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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 395 di martedì 16 novembre 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 10,05.

EMILIA GRAZIA DE BIASI, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 novembre 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bocchino, Bonaiuti, Bosi, Bossi, Brambilla, Bratti, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Dozzo, Renato Farina, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, Graziano, La Russa, Lo Monte, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliori, Nucara, Leoluca Orlando, Pecorella, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Tabacci, Tremonti, Urso, Vernetti, Vitali, Vito e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

EMILIA GRAZIA DE BIASI, Segretario, legge:
MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede:
l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'operato della magistratura (1093) - alla II Commissione (Giustizia);
un provvedimento d'urgenza per il blocco degli sfratti (1094) - alla VIII Commissione (Ambiente);
ALDO COPPOLA, da Genova, chiede:
il potenziamento dei controlli sulla modalità di formazione del prezzo dei prodotti agroalimentari (1095) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
in occasione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, iniziative per la valorizzazione e la tutela della lingua italiana (1096) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede:
l'introduzione di norme che prevedano la confisca dei beni oggetto di evasione fiscale (1097) - alla VI Commissione (Finanze); Pag. 2
l'introduzione dell'enigmistica classica tra le materie di studio scolastico (1098) - alla VII Commissione (Cultura);
ADRIANO CURCI, da Guidonia Montecelio (Roma), e numerosi altri cittadini chiedono interventi per evitare la chiusura dell'ospedale di Palombara Sabina (Roma) (1099) - alla XII Commissione (Affari sociali);
LUIGI CANGIANO, da Carinaro (Caserta), chiede misure per il riordino delle modalità di gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata (1100) - alla II Commissione (Giustizia);
ARMANDO PUPELLA, da Palermo, chiede la soppressione della possibilità di indicare il candidato Presidente del Consiglio dei ministri sulle schede elettorali per l'elezione di Camera e Senato (1101) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
ROSANNA OCCHIODORO, da Ancona, chiede nuove norme per la tutela dei figli naturali (1102) - alla II Commissione (Giustizia);
FRANCESCO DI PASQUALE, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede:
la proroga dei termini per la regolarizzazione degli immobili non accatastati e l'adozione di un nuovo provvedimento di condono edilizio (1103) - alla VIII Commissione (Ambiente);
interventi per garantire ai cittadini in condizioni economiche disagiate l'accesso alle cure dentali (1104) - alla XII Commissione (Affari sociali);
l'istituzione della «Giornata della comunità» (1105) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
la riduzione dell'importo della tredicesima mensilità per gli stipendi più elevati (1106) - alla XI Commissione (Lavoro);
interventi per la promozione della piena occupazione (1107) - alla XI Commissione (Lavoro);
iniziative per sostenere l'azione del Governo messicano nel contrasto del narcotraffico (1108) - alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 10,10).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 12 novembre 2010, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia):
«Conversione in legge del decreto-legge 12 novembre 2010, n. 187, recante misure urgenti in materia di sicurezza» (3857) - Parere delle Commissioni III, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), VII, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI, XII e XIV.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il senatore Franco Cardiello, in sostituzione del senatore Vincenzo Fasano, dimissionario.

Pag. 3

Discussione congiunta dei disegni di legge: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011) (A.C. 3778-A); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013 (A.C. 3779-A) (ore 10,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta dei disegni di legge: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013.
Ricordo che il disegno di legge di stabilità e il disegno di legge di bilancio saranno esaminati secondo la procedura stabilita dagli articoli da 119 a 123 del Regolamento, in base a quanto stabilito nel parere della Giunta per il Regolamento del 14 luglio 2010.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto, inoltre, che il tempo complessivo per i relatori di minoranza, pari a 25 minuti, è stato ripartito per metà in parti uguali e per metà in proporzione alla consistenza dei gruppi di appartenenza, al fine di consentire a ciascuno un tempo minimo congruo per l'illustrazione delle proprie posizioni.
Pertanto i tempi a disposizione dei relatori di minoranza sul disegno di legge di stabilità risultano i seguenti: Baretta (PD): 9 minuti, Cambursano (IdV): 4 minuti.
I tempi a disposizione dei relatori di minoranza sul disegno di legge di bilancio risultano i seguenti: Calvisi (PD): 9 minuti, Borghesi (IdV): 4 minuti.

(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 3778-A e A.C. 3779-A).

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore per la maggioranza sul disegno di legge di stabilità, onorevole Milanese, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 3778-A. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, l'Assemblea inizia l'esame del testo del primo disegno di legge di stabilità. Questo è il risultato di una discussione approfondita e proficua che si è svolta in sede di Commissione. Il disegno di legge ha iniziato il suo iter in un contesto completamente diverso e con premesse completamente diverse. A quella data, si era detto che la legge di stabilità appariva essenzialmente lo strumento funzionale ad assicurare il rispetto degli impegni assunti con il Patto di stabilità europeo, ciò che determinava la necessità di individuare ulteriori e diversi strumenti per perseguire gli obiettivi di crescita. Tutto ciò è avvenuto, con una eccezione dettata dal momento politico che stiamo vivendo.
Questi ulteriori e diversi strumenti sono invece confluiti nel disegno di legge in esame, almeno per quella parte che è stato possibile inserire.
Il dibattito ha consentito di approfondire, discutere e votare circa trecento proposte emendative, relative a temi fondamentali, che hanno trovato una sintesi nell'emendamento presentato dal Governo e modificato con l'approvazione di subemendamenti proposti da singoli parlamentari o dal relatore e che hanno sintetizzato posizioni sia di maggioranza che di opposizione.
La scelta di inserire determinati interventi ritenuti di straordinaria importanza nel disegno di legge in oggetto, andando anche oltre i limiti di contenuto stabiliti Pag. 4normativamente, è maturata nella seduta di Commissione del 5 novembre ultimo scorso, ove il Ministro dell'economia e delle finanze ha manifestato la disponibilità del Governo a rinunciare all'adozione di un apposito decreto-legge in materia economico-finanziaria per trasferirne i contenuti nella legge di stabilità.
In tale sede, inoltre, ha indicato i principali interventi sui quali si sarebbe concentrata la proposta emendativa del Governo.
La proposta è stata valutata positivamente da tutti i gruppi di maggioranza e di opposizione, che hanno condiviso con il Governo l'esigenza di affrontare gli effetti della crisi economico-finanziaria nell'ambito della manovra congiunturale di bilancio.
In tal modo, è stata riconosciuta al Parlamento la possibilità di una discussione, la cui ampiezza sarebbe stata sicuramente minore nel caso di esame delle misure contenute in un decreto-legge.
Pertanto, sono state rese ammissibili, con l'assenso unanime dei gruppi - così com'è avvenuto lo scorso anno in presenza di un quadro normativo non dissimile a seguito dell'introduzione, in via sperimentale, di disposizioni finalizzate ad anticipare il contenuto della legge n. 196 del 2009 - le proposte emendative di carattere macroeconomico che incidono sull'allocazione delle risorse, al fine di assicurare gli equilibri finanziari, di salvaguardare il sistema di sicurezza sociale e di orientare lo sviluppo dell'economia nazionale.
La Commissione è stata d'accordo, altresì, di intervenire in determinati settori che necessitavano di misure di sostegno.
Il testo che si presenta in Assemblea, dunque, assume una connotazione più ampia di quella delineata dalla nuova legge di contabilità e finanza pubblica, poiché reca anche importanti disposizioni per lo sviluppo dell'economia. Sostanzialmente, Governo e Parlamento, in presenza di una fase politica problematica, nella quale è risultata palese la necessità di adottare tempestivamente misure finalizzate a contrastare gli effetti della crisi economica ed innescare una nuova fase di crescita, hanno ritenuto di dover fornire una risposta eccezionale attraverso la legge di stabilità.
Le modifiche apportate dalla Commissione si sono concentrate soprattutto sul sostegno alla crescita economica e sulla tutela delle categorie maggiormente esposte agli effetti della crisi economica, nonché sul Patto di stabilità interno e sulla finanza regionale e locale.
Va tra l'altro ricordato, come già sottolineato in sede di esame della decisione di finanza pubblica, che la manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento 2011-2013 è stata già sostanzialmente adottata con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
Come è noto, l'esigenza di anticipare la manovra di finanza pubblica alla scorsa estate ha trovato motivo nella necessità di mettere in sicurezza i nostri conti pubblici rispetto alle pressioni speculative ed agli effetti della crisi economica; e mai come in questo momento storico, economico e politico scelta è stata più giusta e corretta.
Come ha confermato lo stesso Governo, la manovra estiva ha consentito il pieno rispetto degli obiettivi indicati, sia nella relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, sia nella decisione di finanza pubblica recentemente approvata da entrambi i rami del Parlamento. Per tali ragioni, il disegno di legge di stabilità al nostro esame non produce, come previsto, ulteriori effetti correttivi sui saldi di finanza pubblica, che risultano confermati.
Per ciò che concerne i contenuti del disegno di legge di stabilità per il 2011 nel testo approvato dalla Commissione, si deve evidenziare che, a seguito delle modifiche apportate nel corso dell'esame, si determina un impiego di risorse (la cosiddetta manovra lorda) pari ad oltre 6 miliardi di euro. Le risorse derivano per circa 4 miliardi da maggiori entrate e per oltre 2 miliardi da minori spese. Gli impieghi si sostanziano in minori entrate per circa 0,9 miliardi, maggiori spese correnti per oltre 4 miliardi di euro e maggiori spese in conto capitale per 1,1 miliardi di euro. Pag. 5
Prima di accennare alle principali misure recate dal provvedimento, che è composto da un unico articolo di 169 commi, si deve segnalare che l'articolo 1, comma 1, e il relativo allegato 1 fissano il livello massimo del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato finanziario per il bilancio di previsione per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, in linea con quanto previsto dall'articolo 11, comma 3, lettera a), della legge n. 196 del 2009.
Venendo all'esame delle modifiche al testo introdotte dalla Commissione, si segnala innanzitutto l'integrazione del Fondo di finanziamento ordinario dell'università, nella misura di 800 milioni di euro per il 2011 e di 500 milioni di euro a decorrere dal 2012. A sostegno del sistema universitario può essere inoltre ricondotta l'istituzione di un credito di imposta, nel limite di spesa di 100 milioni di euro per il 2011, in favore delle imprese che affidano attività di ricerca e sviluppo ad università o enti pubblici di ricerca, nonché l'integrazione del Fondo di intervento integrativo da ripartire fra le regioni per la concessione dei prestiti d'onore e l'erogazione delle borse di studio per un importo pari a 100 milioni.
In materia di sicurezza esterna ed interna, è da segnalare il rifinanziamento del Fondo per le missioni internazionali di pace, per un importo pari a 750 milioni di euro per il primo semestre del 2011, ed il finanziamento del proseguimento degli interventi di controllo del territorio da parte delle Forze armate in funzione di contrasto alla criminalità organizzata.
Di importanza strategica, in continuità con un preciso indirizzo della politica della maggioranza e del Governo, risulta inoltre l'incremento del finanziamento del Fondo sociale per l'occupazione e formazione, al fine di assicurare la concessione per l'anno 2011 di trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale, anche senza soluzione di continuità, e con riferimento a settori produttivi ed aree regionali.
Sempre in quest'ambito, ricordo la misura che disciplina la facoltà di prolungare l'intervento di tutela del reddito per il periodo di tempo necessario al raggiungimento della decorrenza del trattamento pensionistico, nei limiti del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, nonché la previsione volta a consentire l'applicazione, nel limite di 10 mila unità, della normativa previgente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici per una serie di lavoratori che maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2011.
Infine, 100 milioni di euro vengono destinati alle attività di formazione nell'esercizio dell'apprendistato.
Sempre in materia di lavoro, un intervento rilevante, anche sotto il profilo finanziario, è rappresentato dalla proroga per il 2011 del regime di detassazione dei contratti di produttività, che interessa i redditi percepiti in relazione a incrementi di produttività e lavoro straordinario e comporta oneri pari a 835 milioni di euro nel 2011 e a 263 milioni di euro nel 2012.
Particolarmente significativo, anche perché volto a rafforzare la capacità di risposta degli enti locali ai riflessi sociali della crisi economica, appare l'incremento, per un importo di 200 milioni di euro, del Fondo nazionale per le politiche sociali.
La Commissione ha inoltre individuato una serie di esigenze, indifferibili ed urgenti, alle quali destinare un ammontare di risorse, pari complessivamente a 800 milioni di euro. Si tratta, in particolare, del sostegno alle scuole non statali, della proroga del 5 per mille, del sostegno al settore editoriale, di un contributo a favore delle università statali non legalmente riconosciute, della partecipazione italiana a banche e fondi internazionali, di interventi per assicurare la gratuità dei libri di testo scolastici, della prosecuzione del rapporto di lavoro dei lavoratori impegnati in attività socialmente utili.
Per quanto riguarda il comparto agricolo, vanno segnalati gli interventi finalizzati a rendere permanenti le agevolazioni in favore della piccola proprietà contadina e la rideterminazione delle agevolazioni contributive per i datori di lavoro agricoli in zone svantaggiate. Pag. 6
In materia di politiche per la salute, in attuazione dell'impegno contratto con le regioni a garantire risorse aggiuntive, si è provveduto ad integrare il finanziamento del Servizio sanitario nazionale per un importo pari a 348 milioni di euro, che rappresenta quota parte dell'importo complessivo di 834 milioni di euro che dovrà essere erogato entro il 2011. Sono state inoltre introdotte misure per le regioni in disavanzo sanitario, riconducibili al cosiddetto Patto per la salute.
Nel quadro delle politiche per la promozione dell'informazione, vi sono, in materia di contributi all'editoria, le misure a favore della stampa italiana all'estero e l'incremento dei relativi stanziamenti per un importo totale di 105 milioni di euro. Vi è anche il sostegno concesso all'emittenza televisiva locale e all'emittenza radiofonica locale e nazionale nella misura di 45 milioni di euro nel 2011.
L'esame in Commissione, infine, ha rappresentato l'opportunità per introdurre nel testo un'innovativa disciplina del Patto di stabilità interno, frutto di approfondite negoziazioni con gli enti locali, che hanno condotto, tra l'altro, alla modifica dei criteri di calcolo degli obiettivi del patto. Tale intervento, tra l'altro, è stato arricchito da un emendamento del relatore, con il quale sono state recepite proposte emendative dell'opposizione, volte ad attenuare gli effetti derivanti dall'applicazione del patto per i comuni che hanno superato nel 2008 la soglia dei 5 mila abitanti e a consentire di evitare lo scioglimento di società costituite dagli enti locali che abbiano prodotto utili di bilancio negli ultimi cinque anni, nonché a rendere più flessibili le norme in materia di assunzioni di personale. È stata, infine, corretta la tabella relativa al contributo per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte delle regioni a statuto speciale.
Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, concludendo questa mia relazione, voglio ancora una volta ribadire come il lavoro svolto in Commissione, con la guida assolutamente imparziale del presidente Giancarlo Giorgetti, con il Governo, sempre attento e puntuale nel rispondere alle sollecitazioni dei commissari di maggioranza ed opposizione, sia stato il risultato di una discussione senza pregiudizi, in ordine alle priorità della politica economica nazionale ed agli interventi che si ritengono necessari attuare in ragione della loro urgenza.
In questa fase politica, di certo non favorevole, il Parlamento ha dimostrato ancora una volta la propria centralità. Lo ha dimostrato in Commissione ed ora dovrà dimostrarlo in Assemblea, lavorando in modo costruttivo nell'interesse del Paese.
Iniziamo dunque questa fase di esame in Assemblea con tali premesse politiche e con un testo già ben istruito, per il quale si dovrà forse sciogliere un solo interrogativo, che riguarda le agevolazioni fiscali del 55 per cento per le ristrutturazioni edilizie ecocompatibili.
Spero che il Governo possa dare una soluzione positiva a questo interrogativo e che tale soluzione possa essere condivisa da maggioranza ed opposizione, in modo che lo spirito collaborativo manifestato in sede referente sia confermato nella discussione in quest'Aula (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Il relatore per la maggioranza sul disegno di legge di bilancio, onorevole Marsilio, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARCO MARSILIO, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 3779-A. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, la crisi finanziaria globale si è propagata progressivamente all'economia reale, e per tutti i Paesi dell'Unione europea nei primi mesi del 2010 si sono presentate condizioni economiche avverse che hanno attenuato i più recenti segnali positivi del superamento della fase più acuta della crisi. In sede europea, quindi, è stato adottato un piano volto a fornire indirizzi comuni ai Paesi dell'Unione per l'adozione di misure che, tenuto conto dell'evoluzione attesa del Pag. 7quadro macroeconomico, consentissero di contrastare gli effetti della crisi. Anche in relazione al generale contesto europeo resta confermata l'esigenza di una rigorosa azione di contenimento della spesa pubblica, azione che è stata già avviata con il decreto n. 78 del 2010 che recava misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività.
Questo decreto, tra l'altro, contiene norme che producono effetti sul bilancio di previsione per il triennio 2011-2013, e che costituiscono un'anticipazione della manovra triennale di finanza pubblica. Tale azione, al di là dell'indispensabile contenimento della spesa pubblica, è indirizzata anche a liberare risorse per il sostegno dei settori dell'economia maggiormente sofferenti per la crisi. Il disegno di legge di bilancio per l'anno 2011 e per il triennio successivo pertanto è stato predisposto alla stregua di questi presupposti ed è volto a completare l'opera intrapresa con il citato decreto-legge per conseguire obiettivi che il nostro Paese si è impegnato a raggiungere nella sede europea. L'azione di Governo nel corso della crisi ha inteso garantire condizioni di stabilità per la finanza pubblica. In particolare, il Governo ha agito al fine di salvaguardare il sistema creditizio e il risparmio delle famiglie, sostenere i redditi e i consumi, estendere e rifinanziare gli ammortizzatori sociali, potenziare ed accelerare gli investimenti pubblici ed incentivare quelli privati. In conseguenza dell'aggravarsi della crisi finanziaria il Governo, di concerto con i Paesi dell'Unione europea, ha fronteggiato la recessione sia con misure a supporto del settore finanziario al fine di promuovere l'erogazione del credito a famiglie e imprese, sia con quelle di stimolo fiscale, in un quadro di compatibilità finanziaria collegato ai vincoli europei.
Nel corso della recessione il Governo ha costantemente lavorato per mettere in sicurezza il Paese, il suo sistema bancario e finanziario, per fare i conti con la concorrenza internazionale sul terreno dei titoli pubblici in presenza di un alto debito, per favorire la coesione sociale non aumentando la pressione fiscale, e per sostenere la solidarietà sociale indirizzando grandi risorse agli ammortizzatori sociali. Diversamente da quello che afferma l'opposizione, la cui linea finanziaria di crescita in deficit avrebbe portato l'Italia ad una situazione analoga a quella greca, il Governo in questi due anni è intervenuto in modo consistente, e i risultati si vedono. Il documento di finanza pubblica poggia su due pilastri fondamentali: razionalizzazione della spesa pubblica e lotta all'evasione fiscale. Nell'ottica dell'eliminazione degli sprechi, anche potenziali, il Governo ha inteso guardare non solo in prospettiva futura ma addirittura al passato, più esattamente a tutte quelle autorizzazioni di spesa i cui stanziamenti, evidentemente già decisi sulla base di altre leggi finanziarie, non sono stati utilizzati. Infatti, le misure adottate dal Governo sul contenimento della spesa in materia di pubblico impiego hanno determinato l'attuazione di un modello organizzativo in grado di migliorare gli standard di efficienza attraverso la semplificazione e la reingegnerizzazione dei processi. L'amministrazione quindi si trova, in prospettiva di una razionalizzazione della spesa pubblica e di una maggiore efficienza dell'azione amministrativa, nella necessità di provvedere nel prossimo triennio alla revisione dei propri modelli organizzativi, anche attraverso la costruzione di poli logistici integrati, al fine di gestire in modo integrato le funzioni e le prestazioni erogate dal Ministero e dagli enti previdenziali e assicurativi. Allo stesso tempo sono stati previsti interventi di sostegno al reddito nonché misure per lo sviluppo delle opportunità di lavoro, avendo particolare riguardo alle donne e ai giovani. Oltre a ciò il Governo ha garantito all'amministrazione di svolgere un'attività di mediazione tra le parti sociali nelle vertenze collettive di lavoro, di sviluppare percorsi di formazione professionale, di pianificare azioni di contrasto al lavoro irregolare attraverso un potenziamento dell'attività ispettiva, di prevedere misure di sostegno alle pensioni, nonché di vigilanza sulla sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico obbligatorio. Infine il Governo ha predisposto Pag. 8misure di contrasto alla povertà e a ogni altra forma di emarginazione. In tale ambito è stato considerato particolarmente importante il ruolo del terzo settore, che il Ministero competente intende valorizzare. Si rileva che le riduzioni intervenute sulle dotazioni finanziarie applicando i decreti-legge n. 112 del 2008 e n. 78 del 2010 hanno sollecitato un ammodernamento della struttura amministrativa, al fine di conseguire maggiore efficacia dell'azione nei confronti dei cittadini.
Al riguardo si evidenzia come il contenimento dei costi fissi amministrativi e una riallocazione delle risorse umane e finanziarie comportino una generale riqualificazione delle politiche e delle funzioni.
Per quanto riguarda la lotta all'evasione fiscale e l'accelerazione degli incassi delle maggiori imposte, dovute all'attività di accertamento, è stata revisionata la disciplina della partecipazione degli enti territoriali alle attività di accertamento e riscossione allo scopo di incentivarle. Si rende obbligatoria la costituzione di Consigli tributari ed è aumentata la quota di gettito riservata ai comuni relativa alle maggiori somme riscosse con l'intervento dei comuni stessi nell'accertamento. Nell'ottica di accelerare l'attività di riscossione dei tributi, si anticipano gli effetti delle procedure di riscossione già durante la fase dell'accertamento. Si consente all'amministrazione finanziaria di determinare il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel periodo di imposta prendendo in considerazione, altresì, la tipologia e la consistenza del suo nucleo familiare, nonché la sua localizzazione territoriale. Viene, inoltre, previsto l'obbligo di comunicazione telematica all'Agenzia delle entrate delle fatture di importo superiore ad una certa soglia e viene, inoltre, prevista una procedura di autorizzazione per l'effettuazione di operazioni intracomunitarie. Tra le misure volte ad orientare efficacemente l'attività di accertamento si segnalano quelle di contrasto al fenomeno delle imprese cosiddette «apri e chiudi» e delle imprese in perdita sistemica.
Le stime di maggiore gettito, ascritte al complesso delle misure finalizzate a potenziare la lotta all'evasione, considerano, generalmente, l'operare di due distinti effetti: da un lato, la deterrenza indotta dalle singole misure, cui conseguirebbe un adeguamento spontaneo da parte dei contribuenti, e, dall'altro, un'autonoma e più efficace azione dell'attività di accertamento da parte degli uffici. Queste misure assicureranno maggiori entrate al bilancio dello Stato, le quali saranno utili a finanziare la riforma fiscale che, in questi giorni, il Ministero dell'economia e delle finanze sta approntando con le parti sociali. Riforma fiscale che si baserà su criteri di semplificazione, equità, efficienza e trasparenza e con in primo piano famiglia, lavoro e attenzione anche per ambiente e ricerca. Una riforma che punterà sulla semplificazione del sistema accorpando i 241 regimi di esenzione e agevolazione esistenti che i contribuenti ricevono sia dall'INPS, sotto forma di assegni, che dal fisco come detrazioni. Si stanno studiando forme per concentrare gli aiuti in capo al welfare valutando come non penalizzare gli autonomi. All'interno della rimodulazione dovrebbe essere possibile un recupero delle risorse al fine di avviare una graduale riduzione della pressione fiscale, anche se nella manovra economica di questa estate si era già cominciato a ridurre il carico dell'IRAP per le imprese ed erano state introdotte misure per lo sviluppo delle regioni del sud. In determinati casi, le nuove iniziative imprenditoriali si vedranno addirittura ridotta l'IRAP a zero. È un'ipotesi importante di fiscalità di vantaggio.
Ogni intervento sul fisco dovrà, ovviamente, essere supportato da una rigorosa analisi costi-benefici e dal consenso dell'Unione europea, considerando che il debito pubblico che abbiamo ereditato resta superiore al PIL. La riforma fiscale sarà, dunque, la chiave strategica per la crescita del Paese. Inoltre, il Governo ha adottato non solo politiche di rigore dei conti Pag. 9pubblici, ma anche di sviluppo. Infatti, nel disegno di legge di bilancio si conferma un incremento della dotazione finanziaria per le opere strategiche del Paese pari a 45,7 milioni di euro su uno stanziamento pari a 1.710 milioni, necessari per avviare un equilibrio strutturale fra le diverse parti del territorio italiano. Nella legge di bilancio si conferma che sono state escluse dai tagli le risorse destinate al Fondo ordinario dell'università, all'informatica, alla ricerca, al 5 per mille del gettito IRE. Inoltre, durante l'esame del provvedimento in Commissione, quest'ultima ha approvato due emendamenti del Governo, uno inerente il Patto di stabilità interno degli enti locali e, l'altro, la tutela e la salvaguardia del territorio. Con l'emendamento sul Patto di stabilità, si dispone un'assegnazione di 344 milioni di euro da attribuire ai comuni per il 2008 a seguito dell'abolizione dell'ICI e del conseguente rimborso da parte dello Stato. In tal modo, il Governo ritiene di aver recepito pienamente le esigenze derivanti dalle certificazioni presentate dai comuni per il 2008 da cui è emerso un mancato rimborso di questa minore imposta accertata per il 2008 pari, appunto, a 344 milioni, somma che è stata integralmente riconosciuta. Con un altro emendamento, per la tutela e la salvaguardia del territorio, il Governo ha garantito un finanziamento a favore del Ministero dell'ambiente per sostenere la tutela e la conservazione della fauna e della flora. A questo si aggiungono risorse per la ricerca nel settore della sanità pubblica, per la sicurezza e la difesa del territorio. In particolare, sempre con emendamenti del Governo approvati in Commissione, sono state riallocate risorse per 30 milioni destinate a finanziare un piano di ammodernamento del parco autoveicoli dell'Arma dei carabinieri. Un altro emendamento tecnico riguardava i fondi del bilancio della Camera dei deputati per gli anni successivi al 2011; vi era stato un errore tecnico. Vi è poi un'allocazione di 400 milioni per il 2011 per gli stanziamenti destinati al programma autotrasporto ed intermodalità. Infine, 14 milioni per ciascuno degli anni del triennio per le spese destinate al personale dell'Istituto superiore di sanità. Ciò evidenzia come il Governo tuteli la coesione e la sicurezza sociale e, in particolare, la formazione e la ricerca che sono la linfa vitale dell'Italia. Infatti, l'unica e vera materia prima di questo Stato, di ogni Stato, sono i giovani.
Ma lo sviluppo di un Paese è strettamente legato ad una giustizia efficiente e al tema della ragionevole durata dei processi che per la loro lentezza rappresentano una delle piaghe della giustizia italiana sofferta da tanti cittadini e imprese: 9 milioni di processi pendenti, per cui l'Italia è il Paese più condannato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, sono un macigno per il sistema Paese che dovremmo tutti voler rimuovere. È evidente quindi la necessità di una riforma della giustizia civile, che miri allo smaltimento delle cause civili pendenti, e di una semplificazione dei riti del processo civile. Crescita del Paese vuol dire anche lotta alla criminalità organizzata. Gli arresti dei presunti mafiosi attraverso più di 600 azioni delle forze dell'ordine sono stati ad oggi 6.580 di cui 27 dei 30 latitanti ritenuti più pericolosi. Questa lotta senza tregua alla criminalità organizzata deve continuare destinando al Ministero dell'interno e della giustizia e alle forze dell'ordine una parte delle somme del fondo unico giustizia derivanti dal sequestro dei beni della mafia. La politica economica del Governo, come si evince dal disegno di legge di bilancio, è permeata dal rigore delle finanze pubbliche nella consapevolezza che non vi può essere crescita duratura ed equa senza stabilità dei conti pubblici. Non esiste una scelta tra rigore e crescita: l'una tiene l'altra e viceversa. Il deficit pubblico non crea crescita ma solo disuguaglianza e povertà delle generazioni future. Giova ricordare come la politica di austerità adottata dal Governo di centrodestra, proprio in virtù delle anticipazioni di manovre effettuate nel biennio 2008-2010, è ben lontana dalle misure draconiane che taluni Stati europei hanno dovuto adottare a salvaguardia dei propri conti pubblici. E per taluni Stati nemmeno Pag. 10è stato sufficiente se, come si evince dalla stampa specializzata di questi giorni, gli spread volano per Grecia e Irlanda, segno della permanente rischiosità di questi Paesi. Il Portogallo sta discutendo un taglio degli stipendi del pubblico impiego fino al 10 per cento. Maggiori tasse sui benefit finanziari sono state introdotte in Francia, Paese che, tra grandi proteste che non hanno smosso la volontà del Governo, ha appena aumentato di due anni per tutti i cittadini l'età pensionabile. In Gran Bretagna i contribuenti che guadagnano più di 150 mila sterline l'anno ne verseranno metà al fisco mentre la tassazione dei capital gain ha raggiunto il 28 per cento. Evidentemente i Paesi con i conti maggiormente in ordine (Francia, Germania, Svezia e Austria) hanno avviato anche politiche espansive a sostegno della famiglia e dei redditi. Noi per ora ci siamo limitati a sostenere il reddito dei lavoratori delle aziende in crisi al fine di evitare l'acuirsi dello scontro sociale. È evidente che stabilizzati i conti dovrà procedersi sulla via dello sviluppo, del sostegno alle imprese e alle famiglie. Vorrei concludere con due considerazioni, una generale sulle azioni relative al controllo del deficit pubblico che il nostro Governo, e soprattutto il Ministro Tremonti, hanno portato avanti in sede comunitaria e internazionale; l'altra sulla intelligibilità dei documenti di bilancio così come presentati a seguito della riforma della legge di contabilità e sui conseguenti rapporti tra Governo e Parlamento. La lezione della crisi in corso è che non è possibile più usare come indicatori economici dei flussi quali il PIL, disinteressandosi degli stock macroeconomici; ricchezza delle famiglie, debiti delle imprese, attivi delle banche, ma soprattutto il debito pubblico che comunque è sempre considerato in rapporto al prodotto interno. La crescita economica non può più essere valutata solo in termini di crescita del PIL. In molti casi tale crescita era generata da un accumulo insostenibile di debiti privati e c'è il rischio che molta della ripresa attuale sia stata resa possibile da un accumulo di debiti pubblici con immissione di immense liquidità nel sistema.
In questi ultimi anni l'Italia è sempre stata vituperata per la bassa crescita del PIL e confrontata con economie più dinamiche quali Stati Uniti e Gran Bretagna, per non parlare di Spagna e Irlanda. Tuttavia l'analisi comparata del debito delle famiglie (attività finanziarie reali e passività finanziarie) tra Italia e Usa fornisce risultati opposti. Il PIL degli Stati Uniti sarà anche cresciuto di più di quello italiano ma le famiglie statunitensi sono più indebitate di prima mentre in Italia il risparmio delle famiglie costituisce ormai la base della solidità finanziaria nazionale. Il Ministro dell'economia e delle finanze ormai da diversi mesi sta sostenendo nelle sedi comunitarie che per valutare la sostenibilità dello stock del debito pubblico occorre tener conto anche del rapporto tra questo aggregato e l'altro stock, la ricchezza finanziaria delle famiglie: un bacino patrimoniale in grado di garantire il debito statale. La regola del 60 per cento quale limite di indebitamento su cui Commissione e Governo lavorano dovrebbe riguardare non solo il rapporto debito/PIL ma quello debito/ricchezza delle famiglie. Se si tiene conto di questo fattore i Paesi fuori linea euro sono Grecia e Irlanda mentre i Paesi come Italia e Belgio, entrambi considerati le pecore nere del debito pubblico, possono permetterselo. Il rapporto debito pubblico/PIL dell'Italia è al 115,4 per cento non così lontano dal 130 per cento della Grecia.
Ma il rapporto debito pubblico/ricchezza famiglie in Italia è al 65 per cento (come in Germania e Francia) mentre in Grecia è al 194 per cento. Il credito privato insomma copre il debito pubblico.
L'Italia pertanto non ha alcun bisogno di drastici tagli e vertiginosi aumenti di tasse o introduzione di tasse patrimoniali e finanziarie, quanto piuttosto di tagli graduali ed efficiente riqualificazione della spesa nel quadro di un rigoroso piano di rientro dal debito. Pertanto non è condivisibile la proposta di forte aumento delle tasse su risparmi, emissione di obbligazioni Pag. 11e dividendi. Né è tassabile lo stock del debito già emesso in quanto crollerebbe la fiducia degli investitori.
È condivisibile la tassazione della speculazione finanziaria, ma non mi nascondo la difficoltà di individuarne le giuste misure.
Il percorso di rientro che questo Governo ha scelto è sorretto dall'obbligo comunitario che, a partire dall'anno prossimo, ci impone un piano a tappe secondo una tempistica non eludibile. Voglio ricordare che il semestre europeo di verifica collettiva dei progetti di bilancio è, ormai, un dato acquisito e che inizierà a funzionare dal 2011. I tradizionali canoni di valutazione sono rimasti (il rapporto deficit/PIL pari, al massimo, al 3 per cento, e la previsione di un piano di rientro del debito in modo che questo non superi il 60 per cento del PIL), tuttavia saranno valutati anche alcuni elementi innovativi, quali il debito privato, la competitività e il sostegno all'economia.
Nella relazione in Commissione, ho già avuto modo di osservare che, per quel che riguarda l'applicazione della nuova legge di contabilità, si tratta di un cammino non ancora del tutto compiuto, che potrà trovare ulteriori perfezionamenti in sede di attuazione della delega legislativa prevista dall'articolo 40 della legge di contabilità e finanza pubblica.
Dalle valutazioni relative alla nuova veste dei documenti contabili ricevute dai colleghi, ma anche dagli uffici della V Commissione (Bilancio) e dal Servizio bilancio - che ringrazio sentitamente in questa sede per l'impegno profuso - emergono talune osservazioni che, a mio giudizio, consentono di migliorare la leggibilità dei documenti e che, in definitiva, incidono nei rapporti tra Governo e Parlamento per quanto concerne la conoscenza e l'attività del Governo.
Se, infatti, da un lato, condividiamo l'idea che il Governo debba essere lasciato governare, dall'altro lato, al Parlamento dev'essere consentito un esame in dettaglio di ciascun atto del Governo. In termini di documenti contabili e di finalizzazione delle risorse, da questo assunto deriva la conseguenza che il Governo ha il dovere di esercitare la sua responsabilità politica, muovendo le risorse tra missioni e programmi, con la supervisione del Ministro dell'economia e delle finanze; il Parlamento, invece, deve avere la possibilità di verificarne l'azione tramite i documenti di bilancio, in sede sia di bilancio preventivo, che di rendiconto.
In tale ambito, in Commissione, mi sono soffermato sulla necessità di integrare la scheda illustrativa dei capitoli di bilancio relativi ai grandi fondi settoriali, come i fondi FAS, il Fondo per interventi strutturali di politica economica e il Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale. Le schede a nostra disposizione forniscono indicazioni con riferimento alle autorizzazioni di spesa che hanno determinato lo stanziamento. Tuttavia, al fine di consentire una più compiuta valutazione dell'adeguatezza delle risorse stanziate e delle finalità alle quali sono destinate, sarebbe necessario che esse contenessero anche informazioni sugli interventi che si prevede di realizzare.
In sostanza e in conclusione, la maggioranza condivide pienamente l'impostazione di bilancio che il Governo ha predisposto per il prossimo triennio, con la quale, sia pure con talune scelte dolorose, si avvia un percorso virtuoso di rientro nei parametri comunitari. I conti in ordine sono alla base di qualsiasi programma di sviluppo. Ciò avrebbe potuto permettere - uso volutamente questo termine dubitativo - al Governo e alla sua maggioranza di realizzare i cinque punti programmatici che il Presidente del Consiglio ha esposto in Aula a fine settembre e che, poche settimane fa, sono stati approvati a larghissima maggioranza attraverso una risoluzione.
Nelle poche settimane che sono passate, oggi, ci troviamo in un quadro decisamente diverso. Pertanto, a conclusione di questo intervento, non posso che rivolgere un appello al Parlamento per la rapida approvazione del disegno di legge di bilancio, oltre che del disegno di legge di stabilità, richiamando ad un voto di responsabilità. Ci troviamo, infatti, in una Pag. 12situazione molto delicata, che vede Paesi importanti dell'Unione europea - come Portogallo, Irlanda, oltre a quanto è già accaduto in Grecia - oggetto di un'offensiva speculativa molto importante. Insomma, si rischia di nuovo un «incendio», a cui l'Italia deve saper porre un freno; se sarà necessario, sarà anche chiamata a contribuire in sede di Unione europea al fine di stabilizzare tali Paesi ed evitare che il contagio possa propagarsi.
Affrontare questo «incendio» senza approvare una legge di stabilità ed una legge di bilancio sarebbe sommamente irresponsabile. Da questo punto di vista, considero molto irresponsabile che si sia voluta aprire una crisi politica, lasciando il Parlamento «in mezzo al guado», nel momento in cui i documenti in oggetto sono all'esame delle Camere. Con riferimento ad essi, tutto il Paese ci chiede senso di responsabilità, in modo da salvaguardare la nostra nazione dai rischi che, in Europa e nel mondo, si stanno correndo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza sul disegno di legge di stabilità, onorevole Baretta.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3778-A. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, è singolare, ma è possibile che oggi non solo la mia relazione, ma anche quella del collega Milanese che abbiamo appena ascoltato, sia una relazione di minoranza. Non è un caso: è dall'inizio della legislatura, infatti, che assistiamo al progressivo fallimento della politica economica e fiscale del Governo, nel tentativo non riuscito di risanare i conti pubblici e di far ripartire l'economia.
Il disegno di legge di stabilità che stiamo discutendo è, dunque, l'epilogo di questo increscioso itinerario.
Se però questi due anni e mezzo di errori erano stati gestiti con grande sicurezza, al limite, spesso superato, dell'arroganza, in queste due settimane, durante i lavori della Commissione bilancio, è andata in scena la rappresentazione dell'ormai imminente epilogo di questa storia. Ci siamo confrontati con un Governo imbarazzato, la cui unica attitudine è stata non guardare, non sentire, non vedere.
Abbiamo visto una ex maggioranza caotica e rinunciataria: la Lega Nord Padania, con la solita sicumera, non ha presentato alcun emendamento, trovandosi così ben presto spiazzata dall'andamento dei lavori in Commissione; il Popolo della Libertà, costretto a ritirarli per fedeltà al bidone, ha manifestato più volte, in modo plateale, la sua inutile insoddisfazione. Sicché le sole modifiche intervenute in Commissione, poche ma significative, sono il risultato della nostra determinata azione parlamentare e dell'incontro di sensibilità trasversali di schieramenti, che hanno visto votare insieme tutte le opposizioni con Futuro e Libertà per l'Italia e Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud.
Tutto ciò, però, non è soltanto il risultato di una tattica parlamentare dell'ultima ora. Non sarebbe stato possibile, non sarebbe potuto accadere se alle spalle non ci fosse stato il comportamento francamente incredibile dell'Esecutivo. Il Governo infatti si è presentato all'appuntamento con la sessione di bilancio proponendo una legge di stabilità vuota, «tabellare» è stata definita dal Ministro Tremonti. Questa impostazione non poteva reggere. Aver pensato di cavarsela con una legge di stabilità vuota e con un «milleproroghe» successivo, era ingenuo o troppo furbo. Ma anche la troppa furbizia, come le bugie, ha le gambe corte, o almeno è proporzionale alla stabilità politica che oggi non c'è.
Sicché il Governo è caduto proprio su uno di quegli aspetti dove aveva esagerato in furbizia. L'uso distorto delle risorse del Fondo per le aree sottosviluppate. Dopo questa bocciatura il Governo ha dovuto cambiare registro e decidere di fare quanto il Partito Democratico aveva sollecitato per giorni: inserire le decisioni di politica economica nella legge di stabilità, che è il luogo deputato a tali scelte. Pag. 13
Ma anziché fare tesoro di una crisi annunciata, il Governo ha presentato un emendamento maxi, che, come dicono dalle mie parti, peso el tacòn del buso, perché si limita, per l'appunto, a tamponare senza prendere di petto la situazione.
I problemi irrisolti erano e rimangono molti. Innanzitutto, all'interno della maggioranza: le richieste del Ministro Sacconi per la proroga della cassa in deroga, la lite con i Ministri Gelmini e Prestigiacomo, ma anche con le varie istanze presenti nel Paese, la più pesante delle quali, per l'appunto, è l'alluvione. In particolare in Veneto, soprattutto nelle province di Vicenza e Padova, che sono ancora in attesa di 300 milioni di euro promessi, ma non entrati nella finanziaria, e nella speranza che l'ordinanza finalmente venga pubblicata.
Un Governo che prima riduce sistematicamente le risorse necessarie alla prevenzione e alla conservazione, salvo poi vedersi costretto d'urgenza a reperire i fondi di fronte all'emergenza.
Ma ancora il sostegno al reddito, in primo luogo delle famiglie. Per quanto ci riguarda, come Partito Democratico, abbiamo avanzato proposte per sostenere i carichi familiari, proponendo l'incremento della detrazione per i figli; ma ancora: l'esigenza di rifinanziare le scuole paritarie, la gabbia insostenibile del patto di stabilità, l'apertura del confronto con le parti sociali sul fisco ed infine, ma non ultimo, il mancato sostegno alla economia e alla crescita.
Noi abbiamo proposto di cominciare ad alleggerire l'IRAP sul costo del lavoro. Come risponde il Governo a questa urgenza? Sospendendo clamorosamente gli incentivi al 55 per cento per l'ecobonus, sui quali ricordo, signor Presidente, che il Governo ha assunto in Commissione l'impegno di darci una risposta positiva durante i lavori dell'Aula.

GIUSEPPE VEGAS, Viceministro dell'economia e delle finanze. Una risposta...

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3778-A. Ma a riprova dell'atteggiamento di rinuncia di cui abbiamo parlato prima, lo stesso Governo prevede nella decisione di finanza pubblica una riduzione del PIL per il 2011 pari all'1,3 per cento.
Ciononostante, si tratta ancora di previsioni ottimistiche: la domanda interna, infatti, rimane debole anche perché, come ricorda la Banca d'Italia, le prospettive di crescita sono migliori per i Paesi in cui la domanda interna è robusta.
A proposito di Banca d'Italia, ci sono sembrate francamente deprimenti le polemiche sui dati della disoccupazione, che sono dati obiettivamente drammatici e sui quali è urgente intervenire non soltanto con la pure indispensabile tenuta della piena, attraverso il positivo finanziamento degli ammortizzatori sociali, ma è ormai tempo di occuparsi di sistemare gli argini e scavare nuovi canali verso i quali far defluire ed indirizzare il nuovo più stabile mercato del lavoro.
Diciamolo schiettamente: manca anche una filosofia del rigore. La stabilità dei conti pubblici è, purtroppo, molto precaria. Il deficit aumenta nonostante i tagli, che, proprio per questo, sono ancora più indigesti, come nel caso della scuola o del Fondo per la non autosufficienza.
Abbiamo già osservato più volte come la politica dei tagli lineari sia sbagliata, tanto più in un periodo di alta disoccupazione. Non distinguere tra spese produttive e improduttive è una pessima idea. Il disegno di legge di bilancio, ad esempio, è soltanto un lungo elenco di tagli indiscriminati.
Nei primi nove mesi dell'anno, le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono diminuite dell'1,8 per cento, pari a 5 miliardi di euro. Tuttavia, sappiamo che l'evasione fiscale in Italia rappresenta un vero freno alla crescita. Secondo l'ISTAT, nel 2008 il valore del sommerso si aggira tra il 16,3 e il 17,5 per cento del PIL, ossia 255-275 miliardi di euro, un ostacolo agli interventi di riforma fiscale, mentre la sua riduzione potrebbe Pag. 14rappresentare una rilevante leva di sviluppo, se il recupero del gettito venisse utilizzato per ridistribuire - come noi chiediamo - in maniera più equa il carico delle imposte tra le diverse categorie dei contribuenti.
Tuttavia, nel disegno di legge di stabilità non c'è traccia di interventi di questo tipo, nonostante il fatto che, nel suo intervento alla Camera del 29 settembre scorso, il Presidente del Consiglio dei ministri abbia promesso, per l'ennesima volta, di ridurre la pressione fiscale.
Il cacio rancido di questa insipida minestra è dato dal Patto di stabilità, ottuso quanto è ottusa la sua difesa. Sulla realizzabilità dei risparmi attesi e sulla sostenibilità delle misure per le amministrazioni locali si riflette tutta l'inadeguatezza del meccanismo, che potrebbe tradursi in un rallentamento della spesa in conto capitale, nella riduzione dei servizi ai cittadini e in rilevanti aumenti tariffari, che rischiano di incidere sul potere di acquisto delle famiglie, soprattutto di quelle che hanno maggiori oneri a causa di cure per i figli e per gli anziani non autosufficienti.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3778-A. I vincoli sulle spese, inoltre, rischiano di tradursi in un ulteriore aumento di debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche verso il settore privato. Ad essi vanno aggiunte le misure restrittive sugli enti locali: oltre un terzo della manovra di luglio e il 60 per cento dei tagli previsti dalla spesa. Infine, va ricordato come questa evidente assenza di strategia si rifletta sul piano nazionale delle riforme. Purtroppo, questo vuoto - non rigore e non sviluppo - appare sul testo, in tutta la lettura.
Il Governo italiano si presenta all'appuntamento con il primo semestre europeo di bilancio sostenendo, con disarmante sciatteria, in sostanza, due soli concetti di fondo: in primo luogo, che il risanamento dei conti pubblici è affidato tutto alla riforma delle pensioni; in secondo luogo, che la ripresa e la crescita dipenderanno in tutto e soltanto dalla scelta nucleare. A parte le opinioni sul merito, è concepibile che un Paese tra i più importanti del mondo si riduca ad una tale povertà strategica?
Voglio limitarmi solo a due esempi alternativi: che posto occupano, nello sviluppo italiano, lo straordinario e incomparabile patrimonio artistico e naturale che abbiamo la fortuna unica al mondo di possedere? La cultura è il nostro business, e, con essa, il turismo e l'accoglienza. E ancora: che strategia adottiamo di fronte alle grandi modificazioni demografiche che ci interrogano più di altri, essendo, fortunatamente, uno dei Paesi più longevi del globo, ma, sfortunatamente, uno dei meno prolifici?
In conclusione, signor Presidente, il nostro non è - come si ostina a dire, ormai inascoltato, il Presidente del Consiglio - catastrofismo. Non lo è innanzitutto perché è ben presente che abbiamo rispetto per gli sforzi del Paese, ma il Paese è lasciato solo.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3778-A. Il Governo ha lasciato soli i produttori e i lavoratori, di fronte alle sfide dei mercati globali. Si poteva cambiare passo, ma non è stato fatto.
Signor Presidente, per noi - ma, ci sembra, ormai, per la maggioranza degli italiani - la conclusione è semplice: per il bene del Paese è ormai necessario non solo cambiare strada e cambiare strategia, ma cambiare Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Calvisi, purtroppo era impossibile attuare la sua generosità: lei è relatore su un altro provvedimento e ha un tempo ad esso riservato. Non ci possono essere scambi di tempi.
Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza sul disegno di legge di stabilità, Pag. 15onorevole Cambursano, al quale ricordo che ha quattro minuti di tempo a disposizione.

RENATO CAMBURSANO, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3778-A. Signor Presidente, come reagirebbe un investitore privato al quale si domandasse di investire in un'impresa il cui debito rappresenta quasi cinque anni di fatturato e le cui perdite annuali sono pari a un quinto del fatturato? Fuggirebbe, questa è tuttavia la situazione dell'Italia di oggi se si mettono in relazione il livello del debito pubblico, il deficit pubblico e le entrate fiscali. A scrivere queste cose è Jacques Attali, che credo sia ben noto a tutti, non più tardi di qualche settimana fa nella sua ultima fatica «Come finirà?», che in copertina reca scritto: «Se la questione del debito pubblico non diventa una delle sfide chiave o la sfida principale delle prossime elezioni politiche - che ormai sono alle porte, e questo lo dico io - sarà inevitabile una crisi di proporzioni enormi. L'Italia è pronta a raccogliere questa sfida?» Per quanto ci riguarda, noi sì. Come? Non certamente con le soluzioni di questo disegno di legge di stabilità né con il maxiemendamento. Occorre un cambiamento radicale che modifichi regole e comportamenti; occorre mettere al centro il Governo delle regole perché la cultura del mercato è la cultura delle regole. Per anni questo Paese ha vissuto e vive sulle eccezioni, sui privilegi per pochi, ora è arrivato il momento di cambiare, è arrivato il momento di osare. Il percorso è obbligato se si vuole evitare il fallimento del Paese: occorre abbassare il rapporto debito/PIL operando sia sul debito che sul PIL.
Sul debito bisogna operare non con i tagli lineari che sono stati lo sport preferito di questo Governo dal maggio del 2008 e che hanno ampiamente dimostrato di essere non solo inutili ma addirittura dannosi, oltre che ingiusti. Bisogna intervenire invece con azioni straordinarie, non certamente con condoni o scudi fiscali, ma con norme severissime per combattere l'evasione fiscale, il lavoro nero, la corruzione e gli sprechi, che sarebbero davvero un pozzo dal quale attingere per rilanciare questo Paese: ne manca però la volontà politica per le troppe interconnessioni. Nelle audizioni è stato detto che basterebbe recuperare un terzo ogni dieci anni per fare di questo Paese uno dei più ricchi del mondo.
Abbiamo proposto la ritassazione dei capitali rientrati clandestinamente con lo scudo fiscale, per adeguarli alla tassazione che tutti i cittadini italiani hanno, per esempio, sui loro conti correnti; abbiamo proposto tagli ai costi della politica, riduzione del numero delle province, riduzione del rimborso delle spese elettorali, tassazione delle rendite finanziarie (con esclusione naturalmente dei titoli di Stato), è dal 2008 che lo proponiamo ma inascoltati. Abbiamo suggerito l'aumento del canone delle concessioni e l'introduzione dell'imposta sulla pubblicità, l'aumento delle aliquote sugli idrocarburi liquidi e gassosi, l'aumento delle concessioni TV nazionali, la mano forte sulla esternalizzazione di interi capitoli di spesa, liberalizzazioni e privatizzazioni, così come abbiamo proposto nella discussione del piano nazionale di riforma, e poi la lotta alle corporazioni. Occorre agire sul PIL dando maggiore potere d'acquisto alle famiglie e ai lavoratori dipendenti, occorrono forti incentivi per chi crea nuova occupazione e la detassazione dell'aumento di capitale per le piccole e medie industrie. È necessario mettere al centro la concorrenza, cosa che non si vuole fare, eliminando per l'appunto le corporazioni, investire in capitale umano perché è la nostra unica materia prima, non possiamo sprecarla e buttarla, soprattutto quella giovanile.
Abbiamo un Paese che fa acqua da tutte le parti: allagamenti, frane e inondazioni. Abbiamo un Paese con il più grande patrimonio culturale al mondo, che sta crollando pezzo dopo pezzo. Dobbiamo investire sull'ambiente e invece che cosa fate? Stanziate 130 milioni in tre anni e non riproponete quell'unico strumento che ha davvero tentato di riallineare il Paese Pag. 16con gli altri Paesi dell'Europa tagliando anche gli ecoincentivi: il famoso 55 per cento.
Sugli enti locali rimando a quello che un già sottosegretario all'economia, oggi presidente di una provincia e della vostra stessa maggioranza, ha sottolineato: il comportamento del Governo nei confronti delle autonomie locali è inaccettabile, i sindaci e i presidenti di provincia dovrebbero riconsegnare - parole sue - il loro mandato nelle mani del Ministro dell'interno.
Questo è quello che ci proponete. Ecco perché qualche giorno fa un'associazione di imprese e di industrie, e un'associazione di sindacati richiamavano il dovere di dover mettere mano a quegli asset importanti per il rilancio dell'economia.
Non l'avete fatto e non lo farete, ma avete proposto un maxiemendamento che vuole essere, semplicemente, un piccolo regalo per le prossime elezioni politiche - ormai imminenti - che porteranno a nient'altro che, ancora una volta, ad un aumento del deficit e del debito, che sono già, ormai, totalmente fuori controllo. Complimenti (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Calvisi, relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3779-A.

GIULIO CALVISI, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3779-A. Signor Presidente, forse vi è stato un equivoco sull'assegnazione dei tempi, anche nei confronti dell'onorevole Baretta. Noi infatti avevamo pensato di dividerci il lavoro: lui sarebbe intervenuto questa mattina, esponendo la sua relazione, e io mi sarei riservato di utilizzare il tempo nella replica.

