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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 358 di lunedì 26 luglio 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 11,05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 luglio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brigandì, Brunetta, Buonfiglio, Burtone, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 2228 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica (Approvato dal Senato) (A.C. 3638).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3638)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Unione di Centro, Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore per la maggioranza, onorevole Gioacchino Alfano, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIOACCHINO ALFANO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Viceministro Vegas, il decreto-legge che cominciamo ad esaminare è stato adottato dal Governo per affrontare la congiuntura economica e finanziaria descritta dalla Relazione unificata sull'economia Pag. 2e sulla finanza pubblica elaborata dal Governo all'inizio del mese di maggio, ma anche per dare una risposta alle pressioni che si sono determinate sui mercati finanziari internazionali a seguito dell'emersione della gravissima situazione di deficit delle finanze greche.
Come chiaramente affermato dal Ministro Tremonti durante l'esame in Commissione bilancio, per effetto della crisi i problemi finanziari originati in importanti Paesi stranieri da una crisi del debito privato si sono trasferiti in ambito pubblico. A fronte di tale esigenza, vi è stata una risposta coordinata di tutti i principali Paesi europei a seguito di un Consiglio straordinario dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione e di una riunione Ecofin, rispettivamente del 7 e 10 maggio scorso.
Occorre, quindi, sottolineare che la manovra può essere definita di matrice europea, nel senso che, in questo dato momento storico, a fronte dei problemi finanziari emersi, non si poteva che ricorrere, in un'area omogenea come quella europea, a misure del tenore di quelle proposte, anche se non vi fosse stata, per assurdo, l'Unione europea.
Alla base della manovra vi è dunque una riflessione politica sulla necessità di porre rimedio ad una dinamica sociale ed economica non più sostenibile a livello europeo, laddove si è registrata una forte asimmetria tra la ricchezza prodotta e le spese sostenute.
Possiamo sicuramente affermare che questa manovra è anticipata rispetto alle scadenze naturali, in quanto intende ridurre l'incertezza degli operatori economici, rendendo evidente che la politica di bilancio è al momento fermamente orientata a raggiungere gli obiettivi indicati, con un impatto, a regime, quantificato pari a circa l'1,5 per cento del PIL.
Questa manovra si colloca nella fase di consolidamento della ripresa, tenendo presente che la crisi del biennio 2008-2009 non ha ancora esaurito, purtroppo, i suoi effetti, sia sull'economia reale sia sulla finanza pubblica. Per quanto attiene al quadro economico, ricordo che in Europa, nel corso del 2009, si è registrata una significativa contrazione del tasso di crescita dell'economia pari al 4,2 per cento (gli effetti nell'area euro sono del 4,1 per cento).
Inoltre, nel medesimo periodo l'indebitamento netto dell'area euro rispetto al prodotto interno lordo è passato dal 2 per cento del 2008 al 6,3 per cento del 2009 e un ulteriore aumento è atteso nell'anno in corso (si stima, circa, del 6,6 per cento).
Peraltro, in Paesi come Francia e Spagna si registra una situazione ancora peggiore. Al di fuori dell'eurozona, il Regno Unito dovrebbe registrare nel 2010 un indebitamento netto nell'ordine dei 12 punti percentuali sul PIL. L'incremento del disavanzo ha concorso a causare un aumento di circa dieci punti del rapporto fra debito e PIL tra il 2008 e il 2009. Tale trend appare confermato anche per il 2011, con una previsione in aumento fino all'84,7 per cento.
Per quanto riguarda l'Italia la relazione unificata sull'economia e sulla finanza pubblica ha previsto che l'indebitamento netto dovrebbe attestarsi nell'anno in corso su un valore pari al 5 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di un andamento dell'economia che, dopo aver registrato una consistente riduzione del 2009, torna a mostrare nell'anno in corso valori positivi, sia pur modesti.
Un lieve miglioramento è previsto negli anni successivi quando, in corrispondenza di un progressivo aumento del PIL, il disavanzo dovrebbe ridursi fino al 4,3 per cento nel 2012. In relazione all'evoluzione attesa per il deficit di bilancio e per il prodotto interno lordo, il debito è previsto aumentare dal 115,8 per cento del 2009 al 118,4 per cento del 2010; un ulteriore aumento al 119,5 per cento è previsto per il 2011.
Rispetto all'ultimo documento di programmazione, la relazione ha rivisto in senso prudenziale le stime, anche per quanto riguarda la crescita dell'economia, passando, nel 2010, dall'1,1 per cento all'1 per cento e, nel 2012, dal 2 per cento all'1,5 per cento (ovvero vi è una riduzione), Pag. 3mentre sono confermati gli obiettivi programmati sull'indebitamento netto.
Il decreto-legge in esame costituisce lo strumento necessario al fine di adottare gli interventi correttivi già delineati dalla relazione. Tali obiettivi riflettono gli impegni assunti in ambito europeo con l'aggiornamento del Programma di stabilità del 2010. Faccio presente, peraltro, che in sede europea nel novembre scorso è stata concordemente valutata l'opportunità, alla luce delle situazioni finanziarie internazionali, di impegnare gli Stati membri ad assumere tempestivamente le misure necessarie ad assicurare la stabilità delle finanze pubbliche nel breve e nel medio periodo, al fine di assicurare i mercati e di rafforzare la moneta unica. In particolare è stato chiesto agli Stati membri, che presentavano, come in Italia, uno scostamento dei conti pubblici rispetto agli obiettivi fissati con il Trattato di Maastricht, di presentare i rispettivi interventi correttivi entro il 2 giugno 2010. A tal proposito, vorrei chiarire che le valutazioni del novembre scorso non avevano carattere perentorio e che la decisione effettiva circa la necessità di anticipare gli interventi, che - lo ribadisco - sarebbero stati assunti comunque, ma un mese dopo, è stata assunta solo a seguito delle richieste in quella riunione all'inizio dello scorso mese di maggio. In effetti, vi è stata una anticipazione che è servita.
Segnalo inoltre che tutti i Paesi principali dell'Unione europea, ivi compresa la Germania, comunemente presa a modello per la stabilità dei conti, hanno adottato manovre correttive volte a prevedere drastiche e talvolta anche più dolorose disposizioni di riduzione della spesa.
Vorrei ancora sottolineare come in nessun Paese europeo si sia deciso di intraprendere la strada di puntare alla soluzione dei problemi attraverso un aumento delle entrate, come alcuni sostengono, perché tale scelta è stata considerata controproducente. Ricordo inoltre che la comunicazione del 30 giugno 2010 della Commissione europea, che la Commissione bilancio sta esaminando in questi giorni insieme alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), ha delineato l'introduzione di un semestre europeo. Si dovrà realizzare, in sostanza, una sorta di sessione di bilancio a livello europeo nella quale tutti gli Stati membri, prima di presentare le rispettive manovre finanziarie interne, dovranno discuterne insieme il contenuto; dovrà così realizzarsi un coordinamento tra i diversi Paesi e un confronto reciproco sull'andamento delle rispettive finanze. Questo provvedimento anticipa tale linea di tendenza e concorre all'adozione di una sorta di finanziaria comune a livello europeo.
Con il presente decreto-legge, che si pone in linea di continuità con la legge finanziaria per il 2010, l'Italia compie quell'opera di messa in sicurezza dei propri conti al fine di evitare fenomeni di tipo speculativo analoghi a quelli che hanno investito altri Paesi europei.
Si è quindi resa necessaria una manovra assai rilevante, che pur senza aumentare la pressione fiscale richiede tuttavia sacrifici ai dipendenti pubblici, che negli ultimi anni hanno beneficiato di aumenti mediamente maggiori di quelli ottenuti dai dipendenti dei settori privati. L'intervento è assolutamente necessario anche alla luce della procedura aperta in sede europea per il disavanzo eccessivo a carico dell'Italia.
Lo sforzo del Governo e della maggioranza è stato quello di assicurare un'equa ripartizione del carico della manovra correttiva tra i vari enti territoriali e tra le diverse categorie sociali. Se guardiamo al quadro complessivo degli interventi previsti, possiamo notare lo sforzo compiuto dal Governo di agire in maniera pressoché esclusiva su due versanti, la riduzione della spesa pubblica e la lotta all'evasione fiscale, con misure che possono raccogliersi in quattro principali capitoli: enti locali, pubblica amministrazione, entrate e previdenza.
Come si evince dalla nota informativa trasmessa nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento, il richiamato contenimento della spesa pubblica sarà Pag. 4pari a circa 8 miliardi di euro nel 2011, a 14,9 miliardi di euro nel 2012 e a 17 miliardi di euro nel 2013.
In questo quadro si è reso necessario un significativo apporto al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali, che a regime contribuiranno con circa 8,5 milioni di euro.
La consistente riduzione delle risorse destinate agli enti territoriali non pregiudicherà tuttavia in alcun modo l'attuazione del federalismo fiscale (articolo 14, comma 2) ed anzi potrà essere un'occasione per una razionalizzazione della finanza degli enti territoriali medesimi, più volte invocata.
Il provvedimento peraltro rivela alcune potenzialità che, se ben utilizzate, potranno rappresentare un incentivo allo sviluppo anche per le regioni del Mezzogiorno: ricordo in particolare le disposizioni relative a forme di fiscalità di vantaggio ed alla creazione di zone cosiddette a burocrazia zero. La necessità di uno snellimento degli apparati burocratici e di un contenimento delle dinamiche di crescita della spesa, che ha raggiunto l'insostenibile soglia del 52,5 per cento del PIL, è alla base della filosofia che ha ispirato le analoghe manovre adottate negli altri Paesi europei.
La situazione relativamente migliore dell'Italia, anche grazie all'azione prudente e rigorosa perseguita dal Governo sul versante del deficit, ha consentito di effettuare una correzione relativamente contenuta, pari a circa 25 miliardi nel triennio.
Desidero inoltre sottolineare che il decreto-legge introduce importanti norme volte a rendere più efficace il contrasto all'evasione fiscale, perseguito con grande determinazione dal Governo. In particolare, ricordo le misure volte a potenziare il cosiddetto redditometro e l'introduzione della fattura telematica per importi superiori a 3.000 euro, nonché i controlli più incisivi su taluni fenomeni e comportamenti elusivi.
Più nel dettaglio, rilevo come l'esame da parte del Senato abbia sostanzialmente confermato l'impianto generale della manovra senza operare una modifica dei saldi complessivi. Va anzi sottolineato come le modifiche introdotte dall'altro ramo del Parlamento siano in realtà virtuose, in quanto determinano un'ulteriore riduzione dell'indebitamento netto per 77,3 milioni di euro nel 2011, 86,2 milioni di euro nel 2012 e 54,6 milioni di euro nel 2013 (nel 2012 la correzione arriva dunque a 25.068 milioni di euro).
Rilevo inoltre come, con riferimento alla manovra netta negli anni 2011-2013 ovvero alla correzione del deficit operata attraverso un miglioramento dei saldi, essa operi prevalentemente attraverso il contenimento della spesa e, al suo interno, della componente di parte corrente.
È questa un'inversione di rotta di fondamentale importanza che tende a correggere lo squilibrio strutturale della finanza pubblica e che, come tale, va guardata con grande favore.
Signor Presidente, nella mia relazione esamino i punti che ho citato, ma le chiederei l'autorizzazione a consegnare il testo. Passerei quindi all'ultima parte del mio intervento, quella delle conclusioni, che rappresenta la parte più importante in quanto fa riferimento al lavoro in Commissione.
In effetti, abbiamo esaminato il provvedimento consapevoli di quelle che erano le dichiarazioni del Governo, e quindi la necessità di assicurare la conversione in legge del provvedimento ha imposto ovviamente limiti molto stretti nell'ambito di manovra a nostra disposizione.
Tuttavia, credo che l'esame che abbiamo svolto nell'ambito della Commissione bilancio - anche grazie al contributo dei gruppi di opposizione - non sia stato inutile: mi sembra importante infatti che, anche senza apportare modifiche, la Commissione ha potuto svolgere un ampio dibattito sul contenuto del decreto-legge e sulle scelte di politica economica del Governo.
In questa discussione abbiamo potuto ascoltare e discutere le scelte del Governo e della maggioranza e valutare le proposte di modifica e di integrazione al testo da parte dell'opposizione, che in alcuni casi Pag. 5appaiono meritevoli di approfondimento e che potranno comunque essere considerate in occasione dell'esame di futuri provvedimenti.
Signor Presidente, auspico comunque che nel futuro - grazie anche alla riforma dei Regolamenti parlamentari - possano finalmente essere definite modalità di esame delle manovre finanziarie e dei provvedimenti collegati che consentano a tutti e due i rami del Parlamento di concorrere alla definizione delle linee essenziali di politica economica del nostro Paese.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Gioacchino Alfano, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Pier Paolo Baretta.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, colleghi, dopo due anni di tentativi falliti da parte del Governo di risanare i conti pubblici, di far ripartire il PIL e la competitività pubblica e privata, di creare occupazione e di ridurre il peso fiscale la manovra in discussione ci porta a pensare che l'Esecutivo non è in grado, non è capace o non vuole prendere di petto la drammatica situazione del Paese, tanto meno di indicare la via impervia ma indispensabile della ripresa e dello sviluppo.
Mi rendo conto che sto esprimendo una critica molto seria sulla capacità del nostro Governo di far fronte all'emergenza provocata dall'economia globale e dalla sua crisi; e non lo faccio a cuor leggero, perché in gioco non ci sono tanto le sorti di una coalizione o di una legislatura, ma il destino del nostro Paese. Eppure, l'immobilismo strategico del Governo in materia economica è il problema politico più serio che abbiamo. Non sottovaluto il fatto che la dimensione e la profondità della crisi stano mettendo a dura prova la capacità di tutti i Governi, della politica nel suo insieme e degli operatori istituzionali: una crisi che ha portato al limite del crollo il sistema finanziario ed economico mondiale, che oggi paventa segnali di ripresa certi, però ancora timidi, troppo fragili e squilibrati; che lascia esposti alle intemperie un crescente numero di cittadini. Si tratta, dunque, di una condizione obiettiva di gran difficoltà, della quale siamo ben coscienti, e che ci fa essere molto prudenti nell'esprimere giudizi drastici, ma non al punto di non lanciare un segnale di allarme.
È proprio di fronte a tali sfide che emerge, o meno, la statura degli uomini politici e la loro capacità di visione strategica. Noi non chiediamo a chi ci governa di essere per forza dei Roosevelt o Thatcher, a seconda dei punti di vista; o, per restare a casa nostra, dei Moro, degli Einaudi e dei La Malfa: gli chiediamo semplicemente di non fingere di esserlo. Gli chiediamo di non sentirsi dei demiurghi solitari, ma di condividere le scelte, di costruire un futuro comune, di pensare ad un'Italia solidale.
A confutazione della tesi che procede da solo, il Governo sostiene che attorno a questa manovra ha registrato un largo consenso sociale. In verità, non è proprio così: se guardiamo la piazza transennata di Montecitorio, sentiamo quasi ogni giorno i lavoratori, professionisti, poliziotti, persino le feluche. Non vogliamo negare che una parte del mondo sociale organizzato abbia accettato la manovra in esame; vorrei però chiedere al Governo: siete certi che si tratti di un consenso nei termini di alleanza o di blocco sociale, come voi lasciate intendere, o piuttosto non sia un'esigenza tattica, legata proprio alle difficoltà della congiuntura? Dico questo perché vi è una bella differenza tra la convenienza e la concertazione: se la convenienza è fine a se stessa, e pertanto volubile, la concertazione invece è un sistema relazionale più sofisticato ma stabile.
Le difficoltà del Paese necessiterebbero davvero di un salto di qualità nelle relazioni politiche e sociali. Il Paese, infatti, non cresce, nonostante le molte manovre Pag. 6correttive; la spesa pubblica non diminuisce, nonostante i pesanti tagli a servizi essenziali, come la scuola, la sanità, l'istruzione; la disoccupazione aumenta e le disuguaglianze sociali si allargano, nonostante la rilevante quantità di risorse destinate agli ammortizzatori sociali.
È dunque lecito chiedersi se il fatto che il Paese non cresce, il debito non cala, le condizioni sociali peggiorano, non dipenda proprio dalla scelta di effettuare tanti microinterventi, tanti tagli lineari, tanta assistenza tradizionale; se non dipenda anche dalla pervicace supponenza di non voler discutere con l'opposizione.
Il disagio che proviamo in queste ore, davanti ad un Parlamento bloccato dall'ennesima fiducia, in una Camera dei deputati costretta solo a ratificare quanto è stato deciso dal Senato, e dunque umiliata dalla decisione di impedire qualsiasi possibilità di miglioramento del decreto-legge, è, signor Presidente, imbarazzante. Ciononostante, abbiamo affrontato tale anomala e surreale situazione con grande senso di responsabilità, perché per noi non è in discussione la necessità di operare una manovra economica correttiva, quanto quale tipo di manovra sia necessaria.
Il ministro Tremonti ha detto, nel corso dei lavori della Commissione bilancio, che questa manovra nasce i primi di maggio, in occasione dell'incontro dei Governi europei riuniti per fronteggiare in ritardo l'attacco speculativo verso l'euro. La verità è che questa manovra ha origini più lontane, quando, nei mesi che intercorrono tra il giugno ed il settembre 2008, il Governo Berlusconi appena eletto varò il primo decreto-legge economico mentre scoppiava la più grande crisi degli ultimi cent'anni. È da allora che è iniziata la separazione, sempre più grande, tra la natura della crisi globale e la linea di politica economica del Governo italiano. Di fronte a quella inedita situazione, infatti, il Governo italiano, anziché affrontare la burrasca per accelerarne l'attraversamento, come hanno fatto molti Paesi e molti altri Governi, si è chiuso nel porticciolo, pensando di evitarla nell'attesa passiva che passasse. Ha minimizzato la portata degli eventi, ha teorizzato che eravamo diversi e migliori degli altri Paesi ed ha avviato la politica dei piccoli passi. Ha portato a giustificazione di questa linea l'ormai famosa affermazione di Tremonti: «Abbiamo il terzo debito pubblico senza essere la terza economia». Ma proprio questa considerazione avrebbe dovuto orientare ad affrettarsi.
L'Italia, infatti, somma i diversi problemi che negli altri Stati sono distribuiti un po' qua ed un po' là. La Germania ha, anch'essa, gravi problemi di bilancio, ma gode di una competitività che a noi manca. La Francia ha, anch'essa, un pesante debito pubblico, ma vanta un'efficienza della pubblica amministrazione che noi non abbiamo ancora raggiunto. Altri Paesi hanno un'imposizione fiscale o un costo del lavoro molto più bassi. Insomma, l'Italia ha, oltre al debito, una serie di problemi strutturali che la portano, in questa crisi così pesante, a rischiare di fare il famoso vaso di coccio, ed è per questo che la politica di don Abbondio non serve.
La manovra di oggi è anche l'esito di questo errore prospettico del Governo: aver pensato di partecipare alla competizione globale con il passo del podista, mentre siamo tutti iscritti, oggettivamente, perché questa è la natura della globalizzazione, ad una gara di velocità. Era già accaduto nel 2001, quando, di fronte alla caduta delle torri gemelle, Berlusconi, anziché chiamare tutti gli italiani a raccolta e dire che bisognava affrontare, tutti insieme, il rigore che la nuova situazione imponeva, ha continuato imperterrito il suo illusorio percorso di divisione politica e sociale e di «tutto va bene». Come è andata a finire ce lo ricordiamo: Tremonti è stato sostituito e poi è stato richiamato per fare l'ultima finanziaria prima della sconfitta elettorale.
In questi due anni abbiamo incalzato il Governo affinché correggesse la rotta. Se fossimo stati ascoltati, anche parzialmente, oggi non saremmo in questa situazione. Probabilmente non avremmo risolto tutti i problemi, ma saremmo certamente più in salute. Pag. 7
Ora, anche il Ministro Tremonti riconosce che la crisi c'è e che c'è bisogno di un intervento e anzi aggiunge che sarebbe stato necessario anche se l'Europa non ci fosse stata. Ma l'Europa c'è e ce ne vorrebbe di più, non questa a maglie larghe del coordinamento aperto, ma quella del governo politico.
Le ultime vicende ci dimostrano l'urgenza di rilanciare un progetto politico per l'Europa. Senza un governo politico i particolarismi prevalgono, ma si può restare, tutti insieme, spiazzati dal rischio del default di un Paese membro o dal cinismo dei mercati.
Riflettiamo brevemente. In pochi mesi i Governi europei e del G8 sono passati da politiche di sostegno alla domanda a politiche fiscali restrittive. Per mesi si è tentato di impedire che la crisi, finanziaria e reale, degenerasse in una depressione stile anni Trenta. Per realizzare questo obiettivo si è messo nel conto un peggioramento dei saldi di bilancio dell'ordine in media di 5 punti di prodotto interno e di 30 punti di debito (ed è quanto è successo anche da noi). Ma, con l'esplodere della crisi greca e l'attacco all'euro, abbiamo assistito ad un rocambolesco rovesciamento di politica economica. I Governi, spaventati e preoccupati ovviamente di riconquistare la fiducia di quei mercati e di quelle banche generosamente salvate con i soldi pubblici, si sono affrettati a varare misure fiscali restrittive.
In questo quadro oscillante appare chiaro che l'obiettivo prioritario diventa per tutti, anche per l'Italia, quello di agevolare il più possibile la ripresa economica e migliorare i conti pubblici nazionali. Ma è ormai altrettanto chiaro i due obiettivi sono un tutt'uno: senza crescita non ci sarà risanamento dei conti pubblici; senza politiche espansive non ci sarà crescita. La separazione tra questi due cardini non consente di costruire il futuro. Ma è esattamente questo il punto debole della politica economica italiana.
Il decreto-legge varato dal Governo punta solo alla quantità, con una manovra finanziaria volta unicamente a ridurre il disavanzo corrente, attraverso un'azione combinata di tagli di spesa e di aumento delle entrate, ma di sviluppo nella manovra non c'è traccia. Al contrario, poiché la manovra punta solo alla quantità, i tagli effettuati sono indiscriminati, senza alcuna distinzione di rilevanza, di efficienza e di equità, e rischiano di compromettere seriamente la incerta ripresa economica.
Bastano alcuni esempi: il Governo non ha scelto di cancellare il ponte sullo Stretto, pur mantenendo tutta l'incertezza della sua attuazione; non ha scelto di tassare di più le rendite finanziarie e i redditi alti; non ha scelto alcun intervento a favore delle famiglie. Ha scelto, invece, di colpire il pubblico impiego, come se non fosse uno dei settori cruciali per la stessa competitività del nostro Paese. Anziché fare la riforma della pubblica amministrazione, si taglia la scuola, l'università, la ricerca e la sanità, tutti settori peraltro già fortemente penalizzati negli ultimi anni.
Abbiamo già osservato più volte come la politica dei tagli lineari sia sbagliata, tanto più in un periodo di alta disoccupazione. Non distinguere tra spese produttive e improduttive è una pessima idea. Non solo si aggrava la crisi, ma non serve a ridurre il deficit: buona parte di quello che un Governo risparmia spendendo meno lo perde comunque perché un'economia più debole riduce il gettito fiscale.
In quest'ottica, appare ancor più grave la scelta di «tosare» le regioni e gli enti locali.
È questo un punto decisivo della manovra. La scelta di scaricare sui presidenti e sui sindaci la responsabilità di tagliare i servizi, a seguito della riduzione impressionante dei trasferimenti, è davvero un gioco delle tre carte, ma l'esito di questa impostazione sarà la riduzione dello Stato sociale. Ciò che non è accettabile, prima ancora del merito, è che la filosofia sullo Stato minimo diventi legge dello Stato senza una discussione.
Nel programma elettorale del centrodestra non c'era una riforma delle pensioni così hard come quella che fa dipendere, automaticamente, l'età di pensionamento dalla crescita della vita media, introdotta con un emendamento ad un Pag. 8decreto-legge, ma, soprattutto, senza prevedere né l'armonizzazione dei contributi, né la flessibilità in uscita.
Ma si pensi, in generale, al welfare. Nella riduzione di queste spese alcuni vedono la soluzione dei problemi speculativi in corso, ma anche la soluzione dei problemi di lungo periodo delle economie occidentali avanzate. Eppure non è così; è probabile che, come l'aumento d'imposte che, nel 1931, fu operato da Hoover e non restituì la stabilità finanziaria agli Stati Uniti d'America, così la riduzione della spesa sociale in Europa non porterà in quanto tale ai risultati attesi sugli andamenti dei mercati finanziari. Si rischierà, invece, un forte arretramento in termini di coesione sociale e di qualità civile della vita.
La manovra, dunque, ci appare scollegata dalle reali necessità dell'economia italiana. Un documento depositato dal Governo al Senato lo conferma quando sostiene, rispetto alle stime della RUEF, un abbattimento di 0,5 punti percentuali nel periodo di riferimento. Il segno prevalente di questa manovra è, dunque, recessivo, ma il dato che più ci preoccupa è che non è collegata a nessun ciclo di riforme. All'orizzonte non si vedono quelle riforme che sono l'unico vero volano per una ripresa duratura e stabile della nostra economia.
Oggi è urgente capire dove va l'economia italiana, quanto influiscono le politiche avviate dal Governo e quante sono le aspettative suscitate nel Paese. Bisogna chiederci quanto la manovra triennale sia utile per rispondere all'emergenza o, invece, se la sola politica di bilancio, senza una politica di riforme ed una politica sociale, sia sufficiente ed in grado di contribuire a rilanciare i consumi, a ridare fiducia al sistema economico e, per questa via, evitare la recessione e rilanciare lo sviluppo.
La nostra opinione, dunque, è che questa manovra sia largamente inadeguata a corrispondere alle mutate condizioni dell'economia e della società e non in grado di porre le premesse per una crescita economica.
Ci dobbiamo, dunque, aspettare una nuova manovra? Temiamo di sì. Certo, in una situazione come questa anche una manovra giusta avrebbe dovuto fare i conti con le difficoltà di realizzare un intervento di politica economica indolore.
Il problema, dunque, non è tanto se si debbano sostenere o meno sacrifici, ma quali sacrifici vadano sostenuti, come debbano essere distribuiti e a cosa servano. Ciò che rende una manovra economica accettabile è che sia equa e che serva ad uscire dall'angolo. Sotto questo profilo la manovra appare pesantemente iniqua.
La prima vittima dei tagli indiscriminati è il pubblico impiego. Questo sacrificio poteva essere minore, se si fosse ipotizzato un serio intervento sui redditi alti, ma soprattutto sulle rendite e sui patrimoni. Era proprio impossibile aumentare a livelli europei le imposte sulle rendite finanziarie? In tutta Europa la questione delle tasse sui patrimoni è all'ordine del giorno, da noi resta un tabù.
Le misure sul pubblico impiego hanno anche un forte impatto di genere, colpiscono soprattutto l'occupazione femminile, che nel pubblico impiego trova un concentrato più alto che in altri settori.
Si evidenzia un effetto moltiplicatore dei tagli alla spesa, che finiranno per colpire soprattutto alcune categorie sociali. Penso, ad esempio, al fatto che - come ho già detto prima - i tagli sui comuni costringeranno probabilmente i sindaci e gli altri amministratori, per chiudere i bilanci, ad aumentare le tariffe, per poi doversi trovare con prestazioni relative ridotte sui trasporti pubblici, sull'assistenza e sulla casa.
L'effetto domino, dunque, rischia di avere dure ripercussioni e, di conseguenza, diventa una manovra rischiosa dal punto di vista sociale, che finirà - altro che non è vero! - per mettere e affondare le mani nelle tasche degli italiani.
È bene che nella manovra si sia parlato di evasione fiscale. Potremmo dire: meglio tardi che mai e dimostrare che si è perso tempo prezioso; peraltro, però, tutto questo conferma il fatto che ci sono delle strade possibili per uscire dall'angolo e che Pag. 9si possono praticare. Bene, quindi, il ritorno della lotta all'evasione fiscale, meno bene il fatto che il Governo continui a consolidare la prassi di considerare il maggior gettito atteso dalla lotta all'evasione fiscale non più come eventuale e aggiuntivo, ma soltanto come vera e propria fonte di copertura.
In questo contesto resta cruciale, ai fini della credibilità e attuazione della manovra, che le stime di maggior gettito presentino un profilo sufficiente di attendibilità e congruità.
Sul lato della spesa, la manovra, infatti, mira a portare la crescita della spesa corrente al di sotto dell'1 per cento annuo nel biennio 2011-12, determinando una riduzione della sua incidenza sul PIL di oltre due punti. Tuttavia, si fa notare, in molti commentatori ed esperti come gli altri interventi disposti nel passato di controllo e riduzione di tale spesa non hanno avuto successo, poiché negli ultimi dieci anni la spesa è cresciuta in media del 4,6 per cento, aumentando di quasi 6 punti in rapporto al PIL. Infatti, com'è noto, i tagli lineari determinano un effetto rimbalzo negli anni successivi e, se non si traducono in riforme strutturali, gli effetti sulla spesa sono solo temporanei. Quindi, è necessario un attento esame degli effetti della manovra per garantire il conseguimento degli obiettivi.
Sul lato delle maggiori entrate derivanti dalla lotta all'evasione fiscale la Corte dei conti ha sollevato numerosi dubbi e interrogativi. Infatti ha rilevato che per alcune di esse - è il caso anzitutto del nuovo redditometro - l'efficacia non è automatica, in quanto subordinata alla capacità dell'amministrazione tributaria e l'esperienza del passato non alimenta l'ottimismo. Inoltre anche gli interventi che potrebbero apparire più efficaci sono gravati da forti ipoteche, per effetto di altre norme che ne condizionano o vanificano l'efficacia.
Ho illustrato, Signor Presidente, alcune delle principali ragioni che ci portano ad esprimere un giudizio negativo sulla manovra, ma anche alcune linee di intervento che avrebbero potuto contribuire a migliorarla. Il Governo ha ritenuto, sbagliando, di rifiutare ogni confronto nel Parlamento e nella Camera dei deputati. Mi auguro sinceramente che l'occasione persa non diventi tale anche per il Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, l'onorevole Borghesi.

