina ma in realtà è morto» (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, più che in punta di piedi - anche perché alcuni interventi, e non solo da una parte, a mio avviso, dimostrano che se si hanno dei piedi di elefante lo sforzo non realizza l'obiettivo - vorrei accingermi a questi pochi minuti che mi sono concessi, con pudore, laddove il pudore nasce dal fatto che non riesco, nonostante signor Presidente mi sia sforzato in questo caso per natura, più che contro natura, ad esserlo, a ritenere che chiunque si accosti a questo dibattito e a queste scelte possa farlo avendo acquisito una verità assoluta e avendo espulso quello che per natura un dibattito del genere deve procurare, cioè il beneficio del dubbio, e se questo non accade dobbiamo essere pronti e preparati a concorrere a soluzioni, che non necessariamente debbono essere simmetriche alle ragioni con le quali siamo entrati in un dibattito del genere, affrontando questioni del genere.
Ci vuole una disponibilità d'animo, più che una onestà intellettuale, affrontando un tema di questo tipo - le tante considerazioni che ci sono state ce lo impongono -, a sapere che è nostro obbligo mettere in discussione anche alcune presunte e raggiunte certezze in ragione della costruzione di qualcosa che si approssima - non potrà mai esserlo probabilmente fino in fondo - al giusto.
Signor Presidente, voglio dire veramente poche cose, una di queste la dico perché mi sta a cuore.
Io non sono cattolico, ho una formazione cattolica, ma non sono cattolico, Pag. 89sono un laico, forse sono un po' agnostico, ma non sono certamente cattolico. Eppure, mi rivolgo a tutti coloro che magari intervenendo sono portati a pensare, non dico neanche ideologicamente, forse perché è un po' più rapido, un po' più elastico e semplice, che tutti coloro che la pensano in un modo diverso e che non sono cattolici magari, non voglio dire che sono a favore della morte, o sono disinteressati al tema della morte, ma hanno una sensibilità diversa rispetto al concetto di vita. Posso garantire che il pensiero secondo cui finché c'è vita c'è speranza e soprattutto che finché c'è un filo di speranza ci si debba aggrappare per rimanere in vita per me è un motto quotidiano con il quale probabilmente riesco anche a surrogare la mancanza di una prospettiva di ancoraggio che è quella della fede, attraverso la quale, rispetto alla mia vita materiale, difenderei fino in fondo, a tutti i costi e fino all'ultimo, cosciente o non cosciente, la possibilità che tutto si faccia sulla mia persona affinché quel filo di speranza e di vita siano conservati. Lo dico perché evidentemente in questo senso mi sento quasi appartenere alla forma ideologica di coloro che oggi si contrappongono a questa legge. Mi sento quasi di là dal punto di vista materiale, cioè penso per quel che mi riguarda che in questo momento vorrei che fosse fatta qualunque cosa, anche se fosse una situazione disperata, finché esiste per me la materiale possibilità di rimanere in vita, anche se conosco bene tutte le considerazioni che faceva la collega Farina Coscioni anche rispetto a che cosa si possa intendere per vita, ma non ho il tempo per soffermarmi su di esse. Però, ovviamente è la mia opinione, signor Presidente. Non so se ho avuto la fortuna o la sfortuna, anche questo vorrei dirlo e con questo avviarmi alla conclusione. Credo che ciascuno di noi abbia avuto la sfortuna, la ventura, di dover accompagnare persone verso le quali nutrivamo affetti, che fossero amici o parenti, in un percorso finale, persone che sono arrivate ad un percorso finale non per qualcosa di improvviso, ma perché magari hanno dovuto per anni combattere con la malattia, sapendo che dal punto di vista medico non vi sarebbe stata alcuna speranza, ma che magari c'era la possibilità di dilatare il periodo che li portasse a quel punto. Forse non tutti noi - conosco le parole del collega Scapagnini secondo cui ovviamente ogni situazione è diversa e ci mancherebbe altro, non vorrei minimamente paragonare - hanno avuto la ventura di trovarsi in un momento della loro vita a combattere percorrendo quella striscia di divisione tra l'esserci e il non esserci, che è rappresentata dal momento terminale, che non necessariamente è un momento terminale cronico, ma anche per quello che ti può accadere. A me è capitato. Signor Presidente, so che in quel momento ho avuto la sollecitazione. È stata una cosa improvvisa che mi ha fatto soffrire molto fisicamente. In più di un'occasione ho pensato: se deve essere così, probabilmente sarebbe meglio..., ma se le cose andassero diversamente e se qualcuno mi aiutasse... . Ma ovviamente non ho mai deciso di farlo, avendone avuto la possibilità. Ho citato il mio caso perché vorrei dire che voi vi occupate in modo particolare, voi che avete una certa impostazione, di coloro che ad un certo punto sarebbero incoscienti. Le parole che ho sentito, lo ripeto, tutte rispettabili, anche le ultime, considerano soprattutto la parte dell'incoscienza, come se dalla coscienza di una convinzione al momento dell'incoscienza necessariamente dovessero trascorrere anni. Nel caso mio, signor Presidente, ma ci sono tanti casi, a me probabilmente sarebbero bastati minuti per passare dalla coscienza all'incoscienza. In quel momento, nella coscienza quando mi è stato chiesto di firmare per essere operato, ovviamente ho scelto, in base alla premessa che le ho fatto adesso, di aderire alle richieste dei medici, ma essendo cosciente - ripeto - solo ancora per pochi minuti probabilmente avrei tranquillamente potuto decidere di non farmi operare. Le conseguenze di quell'intervento, signor Presidente, non necessariamente avrebbero comportato la mia entrata in coma o il perdurare in coma per chissà quanto tempo. Pag. 90
È del tutto evidente, quindi, come nel mio anche in tanti altri casi, che vi sono momenti nei quali non è detto che questo lasso di tempo sia così lontano, e quindi non si può dare per scontato che tutti quelli che hanno deciso, come è successo al collega Scapagnini, per carità, in un determinato momento, poi debbano aspettare anni prima che si possa avere uno sviluppo diverso.
Faccio un altro esempio: nella mia attività politica - rubo solo otto secondi - ho avuto anche modo di fare lo sciopero della sete. Questo comporta che, ad un certo punto, improvvisamente, si possano perdere le funzioni vitali e si possa morire. È una forma di suicidio? È una forma di eutanasia? No, è un'altra cosa. Lo dico semplicemente per dire che vi sono casi diversi e situazioni diverse nelle quali l'unica cosa che deve prevalere, a mio avviso, è che ognuno possa decidere dentro determinati ambiti.
In questo faccio un'autocritica, perché ero tra quelli che pensava che una legge fosse necessaria. Il dibattito che si è sviluppato dal caso di Eluana ad oggi mi ha fatto comprendere che forse è vero che vi è uno spazio ed un rapporto tra i vari soggetti interessati, che, effettivamente, signor Presidente, non consente alla legge di intervenire, perché la legge non li potrà mai regolare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lenzi. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Signor Presidente, l'ascolto degli interventi dei colleghi mi ha confermato nell'opinione che questa proposta di legge nasca sull'onda emotiva di un caso estremo e rimane lì, imprigionata. Lo scopo dichiarato è quello di impedire che lo Stato, attraverso la magistratura, intervenga su un ammalato in un letto di ospedale, ma l'attuazione, attraverso questa proposta di legge, fa sì che lo Stato, attraverso noi parlamentari, entri nelle camere di ospedale di tanti ammalati e incida su situazioni tra di loro molto diverse, come è stato appena ricordato, per patologie, età, condizioni personali, avendo invece in mente quel caso limite.
Nel nome di Eluana la libertà di scelta dei malati di tumore, di cuore, di malattie neurologiche, di SLA, di Alzheimer, viene fortemente limitata. Pensate a un malato di tumore in fase terminale che, ancora capace di intendere e di volere, rifiuti l'intubazione o il sondino. Appena entra in coma, in base a questa proposta di legge, il suo rifiuto non conta più nulla.
I dubbi già sorti dopo il testo Calabrò sull'ambito di applicazione della proposta di legge confermano le perplessità. Le DAT e l'obbligo di nutrizione e idratazione si applicano ad un'imprecisata grande platea di persone incapaci. Questo ampliamento ha costretto la Commissione affari sociali a prevedere l'ipotesi di sospendere la nutrizione artificiale e l'idratazione nel caso in cui - cito - risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo.
Si è dovuto riconoscere - merito del relatore - che a volte, in alcune patologie, in date condizioni di salute, come confermato dalle audizioni, la nutrizione può anche far danno. Ma si sarebbe potuto, con un po' di vera fiducia nei medici, lasciare a loro la prescrizione dell'intervento sanitario appropriato. Ma qui, purtroppo, si nega persino che di trattamenti sanitari si stia parlando. Sono sempre stata dell'idea che la legge non occorra. Se ci leviamo dalla testa quell'unico caso, in realtà di rottura dell'alleanza terapeutica, vediamo come, nella gran parte delle situazioni, l'alleanza terapeutica ci sia: pazienti, medici e familiari trovano da soli la strada migliore e tengono insieme la cura del vivente e il rispetto della persona.