PRESIDENTE. Onorevole Calvisi, mi scusi, ma occorre chiarire la questione anche con riferimento ai precedenti.
I provvedimenti sono due, due sono i relatori di maggioranza e poi ci sono i relatori di minoranza. Vengono assegnati tempi specifici per quanto riguarda, il provvedimento sul bilancio e il provvedimento sulla legge di stabilità. Lei, giustamente, mi ha fatto presente che voleva riservarsi di utilizzare la maggior parte del suo tempo in sede di replica; può ovviamente farlo, nel senso che ora può fare un'introduzione e, consegnare agli atti l'intera relazione, per poi utilizzare - glielo confermo, è un fatto che è già avvenuto - tutto il tempo che avrà a disposizione nella replica. La Presidenza è sempre democratica.

GIULIO CALVISI, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3779-A. Signor Presidente, allora preannuncio che chiederò la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione e mi riservo di intervenire in sede replica.
Tuttavia, voglio dire che in questo disegno di legge di bilancio si risente degli effetti del decreto-legge n. 112 del 2008 e del decreto-legge n. 78 del 2010, e abbiamo, quindi, una organizzazione del bilancio basata su argomenti che, a suo tempo, in sede di discussione dei suddetti provvedimenti, avevamo già trattato. Vi è, infatti, secondo noi, una sovrastima delle entrate - in particolare delle entrate riferite all'IVA - e, non dico una sottostima delle spese, ma una dubbia efficacia delle politiche di contenimento della spesa.
Per quanto riguarda le entrate, voi prevedete, rispetto al dato assestato del 2010, un incremento dell'IVA per oltre 10 miliardi di euro nel 2011, e per le entrate finali oltre 3 miliardi e mezzo di euro rispetto al dato assestato del 2010. Questa previsione - lo voglio dire al relatore di maggioranza - può giustificarsi in presenza di due fattori: da una parte, un significativo incremento dei consumi e, dell'altra, un significativo incremento degli strumenti di lotta all'evasione fiscale.
Una significativa ripresa dei consumi non trova però riscontro nella situazione economica e sociale del Paese, stante la perdurante crisi economica che colpisce imprese e famiglie e stante l'assenza, da parte di questo Governo, di qualsiasi provvedimento di aiuto per le imprese e le Pag. 17famiglie. I consumi ad oggi non aumentano, ma tengono solamente.
Per quanto riguarda l'evasione fiscale, nel decreto-legge n. 78 del 2010 avete recuperato alcune misure di contrasto all'evasione fiscale che avevate abolito con il decreto-legge n. 112 del 2008, ma oggi non si può affermare che siamo in presenza di una politica di recupero dell'evasione fiscale efficace e innovativa tale da presupporre una significativa aggressione, a livello storico, dell'evasione fiscale nel nostro Paese. I dati che ha fornito lo stesso Ministero dell'economia, per i primi dieci mesi del 2010, sono emblematici. È vero, vi è una piccola ripresa dell'IVA, ma è una ripresa dovuta, soprattutto, alle importazioni, mentre quella relativa agli scambi interni è in sensibile diminuzione.
Sul versante delle spese, l'analisi da fare è molto semplice, guardando il disegno di legge di bilancio.
Voi scaricate tutta la riduzione delle spese sugli enti locali: circa 7 miliardi di riduzione per la missione trasferimenti contabili all'autonomia territoriale, altri 4 miliardi di riduzione per le spese in conto capitale. Che cosa dire? Ve lo abbiamo già detto a luglio: si tratta di tagli insostenibili per le nostre autonomie locali, per le province, per i comuni e per le regioni. Queste ultime vengono colpite in modo particolare proprio nel 2011, mentre, come sappiamo, nel 2012 effetti molto pesanti ricadranno sui comuni.
Viene poi previsto un taglio lineare agli stati di previsione dei singoli Ministeri. Nella nostra relazione mettiamo in evidenza come questi tagli abbiano pesanti conseguenze per quanto riguarda le politiche per la difesa, le politiche per la sicurezza, le politiche per la giustizia, le politiche per le infrastrutture e la logistica, le politiche per la casa e l'assetto urbanistico, le politiche per la scuola e per l'università.
In particolare per l'università, avete cercato di «rattoppare» con un maxiemendamento che ripristina solo in parte le risorse che erano state tagliate per il fondo ordinario dell'università, ma sicuramente oggi non siamo in presenza di una politica di investimenti per l'università. Abbiamo solamente evitato un taglio, ossia una riduzione di spesa, che sarebbe stata vergognosa e che avrebbe messo definitivamente al tappeto il sistema universitario italiano.
Per quanto riguarda le politiche sociali avete tagliato anche lì, riducendo tutte le voci delle politiche sociali: dal fondo sociale (che inizialmente era stato tagliato di oltre 300 milioni di euro), al fondo per le famiglie, al fondo per gli anziani non autosufficienti, al fondo per l'integrazione degli immigrati. Nel maxiemendamento cercate di recuperare e mettete qualche soldo in più per il fondo sociale, ma sicuramente il vero dato riferito alle politiche sociali risulta in generale da questa politica economica e di bilancio.
Signor Presidente, tengo fede all'impegno preso prima concludendo il mio intervento.
Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento, perché con le tabelle si riesce a vedere meglio che cosa è stato tagliato e quali sono le riduzioni di spesa più importanti, e mi riservo di intervenire ancora per tre o quattro minuti in replica alla fine della discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Calvisi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che l'onorevole Borghesi, relatore di minoranza sul disegno di legge di bilancio, si riserva di intervenire in sede di replica.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, sulla politica di bilancio concordiamo con quanto raccomandato dal Presidente della Repubblica di limitare al massimo i tagli lineari. Non ho tempo disponibile per poter approfondire i singoli aspetti, tuttavia mi riservo in sede di Pag. 18dichiarazione di voto di dire qualcosa in più.
Molti colleghi, signor Presidente, spesso quando si parla di fondo per le aree sottoutilizzate reagiscono con un senso di fastidio che ho sentito più volte in quest'Aula. Qualcuno ha anche teorizzato che la ripartizione 15-85 sarebbe ingiusta e vorrebbe cambiarla, dimenticando che questo fondo ha consentito all'Italia di affrontare la crisi senza particolari traumi finanziari almeno finora.
Voglio a tal fine sottolineare il grande senso di solidarietà dimostrato dal Mezzogiorno d'Italia nei confronti del resto del Paese. Ciò ha consentito di pagare anche i cassaintegrati, che sono concentrati soprattutto al nord, sostenendo l'economia per cercare di resistere alla crisi. Ricordo, il fondo per le aree sottoutilizzate ha solo finalità di riequilibrio economico e sociale tra i territori e non quelle assegnate dal Ministro dell'economia.
Emergenze e misure anticrisi hanno distratto finora 26 miliardi di euro che - a mio avviso - vanno tutti restituiti al Fondo, a cui si volevano aggiungere altri 8 miliardi di euro, come era previsto nella legge di stabilità. Il nostro emendamento, insieme a quello dell'UdC, approvato contro il parere del Governo in Commissione bilancio, ha evitato l'uso distorto di questi ultimi, tanto che il Ministro Tremonti è stato costretto a fondere la legge di stabilità con il contenuto del decreto-legge per lo sviluppo, annunciato per la fine del mese di novembre. La decisione è apparsa un segnale positivo soprattutto perché ha consentito di trattare insieme due temi inscindibili: stabilità della finanza pubblica e sviluppo economico.
La delusione però si è evidenziata nell'esaminare il testo nei suoi contenuti, che è risultato povero di proposte, se si esclude il «Fondo strappato dall'opposizione», ma anche da MpA, FLI e UdC, sull'università e la ricerca, che di fatto è il risultato degli emendamenti previsti da questi gruppi. Il resto era, in questo testo, ordinarietà.
Tuttavia, nel dibattito in Commissione bilancio, MpA, FLI e altri hanno raggiunto qualche buon risultato, come la ripartizione dei 1.500 milioni di euro per l'edilizia sanitaria, di cui l'85 per cento per il Mezzogiorno, e vi è stato un chiarimento anche per gli investimenti sui trasporti e soprattutto la promessa di recuperare, forse in Aula (speriamo in Aula), così come ha promesso il Viceministro Vegas, l'emendamento nostro e di altri gruppi anche di opposizione, come il Partito Democratico, sull'«Ecobonus» del 55 per cento a sostegno della ristrutturazione edilizia.
Altri risultati ottenuti riguardano i 100 milioni di euro per l'editoria e i 45 milioni di euro per le TV locali, che mi sembrano fatti positivi.
Tutto questo, unito al nostro grande senso di responsabilità, all'impegno del Governo di non porre la fiducia sulla manovra e sulla legge di stabilità, ci ha convinto in merito alla necessità di approvare la legge di stabilità nonostante le carenze relative alla politica dello sviluppo. È arrivato però il momento di varare un grande piano per il Mezzogiorno, comunque vada la crisi di Governo, concentrando i fondi rimasti e quelli da recuperare nella ripresa economica e su due o tre grandi opere strategiche come basi necessarie per la ripresa.
Per lo sviluppo duraturo, tuttavia, sono sempre più convinto che ciò non basti. Occorre superare la concezione ormai diffusa che si può andare avanti con il modello di sviluppo senza ricerca. Non c'è nulla di più falso se si esaminano i pochi dati. La spesa nel sud per la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico nel 2007, ad esempio - dato pre-crisi globale dunque -, è stata pari allo 0,87 per cento del PIL, quella del centro nord pari all'1,28 per cento. Entrambe, però, sono lontane sia dalla media europea (1,8 per cento), sia soprattutto da quella delle nazioni che hanno economia industriale con forte vocazione all'export (come la Germania che investe il 2,6 per cento del PIL in ricerca e sviluppo), sia dall'obiettivo di Barcellona che ritiene indispensabili investimenti minimi del 3 per cento in ricerca e sviluppo se si vuole entrare nell'economia della conoscenza. Pag. 19
Diventa pertanto indispensabile innescare meccanismi veri, premialità per imprese, amministrazioni e lavoratori, e quindi per soggetti che dimostrano di credere in politiche vere di sviluppo duraturo e strutturale. Ad essi, e non genericamente a tutti, vanno garantite e aumentate le risorse finanziarie per renderle adeguate a sostenere politiche infrastrutturali certe e realizzabili, politiche della formazione vicine agli standard europei, qualità e stabilità del lavoro non assistito.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, signor Viceministro, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, vorrei concentrare i pochi minuti di questo mio intervento per cogliere due tipi di contraddizione che mi stanno particolarmente a cuore. La prima riguarda le politiche sociali e ha come oggetto concretamente quel vasto mondo costituito dagli anziani, dai pazienti affetti da disabilità di vario tipo che chiaramente si accentua con il trascorrere degli anni. L'altro obiettivo, sul quale vorrei concentrare brevemente l'attenzione, è la famiglia, per cogliere le contraddizioni che ci sono tra gli ultimi eventi della Conferenza nazionale sulla famiglia a Milano e le implicazioni concrete, pratiche e operative che troviamo in questo disegno di legge di stabilità.
Per fare queste due osservazioni voglio affidarmi ad una lettura se volete magari abbastanza arida, ma molto concreta ed incisiva, dei numeri. Mi stupisce, per esempio, che per quanto riguarda il Fondo nazionale delle politiche sociali tra il 2008 e il 2010 si sia passati da un miliardo 582 milioni di euro a 913 milioni di euro. Mi stupisce cioè il fatto che, in un momento in cui noi socialmente siamo consapevoli di tre elementi (incremento delle nuove povertà, l'aumento dell'anzianità, l'aumento delle disabilità), purtuttavia la linea di tendenza - che quindi non può essere ascritta soltanto a questo momento storico, a questo situazione e a questa circostanza - diventa, in realtà, sottrarre fondi proprio alle classi che hanno meno voce in capitolo e che forse sono meno capaci di organizzare quella protesta mediatica che riesce ad accendere i riflettori su di loro.
Mi interessa anche sottolineare un altro aspetto che risulta quasi più sorprendente. Penso alle politiche di sostegno alla famiglia che nel 2008 avevano a disposizione 276 milioni, 186 milioni nel 2009 e avranno a disposizione 52 milioni di euro nel 2011. Questa è la logica che caratterizza scelte concrete ed operative. Tra l'altro mi risulta che molti degli emendamenti presentati dal mio gruppo in V Commissione (Bilancio) sono stati tutti bocciati in automatico. Ne ripresenteremo alcuni in Assemblea, c'è però questa sorta di chiusura mentale.
Mi chiedo allora dove sia la traccia concreta e operativa di quegli impegni che a Milano hanno fatto gridare ad una sorta di miracolo perché la famiglia occupa finalmente il centro dell'attenzione quando in questo disegno di legge non c'è nessuna traccia di equità fiscale. Non voglio parlare del «quoziente familiare» perché siamo riusciti a farlo tramontare prima ancora di prenderlo in considerazione per applicarlo. Penso, per esempio, al «fattore famiglia», che stabilisce quella cifra reale al di sotto della quale non si può tassare una famiglia perché significherebbe tassare il suo minimo di sopravvivenza e ciò che le permetterebbe davvero di vivere.
Non c'è traccia di politiche abitative. Come si fa con 56 milioni a pensare di poter dare risposta a quello che in qualche modo il Governo ha assunto come obiettivo? Non c'è traccia di sostegno al lavoro di cura. Non c'è traccia di quei voucher familiari, che pure rappresentano o potrebbero rappresentare una soluzione interessante e intelligente per permettere alle famiglie di riappropriarsi della loro responsabilità nella scelta degli strumenti e dei mezzi con cui fare fronte all'infinita complessità dei bisogni, che vanno dagli asili nido alla necessità di garantire una assistenza domiciliare ai propri familiari. Pag. 20
Non c'è traccia di sostegno alla maternità nelle sue molteplici forme. Peraltro, per inciso, mi ha colpito, ma questo per una sorta di storia personale, come tutti i fondi precedentemente destinati alla procreazione medicalmente assistita siano stati totalmente ridotti. È come se questo potesse offrire strumenti ad una opposizione ostinata nei confronti di questa legge per dire «mandiamoli all'estero, perché noi qui in Italia non ci preoccupiamo nemmeno di garantire quello che a norma di legge abbiamo promesso».
Non c'è traccia di sostegno alle famiglie immigrate, tanto meno per quello che è stato considerato un grande obiettivo per chi vuole vedere la famiglia al centro dell'attenzione, ovvero i ricongiungimenti. Abbiamo sentito gli appelli anche drammatici di uomini e donne che lavorano in Italia al servizio delle nostre famiglie che hanno abbandonato i loro figli che sono nel Paese di origine e hanno chiesto semplicemente di favorire una politica di ricongiungimento. Non c'è traccia di quelle risorse che potrebbero essere destinate ad un'agenzia per la famiglia.
Peraltro, abbiamo recentemente presentato un disegno di legge per l'istituzione di un garante della famiglia, che finalmente riesca a sdoganare questo problema dalle secche delle parole e trasferirlo, invece, alla ricchezza e alla concretezza dei fatti. Non c'è traccia di nulla perché è stato praticamente azzerato il Fondo nazionale per le politiche per la famiglia.
Mi chiedo in questo momento grave per il Paese - perché non c'è dubbio che è un momento grave, in cui paradossalmente con alterne vicende e aspettative si sta andando probabilmente verso nuove elezioni, con tutto l'impegno economico straordinario che ad esse è legato - che cosa diremo ai non autosufficienti, visto che in Italia ci sono 4,1 milioni di disabili per un valore complessivo del 7 per cento dei cittadini? Che cosa gli diremo? Cosa diremo alla Fand e alla Fish, che sono le due mega associazioni che si prendono cura degli interessi di queste persone, anche sotto il profilo legislativo e degli stanziamenti economici? Che cosa diremo? Come sta reagendo il nostro Paese a questi bisogni? Sta ancora reagendo facendo un discorso di una politica che parla a se stessa o di una politica che guarda realmente ai problemi? Poi volevo citarle un'altro dato, signor Presidente, che, se è vero costituisce una di quelle ennesime sfide assolutamente mortificanti.

PRESIDENTE. Onorevole Binetti, la prego di concludere.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, le chiedo un secondo soltanto. Qui in Aula, pochi mesi fa, abbiamo bocciato un emendamento condannando praticamente, fedeli alla forza dell'opinione pubblica, il restringimento degli aiuti destinati ai disabili e, in qualche modo, l'innalzamento della quota di disabilità per poter accedere a tali aiuti. Lo abbiamo condannato e abbiamo ricevuto un grazie. Lo abbiamo condannato e credo che fossimo sostanzialmente tutti d'accordo. Anche coloro che in quel momento non hanno votato a favore di questo emendamento, recepivano perfettamente questa istanza.
Però, signor Presidente, sa cosa è accaduto? Questo emendamento si è spostato dal piano politico al piano amministrativo. In questo momento è l'INPS che, attraverso le sue visite, rende totalmente inaccessibile, per esempio, la possibilità di poter disporre dell'indennità di accompagnamento. La rende inaccessibile in vari modi: attraverso l'ostruzionismo burocratico e una severità incipiente nei confronti di queste persone. Chiedo solo questo: ci rendiamo conto che stiamo consegnando il Paese non solo ad una grande povertà, ma veramente ad una sorta di disprezzo collettivo nei confronti della vita politica, perché la politica non risponde ai bisogni dei cittadini? Mi auguro che si possa davvero, in sede di emendamenti, intervenire a favore dei cittadini e soprattutto dei più fragili.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbareschi. Ne ha facoltà.

LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Signor Presidente, ho chiesto di intervenire Pag. 21perché, avendo letto attentamente il nuovo Patto di stabilità, ho trovato grandi lacune e, sentendomi responsabile di una nuova coalizione, come Futuro e Libertà, di un nuovo partito in fieri, anche se non nato ufficialmente, che ha preso posizioni polemiche sull'attuale operato del Governo, penso sia giusto chiarire alcune obiezioni.
Innanzitutto, trovo che ci sia una grande miopia sul futuro del nostro Paese. Un Paese in cui viene tolta la speranza ai più giovani di poter realmente cambiare qualcosa, di vedere che il sistema meritocratico può dare dinamica al Paese, è un Paese che è destinato a finire. È un Paese che può vivere solo di ricordi e, quando si vive di ricordi e non di speranza per qualcosa su cui si possa investire per il proprio futuro, si vive in un Paese che va verso un'epifania ideale, ma anche economica.
Ho preso alcuni appunti di critiche alla finanziaria, uno fra tutti riguarda gli accertamenti fiscali. Vedo che c'è una grandissima stretta sulle sanzioni. Il problema è che si aumentano le sanzioni a chi già paga le tasse. È sempre un atteggiamento di politica vecchia, che continua a tartassare i contribuenti, non essendo in grado e capace di far pagare le tasse a chi invece non le paga.
Il vero problema italiano è che c'è una grandissima maggioranza di gente che non paga le tasse e stranamente la scelta di trovare una strategia per far pagare le tasse agli italiani sembra sempre qualcosa che passa in secondo piano. Per me è inspiegabile, anche perché secondo i calcoli che ho visto sarebbe un gettito straordinario, che oltretutto motiverebbe chi ha pagato le tasse fino ad oggi a continuare a volerlo fare.
Invece, sento per la prima volta in questo Paese da persone perbene, come commercianti e industriali, il profondo disamore verso lo Stato, poiché chi ha pagato le tasse tutta la vita, si trova adesso con la nuova legge addirittura ad essere tartassato ancora una volta, mentre c'è qualcuno accanto che non lo fa. È una cosa di cui non capisco la ragione.
Manca un meccanismo virtuoso di tax credit e tax shelter. Va benissimo cambiare un modello industriale: si può scegliere un modello di antico stampo socialista o andare verso gli Stati Uniti d'America, ma diamo una strategia. Se non vi è defiscalizzazione o dinamica, abbiamo continuamente degli appesantimenti del sistema industriale, senza avere la dinamica che altri Paesi hanno.
Questo ha una ricaduta, ovviamente, pesantissima su tutta la filiera virtuosa di qualsiasi settore, che si parli della ricerca, del mondo delle telecomunicazioni o del mondo dell'auto: è lo stesso problema per tutto l'arco industriale italiano. Manca un capitolo e uno stanziamento ad hoc sui beni culturali. Parliamo di Pompei: leggevo l'articolo di Carandini, un grande archeologo, su quella che potrebbe essere una soluzione. Non è possibile che viviamo continuamente in emergenza, che non consideriamo, oramai da non so più quanti anni, i beni culturali come una possibile fonte economica per il Paese e che continuiamo a dare la gestione dei beni culturali in mano a persone che non hanno la competenza per trasformarli in qualcosa di economico.
Non capisco perché, invece, negli Stati Uniti o a Londra si riescano a guadagnare soldi con mostre molto semplici: recentemente, a Londra, la Tate Gallery ha fatto una mostra su Adriano, che è andata in attivo dopo un certo numero di mesi. Si fanno dei calcoli sugli economics, si fa l'EBITDA, come si fa in una qualsiasi azienda, e anche i beni culturali rendono del denaro.
Non vedo alcuna strategia su questo, non vi è un'idea di chi possa gestire questo straordinario «portafoglio» che abbiamo in tasca, che potrebbe rendere denaro. Non vedo poi alcun sostegno o provvedimento per la famiglia. Senza fare della retorica sulla centralità della famiglia, vedo che in campagna elettorale tutti pensiamo che la famiglia abbia ancora una centralità e un'importanza nell'organizzazione politica, sociale ed economica italiana, ma non vedo alcun aiuto per la famiglia. Pag. 22
Chi oggi è genitore, padre o madre di uno, due o tre figli, vive una situazione di difficoltà estrema per quanto riguarda l'educazione, gli asili; vi sono un numero infinito di problemi in cui la famiglia viene lasciata da parte. Non capisco quale sia la missione di questo Governo, che dovrebbe tenere conto di queste cose.
Si stanziano oltre 240 milioni di euro per le scuole paritarie: ciò costituisce una contraddizione rispetto alla decurtazione dei fondi e il totale annichilimento della scuola pubblica. Questo denota, secondo me, la mancanza di una strategia globale che ridia all'intero universo scolastico una dignità.
Per la formazione, guardiamo i Paesi vicini a noi: Israele ha otto milioni di abitanti, come l'Emilia Romagna; ha una concentrazione di brevetti che vendono in tutto il mondo. La Corea del Sud, in questo momento, ha 4 mila brevetti nuovi. Questo vuole dire che vi è investimento sulla ricerca, sulla formazione e sulla qualità delle università, che non possono essere solo private.
Abbiamo visto, negli Stati Uniti, a cosa ha portato un eccesso di orientamento verso l'istruzione privata: a una totale polverizzazione della scuola pubblica e a una scuola privata dove ormai vanno solo i ricchi, peraltro con dei parametri nuovi legati anche allo sport.
Infatti, le università, siccome sono legate al business della messa in onda dei diritti sportivi, privilegiano persone che abbiano una fisicità adatta al baseball o al rugby, perché fanno entrare maggiori introiti nella scuola privata. Non è certo questa la nostra straordinaria tradizione europea, mitteleuropea e illuminista, che ha fatto sì che questo Paese, fino a qualche tempo fa, avesse una centralità non solo economica, ma anche culturale. Il Fondo sociale per l'occupazione e la formazione (articolo 1, commi 35-40) viene incrementato di un miliardo; questo perché una parte delle risorse - diciamolo - va data alle regioni per il trasporto pubblico locale. Chiedo: è questa la politica della formazione?
Usiamo i capitoli di bilancio per assestare i costi degli autobus, mentre contemporaneamente, vengono ritardate le liberalizzazioni.
Inoltre, non ci sono fondi e regole per accelerare il pagamento da parte della pubblica amministrazione, che rappresenta una corda al collo per tutto il sistema delle piccole e medie imprese e su questo tema si potrebbe aprire un discorso infinito.
Non c'è nessun investimento nella cultura! Come sto ripetendo da due anni, tutto il mondo punta sui contenuti nelle telecomunicazioni e produce fatturato tenendo conto di quelle che sono le declinazioni dei contenuti stessi su tutte le piattaforme: telefonia, televisione, televisione generalista, Internet, IP Television, ed altre; noi, invece, stiamo uccidendo il dipartimento industriale italiano che ha fornito contenuti.
Qualcuno, addirittura anche all'interno del mio gruppo di Futuro e libertà, ha addirittura proposto di privatizzare la RAI, dicendo quella che, secondo me, è una cosa sbagliata, perché non solo non esistono i fondi in Italia per privatizzare la RAI, ma, semmai ne arrivassero, sarebbero stranieri e, così come accaduto in Portogallo (dove un gruppo internazionale, Way-Way, ha rilevato il debito pubblico portoghese), ci troveremmo ad avere un gruppo straniero che rileva l'unico gruppo editoriale italiano, di cui l'Italia ha bisogno come il pane per mantenere una coesione culturale. Paradossalmente, siamo ancora agli anni Sessanta, come vediamo, d'altronde, dalla fruizione dei prodotti, siamo rimasti al film «Pane, amore e fantasia», ritroviamo ancora gli stessi protagonisti degli anni Sessanta ai festival popolari della televisione italiana; è lunga la strada per alfabetizzare il Paese e far sì che dalla Sicilia alla Val d'Aosta vi sia una coesione culturale e quello stimolo che permette ad un ragazzo giovane di vedere in sé, nei prodotti di infotainment, di edutainment, nelle news, qualcosa che lo incoraggi ad essere partecipe di uno Stato degno di Pag. 23questo nome, dal punto di vista economico, sociale, culturale e anche del senso civico del cittadino.
Ovviamente, non essendo presente nessuno di questi investimenti, perdiamo il cinema, il teatro, l'opera lirica, e tutti quelli che erano i nostri asset storici, mentre in tutto il mondo farebbero a gara per poterli gestire. Allora, mi chiedo, ma se non siamo in grado di gestire i nostri siti culturali, diamoli direttamente in appalto a delle multinazionali straniere; sono sicuro che dei coreani gestirebbero Pompei con molto più rispetto di come l'abbiamo gestita noi, se non altro perché, venendo da fuori, sarebbero così sconvolti dalla bellezza di quel luogo e dalla sua importanza, da rispettarlo e trasformarlo in una struttura proficua, in grado di dare dei frutti sia a livello culturale che, dal punto di vista degli utili, economico.
Non essendo presenti questi investimenti, stiamo uccidendo un indotto di 250 mila persone che, vorrei ricordare al presidente Berlusconi, danno al Paese 450 milioni di IVA all'anno. Non capisco perché se la l'Alitalia licenzia 5 mila persone abbiamo le «lenzuolate» di articoli su ogni quotidiano italiano, se, invece, si uccide un dipartimento industriale che in questi anni ha virtuosamente - malgrado lei Silvio Berlusconi abbia monopolizzato con la sua azienda tutto il sistema televisivo italiano - contribuito a creare prodotti e contenuti che hanno dato un vantaggio culturale l'Italia, non se ne parla. Vogliamo ammazzare questo settore? Con queste regole e con queste leggi avremo 100 mila persone a casa l'anno prossimo, il che vuol dire 250 mila persone, con le relative famiglie, che non avranno da lavorare, con un problema enorme perché la delocalizzazione è oggi ammessa per l'Europa, per cui, paradossalmente, un produttore italiano di contenuti, oggi potrebbe scegliere una troupe tedesca, spagnola o greca e delocalizzare il proprio prodotto senza creare dei problemi o contravvenendo a nessuna legge, perché questa è l'Europa di cui parliamo tanto; siamo nell'Europa, ma non rispettiamo quelle che sono le regole europee e non siamo in grado neanche di usufruire dei vantaggi che queste ci potrebbero dare per rendere virtuoso il meccanismo della crescita.
Questo naturalmente vale per il teatro e per tutti i settori culturali. Mi chiedo cosa stiamo aspettando, e non vedo, anche nel provvedimento in esame, nessuna lungimiranza. Le battute «io di cultura non vivo» o «io con la cultura non mangio» sono battute di cattivo gusto. Vorrei ricordare che da Varsavia al duomo di Milano, città natale anche del nostro ministro Tremonti, quando sono state bombardate la prima cosa che Milano ha fatto è stata ricostruire la Scala, con grandi problemi demagogici per il Paese perché si diceva...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

LUCA GIORGIO BARBARESCHI. ... «meglio dare dei panini che costruire un teatro».
Ma forse qualcuno aveva capito che la centralità della cultura in un Paese, e la sua dignità, sono più importanti di qualche lampione in periferia.
Concludo subito. Non vi sono i fondi per l'ambiente. È inutile scrivere sui giornali: non pioveva così da cinquant'anni. Piove così da duemila anni, piove sempre nella stessa maniera: vi sono varianti più o meno identiche. Il problema è che l'incuria della gestione del territorio è tragica, e non vi è un progetto ambientale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sereni. Ne ha facoltà.

MARINA SERENI. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, la discussione di oggi sulla legge di stabilità ha un sapore particolarmente amaro. Fuori di qui, nel Paese reale, così diverso da quello descritto e frequentato dal Presidente del Consiglio, migliaia di aziende stanno combattendo per risalire la china ed affrontare nuovamente il mercato globale. Centinaia di migliaia di lavoratori vivono l'angoscia della cassa integrazione e della disoccupazione: tra i giovani italiani uno su quattro non ha un lavoro, e molti Pag. 24di loro non sanno neppure dove cercarlo. Fuori di qui, sul territorio una volta tanto caro ai colleghi della Lega, centinaia e centinaia di sindaci ed amministratori locali non sanno come far quadrare i bilanci dei loro enti e sono costretti a chiedere ai loro cittadini di pagare nuove tasse e tariffe più alte, oppure di rinunciare a servizi fondamentali, come i trasporti locali, l'assistenza ai disabili, agli anziani non autosufficienti, ai progetti per l'integrazione dei bambini immigrati, agli asili nido, ai centri per gli adolescenti.
Fuori di qui, nei centri urbani e nelle periferie, centinaia di insegnanti cercano di mandare avanti come possono la scuola italiana, senza risorse, senza incentivi, chiedendo spesso alle famiglie di sobbarcarsi i costi per le fotocopie o per la carta igienica. Fuori di qui, nelle università, migliaia di ricercatori, di docenti, di studenti temono che dopo i tagli forsennati ai bilanci degli atenei italiani divenga legge la cosiddetta riforma Gelmini, con la quale, anziché premiare il merito e la qualità, si penalizzano i giovani più meritevoli e le università dei territori più difficili. Fuori di qui, le forze dell'ordine sono lasciate da sole, senza mezzi e risorse, a contrastare piccoli e grandi fenomeni di illegalità, a fare i conti con i conflitti e le paure che l'immigrazione irregolare produce nelle nostre comunità.
Fuori di qui, al nord come al sud, un territorio fragile, mai messo in sicurezza, un ambiente ricco di beni naturali e culturali senza pari al mondo è ferito dall'incuria, dalle speculazioni, dalle inadempienze di chi avrebbe il dovere di tutelarlo e valorizzarlo. Le alluvioni che hanno colpito in queste settimane il Veneto, la Toscana, la Liguria, la Campania, la Calabria ci chiedono non soltanto di destinare risorse adeguate - che non sono previste nella legge in esame - per aiutare le popolazioni colpite, ma anche di programmare per il futuro interventi in grado di prevenire altri disastri e altre emergenze; per non parlare della vergogna del crollo a Pompei.
Fuori di qui, cricche, furbetti, evasori di ogni taglia continuano a muoversi senza timori e imbarazzi, convinti che ormai in questo Paese la legalità, il rispetto delle regole, il senso civico, il fare ciascuno il proprio dovere in nome di un interesse generale e del bene comune siano valori ed obiettivi da anime belle.
Ecco, cari colleghi, la distanza tra il provvedimento che stiamo esaminando e le domande che il Paese rivolge alla politica e alle istituzioni è enorme, e noi del Partito Democratico sentiamo dall'opposizione che sia stato superato ogni limite, che sia davvero ora di voltare pagina. È clamoroso ed emblematico che non si sia riusciti fin qui a trovare neppure le risorse per dare continuità ad una misura come quella delle detrazioni IRPEF del 55 per cento per le ristrutturazioni edilizie finalizzate al risparmio dell'efficienza energetica: una misura che ha prodotto dal 2006 ad oggi ben 11 miliardi di investimenti, 50 mila posti di lavoro, un serio contrasto all'evasione fiscale ed un contributo concreto alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Caro Viceministro Vegas, in Commissione vi siete impegnati ad un'ulteriore verifica su questo punto, e noi, anche se non condividiamo nulla di ciò che state facendo, speriamo davvero che non si sia trattato di una semplice promessa da marinaio.
E, ancora, come si fa a tenere una conferenza sulla famiglia - lo ricordava poco fa la collega Binetti - senza indicare una misura concreta da attivare subito per aiutare le famiglie con più figli o con persone non autosufficienti? Avete bocciato, senza nemmeno rifletterci, la nostra proposta di aumentare le detrazioni per le famiglie con figli, come se il tema non fosse all'ordine del giorno.
La legge di stabilità, di cui stiamo parlando, non è altro, se non lo specchio del fallimento di questo Governo e di questa maggioranza. A luglio il Governo si presentò in Parlamento con una manovra di soli tagli. Allora, ponemmo cinque domande, che restano senza alcuna risposta e che oggi sono ancora drammaticamente attuali e che qui vi ricordo. Vogliamo chiedere qualcosa ai ceti più abbienti? Cosa proponiamo ai lavoratori dipendenti Pag. 25e ai ceti medi in cambio dei sacrifici? Vogliamo chiedere qualcosa ai capitali scudati, ovvero a coloro che, avendo portato illegalmente i capitali all'estero, li hanno potuti far rientrare, pagando un'elemosina? Si può riequilibrare una manovra che colpisce il sud più del nord? Si possono riequilibrare i tagli della spesa pubblica tra spesa locale e spesa dei ministeri, la spesa centrale?
In una situazione così difficile e drammatica di crisi economica e sociale, se è vero, come è vero, che i conti pubblici italiani non consentono di allargare in maniera indistinta i cordoni della borsa, non sarebbe stato necessario chiedere a tutti gli italiani sacrifici proporzionati alle loro capacità e possibilità? Non sarebbe stato necessario - tanto più se si vuole davvero realizzare una riforma federalista - concordare con regioni ed enti locali gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica e selezionare insieme dove e come risparmiare?
Insomma, con questa legge di stabilità torna la miopia, la mancanza di strategia, che è stata la cifra di questo Governo dall'inizio della legislatura. Qui stanno le ragioni di fondo della crisi politica che si è prodotta nel centrodestra, non già nelle inimicizie personali! Berlusconi ha fallito la prova del Governo, resa più complessa dalla crisi economica, nella quale l'Italia avrebbe dovuto affrontare, con serietà e con ambizione, nodi anche antichi e punti di debolezza: la bassa crescita, l'alto debito pubblico, l'arretratezza infrastrutturale, l'inefficienza del sistema pubblico, la bassa produttività. Il Governo non ha voluto né saputo creare le condizioni per un nuovo patto sociale tra imprese e lavoratori per un nuovo patto istituzionale tra Stato centrale, regioni ed enti locali, per un confronto civile e costruttivo tra maggioranza e opposizione. La crisi ha fatto da detonatore per il vaso incrinato del berlusconismo.
Oggi il Partito Democratico presenterà ai sindacati e alle organizzazioni delle imprese le nostre proposte: riforma del fisco, riforma del mercato del lavoro e riforma del patto di stabilità per gli enti locali. Si tratta di proposte realistiche, graduali, che abbiamo, più e più volte, tentato di mettere a confronto con la filosofia di Tremonti, fatta di tagli lineari e di pezze a colori per questa o per quella emergenza. Ora sono finite anche le pezze e non ci sono più alibi.
Il Paese ha bisogno di un Governo responsabile, autorevole e credibile quando chiede sacrifici per risanare i conti pubblici, preoccupato di premiare i comportamenti virtuosi e di sanzionare chi viola le regole per interessi egoistici, di un Governo che costruisce unità e non divisione nel mondo del lavoro e dei produttori, di un Governo che sappia sfruttare le tante immense risorse, che l'Italia ha espresso nella sua storia e che sono ancora lì, in attesa di qualcuno che le sappia vedere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, signori deputati, signori del Governo, sto appena rientrando da Milano, dove ieri, con la collega Carlino, abbiamo seguito una vicenda che interessa il nostro Paese, ma che, probabilmente, non interessa tanto gli altri partiti.
Noi dell'Italia dei Valori amiamo far politica seguendo i territori, i cittadini, le cose concrete che interessano alla gente. Per questa ragione ieri, con la collega Carlino e con un consigliere della municipalità di Milano, sono stato al consolato egiziano di Milano. Mi riferisco alla vicenda degli immigrati, degli stranieri, che riguarda l'Italia dal punto di vista economico e sociale.
Ho seguito gli immigrati sulla gru a Brescia, alcuni dei quali erano egiziani, e quindi mi sono immediatamente attrezzato per emulare il nostro Presidente del Consiglio. Come lui ama fare il bene, ama aiutare le nipoti di Mubarak (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori), così, avendo saputo che lì si trovava anche un nipote di Mubarak, ieri mi sono precipitato a Milano per aiutare quell'egiziano Pag. 26che, insieme agli altri quattro, era sulla gru in una condizione davvero disumana, che dura da circa tre settimane, per affermare solamente dei diritti.
Nel cercare di creare innanzitutto un focus sulla vicenda immigrazione in Italia, prima ci siamo recati al consolato egiziano e poi da lì, insieme alla collega e al consigliere della municipalità dell'Italia dei Valori di Milano, ci stavamo dirigendo a piedi alla prefettura (perché ci hanno detto che bisognava intervenire anche in quella sede). Purtroppo, per strada, mentre eravamo quasi arrivati alla prefettura (eravamo sul marciapiede, sotto la pioggia), ci si è fiondata davanti una volante della polizia e poi è arrivata anche un'altra auto della polizia municipale di Milano; sono usciti due poliziotti dello Stato e, venuti verso di me, mi hanno chiesto i documenti, perché risultavo essere una persona segnalata, come l'altra collega parlamentare (eravamo segnalati!), e quindi dovevano fare degli accertamenti.
In modo civile, naturalmente gli abbiamo consegnato i documenti e alla fine ci hanno chiesto per quale ragione volevamo andare in prefettura. Insomma, ai parlamentari viene riservato un trattamento come fossimo dei delinquenti. Per la verità tutto questo ci preoccupa, ma non ci ferma, perché noi dell'Italia dei Valori non ci facciamo intimidire e sopratutto ci «carburiamo» ancora di più quando capiamo che ci occupiamo di problemi che interessano la pelle dei cittadini, quando capiamo che c'è un sistema in Italia con parti dello Stato inquinate, avvelenate e malate, perché questo ha determinato il «berlusconismo» in Italia. È questa la ragione per la quale non vogliamo permettere che in questo Paese, anche rispetto agli stranieri, si crei una discriminante sessuale: per le donne straniere che finiscono in questura a Milano per furti o marchette è consentito lasciare la camera di sicurezza della questura, mentre in questura la polizia sta addosso agli immigrati che vogliono lavorare, che vogliono pagare le tasse, che sono persone oneste, di cui abbiamo bisogno. Questo Governo invece smantella gli uffici per l'immigrazione, cominciando da quello di Milano, che ha perso trenta unità nel solo mese di settembre scorso e ne perderà altre sedici il dicembre prossimo venturo.
Non si possono evadere, quindi, le 44 mila pratiche di domande di sanatoria che sono arrivate alla prefettura di Milano da parte degli immigrati. Allora, che cosa succederà? Succederà che 5 mila pratiche non saranno state affatto vagliate. A Milano, in Lombardia, al nord, verrà meno questa forza di cui abbiamo bisogno, ossia degli immigrati che vogliono lavorare e pagare le tasse, aiutando, con il loro lavoro, la nostra economia. Ben sappiamo, infatti, che, in Italia, vi sono tanti lavori, soprattutto quelli «più scadenti», che non vuole fare più nessuno, che fanno proprio questi immigrati. Aumentano, quindi, la produttività e aiutano l'economia del nostro Paese; dall'altro lato, aiutano, soprattutto, dal punto di vista sociale. Perché a Milano tutte le persone anziane o malate non possono avere colf e badanti? Perché vi è una politica ottusa e rigida del Governo Berlusconi-Maroni che sulla vicenda degli immigrati non dà delle risposte per aiutare il nostro Paese. Insomma, sono sempre posizioni sbagliate, ecco perché l'Italia dei Valori li incalza continuamente.
Torniamo sui temi più specifici dell'economia: perché l'economia non va in questo Paese? Perché vi è un Governo che non fa una politica per l'economia. La ragione principale risiede proprio nella prima regola che conoscono i mercati finanziari. Mentre i mercati finanziari ed economici vogliono innanzitutto certezza di regole, noi, invece, in questo Paese, abbiamo ancora l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, che ha attualmente in funzione due componenti su cinque; ad oggi, cioè, il nostro Governo Berlusconi e questa maggioranza, che non c'è, non sono capaci neanche di nominare le persone nell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas.
Probabilmente, vi è un motivo retrostante, ossia che non si vogliono far funzionare le authority. È normale, infatti, che il Presidente Berlusconi preferisca andare a trattare con Putin o con Gheddafi, Pag. 27sul gas e sull'energia, senza avere, qui, in Italia, un organismo preposto al controllo dell'energia e del gas.
Lo stesso dicasi per la CONSOB: è mai possibile che ormai da tantissimo, troppo tempo, non vi sia ancora il presidente della CONSOB, che è l'Autorità che deve controllare il sistema bancario e l'economia del nostro Paese? Ben venga il Viceministro Vegas come presidente della CONSOB. Noi, come Italia dei Valori, diamo il benvenuto anche al Viceministro Vegas, perché non abbiamo nulla contro le persone, ma vogliamo che il Governo funzioni, faccia il suo lavoro e ci dia dei riferimenti precisi, perché il mercato economico ha bisogno di vari tasselli che servano soprattutto al controllo e alla trasparenza dei mercati economico-finanziari.
La stessa cosa vale per l'ISVAP, che è un altro istituto che si sta gradualmente portando a morire e riducendo sempre di più al lumicino, anche se ci sono dei fenomeni inquietanti, dove nessuno mette mano, come quello che sta avvenendo recentemente tra due grossi gruppi. Mi riferisco a Fondiaria Sai, il gruppo di Ligresti, che sta traballando, e Groupama Assicurazioni, la quale sta arrivando e cercando l'accesso nell'assetto azionario dell'altra senza controllo, con operazioni non chiare e non trasparenti.
Per non parlare del Ministro dello sviluppo economico, che è mancato per 155 giorni, benché questo Paese, come tutti gli altri, stesse in piena crisi economico-finanziaria.
Insomma, queste sono le ragioni principali per le quali non vi è la certezza delle regole in questo Paese e per le quali un imprenditore decide se investire i suoi capitali in un Paese o meno. Questa è la prima causa in base alla quale si sceglie un Paese dove investire. Conoscete la capacità di attrazione dell'Italia rispetto ai capitali e agli investimenti esteri? È solo del 6,7 per cento, contro la capacità di attrarre capitali esteri della Francia che è del 14 per cento e quella di intercettare capitali di investimenti esteri della Gran Bretagna che è del 32 per cento.
Addirittura nel Mezzogiorno d'Italia si intercetta solo lo 0,6 per cento. È abbastanza ovvio, perché non ci sono regole, non ci sono certezze. Non si investe, non si creano aziende, non si crea lavoro, non si crea occupazione, perché questo Governo sta creando questo tipo di impianto in Italia, un impianto dove non c'è legalità, non c'è certezza delle regole, non c'è trasparenza, non ci sono addirittura gli organismi preposti alla cura, all'attenzione e al controllo delle regole.
Noi come Italia dei Valori dobbiamo segnalare soprattutto in questa occasione - infatti stiamo parlando della manovra di stabilità del Governo - e non dobbiamo tralasciare un altro aspetto: in questo Paese il Governo Berlusconi, che ha rappresentato il 12 per cento della durata dei Governi repubblicani in Italia, ad oggi ha un solo riconoscimento, che gli possiamo sicuramente attribuire: Berlusconi è sicuramente il re della spesa pubblica, perché con il Governo Berlusconi, dal 1994 ad oggi, si è arrivati addirittura ad una crescita smisurata solo della spesa pubblica. Con il Governo Berlusconi si è accumulato - badate bene, signori deputati! - il 25 per cento dell'intero debito pubblico di questo Paese nei suoi ultimi sessantuno anni di vita repubblicana, cioè è stato il maggiore artefice di spesa pubblica, quella spesa che oggi tutti dichiarano che non serve e non funziona soprattutto per una ragione: la spesa pubblica non è servita come negli anni Sessanta, nel dopoguerra, per alimentare infrastrutture e le opere pubbliche per la realizzazione delle quali l'Italia era leader in Europa, mentre oggi con l'attuale Governo Berlusconi abbiamo perso anche questa leadership di capacità di produzione di opere pubbliche e di infrastrutture.
Ma la cosa più grave è che oggi con il Governo Berlusconi in carica gli italiani sono diventati più poveri. Perché il debito pubblico che si riversa sulle spalle degli italiani è cresciuto a dismisura. Infatti, se nel 1994 con il primo Governo Berlusconi il debito pro capite ripartibile su ogni italiano era di 17.663 euro, oggi nel 2010 siamo a 29.733 euro pro capite, cioè ogni Pag. 28italiano, ogni bambino che è nato, senza aver mai acquistato un'auto o una casa, ha già trentamila euro di debiti sulle spalle.
La cosa più vergognosa è che in questo periodo è cresciuta la pressione fiscale diretta, che è quella che va ad incidere in particolare sul lavoro dipendente e quindi sugli impiegati, sugli operai, sui pensionati ed è cresciuta nella misura del 33 per cento con il Governo Berlusconi a differenza della pressione fiscale indiretta che è cresciuta dello 0,2 per cento.
Insomma, i lavoratori che hanno un reddito fisso sono coloro che pagano questa crisi e invece noi dell'Italia dei Valori abbiamo detto nel Palazzo e nelle istituzioni dove, invece, bisogna mettere le mani e a chi bisogna far pagare questa crisi e lo abbiamo detto in modo molto chiaro a proposito dei concessionari dei giochi. In Italia forse ancora non è chiaro che la prima industria di questo Paese è diventata l'industria dei giochi. Hanno la maggiore raccolta. Il direttore dei Monopoli di Stato, in audizione nella Commissione finanze, la settimana scorsa ci ha detto che anche quest'anno c'è un trend positivo, con un incremento del 13 per cento.
Pertanto, nel 2010, arriveremo a raccogliere 60 miliardi di euro, contro i 54,4 raccolti nel 2009.
L'industria dei giochi, quindi, ha un fatturato più alto della FIAT, di Finmeccanica e di Telecom; è diventata la prima industria italiana, un'industria che sta determinando uno sfacelo nelle famiglie degli italiani. Anche ieri, ho sentito dire da un senatore del Popolo della Libertà, il senatore Lauro, che il provvedimento che avete proposto per l'attuale disegno di legge di stabilità, che riguarda i giochi, è un atto criminogeno, che distrugge ulteriormente i bilanci, già magri, delle famiglie italiane. Infatti, gli italiani si stanno avviando verso la ludopatia.
Non so se conoscete questo fenomeno: in Italia, vi sono già centomila ludopatici, cioè centomila persone che, ormai, sono vittime, schiave e maniache dei giochi, e il loro numero è destinato a crescere sempre di più. Si sono triplicate, addirittura, le «quote rosa»: oggi, infatti, i giochi on line entrano nelle case delle persone e le casalinghe sono le prime vittime. Inoltre, i giovani fino a ventuno anni rappresentano il 25 per cento dei soggetti a rischio.
Dunque, state trasformando questo Paese in un Paese di giocatori, mentre diventa sempre meno capace di produrre ricchezza. In uno studio realizzato da un giornale spagnolo, El Pais, su 180 Paesi in cui è stata statisticata la capacità di crescita in ordine al PIL, sapete l'Italia a quale posto si trova? Al centosettantanovesimo posto. In altri termini, l'Italia non è più capace di produrre ricchezza, non è più capace di produrre PIL, non è più capace di crescere. Pertanto, con la politica del Governo Berlusconi, questo diventa sempre di più un Paese di giocatori e sempre meno un Paese di produttori di ricchezza, di economia e di impresa sana.
È questa la ragione per la quale anche la Corte dei conti sostiene che l'Italia è diventata un Paese sempre più corrotto: perché con il Governo Berlusconi è un Paese dove non vi sono regole. Ogni cittadino paga la corruzione con 800 euro pro capite. Questa è la quota che ogni italiano paga per la corruzione, che si sta ampliando e diffondendo sempre di più, in questo Paese, attraverso il «Berlusconismo».
Per questo motivo, di volta in volta - e non solo sulla corrente manovra di stabilità - abbiamo presentato in Commissione finanze un parere alternativo, così come abbiamo fatto con riferimento al programma nazionale di riforma: perché, oggi, dobbiamo uniformarci sempre di più alla politica che si gestisce a livello europeo. Dal prossimo anno, infatti, l'Europa ci darà indicazioni e correzioni. Il programma di politica nazionale di riforma è arrivato in Commissione l'11 novembre scorso, mentre il termine scadeva il 12, cioè il giorno dopo, e il Governo doveva trasmetterlo alla Commissione europea.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FRANCESCO BARBATO. Questa è la dimostrazione - mi avvio alle conclusioni - che questo Governo, anche dal punto di Pag. 29vista temporale, non arriva più ai problemi veri e agli interessi degli italiani. Le imprese sane vengono sempre di più escluse dal mercato, così come vengono sempre di più esclusi gli onesti: oggi, con il «Berlusconismo» vanno di moda le «cricche» e l'«incicciata», va di moda questo sistema. È la politica delle marchette, come abbiamo visto accadere sempre di più.

PRESIDENTE. Deve concludere.