ANTONIO BORGHESI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, inizio dalle stesse domande che mercoledì scorso al mattino ho posto al Ministro Tremonti quando è venuto per la replica in Commissione. Sono le quattro domande che danno anche il senso dei motivi per i quali il mio gruppo ha ritenuto di presentare una manovra alternativa e di chiedere che venisse abbinata a questa discussione. L'abbinamento non è stato concesso benché ci sia un precedente (per la verità ci sono precedenti fino alla XIII legislatura). In ogni caso abbiamo inteso trasformare la nostra contromanovra in emendamenti e, a corredo della relazione di minoranza che è qui agli atti, sono riportate anche le modalità con le quali avremmo chiesto - perché come è noto non ci sarà modo di farlo - all'Assemblea di votare articolo per articolo proprio in relazione a parti della manovra sostitutive di articoli del decreto-legge del Governo.
Non posso non rilevare, peraltro, che mai - lo sottolineo: mai - come in questo caso è risultata umiliata la funzione di questo ramo del Parlamento. Mai come in questo caso, perché già un mese fa un comunicato congiunto del Presidente del Consiglio e del Ministro dell'economia e delle finanze dichiaravano che la manovra sarebbe stata presentata in modo blindato alla Camera, con richiesta di fiducia al Senato, e alla Camera sul testo del Senato. Poi non è stato neanche così perché il maxiemendamento del Senato ha espunto un emendamento che là era stato approvato in Commissione, quindi si porrà la fiducia neppure sul testo discusso dal Senato. Pag. 10
A questo punto il Governo, in modo reiterato, per bocca dello stesso Ministro Tremonti e anche degli altri rappresentanti dell'Esecutivo in Commissione, ha dichiarato (l'ultima volta prima dell'inizio della discussione sugli emendamenti) che sarebbe stata posta la questione di fiducia sul testo approvato dal Senato. Ciò ha portato il mio gruppo ad abbandonare il lavoro in Commissione, perché, di fronte ad una situazione come questa, credo che non avesse più senso logico qualunque discussione in Commissione: infatti, ancorché avesse portato all'approvazione di qualche emendamento, viste le dichiarazioni precedenti avrebbe poi portato comunque a porre la questione di fiducia su un maxiemendamento diverso dal testo che anche fosse stato eventualmente approvato dalla Commissione.
Al Ministro Tremonti ho posto quattro domande. Perché proporre una manovra solo restrittiva e depressiva, che non dà alcuno spazio e alcun intervento alla crescita? Enuncio le altre domande e poi le analizzerò, in relazione anche alle proposte alternative del mio gruppo.
La seconda domanda è la seguente: perché fare una manovra priva di equità, posto che, come è facile riscontrare nella relazione tecnica, fondamentalmente i quattrini vengono presi riducendo la spesa nei settori scuola, sanità, pensioni, trattamento di fine rapporto ed enti territoriali? Quindi, è una manovra che va a colpire prevalentemente i lavoratori dipendenti, i pensionati, il lavoro pubblico e le piccole e le microimprese in particolare. Il tutto è affiancato dall'affermazione che ho sentito ripetere testé dall'autorevole relatore, il collega Alfano, secondo cui non si mettono le mani nelle tasche degli italiani.
Signor Presidente, quando si tolgono 14 miliardi agli enti locali, gli enti locali, essendo questo decreto-legge già in vigore, stanno tutti preparando l'unica cosa che possono fare di fronte ai tagli, cioè non dare più servizi (il che significa che i cittadini, per avere quei servizi, dovranno rivolgersi al mercato pagandoli), oppure, attraverso i sistemi delle tariffe comunali, aumentare i contributi che i cittadini devono pagare per avere quei servizi. Più di così, non riesco ad immaginare come questa manovra non metta le mani nelle tasche degli italiani: ce le mette eccome!
L'altra mancanza di equità si riscontra nella quasi totale mancanza di interventi che colpiscano i costi della politica.
Infine, una considerazione, che è quella di un intervento a mio giudizio proditorio. L'ho definito «una porcata», facendo sollevare l'indignazione del Ministro, che come noto, frequentando salotti, si infastidisce di fronte a queste affermazioni, anche se poi forse sarebbe il caso che guardasse dentro alla compagine dei suoi compagni di Governo: credo che vi siano ben più indegnità lì, che non nel definire proditorio un atto con cui vengono salvati eminenti bancarottieri.
Inoltre, il Ministro dell'economia - peraltro in polemica con il Ministro Brunetta, che sarebbe un economista, mentre lui ha l'orgoglio di dichiararsi non economista, essendo come noto laureato in giurisprudenza - sostiene in Commissione che la depenalizzazione si applica per il futuro, quando anche uno studente al primo anno di giurisprudenza sa bene che la norma penale, se più favorevole all'imputato, si applica retroattivamente. Quindi, non posso non rilevare anche questo atteggiamento da parte del Ministro.
Torno allora alle questioni che ho enunciato: la prima era la questione della mancanza di interventi per la crescita.
I problemi relativi al debito pubblico si affrontano solamente in tre modi: attraverso il fallimento (mi sembra che non possiamo permettercelo), attraverso l'inflazione (ma non è più possibile ricorrere a questa soluzione, poiché siamo integrati in un'economia), oppure attraverso la crescita, che generi un avanzo primario, che permetta, poi, di pagare i debiti. È illuminante il quadro che emerge confrontando i tassi di variazione del PIL, dal 1961 in poi, tra gli Stati Uniti e l'Italia. Negli Stati Uniti, la crescita oscilla mediamente attorno al 3 per cento, mentre in Italia, negli ultimi vent'anni, a partire all'incirca dal 1991 e dal 1995, osserviamo una sorta di precipizio. È evidente, che si Pag. 11deve intervenire per far crescere nuovamente questo Paese. Qual è il modo con cui si fa crescere un Paese? Un Paese si fa crescere tagliando le tasse. Si dice che non vi sono i soldi, ma vedremo, in seguito, dove si possono prendere.
Il nostro partito ha proposto una propria manovra: in sede di replica in Commissione, il Ministro, ancora una volta, ha pronunciato dichiarazioni che denotano non solo come non l'abbia letta - per carità, non pretendevo tanto! - ma anche come non abbia nemmeno la più pallida idea del suo contenuto. Infatti, quando egli sostiene che le nostre proposte vanno contro i saldi di finanza pubblica, non si accorge che, per esempio, a differenza della manovra governativa, quella proposta dall'Italia dei Valori avrebbe liberato non 25, bensì 34 miliardi di euro in due anni a riduzione del debito pubblico. E questo era uno dei punti fermi. Quindi, il tema del risanamento era presente anche nella manovra che avevamo proposto.
Con riferimento alla crescita, la nostra manovra aveva l'effetto di destinare, a partire dal 2011, 8 miliardi di euro l'anno ai tagli delle tasse per i lavoratori dipendenti e per le famiglie. Poiché i soggetti interessati da questo taglio fanno fatica a sopravvivere, avrebbero immediatamente rimesso in circolo tale denaro. Ciò è importante, vista anche la caduta dei consumi. A tale proposito, vorrei non dimenticare che vi è una caduta dei consumi alimentari, che è gravissima: di solito, infatti, si operano tagli ai consumi voluttuari, a quelli che non sono di prima necessità, mentre, oggi assistiamo ad un calo dei consumi alimentari.
Pertanto, è evidente che quei 9 miliardi di euro sarebbero rientrati immediatamente in circolo per sostenere la domanda interna. Inoltre, avremmo destinato ulteriori 9 miliardi di euro l'anno al taglio delle tasse per le piccole e medie imprese, in particolare, attraverso la riduzione dell'IRAP, per la quota che colpisce, anche oggi, il costo del lavoro: questa operazione valeva circa 6 miliardi di euro, e si sarebbe arrivati a 9 attraverso ulteriori tagli delle tasse.
Questa è una manovra per la crescita, che produce un effetto di crescita, che manca totalmente nella manovra del Governo. Il Governo stesso lo riconosce, perché nell'aggiornamento della relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, è lo stesso Ministro Tremonti - visto che è lui il primo responsabile - ad indicare in mezzo punto percentuale l'effetto depressivo della manovra. Qualcuno ha realizzato studi un po' più avanzati e sofisticati, in particolare l'ufficio studi di Confindustria, che parla di un punto percentuale. Comunque, l'effetto depressivo della manovra è compreso tra lo 0,5 e l'1 per cento.
Pertanto, come ho detto in precedenza, si tratta di una manovra non equa, perché colpisce sempre i soliti. Il problema è che, in un momento di grave difficoltà, si cerca di colpire, prima di tutto, chi ha pagato poco in passato, o meglio, chi non ha mai pagato.
Mi si dice: c'è però la lotta all'evasione nella manovra del Governo. Innanzitutto, visto che viene fatta attraverso una serie di misure che erano le stesse assunte dal Governo Prodi nel 2006 e che avevano dato degli effetti positivi, vi è il riconoscimento che si può fare e che dalla manovra si possono incassare parecchi miliardi dalla lotta all'evasione fiscale.
Questo Governo lo aveva sempre negato. Quando si dice che questo Governo in qualche modo lavora a favore degli evasori fiscali, si parla di atti, di azioni reali: il primo provvedimento del Ministro Tremonti in questo Governo è stato di togliere quelle misure. Oggi si cerca di reintrodurle, almeno in parte. Non so con quanta credibilità, perché vi sono alcune considerazioni da fare: la prima è che noi prendiamo atto che il Governo accetta di porre alla base di una manovra delle somme incerte. In questi due anni in Commissione bilancio il Governo ha sempre rifiutato di dare parere favorevole a manovre basate sull'evasione fiscale perché diceva non esservi certezza. Oggi basa l'intera manovra su questo fatto. Ne prendiamo atto, naturalmente ci auguriamo Pag. 12che coerenza imponga, in futuro, di non sognarsi di dare parere negativo con questa motivazione.
La seconda considerazione attiene alla storia dei Governi Berlusconi: è questa una storia di atti a favore degli evasori. Nel 1994 un condono fiscale da 6,4 miliardi di euro, un condono edilizio da 2 miliardi e mezzo di euro; nel 2003 una nuovo condono fiscale da 11 miliardi di euro, poi sappiamo, come rivelato dalla Corte dei conti, che in realtà ne sono stati incassati soltanto 5, il primo scudo fiscale per il rientro dei capitali all'estero; nel 2004 un nuovo condono edilizio, nel 2009 un nuovo scudo fiscale per il rimpatrio dei capitali all'estero.
L'equità di una manovra deve partire da qui. Data la mia formazione liberale sono contrario all'idea dell'imposizione patrimoniale. Penso però, e voglio ricordarlo, che quando l'Italia nel 1990 o nel 1992, non ricordo più esattamente quando, è stata vicina al baratro, dalla sera alla mattina tutti i conti correnti degli italiani sono stati tagliati di una certa aliquota per far fronte a quelle necessità. Mi chiedo allora come può avere credibilità un Governo che, meno di un anno fa, adotta un provvedimento con il quale permette di riportare in Italia capitali portati illecitamente all'estero e sottratti alla tassazione, una tassazione che mediamente, se erano redditi prodotti, corrisponde al 40-45 per cento, e permette poi di riportarli al 5 per cento. Se siamo davvero in una difficoltà così grave, perché andare a mettere le mani nelle tasche di cittadini che prevalentemente le tasse le pagano e le hanno pagate, parlo dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, e non chiedere un contributo di solidarietà? Non è un cambio delle regole del gioco. A parte che un cambio delle regole del gioco queste leggi lo fanno tutti i giorni sui lavoratori dipendenti e sui pensionati, gli cambiano le regole della pensione, gli cambiano persino le regole della retribuzione, persino per legge si tolgono istituti concordati, previsti e poi mi si dice: non si possono cambiare le regole del gioco qui. Questo non è un cambio delle regole del gioco, è chiedere un contributo a chi ha riportato in Italia, pagando niente, ciò che aveva portato illecitamente fuori.
Noi riteniamo che una manovra equa non potesse che partire da lì, così come dal ripristino, per intero, delle norme che aveva già introdotto Prodi, in particolare sulla tracciabilità.
Per quanto riguarda il nuovo redditometro e il redditometro sofisticato siamo assolutamente d'accordo, tuttavia diciamo che intanto lo si applichi per fare la revisione delle dichiarazioni da quattro anni a questa parte. Infatti, dopo aver dato al contribuente un termine di un mese per dire che gli elementi indicati dall'amministrazione non esistono come, per esempio, se ho una Ferrari e posso dimostrare che non la ho, è chiaro che il problema non si pone, altrimenti, per quale motivo dobbiamo aspettare la fine del contenzioso? Non dico per le multe e le sanzioni economiche, ma, almeno le tasse: le si facciano pagare immediatamente in attesa della fine dell'eventuale contenzioso. Anche questa sarebbe stata una modalità per restituire equità alla manovra.
Inoltre, vi è lo scandalo rilevato dalla Corte dei conti: sei miliardi di euro del vecchio condono non pagati e dichiarati. Non ritengo che dando a Equitalia degli strumenti adeguati si recuperino per intero tali somme, probabilmente no, ma è davvero inimmaginabile recuperarne la metà? Di recuperarne tre su sei?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONIO BORGHESI, Relatore di minoranza. Aggiungo semplicemente che vi erano anche una serie di misure per i tagli dei costi della politica e per i tagli alla spesa pubblica, ma non solo questo. Vi erano, infatti, alcune misure per permettere alle amministrazioni, attraverso la Cassa depositi e prestiti, di pagare i loro creditori e i loro fornitori, specie le imprese; erano previsti interventi per favorire la semplificazione, in particolare per l'inizio delle attività d'impresa, e misure per razionalizzare la nostra presenza all'estero. A tal proposito, proprio la settimana Pag. 13scorsa, il Viceministro Urso ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava di essere favorevole a questa razionalizzazione che - e concludo Presidente - noi avevamo già inserito nella nostra manovra, è stata incardinata la settimana scorsa in X Commissione e, spero, che il Viceministro si faccia parte attiva rispetto a questo problema.
Questi sono i motivi che per cui, ovviamente, il mio gruppo non può votare a favore della manovra del Governo e proporrà - ma credo sarà difficile avere questa possibilità - una serie di proposte emendative (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, il collega Borghesi ha già spiegato le ragioni del perché noi abbiamo abbandonato la Commissione bilancio quando abbiamo appreso, in via definitiva, che il Governo avrebbe posto la fiducia sul testo così come pervenuto dal Senato. Non siamo soliti fare cose inutili e quella era esattamente una cosa inutile.
Tuttavia, cerco di dare una lettura di quanto accaduto, definendo il comportamento del Governo e, ahimé, l'accettazione supina da parte della maggioranza, in due modi: un atto di arroganza del Governo; della serie: parlate pure, dite quello che volete, tanto noi facciamo quello che vogliamo e non ci interessano assolutamente le vostre proposte.
Sentiamo poi il relatore, Gioacchino Alfano, dire che vi è stato un bel confronto. Confronto su cosa? Su delle cose per le quali avete detto di no su tutti i fronti? Per cortesia, collega Alfano, lei è un caro amico, ma non ci prenda in giro.
Seconda definizione: atto di viltà politica. Perché lo definisco tale? Perché il Presidente del Consiglio si è sempre dilettato, a reti unificate, a dire: la crisi non c'è; ma quando si è accorto che, veramente, la crisi c'era, a dire che, addirittura, l'avevamo superata. Ha anche aggiunto, quando è stata adottata questa manovra nella sua prima versione, che se fosse dipeso da lui questa manovra non l'avrebbe mai fatta.
Invece, dall'altra parte abbiamo il Ministro dell'economia e delle finanze, il «Superministro», che fino al 10 maggio ha tentato anche lui di nascondere la realtà dei conti pubblici e ha negato pubblicamente la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva. Ora, però, ammette - e lo ha detto nell'audizione in Commissione bilancio, mercoledì scorso - che «questo provvedimento è di matrice europea». Poi vi è stata una pausa, ma leggendo tra le righe si può affermare che il provvedimento sia stato imposto dall'Ecofin il 9 maggio. Dopo la pausa, però, ha ripreso affermando che questo provvedimento, comunque, avrebbe dovuto essere fatto.
Signor Viceministro, il 6 maggio in quest'Aula il suo Ministro, nella fila di banchi dietro la sua, ci ha raccontato alcune cose interessanti sulla Grecia ma non ha detto una sola parola sul nostro Paese e non ha citato neanche una volta l'Italia. Ecco la viltà politica, quindi. L'uno e l'altro sono fatti della stessa pasta e non serve che tentino di diversificarsi. Gli italiani non dovevano sapere, ma oggi gli italiani, purtroppo, sanno. Lo stesso relatore per la maggioranza, nella sua relazione in Commissione il 19 scorso, ricordava «che già nel novembre 2009, in sede europea, era emersa l'opportunità di adottare misure volte ad assicurare stabilità nelle finanze pubbliche». Invece, siamo arrivati al 30 maggio. Da novembre al 30 maggio sono trascorsi ben sette lunghi mesi prima di assumere la responsabilità di certificare il fallimento delle vostre politiche di finanza pubblica. Questo perché l'Ecofin ha sollecitato l'Italia a correggere i saldi indicando anche la data (entro il 2 giugno), ponendo fine alla situazione «di disavanzo eccessivo» ed obbligandoci a rientrare, entro il 2012, sotto la quota del 3 per cento. Pag. 14
In Europa il nostro caro Ministro è conosciuto - e non come lui vuole farci credere - come colui che nel 2006 portò la Commissione europea a sanzionare l'Italia con la procedura di infrazione ritirata soltanto due anni, cioè dopo il grande lavoro compiuto in quei pochi mesi dal Governo Prodi. Infatti, nell'aprile 2008 quella procedura venne ritirata. Ma il Ministro ha avuto la spudoratezza - e uso un eufemismo - di affermare, ancora mercoledì scorso in Commissione, che - e cito - quando a giugno del 2008 è ritornato al Governo trovò i conti non in regola. Ma - e lo dico con simpatia - pazienza se vuole prenderci in giro. Ma vuole anche prendere in giro l'Europa? Se l'Europa ha ritirato la sanzione relativa alla procedura di infrazione forse lo ha fatto perché dormiva? Oppure perché ha constatato che le cose stavano in un altro modo rispetto a come voleva farci credere il Ministro non più tardi di mercoledì scorso?
Ministro e Viceministro, smettetela di raccontare frottole (si potrebbero anche usare altre espressioni, ma siamo in un'Aula del Parlamento). Signor Ministro, lei che aveva previsto la crisi - che era già in atto e, quindi, era facile prevederla - prima di tutti gli altri (parole sue), lei che legge il futuro, lei che filosofa anziché governare, perché ha adottato come primo atto il famigerato decreto-legge n. 112 del 2008, dicendo di voler anticipare la manovra triennale? Si sono visti i risultati. Sono stati necessari sette decreti-legge, che hanno portato il debito a crescere di 160 miliardi in dodici mesi nel 2009 e di ulteriori 67 miliardi nei primi sei mesi di quest'anno.
Non solo ha portato quella roba lì che si chiama decreto-legge n. 112 del 2008 e i sette decreti-legge successivi, ma anche il disavanzo al 5,3 per cento nel 2009 e al 5 per cento, se basterà, nel corrente anno. Ha portato la pressione fiscale al 43,4 per cento, un livello mai raggiunto, neanche quando è stata prevista l'imposta per entrare in Europa (poi restituita) nella misura del 60 per cento.
L'avanzo primario, per la prima volta, è diventato disavanzo primario: meno 0,6 per cento e non parliamo poi della disoccupazione che ormai è galoppante e senza più freni e, purtroppo, sta decisamente superando il 10 per cento. Ma anche la spesa corrente è esplosa sotto i vostri Governi; uso il plurale perché è accaduto nella XIV legislatura e si sta ripetendo anche ora, nonostante i tagli alla sanità, alla sicurezza, alla scuola e alle infrastrutture.
Era evidente dall'autunno scorso la necessità di una correzione dei conti aggiuntiva o, se vuole signor Viceministro, contemporanea alla legge finanziaria per il 2010, ma non l'avete fatto perché dovevate nascondere la verità al Paese. La situazione di crisi è sicuramente drammatica e la stanno vivendo soprattutto sulle loro spalle i nostri concittadini.
Tuttavia, è nella crisi che si misura la capacità di trovare prospettive, è nella crisi che si tengono insieme una comunità e un Paese, è nella crisi che si esprime una guida per questo Paese. Ma voi dimostrate quotidianamente di non esserne capaci. La vostra incapacità si chiama illegalità. Senza legalità, signor Viceministro, senza coscienza civile, nessuna manovra, tanto meno questa, può produrre risanamento economico in un Paese malato.
Avete messo nelle condotte e nelle tubazioni di questo Paese il virus della illegalità, della corruzione, dei poteri occulti e dell'evasione elevata a sistema. Perché il Ministro Tremonti, che tutto prevede, non ha controllato prima ciò che stava accadendo nella Protezione civile, nella produzione di energie eoliche e perché non ha messo mano alle autorità indipendenti? Lei, signor Viceministro, ne sa qualcosa, visto che è in procinto di assumere un nuovo ruolo.
Perché il signor Ministro ha consentito che 67 produttori di latte continuassero a violare la legge europea, esponendo l'Italia a pesanti sanzioni? Qual è il perché di questa manovra, che contiene la depenalizzazione dei reati fallimentari? Chi volete salvare? Forse manager di banche, Pag. 15assicurazioni e grandi imprese pubbliche da possibili condanne per il reato di bancarotta fraudolenta?
Insomma, nonostante avesse previsto la crisi e dove essa ci avrebbe portato, il Ministro ha emanato quei provvedimenti di cui dicevo prima, ossia il decreto-legge n. 112 del 2008 e i sette successivi per complessivi 17 miliardi. Si tratta, quindi di una manovra finanziaria robusta come avveniva negli anni precedenti. Non avete fatto nulla di più, anzi, che cosa avete prodotto?
Avete tagliato le spese? Avete aumentato le tasse? Avete aumentato il debito? Sì, le spese sono state tagliate su quelle delle infrastrutture e avete aumentato le tasse. Poi dite che non mettete le mani in tasca agli italiani, ma è vero che la pressione fiscale è arrivata a quel livello (e non stiamo contando quella messa in campo per far fronte ai vostri tagli dalle autonomie locali).
Avete portato il debito a 1.827 miliardi di euro al 30 giugno, ossia 220 in più rispetto a quanto avete ereditato dal Governo Prodi, ma, se tagliamo le spese e aumentiamo le tasse, come mai il debito cresce? Tento di spiegarlo io, come hanno già fatto i due relatori di minoranza. I tagli lineari sulle spese tendenziali (quelle relative agli anni futuri) non esistono: sono scritti sulla carta e queste non sono parole mie, ma è quanto ha detto un importante presidente di Commissione (finanze) del Senato della Repubblica, il professor Baldassarri.
Questa manovra è rappresentata - ovviamente taglio e arrotondo le cifre - da 15 miliardi di tagli e 10 miliardi di maggiori entrate, queste ultime per lo più derivanti dalla lotta all'evasione.
Ancora il professor Baldassarri ha detto che, fatti questi tagli, sappiamo che stiamo decidendo che, rispetto ad oggi, la spesa pubblica corrente aumenterà di 26 miliardi, gli investimenti pubblici diminuiranno di 3 miliardi e il totale delle entrate aumenterà di 45 miliardi. Ha detto ciò al Senato della Repubblica, non gli avete risposto, ma evidentemente, per dirla in «dipietrese», ci aveva azzeccato.
Questo è ciò che stiamo facendo e - aggiungeva Baldassarri - in tale contesto vi è una stima di 9 miliardi per la lotta all'evasione; concludeva, dicendo di credere che francamente quella norma sia un po' folle.
Secondo il servizio studi della Banca d'Italia (audito al Senato), le stime riguardanti gli effetti dell'azione di contrasto dell'evasione fiscale presentano molti elementi di incertezza e, in una prospettiva di medio termine, la riduzione dell'evasione deve essere una leva di sviluppo. Ecco la nostra controproposta a questa manovra e, a tal fine, è necessario che essa sia accompagnata da una adeguata riduzione delle aliquote che non c'è e che la nostra contromanovra, invece, contiene.
La Corte dei conti, nel corso dell'audizione, ha affermato che, per quanto riguarda gli effetti finanziari, coesistono disposizioni tributarie con sicuri e rilevanti effetti sul gettito, ma in termini di anticipazione di entrate future (cioè le prendiamo prima, non più dopo) e altre - aggiungeva ancora la Corte - che sarebbe più prudente considerare soltanto a posteriori, (cioè ad esempio scrivere un euro e poi quello che arriva è ben arrivato), avendo - aggiungeva - le medesime, queste nuove altre disposizioni, essenzialmente la natura di un atto di indirizzo all'azione dell'amministrazione.
È ancora la Corte dei conti a suggerire prudenza ed è della Corte la considerazione che non pare affatto che l'amministrazione si sia attrezzata per poter rilevare ex post, in modo affidabile, gli effetti finanziari delle misure legislative di contrasto all'evasione, e ancora meno delle azioni amministrative. Ciò è dimostrato dalla mancata presentazione al Parlamento dell'apposita relazione annuale sui risultati di gettito della lotta all'evasione.
Non è Renato Cambursano che parla ma la Corte dei conti.
Il vero problema da risolvere però - concludeva - è quello di indurre comportamenti spontanei e di massa più corretti, completando e rafforzando le misure che possano favorire la naturale emersione della base imponibile. Ciò non è stato né Pag. 16fatto né pensato, anzi si è favorita l'evasione con i vari condoni (e siete maestri in questo) e con scudi fiscali «á gogo».
Quindi, si tratta di entrate dubbie e tagli sulla carta. Ma allora, che manovra è? Signor Presidente, quello che abbiamo di fronte non è un Governo, è paralizzato dalla paura, è una sorta di comitato «puntini puntini» (lascio intendere agli intelligenti). Paura della sua stessa maggioranza, paura della trasparenza, paura del confronto con l'opposizione che non avete voluto in questo ramo del Parlamento. Piuttosto che il confronto, avete scelto la strada della chiusura e del «fai da te», avete partorito una manovra iniqua che non salva i conti pubblici e non fa crescere il Paese.
Pertanto, signor Presidente, ecco che, di fronte ad una situazione del genere, credo che occorra dimostrare il perché di questa iniquità. Innanzitutto, tale manovra è iniqua perché, in una recente pubblicazione sulla finanza pubblica, si legge che il peso di tutta la spesa locale, al netto degli interessi sul debito, è al 31,6 per cento.
Signor Viceministro, quanto incide questa manovra sulla politica locale? Oltre il 60 per cento!
Da una parte il 31 per cento e dall'altra il 60 per cento: questa è iniquità! È iniquo perché grava sui lavoratori, in particolare in questo caso su quelli pubblici, sui pensionati e sui pensionandi (finestre dopo 12 mesi, dilazionamento nell'accredito del TFR, che è dei lavoratori). Ai giovani, signor Viceministro, state rubando il futuro perché non trovano lavoro o, se ce l'hanno, è precario, perché non riescono a crearsi una famiglia, perché debbono riferirsi ai genitori, se ovviamente ce la fanno ancora a sostenerli. La vostra politica, anche culturale, trasmette disvalori, perché al sud questi giovani li lasciate alle mafie.
Poi, incidete sui disabili e lo dico sommessamente perché stiamo parlando davvero di categorie che dovrebbero avere l'attenzione del Paese e di questo Parlamento. Avete bloccato gli organici degli insegnanti di sostegno, modificando la norma relativa alla composizione delle classi con disabili. È scandaloso, è ripugnante. Ho scritto un altro aggettivo, ma mi fermo. Questo è ciò che state facendo: risparmiate su chi ha grandi difficoltà. Allora, se avete il coraggio, andate oltre: negate loro il diritto di vivere, almeno così siete coerenti. Avete superato i confini della civiltà.
È iniqua nei confronti degli enti locali e delle regioni perché non fa distinzione tra gli enti locali e le regioni virtuose e quelli che invece hanno manomesso i conti pubblici. Ecco qualche esempio: Catania, Palermo, Roma, Lazio e, se volete, anche Campania. Prendete in giro gli amministratori capaci ed onesti. La riprova è che in quello che era il comma 2 dell'articolo 14 dite che, nel 2011, 2012 e 2013, si apporteranno i tagli che saranno poi neutrali al fine dell'applicazione della legge sul federalismo fiscale. Significa per caso che restituirete quanto togliete ora? Andatelo a dire ai bambini, andatela a raccontare ad altri la barzelletta: questo non fa ridere, fa piangere! Voi non avete mai restituito nulla e non restituirete mai nulla. Anzi, rimetterete le mani nelle tasche dei cittadini perché a novembre dovrete reintervenire.
Non salva i conti (e proprio per questo dovrete reintervenire). Non li rimette in ordine. Provo a dimostrarlo chiamando in aiuto la Banca d'Italia, la quale nell'audizione al Senato ha detto e scritto che il Fondo monetario prevede una crescita del PIL italiano in termini reali dello 0,8 per cento nel 2010, dell'1,2 per cento nel 2011 e dell'1,5 per cento del 2012, inferiore a quello indicato nella RUEF di circa un punto percentuale. Quindi, ci sarà un disavanzo non del 2,7 per cento nel 2012, come scrivete nella vostra relazione, ma superiore al 3,5 per cento. A questo occorre aggiungere anche l'alea del costo degli interessi, che oggi sono bassi, ma non è detto che rimangano tali: l'aumento di un punto percentuale del costo degli interessi significa mezzo punto percentuale in meno di crescita o, se volete tradurre in disavanzo, poco cambia.
Quindi, saremo molto presto al 4 per cento in quella data. Non parliamo poi del Pag. 17debito che già ora è al 118 per cento e sta volando verso il 120 per cento o, se preferite, a 2 mila miliardi di euro: tradotto in lire - ogni tanto serve farlo - 4 milioni di miliardi di lire: 33.333 euro ogni italiano da zero a X anni superiori a 100, 65 milioni di vecchie lire per ogni italiano.
In terzo ed ultimo luogo, non favorisce la crescita. Lo dice la vostra relazione. Questa manovra incide per lo 0,5 per cento, ma il Fondo monetario internazionale, il centro studi di Confindustria e l'esponente che ho già citato della vostra maggioranza sono arrivati a quantificarlo in un punto percentuale. L'assenza totale di politiche anticicliche di sostegno alla ricerca, all'innovazione e allo sviluppo sono tutte dentro a questo contesto e a questa manovra.
I tagli incidono soprattutto sugli investimenti; si tratta, quindi, di un fallimento su tutti i fronti. Signor Viceministro, il rischio - glielo dico davvero con grande preoccupazione - è che il Paese si rivolti, non appena la scure si abbatterà sulle categorie di persone e di istituzioni che ho ricordato prima.
Avete letto gli ultimi dati ISTAT pubblicati sui giornali qualche giorno fa? L'ISTAT dice che, nel 2009, il reddito complessivo delle famiglie italiane è diminuito del 2,6 per cento; di conseguenza, vi è stato un drastico calo dei consumi, circa del 2 per cento, e i pochi consumi si sono indirizzati verso prodotti, soprattutto alimentari, di minore qualità, di più bassa qualità.
Stiamo diventando un Paese del terzo mondo! Si è intaccato il risparmio e la capacità di risparmiare si è assottigliata dello 0,7 per cento, scendendo all'11,1 per cento. Siamo ai livelli dei primissimi anni Novanta.
Il Codacons afferma - direte che è di parte, ma lo ha detto anche la Caritas italiana - che vi è una quota di popolazione, 15 milioni e mezzo di italiani, sulla soglia della povertà, che si indebitano non solo per gli acquisti di lungo periodo, come la casa, l'auto, il finanziamento della scuola dei figli e la salute, ma anche per acquistare cibo. L'ho detto prima!
L'ISTAT dice ancora che le imposte a carico delle famiglie sono diminuite; quindi, direte che si tratta di una buona notizia dentro il disastro generale. Invece no, perché l'ISTAT aggiunge che ciò avviene solo perché si guadagna di meno, e questo riduce la base imponibile. Non lo dice Renato Cambursano, non me ne abbiate!
Vado oltre: il rapporto Confcommercio-Censis dice che per il 2010, quindi in quest'anno, il quadro è a tinte fosche: fra aprile e giugno i consumi sono di nuovo in diminuzione. Cosa succederà nei primi mesi del 2011, quando gli effetti negativi di questa manovra si faranno sentire pesantemente e sarete obbligati a mettere mano ad un'altra manovra nell'autunno prossimo? Cosa succederà? La rivolta sarà inevitabile, ma intanto avete garantito le vostre cricche, fatte di tutte quelle categorie di cose e persone che conosciamo (farabutti, evasori, chiamateli come volete).
Concludo, signor Presidente, citando una dichiarazione fatta recentemente da un personaggio che stimo molto per la sua lotta alle varie categorie di quei personaggi di cui parlavo, brigatisti di destra o di sinistra e farabutti veri (anche i primi lo erano). Parlo del procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo. Egli ha recentemente affermato: questo mondo politico - mondo politico di cui faccio parte anch'io - è incapace di far fronte ad esigenze fondamentali, soprattutto delle nuove generazioni.
Egli ha poi aggiunto: la mancanza di un futuro determina la rabbia e la rabbia può prendere cattive strade (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, signor rappresentante del Governo, nella seduta della Commissione bilancio di mercoledì scorso il Ministro Tremonti ci ha detto che la matrice del provvedimento in discussione è europea, ma non nel senso di imposizione Pag. 18europea, bensì come provvedimento europeo, anche se non vi fosse stata l'Unione europea.
La matrice, oltre che per la logica della tenuta complessiva dei conti, anche rispetto ai mercati finanziari, deriva dalla riflessione politica sulla crisi. Per effetto della crisi, in questa fase, i problemi finanziari si sarebbero spostati dal privato al pubblico, e la crisi, secondo il Ministro, ha interrotto un ciclo basato sulla spesa pubblica e sul debito, fondato sull'onnipotenza dello Stato, che riteneva di poter finanziare in tal modo le proprie politiche.
Non vi sarebbe poi contraddizione, sempre secondo il Ministro, fra le affermazioni del Governo pre-manovra, secondo le quali i conti pubblici erano a posto e non occorreva una manovra correttiva, e l'avere adottato una manovra che nel 2012 supera i 25 miliardi di euro, in quanto il provvedimento interviene in modo impercettibile sul 2010; le decisioni europee hanno semplicemente fatto anticipare decisioni sul 2011 e 2012, che si sarebbero altrimenti adottate non in maggio, ma a luglio.
Queste affermazioni del Ministro Tremonti sono molto interessanti, direi persino illuminanti. Ci dicono innanzitutto una cosa: l'Italia non è stata costretta dall'Unione europea a questa manovra, come effetto dell'assunzione di regole più stringenti sul debito dopo la vicenda greca; su questo versante vi è stata solo un'anticipazione di due mesi di una manovra che, comunque, si sarebbe dovuta fare.
È un elemento di chiarezza, ma non del tutto in sintonia né con le affermazioni del Presidente del Consiglio, né con la propaganda del Governo: per due mesi ci siamo sentiti dire che il Governo italiano non aveva l'intenzione di operare una correzione dei conti così pesante, ma che si era costretti a farlo perché lo imponeva l'Unione europea e, d'altra parte, così fan tutti gli altri Paesi europei.