Il malato non è solo corpo, ma, in quanto persona, è carattere, idee, opinioni, esperienze ed affetti. È qui, nel rispetto della persona umana, che si applica la parte finale dell'articolo 32 della Costituzione. Bastava una legge breve, che trovasse un vero bilanciamento tra il principio di inviolabilità della vita e quello della libertà di scelta personale. Pag. 91
Avevamo proposto di dare alle dichiarazioni anticipate di trattamento il valore di un impegno a cui i medici e i familiari, motivatamente, potevano, però, sottrarsi. Avevamo detto «no» ad un vincolo rigido per il medico, fuori dal contesto clinico e fattuale, ma avevamo detto «no» anche ad un mero orientamento privo di conseguenze, ossia quello che prefigura la proposta di legge in esame.
All'interno della maggioranza ha prevalso, e tende ancora a prevalere, l'opinione di chi ritiene che all'uomo non sia dato in alcun modo di disporre di sé e, quindi, al medico non sia concessa altra scelta che il mantenimento ed il prolungamento in vita. Non tutti pensate questo, ma è la componente che sta prevalendo.
Già si parla di emendamenti che escludano la possibilità di prevedere nella DAT la rinuncia a trattamenti salvavita (a questo punto non saprei proprio a cosa potrebbero servire); si mette in dubbio che la persona capace di intendere e di volere possa sospendere la cura già iniziata e, inoltre, già vi è un'interpretazione sulla base della quale si può impedire al malato capace di intendere e di volere il rifiuto del sondino in quanto, non essendo trattamento sanitario, non comporta il consenso.

PRESIDENTE. Onorevole Lenzi, la prego di concludere.

DONATA LENZI. Nel testo in esame non vi è più il bilanciamento, vi è una gerarchia di principi.
Allora, concludo con la seguente riflessione: siamo partiti da un fatto drammatico, si è parlato di morte dolorosa per fame e per sete, ma, vi chiedo, si soffre solo negli ultimi giorni o si soffre tutti i giorni?
Lo studio guidato dall'onorevole Roccella non ha portato risposte sul tema della capacità di sentire dolore dei malati in stato vegetativo. Mi chiedo, si ha percezione della sofferenza? Si è sentito il caldo, il freddo, la tosse, la piaga, l'ago che cerca la vena? Perché, se è così, noi gli abbiamo inflitto un calvario. Se avevano lasciato scritto, ripeto, scritto, «non voglio soffrire, lasciatemi andare», possiamo ignorare quelle parole (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, serve una legge? Quale legge? Si è detto che servirebbe una soft law, concordo. Attenzione, però, ad una legge perché questa deve avere carattere di generalità e come si può applicare la norma in situazioni che sono una diversa dall'altra e che vanno trattate caso per caso?
Certo, sarebbe stato più opportuno, intanto, utilizzare il grande patrimonio normativo che esiste. Abbiamo varie norme: l'articolo 32 della Costituzione, il codice deontologico, la Convenzione di Oviedo, il Trattato di Nizza e, non ultimo, possiamo fare ricorso agli orientamenti del Comitato nazionale di bioetica che si è espresso ripetutamente su queste materie. Invece, si è voluta una legge brutta, pessima.
Vi sarebbe stato lo spazio per dare vita ad una legge breve. Sentendo il dibattito di oggi e la grande sfiducia che avete dimostrato di nutrire verso familiari e medici per voi sarebbe stata sufficiente una legge con tre parole: è vietata la DAT.
Anche noi avremmo preferito una legge essenziale, che lasciasse inalterato lo spazio della relazione medico-paziente e famiglia-fiduciario, accanto all'affermazione dei tre «no», da tutti condivisi: no all'eutanasia, no all'abbandono terapeutico, no all'accanimento terapeutico. Invece, con la proposta di legge in esame voi fate a pezzi la relazione di cura che sostiene l'alleanza terapeutica ed aprite la strada ad un'esasperazione della medicina difensiva oltre ad una serie infinita di conflitti sui quali, ancora una volta, i magistrati saranno chiamati a decidere.
Ma non era questa la condizione che volevate evitare? Noi del gruppo Partito Democratico in lunghi mesi di lavoro in Commissione abbiamo cercato, con l'ottimo Pag. 92lavoro condotto da Livia Turco, di mettere al centro della discussione l'unico tema capace di affrontare queste questioni rifuggendo dagli estremismi, cioè l'alleanza terapeutica. Anche voi la citate nel testo del provvedimento in discussione, ma la smentite nei commi successivi.
L'alleanza terapeutica è l'espressione di pari libertà e dignità di diritti e doveri fra medico e paziente nel rispetto dei diversi ruoli. Su di essa si fonda il consenso o il dissenso informato del paziente, al pari dell'autonomia e della responsabilità del medico, che opera in scienza e coscienza. Perché, allora, il consenso informato, trasferito nella DAT, non dovrebbe avere valore?
Il principio è contenuto nel codice di deontologia medica: «Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere le proprie volontà, deve tener conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato». Appunto la DAT. Era questa una ragione in più per limitarsi ad un diritto mite, che si limiti a definire la cornice di legittimità giuridica della DAT senza invadere l'autonomia del paziente e la responsabilità del medico, prefigurando tipologie di trattamenti disponibili o non disponibili nella relazione di cura.
Veniamo così alla questione dell'alimentazione e dell'idratazione. Sapete bene che dopo il lavoro svolto in Senato si sono fatti passi in avanti su questo punto, con pronunciamenti importanti del documento degli ordini dei medici italiani. Ma, se vogliamo andare più indietro, vi è il parere del Comitato nazionale di bioetica, che definì in un documento del 2003, riguardante la DAT, contenuti e forma della stessa, elencando fra i contenuti della DAT la possibilità di includere idratazione ed alimentazione.
Il problema è che nelle nostre proposte emendative abbiamo parlato di nutrizione artificiale ma, naturalmente, non le avete prese in considerazione, proprio per evitare fraintendimenti. La maggioranza era preoccupata unicamente di un'inspiegabile ritorsione dopo il caso Englaro e non ha ascoltato medici, associazioni ed esponenti della scienza e della cultura che invocavano un cambio di rotta rispetto al testo Calabrò. Ora vi apprestate con argomenti strumentali ad andare dritto, come indica il Ministro Sacconi. Dritto, dove? Andate dritto, riportando l'orologio indietro nel tempo alla fase della battaglia sul caso Englaro, paradossalmente con gli stessi argomenti di due anni fa.
In conclusione, signor Presidente, questo è un tema che avrebbe meritato una riflessione e un'apertura maggiore. È una materia che non può sopportare atteggiamenti di stampo opportunistico o peggio di convenienza, che copre qualche inconfessabile scambio politico, eppure - devo dirlo - è un campo nel quale dovrebbe prevalere l'ambizione di trovare soluzioni che unificano il Paese, che fanno fare un passo avanti al confronto fra culture - dobbiamo dirlo fino in fondo - se vogliamo porre questo Parlamento in linea con lo spirito della Costituzione. Anche a tale riguardo temo tuttavia che ci sia un macigno sulla nostra strada. Esso è rappresentato dal giudizio che più volte è stato dato dal Presidente del Consiglio sulla nostra Costituzione e sul profilo culturale dei nostri padri costituenti.
E oggi, a conclusione di questo dibattito si può dire che solo da questi banchi abbiamo cercato di costruire il nostro argomentare sulle fondamenta solide delle sintesi costituzionali, mentre dalla vostra parte è emerso spirito di rivincita dopo il caso Englaro e nulla di più. Il vostro è un misero contributo di fronte alla complessità di un tema che ci interpella tutti e non sopporta strumentalizzazioni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Miotto, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Pag. 93

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 2350-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore di minoranza, onorevole Palagiano, e il relatore per la maggioranza, onorevole Di Virgilio, rinunciano alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

EUGENIA ROCCELLA, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, la proposta di legge che discutiamo in quest'Aula si intitola «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento». Non è per un superfluo scrupolo lessicale che è stata scelta questa definizione, ma perché le parole hanno significati precisi e, quando diventano norma, è fondamentale che esse siano scelte con cura. Nonostante si parli spesso di testamento biologico, ovvero biotestamento, questo termine non ha niente a che vedere con il testo che ci accingiamo a votare. Vorrei almeno su questo punto sgombrare il campo da equivoci. Con il testamento noi disponiamo di beni materiali in previsione della nostra morte, mentre con le DAT, le dichiarazioni anticipate di trattamento, diamo indicazioni circa le terapie a cui vogliamo o non vogliamo essere sottoposti quando siamo ancora vivi, ma incapaci di esprimere le nostre volontà.