FRANCESCO BARBATO. Per questo motivo, noi, come Italia dei Valori, continuiamo ad incalzare questa maggioranza e questo Governo, perché continuiamo ad essere un partito - concludo, signor Presidente - che è nel palazzo, ma che continua a guardare ad esso rimanendo sempre dalla parte della piazza e dei cittadini. Ecco perché sosteniamo che questo Governo Berlusconi deve andare a casa, questo Governo delle «marchette» e della «mala politica» (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, Viceministro Vegas, questo è il decimo provvedimento economico: abbiamo fatto cifra tonda dall'inizio di legislatura. È l'ultimo di questo Governo probabilmente, anzi quasi sicuramente, ed è tra i più importanti perché conferma in maniera inequivocabile la debolezza della politica economica dei nove precedenti provvedimenti economici.
Dieci provvedimenti economici che hanno prodotto un risultato, io penso inconfutabile e che è sotto gli occhi di tutti: il debito pubblico, in valori assoluti, è aumentato di 200 miliardi di euro (7 miliardi di euro al mese circa da quando la legislatura è iniziata). E non è aumentato per la congiuntura sfavorevole, per la crisi finanziaria internazionale, per vicende che in qualche modo sono sulla testa del nostro Paese. È aumentato per l'incapacità del nostro Governo di fare politiche economiche in grado di andare incontro a quei contesti difficili, a quelle congiunture difficili, a quelle ciclicità che, in qualche modo, imponevano scelte molto forti.
Noi da due anni e mezzo - ed è opportuno ridircelo in questi giorni, alla fine di questo percorso politico infausto per il Paese, soprattutto per l'economia italiana - vi ribadiamo ciò che vi abbiamo detto già durante la discussione in Aula concernente il decreto-legge 25 giugno 2008 , n. 112: dobbiamo avere il coraggio di fare la più grande operazione di redistribuzione dei redditi, delle ricchezze e delle risorse, che prevede esattamente l'opposto di quello che ha sempre detto il Ministro dell'economia e delle finanze Tremonti.
Vi siete sempre barricati, in qualche modo, dietro alcuni slogan, che ci hanno consentito qualche volta di discutere anche di promesse, di ponti anche quando non c'erano i fiumi. A parte il ponte sullo stretto di Messina, molto spesso avete fatto delle promesse irrealizzabili anche quando non servivano. Tutto sempre dentro una cornice: non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani. Purtroppo quelle tasche sono state alleggerite, non solo perché la pressione fiscale, vostro malgrado, è aumentata in questi due anni e mezzo dello 0,7 per cento, ma non è questo il tema.
Purtroppo, in un contesto come quello in cui abbiamo vissuto, ci voleva il coraggio di decidere in quali tasche mettere le mani. Le mani, Viceministro Vegas, vanno sempre messe nelle tasche di qualcuno quando si programma la politica economica di un Paese. Non bastano più gli slogan, non serve più la propaganda da campagna elettorale permanente, alla quale avete abituato il Paese, che porta a dire: non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani. Perché non facendo nulla la pressione fiscale aumenta comunque, ed è aumentata. È evidente, i dati non sono nostri, sono dati dell'ISTAT e della Banca d'Italia e di tutti gli organismi internazionali. La pressione fiscale è aumentata. È aumentata in questi due anni e mezzo ed Pag. 30è aumentata negli ultimi dieci anni, come il Viceministro Vegas, molto competente, sa molto bene.
Ma quel che è peggio è che non è solo aumentata la pressione fiscale: la mancata volontà di mettere le mani nelle tasche giuste ha portato il Paese a non fare scelte.
E allora vi elenco di nuovo le cose che non quadrano alla luce delle legge di stabilità appena presentata: lo stock di debito della pubblica amministrazione è aumentato; le tariffe sono mediamente aumentate nella legislatura sempre, almeno più dell'8 per cento, con punte del 30 per cento (mi sto riferendo a gas, energia, benzina); i costi dei servizi sono aumentati dal 5 al 25 per cento; e sono aumentati anche i costi di contribuzione di alcuni servizi a domanda individuale, che sono fondamentali per le nostre famiglie. Penso agli asili nido: laddove ci sono, purtroppo siamo ancora abbondantemente sotto gli indici del trattato di Lisbona. Gran parte del Mezzogiorno è abbondantemente sotto detti indici: se penso ai numeri di Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia, siamo sempre sotto il 10 per cento. Altro che 30 per cento! Bisognerebbe andare a Piacenza per trovare il 33 per cento, ma purtroppo l'Italia non è Piacenza!
Tuttavia, anche nelle città in cui si è andati sopra quegli indicatori, la vostra politica economica ha costretto i sindaci a chiedere alle famiglie - tutte, indipendentemente dalla condizione, dal ceto, dal censo - non solo, in alcuni casi, in alcune scuole, di portare la carta igienica perché non c'era, ma anche di pagare la retta fino ad un aumento del 35 per cento in alcune province italiane.
La spesa pubblica è aumentata. Cosa ci ritroviamo alla fine di questi due anni e mezzo, dopo gli slogan e le presunte battaglie del Ministro Brunetta? Essi, quando erano in buona fede, potevano anche, in un Paese normale, essere sostenuti da un dibattito pubblico costruttivo. E invece no: anche in quel caso, slogan, propaganda, slogan, propaganda.
Abbiamo fatto passare i civil servants di questo Paese - quelli che servono davvero la pubblica amministrazione - come dei servi e dei ladri. Alla fine il risultato è che la pubblica amministrazione è ripiegata su se stessa e le eccellenze che abbiamo sono sempre più umiliate e meno pagate. Abbiamo bloccato anche gli aumenti previsti nel triennio che abbiamo di fronte. Il risultato è che il merito non c'è, i talenti non ci sono e la spesa improduttiva è aumentata, nonostante gli slogan del Ministro Brunetta.
I tempi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni non si sono ridotti, basta chiedere a qualsiasi fornitore di qualsiasi amministrazione pubblica italiana: dalle ASL, che hanno allungato i tempi di pagamento, ai comuni, alle province e alle regioni. I tempi di pagamento della pubblica amministrazione in questi due anni e mezzo sono aumentati.
Purtroppo, è tempo di bilanci: quando un Governo non c'è più, e se poi la caduta di quel Governo coincide con l'ultima manovra finanziaria, è opportuno fare bilanci, intanto per evitare di apportare nuovamente danni al Paese, ma anche per evitare di utilizzare in maniera impropria slogan che sono stati già utilizzati.
Tuttavia, mi preme dire una cosa, che dovrebbe toccarci tutti quanti, in relazione a questa manovra, che chiaramente noi non voteremo. Il nostro senso di responsabilità di queste ore ad accelerare i tempi, è stato fatto passare per una sorta di disponibilità a votare una manovra, che non è votabile: infatti, qualsiasi Governo dovesse arrivare dopo questo, dovrà rimettere le mani sui conti dello Stato e, soprattutto, sulle tabelle che voi vi accingete ad approvare. Pertanto, è evidente il voto contrario di tutto il gruppo del Partito Democratico e di tutte le opposizioni: lo auspichiamo.
Tuttavia, il tema centrale - che non ha ottenuto alcun sussulto e che non è stato, in qualche modo coperto da propaganda - riguarda l'evasione. Vi avevamo chiesto più volte di avere il coraggio di mettere le mani sulle matrioske finanziarie che vengono utilizzate, in particolar modo, dalle grandi imprese, ma anche da molte medie imprese: ossia, quelle che fanno riferimento Pag. 31all'evasione IVA nel nostro Paese, che è oggettivamente la più alta del mondo. Non c'è nessun altro Paese al mondo che ha l'evasione dell'imposta indiretta per eccellenza - quella sui consumi - più alta dell'Italia. Non è successo nulla. Lo sanno anche i bambini, non occorre andare nella tenenza della Guardia di finanza in periferia, per scoprire che una fattura su tre, una fattura su quattro è fasulla.
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Purtroppo, non è successo nulla. Anche sulle operazioni estero su estero, vi avevamo chiesto di fissare dei paletti molto più rigidi. Non è accaduto. E sugli accertamenti - e concludo davvero - lasciate in eredità al sistema e, più in generale, alla fiscalità del nostro Paese, la certezza di un altro pasticcio: dal 1o luglio 2011, avete fissato in due mesi i tempi per i quali, di fronte ad un accertamento, scattano i decreti ingiuntivi ed i pignoramenti.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCESCO BOCCIA. Vorrei ricordare al Governo, signor Viceministro Vegas, che, in questo momento, nelle grandi città come Roma, Milano, Napoli e in tutte le altre grandi città, per avere una sospensiva sul ricorso, ci vogliono mediamente dai sette ai dieci mesi. Voi, in due mesi, di fatto, chiedete un pagamento, non consentendo a chi ha subito questo accertamento, in qualche modo, di fare ricorso.
Chiudo dicendovi con chiarezza che ci aspettiamo correttezza politica, in queste ore qui alla Camera e quando la manovra dalla Camera andrà al Senato. Ci auguriamo che non ci sia un allungamento dell'agonia che porti in qualche modo il Governo ad inventarsi qualche modifica ulteriore del disegno di legge di stabilità al Senato per poi farlo tornare alla Camera. Questo sarebbe attaccare il respiratore artificiale ad un Governo che non c'è più. Ci aspettiamo correttezza politica sperando che correttezza politica per voi non sia semplicemente un ossimoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fallica. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FALLICA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come è noto questo è il primo anno in cui sia il disegno di legge di stabilità, che ha preso il posto della legge finanziaria, sia il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013, assumono la nuova configurazione definita dalla legge n. 196 del 2009, che ha riformato la contabilità e la finanza pubblica. La differenza sostanziale fra la pletorica legge finanziaria e la legge di stabilità è la stringatezza di quest'ultima, nel senso che essa si limita a fornire il quadro di riferimento finanziario per il triennio 2011-2013 e a recepire la manovra triennale di finanza pubblica già varata con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Pertanto, il provvedimento al nostro esame appare ridotto rispetto alla finanziaria in quanto composto da pochi articoli anche dopo l'introduzione del maxiemendamento del Governo.
Il disegno di legge di stabilità costituisce lo strumento essenziale per assicurare il rispetto degli impegni assunti con il Patto di stabilità europeo, rafforzato per fronteggiare la crisi finanziaria determinata dalla Grecia, che aveva messo in forse la stessa sopravvivenza dell'euro per l'Italia, fatto, questo, assolutamente essenziale.
Per un Paese come il nostro, gravato da un debito pubblico schiacciante, mantenere e consolidare la stabilità dei conti pubblici è, evidentemente, indispensabile, anche perché, senza stabilizzazione, non è possibile avviare e sostenere la ripresa economica e produttiva. Il provvedimento è chiaramente basato su quanto contenuto nella decisione di finanza pubblica introdotta con la legge di riforma della contabilità pubblica che prevede un aumento del PIL nel 2010 dell'1,2 per cento, una crescita dello stesso del 2,3 per cento nel 2011 e del 2 per cento annuo nel biennio 2012 e 2013.
Per quanto riguarda il deficit pubblico si prevede che esso sia pari al 3,9 del PIL nel 2011, al 2,7 nel 2012 e al 2,2 nel 2013. Pag. 32Tale miglioramento è chiaramente determinato dagli effetti del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, e del disegno di legge di stabilità, che rappresentano la parte essenziale della manovra 2011-2013.
Vorrei sottolineare anche l'andamento previsto dell'indicatore più critico per la nostra economia che è costituito dal debito pubblico in rapporto al PIL, che, secondo le indicazioni contenute nella decisione di finanza pubblica, dovrebbe raggiungere il 118,5 per cento a fine 2010, un picco massimo del 119,2 per cento nel 2011, per poi ridiscendere al 117,5 per cento nel 2012 e al 115,2 per cento nel 2013.
Su questo fronte assai delicato inciderà anche la nuova intesa politica a livello europeo sul Patto di stabilità, che prevede maggiore rigore per i Paesi come il nostro con un pesante debito pubblico, al di sopra cioè del 60 per cento del PIL. Infatti è previsto che i Paesi che superino questa soglia debbano predisporre un percorso di rientro da rispettare tassativamente per non incorrere in procedure di infrazione analoghe a quelle già previste per il superamento della soglia di deficit annuale rispetto al PIL. Con ogni probabilità, per effetto dell'accordo in sede europea che rappresenta un compromesso fra le tesi gradualistiche italo-francesi e quella, forse troppo rigorista, del Governo tedesco, il nostro Paese non sarà costretto ad un piano «draconiano» di rientro, ma comunque si dovrà trattare pur sempre di un piano di rientro credibile.
Questo rappresenta un successo per il Governo italiano, in quanto si potranno evitare manovre eccessivamente dure e tali da penalizzare la ripresa dello sviluppo appena avviata.
Un altro successo da ascrivere al Governo è quello di aver fatto inserire, nella valutazione del debito di un Paese, accanto al debito pubblico anche il debito privato, che in Italia è notoriamente inferiore rispetto a quanto si registra negli altri principali Paesi dell'Unione europea.
È in questo quadro che va valutato il contenuto sia della legge di stabilità, sia del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013, la cui caratteristica principale è la triennalizzazione, mentre, in particolare, il bilancio ha una nuova struttura contabile basata su missioni e programmi diretti a privilegiare il contenuto funzionale della spesa.
Per il bilancio, quindi, siamo di fronte a due livelli di aggregazione: 34 missioni che rappresentano le funzioni principali della spesa pubblica, a loro volta articolate in 173 programmi, i quali rappresentano insiemi omogenei di attività svolte all'interno di ogni singolo Ministero.
Va rilevato che, a partire dal disegno di legge di bilancio per il 2011, i programmi costituiscono le nuove unità di voto parlamentare, il che ne semplifica notevolmente l'esame.
Va inoltre evidenziato che con la riforma della contabilità di Stato, il bilancio ha assunto un carattere non solo formale, ma di strumento di programmazione finanziaria, poiché con la maggiore flessibilità introdotta si può incidere sulla legislazione vigente di spesa, proponendo rimodulazioni di spesa predeterminate per legge.
Tornando a considerare la legge di stabilità, è da notare che questa nella sua articolazione è stata anticipata dalle leggi finanziarie dei due esercizi precedenti che, rispetto al passato, erano già molto più contenute e stringate, dato che la sostanza delle manovre triennali era inserita in altri provvedimenti, dei quali, il primo, particolarmente incisivo, è stato il decreto-legge n. 112 del 2008.
Tale meccanismo, quindi, ha già avuto un suo rodaggio, e ha dimostrato di essere funzionale, evitando gli assalti alla diligenza tipici delle vecchie leggi finanziarie tanto criticate e dannose per la finanza pubblica e, permettendo soprattutto, una politica economica e finanziaria con una visione strategica degli obiettivi da conseguire.
La legge di stabilità al nostro esame è alquanto stringata nei contenuti e nell'articolazione, delineando così un quadro di riferimento finanziario per il triennio del bilancio cui si lega strettamente, e tale Pag. 33caratteristica di fondo permane anche dopo l'introduzione del maxiemendamento del Governo.
Per tale precisa ragione la legge di stabilità si configura tuttora come essenzialmente tabellare, in linea, quindi, con quanto aveva chiaramente annunciato il Ministro dell'economia e delle finanze, Tremonti. Tutto questo è un bene in quanto si chiude definitivamente, in questo modo, la stagione delle finanziarie omnibus con contenuti incoerenti, le quali, con l'azione di vari gruppi di pressione e di varie lobby, spesso divenivano alla conclusione dell'esame parlamentare dei documenti pletorici e privi di un disegno di politica economica e finanziaria.
Va sottolineato che tale deprecabile prassi politico-parlamentare ha contribuito non poco al deterioramento dei nostri conti pubblici, per cui, la riforma della contabilità di Stato, varata con la legge n. 196 del 2009, rappresenta sicuramente uno dei tanti risultati concreti del Governo Berlusconi.
Come è noto, nel corso dell'esame in V Commissione, è emersa l'esigenza di integrare la legge di stabilità con norme che inizialmente erano destinate ad essere inserite in uno specifico provvedimento: il tradizionale decreto di fine anno, cosiddetto «milleproroghe». Questi interventi del valore di circa 5,8 miliardi di euro - come indicato dal viceministro Vegas - sono diretti, come noto, a coprire esigenze inderogabili come: il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali anche in deroga, la destinazione di risorse per circa un miliardo di euro alle università (di cui 100 milioni destinati al diritto allo studio), l'allentamento del Patto di stabilità per le regioni e gli enti locali, la detassazione del salario di produttività, il rifinanziamento delle missioni internazionali di pace, l'incremento dei finanziamenti per le scuole paritarie, il rifinanziamento del 5 per mille, il rifinanziamento del fondo per le politiche sociali, l'esenzione del ticket per la diagnostica, il credito di imposta per le imprese che affideranno attività di ricerca e sviluppo alle università, altre finalizzazioni minori.
Vorrei a tal proposito anche ringraziare il Governo, e in particolare il Viceministro Vegas, per l'accoglimento dell'invito formulato in un nostro emendamento sui fondi per i parchi nazionali che il Viceministro ha provveduto a rimpinguare con 35 milioni di euro. Lo ringraziamo di questo, perché obiettivamente i programmi ambientali ci sono, contrariamente a quanto affermato da un collega precedentemente, ma mancano i fondi.
Quindi, riponiamo la nostra fiducia sul Governo e sul Ministro Tremonti affinché possano rivedere nel prossimo futuro i fondi per il Ministero dell'ambiente. Come si vede, l'insieme di questi interventi (in gran parte obbligati e tutti debitamente coperti dal punto di vista finanziario, per cui i saldi di bilancio restano immodificati) fanno giustizia dell'accusa che le opposizioni muovono al Governo circa una sua presunta inerzia di fronte ai problemi del Paese.
La verità è un'altra, è cioè che le risorse sono limitate ed occorre selezionare in modo rigoroso gli obiettivi cui destinarle nell'interesse del Paese e non dei molteplici gruppi di interesse e di pressione che vorrebbero rinnovare l'assalto ai fondi pubblici. Al riguardo, sono da respingere nettamente, in quanto irresponsabili e controproducenti, le richieste della sinistra per un allargamento della spesa che, porrebbe in grave pericolo la stabilità finanziaria del nostro Paese che è che un bene prezioso da preservare.
Per tali ragioni auspico che il disegno di legge di stabilità e il disegno di legge recante il bilancio di previsione dello Stato per il 2011 e per il triennio 2011-2013 siano approvati senza indugio. Il Popolo della Libertà, anche con i suoi deputati di Forza del Sud, lo faranno certamente (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, Viceministro Vegas, la legge di stabilità contiene ai Pag. 34commi 158-162 del testo della Commissione l'esito dell'intesa tra il Governo e la regione che qui rappresento, la Val d'Aosta, in applicazione della legge n. 42 del 2009 sul cosiddetto federalismo fiscale.
Devo fare su questo punto i complimenti al Ministro Calderoli per la determinazione e la tempestività. In una nota intervista a Libero di qualche mese fa, dal titolo rivelatore «Così la Lega sta smantellando le regioni a Statuto speciale», il Ministro esprimeva, senza troppe perifrasi, il suo pensiero, che riporto testualmente: certo, uno dice meglio abolirle le regioni a Statuto speciale, ma la legge non lo consente. C'è in effetti di mezzo la Costituzione (articolo 116) e allora intanto tagliamo loro le risorse.
È esattamente ciò che state facendo. A regime, nel 2017, la Val d'Aosta subirà una riduzione delle risorse disponibili superiore al dieci per cento del proprio bilancio attuale. Ma se questo era ed è l'obiettivo, non serviva proprio scomodare il federalismo, né mascherarlo dietro questo termine che rappresenta tutt'altro, come in ultimo ha riconosciuto anche il Presidente Fini a Perugia, definendolo privo di senso senza una trasformazione istituzionale, senza quella Camera delle regioni che le minoranze linguistiche da gran tempo chiedono in quest'Aula.
Su questo terreno, un po' più arduo dall'impugnare la scure contro le regioni e le province autonome singolarmente, partendo proprio da quelle del nord, avremmo voluto vedere uguale determinazione e tempestività, caro Ministro Calderoli, e invece qui sull'aspetto cruciale del federalismo passi avanti zero.
Molte sono le questioni in discussione nella legge di stabilità. Il tempo molto limitato mi consente di accennare a due sole: famiglie e occupazione. Si è fatto, proprio in questi giorni, un gran parlare di famiglia (è venuto anche in Valle d'Aosta il sottosegretario Giovanardi), intesa quale centro e pilastro della coesione sociale della comunità. La legge di stabilità, nel testo varato dal Consiglio dei ministri, andava in tutt'altra direzione, in quella di tagli inaccettabili con la riduzione, secondo i dati dell'ufficio studi della Camera, del 62 per cento del Fondo per le politiche della famiglia, del 92 per cento del Fondo per le politiche sociali, del 47 per cento del Fondo per le politiche giovanili, senza alcun rifinanziamento del Fondo per le non autosufficienze. Questa era la vostra proposta iniziale, poi, in Commissione, dopo essere naufragati sul primo scoglio, avete capito che si tratta di una strada non percorribile e, almeno su alcuni punti, avete avviato una saggia revisione di rotta.
La seconda questione, strettamente connessa alla prima, è quella dell'occupazione. Come possono, signor Viceministro, costituire una famiglia quei troppi giovani, quasi il 28 per cento, che sono alla vana ricerca di una stabile occupazione? E come possono non guardare con preoccupazione alla propria famiglia i troppi precari ed i cassaintegrati? Abbiamo recentemente portato in quest'Aula il caso della Engineering. Ecco, siamo in un contesto economico in cui, come stigmatizzava l'Enciclica «Caritas in veritate», un peso preponderante hanno avuto; «l'impiego speculativo delle risorse finanziarie e la ricerca di solo profitto di breve termine».

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Concludo, signor Presidente. Signor Viceministro, alcun passi avanti nell'esame in Commissione sono stati compiuti. Voglio ricordare la stabilizzazione delle agevolazioni contributive del settore agricolo, annosa questione che abbiamo più volte sollevato in quest'Aula, o il ripristino della ripartizione concordata tra le regioni a statuto speciale e le province autonome del contributo agli obiettivi di finanza pubblica, di cui diamo atto al Ministro Galan e a lei, signor Viceministro Vegas. Altri passi auspichiamo che vengano compiuti in Aula sulle questioni a cui accennava e su questa base esprimeremo la nostra valutazione conclusiva.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

Pag. 35

SESA AMICI. Signor Presidente, molti colleghi del mio partito e dell'opposizione hanno già delineato la cornice esatta nell'ambito della quale si svolge questa discussione. Per usare un paradosso sembrerebbe che ci sia una certa sintonia fra il clima atmosferico e il clima politico. Da un lato, il clima atmosferico della giornata di oggi, giornata uggiosa e piena di nubi, dall'altro, un clima politico denso anch'esso non solo di nubi, ma di alcune certezze: la maggioranza non c'è più!
Credo che questo sia l'elemento che deve fare da cornice nella riflessione che vogliamo avviare in questa discussione sul bilancio di previsione dello Stato e sulla questione della legge di stabilità. Una discussione congiunta che avviene dentro una logica di modifica della legge di bilancio e che sarebbe stata certo assai utile se avessimo discusso a luglio all'interno di una cornice molto più chiara, cosa che non è avvenuta. Già a luglio esprimeremmo un giudizio fortemente negativo - lo ricorderà il Viceministro Vegas - perché dentro quella ricostruzione di un approccio di linea economica che guardava al Patto europeo di stabilità, alla tenuta dei conti pubblici, vedevamo semplicemente un tentativo, ancora una volta, di non mettere mai in discussione il profilo strategico di una azione economica.
Economia e politica sono da sempre il terreno sul quale si confrontano le classi dirigenti del mondo. Politica ed economia determinano lo sviluppo di un Paese, ne danno il senso di prospettiva, ne segnano profondamente le linee di fondo. Ebbene, già a luglio questi elementi avevano segnato un distacco profondo tra politica ed economia. Anzi, vorrei dire che in quella legge, quella che fa esattamente da madre alla legge di stabilità di oggi, emergevano con nettezza tre grandi questioni: l'assenza di futuro, la possibilità di investire su di un Paese che non volesse semplicemente declinare al suo stato. Quindi, investire su tre elementi di forte innovazione: innovazione tecnologica e competitività delle imprese, condizione dei giovani e delle donne.
Tre grandi pilastri di una discussione economica alla quale vi siete sempre sottratti nonostante credo che questi siano ancora oggi gli elementi su cui è possibile un confronto serio che guarda all'interesse del Paese.
Un giovane su quattro - è stato ricordato - è in cerca di lavoro. Le ore di cassa integrazione aumentano a dismisura. La deroga prevista sul maxiemendamento per gli ammortizzatori sociali testimonia ancora una difficile fuoriuscita dalla crisi. Il Fondo delle piccole e medie imprese che avete promesso proprio ieri tramite il Ministro Tremonti testimonia che queste sono in sofferenza pur costituendo il tessuto connettivo dell'economia di questo Paese.
Le donne, costrette ancora una volta a conciliare tempi di lavoro, scelte di vita, part time, vengono espulse dal mondo del lavoro perché lì dentro si riassumono con grande nettezza le discriminazioni soprattutto salariali. Su queste tre questioni, anche oggi la nostra discussione non dice nulla. C'è il nulla del vuoto della politica. Il vuoto della politica del Governo di fronte a questioni che si sono dibattute nel corso di questi due anni. Ci avete prima detto che non si potevano fare questi ragionamenti perché eravamo nel pieno di un'economia globalizzata.
Dopo ci avete detto che i vostri limiti erano dettati da una crisi finanziaria europea (vedi la Grecia, ma anche oggi le notizie dall'Europa non sono del tutto soddisfacenti). Dopo l'economia globalizzata e dopo le crisi finanziarie avete voluto mascherare - ed è questo il limite più grave di fronte a questa discussione - una crisi sociale vera di questo Paese che, per quanto volete nascondere, oggi rischia l'implosione proprio sulle crisi sociali. Si fanno carico di questo ragionamento proprio gli emendamenti che ancora una volta, con grande senso di responsabilità, il Partito Democratico ha posto in luce nella discussione.
Sarebbe troppo facile, proprio in questa giornata e in queste ore, declinare semplicemente un livello di discussione contestataria. Noi abbiamo messo in Pag. 36campo una serie di proposte alle quali avete dato ancora una volta la risposta di una forte maggioranza che forte non è assolutamente. Lo è per quanto riguarda i carichi familiari, la questione dell'IRAP, la vicenda del 55 per cento del bonus agli ecoincentivi...

PRESIDENTE. Onorevole Amici, la prego di concludere.

SESA AMICI. Infine, signor Presidente, mi rendo conto che è assai difficile in questo momento, anche per la scarsezza del tempo a nostra disposizione, sviluppare un ragionamento più complessivo. Tuttavia, voglio semplicemente concludere con una nota fatta dalla I Commissione (Affari costituzionali) che, proprio alla luce della legge di stabilità, non ha avuto la possibilità di rimodulare le missioni. Dal centro di responsabilità amministrativa si osserva che le dotazioni annuali del Ministero dell'interno si sono ridotte per effetto dei tagli disposti dal decreto n. 78 del 2010 del 25 per cento e che l'entità di tale decurtazione accentuava ulteriormente il già evidente squilibrio tra i costi per l'espletamento dei servizi istituzionali che riguardano la sicurezza e la polizia. Annualmente si rilevano le risorse annuale disponibili, ma la presenza di un così evidente squilibrio in sostanza rende vano un efficace tentativo di rimodulazione delle dotazioni iniziali che necessariamente debbono subire delle sostanziali integrazioni per far fronte alle spese incomprimibili.

PRESIDENTE. Onorevole Amici, deve chiudere...

SESA AMICI. Ho concluso, signor Presidente. Ciò che in questo momento ho letto non è il commento di un esponente dell'opposizione, ma esattamente i rilievi mossi dal relatore di maggioranza che con qualche imbarazzo ha dovuto certificare il fallimento della vostra azione di Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mondello. Ne ha facoltà.

GABRIELLA MONDELLO. Signor Presidente, colleghi deputati, signori rappresentanti del Governo, oggi siamo a discutere una legge di stabilità che cade in un momento molto difficile anche della vita parlamentare. I tagli lineari effettuati dal Governo e i mancati investimenti conseguono il risultato di non colpire i veri sprechi che rimangono pervicacemente annidati in molti settori pubblici, ma hanno pesantissime ripercussioni sul settore dell'occupazione, sia a livello di dipendenti che di imprese. Ci si potrebbe soffermare sui molteplici aspetti del non fare reale di questo Governo, contrapposto all'illusorio fare tanto sbandierato. Tuttavia, come parlamentare UdC ligure mi soffermerò senza polemiche strumentali su due problemi ai quali - spero - venga rivolta la giusta e doverosa attenzione.
Il primo è relativo alla gravissima crisi che vive la cantieristica navale, per la quale dobbiamo rilevare come manchi un serio sostegno del Governo, a differenza di quanto avviene in altre nazioni europee come la Francia, la Finlandia e la Germania in un settore strategico caratterizzato da elevati indici di innovazione tecnologica.
Fincantieri è uno dei maggiori gruppi industriali in Europa e nel mondo per fatturato e numero di addetti, attivo nel settore della cantieristica crocieristica, militare e mercantile e quindi è una delle più importanti realtà produttive del nostro Paese. Il gruppo industriale Fincantieri, stando ai dati dei bilanci consolidati degli ultimi anni, è quindi un'azienda sana, non assistita, ha alle proprie dirette dipendenze oltre 8.500 addetti, senza contare tutti quelli dell'indotto e pertanto si può calcolare che abbia molte migliaia di lavoratori, oltre 18 mila unità, distribuite nelle sedi di Trieste, Monfalcone, Marghera, Muggiano, Ancona, Castellammare di Stabia, Palermo, Sestri Ponente (Genova) e Sestri Levante. Proprio a proposito di quest'ultimo (Sestri Levante è una cittadina in provincia di Genova), il cantiere Pag. 37denominato «Fabbrica del Tigullio» è l'unico che dà occupazione nell'ambito di un larghissimo tratto compreso tra Genova e la Spezia. È bene ricordare come, verso la metà di settembre, sia uscito su La Stampa un documento riservato stilato da Fintecna, emanazione del Ministero dell'economia che, prevedendo la chiusura del cantiere di Riva Trigoso, che - ripeto - è un cantiere sanissimo che, peraltro, ha commesse sicure fino al 2014 e oltre, ha seminato il panico ben giustificato in migliaia di dipendenti diretti o dell'indotto e delle loro famiglie.
Come può questo Governo parlare di politiche della famiglia quando, colpendo le speranze di occupazione dei giovani o minando le certezze di chi pensava di avere un lavoro, si minano le basi dalle fondamenta, ossia proprio dal lavoro? Chiediamo quindi che - attraverso stanziamenti per interventi strutturali non più rinviabili, ai quali naturalmente sono disposti a collaborare anche gli enti locali, e commesse pubbliche - il Governo aiuti la cantieristica a superare la grave crisi, che vede già moltissimi lavoratori in cassa integrazione.
Recentemente, si è svolta proprio a Roma un'imponente manifestazione, che ha fatto vedere come effettivamente tutti i cantieri siano uniti nella difesa del loro posto di lavoro e auspichiamo che - attribuendo qualcosa di più ad altri cantieri, collocati in aree geografiche e politiche diverse, come l'Adriatico - non scoppi una guerra tra poveri.
Mentre chiediamo con energia il sostegno del Governo, come gruppo dell'UdC, ribadiamo la necessità di provvedere ad erogare quanto già stabilito. Infatti, con il decreto incentivi del marzo 2010, si stabilì un fondo di 50 milioni, assegnato a diverse finalità: aeronautica, Agenzia per la sicurezza nucleare, emittenza privata e una nave multiruolo.
Chiediamo che almeno, nell'ambito di questo fondo, i 18 milioni assegnati alla cantieristica vengano erogati e che il decreto incentivi vada avanti. Ci risulta che il decreto incentivi sia stato firmato dal Ministro Romani appena insediatosi ed ora debba essere firmato dal Ministro Tremonti, a cui rivolgiamo una forte richiesta affinché almeno quanto già stabilito vada avanti.
Dobbiamo poi ricordare, oltre a questo fatto, come effettivamente la Liguria stia soffrendo anche per altre cause. In effetti, alla grave crisi occupazionale si è aggiunta - come in altre regioni d'Italia - l'avversità delle condizioni atmosferiche.
La Liguria sta veramente attraversando un periodo molto difficile e grave. Anche qui, voglio ricordare - perché vorremmo che vi fosse un'equa distribuzione dei fondi e abbiamo richieste da parte della regione Liguria, del presidente Burlando e degli altri enti locali - che, di fronte ad una richiesta per danni stimata in oltre 200 milioni, di cui 110 milioni per opere di messa in sicurezza e 18 milioni per le somme urgenze per il comparto pubblico, il Governo, che pure ha riconosciuto lo stato di emergenza, ha messo a disposizione soltanto 10 milioni di euro.
Credo che chiunque veda l'estrema disparità. Non vorremmo che vi fossero - questo porta, purtroppo, a dirlo - luoghi più privilegiati rispetto ad altri. Inoltre - anche questo si ricollega all'intervento che ho fatto prima in merito alle decisioni già assunte e deliberate - la Liguria è ancora in attesa di ricevere i 24 milioni di euro già stanziati dal Governo per gli eventi alluvionali che avevano colpito il suo territorio a cavallo tra il 2009 e il 2010. Si tratta di 24 milioni, anche qui, a fronte di 270 milioni di danni.
È chiaro che questo può impedire una reale politica di sviluppo da parte degli enti locali. Non si parla più della realizzazione di opere infrastrutturali: il Terzo Valico, di cui tanto si è favoleggiato in questi anni, è ulteriormente bloccato. Si tratta del valico che dovrebbe unire Genova con Milano e quindi permettere un più veloce spostamento della forza lavoro.
Gli enti locali, pur di sopperire ai gravissimi danni che hanno colpito negozi, imprese, privati cittadini e infrastrutture, utilizzeranno i soldi destinati ai lavori pubblici per questa finalità, con un danno gravissimo. Infatti, vengono inviate lettere Pag. 38veramente in cui si esprime molta preoccupazione da parte di presidenti di associazioni, come l'Assedil, l'ANCE e così via.
Queste ultime, legate come sono alle associazioni di Confindustria o ad altre, applaudono, sì, i tagli lineari operati dal Ministro dell'economia e delle finanze e dal Governo stesso, ma non si rendono conto che questi tagli si rivolteranno contro di loro se gli enti locali saranno costretti ad intervenire per sopperire alle mancanze del Governo nell'erogazione dei fondi, anche per sistemare meglio il territorio (faccio parte della Commissione ambiente: non apro questa pagina, ma, effettivamente, moltissimi dei danni che accadono sono dovuti alla carenza di investimenti sul territorio, per dare un vero e proprio assetto idrogeologico che prevenga in futuro questi avvenimenti); non si accorgono - ripeto - che il settore dei lavori pubblici verrà completamente svuotato.
Queste imprese, quindi, e i conseguenti appalti a cui le imprese concorrono, rischiano di trovarsi senza incarichi verso i quali concorrere. Naturalmente, poi succede che esse provvedono al licenziamento dei loro dipendenti. Anche il licenziamento nel settore edilizio e dei lavori pubblici sta raggiungendo, almeno per la mia conoscenza della regione Liguria, delle cifre effettivamente elevatissime.
Credo che l'emergenza vera di questo Paese sia quella occupazionale. Quante volte abbiamo sentito dire in passato che il nostro Paese ha reagito meglio alla crisi economica globale di tante altre nazioni! Forse, può essere vero per quel che riguarda il settore finanziario; non so, però, in che modo, perché, se parlate ai piccoli imprenditori e ai commercianti di come vengono trattati dalle banche e a quali durissime condizioni, chiaramente rispondono che non hanno rilevato alcun miglioramento.
Vorremmo allora sapere in che cosa ce la passiamo meglio, perché, al riguardo, basta essere deputati che agiscono sul territorio, parlare con la gente e sentire tutti i giorni la preoccupazione costante delle famiglie riguardo al futuro dei figli, ma anche e soprattutto di quelle persone di mezza età che, se per caso perdono un'occupazione, sanno già che nulla troveranno.
Ritornando al cantiere di Riva Trigoso - mi avvio a concludere - poiché questo si affaccia sul mare (anche gli altri sono sul mare, ma il mare della Liguria, come tutti sanno, è particolarmente apprezzato), non vorremmo pensare, come da più parti rilevato, che alle spalle di questa, per ora soltanto ipotizzata, chiusura possano esservi delle speculazioni di tipo immobiliare. Vogliamo credere all'amministratore delegato...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GABRIELLA MONDELLO. ... Giuseppe Bono (che in questi anni ha amministrato Fincantieri molto bene) quando, con i sindacati e in accordo anche con gli enti locali - e concludo - ha sottoscritto un impegno dicendo che nessuna sede cantieristica verrà chiusa.
Chiediamo pertanto al Governo di riflettere su questo settore importantissimo dal punto di vista occupazionale, ma anche per il prestigio del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Viceministro Vegas, siamo giunti, dopo una settimana di lavoro in Commissione, alla discussione di questi provvedimenti in Aula.
Questo è un momento importante perché ha consentito a tutti noi di mettere da parte le questioni politiche e le istanze particolari, per privilegiare la responsabilità nei confronti del Paese. Tutti gli schieramenti hanno lavorato in maniera egregia, consentendo la discussione di un provvedimento (la legge di stabilità), pensato in una maniera, ma definito alla fine in un'altra, proprio in nome dell'interesse comune del Paese e delle esigenze di stabilità, senza dimenticare i vincoli europei. Di ciò dobbiamo ringraziare anche il Ministro Tremonti, che ha consentito, malgrado Pag. 39le premesse stringenti, di lavorare ridefinendo alcuni valori tabellari ed introducendo alcune voci di intervento lì dove non erano previste.
Il lavoro del gruppo Futuro e libertà in Commissione bilancio è stato ostinato e costante, abbiamo strappato con determinazione risultati importanti: dall'incremento delle risorse all'editoria, quale baluardo della libertà di informazione, passando per l'università e la ricerca, senza dimenticare le risorse riconosciute alle emittenti televisive locali, veicolo di conoscenza e di informazione, e la tutela, meritevole di attenzione, da parte dei provvedimenti, per i fondi FAS per le aree disagiate del Meridione, fino al riconoscimento della proroga del diritto ad usufruire delle detrazioni fiscali per i carichi di famiglia per gli italiani lavoratori del MAE all'estero.
Non possiamo, però, rimanere passivi ad osservare quanto fino ad ora ottenuto; si può fare, sempre e comunque, di più e bisogna avere il coraggio di operare con concretezza e non con chiacchiere. Molte cose, infatti, restano irrisolte, molti nodi sono ancora da sciogliere; mi riferisco a settori strategici come l'università e le risorse destinate alle borse di studio per gli studenti meritevoli o meno abbienti, senza dimenticare le politiche ambientali, l'efficienza energetica e in particolare la proroga delle detrazioni del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici, in riferimento alla quale è stato colto l'orientamento positivo del Governo, ma attendiamo quei fatti, che lei, Viceministro Vegas, aveva coraggiosamente anticipato in Commissione.
In queste settimane in cui si è tanto parlato di famiglia come nucleo fondante della società è opportuno, quanto prioritario, riflettere in termini più proficui al riguardo. Non si può parlare soltanto di misure a sostegno delle famiglie, di quoziente familiare o di assistenza a vario titolo, senza poi intervenire con provvedimenti di natura finanziaria in tal senso. Mi sembra che questi argomenti siano comodi da utilizzare soltanto per la risonanza mediatica che hanno. La società aspetta provvedimenti seri e concreti.
Proprio per questo mi rivolgo agli autorevoli referenti del Governo presenti in Aula, facendo appello al buonsenso e alla capacità di cogliere le criticità che al momento investono il Paese. Al di là di quelle che saranno le prospettive politiche, che verranno valutate nelle sedi opportune, quello che vogliamo è un impegno rivolto ai settori strategici dell'economia, della ricerca, alle famiglie, ai lavoratori, fino all'emergenza occupazionale, che non si perda nel mare della demagogia e dei buoni propositi, ma si traduca in fatti ed iniziative.
Abbiamo avuto la prova concreta che, dinanzi a tali esigenze, Futuro e Libertà per l'Italia non si perde d'animo. Lo chiediamo per l'oggettività dell'interesse comune, che deve rappresentare la priorità assoluta dell'azione del Governo in questo delicato momento politico (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, intervengo per esprimere la nostra opinione, quella del gruppo del Partito Democratico, sulle scelte contenute nel bilancio annuale dello Stato e per il triennio 2011-2013 per la funzione difesa del Ministero della difesa. Lo faccio iniziando ad illustrare il parere con il quale la Commissione difesa si è espressa quindi la maggioranza (noi abbiamo presentato un parere contrario, un parere di minoranza, in occasione dell'approvazione della manovra in esame per la difesa), e gli elementi che hanno supportato la maggioranza ad esprimere il parere favorevole.
La richiesta è di approvare il programma, con l'indicazione di incrementare le risorse destinate all'esercizio per non meno di 320,4 milioni di euro. Inoltre, si chiede di aumentare la dotazione degli stanziamenti destinati ai reclutamenti, per consentire il raggiungimento degli obiettivi di forza, con l'incremento per l'anno 2011 Pag. 40da 178.571 unità a 184.000; e si chiede, da parte della maggioranza, approvando la manovra, che vengano incrementate le risorse destinate agli arsenali militari, che sono impegnati a garantire la manutenzione dei mezzi e delle scorte in dotazione alle Forze armate.
Insomma, la stessa maggioranza ha espresso non un parere favorevole a condizione, ma ha dato chiaramente un parere contrario alle scelte contenute nella manovra. Si tratta in effetti di un modo come un altro per esprimere un parere contrario da parte di una maggioranza che si esprime sempre di più come se fosse una maggioranza di lotta e di governo (abbiamo visto poi quali sono i risultati di questo modo di operare), pensando di continuare a prendere in giro così le Forze armate e anche gli italiani.
Le scelte per la difesa sono molto gravi: viene confermata una riduzione per l'esercizio 2011 di 320 milioni di euro, meno del 18 per cento rispetto al 2010, anno durante il quale vi è stato un taglio molto forte alla dotazione garantita alle Forze armate per la manutenzione dei mezzi, per l'approvvigionamento delle scorte, per la formazione del personale e per garantire l'addestramento necessario ai nostri uomini, che sono impegnati in delicate missioni internazionali.
È contenuto poi, nella previsione di bilancio, un aumento del personale che corrisponde solo allo 0,9 per cento rispetto al 2010. Rileva in questo caso il tema della specificità: poco più di un anno fa è stata approvata una legge che riconosce la specificità della funzione difesa e sicurezza, ma tale scelta non è stata accompagnata dalle misure economiche necessarie a livello contrattuale, a livello di integrazione del reddito, a fare in modo che le Forze armate possano svolgere la funzione specifica che è stata loro riconosciuta dalla maggioranza e dal Governo con una legge.
Anche in questo caso vi è una presa in giro: si è compiuta una scelta che delude le aspettative legittime dei militari, che hanno creduto a quella legge sulla specificità.
Vi è poi di caratteristico l'incremento di 266 milioni di euro - non è poca cosa, tenendo conto della situazione economica del Paese - per gli investimenti sui sistemi d'arma, pari a un incremento dell'8,4 per cento rispetto al 2010. In questa manovra si conferma anche il taglio al reclutamento di oltre 300 milioni, che porterà al blocco generalizzato del reclutamento e delle progressioni dei volontari nel servizio permanente, con la conseguente perdita di professionalità qualificate, che avrà un forte impatto sulla capacità dello strumento operativo.
Oltre al parere, come abbiamo detto, ipocrita della maggioranza, che ha voluto dare il nulla osta a questa manovra con le scelte che ho ricordato all'inizio, vi è anche una nota del Ministero della difesa che fa capire come sia grave la situazione, laddove interviene soprattutto sulle risorse che vengono sottratte all'esercizio. La nota del Ministero della difesa, che accompagna la manovra, afferma che è necessario un intervento correttivo per garantire la prontezza operativa dello strumento militare, che altrimenti rimarrà al livello minimo necessario per fare fronte agli impegni internazionali, con il rischio di vedere aumentare le criticità che lo caratterizzano.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONIO RUGGHIA. Sostanzialmente, lo stesso Ministero della difesa afferma, in un modo diplomatico, che siamo oltre il «livello di guardia», per indicare chiaramente quello che è stato detto dagli ambienti delle Forze armate, notando che, con questi tagli lineari progressivi, veramente mettiamo a rischio la sicurezza anche dei nostri uomini impegnati nelle missioni internazionali, che, come abbiamo visto, sono molto delicate e sono costate molto anche in termini di perdita di vite umane.
Facciamo questi tagli senza operare una scelta che andrebbe condotta sul modello di difesa, per capire quali risorse, come sistema Paese, possiamo destinare a favore dello strumento militare, quali risorse Pag. 41possiamo permetterci, non già attraverso tagli progressivi, che vengono realizzati senza affrontare questa esigenza di programmazione, a differenza di quanto avviene in altri Paesi europei. Sempre a differenza di quanto venne realizzato in altri Paesi europei, noi non investiamo né politicamente né economicamente sulla cooperazione militare e per dare forza al processo di integrazione di politica di difesa e sicurezza europea.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONIO RUGGHIA. Il Ministro La Russa, un anno fa, in Commissione, ha affermato di non credere alla possibilità di realizzare questo tipo di integrazione sulla difesa insieme ad altri Paesi.
Noi diamo un giudizio molto negativo sulla manovra per le scelte che sono compiute sul reclutamento e sull'esercizio e per quelle scelte che non sono compiute a favore del personale.

PRESIDENTE. Onorevole, deve concludere.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, crediamo che della difesa si debba discutere in maniera molto più organica di quello che si fa quando si approvano le manovre finanziarie. A tal fine sono state approvate delle mozioni in Parlamento che impegnano il Governo in questo senso e, sulla base anche dell'evoluzione della crisi politica in atto, ci sentiamo in grado comunque di impegnarci, già da adesso, per portare questa discussione in Parlamento e per chiedere al Governo di impegnarsi nella programmazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sardelli. Ne ha facoltà.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome del partito che rappresento, Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani, voglio innanzitutto esprimere l'apprezzamento per il lavoro dell'onorevole Milanese, relatore per la maggioranza sul disegno di legge di stabilità per il 2011, nonché l'apprezzamento per il lavoro del Governo.
È un apprezzamento per un impegno pluriennale del Ministro Tremonti che, con coerenza e perseveranza, ha tenuto a riparo il Paese dalla crisi economica mondiale che ha sconvolto i mercati, ha assicurato al contempo coesione sociale e stabilità finanziaria e, tutto questo, in presenza di un debito pubblico enorme che limita fortemente le possibilità di manovra, e anche di un indirizzo della Commissione europea che riduce ulteriormente le possibilità di manovra dei governi nazionali.
Solo la coraggiosa politica economica di questo Governo, lungimirante negli anni, ha assicurato certezza e credibilità al Paese sui mercati finanziari.
Voglio ricordare la vecchia legge di bilancio di dieci - quindici anni fa: la finanziaria era l'occasione per l'assalto alla diligenza delle corporazioni (le corporazioni dello spreco e della spesa facile), era la legge delle migliaia di emendamenti che ci tenevano incollati in questa Aula per ore ed ore in sedute anche notturne, era l'occasione di discredito dell'attività parlamentare e del Parlamento.
Ebbene, mi pare che i Governi di centrodestra abbiano assicurato ben altro profilo alla legge di bilancio, l'hanno trasformata in una legge di stabilità e in tal modo hanno preservato la sicurezza economica del Paese.
Venendo allo specifico delle misure prese in questo disegno di legge di stabilità voglio apprezzare da uomo del sud, e di un partito del sud quale è Noi Sud, la disponibilità di un miliardo e mezzo di euro per il 2012 attraverso i fondi FAS destinati a interventi di edilizia sanitaria pubblica, con una ripartizione dell'85 per cento a favore delle regioni del Mezzogiorno, interventi e risorse che vengono da una legge del 2002. Infatti, per primo, il Ministro Tremonti creò questa struttura dei FAS, dei fondi per le aree sottoutilizzate a tutela del Mezzogiorno del Paese. Pag. 42
Quindi, esprimo apprezzamento per questa iniziativa, come anche per la messa a regime di quella che è la riforma universitaria, attraverso lo stanziamento di 800 milioni di euro per l'anno 2011, e di 500 milioni di euro per l'anno 2012 per un piano straordinario per la chiamata dei professori di seconda fascia.
Va rimarcata inoltre la concessione di un credito di imposta a favore delle imprese che affidano attività di ricerca e sviluppo a università o enti pubblici, con un fondo di 100 milioni di euro; altri 100 milioni di euro sono stati stanziati per la concessione di prestiti d'onore e di borse di studio da ripartire fra le regioni; significativo è lo stanziamento di 750 milioni di euro per il rifinanziamento del fondo destinato a garantire la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, che hanno fatto del nostro Paese uno dei più considerati per la vocazione di pace e di collaborazione fra i popoli.
Ultimo ma non ultimo, voglio ricordare il fondo di 375 milioni di euro per la gratuità parziale dei libri scolastici e le politiche per la stabilizzazione dei lavoratori impiegati in attività socialmente utili. Allo stesso modo si è intervenuti per incrementare il fondo per l'occupazione, per le agevolazioni a favore alle imprese agricole e per i contributi per la stampa italiana all'estero.
Ma tutto questo non basta, a tutto questo va aggiunto, da oggi, un piano straordinario per il sud. Ricordo che - non più di due mesi fa, a settembre - una maggioranza ha votato un progetto di governo in cinque punti in cui finalmente il sud era al centro del progetto di sviluppo per il Paese, per le sue condizioni economiche e sociali, per la straordinarietà delle occasioni che offre.
Ebbene, questo è l'impegno che noi chiediamo a questo Parlamento nelle prossime occasioni e nelle prossime sedute, e chiediamo che si continui in questo impegno straordinario.
Tutto ciò avviene in una condizione di coesione sociale. Non abbiamo nessuna grande organizzazione del lavoro e nessuna delle grandi organizzazioni dell'impresa (che siano Confindustria o i sindacati) che contesti la correttezza sociale, morale, ed economica di questi disegni di legge di stabilità e di bilancio. Vuol dire che stiamo operando bene, anche in un contesto politico complesso qual è quello che si è creato in questi giorni con le dimissioni di una forza (FLI) della maggioranza.
Non vogliamo sapere - lo vorrebbe sapere il Paese ma non è questo il momento per discutere di questo - come mai ad una maggioranza che due mesi fa ha avuto il consenso del Parlamento oggi viene meno una forza importante qual è quella di Futuro e Libertà per l'Italia. Penso che poi bisognerà spiegare anche ai cittadini quale coerenza permette al Presidente Fini, dopo 15 anni di appartenenza al centrodestra, di lasciare con disinvoltura il Paese allo sbando.
Così come vorremmo capire come è possibile che un uomo che ha fondato due anni fa il PdL oggi senta il bisogno addirittura di abbandonare il centrodestra; o ha sbagliato prima, il Presidente Fini, o sta sbagliando ora o ha sbagliato prima ed ora, e questo è un prezzo che il Paese paga purtroppo in termini di coesione sociale e di stabilità politica. A queste domande vi sarà la possibilità di rispondere nelle prossime settimane. Aspettiamo, in proposito, le decisioni del Presidente della Repubblica.
Resta il fatto che, in una situazione così complessa politicamente come quella attuale, il profilo di questa manovra è alto, coerente, credibile verso i nostri colleghi dell'Unione europea. Rimane tale che non vi sono state, in quest'Aula, proposte serie, alternative, anche negli interventi dei relatori di minoranza e dell'opposizione, per una diversa impostazione della manovra finanziaria. Sulla legge di stabilità, quindi, esprimeremo il nostro voto favorevole e l'apprezzamento per il Governo e per il relatore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, Pag. 43onorevoli colleghi, onorevoli relatori, comunque vadano le cose questa è l'ultima finanziaria dell'attuale Governo.
Non è vero che lasciate i conti pubblici in ordine, il bilancio - lo sapete - è taroccato. È vero, però, che lasciate un Paese in ginocchio. La logica dei tagli lineari ha prodotto «macelleria sociale».
In una fase difficile della vita sociale ed economica dell'Italia, avete scelto di difendere i forti e colpire i deboli. Lo avete fatto quando avete abbonato l'ICI della prima casa alle abitazioni dei ricchi, sperperando oltre 3 miliardi di euro. Lo avete fatto quando avete regalato l'Alitalia buona ad una cordata di industriali amici del Governo e avete rifilato l'Alitalia cattiva allo Stato, sperperando circa 5 miliardi. Lo avete fatto quando avete ratificato il Trattato di amicizia e collaborazione con la Libia di Gheddafi, con la scusa di fermare le carrette del mare senza, però, risolvere il problema dell'immigrazione clandestina. Speculando sulla pelle di qualche migliaio di disperati, avete sperperato altri 5 miliardi donandoli al colonnello Gheddafi affinché siano girati alle grandi imprese amiche dei governanti italiani per realizzare grandi opere a trattativa privata con soldi italiani. Lo avete fatto quando avete permesso agli evasori fiscali, compresi anche i grandi criminali, di far rientrare i loro ingenti capitali dall'estero pagando un misero 5 per cento, quando le persone oneste, sugli stessi capitali rimasti in Italia, pagano il 42 per cento di IRPEF.
In due anni, avete fatto queste grandi ingiustizie a favore dei furbi, dei potenti, dei criminali. Avete fatto tanti altri favori a chi detiene privilegi e rendite. Quello che più vi deve pesare sulle coscienze, però, sono le ingiustizie compiute a danno dei deboli. Li avete ingannati con la promessa della riduzione della pressione fiscale, della detassazione dei carichi di famiglia e di un fisco più equo e più giusto.
Abbiamo, invece, la pressione fiscale al 43 per cento, la più alta dal 1996, e un'evasione fiscale sull'imponibile di circa 400 miliardi che determina minori entrate per circa 100-120 miliardi l'anno, secondo la stima dell'ISTAT. Abbiamo un fisco esoso per l'economia regolare che si attesta al 60 per cento di prelievo sulla ricchezza prodotta, che strangola chi le tasse le paga onestamente. Facendo la media tra chi paga tante tasse rispetto e chi non le paga e, poi, viene pure condonato, si ha una media, come dicevo, del 43 per cento.
Avete privilegiato le rendite finanziarie rispetto al reddito di lavoro, avete preferito proteggere gli speculatori di borsa con una tassazione alla fonte del 12,5 per cento e avete punito i piccoli risparmiatori con il 27 per cento di tassazione sugli interessi dei risparmi, frutto di decine di anni di lavoro.
Avete votato contro gli emendamenti dell'UdC che volevano recuperare 500 milioni di euro tassando le rendite finanziarie speculative, proponendo un'aliquota del 20 per cento per agevolare le famiglie con figli a carico. In campagna elettorale, a più riprese, avete promesso il quoziente familiare ossia aiutare le famiglie con figli a carico e, invece, avete votato sulle detrazioni per carichi di famiglia. Avete votato contro l'emendamento 1.188 riguardante l'aumento delle detrazioni per il costo delle spese mediche perché almeno sulla salute dei figli lo Stato non lucrasse; sull'emendamento 1.186 che prevedeva la detrazione del 10 per cento del costo dei mutui per la prima casa; sull'emendamento 1.185 per la detrazione delle spese per luce, acqua e gas delle famiglie numerose a basso reddito; sull'emendamento 1.182 per la detrazione delle spese scolastiche fino al tetto di 2 mila euro l'anno.
Avete sempre detto di no tutelando quelli che speculano in borsa. Li avete chiamati risparmiatori: sicuramente lo sono. Lo sono soprattutto perché tengono in piedi banche, assicurazioni, grandi imprese dove, grazie agli accordi di sindacato, poche famiglie con il 20 per cento di capitali investiti controllano l'intero sistema economico italiano. Giusto per fare qualche esempio parliamo di Pirelli, di FIAT, di Mediobanca, di Banca Intesa, di Unicredit, di Assicurazioni Generali e via elencando per un'altra ora. Pag. 44
Avevamo proposto di rilanciare la domanda interna sul settore energetico e ambientale con il ripristino della detrazione fiscale del 55 per cento per spese di risparmio energetico. Dopo il fallimento della scelta nucleare, che pure noi dell'UdC avevamo accettato in via di principio, abbiamo sollecitato il Governo a favorire l'efficienza energetica, la riduzione della produzione di anidride carbonica, la riduzione di uso dei prodotti fossili (gas, carbone e petrolio) per produrre calore. Abbiamo un Protocollo di Kyoto da rispettare e un accordo europeo, cosiddetto 20-20-20, pure da rispettare la cui violazione comporta pesanti sanzioni da miliardi euro. Se la riduzione di entrate da scontare con gli sgravi fiscali comporta un disavanzo finanziario è pur vero. che non si è voluto misurare la consistenza di tale disavanzo con la compensazione degli effetti indotti. Gli effetti della crisi sono sentiti più forti dagli artigiani e dalle piccole imprese che operano nel settore delle costruzioni. La detrazione del 55 per cento sul reddito IRPEF avrebbe messo in moto tanta di quella liquidità del risparmio familiare per la messa a norma del sistema degli edifici e del sistema calore che avrebbe consentito una ripresa economica importante senza l'intermediazione delle banche e riducendo la bolletta energetica sulla dimensione della bilancia dei pagamenti con l'estero.
Ma il Governo ci ha risposto picche ed ha rinviato il confronto ad altra data e ad altro provvedimento. Ma le ingiustizie contro i più deboli le ritroviamo sui tagli della spesa sociale. L'ho già denunciato nella Commissione bilancio: tagli al servizio civile nazionale, tagli al sostegno dei giovani, tagli al capitolo 1639 del fondo destinato alle esigenze...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Ciccanti.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, lei mi scampanellato ma io ho dodici minuti e credo che non mi possa interrompere.