Ovviamente il Ministro Tremonti ci ha detto che le cose non stanno così: in tutti i documenti europei in materia, dei quali il Governo ha dato notizia in Parlamento, si parlava dell'opportunità per l'Italia di una correzione tra lo 0,5 e lo 0,8 per cento, come ha precisato il Ministro. Sì, Ministro, ma voi di questi documenti in televisione non avete mai parlato! Prima avete detto che la crisi era alle spalle, che l'Italia stava meglio degli altri Paesi, che i conti pubblici erano a posto e poi avete propagandato che, per colpa della Grecia e dell'Unione europea, si era costretti a compiere questa manovra.
Il secondo punto di interesse nelle affermazioni del Ministro Tremonti riguarda l'altro aspetto fondamentale della manovra. Al netto delle minori spese su pensioni, contratti del pubblico impiego e altri interventi e al netto delle maggiori entrate di quasi 11 miliardi, se guardiamo la manovra nel 2012, su 14 miliardi di tagli, comprendenti anche le minori spese cui facevo riferimento, l'onere sui ministeri centrali è di 2 miliardi, cioè il 14 per cento dei tagli, l'onere su regioni e enti locali è di 8,5 miliardi, pari al 60 per cento dei tagli, oltre quattro volte maggiore di quello dei ministeri. È del tutto evidente la sproporzione.
La propaganda ci ha parlato di quanto è scritto nella prima parte della relazione sul federalismo fiscale, presentata in questi giorni dal Governo che - lo sottolineo - è l'esatto contrario di quanto la Lega Nord ha sostenuto in questi ultimi 25 anni, da quando esiste. In quella relazione «Roma ladrona» non c'è più e non c'è più lo Stato che trattiene le tasse prodotte sul territorio e spreca l'uso di queste risorse, lasciando solo le briciole a regioni ed enti locali del nord.
Lì c'è un'altra cosa: si dice che sono le regioni e i comuni irresponsabili sul fronte delle entrate, delle tasse - che i cittadini invece pagano allo Stato - ad usare le grandi risorse di cui dispongono in modo inappropriato, con grandi sprechi, facendo aumentare la spesa pubblica; sono allora loro che devono subire l'effetto della scure di questa manovra, tutti, del sud, del centro e anche del nord.
Conseguentemente parte la propaganda di Stato, con tanti servizi televisivi sugli sprechi di regioni, province e comuni, per annunciare a tutto il Paese il nuovo verbo: Pag. 19lo Stato centrale ha i conti quasi a posto, bisogna intervenire sulla spesa decentrata, il cui livello di discrezionalità è doppio rispetto al centro, 171 miliardi contro 84. Anche se fosse vero, però, come abbiamo già visto, il taglio non è doppio, ma oltre quattro volte maggiore.
Il Ministro Tremonti è stato tuttavia più fine mercoledì scorso e ha rispolverato le idee degli anni Novanta del centrodestra. Sostanzialmente ci ha detto: il welfare in Europa, e quindi in Italia, non è più sostenibile: bisogna rivedere l'intervento dello Stato. Da qui traggo le conseguenze e le motivazioni vere della manovra.
Si taglia su regioni, province e comuni perché è da lì che passa gran parte del welfare italiano e se si vuole tagliare il welfare bisogna ridurre le risorse di questi enti, tra l'altro con il vantaggio che si taglia il welfare senza metterci la faccia o mettendola solo sulle pensioni.
Per il resto, la pistola per uccidere il welfare è in mano agli amministratori regionali e locali: ne risentiranno soprattutto le regioni che hanno un miglior livello di welfare (e, guarda caso, sono anche quelle dove si registra più sviluppo economico) perché, colleghi, i comuni virtuosi non sono quelli che spendono meno, ma quelli che danno più servizi a parità di spesa, e sono proprio questi ad essere in maggiore difficoltà con questa manovra.
Si taglia, inoltre, solo sulle fasce sociali medio-basse perché se va ridotto il welfare sono queste che devono pagare sia direttamente con alcune norme, sia attraverso i tagli a regioni ed enti locali. Non veniteci però più a raccontare la storiella che non mettete le mani nelle tasche dei cittadini: con gli interventi che spostano di un anno per i lavoratori dipendenti e di un anno e mezzo per i lavoratori autonomi l'effettiva possibilità di andare in pensione, con il blocco dei contratti del pubblico impiego e il dilazionamento nel tempo del TFR per i dipendenti pubblici, voi le mani le mettete nelle tasche di tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi!
Ma forse, considerato che cominciate a mettere in discussione la prima parte della Costituzione, in particolare sui temi del lavoro e dell'impresa, per la destra i lavoratori non sono cittadini e tanti altri cittadini si vedranno colpiti, anche nelle loro tasche, con la riduzione dei servizi sociali e del welfare. Ora sappiamo bene tutti a cosa servirà il federalismo fiscale secondo il progetto politico di questa maggioranza: servirà a ridimensionare il welfare.
Il Partito Democratico considera questa manovra sbagliata. Come ci ha detto il Ministro Tremonti, l'Unione europea non ci ha obbligato a fare questa manovra: ha chiesto a tutti i Paesi europei un maggior rigore sulla finanza pubblica e un'accelerazione nel rientro del debito pubblico rispetto a quanto richiedeva alcuni mesi fa.
Se, però, oggi è necessaria una manovra da 25 miliardi, non è un dato neutro derivante dalle richieste dell'Unione europea: è sì un dato oggettivo rispetto all'attuale stato dei conti pubblici italiani, ma questo stato dei conti deriva anche dalle scelte compiute dal Governo dal 2008 ad oggi. Pesano scelte sbagliate come l'abolizione dell'ICI sulla prima casa (una misura non a sostegno del potere d'acquisto delle famiglie, come era nel titolo del provvedimento, in quanto a quella finalità rispondeva già la legge finanziaria per il 2008 del Governo Prodi, ma a favore dei redditi più elevati, con un maggior costo per lo Stato ed un vantaggio per i più ricchi di ben 2 miliardi e mezzo rispetto a quanto previsto dalla finanziaria di Prodi) oppure scelte come quelle per l'Alitalia o provvedimenti a favore di comuni governati da amici, come quelli per Palermo e Catania.
Tutte queste scelte hanno comportato un aggravio dei costi rilevante per la finanza pubblica; d'altra parte oggi la destra parla del debito pubblico (terzo nel mondo senza essere la terza economia) quasi così come si trattasse di un'eredità del centrosinistra.
Diciamo la verità su questo al Paese: la credibilità sul versante del contenimento e della riduzione del debito pubblico la destra deve ancora conquistarsela! Per ora i fatti certificano che negli anni di Governo del centrosinistra (1996-2001 e 2006-2007) il debito pubblico in rapporto Pag. 20al PIL è diminuito, mentre negli anni di Governo del centrodestra e della destra (2001-2006 e dal 2008 ad oggi) il debito pubblico in rapporto al PIL è sempre cresciuto. Anche nel 2009 è stato così: dieci punti in più arrivando al 115,8 per cento, ed alti tre punti ce li metteremo quest'anno!
Si dirà, come per tutto ciò che non va, che la causa non sta nelle politiche del Governo, ma nella crisi economica internazionale: è diminuito il PIL e quindi conseguentemente è aumentato il rapporto debito pubblico-PIL.
È proprio su questo aspetto che vi è uno degli elementi per cui la manovra, a nostro avviso, è sbagliata: nel rapporto tra risanamento e crescita. La contrazione del PIL nel biennio 2008-2009 è stata del 6,3 per cento: più della media europea e maggiore degli altri Paesi europei più importanti. In questa fase di avvio della ripresa il recupero è troppo lento: rischiamo di metterci il doppio del tempo di altri Paesi per tornare ai livelli pre-crisi del 2007.
Per di più ciò avviene alla fine di un decennio (che ha visto il Presidente Berlusconi capo del Governo per oltre sette anni, è bene ricordarlo) in cui l'Italia è cresciuta molto meno dell'Europa, che ha già una crescita più bassa degli altri continenti, e in cui l'Italia ha perso molte posizioni della classifica della competitività.
Gli effetti della crisi sono stati molto pesanti sul piano delle esportazioni, ma anche della domanda interna e dei consumi, così come sull'occupazione: in particolare la disoccupazione giovanile è giunta già al 30 per cento. L'ISTAT ha appena certificato che il reddito delle famiglie è diminuito nel 2009 del 2,6 per cento e che sono calati i consumi finali.
Attenzione anche ad un altro aspetto. Il Governo afferma sempre che l'Italia non va giudicata solo per lo stato della finanza pubblica: se si prende il Paese nel suo complesso, emerge il dato positivo di un minore indebitamento delle famiglie, che risparmiano di più di quelle di altri Paesi. Ebbene, l'ISTAT ci rivela che la propensione al risparmio torna ai minimi dagli anni Novanta. Insomma, con la crisi le famiglie si stanno mangiando i risparmi di una vita.
Allora il problema della crescita è centrale: bisogna dare un po' di ossigeno alle famiglie con redditi medio-bassi, con figli, diminuendo un po' le tasse, e bisogna sostenere le imprese sul terreno dell'innovazione, e quindi della green economy e della ricerca, oltre che per ridurre la forbice tra nord e sud, anche per diminuire le tasse sulle piccole imprese.
In questi due anni nulla è stato fatto in tale direzione. O meglio, qualcosa si è fatto in peggio: si sono previsti tetti di spesa e click day sui crediti di imposta per ricerca e sviluppo e sugli investimenti nel Mezzogiorno; si è svuotato il FAS, utilizzato per finanziare i più svariati interventi del Governo, anche la riduzione delle multe per le quote latte agli splafonatori; non sono rifinanziate le detrazioni fiscali del 55 per cento per gli interventi di efficienza energetica negli edifici; si sono tagliate le risorse per la scuola e l'università, quindi per il futuro del Paese sul versante del sapere e dell'innovazione; e ciò è avvenuto all'interno di un progetto politico di indebolimento e destrutturazione di tutto ciò che è pubblico, sicurezza e forze dell'ordine comprese.
Sul piano delle tasse, di riduzione dell'IRAP si è solo parlato. Per il rilancio dei consumi solo spot: social card e bonus famiglie per pochissimi e presto esauriti. E poi tagli alla spesa sociale, nessun sostegno ai redditi medio-bassi, nessuna riduzione delle imposte per lavoratori e pensionati. Non sottovaluto l'insieme degli interventi sugli ammortizzatori sociali, ma perché il Governo e la maggioranza, quando tagliano le regioni, non ricordano che gran parte, più della metà, della spesa per gli ammortizzatori sociali in deroga è stata finanziata dalle regioni, con loro risorse, che rischiano di non riuscirvi più dal prossimo anno con i tagli di questa manovra? Quindi, zero politiche industriali, zero politiche di sostegno al reddito e ai consumi e caduta del PIL più degli altri Paesi. Pag. 21
Questa manovra cambia lo scenario? No, anzi, è depressiva, per ammissione stessa del Governo in base ai documenti presentati al Senato. Non bastano certo misure quasi impossibili, come la riduzione dell'IRAP per le nuove imprese nelle aree sottoutilizzate, perché è una mera possibilità di regioni che devono già aumentare l'IRAP per i piani di rientro della spesa sanitaria, e per di più con meno risorse dopo i tagli della manovra.
Non bastano le poche risorse per le reti d'impresa, e invece è certo il taglio, ad esempio, del 50 per cento delle risorse per i parchi nazionali e le agenzie di sviluppo sostenibile in quelle aree (solo adesso se ne è accorto il Ministro).
C'è una novità nelle politiche industriali: si prevede che imprese residenti in uno Stato dell'Unione europea diverso dall'Italia, se intraprenda nuove attività in Italia, per tre anni possono scegliere la normativa tributaria di un altro Paese dell'Unione. Introduciamo un livello di concorrenza sleale a svantaggio delle nostre imprese! In una maggioranza dove la Lega dice di non volere gli immigrati come persone, si favoriscono gli immigrati come impresa!
Le proposte del Partito Democratico, attraverso gli emendamenti che abbiamo presentato, riprendono tutti i temi che ho citato per la crisi: credito d'imposta per ricerca e Mezzogiorno; detrazione per l'efficienza energetica degli edifici; incremento delle detrazioni per i figli e per gli assegni familiari; innalzamento della franchigia IRAP; banda larga; ripristino delle risorse del FAS; interventi per l'agricoltura; soppressione della nuova proroga per le quote latte; risorse per la scuola e l'università; un nuovo pacchetto di liberalizzazioni, nonché norme per la concorrenza e a tutela dei consumatori.
Il Governo e la maggioranza dicono che ciò non si può fare a causa del debito pubblico. Non è vero. Alcune misure, come le liberalizzazioni, non costano, semplicemente non si vogliono fare, non si ha la volontà politica.
Per altri aspetti la copertura finanziaria c'è nelle nostre proposte: con una sovrattassa per i capitali che hanno beneficiato dello scudo fiscale; facendo pagare di più alle rendite finanziarie, incluse le banche ed esclusi i BOT e CCT; con un'asta per l'assegnazione delle frequenze liberate dal digitale terrestre.
Poi c'è un'altra questione di fondo. Gli indicatori principali di finanza pubblica hanno tutti come denominatore il PIL. Se si interviene solo sul numeratore (sulla finanza pubblica) con tagli alla spesa o maggiori entrate, e non si interviene sul denominatore (cioè per la crescita), si rischia che il risanamento sia fragile. Se la manovra è depressiva e questo aspetto non viene considerato nelle previsioni del Governo, il risultato sarà che tra qualche mese dovremo fare un'altra manovra. In sostanza non c'è risanamento senza crescita. Questa manovra non aiuta la crescita e quindi non ci darà un risanamento duraturo, ma un risanamento per di più aleatorio anche per avere già considerato le entrate di recupero dell'evasione fiscale nei saldi.
La manovra è poi sbagliata sul piano dell'equità. È una manovra iniqua socialmente perché, invece di pagare soprattutto chi ha di più, qui succede il contrario. Ad essere colpite sono quasi ed esclusivamente le fasce sociali medio-basse. È inoltre iniqua istituzionalmente, perché non vi è proporzione giusta tra il carico attribuito a regioni e comuni e quello attribuito allo Stato centrale.
Ricordo che i tagli non cancellano, ma si aggiungono alle norme sul Patto di stabilità interno, che nel 2011 sono ancora più pesanti in termini di saldi che si devono ottenere, pena lo scatto di gravi sanzioni. Di questi aspetti ho già detto all'inizio, ricordando come l'intervento del Ministro Tremonti abbia chiarito l'obiettivo di ridimensionamento del welfare, ma voglio sottolineare ulteriormente gli effetti sui comuni.
Nella prima mia provincia (Reggio Emilia) i 31 comuni sopra i cinquemila abitanti e la provincia devono fare nel 2011 una manovra sui bilanci che ha un impatto di 49,5 milioni (sostanzialmente 50 milioni, 100 miliardi di vecchie lire): Pag. 2235,1 milioni per il peggioramento dei saldi ai fini del Patto di stabilità interna, e 14,4 milioni di trasferimenti tagliati. Cinquanta milioni di euro in una provincia di 450 mila abitanti: è assolutamente insostenibile, significa chiudere (come ha detto il sindaco di Reggio Emilia, vicepresidente nazionale dell'ANCI). Voglio ribadire che questo colpo cade su enti locali che hanno dato un contributo sostanziale al risanamento della finanza pubblica.
L'indebitamento complessivo si è notevolmente ridotto nel 2009, passando per i comuni da un disavanzo di un miliardo e 100 milioni nel 2008 a circa 320 milioni nel 2009; le province hanno dimezzato il disavanzo complessivo, passando da 1,1 miliardi a 615 milioni.
Non si comprende, quindi, l'accanimento sui comuni: 1 miliardo e mezzo di trasferimenti, tagliato nel 2011, e 2 miliardi e mezzo nel 2012, esattamente come i maggiori trasferimenti per l'abolizione dell'ICI che, dal 2012, viene pagata, sostanzialmente, dai comuni. E per le province (300 milioni nel 2011 e 500 nel 2012), oltre che per le regioni (oltre i 4 miliardi), tutto ciò per perseguire l'obiettivo politico dello smantellamento del welfare. Gli emendamenti del Partito Democratico intervengono anche su questi aspetti, cancellando le norme più inique sul piano sociale e riducendo il contributo richiesto a regioni ed enti locali, individuando altre coperture, ad esempio con forme di riorganizzazione dell'amministrazione centrale in grado di produrre risparmi (mi riferisco, in particolare, agli emendamenti sull'unificazione di INPS e INPDAP e sulla riorganizzazione degli uffici periferici dello Stato, ma, complessivamente, la spesa pubblica centrale dei Ministeri può dare un contributo maggiore di quello che è previsto nella manovra al recupero di risorse). In sostanza, il Partito Democratico ritiene che sia possibile tenere insieme risanamento, crescita ed equità, cosa che questa manovra non fa e che, in questa sede, non è possibile cambiare, così come non lo è stato in Commissione bilancio, perché Governo e maggioranza hanno deciso che si andrà al voto di fiducia sul testo uscito dal Senato. È un'ennesima puntata di un film già visto sul monocameralismo alternato di fatto che umilia il ruolo del Parlamento, indebolisce la democrazia e non risolve i problemi del Paese. Anche dopo questa manovra, ancora di più dopo questa manovra, l'Italia avrà più difficoltà a guardare con fiducia al proprio futuro. È una grave responsabilità di una coalizione e di un governo che, ogni giorno che passa, dimostra la sua incapacità a governare e l'esigenza di un forte cambiamento nel governo del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, volevo partire dal titolo stesso di questa manovra: «Stabilizzazione finanziaria e competitività economica», per dire che mi sarebbe piaciuto che questa stabilizzazione finanziaria avesse avuto, come punto di vista privilegiato, la stabilizzazione finanziaria delle famiglie e delle piccole e medie imprese; mi sembra, viceversa, che, se letta dal loro punto di vista, questa è una manovra di chiara, evidente e spregiudicata destabilizzazione. Voglio concentrarmi soltanto su alcuni passaggi. Il primo, sicuramente, riguarda la famiglia e l'effetto destabilizzante di questa manovra che, a mio avviso, si legge su una serie di parametri che le famiglie già da tempo stanno mettendo in evidenza. Il primo - ed è una prospettiva che terrorizza molte di queste famiglie nella visione di un autunno che sta per arrivare prima di quanto forse non ci si immagini - riguarda i servizi più cari, con un accesso più difficile anche per la classica famiglia media, ossia quella di una madre e di un padre che lavorano entrambi e che hanno due bambini. Potremmo dire, da un certo punto di vista, una famiglia privilegiata e, tenendo conto dell'indicatore medio italiano, anche una famiglia con un tasso di natalità più alto della media. Queste famiglie hanno già saputo che l'importo che dovranno pagare per i servizi, nell'autunno, Pag. 23è superiore a quello che hanno pagato finora, anche perché si è abbassato il livello di reddito necessario per accedere alle agevolazioni. Per queste famiglie, quindi, il sistema di allarme, per rendere più precario l'accesso ai servizi, è già scattato, con una serie di timori che, in molti casi, prevedono anche un altro indicatore che mi sembra importante segnalare. Qui sentiamo dire, infatti, che il nuovo stipendio dei parlamentari sarà ridotto del 10 per cento e si discute se la riduzione riguarderà soltanto su una parte di esso o tutto, però tutti quanti sappiamo che, al di là di qualunque tipo di dibattito che si possa fare, è una riduzione di stipendio ammortizzabile. In molte di queste famiglie, i capifamiglia, ma anche le donne che lavorano, hanno ricevuto un invito molto persuasivo, molto suadente, ad accettare una riduzione dello stipendio del 10 e del 15 per cento, il che significa, per chi ha uno stipendio di 1000-1100 euro, arrivare ai 900, cioè sotto la soglia dei 1000 euro.
Questa ipotesi lascia aperta una sorta di bilanciamento se, arrivando sotto tale soglia, questo permettesse loro di tornare a poter accedere a quei servizi oppure se questo si riduce in una perdita secca. Il bello è che, essendo questa riduzione su base volontaria, non sarà visibilmente contabilizzabile e non renderà quindi quel vantaggio secondario che avrebbe potuto essere rappresentato dal poter recuperare perlomeno i servizi.
C'è di più: a proposito di questa destabilizzazione ci sono alcuni cosiddetti precari di lusso che sono i giovani professionisti che lavorano negli studi di avvocati, i giovani professionisti che lavorano negli studi degli architetti, i giovani professionisti che lavorano negli studi di grafica, di grafica pubblicitaria, di comunicazione. Tutti questi giovani professionisti sanno che ad ottobre non ritroveranno il loro posto di lavoro. Sono stati salutati cordialmente, è stato detto loro che la riduzione del lavoro e, quindi, l'ampio e prevedibile margine di riduzione e contrazione delle risorse non mette in condizioni i loro datori di lavoro di sostenerli. Quindi, queste famiglie sanno anche che si troveranno a doversi cimentare tra pochi mesi anche con quella che non solo è la riduzione dello stipendio - situazione fortunata comunque per chi ha un contratto di lavoro dipendente a tempo possibilmente indeterminato - ma si troveranno a dover fare i conti con quella che è la mancanza stessa delle condizioni economiche.
C'è ancora un altro aspetto interessante, che è stato già citato da molti dei colleghi che mi hanno preceduto, che è il sistema complessivo dell'indebolimento delle misure di welfare. Molte persone, molte famiglie che hanno un anziano che viene assistito mediamente per 24 ore da un badante sanno che non possono più permettersi questo servizio: non si possono più permettere di coprire il costo del badante 24 ore al giorno perché non si possono nemmeno più permettere di coprire la quota da elargire a questa persona. Si trovano quindi nella condizione di dover ripensare non solo come venire incontro alle necessità del familiare anziano, ma si trovano anche a ripensare come dover ristrutturare tutti i loro modelli di vita. Siamo tornati al punto che in molte famiglie la donna si sta ponendo chiaramente non in termini di scelta libera, personale e responsabile, ma in termini di condizione di contesto se dover rinunciare al suo lavoro perché il costo della scuola materna, il corso dell'assistenza all'anziano e la riduzione dello stipendio nonché il sistema di precarietà cui va incontro il proprio lavoro pongono veramente il dubbio se sia davvero remunerativa la propria presenza professionale. Ma questa non è una scelta per la famiglia. Questa è una scelta che è stata fatta dal sistema contro la famiglia e rispetto a cui la persona che paga maggiormente e con più pesantezza, con più incisività e che subisce questa situazione anche in quella dimensione che tristemente abbiamo vissuto per decenni e decenni, è la donna.
Ma vi sono ancora due passaggi rispetto alla famiglia che, signor Presidente, mi piacerebbe proprio sottolineare. Il punto chiave è quello che riguarda i bambini con Pag. 24handicap. Signor Presidente, leggere esattamente cosa c'è scritto è ai limiti della boutade. Voglio proprio leggerlo perché mi sembra che non vi sia stata richiamata l'attenzione dai colleghi. Si dice anzitutto che l'accertamento di handicap, quindi l'accertamento di difficoltà sul piano educativo e sul piano dell'istruzione, deve essere fatto da un collegio che risponde in solido della diagnosi sbagliata. Si dice esattamente che i componenti del collegio che accertano la sussistenza della condizione di handicap sono responsabili di ogni eventuale danno erariale per il mancato rispetto di quanto previsto: mai sentito finora che questo sia mai accaduto. Soprattutto quando la diagnosi rispetta le difficoltà di apprendimento di un bambino e le sue difficoltà di inserimento sociale sono difficoltà dal punto di vista diagnostico su cui ancora oggi il mondo scientifico discute. Evidentemente nella nota si fa riferimento a quelli che sono i criteri stabiliti dall'Organizzazione mondiale della sanità. Ma il Presidente sa, come sanno molti dei colleghi, che sono giacenti da tempo alcuni disegni di legge che tendono a verificare il tema del disturbo di apprendimento dei bambini e le misure che questo disturbo di apprendimento dovrebbe richiedere.
In questa disposizione - sto sempre parlando dell'articolo 10, al comma 5 - si dice anche che questo collegio elabora proposte relative all'individuazione delle risorse necessarie, ivi compresa l'indicazione del numero delle ore. Infatti sul numero delle ore sembra che si possa fare affidamento, ma il numero delle ore deve essere esclusivamente finalizzato all'educazione e all'istruzione. Si dice subito dopo: restando a carico degli altri soggetti istituzionali - soggetti non nominati, per cui non si sa chi sono gli altri soggetti istituzionali - la fornitura delle altre risorse professionali e materiali necessarie per l'integrazione e l'assistenza all'alunno disabile richieste dal piano educativo individualizzato.
Signor Presidente, qui bisognerebbe semplicemente intendersi, in una questione talmente annosa da rappresentare ancora per il mondo scientifico un contesto di dibattito quotidiano, che cosa intendiamo per educazione ed istruzione. Come si fa a distinguere le ore strettamente legate all'istruzione? Che cosa sarà istruzione per un bambino di otto anni? Sarà istruzione soltanto saper fare la divisione a due cifre o sarà istruzione anche tutto quello che attiene alla propria capacità di comunicazione e di espressione nel contesto, per esempio, della classe? Sarà istruzione la capacità di scrivere un pensierino senza errore di ortografia o sarà istruzione la capacità di elaborare un pensiero che in qualche modo rifletta una capacità di integrarsi nel contesto sociale?
Tra l'altro questa norma, così come è formulata, è totalmente inapplicabile, perché è impossibile sapere chi pagherà se per caso la diagnosi è sbagliata; ma soprattutto: chi dirà che quella diagnosi è sbagliata? Dove troveremo i tecnici e gli esperti su temi che non solo sono tuttora sub iudice della comunità scientifica? Mentre, per altro verso, sappiamo che invece un piano educativo erroneo, insufficiente, sbagliato o comunque limitato crea un disagio, crea quella che potremmo chiamare una sorta di effetto secondario di prevenzione non mantenuta, che è molto difficile da stabilire in un bambino che non ha appreso. Lo sappiamo tutti: all'inizio la distanza dei tempi di apprendimento tra i bambini può essere calcolata in mesi, ma quando il bambino portatore di handicap non riceve gli aiuti necessari ed adeguati alla sua condizione, quella distanza si misura in anni, si arriva a misurare in decenni. Che cosa si farà in questo caso? Chi dirà che cosa era dovuto e che cosa non era dovuto? E chi dirà all'insegnante di sostegno: «Devi fare questo, non deve fare quest'altro»? Come la costruiamo l'immagine di un processo educativo?
Colpisce enormemente la mia attenzione l'idea che in un disegno di legge che contiene misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica si arrivi a voler chiedere il numero delle ore di cui il bambino portatore di handicap ha bisogno e si chieda Pag. 25di voler distinguere esattamente tra quelli che sono gli obiettivi dell'area educativa e quelli che sono gli obiettivi dell'istruzione. Direi che è talmente sproporzionata questa richiesta, talmente inaudita nella sua sostanza pedagogica, clinica, scientifica e sociale, che veramente è allucinante che si possa arrivare a questo.
Ma vi è una serie di altri passaggi del disegno di legge in esame che è interessante sottolineare e che riguarda invece il mondo della sanità. Per quello che riguarda il mondo della sanità vorrei sottolineare due o tre punti che mi sembra possano essere significativi, anche perché comportano non solo un aspetto paradossale, ma contengono in sé stessi l'incapacità di essere attuati e tradotti poi in termini che anche semplicemente raggiungano gli obiettivi che vengono assegnati nel disegno di legge in esame. Mi riferisco ad un punto molto semplice: si dice - en passant - che 600 milioni di euro che riguardano i costi farmaceutici vengono spostati dalla farmacia dell'ospedale alla farmacia del territorio. In questo modo si intende sottolineare che chiaramente gli ospedali spenderanno di meno: è evidente, se 600 milioni li tolgo alla voce di bilancio «farmacia dell'ospedale» e li sposto su un'altra voce di bilancio che è «medicina del territorio» potremmo dire che l'ospedale risparmia, per esempio, quanto i 600 milioni previsti, che vengono in carico alla medicina territoriale. Ma noi sappiamo da chi è formata la medicina territoriale: è formata dai medici di base, dai medici di famiglia, che in nulla sono stati preparati a questo. Infatti tale spostamento riflette un disegno importantissimo, che è quello di prendersi carico dei pazienti cronici (sono citati qua: i pazienti cardiopatici e i pazienti diabetici).
Che cosa abbiamo fatto, però, per la formazione dei medici di medicina generale e dei medici di famiglia a cui vengono messe in carico patologie di tipo specialistico? Abitualmente, infatti, il paziente tende a considerare e a valutare le patologie di tipo specialistico sempre con lo specialista, e non tanto con il medico di medicina generale.
In questo contesto di mancata formazione (possiamo dirlo, anche perché è accaduto pochi mesi fa in quest'Aula), di mancata realizzazione del provvedimento concernente il cosiddetto governo clinico e, quindi, di mancata capacità di ridisegnare il sistema sanitario, come si fa a spostare fondi da una voce all'altra, se l'altro non sa nulla, e nulla è stato fatto, affinché la sua responsabilità e la sua competenza possano essere investite di questo? A mio avviso, sarà un risparmio falso, che verrà vanificato dalla richiesta del paziente stesso: sarà lui, infatti, a recarsi dallo specialista ospedaliero ambulatoriale, piuttosto che - chiamiamolo così - dal medico generale e generalista del territorio.
Con riferimento alla sanità, vi è un altro aspetto che riflette una misura, a mio avviso, iniqua. Vorrei leggere esattamente il passaggio interessato, perché le parole, come si dice in gergo, sono pietre, e non sono soltanto belle parole messe in libertà: mi riferisco alle norme sui benefici per i soggetti danneggiati in ambito sanitario. Signor Presidente, voglio sottolinearlo: chi ha danneggiato questi pazienti in ambito sanitario? La sanità. Li ha danneggiati chi ha messo in circolazione partite di sangue infetto senza averle controllate. Questi pazienti sono vittime dello Stato e del Servizio sanitario nazionale.
Si tratta di una legge del 1992: cosa si dice nel preambolo, che ci fa sentire orgogliosi di essere italiani ed orgogliosi di un Servizio sanitario nazionale, che occupa i primi posti al mondo (mi si dice il secondo posto dopo quello del Canada: non so se è così, ma sicuramente, è uno dei primi posti al mondo)? Si dice che, come è riconosciuto dalla Carta costituzionale, l'indennizzo previsto dall'articolo 1 della legge n. 210 del 1992 consiste in una misura di sostegno economico fondato sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini alla stregua degli articoli 2 e 38 della Costituzione. Signor Presidente, mi permetta di aggiungere un altro articolo della Costituzione, su cui molto si è detto e di cui molto si è abusato in questi ultimi due anni: l'articolo 32. Esso garantisce ai cittadini le cure di cui hanno Pag. 26bisogno a tutela della loro salute. Per di più, in questo caso, il danno lo abbiamo indotto noi.
Nell'articolo citato si prevede, sostanzialmente, che l'indennizzo consistente in un assegno reversibile resta tale e quale, ma soprattutto, che la somma corrispondente all'indennità integrativa speciale non sarà rivalutata in termini di inflazione o di svalutazione della nostra moneta. In altri termini, vi è un potere di acquisto sempre inferiore per pazienti - mi sia concesso - che, invece, stanno sempre peggio. Infatti, un paziente che contrae un'epatite C ha un rischio altissimo di dover essere sottoposto ad un trapianto di fegato, con tutte le problematiche del caso. Vorrei dire anche con tutti i costi del caso, ma a me interessa, soprattutto, sottolineare l'infinito disagio personale a cui vanno incontro questi pazienti.
Ebbene, a questi pazienti, diciamo una cosa molto semplice: scusami, è stata colpa nostra, è dal 1992 che non ti rimborsiamo, ma pazienza; adesso, se vuoi, puoi prendere o lasciare, e prendere ciò che ti avremmo dato, se te l'avessimo dato nel 1992. È una cosa inaudita, una tale mancanza di giustizia sociale, una tale mancanza di assunzione di responsabilità! Signor Presidente, non si tratta nemmeno di solidarietà, perché la solidarietà è un grande valore aggiunto e l'espressione della dignità di un Paese: qui stiamo parlando di giustizia e di articoli della Costituzione. Questo passaggio mi sembra uno dei più iniqui che vi sono nella manovra in discussione.
Vi è un ulteriore aspetto che mi sembra ai limiti del ridicolo che, tuttavia, vale la pena citare, per quanto vale, per ognuno di noi, leggere le cose.
Un passaggio di questo tipo: si dice ai grossisti delle case farmaceutiche: cari signori, fino ad ora vi abbiamo dato (semplifico, ma mi avvicino molto alle cifre esatte) il 6 per cento, ora, cari signori, comprenderete che, nella situazione in cui stiamo, più del 3 per cento non vi possiamo dare. Fin qui si dice: a noi riducono lo stipendio ma riducono anche la commessa ai grossisti. Ma la cosa ridicola dov'è? Quando poi si dice ai grossisti che saranno loro stessi a controllare le migliori condizioni economiche o le migliori condizioni di distribuzione dei farmaci. Ci rendiamo conto del fatto che, prima, riduco la parte a loro spettante e poi dico sempre a loro di compiere una manovra che dovrebbe giustificare il costo complessivo? Mi sembra che bisogna mettersi d'accordo tra la botte piena e la moglie ubriaca, tra una richiesta che questa classe di professionisti può leggere come penalizzante per sé e l'investimento di autorità che viene richiesto: dovremmo trovarci davanti ad una classe con una dignità morale, con un distacco assoluto dal guadagno, con una capacità di mettere il bene comune totalmente al centro dell'attenzione, da mettere il proprio bene personale in fondo alla coda. Mi permetta di dubitare che oggi questa cosa possa accadere, esattamente come mi permetta di dubitare che, dietro questo tipo di norma, ci possa essere quella che potremmo chiamare una sorta di senso comune.
Viceversa nulla si dice sugli sprechi, tutto è letto in chiave strettamente farmacologica. Si dice anche un'altra cosa: i farmaci generici, quelli considerati come farmaci equivalenti, vengono considerati in base alla data in cui scade il loro brevetto. Però si distingue tra farmaci in cui il nome del principio attivo coincide con il nome del farmaco e farmaci invece (si dice esattamente così), col nome di fantasia in cui all'interno è contenuto il principio attivo. Sui primi si opera nel senso di una riduzione dei costi, nel senso chiaramente di tentare di spostare l'attenzione verso una loro maggiore diffusione, sugli altri si dice: «lo pagherai tanto quanto avresti pagato un farmaco generico ma, se vuoi questo, devi mettere la differenza». E come la calcoleremo questa differenza? In base a quale criterio? In base a quale elemento di specificità potremo dire che il principio attivo è legato soltanto a quel quid o che il principio attivo, come sostengono in pratica tutti i farmaci preparati, è legato a quel mix di prodotti che definiscono quella differenza che il paziente descrive perfettamente quando dice: Pag. 27«professore, questo farmaco mi fa bene, quest'altro non mi fa niente, questo mi fa venire mal di stomaco o mal di testa», secondo quella variabile imponderabile che però fa la differenza in termini di risposta del paziente al farmaco che gli viene somministrato. Anche questo risulta francamente molto costruito a tavolino, ma assai poco costruito, tenendo conto della sensibilità e della natura con cui ogni paziente risponde a patologie, soprattutto quando si tratta di patologie croniche.