Dispiace che qualcuno anche in quest'Aula abbia parlato delle persone in stato vegetativo come di larve o di persone senza più soffio vitale oppure abbia usato, ancora una volta, l'aggettivo «irreversibile».
In realtà sono persone - lo dice la scienza, ma anche la semplice esperienza - in stato di gravissima disabilità ma assolutamente vive, persone che spesso possono provare sofferenza, avere reazioni cerebrali insospettate, intraprendere un percorso riabilitativo e della cui condizione tuttora la medicina sa pochissimo. Quando l'onorevole Lenzi parla della possibilità di provare sofferenza, in effetti sempre più provata, dovrebbe però porre lo stesso problema per la sospensione dell'idratazione e dell'alimentazione, perché sappiamo benissimo che la morte per disidratazione provoca sofferenza, un dolore pesante da sopportare e una morte terribile, mentre per la quotidianità di una persona in stato vegetativo non possiamo parlare di sofferenza.
Anche le stesse volontà testamentarie, nonostante la differenza che abbiamo sottolineato tra dichiarazione anticipata di trattamento e testamento biologico, da attuarsi quando non ci saremo più, sono sottoposte a condizioni: ci deve essere una firma certificata e una quota ereditaria è obbligatoriamente riservata ai figli e al coniuge. Nessun giudice, nonostante in questo caso si tratti solo di oggetti da trasmettere e non di una vita umana da portare alla fine, sarebbe disposto a consentire che un bene passasse a un erede sulla base della ricostruzione ex post della volontà, magari tenendo conto degli stili di vita del testatore. Questo invece è quanto la magistratura ha stabilito per Eluana Englaro, che è morta perché un tribunale ha ritenuto che il principio di autodeterminazione possa non passare dal consenso informato e anzi, possa essere affermato a scapito del consenso informato.
Tutti i giuristi che si sono occupati della materia, anche i fautori della più assoluta libertà di scelta da parte dell'individuo, sostengono che le DAT o anche il testamento biologico derivano dal consenso informato e ne costituiscono un'estensione. Ma Eluana Englaro non hai dato mai il consenso informato al protocollo di morte per disidratazione cui è stata sottoposta, benché fosse, fra l'altro, un protocollo di tipo sperimentale. Non solo non lo ha dato, perché non ha lasciato una dichiarazione scritta - nemmeno un foglietto, una pagina di diario o una semplice annotazione - ma perché non ha avuto mai un colloquio con un medico che le spiegasse cos'è clinicamente una condizione di stato vegetativo e cosa significhi morire disidratati. Quando firmiamo il consenso informato alla vigilia Pag. 94delle più semplici tra le operazioni chirurgiche non possiamo rifiutarci di firmarlo o di prenderlo in considerazione affermando magari di averne già parlato a sufficienza a tavola con gli amici o a casa con i genitori. Né la struttura sanitaria né i magistrati riterrebbero sufficiente un consenso informato che non fosse stilato da un medico e non contenesse informazioni precise sul trattamento cui stiamo per sottoporci. Eppure, sia nel caso di Eluana Englaro in Italia che in quello di Terri Schiavo, qualche parola casuale è stata considerata come una volontà chiaramente espressa, sulla base di conoscenze ed informazioni sufficienti.
No, cari colleghi, noi da liberali non siamo d'accordo. Non è affatto una questione di fede religiosa, come qualcuno ha tentato di sostenere, o di diverse visioni del mondo da conciliare, è piuttosto una questione di fondamentali garanzie della persona per la sua dignità e libertà ed è una questione di laicità. L'interpretazione delle volontà anticipate data dalla sentenza Englaro ha infatti innescato un meccanismo paradossale: in nome del principio di autodeterminazione si è scavalcato e indebolito quello del consenso informato. Tanto è fumoso, astratto, ideologico e poco verificabile il primo quanto concreto, circoscritto, controllabile e laico il secondo.
Con questo provvedimento, per la prima volta stabiliamo per legge il principio del consenso informato, estendendolo anche al momento in cui non saremo più in grado di esprimere le nostre scelte. È una legge di libertà che applica e regola l'articolo 32 della Costituzione e la Convenzione di Oviedo, quando prevede che bisogna tener conto - non c'è una questione di vincolatività nella medesima convenzione - dei desideri precedentemente espressi dal paziente nel caso questi non sia più in grado di farlo. Il consenso informato è la forma giuridica con la quale possiamo garantire la nostra libertà di scelta nelle terapie. Come è possibile, senza un consenso informato, affermare l'autodeterminazione? Se poi elevassimo l'autodeterminazione a criterio assoluto e inderogabile come potremo negare che il suicida è certamente autodeterminato e dunque ha diritto di scegliere la morte senza essere ostacolato o salvato, e anzi, magari con l'aiuto dello Stato?
Se l'autodeterminazione fosse il cardine principale intorno a cui legiferare, i reati di istigazione al suicidio o di omicidio del consenziente andrebbero rimodulati e la morte dovrebbe essere considerata un diritto esigibile presso ogni struttura sanitaria. È questo infatti l'obiettivo di alcuni, più chiaro ed esplicito in qualche caso e più mascherato in altri. Morire del resto è diventato un diritto esigibile in molti Paesi, spesso sotto le spoglie di una morte medicalmente assistita. Lo abbiamo letto anche nelle anticipazioni di un libro del professor Veronesi, nel quale si invita a non usare più il termine di eutanasia, troppo screditato, ma ad ammettere finalmente che, cito, «anticipare la fine della vita su richiesta del malato inguaribile venga considerata una cura dovuta e non un atto omicida da depenalizzare». «Anticipare la fine della vita venga considerata una cura dovuta»: in questo modo il concetto di cura, così importante per le relazioni umane, così centrale per costruire rapporti di fraternità e di solidarietà fra gli uomini, viene completamente snaturato e viene snaturato il concetto di alleanza terapeutica. Il nostro sistema sanitario, fondato sulla vocazione a curare e sul favor vitae, subirebbe una metamorfosi radicale e profonda e così accadrebbe alla professione medica e al codice deontologico.
Tutti noi, in diversi momenti della nostra esistenza, siamo affidati alla cura di chi ci ama: accade nell'infanzia, ma anche in qualunque momento di fragilità, solitudine, malattia. L'accoglimento è un istinto di protezione del più forte verso il più debole, un istinto di reciproca solidarietà, la presa in carico amorevole dell'altro. In inglese si distingue fra cure e therapy, mentre in italiano il termine cura ha un doppio uso semantico: vuol dire terapia e anche accudimento. Ma distinguere è facile, perché ognuno di noi ne ha l'esperienza diretta: i gesti di cura non Pag. 95sono terapia, a prescindere da qualunque aiuto tecnologico. Non è terapia aiutare qualcuno a camminare se non ce la fa da solo e non lo è nemmeno se usiamo un sostegno tecnologico, dal semplice bastone fino alla carrozzella. Non è terapia dare il latte al neonato, anche se è latte artificiale, acquistato grazie a una ricetta medica e somministrato con l'aiuto di un biberon. La sospensione di idratazione e alimentazione rappresentano in questo senso un confine evidente, una linea che separa nettamente il suicidio assistito e l'omicidio del consenziente dal rifiuto delle cure anche anticipato.
È proprio per questo, perché questo confine venga cancellato e indebolito che si insiste tanto sulla necessità di includere il rifiuto di acqua e cibo in qualunque modo forniti tra le opzioni delle DAT, come ha giustamente sottolineato in quest'Aula anche l'onorevole Binetti. Non esiste una patologia per cui idratazione e alimentazione costituiscano la terapia elettiva, ma la persona a cui vengano sospese, che sia sana o malata, muore. Dal diritto a scegliere la terapia, in questo modo si slitta verso il diritto a morire. Si ribatte: non si tratta solo di autodeterminazione, ma di un gesto di pietà e di carità. In questo modo si rovesciano le categorie etiche a cui siamo stati educati: aiutare a morire è un gesto pietoso, chiedere la morte per qualcuno è un atto di carità, mentre è una forma di durezza d'animo, un gesto di costrizione cercare di sostenere la vita.
Si parla di obbligo di idratazione forzata quando si tratta semplicemente di mantenere la situazione attuale, perché dobbiamo ammettere che fino ad ora abbiamo praticato alimentazione e idratazione forzate per i malati in stato vegetativo, visto che non è previsto richiedere il consenso informato a questi malati. Si invoca la qualità della vita, ma la vita non può essere associata a una categoria merceologica come la qualità. Se con tutte le buone intenzioni proviamo a farlo, cercando di applicare un criterio di valutazione soggettivo - cioè la qualità della vita stabilita da chi la vive - vediamo che il criterio diventa velocemente e inevitabilmente uno standard oggettivo, che passa nel senso comune e nella cultura. Se si accetta l'idea che la vita di una persona con forme di disabilità estrema o magari con gravi cerebro-lesioni possa valere un po' meno di quella di una persona sana, noi permettiamo che passi un principio pericoloso per la convivenza civile e per il rispetto dei diritti umani fondamentali.