PRESIDENTE. Alla Presidenza - sempre con tutto il rispetto che le devo ma anche che lei deve alla Presidenza - è stato segnalato dal suo gruppo che lei ha a disposizione sette minuti. Se lei vuole intervenire per altri cinque minuti ovviamente dovremmo toglierli a qualche suo collega. Tuttavia, è alquanto anomalo quello che sta accadendo.

AMEDEO CICCANTI. La capisco ma dal mio gruppo so di avere a disposizione dodici minuti. Ci sarà stato un errore di comunicazione.

PRESIDENTE. Vada avanti per altri cinque minuti e comunicheremo al suo gruppo che qualche suo collega sfortunato non potrà parlare. Comunque adesso sentiremo il suo capogruppo.

AMEDEO CICCANTI. La ringrazio. Stavo dicendo delle ingiustizie contro i più deboli che ritroviamo nei tagli alla spesa sociale. Stanno parlando dei tagli al fondo destinato alle esigenze energetiche ed alimentari dei cittadini meno abbienti per 268 milioni, del taglio del 70 per cento alle politiche di sostegno alla famiglia (da 276 milioni del 2008 siamo passati a 52 milioni del 2011), dei tagli al fondo delle politiche sociali che da un miliardo e 582 milioni nel 2008 passa a 435 milioni del 2011 con un ripristino di 200 milioni con l'emendamento 1.500.
A questi tagli, si aggiungono quelli alla giustizia civile e penale, e quelli all'ordine e alla sicurezza pubblica.
I tagli complessivi del Ministero della giustizia sono stati del 22,7 per cento nel 2009, del 24 per cento nel 2010, e saranno del 41,6 per cento nel 2011. I tagli alle forze dell'ordine sono di 147 milioni di euro e quelli al Ministero dell'interno di 3 miliardi e 350 milioni di euro per il 2011. Le auto della polizia stradale e dei commissariati girano con la benzina razionata, fanno rifornimento con i buoni di benzina quando i distributori sono aperti, non hanno i pezzi di ricambio: siamo al peggio.
Non ho il tempo di parlare dell'imbroglio del 5 per mille negato a migliaia di Pag. 45associazioni sportive, culturali e di volontariato, dei tagli ai comuni, alle regioni e al trasporto pubblico locale, della sospensione dei pagamenti alle ditte creditrici delle ASL commissariate, del taglio dei fondi alle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno, dei tagli alla ricerca e all'innovazione.
Non ho il tempo di parlare del debito pubblico che, con questo Governo, è cresciuto al 120 per cento del PIL, un record mai toccato finora. Non ho il tempo di parlare del cuneo fiscale; non ho il tempo di parlare del dissesto idrogeologico e della quantità di soldi stanziati, e non spesi, dal Ministro Prestigiacomo; non ho il tempo di raccontarvi del fallimento della riforma sul federalismo fiscale e della riforma delle autonomie locali.
Non posso raccontarvi come non sono stati capaci di risparmiare miliardi, dimezzando il numero delle province; non ho il tempo di dirvi perché hanno fallito sul terreno delle liberalizzazioni e dei servizi pubblici locali, a causa dei veti della Lega Nord; non ho il tempo di dirvi, perché non sono stati capaci di fare riforme a costo zero, ma di grande innovazione nel nostro sistema economico e della pubblica amministrazione.
Ho solo il tempo di dirvi che è ora che ve ne andiate: dimettetevi, ve lo chiede il Paese, non solo l'opposizione. Chi verrà dopo di voi, probabilmente, non saprà fare meglio, ma sicuramente, non potrà fare peggio, perché peggio di così non si può. Grazie, signor Presidente, spero che abbiate verificato con il mio gruppo che avevo dodici minuti a disposizione (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, non è un problema che concerne il rapporto tra lei e la Presidenza. Semplicemente, è un problema di comunicazioni che, per prassi, devono essere date alla Presidenza.

AMEDEO CICCANTI. Non stavo rivolgendo dei rilievi a lei.

PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, abbiamo appena ricevuto dal suo gruppo la comunicazione - peccato, dopo che era stato comunicato che aveva sette minuti a disposizione - che l'onorevole Occhiuto non svolgerà il suo intervento.
È iscritta a parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà, per cinque minuti. Spero che, tra me e lei, i tempi coincidano.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, li confermo. Signor Presidente, intervenire sul nulla è davvero molto difficile: infatti, forse per la prima volta nella storia - comunque, personalmente, non ho memoria di questo - per la cultura non è stato stanziato un euro che sia uno. Non guardatemi così, è la verità. È un dato clamoroso: siamo su tutte le pagine dei giornali del mondo per la vicenda drammatica di Pompei, eppure, non vi è uno stanziamento.
Per la prima volta, si scende a livelli bassissimi nel bilancio: con riferimento alle previsioni assestate del 2010, il decremento è di 288,9 milioni di euro, pari a meno 16,8 per cento. Abbiamo il vanto di avere un grandissimo patrimonio culturale ma, evidentemente, a questo Governo non interessa minimamente. Oramai, siamo ad un punto di rottura non ulteriormente sopportabile.
Con i tagli, siamo allo 0,3 per cento del prodotto interno lordo: questo significa che si spende molto meno per la cultura e che, con riferimento ad essa, non vi è una scelta in termini di investimento. In compenso, però, vi sono dei fatti un po' stravaganti su cui, tanto per cambiare, il Ministero per i beni e le attività culturali non ha dato risposta in occasione delle domande che sono state poste in Commissione.
E, segnatamente, ne cito due: c'è una innovazione, c'è un centro di responsabilità del gabinetto e degli uffici di diretta collaborazione del Ministro. Questo che cosa vuol dire? È un punto amministrativo? È un centro di costo? Non abbiano il piacere di saperlo, e se fosse un centro di costo sarebbe assai grave perché significherebbe «la clientela allo stato puro».
Io vi invito a leggere le pagine drammatiche, che ci sono su un settimanale di Pag. 46tiratura nazionale, che parlano di Pompei, degli sprechi e degli scandali. Ne cito solo uno, oggetto di una mia interrogazione alla quale spero sia data risposta: se è vero che sono stati stanziati a Pompei 60 mila euro per una visita del Presidente del Consiglio che non è mai avvenuta; se è vero che un incarico per un progetto è stato dato alla moglie del capo di gabinetto del Ministro Bondi; se tutto questo è vero, io penso che questo Governo si debba vergognare, perché io come parlamentare dell'opposizione provo vergogna nei confronti dei cittadini italiani, di essere rappresentata da un «Governo clientelare» che non ha a cuore la cultura, che individua gli sprechi dove non ci sono.
E veniamo al punto. Per il Fondo unico per lo spettacolo è previsto un taglio del 36,6 per cento: il che significa la chiusura dei teatri, la chiusura delle orchestre (che già, peraltro, è in corso anche grazie al nuovo regolamento ministeriale che non è mai stato discusso da nessuna parte, come è ovvio), la chiusura dei centri di danza, il cinema in condizioni drammatiche, perché non volete neanche dare il tax credit e il tax shelter, cioè le defiscalizzazioni, perché sono anch'esse mancate entrate. E allora mi chiedo: come può vivere il settore dello spettacolo (250 mila lavoratori) con questo bilancio drammatico, che non prevede futuro? A meno che voi pensiate di ridurre la cultura ad una «mancia» del «milleproroghe» e sarebbe davvero gravissimo. E davvero non ho tempo di diffondermi ulteriormente, ma voglio soltanto segnalare quanto segue: per la tutela e la valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici meno 15,6 per cento; valorizzazione del settore dello spettacolo meno 36,6 per cento; vigilanza del patrimonio culturale meno 1 milione e 100 mila euro; e l'unica voce che aumenta è quella per il personale dei beni archeologici, che però vengono tagliati sul piano della tutela del patrimonio culturale per ben 62 milioni e mezzo di euro, il che significa il patrimonio archeologico, la Domus Aurea e l'area archeologica di Roma.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Finisco, signor Presidente, citando «La bellezza salverà il mondo» di Todorov, un libro che dovrebbe stare a cuore al Ministro, che prima se ne va e meglio è. Todorov, che è un grande pensatore non comunista - così lo diciamo per pura cronaca -, dice che valutare il progetto in base ai risultati raggiunti è il prezzo da pagare perché sia possibile il confronto tra teoria e pratica. Questa valutazione c'è, non vi resta che trarre le conseguenze: prima ve ne andate e prima il Paese potrà tornare ad avere una cultura degna della sua storia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, anche la discussione di questo provvedimento, come le leggi finanziarie degli anni scorsi, è stata l'occasione per una valutazione complessiva della situazione economica del nostro Paese, in riferimento ovviamente al funzionamento del Governo rispetto alle attese diffuse all'interno del Paese.
È stata più volte anche un'occasione per svolgere dei cahiers de doléances rispetto agli appuntamenti mancati e ai percorsi non perseguiti fino alla fine, e quindi con zone d'ombra che hanno sempre più addensato la vita di questa nostra realtà. Questo provvedimento ha una sua anomalia: doveva essere forse l'occasione per ripristinare alcune regole del gioco e fare giustizia delle insufficienze di alcune politiche, e invece è un provvedimento di semplice contenimento anche in una situazione - lo dobbiamo dire - complessiva dei mercati e in generale del nostro globo, e soprattutto anche dell'Europa, che ci spinge a guardare in avanti. Dunque non è un provvedimento di espansione, non è un provvedimento che dà delle garanzie, ma si limita semplicemente ad una pura razionalizzazione di voci e di allocazione di risorse.
Per questo motivo, voglio denunciare e stigmatizzare - così come hanno fatto i Pag. 47colleghi del mio gruppo che mi hanno preceduto - l'assenza di una strategia, di una politica. Sembra che i tagli siano predominanti in tutti i settori. Non si evince, da questo provvedimento, una seria ed una sana politica rispetto alle questioni che sono sul tappeto.
Lo dico con estrema chiarezza: ci sono temi ricorrenti che riguardano il sistema della sicurezza all'interno del nostro Paese, gli ammortizzatori sociali; vi sono, certamente, anche risorse allocate, rivisitazioni, le quali non sono esaustive rispetto ad una problematica e, soprattutto, ad una insicurezza sociale che si evidenzia sempre di più e di cui avremo contezza e, soprattutto, ritorni estremamente negativi e pericolosi nei prossimi mesi.
Vi è, certamente, un desiderio di capire e di comprendere questo tipo di meccanismo, questo provvedimento - che è stato più volte esaltato ed enfatizzato rispetto ai traguardi e agli obiettivi che dovevano essere raggiunti - per capire e per comprendere che non vi sono fatti nuovi. Al contrario, come dicevo poc'anzi, vi è, sempre di più, una restrizione, un contenimento che lascia poco spazio alle politiche sociali e alla politica del Mezzogiorno.
A questo proposito, per quanto riguarda le aree sottoutilizzate, quelle che sono o dovrebbero essere coperte dai fondi FAS, ciò che appare con estrema chiarezza è una discordanza di logica, una turbativa rispetto anche ad una attività legislativa e normativa. Quando si parla di un incremento delle relative risorse per gli anni 2011-2012-2013, con lo stanziamento di 1, 3 e 4 miliardi di euro, e poi con la riduzione compensativa nel 2014 di 8 miliardi di euro, vuol dire che non c'è, ovviamente, una visione rispetto non solo al domani, né tra qualche mese, ma rispetto ai passaggi importanti e fondamentali per una chiara politica di sostegno alle aree che avrebbero bisogno di una maggiore dotazione e capacità di reazione e di incremento, rispetto a risorse che sono mancate e che dovrebbero essere maggiormente razionalizzate.
Certamente, anche sui fondi FAS si dovrebbe fare un discorso molto più articolato, che riguarda la capacità delle autonomie regionali e delle autonomie locali di spendere. Credo che questa sia una vecchia questione, un vecchio problema che va affrontato o, quanto meno, richiamato anche in queste occasioni, così come vi è tutto un problema che riguarda l'ambiente e i territori delle nostre realtà, soprattutto quelle del Mezzogiorno.
Non vi è una politica dell'ambiente, ma abbiamo assistito, anche nei giorni scorsi, all'interno del Consiglio dei ministri, ad un confronto - per usare un eufemismo - molto acceso tra il Ministro dell'ambiente e il Ministro dell'economia e delle finanze, che ha fatto capire e comprendere chiaramente come non vi sia una capacità o una volontà, da parte del Governo, di dominare gli eventi e, soprattutto, di recuperare territori che sono sommersi da rifiuti tossici. Non vi è una politica forte rispetto ad una riqualificazione civile e morale di realtà che hanno bisogno di vivere con grande serenità e di guardare al futuro con eguale serenità.
Allo stesso modo, vi è tutta la problematica che è stata evidenziata anche dal collega Ciccanti: quando si parla del 5 per mille, vi è una situazione confusa, ma, soprattutto, vi è un travaglio che non lascia tranquillo nessuno, perché vi sono «costruzioni» e «marchingegni», anche normativi, che certamente non aiutano a capire, né a individuare quali possano essere gli obiettivi e gli approdi.
Allo stesso modo vi è il discorso della scuola. Per quanto riguarda la scuola non statale, arrivano 245 milioni di euro...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Concludo, signor Presidente. C'è un problema - lo voglio dire non estrema chiarezza - che riguarda la scuola pubblica nel suo complesso.
Questo è un equivoco, voglio sottolineare in questo momento come provi un tormento forte rispetto ad obiettivi che riguardano la formazione, che riguardano la crescita complessiva. Senza cultura, senza crescita complessiva, senza una visone chiara della politica dei beni culturali, Pag. 48anche ad esempio dopo le vicende che stanno dinanzi ai nostri occhi, certamente ogni desiderio, ogni ansia, ogni volontà che guardi al futuro e che tenda a guardare al futuro, viene ad essere dissipata, interrotta e recisa rispetto a politiche inane, ma soprattutto rispetto a quello che è un conteggio di fondi che in questo momento certamente non aiuta soverchie illusioni.
Tutto questo non può tuttavia dilazionare l'approvazione di questo provvedimento. Chi tenti di fare questo non guarda agli interessi del Paese, non guarda alle difficoltà dei mercati, non guarda alle difficoltà esistenti a livello globale. Con senso di responsabilità noi chiediamo queste cose per dare senso e significato al nostro impegno soprattutto a difesa delle istituzioni e degli interessi reali del nostro Paese (Applausi del deputato Giachetti).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, in tempi in cui i ribaltoni tornano di moda, a me verrebbe voglia, anche per stare un pochino alla base di questo dibattito dove sono state fatte citazioni letterarie, di ribaltare l'incipit dell'orazione funebre di Marco Aurelio sul cadavere di Cesare: non sono qui per seppellire il Governo ma per onorarlo. Questo Governo, signor Presidente e onorevoli colleghi, merita che gli vengano riconosciuti i meriti che solo la faziosità politica, ben oltre la legittima dialettica tra maggioranza e opposizione, si ostina a negargli. Basterebbe andare a rileggere il dibattito svolto in quest'Aula sulla fiducia a fine settembre oppure le discussioni che hanno accompagnato, qui e nelle Commissioni, alcuni dei più importanti provvedimenti esaminati dopo le vicende di fine luglio. Basterebbe leggere il maxiemendamento presentato dal Governo e approvato dalla Commissione bilancio, facendo uso, non dico di onestà politica, ma almeno di quella obiettività che deriva dalla semplice lettura dei testi. Basterebbe, più semplicemente, leggere i giornali di oggi che parlano di una fatto avvenuto ieri a Milano: la costituzione del Fondo italiano di investimento, fatto che ha avuto peraltro anche l'apprezzamento del presidente della Confindustria, che non è molto portata a fare apprezzamenti al Governo in questi ultimi mesi. Basterebbe solo considerare questi aspetti per rendersi conto che il Governo, nel disegno di legge di stabilità, sta mantenendo la parola data per affrontare alcune delle priorità del Paese. Si era chiesto al Governo di rifinanziare gli ammortizzatori sociali in deroga, in scadenza a fine anno, lo avevano chiesto le regioni, le forze sociali, i gruppi dell'opposizione in quest'Aula, ebbene, il Governo nel disegno di legge di stabilità ha provveduto a questo ed ha provveduto anche a rifinanziare la detassazione delle quote di retribuzione rivolte ad incentivare la produttività, migliorandone i criteri e le modalità di intervento. Si tratta di una misura che può rilanciare la contrattazione di secondo livello in termini funzionali alla ripresa, in un Paese, non lo dimentichino mai quanti si sbracciano come anche stamattina a protestare per la macelleria sociale, per i diritti violati dei lavoratori, che in piena crisi economica ha visto il rinnovo, praticamente senza conflitto, in modo unitario, con una sola eccezione a tutti nota, di una sessantina di contratti nazionali di lavoro. Alla riforma dell'università viene assicurata quella copertura che non era stata trovata in precedenza, in misura idonea a garantire i concorsi per la stabilizzazione dei ricercatori e a riconoscere maggiori risorse per il diritto allo studio. Si allentano i vincoli del patto di stabilità per le regioni e gli enti locali che tanto avevano fatto discutere nella manovra estiva.
Dei contenuti del disegno di legge di stabilità, signor Presidente, ha parlato puntualmente il relatore e oggi tutti credo dobbiamo riconoscere che non è più un progetto fatto di tabelle e basta come era all'inizio.
Pertanto, nel tempo che mi resta vorrei esternare, per quel poco che può valere, Pag. 49più lo stupore che la protesta per i venti di crisi e gli atti concludenti che stanno accompagnando questa discussione.
Non so se i colleghi si siano resi conto - mi riferisco a quelli che chiedono le dimissioni del Governo - che tra poche ore potremmo trovarci a fronteggiare in Europa una crisi più grave di quella greca (ricordiamo quel weekend drammatico quando si dovette mettere mano a misure urgenti per evitare che la crisi greca contaminasse tutti i conti pubblici dell'Unione europea). Siamo ancora di fronte a quell'eventualità, perché Irlanda e Portogallo, da un momento all'altro, potrebbero porre l'Unione europea di fronte all'emergenza di un piano di salvataggio.
La crisi di questi due Paesi potrebbe contaminare anche altre realtà, in una situazione in cui la stabilità politica di un Paese è altrettanto importante, e come tale considerata, dell'equilibrio o, meglio, di uno squilibrio sostenibile dei conti pubblici.
Sarebbe bene che le forze che stanno aprendo la crisi tenessero sotto osservazione lo spread dei nostri titoli di Stato dal 7 novembre ad oggi, e si chiedessero perché siamo passati da una certa stabilità ad un grande nervosismo.
Onorevoli colleghi, quello che spaventa, nella fase che si è aperta, non sono soltanto le schermaglie politiche alla ricerca di nuove formule e di nuove alleanze; quello che sconcerta una persona come me - con l'età che, purtroppo, si ritrova sulle spalle e con le cose che ha conosciuto nella vita politica e nella storia di questo Paese - è questa gran voglia di tornare al passato nel campo della politica economica, di inseguire il miraggio per cui si possa produrre crescita economica attraverso la spesa pubblica.
Che cosa significa affermare, come si fa sempre più spesso: bene l'equilibrio dei conti pubblici, ma bisogna pensare a rilanciare l'economia? È facile parlare d'altro, basta dire: sì ai tagli, purché non siano lineari; senza dire, però, dove si possono fare i tagli verticali, salvo prendersela poi con la voce «beni e servizi» della pubblica amministrazione.
Addirittura, il mio amico senatore Baldassarri - la cui opera è assolutamente importante, la presidenza della Commissione finanze del Senato, e il quale avuto anche il pregio di essere citato in una lettera che il Presidente Fini ha inviato a Il Sole 24 Ore esponendo la linea di politica economica del suo gruppo e del suo partito - costruisce ogni anno una manovra alternativa, che si basa sul taglio di 30 miliardi di euro alla voce «beni e servizi», dimenticando che la pubblica amministrazione i beni e i servizi li acquista sul mercato dalle imprese, e che i beni e i servizi fanno parte anche di quella spesa pubblica che sostiene l'economia.
Oppure, onorevoli colleghi, basta parlare di spesa improduttiva (come è bello l'aggettivo improduttiva!), senza dare una sola indicazione di merito, ma soltanto per salvarsi l'anima. Ecco perché a chi dice che la politica è fatta di scelte noi rispondiamo che le scelte le abbiamo fatte e le stiamo facendo, anche nella legge di stabilità.
A chi ci esorta a fare le riforme di struttura (ecco un esempio del linguaggio degli anni Sessanta che torna a fare capolino, un bel distico che riempie la bocca), noi ci permettiamo di chiedere: che cos'altro sono le riforme delle pensioni, il federalismo, o i contenuti del collegato lavoro? Che cos'altro sono la riforma degli strumenti di bilancio o, ancora, la riforma del sistema scolastico?
Addirittura, alcune forze politiche guardano al confronto aperto tra Confindustria e sindacati per avere, ricevere e copiare da quel confronto una piattaforma di politica economica, dimenticando che è molto comodo per le forze sociali compilare una piattaforma di rivendicazioni al Governo, senza porsi minimamente il problema di quali scelte sarebbero chiamati loro a compiere nelle materie che loro competono.
Si sta preparando nel tavolo aperto in Viale dell'Astronomia una montagna di parole, come quella che il Paese conobbe nel 1998 con il patto di Natale voluto dal Governo D'Alema e che ebbe addirittura una sanzione parlamentare, ma che non aveva alcun contenuto di merito rispetto Pag. 50alle cose che le parti sociali avrebbero dovuto fare per loro conto, attraverso la contrattazione collettiva, diversamente dal patto del 1993, che invece ha tanto contribuito - proprio perché c'era questo impegno delle parti sociali a riformare la contrattazione collettiva - a risanare i conti pubblici, ridurre l'inflazione e a portare il Paese nell'Unione europea, rispettando i parametri di Maastricht.
Siamo arrivati al punto, signor Presidente, che quegli stessi che ci accusavano di sottovalutare la crisi, oggi ci invitano a non tenerne conto, con politiche di rigore, dimenticando così la vera novità emersa in questi due maledetti anni, e cioè che la crisi si è spostata nel cuore degli Stati. È la performance dei bilanci pubblici a condizionare la possibilità delle economie a prendere parte alla ripresa, non esercizi di parole, non il coprire o il pretendere di coprire la crescita dell'economia con la spesa pubblica, come se questa terapia non avesse già dimostrato il suo fallimento in questi due anni in altri Paesi d'Europa.
Sono assolutamente convinto, signor Presidente, onorevoli colleghi, che abbia ragione il Ministro Tremonti - che non è l'uomo cattivo, non è quello che si diverte a fare i tagli e a contenere la spesa pubblica, ma è un grande Ministro dell'economia - quando dice che ormai solo i conti fanno politica. Il contenimento della spesa pubblica non è una scelta, ma una necessità. Il miracolo tedesco si spiega così: non con incrementi di spesa pubblica, ma con manovre più pesanti della nostra, insieme però ad una grande capacità di serrare le fila della società e del Paese, una capacità che noi non siamo stati capaci di esprimere (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Avverto che gli ulteriori interventi della discussione generale congiunta avranno luogo a partire dalle ore 15.

Sull'ordine dei lavori (ore 13,50).

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Signor Presidente, ieri sera in una trasmissione su Raitre Vieni via con me il signor Saviano ha lanciato delle accuse infamanti contro la Lega Nord su presunti collegamenti tra la mafia e il nostro movimento. Siamo assolutamente indignati che, oltretutto, questo personaggio utilizzi il servizio pubblico senza contraddittorio e lanciando simili accuse.
Lo dico a nome del gruppo parlamentare, dei militanti e dei milioni di cittadini che credono nella Lega Nord, che ha nel suo DNA la lotta alla criminalità, e i risultati che in questo Governo si stanno vedendo sotto la spinta del Ministro della Lega, Roberto Maroni, sono innegabili.
Due dati semplicemente: 18 miliardi di euro confiscati e 29 su 30 latitanti arrestati. Questi sono i fatti e, dall'altra parte invece, abbiamo un personaggio che fa politica e polemica sul servizio pubblico senza oltretutto il contraddittorio. È di pochi minuti fa la comunicazione che il responsabile del programma non accetterà che il Ministro intervenga in trasmissione come ha chiesto.
Chiedo che anche la Presidenza della Camera se ne faccia portavoce, anche attraverso la Commissione di vigilanza, perché dobbiamo dire la verità ai nostri cittadini e difendere chi si impegna costantemente a favore dei nostri cittadini e contro la mafia e la criminalità. Questo impegno va a tutela della immagine della Lega Nord, a tutela del Ministro dell'interno e di tutti quelli che, senza scrivere libri e guadagnare soldi, lavorano in concreto a favore della cittadinanza (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Onorevole Montagnoli, prendo atto delle sue considerazioni e, come ha già accennato, la Commissione di vigilanza sulla RAI ha le competenze su quanto da lei detto e credo che quella sia anche la sede più opportuna, eventualmente con gli atti relativi, per sviluppare ulteriormente e fare presenti le ragioni che lei ha qui esposto.

Pag. 51

GIULIANO CAZZOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, nei giorni scorsi davanti alla Commissione antimafia un ex Ministro della giustizia del Governo Ciampi, peraltro persona assolutamente meritevole della nostra stima, essendo stato anche Presidente della Corte costituzionale, Giovanni Conso, ha dichiarato che si assunse la responsabilità di adottare dei provvedimenti sul carcere duro dei mafiosi.
Ciò per arrivare, in buona sostanza, ad ottenere un atteggiamento della mafia meno duro e meno stragista di quello che si era verificato in quegli anni, i primi tristi anni Novanta. Credo che sia una dichiarazione estremamente seria e grave che getta anche un fascio di luce su di una indagine peraltro in corso da parte della magistratura che aveva anche cercato di indirizzare altrove questa famosa trattativa che vi è stata tra lo Stato e le cosche.
Devo però stigmatizzare - anche se noi possiamo fare poco - l'atteggiamento della stampa e della televisione perché questa notizia è stata oscurata. Invito il Governo magari ad approfondire questo aspetto ed eventualmente a rispondere in Aula quando vi saranno maggiori informazioni e quando la situazione sarà verificata. Si tratta comunque di atti ufficiali che sono stati presi da una Commissione, quindi credo che sia una situazione estremamente grave da segnalare.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cazzola, ovviamente - ha fatto riferimento anche lei - ci sono gli atti di sindacato ispettivo, e quindi sia lei che eventuali altri colleghi possono utilizzare questo strumento per avere risposte nel merito da parte del Governo.
La seduta è sospesa e riprenderà alle ore 15.

La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Migliavacca è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 3778-A e A.C. 3779-A).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Viceministro Vegas, cercherò di dimostrare in questo breve intervento come questo disegno di legge di stabilità confermi come voi stiate lavorando su un falso rigore, mentre invece l'effetto di questo provvedimento, come degli altri, è nella realtà una mancata crescita. Determinate cioè mancata crescita. Il disegno di legge di stabilità è inadeguato e insufficiente, anche dopo le modifiche apportate in Commissione che non hanno fatto altro che coprire solo parzialmente spese del tutto obbligatorie e scontate. Dico «solo parzialmente», dal momento che, signor Presidente, abbiamo il paradosso che per alcune spese la copertura è solo semestrale. Mi riferisco agli oneri per le missioni internazionali, alle strade sicure e ai ticket sanitari.
Abbiamo definito «ragionieristica» questa legge di stabilità, non perché abbiamo qualcosa contro i ragionieri: noi riteniamo che i ragionieri facciano un Pag. 52lavoro contabile apprezzabile e necessario. Però, signor Viceministro, i ragionieri lavorano sui numeri che gli vengono forniti. Noi dovremmo avere l'ambizione di determinare i numeri da fornire ai ragionieri. Questo sarebbe il compito di una politica economica; tuttavia, in questa legge di stabilità non c'è politica economica, ma solo cattiva ragioneria. Si dice che questa legge sia articolata intorno ai 6 miliardi su alcune voci di entrata; signor Presidente, avevamo fondi accantonati per 2 miliardi, per 2,4 miliardi pensiamo di recuperare fondi dalle frequenze che verranno liberate dal digitale terrestre e per un miliardo coperture con nuove norme contro l'evasione fiscale, per il fisco e per i giochi. Sono, quindi, coperture una tantum che noi avremo per l'80 per cento solo in questo anno e per il resto solo coperture del tutto ipotetiche. Nel nostro Paese in ogni provvedimento ci si rifà ai giochi: come non registrare che sia la disperazione a suggerire e determinare ciò? Come abbiamo visto, se guardiamo agli assestamenti l'unica voce in entrata positiva è quella dei giochi. Vuol dire che questo è un Paese disperato.
Si fanno coperture ipotetiche soprattutto nella legge di bilancio, laddove già da adesso si ricorre alle postazioni delle riserve. Con la discussione in Commissione abbiamo dimezzato di circa due miliardi le poste per le spese urgenti ed indifferibili che si potrebbero determinare nel corso del 2011. Siamo già in riserva e in rosso prima di cominciare.
Inoltre, c'è un inganno di partenza: la sovrastima sul costo degli interessi. Abbiamo speso, documentato dall'assestamento 2010 circa 74 miliardi per oneri e interessi. Ebbene, prevediamo per l'anno successivo di spendere 10 miliardi in più e, addirittura, da qui al 2013, 20 miliardi in più. Perché, signor Presidente, avviene questo artifizio contabile, questa furbizia? Perché si appostano miliardi in più per non dare operatività al Parlamento per non dargli la possibilità di fare le proprie scelte? Perché si sa già che le scelte fatte determineranno un aumento di spesa, come sempre, nell'ambito della spesa corrente e, al suo interno, nella spesa per beni e servizi. La realtà è che c'è un falso rigore, perché ogni anno registriamo spese in aumento per beni e servizi e per spesa corrente, mentre invece registriamo una minore spesa reale per investimenti. Come hanno detto l'altro giorno gli osservatori, vi è stata una riduzione del 23 per cento in due anni.
Ebbene, cosa fa un cattivo ragioniere di fronte, ad esempio, ad una norma che produce effetti di diminuzione di spesa? Dice che è positiva e che occorre approvarla subito. Non si interroga, non considera che quella norma, una volta introdotta, oltre a produrre apparenti diminuzioni di spesa potrebbe produrre - e produce - una più grave diminuzione di entrate nel breve periodo. In tali casi, facciamo un danno perché molte norme possono essere controproducenti e depressive.
Tuttavia - lo abbiamo ormai capito - la crescita non è nelle vostre capacità e possibilità né tantomeno nei vostri obiettivi. Lo stesso Governo ha detto che con il decreto-legge n. 78 la spesa sarebbe calata di mezzo punto. La Banca d'Italia ha detto che la spesa sarebbe calata di un punto. Il professor Baldassarre - che è anche presidente della Commissione finanze - ha stimato, invece, col suo ufficio studi, che la spesa calerà di due punti, presidente Giorgetti.
Tuttavia, dovremmo chiederci ossessivamente - di fronte a un Paese che ha un tasso di disoccupazione all'incirca all'11 per cento, che si riferisce per un terzo ai giovani - con riferimento ad ogni provvedimento, quanti posti, quanti lavori, quanta ricchezza in più, creiamo.
Volete alcuni esempi di norme ragionieristiche contenute in questo provvedimento, che deprimono la crescita? Il primo e più importante esempio concerne l'assenza del 55 per cento per l'efficienza energetica. Questa mattina, un'intera pagina de Il Sole 24 ore riporta che questa norma nel triennio 2007-2010 ha prodotto 850 mila interventi di riqualificazione, del valore di 11 miliardi di euro e, ogni anno, ha permesso di risparmiare 6.500 gigawatt Pag. 53di energia. Essa non viene introdotta perché un cattivo ragioniere dice che ci vuole immediatamente una copertura, ma non si interroga sul fatto che questa è in grado di produrre ricchezza, di contrastare l'evasione e di produrre lavoro.
Signor Presidente, le offro un'altra lettura: il Patto di stabilità dal comma 86 al comma 122 è un rozzo Patto di stabilità. Il presidente Baretta, questa mattina, lo ha definito ottuso, non c'è soluzione in questo provvedimento.
L'effetto è che i comuni virtuosi, nonostante abbiano i soldi in cassa e i bilanci a posto, non possono fare investimenti per la propria popolazione e onorare gli impegni che hanno preso con i loro fornitori. Questa è una norma che deprime la crescita e non crea lavoro.
Su questo filone, le voglio segnalare il comma 50 di questo provvedimento: di fronte ad un Paese che riconosce di avere 60 miliardi di debiti delle pubbliche amministrazioni verso i fornitori, la maggior parte dei quali derivanti dai debiti del settore sanitario, cosa si fa? Si reintroduce in questo provvedimento una norma che consente, alle cinque regioni sottoposte a piani di rientro da eccessivo debito sanitario, di non pagare i fornitori anche in presenza di decreti ingiuntivi o pignoramenti. Ditemi se questo non è uno stravolgimento dello Stato di diritto!
Ditemi che principio liberale possa essere questo, credo sia degno di essere affrontato in sede costituzionale. Ma questa è la contraddizione.
Le cito un'altra disposizione, il comma 106 del provvedimento in esame, dove si reitera il blocco degli investimenti per i comuni. Si tratta di una stretta sulle possibilità di contrarre mutui, non solo per i 3 mila comuni soggetti al Patto ma per tutte le province e per gli ottomila comuni italiani, anche quelli fino a cinquemila abitanti.
Dov'è la lungimiranza di queste norme? Sono norme da ragionieri, non norme fatte da chi determina una politica economica. Sono norme controproducenti, deprimono la crescita. Perché insisto molto, signor Presidente, sulla crescita?
MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Viceministro Vegas, cercherò di dimostrare in questo breve intervento come questo disegno di legge di stabilità confermi come voi stiate lavorando su un falso rigore, mentre invece l'effetto di questo provvedimento, come degli altri, è nella realtà una mancata crescita. Determinate cioè mancata crescita. Il disegno di legge di stabilità è inadeguato e insufficiente, anche dopo le modifiche apportate in Commissione che non hanno fatto altro che coprire solo parzialmente spese del tutto obbligatorie e scontate. Dico «solo parzialmente», dal momento che, signor Presidente, abbiamo il paradosso che per alcune spese la copertura è solo semestrale. Mi riferisco agli oneri per le missioni internazionali, alle strade sicure e ai ticket sanitari.
Abbiamo definito «ragionieristica» questa legge di stabilità, non perché abbiamo qualcosa contro i ragionieri: noi riteniamo che i ragionieri facciano un Pag. 52lavoro contabile apprezzabile e necessario. Però, signor Viceministro, i ragionieri lavorano sui numeri che gli vengono forniti. Noi dovremmo avere l'ambizione di determinare i numeri da fornire ai ragionieri. Questo sarebbe il compito di una politica economica; tuttavia, in questa legge di stabilità non c'è politica economica, ma solo cattiva ragioneria. Si dice che questa legge sia articolata intorno ai 6 miliardi su alcune voci di entrata; signor Presidente, avevamo fondi accantonati per 2 miliardi, per 2,4 miliardi pensiamo di recuperare fondi dalle frequenze che verranno liberate dal digitale terrestre e per un miliardo coperture con nuove norme contro l'evasione fiscale, per il fisco e per i giochi. Sono, quindi, coperture una tantum che noi avremo per l'80 per cento solo in questo anno e per il resto solo coperture del tutto ipotetiche. Nel nostro Paese in ogni provvedimento ci si rifà ai giochi: come non registrare che sia la disperazione a suggerire e determinare ciò? Come abbiamo visto, se guardiamo agli assestamenti l'unica voce in entrata positiva è quella dei giochi. Vuol dire che questo è un Paese disperato.
Si fanno coperture ipotetiche soprattutto nella legge di bilancio, laddove già da adesso si ricorre alle postazioni delle riserve. Con la discussione in Commissione abbiamo dimezzato di circa due miliardi le poste per le spese urgenti ed indifferibili che si potrebbero determinare nel corso del 2011. Siamo già in riserva e in rosso prima di cominciare.
Inoltre, c'è un inganno di partenza: la sovrastima sul costo degli interessi. Abbiamo speso, documentato dall'assestamento 2010 circa 74 miliardi per oneri e interessi. Ebbene, prevediamo per l'anno successivo di spendere 10 miliardi in più e, addirittura, da qui al 2013, 20 miliardi in più. Perché, signor Presidente, avviene questo artifizio contabile, questa furbizia? Perché si appostano miliardi in più per non dare operatività al Parlamento per non dargli la possibilità di fare le proprie scelte? Perché si sa già che le scelte fatte determineranno un aumento di spesa, come sempre, nell'ambito della spesa corrente e, al suo interno, nella spesa per beni e servizi. La realtà è che c'è un falso rigore, perché ogni anno registriamo spese in aumento per beni e servizi e per spesa corrente, mentre invece registriamo una minore spesa reale per investimenti. Come hanno detto l'altro giorno gli osservatori, vi è stata una riduzione del 23 per cento in due anni.
Ebbene, cosa fa un cattivo ragioniere di fronte, ad esempio, ad una norma che produce effetti di diminuzione di spesa? Dice che è positiva e che occorre approvarla subito. Non si interroga, non considera che quella norma, una volta introdotta, oltre a produrre apparenti diminuzioni di spesa potrebbe produrre - e produce - una più grave diminuzione di entrate nel breve periodo. In tali casi, facciamo un danno perché molte norme possono essere controproducenti e depressive.
Tuttavia - lo abbiamo ormai capito - la crescita non è nelle vostre capacità e possibilità né tantomeno nei vostri obiettivi. Lo stesso Governo ha detto che con il decreto-legge n. 78 la crescita sarebbe calata di mezzo punto. La Banca d'Italia ha detto che la crescita sarebbe calata di un punto. Il professor Baldassarri - che è anche presidente della Commissione finanze - ha stimato, invece, col suo ufficio studi, che la crescita calerà di due punti, presidente Giorgetti.
Tuttavia, dovremmo chiederci ossessivamente - di fronte a un Paese che ha un tasso di disoccupazione all'incirca all'11 per cento, che si riferisce per un terzo ai giovani - con riferimento ad ogni provvedimento, quanti posti, quanti lavori, quanta ricchezza in più, creiamo.
Volete alcuni esempi di norme ragionieristiche contenute in questo provvedimento, che deprimono la crescita? Il primo e più importante esempio concerne l'assenza del 55 per cento per l'efficienza energetica. Questa mattina, un'intera pagina de Il Sole 24 ore riporta che questa norma nel triennio 2007-2010 ha prodotto 850 mila interventi di riqualificazione, del valore di 11 miliardi di euro e, ogni anno, ha permesso di risparmiare 6.500 gigawatt Pag. 53di energia. Essa non viene introdotta perché un cattivo ragioniere dice che ci vuole immediatamente una copertura, ma non si interroga sul fatto che questa è in grado di produrre ricchezza, di contrastare l'evasione e di produrre lavoro.
Signor Presidente, le offro un'altra lettura: il Patto di stabilità dal comma 86 al comma 122 è un rozzo Patto di stabilità. Il presidente Baretta, questa mattina, lo ha definito ottuso, non c'è soluzione in questo provvedimento.
L'effetto è che i comuni virtuosi, nonostante abbiano i soldi in cassa e i bilanci a posto, non possono fare investimenti per la propria popolazione e onorare gli impegni che hanno preso con i loro fornitori. Questa è una norma che deprime la crescita e non crea lavoro.
Su questo filone, le voglio segnalare il comma 50 di questo provvedimento: di fronte ad un Paese che riconosce di avere 60 miliardi di debiti delle pubbliche amministrazioni verso i fornitori, la maggior parte dei quali derivanti dai debiti del settore sanitario, cosa si fa? Si reintroduce in questo provvedimento una norma che consente, alle cinque regioni sottoposte a piani di rientro da eccessivo debito sanitario, di non pagare i fornitori anche in presenza di decreti ingiuntivi o pignoramenti. Ditemi se questo non è uno stravolgimento dello Stato di diritto!
Ditemi che principio liberale possa essere questo, credo sia degno di essere affrontato in sede costituzionale. Ma questa è la contraddizione.
Le cito un'altra disposizione, il comma 106 del provvedimento in esame, dove si reitera il blocco degli investimenti per i comuni. Si tratta di una stretta sulle possibilità di contrarre mutui, non solo per i 3 mila comuni soggetti al Patto ma per tutte le province e per gli ottomila comuni italiani, anche quelli fino a cinquemila abitanti.
Dov'è la lungimiranza di queste norme? Sono norme da ragionieri, non norme fatte da chi determina una politica economica. Sono norme controproducenti, deprimono la crescita. Perché insisto molto, signor Presidente, sulla crescita?

PRESIDENTE. Onorevole Vannucci, la prego di concludere.

MASSIMO VANNUCCI. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Perché si dice molto spesso che il rapporto deficit/PIL è arrivato nel nostro Paese al 118 per cento, questo ci bloccherebbe. In che modo possiamo determinare una diversa percentuale? Bisogna crescere, ma con queste norme non si crescerà perché le opportunità di crescita ce le giochiamo nel campo dei beni culturali, del turismo, delle infrastrutture, dell'Italia nel mondo, consumando il futuro.
Ritengo che, con questo provvedimento, confermate che ci state portando sul baratro. Speriamo che questo incubo, signor Presidente, finisca presto. La crisi ci sarà, chiudiamo in fretta questa legge di stabilità e quando, a mente fredda, questa fase storica verrà ripensata dagli osservatori, badate, non si dirà che il Governo Berlusconi è caduto a causa di intrighi o tradimenti di palazzo, e nemmeno per l'immonda immagine che ha dato sui tanti scandali.

PRESIDENTE. Onorevole Vannucci, deve concludere.

MASSIMO VANNUCCI. Si dirà, e questo rimarrà, che questa fase si è chiusa per l'incapacità di contrastare la crisi economica e di produrre riforme vere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, è triste rilevare che il documento all'esame dell'Aula, la cosiddetta legge di stabilità, è il prodotto della crisi politica e sociale che sta attraversando il Paese, ma è ancora più amaro dover ammettere che è lo specchio di una compagine di Governo mesta, dai toni spenti, senza più ambizioni, senza più tempo per Pag. 54dare seguito alle illusorie e irrealizzabili promesse di riforma fatte in campagna elettorale.
Questo documento sembra infatti voler rinunciare alla realizzazione di qualunque progetto ambizioso, sembra aver deciso di non pensare al futuro, esattamente come è destinato a fare questo Governo. Questo, signor Presidente, è il segnale preoccupante di una stagione di declino che il Paese sta affrontando, un declino naturale incarnato dalla triste decadenza, anche fisica, del nostro patrimonio artistico, a causa della trascuratezza di amministratori poco attenti e della scarsa attenzione ai problemi reali da parte di ministri evanescenti.
Una decadenza - il mio pensiero è rivolto naturalmente al disastro di Pompei - che ha fatto indignare l'Italia e il resto del mondo, a causa dell'incoscienza nella distribuzione e dell'imperizia nell'utilizzo delle risorse. Naturalmente il declino culturale non riguarda soltanto il nostro ingente patrimonio artistico, ma anche le molteplici manifestazioni dell'arte, quelle cinematografiche, quelle teatrali, della produzione lirico-sinfonica, attività artistiche che da sempre hanno portato il nostro Paese alla ribalta nel mondo ma che hanno subito la scure di tagli indiscriminati.
Ciò determinerà una riduzione dei livelli quantitativi e qualitativi dell'offerta artistica sul mercato nazionale ed internazionale.
Un declino che è anche ambientale, a dispetto di un territorio che sempre più necessita di interventi emergenziali sulle infrastrutture o, nei casi più gravi, sulle vittime delle calamità naturali. A nulla sembrano essere valsi gli avvertimenti di Bertolaso sulla necessità di risorse per la salvaguardia del territorio. Quello ambientale è un tasto dolente di questa legislatura, un tema, evidentemente, incapace di catturare l'attenzione del Governo, sul quale però non si è lesinato di provocare l'ennesima grottesca bagarre, questa volta tra il Ministro Tremonti ed il Ministro Prestigiacomo.
Ancora, un declino sociale in cui si avverte la mancanza di coesione tra nord e sud, di equilibrio tra politica e giustizia, di integrazione tra cittadini ed immigrati. A nulla sembrano contribuire i moniti del Capo dello Stato, quegli inviti accorati e continui a riscoprire lo spirito che centocinquanta anni fa fece di noi un'unica nazione.
Declino culturale, ambientale, sociale, come conseguenza di un declino politico che ci fa intravedere la fine di questa seconda Repubblica senza che abbiano visto mai la luce le grandi riforme annunciate, senza che l'Italia abbia ancora conosciuto una stagione vera di partecipazione e di coinvolgimento popolare nelle scelte. Una seconda Repubblica che ha conosciuto la tristezza di una legge elettorale che non ha fatto altro che aumentare progressivamente l'astensionismo, contribuendo in maniera essenziale e determinante al crollo del favor popolare nei confronti di una intera classe politica. Un declino, dunque, su tutti i fronti, che tuttavia sembra essere accettato con tono dimesso da questo Governo come una prospettiva ineluttabile. Un declino difficilmente arginabile da un provvedimento, quale quello in esame, di circostanza, che nulla prevede in tema di sgravi fiscali alle famiglie per i consumi, nemmeno per quelle che sopportano spese mediche e scolastiche; un provvedimento che trascura la sicurezza e le emergenze del sistema giustizia e che non punta sulla ricerca e sull'innovazione del sistema produttivo.
Proposte di questo genere, avanzate in Commissione sia dall'Unione di centro che dalle altre forze di opposizione, non solo avrebbero dovuto ricevere maggiore apertura, ma avrebbero dovuto essere condivise, fatte proprie e sostenute dalle forze di Governo, così come si è fatto, invece, in tema di enti locali. Diamo atto che il Governo ha capito che andavano posti dei correttivi alla manovra di luglio che è stata una scure per gli enti territoriali, e lo si è fatto correndo ai ripari con il compenso alla perdita per l'ICI, tra l'altro insufficiente a coprire le difficoltà degli enti Pag. 55locali, dei comuni e delle province, di fornire servizi di qualità al cittadino. Tutto ciò perché ci si è resi conto che i sindaci avrebbero gettato la spugna e sarebbero tornati in piazza a protestare, così come hanno fatto nei mesi scorsi.
Se possiamo condividere, sottosegretario Vegas, in linea di principio, l'allentamento dei vincoli del Patto di stabilità, peraltro giudicato insufficiente dall'ANCI, non possiamo non rilevare che la gran parte dei benefici non sarà destinata alla generalità dei comuni, ma vincolata a grandi eventi internazionali e, soprattutto, all'Expo di Milano.
Data la scarsità di risorse disponibili, e i molti soggetti fra cui dividere la torta, di certo non resterà molto per la gran parte dei comuni e delle province d'Italia.
Per non parlare dei governatori: non vi è traccia di un reale alleggerimento dei tagli inseriti nella manovra estiva, salvo una diabolica misura per cui le regioni potranno accedere ai fondi per il trasporto pubblico locale nella misura in cui aumenteranno le tariffe per gli utenti. Si tratta dell'ennesimo specchietto per le allodole, che nasconde l'aggravio economico per i pendolari e per gli studenti che usufruiscono del servizio. La verità è che ormai si palesa ogni giorno di più l'assenza di una strategia per il futuro, e soprattutto la superficialità nelle scelte da compiere nell'individuazione delle priorità cui destinare le risorse pubbliche.
Ebbene, in questa fase le opposizioni si sono ripromesse, con prezioso senso di responsabilità, di consentire l'approvazione del provvedimento in esame. Anche in Commissione bilancio si è cercato con fermezza di migliorare un testo che, ad oggi, mostra comunque una veste migliore di quella originaria. Alcuni tra i risultati raggiunti, per quanto insufficienti (penso ai maggiori fondi per l'editoria e l'istruzione o al rifinanziamento, seppure parziale, del Fondo per le politiche sociali) sono il risultato dell'azione forte e coordinata delle forze di minoranza.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

LORENZO RIA. Tanto che ci saremmo aspettati - concludo, signor Presidente - dinanzi a tanta responsabilità per lo meno una presa d'atto della disponibilità delle opposizioni ad affrontare senza contrapposizione le emergenze economiche del Paese: una disponibilità che non doveva essere data per scontata, soprattutto in una fase di implosione della maggioranza di Governo.
Ma questa apertura al dialogo da parte nostra ovviamente non è bastata. La nuova denominazione individua il provvedimento in esame come legge di stabilità e di crescita: che cos'è la stabilità senza la crescita? Quali prospettive può avere un bilancio che non cerca di rilanciare l'economia, che non punta all'innovazione e che nulla prevede in termini di sviluppo?
È venuto il tempo di prendere atto del fallimento della strategia di conduzione complessiva dello Stato da parte della maggioranza, oltre che della sua deflagrazione politica.
Ciò che ci auguriamo è che la drammaticità dei problemi economici e sociali che il Paese sta affrontando sia il presupposto non di un declino irrefrenabile verso la crisi, né tanto meno dell'ipotesi di un «Governo rattoppato». Ciò che è più auspicabile per l'Italia, allora, è una stagione veramente nuova e un patto fra le forze politiche responsabili che consenta di disegnare uno scenario inedito di coesione e di rilancio nell'economia, nella società e soprattutto nella politica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, nel metodo abbiamo già stigmatizzato, nel parere contrario che abbiamo espresso in Commissione giustizia, la riproposizione di uno schema consolidato, l'abbandono di qualunque logica programmatoria, lo svuotamento della sessione si bilancio delle sue regole e per questa via l'impossibilità per il Parlamento di discutere e di esercitare il proprio ruolo di indirizzo sulla politica economica.
È stato abbondantemente sottolineato, da tutti i colleghi che mi hanno preceduto, Pag. 56come l'inadeguatezza dei tagli indifferenziati e non selettivi si traduca certamente nella riduzione della funzionalità della pubblica amministrazione e dei servizi ai cittadini.
L'uscita dalla crisi doveva essere un'opportunità per porre le basi per attuare riforme strutturali. La produttività e la competitività del nostro Paese passano anche attraverso adeguati investimenti nel settore della giustizia, soprattutto nel settore civile. È grave che nel programma di stabilità non sia stato indicato alcun disegno di legge sulla giustizia collegato alla manovra di finanza pubblica.
Lo stato di previsione del Ministero della giustizia reca spese finali per complessivi 7 miliardi e 200 milioni di euro, in diminuzione del 2,8 per cento rispetto al 2010. Lo stanziamento complessivo del programma di amministrazione penitenziaria è in diminuzione rispetto al 2010 di 75 milioni di euro (diminuiscono, in particolare, le spese riguardanti il mantenimento, l'assistenza e la rieducazione dei detenuti). È questo un ulteriore affronto alla già disperata situazione delle nostre carceri. È inutile e ipocrita mettere in atto comunicati e prese di posizione trasversali per ogni suicidio, che, purtroppo, quasi quotidianamente si verifica se la situazione continua ad essere quella attuale, se mille detenuti continuano a sopravvivere in istituti che non ne possono contenere se non cento, se il 16 per cento dei carcerati soffre di depressione e di disturbi psichici e psicologici, se gli educatori continuano ad essere in un rapporto gravemente inadeguato, di uno a cento, se inevitabilmente nelle carceri, tranne qualche eccezione, si realizza l'allineamento della persona, più che un percorso di rieducazione guidata, e se alcuni padiglioni, come ad esempio a Velletri e a Rieti, ognuno di 200 posti nuovi di zecca, non possono essere aperti e resi funzionanti per la mancanza della polizia penitenziaria, in grave «sotto organico», nonostante le promesse di nuove assunzioni mai avvenute. E non bisogna dimenticare che il commissario straordinario per l'attuazione del piano carceri, che ha a disposizione 600 milioni di euro, allocati nella contabilità speciale del commissario, e uno spazio normativo semplificato, a distanza di quasi un anno, quando stanno per scadere i suoi poteri straordinari, è molto lontano dal dare la luce a tale attuazione, attraverso la costruzione di nuovi padiglioni e istituti.
Pensiamo poi al programma di giustizia penale e civile, a cui sono ricondotte attività fondamentali come la verbalizzazione, l'organizzazione, il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia civile e penale, le attività per le notifiche, l'esecuzione e i protesti in materia giudiziaria. Ci preoccupa fortemente che si sia avuto il coraggio di effettuare un ulteriore taglio di 119 milioni di euro ai compensi per lavoro straordinario del personale dell'amministrazione giudiziaria, intervenendo in una situazione di carenza quasi strutturale rispetto all'organico fissato, che rischia di provocare il definitivo collasso del sistema giudiziario italiano.
È bene ricordare che le dotazioni organiche del personale giudiziario hanno subito la prima riduzione del 2001, poi nel 2005 e nel 2008, con la legge n. 133, un ulteriore taglio del 10 per cento. In dieci anni da 53 mila dipendenti si è passati a 40 mila e l'emorragia è inevitabile, con circa mille cessazioni dal servizio a vario titolo ogni anno, senza contare il blocco delle assunzioni, che fa risalire l'ultimo concorso per cancellieri al 1999-2000.
Non va trascurato che un ulteriore colpo al funzionamento del servizio si è realizzato attraverso il contratto collettivo nazionale integrativo del personale, sottoscritto soltanto da alcune sigle sindacali, che, tra l'altro, sono state pressate dalla necessità di individuare un piccolo incremento economico mediante l'utilizzo immediato del FUA. Ciò cosa ha comportato? L'abbandono del processo di riqualificazione del personale, che era oggetto del precedente contratto integrativo, rimasto inattuato; la mortificazione delle fasce apicali delle tre aree, (prima A1, B3, C3), che restano sostanzialmente bloccate per sempre; il demansionamento di diverse figure professionali (cancellieri B3 e esperti informatici).