Un'ultima cosa, l'unico investimento positivo che si fa, lo si fa sulle tessere sanitarie e lo si fa sulla possibilità della ricettazione per via telematica. Ci si riferisce a due progetti: il progetto pilota SOS: un progetto che lega dodici Paesi membri e permette alle persone che rientrano all'interno di questa sperimentazione di poter avere le stesse condizioni del sistema sanitario nazionale, che avrebbero nel loro Paese, negli altri dodici Paesi membri.
Mi piace però ricordare una cosa: mentre noi ci preoccupiamo di uno sviluppo di cui, sotto il profilo tecnologico, la stessa documentazione predisposta dall'ufficio studi della Camera sottolinea l'imponderabilità dei costi che vengono presentati - quindi non sappiamo né quanto costerà né, quindi, in che modo e in che misura potrebbe essere dedotto il vantaggio che se ne può ricavare - è di questi giorni una sentenza che, in qualche modo, penalizza il Governo, dando ragione alla regione Toscana. Ricorderà, signor Presidente che, forse l'anno scorso, la regione Toscana deliberò la possibilità di assistere gratuitamente gli immigrati che erano presenti sul suo territorio. Contro questo provvedimento che, dobbiamo riconoscere in ogni caso veniva fatto da una regione con i conti in ordine e che sembrava espressione di un grande senso di solidarietà e di attenzione rispetto alle persone, ricorse il Governo.
È notizia di oggi che il Governo non aveva alcun diritto ad intervenire in questa materia; se non vogliamo dire che è stato dichiarato colpevole, perché non vi è giudizio di colpevolezza, vi è, senz'altro, un giudizio di inadeguatezza.
Signor Presidente, ci troviamo davanti ad una certa situazione: mentre investiamo su cose che potrebbero essere quanto meno dubbiose, lasciamo allo scoperto i bambini portatori di handicap, lasciamo allo scoperto gli anziani, lasciamo allo scoperto quegli anziani che necessitano di un servizio «h 24» e le fasce più fragili.
Credo che questo sia in totale contraddizione con quanto dicevo all'inizio, riferendomi alle misure urgenti in materia di stabilizzazione. Credo che, se non si prenderanno delle misure molte concrete, andremo incontro ad un grave processo di destabilizzazione sociale (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevole Viceministro, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, oggi, fortunatamente, ci troviamo in un'Aula a parlare italiano; in un altro Parlamento, magari futuro, avremmo potuto parlare una lingua diversa. Dico fortunatamente perché, se in questo Parlamento parlassimo francese, oggi non avremmo una manovra da 25 miliardi di euro, ma da 100 miliardi di euro.
Quindi, stiamo parlando di cose difficili e mi riferisco anche al fatto di vedere folle esultanti e gruppi di parlamentari in festa per un taglio ed una stabilizzazione (la chiamiamo stabilizzazione, certo, con qualche elemento di rilancio che poi illustrerò), immaginiamoci se fossimo stati in Francia, di cui tessiamo le lodi dell'apparato statale contro, sempre, il nostro vituperato apparato statale.
Fossimo in Germania, la Germania dei miracoli, la Germania della Merkel, la Germania del paradiso socialdemocratico - Paese federalista, tra l'altro - oggi parleremmo di 45 miliardi di euro, e non ci andrebbe molto bene, sarebbe una discussione difficile.
Fossimo in Inghilterra e parlassimo inglese, avremmo una grande difficoltà, Pag. 28perché dovremmo dire ai nostri cittadini che non vi è più la tredicesima, o che vi è un taglio dell'1 per cento, o aumentiamo i ticket per la sanità, le assicurazioni, e via dicendo.
Oggi ci troviamo, sicuramente, in un momento difficile di una manovra da 25 miliardi di euro, ricordiamo però anche il passato, e che vi sono stati mesi difficili, e tutti lo sappiamo.
Sappiamo, infatti, della finanziaria per il 2010 di 9 miliardi di euro, sappiamo del cosiddetto milleproroghe, altri 9 miliardi di euro, con i 5 miliardi di euro di gettito una tantum, e, alla fine, possiamo dire di aver fatto una manovra complessiva di 43 miliardi di euro.
Sappiamo, inoltre, che di manovre collettive, questo Parlamento, ne ha fatte tante in questi anni, e la critica che facciamo tutti è quanto incidano realmente sulla spesa.
Riusciamo a fermare la spesa, quello che molte volte viene percepito come un carrozzone burocratico, ma che, alla fine, è l'intelaiatura su cui noi, di fatto, costruiamo la nostra giornata e il nostro presente? Non è così: ricordiamo che la spesa pubblica è passata dai 373 miliardi di euro del 1990 agli 805 miliardi di euro, il 52 per cento del PIL, con una pressione fiscale mostruosa.
Quando sento i colleghi dire: la ricetta di Bersani, cosa facciamo? Mettiamo un po' di soldi nelle tasche degli italiani. Neanche il mago Silvan ci riusciva.
La ricetta - semplifico e mi scuso con i colleghi che sicuramente accetteranno questa semplificazione con benevolenza, mi auguro - sarebbe stata quella di aumentare in qualche modo la tassazione che quest'anno è pari al 44 per cento del PIL. Ricordo anche che il totale delle entrate pubbliche è passato dal 41,8 al 47 per cento di PIL. Insomma, il sistema non funziona.
Il sistema non funziona e siamo coscienti che questo Paese si è avviato inevitabilmente verso un declino relativo e assoluto. Abbiamo un declino relativo rispetto agli altri Paesi, anche se sappiamo tutti che questo Paese è il Paese dei capannoni, degli artigiani, di chi tira la lima piuttosto di chi fa finanza. È il Paese delle famiglie, come è stato ricordato, che risparmiano e che quindi hanno contribuito a mantenere un tasso di indebitamento basso. Ma sappiamo che, con il declino dell'Europa, il declino relativo e quello assoluto in qualche modo sono dietro la porta.
Ma ora guardiamo avanti, oltre questa manovra di stabilizzazione su cui ci confrontiamo. Potevamo fare anche un venticinquesimo comma. Poi vedremo qualche punto di questa manovra. Tuttavia, credo che siamo di fronte ad uno scenario su cui gli uomini del centrodestra, ma soprattutto quelli della Lega, vogliono incidere. Si tratta della riforma fiscale, di quella federale, della riforma del fisco demaniale e della fiscalità per i comuni. Non ci vogliamo arrendere ad uno stato di cose che, di fatto, ha sempre visto aumentare la spesa pubblica e vogliamo somministrare una medicina forse amara, come qualcuno dice. Certo, da medico, non ho mai visto entusiasmi incredibili di fronte alla somministrazione di medicine o al fatto di sottoporsi a terapie mediche. Tuttavia, si tratta di una misura necessaria. È una medicina, però, che rinvigorirà fortemente questo Paese. È la medicina del federalismo fiscale, su cui (insieme a tanti altri argomenti) sono state dette tante sciocchezze. In questo Paese, come dice la stampa, si è fatto uno sciopero - e siamo andati a verificare - perché si sarebbe bloccato il turnover dei medici. Non è vero, non esiste assolutamente, non è affatto così. Ora abbiamo degli studi, come quello di Associazione «TrecentoSessanta», che simulano le nuove imposte sugli immobili (Imu), arrivando a dire che vi sarà un taglio, una macelleria sociale o quant'altro.
È evidente che nella nuova articolazione dell'Imu - che comprenderà imposte di registro, catastali e ICI sulla seconda casa - non viene calcolato, però, anche il gettito derivante dalla tassazione forfettaria dei redditi da locazione, che verrà inclusa. Avremo una cedolare secca sugli affitti al 23 per cento e una tassazione Pag. 29forfettaria al 5 per cento sulla regolarizzazione degli immobili nascosti al fisco. Pertanto, vi saranno 25 miliardi che deriveranno dall'ICI sulla seconda casa e dalle imposte statali. Inoltre, i comuni potranno incassare 5 miliardi di euro grazie all'introduzione della cedolare secca sugli affitti e alla sanatoria su 2 milioni di immobili fantasma. Stiamo parlando di 2 milioni di immobili fantasma e di un'evasione ICI incredibile. In questo Paese vi è un livello di evasione ICI che arriva al 60, 70 e 80 per cento e arriviamo all'80 per cento di evasione IRAP. Dunque, vi è di fatto un margine enorme su cui possiamo intervenire e alla fine, quindi, andremo a recuperare - e sono stime de Il Sole 24-Ore - 530 mila locazioni non denunciate. Vi sono 530 mila locazioni non denunciate per circa 850 milioni di IRPEF non incassata e una stima prudenziale relativa all'ICI sulle seconde case parla di una cifra pari a 750 milioni di euro.
Quindi, alla fine, con la municipale, dovrebbero arrivare 13,6 miliardi di euro in più ai sindaci.
Dico questo perché sono stati diffusi degli studi (che continuamente vengono ribaltati) nei quali si spiega il concetto che del federalismo degli enti locali qualche cosa non sarebbe andata, ma, in realtà, non è così, perché persino il sindaco Chiamparino in qualche modo (tra le righe) ha accettato questo provvedimento e deciso di sedersi al tavolo.
Certo, viene detto che vi sono tagli alle regioni. È vero che vi sono tagli alle regioni, ma dobbiamo decidere se mantenere o meno una struttura burocratico-amministrativa enorme e spendacciona che tutti sanno esistere. Tutti sanno che, oltre al taglio dei parlamentari (che mi sembra giusto fare e dove, per carità, recupereremo evidentemente qualche briciola), dovremo recuperare gli sprechi magari anche da altre parti.
Per esempio, immagino altri territori dell'amministrazione della Camera o del Senato che sicuramente potrebbero essere interessati dai tagli, senza fare macelleria sociale. Mi riferisco ad una serie di benefit, per fare un esempio, della Presidenza della Camera oppure degli ex Presidenti della Camera che potrebbero essere toccati, ma che nessuno pensa di toccare. Nel momento in cui viene chiesto di tirare la cinghia, mi sembra evidente che anche le dotazioni più larghe che vengono concesse possano subire una riduzione.
Questo vittimismo continuo, un vittimismo peloso anche da parte delle regioni, credo non abbia più senso. Oggi basta guardare il disastro (mi riferisco a quello per i cittadini) che succede in Calabria dove la sanità non solo costa come quella della Lombardia, ma costa addirittura di più e uccide la gente.
Si è calcolato (sono stime di alcune indagini parlamentari) che solamente in Calabria 30-35 mila persone tutti gli anni si imbattono in problemi di mala sanità. Si tratta di un 6 per cento delle prestazioni, mentre la media in Lombardia è dello 0,5-1 per cento e in Emilia più o meno lo stesso. Si calcola che faccia più morti e più danni la mala sanità in Calabria di quanti morti non facciano gli incidenti stradali oppure alcune categorie di tumori.
Allora, mi sembra evidente che occorrerebbe una razionalizzazione, soprattutto se vi sono cinque ospedali nel giro di 30 chilometri e nessuno di questi ha un pronto soccorso, se vi sono 43 dirigenti (più altro) e 20 malati, se vi è un ospedale con 24 cuochi che non fanno assolutamente niente perché prendono il mangiare da fuori. Anche la più elementare visione, non dico manichea, ma realistica, vede in ciò un territorio di miglioramento.
Si tratta di un territorio di miglioramento che si otterrà sicuramente con il federalismo ed i costi standard. Per questo guardiamo oltre il dito di questa manovra di stabilizzazione: guardiamo la luna che speriamo di poter raggiungere non solo come leghisti e come cittadini del nord, ma come abitanti e cittadini, insieme al centrosinistra e al centrodestra, proprio perché pensiamo che questo sia un antidoto al declino di un territorio generoso.
Allo stesso modo, credo che l'atteggiamento della Lega Nord sia stato responsabile. In questo provvedimento vi sono elementi buoni, di crescita, di burocrazia Pag. 30zero, di detassazione per le zone del sud. Vogliamo, e pretendiamo anzi, che il sud torni a crescere; non ci rassegniamo ad un sud preda del vittimismo, delle rivendicazioni o solamente salariato con pensioni di invalidità oppure con l'evasione fiscale.
Vorremmo anche ricordare ai colleghi che mi hanno preceduto che anche sulla falsa invalidità l'indignazione deve essere corale ed enorme. Non è possibile che con il passaggio della competenza della registrazione dell'invalidità alle regioni ci sia stato lo scoppio della Seconda guerra mondiale da alcune parti.
Non è possibile che girando per Milano, per Piacenza o per Bologna si incontri gente sana e girando per Napoli, per Caserta o per Reggio Calabria si trovi il triplo di invalidi. Questo è assolutamente inconcepibile! È assolutamente inconcepibile che si siano raddoppiati gli invalidi quando la competenza è passata alla regione. È assolutamente inconcepibile! È ora di finirla con i furbi ed i furbetti. Credo che i cittadini ci abbiano mandato qui anche per fare queste cose.
Certo non vogliamo penalizzare le persone oneste con controlli inutili. Sappiamo che c'è molto da fare e qualcosa si è fatto sulla disabilità (che in vent'anni non era stato fatto) consentendo alle persone che accudiscono gli invalidi di andare in pensione prima, perché siamo grati al 75 per cento delle persone che in qualche modo accudiscono il disabile a casa, senza pesare e chiedere niente a questo Stato, che molte volte non solo è disattento, ma qualche volta è matrigno.
Quindi, pensiamo che ci sia molto da fare, ma che siano stati adottati buoni provvedimenti. Pensiamo che ci sia stato un criterio di differenziazione anche nei tagli alle regioni, che sia stata lasciata un'autonomia su dove intervenire, che sia stato dato un criterio, per esempio, sulla spesa impiegatizia.
Non è possibile che alcune regioni spendano per il proprio personale 350 euro - come spende la Lombardia, per citare una regione di centrodestra, ma anche una regione di centrosinistra come l'Emilia Romagna, che credo sia anche un modello per molti casi positivo - e poi ci siano 1.000-1.250 euro spesi in Sicilia. Questo non è più possibile!
È ovvio che non si potrà mettere la gente per la strada dall'oggi al domani, ma è un tendenziale di cui bisogna tenere conto.
Costituisce altresì un tendenziale di cui bisogna tener conto l'indebitamento. Oggi non conosciamo il debito della sanità della Calabria: si passa da un'oscillazione che va dai 2 miliardi e 200 milioni agli 850 milioni di euro. Ci sono bilanci orali: le ASL, che - ricordo - sono state governate dal centrosinistra, fanno bilanci orali, trasmettono a voce le spese e la gestione. Poi, ci sono persone che muoiono perché non trovano in un reparto di otorinolaringoiatria qualcuno (un medico, un otorino) capace di fare una tracheotomia. Quindi cosa si fa? Si prova a costruire un nuovo ospedale, con spese di centinaia di migliaia di euro e di milioni, e non si risolve il problema.
Questo sistema non si può più reggere, il nord non è più in grado di reggerlo. La tensione sociale è inevitabilmente destinata ad aumentare.
Quindi - ripeto - ci sono provvedimenti buoni. C'è un anticipo di un fisco federale, con la previsione, per esempio, di demandare al comune anche la possibilità di svolgere una qualche forma di accertamento. Sono stati soppressi enti inutili (l'Agenzia per la gestione dell'albo dei segretari comunali, per carità!). Si tratta di tutta una serie di provvedimenti, ma - ripeto - alcuni atteggiamenti da parte di qualche collega non sono stati particolarmente graditi.
La Lega ha accettato e non ha mai criticato nessun punto della manovra. Mi sembra, tuttavia, che non sia così da parte di qualcuno, e mi riferisco ad alcune recenti interviste sul Corriere della Sera oppure a critiche anche da parte di compagni della Commissione bilancio, che hanno ricordato che alcuni articoli sono stati votati per disciplina di partito.
Il tanto vituperato articolo relativo alle quote latte trova ragione - lo ripeto - in una sentenza del TAR del Lazio, che ha Pag. 31ribadito l'incongruenza tra la normativa europea e le norme nazionali e che, di fatto, avrebbe dichiarato l'illegittimità delle multe dal 1995-1996 al 2000-2002. Quindi, con questo rinvio di sei mesi si potrebbe provare la strada europea, come ha fatto la Francia, per vedere se queste multe effettivamente non dovevano essere pagate. Infatti, si tratta di un'indagine condotta dai Carabinieri, così come la famosa «Commissione Lecca» aveva evidenziato. Questo spostamento ammonta a 5 milioni di euro e ci è stato rinfacciato abbondantemente, anche dalla collega che recentemente ha fatto un'intervista sul Corriere della Sera.
Vorrei però ricordare che anche noi abbiamo votato qualche cosa per spirito di patria, non entusiasti. Non siamo andati sui giornali, non abbiamo fatto polemica. Per Roma capitale circa 500 milioni di euro sono stati ancora stanziati. Adesso però va riconosciuto che il sindaco Alemanno sarà uno dei primi a riconoscere i costi standard, per cui una razionalizzazione c'è. Ma lì abbiamo parlato di quasi 500 milioni di euro. Nessuno di noi è andato sul giornale, né ha fatto critiche. Sappiamo - lo ripeto - guardare oltre il dito per vedere la luna.
Vorrei ricordare poi la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili in alcune regioni del sud. Non ce li siamo dimenticati, li abbiamo visti, abbiamo migliorato sicuramente il quadro, ma tra i tagli possibili, anche questo sarebbe stato forse un provvedimento impopolare, ma abbastanza equo. La «mini-naja», volendo andare a vedere, non è che ci azzeccasse in modo fantastico. La Lega l'ha presa, l'ha votata e la difende in un quadro semplice.
Scusate, ma il sassolino va tolto, perché quando la misura è colma, credo che in qualche modo una risposta anche agli alleati vada data.
Signor Presidente, toccherò altri due brevissimi punti, ma credo che una traccia vada lasciata. In primo luogo, il provvedimento sulla revisione dei certificati verdi credo sia stato importante. Si è aperto un canale di discussione forte sulle energie rinnovabili. Mi preme però lasciare traccia in Aula della reale consistenza. Noi abbiamo su circa 297 mila terawatt prodotti o importati un obbligo di certificazione verde inferiore del 37 per cento. Ci sono una serie di esenzioni elevate.
Effettivamente poi c'è un eccesso, ma questa esenzione, a mio e nostro giudizio, non sempre ha ragione di esistere: per esempio, sono esentati dall'acquisto di certificati verdi gli importatori che dimostrino di importare energia pulita. Quindi, se importo energia pulita non compro certificati verdi.
Per un fortuito caso del destino, alcune nazioni a noi confinanti (per esempio, la Svizzera), che producono energia nucleare, dall'idroelettrico e quant'altro, ci mettono nei fili elettrici solamente l'energia pulita. Faccio un po' fatica ad immaginare che gli svizzeri prendano l'energia nucleare e noi tutta quella pulita. Credo che qualche cosa vada rivista. La stessa cosa vale anche per altri Paesi.
L'altra questione, signor Presidente, è relativa al valore dell'industria farmaceutica. Anche in questo provvedimento non c'è niente di più facile che intervenire in questo senso. Forse andava fatta una più equa distribuzione. Voglio ricordare però come la farmaceutica sia un settore hi-tech ad alta vocazione industriale e come la biotecnologia sia il settore del futuro. Non per niente è certamente preda di paure e anche di scrupoli morali.
Giustamente il Santo Pontefice vede nelle biotecnologie una delle spinte economiche di questo secolo, ma anche un momento su cui bisogna interrogarci, sicuramente sulle finalità. Voglio, però, ricordare dei numeri: nel settore della farmaceutica vi sono 67 mila 500 addetti diretti, il 90 per cento laureati o diplomati; 6.150 addetti alla ricerca e sviluppo; 2,3 miliardi di euro di investimenti, dei quali 1,2 in ricerca e 1,1 in impianti ad alta tecnologia. In particolare, su una spesa di 11,5 miliardi di euro di ricavo industriale, le imprese farmaceutiche hanno speso 3 miliardi per investimenti in ricerca e produzione, 5,9 miliardi per stipendi e contributi Pag. 32e 2,9 miliardi di tasse. Credo che, in qualche modo, i settori industriali ad alta tecnologia vadano tutelati.
Ricordo la rete di impresa, che è stata finalmente cifrata e messa nel provvedimento; andrà sicuramente migliorata, ma tra i provvedimenti che parlano di sviluppo e di crescita vi è anche questo, cioè una maggiore attenzione per gli aspetti industriali e una predisposizione fiscale per far sì che vi possa essere, in qualche modo, un'aggregazione.
Signor Presidente, voteremo chiaramente a favore - saranno altri a dare le indicazioni di voto - in questa discussione della prima finanziaria, forse, europea. Non ci allieta più di tanto questa idea della finanziaria europea; non ci allieta l'idea che, da altre parti, siano prese quote di sovranità, ma vediamo in tutta Europa un vento di cambiamento e di riforme, anche istituzionali. La libertà comincia ad essere un valore aggiunto, così come l'autonomia e l'indipendenza. Soffia un vento forte in Scozia e in Belgio: maggiormente la gente si sente libera, maggiormente sente avvicinarsi la responsabilità con il centro di decisione, maggiore è la crescita.
Per questo, non ci preoccupiamo del futuro di questo Paese, se rimane incanalato sul binario del federalismo fiscale. Pensiamo che il nord saprà supportare ancora questo momento e potrà mettere fine, a nostro giudizio, alla spoliazione. A nostro giudizio, prima, sicuramente quando c'era in Italia il «tesoretto», la nave di questo Paese in questi 30 anni ha perso la guida: è come se a gridare e a gestire fosse arrivato il cuoco, diceva Kierkegaard. Egli diceva che il cuoco che grida e dice il menù deve lasciare il posto al capitano, che indica la rotta. La nostra rotta è una rotta di risanamento fiscale e di risanamento morale, è anche la fine della spoliazione del nord.
Concludo con Pareto, che nel 1902 diceva: la spoliazione non incontra spesso una resistenza molto efficace da parte degli spogliati. Ciò che finisce, talvolta, per arrestarla è la distruzione di ricchezza che ne consegue.
La storia ci insegna che, più di una volta, la spoliazione ha finito con l'uccidere la gallina dalle uova d'oro. Oggi la gallina dalle uova d'oro, che è il nord, ha lo stesso interesse del sud: stringere un nuovo patto di solidarietà per poter far crescere questo Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, vorrei parlare italiano, però sono stimolato dal collega Polledri a riflettere anche un attimo in tedesco. Mi chiedo: in Germania, Stato federale, è possibile togliere un miliardo di euro alla Baviera senza una politica di concertazione sulla distribuzione dello sviluppo e dei sacrifici sulle spese?
No, anche se la data è il 2 giugno, non è possibile, perché voi professate il federalismo per tenere aperto questo tema, ma non intervenite mai nel concreto per la soluzione del tema dell'autonomia finanziaria degli enti locali e territoriali, province, comuni e regioni, e non state mai ai fatti con la dovuta attenzione della lingua italiana.
Abbiamo una legislazione (ovvero la legge n. 196 del 2009, la nuova legge di contabilità, e inoltre la legge n. 42 del 2009) approvata con la nostra astensione e con la nostra forte partecipazione. Le linee guida per il riparto degli obiettivi programmatici della finanza pubblica, sono articolate per sottosettori della pubblica amministrazione (cito le leggi): amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza e assistenza sociale. Il Governo è obbligato ad inviare alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - ancora non istituita - tali linee guida per il preventivo parere, da esprimere entro il 10 settembre, alle Camere. C'è anche il nuovo Patto di convergenza. Ma le parole «Patto di convergenza» si scrivono nelle leggi e non si attuano mai nel lavoro parlamentare.
Noi insistiamo su questo elemento: il nostro atteggiamento in Commissione bilancio, Pag. 33nelle 72 ore di discussione che abbiamo avuto, è stato quello di entrare nel merito e di creare un nuovo clima per la funzione parlamentare, perché il Parlamento non si limita a recepire una discussione già effettuata all'esterno e contenuta negli articoli. Il Parlamento, in base alla legge n. 196 del 2009 e alla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, deve svolgere la funzione di rendere convergenti gli interessi del Paese.
Questa è la funzione parlamentare! Ce la fate svolgere? La state svolgendo voi? Lavorate in questo senso? Se entriamo nel merito di quanto detto, possiamo lavorare su tale obiettivo, ma se andiamo a parlare del linguaggio tedesco o altri linguaggi, ma se ci vuole solo il linguaggio padano, che è quello dei tagli preventivi, senza alcuna discussione con le regioni, lasciatemi dire che i governatori non hanno torto quando parlano di deleghe. Come si fa a rifinanziare il trasporto dei pendolari e le convenzioni con le ferrovie territoriali? Come facciamo? Si era previsto di non ammettere più il trasferimento, ma la compartecipazione sull'accisa del gasolio, e poi si toglie, senza una discussione su questa delega e i relativi elementi di riflessione.
È dunque molto meglio un linguaggio tedesco, attento ai fatti di convergenza tra gli enti territoriali, perché c'è una parte dello Stato che funziona e che dà delle risposte ai cittadini.
Il Patto di convergenza, assieme al tradizionale Patto di stabilità interno, è destinato ad essere trasfuso, ai sensi della nuova legge di contabilità n. 196 del 2009, nella Decisione di finanza pubblica. Che Decisione di finanza pubblica ci sarà tra Governo e Parlamento, se questa manovra non ha lasciato aperto uno spazio? Si è detto che si concorderanno i tagli ed entrerò poi nei dettagli dell'articolo 14. Vi sono dunque lo schema di Decisione di finanza pubblica, da presentare alle Camere entro il 15 settembre e, successivamente, entro il 15 ottobre, il disegno di legge di stabilità.
Questo è elemento di riflessione! Si aprirà un semestre europeo di quadro - che alcuni colleghi già mettono in discussione - sull'economia europea. Mi aspetto un Ministro che torni il 20 gennaio dicendo che bisogna tagliare in un dato settore perché lo ha detto l'Europa.
E il Parlamento quale funzione sta svolgendo? Sta svolgendo una funzione di riflessione su questi aspetti? No, il Parlamento non lo sta facendo, almeno la maggioranza, perché il gruppo del Partito Democratico è stato concreto, cercando di individuare se, nel lavoro parlamentare della Commissione bilancio e anche nell'atteggiamento all'interno della Commissione bicamerale per il cosiddetto federalismo, conduciamo una politica di stabilità e di contesto con gli altri enti.
Questo è l'elemento di fondo, questa è la funzione parlamentare. Vediamo nel dettaglio l'articolo 14. Le regioni a statuto ordinario concorrono per 4 miliardi nel 2011 e per 4,5 miliardi nel 2012, ripetuti - scusatemi - anche nel 2013 perché questo scrive la legge! Quindi, il concorso non è come si dice da parte delle regioni, e speriamo di cambiare questo, ma la politica di contesto prevede 4 miliardi nel 2011 per le regioni, 4,5 miliardi nel 2012 e 4,5 miliardi nel 2013.
Si parla tanto del vituperato intervento delle regioni e mai delle commissioni mediche che rilasciano le certificazioni per quanto riguarda l'invalidità e le indennità. Mi sono permesso, insieme ad altri, di verificare l'andamento perché è vero, bisogna guardarle queste cose. Si parla di raddoppio, un milione e 900 mila e 2,7 milioni in otto anni di ricerca su questo aspetto.
Siamo ad un tasso di interessamento della popolazione, come standard a livello nazionale, del 4,7 per cento sull'intera popolazione e del 3,2 per quanto riguarda le indennità di accompagnamento: ma non ci siamo resi conto che l'indennità di accompagnamento ha sostituito l'intervento per i non autosufficienti? È un sostegno nei confronti dei non autosufficienti, anzi addirittura dove è presente uno stato sociale che funziona vi sono meno richieste in questo senso da parte dei cittadini. Pag. 34
Mi permetto di fornire dei dati. In Liguria, in tale regione su 238 persone sopra i 65 anni, e 100 ragazzi sotto i 15 (quindi con un tasso di invecchiamento del 27 per cento) il 4,9 per cento dei cittadini ricorre a questa specificità (siamo sopra la media nazionale che è del 4,7 per cento).
Se prendo una regione giovane - che invidio - che ha 92 anziani sopra i 65 anni contro 100 giovani sotto i 15 vedo che vi è un tasso di ricorso del 5,9 per cento. Questo ci aspettiamo nella discussione con voi: ci aspettiamo non una discussione indistinta in cui si dice «falsi invalidi», perché vi sfidiamo a ricercare i falsi invalidi in Liguria (e non sono un ligure), a seguito anche delle commissioni mediche, facendo di tutta l'erba un fascio, mentre occorrono dati precisi perché si parla di spesa giusta e di povertà. Il rischio è che taglierete la spesa giusta e lascerete in circolazione la spesa non giusta.
Su questo rivediamo anche altre tabelle specifiche perché finalmente la Copaf ha lavorato, anche se restano dei difetti, e vediamo come funziona la spesa locale in percentuale su quella delle pubbliche amministrazioni. Siamo partiti nel 1980 con un totale delle amministrazioni locali, così come classificate per settori dall'ISTAT e da Eurostat (ricorro a queste definizioni), tale per cui la spesa dei comuni sulla spesa totale della pubblica amministrazione rappresentava l'11,8 per cento; nel 2008 la spesa dei comuni rappresenta l'8,6 per cento (con i passaggi intermedi del 1990 e del 2000 che riportano altre cifre che vi darebbero disturbo).
Le province sono passate dal 2,4 per cento della spesa totale delle pubbliche amministrazioni all'1,4 per cento nel 2008, mentre le regioni - esclusa la sanità - sono passate da una percentuale del 5 per cento ad una del 4,4 per cento. La sanità nel 1980 rappresentava il 6,5 per cento del costo delle pubbliche amministrazioni ed ora siamo al 14,1 per cento, mentre il totale delle amministrazioni locali è passato dal 25,7 al 28,5 per cento.
Voi state correndo un rischio serio; non so se il centrosinistra lo correva, perché non ha poi rigovernato, o meglio non ha governato, perché la parola «rigovernare» è un po' brutta, è un toscanismo. Uno degli ultimi atti del Governo Amato, il decreto legislativo n. 56 del 2000, «Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133», prevedeva il 25 per cento dell'IVA alle regioni per il servizio sanitario: tutto ciò gli assomiglia molto! Era provvisorio, sono passati undici anni da quel decreto. Gli assomiglia molto la fase 1 e la fase 2 del riferimento ai comuni!
State prevedendo: mettiamo in capo ai comuni l'IRPEF per quanto riguarda gli immobili; la tassa di registro e la tassa ipotecaria, sommate, danno 15 miliardi, al pari di quando lo Stato trasferisce 15 miliardi ai comuni. E le chiamate imposta unica! Vi è la prima fase, che togliete dal bilancio. Vi è poi la riflessione del Ministero dell'interno, relativa ai 15 miliardi; poi a regime non saranno più 15, perché con i tagli dei tre anni si arriva a 11 e mezzo, e quindi tutto ciò è ancora nel libro dei sogni. E non è che concedete al comune o al municipio la facoltà di imporre un'imposta propria: è statale, riscossa a livello statale, e trasferita, nella fase transitoria, solo facendo perno su tali ingressi; che fra l'altro sono anche instabili, perché sono ingressi legati al mercato immobiliare: la tassa del registro e la tassa ipotecaria di 7 miliardi e mezzo.
La «vendete», inoltre, in modo propagandistico, lasciando sempre aperto il problema, perché, lo ripeto, non siete interessati forse alla sua soluzione quanto invece a segnalarlo sempre e comunque. Noi vi sfidiamo! Noi stiamo nella politica di contesto, noi stiamo nella politica europea; vogliamo verificare con gli strumenti previsti dalla nuova legge di contabilità tutti gli elementi necessari per dare una risposta al Paese.
L'altro elemento - e poi concludo, perché debbo concludere, signor Presidente, giacché l'accordo è di concludere alle 14 - è il seguente. Visto che abbiamo letto, nella relazione Tremonti, degli 84 miliardi di flessibilità del bilancio dello Pag. 35Stato e dei 172 di flessibilità degli enti locali, ci permettiamo di redigere una scaletta. Il conto economico consolidato della pubblica amministrazione, cioè le spese complessive, senza alcun trasferimento, in Italia sono 798 miliardi e 854 milioni. Il conto economico delle amministrazioni centrali non consolidato, perché vi sono i trasferimenti da effettuare, è 467 miliardi. I trasferimenti sono 199, agli enti di previdenza 82 miliardi, alle amministrazioni locali 112; la spesa per reddito da lavoro dipendente di questo comparto è pari a 92, poi i mutui: una spesa discrezionale dello Stato, quindi, di 83 miliardi 844 milioni. Va benissimo.
Andiamo al conto economico delle amministrazioni locali, e vediamo come si raccontano i fatti e si fanno scrivere alla stampa. Le amministrazioni regionali, su un complesso di spesa di 171 miliardi, hanno una flessibilità di 30 miliardi e 706 milioni; se lo facciamo per lo Stato lo facciamo anche per le amministrazioni regionali: esse trasferiscono 117 miliardi e 807 milioni agli enti sanitari locali. Esclusa quindi la spesa per reddito da lavoro dipendente che è di 6 miliardi, la spesa per interessi passivi che è di 1 miliardo e mezzo, e i trasferimenti in conto capitale ad enti pubblici, perché le regioni concorrono ad investimenti, la discrezionalità delle regioni è di 30 miliardi 708 milioni. Quanto si taglia alle regioni?
Si taglia 4 nel 2011, 4,5 nel 2012, e 4,5 nel 2013, se non riapriamo una riflessione su questo aspetto. Quindi, quanta discrezione rimarrà a queste povere regioni?
Le amministrazioni comunali su un complesso di 68 miliardi di spesa, rifacendo tutto il conto (e ci annoiamo), hanno una flessibilità di 48 miliardi e 300 milioni. Le amministrazioni provinciali su un complesso di 12 miliardi e 840 milioni di spesa hanno una flessibilità di 9 miliardi e 358 milioni. Quindi questi conti vanno rivisti se vogliamo realizzare il patto di convergenza e l'elemento di intervento e di concorso di tutte le amministrazioni dello Stato con i settori e con i suoi sottosettori.
Non va bene! Non va bene! Tremonti, nell'audizione che abbiamo svolto in Commissione, ci ha rassicurato su un aspetto: ci ha fatto presente che non è lo Stato decentrato a non funzionare e che il centralismo e l'assorbimento dell'ingresso delle tasse nello Stato, non responsabilizzando gli altri enti, può aver aumentato la spesa pubblica. Su questo siamo d'accordo (cerchiamo la responsabilizzazione dell'intero Stato), ma non vi consentiremo più di agire con strumenti che allentano l'intervento del Parlamento.
Noi del Partito Democratico insisteremo su questi temi, cercheremo lo spazio. L'ultima riflessione: Chiamparino non ha firmato, e i comuni (li conosciamo) non hanno firmato «sì» alla manovra; hanno detto che si può uscire dalla manovra con elementi di convergenza e di discussione, sia parlamentare, sia attraverso il confronto con il Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15 con il seguito della discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge all'ordine del giorno.