L'altro punto della proposta di legge che ha originato discussioni e polemiche è quello sulla vincolatività delle DAT nei confronti del medico. Il medico però, anche quando il paziente è cosciente, non è mai vincolato, mai obbligato a eseguire un trattamento se non corrisponde alle sue valutazioni in scienza e coscienza. Alla libertà del paziente di rifiutare la cura corrisponde quella del medico di rifiutare una terapia in cui non crede o giudica inappropriata. È un principio assicurato anche dal codice deontologico e chi invoca sempre il codice deontologico deve ricordarsi che la Federazione dell'ordine dei medici infatti difende il principio di non vincolatività.
Non si capisce perché il medico dovrebbe, invece, essere vincolato alle richieste del paziente proprio quando questi non è più cosciente e, quindi, non può più ricevere spiegazioni e consigli che possano fargli comprendere meglio la propria specifica situazione clinica. Le scelte operate dal soggetto attraverso le DAT non possono che essere indicazioni generali - è stato riconosciuto anche qui - che vanno adattate e misurate sulla specifica e concreta condizione del singolo. Chi può farlo se non il medico? E non è questo un atto di fiducia nei confronti del medico? Si ribatte: ma chi mi assicura che si terranno nel debito conto le mie volontà? In realtà, il medico tenderà ad eseguire i desideri espressi dal paziente, se non altro per il concreto e sempre crescente timore dei contenziosi giudiziari, un timore che, ormai, ha portato alla cosiddetta medicina difensiva. In molti, dentro e fuori a quest'Aula, hanno avanzato il sospetto che, chi vuole questa legge, in realtà, intenda soltanto compiacere la Chiesa, magari per Pag. 96motivi di bassa politica. I fatti indicano il contrario; il Parlamento, almeno una sua parte, ha considerato, fin da subito, la sentenza Englaro come un'indebita invasione di campo da parte della magistratura quando ancora il mondo cattolico era sostanzialmente contrario a legiferare in materia di fine vita. Forse è utile rievocare ancora una volta i momenti salienti della vicenda. Il presidente Cossiga, insieme ai senatori Schifani e Quagliariello, firmò, già ai tempi del Governo Prodi, dopo la sentenza della Corte di cassazione, una mozione che, però, non ebbe seguito. Dopo le elezioni, nel luglio 2008, a seguito della sentenza della corte d'appello, fu sollevato il conflitto di competenza con la magistratura, ma la Corte costituzionale non l'accolse invitando, piuttosto, a legiferare in merito. Con le norme già in vigore non si è riusciti ad impedire che Eluana fosse condotta alla morte per disidratazione e denutrizione, nonostante non ci fosse alcun obbligo giuridico di eseguire la sentenza. Il decreto della corte di appello di Milano, che ha permesso di applicare la sentenza della Corte di cassazione, era solo un atto di volontaria giurisdizione, cioè autorizzava, ma non obbligava. Questo è accaduto nonostante un forte e tenace impegno del Governo e della maggioranza.
I tentativi messi in campo per salvare la vita della Englaro sono tutti falliti. Abbiamo invocato la Convenzione sui diritti dei disabili che contiene un articolo in cui si vieta di sospendere alimentazione ed idratazione alle persone con disabilità, ma inutilmente. Il Ministro Sacconi ha emanato un atto di indirizzo, ma l'esecuzione della sentenza è stata solamente rimandata perché ci si è inventati una sorta di spazio sanitario extraterritoriale per il quale, secondo la magistratura, quell'atto non valeva. Quando Eluana è stata trasferita alla clinica La Quiete, a niente sono servite le relazioni degli ispettori ministeriali e dei NAS che testimoniavano numerose irregolarità amministrative. Non è bastato neppure che un Consiglio dei Ministri firmasse un decreto-legge all'unanimità ed Eluana è morta mentre il Senato discuteva d'urgenza un disegno di legge composto da un unico articolo che impediva la sospensione di idratazione ed alimentazione alle persone in stato vegetativo. Ecco perché qualcuno vuole evitare di legiferare lasciando ai giudici la materia. L'onorevole Castagnetti, con cui condivido moltissime valutazioni, è ottimista ed è sicuro che non ci saranno altri casi Englaro ed altre sentenze, ma bisogna ricordare che il caso Englaro è stato costruito a tavolino, come hanno scritto anche alcuni dei protagonisti, per importare sentenze come quelle dei casi Cruzan e Bland.
Bisogna ricordare che esistono moltissimi testamenti biologici - in questo caso vanno chiamati così - conservati nei registri comunali senza un colloquio con il medico e, quindi, anche quelli senza un reale consenso informato. Bisogna ricordare che, in molti Paesi, si è arrivati a leggi sostanzialmente eutanasiche attraverso una serie di sentenze. Una seconda sentenza della Corte di cassazione renderebbe praticamente impossibile tornare indietro attraverso un voto del Parlamento. Ognuno di noi è chiamato prima di tutto a giudicare, quindi, se la legge la debba fare il Parlamento votato dagli elettori o se la decisione sulla vita e la morte delle persone vada affidata ai tribunali. Credo che dobbiamo assumerci questa responsabilità perché è quello che il Paese si aspetta dal Parlamento e perché sono fin troppi anni che sono in corso tentativi di arrivare ad una legge senza mai riuscirci. È nostro compito dare un esito legislativo ad un dibattito che è in corso da almeno dieci anni, in particolare dopo casi che hanno turbato l'opinione pubblica e che hanno sollevato un'ampia discussione. Non farlo significherebbe alimentare i dubbi dei cittadini sulla capacità dei propri rappresentanti di maggioranza o di opposizione di svolgere con efficacia il compito che è stato loro demandato. Fare una legge non è solo opportuno, è necessario; del resto, è un impegno che abbiamo preso tutti insieme la sera drammatica della morte di Eluana Englaro. Un impegno che anche le massime autorità istituzionali del nostro Paese ci hanno invitato ad onorare.

Pag. 97

(Annunzio di una questione sospensiva - A.C. 2350-A)

PRESIDENTE. Avverto che, oltre alle questioni pregiudiziali di costituzionalità Palagiano ed altri n. 1 e Farina Coscioni ed altri n. 2, presentate prima dell'inizio della discussione sulle linee generali e già annunciate, è stata altresì presentata la questione sospensiva Franceschini ed altri n. 1, che è in distribuzione (vedi allegato A - A. C. 2350-A).
Ricordo infine che, in occasione della riunione della Conferenza dei Presidenti di gruppo del 2 marzo 2011, si è convenuto che il seguito dell'esame con votazioni del provvedimento avrà luogo nel calendario successivo con contingentamento dei tempi.

Modifica nella costituzione della Giunta per le autorizzazioni.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta per le autorizzazioni, nella seduta odierna, ha eletto segretario il deputato Armando Dionisi.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,15).

LAURA FRONER. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAURA FRONER. Signor Presidente, con questo intervento vorrei chiedere alla Presidenza di valutare l'opportunità che sia inserito nel calendario dell'Aula quanto prima il disegno di legge n. 2451 al quale sono state abbinate la proposta n. 1298 a mia prima firma e la n. 12 a prima firma Zeller, concernente la ratifica e l'esecuzione dei Protocolli della Convenzione nazionale delle Alpi fatta a Salisburgo nel 1991, già approvata dal Senato nel maggio 2009 e in stato di relazione alla Camera dal 18 maggio del 2010. Vorrei segnalare che l'Italia è l'unico Paese alpino dell'Unione europea che non ha ratificato i protocolli. Pur detenendo il 27 per cento del territorio alpino e il 28 per cento della popolazione, il nostro Paese sembra non avere a cuore l'impegno e la responsabilità nei confronti dell'ambiente e della popolazione che lo abita. Nonostante proprio l'Italia abbia a suo tempo chiesto ed ottenuto di istituire nel nostro territorio una delle due sedi ufficiali della Convenzione delle Alpi. È comprensibile quindi che la mancata ratifica dei protocolli esattamente a venti anni dalla Convenzione sia stato oggetto di forti critiche durante la XI Conferenza delle Alpi che si è svolta proprio a Brdo e in Slovenia.