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PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI. Il quadro complessivo è di completa dequalificazione per un personale mai pagato, demotivato che non viene formalmente riqualificato, dove le scoperture impongono carichi di lavoro sempre crescenti, per i quali ci si permette di tagliare ulteriormente la quota degli straordinari, che è necessaria per consentire un'attività connessa e strumentale all'esercizio della giurisdizione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI. Sto per concludere, signor Presidente. Non parliamo poi del Fondo unico per la giustizia. Certamente - e chiedo di essere autorizzata a depositare l'intervento - nulla è stato fatto per la realizzazione dell'informatizzazione, nulla per impedire l'aumento abnorme della popolazione carceraria, nulla per riorganizzare le circoscrizioni territoriali.
Dopo due anni e mezzo di legislatura sprecati ad individuare le forme giuridiche per garantire l'impunità al Presidente del Consiglio nei processi che lo riguardano, ormai è chiaro a tutti che della giustizia per i cittadini a questo Governo non interessa proprio niente e la lettura del bilancio 2011 e della legge di stabilità costituiscono la prova evidente che non può più essere contraddetta con le chiacchiere e le promesse demagogiche.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole a Livia Turco. Ne ha facoltà.

LIVIA TURCO. Signor Presidente, con molta amarezza denunciamo con tutto il vigore possibile il vero e proprio massacro delle politiche sociali che è contenuto in questa legge di stabilità. Lo diciamo con molta amarezza, perché per noi la politica è stare dalla parte dei cittadini, soprattutto di quelli più deboli e che fanno più fatica. Stando da questa parte sappiamo cosa vogliono dire le politiche sociali, il pulmino che porta a scuola i ragazzi disabili, l'assistenza domiciliare per gli anziani non autosufficienti, il servizio di sollievo per i genitori che hanno ragazzi gravemente disabili. Sappiamo quanta ricchezza e quanta umanità c'è in questi servizi e per questo consideriamo veramente una scelta scellerata la riduzione, anzi, il massacro che delle politiche sociali è compiuto in questa legge di stabilità.
Desidero utilizzare i miei pochi minuti per spiegare in cifre in cosa si sostanzia questo massacro e dimostrare che non c'è altra parola possibile da utilizzare. Il Fondo nazionale per le politiche sociali, che dovrebbe consentire la rete integrata dei servizi e aiutare i comuni, nell'epoca del federalismo, a costruire i servizi essenziali, è ridotto alla miseria di 75 milioni di euro. Bontà vostra, dopo le proteste dei comuni, dell'opposizione e del volontariato l'avete rimpinguato di 200 milioni di euro.
Il Fondo nazionale per le politiche giovanili passa da 139 milioni a 15 milioni di euro; il finanziamento per le pari opportunità da 45 milioni a 18 milioni di euro; il sostegno per la famiglia, tanto esaltata, da 280 milioni a 52 milioni di euro; il finanziamento del servizio civile da 299 milioni a 112 milioni di euro; il 5 per mille, che era il fiore all'occhiello della vostra politica, viene decurtato pesantemente e ridotto a 100 milioni di euro; lo stanziamento per lo sviluppo del sistema territoriale degli asili nido passa da 206 milioni di euro - mi sto riferendo alle legge finanziaria per il 2008, quella del tanto vituperato Governo Prodi - a zero; il Fondo per la non autosufficienza - in un Paese che deve fare i conti con un problema demografico drammatico, in cui la cura e la presa in carico delle persone non autosufficienti dovrebbe essere una priorità assoluta di un Governo che si rispetti - viene ridotto da 300 milioni di Pag. 58euro, che erano già pochi, a zero (nulla dunque per gli anziani non autosufficienti).
Parimenti zero è previsto per le politiche di integrazione degli immigrati e spariscono il bonus per le famiglie e la social card. Ditemi dunque se non è appropriato il termine che ho utilizzato: queste cifre confermano che siamo di fronte ad un vero e proprio massacro delle politiche sociali, così preziose per le persone che sono più in difficoltà, per le famiglie - così invocate e così abbandonate - che hanno compiti di cura dei figli e di assistenza degli anziani, quelle politiche che hanno il compito di promuovere l'attività delle persone.
Tante volte ci siamo sentiti dire dai membri del Governo che la loro politica, il loro welfare, vuole combattere l'assistenzialismo e promuovere le capacità delle persone. Ebbene, che cosa se non l'istruzione, il lavoro e la rete integrata dei servizi (ovvero quel welfare locale comunitario che una legge quadro votata dieci anni fa, la legge quadro 8 novembre del 2000, n. 328, frutto di grandi battaglie e di un'azione concertata tra forze politiche e sociali, ha previsto e messo in atto del nostro Paese) ha il compito di consentire a ciascuna persona di dare un proprio contributo alla vita della comunità?
Quella rete integrata di servizi, insieme al lavoro, insieme all'istruzione, è ciò che consente di tirare fuori le capacità delle persone e di combattere le fragilità. Per questo la scelta sciagurata, che voi fate, di mettere in ginocchio e di massacrare le politiche sociali è un attacco pesante alla dignità delle persone e delle famiglie ed è davvero un attacco pesante a quell'idea di welfare attivo e propositivo, che tira fuori le capacità di ciascuna persona.
Noi continueremo a denunciare questa scelta così grave che voi avete compiuto. Lo stiamo facendo con tutta quell'Italia della solidarietà che questo Governo dovrebbe imparare a rispettare un po' più, e a farlo non con la retorica ma con i fatti, perché è noto che nella politica, come nella vita, ciò che conta è la coerenza tra le parole e i fatti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bachelet. Ne ha facoltà.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, sono passati 931 giorni dal 29 aprile 2008 (due anni e mezzo o poco di più) e allora il Governo aveva ben 60 voti di vantaggio alla Camera e più di 30 al Senato. Li ha usati subito per il lodo Alfano, nel frattempo affondato dalla Corte costituzionale, poi per abolire l'ICI sulla prima casa dei ricchi e salvare l'Alitalia. Però per abolire quest'unica tassa federale e regalare l'Alitalia senza debiti ai francesi ha preso i soldi all'università: un taglio di 1.350 milioni l'anno che, come una bomba ad orologeria, sarebbe apparso in tutta la sua mostruosità solo tre anni dopo, cioè adesso. Nei primi due anni, infatti, uno stanziamento extra di 550 milioni l'anno previsto da Prodi nell'ultima finanziaria l'avrebbe parzialmente mascherato.
Poi ha usato questa maggioranza per far passare a colpi di fiducia la legge n. 133 del 2008, geniale finanziaria triennale di Tremonti che avrebbe messo in un solo colpo i conti pubblici in sicurezza e l'Italia al riparo dalla crisi, attraverso, tra l'altro, tagli senza precedenti a scuola, università e ricerca, secondo la lungimirante visione felicemente sintetizzata dalla domanda posta dal Presidente del Consiglio lo scorso luglio: perché dovremmo pagare uno scienziato, quando facciamo le scarpe migliori del mondo?
Nell'autunno 2008 campagne del «Mulino Bianco», basate su grembiulini e maestri davvero unici della nostra infanzia, alternati a manganelli mediatici su universitari parenti tra loro, insegnanti fannulloni per i quali la scuola è l'ammortizzatore sociale, e personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, più numeroso dei carabinieri, hanno aperto la strada a una raffica di tagli e licenziamenti basati sulla vision delle scarpe illustrata prima. Scuola, università e ricerca Pag. 59sono spese a fondo perduto, enti inutili da sopprimere o accorpare: uno smantellamento sistematico, proseguito senza esitazione fino all'ultima manovra finanziaria della scorsa primavera. Già, perché nel frattempo, a fronte del massacro di scuola, università e ricerca (tra l'altro indiscriminato: due anni e mezzo di chiacchiere a vanvera sul merito non hanno prodotto una sola procedura di valutazione) l'Italia non è stata per niente al riparo della crisi. I conti pubblici non sono per niente migliorati. Nel 2009 il PIL è calato del 5 per cento, nel 2010 i conti pubblici, sbagliati, hanno avuto bisogno di una tremenda manovra correttiva, così benefica per lo sviluppo da indurre - secondo lo stesso Governo - ad un calo di mezzo punto del PIL.
Ma, nonostante la manovra, il debito vola (come vediamo dagli ultimi dati ISTAT). In breve, dopo due anni e mezzo di Berlusconi e Tremonti, la salute dell'economia e quella dei conti sono entrambe peggiorate rispetto allo stato in cui le avevano lasciate Padoa Schioppa e Prodi, con la loro risicatissima maggioranza parlamentare.
Quest'anno la scuola è deformata senza rispetto per la legalità e sommersa anche da una valanga di ricorsi che si vincono anche in Consiglio di Stato e Corte costituzionale. Il Governo, non pago di quanto già tolto, con questa finanziaria taglia altri 276 milioni di euro al funzionamento ordinario dell'università. Come mostra in dettaglio il collega Tocci, i cosiddetti 800 milioni, restituiti nel 2011 con il maxiemendamento di questa finanziaria, si traducono in realtà, per un gioco tabellare delle tre carte, in un taglio, appunto, di 276 milioni rispetto all'anno passato.
Il Governo taglia 75 milioni, cioè tre quarti delle borse di studio universitarie, 103 milioni dei libri di testo scolastici, con tanti saluti agli articoli 3 (sull'uguaglianza) e 34 (sui capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi) della Costituzione.
Alla luce dei suoi principi, dei principi della Costituzione, e della certezza che la conoscenza non è un costoso tributo all'assistenzialismo, ma la chiave dello sviluppo economico e civile, combatteremo questa finanziaria e cercheremo, anche nel dettaglio, di fermare le legnate a scuola, università e ricerca, per esempio chiedendo che le regole...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. ...dei concorsi vigenti siano prorogate finché nuove regole saranno possibili, onde evitare un lungo blackout di concorsi che renderebbe impossibile l'uso di qualsiasi risorsa, piccola o grande, per nuovi posti all'università. Ci conforta sapere, però, che questa è l'ultima finanziaria di Berlusconi e Tremonti. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine le valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, concentrerò il mio intervento su una questione di metodo e su una di merito. Per quanto riguarda la questione di metodo, voglio ricordare che con questa legge di stabilità e con questa legge di bilancio stiamo attuando, per la prima volta, la nuova legge di contabilità e di finanza pubblica, la n. 196 del 2009, ma non possiamo dimenticare che il Governo ha sostanzialmente disatteso la piena applicazione della nuova legge di contabilità e di finanza pubblica medesima. Peraltro, il Governo sta disattendendo, in relazione alla contabilità e alla finanza pubblica, anche la legge delega sul federalismo fiscale. Insomma, il Governo sta disattendendo le due principali riforme, vere riforme, federalismo fiscale e contabilità e finanza pubblica, che sono maturate in questi due anni e mezzo in modo condiviso in Parlamento.
Non ne faccio - si badi - una questione meramente formale, né mi dilungo su questioni di tipo meramente strumentale, ma ne faccio una questione di credibilità da parte di questo Governo che Pag. 60prima concorda in Parlamento importanti riforme e, poi, non le attua. Non manda la Decisione di finanza pubblica a luglio agli enti locali, ritarda, in modo molto grave, l'invio del documento stesso al Parlamento, attua in 18 mesi soltanto due decreti e mezzo sui venti necessari alla piena attuazione del federalismo fiscale e non istituisce la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Ne faccio, quindi, una questione di funzionalità ed efficacia dell'attività legislativa, soprattutto quando quest'attività sia connessa ai messaggi e ai segnali di politica economica, così importanti e sensibili in questa fase congiunturale.
Appunto per dare maggiore funzionalità e capacità decisionale all'intervento legislativo in materia finanziaria, avevamo varato l'importante riforma: finanziaria tabellare, riforma della struttura di bilancio che, in effetti, oggi è più leggibile di ieri, anche se ancora la riforma del bilancio non è stata totalmente messa a regime, collegati destinati alle misure di carattere ordinamentale e di sviluppo, compreso il Patto di convergenza per i servizi essenziali di regioni ed enti locali e, infine, disponibilità delle opposizioni a varare una riforma dei regolamenti parlamentari per dare certezza ai tempi di approvazione dei collegati. Nonostante questo scenario, il Governo non ha voluto utilizzare nessuno di questi strumenti; si preparava semmai all'ennesima manovra di aggiustamento per decreto-legge, per non dire all'uso improprio del cosiddetto mille proroghe.
Poi la crisi politica della maggioranza ha costretto il Governo a ripetere la classica pratica del maxiemendamento, salvo fare la brutta figura di vedersi dichiarare inammissibili le norme di carattere ordinamentale. Sarebbe bastato, per evitare questa brutta figura, seguire la strada indicata dalla riforma (su cui, peraltro, il Viceministro Vegas ha già scritto un pregevole volume, il che dimostra che almeno lui capisce di questi argomenti, ma - ahimè - temo soltanto lui), raccogliere questa estate la disponibilità alla modifica dei regolamenti parlamentari per i collegati alla legge di stabilità e cominciare, fin da quest'anno, con una vera legge di stabilità ed appositi collegati ordinamentali, compresi quelli necessari alla convergenza verso costi e fabbisogni standard di regioni ed enti locali.
Il Governo avrebbe potuto addirittura trasformare i famosi cinque punti di programma enunciati in quest'Aula in occasione del dibattito sulla fiducia a fine settembre in appositi collegati, ma, invece, non è stato in grado di farlo ed ha preferito navigare a vista come conseguenza - credo che ciò sia inconfutabile - della crisi politica che, a partire da qualche mese, ha attanagliato la maggioranza ed il Governo stesso.
Nel merito, signor Presidente, il combinato disposto della manovra estiva e di questa legge di stabilità non ottiene quello che oggi è l'unico possibile obiettivo per una politica economica in tempo di crisi e cioè un equilibrato mix di rigore e di crescita. Il rigore è a senso unico: si abbatte sugli investimenti (meno 7 miliardi) e sugli enti decentrati (quasi 11,6 miliardi di risparmi sul bilancio dello Stato sui 14 complessivamente previsti) mentre enti locali e regioni contano per meno di un terzo sulla spesa pubblica complessiva al netto degli interessi. La crescita non sembra essere un problema per questo Governo che naviga a vista ormai da molti mesi, eppure lo spazio ci sarebbe se solo vi fosse un atto di coraggio, di dirsi la verità e di dire la verità al Paese.
Ci sarebbe spazio per due importanti segnali in relazione alla futura e tanto conclamata riforma fiscale. Il primo consiste in un aumento degli assegni familiari a sostegno quindi dei redditi bassi e medio bassi nella prospettiva di una nuova fiscalità per carichi familiari e un aumento della franchigia IRAP per le sole società di persone e le ditte individuali nella prospettiva di una riduzione del ruolo del costo del lavoro sull'IRAP. Vi sarebbe, inoltre, spazio per un vero allentamento del Patto di stabilità di regioni ed enti Pag. 61locali e per veri fondi per il rilancio dell'università, della ricerca e dello sviluppo.
Questi spazi possono essere creati con opportuni interventi dal lato delle entrate che rappresentano le coperture vere, non ipotetiche, dei nostri emendamenti, quelli del Partito Democratico. Il primo intervento è la riforma della tassazione dei redditi finanziari e da capitale, con esclusione dei titoli pubblici, ma in sostanza nella direzione espressa dalla proposta della cedolare secca sugli affitti la quale, se resta da sola, diventa un puro e semplice regalo ai proprietari immobiliari. Il secondo intervento prevede un'imposta sulla leva finanziaria delle banche; il terzo una stretta più forte sul fronte delle compensazioni IVA con la riduzione da 10 a 5 mila euro del limite relativo e il quarto un aumento del prelievo erariale unico sui giochi. In sostanza circa un miliardo e mezzo di coperture che potrebbero servire a finanziare quei quattro semplici provvedimenti che ho detto poco fa: aumento degli assegni familiari, aumento della franchigia IRAP per le piccole e piccolissime imprese, miglioramento delle condizioni del Patto di stabilità per gli enti locali e le regioni, più soldi a università, ricerca e sviluppo.
Sono pochi provvedimenti, contenuti nei nostri emendamenti che proponiamo in questa manovra finanziaria, che hanno tre caratteristiche: primo sono fattibili; secondo sono coerenti con una prospettiva di futura riforma del sistema fiscale, che invece questo Governo e questa maggioranza sbandierano tanto senza farla mai; terzo, danno un sollievo immediato al reddito delle famiglie, soprattutto di quelle a reddito basso e medio basso e, quindi, ai consumi, offrendo un sollievo immediato alle piccole e piccolissime imprese e ai fornitori della pubblica amministrazione. Sono pochi provvedimenti che con i nostri emendamenti proponiamo alla discussione pubblica di questo Paese nella speranza che possano diventare presto «agenda» per il Governo una volta girata la pagina, ormai sbiadita e strappata, del Governo Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fiorio. Ne ha facoltà.

MASSIMO FIORIO. Signor Presidente, è ormai conclamato che la legge di stabilità rappresenta il capolinea di questo Governo e di questa maggioranza. L'approvazione della medesima sarà soltanto un momento di quiete prima di una tempesta parlamentare che appare ormai inevitabile: un passaggio momentaneamente liscio all'interno di una road map parlamentare che porterà alla conclusione dell'esperienza del Governo e di questa maggioranza, anzi di quanto avanza di questa maggioranza che ha fatto credere attraverso mille illusionismi di governare questo Paese e lo ha fatto irresponsabilmente nel momento in cui più che mai il Paese necessitava di una guida.
Questo provvedimento rappresenta il capolinea politico della maggioranza ma per i contenuti rischia di rappresentare il capolinea di molti settori di questo Paese. Ancora una volta si scambia la stretta morsa dei tagli per un giusto approccio di rigore alle questioni reali del Paese. Alle grida che si levano dai settori produttivi di questo Paese noi abbiamo assistito ad una pantomima sul rigore con quella retorica insopportabile dei cordoni della borsa chiusa.
D'altra parte, non poteva essere altrimenti, dal momento che questo Governo e, in particolare, colui che ne è stato il vero ed unico dominus, cioè il Ministro Tremonti (sappiamo che il Premier era affaccendato in altre questioni), hanno avuto, sin dall'inizio di questa legislatura, un approccio alle esigenze del Paese che non è assolutamente mutato.
Il primo documento economico di questa legislatura - lo ricordiamo tutti - è stato il decreto-legge n. 112 del 2008, in cui si stabilivano i contenimenti di spesa attraverso i cosiddetti tagli lineari ai vari budget dei Ministeri.
Tale provvedimento è stato varato quando la crisi era ancora alle porte, in un Pag. 62momento in cui le famiglie, i cittadini, i lavoratori e le imprese di questo Paese non sapevano ancora cosa sarebbe loro capitato, in un momento in cui i termini «crisi globale» e «crisi di sistema» non erano ancora, non solo, all'ordine del giorno degli economisti, ma meno che mai nelle parole, nelle ansie e nelle preoccupazioni quotidiane delle persone. Ebbene, a due anni di distanza, si può dire che quel provvedimento conteneva già l'atteggiamento che il Governo e il Ministro dell'economia hanno mantenuto nei due anni successivi, in una situazione che, da allora, è molto mutata: essa, infatti, è diventata drammatica per tanti e ha investito alcuni settori in modo devastante, tanto da renderne problematica la sopravvivenza.
Con quel provvedimento non si operavano delle scelte, ma si decideva di tagliare in modo cieco e stupido. Lo stesso è avvenuto con il prosieguo della legislatura, in un momento che, invece, imponeva scelte, magari, difficili, ma che i cittadini di questo Paese potevano capire. In fondo, nelle ragioni profonde di questa crisi c'è soprattutto questo: l'idea portata avanti da questo centrodestra che la politica sia stata compressa su una gestione del consenso lontana dalle esigenze del Paese e dai bisogni dei cittadini.
Da questo punto di vista, le priorità di molti settori economici primari sono state messe da parte. Più volte, abbiamo detto che, per esempio, questo Governo non ha mai preso in considerazione in modo adeguato il settore dell'agricoltura, che lo ha pensato come un settore da cui prelevare risorse, che non ha mai considerato, come è avvenuto in altri Paesi (mi riferisco alla Francia e alla Germania) che proprio la crisi imponeva ai Governi di pensare ai fondamentali, cioè a quei settori primari che erano ineludibili.
E, dunque, a partire da quel fatidico primo provvedimento economico, tutta la politica agricola di questo Paese è stata rincorrere ciò che era stato tolto, per cercare di reinserirlo. Abbiamo passato due anni ad inseguire le risorse per i fondi di solidarietà o le agevolazioni contributive per le zone svantaggiate, o il bonus gasolio per le serre.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MASSIMO FIORIO. Molti di questi strumenti non sono più finanziati. Certo, il gioco ormai lo conosciamo: è quello di rimandare in un prossimo provvedimento alcune delle questioni a cui è impossibile non dare risposta, in uno stancante meccanismo di assicurazioni e di rinvio delle risposte, il cui unico obiettivo è di perdere per strada qualcuna delle richieste, riducendo l'agricoltura ad una sorta di questuante, a cui riconoscere, per caso, della carità.

PRESIDENTE. Deve concludere.

MASSIMO FIORIO. Qualche giorno fa, il Ministro Galan, cuor di leone con i giornalisti e agnellino con il Ministro Tremonti, ha dichiarato: «I fondi per l'agricoltura ci devono essere perché non è possibile che in un anno e mezzo, ma forse anche un po' di più, perché posso parlare anche del mio predecessore, non ci sia stata una lira per l'agricoltura».
E bravo Galan: finalmente, si è accorto che l'agricoltura occupa un milione e mezzo di persone, è la base di un'industria che è all'avanguardia a livello mondiale, ha un patrimonio tecnologico inestimabile, ma obsoleto, e necessita di rinnovamento. Probabilmente sì, la sua competenza non gli basta per entrare nella testa del Ministro dell'economia: nel nostro Paese, senza l'agricoltura, senza gli agricoltori e senza le macchine, si rischia di avere i disastri ambientali che abbiamo vissuto in questi giorni nel Veneto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Margiotta. Ne ha facoltà.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, colleghe e colleghi deputati, in una situazione di crisi sostanzialmente aperta, nonostante il Governo si ostini ad Pag. 63evitare di ammetterlo, ci troviamo ad approvare il disegno di legge di stabilità, confezionato dal Ministro Tremonti come è nel suo stile, senza consentire alcun apporto significativo del Parlamento, dei gruppi di maggioranza e di opposizione. Signor sottosegretario Vegas, ci conforta un dato: questo è l'ultimo provvedimento che il Governo porta a casa, poi toccherà al Governo stesso andare a casa. Si tratta di un provvedimento sbagliato, non all'altezza della sfida dei tempi, non capace di coniugare rigore e salvaguardia dei conti pubblici con politiche di sviluppo e di rilancio dell'economia.
Nel poco tempo a disposizione, mi soffermerò brevemente solo sugli aspetti relativi ai temi di competenza dell'VIII Commissione (Ambiente), di cui faccio parte, concernenti le politiche infrastrutturali e le politiche ambientali.
Il Governo «del fare», in realtà, non fa, non coglie il grido di dolore dell'industria delle costruzioni, settore nevralgico e decisivo nel nostro Paese, e taglia i finanziamenti per ben 2 miliardi di euro rispetto al dato assestato del 2010. Un recente studio del professor Gilardoni della Bocconi, di cui dà conto un articolo di Giorgio Santilli su Il Sole 24 Ore, quantifica in 431 miliardi di euro, di qui al 2024, i costi del «non fare» nelle politiche infrastrutturali.
Ciò nella totale disattenzione da parte del Governo. E mi asterrò, per questa volta, dall'analizzare le due velocità - ma meglio e più corretto sarebbe dire le due lentezze - nello sforzo di investimento che si fa tra nord e sud nel Paese.
Veniamo alle politiche ambientali: spicca l'assenza del rifinanziamento del cosiddetto 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici. Vedremo se in Aula, davvero, recependo un emendamento del partito democratico, lo inserirete. È una misura varata nel corso della scorsa legislatura per iniziativa della Commissione ambiente e del Governo Prodi, che non solo contribuisce e ha contribuito alle politiche europee del «20-20-20», influendo tanto sull'efficienza energetica, quanto sulle immissioni di anidride carbonica (quindi su due dei «20» del terzetto), ma al contempo ha prodotto risultati importantissimi sull'economia, generando nei suoi anni di applicazione ben 11 miliardi di euro di affari, essendo utilizzata da 800 mila famiglie, con una creazione media annua di 50 mila posti di lavoro. La recente relazione dell'ANCE - l'Associazione nazionale costruttori edili -, presentata ai primi di ottobre, che è un cahier de doléances vero del settore dell'edilizia in questo Paese, evidenzia come una delle poche cose positive degli ultimi anni sia stata esattamente il provvedimento sul «55 per cento». Ebbene, voi che fate? Non rifinanziate l'unica cosa che funziona, la abolite (Commenti del deputato Milanese).
Ciò nonostante, ad oggi non c'è, relatore, poi vedremo che succederà. Io naturalmente mi rivolgo al Presidente e parlo allo stato degli atti.

PRESIDENTE. Si rivolga al Presidente.

SALVATORE MARGIOTTA. Se poi avrete la facoltà di decidere a favore del nostro emendamento, ne saremo felici.
Il nostro emendamento, appunto, a prima firma dell'onorevole Mariani, prevede tra l'altro che la norma da temporanea divenga permanente, in modo da dare certezza alle famiglie che vogliono investire e contemporaneamente a imprenditori, artigiani, operatori del settore. Quali altre risposte si possono dare alla piccola e media impresa se non rifinanziare il «55 per cento»?
Vedremo che accoglimento avrà il nostro emendamento. Esso, tra l'altro, estende la misura anche agli interventi di messa in sicurezza antisismica. È ben chiaro, infatti, che politiche virtuose di prevenzione in materia antisismica non solo salverebbero vite umane, ma a conti fatti comporterebbero spese minori degli interventi in emergenza e successivamente ricostruttivi. Anche su questo argomento solo bluff e inerzia: il bluff degli interventi in Abruzzo, che vi si sta ritorcendo contro, l'inerzia nell'assunzione di qualsiasi iniziativa normativa. Pag. 64
Ancora, sulle politiche ambientali, abbiamo assistito, leggendo i giornali ed i resoconti del Consiglio dei ministri, allo scontro tra i Ministri Tremonti e Prestigiacomo. Il solito rimpallo di responsabilità. Una sola cosa è certa: mentre l'Italia, dal Veneto alla Sicilia, alla mia Basilicata frana e soccombe sotto l'azione degli eventi climatici, neanche un euro è stato speso del miliardo stanziato nel 2009 dal CIPE per la messa in sicurezza del territorio. E vedremo, poi, quanto rimarrà nella concretezza e nella realtà di questo miliardo, saccheggiato di continuo per finalità ben diverse da quella originaria. Questa incuria, questa lentezza è terribile e colpevole. Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur: mentre i ministri litigano, l'Italia si sbriciola.
E poi cos'altro contiene la manovra? Taglio lineare del 30 per cento dei fondi al Ministero dell'ambiente, ben superiori rispetto al 10 per cento annunziato; pochi spiccioli inseriti solo nel maxiemendamento per gli enti parco, insufficienti ad una vera azione di rilancio degli stessi (anche su questo argomento abbiamo presentato emendamenti); mancato rifinanziamento del Fondo rotativo per gli obiettivi di Kyoto, su cui pure è stato presentato dal Partito Democratico un emendamento a mia prima firma.
Il gruppo del Partito Democratico in Commissione ambiente, come è nel suo stile, ha presentato, dunque, pochi emendamenti di merito non ostruzionistici, ma finalizzati a migliorare la legge e a far uscire la Commissione medesima dallo stato di residualità e scarsa incidenza, a cui l'azione della maggioranza l'ha relegata.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SALVATORE MARGIOTTA. Non siamo ottimisti sull'attenzione del Governo. Però, e concludo, signor Presidente, questa volta ci rincuora un dato incontrovertibile. Sono gli ultimi danni che fate a questo Parlamento e soprattutto al Paese. Vostro è l'oggi, melmoso e cupo, ma il domani non vi appartiene (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Froner. Ne ha facoltà.

LAURA FRONER. Signor Presidente, abbiamo bisogno che il Paese sia governato e di grande attenzione sul tema dell'economia e dell'occupazione, diceva ieri la presidente di Confindustria. Ed io aggiungo: mai il Governo è stato, invece, così distante dai bisogni del Paese.
Nelle tabelle OCSE di rilevamento delle variazioni del PIL dopo la crisi, l'Italia, che durante la crisi aveva perso più PIL di tutti (un calo del 6,5 per cento), sembra riprendersi molto più rapidamente rispetto agli altri Paesi europei (un aumento dell'1,3 per cento in Italia, del 4,8 per cento in Germania e del 2,5 per cento in Francia). Le esportazioni sono decisamente ripartite anche da noi, ma in parallelo abbiamo avuto anche un boom delle importazioni, che, negli altri Stati, risultano più contenute.
Un'altra grande questione è quella del mercato del lavoro. Nel nostro Paese, anche se il dato della disoccupazione è tuttora più basso della media europea, possiamo riscontrare - oltre ad un aumento dell'8,5 per cento rispetto al livello prima della crisi - una crescita della disoccupazione non ufficiale, che comprende cassa integrati e disoccupati scoraggiati che non cercano più lavoro.
L'economia italiana deve ritrovare la strada di una crescita più robusta. Se il mercato del lavoro non riparte, la tenuta patrimoniale delle famiglie e delle imprese italiane non basta a far crescere in modo significativo il nostro Paese.
Le poche risorse pubbliche disponibili dovrebbero essere concentrate nella creazione di veri posti di lavoro, che possano durare nel tempo. Il contesto mondiale è già molto selettivo di suo. Compito - purtroppo non assolto - del Governo dovrebbe essere quello di operare scelte precise di politica industriale, che favoriscano una nostra maggiore presenza nel mercato globale in termini competitivi.
Dal disegno di legge di stabilità in discussione non emerge alcuna chiara scelta che segni l'avvio della ripresa e dello Pag. 65sviluppo. È innegabile che la questione del rientro del debito pubblico sia molto più stringente rispetto al passato.
Nella decisione di finanza pubblica, cui si riferisce la legge di stabilità, si prevede un miglioramento a partire dal 2012. Tuttavia, da un lato, non si definiscono politiche di crescita, senza le quali il rapporto debito-PIL continuerà inesorabilmente ad aumentare, e, dall'altro lato, si prevedono livelli di crescita troppo lenti per recuperare competitività.
Se guardiamo alla situazione economica del nostro Paese, riscontriamo con preoccupazione una propensione al risparmio ai minimi storici e un incremento dell'indebitamento delle famiglie.
Sul versante della spesa pubblica, il Ministro Tremonti ha scelto di operare numerosi tagli a voci particolarmente qualificanti, quali il finanziamento delle politiche sociali, il Fondo per le non autosufficienze, gli ammortizzatori sociali, la scuola statale paritaria, gli incentivi per la riqualificazione energetica degli immobili e, più in generale, la drastica riduzione in tutto il comparto della spesa in conto capitale.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LAURA FRONER. Signor Presidente, ho sei minuti.
In seguito alle proteste al suo interno e alle pressanti richieste dentro e fuori il Parlamento, il Governo ha risposto con un maxiemendamento, presentato negli ultimi giorni, che prevede maggiori spese per circa 5,8 miliardi di euro, alcune delle quali di carattere strutturale, che vengano finanziate prevalentemente con entrate una tantum.
L'allentamento del Patto di stabilità dei comuni, i trasferimenti alle regioni per sanità, trasporti locali e politiche sociali, i fondi per l'università, il rifinanziamento per sei mesi delle missioni internazionali, gli ammortizzatori in deroga, i voucher per le imprese che finanziano la ricerca e altri interventi, sono spese destinate a continuare nel tempo, ma gran parte dei finanziamenti sono rappresentati da entrate temporanee o aleatorie.
In riferimento alle discussioni svolte in Commissione bilancio, mi auguro che il Viceministro Vegas abbia convinto il Governo della necessità di prorogare la detrazione ai fini IRPEF del 55 per cento delle spese relative agli interventi di riqualificazione energetica degli immobili. La sua soppressione comporterebbe un danno economico per oltre 400 mila imprese che danno lavoro a tre milioni di persone.
Tale disposizione, oltre a recare benefici in termini di risparmio energetico e di riqualificazione edilizia, ha effetti positivi sull'occupazione e sulle entrate fiscali. Sembra, quindi, poco sensato che, in un periodo di crisi e di scarse disponibilità finanziarie come quello che stiamo attraversando, si decida di rinunciare a misure che possono contribuire, in modo poco costoso ma rilevante, al rilancio di settori come l'artigianato e l'industria, tra l'altro in evidente contraddizione con gli impegni recentemente assunti dal nostro Paese nel Piano nazionale di riforma, in riferimento agli obiettivi del programma Europa 2020.
Concludo con alcune considerazioni sulle modifiche introdotte dal Governo in merito alla disciplina del Patto di stabilità per le regioni a statuto speciale e le province autonome. Pur valutando positivamente l'accoglimento di un importante emendamento in Commissione, rilevo come rimanga ancora aperto il problema del concorso al Patto di stabilità per tutte le regioni a statuto speciale, nonché per le province autonome di Trento e Bolzano, che hanno la competenza esclusiva in materia di finanza locale.
Il fine degli emendamenti proposti è quello di evitare la duplicazione del concorso finanziario alla manovra statale, che, senza una loro approvazione, graverebbe sia sulla regione o provincia autonoma, sia sugli enti locali per la parte di spesa degli enti locali finanziata dalla regione e provincia autonoma stessa.
Inoltre, la prevista disciplina risulterebbe non conforme all'articolo 79, comma 3 dello statuto che demanda ad una specifica intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze la definizione Pag. 66dell'obiettivo complessivo della provincia autonoma di Trento ai fini del patto di stabilità. Rientra poi nell'autonoma decisione della provincia specificare gli obiettivi degli enti locali.
Infine, l'articolo 79, comma 4, dello statuto prevede che non si applichino nei confronti della provincia di Trento e degli enti locali del rispettivo territorio le disposizioni statali in materia di patto di stabilità interno, e che le stesse siano sostituite da quanto previsto dall'articolo 79 dello statuto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Mi scuso per lo scampanellio intempestivo, ma anche le nostre infallibili macchine a volte sbagliano.
È iscritta a parlare l'onorevole Rubinato. Ne ha facoltà.

SIMONETTA RUBINATO. Signor Presidente, nel mio intervento mi dedicherò soprattutto al tema della finanza locale ma partirò da lì per poi allargarmi all'economia. Quando il disegno di legge di stabilità è pervenuto in Commissione bilancio, sul Patto di stabilità non c'era assolutamente nulla, questo perché il Governo rinviava ad un provvedimento successivo, a seguito della chiusura del tavolo di concertazione con le autonomie locali. In seguito, forzato dal Parlamento, il Governo è arrivato alla presentazione di un cosiddetto nuovo Patto di stabilità che abbiamo provato a concretizzare nei bilanci di alcuni comuni della mia regione, il Veneto. Questa nuova modulazione del calcolo del Patto di stabilità si accompagna poi ad una cosiddetta clausola di salvaguardia che tutto è tranne che di salvaguardia da quanto abbiamo visto nelle proiezioni concrete. A ciò si aggiunga il fatto che occorre tener conto di dati, quelli relativi ai tagli ai trasferimenti, che ancora certi comuni non hanno perché il Ministero dell'interno li comunicherà a fine novembre. Variabile, quest'ultima, non irrilevante atteso che inciderà sulle entrate già in fortissima sofferenza e quindi inciderà anche sulle ricadute del patto. Per i comuni virtuosi la scure del patto, i nuovi vincoli che appaiono ancora più vessatori, ricadranno sostanzialmente sui servizi, quindi sulla «viva carne» dei cittadini, e sulle opere pubbliche. Su questo fronte quindi non si è fatto nessun passo in avanti, nessun passo in avanti dopo due o tre anni di annunci di concertazione con il tavolo delle autonomie locali. Del resto il Parlamento sul patto non ci può mettere becco - ci viene detto - visto che se ne discute ad altri tavoli ed altri sono legittimati a farlo; poi il territorio chiede però a noi parlamentari come mai ci sono queste regole assurde mentre si parla e si sbandiera un federalismo che ancora non c'è.
Nessun problema è risolto non solo per gli enti locali che vorrebbero aprire qualche cantiere per sostenere l'economia. Ma anche a non volerne più aprire di cantieri (perché questo sarà il risultato, dopo tre anni in cui, come il CRESME ci ha detto, le opere pubbliche in Italia sono diminuite del 20 per cento), in nome di una stabilità che non si capisce come possa aiutare una sana crescita, c'è il problema di pagare le opere pubbliche già eseguite. È questo un tema molto concreto che interessa gli enti virtuosi, i comuni e le province che hanno giacenze di cassa e che vorrebbero pagare, ma che aiuterebbe le imprese con un po' di ossigeno alla loro liquidità, eppure anche su questo fronte non c'è niente; c'è una «norma manifesto» che prevede un fondo di 60 milioni di euro per il pagamento degli interessi moratori dei comuni. Ora, è chiaro che con gli interessi devi pagare anche il capitale, siccome non c'è nessuno spiraglio di possibilità di pagamento dei residui passivi in conto capitale degli enti locali, non si capisce questi 60 milioni che fine faranno; andranno probabilmente a perenzione il prossimo anno. Il tema allora è proprio questo: come è possibile che le regole che si approvano qui non aiutano chi si comporta meglio, chi vorrebbe dare un contributo alla crescita di questo Paese? Finché le regole sono così, non c'è speranza. Ci viene detto che non si può consentire agli enti locali che hanno bilanci sani di pagare i residui passivi in conto capitale, le fatture alle imprese che hanno aperto cantieri per Pag. 67fare, lo ricordo, case di riposo, piste ciclabili, per mettere in sicurezza le scuole, rifare le strade, fare i cimiteri che mi sembrano opere indispensabili, mentre per i grandi eventi vi è l'esimente dal patto; l'uscita dal patto per il comune di Roma che lo può concordare per conto suo, l'uscita dal patto per l'Expo di Milano, l'uscita dal patto per gli enti commissariati perché sciolti per mafia. Ma scusate, non è più facile per un commissario fare dei tagli, piuttosto che per un amministratore eletto dai cittadini?
Vi è, poi, un borsellino, un tesoretto di 480 milioni di euro che potrà essere usato al tavolo della Conferenza Stato-Città e autonomie locali, per aiutare quegli enti che hanno più difficoltà a realizzare questo Patto. Sarà interessante vedere come sarà utilizzato quel tesoretto, se andrà a beneficio degli enti che si meritano davvero un aiuto. Credo che da parte del Ministero dell'economia vi sia anche buona fede nel tentativo di riformulare queste norme; tuttavia, vi prego davvero di acquisire i dati delle ricadute sui territori delle norme che si fanno a livello nazionale perché, se non funzionano, qualcuno dovrà pure assumersi le responsabilità di cambiarle.
Bene, anzi, male. Non vi è nulla di nuovo su questo fronte: il primo dicembre l'Associazione nazionale costruttori edili scenderà in piazza, perché vi sono decine di migliaia di imprese in sofferenza per i ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, in sofferenza perché non si aprono più cantieri perché non vi sono più bandi di gara, in sofferenza perché anche i cantieri che si potrebbero aprire con cofinanziamenti europei richiedono cofinanziamenti in Italia, e quindi non si aprono.
Allora la domanda è: quand'è che definiamo un patto di stabilità che faccia partire la crescita, se è vero che in questo disegno di legge di stabilità, poi, avete anche incorporato le misure per la crescita, mentre è vero che in questo disegno di legge di stabilità non si sono trovate le risorse per prorogare una misura come quella del 55 per cento, che sino ad oggi ha consentito qualche boccata di ossigeno a migliaia di piccoli imprenditori e di piccole e medie imprese con gli incentivi di lavori di riqualificazione energetica e di ristrutturazione?
È una misura che sicuramente - almeno per i dati che abbiamo avuto a disposizione da autorevoli fonti di analisi economica - ha comportato investimenti per oltre 11 miliardi di euro; certo, anche una diminuzione del gettito per oltre 6 miliardi di euro, ma a fronte di altri benefici per il sistema Paese per circa dieci miliardi: 3,2 miliardi di euro risparmiati sulla bolletta energetica, 3,3 miliardi di gettito fiscale aggiuntivo, 3,8 miliardi di euro di incremento di valore degli immobili, senza contare gli enormi vantaggi non quantificabili che questo significa per la spinta alle start up, alle imprese innovative sul versante della green economy, della nuova occupazione, dei vantaggi ambientali e del contenimento delle penali europee.
Perché in questo Paese non si riescano a fissare regole razionali, giuste, di buonsenso che tutti chiedono e sulle quali sarebbe d'accordo anche l'opposizione? La risposta: non ce lo possiamo permettere per lo stato della nostra finanza pubblica. Ma su ciò sarà anche ora di rompere un po' un velo di ipocrisia: se siamo arrivati, come siamo arrivati, a questa crisi, con questo Paese che ha questo debito e questo deficit, ci sarà qualche responsabilità!
È interessante da questo punto di vista la lettura del rapporto 2010 sulla finanza pubblica: un volumetto di recente pubblicazione in cui un capitolo è dedicato agli ultimi dieci anni della finanza pubblica italiana, e che viene intitolato «Il decennio perduto». Grazie a questo «decennio perduto» ci siamo ritrovati, sostanzialmente, di nuovo al campo base (dopo dieci anni siamo esattamente dove eravamo vent'anni fa, agli inizi degli anni Novanta), anche per effetto della crisi, certo, ma qualcuno, prima o poi, dovrà spiegare agli italiani questo paradosso, atteso che l'Italia, di fronte alla crisi, a differenza degli altri Paesi, ha fatto eccezione per assenza di misure fiscali in disavanzo e atteso che Pag. 68l'Italia ha avuto sul debito, nel 2009, una riduzione degli interessi di circa dieci miliardi di euro.
La politica del rigore «tremontiana» è stata inaugurata sin dall'estate del 2008; in questo Paese non si sono fatte manovre espansive, a differenza degli altri Paesi che fanno manovre correttive per precedenti manovre espansive, per aver sforzato per aiutare le proprie banche, famiglie e imprese.
In questo Paese, nel 2008, abbiamo invece inaugurato la nuova politica economica e di bilancio di questo Governo con una prima manovra di «lacrime e sangue», all'insegna della salvaguardia dei conti pubblici, perché «noi», la crisi, l'avevamo prevista!
Poi, certo, sono venuti i provvedimenti cosiddetti «anticrisi» in corso d'anno, gli sgravi fiscali, gli ammortizzatori, ma tutti formalmente coperti da misure di segno opposto, con impatto zero sui saldi di finanza pubblica, perché non ci potevamo permettere manovre espansive. Ciò nonostante, abbiamo dovuto, nell'estate scorsa, mettere in atto una manovra correttiva nel nostro Paese e, nonostante la manovra correttiva, oggi registriamo che, il debito pubblico ha superato il 118 per cento del PIL, tornando ai livelli del 1997. Qualcuno, prima o poi, dovrà spiegare agli italiani questa cosa e di chi è la responsabilità di questo decennio di finanza pubblica perduta.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SIMONETTA RUBINATO. Alla base della condizione di debolezza con cui siamo entrati in questa fase e di questa crisi economica (la più grave dal dopoguerra) vi è l'interruzione del percorso di riduzione del debito avvenuto negli anni 2000, cioè in questi ultimi dieci anni in cui voi avete governato per ben otto anni. L'indicatore dell'avanzo primario ne è il buon testimone. Nel decennio 1993-2002 l'avanzo si è sempre mantenuto al di sopra del 2 per cento, ma dal 2003 al 2010 solo in due anni su otto, ossia negli anni del Governo Prodi.

PRESIDENTE. Deve concludere.

SIMONETTA RUBINATO. Bene, voi purtroppo, e con voi anche il Paese, pur non avendone la responsabilità, si trova - e concludo signor Presidente - in questa situazione. Non potete cavarvela invocando la stabilità. La cosa più stabile, ha detto qualcuno, è la morte; questo Paese invece deve avere la speranza, grazie alle risorse che ci sono in campo, di riprendere una fase di crescita duratura.
La crisi che si è aperta nella maggioranza - e qui davvero concludo - non viene assolutamente compresa: all'esterno, nel Paese c'è smarrimento, c'è sconcerto e anche rabbia per l'avvitarsi di una crisi politica incomprensibile in una maggioranza che doveva fare le riforme, che doveva cambiare il Paese, che doveva farlo ripartire, che dal 2008 applica tagli, promettendo riforme e crescita. Siamo invece punto e a capo, siamo al campo base del 1990: chiunque ricomincerà la strada ha davanti un percorso ancor più in salita (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, ruberò pochi minuti per osservare come i tempi di questo provvedimento sono intrecciati con la crisi politica che virtualmente è aperta. In questo senso, i capigruppo dell'opposizione hanno inviato una lettera ai Presidenti delle Camere perché non si facciano prendere da diversivi e affinché questa manovra venga rapidamente votata entro il mese di novembre.
Ovviamente noi manteniamo tutte le riserve di merito che abbiamo avuto occasione di evidenziare nel corso dei dibattiti che ci sono stati in quest'Aula a seguito dei provvedimenti economici assunti da questo Governo. Oggi rileviamo che la manovra è un potenziale colabrodo.
Anche la Presidenza della Repubblica ha espresso preoccupazioni, parlando di «buio» sulle scelte e criticando i tagli lineari. Vorrei ricordare gli interventi Pag. 69svolti in maniera molto critica a proposito di queste tecniche di controllo della spesa che, ridotte all'uso dei tagli lineari, non hanno dato gli esiti sperati.
Ha ragione il Presidente della Repubblica ad evidenziare come, se alcune voci di spesa devono essere drasticamente ridotte, in altri casi le risorse dovrebbero essere al contrario incrementate, il che vuol dire che si può operare attraverso dei tagli mirati, ma che bisogna avere la capacità per altri aspetti di sostenere la spesa pubblica in punti che sono nevralgici per la ripresa dello sviluppo.
Ora, nel merito, come è stato osservato anche dalle strutture del servizio studi della Camera, talune coperture appaiono discutibili o risibili. Gli spostamenti di poste di bilancio sono strumentali, le entrate una tantum appesantiscono il trend del deficit e la ripetuta copertura su giochi e lotterie richiama l'idea di un Paese che affida la sua speranza al gioco.
Questo è un elemento che andrebbe approfondito: il fatto che questo Governo utilizzi in maniera sistematica le entrate da giochi e scommesse come una delle poche cose certe, di fronte al fatto che c'è una diminuzione dell'economia sommersa così devastante, non fa altro che strumentalizzare un orientamento che nella pubblica opinione c'è: più che di credere nel futuro, di credere nella speranza del gioco.
Infatti, quelli che scommettono sul «sei» al Superenalotto non dichiarano di avere una volontà di credere al loro futuro.
Inoltre, aggiungo che il divario sui punti base rispetto al debito pubblico con la Germania, che rispecchia la qualità del nostro debito, non può che preoccupare e non possiamo neppure a questo proposito immaginare di sollevare delle questioni sulla presunta immoralità della speculazione: ieri la Grecia, oggi l'Irlanda, domani - come è stato rilevato anche nei giorni scorsi - noi, che siamo un Paese che ha un debito pubblico che si colloca, in termini di qualità, nel mezzo. Non possiamo certo chiamarci fuori, ma non possiamo dire che sono stati gli emendamenti che hanno aperto i varchi alla speculazione. In questo dibattito gli emendamenti dell'opposizione sono stati molto contenuti. Ognuno di noi si è limitato, e comunque non ha fatto alcuna azione strumentale diretta a perdere tempo o a creare difficoltà al Governo.
Penso che i varchi alla speculazione sono aperti piuttosto dalla minaccia di Berlusconi di rivolgersi alla piazza. Trovo in questo un elemento di grande preoccupazione, come se l'occupazione di palazzo Chigi fosse una sorta di condizione personale. Non mi pare che sia il caso di stimolare il giudizio della speculazione internazionale sul nostro Paese, evidenziando dei caratteri tutt'altro che plausibili. Penso che una grave instabilità politica metta a nudo anche i nostri conti pubblici. Questo diventa l'elemento sul quale occorre che il Parlamento rifletta.
Noi dovremmo votare nelle prossime ore questo provvedimento e lo faremo. Il nostro giudizio negativo resta severo, ma non c'è dubbio che poi bisogna girare pagina. Forse è necessario riprendere una azione di revisione della politica economica che tenga conto del riconoscimento della profondità della crisi e avvii nel Paese una azione che tenda a sensibilizzare la pubblica opinione su queste condizioni che richiamano, tra l'altro, la profondità del modello di sviluppo e l'esigenza del suo cambiamento.
Mi fermo qui: credo che la sobrietà della parola in una Assemblea come questa oggi richieda di essere contenuti e soprattutto di immaginare che la svolta, ormai prossima, ci metta nelle condizioni di riprendere quel processo di sviluppo senza il quale il nostro Paese è destinato a guardare la sua prospettiva con un timore sempre più crescente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Patarino. Ne ha facoltà.