La seduta, sospesa alle 14, è ripresa alle 15.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali.

Pag. 36

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3638)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, colleghi, signor Viceministro, tutti siamo d'accordo nel ritenere che la manovra correttiva dei conti pubblici è quanto mai necessaria per far fronte alle difficoltà economiche, alle difficoltà finanziarie, alle difficoltà di competitività presenti nel nostro Paese, ma anche alla difficoltà occupazionale perché le cifre che riguardano il tessuto sociale del nostro Paese sono devastanti per quanto riguarda la disoccupazione.
Vorrei però sottolineare che anch'io tendo a parlare in italiano e non alla francese - colgo in tal modo l'occasione per contraddire alcune osservazioni che il collega Polledri ha svolto nel suo intervento in chiusura di mattinata - nel senso che la manovra ci deve essere, sì, ma tradotto in italiano, onorevole Polledri, questo vuol dire: manovra sì, ma non così; non così com'è stata concepita dal Governo e non così com'è stata presentata in quest'Aula. Altri Paesi europei sono intervenuti per reagire a questa crisi internazionale in maniera più consistente, ma anche in maniera più strutturale e forse più duratura nel tempo rispetto a quanto ha fatto il nostro Governo.
Onorevoli colleghi, qui si tratta di una manovra all'italiana, piena di misure ad hoc e immediate, che non risolvono i problemi di fondo del nostro Paese, tanto che si parla sempre più - forse il Viceministro Vegas nella replica farà riferimento a questo - di un'ulteriore manovra che richiede altri sacrifici da parte degli italiani da emanare il prossimo autunno. È vero che il Ministro dell'economia e delle finanze ha smentito, poiché però le voci ci sono, e sono anche abbastanza autorevoli, ci auguriamo che non esista un'eventualità del genere; pur tuttavia siamo sicuramente preoccupati perché si fa anche presto a cambiare le carte in tavola.
Noi esprimiamo un giudizio negativo rispetto a questa manovra economica sia per il metodo, sia per i contenuti. Riguardo al metodo, so che è un ritornello ormai logoro, però si tratta dell'ennesima fiducia. Ma non è questo forse l'aspetto più grave del provvedimento, quanto piuttosto il fatto che ci troviamo di fronte ad un provvedimento blindato sin dalla prima lettura: a mia memoria credo che non sia mai accaduto che alla prima lettura ci sia la blindatura da parte del Governo con il maxiemendamento sul quale si è posta la questione di fiducia annunciata tanto tempo prima dal Capo del Governo anche per la seconda lettura, cioè quella che stiamo facendo in questi giorni alla Camera.
Quindi si tratta davvero di una blindatura eccessiva, al punto tale che si dice «no» anche ad un emendamento trasversale presentato da alcuni colleghi al Senato per quanto riguarda i diplomatici, che oggi, 26 luglio, lo ricordo, sono in sciopero. Con tale emendamento si cercava di dare una maggiore visibilità al sistema Italia all'estero di cui c'è bisogno per l'internazionalizzazione delle nostre imprese; tuttavia, anche rispetto a questa richiesta, rispetto alle 325 sedi di rappresentanza che il nostro Paese ha all'estero il Governo è sordo e non consente nemmeno di presentare questo emendamento che, lo ripeto, è trasversale, ossia di tutti i gruppi parlamentari. È evidente che sul piano del metodo c'è qualcosa che non va in questa manovra finanziaria ed economica.
Riguardo al merito, onorevoli colleghi, credo che si stia trasformando una manovra oggettivamente inevitabile anche di fronte ai cittadini, in un provvedimento di corto respiro, che non incide strutturalmente sui conti pubblici e che non offre stimoli sul fronte della domanda. In altre parole, noi siamo arrivati a questo punto: si chiedono tanti, troppi sacrifici agli italiani senza indicare prospettive di crescita per il Paese. Le cifre, purtroppo, sono tante, forse troppe.
Nel biennio 2008-2009 abbiamo il PIL che è sceso di 6,5 punti, cioè quasi la metà della crescita che si era avuta nei dieci anni precedenti. Lo ha detto prima l'onorevole Pag. 37Binetti: il reddito reale delle famiglie si è ridotto del 3,4 per cento, i loro consumi del 2,5 per cento, le esportazioni sono cadute del 22 per cento, le imprese hanno ridotto considerevolmente i loro investimenti e, in più, l'incidenza della cassa integrazione sulle ore lavorate nell'industria è salita al 12 per cento alla fine del 2009. L'occupazione, poi, ne trae uno svantaggio enorme, in questo settore, creando grosse difficoltà per la tenuta del tessuto sociale del nostro Paese. Siamo preoccupati, quindi, signor Viceministro, per quanto sta avvenendo con questa manovra. Essa ha sicuramente dimensioni rilevanti, perché la correzione dei conti è di quasi 25 miliardi, e contiene alcune norme positive che combattono l'evasione fiscale; tuttavia non siamo sicurissimi dell'efficacia di tali norme che auspica il Governo e sappiamo che questi risultati li contabilizzeremo più in là per verificare se vi sono effettivamente maggiori entrate per lo Stato.
Non possiamo, tuttavia, tacere i danni in alcuni settori strategici per il nostro Paese - ed è questa anche la funzione del nostro dibattito -, perché dobbiamo anche analizzare i comparti strategici in cui questa finanziaria si muove, creando sicuramente danni enormi. Mi riferisco, innanzitutto, al comparto sicurezza. Abbiamo visto, la settimana scorsa, qui davanti, le forze dell'ordine che sono venute a protestare; sono venuti i vigili del fuoco, abbiamo parlato con loro, vi è stato anche un incontro con le opposizioni in cui ci hanno chiesto di fare qualcosa e abbiamo verificato che ci sono risorse finanziarie sottratte al comparto sicurezza, sia in relazione alla specificità del lavoro svolto nei vari settori di questo comparto, sia per il rinnovo del contratto di lavoro. In alcuni casi, poi, abbiamo avuto anche la beffa di promozioni senza aumenti retributivi. Si è inventato, in questa manovra, un Fondo perequativo per il personale del comparto, che, però, non ha senso perché rischia di diventare una sorta di mancia elargita dal Governo senza criteri ben definiti per dare questi aumenti retributivi.
Per cui, siamo assolutamente molto preoccupati per il comparto sicurezza, un tema su cui, in passato, alcune forze politiche di maggioranza hanno lavorato, hanno creato un dibattito pubblico, politico, immaginando che si potessero affrontare politiche strategiche per combattere la criminalità organizzata e non. Alla fine, però, siamo arrivati al punto che mancano le risorse anche se, poi, in passato, queste risorse si sono trovate per le cosiddette ronde, ma, oggettivamente, oggi, non ci sono i soldi per alimentare questo comparto, con alcuni settori, come quello dei vigili del fuoco, in evidente difficoltà. Prima li osanniamo quando vanno ad affrontare le emergenze, come quella del terremoto in Abruzzo, e poi dopo non diamo loro le risorse per poter effettuare il loro lavoro. Cito, ad esempio, i cosiddetti discontinui, nei vigili del fuoco, che hanno una precarietà assoluta; vengono chiamati a spot, quando vi è bisogno, ma non hanno nessuna certezza del loro posto di lavoro e non garantiscono quella continuità di servizio, soprattutto nella Protezione civile, di cui c'è bisogno in questi casi.
Il secondo settore strategico che vorrei citare è quello dell'agricoltura. Siamo reduci da una riunione di Commissione, quella dell'agricoltura - vi sono alcuni colleghi, come l'onorevole Zucchi, che vedo qui in Aula - veramente drammatica per la commedia che si è verificata in quella sede. Signor Viceministro, non so se lei lo sa, ma vi è stata una spaccatura molto forte nella maggioranza, in quella Commissione, al punto tale che la maggioranza stessa non è riuscita ad approvare il parere sul comparto agricoltura. Una spaccatura su un tema ormai noto, su cui l'onorevole Polledri prima ha minimizzato, ma che è importantissimo, quello delle famose quote latte. È stata una rottura molto forte perché, quando è stato il momento di varare il parere proposto dalla maggioranza, i quattro membri della Lega Nord Padania hanno lasciato la Commissione agricoltura, mandando sotto il Governo alla presenza del Ministro dell'agricoltura Pag. 38che, come è noto, non è più della Lega Nord Padania, ma del Popolo della Libertà.
C'è stato assolutamente anche il rischio che potesse essere approvato il parere dell'opposizione e soltanto l'accortezza di alcuni non ha consentito questo smacco enorme per la maggioranza. Tuttavia ci siamo trovati di fronte ad una grossa difficoltà di questa maggioranza. Non so come faranno quei colleghi a votare la fiducia su questa manovra che ripropone il tema delle quote latte nella stessa maniera in cui lo hanno contestato. Vorrei qui citare la lettera che il membro della Commissione europea con delega all'agricoltura Dacian Ciolos ha scritto al Ministro Galan su sollecitazione del Ministro stesso. Dice il Commissario europeo: non c'è alcun dubbio che la sospensione dei pagamenti prevista nell'emendamento che è stato approvato dal Senato sarebbe non solo in netto contrasto con il diritto dell'Unione europea, ma anche con i ripetuti impegni assunti a livello politico dal Governo italiano di imporre una rigorosa ed efficiente applicazione del regime delle quote latte in Italia e si riferisce ad un piano di rateizzazione del 2003 con un accordo raggiunto allora tra l'Italia e l'Unione europea per mettere fine a questa disputa sulle quote latte. Ricordo che nel 2003 c'era già il Governo Berlusconi, lei, signor Viceministro, era già Viceministro o forse sottosegretario all'economia anche se le auguro, per quel che leggo dai giornali, di fare altri passi nei prossimi giorni: sicuramente c'è una responsabilità politica sotto questo profilo.
Aggiunge il commissario europeo che sospendere i pagamenti sarebbe non soltanto in contrasto con la decisione del 2003, ma priverebbe anche gli agricoltori italiani dei vantaggi finanziari di quel piano, che consiste nel pagare i prelievi senza interessi su quattordici anni anziché di pagare l'intero debito in un'unica soluzione. Per questo motivo ci siamo schierati tutti quanti a favore delle richieste poste al centro della mobilitazione contro la manovra del Governo da tutte le organizzazioni agricole e credo che anche voi le abbiate ascoltate. Tuttavia noi riteniamo che ci debba essere da parte del nostro Paese una maggiore attenzione all'agricoltura e sappiamo che questa manovra non affronta nessuna delle questioni che riguardano l'agricoltura, lasciando in condizioni di estrema difficoltà l'intero settore in una fase di crisi che richiederebbe, come è avvenuto in altri Paesi con una manovra ben più dura, misure straordinarie di sostegno delle produzioni e dei redditi in particolare.
Abbiamo segnalato un po' tutti la mancata proroga degli sgravi contributivi per le aree svantaggiate e montane e non è che mi riferisco soltanto al Mezzogiorno, ma anche alle aree del nord che subiscono una serie di svantaggi. Per tale motivo abbiamo proposto una serie di norme con gli emendamenti, che purtroppo verranno cassati perché il Governo si appresta a chiedere la fiducia, consistenti in una serie di misure urgenti a sostegno dell'agricoltura accompagnandole con il rifiuto di una inaccettabile proroga del pagamento delle sanzioni relative alla regolarizzazione delle produzioni fuori quota di un'esigua minoranza di produttori di latte che finora non ha rispettato le leggi.
Polledri addirittura ha minimizzato l'intervista sul Corriere della Sera di qualche giorno fa di un parlamentare - cito nome e cognome, l'onorevole Viviana Beccalossi - che non è una parlamentare qualsiasi, ma è il rappresentante di gruppo in Commissione agricoltura del Popolo della Libertà - e quindi rilevo ancora una volta le contraddizioni fortissime di questa maggioranza, che non riesce a tenere compatto il Governo su un tema importantissimo come il sostegno all'agricoltura, con un Ministro che ha minacciato le dimissioni e poi le ha ritirate, che non era presente in Commissione quando il Governo è andato sotto, che la pensa diversamente dal suo predecessore Zaia e dalla Lega Nord e tuttavia continua a fare il Ministro ed è ancora appoggiato da questa maggioranza. Mi chiedo se questa sia coerenza politica in un Paese in cui c'è Pag. 39bisogno di scelte chiare, ineccepibili dal punto di vista politico e scelte forti dal punto di vista economico.
Vengo al terzo settore - voglio essere rapido e concludo - che è quello del comparto regioni ed enti locali. Il Governo ha tentato senza riuscirci di dividere questo comparto, ha cercato un'alleanza con gli enti locali in particolare con i comuni, dividendo i comuni dalle regioni.
Non vi è riuscito e anche qui mi permetto di contraddire il collega Polledri, che ha parlato poco fa, dicendo che non è vero che l'ANCI è d'accordo sulla manovra. Vi è un documento: l'ordine del giorno del consiglio nazionale dell'ANCI, varato il 15 luglio 2010, cioè la settimana scorsa, in cui si dice molto chiaramente - e il presidente Chiamparino lo ha ribadito nella Conferenza unificata - che si giudica negativa e insostenibile la manovra economica e tutto il contenuto del decreto-legge, anche nella versione approvata in Commissione bilancio al Senato (il riferimento è al provvedimento che noi oggi stiamo discutendo). L'ANCI ha detto molto chiaramente che la manovra non è gestibile da molti amministratori locali, se non con tagli consistenti alla spesa per servizi, come quella per il sociale e per l'istruzione, e ha fatto una serie di proposte abbastanza concrete per applicare alcuni correttivi a questa manovra, rimandando ad una serie di incontri che l'ANCI avrà con il Governo nei prossimi giorni, nei prossimi mesi e forse nei prossimi anni, per poter affrontare questa situazione. Però oggi anche i comuni dicono che sono in grossa difficoltà, che rischiano in molti casi il dissesto finanziario e non riescono a garantire i servizi minimi. Non mi pare che sia stata una buona politica quella di dividere le regioni dagli enti locali. Poi anche le regioni, e ovviamente ve ne sono molte che sono guidate dalla stessa maggioranza che guida il Governo, che in qualche modo hanno criticato anche pesantemente questa manovra.
Dunque, non solo non si è riusciti a dividere i comuni dalle regioni, ma si è cercato anche di dividere alcune regioni le une rispetto alle altre, anche al nord, senza riuscirvi, perché le condizioni in cui versano oggi le regioni sono drammatiche. Quindi non si può venire qui a parlare di federalismo fiscale, come ha fatto prima il collega della Lega, per poi trovarsi di fronte ad una difficoltà oggettiva, che è quella della mancanza di risorse finanziarie per poter affrontare un problema molto forte come quello del trasferimento delle competenze al comparto regioni-enti locali.
Quindi vi è veramente una sorta di difficoltà, che non denunciamo solo noi dell'opposizione, ma anche le associazioni di categoria. Ricordo che l'ANCI, a differenza di quanto avveniva qualche anno fa, non è un'associazione nazionale composta soprattutto da amministrazioni comunali di centrosinistra, ma oggi più che mai è rappresentativa di tutte le aree politiche che sono presenti oggi nel Paese.
Mi chiedo, anche se ora non è in aula l'onorevole Osvaldo Napoli, come fa a votare questa manovra, dopo che ha votato questo documento dell'ANCI sulle difficoltà che hanno le amministrazioni comunali a gestire il bilancio e sulla negatività espressa da questo documento rispetto a tutte le proposte che il Governo ha fatto nei confronti dei comuni. Poiché l'onorevole Osvaldo Napoli è anche vicepresidente dell'ANCI, mi chiedo come possa procedere in una situazione di questo tipo.
Il presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani, il sindaco di Roma, fa parte di questa maggioranza e ieri ha fatto anche un incontro, a Orvieto, di corrente politica e su temi politici. Ci chiediamo come questa maggioranza possa reggere di fronte alle critiche che tutto il comparto dei comuni ha avanzato nei confronti di questa manovra e come possa votare questa manovra, visto che in altre sedi l'ha pesantemente attaccata.
In più mi preme qui sottolineare anche un altro fatto: in questa trattativa tra il Governo e il comparto enti locali vi è stata un'assoluta latitanza del comparto delle province. Non so se il Governo ha fatto un incontro con l'UPI. Io non mi lamento per il fatto che l'UPI oggi è guidata da un'amministrazione Pag. 40di centrodestra piuttosto di quanto avveniva un anno fa, quando vi era il centrosinistra: non è questo il problema. Il problema è che l'UPI non è esistita in una trattativa di questo tipo con il Governo: non si è fatto cenno alle province, se non con un annuncio iniziale da parte del Governo, che voleva abolire alcune province (prima erano 10, poi 8, poi 4, poi zero). Consideriamo anche questo - me lo consenta, Viceministro Vegas - un refuso, uno dei tanti refusi di questa manovra, però sta di fatto che non vi è alcun riferimento alle province.
Non era, forse, il caso di pensare di abolire qualche provincia o di mettere in piedi un disegno di legge costituzionale da parte del Governo per abolire le province, visto che alcuni parlamentari della maggioranza hanno presentato, già all'inizio della legislatura, proposte di legge in questo senso? Non era, forse, il caso di procedere verso un'importante innovazione costituzionale, come questa, per abbattere sensibilmente i costi della politica e reperire risorse per la crescita del Paese, garantendo quei servizi essenziali di cui il Paese ha bisogno (servizi sociali, servizi alla famiglia, all'istruzione, ed anche servizi per la sicurezza dei nostri concittadini)?
Per questo motivo, onorevoli colleghi, siamo contrarissimi alla manovra in questione, che non ci ha soddisfatto. Infatti, emerge chiaramente che le città italiane sono più povere rispetto a cinque anni fa e che quelle più colpite sono, paradossalmente, quelle del nord. Ha un bel da dire la Lega, che il nord si salva: non si salva affatto, perché vi sono veramente alcuni grossi problemi con riferimento al Patto di stabilità interno, che in Italia, a mio avviso, è stato declinato in modo sbagliato.
Non dobbiamo confondere, come ha fatto, forse, qualcuno al Ministero dell'economia e delle finanze, l'istituzione della imposta unica dei comuni con il processo di riforma fiscale: sono due cose diverse. Mi auguro che vi sia un impegno diverso e maggiore da parte del Governo verso i comuni, un impegno che, tuttavia, oggi non vediamo.
Per questo motivo, signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo veramente strabiliati da una manovra di così corto respiro, che non ci consente di procedere, né di presentare emendamenti. Infatti, sappiamo che domani il Governo porrà la questione di fiducia (non sappiamo se domani mattina o domani pomeriggio, dipenderà dalle questioni pregiudiziali o dal calendario, tuttavia, sicuramente lo farà), impedendo ai parlamentari, anche della maggioranza, di presentare emendamenti correttivi, perché è giusto che vi sia una peculiarità del Parlamento in questo senso. Tuttavia, questa è la norma voluta da questo Governo e questo è il suo modo di considerare negativamente il Parlamento: ne prendiamo atto ed esprimeremo voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, Viceministro Vegas, il decreto-legge n. 78 del 2010 è stato trasmesso alla Camera il 16 luglio ma, sin dal 7 luglio, in un comunicato congiunto, il Presidente Berlusconi e il Ministro Tremonti ci hanno cortesemente informati che il Governo avrebbe posto la questione di fiducia anche in questo ramo del Parlamento; una questione di fiducia - hanno detto - necessaria, responsabile e coraggiosa.
Anche in passato, le manovre economiche sono state spesso approvate, nei due rami del Parlamento, attraverso lo strumento della questione di fiducia ma, in questo caso, sembra che sia stato introdotto un nuovo istituto, che potremmo definire «della fiducia preventiva» o «a prescindere»; oppure, forse, questa è la via indicata dal Ministro Tremonti per superare il bicameralismo! Una manovra - ha detto il Ministro - concordata nelle istituzioni europee ed attesa dai mercati finanziari. Il che non ci rassicura affatto, anzi.
A noi sembra che, da tempo, i Governi abbiano perso il controllo della situazione Pag. 41finanziaria e che a poco servano le sin troppo numerose istituzioni che se ne dovrebbero occupare: G8, G20, Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, agenzie di rating. Dal crack della Lehman Brothers in poi, pare che non ne abbiano azzeccate molte: si brancola nel buio, tutti incapaci di proporre attendibili previsioni. In realtà, a dominare - per usare le parole del premio Nobel, Samuelson - è un gruppo di banchieri, che hanno creato tanti Frankenstein finanziari, che loro chiamano derivati. A noi sembra che a dominare siano gli speculatori, molto abili nel creare «bolle» che, inevitabilmente, scoppiano travolgendo l'economia reale, e i truffatori alla Madoff di turno.
C'è da sperare che la riforma del sistema finanziario, tenacemente voluta dal Presidente degli Stati Uniti Obama possa, infine, porre dei paletti reali ad un sistema che a noi sembra strutturalmente malato.
Per rimanere in Italia, ancora ad aprile, il Presidente Berlusconi affermava testualmente: «Non c'è nessuna necessità di correggere i conti in corso d'anno. Stiamo uscendo bene della crisi». Forse, la realtà è più complessa. La crisi c'è, come confermano, purtroppo, i dati ISTAT sul calo del reddito lordo disponibile, del potere d'acquisto, e mascherarla non aiuta a risolverla.
La crisi c'è ma non per tutti, siamo di fronte, noi riteniamo, a due Italie insopportabilmente divaricate, tra le quali la crisi anzi ha scavato un fossato ancora più profondo. Da un lato un'Italia in cui la questione del lavoro è la questione centrale, quella dei disoccupati (l'8,7 per cento della popolazione, il 29 per cento per chi ha meno di 24 anni), dei cassintegrati (più 71 per cento nel primo trimestre dell'anno rispetto al corrispondente periodo del 2009), delle varie forme di occupazione precaria, delle aziende in crisi. Ogni settimana vi è un presidio di fronte a Montecitorio con operai che ricorrono sempre più spesso a forme estreme, drammatiche di lotta, sulle gru o sui tetti dei capannoni industriali; con vicende drammatiche, come quella recente di Lucca.
L'Italia dei piccoli imprenditori in cui la crisi ha creato sconquassi fino a portare al gesto estremo del suicidio, in una serie impressionante di casi, nel nord-est del Paese, specie nel Veneto. L'Italia di quegli agricoltori, non certo di quelli delle quote latte illegali, ma di quelli che scendono in piazza, invadono le strade verso la capitale con i loro trattori per manifestare preoccupanti sofferenze a cui continua a mancare un quadro stabile di riferimento. È emblematica da questo punto di vista la questione delle agevolazioni contributive per le aziende operanti in territori montani, sempre appese al susseguirsi di incerte proroghe a volte di pochi mesi.
Vi è poi l'altra Italia, quella della rete politico-affaristica in cui si ritrovano fianco a fianco faccendieri di lungo corso alla Carboni, uomini di Governo, gentiluomini di Sua Santità alla Balducci, alti prelati con una singolare concezione della Propaganda Fide, maneggioni ben rappresentati dal cosiddetto geometra Lombardi. Ecco una rete questa mai in crisi, nemmeno sfiorata dalla crisi anzi più prospera che mai, messa a nudo dalle recenti inchieste, a partire da quelle sulla protezione civile e i cosiddetti grandi eventi, fiumi di denaro pubblico dirottati agli amici degli amici, procedure in deroga per quasi tredici miliardi, alle altre vicende tuttora in evoluzione e che ruotano intorno al senatore Di Girolamo e all'eolico in Sardegna. L'Italia degli illeciti legalizzati con lo scudo fiscale, della cosiddetta finanza creativa, dei furbetti della finanza derivata, dei supermanager da quattro, cinque milioni di euro l'anno, dei funzionari pubblici con pensioni d'oro, abbiamo letto dei casi veramente eclatanti, ne cito uno solo: tale avvocato Felice Crosta, dirigente della regione Sicilia, cui la Corte dei conti ha riconosciuto una pensione da 41 mila 600 euro al mese. Nessuna crisi per costoro!
Ora che ci siano aspetti strutturali negativi nelle finanze dell'Italia è un dato di fatto oggettivo, a partire dal debito Pag. 42pubblico aumentato, in questo biennio di recessione, di dodici punti. Un dato drammatico per le future generazioni, un debito le cui responsabilità peraltro sono ampiamente note. Vi è stato in passato, anche in quest'Aula, qualche irresponsabile che ha creduto di poter far reggere il sistema mandando in pensione i dipendenti pubblici con quindici anni, sei mesi e un giorno di contributi, oppure i parlamentari con pochi giorni di presenza in Aula. Questi ora sono diritti acquisiti e incredibilmente intangibili.
Il risanamento dei conti pubblici è dunque necessario e usare la scure per tagliare sprechi e inefficienze è doveroso. La relazione del Ministro Tremonti sul federalismo fiscale offre, da questo punto di vista interessanti spunti di riflessione, dalle sconcertanti anomalie dei costi della sanità, al capitolo sulle pensioni di invalidità, «cosiddette» scrive il Ministro, spesso una forma di ammortizzatore sociale o uno degli strumenti del voto clientelare, ulteriormente e colpevolmente incrementate dopo il passaggio di competenze alle regioni, all'incredibile numero di società partecipate. Quindi spazi per tagliare ci sono, certamente sono ampi.
Se questo si vuol fare, bene: con la riduzione del costo degli apparati politici ed amministrativi, con le misure sui falsi invalidi e con il recupero dell'evasione fiscale. Forse si potrebbe, e si dovrebbe, ridiscutere di qualche altro capitolo di spesa della Difesa, per esempio, su cui pare, invece, politicamente non corretto accedere i riflettori come sui contratti più onerosi dell'intera manovra oggi in discussione, per l'acquisto di cacciabombardieri F-35, intercettori Eurofighter ed elicotteri NH 90 da parte delle Forze armate italiane.
Abbiamo letto in questi giorni le dichiarazioni del ministro La Russa di una prima possibile riduzione dell'impegno, una strada virtuosa da seguire, per non parlare, poi, della cosiddetta mini-naia con i suoi novelli balilla.
Tuttavia, in questa manovra, la sostanza ci pare essere un'altra, focalizzata su due punti sui quali si sono già soffermati alcuni colleghi e le relazioni di minoranza: il primo è l'articolo 14 con i tagli a regioni ed enti locali. Dovrebbe far riflettere seriamente il Governo la posizione unanime della Conferenza delle regioni e delle province autonome sulla manovra: insostenibile - hanno scritto - per le ricadute sui bilanci regionali e, a cascata, sui servizi sociali e il trasporto pubblico. Riflettere seriamente e non irridere, con qualche battuta, sulla discesa dei governatori dai grattacieli.
Il secondo capitolo è costituito dalle misure relative ai dipendenti pubblici, con il blocco dei contratti e del turnover, sui precari, massicciamente tagliati, e sulla previdenza, con l'allontanamento della pensione, non per i baby pensionati, ma per chi, ormai prossimo alla meta, la vede allontanarsi e deve ridisegnarsi un percorso di vita.
E che dire dei tagli indiscriminati e non selettivi, come, per esempio, quelli imposti all'articolo 7, comma 24? Chi ha scritto quella norma era cosciente? Ciò significa mettere i parchi nazionali italiani nell'impossibilità di svolgere finanche le mansioni ordinarie. Era cosciente che per il più importante ed antico di questi parchi, quello del Gran Paradiso, essendo lì la sorveglianza del territorio svolta da guarda parco retribuiti direttamente dall'ente parco, ciò significa non poterne nemmeno più pagare gli stipendi? Abbiamo presentato una proposta emendativa sul punto, inutile come tutte le altre di fronte ad un testo blindato.
Ci auguriamo, ci rivolgiamo a lei, signor Viceministro, che il Governo voglia almeno accogliere un ordine del giorno per il reintegro, in un prossimo provvedimento, delle risorse essenziali alla sopravvivenza dei parchi italiani.
Come minoranze linguistiche contestiamo, poi, il decreto-legge in discussione per una questione di principio, che già abbiamo sollevato in Commissione finanze, e che riproponiamo in Assemblea con un nostro emendamento sulla scorta di una risoluzione approvata all'unanimità dal Consiglio della Valle d'Aosta. Pag. 43
Lo scorso anno, dopo un lungo e non facile confronto tra Governo e regioni, e un ampio dibattito anche in Assemblea, il Parlamento ha approvato la legge n. 42 del 2009 sul cosiddetto federalismo fiscale. Legge che, all'articolo 27, disciplina espressamente il coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome con la finanza dello Stato per quanto concerne gli obiettivi di perequazione e di solidarietà, per quanto concerne l'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, nonché, sottolineo, per quanto concerne il Patto di stabilità interno. Tale coordinamento deve avvenire - è scritto nella legge - secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti che, ricordo, sono di rango costituzionale.
Il Ministro Tremonti, già con il decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78 (provvedimenti anticrisi), ha voluto seguire un percorso diverso e contrastante, tentando di imporre, allora, tagli per 300 milioni di euro annui alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, facendo ciò d'imperio e in modo non concordato.
La Suprema Corte, su ricorso promosso dalla regione Valle d'Aosta e dalla provincia autonoma di Trento, con la sentenza n. 133, del 12 aprile 2010, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, all'articolo 9-bis, comma 5.
A noi pare che anche con il comma 1, lettera b), dell'articolo 14 del decreto-legge oggi in discussione, si stia seguendo la stessa strada, sempre in relazione al Patto di stabilità interno.
Abbiamo perciò proposto quel citato emendamento per cercare di ripristinare qualche spazio decisionale autonomo da parte delle regioni interessate, almeno nelle azioni di riduzione della spesa, ed evitare di innescare nuovi conflitti tra differenti livelli di governo e anche perché da un punto di vista di principio se così non fosse proprio non capiremmo di quale federalismo si stia parlando (mai termine fu più abusato). Il federalismo dovrebbe essere patto, codecisione e non imposizione.
Infine, concludo il mio intervento con una considerazione politica di ordine generale. Per far fronte ad una situazione economico-sociale e finanziaria del Paese oggettivamente difficile occorrerebbe una guida forte e stabile. Siamo, invece, in presenza di un quadro politico caratterizzato da una crescente instabilità - una bolgia, come l'ha definita di recente il Presidente Napolitano - con una maggioranza dilaniata da contrasti interni sempre più evidenti, di natura politica e personale. Si tratta di una maggioranza spesso in affanno qui alla Camera, sul filo di pochi voti nonostante la forte maggioranza numerica e talvolta battuta e di un Governo che perde i pezzi, dal Ministro Scajola, che non si era accorto che qualcuno contribuiva a comprargli casa, al Ministro Brancher, di cui non si è mai ben saputo di cosa fosse Ministro e prima che lo si sapesse già non era più Ministro, al sottosegretario Cosentino, costretto a lasciare a fronte di accuse pesanti, mentre il Ministro Galan ha minacciato le dimissioni sulle multe per le quote latte per poi abbassare la testa, almeno per ora, di fronte ai diktat di Bossi. Forse è il caso di voltare pagina e non solo sulla manovra (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiani. Ne ha facoltà.