PRESIDENTE. Onorevole Froner, ovviamente le sue osservazioni verranno tenute in debito conto. Lei sa che le procedure per l'iscrizione dei punti all'ordine del giorno dell'Assemblea sono molto chiare e quindi se sollecita anche il suo capogruppo a fare la richiesta da lei indicata, ovviamente la Conferenza dei presidenti di gruppo nelle prossime riunioni per il calendario del mese di aprile o quant'altro potrà eventualmente tener conto della sua richiesta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 10 marzo 2011, alle 9,30:

Svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta termina alle 19,20.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI MARIO BACCINI, FABIO EVANGELISTI, ISABELLA BERTOLINI E ANNA MARGHERITA MIOTTO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 2350-A

MARIO BACCINI. Onorevoli colleghi, oggi discutiamo su come legiferare in materia Pag. 98di vita, il valore più sacro ed inviolabile tutelato da ogni religione, da ogni Carta costituente e da ogni testo di diritto. Un valore che, come ha ribadito il Santo Padre, non è negoziabile. È giusto che lo Stato, democratico, laico e libero si doti di una norma in materia di decisioni mediche di fine vita, e che lo faccia senza dimenticare che vi sono, appunto, principi inalienabili e non sacrificabili.
I cristiano popolari che io rappresento oggi, hanno aderito al Popolo della Libertà nella convinzione che questo partito fosse proiettato nella dimensione sovranazionale del Popolarismo europeo che raccoglie tutti i cattolici e cristiani sotto un unico vessillo e che fonda le sue radici nella tradizione, nei valori. L'articolo 3 dello statuto del PPE fa proprio riferimento a queste origini: «Diritti umani inalienabili, libertà, democrazia, stato di diritto, solidarietà, giustizia, pari opportunità e uguaglianza tra uomini e donne, sono le pietre angolari dei nostri valori. Essi riflettono la nostra concezione dell'uomo, che è stata influenzata soprattutto dal Cristianesimo e dall'Illuminismo». Noi, come rappresentanti nel Parlamento italiano del popolarismo e del cattolicesimo, non possiamo sottrarci alla difesa di quei valori.
Il valore della vita supera le ragioni contingenti dell'essere e del tempo. Oggi ci troviamo a dibattere e a riflettere sulla necessità di tutelare un bene indisponibile e sacro che non dovrebbe esser strumentalizzato o banalizzato a fini di propagandistici od elettoralistici. Le norme che discutiamo riguardano uno degli ambiti più complessi della biopolitica e un tema tra i più impegnativi eticamente e giuridicamente. Sono in gioco principi fondamentali, dai quali passa una parte importante di come si intende costruire la società del futuro: se una società solidale, responsabile, fondata sulla centralità della persona oppure se utilitaristica, nichilista, lontana dai bisogni reali e incapace di farsi carico dei più vulnerabili.
Nel rispetto dell'autonomia delle persone, che non può essere mai assoluta ma andrebbe sempre declinata in modo relazionale, nella massima considerazione delle diverse sensibilità culturali e nella doverosa condivisione di regole laiche in una democrazia liberale, come ogni cittadino sento la necessità di una legge che disciplini le decisioni mediche di fine vita diminuendo almeno in parte l'incertezza delle persone e delle famiglie nei momenti più drammatici dell'esistenza. Nel formularla, occorre tenere sempre presente la libertà degli individui e contemporaneamente tutelare, per quanto possibile, il bene supremo della vita, fuori da qualunque tentazione di «risolvere il problema del soffrire eliminandolo alla radice con l'anticipare la morte al momento ritenuto più opportuno», come autorevolmente ammonisce l'enciclica Evangelium Vitae.
Una buona legge sul cosiddetto testamento biologico deve rifuggire due estreme: quella di ammettere anche surrettiziamente derive eutanasiche e quella di imporre l'accanimento terapeutico, rifiutato da noi cristiani secondo la coscienza laica e secondo gli ammonimenti della Chiesa. In questi anni in cui le ragioni del mercato tendono a prendere il sopravvento sui valori tradizionali fondativi della convivenza civile, della socialità, dello sviluppo interiore dell'essere umano, il valore della vita è ciò che ha mosso e muove l'umanità verso il progresso. Fedele a questo principio, reputo necessaria e doverosa politicamente la sua difesa. Esiste però una dignità umana che è parte integrante dello stesso principio. La morte, come ogni buon cristiano sa, è parte della vita stessa. Non siamo padroni di togliere la vita a nessuno o di anticipare la morte a nostro piacimento, ma nel rispetto dell'esistenza stessa e appunto della dignità della persona, è indispensabile che si rispetti la volontà di ciascuno di fare le proprie scelte sulle cure mediche a cui sottoporsi. Esemplari a questo riguardo sono i documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica che ben illustrano la sostanza e l'estensione dell'autonomia individuale di fronte alle terapie.
L'eutanasia è la negazione della vita e insieme nega la stessa possibilità di scelta. L'accanimento terapeutico trasforma l'uomo in una cavia da laboratorio e ne svilisce Pag. 99la dimensione antropologica più profonda, impedendo che si compia il corso naturale dell'esistenza. I nostri padri costituenti, ispirati e illuminati anche dall'esperienza tragica della barbarie delle sperimentazioni naziste sugli esseri umani, hanno previsto nella Carta Costituzionale la tutela della salute. L'articolo 32 recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Non vi può essere un «obbligo» e il medico non è mai tenuto a pratiche contro «scienza e coscienza».
Una formulazione perfetta che contiene tutti gli elementi essenziali per orientare la norma in discussione oggi.
La complessità del tema, l'impossibilità della legge di prevedere e regolare tutti i casi controversi che dovessero emergere, l'irriducibile forza delle circostanze concrete che si dovranno affrontare nelle famiglie e nelle strutture sanitarie, mi inducono a proporre un altro strumento fondamentale: una Authority che possa affrontare di volta in volta, caso per caso, persona per persona, nella specificità delle circostanze, i casi controversi, di difficile interpretazione, del testamento biologico o i casi di conflitto tra il paziente, le famiglie e i medici curanti. È fondamentale che le decisioni mediche di fine vita non entrino nella spirale dei tribunali e vengano affrontati altrove: nei comitati etici competenti e, in seconda istanza, presso una Authority.
Il valore della vita non è negoziabile, i comportamenti umani, invece, hanno bisogno di essere regolamentati nel rispetto di questo principio superiore. In questo particolare momento storico, segnato da un neopaganesimo dilagante, il senso dell'esistenza è spesso contemplato sotto l'aspetto utilitaristico e non morale. La vita viene trattata come mero bene materiale e non come valore assoluto. Dobbiamo rovesciare questa visione. Per tornare a dare significato al principio dell'unicità dell'essere e dell'inviolabilità della persona bisogna necessariamente fare un passo indietro e porsi in un'ottica esterna al proprio io. È necessario tornare a riflettere su quanto siano importanti e imprescindibili l'immedesimazione e l'accoglienza dell'altro. Solo l'accettazione consapevole e il rispetto dell'altro come persona ci possono far comprendere il senso pieno dell'esistenza.
Evitiamo, dunque, norme autolesionistiche o difficilmente applicabili ma manteniamo saldi i principi e i valori che sono alla base della nostra civiltà.
Resto convinto che in uno Stato laico vi sia la necessità di una legge che tracci i limiti, nel rispetto della comune convivenza, di una legge che crei dei punti fermi capaci di evitare il disordine delle iniziative «fai da te» e che eviti nuovi precedenti pericolosi come nel caso Englaro. La legge va tuttavia integrata dalla previsione della creazione di una Authority preposta che impedisca la deriva giudiziaria e il totale caos di sentenze contraddittorie.
Con questa riflessione lascio al Parlamento la decisione sul testo che oggi stiamo proponendo nella convinzione che approvandolo si faccia un passo avanti significativo in una materia così profondamente sentita e importante.

FABIO EVANGELISTI. Oggi ci ritroviamo a proseguire la discussione generale su un tema tanto delicato e sensibile, da meritare soltanto rispetto e silenzio. Un tema che dovrebbe, dunque, farci abbandonare qualsiasi preconcetto ed immergere - invece - nella pietas per la mortale condizione umana, per l'altrui sofferenza, per il rispetto delle altrui volontà.
L'onorevole Di Virgilio nella sua introduzione ha ricordato bene come il diritto alla vita sia sempre stato garantito e tutelato in tutte le società. Ha ricordato come si tratti di questioni delicate e controverse, anche in virtù dei progressi che la medicina compie ogni giorno. Pag. 100
Ha rammentato, inoltre, che in questo momento, ora, mentre noi parliamo, tremila persone vivono «sospese tra cielo e terra» e, con loro, le loro famiglie. Però sia chiaro: nessuno vuole tenere in vita forzatamente un individuo destinato a morire, ma - neanche - abbreviare volutamente la sua vita.
Occorre, però, rispettarne sempre la fine naturale.