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, la XII Commissione (Affari sociali), dopo l'esame e la discussione dei disegni di legge - bilancio di previsione dello Stato e disposizioni per la formazione Pag. 70del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità) - relativamente alle parti di propria competenza, ha approvato a maggioranza la proposta di parere del relatore con cui si deliberava di riferire favorevolmente alla V Commissione (Bilancio) con emendamenti allegati.
Quegli emendamenti, quasi tutti concordati e votati all'unanimità, derivavano dall'esigenza avvertita, seppure con valutazioni e toni diversi tanto dalla maggioranza quanto dall'opposizione, di richiamare l'attenzione della V Commissione (Bilancio) su tre questioni abbastanza delicate. La prima è relativa al mancato rifinanziamento del Fondo per l'autosufficienza; la seconda riguardava il mancato rifinanziamento del Fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze ambientali ed energetiche dei cittadini meno abbienti.
La terza, riguarda l'inadeguatezza del finanziamento destinato al fondo da ripartire per i defibrillatori semiautomatici e automatici esterni in luoghi e mezzi pubblici. Andando oltre nell'approfondimento, ciascun componente della Commissione ha mosso rilievi sull'insufficienza delle risorse necessarie per far fronte alle tante e prioritarie esigenze del settore.
È fuori di dubbio che tutti quanti noi, al di là di ogni schieramento, saremmo ben lieti di garantire un congruo sostegno economico alle famiglie bisognose e a quelle che assistono persone anziane e non autosufficienti o di erogare agli enti locali più fondi da destinare a scopi sociali o per combattere la violenza contro le donne e gli anziani indifesi e ancora per migliorare le condizioni sanitarie nelle carceri. Potrei continuare a lungo, tuttavia, guardando in faccia la realtà che ci circonda, scopriamo che dobbiamo fare i conti con la crisi, che non è solo italiana né è stata causata da questo Governo. Pertanto, la manovra al nostro esame non poteva non essere dolorosa perché imposta da una situazione mondiale ineludibile e da conseguenti cogenti obblighi assunti dal nostro Paese nelle sedi internazionali, peraltro assolutamente coincidenti con gli interessi superiori dell'economia italiana che ha retto alla crisi di questi anni meglio di altri.
Di qui, la necessità di operare forti riduzioni alla spesa pubblica che - è bene rammentarlo - significano anche e soprattutto una riduzione dei poteri del Governo, che non può non essere apprezzata.
A tale riduzione, non si potevano sottrarre - com'era purtroppo da aspettarsi - neanche i settori di competenza della Commissione affari sociali, con riferimento ai quali sono, tuttavia, state garantite, nella misura possibile, le principali missioni e i relativi programmi.
Avremmo voluto tutti di più - è vero - e, certamente, si sarebbe potuto fare qualcosa di più senza escludere i tagli, ma assumendo anche appropriati accorgimenti per promuovere un rilancio dell'economia. Avremmo, per esempio, gradito maggiore attenzione per la ricerca. Noi di Futuro e Libertà per l'Italia siamo convinti che una grande nazione come la nostra, seconda a nessuno nel campo dell'arte, della tecnica e della scienza, se vuole uscire dalla crisi e realizzare la crescita e lo sviluppo del sistema Paese deve investire nella ricerca, specialmente in campo medico e nel pieno rispetto della legalità, partendo dal presupposto che la legalità, oltre ad essere un dovere, è anche una convenienza, un affare economico.
Una sanità che si coniughi saldamente con la legalità, con il rigoroso rispetto delle norme e delle regole, oltre ad essere di per sé una sanità migliore perché mette al suo centro non già gli interessi più o meno legittimi degli operatori, ma i diritti della persona umana, è in grado di fornire migliori servizi a costi più convenienti per le istituzioni.
Dunque, per noi di Futuro e Libertà per l'Italia, tra i primi e più importanti impegni da assumere, c'è quello di progettare e costruire, nel più breve tempo possibile, un'altra sanità: una sanità che non premi, nella selezione degli operatori, i raccomandati a prescindere dal valore e dalle competenze, ma i più bravi, tenendo conto dei meriti e delle potenzialità, limpidamente accertati e adeguatamente sostenuti nello studio e nella ricerca, facendo Pag. 71ogni sforzo perché i nostri cervelli rimangano qui in Italia e si creino le migliori condizioni perché tornino da noi quelli che operano all'estero, dove vengono valorizzati come meritano e dove trovano strutture e tecnologie di avanguardia, permettendo - grazie al loro impegno, ai loro studi e alle loro straordinarie scoperte - ai Paesi che li ospitano, di contendersi primati mondiali nella medicina, con enormi ritorni di natura economica, di immagine e di prestigio.
Proprio in campo sanitario voglio citare alcuni tra i tantissimi esempi: Cataldo Doria, chirurgo quarantatreenne nativo di Taranto, negli USA ha ottenuto nell'anno 2008 il prestigiosissimo riconoscimento «Chirurgo dell'anno» per avere effettuato, con risultati eccellenti, 400 trapianti di fegato e 200 sostituzioni di reni. Antonio Iavarone e Anna Lasorella, ricercatori della Columbia University, nell'estate del 2009, salgono alla ribalta mondiale per avere identificato la nuova funzione di una proteina, che permette di comprendere i meccanismi che portano al tumore al cervello.
Napoleone Ferrara, catanese, da 15 anni in California, ha ottenuto alcune settimane fa il «Lasker Awards», anticamera del Nobel, per aver messo a punto per la Genentech, la propria azienda biotecnica americana, un farmaco che ferma le cellule tumorali.
Così come è accaduto tante altre volte, anche questa nuova grande scoperta italiana darà lustro e benefici economici alla nazione in cui è stata realizzata, all'Italia solo la consolazione, e se volete, il vanto, per aver dato i natali agli autori, ma niente di più.
Vorrei in conclusione poter condividere il cauto ottimismo del Governo, secondo il quale dopo il tempo del rigore è iniziato quello dello sviluppo, che già entro l'anno dovrebbe produrre i primi frutti con il decreto annunciato da 7 miliardi di investimenti, a cominciare da quelli per l'università e la ricerca, e con un ottimale utilizzo di quelli previsti dal milleproroghe.
A questa nuova fase finalizzata alla crescita, noi di Futuro e Libertà per l'Italia daremo il nostro contributo, se per davvero dalle promesse si passerà ai fatti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, l'attuale situazione economica dell'Europa, dell'Occidente, dell'Italia, ci suggerisce una lettura più banale, più attenta, dei conti pubblici.
Siamo fermamente convinti che la nascita dello Stato sociale rappresenti un momento importante nell'Occidente per tanti milioni di cittadini, ma siamo altrettanto convinti che esistono troppi rischi di carattere individuale, che dovrebbero essere collettivi. In una traduzione più volgare dello Stato sociale e del welfare, è il rischio vecchiaia, che proiettiamo nella dimensione collettiva dello Stato sociale.
Il rischio della malattia, della salute, come abbiamo saputo, dobbiamo annoverarlo fra i rischi collettivi. A proposito del rischio del futuro delle nuove generazioni, dobbiamo saper impostare una scuola che formi, un'università che specializzi, che renda competitivo anche il nostro sapere nel mondo e nel nostro Paese.
Se vogliamo esprimere un giudizio sui 16 anni che stanno chiudendosi, le speranze animate, il populismo introdotto o non introdotto, la condizione reale del Paese, ma è veramente uno strumento il Patto di stabilità di oggi, che proietta i rischi individuali nella società e quindi nella tensione collettiva? Faccio riferimento al futuro dei giovani, alla malattia, alla vecchiaia, alla disoccupazione, alle emergenze territoriali che alcuni territori non possono risolvere da soli, ma devono trovare uno spirito di carattere collettivo e di connessione nazionale.
Credo che bisogna fermarsi e discutere bene di questi eventi. Era un rischio che l'Alitalia divenisse francese o fosse europea? Non era un rischio che avremmo voluto proiettare sui conti pubblici. Le quote latte rappresentavano un rischio che Pag. 72si doveva proiettare, dopo la protezione di alcune produzioni sostenute per vincolarne il prezzo, per dare il prezzo di remunerazione bloccando delle quote? È un altro rischio che si deve buttare nel calderone generale?
No, colleghi, credo che la nostra impostazione deve essere quella che banalizza, rende intuitiva al popolo italiano la necessità di manovre da 25 miliardi. Pensiamo a quella del 2012 con il Patto di stabilità e rientro dal debito, che sarà certamente superiore a questa.
Non possiamo fare manovre, tagli o aggiustamenti del debito e del deficit solo sperando che ci sia la ripresa, solo sperando che qualcuno ci farà ripartire.
La partenza sta nell'equità fiscale, nell'eliminazione dell'ingiustizia che la tassazione implica nel lavoro dipendente e nell'impresa. La difficoltà che noi abbiamo è il costo della politica, dei 36 mila consiglieri comunali che si aboliranno dal 2014, costo che potrebbe essere - e non mi scandalizzo - di 70 milioni di euro.
A proposito di politica degli enti locali, mi sono divertito a riportare l'articolo 14 comma 2 del decreto-legge n. 78 del 2010, citato dal disegno di legge di bilancio in esame che io ritengo variabile perché ancora le poste reali di bilancio non si conoscono, perché, sulla base del bellissimo e fantasioso articolo 17 comma 16 del suddetto disegno di legge, approveremo un bilancio in cui «il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, negli stati di previsione delle amministrazioni interessate, le variazioni di bilancio compensative occorrenti per l'attuazione dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78» che ricordavo prima.
Oggi esaminiamo un bilancio in cui a proposito del rischio salute (al fine di avere nuovi ospedali o nuove attrezzature) secondo il capitolo 7464 della Tabella n. 2 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, si prevedono per il 2010 2.120 milioni di euro, e 236 milioni per il 2011.
Ben venga la norma: questi 236 milioni di euro sono ballerini e possono essere modificati dall'intervento del Ministero dell'economia e delle finanze. Quindi, tagli proporzionali, non concordati con le conferenze paritarie Stato-regioni e Stato-città, che molte volte somigliano ad un quarto Parlamento. Il Parlamento, poi, questi conti deve andare a ricercarseli (dovremmo fare i ricercatori) successivamente per capire questi capitoli. Come il bellissimo capitolo 1316 del Ministero dell'interno, «Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali», parlo di comuni e di province che svolgono molti dei servizi del rischio individuale e collettivo nel nostro Paese: assistenza scolastica, asili nido, infrastrutture, investimenti, e così via, non voglio fare tutti gli esempi perché mancherebbe il tempo.
Questo fondo ordinario, però, nel 2010 era di 7.034 milioni di euro, mentre nel 2011 è di 5.100 milioni di euro, ossia meno 1.934 milioni di euro; nessuno mi ha spiegato perché i tagli previsti dall'articolo 14 comma 2 del decreto-legge n. 78 del 2010 dovevano essere di 1.800 milioni di euro e invece sono di 1.934 milioni di euro. L'ho chiesto all'Ufficio studi, ho girato, ho cercato di capire. Mi hanno risposto che non è a legislazione vigente e che ci vorrebbe uno che conosce bene i bilanci per capire perché, invece di 1.800 milioni di euro sono 1.934 milioni.
Peraltro, non è solo preoccupante il dato che ci siano 1.934 milioni di euro in meno, perché alle regioni e ai comuni, per il Patto di stabilità, gli si dà anche l'obiettivo di cui all'articolo 8 comma 2 lettere a) e b) e gli si dice che, oltre i tagli, devono rispettare anche la cassa, perché la cassa, il fabbisogno e tutti gli elementi relativi all'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, e che ritenevamo inseriti nel testo dello stesso, in realtà sono in un nuovo Patto di stabilità. Gli si dice: la vostra cassa nel 2011 è bloccata per altri quattro miliardi e mezzo di euro, se siete comuni, mentre se siete province è bloccata di 700 milioni di euro.
Perché? Perché è previsto l'11,4 per cento della spesa media corrente; ci vuole un geroglifico per tradurlo. La sostanza però è che quanto vi è di collettivo non è Pag. 73stato discusso, che non siamo più in grado di dibattere in Aula su quale sia il rischio individuale che affronta tanta parte della popolazione italiana rispetto allo Stato sociale e quali siano le priorità. Non ne discutiamo più, non avvertiamo più la necessità di avere un rapporto con tutto il tessuto sociale!

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ROLANDO NANNICINI. Si fa appello poi alla chimera federalista, che anch'io mi ero illuso di sostenere, perché è di fatto giusto responsabilizzare a livello locale ed è giusto godere di entrate proprie.
Che si è fatto? La prima azione che si è compiuta è stata quella di stabilire che va bene la spesa storica, in quell'articolo di un decreto-legge sui costi standard che verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, senza dare una spiegazione a condizioni minimaliste e a concezioni sbagliate rispetto al rapporto enti locali-cittadini.
Mi scuso quindi, signor Presidente, se le ho rubato un altro mezzo secondo, ma credo che dovremo ripartire da una concezione di studio coerente del ruolo della finanza pubblica rispetto ai bisogni dei nostri cittadini, che corrono dei rischi individuali, al futuro della sanità, dell'istruzione e di quant'altro, ma non dovremmo proiettarvi tutto, come stanno facendo, e tagliare anche le spese buone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, è un triste lascito quello che questo Governo moribondo e la sua maggioranza in decomposizione consegnano al Paese, non solo per le condizioni precarie dell'economia, per le diseguaglianze sociali e territoriali che crescono e che andranno fronteggiate: il lascito pesante riguarda non soltanto la situazione interna del Paese, ma anche - e verrebbe da dire, quasi, ancora di più - la condizione di difficoltà in cui è stata messa l'Italia in ambito internazionale.
Sarebbe facile, fin troppo facile, limitarsi a denunciare, come pure è doveroso fare, i tagli senza criterio che un Presidente del Consiglio disattento ed un Ministro degli affari esteri timido e privo di energia hanno lasciato che si abbattessero come una scure sui capitoli della politica estera e sugli impegni internazionali dell'Italia: colpi di accetta che hanno ridotto il bilancio degli affari esteri ad un misero 0,4 per cento del bilancio dello Stato, falcidiando, fino quasi ad azzerarle, le risorse per la nostra cooperazione allo sviluppo, riducendo ancora, e di tanto, quel poco che resta per i milioni di connazionali che vivono nel mondo e che eleggono dodici rappresentanti di questa Camera, risparmiando senza criterio sulla già misere risorse destinate ad istituzioni benemerite e ad altissima produttività (mi sia concesso di citare la società Dante Alighieri come esempio tra tutti); mentre nel massimo dell'incoerenza, fra tagli a tutti, si è avuto il coraggio di aggiungere all'elenco degli enti internazionalistici che ricevono un contributo pubblico ben 6 nuovi soggetti scelti con criteri quanto meno discutibili.
Non si tratta solo di questo. Per questi enti si potrebbe dire che tali previsioni riguardano soltanto noi e che sono affari nostri, ma non è così: l'Italia oggi brilla per i ritardi accumulati nel versamento di somme dovute ad organismi internazionali di cui è parte, nei quali ha sottoscritto quote e ha assunto impegni solenni. A titolo di esempio vorrei ricordare (solo a titolo di esempio, perché altri se ne potrebbero fare) che l'Italia non ha versato le quote dovute né per il 2009 né per l'anno in corso, né prevede di farlo, al Fondo globale per la lotta all'AIDS e alle altre pandemie, che il Presidente del Consiglio ancora in carica si vanta di avere co-promosso nel 2001 e nel quale il nostro Paese ha un seggio nel consiglio di amministrazione, che rischiamo di perdere.
L'ultima rata è stata versata per il 2008 per decisione del Governo Prodi, che credo Pag. 74la maggioranza degli italiani ormai rimpianga e con qualche ragione. Noi riproporremo tali questioni, proporremo il reintegro di tali risorse.
In questa vostra «ex maggioranza» mi è capitato di sentire dire: chi se ne importa dell'AIDS; chi se ne importa della cooperazione, degli obiettivi del millennio, della lotta alla povertà; quello che conta in politica estera sono gli affari, mica la solidarietà. Non condivido espressioni di tal sorta vorrei fare notare a questi «realisti», che l'Italia, non rispettando gli impegni e disattendendo le promesse fatte, danneggia la sua reputazione, la sua credibilità e, conseguentemente, la fiducia che in essa viene riposta.
Non è certo questo il biglietto da visita migliore per fare affari in giro per il mondo. Ci tengo a stigmatizzare la miopia di chi non capisce che è nostro interesse nazionale, diretto ed immediato, contribuire al sistema di cooperazione allo sviluppo, perché uno sviluppo umano, equilibrato e rispettoso dei diritti delle persone è condizione di stabilità e di pace e, quindi, della nostra stessa sicurezza e prosperità.
Per quanto riguarda la cooperazione, noi del Partito Democratico non ci stanchiamo di chiedere quattro punti: programmazione delle risorse; coordinamento politico dei vari livelli di azione; trasparenza degli impegni a partire dalla leggibilità del bilancio, che - vorrei sottolineare - manca; coerenza delle politiche.
Il disimpegno nella cooperazione è emblematico della qualità delle scelte che avete compiuto in politica estera. Sono scelte miopi e grette: non c'è slancio, non c'è visione, non c'è nemmeno realismo, perché il realismo in politica estera è il punto di equilibrio tra valori ed interessi ed è quindi prudenza che si alimenta della visione di un futuro di convivenza tra i popoli in pace e giustizia.
È la stessa miopia che ha fatto finire l'Italia ai margini dell'Unione europea: ci si accontenta di un'Europa sempre più intergovernativa, salvo lamentarsi di «direttori» dai quali si è esclusi. E pensare che l'Italia è stata il motore dell'integrazione, la fucina di idee per istituzioni comuni! Oggi d'Italia è ripiegata su se stessa e in Europa è sulla difensiva ovunque, perde posizioni, schiacciata dai suoi problemi di debito e di competitività.
Così si è anche sfilacciato il rapporto transatlantico.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO BARBI. Signor Presidente, proseguo per trenta secondi. Obama, infatti, non vi piace e siamo incerti anche nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Nella nostra politica estera attuale il mondo è deformato: un paio di capitali fanno premio su tutte le altre, che vengono trascurate e risultano rimpicciolite e lontane.
A lungo anche noi all'opposizione abbiamo cercato di misurare le parole e contenere le critiche, cercando di vedere la parte positiva e la continuità dell'azione di politica estera, a partire dall'impegno delle Forze armate e della diplomazia italiana nelle missione di pace in Afghanistan, in Libano e altrove, ma ora è difficile continuare a minimizzare. L'Italia, mai come ora, in un mondo in cui la crisi economica continua a mordere e le tensioni in Europa e nell'eurozona non si placano, avrebbe bisogno di godere di autorevolezza e di prestigio, tutte cose che questo Governo, a partire dal suo Presidente del Consiglio e con i tagli in aggiunta, non è in grado di assicurare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Servodio. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA SERVODIO. Signor Presidente, la stabilizzazione delle agevolazioni contributive nel comparto agricolo per le aree svantaggiate e di montagna e le agevolazioni per favorire la proprietà coltivatrice sono le uniche due misure in favore dell'agricoltura italiana. Peraltro, erano state da mesi rinviate e disattese.
Queste novità non sono però affatto sufficienti a modificare la nostra valutazione negativa sul disegno di legge di stabilità, che ha penalizzato il comparto Pag. 75agricolo, dimenticandone emergenze e nodi strutturali. Il Governo ha scelto una linea minimalista per intervenire sulla crisi, rinunciando a rispondere ad una sfida che richiede al Governo dei costi di produzione, l'incremento del valore del prodotto, l'innovazione dei processi produttivi, un forte ricambio generazionale e misure tese a promuovere l'aggregazione e l'efficienza delle filiere.
Le imprese che hanno investito sull'innovazione non hanno trovato udienza nell'azione del Governo, perché non è stata promossa una politica del credito, necessaria per gli operatori che rischiano.
Non mi sembra, signor Presidente, che sia fuori luogo richiamare le parole del Papa all'Angelus di domenica scorsa: «La crisi economica in atto (...) manda un forte richiamo ad una revisione profonda del modello di sviluppo economico globale». In questo quadro appare decisivo un rilancio strategico dell'agricoltura (...).
Mi pare - continua il Papa - il momento per un richiamo a rivalutare l'agricoltura, non in senso nostalgico, ma come risposta indispensabile per il futuro». È un importante passaggio sul quale riflettere.
I nostri agricoltori hanno sopportato durissimi colpi causati dalla crisi dell'economia mondiale in un clima di grande indifferenza da parte del Governo. Quali sono i dati? Sono calati il valore della produzione e i prezzi base, c'è stata una flessione delle quantità prodotte e dell'occupazione. Abbiamo perso, tra il 2008 e il 2009, oltre 800 mila occupati, abbiamo registrato un calo dei redditi per gli agricoltori italiani pari al 25 per cento rispetto ad una media dell'Unione europea pari al 12 per cento.
Dunque, si tratta di una situazione drammatica. Quali sono state le risposte del Governo? Omissioni e tagli! Non soltanto non sono state previste misure ordinarie, ma è mancata soprattutto la governance del comparto in direzione di un modello multifunzionale e intersettoriale.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIUSEPPINA SERVODIO. È un errore non dare valore anche economico al servizio pubblico che di fatto l'agricoltura assicura, investendo sul capitale umano e con misure premiali per chi innova e crea. Non so se il confronto in quest'Aula determinerà ulteriori misure positive per il comparto. Noi le proporremo attraverso emendamenti, spetta al Governo farsene carico. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Servodio, la Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritto a parlare l'onorevole Santagata. Ne ha facoltà.

GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, mi soffermerò brevemente solo su alcuni temi inerenti il lavoro e la politica previdenziale. Innanzitutto devo rimarcare che nel provvedimento sono prorogati alcuni strumenti di intervento sulla grave situazione del lavoro nel nostro Paese - mi riferisco alla cassa integrazione, alla mobilità e alla disoccupazione speciale - e troviamo anche un finanziamento ulteriore, se ho fatto bene i conti, di circa un miliardo di euro. Potremmo essere contenti, sennonché da oltre un anno il Ministro Sacconi ci dice di avere pronta la riforma degli ammortizzatori sociali.
Ricordo che in quest'Aula abbiamo tentato di discutere un progetto di legge di iniziativa parlamentare sul quale avevamo trovato la convergenza di tutti i gruppi e che non se ne è fatto nulla proprio in previsione della riforma degli ammortizzatori sociali. La riforma non c'è stata e verrebbe da dubitare o da pensare male nel senso che si è trovato conveniente riproporre la formula della deroga, che prevede un tasso di discrezionalità molto elevato e che pone il Ministero del lavoro e delle politiche sociali veramente al centro dei destini di una quantità rilevante di imprese e di lavoratori italiani.
Per questo motivo la «pezza» che si mette su un problema gigantesco non ci Pag. 76trova completamente d'accordo, anzi, quasi per niente, direi, se non fosse per la situazione grave in cui versano i singoli lavoratori. Ritroviamo la stessa logica della «pezza» quando il Governo si è accorto - pressato, anche in questo caso, da posizioni assunte indistintamente da tutti i gruppi, di maggioranza e di minoranza - che il meccanismo delle finestre scorrevoli introdotto dalla manovra della scorsa estate faceva in modo - che vi restassero prigionieri una quantità rilevante di lavoratori che nel frattempo avevano perso il lavoro e che vedevano allontanarsi il momento della pensione - ben più dei 10 mila previsti dal provvedimento dell'estate scorsa.
Allora il Governo mette una «pezza», ma mette una «pezza» inventando la strana figura di un pensionato in cassa integrazione - mi verrebbe da dire -, cioè l'idea che a questo problema non si risponde dicendo che in quella categoria di lavoratori possono andare in pensione tutti con le regole precedenti la manovra estiva, ma si risponde prorogando gli strumenti di integrazione del reddito (la cassa integrazione e la mobilità). Mi sembra che anche in questo caso la pezza sia peggio del buco.
C'è un altro elemento che di per sé può sembrare positivo, la soppressione dell'articolo 1, comma 10, della finanziaria 2007. Mi riferisco al previsto incremento dei contributi previdenziali per lo 0,9 per cento per alcune categorie di lavoratori.
Si trattava di una norma richiesta dalla nostra ragioneria, perché si dovevano garantire gli effetti di risparmio derivante dalla riorganizzazione degli enti previdenziali. Ci si dice che il risparmio c'è stato, nel senso che abbiamo allungato la vita lavorativa degli italiani, e che non ne abbiamo bisogno. A tale proposito credo invece che si debba continuare a mettere mano alla riorganizzazione degli enti previdenziali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, intanto non sentiamo quel tono esaltante da parte dell'opposizione come se arrivasse una nuova era. Sarà perché probabilmente si sentono le elezioni anticipate e quindi il destino individuale incide più sul morale che la speranza futura. Ma leggiamo oggi di grandi obiettivi e di grandi persone che stanno arrivando e che in qualche modo potranno condizionare le nostre scelte e il nostro futuro. Si parla dell'arrivo del presidente Amato. Ebbene, già il fatto di parlare del presidente Amato ci fa immaginare quale potrebbe essere la futura speranza di questo Paese: la patrimoniale. L'unica cosa che ha fatto il presidente Amato è stata quella (di notte) di venire a rubare nelle tasche (nei conti correnti) degli italiani.
Mi riferisco alla famosa manovra da 90 mila miliardi di lire dell'epoca che incominciava a fare quello che è il gioco delle tre carte, gioco delle tre carte, che Padoa Schioppa e il Governo di centrosinistra hanno ben fatto, soprattutto senza cambiare un andamento di politica economica che ha pesantemente condizionato questo Paese (e che poi andremo a vedere). Ciò perché il rapporto deficit-PIL era diverso da quanto era stato detto (dell'1,6 era invece il 3,2), ma lo stesso trucchetto è stato fatto dai grandi risanatori. Vengono ricordate tre cose fondamentalmente. La prima: aiuto, avete rubato i FAS, i FAS come il bancomat (poi ne andremo a parlare). La seconda, i tagli sulla pubblica amministrazione: è un profluvio di milioni che mancano, di situazioni tragiche, di grida di dolore che si ergono ovunque, come se non ci fosse uno spreco della pubblica amministrazione (poi magari andremo a vedere anche questo).
Cominciamo a vedere anche i tagli e soprattutto il grande risanamento che è stato fatto. Ricordiamoci che il Governo Berlusconi aveva consegnato un deficit di circa il 2,4 per cento. Quel grande risanatore di Padoa Schioppa (famoso per la battuta sui bamboccioni e quant'altro) improvvisamente Pag. 77fece una grande due diligence con Faini e scoprì che il debito era del 4,4 per cento.
La cosa è stata ribaltata, invece, da Eurostat che ha considerato i 15 miliardi di debiti per i rimborsi dell'IVA aziendale da non computarsi, tanto è vero che, poi, sono stati spalmati in più anni e non sono stati attuati. L'altra misura concerne i debiti delle ferrovie: anche qui non vogliamo appesantire il dibattito per la cosiddetta casalinga di Voghera che ci sta ascoltando in questo momento, ma il dato non era tale, come ha attestato Eurostat, per cui il grande risanamento non c'è stato, ma vi è stato, però, un aumento delle tasse perché in questo il centrosinistra è bravissimo. Un aumento delle tasse di 2,8 punti, ossia 42 miliardi di euro.
Incominciamo a discutere: si può tagliare? E i tagli lineari? Intanto, non è vero - e lo diciamo molto semplicemente -, perché la nuova legge di stabilità prevede che sia la Conferenza Stato-regioni a decidere cosa tagliare. Mi sembra, quindi, che sia una struttura più federalista, più rispettosa di quelle che sono le autonomie. Certo, è previsto nel disegno di legge di stabilità un taglio proporzionale, come abbiamo visto, sull'edilizia sanitaria, sull'adeguamento del federalismo amministrativo, ma - ripeto- è stata rimandata alle regioni la possibilità di decidere dove tagliare, se tagliare su una voce o, piuttosto, su un'altra.
Partiamo dal primo dato, che riguarda i FAS: sono stati utilizzati, secondo alcuni, come il bancomat da parte del Governo, presupponendo, quindi, che i FAS siano stati utilizzati. Se, poi, andiamo a vedere nell'Italia dei «piagnoni» e della commedia dell'arte, vi è sempre un sud «accattone», che viene dipinto e rappresentato nelle Aule di questo Parlamento, quando, invece, non è così perché esiste un sud onesto, che magari non va in televisione ad accusare la Lega Nord Padania di cose di cui non può e non dovrebbe accusare. Vi è un sud che crea ricchezza e produce, ma è il sud «accattone» ad essere rappresentato da alcuni colleghi, soprattutto del centrosinistra. Insomma, dobbiamo dire che delle risorse 2000-2006 è stato speso solo il 38 per cento. E, allora, di cosa stiamo parlando? Dei FAS europei 2000-2006 incagliati o non spesi per almeno 7 miliardi. Sono soldi nostri, non è che siano stati stampati da Obama la sera prima, ma sono soldi nostri, non ci sono, non sono stati spesi. A settembre, questa era la dotazione.
E le persone corrette, come il presidente della Campania Stefano Caldoro, giustamente dicono che le regioni devono condividere con il Governo nazionale un nuovo modello di utilizzo dei programmi comunitari. Un monitoraggio è stato fatto dal Ministro Fitto: il 43 per cento dei 19 miliardi non è stato speso. Per questo, il «fondo Tremonti» che destina 27 miliardi richiede un cambio di passo perché quanto meno i progetti devono essere fatti e redistribuiti. Sfatiamo, quindi, la prima accusa - ahinoi - sui FAS: non esiste questo concetto, perché non è onesto intellettualmente.
La seconda critica: non c'è più niente da tagliare, abbiamo raschiato tutto il barile. Ho sentito una collega che parlava della politica degli ultimi dieci anni, ma noi non abbiamo gestito tutta la politica degli ultimi dieci anni, sebbene abbiamo dato un'idea. Consideriamo che vi siano margini di recupero nella pubblica amministrazione, seccamente dei margini di recupero.
Non si può continuare a fare come ha fatto il Governo precedente, quello dell'Italia da bere, che ha aumentato dal 40 al 120 per cento - se volete poi li ricordiamo tutti -arrivando ad una percentuale di intermediazione politica, intermediazione di spesa giunta fino all'80-90 per cento e scesa nel 2000. Però - ahinoi - anche con noi è aumentata. Ma la percentuale a nostro giudizio di miglioramento della pubblica amministrazione c'è. Infatti, come ha detto Reviglio negli anni Settanta ed è stata una facile profezia, con questo aumento della pubblica amministrazione, con questo aumento dei tassi di interesse si sarebbe arrivati ad un punto in cui di sicuro si sarebbe verificato un Pag. 78blocco della crescita e un aumento dell'inflazione. Tutte conseguenze che sono avvenute.
Noi poi tendevamo ad aumentare la spesa della pubblica amministrazione e, contemporaneamente, ad aumentare le tasse per poi ridistribuirle agli amici degli amici. Questa è stata la politica per dieci o vent'anni, dagli anni Settanta agli anni Duemila, che faticosamente stiamo incominciando a modificare. Ma se andiamo un po' a vedere quali sono i costi e i consumi, ci sono margini nella pubblica amministrazione? Ebbene noi pensiamo di sì. Se andiamo a vedere alcuni calcoli e citiamo Luca Ricolfi che non mi sembra di sicuro uno studioso di area leghista.

ROLANDO NANNICINI. È molto bravo!

MASSIMO POLLEDRI. Molto bravo, molto bravo. Quando parliamo di tasso di spreco e parliamo di pubblica amministrazione, sanità, scuola, università, i primi tre elementi dello Stato minimo, e poi di giustizia, burocrazia e sicurezza, non abbiamo i dati di tutto ma su sanità, scuola, giustizia civile, sistema carcerario, che fanno parte del 75 per cento della spesa pubblica, possiamo concludere che il tasso medio di spreco è prossimo a zero in Lombardia (2,8 per cento), il 15 per cento in tutto il nord eccetto la Liguria e arriviamo a punte del 50 per cento in Sicilia, Calabria, Basilicata e Sardegna. Facendo 100 la spesa pro capite per la pubblica amministrazione, abbiamo un nord che spende il 90,8 per cento e il sud il 102 per cento quindi non c'è sicuramente un sottofinanziamento del Mezzogiorno.
Vediamo quali sono le ricadute sul cittadino di questa spesa pro capite della pubblica amministrazione. Abbiamo che questi talenti seminati nella pubblica amministrazione al nord, spendendo 90, rendono 111 e il sud invece è il più penalizzato e ha 78,4. Quindi c'è una percentuale, un disservizio, inferiore del 30 per cento.
Questo significa che facendo un calcolo di quanto costa la pubblica amministrazione (264,2 miliardi circa), che non si traduce in servizi ma in sprechi, noi abbiamo un 26 per cento di stima e quindi 69 miliardi di euro di sprechi. Questo è il margine di miglioramento della pubblica amministrazione, è il margine di miglioramento che noi possiamo dare ai nostri cittadini, margine di miglioramento per cui occorre uno strumento virtuoso, progressivo, politico, efficientizzante il sistema che è il federalismo fiscale, che è la ragione politica di esistere oggi in questo Parlamento e il contributo più avanzato che noi abbiamo potuto portare.
È interessante vedere sempre all'interno del bilancio, quello che è il contributo del nord, una delle ragioni di un nord depredato in qualche modo da uno Stato che non sempre lo rappresenta. È un nord che ha una percentuale di contributo elevato, elevatissimo che spende circa 50 miliardi in più di quello che riesce a intercettare.
Sicuramente, una percentuale di parassitismo colpisce anche alcune regioni del nord (soprattutto due, tra cui la Valle d'Aosta), tuttavia, dobbiamo considerare anche la composizione della spesa discrezionale. Si dice che le risorse del Sud sono inferiori, ma anche questo è un mito. Non è vero, perché le risorse impegnate sono discrezionali. Se si fa un conto con riferimento a difesa, pensioni ed interessi, emerge un quadro diverso: non è colpa nostra se le spese per la difesa sono accomunate nel Friuli; per le pensioni, evidentemente, vi è stato un onere contributivo e per gli interessi, la questione è dovuta alla capacità di risparmio.
Se si considera la spesa pro capite per quanto riguarda il resto delle spese discrezionali (quindi, acquisti, stipendi, sussidi, e così via), dobbiamo dirlo chiaramente: abbiamo un quadro desolante, con acquisti elevati. Da una parte, la spesa discrezionale, al nord, porta ad acquisti di beni e servizi molto più elevati, mentre dall'altra parte, vi è una spesa per il mantenimento di redditi derivati. Ogni 100 euro di acquisti nel nord, vi sono 131 euro di redditi derivati, che si traducono in spese, stipendi, lavoratori socialmente utili, numero di dirigenti delle regioni. Non è Pag. 79possibile che al nord vi sia un forestale ogni 50 chilometri quadrati, e che, invece, in alcune regioni, vi siano 50 forestali per chilometro quadrato. Questo significa che per ogni 100 euro di acquisti in una regione come la Calabria, vi sono 255 euro di redditi derivati. Si tratta, dunque, di un debito elevato, con prestazioni impossibili nel campo della sanità.
Alcune regioni, ancora oggi, non hanno una quantificazione del proprio deficit. Non sappiamo, ad esempio, quale sia il deficit della ASL di Reggio Calabria, eppure, in quella ASL, vi è una percentuale di morti che grida vendetta. Non sappiamo quali siano i debiti. A tale proposito, vi è stato un dibattito con i colleghi sulla necessità o meno di stabilizzare ed evitare i pagamenti per ingiunzione. Infatti, in quel sistema, in quel «pezzo» d'Italia, tutto avviene per ingiunzione di pagamento: alcuni conti sono pagati due, tre, quattro volte, sono pagati in modo impossibile. Vi sono acquisti con riferimento ai quali non vi sono né una bolla di accompagnamento, né verifiche, né delibere di spesa. Pertanto, oggi, vi sono margini enormi per evitare ai cittadini di pagare il debito e il conto salato di una crisi che arriva.
In questa manovra di 6 miliardi di euro, sono state realizzate alcune cose. Non vi è stata, come è stato paventato da alcuni colleghi, una manovra sul gioco: sicuramente, vi è stato un intervento per la messa in sicurezza e per il controllo per evitare l'evasione; non è stata assolutamente messa la parola «fine» sulla maximulta, con riferimento alla quale la Lega auspica una soluzione favorevole nei confronti dei contribuenti.
Non possiamo avere figli e figliastri: non può esserci, da una parte, l'artigiano del capannone tartassato dalle Fiamme gialle o controllato di giorno e di notte, e dall'altra parte, i concessionari, che, magari, hanno sede nelle isole Cayman, ai quali si applica, in qualche modo, un regime di favore. A tale proposito, forse, andrebbe controllata anche la commissione che è stata indicata per questo, in quanto, sicuramente, qualche conflitto di competenza o di interesse esiste.
Si tratta di una manovra che ha salvaguardato il collante sociale, cioè gli ammortizzatori sociali: sono stati stanziati soldi per gli ammortizzatori sociali e per la CIG, che - lo ricordiamo - è stata con orgoglio una delle attivazioni principali del Ministro Maroni, quando era Ministro del lavoro.
È una manovra che noi consegniamo, pensando che questo Governo abbia messo un'anima. Questo Governo ha messo un'anima. Ma l'anima, come dice Márquez, si trova nelle cose solo quando durano. Intendiamo mettere l'anima in un provvedimento economico, mettere l'anima in un'Italia che sta cambiando, in un'Italia che taglia i rami secchi, ma mantiene la centralità di alcuni valori. Un'Italia che cambia, è vero. Abbiamo parlato di famiglia, certo. C'è stato in questi anni un calo generazionale enorme: dagli anni Settanta al 2010 noi abbiamo perso qualcosa come sette milioni di giovani, e abbiamo guadagnato cinque milioni di extracomunitari. Non esiste il vuoto. In qualche modo dobbiamo investire sui figli, dobbiamo investire su un cambio culturale.
Ma non lo si fa soltanto con i soldi. Perché continuare a dire che mancano i soldi? Sì, certo, occorre investire sugli asili, ma occorre dare certezze e valori. E il futuro che viene adombrato dal centrosinistra non è sicuramente roseo nei confronti dei figli: quando si invocano tanti diritti, quando si invocano famiglie diverse e si cerca invece di mettere nell'ombra quello che è un protagonista fondamentale come la famiglia, che noi pensiamo, in coerenza con l'articolo 29 della Costituzione, fatta da un uomo e una donna, significa, in qualche modo, umiliare quello che è un processo di crescita e di sviluppo del Paese.
Signor Presidente, non sappiamo se questa sarà la penultima o l'ultima manovra finanziaria promossa da questa maggioranza. Certo, ci avevano chiesto di dare un segnale al Paese anche in termini Pag. 80di spesa, e l'intervento c'è stato: nei confronti delle università; con la detassazione delle spese per la ricerca; si era detto che non avremmo avuto il coraggio di fare in tempi brevi una manovra di questo tipo, ma l'abbiamo fatta e abbiamo consegnato al Paese una manovra seria. Non sono soldi di carta, non sono inventati. Sono soldi che possono andare per la tutela del lavoro, che è la prima caratteristica e il primo segnale di dignità dei nostri cittadini, e per il mantenimento dello stato sociale. Certo, abbiamo bisogno di perfezionarla. La manovra del «55 per cento» per gli incentivi per le ristrutturazioni energetiche è sicuramente alla nostra attenzione.
Ma, la Lega Nord Padania consegna anche un patrimonio di serietà e di dedizione. Noi pensiamo che ci siano grandi cose anche nelle piccole cose, e che lo svolgere il proprio dovere quotidianamente all'interno delle Commissioni, all'interno del Paese, all'interno del lavoro quotidiano, sia stato quello che con molta umiltà la Lega Nord Padania ha fatto in questi mesi insieme alla maggioranza.
Noi, signor Presidente, avremmo forse dovuto mantenere la posizione. Sant'Agostino diceva che la pace di tutte le cose è tranquillità dell'ordine di tutte le cose, e che l'ordine è la posizione che viene data agli esseri uguali e diseguali e che spetta loro.
Noi pensavamo e pensiamo che la nostra posizione sia stata quella di costruire un'Italia diversa, di rendere la pubblica amministrazione meno costosa, ma più al servizio del cittadino, di poter investire di più sulla piccola e sulla media impresa. Non pensiamo che arrivino grandi esempi da parte di Montezemolo, che, se non è stato neanche capace di organizzare un rientro al pit stop della sua Ferrari, la vedo un po' dura che possa migliorare questo Paese. Questo Paese non ha bisogno di fenomeni, di giganti o quant'altro, ma di eroi quotidiani, semplici come la Lega Nord Padania e come questo Paese sa esprimere a centinaia di migliaia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Viceministro Vegas, ci troviamo ad approvare questo disegno di legge di stabilità in un momento di particolare tensione sui mercati finanziari europei, un momento in cui il debito sovrano di alcuni Paesi europei è sotto la minaccia della speculazione internazionale.
Stiamo parlando, ovviamente, di quello che sta accadendo in queste ore ai titoli pubblici, soprattutto al debito pubblico dell'Irlanda, del Portogallo, dove vediamo che il differenziale tra i titoli di Stato dell'Irlanda e gli omologhi bund tedeschi è arrivato anche all'8 per cento.
Ricordo quando qualcuno diceva che noi facevamo parte dei cosiddetti Paesi PIGS, e la «i» dei PIGS era l'Italia: ebbene, dai fatti di questi giorni - fortunatamente per noi e sfortunatamente per l'Irlanda - possiamo dire, ma l'avevamo già capito nei mesi scorsi, che l'Italia ha saputo tenere la barra dritta, che ha potuto e ha saputo non entrare in questa speculazione internazionale; e lo possiamo dire grazie anche alla mano ferma che hanno avuto questo Governo e il Ministro Tremonti sul controllo dei conti pubblici.
Quello che sta avvenendo oggi in Irlanda dovrebbe far riflettere coloro che, fino a poco tempo fa, ci dicevano che l'Irlanda era un modello, che noi dovevamo fare come l'Irlanda e seguire le politiche economiche irlandesi, che l'Italia avrebbe dovuto assimilare le proprie scelte economiche a quelle della Irlanda. Per fortuna non abbiamo fatto così e oggi - pur non essendo l'Italia in una situazione oggettivamente facile, perché il debito pubblico italiano c'è e rimane - siamo un Paese che può dire di avere una certa stabilità finanziaria.
Con riferimento a quello che sta accadendo in questi giorni, ai rapporti che l'Europa ha con gli altri Paesi, siamo di fronte ad una crisi europea, anche per come è stata costruita questa Europa. Noi diciamo ciò - per quello che riguarda Pag. 81l'Europa, ma anche l'Italia - sotto due aspetti: se abbiamo questa crisi economica, essa è sicuramente dovuta a certe scelte, a questioni esterne, ma, a nostro modo di vedere, anche a questioni interne.
L'Europa si è data, al suo interno, tutta una serie di regole: ambientali, sanitarie, del mondo del lavoro, sindacali, e così via; le nostre piccole e medie imprese e il nostro settore manifatturiero sono obbligati a recepire direttive europee che stanno burocratizzando tutto il sistema delle piccole e medie imprese.
Un ultimo esempio è il SISTRI: non so se qualcuno sa cosa sia, andiamolo a chiedere alla parrucchiera della Val Brembana, che è costretta a seguire un meccanismo burocratico particolare per decidere dove mettere la bomboletta della lacca. Oggi ci sono queste realtà artigianali e produttive che sono sottoposte al SISTRI, che arriva dall'Europa. Su questo fronte c'era anche una contrarietà trasversale; tuttavia noi siamo costretti, di volta in volta, a prorogarne l'entrata in vigore perché ci rendiamo conto che è una pazzia che stata introdotta, purtroppo, dall'Europa.
Dunque, si prevedono queste regole; poi l'Europa decide di farsi invadere dalle merci e da prodotti di Paesi che, queste regole, non sanno nemmeno cosa siano. Così, oltre a creare un dumping - in questo caso, ambientale (parliamo del SISTRI, tanto per dire) - dall'altra parte introduce anche una concorrenza sleale che, negli ultimi dieci, quindici anni ha messo fortemente in difficoltà le nostre imprese.
E noi, che con molta forza già quindici anni fa parlavamo di quote, di dazi e quant'altro, oggi ci troviamo a ripetere le stesse cose, però credendo di aver dimostrato e di aver avuto anche alcune ragioni, perché poi altri Paesi, esterni all'Europa, introducono queste quote e questi dazi.
Altro limite dell'Europa, e si è visto, a nostro modo di vedere, è che quest'ultima ha puntato fortemente sulla lotta all'inflazione, sull'euro forte perché costruita all'interno di una ideologia liberista, mercatista e tutto quello che se ne è detto. Oggi vediamo che a noi vengono imposte queste regole di lotta all'inflazione perché dobbiamo mantenere sotto controllo l'inflazione e dall'altra parte vediamo che in America decidono di stampare moneta e a loro non importa nulla di tenere sotto controllo l'inflazione, perché devono indebolire il dollaro per essere forti e competitivi sui mercati; la Cina dice ogni anno di voler svalutare lo yuan ma poi non lo fa mai e noi invece ci ritroviamo con l'euro forte, con le nostre imprese a boccheggiare sui mercati internazionali a causa delle regole imposte dall'Europa che ti dicono che devi fare il SISTRI e a competere in giro per il mondo con questo sistema.
Questo è il sistema in cui si trova l'Italia in questo momento, con la sua forza rappresentata dalle piccole e medie imprese e il sistema manifatturiero. Dobbiamo ricordare che qualcuno sosteneva che le piccole e medie imprese non servissero a niente; dicevano che era necessario unirle, fonderle: fino a qualche anno fa si sosteneva che il sistema manifatturiero ormai si dovesse fare tutto in Cina, in India e che qui si dovesse puntare sulla ricerca e sullo sviluppo, non so se ricordate (due o tre anni fa lo si diceva): la ricerca, lo sviluppo sono il futuro del nostro Paese. Per fortuna, le nostre piccole e medie imprese, i nostri manifatturieri non hanno ascoltato questi ideologi di qualche anno fa e hanno continuato a produrre, pur nella difficoltà, e se oggi riusciremo ad uscire dalla crisi economica è grazie a loro che hanno tenuto botta, nonostante qualcuno li volesse cancellare.
Veniamo ora all'Italia, al suo sistema economico, alle sue caratteristiche macroeconomiche per capire quali sono le difficoltà all'interno di questo sistema in cui si muove il Governo. Abbiamo visto le questioni extraitaliane, vediamo adesso le questioni italiane. L'Italia ha un debito pubblico pesantissimo, se non sbaglio è il terzo debito pubblico al mondo, ma non siamo, come dice spesso il Ministro Tremonti, la terza economia mondiale. L'Italia ha il proprio fulcro produttivo nelle piccole e medie imprese e nel manifatturiero, Pag. 82che sono quelle che sentono maggiormente la concorrenza esterna, la concorrenza sleale, la concorrenza di un euro troppo forte. L'Italia non è purtroppo ancora un Paese federale, c'è una parte di Paese che produce di più, una parte di Paese che produce di meno, il collega Polledri prima ha presentato alcuni numeri; l'Italia ha questo debito pubblico e ogni anno paga circa 70 - 80 miliardi di euro di interessi passivi sul debito pubblico: circa il 5 per cento del prodotto interno lordo. Noi qui, in queste ore, stiamo diventando matti per trovare un miliardo, un miliardo e mezzo per la detrazione del 55 per cento, per l'università, per gli ammortizzatori sociali quando abbiamo un debito pubblico che ci costa 70-80 miliardi di euro all'anno. Capiamo quindi qual è la gravità della situazione finanziaria e economica in cui ci muoviamo. Noi come Lega Nord pur avendo una certa avversione, lo ripetiamo, per l'Europa, siamo purtroppo vittime anche delle decisioni delle agenzie di rating in questa situazione del debito pubblico, per cui o teniamo fermo il controllo dei conti pubblici rispetto a quello che l'Europa vuole, oppure, domani mattina, la prima agenzia di rating - che non si sa bene perché siano diventate così sovrane, essendo oltretutto dei soggetti privati, però hanno questa sovranità - decide che l'Italia deve essere declassata, e questo ci costerà uno, due o tre, non sappiamo quanti, miliardi di euro in più di interessi sul debito pubblico. Per questo il Governo ha fatto e sta facendo bene a tenere la barra ferma sul controllo dei conti pubblici; perché se non teniamo fede a quello che purtroppo ci viene imposto dall'esterno, oggi magari potremmo diminuire di 300 milioni qualche piccole imposta, qualche piccola questione che riguarda le tasse, però facendo questo, verremmo declassati e domani mattina pagheremmo un miliardo, due miliardi, tre miliardi perché il nostro debito pubblico costerebbe di più.
Questo è il motivo per cui anche noi della Lega, considerato che la pressione fiscale è elevata e che è presente una situazione di difficoltà delle nostre imprese, diciamo che per fortuna siamo in grado di tenere il rispetto dei conti pubblici. Altrimenti accadrebbe come in altri Paesi, ad esempio l'Irlanda e lo diciamo senza polemica. Se avessimo fatto certe scelte che alcuni mesi fa, anche dall'interno della maggioranza, si richiedevano su alcuni temi economici, probabilmente oggi la situazione non sarebbe quella che è, ma sarebbe magari più grave perché sarebbe stata letta come un allentamento dei conti pubblici.
Se facciamo una piccola analisi di quello che ha fatto e sta facendo questo Governo, registriamo, nel 2009, un calo del PIL del 5 per cento. Tuttavia, questo Governo non ha aumentato le tasse - e questo è un dato di fatto - anche se qualcuno dice che la pressione fiscale è aumentata. Ma sappiamo tutti che la pressione fiscale è un rapporto, e quando il valore del prodotto interno lordo diminuisce, è automatico che la pressione fiscale aumenti; è una questione matematica, e, quindi, non ci dobbiamo basare su questo elemento. Quando siamo noi a governare si registra un calo del 5 per cento del PIL; tra il 2006 e 2007, invece, il prodotto interno lordo, quando governava il centrosinistra, era più elevato: avevamo valori del 2 per cento nel 2006 e dell'1,5 per cento nel 2007.

ROLANDO NANNICINI. Eravamo bravi!

MAURIZIO FUGATTI. Tuttavia, in quella fase furono fatti interventi che, oggettivamente, lo dicono i numeri, incisero sul numero di tasse e sulla pressione fiscale.
Nel 2009 l'Italia registra un calo del 5 per cento del PIL, la Germania del 4,7 per cento (la Germania è la locomotiva dell'Europa, lo sappiamo), il Regno Unito del 4,9 per cento, e la media europea è del 4,1 per cento. Noi, con tutta quella situazione di negatività che abbiamo spiegato prima, che riguarda l'Italia e che viene dagli anni passati, crediamo che, comunque, abbiamo tenuto. La disoccupazione è del 7,8 per cento in Italia (dati 2009), del 7,5 per Pag. 83cento in Germania, del 9,5 per cento in Francia e nell'area euro del 9,4 per cento. Qui subentra, anche a nostro giudizio, una visione interessante del modo in cui sono stati introdotti e considerati gli ammortizzatori da parte di questo Governo: chiamiamola pure una visione laburista, che magari qualcuno non si sarebbe aspettato. Il rapporto deficit-PIL in Italia nel 2009 si è attestato al 5,3 per cento, nell'area euro al 6,3 per cento, in Francia al 7,5 per cento e non vi è dubbio che le Germania abbia, ed ha, fatto meglio di noi, ma questi dati ci dicono comunque che il Paese ha tenuto nella crisi economica.
Venendo al provvedimento che stiamo per approvare: vi sono numerosi interventi in tante materie necessarie, e che sono ritenuti necessari da più parti. Sono argomenti che derivano, durante il lavoro in Commissione, dagli spunti costruttivi e importanti che arrivavano dall'opposizione: 800 milioni di euro per l'università (più 500 milioni di euro nel 2012), il rifinanziamento delle missioni internazionali di pace (750 milioni di euro non sono noccioline), un miliardo di euro per gli ammortizzatori sociali, il sostegno all'agricoltura (lo ha detto anche prima una collega dell'opposizione che in questo provvedimento vi sono importanti sostegni all'agricoltura), detassazione del salario di produttività (anche questa è una questione importante) e, poi, un intervento richiesto dalla Lega che prevede lo stanziamento di 60 milioni di euro per il pagamento degli interessi passivi agli istituti di credito che intervengono per sbloccare i debiti che le amministrazioni hanno nei confronti dei fornitori.
Se questa norma dovesse andare in porto in maniera efficiente potrebbe muovere un volano economico moltiplicatore importante; noi auspichiamo che questa possa essere la sua funzione. Anche noi, come Lega, auspichiamo che sull'eco-bonus del 55 per cento vi sia la possibilità di un intervento, e su questo punto sottolineiamo un'altra questione riguardante il cosiddetto 10 per cento: nel momento in cui il cliente paga con bonifico bancario l'artigiano di turno, sia l'idraulico che il falegname, sappiamo che è stato introdotto un anticipo di imposta del 10 per cento applicato dalla banca.
Non si tratta di una tassa in più, ma di un anticipo di imposta nel momento in cui il cliente paga il fornitore. A nostro modo di vedere, come Lega, rileviamo che questo 10 per cento sta mettendo in difficoltà i movimenti e la gestione della cassa, in questo caso, degli artigiani. Vogliamo dire che quel 10 per cento costituiva la fluidità di cassa necessaria per movimentare e per avere denaro liquido degli artigiani.
Poiché è stata introdotta questa misura non sotto il profilo di una maggiore tassa, ma per la lotta all'evasione, auspichiamo che prima o poi - magari già con questo provvedimento o il prima possibile - il Governo intervenga, riducendo al 5 per cento questo anticipo di imposta, o magari abolendolo, poiché stiamo notando che sta creando non poche problematiche.
Siamo intervenuti in Commissione anche su alcune questioni che riguardano le regioni a statuto speciale. Il primo testo del Governo sulla ripartizione dei 500 milioni di euro che sono stati chiesti dal decreto-legge n. 78 del 2010 per le regioni a statuto speciale non proveniva dall'accordo preso tra le regioni a statuto speciale e le province autonome, o meglio queste regioni non avevano comunicato o avevano comunicato tardi al Governo le modalità di divisione di questi 500 milioni tra loro, su come venivano pagati. Il Governo è intervenuto poi modificando la tabella e recependo le istanze delle regioni a statuto speciale, e questo lo vediamo positivamente.
Auspichiamo che si possa ancora intervenire sulla questione del Patto di stabilità perché, a nostro modo di vedere, è stata introdotta una norma che è quasi ridondante. Viene introdotto, per le province autonome di Trento e di Bolzano, un doppio Patto di stabilità. C'è già un Patto di stabilità, ossia quello applicato dalla provincia ai comuni e con questa legge si applicherebbe un Patto di stabilità direttamente ai comuni, sicché vi sarebbe un doppio Patto di stabilità che, a nostro modo di vedere, probabilmente non è Pag. 84neanche applicabile. Pertanto, se vi fosse un ripensamento del Governo, sicuramente sarebbe bene accetto.
Potevamo fare di più. Si può sempre fare di più, ma crediamo che - se la legislatura andrà o non andrà avanti non lo sappiamo - finora questo Governo sul tema dei conti pubblici, sulla tenuta sociale del Paese e sulla barra dritta rispetto a quanto ci viene imposto, purtroppo, dall'Europa, ha saputo far bene.
Le tante critiche che abbiamo sentito sulle manovre economiche e finanziarie, se poi sono accompagnate dall'ipotesi che il Ministro Tremonti possa essere visto addirittura come un Premier appoggiato da altri, vuol dire che probabilmente questo Governo sui conti economici così male non ha fatto (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, Marco Pannella ricorda sempre come il dissesto idrogeologico sia il frutto di un dissesto ideologico e quanto vediamo accadere con sempre maggiore frequenza dal Veneto alla Sicilia fotografa perfettamente le conseguenze di un dissesto che fa ormai letteralmente franare il territorio, perché è stato fatto franare lo Stato di diritto nel nostro Paese.
Lo dico perché il 26 gennaio scorso quest'Aula, all'unanimità, ha approvato una mozione per il territorio che, al primo punto, impegnava il Governo a presentare un piano nazionale straordinario per il dissesto idrogeologico, dotandolo delle necessarie risorse finanziarie, ma l'assenza di democrazia è tale per cui nessuno menziona e nessuno neanche si indigna del fatto che impegni, anche formalmente assunti, non vengano ottemperati in primis dalle istituzioni.
Parimenti, nessuna parola è stata pronunciata sul fatto che Tremonti non ha ancora assegnato quel miliardo di euro previsto per il dissesto idrogeologico nella legge finanziaria per il 2010 approvata nel dicembre 2009 che, come ha avuto modo di spiegarci il Ministro dell'ambiente in una recente audizione in Commissione, non è iscritto nell'apposito capitolo di bilancio del suo Ministero.
Così la strage di legalità si traduce in strage di gente che muore tra frane e alluvioni, mentre ci si ritrova a discutere di questa legge di stabilità per il 2011 che nulla - lo ripeto - prevede in termini di prevenzione riguardo al problema del dissesto idrogeologico. Si tratta di un comportamento gravissimo che fa il paio con la riduzione ad un terzo - sottolineo: non di un terzo, ma ad un terzo - delle risorse per l'ambiente che sono passate da 2,5 miliardi previsti dal Governo Prodi agli attuali 700 milioni che la stessa Prestigiacomo dice essere sufficienti appena a pagare gli stipendi.