ANTONIO MISIANI. Signor Presidente, nel biennio 2008-2009 l'Italia ha sofferto la peggiore recessione dal dopoguerra. Nel nostro Paese abbiamo avuto un vero e proprio crollo del PIL, il 6,3 per cento in meno, a fronte di una riduzione che si è registrata anche nelle altre economie avanzate ma in misura inferiore. Nella zona euro il calo è stato di 3,5 punti percentuali mentre negli Stati Uniti, l'epicentro della crisi globale, il PIL si è ridotto del 2 per cento, meno di un terzo del calo che negli stessi anni si è avuto nel nostro Paese.
In Italia, tra il secondo trimestre del 2008 e il primo del 2010, sono andati persi 823 mila posti di lavoro, con un tasso di Pag. 44disoccupazione che è cresciuto, nello stesso periodo, dal 6,7 per cento al 9,1 per cento, che pure è un dato parziale perché se a questo 9,1 per cento sommiamo i 625 mila occupati equivalenti che sono in cassa integrazione, cioè persone formalmente occupate ma che non lavorano, il tasso di disoccupazione ufficiale sale all'11,6 per cento. Per i giovani il dato è ancor più drammatico ed è pari al 28,8 per cento. Una delle conseguenze più dure di questa crisi è che un'intera generazione di ragazzi e di ragazze è fuori dal mercato del lavoro. Sono stati i primi ad essere lasciati a casa - lavoratori flessibili, a tempo determinato e con contratti a progetto - e ragionevolmente saranno gli ultimi a rientrare in gioco, quando mai ci sarà una ripresa in questo Paese.
Tra il 2007 e il 2009 sono peggiorati anche i conti pubblici del nostro Paese. Il deficit, che era all'1,5 per cento, è salito al 5,3 per cento, il record dal 1996 mentre il debito pubblico, a sua volta, è tornato al 115,8 per cento. Si tratta del dato più alto dal 1997 ed è il livello più alto in Europa dopo quello della Grecia.
Ora le previsioni più autorevoli - da ultimo quella di pochi giorni fa del Fondo monetario internazionale - ci dicono che tra il 2010, l'anno in corso, e il 2011 la nostra economia beneficerà di una ripresa modesta, pari al 2 per cento di crescita prevista in Italia a fronte del 2,3 della zona euro e del 6,3 per cento degli Stati Uniti. Insomma, tutti questi numeri ci dicono una prima cosa importante che l'Italia, al di là di quanto ci ha raccontato la propaganda del Governo in questi mesi, è tra i grandi Paesi avanzati quello la cui economia è crollata di più tra il 2008 e il 2009 e quello in cui la ripresa sarà più lenta, modesta e fragile.
Allora, il problema numero uno del nostro Paese non è solo la finanza pubblica, non è solo l'equilibrio dei conti delle pubbliche amministrazioni, ma la crescita, la ripresa di un percorso di sviluppo del nostro Paese. Il problema numero uno è l'equità sociale, il lavoro, la possibilità di restituire fiducia e speranza a milioni di persone che in questi due anni hanno pagato sulla loro pelle le conseguenze della crisi più grave dal dopoguerra.
Ora, la manovra contenuta in questo decreto-legge era annunciata da mesi, ma non l'avete annunciata in televisione naturalmente, perché fino a poche settimane fa avete continuato a mentire agli italiani. Ad aprile dicevate che non era prevista alcuna manovra correttiva, avete raccontato che la crisi era ormai passata e che l'Italia stava meglio degli altri, ma nei documenti di finanza pubblica, a partire dalla relazione unificata di inizio maggio, avevate già scritto che si doveva fare una manovra correttiva di 1,6 punti di PIL in due anni.
Con la crisi greca avete colto la palla al balzo, perché avete avuto una eccellente occasione per giustificare di fronte agli italiani un cambio di rotta rispetto a quanto avete raccontato per mesi e mesi. Si tratta di una manovra lacrime e sangue, quella manovra da 12 miliardi nel 2011 e 25 miliardi nel 2012 che sta nei numeri e nelle disposizioni di questo provvedimento.
Signor Presidente, noi riteniamo questa manovra inadeguata in rapporto ai problemi che ho tentato di rammentare e ai problemi che l'Italia ha di fronte, e profondamente iniqua per l'impatto sociale e territoriale dei provvedimenti contenuti nella manovra stessa. C'è una prima riflessione che dobbiamo fare e riguarda le scelte di politica economica in una dimensione europea.
Siamo tutti d'accordo che sia necessario un percorso di riequilibrio dei conti pubblici perché in tutta Europa i deficit sono fortemente aumentati nel 2009 in tutti i Paesi tranne il nostro, in primo luogo per gli interventi di stimolo di politiche fiscali anticicliche che sono state messe in campo e da quei livelli bisogna gradualmente rientrare.
Mi chiedo, come fanno anche tanti osservatori, se sia però utile e opportuno che tutti i Paesi europei in contemporanea mettano in campo, come sta accadendo in queste settimane, politiche restrittive di rientro dei conti pubblici di questa dimensione Pag. 45e con questa tempistica. È vero che la zona euro è stata colpita negli ultimi mesi da una tempesta speculativa come mai si era vista, che ha approfittato di un grande punto debole dell'Europa, un continente che ha una moneta unica da quasi dieci anni, ma non ha ancora una politica fiscale comune.
Su questa asimmetria hanno fatto leva le grandi forze della speculazione internazionale, partendo dalla crisi greca, ma attaccando anche Paesi più forti e più avanzati. Ma una strategia di uscita, come quella che è stata messa in campo queste settimane sull'onda dei rischi prodotti dalla speculazione internazionale, rischia di compromettere una ripresa che già in partenza in Europa era modesta, più debole e fragile, non dico dei Paesi emergenti, dell'Asia (che la crisi l'hanno sentita solo superficialmente), ma anche di altre economie avanzate come quella americana e giapponese.
Non basterà la svalutazione della moneta unica a controbilanciare gli effetti recessivi di queste politiche economiche e finanziarie, perché non ci possiamo certo affidare agli andamenti variabili dei tassi di cambio per immaginare percorsi di ripresa e di nuovo sviluppo dell'economia. Ora il tema di quanto siano utili e necessarie le politiche di riequilibrio messe campo in queste settimane va posto, a mio parere, anche per il nostro Paese.
Per mesi avete raccontato agli italiani una verità che non aveva riscontro nei fatti: prima ci avete detto che la crisi non esisteva, poi che la crisi era psicologica, più tardi che la crisi era alle nostre spalle e ora, con questo decreto-legge, avete cambiato improvvisamente linea e avete drammatizzato la situazione dei conti pubblici, quando ci avete raccontato che, invece, erano molto più in equilibrio degli altri Paesi europei.
Il risultato di questa politica contraddittoria, addirittura schizofrenica, è uno solo: avete messo in campo una manovra che è quasi totalmente concentrata su un obiettivo, ossia la correzione dei conti pubblici a cui va il 70 per cento delle risorse nel 2011 e addirittura il 92 per cento nel 2012. C'è una sola parola che connota questa manovra: rigore, rigore, rigore; ma purtroppo - me lo lasci dire, signor Presidente - è un rigore che ha forti margini di dubbio.
Infatti, c'è molto da discutere anche sui contenuti di merito delle politiche di rigore messe in atto con questa manovra.
È una manovra che punta molto, almeno nella fase iniziale, anche sulle maggiori entrate derivanti innanzitutto dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale che copre il 44 per cento della manovra netta nel 2011 e il 31 per cento nel 2012. Non è una manovra di soli tagli, è una manovra anche di entrate e, innanzitutto, di entrate derivanti dalla lotta all'evasione fiscale.
Questa scelta compiuta dal Governo è razionale, perché con il livello di pressione fiscale complessivo che abbiamo nel nostro Paese non era pensabile un intervento di ulteriore inasprimento della pressione sui contribuenti onesti. Il punto, però, è che questo è un intervento tardivo e poco credibile perché viene da un Governo che, appena insediato, ha cancellato tutte, o quasi, le misure di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale che aveva attuato il Governo precedente, e questi obiettivi di lotta all'evasione fiscale vengono dallo stesso Governo che pochi mesi fa, con lo scudo fiscale, ha fatto il condono più generoso d'Europa nei confronti degli esportatori illeciti di capitale all'estero.
Ma con quale credibilità cambiate così bruscamente rotta sul tema della lotta all'evasione e all'elusione fiscale? Questo è un interrogativo che dobbiamo porre in tutte le sedi istituzionali.
Secondo elemento: le entrate derivanti dall'evasione fiscale non sono mai state conteggiate in passato tra le previsioni di entrata delle varie manovre finanziarie. Da due anni le state considerando ed esplicitamente quantificando nei vostri obiettivi di riequilibrio dei conti pubblici.
Attenzione! Sono stime aleatorie, molto variabili e assolutamente incerte. I numeri di questa manovra finanziaria, come delle altre misure in cui avete previsto entrate dalla lotta all'evasione fiscale, sono scritti sulla sabbia. C'è un elevato Pag. 46rischio di sovrastimare queste entrate e ce lo ha ricordato anche la Corte dei conti.
Terzo punto: anche se le vostre stime fossero confermate dai fatti, stiamo comunque parlando di un complesso di interventi che vale a regime poco meno di 8 miliardi di euro nel 2012. Secondo le stime de Il Sole 24 Ore, che non è certo l'organo dell'opposizione, l'evasione fiscale in soli due anni in questo Paese è salita da 100 miliardi nel 2007 a 118 miliardi nel 2009.
Pertanto, con questa manovra in cui enfatizzate molto la lotta all'evasione e all'elusione fiscale, contate di recuperare meno della metà dell'aumento di evasione fiscale e contributiva che c'è stato in questo Paese in soli due anni, dal 2007 al 2009. In altri termini, mettete una toppa, anche insufficiente, rispetto al disastro che si è prodotto in così poco tempo sul terreno dell'illegalità, dell'evasione e dell'elusione fiscale e contributiva in questo Paese.
La manovra investe parecchio anche sul terreno delle uscite e dei tagli, anzi questo forse è il tema su cui avete calcato più la mano nel rapporto con gli italiani in relazione alle vostre scelte di politica economica.
Il punto più dubbio sono i tagli lineari al bilancio dello Stato contenuti in questa manovra, che dovrebbero produrre risparmi piuttosto consistenti. Me lo lasci dire, signor Presidente, anche in questo caso siamo in presenza di una coazione a ripetere, ce lo ha ricordato la Corte dei conti che sui tagli lineari dice che gli esiti di questi tentativi sono stati spesso deludenti e si sono risolti o in slittamenti nel tempo dei pagamenti (cioè, spese rinviate) o nell'adozione di atti di riconoscimento di debito (tradotto: indebitamento sommerso che, più avanti nel tempo, l'amministrazione pubblica è stata costretta a riconoscere e a pagare).
Avete fatto per la prima volta i tagli lineari con la manovra dell'estate 2008 - se la ricorderanno gli italiani - che era quella che doveva mettere in sicurezza i conti del Paese. Con quella manovra, avevate programmato di contenere l'aumento della spesa primaria corrente in poco meno di 14 miliardi di euro. La vostra previsione era di un aumento tra il 2008 e il 2009 contenuto in 14 miliardi della spesa primaria corrente proprio in relazione ai tagli che avevate fatto alla scuola, alle dotazioni finanziarie dei ministeri e quant'altro. A conti fatti, quei 14 miliardi si sono trasformati in un aumento di 27 miliardi di euro della spesa primaria corrente tra il 2008 e il 2009, di cui soltanto 3,5 sono derivati dai decreti-legge anticrisi che avete messo in campo nel 2009, cioè i tagli che avevate programmato nel 2008 sono completamente falliti.
La spesa primaria corrente, che doveva aumentare di 14 miliardi, è aumentata di 27 miliardi a consuntivo. Non contenti di questo fallimento, anche in questa manovra, riproponete tagli lineari uguali per tutti, indipendentemente dalle situazioni dei vari servizi pubblici che vengono colpiti, con una logica che purtroppo temo sia destinata a fallire. Vi è il forte rischio che quella storia si ripeta e che anche questi numeri siano scritti sulla sabbia. Questo per quanto riguarda il presunto rigore contenuto nella manovra che, invece, è pieno di punti deboli sia sul versante delle entrate che sul terreno del contenimento delle spese.
In questa manovra, tuttavia, non c'è nulla o quasi per accelerare la ripresa dell'economia, che dovrebbe essere l'obiettivo numero uno e, invece, viene completamente misconosciuto dalla politica economica del Governo.
Non solo non c'è nulla per accelerare la ripresa, ma addirittura questa politica economica avrà un impatto recessivo. Il Governo lo stima in 0,4 punti di PIL tra il 2011 e 2012, il centro studi Confindustria, che ancora una volta non è una casamatta dell'opposizione, lo stima allo 0,8 per cento. La verità starà nel mezzo, ma voi con questa manovra mandate per aria e bruciate quasi metà della scarsa crescita prevista dal Fondo monetario internazionale tra il 2011 e il 2012.
Non solo fate questa operazione deflazionistica, ma anche sul tema delle riforme strutturali che dovrebbero favorire Pag. 47una maggiore ripresa e un nuovo slancio dell'economia fate delle operazioni che vanno nella direzione opposta. Faccio due esempi: il primo è la pubblica amministrazione, quello che viene ritenuto uno svantaggio competitivo del nostro Paese per il livello di efficienza, efficacia ed economicità dei servizi pubblici. Voi bloccate le retribuzioni dei pubblici dipendenti nel triennio 2011-2013 in modo assolutamente uniforme ed uguale per tutti. Questa norma è la morte della cosiddetta riforma Brunetta e di qualunque riforma tesa a valorizzare il merito, il rendimento dei singoli dipendenti, una differenziazione dei livelli retributivi basata sulla capacità o meno di lavorare, di conseguire gli obiettivi e quant'altro.
Sul terreno delicatissimo ed importante della pubblica amministrazione voi fate non uno, ma cento passi indietro rispetto ad un processo di riforma discusso, discutibile, ma che aveva comunque investito sul terreno condivisibile della valorizzazione del merito dei dipendenti pubblici.
Il secondo esempio è la green economy, l'economia verde. C'è una norma all'articolo 45 che cancella l'obbligo di ritiro dei certificati verdi. Dietro questi termini burocratici c'è una zeppa pesantissima sulle possibilità di crescita di un settore che ha avuto un boom da quando il Governo Prodi introdusse una serie di importanti incentivazioni alle energie rinnovabili, al risparmio energetico, a tutto quello che nelle altre grandi economie avanzate viene considerato uno straordinario potenziale di crescita economica, di creazione di ricchezza e di nuova occupazione. In questo caso, non soltanto non si investe su questo terreno, ma addirittura si torna indietro smantellando, uno dopo l'altro, gli strumenti di incentivazione messi in campo tra il 2006 e il 2007.
Nella manovra, infine, non c'è nulla, ma proprio nulla, che vada nella direzione di una maggiore equità sociale. Non c'è la riforma degli ammortizzatori sociali. Voi, peraltro, non l'avete mai nemmeno ventilata. Ricordo, però, che il Ministro Sacconi prima delle elezioni regionali aveva promesso uno statuto dei lavori e delle norme di superamento del dualismo italiano nel mercato del lavoro che dovreste spiegarci che fine hanno fatto. Non ci sono gli ammortizzatori sociali europei, non c'è lo statuto dei lavori, in compenso non c'è un euro per la cassa integrazione in deroga.
Persino gli interventi che hanno permesso tra il 2008 e il 2009 di tamponare la crisi economica non vengono rifinanziati. Questo lo dovete spiegare a quelle 625 mila persone oggi in cassa integrazione, ma il cui futuro a questo punto rimane parecchio incerto. Avete raccontato che non tagliate la sanità, ma è sbagliato: le risorse sono tagliate di 846 milioni nel 2011 e di oltre 1 miliardo e 200 milioni nel 2012. Ciò comprometterà la funzionalità di molti sistemi sanitari regionali.
Avete tagliato le risorse a comuni, province e regioni. Dietro i numeri dell'apparente burocrazia di queste norme ci sono servizi che rischiano di saltare. Infatti, quando si tagliano di un terzo le risorse per il trasporto pubblico locale, ciò significa meno autobus, meno treni per i pendolari; quando si tagliano di 4,5 miliardi a regime i fondi per le regioni, ciò significa meno formazione professionale, così come meno incentivi per le imprese, meno servizi per i cittadini, quindi meno equità sociale.
Siete intervenuti sulla disabilità, non per iniziare ad affrontare il dramma della non autosufficienza, ma in una logica di mera riduzione delle prestazioni sociali. Ci avete provato in maniera drammaticamente pesante all'inizio, ma siete per fortuna tornati indietro. Rimane, però, per esempio, il tema degli insegnanti di sostegno, che è uno dei punti più vergognosi di questa manovra sul terreno dell'equità sociale.
Avete ridotto del 50 per cento la spesa delle amministrazioni pubbliche per il lavoro flessibile. Guardate che questo taglio vuol dire migliaia di persone licenziate, che oggi lavorano, sono già pagate dalle amministrazioni pubbliche, magari con contratti precari, ma lavorano, e dal 2011 non lavoreranno più, perché saranno lasciate Pag. 48a casa, esattamente come è successo per decine di migliaia di precari della scuola.
Questo elenco potrebbe andare avanti. Insomma, avete predisposto un mix di interventi che risponde solamente ad un obiettivo: il riequilibrio della finanza pubblica; lo fa male, in una serie di passaggi, e sono completamente assenti le altre due grandi priorità per il nostro Paese, che sono lo sviluppo e l'equità sociale.
Vi è un altro punto, che è molto discutibile, di questa manovra: l'impatto redistributivo. Chi paga i sacrifici che vengono chiesti agli italiani?
Il costo del riequilibrio dei conti pubblici verrà pagato sicuramente dai dipendenti pubblici, tutti accomunati indistintamente nel blocco delle retribuzioni. Verrà pagato da chi deve andare in pensione con le finestre scorrevoli. Andate a raccontare la questione delle finestre scorrevoli ai lavoratori in mobilità, che rimarranno senza mobilità e senza la possibilità di andare in pensione per parecchio tempo.
I sacrifici verranno pagati da chi utilizza servizi pubblici essenziali, gestiti da comuni, province e regioni, che verranno ridotti. I sacrifici verranno pagati, forse, da quella parte del Paese che evade tasse e contributi, ma non verranno sopportati in alcun modo dalla parte più abbiente del Paese. Nel Paese più disuguale in Europa, quello in cui il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede il 45 per cento della ricchezza, nel Paese che l'OCSE paragona agli Stati Uniti, non certo alla Scandinavia, per livello di disuguaglianza sociale, voi avete costruito una manovra in virtù della quale chi è più ricco non darà un euro, uno, per contribuire al riequilibrio dei conti pubblici.
Signor Presidente, me lo lasci dire: è una logica non solo ingiusta e inaccettabile, ma anche fuori linea rispetto a quanto stanno facendo altri Governi d'Europa conservatori, di forze che, magari, appartengono allo stesso Partito popolare europeo in cui si riconosce il Popolo della Libertà.
Sono Paesi in cui si ragiona e si mettono in atto interventi di accrescimento, anche solo temporaneo, della pressione fiscale sulla parte più ricca dei contribuenti, piuttosto che interventi di carattere patrimoniale; Paesi, insomma, in cui il carico dei sacrifici viene distribuito sicuramente in modo socialmente più equo di quanto avviene in Italia con questa manovra.
Vi è un terzo ordine di problemi, signor Presidente, legati a questa manovra, che riguarda la distribuzione per livello istituzionale. Mi lasci fare una citazione: se resta così com'è, questa finanziaria è tutt'altro che federalista, ma, soprattutto, lascia intatti gli sprechi dell'Italia, tagliando importanti servizi ai cittadini. Avrei potuto dirla io questa frase o altri colleghi del Partito Democratico; invece, queste parole appartengono ad Attilio Fontana, sindaco leghista di Varese, nonché presidente dell'ANCI Lombardia.
Fra il 2007 e il 2009 il deficit delle amministrazioni pubbliche è bruscamente peggiorato. La stragrande maggioranza di quel peggioramento non è a livello locale, non è a livello dei comuni, delle province e delle regioni, ma è a livello delle amministrazioni centrali.
Il peggioramento dei conti pubblici nasce a Roma, nei ministeri; non certo negli enti locali e nelle regioni. Nel 2009 i comuni, le province e le regioni, al netto della sanità, hanno gestito il 12,3 per cento della spesa primaria corrente e il loro debito è solo il 5,6 per cento di quello complessivo. Voi avete caricato su quel comparto delle amministrazioni pubbliche il 49 per cento della manovra netta nel 2011 e il 32 per cento nel 2012.
Caricate, cioè, su un comparto che vale il 5,6 per cento del debito e il 12,3 per cento della spesa, il 49 per cento della manovra netta nel 2011. Bastano questi numeri per dire quanto la manovra sia sproporzionata nell'impatto che ha a seconda dei livelli istituzionali. Avete fatto la manovra tagliando i trasferimenti, e questo avrà le conseguenze che ho cercato di Pag. 49ricordare prima. Permane il blocco dell'autonomia impositiva, e quindi si può agire solo sulla spesa.
La conseguenza sarà il taglio dei servizi ai cittadini e alle imprese e il taglio degli investimenti pubblici in un comparto, le amministrazioni locali, che fanno la metà degli investimenti pubblici di questo Paese.
Avete fatto tagli talmente pesanti, che rischiano di incrinare il percorso di attuazione del federalismo fiscale. Avete scritto, all'inizio per le regioni una norma di salvaguardia, ovvero che i tagli non valgono per la fiscalizzazione dei trasferimenti; poi vi siete accorti che mancavano i comuni e le province e avete aggiunto anche i comuni e le province. C'è un piccolo dettaglio però che ci dovete spiegare, cari amici del Governo: se questi tagli valgono anche dal 2013 in avanti, sono scritti anche per il 2013, come riuscite a conciliare ciò con l'impegno di non tenerne conto per l'attuazione del federalismo fiscale e la fiscalizzazione dei trasferimenti? Siccome le due cose non sono compatibili, abbiamo il fondato timore che questa politica economica, che colpisce duramente gli enti territoriali, andrà in rotta di collisione con l'attuazione della legge n. 42 del 2009.
Avete presentato «simpatici» emendamenti al Senato, proponendo di lasciare i saldi assolutamente uguali e di dare ai sindaci e ai governatori, piuttosto che ai presidenti delle province, la possibilità di decidere in autonomia come ripartire i tagli. Ma questa è una presa in giro! Questa scelta, questa proposta emendativa, non hanno nulla a che fare con un'attuazione ordinata e seria del federalismo fiscale, in cui si stabiliscono i costi standard, i parametri di virtuosità e non virtuosità degli enti territoriali, in cui si condivide - e non si impone - la suddivisione dei costi e dei sacrifici legati all'equilibrio dei conti pubblici. Qui siamo in un altro terreno: è la vecchia politica centralista, che comprime la finanza delle autonomie territoriali al di là dei principi, anche condivisibili, che avete scritto nella legge n. 42 del 2009.
Signor Presidente, sto per concludere, dopo aver subìto la peggiore recessione dal dopoguerra, come ricordavo all'inizio, il nostro Paese avrebbe bisogno di una politica economica capace di tenere assieme il rigore dei conti, sicuramente, ma anche lo sviluppo sostenibile e l'equità sociale. Nella manovra - la verità di questa manovra - è che questo punto di equilibrio è totalmente assente. Voi avete focalizzato l'attenzione sul solo riequilibrio dei conti pubblici. Attenzione, perché questa focalizzazione univoca in realtà comprometterà lo stesso obiettivo di riequilibrio dei conti pubblici, perché il rapporto deficit/PIL, debito/PIL, spesa/PIL, consiste di numeratori, ma anche di un denominatore, che si chiama prodotto interno lordo, economia, e quel denominatore è destinato a crescere molto modestamente con una politica deflattiva e recessiva come quella che voi mettete in campo. Rischiate quindi di avere risultati molto inferiori alle attese, anche sul fronte della finanza pubblica, che dovrebbe essere, stando a quanto scrivete nelle vostre norme, l'obiettivo principe di questa manovra.
Noi, come Partito Democratico, abbiamo presentato una serie di proposte, completamente ignorate nella discussione al Senato e, a maggior ragione, alla Camera dei deputati dove, di fatto, non c'è stata alcuna possibilità di cambiare questa manovra. Avete infatti introdotto il monocameralismo (è l'ennesima riforma de facto realizzata da questo Governo).
Io ribadisco, anzi, noi ribadiamo, in questa sede, almeno quattro elementi di priorità.
Il primo punto è la riforma fiscale. Si può realizzare a costo zero un'operazione di alleggerimento del carico fiscale sul lavoro, sull'impresa, sulle famiglie, appesantendo le rendite finanziarie, le misure a carico degli evasori e degli elusori fiscali, le attività inquinanti; è un'operazione che va attuata con gradualità, con intelligenza e con prudenza, ma può essere realizzata senza alcun impatto netto sui conti pubblici.
Il secondo punto riguarda le liberalizzazioni. Che fine ha fatto il dibattito sulla Pag. 50modifica dell'articolo 41 della Costituzione? Avete gettato fumo negli occhi degli italiani e stupisce che pezzi della classe dirigente di questo Paese si siano spellate le mani. Parliamo della modifica dell'articolo 41 della Costituzione. Noi vi sfidiamo su un terreno concreto: le liberalizzazioni del mercato dei carburanti, del gas, l'abolizione della commissione di massimo scoperto - come oggi si chiama -, la liberalizzazione degli ordini professionali, l'avvio delle attività imprenditoriali in tempi certi e rapidi. Sono queste proposte che abbiamo presentato, con tanto di articolato, e su cui vi abbiamo sfidato e continueremo a sfidarvi.
Il terzo punto riguarda gli enti locali. Non si costruisce il federalismo fiscale con una manovra concentrata nella compressione degli spazi di autonomia e nella riduzione delle risorse per comuni, province e regioni. La manovra va alleggerita sugli enti locali, va rivisto il Patto di stabilità interno - ci auguriamo che lo facciate con la legge finanziaria - e va anticipata l'attuazione di alcuni elementi del federalismo fiscale, evitando di fare pasticci.