Fondamentale è, comunque, che, anche ai malati terminali, sia garantito l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore che riteniamo assolutamente irrinunciabili.
Il disegno di legge di cui parliamo oggi, cosiddetto Calabrò, si propone di vietare la sospensione di alimentazione e idratazione del paziente, in persistente stato vegetativo, anche se contro la stessa volontà del paziente.
Per quanto riguarda le Dat (dichiarazioni anticipate di trattamento) da parte del paziente, il disegno di legge Calabrò prevede che il medico non sia vincolato a seguire le dichiarazioni anticipate di trattamento del paziente in previsione di una futura perdita della capacità di intendere e volere che, quindi, non sono più vincolanti per il medico.
Un vero e proprio abuso di potere che lede la libertà di ogni individuo e il rispetto della dignità della persona, valori che prescindono dall'esistenza di un vincolo di cittadinanza che lega il cittadino allo Stato e per questo inalienabili.
Questa maggioranza parlamentare intende portare a casa il provvedimento con il placet del cardinale Bagnasco che, infatti, afferma: «La legge che sta per essere discussa alla Camera rappresenta un modo concreto per governare la realtà e non lasciarla in balia di sentenze che possono a propria discrezione emettere un verdetto di vita o di morte. I malati terminali rischierebbero di essere preda di decisioni altrui».
Nel mese di dicembre, la scomparsa del grande regista Mario Monicelli, morto suicida, ha scatenato in quest'aula una tristissima e cruenta polemica ed è diventato argomento di scontro tra sinistra e destra. Una destra, rappresentata dal Ministro Rotondi, che, all'invito ad inchinarsi e rispettare la figura del Maestro Monicelli ha rimarcato con ancor più convinzione la sua posizione: «Non taccio perché né Monicelli né alcun maestro su questa terra hanno diritto assoluto sulla propria vita».
Io su questo concetto mi sono sinceramente interrogato, arrivando a chiedermi: vivere vuol dire forse dipendere da una macchina e continuare a vegetare in eterno fino a quando il corpo non si stancherà di ricevere pressioni dall'esterno?
Sulla Treccani «vivere» significa essere dotato di vita, delle condizioni proprie della vita. Per me, dunque, «vivere» vuol dire respirare e mangiare autonomamente, muoversi, ridere, piangere, poter dire sì o di no.
E allora il ricordo, accompagnato da triste rammarico, da vergogna persino, per la triste affermazione di Silvio Berlusconi sul caso di Eluana torna forte e prepotente. Parole testuali: «Non voglio sentirmi io responsabile di omissione di soccorso. Io non voglio la responsabilità della morte di Eluana, una persona viva e che può fare figli».
Erano i giorni del processo Mills e, probabilmente, il Premier tentava ancora una volta di spostare l'attenzione dei media su questioni che avrebbero potuto distrarre l'opinione pubblica dalle sue vicende personali.
Allora come oggi.
Così il primo passo, avuto con la sentenza n. 21748 del 2007 della Corte di Cassazione a seguito del caso Englaro che afferma che è diritto del soggetto se scegliere di continuare a vivere oppure no, ha fatto discutere e continua a far discutere, facendoci risentire le stesse identiche invettive già scagliate contro Beppino Englaro e Mina Welby quasi che noi (e gli stessi Beppe e Mina) fossimo una sorta di testimonial del partito della morte, in contrapposizione ovviamente al partito dell'amore.
Il testamento biologico rispolverato, ritirato fuori da un polveroso cassetto con la speranza che su questo punto si disintegri il Pag. 101terzo polo. Ed ecco in opera, in questo contesto, la propaganda di regime, pronta a far fino in fondo la propria parte.
Ecco cosi nascere la giornata degli stati vegetativi. Fissata, pensate un po', ma guarda il caso, proprio per il 9 febbraio, il giorno della «seconda» morte di Eluana. Quella seconda e definitiva morte che ce l'ha resa immortale e indimenticabile simbolo di libertà!
Ciò che più mi interessa, ciò che preme alla mia coscienza liberale e al mio spirito costituzionale, è denunciare, per l'ennesima volta, l'atteggiamento arrogante, canzonatorio e sprezzante di questo Governo che, per manifestare una posizione, non ha trovato altra data utile se non quella dell'anniversario della morte di Eluana Englaro, il 9 di febbraio appunto.
Una data che vi si riverserà contro.
Una scelta, però, che - anziché unire - ha diviso, con la pretesa di assurgere a «valore condiviso» un'idea e un sentimento che, evidentemente, non a tutti appartengono.
Una vera e propria opera di speculazione politica ai danni di un uomo cui la vita aveva già riservato tante amarezze, un'insensibilità per le migliaia di famiglie che realmente sanno di cosa stiamo parlando.
Il bieco cinismo nella speranza che questo argomento potesse diventare centravanti di sfondamento contro l'unione di Fli e Udc, la speranza di salvare la baracca sulla pelle, letteralmente, di migliaia di anime e familiari in pena.

ISABELLA BERTOLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Si può morire per fame e per sete in Italia? Qualsiasi persona normale vi risponderà in modo sdegnato che non è possibile.
Non si può immaginare che una cosa del genere possa avvenire nel nostro Paese dopo che abbiamo imboccato da oltre un decennio gli anni 2000. La nostra coscienza sarebbe turbata se fossimo a conoscenza di cose di questo tipo. In un Paese dove siamo sempre pronti a mobilitarci per qualsiasi causa più nobile, o meno nobile, un fatto ripugnante come questo non può avvenire. Eppure è successo.
Ed è successo con tanto di sigillo della magistratura. Chi ha stabilito che Eluana Englaro doveva morire è stato un giudice, chiamato ad emettere sentenze e a fare giustizia. Ma la giustizia di cui è stata vittima Eluana noi la rifiutiamo. Perché è stata proprio la vita soppressa della cittadina italiana Eluana Englaro uno dei motivi che ci hanno portato alla discussione di questa legge.
E dire che per salvarla dalla terribile morte, per fame e per sete, si era addirittura mosso il Governo. L'Esecutivo, guidato da Silvio Berlusconi, ha avuto il coraggio di fare l'unica cosa che andava fatta: un decreto-legge per salvare la vita di Eluana. È stata una delle pagine migliori nella storia della difesa della vita umana. Sappiamo tutti come è andata a finire. Conosciamo bene le responsabilità di ognuno. Per quanto mi riguarda non avrei avuto un solo attimo di esitazione a votare quel decreto.
Ma se oggi siamo qui ad affrontare questa legge è anche perché la discussione sul testamento biologico parte da lontano ed è da anni oggetto di scontro nel nostro Paese. Perché l'obiettivo che si vuole raggiungere, e cioè quello di garantire ad ogni individuo che il trattamento medico che gli verrà riservato quando non fosse più capace di intendere e di volere corrisponda alla sua reale volontà, è un obiettivo molto complesso.
La difficoltà infatti è trovare un giusto bilanciamento, un giusto equilibrio tra diversi principi fondamentali, tutti egualmente tutelati dalla nostra Carta costituzionale: da un lato c'è il diritto alla vita e la sua indisponibilità, il diritto alla tutela della salute, che è un bene per la persona e per l'intera società, tanto è vero che lo Stato investe su questo ingenti risorse e c'è anche il dovere del medico di curare i suoi pazienti.
Dall'altro lato, però, c'è il diritto di ogni individuo all'autodeterminazione nelle scelte terapeutiche ed il diritto al rifiuto di trattamenti sanitari non voluti. Pag. 102
E allora, a mio avviso, per trovare questo giusto bilanciamento dobbiamo fare una legge che si ispiri e si radichi ad una forte concezione valoriale, e che assuma anche nel tempo una funzione pedagogica e culturale.
Oggi siamo di fronte ad un contesto sociale che tende a rendere sempre più invadente la concezione dei desideri, che devono per forza diventare diritti. Anche questa proposta di legge è trascinata da un effimero consenso interamente mediatico sulla perentoria rivendicazione di questo nuovo diritto: il diritto a morire.
Siamo di fronte ad un sovvertimento dei valori che oggi ci impongono un modello di vita che deve essere sempre «vincente». Di fronte a questo pericoloso e snaturato modello, situazioni di vita diverse non possono nemmeno lontanamente essere prese in considerazione. In questo desolante senso di vuoto valoriale il passo che ci porta a dire che una vita, magari costretta per anni in un letto, non è degna di essere vissuta, è davvero brevissimo.
Ed ecco che, a supportare la necessità della vita 'vincente' a tutti i costi e a mettere in moto la degenerata classifica delle vite non degne di essere vissute, arriva il testamento biologico.
È un sapiente espediente che si basa su delle false promesse per l'uomo, che ha deciso di volere a tutti i costi una vita fatta solo ed esclusivamente di gioie alla mercé di qualunque capriccio.