PRESIDENTE. Onorevole Zamparutti, la prego di concludere.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Non è che le risorse manchino, perché si continuano a spendere in emergenza tra i due e tre miliardi di euro l'anno. Quindi, non investire in prevenzione è una scelta politica ben precisa.
Concludo, dicendo che dispiace che sia proprio il Ministro Tremonti a perseguire questa politica se penso ai suoi tre slogan contenuti nel libro bianco, quando parlava di passare dal complesso al semplice, dal centro alla periferia, ma parlava anche dell'importanza di una tassazione che passasse dalle persone alle cose in riferimento alle imposte ambientali, che potrebbero rappresentare una strategia per spostare una parte non marginale del gettito dalle imposte che colpiscono il lavoro a quelle che riguardano il prelievo di risorse naturali, in questo modo incentivando e recuperando risorse per comportamenti virtuosi da un punto di vista ambientale.

PRESIDENTE. Onorevole Zamparutti, dovrebbe concludere.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Il fatto è che ormai il dissesto è tale per cui non tengono non soltanto più gli argini fisici, Pag. 85ma neppure gli argini intellettuali come testimonia il comportamento dello stesso Ministro Tremonti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, la discussione sulla legge di stabilità avviene in quest'Aula mentre si è avviata sostanzialmente la crisi di Governo. Questa discussione avviene ugualmente perché abbiamo convenuto che occorre prima approvare la legge di stabilità e poi affrontare istituzionalmente la nuova situazione politica determinatasi.
Vi è un nesso forte tra questi due momenti, nel senso che anche l'evolversi delle vicende sulla legge di stabilità è uno specchio della crisi della maggioranza e dell'inadeguatezza di questo Governo. In base alla nuova legge di contabilità, riducendosi i tempi tra il documento programmatico (la Decisione di finanza pubblica) e la nuova legge finanziaria (oggi chiamata legge di stabilità) vi sarebbe dovuta essere piena sintonia tra i due momenti. Tuttavia, non è stato così. Nella Decisione di finanza pubblica si diceva da una parte che ciò che doveva essere deciso era già stato deciso con la manovra estiva e dall'altra che cambiava lo scenario con il nuovo semestre europeo.
Già a questo proposito vi era una contraddizione: se entro il 12 novembre il Governo doveva presentare alla Commissione europea una proposta relativa alla stabilità e un'altra relativa alle riforme, quale occasione migliore per definire gli indirizzi di questi documenti della Decisione di finanza pubblica da discutere in Parlamento nella prima metà di ottobre? Invece, nulla: solo il 5 novembre il Governo licenzia le proposte, che non vengono discusse in quest'Aula, ma esclusivamente in V Commissione (Bilancio) e nelle altre Commissioni. Una discussione strozzata, mentre si è immersi nella legge di stabilità, su un documento del Governo relativo al programma nazionale di riforme sostanzialmente rinunciatario.
Stiamo parlando di uno scenario da qui al 2020. Ci giochiamo il futuro su questioni essenziali come il tasso di occupazione, la spesa per la ricerca sul PIL, l'istruzione, gli abbandoni scolastici, l'efficienza energetica, le energie rinnovabili, le emissioni di gas serra, le persone a rischio di povertà. Si tratta di questioni dove c'è un gap negativo tra la condizione dell'Italia e quella media dell'Unione europea.
In dieci anni su tutti questi aspetti il Governo prospetta miglioramenti per l'Italia, ma in Europa c'è una valutazione di evoluzione per cui su nessuno di questi temi il Governo prevede una riduzione della distanza tra Italia ed Europa. La stessa risoluzione di maggioranza ha dovuto chiedere al Governo di fare di più a partire dalla ricerca.
È un Governo rinunciatario sul fronte del futuro del Paese, non in grado di individuare sfide elevate alle quali chiamare tutto il Paese, ogni soggetto sociale, ogni persona, un Governo inadeguato anche sul fronte del presente.
A metà ottobre, con la risoluzione di maggioranza sulla Decisione di finanza pubblica, si continuava a dire che quanto si doveva decidere, era già stato deciso con la manovra estiva. Il disegno di legge di stabilità del Governo, il 15 ottobre, ne era la diretta conseguenza, con una legge di stabilità sostanzialmente tabellare e senza nessuna proposta innovativa né sul fisco, né sul Patto di stabilità interno, per citare due argomenti che sono espressamente previsti dalla nuova legge di contabilità come contenuto proprio della legge di stabilità, che dovrebbero essere affrontati e che il Governo invece aveva messo da parte.
Non sono passati neanche venti giorni che, il 4 novembre, il Governo ha dovuto cambiare completamente registro: dopo essere stato sconfitto su un emendamento soppressivo di uno dei pochi commi dell'unico articolo del disegno di legge e, nella prospettiva di andare sotto anche su altri emendamenti, il Ministro Tremonti ha chiesto di fermare gli orologi per inserire nella legge di stabilità i contenuti di un provvedimento per lo sviluppo che il Governo Pag. 86intendeva approvare successivamente con un decreto-legge. Si è trattato di un fatto di per sé positivo in quanto si è evitata una finzione per la quale si sarebbe dovuta approvare una legge di stabilità finta, mentre parallelamente si definiva un provvedimento da 5-7 miliardi.
Si è anche svelata un'altra finzione: il contenuto del maxiemendamento del Governo non concerne politiche innovative per lo sviluppo, ma è semplicemente il reperimento di risorse con entrate straordinarie - come quella per la gara sulle frequenze liberate dal digitale terrestre - e quindi entrate una tantum per far fronte a esigenze ordinarie già presenti e non coperte con la legge di stabilità. Siamo quasi alla ripetizione di quanto avvenuto lo scorso anno, cambia soltanto che avviene in prima e non in seconda lettura e - particolare non da poco - avviene per una crisi della maggioranza.
Basta guardare i contenuti del maxiemendamento: non si può dire che i soldi per il funzionamento ordinario delle università costituiscano nuove esigenze o politiche per lo sviluppo, o che sia tale un minimo finanziamento (solo per il 2012 e il 2013) del trasporto pubblico locale quando non si accetta - e non penso che il Governo lo accetterà - un emendamento del Partito Democratico per finanziare il 2011; si taglierà, quindi, drasticamente questo servizio. Né sono nuovi i 750 milioni di euro per missioni internazionali, che continuamente si ripetono da anni, o le proroghe degli ammortizzatori sociali, la detassazione del salario di produttività, le agevolazioni in agricoltura - che verrebbero a non essere più coperti senza il maxiemendamento - né il completamento dei trasferimenti per l'abolizione dell'ICI sulla prima casa relativamente al 2008, o la proroga dell'esenzione dei ticket per cinque mesi.
Insomma, balza agli occhi che il maxiemendamento - così come il decreto-legge a cui si pensava - non è una manovra per lo sviluppo, ma una manovra tappabuchi con distorsioni - come il minor finanziamento per il 5 per mille ed i maggiori finanziamenti per le scuole non statali - che non tappa neanche tutti i buchi. Ne è rimasto almeno uno grande come una casa: non c'è la proroga delle detrazioni fiscali del 55 per cento per gli interventi di efficienza energetica degli edifici. Si tratta di una contraddizione enorme: Il Governo stesso, nel Documento di programma nazionale di riforma che presenta adesso in Europa, afferma che saranno mantenute le misure previste dal Piano di azione dell'efficienza energetica del 2007 adottato dal Governo di centrosinistra - e, da questo punto di vista, si dice che si è fatto bene, visto che lo si ribadisce nel Documento di questo Governo - e, in particolare, si fa riferimento alla misura del 55 per cento, sempre introdotta dal Governo Prodi, perché producono - lo dice il Governo - vantaggi, non solo in termini di risparmio energetico, ma anche in termini di emersione di lavoro (quindi vantaggi occupazionali) e di maggiori entrate tributarie (quindi vantaggi economici) con conseguenti benefici per le casse dello Stato e per la collettività.
Aggiungo: è anche l'unico modo per far ripartire un settore in crisi, come l'edilizia, che non riparte con nuove case ma intervenendo nella ristrutturazione dell'esistente a partire dall'efficienza energetica.
E mentre afferma questo, contemporaneamente il Governo non finanzia la proroga. Abbiamo ottenuto dal Ministro Ronchi e dal Viceministro Vegas, in Commissione bilancio, l'impegno formale a inserirlo nel decreto milleproroghe, ma siccome questo Governo non può assumere nessun impegno per il futuro, occorre di fatto inserire la questione nella legge di stabilità.
Speriamo che la pausa di riflessione che si è presa il Governo sia fruttuosa. Fateci i conti, perché questo è uno dei casi in cui costa più non fare che fare, ma questo è sempre più il Governo del non si può fare.
Oltre ad essere una manovra tappabuchi, è anche una manovra piena di discrezionalità, che rinvia a decisioni discrezionali dei ministri. Ce ne sono tante, ne cito una. Per il credito d'imposta alle imprese per la ricerca si sa che vengono stanziati Pag. 87100 milioni, finalizzati ad attività di ricerca e sviluppo affidate dalle imprese a università o enti pubblici di ricerca. Non si conosce la percentuale rapportata ai costi per cui si potrà avere il beneficio, non si conoscono le tipologie di intervento che possono godere delle agevolazioni, né i soggetti beneficiari meritevoli di agevolazione. Non è poco quello che non si sa. Tutto rinviato a decreti ministeriali. È quasi peggio del clic day.
Quali certezze diamo alle imprese per i loro investimenti? Che sia una manovra tappabuchi e non una manovra per lo sviluppo, è dimostrato dal fatto che non c'è nulla sul fisco, nulla di nuovo. Come ho già fatto rilevare sul rinnovo di provvedimenti fiscali fin qui in essere, qualcosa manca, come il 55 per cento, o non è immediatamente agibile, come per la ricerca, o ha scarsità di risorse.
Nulla di nuovo c'è per le famiglie, per i lavoratori e pensionati con redditi medio bassi, e per le imprese non si tocca nemmeno il costo del lavoro su cui si calcola l'IRAP. Non rispondetemi che in futuro le regioni potranno ridurla fino ad azzerarla, perché sappiamo tutti benissimo che con i tagli fatti ai trasferimenti alle regioni tutto ciò è pura fantasia e propaganda.
Come si fa a fare politiche di sviluppo, di rilancio della domanda interna o per favorire la competitività delle imprese, senza nuove politiche fiscali? Non con la filosofia che ci racconta sempre il Ministro Tremonti, non basta la filosofia. Occorrono politiche fiscali vere, che spostino l'onere dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie.
Ci dite che non avete aumentato le tasse, ma le tariffe per i raccordi autostradali che avete introdotto e l'aumento delle tariffe per il trasporto pubblico locale cosa sono? Non sono soldi dalle tasche dei cittadini? Ho fatto solo un esempio, se ne potrebbero fare altri.
Nulla c'è di innovativo sulle politiche industriali. La politica industriale continua ad essere la grande assente nella politica economica del Governo. Andando avanti così non si uscirà dalla crisi economica, ci metteremo molto più tempo degli altri Paesi europei per la ripresa della crescita, dopo aver avuto una riduzione del PIL doppia degli altri, ed anche l'occupazione non riprenderà.
Il debito pubblico in rapporto al PIL continuerà a crescere invece di iniziare la fase di discesa. È quello che sta succedendo, è davanti agli occhi di tutti. Altro che miglior tenuta degli altri Paesi!
Colleghi della Lega e del PdL, ci siete rimasti solo voi a dirlo. Tutte le associazioni delle imprese e dei lavoratori denunciano le difficoltà delle imprese e delle famiglie. Il Governo ha qui perso un'altra occasione, con il maxiemendamento riscrive il Patto di stabilità interno. Questo è importante, alcune nuove regole vanno apprezzate, come la base di riferimento triennale non più riferita al solo 2007.
Il Governo e il relatore hanno accolto anche alcuni emendamenti da noi presentati, di questo li ringrazio, ma su questioni minime e sostanzialmente a costo zero. Il nuovo Patto di stabilità interno scontenta sostanzialmente tutti, per un motivo di fondo, persino banale: dopo i tagli colossali a regioni ed enti locali della manovra estiva, che si aggiungono agli inasprimenti per il 2011 del Patto di stabilità interno, come definito nella manovra dell'estate 2008, non basta riscrivere le regole per cambiare le cose e risolvere problemi.
Se la Corte dei conti fa rilevare che il Patto 2011, più la riduzione dei trasferimenti, comporta correzioni di poco meno di 4 miliardi per il bilancio dei comuni nel 2011, non risolviamo i problemi mettendo a disposizione meno di mezzo miliardo.
È del tutto evidente che siamo molto lontani dalla soluzione. Per di più, anche le compensazioni di 480 milioni di euro sono incerte, nel senso che da questa cifra ne va detratta una di 14 milioni di euro per Parma ed un'altra indefinita per l'Expo di Milano. Abbiamo presentato emendamenti sia per far uscire quest'ultima voce dai 480 milioni di euro, sia per porvi un tetto massimo e per dare certezze ai comuni e province sulla distribuzione della riduzione degli obiettivi, ma Governo e maggioranza sono rimasti sordi. Pag. 88
Pertanto, da questa legge di stabilità regioni ed enti locali traggono ben pochi e incerti benefici rispetto ai disastri della manovra estiva che continuano a produrre gran parte dei loro effetti, mettendo a rischio elevato il welfare, i servizi e frenando gli investimenti locali. Tra l'altro, con questa legge si sono posti limiti più restrittivi per l'assunzione dei mutui, freno agli investimenti locali, più un taglio a quelli centrali, che provoca un grave ritardo per l'adeguamento delle nostre infrastrutture che, come è stato calcolato, determina un costo di 331 miliardi di euro, da qui al 2024, sul nostro sistema economico e contribuisce a rallentare la ripresa. Non si risolve il problema con il federalismo fiscale perché i decreti attuativi confermano il livello dei trasferimenti così come definiti dopo i tagli estivi.
Dovremo archiviare presto il capitolo della legge di stabilità, per non far piombare il Paese nell'esercizio provvisorio. Tale legge è, però, lo specchio di un Governo che non ce la fa a governare e a fare uscire il Paese dalla crisi...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MAINO MARCHI. ...e di una maggioranza che non riesce a dire niente di più se non che la colpa è di chi c'era prima, o vent'anni fa, quando la destra ha governato ormai otto degli ultimi dieci anni. Ricordate sempre il costo del debito pubblico, ma dal 1996 ad oggi, quando ha governato il centrosinistra il debito è sempre calato, quando hanno governato le destre è sempre cresciuto. Quando vi assumerete le vostre responsabilità?
L'onorevole Polledri della Lega ricorda sempre la spesa degli enti locali del sud, ma, caro onorevole Polledri, il regalo di mezzo miliardo circa a Catania e Palermo per aiutarli a far fronte ai rischi di fallimento chi glielo ha fatto? Questo Governo con il voto della Lega!
La Lega è sempre lì a sostenere tutto quello che fa il Governo, anche quando è il contrario di ciò che dice nella sua propaganda, a partire da un Patto di stabilità e da tagli che mettono in ginocchio regioni, province e comuni.
Allora, prima questo Governo se ne va e meglio è per il Paese; non ce la fate più, prendetene atto e apriamo una fase nuova (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3778-A e A.C. 3779-A)

PRESIDENTE. Avverto che gli onorevoli Baretta e Cambursano, relatori di minoranza sul disegno di legge di stabilità, hanno rinunciato ad intervenire in sede di replica.
Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza sul disegno di legge di bilancio, onorevole Calvisi, al quale ricordo che ha tre minuti di tempo a sua disposizione.

GIULIO CALVISI, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3779-A. Signor Presidente, ho consegnato il testo integrale della relazione di minoranza, perché sia pubblicato in calce al resoconto, ma mi consenta solo di elencare tre titoli.
Il primo: dopo questa discussione possiamo dire che è sostanzialmente fallita la riforma della sessione di bilancio, prima avevamo una finanziaria con molti emendamenti, ora abbiamo molte finanziarie senza emendamenti. Avremo, se l'attività di questo Governo continuerà, altri provvedimenti omnibus ed eterogenei fra loro.
Secondo titolo: il bilancio che presentate è la proiezione delle scelte fatte con i decreti-legge n. 112 del 2008 e n. 78 del 2010. Ve lo abbiamo detto, avete sovrastimato le entrate, in particolare quelle derivanti dall'IVA che invece non sta crescendo, e avete sottostimato le spese. Attenzione, avete sottovalutato anche la portata politica della vostra scelta di riduzione delle spese, o almeno di questo tipo di scelta; non avete ridotto gli sprechi, l'assistenzialismo e i settori improduttivi di questo Paese, avete ridotto le politiche pubbliche e i servizi ai cittadini, avete dato Pag. 89una forte contrazione al welfare locale e nazionale, avete messo in discussione i diritti di cittadinanza dei cittadini più deboli, avete ridotto le politiche per la scuola e l'università, per l'ambiente e l'assetto idrogeologico di questo Paese, avete contratto le politiche per la giustizia e per la sicurezza, e poi avete operato un'enorme riduzione della spesa in conto capitale e per investimenti.
Avete messo i sindaci ed i presidenti di regione nella condizione di dover ridurre i servizi essenziali per i loro cittadini, ma anche nella difficoltà estrema di non poter chiudere i loro bilanci per il 2011.
Tutto ciò corrisponde ad una scelta che avete compiuto. Politicamente la descriverei così: voi per il 2011 vi apprestate a far pagare un conto salato agli italiani; sono sicuro che gli italiani si stanno preparando a far pagare un conto molto salato a voi, nel caso di elezioni anticipate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza sul disegno di legge di bilancio, onorevole Borghesi, al quale ricordo che ha quattro minuti di tempo a disposizione.

ANTONIO BORGHESI, Relatore di minoranza sul disegno di legge n. 3779-A. Signor Presidente, dato il «tanto tempo» a disposizione mi limito a svolgere la considerazione seguente. Prima dei cosiddetti interventi di sviluppo, i dati di bilancio, nella differenza tra l'assestato del 2010 e la previsione per il 2011, stabilivano: lavoro e politiche sociali, meno 4 miliardi; istruzione, università e ricerca, meno 2,9 miliardi; interno, meno 3 miliardi e mezzo; salute, meno un miliardo.
Andando ad esaminarli per categorie, nella parte corrente trasferimenti alle pubbliche amministrazioni, meno 7 miliardi. Nella parte, invece, degli investimenti: contributo agli investimenti delle amministrazioni pubbliche, meno 6 miliardi e mezzo; contributo agli investimenti alle imprese, meno 2,7 miliardi.
Andando ad esaminarli in funzione delle missioni, alle autonomie locali meno 7,8 miliardi; alla difesa, meno 2 miliardi; alla competitività e sviluppo delle imprese, meno 2 miliardi; alle infrastrutture pubbliche e logistiche, meno 2 miliardi; alla casa e all'assetto urbanistico, meno 500 milioni; all'istruzione scolastica, meno 2,2 miliardi; all'istruzione universitaria, meno 800 milioni; alle politiche previdenziali, meno 6 miliardi.
Questi erano i dati di bilancio prima che si decidesse: alt, fermiamo l'orologio e stabiliamo un intervento di sviluppo di 5,7 miliardi.
Ma siamo proprio sicuri che questi 5,7 miliardi siano andati allo sviluppo? Troviamo infatti 800 milioni al sistema universitario: a me pare che si tratti di un contributo alle spese, perché in quel capitolo vi sono spese da coprire per i tagli che erano stati fatti prima, e forse soltanto i 100 milioni destinati al credito di imposta per le aziende che commissionano ricerche possono intendersi come un contributo allo sviluppo. I 750 milioni destinati alle missioni militari di pace. Le missioni militari di pace sono un contributo allo sviluppo del Paese in termini di crescita dell'economia? Francamente nutro dei dubbi! I 250 milioni alle scuole non statali sono un contributo allo sviluppo dell'economia e della crescita del Paese? Ho qualche dubbio! I 100 milioni destinati al 5 per mille, forse, se permettono di movimentare qualche cosa.
Ai contratti di produttività 885 milioni: ma in questo caso vi sono le imprese, altro che contratti di produttività e straordinari! Esse non riescono neanche a lavorare nell'ordinario, e voi immaginate di attribuire loro un contributo ad ore straordinarie, che forse non faranno mai o forse farà il 10 per cento delle imprese.
Ancora, andiamo avanti. I ticket alla diagnostica coperti soltanto per cinque mesi: si tratta di un contributo allo sviluppo? I milioni assegnati all'editoria di partito è un contributo allo sviluppo? Faccio veramente fatica a riconoscere - e credo che il mio tempo sia già scaduto - che quello che è stato presentato come un intervento per lo sviluppo e la crescita Pag. 90dell'economia sia realmente tale (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Avverto che l'onorevole Milanese, relatore per la maggioranza sul disegno di legge di stabilità, ha rinunciato ad intervenire in sede di replica.
Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza sul disegno di legge di bilancio, onorevole Marsilio.

MARCO MARSILIO, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 3779-A. Signor Presidente, intervengo per ringraziare tutti i colleghi che hanno partecipato a questa discussione sulle linee generali per il loro contributo, ed aggiungere solamente un paio di considerazioni conclusive rispetto a quanto abbiamo ascoltato.
Rispetto alla manovra di bilancio, dai banchi dell'opposizione, e non solo, vi sono state una serie di polemiche che hanno colpito principalmente la questione delle entrate e della lotta all'evasione fiscale, ed il tema immarcescibile dei cosiddetti tagli lineari.
Sulla questione delle entrate in seguito alla lotta all'evasione credo di poter rispondere, sostenendo che tutti gli indicatori economici e i dati, che ci sono stati forniti nel corso di questi due anni, indicano che la strada intrapresa dal Governo è una strada virtuosa, che ha provocato un aumento di tali entrate e di tale gettito e che le ulteriori misure, che stiamo presentando anche con la presente manovra, vanno a rafforzare tale tendenza e, quindi, a corroborare uno dei pilastri delle nostre politiche economiche.
Sul secondo argomento, relativo ai tagli lineari, vorrei dire in questa sede che vi è siffatta demagogia per la quale non si possono realizzare tagli lineari; vi sono quasi quotidianamente, per così dire, lezioni di politica economica, che sostengono che bisognerebbe essere selettivi e qualificare questi tagli, senza però mai far riferimento ad alcun elemento concreto a questa selezione e a questa qualità. È troppo facile andare dai magistrati e reclamare che non si possono fare tagli alla giustizia, andare dagli studenti e dai professori, dicendo che su scuola e università non si deve tagliare, andare dai poliziotti e dai carabinieri, dicendo che non si possono - per carità! - fare tagli sulla sicurezza, dall'esercito alla difesa e così via.
Credo che non vi sia un luogo o una categoria sulla quale si possa dire serenamente che un taglio non comporti sacrifici o che non sia un problema o che non ponga una questione etica e alle coscienze. È ben vero, quindi, che la logica dei tagli lineari sembra provocare un danno indiscriminato, ma la realtà vera è un'altra: quando lo Stato si trova di fronte ad una montagna di oneri, oramai insostenibili, e deve condurre una generalizzata politica di contrazione della spesa, non può che fare questa scelta di richiamo di responsabilità in ogni settore della spesa, mi riferisco ai comuni, alle province, alle regioni, ai ministeri, agli enti pubblici e soprattutto al consolidato della pubblica amministrazione che concorre alla spesa pubblica, ed imporre a tutti misure di contenimento, di tagli, di razionalizzazione, di risparmio. Saranno poi i comuni, le province, le regioni, i ministri, a dover decidere, nell'ambito delle loro spese, cosa è prioritario e incomprimibile e cosa, invece, può rientrare all'interno di ciò che può essere compresso.
Ciò nonostante, nelle manovre di bilancio ed economico-finanziarie, che abbiamo svolto in questi due anni e mezzo di Governo, in più di un'occasione, i tagli lineari hanno escluso settori sensibili come la ricerca, la scuola, l'università, il sociale, a seconda delle occasioni e dei diversi strumenti che sono stati messi in campo, a denotare, quindi, che in ogni caso vi è stata da parte del Governo questa attenzione.
Spero che, se qualcuno nel corso della discussione, magari domani, per continuare a difendere degli emendamenti o delle proposte particolari, vorrà richiamare questa annosa vicenda del «no» ai tagli lineari, sappia anche dire, in alternativa, cosa vada davvero tagliato, al di là di un generico contenimento delle spese e Pag. 91degli sprechi, che è facile raccontare, ma è più difficile descrivere nel dettaglio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE VEGAS, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto questa manovra finanziaria, come è stato ricordato, è la prima applicazione della nuova legge di contabilità e, checché se ne dica, gli effetti si vedono sotto due profili.
Innanzitutto il disegno di legge di bilancio non è più come una volta. Esso ha assunto maggiore centralità, come è dimostrato anche dal fatto che il numero di emendamenti ossia di proposte di modifica al disegno di legge di bilancio, è leggermente superiore rispetto alla tradizione. Il disegno di legge di bilancio dunque deve diventare - e lo diventerà sempre più nel tempo - il punto centrale anche di interesse del Parlamento. Ovviamente è da auspicare che tale centralità concerna anche la sua gestione e quindi anche il rendiconto e non solo il bilancio di previsione.
Se poi avessimo ancora la legge n. 468 del 1978, mi domando se la contingenza politica odierna, nell'occasione della manovra finanziaria, non avrebbe portato a fare ciò - il che non è invece avvenuto grazie alla legge n. 196 del 2009 - che la letteratura americana chiama con la simpatica espressione di pork barrel e che in italiano si potrebbe tradurre, più o meno, «truogolo», con riferimento al provvedimento legislativo al nostro esame. Non si è verificata nessuna ipotesi di pork barrel nel disegno di legge di stabilità al nostro esame, perché gli interventi che ne hanno accresciuto il testo rientrano assolutamente nella fattispecie giuridica prevista dalla legge n. 196 del 2009 e sono tutti interventi di un certo rilievo. Non sono, insomma, interventi settoriali o microsettoriali, localistici o che aiutano alcune singole categorie, ma sono orientati tutti al benessere collettivo o a risolvere alcuni problemi. Mi riferisco, per esempio, agli interventi per la cassa integrazione o di tal genere. Così pure potrebbe anche essere un eventuale intervento relativo al cosiddetto bonus ambientale del 55 per cento, rispetto al quale credo il Governo sia disponibile ad accogliere un eventuale emendamento.
Credo si potrebbe definire direttamente in quest'Aula, quando si tratterà di valutare le proposte emendative presentate alla legge di stabilità, una soluzione che, compatibilmente con le esigenze finanziarie e se vi sarà la disponibilità dell'Assemblea, possa risolvere la questione, in modo da prolungare il bonus ambientale anche nel futuro e dare stabilità agli investimenti e alle imprese che se ne occupano, ovviamente a condizione che vi sia un clima politico ragionevole che consenta di veicolarlo.
Signor Presidente - rifacendomi al dibattito che ho ascoltato in queste ore e per il quale ringrazio i relatori per la maggioranza, quelli di minoranza e tutti gli intervenuti - soprattutto da parte dell'opposizione si è levata una lamentela: mancherebbero i soldi, sono stati effettuati tagli lineari e c'è un'insufficienza di risorse in diversi settori.
Date le contingenze nelle quali ci troviamo proprio oggi che in sede di Ecofin si discute di quello che potrà accadere in Paesi molto simili e vicini a noi, mi domando: se non ci fosse stata la politica finanziaria del Governo di questi ultimi due anni, molto cauta e molto attenta e tesa esclusivamente o principalmente alla salvaguardia della finanza pubblica, saremmo in grado di considerare con distacco le attuali contingenze economiche, saremmo più tranquilli? Credo che se il Governo non avesse provveduto a mettere in sicurezza i conti pubblici negli ultimi due anni, ci troveremmo in condizioni molto peggiori di quelle nelle quali siamo adesso.
L'onorevole Rubinato ha affermato che sostanzialmente abbiamo passato due anni a girellare e che ci siamo ritrovati adesso al campo base. Meno male che siamo al campo base, perché se non avessimo seguito una politica austera e seria saremmo là fuori in mezzo alla tormenta e Dio sa Pag. 92cosa succederebbe (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania)!
Il rischio è quello di assumere molte iniziative, a volte anche di essere toccati da umana solidarietà e di spendere più di quanto non ci possiamo permettere. Se lo avessimo fatto ci troveremmo in condizioni molto peggiori. Quando si è in difficoltà prima di tutto occorre salvaguardare il bene principale che è quello della sicurezza economica e della solidità del Paese. Circa le accuse di aver compiuto una sorta di Grand guignol sociale - è chiaro che l'opposizione non possa far altro - ma credo sia un errore fondamentale perché se non ci fosse stata la messa in salvaguardia dei conti pubblici anche con l'attuale provvedimento, gli effetti e il Grand guignol sociale sarebbero molto più grandi perché, alla fine, l'instabilità e il dramma finanziario che vediamo in altri Paesi e che è oggetto dell'attenzione di tutto il mondo finirebbe per colpire proprio gli strati più deboli e molto più gravemente. Risparmiare oggi significa evitare in futuro di attuare tagli molto più pesanti e molto più duri che ovviamente non colpiscono i benestanti ma i più poveri. È stata fatta, quindi, una cura preventiva che evita di farne una successiva molto più pesante. D'altronde, sempre riprendendo un riferimento del relatore Marsilio sulla questione dei tagli lineari, il problema ineludibile è quello, oggi, non solo in Italia e in Europa ma in tutto il mondo, del contenimento della spesa pubblica. Non ci si può più illudere di poter inseguire la spesa con le tasse. Ciò è stato fatto in tutto il mondo e nel nostro Paese per troppi anni e gli effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti.
Il taglio lineare è un sistema che responsabilizza il destinatario, responsabilizza i singoli Ministeri. Probabilmente in qualche caso funziona, in qualche caso non funziona, ma comunque l'esigenza fondamentale è quella di andare ad una riduzione della spesa pubblica, altrimenti possiamo solo andare avanti a fare chiacchiere, ma non riusciremmo assolutamente a risolvere i problemi che abbiamo di fronte.
D'altronde, basta semplicemente valutare come è stato accolto il decreto-legge n. 78 di questa estate: i cittadini italiani si sono resi conto del momento e non hanno protestato; le proteste sono venute solo dai «mandarini» e francamente i «mandarini» è meglio che restino in Cina e non vengano anche da noi (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ciò chiaramente non significa che il Governo non sia attento anche dal lato delle entrate. Basta considerare i dati sul recupero dell'evasione fiscale. A chiacchiere si dice che noi saremmo poco attenti. In base ai dati che vengono dal Dipartimento delle finanze solo nel 2010, nei primi sette mesi, sono stati recuperati 4,9 miliardi di euro, e nel 2009 9,1 miliardi (cioè il 32 per cento in più rispetto al 2008). Ciò significa che l'azione del Governo in questo delicato settore procede, e procede - se mi è consentito dirlo - alquanto brillantemente.
In conclusione, signor Presidente, una semplice battuta sulla contingenza nella quale ci troviamo, e la quale vede un provvedimento di carattere economico incrociarsi a una situazione politica - per così dire - spumeggiante. È di oggi una lettera dei presidenti dei gruppi dell'opposizione, i quali invitano il Governo e il Senato ad approvare nei tempi più rapidi possibili la legge di stabilità. Il Governo è assolutamente d'accordo perché ritiene che la legge di stabilità, soprattutto in questo momento, debba essere approvata nei tempi più rapidi possibili, ovviamente avendo un contenuto congruo rispetto a quello che sta accadendo nel resto d'Europa, perché non dimentichiamoci che la legge di stabilità si chiama anche così perché è finalizzata a dare stabilità ai conti pubblici.
La lettera dei presidenti di gruppo però ha un curioso epilogo, nel quale si afferma che vi è il desiderio che questa legge sia approvata il più presto possibile pur non condividendola e ritenendola sbagliata per il bene del Paese. Chiaramente l'opposizione Pag. 93non può dire diversamente, perché (è un artificio retorico) altrimenti dovrebbe concordare. Ma come dicono gli avvocati è un'affermazione che per certi aspetti prova troppo, perché è chiaro che un'opposizione responsabile non potrebbe certo privilegiare una contingenza politica rispetto al bene finanziario del Paese. Quindi, questa conclusione della lettera, secondo la quale comunque questa legge sarebbe contraria al bene del Paese, significa, in realtà, esattamente l'opposto, perché se fosse contraria al bene del Paese verrebbe privilegiata la discussione sul contenuto della legge di stabilità rispetto all'accelerazione che concerne semplicemente un rapporto politico che può essere interessante per i vertici politici, ma forse nulla interessa ai cittadini. La realtà è che molto probabilmente è vero il contrario, cioè che questa legge di stabilità, così com'è strutturata, fa il bene del nostro Paese, dopodiché le contingenze politiche seguiranno in un secondo tempo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo semplicemente per dire all'onorevole Vegas - che tra gli ultimi sport praticati ha fatto quello dell'arrampicamento sugli specchi - che la questione è molto semplice. Noi riteniamo che la permanenza in carica di questo Governo sia molto più dannosa di quanto non lo sia questa legge finanziaria, o legge di stabilità come la si voglia chiamare. Quindi, c'è una perfetta coerenza. Cerchiamo, pur rimanendo contrari, di fare in modo che (visti i tempi contingentati e quindi non potremmo fare chissà che cosa) il Governo si prenda anche la responsabilità di questa pessima legge di stabilità, e che poi finalmente se ne vada a casa.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, mi è sfuggito il contenuto del richiamo al Regolamento o all'ordine dei lavori, ma per questa volta va bene così.
Il seguito dell'esame dei disegni di legge di bilancio e di stabilità avrà luogo nella seduta di domani.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 17 novembre 2010, alle 10:

1. - Dimissioni del deputato Giuseppe Drago.

2. - Discussione della relazione della Giunta delle elezioni sulla elezione contestata del deputato Giuseppe Drago per la XXV Circoscrizione Sicilia 2 (Doc. III, n. 2).
- Relatore: Orsini.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013 (C. 3779-A).
- Relatori: Marsilio, per la maggioranza; Calvisi e Borghesi, di minoranza.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011) (C. 3778-A).
- Relatori: Milanese, per la maggioranza; Baretta e Cambursano, di minoranza.

5. - Discussione del disegno di legge:
Ratifica ed esecuzione del Protocollo che modifica il Protocollo sulle disposizioni transitorie allegato al Trattato sull'Unione europea, al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica, fatto a Bruxelles il 23 giugno 2010. Delega al Governo per l'adozione Pag. 94di disposizioni attuative al fine dell'assegnazione all'Italia del seggio supplementare nel Parlamento europeo (C. 3834).

La seduta termina alle 18,20.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIULIO CALVISI IN SEDE DI DISCUSSIONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEI DISEGNI DI LEGGE NN. 3778-A E 3779-A