PRESIDENTE. Onorevole Misiani, la invito a concludere.

ANTONIO MISIANI. Quello che abbiamo letto sull'imposta municipale nella relazione del Ministro - e mi avvio veramente alla conclusione - fa tremare, se si pensa alle conseguenze che rischia di avere non solo sui contribuenti e su quanto viene caricato dal punto di vista dell'imposizione locale sui contribuenti italiani.
L'ultimo punto riguarda la scuola, la ricerca e l'innovazione. La Germania ha varato una manovra da 80 miliardi simile alla nostra perché distribuita in quattro anni: hanno chiesto 80 miliardi di sacrifici, ma hanno investito 12 miliardi di euro in più sulla scuola e sul sistema formativo. Questa è la differenza: quantità uguale, qualità completamente diversa! Lì si investe sull'economia della conoscenza, qui si è tagliata drasticamente la dotazione di risorse del sistema scolastico, si è umiliata l'università con la pessima riforma che attualmente è in discussione, si è compiuta un'operazione di segno esattamente opposto.
Vi chiediamo di cambiare rotta, di tornare indietro e di investire sulla conoscenza perché è una delle chiavi per una nuova prospettiva di crescita per il nostro Paese. In questa manovra, insomma, non vi è alcun progetto di sviluppo, non vi è alcuna idea per favorire una ripresa stabile e duratura della nostra economia.
Voglio fare una valutazione politica. Ritengo che questa manovra sia figlia della crisi del centrodestra italiano, figlia della fase terminale che si è aperta di una stagione politica: nel 2001 la Lega e il PdL - va ricordato - promettevano agli italiani un nuovo miracolo economico e meno tasse per tutti, nel 2009 i dati ISTAT ci dicono che il reddito pro capite degli italiani è sceso al livello di dieci anni fa e la pressione fiscale è al record di tutti i tempi.

PRESIDENTE. Onorevole Misiani, deve concludere.

ANTONIO MISIANI. Questo è il risultato finale della stagione politica che speriamo si chiuda rapidamente ed è anche in questi numeri che si misura il fallimento di un progetto politico e l'esaurimento della spinta di una politica. Credo pertanto che siano maturi i tempi per un cambiamento, innanzitutto sul terreno della politica economica e sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, signor Viceministro dell'economia e delle finanze, desidero svolgere in questo intervento due rilievi di politica economica di carattere alquanto generale sul significato e sul contenuto del provvedimento in esame e, più in generale, sulla situazione economico-finanziaria del nostro Paese, Pag. 51lasciando da parte qualunque rilievo specifico per quanto riguarda questo o quell'aspetto della manovra (ciò che compariva nella prima versione e ciò che ne è rimasto dopo l'emendamento del Governo su cui è stata posta la questione di fiducia, insomma sostanzialmente sul dettaglio di questa impostazione).
Signor Viceministro, i due rilievi sono questi. Il primo è che con questo decreto-legge che il Governo presenta alle Camere, il Governo stesso ha messo, per così dire, la parola fine alle aspirazioni politiche con le quali l'onorevole Berlusconi si è presentato nel 2001 al giudizio degli elettori e si è ripresentato poi nel 2008 ottenendo quella vasta maggioranza alla Camera e al Senato che contraddistingue questo Governo.
Quale era il fondamento di quella politica? Era l'affermazione che l'Italia, per aver dovuto affrontare in un arco di tempo compresso, negli anni Novanta, la grave accumulazione di deficit e di debito che l'Italia aveva ereditato dal passato, aveva dovuto scegliere la strada di interventi progressivi, ripetuti, congiunturali sulle condizioni della finanza pubblica che avevano finito per deprimere il tasso di sviluppo dell'economia italiana.
Dobbiamo riuscire a liberare - diceva Berlusconi agli elettori, e fu l'argomento fondamentale per il quale al partito che avevo allora l'onore di guidare e che ho ancora l'onore di rappresentare, il Partito Repubblicano, dissi: associamoci a questa battaglia - le forze dello sviluppo economico italiano che sono state compresse dalla necessità di affrontare il debito pubblico e dallo sforzo, che condividevamo e che il Governo Prodi aveva fatto, di tagliare il deficit e l'inflazione per poterci mettere in condizione di entrare nell'euro, senza poi riuscire ad innescare, su quella giusta politica economica ed estera del nostro Paese, una politica di sviluppo.
Qual era la chiave dell'impostazione di Berlusconi? Una coraggiosa, drammatica riduzione del prelievo fiscale, sperimentata da altri Paesi, dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra in altri tempi, che in una prima fase, dal 2001, il Ministro Tremonti pensò potesse essere sviluppata senza tener conto dei vincoli di bilancio, con un deficit, per così dire, nella speranza che l'effetto di rilancio dell'economia potesse poi colmare il deficit prodotto dal taglio fiscale; ma che nella seconda versione, più realistica, che noi avevamo ben condiviso, nel 2008, si traduceva in un coraggioso intervento di contenimento e di revisione della spesa pubblica corrente, sul quale basare due essenziali operazioni: la riduzione delle aliquote fiscali ed un forte investimento nei campi delle infrastrutture, della ricerca scientifica, dell'innovazione e così via. Una politica, quindi, che era insieme di responsabilità finanziaria verso noi stessi e verso l'Europa, ma anche la capacità di affrontare il nodo dello sviluppo economico italiano che, come il Governatore della Banca d'Italia ha documentato tante volte, è fermo dal 1992-93.
Quella politica non c'è più. Il decreto-legge in esame, infatti, significa semplicemente il ritorno alla consuetudine della storia finanziaria degli ultimi trent'anni: di fronte ad una condizione di bilancio sottovalutata nelle sue dimensioni di deficit, il Governo chiede al Parlamento ed al Paese un insieme di sacrifici attraverso misure la maggior parte delle quali appare così affrettata nella preparazione, che il Governo stesso le riscrive quasi totalmente nell'iter del decreto-legge al Senato. Quante volte, senatore Vegas, abbiamo visto negli ultimi trent'anni dalla parte della maggioranza, dalla parte dell'opposizione, da funzionari del Parlamento, da economisti, questa politica di breve respiro sostituirsi alla speranza di una politica di ampio respiro, con misure così affrettate che, lo ripeto, non reggono nemmeno il vaglio della maggioranza stessa, del Governo stesso, che dice: aboliamo 32 province; no, ne aboliamo 9, ne aboliamo 4, ne aboliremo...; che propone una serie di misure così affrettate perché stabilite all'ultimo momento.
Il primo rilievo allora a cui credo il Governo non sia in grado di dare una risposta è: perché le misure di contenimento della spesa corrente delle regioni, dei comuni, della sanità, di quel che è, non Pag. 52sono state proposte nell'aprile 2008? Ciò sarebbe avvenuto in relazione ad un programma, che corrispondeva al vincolo elettorale, di creare le condizioni per una riduzione delle aliquote. Perché il Parlamento italiano viene investito solamente nel 2010, dopo che l'Europa chiama a rispondere di affermazioni, che ho giudicato irresponsabili, durate due anni: «l'Italia non ha bisogno di nulla perché l'Italia sta meglio degli altri»? E non era vero, perché il reddito nazionale calava del 5 per cento: nessun altro grande Paese europeo subiva una crisi altrettanto grave. «L'Italia gode di condizioni migliori, uscirà in condizioni più forti; non abbiamo bisogno di fare manovre». Sì, invece: abbiamo bisogno di fare manovre. Avremmo avuto bisogno di fare qualcosa di più meditato e di fondo.
Capisco che il Presidente del Consiglio sia scontento, che il Presidente del Consiglio faccia trapelare la propria scontentezza per le misure che il Ministro dell'economia e delle finanze minacciando dimissioni avanza: egli capisce, con sensibilità politica, che è la fine di quanto aveva promesso agli italiani e a se stesso. E non lo può imputare ad un errore di impostazione del Ministro dell'economia e delle finanze, perché quest'ultimo può dire: l'Europa ci condannerebbe se non lo facessimo. Egli quindi sa di non poter fare a meno di questa impostazione, ma allo stesso tempo è consapevole che avrebbe dovuto imporre dal primo giorno ai Ministri ed al Ministro dell'economia e delle finanze un'impostazione di maggiore respiro.
Queste misure, introdotte nel 2008, avrebbero consentito oggi di affrontare il problema della ripresa. È risibile sostenere che vi sono misure per la ripresa. Vi è la possibilità di aprire un'impresa in un giorno? Ma con questo prelievo fiscale, c'è qualcuno che voglia aprire un'impresa in un giorno? C'è qualcuno che vuole chiudere delle imprese in un giorno! (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Cosa ha fatto un grande imprenditore del Nord in questi giorni? Ha detto: ci sono condizioni migliori altrove, me ne vado. Primo giudizio: in che cosa differisce questo decreto da quelli che lo hanno preceduto, da quelli del Ministro Padoa Schioppa? Dentro c'è persino il gettito derivante dalla lotta all'evasione, sul quale lei ed io - che eravamo all'opposizione - abbiamo fatto dell'ironia, perché la lotta all'evasione non si fa attraverso i decreti, ma - lo diceva Berlusconi - attraverso una seria riduzione delle aliquote al termine della quale c'è - per così dire - la gogna, la prigione, la condanna per coloro i quali evadono (mi riferisco a un Paese che chiede basse aliquote).
Sta uscendo uno studio della società Ricerca & studi di Mediobanca sulle piccole e medie imprese in Europa - uscirà tra qualche settimana - in cui è stata fatta una ricerca comparativa tra le piccole e medie imprese in Spagna, in Germania e in Italia (con molti aspetti simili e molti aspetti diversi). L'aspetto che più colpisce, drammatico, è che il carico fiscale, il totale delle imposte pagate dalle piccole e medie imprese italiane supera, dai bilanci esaminati in modo conforme tra i tre Paesi, il 40 per cento, mentre per gli altri Paesi è sotto il 30. In altre parole le stesse medie e piccole imprese che in Spagna pagano un carico fiscale - tra IRAP ed altro - del 30 per cento in Italia lo pagano al 45. Questo non è il problema dello sviluppo economico italiano? E se non è questo, qual è il problema?
Quando un Governo viene a chiedere ad un esponente del Partito Repubblicano come me come voterà su questo decreto, io non ho ancora deciso e potrei anche votare a favore di un decreto di questo genere, perché certamente non mi farò mai accusare di non avere concorso alla riduzione del deficit, ma lo faccio dopo avervi detto che questo è il fallimento di un'impostazione politica sulla quale, non soltanto io, ma molta parte degli elettori italiani avevano confidato. Onorevole Vegas, gli italiani avevano confidato in una politica di alleggerimento dei pesi sullo sviluppo, e non ce l'hanno questa politica, perché - come ha detto il mio onorevole predecessore - la pressione fiscale è cresciuta Pag. 53o non è diminuita. Sostanzialmente quando avrete finito di portare a termine questa manovra avrete un'Italia che ha meno possibilità di crescere, e che ha i conti forse lievemente più in ordine. Questo Governo può fare nei residui due anni della legislatura quello che non ha preparato per tempo? Queste sono misure che si preparano all'inizio di una legislatura, indicando al Parlamento degli obiettivi di riduzione della spesa corrente e di conseguente riduzione delle aliquote fiscali, poi discutendone ampiamente.
Non ho particolare simpatia per questo o quel governatore di regione e capisco anche molte polemiche del Ministro Tremonti sugli sprechi che ci sono a livello nazionale, a livello regionale e a livello locale. Si tratta di torti che ciascuno ha nel settore pubblico italiano. Però devo dire che riconosco una certa ragione (quando si chiede un taglio importante della spesa di un ente locale o di un ente regionale) al fatto di invocare il diritto a discutere, ad esaurimento e con il tempo necessario, di tale questione (salvo che la responsabilità rimane del Parlamento e del Governo), e quindi i governatori (se è questo che lamentano) hanno il diritto di rammentare questo problema. Perché così si cambia la geometria delle politiche economiche e di ciò che gli enti locali possono fare, ed è questo che forse intendeva dire il sindaco di Varese (che non credo appartenga all'opposizione) quando dice: avete dato il tempo, perché non avete dato questo tempo? È molto semplice: perché siete arrivati così tardi a riconoscerlo, dopo aver detto per due anni che le cose andavano in maniera eccellente nel nostro Paese (in modo molto diverso da tutti gli altri europei), che quando l'Europa vi è venuta contro avete dovuto in cinque minuti tirare fuori dai cassetti quello che c'era, e prendere poi un mese di tempo per cercare di aggiustare gli errori che erano stati compiuti.
Questo è il primo rilievo, su cui mi fermo. Ce n'è un secondo. Siete sicuri di avere realizzato una manovra utile rispetto ai problemi dell'equilibrio finanziario italiano? Il dubbio che ho - un dubbio di fondo - è che noi facciamo questa manovra perché nel corso dei mesi scorsi la turbolenza dell'euro ha investito la periferia dell'Europa. Pensiamo alla Grecia, ma è una minaccia che colpisce anche altri Paesi.
Domani questa turbolenza potrebbe minacciare l'Italia, certo, considerato il carico di debito che riceviamo dal passato, ed io avendo fatto anche parte di questo passato non ho difficoltà a dire che abbiamo una nostra parte di responsabilità, che tutto questo è detto, è nei fatti. Ma qual è il problema italiano dal punto di vista della stabilità?
Onorevole Vegas, lei conosce bene questi numeri: noi abbiamo un deficit di bilancio rispetto al PIL del 5,5 per cento, che è più del 3 per cento famoso, ma che è un pochino meno della Francia e della Germania, che stanno al 7 e al 5,8 per cento. Noi stiamo male rispetto al parametro del 3 per cento, ma abbiamo un'altra cifra che è molto più grave: quella del debito pubblico, che in rapporto al prodotto interno lordo si colloca al 120 per cento, mentre la Francia e la Germania, per usare dei Paesi di riferimento, si collocano al 75, al 78 per cento; loro sono molto vicini a quel 60 per cento imposto dall'Europa, noi invece siamo molto distanti.
Se c'è una debolezza, se c'è una fragilità finanziaria del Paese, signori del Governo, essa non si trova nel deficit e voi lo sapete bene. Non si trova nel deficit, si trova nello stock del debito in rapporto al reddito nazionale perché quello impone a voi, signori del Ministero dell'economia ogni mese, di fare delle emissioni che immagino vi lascino con qualche patema d'animo, considerate le condizioni di volatilità dei mercati finanziari. E se domani un'agenzia di valutazione dicesse: l'Italia ha un deficit abbastanza modesto, più piccolo della Germania, più piccolo della Francia, ma il debito che era al 120 per cento del PIL nel 1996, poi al 104-105 sei anni fa, oggi è al 118 e domani salirà al 120, perché tagliando (di quel poco che tagliamo) il deficit di quest'anno, il debito cresce in rapporto al PIL. Quindi noi oggi Pag. 54sappiamo che l'anno prossimo il rapporto debito/PIL salirà dal 118 al 120 per cento nonostante questa manovra, e certamente non potete tagliare di più la spesa corrente, cosa che già ha effetti deflazionistici.
Allora la domanda che vi rivolgo, per così dire, senza intento polemico, ma come si può parlare con coloro i quali hanno la responsabilità e conoscono i dati, è: siete sicuri che la manovra è stata impostata correttamente? Cioè siete sicuri che dei due obiettivi a cui potevamo mirare: il deficit pubblico e il rapporto debito/PIL, la priorità fosse il deficit, e che invece non bisognasse scegliere o di affiancare o di sostituire a questa manovra una manovra che affrontasse il tema del debito pubblico? Questo problema lo si può affrontare facendo cassa, come si dice, vendendo asset pubblici, che ci sono, che il Ministro Tremonti ha tentato già di vendere in anni lontani, e bisognava avere il coraggio, la forza anche di combattere le resistenze degli enti locali e delle forze politiche perché molto spesso in queste proprietà pubbliche si annida il sottogoverno delle regioni, dei comuni, delle province.
Mi hanno detto che in una regione del centro-nord governata dal centrosinistra ci sono 800 società pubbliche, mentre quindici anni fa ce n'erano 5 o 10; ebbene, allora lì non c'è nulla che possa essere venduto o semplificato? Se noi domani avremo un deficit che invece di essere del 5,3 sarà il 4,5 e tra due anni invece del 4,5 sarà il 4,7, ma nel frattempo il debito pubblico cresce, supponiamo che le condizioni internazionali generino instabilità finanziaria, paure delle banche, paure dei mercati, voi mettete al sicuro gli italiani, il loro risparmio? La condizione dell'Italia nell'euro la mettete al sicuro non facendo nulla riguardo a quel problema?
Io l'ho segnalato in un articolo pubblicato su un giornale all'inizio della discussione su questa manovra, mi sarei aspettato che il Governo spiegasse privatamente, pubblicamente le ragioni per cui esso ha scelto un'altra strada. Perché è difficile? Sì è molto difficile. È certo che è molto difficile decidere se vendere le poche grandi imprese pubbliche controllate dal Ministero dell'economia, sì, è molto difficile. È molto difficile vendere le caserme che non servono, tutto questo è difficile, anche convincere gli enti locali e regionali a rinunziare, ma dal momento che avete fatto la forzatura sugli enti regionali, sulla loro spesa, perché non la potevate fare sullo scioglimento delle imprese in cui si annida il sottogoverno della classe politica del Paese? Perché non lo potevate fare? Perché il Presidente del Consiglio che lamenta di non avere poteri non ha posto questo problema davanti al Paese? Perché?
È debole rispetto agli altri poteri? Chi si è opposto a guardare questo problema italiano? E se tra due anni l'Italia si dovesse trovare in una condizione di difficoltà analoga a quella di altri Paesi europei, pensate di poter sfuggire alla responsabilità di aver trascurato uno dei problemi? Ci sono due obiettivi in Maastricht: uno si chiama deficit e l'altro si chiama debito. Di questi due parametri, quello per cui l'Italia è più deviante non è il deficit, è il debito. Dovete una risposta al Parlamento e al Paese, perché vi state occupando del deficit - e fate bene, anche se lo fate tardi e in misura approssimata - e non vi occupate di quella che è la spada di Damocle, senatore Vegas, che sta sulla testa dell'economia italiana. Queste valutazioni, che consegno alla sua attenzione ed esprimo con passione, perché sono i temi di cui mi sono occupato in tutta la mia vita da parlamentare, mi portano ad un giudizio negativissimo, ma non tanto sulla manovra che - ripeto - è trascurabile nei suoi effetti benefici sull'Italia; sono, forse, meno trascurabili gli effetti negativi sul tasso di sviluppo, ma la logica del mio partito è che quando il Governo chiede dei soldi al Parlamento, il Parlamento, bene o male, glieli deve dare, quanto meno per non essere accusato di irresponsabilità rispetto alla condizione dei conti che voi conoscete, che voi avete nascosto, che voi avete sottovalutato per due anni e che, oggi, confessate al Paese. Il Parlamento vi deve votare e spero che voti a favore di questa conclusione. Ma Pag. 55non pensiate che questa sia una vittoria, questa è una sconfitta, perché è la sconfitta definitiva dell'impostazione di politica economica del Presidente Berlusconi, dalla quale non c'è più riscossa, non c'è più salvezza rispetto alla rinunzia. Il Governo Berlusconi è in continuità con il Governo che aveva come Ministro dell'economia e delle finanze Padoa-Schioppa o in continuità con i Governi degli anni del centrosinistra che, ogni anno, chiedevano una o due manovre. Ma la cosa più grave è che vi dovete domandare se non avete lasciato l'Italia nella pioggia qualora il tempo divenga cattivo. Naturalmente, mi auguro che il tempo si rassereni, che le condizioni finanziarie dell'Europa migliorino, che l'Europa, attraverso la svalutazione tardiva dell'euro, possa rifiatare e, quindi, avere una certa ripresa come anche le entrate fiscali, in Europa e in Italia, perché, se così non fosse, se così non sarà, tutto ciò non sarà servito a niente, come l'altro giorno accennava, vagamente, ma in modo ben chiaro, il Governatore della Banca d'Italia in un discorso all'Associazione Bancaria Italiana. Signor Viceministro, queste sono le due semplici obiezioni che muovo a questo decreto-legge e che mi fanno dare un giudizio di inutilità su questa manovra, il che non mi impone di votare contro e non preclude un voto favorevole, ma di inutilità e, soprattutto, un giudizio politico molto negativo sul modo nel quale avete guidato il Paese nel corso di questi anni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, il dibattito su questa manovra finanziaria correttiva dei conti pubblici ha smentito due bugie del Governo. La prima, che era causata dalla crisi economica della Grecia e, la seconda, che la imponeva l'Europa. Della Grecia non se ne parla più; si tratta di un prestito di 14 miliardi e mezzo in tre anni, di cui solo 4 miliardi nel 2010. Soldi che, comunque, sarebbero stati restituiti con un buon tasso di interesse, sopra al 4 per cento, migliore di quello che paghiamo sui nostri titoli pubblici. Sull'Europa, che ci impone la manovra, Tremonti, nell'audizione di mercoledì 21 scorso, ha detto, misurando le parole, che la manovra è di matrice europea. Qualcosa di diverso che l'impone l'Europa. Tradotto in italiano, significa che l'Europa ci ha richiamato al rispetto del Trattato di Maastricht che impone il disavanzo di bilancio delle pubbliche amministrazioni sotto il 3 per cento. Una norma del Trattato che abbiamo approvato liberamente.
L'Italia, come i principali Paesi europei, stava sopra il 3 per cento e, come prescrive il Trattato, sarebbe scattata la procedura di dichiarazione di deficit eccessivo con l'obbligo di rientro, come è successo per la Grecia, per evitare sanzioni finanziarie più pesanti. Infatti, i nostri conti non stanno bene. La relazione unificata sull'economia e sulla finanza del maggio scorso ci ha dato un quadro peggiorato rispetto alle previsioni del 2008 e del 2009. Da qui la necessità di correggere i nostri conti pubblici, a prescindere dalla Grecia e dall'Europa. Qual è il quadro da cui partire? Vediamo alcuni dati fondamentali. Il PIL, il prodotto interno lordo: facendo la media degli ultimi dieci anni, di cui Berlusconi ne ha governati ben sette, abbiamo gli Stati Uniti che crescono con una media dell'1,86 per cento; l'area dei Paesi euro cresce dell'1,37 per cento; l'Italia cresce soltanto dello 0,54 per cento. Vuol dire che l'Italia cresce il 39 per cento dell'Eurozona e il 29 per cento degli Stati Uniti ossia un terzo dell'Europa e un quarto degli Stati Uniti. Tutti corrono e noi andiamo piano, anzi quasi fermi.
Il PIL dell'Italia è il più basso dell'Europa dell'euro. Nel 2010 abbiamo il dato peggiore dal 1971. Vediamo il debito pubblico: l'Italia passa dal 109,1 per cento del PIL del 2000 al 115,8 per cento del 2009. Nel 2010 si prevede un peggioramento al 118,4 per cento secondo le stime del Governo. Abbiamo il debito pubblico più alto dell'Europa. Secondo i parametri di Maastricht dovrebbe essere sotto il 60 per cento del PIL. Noi stiamo sopra del doppio. Ricordo agli smemorati che nel 1990 Pag. 56il debito pubblico stava al 98 per cento ossia sotto il 100 per cento. Il debito è cresciuto nonostante la enorme vendita del patrimonio immobiliare degli anni Novanta, le dismissioni delle partecipazioni statali e la vendita del patrimonio immobiliare dei primi anni di questo decennio. Tutti ricorderemo i programmi SCIP1, SCIP2 di Tremonti. Il dibattito si alimenta a causa dei disavanzi strutturali della nostra spesa pubblica. Onorevole La Malfa, questo è il punto. Vediamo il deficit ossia la differenza tra tutte le entrate e tutte le spese delle pubbliche amministrazioni. In sei anni su dieci è stato sopra il 3 per cento dal 2000 al 2009. Nel 2009 addirittura era del 5,3 per cento. Il relatore Alfano si è beato in Commissione nella sua relazione che la Spagna era all'11,2 per cento; il Regno Unito all'11,5 per cento e la Francia al 7,5 per cento. Certamente l'Italia ha un dato numerico migliore di questi Paesi ma questo dato va visto nel contesto di altri fattori di stabilità finanziaria. Infatti voglio ricordare che la Spagna ha un debito pubblico nel 2009 del 53,2 per cento e il Regno Unito del 73 per cento e la Francia solo del 77,6 per cento. È vero che Spagna, Francia, Germania e Italia sono sottoposte al rientro sotto il 3 per cento del disavanzo eccessivo nel biennio 2011-2012 ma per noi è molto più dura, molto più in salita. La Spagna il suo deficit lo deve soprattutto al sostegno dato alle banche così pure la Germania e la Francia. È quindi un sostegno limitato nel tempo, una tantum che ha fatto crescere il loro deficit. L'Italia questo problema non lo ha avuto ma rimangono le profonde crisi strutturali che invece fanno permanere questo disavanzo. Gli altri Paesi possono fare debito per lo sviluppo, noi no. Vediamo un altro dato invalidante: la pressione fiscale. La pressione fiscale nel consuntivo 2009 è cresciuta dal 42,9 per cento al 43,2 per cento: la più alta da quando è entrato in politica Berlusconi che aveva promesso la riduzione delle tasse.
Un dato così rilevante significa che non si possono aumentare le tasse per non deprimere i consumi e la crescita e che quindi non possiamo agire sul lato delle entrate per migliorare il disavanzo. Per ridurre il disavanzo e tendere al pareggio di bilancio - che era l'impegno assunto con l'Europa nel 2003 - non ci rimane che ridurre la spesa pubblica. Questo assunto contabile va però interpretato in termini politici e non ragionieristici, come fa il Ministro Tremonti. Nel 2001-2005 Tremonti migliorava le entrate non imponendo nuove tasse, ma attraverso condoni e vendite, anzi svendite, che riguardavano come ho detto il patrimonio immobiliare, però erano entrate una tantum, che l'Europa non ha più accettato e non è più disposta ad accettare, soprattutto per l'Italia.
Adesso ci ha riprovato con il condono fiscale per i patrimoni mobiliari ed immobiliari evasi all'estero e con la lotta all'evasione fiscale. Sul lato della spesa invece prende un righello e tira una linea: meno 10 per cento a tutti. Tagli lineari, è stato detto, taglia sia la spesa buona sia la spesa cattiva: ha fatto così con la manovra estiva del 2008 e fa così con la manovra estiva del 2010. Noi dell'Unione di Centro abbiamo riconosciuto sin dall'inizio la necessità della manovra correttiva, anzi l'avevamo detto già nel giugno 2008 che i tagli lineari di Tremonti non funzionavano.
Questa di Tremonti è una manovra necessaria, ma ingiusta: colpisce solo i redditi di una parte del Paese e non elimina gli sprechi e le inefficienze della pubblica amministrazione, come propagandisticamente si propone. Per di più è una manovra recessiva - è stato valutato addirittura dello 0,5 per cento - che deprimerà i consumi e rallenterà la crescita, per stessa ammissione del Governo.
Traduciamo in dati queste affermazioni e valutiamo le singole misure contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, di cui discutiamo, per comprenderne l'ingiustizia, la sterilità e l'inconsistenza propagandistica.
Una prima contestazione di fondo: la manovra, così come esce dal Senato, è stimata in 24,9 miliardi per il biennio 2011-2012, di cui 14 miliardi e 300 milioni Pag. 57per il 2011. Questa manovra dovrebbe riportare nel 2012 il disavanzo dal 5,3 per cento del 2009 al 2,7 per cento, ossia recuperare ben 2,6 punti percentuali. Considerando al 2009 un punto di PIL pari a circa 15 miliardi, si tratta di recuperare circa 38 miliardi. Mancano all'appello altri 13 miliardi. Tremonti ha escluso nel 2010 altre manovre, quindi la finanziaria del 2011 sarà una finanziaria di bilancio, che spera in un aumento del PIL nel 2010 di almeno l'1 per cento. Noi ci auguriamo che le sue attese siano soddisfatte, ma il Governo non aiuta la ripresa con questa manovra e quindi quel PIL all'1 per cento è tutto da vedere.
Vediamo come si compone questa manovra: 4 miliardi nel 2011 e 4 miliardi e mezzo nel 2012; a seguire, sono quelli che riguardano le regioni: un miliardo e mezzo nel 2011 e 2 miliardi e mezzo nel 2012; a seguire, vengono invece tagliati i comuni. Su 25 miliardi nel biennio, 12 miliardi e mezzo vengono tagliati a regioni e comuni, ossia il 50 per cento della manovra. Attenzione: comuni, province e regioni già partecipavano con propri tagli al rispetto del patto di stabilità interno. Questi, quindi, sono ulteriori tagli ai trasferimenti dello Stato a regioni e comuni, che riguardavano il finanziamento di competenze che lo Stato aveva trasferito alle regioni e ai comuni con le famose leggi Bassanini, che anticipavano già il federalismo che stiamo conoscendo, che era il federalismo amministrativo, quindi a Costituzione invariata. Ci troviamo cioè con un Governo che fa del federalismo la propria bandiera e poi, nei fatti, lo soffoca.
Abbiamo dubbi sulla costituzionalità di questi tagli alle regioni: la Corte costituzionale ha sentenziato che deve esservi un collegamento diretto tra funzioni conferite e risorse necessarie per il loro esercizio e questo collegamento adesso è tagliato. Con la legge n. 59 del 1997, la legge Bassanini di cui parlavo sul federalismo amministrativo, che precedette la modifica della Costituzione, del titolo V, furono trasferite alle regioni competenze in merito al trasporto pubblico locale, mercato del lavoro, incentivi alle imprese, protezione civile, demanio idrico, opere pubbliche, agricoltura, viabilità, ambiente.
Con la successiva riforma del Titolo V, segnatamente con l'articolo 117 della Costituzione, sono stati trasferiti alle regioni tutti i poteri riguardanti i diritti sociali ed economici degli italiani, quindi, tutte le altre competenze che non erano ancora state trasferite con la cosiddetta legge Bassanini.
Proprio con riferimento agli articoli 117 e 119 della Costituzione, questo Parlamento ha approvato la legge n. 42 del 2009 concernente il federalismo fiscale, che rappresenta non solo un vanto ed un merito della Lega Nord, ma anche la ragione sociale per cui esiste questo Governo. Dunque, come si può tagliare la spesa storica di regioni e comuni, che è la grande imputata della riforma del federalismo fiscale, senza sostituirla con altre entrate? Come si possono mantenere i livelli di spesa riconosciuti dallo Stato in questi dieci anni, senza tagliare anche i servizi? Se il Ministro Tremonti si vanta di non fare «macelleria sociale» con la sua finanza creativa, in realtà, la fa fare, per delega, ai governatori delle regioni ed ai sindaci. Questo è il nostro parere.
Un altro taglio consistente per le entrate regionali è rappresentato dall'abrogazione della compartecipazione al gettito dell'accisa sul gasolio, che serviva a finanziare il trasporto ferroviario regionale. Adesso dovremmo tutti capire con quali risorse questo potrà essere fatto ancora.
Ma non finisce qui la sleale collaborazione tra Stato e regioni, nonostante all'articolo 114 della Costituzione siano posti sullo stesso piano di responsabilità tra i livelli di governo della Repubblica italiana (ricordiamo, infatti, che comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato sono equiordinati e posti sullo stesso piano).
Il Patto di stabilità per la salute, firmato dal Governo con le regioni nel 2008, prevedeva un miliardo 600 milioni di euro per il 2010, e un miliardo 700 milioni di euro per il 2011, per migliorare le prestazioni sanitarie a seguito della razionalizzazione delle spese strutturali. Invece, Pag. 58con il decreto-legge n. 78 del 2010 di cui discutiamo, la partita si chiude, al contrario, con un taglio delle spese sanitarie delle regioni di 418 milioni di euro per il 2011, e di un miliardo 100 milioni di euro per il 2012. È l'esatto opposto di quanto era stato stabilito, programmato, firmato e sottoscritto da Governo e regioni nel 2008.
Se è di tutta evidenza, che il taglio alla sanità si traduce in una riduzione delle prestazioni per i malati e in una minore tutela della salute - voglio ricordare che quello previsto dall'articolo 32 della nostra Costituzione è un diritto fondamentale - nessuno, però, si aspettava che i tagli riguardassero anche coloro che avevano lavorato e fornito, a proprie spese, servizi e lavori per le ASL. Infatti, nel provvedimento in esame, all'articolo 11, comma 2, ultimo periodo, è scritto che: «fino al 31 dicembre 2010 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime». Questa inibizione, che riguarda legittime rivendicazioni e pretese da parte di imprese e professionisti per prestazioni date e non pagate, è una vera aberrazione, per non dire una vergogna dello Stato.
Ma andiamo oltre. Veniamo all'impostazione ideologico-politica data dal Ministro Calderoli a questa manovra. I tagli dei costi della politica: sembrava che la mannaia scendesse sulla testa di Ministri e sottosegretari per dare il buon esempio. Tutta propaganda: le cose stanno molto diversamente e gli italiani devono saperlo. Tutto l'articolo 5 del provvedimento in discussione, che disciplina la materia, comporta una riduzione di spesa, per ciascuno degli anni 2011 e 2012, di un milione di euro l'anno. Lo ripeto: un solo milione di euro l'anno. Se il Ministro Calderoli voleva dare il buon esempio, avrebbe dovuto prevedere il taglio non del 10 per cento delle indennità di due Ministri e solo di sette sottosegretari - pari a 700 mila euro l'anno, ma attenzione, a partire dal 1o gennaio 2011 - ma tagliare tutte, lo ripeto, tutte, le indennità di funzione di Ministri e sottosegretari non parlamentari a partire da quest'anno, cioè dal 2010.
Ogni Ministro raddoppia, è bene che gli italiani lo sappiano, la propria indennità parlamentare con tale funzione ministeriale. Poco meno succede ai sottosegretari, perché non si sono accontentati di fare i Ministri a titolo onorifico così come pretendono che lo facciano gli amministratori delle società partecipate o di altri enti locali? Un'altra osservazione voglio fare al Ministro Calderoli: abbiamo a capo del Governo l'uomo più ricco d'Italia che, oltre all'indennità parlamentare, percepisce un'indennità di funzione pari a una volta e mezza quella di parlamentare. Non sarebbe stato un gesto emblematico rinunciare all'indennità di capo del Governo invece di chiedere di tagliare le indennità di accompagno ai disabili gravi quando ha varato il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78? Ma Berlusconi ha bisogno per davvero dell'indennità parlamentare e dell'indennità di capo del Governo?