E da tempo assistiamo ormai quotidianamente ad una ignobile propaganda da parte dei fautori del testamento biologico o peggio dell'eutanasia. Basta pensare ad alcune trasmissioni televisive recenti (Vieni via con me, Annozero), o alla messa in onda di uno spot voluto dal partito radicale a favore della «dolce morte». O ancora se pensiamo all'enfatizzazione data al suicidio del regista Mario Monicelli, fatto passare non come il gesto disperato di un uomo molto anziano e gravemente ammalato, ma come un significativo gesto di libertà.
C'è una vera e propria lobby pro-eutanasia, che sta tentando di plagiare l'opinione pubblica sul fine vita, spesso con messaggi demagogici e fuorvianti rivolti ad un pubblico indifferenziato e potenzialmente suggestionabile. Penso soprattutto ai più giovani.
Non viene data però uguale voce a chi chiede garanzie di assistenza e cura, a chi si batte per riaffermare il diritto a vivere. Evidentemente non fa audience mostrare la sofferenza, la disabilità, la difficoltà, la solitudine, che però non tolgono alla persona la dignità ed il diritto a continuare a vivere.
E in tutto questo dibattito mi viene un grande dubbio, che dovrebbe essere il dubbio di tutti noi chiamati a votare questa legge: ma sono i malati che invocano il testamento biologico e l'eutanasia, o sono le persone sane?
Chi soffre di solito chiede aiuto, cure adeguate, desidera assistenza, spera di non essere abbandonato, cerca affetto, calore umano. Chi si sente amato non desidera affatto morire.
Se invece uno si sente solo, se è depresso, angosciato, se teme di essere un peso per chi lo assiste, forse può desiderare di morire, ma non percepirebbe l'eutanasia come il godimento di un diritto fondamentale (quello di poter disporre della propria vita) ma come una disperata scelta obbligata.
Chi tende a farsi paladino dell'eutanasia è chi è sano che, vedendo la sofferenza altrui, tende a proiettare sé stesso nella medesima realtà di sofferenza, unita magari alla paura di non farcela. Oppure ha paura di dovere assistere chi già soffre, di stare accanto a malati così complessi.
È difficile legiferare su questa materia. Non per niente nel corso delle varie legislature, il Parlamento, con maggioranze sia di sinistra che di centrodestra, non è riuscito fino ad oggi a licenziare un testo. Non è detto che di per sé sia un male. Anzi, ritengo che l'importante ruolo di approfondimento svolto da entrambi i rami del Parlamento vada sottolineato una volta di più. L'attenzione e lo scrupolo sono ottime qualità per un legislatore. Non sono inutili orpelli da sacrificare sull'altare delle classifiche di produttività. Non siamo Pag. 103certo stati eletti o chiamati a svolgere questa funzione per metterci una medaglietta al petto da esporre alla bisogna di fronte ad uditori più o meno interessati all'argomento.
Personalmente sono sempre stata contraria ad una legge sulla materia del fine vita e i miei dubbi non sono stati del tutto fugati dal grande lavoro fatto prima in Senato e poi alla Camera.
Nonostante la mia contrarietà, mi rendo conto però che, in assenza di un riferimento normativo, sarà ancora la magistratura a decidere sul fine vita.
Ci sono già infatti alcuni giudici tutelari che ritengono di poter utilizzare l'istituto dell'amministratore di sostegno, nato per dare assistenza alle persone non autonome, per raccogliere invece dichiarazioni anticipate, per poi renderle esecutive quando il soggetto dovesse finire in uno stato di incoscienza.
Ma da tempo è in atto anche un altro inaccettabile tentativo di forzare la mano all'unico luogo competente su questa materia che tutti sappiamo essere il Parlamento.
Ci sono alcuni comuni che si sono inventati i cosiddetti «registri per il testamento biologico». Trovate estemporanee ed inutili che non hanno alcuna validità giuridica, ma che testimoniano la pervicace ed invasiva volontà della lobby che vuole mettere le mani sulla vita e sulla morte dei cittadini.
Solo a titolo informativo, negli enti locali che hanno istituito questo tipo di registro i cittadini non se ne sono neanche accorti. I richiedenti sono nell'ordine dello «zero virgola». Questo è un altro dato che dovrebbe farci riflettere se, come spesso si sente affermare, è la società che ci chiede di legiferare su questa materia.
Molti sostengono che questa legge, ancora in discussione, sia servita come un deterrente per evitare ulteriori sentenze come il caso «Englaro», ma che siano molti i casi giudiziari che potrebbero trovare un avvio, se la legge non venisse approvata. E questa legge potrebbe rappresentare allora una barriera contro queste derive relativiste, diventando anche strumento per una battaglia culturale a favore della vita.
Se questo è l'obiettivo c'è però bisogno di una legge chiara che non lasci spazio ad interpretazioni o ad equivoci.
E su questo dobbiamo e possiamo ancora lavorare, perché a mio avviso ci sono punti inderogabili sui quali non ci possono essere mediazioni. Alcuni già compresi nella legge, altri che forse possono essere rivisti.
Primo punto: il principio che la vita è un bene indisponibile e va tutelata dall'inizio alla sua fine naturale senza deroghe, senza tentennamenti. Dobbiamo riaffermare che c'è un diritto a vivere e non un diritto a morire. Quindi esiste un diritto a rifiutare i trattamenti sanitari, ma esiste anche il dovere di tutelare la propria salute e la propria vita.
Esiste un diritto a rifiutare l'accanimento terapeutico, ma questo rifiuto non può essere oggetto di scelta per il semplice fatto che esso è illegittimo sia sul piano clinico, sia sul piano etico. Non avrebbe senso invitare i cittadini a firmare una dichiarazione per ottenere in termini di scelta ciò che deve essere loro garantito dallo stesso sistema sanitario nazionale. E dalla buona prassi clinica.
Secondo punto: nessuna concessione a forme di eutanasia, sia diretta o indiretta, attiva o passiva.
Terzo punto: le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento non possono essere obbligatorie. E fatemi spiegare perché a mio avviso non possono essere obbligatorie.
Cominciamo col dire che nessuna persona al mondo può anche solo immaginare che cosa proverà veramente se un giorno si troverà affetto da una malattia invalidante, o da un male incurabile, o in uno stato di incoscienza.
Appare quindi chiaro, a chi ha l'onestà intellettuale per ammetterlo, che la volontà espressa oggi potrebbe non essere la stessa quando la persona sarà colpita dalla malattia. Il tutto senza considerare che nessuno Pag. 104è in grado di prevedere oggi ed immaginare il futuro dei progressi della medicina.
Come può allora una DAT prefigurare scenari futuri non prevedibili, come può cogliere le differenze nell'ambito delle stesse patologie, come può immaginare le differenze di contesto in cui un evento può accadere?
È un tentativo maldestro ed illusorio di poter essere determinanti sul corso della nostra vita e della nostra morte.
Con le DAT ci si illude di poter trasferire il consenso informato di un paziente al momento in cui tale consenso non è possibile manifestarlo. Le DAT non sono il concreto esercizio della libertà di scelta. Non sono attuali, sono generiche, imprecise. Rischiano di lasciare spazi interpretativi ed applicativi. Come si può preventivamente rappresentare ad una persona quali potranno essere le condizioni, le terapie, le soluzioni, le scelte di fronte alle quali potrebbe venire a trovarsi se colpito da una malattia?
Con le DAT ci si illude di poter trasferire il consenso informato di un paziente al momento in cui tale consenso non è possibile manifestarlo.
Le DAT, si dice, potrebbero impedire l'accanimento terapeutico, ma questo è già eticamente e deontologicamente vietato. Già oggi non ci si può accanire su nessun paziente.
Ecco perché le DAT, a mio avviso, non possono essere vincolanti: il medico deve operare in libertà, con l'unico scopo di tutelare la salute del paziente, facendo il suo bene, in scienza e coscienza.
Quarto punto: idratazione ed alimentazione non sono un atto medico e come tali non possono essere sospese. Sono cure nel senso che rappresentano per il paziente un sostegno vitale. Inutile puntualizzare che possono essere sospese quando «risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche del corpo».
Nessun medico si accanisce a iniettare sostanze che non giovano più al malato.
Quinto punto: dobbiamo salvaguardare l'autonomia del medico, la sua professionalità e tutelare il rapporto fondamentale dell'alleanza terapeutica fra medico e paziente. Un corretto rapporto fra questi due soggetti non può essere alterato facendo entrare in rotta di collisione la legittima autonomia del malato e gli intangibili doveri del medico.
Ma la questione che davvero mi pone delle perplessità riguarda il cosiddetto «allargamento della platea» a cui si rivolge questa legge. Non più solo i soggetti in stato vegetative persistente, ma tutti i soggetti che si trovano nell'incapacità permanente di comprendere le informazioni che lo riguardano (vedi malati di Alzheimer). Su questo io non sono d'accordo.