GIULIO CALVISI, Relatore di minoranza sul disegno di legge 3779-A. Il disegno di legge del bilancio per il 2011 costituisce la prima applicazione dall'articolo 21 della nuova legge di contabilità (legge n. 196 del 2009) che conferma, in sostanza, la struttura del disegno di legge di bilancio previsto dalla precedente disciplina.
Il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2011 e il bilancio pluriennale per il triennio 2011-2013 dovevano rappresentare una svolta politica, economica ed istituzionale nella decisione di bilancio: non solo perché si tratta della prima applicazione di una riforma della contabilità e della struttura del bilancio attesa da decenni, ma anche perché gli obiettivi di tale riforma erano molteplici: restituire centralità al bilancio, riportando la legge finanziaria - ora legge di stabilità - al contenuto «proprio», evitando provvedimenti omnibus, del tutto eterogenei; riportare il «focus» parlamentare e politico su programmi, strumenti e obiettivi di bilancio, in un quadro «unitario» di legislazione di spesa; migliorare il controllo, la valutazione e il monitoraggio del Parlamento sul bilancio, esaltando il ruolo delle Commissioni di merito nell'analisi delle parti di competenza.
Per molte ragioni il bilancio e l'intera manovra 2011 hanno «mancato» questi obiettivi.
Il «quadro» politico e istituzionale in cui è iniziato l'esame della manovra è esemplare della «fragilità» politica ed economica di questa manovra e del bilancio in particolare.
Occorre ricordare una vicenda significativa: il Consiglio dei ministri, ha approvato il disegno di legge di stabilità, mentre era ancora in corso in Parlamento l'esame della decisione di finanza pubblica . In aperta violazione della legge n. 196 del 2009, che prescrive che il disegno di legge di stabilità intervenga soltanto nel momento in cui il Parlamento abbia terminato l'esame della decisione di finanza pubblica, con le risoluzioni parlamentari che fissano gli obiettivi di saldo che la manovra deve rispettare.
Si tratta non solo di un'aperta violazione dell'articolo 7 della legge n. 196 del 2009, ma anche di un aperto contrasto con la funzione di controllo sulla Decisione di finanza pubblica e sui documenti di bilancio che spetta al Parlamento.
Senza dire che non sono mai state emanate le linee guida, e la stessa Conferenza unificata non è stata consultata dal Governo nel corso di questo procedimento, che pure riguarda la finanza pubblica, mentre è in piena attuazione il federalismo fiscale sancito dalla Costituzione e dalla legge n. 42 del 2009.
Abbiamo dinanzi un bilancio debole, fragile e frammentato come questo Governo nel corso dell'intera legislatura.
Abbiamo anticipato buona parte della manovra per decreto, approvato con fiducia, e ora costruiamo sulla sabbia un bilancio che sembra rispondere solo ad una logica emergenziale, senza una visione strategica di programmazione di medio periodo.
Esso è costituito, infatti, da un unico stato di previsione dell'entrata; dagli stati di previsione della spesa relativi ai singoli Ministeri con portafoglio, con le allegate appendici dei bilanci delle amministrazioni autonome e dal quadro generale riassuntivo, che la nuova legge di contabilità estende al triennio.
È bene ricordare che i cambiamenti più significativi di questo strumento arriveranno soltanto attraverso l'esercizio delle deleghe contenute negli articoli 40, comma 1 e 42, comma 1 che autorizzano il Governo a procedere alla riorganizzazione dei programmi di spesa e delle missioni, Pag. 95alla programmazione delle risorse e alla redazione in termini di sola cassa del bilancio come degli altri documenti contabili dello Stato. Tuttavia, una rilevante novità è già presente nel disegno di legge: l'innalzamento dell'unità di voto parlamentare al programma per quanto riguarda le spese e alla tipologia per quanto riguarda le entrate, un'indubbia sottrazione di potere decisionale del Parlamento.
Inoltre, la riforma introdotta con la legge n. 196 del 2009 consente di incidere sulla legislazione sostanziale di spesa, proponendo la rimodulazione di spese predeterminate per legge nonché, in base all'articolo 52, comma 1, quantificare gli stanziamenti destinati al funzionamento degli enti pubblici aventi natura obbligatoria, precedentemente determinati dalla Tabella C della legge finanziaria.
In particolare, l'articolo 23, comma 3, della legge n. 196 del 2009 consente la rimodulazione delle risorse finanziarie «tra programmi» appartenenti alla medesima missione di spesa o all'interno di un medesimo programma.
Ancor prima di applicare per la prima volta queste disposizioni, il Governo ha introdotto una deroga che ha previsto la possibilità di rimodulare le dotazioni finanziarie tra le missioni di ciascuno stato di previsione, limitatamente al triennio 2011-2013 e per motivate esigenze.
A rendere necessaria questa estensione del concetto di flessibilità, vi è sicuramente l'assoluta insostenibilità della disciplina introdotta dall'articolo 2 del decreto-legge n. 78 del 2010 che ha disposto, a decorrere dal 2011, la riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie, iscritte a legislazione vigente nell'ambito delle spese rimodulabili delle missioni di ciascun Ministero.
Tale disposizione però non fa altro che aumentare i margini di discrezionalità del Governo ed in particolare del Ministro dell'economia. Lo stesso relatore Marsilio nella sua relazione introduttiva in Commissione bilancio ha chiesto al Governo di fornire una apposita sezione di analisi delle missioni e dei programmi del bilancio, in grado di mettere in evidenza la quota di spesa rimodulabile e quella «non rimodulabile» del bilancio dello Stato, ripartita per missione. Tale chiarimento è stato solo parzialmente dato e perciò non vengono fugati i nostri dubbi sulla manovrabilità del bilancio al di fuori del controllo parlamentare.
Anticipando in estrema sintesi un giudizio di merito sul contenuto del testo, è possibile affermare che, al di là degli annunci del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'economia e delle finanze, il Governo si è presentato alle Camere con un disegno di legge pieno di tagli indiscriminati e non selettivi e privo di misure che aumentino le risorse destinate a settori strategici per accrescere la produttività e la competitività del nostro Paese, tanto che il Governo ha dovuto presentare nel corso dell'esame in Commissione degli emendamenti per rifinanziare di un miliardo gli ammortizzatori sociali con il Fondo Sociale per l'occupazione e la Formazione e per restituire risorse all'autotrasporto (400 milioni di euro per il 2011), ai comuni per il mancato gettito ICI (344 milioni per il 2011) e allo sviluppo del trasporto (346 milioni per l'anno 2012 e 2013) oltre ad una serie di misure che attenuano ma non rendono meno drammatico l'impatto dei tagli sulle politiche sociali e sul sistema dell'istruzione, con particolare riferimento al sistema universitario.
Il disegno di legge di bilancio a legislazione vigente per il 2011, in termini di competenza e al netto delle regolazioni contabili e debitorie e dei rimborsi IVA, prevede entrate finali per 446,9 miliardi di euro e spese finali per 486,6 miliardi. Secondo le previsioni del relatore per la maggioranza «nell'anno 2011 il saldo netto da finanziare risulta, quindi, pari a oltre 39,6 miliardi di euro, con un miglioramento, secondo le previsioni del Governo di circa 15 miliardi rispetto al dato assestato riferito all'esercizio 2010. Per gli anni 2012 e 2013 si prevede, poi, una ulteriore riduzione del saldo netto da finanziare in termini di competenza, pari rispettivamente a 19,2 miliardi di euro e a Pag. 964,6 miliardi di euro e che il saldo risultante dall'approvazione del disegno di legge di stabilità, per effetto delle rimodulazioni e dei rifinanziamenti delle spese in conto capitale previste dalla Tabella E, è invece pari a 40,6 miliardi di euro nel 2011, a 22,2 miliardi di euro nel 2012 e a 14,1 miliardi di euro nel 2013».
Si tratta, quindi, di importi inferiori a quelli richiesti dalle risoluzioni approvate dalle Camere al termine dell'esame della DFP, riportati nell'Allegato 1 alla legge di stabilità, che indica come limite massimo per il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, al netto delle regolazioni contabili e debitorie, 41,9 miliardi di euro per il 2011, 22,8 miliardi di euro per il 2012 e 15 miliardi di euro per il 2013. «Sempre secondo le previsioni del Governo e della maggioranza», anche il risparmio pubblico fa segnare nel triennio di riferimento un sensibile miglioramento. Per quanto riguarda i dati di competenza, infatti, si prevede che il risparmio pubblico per il 2011, pur mantenendo un valore negativo, pari a circa un miliardo di euro, fa segnare un miglioramento di oltre 8 miliardi rispetto alle previsioni assestate riferite all'esercizio 2010 e che negli anni successivi, invece, le previsioni per il risparmio pubblico assumono un valore positivo, pari a circa 17 miliardi di euro nel 2012 e a 29,2 miliardi di euro nel 2013.
Tutto questo ottimismo va sottolineato è unicamente ingenerato dalla previsione di un più che positivo andamento dei dati riferiti sia alle entrate che alle spese.
Sul versante delle entrate, per quanto riguarda le entrate finali è previsto per il 2011 un aumento complessivo di 3.501 milioni rispetto al dato assestato 2010, determinato da un incremento dell'1 per cento delle entrate tributarie (+4.203 milioni) a fronte di una lieve riduzione di quelle extratributarie (-353 milioni) e delle entrate da alienazione e ammortamento beni patrimoniali (-349 milioni).
In particolare, tra entrate tributarie, le imposte sul patrimonio e sul reddito registrano, nelle previsioni per il 2011, una diminuzione del 2,7 per cento, pari a 6.688 milioni, a fronte di un incremento di 10.734 milioni delle tasse e imposte sugli affari.
Rispetto al dato assestato 2010, a fronte di un gettito IRE pressoché invariato, viene prevista per il 2011 una riduzione dell'IRES (-4.158 milioni) e delle imposte sostitutive (-2.187 milioni), mentre per l'IVA vengono indicati maggiori introiti per 10.457 milioni.
Riguardo alle entrate finali, l'aumento di 3.500 milioni rispetto alle previsioni assestate per il 2010 risulta quindi determinato dall'andamento crescente delle entrate tributarie (+4.203 milioni di euro) con una significativa espansione delle entrate IVA.
Tale previsione può giustificarsi in presenza di due fattori: un significativo incremento dei consumi e da misure efficaci di lotta all'evasione fiscale. Una significativa ripresa dei consumi non trova riscontro nella situazione sociale ed economica del paese stante il perdurare della crisi economica e dalla assenza di misure del Governo a favore di imprese e famiglie, i consumi ad oggi tengono,ma non crescono.
La lotta all'evasione fiscale ha visto una parziale marcia indietro del Governo che nel decreto n. 78 ha ripristinato misure introdotte dal centrosinistra in precedenza abolite con il decreto-legge n. 112, ma non si può certo dire che oggi siamo in presenza di una politica di recupero dell'evasione fiscale efficace ed innovativa tale da presupporre una significante aggressione al livello storico di evasione fiscale nel nostro paese. I dati sulle entrate tributarie nei primi 9 mesi del 2010 forniti dallo stesso MEF confermano quantomeno il rischio di una sovrastima delle entrate.
Le entrate dei primi nove mesi del 2010 sono inferiori a quelle del corrispondente periodo del 2009, anno segnato come noto da una caduta quasi del 5 per cento del PIL reale mentre nel 2010 siamo all'1 per cento di crescita.
E, sino a questo momento, nonostante la tenuta dei consumi, il gettito dell'IVA, se registra un lieve incremento lo registra per effetto della significativa crescita della Pag. 97componente relativa alle importazioni, mentre l'IVA da scambi interni è in diminuzione e non in aumento.
Inoltre a tal proposito vanno ricordate le parole della Corte dei conti pronunciate nell'audizione in sede di discussione della Decisione di Finanza Pubblica 2011-2013: «è opportuno tornare a evidenziare come il decreto-legge n. 78 del 2010 confermi la linea, adottata negli ultimi due anni dal Governo, di non considerare più il maggior gettito atteso dalle misure di contrasto all'evasione come semplicemente eventuale ed aggiuntivo, ma di contabilizzarlo a pieno titolo come fonte di finanziamento delle manovre di finanza pubblica. La scelta di puntare in via principale sui proventi attesi dalle misure di contrasto all'evasione riflette la volontà di sfruttare gli ancora ampi margini di recupero di materia imponibile, offerti dalle perduranti vaste dimensioni del fenomeno dell'evasione tributaria e contributiva,consentendo di aumentare il gettito tributario senza elevare ulteriormente il livello delle aliquote di imposta.
La rilevanza di tale impegno, tuttavia, sottolinea anche la criticità dei fattori che possono assicurare la realizzazione ed il consolidamento dei risultati attesi, a cominciare dal fattore amministrativo. Sotto questo aspetto, appare necessario recuperare il gap di conoscenza relativo alle variazioni di comportamento dei contribuenti riferibili ai provvedimenti di deterrenza e di miglioramento della gestione. Un limite che - come la Corte ha più volte evidenziato - impedisce di valutare compiutamente l'efficacia delle politiche intraprese, il grado di realizzabilità delle singole misure, gli effettivi risultati sotto il profilo del gettito».
Sul versante della spesa le previsioni di competenza delle spese correnti presentano, per il 2011, un decremento, rispetto al dato assestato 2010, di 4.524 milioni di euro.
Tale importo è sostanzialmente dovuto alla previsione di una consistente riduzione della spesa corrente primaria di circa 14.600 milioni di euro, cui fa da contrappeso un aumento della spesa per interessi di 10.081 milioni di euro. Su questo ultimo punto si osserva nel dettaglio che nel disegno di legge di bilancio, il programma oneri per il servizio del debito registra uno stanziamento per il 2011 di 84.064 milioni di euro, quasi 4,5 miliardi di euro in più rispetto al bilancio di previsione 2010 (pari a 79.568 milioni di euro) e oltre 10 miliardi di euro rispetto al dato assestato per il 2010, pari a 73.991 milioni di euro. Tale incremento è connesso all'andamento degli interessi sui titoli del debito pubblico (5.900 milioni), sui BOT poliennali (2.500 milioni), sui tassi di interesse sui buoni postali fruttiferi (1.300 milioni).
Le motivazioni di tali rilevanti scostamenti fornita dal Viceministro Vegas nella seduta della Commissione bilancio del 28 ottobre, fondata sulle differenze tra le risultanze del saldo netto da finanziare, riferite alla spesa sostenuta dallo Stato in termini di competenza, e quelle del corrispondente aggregato di finanza pubblica, indicato nella Decisione di finanza pubblica, da riferire alle stime sull'indebitamento netto del conto delle Amministrazioni pubbliche, sono sembrate davvero poco convincenti, soprattutto alla luce delle citate divergenze relative al medesimo bilancio dello Stato per l'anno 2010.
Potrebbe, pertanto, ripetersi quanto accaduto lo scorso anno, nel quale il Governo ha rivisto in diminuzione il dato relativo agli oneri per il servizio del debito di circa 5,5 miliardi di euro nei soli sei mesi intercorsi fra il bilancio di previsione e il dato assestato; una sovrastima degli interessi sul debito funzionale alla creazione di margini di maggiore discrezionalità nella spesa.
Le variazioni maggiori della spesa rispetto al dato assestato 2010 sono previste per i trasferimenti correnti alle amministrazioni pubbliche che registrano nel 2011 una flessione di oltre 11,6 miliardi di euro, i consumi intermedi che presentano una contrazione di 818 milioni rispetto al 2010 e i redditi da lavoro dipendente che registrano una flessione di circa 2.000 milioni. Pag. 98
Per quanto riguarda tali spese di parte corrente, le principali variazioni rispetto al dato assestato per il 2010, sono imputabili prevalentemente alla consistente riduzione dei trasferimenti statali destinati alle amministrazioni locali: regioni ordinarie, regioni speciali , comuni, province e al taglio lineare alla spesa dei ministeri con gravi ripercussioni alle politiche di welfare e per la formazione ed il sapere.
La sola Missione relazioni con le autonomie territoriali prevede un decremento di 7.806 milioni.
Il bilancio registra quindi gli effetti della manovra di luglio con la «stretta» sui trasferimenti statali ad esse destinati: il taglio quantitativamente maggiore riguarda i trasferimenti alle regioni a statuto ordinario (4,5 miliardi nel 2011), minore quello riguardante comuni e province (complessivamente circa 1,8 miliardi nel 2011, ma destinato a crescere a 3 miliardi nel 2012) e alle regioni a statuto speciale (500 milioni nel 2011 e due miliardi nel 2012/2013).
Nel dettaglio i tagli colpiscono i programmi del Fondo relativo alle risorse finanziarie occorrenti per l'attuazione del federalismo amministrativo: meno 1 miliardo rispetto all'assestato 2010 per la parte corrente e meno 1 miliardo e 400 milioni in conto capitale. Quelli relativi alle somme da erogare alle regioni per interventi di edilizia residenziale con concessione di mutui agevolati: meno 322 milioni. Somme da erogare per interventi in materia di edilizia sanitaria: meno 1 miliardo e 800 milioni. Contributi erariali a favore delle regioni titolari di servizio di pubblico trasporto: meno 115 milioni. Va poi aggiunto, a proposito delle regioni a statuto speciale, che il Bilancio di previsione 2011 non iscrive correttamente - sempre nella missione Relazione finanziarie con le autonomie territoriali alla voce programma Regolazioni contabili ed altri trasferimenti alle regioni a statuto speciale o in altri programmi della stessa missione - quanto dovuto alla regione Sardegna e alla regione Friuli a legislazione vigente a titolo di compartecipazione alle entrate erariali dello Stato.
Tali tagli come più volte evidenziato dai rappresentanti delle autonomie locali non sono sostenibili.
Il drastico ridimensionamento dei trasferimenti produce effetti negativi su tutto il sistema economico derivanti dalla riduzione di servizi essenziali per la popolazione in particolare per le fasce più deboli e dal blocco degli investimenti a livello locale.
La stessa Corte dei conti osservava nella già citata audizione come «Guardando ai dati più recenti della spesa regionale, la riduzione dei trasferimenti, se non compensata da altra fonte di finanziamento, potrebbe comportare, già nel 2011, un taglio delle spese non sanitarie di circa l'11 per cento (in termini di competenza), con una forte concentrazione sulle spese in conto capitale, che potrebbero, pertanto, risultare ulteriormente sacrificate. In alternativa, un ricorso a maggiore indebitamento, sempre che la tipologia di spese da finanziare e la somma degli importi già attivati lo consentissero, renderebbe inefficace la misura, ripercuotendosi negativamente sull'andamento del debito pubblico.
Per i comuni e le province, l'intervento correttivo si inserisce in un percorso di correzione dei saldi (disposto dal decreto-legge n. 112 del 2008), già molto ambizioso. La riduzione dei trasferimenti statali, disposta dal decreto-legge n. 78, determina (al netto di maggiori entrate da tariffe locali o da dismissioni immobiliari) un ulteriore aggravio della correzione richiesta agli enti locali dal lato della spesa. A quasi tutti gli enti sarebbe richiesto un avanzo di bilancio, mentre la conseguente riduzione della spesa risulterebbe superiore al 10 per cento, rispetto al 2009. Sulla realizzabilità dei risparmi attesi e sulla sostenibilità delle misure per le amministrazioni locali si riflette, poi, l'inadeguatezza di un meccanismo, come quello del Patto di stabilità interno, che non è in grado, nell'impianto vigente, di tener conto delle differenti caratteristiche di un universo di riferimento molto ampio (oltre 2.200 enti) e con caratteristiche gestionali e strutturali molto differenziate. Un impianto Pag. 99indifferenziato e non selettivo che si è, di fatto, tradotto o in un inevitabile ma non opportuno rallentamento della spesa in conto capitale o nel ricorso a scelte elusive e di aggiramento del Patto».
Se confrontata con la previsione del bilancio per il 2010, la spesa corrente nel 2011 evidenzia una riduzione di oltre 13 miliardi di euro.
La spesa primaria, considerata al netto degli interessi, come già detto registra una previsione di variazione in diminuzione particolarmente significativa, di circa 14.600 milioni di euro.
L'obiettivo è particolarmente ambizioso, soprattutto considerato che la sua dinamica nell'ultimo decennio è stata ampiamente superiore a quella del prodotto. Gran parte della prevista riduzione della spesa deriva da tagli lineari e blocchi temporanei. L'efficacia di tali misure però in passato è stata spesso deludente, - come ha ricordato sempre la Corte dei conti nel corso dell'audizione sulla decisione di finanza pubblica - risolvendosi per lo più o in meri slittamenti nel tempo di pagamenti (ciò che ha creato difficoltà alle aziende fornitrici dell'Amministrazione) o nell'adozione di atti di riconoscimento di debito, che possono essere espressione di debiti sommersi e, comunque, elementi di turbativa del bilancio.
Oltre agli effetti dubbi sul piano dell'efficacia delle politiche strutturali di contenimento della spesa va poi considerato il costo sociale che tale riduzione di spesa produce sul welfare locale e la rete integrata dei servizi alla persona,sull'istruzione e il sapere,sul lavoro e sulle politiche di sostegno alle imprese.
Anche la forte contrazione delle spese in conto capitale per oltre 7 miliardi rispetto al dato assestato 2010 è principalmente ascrivibile alla riduzione di 6.590 milioni dei contributi agli investimenti ad amministrazioni pubbliche, anche in questo caso per la gran parte imputabili alla riduzione dei trasferimenti alle amministrazioni locali ( per quasi 4 miliardi), e in particolare alle regioni, prevista dal decreto-legge n. 78 del 2010 e alla riduzione di 2.678 milioni dei contributi agli investimenti ad imprese, di cui 300 milioni riferiti a minori trasferimenti alle Ferrovie dello Stato e 1.822 milioni sono connessi a minori esigenze per i crediti d'imposta.
La scelta è quindi di un'ulteriore contrazione della spesa per aumentare la dotazione infrastrutturale del nostro paese.
Valgono a tal proposito le parole usate dalla Banca d'Italia in audizione in sede di discussione della Decisione di Finanza Pubblica: «Le infrastrutture sono un elemento chiave della capacità di crescita di un paese. L'evidenza dell'impatto positivo del capitale pubblico sulla performance del sistema economico è abbondante. Per l'Italia, le stime indicano che per ogni punto percentuale di aumento dello stock di capitale pubblico il prodotto può crescere fino allo 0,6 per cento nel lungo periodo. Le misure disponibili concordano generalmente nel segnalare un ritardo dell'Italia rispetto ai principali paesi europei in termini di dotazione infrastrutturale. Alla luce di queste considerazioni, appare problematica la drastica riduzione delle spese per investimenti prevista nel prossimo biennio».
I tagli lineari e l'analisi delle spese finali per missioni.
Le riduzioni disposte dal decreto-legge n. 78 del 2010 sono state operate per importi complessivi pari a 2.443,7 milioni di euro nel 2011, 2.215,8 milioni nel 2012 e 2.395,2 milioni nel 2013. Esse scontano gli effetti della disciplina introdotta dall'articolo 2 del più volte richiamato decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che ha disposto, a decorrere dal 2011, la riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie, iscritte a legislazione vigente nell'ambito delle spese rimodulabili delle missioni di ciascun Ministero
In ogni caso, per quanto riguarda gli stanziamenti del bilancio a legislazione vigente per il 2011, bisogna ricordare che tali riduzioni si sommano a quelle disposte da precedenti provvedimenti legislativi, che hanno autorizzato analoghi tagli lineari a partire dal 2009. Pag. 100
In particolare, il decreto-legge n. 112 del 2008 ha già disposto una riduzione lineare delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa di competenza dei vari Ministeri, pari a oltre 15 miliardi per il 2011, di cui 11,8 miliardi relativi a spese da fattore legislativo. In totale, per il prossimo anno, si prevedono tagli per oltre 17,4 milioni di euro.
Il disegno di legge di bilancio per il 2011 è articolato in 34 Missioni che rappresentano le funzioni principali della spesa pubblica delineandone gli obiettivi strategici e 173 programmi.
Dai dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato emerge che i più cospicui definanziamenti si registrano, in termini assoluti, per le Missioni Relazioni con le autonomie territoriali (-7.806 milioni), Politiche previdenziali (-6.089 milioni) e Politiche finanziarie e di bilancio (-2.455 milioni). In termini percentuali, le maggiori variazioni in diminuzione sono ascrivibili alle missioni con stanziamenti di importo non elevato (Turismo, -51,3 per cento; Casa e assetto urbanistico, -48,6 per cento; Regolazione dei mercati, -44,6 per cento; infrastrutture e logistica, -42,8 per cento).
Più in dettaglio, con riferimento al Programma relativo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, si sottolinea il taglio di 57, 2 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate per il 2010 del fondo occorrente per gli interventi del Servizio civile Nazionale. Negli ultimi cinque anni il numero delle posizioni finanziate è diminuito di oltre il 60 per cento. C'è il rischio di esaurimento dell'esperienza quasi quarantennale di servizio civile che raccoglie apprezzamenti anche fuori dall'Italia; principali vittime di questa ghigliottina saranno i giovani, le persone e i beni pubblici che beneficiano di questo servizio.
Con riferimento al Ministero dell'interno, La Missione Ordine Pubblico e Sicurezza del Ministero dell'interno registra una perdita significativa di 183 milioni di euro.
Altro dato da segnalare con allarme, riguarda il Programma Prevenzione del rischio e soccorso pubblico che registra un decremento di 80 milioni di euro. In merito a tali tagli, il Centro di responsabilità amministrativa competente segnala che, «l'entità di tali decurtazioni ha accentuato notevolmente il già evidente squilibrio tra i costi per l'espletamento dei servizi istituzionali che annualmente si rilevano e le risorse finanziarie disponibili. La presenza di un così evidente squilibrio, in sostanza, rende vano un efficace tentativo di rimodulazione delle dotazioni iniziali che, necessariamente, debbono subire delle sostanziali integrazioni per far fronte alle spese incomprimibili». Questa situazione rende quasi impossibile l'espletamento delle funzioni e suona come una beffa la prevista assunzione nel 2011 di 1000 vigili del fuoco che non avrebbero i mezzi per svolgere il servizio.
Sempre per il Ministero dell'interno, anche per i programmi Organizzazione e gestione del sistema nazionale di difesa civile nonché per il programma attuazione da parte delle prefetture-uffici territoriali del Governo del Ministero dell'interno sul territorio, i Cra competenti dichiarano la stessa impossibilità allo svolgimento delle loro funzioni con le risorse assegnategli.
Inoltre, tra le variazioni più significative e deprecabili si segnalano il capitolo 2384, denominato Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, con un taglio di 24,8 milioni e il taglio di 15,4 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2010 delle risorse destinate ai programmi di protezione dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari.
In tema di giustizia, al di là della perennemente annunciata riforma, nei fatti il programma Giustizia civile e penale (al quale sono ricondotte attività fondamentali come la verbalizzazione degli atti giudiziari, l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia civile e penale, le attività inerenti le notifiche, le esecuzioni e i protesti in materia giudiziaria) registra un taglio di 119 milioni di euro ai compensi per lavoro straordinario. Tale taglio interviene in una situazione di carenza ormai strutturale di Pag. 101personale rispetto all'organico fissato e rischia di provocare il definitivo collasso del sistema giudiziario italiano.
La diminuzione delle risorse riguardanti il mantenimento, l'assistenza e la rieducazione dei detenuti mal si concilia con la disperata situazione delle nostre carceri. È da rilevare, in proposito, che della gestione del Commissario straordinario per l'attuazione del piano carceri, pur dotato di 600 milioni di euro allocati nella contabilità speciale del Commissario e di uno spazio normativo estremamente semplificato, a distanza di quasi un anno dalla sua istituzione, poco si conosce e molto lontana sembra la costruzione dei nuovi padiglioni e dei nuovi istituti.
Bisogna altresì ricordare che in occasione dell'approvazione del decreto-legge n. 112 del 2008 a fronte dei tagli subiti e delle drammatiche prospettive per il futuro, il Ministro Alfano da un lato ed il Ministro Maroni dall'altro avevano rassicurato che i tagli dei rispettivi Ministeri sarebbero stati riassorbiti tramite la creazione di un Fondo, quantificato in sede di dichiarazioni dei Ministri in oltre un miliardo di euro, in cui avrebbero dovuto confluire tutte le somme di danaro sequestrate ed i proventi derivanti dai beni confiscati nell'ambito di procedimenti penali o di misure di prevenzione, di cui una parte avrebbe dovuto essere destinata alla tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico ed una quota al potenziamento dei servizi istituzionali del Ministero della giustizia.
Il Governo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 aprile 2010, il cui iter è in corso di perfezionamento, sulla base delle entrate affluite nell'esercizio 2009, ha determinato in 158 milioni di euro (ovvero il 25 per cento dei circa 632 disponibili) la quota delle risorse del Fondo unico giustizia da ripartire ai Ministeri. Nel frattempo, un decreto interministeriale ha già provveduto alla ripartizione dei 158 milioni di euro disponibili. Avendo il Ministero dell'economia, per il 2009, rinunciato alla sua quota, 79 milioni di euro sono stati assegnati al Ministero della giustizia e altrettanti risultano assegnati al Ministero dell'interno. Del miliardo di euro di cui parlarono i ministri restano, quindi, soli 158 milioni di euro che ancora devono poter essere spesi.
Tagli rilevantissimi si registrano anche su settori delicati e strategici come scuola, università e ricerca.
Rispetto alle previsioni assestate per l'esercizio finanziario 2010, nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si registra una riduzione di 2.826,2 milioni di euro.
Le più rilevanti riduzioni rispetto alla legge di assestamento 2010 sono quelle relative alla missione Istruzione scolastica. Nello specifico si registra una riduzione di 123,3 milioni di euro per l'istruzione prescolastica; di 780,1 milioni di euro per l'istruzione primaria, che passa a 13.474,2 milioni di euro. L'istruzione secondaria di primo grado e di secondo grado registra una riduzione rispettivamente di 208,3 milioni di euro e di 841,6 milioni di euro. Per le istituzioni scolastiche non statali è previsto uno stanziamento di 281,2 milioni di euro, con riduzione di 129,0 milioni di euro e l'istruzione post-secondaria, degli adulti e programmi istruzione lavoro è ridotta di 7,8 milioni di euro.
Si evidenzia inoltre, con forte preoccupazione, la soppressione per insussistenza di residui del cap. 7151 recante interventi di edilizia e messa in sicurezza degli edifici scolastici che è stato alimentato destinando alcune somme iscritte al bilancio dello Stato all'edilizia scolastica, alla messa in sicurezza degli istituti, ovvero alla realizzazione di impianti e strutture sportive nei medesimi.
Si ricorda che in Italia due edifici scolastici su tre non sono a norma di legge, per questo è urgente mettere subito in sicurezza il 65 per cento delle scuole italiane. Da uno studio della KRLS Network of Business Ethics, emerge che in Italia solo il 46 per cento delle scuole ha il certificato di agibilità statica, contro il 98 per cento della Germania, il 93 per cento della Francia, il 92 per cento dell'Inghilterra, l'89 per cento della Spagna, il 77 per cento della Polonia, il 71 per cento del Portogallo, il 64 per cento Pag. 102della Romania, il 58 per cento della Bulgaria e il 53 per cento dell'Albania che chiude la classifica. Le cose con l'approvazione del maxi emendamento non sono cambiate di molto: parliamo di una correzione significativa solamente per le scuole paritarie (più 245 milioni) e 103 milioni per i libri di testo che recuperano il taglio inizialmente disposto nello stato di previsione del Ministero dell'Interno (Tabella n. 8), il cap. 7243 (Somma occorrente per la fornitura gratuita dei libri di testo nella scuola dell'obbligo ed il comodato nella scuola superiore), inserito nell'ambito della Missione 2 - Relazioni finanziarie con le autonomie locali e del programma Elaborazione quantificazione e assegnazione dei trasferimenti erariali compresi quelli per interventi speciali.
Se dalla scuola si passa ad analizzare l'ambito universitario, in attesa della riforma Gelmini e delle risorse promesse dal Presidente del Consiglio dei ministri, intanto si evidenzia che lo stanziamento complessivo per la missione Istruzione universitaria è pari a 7.103,4 milioni di euro, con una riduzione di ben 821 milioni di euro (pari al 10,4 per cento) rispetto all'assestato 2010.
In particolare, il programma 2.3 Sistema universitario e alla formazione post universitaria, è ridotto di 726,9 milioni di euro rispetto all'assestamento 2010 sebbene in esso rientrino prevalentemente le risorse volte a garantire i finanziamenti alle università, compresa l'edilizia universitaria.
Tale riduzione è distribuita in particolare su alcuni capitoli di spesa; in particolare, sul Fondo di Finanziamento Ordinario (che attiene al funzionamento degli Atenei e comprende le spese per il personale e per la ricerca scientifica, nonché quelle per la manutenzione ordinaria) è previsto un taglio di 126,1 milioni di euro, che porta la dotazione a 6.130,3 milioni di euro, corrispondente all'ammontare previsto per il 2001, mentre nel 2008 si assestava a 7.422,8 milioni! Ma alla suddetta riduzione, occorre aggiungere quelle previste dalle seguenti due disposizioni, che incidono - di fatto - sulla dotazione complessione del FFO. Innanzitutto la soppressione del Fondo da destinare all'incremento dell'efficienza e dell'efficacia del sistema universitario statale, istituito dalla legge finanziaria per il 2008 (articolo 2, commi 428-429), con una dotazione pari a 550 milioni di euro, per ogni anno del triennio 2008-2010, destinati ad incrementare le disponibilità del FFO per sostenere prioritariamente le spese derivanti dagli adeguamenti retributivi del personale docente e dai rinnovi contrattuali del personale non docente degli atenei. Al contempo, la legge di stabilità reitera la previsione di 550 milioni di euro destinati al suddetto Fondo per il solo anno 2012: l'allocazione di tali risorse dimostra la «necessità» della dotazione oltre alla incapacità del Governo di garantirne la copertura per il prossimo anno. Si sottolinea, inoltre, che per il 2011 il FFO non potrà disporre dei 400 milioni di euro derivati dal cosiddetto «scudo fiscale», come disposto dall'articolo 2, comma 250, della legge finanziaria 2010 a parziale compensazione per il taglio previsto di 700 milioni del FFO per il 2010. Ne consegue che per il prossimo anno il Fondo di Finanziamento Ordinario avrebbe dovuto subire una riduzione di stanziamento pari a 1.026 milioni di euro. Il maxiemendamento approvato, che dispone uno stanziamento di 800 milioni sul FFO, corregge parzialmente tali poste di bilancio, si evita il disastro, ma non si può assolutamente dire che ciò rappresenti una inversione di tendenza rispetto alla politica dei tagli (il finanziamento complessivo del FFO quest'anno rimane quindi al di sotto di oltre 300 milioni rispetto allo scorso anno) né, a maggior ragione, dimostrazione di un investimento serio ed efficace del Governo sullo sviluppo del nostro sistema universitario.
Anche il Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario subisce una decurtazione di 20,3 milioni che porta la dotazione disponibile a 44,8 milioni; data la finalità del suddetto Fondo (a sostegno di iniziative, attività e progetti, Pag. 103incluse quelle didattiche), il taglio appare nella sua durezza, anche in considerazione del fatto che nel 2007 fu autorizzata una spesa di 117 milioni. Anche i contributi alle università e agli istituti superiori non statali sono ridotti di 28,2 milioni di euro.
Il programma Diritto allo studio nell'istruzione universitaria, nella versione del bilancio precedente il maxiemendamento, registrava una riduzione di ben 96,4 milioni di euro rispetto all'assestamento 2010, vale a dire di oltre la metà della dotazione. Nel maxiemendamento vi è stata una significativa ed apprezzabile correzione con uno stanziamento di 100 milioni per il diritto allo studio-fondo da ripartire tra le regioni; anche in questo caso, parliamo di tagli evitati, in questo caso di una vergogna evitata, non sicuramente di una politica di investimento.
Lo stanziamento complessivo per la missione Ricerca e innovazione, pari a 2.227,2 milioni di euro, è ridotto di 71,6 milioni di euro (-3,1 per cento) rispetto al bilancio assestato 2010 ed il maxiemendamento non lo ha migliorato. In particolare, il programma Ricerca per la didattica riporta una riduzione di 2,5 milioni di euro alla ricerca per la didattica, ripartita tra le spese per la realizzazione delle attività affidate all'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di istruzione e formazione ed all'Agenzia Nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica, in aperto contrasto con le dichiarazioni del responsabile del Dicastero a sostegno della valutazione e del merito, ed i contributi ad Enti ed istituti operanti nel settore dell'istruzione, dotato di 1,6 milioni di euro, con una riduzione di 1,3 milioni di euro. È altresì ridotto di 99,7 milioni di euro il programma Ricerca scientifica e tecnologica di base, a causa, in particolare, della diminuzione di 94,6 milioni del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca.
Sulla cultura basta leggere la perfetta corrispondenza delle dichiarazioni del Ministro Bondi con le tabelle del Bilancio di Previsione 2011 per capire la fondatezza della richiesta delle opposizioni di dimissioni inoltrata al Ministro qualche giorno fa. Dalle pagine del Foglio (08-10-2010) il Ministro denunciava la sua grande preoccupazione per il comparto dello spettacolo: «(...) rispetto all'anno in corso le risorse per lo spettacolo dal vivo sono scese da 402 milioni di euro a 262 milioni di euro per il prossimo anno. Se le cose non dovessero cambiare, non saremmo in grado di mantenere i livelli minimi di sopravvivenza delle principali attività dello spettacolo. Siamo già alle prese con il rischio di chiusura di teatri storici e della messa in cassa integrazione dei lavoratori dello spettacolo (...)».
Malgrado queste impegnative dichiarazioni, il quadro di bilancio in discussione che si figura registra nello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali un decremento di 288,9 milioni di euro, ben il 16,8 per cento in meno rispetto all'anno precedente. La spesa complessiva, lungi dal definirsi investimento, rappresenta lo 0,3 per cento del PIL, nel paese che possiede il 52 per cento del patrimonio artistico mondiale. Nel provvedimento in esame non è presente alcuno sforzo per ridurre almeno in parte lo stato di disagio dello spettacolo; nel programma Sostegno, valorizzazione e tutela del settore dello spettacolo, con stanziamento in conto competenza pari a 298,6 milioni di euro (-153,3 milioni di euro, rispetto al dato assestato 2010), gli stanziamenti per il Fondo unico per lo spettacolo (FUS), con 262,9 milioni di euro, sono ridotti del 36,6 per cento. Altresì va rilevato che 8,9 milioni di euro sono erogati a favore delle Fondazioni lirico- sinfoniche, portando la relativa quota del FUS a 117,1 milioni di euro. Il fondo unico per lo spettacolo ha quindi oggi un valore sui dati 2009 della metà rispetto al 1985 ed è decisamente al di sotto del bisogno e bisognerebbe almeno riportarlo ai valori della finanziaria del 2007, stanziando 550 milioni, per stare in un regime di mera sopravvivenza.
Il programma Tutela dei beni librari, promozione e sostegno del libro e dell'editoria, con uno stanziamento in conto competenza pari a 127,9 milioni di euro, viene decurtato di 21,3 milioni di euro rispetto Pag. 104al dato assestato 2010. Tale taglio comprende le somme destinate al funzionamento della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II di Roma, l'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane, il Museo dell'audiovisivo, il Centro per il libro e la lettura, i contributi a istituzioni sociali, le somme da erogare a enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi, i contributi ad enti e istituti culturali, il contributo all'Accademia Nazionale dei Lincei e al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea.
Altresì, il programma Tutela delle belle arti, dell'architettura e dell'arte contemporanea, tutela e valorizzazione del paesaggio, con uno stanziamento in conto competenza pari a 255,7 milioni di euro, è tagliato di 31,3 milioni di euro rispetto all'assestamento 2010.
La Valorizzazione del patrimonio culturale registra un decremento di 2,8 milioni di euro. Per la Tutela del patrimonio culturale vengono stanziati 192,8 milioni di euro: una cifra inferiore di 62,5 milioni di euro rispetto al dato assestato 2010. In particolare subiscono un taglio di 17,0 milioni di euro le somme destinate agli interventi urgenti al verificarsi di emergenze, relativi alla salvaguardia dei beni culturali e paesaggistici. Le somme per conservazione, potenziamento e realizzazione di progetti sperimentali, ivi compresa la manutenzione straordinaria di locali attinenti il patrimonio nazionale archeologico, storico, artistico e architettonico con un totale complessivo sono decurtati 17,2 milioni di euro. Come dire: attendiamoci altri crolli, come a Pompei. La voce ricerca in materia di beni e attività culturali, con uno stanziamento in conto competenza di 77,8 milioni di euro (pari al 5,4 per cento dello stanziamento del Ministero), registra un decremento di 66,4 milioni (-46,0 per cento) rispetto al bilancio assestato 2010.
Con riferimento al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si segnala che, a partire dal decreto-legge 112 del 2008 e con i successivi provvedimenti anticrisi, il Governo ha avviato un'incisiva riprogrammazione, riallocazione e rimodulazione delle risorse del Fondo Aree sottoutilizzate, anche per la quota di competenza regionale. Non si è realizzata, di contro, l'annunciata concentrazione di risorse FAS su interventi di rilevanza strategica nazionale al punto che il programma della legge obiettivo risulta inattuabile nei tempi e nelle dimensioni; un solo esempio riguardo alla difficile situazione programmatoria: i corridoi transeuropei intermodali di trasporto rischiano di vedere sottratte le risorse destinate dall'Unione europea a causa della mancata compartecipazione italiana.
Totalmente assenti indicazioni concrete sul sistema di mobilità che privilegino misure di riequilibrio del sistema modale su ferro.
Gli strumenti di politica economica adottati dal Governo incidono in misura rilevante sul servizio di trasporto e sulle infrastrutture connesse con una consistente riduzione dei trasferimenti operata con il decreto-legge n. 78 del 2010, che ha ridotto del 15 per cento il budget destinato al trasporto pubblico locale, penalizzando in particolare il trasporto ferroviario regionale con un taglio pari a circa 1200 milioni di euro; si riducono drasticamente così servizi essenziali per i cittadini, e contestualmente si aumenta il costo della mobilità sia con l'incremento delle tariffe autostradali sia con l'introduzione di nuovi pedaggi. Se aggiungiamo la richiesta di aumento delle tariffe ferroviarie senza alcun investimento di sistema possiamo delineare una prospettiva di aumento di tariffe per i cittadini a fronte di servizi inadeguati ed inaccettabili.
Nelle politiche del Governo sono del tutto assenti le necessarie misure di sostegno economico ai pendolari: secondo i dati CENSIS, i pendolari in Italia sono oltre 13 milioni (pari al 22,2 per cento della popolazione residente); di questi il 14,8 per cento - circa due milioni di persone - utilizza normalmente il treno, come unico mezzo di trasporto o in combinazione con altri mezzi, per spostarsi in ambito locale e metropolitano. Pag. 105
Gli utenti dei servizi di trasporto pubblico locale, in gran parte, rappresentano quella fascia di cittadinanza che più delle altre risente degli effetti della crisi economica; nella manovra 2011 non è prevista alcuna agevolazione fiscale per l'acquisto di abbonamenti mensili ed annuali ai servizi di trasporto pubblico urbano e ferroviario.
Con riferimento alla missione 14 (Infrastrutture pubbliche e logistica) e alla missione 19 (Casa e assetto urbanistico) - si segnala un decremento, rispetto alle previsioni assestate 2010, di 229,9 milioni di euro, pari al 7,6 per cento; in particolare la missione casa e assetto urbanistico subisce una decurtazione, che raggiunge, in termini percentuali, quasi il 34 per cento. Il taglio effettuato dal Governo è particolarmente grave, con pesanti ricadute sugli investimenti pubblici e sul sistema economico; la maggior parte dello stanziamento di competenza per il 2011 è infatti rappresentato da spese in conto capitale, le quali costituiscono il 95,8 per cento (pari a 2.690,7 milioni di euro) del totale dello stanziamento complessivo delle missioni 14 (Infrastrutture pubbliche e logistica) e 19 (Casa e assetto urbanistico).
Se si confronta la serie storica dal 2008 al 2011 degli stanziamenti previsti per le missioni 14 e 19 emerge che dopo il 2009 le risorse disponibili si sono ridotte drasticamente; la variazione più consistente è proprio quella prevista per il 2011: lo stanziamento complessivo previsto dalla manovra in esame per il 2011 sconta una riduzione di oltre 2 miliardi di euro rispetto al dato assestato 2010 (-38,7 per cento); la missione «Casa e assetto urbanistico» passa da uno stanziamento di 2.176 milioni di euro nel 2009 a 238 milioni di euro nel bilancio di previsione 2011 al nostro esame.
Ma anche altri importanti programmi subiscono tagli incisivi: il Programma 14.5 (Sistemi idrici, idraulici ed elettrici), che ha solo 29,9 milioni di euro di risorse, si riduce di 14,4 milioni di euro rispetto all'assestato 2010; il programma 14.10 (Opere strategiche, edilizia statale e interventi per calamità) - che rappresenta la maggior parte degli stanziamenti di competenza, e che riguarda le spese per investimenti collocate sul capitolo 7060 «Fondo da ripartire per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche di preminente interesse nazionale nonché per opere di captazione ed adduzione di risorse idriche» - registra, rispetto al dato assestato, un modesto incremento di 45,7 milioni di euro, pari al 2,7 per cento in termini percentuali.
Si rileva, infine, che se si considera la storica degli stanziamenti disposti dalle leggi finanziarie negli anni dal 2001 al 2010, relativi al cosiddetto «Fondo affitti» emerge che tale fondo, che aveva una «dote» di oltre 335 milioni nel 2001, si è ridotto nel 2010 a meno della metà, con poco più di 143 milioni di euro; la legge di stabilità 2011, alla tabella C ci dice che il Fondo affitti avrà, nel 2011, un quarto delle risorse del 2010, 33,55 milioni di euro! Secondo le previsioni, non andrà meglio nel 2012: 33,9 milioni di euro! Per il 2013 lo stanziamento del relativo capitolo «crolla» a 14,3 milioni di euro. Un taglio macroscopico che lascerà a regioni e comuni l'onere di sostenere un disagio sociale ormai a livelli elevati.
La situazione economico-finanziaria del Ministero dell'ambiente è drammatica. Le cose sono talmente gravi da mettere in discussione il ruolo stesso del Ministero dell'ambiente, la possibilità materiale d'incidere nelle politiche, di contare nei contesti internazionale, di guidare ed indirizzare le azioni settoriali d'interesse nazionale anche in ambiti delicati dove si gioca la vita delle persone come quelli della difesa suolo e dell'assetto idrogeologico.
Lo stanziamento complessivo di competenza iscritto nello stato di previsione per il 2011 risulta ridotto in maniera considerevole passando da uno stanziamento assestato di 746,6 milioni a soli 513,9 milioni di euro (-232,7 mln), con una riduzione in termini percentuali pari al 31,2 per cento. Gli stanziamenti più penalizzati sono quelli attribuiti alla missione 18 (Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente) che registrano Pag. 106una diminuzione di 212,9 milioni di euro (pari a -35,2 per cento) rispetto alle previsioni assestate 2010. La Missione 18 contiene i programmi più importanti di competenza del Ministero dell'ambiente e corrisponde al cosiddetto ecobilancio che rappresenta la parte più importante degli stanziamenti disposti per la tutela dell'ambiente nell'ambito delle politiche di bilancio dello Stato. L'ecobilancio ha subito negli anni una drastica riduzione passando da oltre 2,3 miliardi di euro erogati nel 2008 a soli 764 milioni di euro allocati nel bilancio di previsione 2011 (-67,5 per cento).
In particolare si riduce di 42,3 milioni di euro rispetto al dato assestato 2010 (-59 per cento) il Programma 18.3, Prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento, le cui risorse sono ora pari a soli 29,4 milioni di euro; il Programma 18.5, Sviluppo sostenibile, le cui risorse sono pari a 68,9 milioni di euro, con una riduzione rispetto al dato assestato di 27 milioni di euro (-28,2 per cento).
All'interno di tale programma c'è il fondo per l'efficientamento energetico e per la produzione di energie rinnovabili; il Programma 18.12, Tutela e conservazione del territorio e delle risorse idriche, trattamento e smaltimento rifiuti, bonifiche; in particolare sono ridotti gli stanziamenti per gli interventi per la tutela del rischio idrogeologico e relative misure di salvaguardia la cui dotazione passa da oltre 40 milioni di euro a 31 milioni di euro.
In apparenza meglio va al Ministero della difesa, ma solo in apparenza. Esaminata la tabella 11, relativa allo stato di previsione del Ministero della difesa per il 2011 e per il triennio 2011-2013, nonché, per quanto di competenza, le connesse parti del disegno di legge di stabilità per l'anno 2011, si conferma una riduzione di 320,4 milioni di euro per le spese di esercizio (meno 18,2 per cento rispetto al 2010); è previsto un incremento di 266,3 milioni di euro per investimenti sui sistemi d'arma (più 8,4 per cento rispetto al 2010).
Per effetto di tali variazioni le risorse per la funzione difesa che nel 2010 sono risultate pari a 14.295 milioni di euro raggiungono i 14.327,6 milioni di euro con un incremento di 32,6 milioni di euro in valore assoluto pari allo 0,2 per cento in percentuale, senza, peraltro, che a un tale incremento corrispondano significativi effetti positivi per l'efficienza del nostro strumento militare. Il modesto incremento risulta come il combinato disposto di tagli consistenti alle spese per l'esercizio coperti dalle maggiori risorse che si intende impiegare per sostenere i programmi di armamento. Una scelta più che discutibile, per quanto riguarda i tagli all'Esercizio la stessa «Nota aggiuntiva» del Ministro della difesa che accompagna i documenti finanziari critica le conseguenze derivanti dalle minori risorse disponibili sostenendo che senza interventi correttivi «la prontezza operativa dello strumento militare rimarrà al livello minimo necessario per far fronte agli impegni internazionali, con il rischio di veder aumentare le criticità che la caratterizzano».Si conferma poi il taglio di 304 milioni di euro sui fondi per il reclutamento e «sostanziano il rischio potenziale di un blocco generalizzato dei reclutamenti e delle progressioni dei volontari nel servizio permanente con la perdita di qualificate professionalità e un forte impatto negativo sulle capacità dello strumento operativo». L'eventuale sospensione del reclutamento metterebbe in crisi non solo la scelta della sospensione del servizio di leva obbligatorio, ma comporterebbe anche l'impossibilità di far transitare nel servizio permanente (cioè con un contratto a tempo indeterminato) soldati trattenuti in servizio a tempo determinato dopo 5-7 anni di impiego operativo sul territorio nazionale e anche fuori area.
Per quanto riguarda il Ministero del lavoro, il programma 25.3 «Previdenza obbligatoria e complementare, assicurazioni sociali» presenta un decremento di 3.733,47 milioni con una previsione assestata per il 2011 di 50.156,35 milioni a fronte di una previsione per il 2011 pari a 53.889,82. Il capitolo 7206 recante «Fondo sociale per l'occupazione e la formazione», invece, a fronte di una previsione assestata 2010 pari a 3.226,32 milioni di euro, presenta un decremento di 2.340,04 Pag. 107milioni di euro con la conseguente previsione per il 2011 pari a 886,28 milioni di euro. Per gli anni 2012-2013 è previsto uno stanziamento pari a 627,38 milioni di euro. Tale misura ha avuto una parziale correzione con il reintegro disposto nel maxi emendamento di 1 miliardo di euro per l'anno 2011 per l'autorizzazione di spesa relativa proprio al Fondo sociale per l'occupazione e la Formazione.
Sul piano delle politiche sociali non solo si evidenzia la totale assenza di misure positive in campo sanitario e sociale atte a migliorare sia qualitativamente che quantitativamente la situazione esistente, ma non è sbagliato, come hanno fatto i colleghi della Commissione affari sociale, anche nei lavori in sede referente della del V Commissione parlare di vera e propria cancellazione.
Il Governo ha confermato la decurtazione di tutti i principali Fondi relativi alla spesa sociale, primo fra tutti, il Fondo nazionale per le politiche sociali che vede per il 2011 uno stanziamento da ripartire per le regioni pari solo a 75 milioni di euro, a fronte dei 435 milioni per il 2010.
Inoltre, si tolgono risorse al Fondo per l'infanzia e l'adolescenza che passa nel giro di tre anni da 44.467 a 39.964, al Fondo per le politiche della famiglia che passa dai 280 milioni del 2008 agli attuali 52.466 fino al totale azzeramento del Fondo per la non autosufficienza - di cui all'articolo 1, comma 1264, della legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296 - che ammontava ad oltre 400 milioni di euro e che semplicemente non è stato rifinanziato. Analoga sorte subisce il fondo per l'inclusione sociali degli immigrati.
Vengono poi traditi gli impegni presi con le Regioni nel Patto per la salute visto che il trasferimento alle regioni per evitare l'applicazione dei ticket sulla specialistica e diagnostica ammonta a 347 milioni sui previsti 834. Pertanto, dal 1o giugno 2011 scatteranno nuovi ticket sanitari. Nel maxiemendamento si registra una parziale correzione, ma del tutto insufficiente correzione di rotta su alcune voci della spesa sociale: il fondo sociale è stato aumentato di 200 milioni perciò oggi ammonta a 275 (meno 140 milioni); il fondo del 5 per mille ammonta a 100 milioni (300 milioni in meno del 2010), il fondo per le pari opportunità ottiene 15 milioni che si aggiungono ai 2 previsti nelle tabelle iniziale ma registra una decurtazione di oltre il 50 per cento.
Il fondo per le politiche giovanili, invece, già passato da 94 milioni a 33, viene ulteriormente decurtato di 19,5 milioni e si riduce a 13 milioni. Sarebbe a questo punto cosa buona e giusta abolire un ministero già inutile e per di più senza risorse.
Le politiche di integrazione degli stranieri rimangono a zero, così come il bonus famiglia, la tanto sbandierata ad inizio legislatura social card.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI DONATELLA FERRANTI E GIUSEPPINA SERVODIO IN SEDE DI DISCUSSIONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEI DISEGNI DI LEGGE NN. 3778-A E 3779-A

DONATELLA FERRANTI. Nel metodo abbiamo già stigmatizzato nel parere contrario espresso in Commissione Giustizia la riproposizione di uno schema consolidato: una manovra per decreto, l'abbandono di qualunque logica programmatoria, lo svuotamento della sessione di bilancio e delle sue regole e, per questa via, l'impossibilità per il Parlamento di discutere e di esercitare il suo ruolo di indirizzo sulla politica economica; è stato abbondantemente sottolineato come sulla sostenibilità delle misure per le amministrazioni pubbliche e sulla effettiva realizzabilità dei risparmi attesi si rifletta l'inadeguatezza di tagli indifferenziati e non selettivi che si traducono certamente, nella riduzione della funzionalità della pubblica amministrazione e dei servizi ai cittadini.
L'uscita dalla crisi doveva essere un'opportunità per porre le basi per attuare riforme strutturali, che accrescano la produttività e la competitività del nostro Paese che necessariamente passa anche Pag. 108attraverso adeguati investimenti nel settore della Giustizia ,soprattutto in quello civile.
È grave che non sia stato indicato nella DFP alcun disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, per le parti di competenza della II Commissione, in particolare: lo stato di previsione del Ministero della Giustizia reca spese finali per complessivi 7.203,97 milioni di euro in diminuzione del 2,8 per cento rispetto al 2010 (-205,7 milioni di euro); lo stanziamento complessivo per il programma Amministrazione penitenziaria è in diminuzione rispetto al 2010 di 75, 4 milioni di euro. Diminuiscono in particolare le spese riguardanti il mantenimento, l'assistenza e la rieducazione dei detenuti e questo è un ulteriore affronto alla già disperata situazione delle nostre carceri.
È inutile ed ipocrita quindi mettere in atto comunicati e prese di posizioni trasversali per ogni suicidio che purtroppo quasi quotidianamente si verifica, se la situazione continua ad essere quella attuale: se mille detenuti continuano a sopravvivere in istituti che ne possono contenere cento; se il 16 % dei carcerati soffre di depressioni e disturbi psichici e gli psicologi e gli educatori continuano ad essere in rapporto gravemente inadeguato; se inevitabilmente nelle carceri, tranne qualche eccezione, si realizza l'annullamento della persona più che un percorso di rieducazione guidata e se alcuni padiglioni, ad esempio a Velletri e a Rieti, ognuno per 200 posti, nuovi di zecca non possono essere aperti e resi funzionanti per la mancanza della polizia penitenziaria, in grave sottorganico, nonostante le promesse di nuove assunzioni mai avvenute.
Tra l'altro è bene non dimenticare che il Commissario straordinario per l'attuazione del piano carceri, pur dotato di 600 milioni di euro allocati nella contabilità speciale del Commissario e di uno spazio normativo estremamente semplificato, a distanza di quasi un anno dalla sua istituzione, è molto lontano dal vedere la luce attraverso la costruzione dei nuovi padiglioni e dei nuovi istituti; per il programma 1.2 Giustizia civile e penale (al quale sono ricondotte attività fondamentali come la verbalizzazione degli atti giudiziari, l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia civile e penale, le attività inerenti le notifiche, le esecuzioni e i protesti in materia giudiziaria), preoccupa fortemente ai capitoli 1200.3 e 1402.3 il taglio di 119 milioni di euro ai compensi per lavoro straordinario, che intervenendo in una situazione di carenza quasi strutturale di personale rispetto all'organico fissato, rischia di provocare il definitivo collasso del sistema giudiziario italiano.
È bene ricordare che le dotazioni organiche del personale giudiziario hanno subito una prima riduzione nell'anno 2001, prima col Decreto Ministeriale del 2 agosto 2002, poi con la legge finanziaria per il 2005, con il Decreto Ministeriale dell'8 marzo 2007 e, da ultimo, pesantemente con la legge n. 133 del 2008 di conversione del Decreto Legge n. 112 del 2008 ,tagliando di un ulteriore 10 % . In dieci anni dai 53.000 dipendenti si è passati alle attuali 40.000; l'emorragia sarà inevitabile con circa 1000 cessazioni dal servizio a vario titolo ogni anno; senza contare il blocco delle assunzioni che fanno risalire gli ultimi concorsi per cancellieri al 1999-2000.
Non va trascurato che un'ulteriore colpo al funzionamento del servizio si è realizzato attraverso il contratto collettivo nazionale integrativo del personale sottoscritto solo da alcune sigle sindacali; CISL, UNSA e Intesa (nel timore verosimilmente di rimanere intrappolati nella manovra finanziaria Tremonti che blocca gli stipendi a quanto percepito nel 2010), contrari tra gli altri CIGL e UIL.
In cambio di un piccolo incremento economico, mediante l'utilizzo del FUA, è stato realizzato l'abbandono del processo di riqualificazione del personale che era oggetto del precedente contratto integrativo ,rimasto inattuato; la mortificazione delle fasce apicali delle tre aree (vecchie fasce A1, B3 e C3, che restano sostanzialmente Pag. 109bloccate, il demansionamento di diverse figure professionali (cancellieri B3 II livello ed esperti informatici B3).
Il quadro complessivo è di completa dequalificazione,per un personale mal pagato, demotivato, che non viene formato e riqualificato, ove le scoperture impongono carichi di lavoro sempre crescenti e per i quali ci si permette di tagliare ulteriormente la quota degli straordinari. (che non rappresentano un superfluo, ma l'indispensabile per sopperire alle necessità di funzionamento degli Uffici giudiziari).
Non ci si rende conto che il personale giudiziario non svolge un'attività amministrativa genericamente fungibile con quella di altre amministrazioni ma ha una propria specificità in quanto è strettamente connesso e strumentale all'esercizio della giurisdizione; oppure ci si rende conto e proprio per questo si vuole alimentare le premesse per il tracollo definitivo!
Un dato è significativo: a titolo esemplificativo nel 2009 i giudici penali del tribunale di Roma hanno depositato, quindi scritto, 26.000 sentenze che giacciono negli armadi perché non c'è il personale giudiziario per compiere le attività di pubblicazione.
Il rischio di prescrizione quindi è concreto, ma certo non dipende da una inattività degli operatori della giustizia ,dalla scarsa laboriosità come spesso si vuole far credere, ma dall'inerzia organizzativa e programmatica del Ministro per la Giustizia.
Nello stato di previsione del Ministero dell'Interno di interesse della Commissione, tra le variazioni più significative e deprecabili si segnalano il capitolo 2384 (Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso) con un taglio di 24,8 milioni e il taglio di 15,4 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2010 delle risorse destinate ai programmi di protezione dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari (3.3/2840); in occasione dell'approvazione del decreto-legge n. 112 del 2008, a fronte dei tagli subiti e delle drammatiche prospettive per il futuro, il Ministro Alfano da un lato ed il Ministro Maroni dall'altro avevano rassicurato che i tagli dei rispettivi Ministeri sarebbero stati riassorbiti tramite la creazione di un Fondo introdotto dall'articolo 61, comma 23, del decreto-legge, quantificato in sede di dichiarazioni dei Ministri in oltre un miliardo di euro, in cui avrebbero dovuto confluire tutte le somme di danaro sequestrate ed i proventi derivanti dai beni confiscati nell'ambito di procedimenti penali o di misure di prevenzione, di cui una parte avrebbe dovuto essere destinata alla tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico ed una quota «al potenziamento dei servizi istituzionali del Ministero della giustizia»; il Governo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2010, il cui iter è in corso di perfezionamento, sulla base delle entrate affluite nell'esercizio 2009, ha determinato in 158 milioni di euro (ovvero il 25 per cento dei circa 632 disponibili) la quota delle risorse del Fondo unico giustizia da ripartire ai Ministeri. Nel frattempo, un decreto interministeriale ha già provveduto alla ripartizione dei 158 milioni di euro disponibili.
Avendo il Ministero dell'economia, per il 2009, rinunciato alla sua quota, 79 milioni di euro sono stati assegnati al Ministero della giustizia ed altrettanti risultano assegnati al Ministero dell'interno; del miliardo di euro di cui parlarono i ministri restano, quindi, soli 158 milioni di euro che ancora devono poter essere assegnati e resta una vicenda che molto racconta della inefficienza dell'azione amministrativa e legislativa di questo Governo, dell'assoluta superficialità e noncuranza con cui si affronta il problema della funzionalità della Giustizia.
In realtà, infatti, a parte i tagli lineari non è stato fatto nulla per migliorare la qualità ed i tempio del servizio reso ai cittadini.
Nulla per la riorganizzazione degli ambiti di competenza territoriale degli Uffici Giudiziari ancorati al 1800, nulla per prevedere la copertura o l'adeguamento degli organici dei magistrati ordinari e del personale giudiziario; nulla per la realizzazione dell'informatizzazione secondo sistemi sinergici, operativi ed uniformi sul Pag. 110territorio nazionale; nulla per impedire l'aumento abnorme della popolazione carceraria e per garantire che la pena abbia un'effettiva funzione rieducativa (lavoro in carcere, momenti di socialità interna, presenza adeguata di personale penitenziario e civile), nulla per la razionalizzazione dei costi per le intercettazioni telefoniche, senza andare a limitarne l'uso come strumento investigativo, prendendo spunto e uniformandosi alle buone prassi attivate da alcuni Uffici giudiziari (ad esempio la Procura della repubblica di Roma), nulla che riconosca la specificità e le peculiari esigenze professionali di carriera, anche economica, per il personale giudiziario e per la magistratura onoraria, mortificata e relegata a pietire continue proroghe di fine anno.
Dopo due anni e mezzo di legislatura sprecati ad individuare le forma giuridica per garantire l'impunità al Presidente del Consiglio nei processi che lo riguardano, ormai è a chiaro a tutti che della giustizia per i cittadini a questo Governo non interessa proprio niente.
E la lettura del bilancio 2011 e la legge di stabilità costituiscono la prova evidente che non può più essere contraddetta con le chiacchiere e le promesse demagogiche!

GIUSEPPINA SERVODIO. Dopo lunghe traversie e, grazie all'impegno del Partito Democratico e alle prese di posizione delle organizzazioni agricole, il Governo ha recepito nel disegno di legge di stabilità una delle proposte, da mesi disattesa e rinviata, relativa alla stabilizzazione delle agevolazioni contributive per le aree svantaggiate e di montagna.
Il 31 luglio sono scadute le proroghe e ciò ha comportato un aumento del costo del lavoro tra il 15 ed il 25 per cento per le imprese agricole, che - già in grande difficoltà - hanno rischiato di chiudere la propria attività.
Un'altra proposta del Partito Democratico è stata accolta in Commissione bilancio e riguarda le agevolazioni per favorire la proprietà coltivatrice.
Queste novità non sono affatto sufficienti a modificare la nostra valutazione negativa sul disegno di legge di stabilità, che ha penalizzato il comparto agricolo, dimenticandone emergenze e i nodi strutturali.
Il Governo ha scelto una linea minimalista per intervenire sulla crisi, senza una efficace politica anticiclica, rinunciando a rispondere ad una sfida che richiede il governo dei costi di produzione, l'incremento di valore del prodotto, l'innovazione dei processi produttivi, un forte ricambio generazionale e misure tese a promuovere aggregazione, efficienza delle filiere. Neppure le imprese che hanno puntato alla innovazione e alla modernizzazione, neppure le esperienze di eccellenza imprenditoriale hanno trovato udienza nell'azione del Governo, che ha dimenticato di promuovere una politica del credito necessaria per il sostegno degli operatori che rischiano.
Mai così centrale e strategica, mai tanto marginale nelle politiche economiche di questo Governo.
Non mi sembra fuori luogo richiamare in questo dibattito le parole di Papa Benedetto XVI all'Angelus di Domenica scorsa: «La crisi economica in atto ha numerose cause e manda un forte richiamo ad una revisione profonda del modello di sviluppo economico globale. In questo quadro, appare decisivo un rilancio strategico dell'agricoltura. Infatti, il processo di industrializzazione talvolta ha messo in ombra il settore agricolo, che, pur traendo a sua volta beneficio dalle conoscenze e dalle tecniche moderne, ha comunque perso di importanza, con notevoli conseguenze anche sul piano culturale. Mi pare - continua il Papa - il momento per un richiamo a rivalutare l'agricoltura non in senso nostalgico, ma come risorsa indispensabile per il futuro.
Occorre puntare su un nuovo equilibro tra agricoltura, industria e servizi, perché lo sviluppo sia sostenibile, a nessuno manchino il pane e il lavoro, e l'aria, l'acqua e le altre risorse primarie siano preservate come beni universali».
Non possiamo non riflettere su questo importante messaggio: riscoprire valori e missioni e sostenere concretamente l'antica Pag. 111funzione economica e produttiva dell'agricoltura italiana, evitandone il declino.
Gli agricoltori italiani hanno sopportato durissimi colpi causati dalla crisi dell'economia mondiale in un clima di grande indifferenza da parte del Governo. Sono calati il valore della produzione e i prezzi di base con una preoccupante flessione delle quantità prodotte e della occupazione. I giovani che hanno tentato di cimentarsi in questa attività sono rimasti delusi e indifesi a fronte, invece, delle opportunità che in altri Paesi della Comunità europea sono state attivate per spingere le nuove generazioni a misurarsi nella attività agricola, trovando regole, incentivi e modelli organizzativi a supporto del rischio. Rispetto ad una media dell'Unione europea del 12 per cento per gli agricoltori italiani il calo dei redditi è stato del 25 per cento.
Questa drammatica situazione non ha avuto il necessario spazio nell'azione del Governo, che ha irresponsabilmente sottovalutato il valore strategico dell'agroalimentare per una ripresa produttiva, economica e occupazionale del sistema Italia.
Assenza, omissioni e tagli, queste sono le risposte del Governo, non solo sul mantenimento di misure ordinarie, ma anche su una governance del comparto in direzione di un modello multifunzionale e intersettoriale. È un errore non dare valore anche economico al servizio pubblico che di fatto l'agricoltura assicura.
Altri Paesi della Comunità Europea hanno tempestivamente messo in campo interventi straordinari, assicurando all'agricoltura precondizioni per affrontare la crisi generale, anzi hanno fatto leva proprio sull'agricoltura per contrastare la stessa crisi economica e occupazionale.
Il Partito Democratico in questi anni ha puntualmente e insistentemente proposto al Governo di adottare una strategia per accompagnare la distintività del Made in Italy, atteso che nel futuro l'agricoltura sarà sempre più plurale. L'Italia - da questo punto di vista - presenta vocazioni e tradizioni plurali; ha agricolture diverse, con proprie specificità, legate ai territori, alla ruralità, all'ambiente, al paesaggio e al turismo. Questa differenzazione dell'agricoltura italiana è una ricchezza. Purtroppo il Governo non ha voluto coglierla e considerarla quale volano per la complessiva ripresa di competitività del Paese. Un esempio di miopia del Governo riguarda la ricerca, alla quale sono state sottratte necessarie risorse e alla quale non è stata garantita una riforma. La ricerca in agricoltura nel nostro Paese ha rappresentato un fiore all'occhiello negli anni scorsi. Il futuro del Paese si gioca proprio sull'innovazione e l'agricoltura italiana ne ha bisogno; non può essere lasciata soltanto alla iniziativa privata, ma va coordinata, promossa e sostenuta dalle istituzioni pubbliche.
Si tratta di un fallimento che segnala un profondo motivo di crisi di questo Governo, che avrà purtroppo una ricaduta anche sulla capacità dell'Italia di presentare una chiara proposta sulla riforma della politica agricola comune dopo il 2013, che modificherà le misure in agricoltura per il prossimo futuro. Questa debolezza e assenza del Governo italiano nel confronto con gli altri paesi della Comunità europea ci preoccupa molto e il Partito Democratico, sia in Commissione che in quest'Aula, ha puntualmente incalzato il Governo a farsi carico di questa delicata e importante fase.
Il confronto in quest'Aula non so se determinerà ulteriori misure positive per il comparto agricolo. Noi le proponiamo attraverso gli emendamenti. Tocca al Governo farsene carico.