Concludo dicendo che vorrei votare questa legge solo avendo la certezza che, licenziando questo testo, possiamo evitare la discrezionalità e l'ingerenza della magistratura, solo se questa legge sarà in grado di vincolare adeguatamente coloro che la dovranno applicare.
Ho ancora però molti dubbi in proposito, perché i magistrati fino ad oggi hanno dimostrato di essere favorevoli alla cultura della morte non a quella della vita. E mi chiedo se chi ha già più volte esplicitato il proprio orientamento relativista potrà continuare a comportarsi come prima.
Ecco perché non riesco ad amare questa legge.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Serve una legge? E quale legge?
La legge deve avere carattere di generalità e come si potrebbe applicare la norma in questa materia ove le situazioni sono una diversa da ogni altra ed andrebbe trattata caso per caso?
Si è detto servirebbe una soft law e concordo.
Peraltro non c'è un vuoto normativo! Anzi abbiamo varie norme: l'articolo 32 della Costituzione, il Codice deontologico dei medici, la Convenzione di Oviedo, il trattato di Nizza e non ultimo, possiamo fare ricorso agli orientamenti del Comitato Nazionale di Bioetica che ripetutamente si è espresso in queste materie.
Sarebbe stato più chiaro al Paese se aveste avuto il coraggio di dire con tre parole Pag. 105la sfiducia che avete dimostrato di nutrire verso i famigliari dei pazienti ed i medici anche nel dibattito odierno: "è vietata la DAT".
Anche noi avremmo auspicato una legge con poche parole e ci sarebbe stato lo spazio per una legge essenziale che lasciasse inalterato lo spazio della relazione medico-paziente-famigliari e fiduciario accanto alla affermazione sui tre 'no' da tutti condivisi: no all'eutanasia, no all'accanimento terapeutico, no all'abbandono terapeutico del paziente.
Invece con questa legge voi fate a pezzi la relazione di cura che sostiene l'alleanza terapeutica ed aprite la strada ad una esasperazione della medicina difensiva, oltre ad una serie infinita di conflitti sui quali dovranno essere ancora una volta i magistrati a decidere! Ma non era questa condizione che volevate evitare?
Noi del Partito Democratico in lunghi mesi di lavoro in commissione abbiamo cercato con l'ottimo lavoro condotto dall'onorevole Livia Turco di mettere al centro della discussione l'unico tema capace di affrontare in modo appropriato queste questioni, rifuggendo dagli estremismi, e cioè l'alleanza terapeutica. Anche voi la citate nel testo della legge ma la smentite nei commi successivi.
L'alleanza terapeutica è espressione di pari libertà e dignità di diritti e doveri fra medico e paziente, nel rispetto ovviamente dei ruoli di ciascuno. Su di essa si fonda il consenso o dissenso informato del paziente al pari dell'autonomia e della responsabilità del medico che opera in scienza e coscienza.
Ogni alleanza assume particolare significato nelle decisioni e nelle scelte che riguardano le relazioni di cura che affrontano condizioni a prognosi infausta in fase terminale o contraddistinte da perdita di coscienza: così affermano gli Ordini dei medici italiani.
Ed allora perché il consenso informato trasferito nella DAT non dovrebbe avere valore? Il principio è contenuto nel Codice di deontologia medica: «il medico, se il paziente non è in grado di esprimere le proprie volontà, deve tener conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato»; è appunto la DAT.
Vedete, è una ragione in più per limitarsi al «diritto mite» che si limiti a definire la cornice di legittimità giuridica della DAT senza invadere l'autonomia del paziente e la responsabilità del medico prefigurando tipologie di trattamenti disponibili o non disponibili nella relazione di cura.
Eppure anche su questo punto, cioè idratazione e alimentazione possano o no essere contenute nelle DAT, lo sapete bene che dopo il passaggio al Senato ci sono stati pronunciamenti importanti e ne cito uno su tutti, tratto dal Documento degli Ordini dei medici italiani che afferma: «in accordo con una vasta ed autorevole letteratura scientifica, la nutrizione artificiale è trattamento assicurato da competenze mediche e sanitarie, in grado di modificare la storia naturale della malattia e richiede il consenso informato del paziente». Perché parlare qui oggi come due anni fa, di acqua e cibo? E non di nutrizione artificiale?
Ed ancora perché non tenere conto di quanto il Comitato Nazionale di Bioetica definì con un documento del 2003 riguardante le DAT, contenuti e forma delle stesse, nel quale viene condotta una analisi comparativa dei modelli di DAT esistenti e si sintetizzano sette indicazioni fra le quali figura la possibile sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale?
Nei nostri emendamenti parliamo di nutrizione artificiale proprio per evitare fraintendimenti. Ma la maggioranza preoccupata unicamente di una inspiegabile ritorsione dopo il «caso Englaro» non ha ascoltato medici, associazioni di malati, esponenti della scienza e della cultura che invocavano un cambio di rotta rispetto al testo «Calabrò» ed ora si appresta con argomenti strumentali ad «andare diritto» come indica il Ministro Sacconi, riportando l'orologio indietro nel tempo, alla fase della battaglia sul caso Englaro, paradossalmente con gli stessi argomenti di due anni fa. Pag. 106
Così non facciamo un buon servizio al paese perché non risolviamo i problemi che abbiamo di fronte.
Forse è l'eutanasia passiva il problema? Per favore, non cadiamo nelle provocazioni!
Nel codice penale non compare il reato di eutanasia, ma non mancano le pene per i reati di omicidio, omicidio del consenziente, eccetera ma evidentemente non c'era la necessità di prevedere e distinguere fra eutanasia passiva ed attiva. E sapete che non c'è bisogno di normarla a meno che non pensiate di vietare un diritto che finora esiste e cioè il diritto a lasciarsi morire; non il diritto a morire, sia chiaro!
E comunque anche in chi nutre il sospetto di questa deriva, facciamo ricorso a ciò che l'episcopato tedesco ha prodotto con il cosiddetto 'testamento biologico cristiano' che non è sottoscritto dai cristiani ma riflette il pensiero cristiano sul tema dell'assistenza ai morenti.
Qui dobbiamo liberare il campo da strumentalizzazioni e da spaccature provocate da nuovi steccati eretti per l'incapacità della maggioranza di entrare nel merito delle questioni; meglio rifugiarsi nel fortino ideologico ed usare la legge per imporre l'accanimento terapeutico, come prevedeva il testo Calabrò! Si afferma qui che il testo è cambiato dopo l'esame in XII Commissione: è vero, ma dove è cambiato? Siamo chiari: la legge non riguarda più solo gli stati vegetativi, ma riguarda tutti gli stati di fine vita, ma non cambia sostanzialmente la validità della DAT che rimane di fatto priva di valore, perché contiene orientamenti e non volontà, non può contenere disposizioni sulla nutrizione artificiale anche se la stessa è disposta con prescrizione medica e comunque può essere disattesa dal medico. Ed inoltre se la volontà della persona è ignorata, il ruolo del medico da un lato ha l'ultima parola ed è dominante nel rapporto con il paziente, dall'altro la legge dimostra di avere nei suoi confronti una scarsa fiducia nella sua professionalità e nella sua deontologia perché ne invade pesantemente l'autonomia.
Questa è una materia che non può sopportare atteggiamenti di stampo opportunistico o peggio di convenienza che copre talora qualche inconfessabile scambio politico, è invece un campo nel quale dovrebbe prevalere l'ambizione di trovare soluzioni che unificano il paese, che facciano fare un passo avanti al confronto fra culture, se - diciamolo fino in fondo - vogliamo porre questo Parlamento in linea con lo spirito della Costituzione.
Anche qui pesa come un macigno il giudizio che più volte è stato dato dal Presidente del Consiglio sulla nostra Costituzione e sul profilo culturale dei nostri padri costituenti; oggi, a conclusione di questa discussione generale posso dire che solo da questi banchi - del Partito Democratico - abbiamo cercato di fondare il nostro argomentare sulle fondamenta solide della sintesi costituzionale, mentre dalla vostra parte è emerso lo spirito della rivincita dopo il caso Englaro e nulla di più.
Ben misero contributo di fronte alla complessità di un tema che ci interpella tutti e non sopporta strumentalizzazioni.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 6)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Pdl 2596-A e abb. - articolo 1 515 495 20 248 494 1 38 Appr.
2 Nom. articolo 2 516 500 16 251 500 38 Appr.
3 Nom. articolo 3 515 460 55 231 460 38 Appr.
4 Nom. articolo 4 512 457 55 229 457 38 Appr.
5 Nom. articolo 5 515 459 56 230 459 38 Appr.
6 Nom. Pdl 2596-A - voto finale 505 440 65 221 440 38 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.