SIMONE BALDELLI. Non l'ha mai ritirata l'indennità parlamentare!

AMEDEO CICCANTI. Sì, ma non so a chi l'ha destinata, e comunque l'indennità di capo di Governo l'ha presa, non vi ha rinunciato. È una questione di sensibilità umana e politica, lui piange per non aver debellato il cancro, gli altri piangono per non avere i soldi per prevenirlo e curarlo. Secondo il Ministro Tremonti sono stati toccati anche i «papaveri» con i tagli sui costi della politica e sul pubblico impiego. Non so chi sono questi «papaveri», non so se si riferisce ai politici, ai magistrati o agli alti dirigenti dello Stato, so solo che ha tagliato il 5 per cento agli stipendi di 25 mila dipendenti sopra i 90 mila euro e il 10 per cento a 1.447 dipendenti sopra i 150 mila euro. Questo Governo si è guardato bene dal far pagare un centesimo a quei 600 mila italiani che guadagnano oltre 150 mila euro l'anno. Il capo del Governo Berlusconi guadagna 63 mila euro al giorno, Alessandro Profumo guadagna 30 mila euro al giorno, poco meno Pag. 59guadagnano Tronchetti Provera, Romiti, Gabetti, Grande Stevens, Geronzi, Bazoli, Passera, Arpe, Pesenti, Ligresti, De Benedetti, Colaninno, Cimoli e potrei seguitare per un'ora, ma questi non pagheranno un solo centesimo in questa manovra. Questa manovra non li sfiora, così come non sfiora Mediaset, Confalonieri e Berlusconi, perché questi «papaveri» Tremonti non li vede, sta guardando dall'altra parte. Questa è l'ingiustizia di questa manovra, quella che noi denunciamo necessaria ma ingiusta.

MASSIMO POLLEDRI. E Caltagirone?

AMEDEO CICCANTI. Anche, perché no? Hai fatto bene a ricordarlo. Altro cavallo di battaglia di Calderoli è la soppressione degli enti inutili e delle auto blu. È un'altra grande presa in giro, è dal 2001 che sento parlare di soppressione di enti inutili e di auto blu; Prodi nella finanziaria 2008 allegò un elenco di enti da sopprimere entro il 30 giugno 2008. Berlusconi, più drastico, disse che avrebbe soppresso tutti gli enti con meno di 50 dipendenti e spostò il termine al 20 novembre. Risultato: nessun taglio, anzi dell'elenco di Prodi furono salvati tutti meno la fondazione del Vittoriale. Tutto è rimandato al 31 marzo 2009; anche a marzo non accadde niente però, tutto prorogato al 30 giugno 2009 quando non è accaduto niente, tutti lo sapete. Questa è la storia vera delle chiacchiere a vuoto di questo Governo.
Altro aspetto della manovra: blocco dei contratti del pubblico impiego e del turnover, mano pesante sui precari con tagli del 50 per cento, blocco degli automatismi nella scuola, riduzione del personale nella sanità, questo intervento sul pubblico impiego cifra, per il biennio 2008-2009, per quanto attiene alle spese dell'articolo 9, a 3 miliardi 336 milioni. Solo tagli, nessuna riqualificazione. Lo stipendio base viene tagliato come l'indennità di risultato, qual è lo stimolo all'efficienza? Le pubbliche amministrazioni, che sono un problema da risolvere, vengono bloccate per tre anni.
Ci saremmo aspettati l'accorpamento dell'INPS con l'INPDAP, che ci avrebbe fatto risparmiare 3 miliardi e mezzo di euro in dieci anni, la riunificazione degli enti previdenziali, l'abolizione di metà delle province, la riorganizzazione degli uffici periferici dello Stato, la riorganizzazione delle carriere della Difesa dopo l'abolizione della leva volontaria, la riorganizzazione delle cinque polizie e, invece, niente in questo decreto, niente nei cinque anni che ha governato Berlusconi, dal 2001 al 2006, e niente in questi due anni che sta governando.
Un'osservazione sulla sicurezza: c'è voluta la protesta degli agenti delle cinque polizie per far cambiare idea al Governo; sono stati aggiunti 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011-2012 per assicurare l'adeguamento retributivo e gli automatismi stipendiali degli addetti alla sicurezza e all'ordine pubblico.
L'articolo 9, comma 1, e l'articolo 8, comma 11-bis, vanno però interpretati con un ordine del giorno che noi dell'Unione di Centro ci accingiamo a presentare in Aula. Nella norma, infatti, non sono indicati né i beneficiari, né gli istituti giuridici ed economici interessati agli adeguamenti.
Sicuramente sono da escludere, dal tetto delle retribuzioni complessive, i compensi accessori relativi ai trasferimenti, le missioni, la presenza qualificata, il lavoro straordinario, l'assegno funzionale e l'indennità pensionabile; tutte cose a cui tengono le forze della sicurezza, le Forze armate e le forze di polizia.
Il centrodestra andò al voto nel 2008 dicendo: più sicurezza, più fondi per la sicurezza. Sleali anche qui! Risultano, per il 2008, 18 milioni di debiti per la gestione e manutenzione degli automezzi della polizia. A Roma, dall'inizio del 2010, sono fermi 250 mezzi e, a Napoli, altrettanti, perché privi di manutenzione.
Il prefetto Giovanna Iurato, responsabile della manutenzione del Ministero dell'interno, si è raccomandata, con una circolare, di spendere i soldi solo per il carburante e di non sprecarli per le manutenzioni, perché non ve ne sono.
Non parliamo, poi, delle carceri e delle promesse del Ministro Alfano, il quale aveva promesso, per le forze dell'ordine e Pag. 60per le carceri, un miliardo di euro ciascuno derivanti dalla vendita del patrimonio sequestrato alle mafie. Ancora non si è visto niente e le carceri scoppiano.
Due parole sulla più grande riforma delle pensioni - parole del Ministro Tremonti - che sia mai stata fatta in Europa. Prima osservazione: in verità la riforma l'ha fatta Dini, e non questo decreto che la sta solo completando, applicando i coefficienti di trasformazione per legare il periodo contributivo alle attese di vita. Vi è un problema di rilievo costituzionale da far presente: il diritto alla pensione per il raggiungimento di quarant'anni di servizio è prorogato di un anno ai fini del conseguimento. Non si capisce perché questa discriminazione. Questa platea di pensionati è l'unica a dover lavorare un anno in più senza alcun riconoscimento contributivo. Ciò è un'ingiustizia da rivedere.
Seconda critica: dalla riforma delle pensioni si ha un risparmio di 360 milioni di euro nel 2011 e un miliardo 200 milioni di euro nel 2012 e a seguire. Tale economia dovrebbe essere tutta destinata al finanziamento della spesa per le politiche sociali e familiari, con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. In realtà i fondi per tale finalità sono molto meno: 120 milioni di euro per il 2010, 242 milioni di euro per il 2011, 252 milioni di euro per il 2012 e 392 milioni di euro per il 2013, e così di seguito. Lo Stato non può fare cassa sulla previdenza senza dare nulla al sostegno previdenziale e contributivo di precari, giovani e donne disoccupate.
L'ultimo rilievo è alla lotta all'evasione fiscale. Il Governo, con una valutazione più che ottimistica, mira ad una maggiore entrata di 13 miliardi 600 milioni di euro nel biennio 2011-2012, di cui 6,8 miliardi di euro nel 2011, salvo altre entrate minori. Meglio tardi che mai, perché non è stato fatto prima? L'ISTAT stima in 320 miliardi di euro la base imponibile evasa, che è solo una parte del sommerso.
Il pagamento delle tasse di tutti gli italiani darebbe dai 90 ai 100 miliardi di euro di maggiori entrate, con una riduzione del disavanzo di circa 6-7 punti. Il Ministro Tremonti è uno dei migliori tributaristi d'Italia. Finora ha fatto alzare la pressione fiscale perché banche, assicurazioni, grandi imprese ed evasori eludessero o evadessero le tasse.
Tremonti nel 2009, sui redditi del 2008, ha dichiarato di pagare lui stesso le imposte su di un imponibile di soli 39.672 euro. Prima di questa dichiarazione aveva guadagnato, però, 4 milioni e mezzo. Tremonti è il seicentoventinovesimo reddito più basso della Camera dei deputati. Davvero un poveraccio!
Non dubitiamo sui redditi deducibili e sui crediti d'imposta che formano il suo reddito, così come non dubitiamo di tanti altri che denunciano al fisco meno ancora, pur avendo un tenore di vita invidiabile. Per limiti di tempo non parlerò della povertà che aumenta in Italia, della disoccupazione giovanile al 26,8 per cento a gennaio 2010, dei 2 milioni 144 mila italiani in cerca di occupazione perché è un dato reale che merita risposte più che comprensibili da parte della politica. Non parlerò di quello che non vi è in questa manovra e che vi sarebbe dovuto essere. Non parlo delle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali né, quindi, delle riforme non fatte in materia di apertura dei mercati. Non parlerò del Mezzogiorno perché di questo parla l'analisi del rapporto Svimez della settimana scorsa. È un rapporto disastroso. Non mi soffermo neanche sulla scuola e sui 247 milioni cancellati per la scuola paritaria, così come non parlerò dello scandalo delle quote latte dove vengono premiati coloro che non hanno rispettato la legge a spese della collettività. Su questo punto vi sarà una pregiudiziale di costituzionalità che noi dell'Unione di Centro abbiamo presentato e discuteremo domani.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AMEDEO CICCANTI. Concludo con un'invocazione di fiducia di un poeta libanese e a me molto caro...

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Carneade!

Pag. 61

AMEDEO CICCANTI. No, questo è il tuo! Si tratta del poeta libanese Gibran.
Signor Presidente, lei che è un uomo di grande cultura, mi consenta di concludere il mio intervento con questa citazione: «Preferisco essere un sognatore fra i più umili, immaginando quel che avverrà, piuttosto che essere un signore fra coloro che non hanno sogni e desideri» (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meta. Ne ha facoltà.

MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, non nascondo una certa dose di sconforto e questa dose di sconforto riguarda il clima con il quale affrontiamo questa discussione in Parlamento sulla manovra economica. Vi è sconforto ma anche un po' di imbarazzo, perché non vi è cosa più fastidiosa ed imbarazzante di giocare una partita dall'esito già previsto, una partita dal risultato purtroppo già scontato perché questo risultato è stato deciso a tavolino. Come non indignarsi, quindi, per un confronto che non vi è mai stato neanche al Senato, perché confinato a semplice duello verbale tra maggioranza e opposizione?
Nel merito delle questioni, il ruolo dell'opposizione è stato ancora una volta svilito. Voi ci vorreste ridurre soltanto ad un semplice rumore di fondo, ma alla fine non ci riuscirete. La decisione del Governo di porre la questione di fiducia e di porla su una manovra da 25 miliardi di euro in entrambi i rami del Parlamento ha privato la nostra democrazia di un'ennesima occasione per dimostrare che in fondo sulle scelte strategiche del Paese e sulle scelte strategiche per il Paese e per i cittadini, così come hanno fatto i Governi più responsabili e lungimiranti, si possono anche abbandonare le partigianerie e pensare, al di là dei colori che ciascuno di noi rappresenta, al solo bene dei cittadini.
Ciò in Italia non è avvenuto e a nostro giudizio rimane gravissima l'impostazione che il Governo Berlusconi ha dato e, nostro malgrado, continuerà a dare alle politiche economiche e di sviluppo di questo Paese. Il nostro lavoro di opposizione, però, non si ferma alla semplice testimonianza.
Infatti, seppur condizionati dalla blindatura di un testo approvato senza modifiche in Commissione bilancio, utilizzeremo tutte le sedi opportune per spiegare agli italiani che non è giusto ed onesto chiedere sacrifici ai ceti medi, ai lavoratori dipendenti, ai pensionati, alle categorie svantaggiate, ai pendolari e ai giovani, se non lo si fa prima di tutto con i poteri forti, le lobby, le rendite e con tutti coloro i quali dichiarano al fisco di essere poveri per poi scoprire che sono proprietari di barche immatricolate nei cosiddetti paradisi fiscali o di ingenti capitali all'estero.
Vedete, cari colleghi, alcuni autorevoli commentatori ci hanno spiegato che in questi giorni è molto più pericoloso per l'unità della nazione e l'integrità dello Stato assecondare l'atteggiamento di tanti evasori italiani, invece che le pulsioni estreme e federaliste di alcuni leghisti. Crediamo sia vero, e aggiungiamo che, se non si promuovono iniziative per provare a recuperare parte dei 200 miliardi di euro evasi negli ultimi due anni al fisco, ci troveremo di nuovo in queste Aule a discutere di ulteriori sacrifici da chiedere ai lavoratori.
Stiamo parlando di un aspetto non secondario per le casse dello Stato e per il bene della nazione. Pensate: la manovra di cui stiamo discutendo, se fosse vero il dato economico dell'evasione, rappresenta appena il 5 per cento dei 200 ed oltre miliardi di euro evasi ogni anno. Come si fa, quindi, a considerare tale aspetto marginale e affrontarlo senza coraggio con la conseguenza di favorire quella cultura dell'antistato nei ceti ricchi e abbienti del Paese? Invito la maggioranza a porsi questa questione.
Sottolineiamo che non c'è niente di più pericoloso, inoltre, per la tenuta delle istituzioni e per il bene collettivo dell'evasione dal fisco e dalle proprie responsabilità verso lo Stato. È indispensabile tutelare i diritti costituzionali delle fasce più deboli. Altra cosa poi sono gli sprechi che Pag. 62si annidano nella pubblica amministrazione e nella galassia degli enti locali e degli enti cosiddetti inutili.
Una sana operazione di razionalizzazione della spesa pubblica non può diventare, però, il grimaldello per mettere con le spalle al muro i governatori, le province e i sindaci che sono il livello di prossimità maggiore della cosa pubblica verso i cittadini. Ecco, questo rappresenta uno dei nervi scoperti di questa manovra dall'esito scontato, perché condizionato dalla fiducia che verrà chiesta dal Governo.
Il Ministro Tremonti chiede che i presidenti delle regioni e il sistema delle autonomie locali si facciano carico di poco più di 8 miliardi di euro, un terzo della manovra complessiva. Si tratta di una manovra fatta di tagli ai servizi, ai trasporti pubblici locali e alle prestazioni. Tutto questo avviene senza avere la minima considerazione (alla faccia del federalismo!) del parere contrario dato per l'appunto dalle regioni, dai comuni e dalle province espresso la settimana scorsa in Conferenza unificata.
Tutto questo accade con una certa ed insopportabile aria di sufficienza del Governo che, per bocca del Ministro Fitto, ha commentato che nessuno si aspettava colpi di scena, e direi che davvero questa detta dal Ministro Fitto non è una notizia. Qui nessuno ha intenzione di recitare commedie, caro Ministro Fitto, o di preparare colpi di scena.
Quello che hanno chiesto le regioni e le autonomie locali è di sapere come e perché devono spiegare ai pendolari che i disservizi e i disagi attuali non avranno risposte, ma anzi peggioreranno, come sappiamo, perché le giovani famiglie dovranno pagare il doppio per l'asilo nido dei figli, perché per i dipendenti statali lo stipendio rimarrà bloccato per tre anni con il costo della vita che però aumenta, perché i pedaggi sulle autostrade aumentano per consentire all'ANAS di impegnarsi a costruire l'utilissimo ponte sullo stretto di Messina e tanti altri perché.
Potrei continuare a lungo con i perché. Non è possibile fuggire dai problemi o negarli, come ha fatto più volte, ad esempio, il Ministro Tremonti, sostenendo che non ci saranno tagli per il trasporto pubblico locale, smentito invece immediatamente dei presidenti Errani, Formigoni e così via. Siamo convinti che il Governo stia perdendo tempo prezioso e che si stiano sottovalutando alcune questioni legate al sistema produttivo e alla sfida dell'innovazione.
Sono tante le criticità, dalla FIAT che decide, senza alcun tipo di interdizione dell'Esecutivo, se non poche e generiche parole del Premier, di delocalizzare la produzione in Serbia agendo indisturbata dopo aver fatto digerire ai lavoratori di Pomigliano un accordo contrattuale neanche troppo condiviso. Così come si stanno sottovalutando le conseguenze del piano industriale di Telecom che prevede 7 mila esuberi con lettere di licenziamento partite già in questo mese in cui vi è stata una tardiva, anche se utile, convocazione da parte del Governo di un tavolo con le parti sociali.
Cito questi due esempi drammatici e, allo stesso tempo, altamente simbolici per dare un'idea della spaventosa situazione di abbandono in cui versa il sistema produttivo italiano. Ciò è il frutto anche e soprattutto di scelte non fatte e di quella incapacità di dare risposte concrete ai bisogni del Paese in termini di rilancio dell'economia, riconversione industriale e investimenti di innovazione economica. Si tratta di sfide all'altezza del sistema Paese che ha le energie per uscire dalla crisi economica meglio di come stava prima. Ma il Governo Berlusconi in questi mesi ha girato la testa dall'altra parte.
Non ci stancheremo mai di chiedere perché non si sono sbloccati fin da ora quegli 800 milioni di euro di investimenti per la banda larga congelati lo scorso anno dal CIPE. Perché si è lasciata al palo la più importante azienda di telecomunicazioni del Paese, con la conseguenza - come detto poc'anzi - che 3 mila persone, ferma restando la trattativa tra azienda e sindacati, rischiano di perdere il lavoro già nei prossimi mesi? Com'è possibile che un Governo che predica la religione del fare si privi di Pag. 63un Ministro a tempo pieno allo sviluppo economico che possa affrontare seriamente tutti i dossier irrisolti in questi mesi?
Cari colleghi, dopo la sollecitazione del Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio ha finalmente annunciato, la settimana scorsa, che rinuncerà all'ingombrante incarico ad interim allo sviluppo economico perché in conflitto di interessi. Una delle questioni principali che dovrà affrontare il neo Ministro sarà quella relativa ad una rivoluzione digitale compiuta.
Del resto, la stessa amministrazione americana, quella di Obama, sta lavorando ad un piano nazionale per la banda larga da realizzare entro il 2020 con un investimento pubblico di circa 25 miliardi di dollari, mentre da noi si perde tempo a convocare tavoli sullo sviluppo di reti di nuova generazione. Questo è, purtroppo, un ritardo insopportabile per la nostra economia e per le aziende se consideriamo innanzitutto che, secondo gli studi dell'OCSE, il PIL può aumentare di un punto e mezzo solo grazie agli investimenti in banda larga.
Ma c'è anche un'altra questione sul tavolo e riguarda la richiesta fatta dal nostro partito, il Partito Democratico, di mettere a gara le frequenze liberate nel passaggio dall'analogico alla nuova modalità trasmissiva digitale. Per ragioni di trasparenza e anche per motivi di convenienza per le casse dello Stato, questo è ciò che bisogna fare. Le risorse che potrebbero ricavarsi da questa operazione, infatti, sarebbero di circa 3 miliardi di euro, ovvero pari all'entità dei finanziamenti non erogati alle regioni per garantire i servizi di trasporto pubblico locale.
Come si vede, non stiamo facendo demagogia né tanto meno sterile critica. Stiamo facendo, al contrario, il nostro dovere che è quello di mettere in guardia il Governo e questa maggioranza parlamentare sui disastri che potrebbe comportare la manovra finanziaria che stanno per varare.
Ciò che proponiamo è buonsenso e ragionevolezza. Fermi restando i saldi invariati, è possibile, infatti, reperire risorse per rendere più equa questa manovra. Quindi, perché non farlo? Perché non diamo una iniezione di equità a questa manovra? Perché non si decide di mettere all'asta le frequenze inutilizzate dopo il passaggio al digitale? Perché non utilizzare le risorse che eventualmente deriveranno dall'asta per scongiurare davvero il taglio al trasporto pubblico locale? Perché non chiedere ai petrolieri un sacrificio aggiuntivo attraverso un'addizionale sulla Robin tax per acquistare i mille treni per i pendolari e scongiurare il quotidiano calvario di 13 milioni di italiani alle prese con servizi di trasporto pubblico poco efficienti e vicini al collasso?
In quest'Aula alcune settimane fa, dopo un iniziale accordo tra maggioranza, opposizione e Governo, è stato bocciata la nostra proposta di legge che, attraverso un fondo di 300 milioni di euro all'anno finanziato dai petrolieri, avrebbe consentito il rinnovo del materiale rotabile ferroviario per i servizi regionali. Si tratta di una proposta che introduceva semplicemente una tassa di scopo o un'«equotassa» a carico dei petrolieri e che rispondeva alle esigenze dei pendolari e anche dell'industria, onorando gli impegni del pacchetto clima dell'Unione europea oltre ad introdurre una misura - lo ripeto - di sviluppo e di investimento che poteva dare ossigeno all'industria ferroviaria del nostro Paese.
È bastato cedere alle pressioni delle lobby e, come d'incanto, la vostra attenzione sulla proposta di legge sul trasporto pubblico locale è svanita e siamo rimasti soli come opposizione a difendere una giusta proposta, non abbandonata affatto. Per quanto ci riguarda, io ritengo che la riproporremo.
Il via libera unanime di due settimane fa alla Camera sulla mozione, invece, per il sostegno al rilancio del trasporto ferroviario è stata una buona notizia perché, una volta tanto, siamo riusciti a discutere sulla necessità di riequilibrare il sistema dei trasporti del Paese in favore del ferro. Il rilancio della «cura del ferro» può, infatti, rispondere ai disagi e ai disservizi che riguardano milioni di pendolari e che interessano anche il trasporto delle merci che per il 90 per cento ancora purtroppo viaggia su gomma nel nostro Paese. Pag. 64
Il nostro auspicio e la nostra speranza - lo ribadiamo - è che l'impegno richiesto al Governo sulle politiche per il trasporto ferroviario non rimanga lettera morta e che si colga l'occasione, nonostante questa manovra sbagliata, che colpisce con la scure il diritto alla mobilità degli italiani, per dare risposta agli allarmi sui tagli previsti al trasporto pubblico locale lanciati con forza dai governatori.
Secondo i dati resi dall'Asstra, infatti, si stima che nelle prossime settimane il taglio al trasporto pubblico locale si aggirerà tra il 10 e il 20 per cento, ovvero vi sarà una diminuzione dei servizi per circa 700 mila pendolari al giorno. Parliamo di tagli che determineranno una riduzione del servizio e che gli operatori del settore saranno costretti a tamponare purtroppo con un incremento di tariffe o con licenziamenti: ulteriori danni per il sistema occupazionale e per l'Italia.
Così come è stata licenziata al Senato, quindi, questa manovra economica condanna senza appello i pendolari del trasporto pubblico locale ai disservizi, ai disagi e al ricorso al mezzo di trasporto privato che è più inquinante, più insicuro del treno e del trasporto collettivo in generale.
Nel nostro Paese, che è ad altissima densità di utilizzo del mezzo privato, sono 45 milioni le automobili circolanti lungo la penisola. Quarantacinque milioni di automobili contribuiscono ad aumentare le emissioni atmosferiche e a compromettere la qualità dell'ambiente soprattutto nelle aree metropolitane.
Inoltre, questo rende difficile, nonostante le recenti modifiche al codice della strada, la lotta alla piaga dei 6 mila morti all'anno sulle strade e ai costi sociali ed economici che sopporta il nostro Paese, che equivalgono a circa l'1,5 per cento del PIL (circa 20 miliardi di euro). Si tratta di una piaga che è stretta a doppio filo con lo sbilanciamento eccessivo verso il mezzo privato, in particolare l'automobile; ciò avviene in tutta Italia e dobbiamo invertirlo.
Questa manovra finge di non vedere tutto questo. Il Parlamento sta discutendo misure di intervento che ignorano completamente pezzi del Paese reale. In altre realtà, invece, si stanno muovendo verso la direzione indicata nel vademecum anticrisi elaborato dall'ONU, che ritiene strategico il settore dei trasporti sostenibili per rilanciare una rivoluzione verde a livello mondiale. Si tratta di una rivoluzione che, oltre ai benefici ambientali può avere effetti immediati sull'occupazione favorendo la nascita di 4 posti di lavoro indiretti ogni assunto in maniera diretta in questo settore.
Qui da noi, invece, si continuano a finanziare chilometri di asfalto, a programmare opere faraoniche o a costringere i cittadini ad utilizzare l'automobile, pensando magari di realizzare qualche entrata extra aumentando discrezionalmente i pedaggi sulle autostrade o prevedendone perfino di nuovi, come sul grande raccordo anulare di Roma, sull'autostrada Roma-Fiumicino, sulla Salerno-Reggio Calabria, senza considerare però che - come leggo in queste ore - la governatrice del Lazio, la neoeletta Polverini, rilancia la Pontina senza pedaggio.
Siamo sicuri che con quei soldi non si possa fare meglio, e mi riferisco al trasporto pubblico? No, cari colleghi, non ci stiamo! Così come abbiamo gridato che è una follia che l'aumento dei pedaggi sulle autostrade entri in vigore dal 1o luglio, in coincidenza con l'esodo estivo, alziamo la voce contro la presunzione di mettere le mani in tasca a chi non ha alternativa all'utilizzo dell'auto per finanziare la costruzione del Ponte sullo Stretto o di altre opere che da sole potrebbero sanare l'intero comparto del trasporto pubblico nel nostro Paese.
Risposte non ne abbiamo avute! Qualcuno dice che non si può rivedere il contratto di servizio con la società Autostrade per stabilire margini di profitto minori per un monopolista assoluto. Peccato, perché si sarebbe potuto evitare di scaricare sui pendolari, in particolar modo quelli delle aree metropolitane, l'aumento delle tariffe.
Nessuno ci ha ancora spiegato perché, nonostante i bilanci dell'ANAS siano stati Pag. 65chiusi in positivo, distribuendo cinque milioni di euro al Tesoro, sia stato necessario, ripeto, aumentare già dal 1o luglio i pedaggi. In Commissione trasporti abbiamo votato contro questa manovra e crediamo che, proprio in conseguenza di quanto detto, non si possano trattare con sufficienza i temi e le proposte che abbiamo avanzato.
Quello che non possiamo spiegare ai cittadini, credo, è questa politica dei due pesi e delle due misure: chiediamo sacrifici doppi ai pendolari, come cittadini e come utenti dei servizi pubblici, e li costringiamo a sopportare l'aumento delle tariffe autostradali e aeroportuali fino a tre euro, mentre determinate categorie, lo ripeto, e i poteri forti devono essere lasciati in pace.
Il Ministro Tremonti, alcuni giorni fa, ha chiesto ai presidenti delle regioni di scendere dai grattacieli per discutere con il Governo della manovra. Noi crediamo, invece, che sia l'ora che il Premier e il Ministro dell'economia e delle finanze scendano dalle auto blu e, magari accompagnati dal Ministro Brunetta, si facciano un giro sui mezzi di trasporto pubblico del Paese.
Non è retorica, cari colleghi, ma è un invito a toccare con mano e a sentire la pancia di un'Italia che merita più rispetto e scelte responsabili, che la buona politica avrebbe il dovere di fare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, una premessa è d'obbligo: abbiamo condiviso fin dall'inizio almeno l'intenzione sulla carta del Ministro Tremonti di blindare i conti pubblici. Era importante e necessario farlo in un momento di crisi, come quello che stiamo vivendo, e diamo atto al Ministro Tremonti di essersene assunto gli oneri e gli onori.
Rinnegheremmo la nostra natura, la natura del nostro partito, l'UdC, se non riconoscessimo, con responsabilità, l'importanza di tale scelta in questo momento e non dessimo atto anche alla maggioranza di averla fatta. Ma il problema non è questo; il problema di questa manovra è un altro, ahimè. È sufficiente, in questo momento, una finanziaria ragionieristica, che mette i conti a posto e che piace alla tecnocrazia europea, perché, almeno sulla carta, taglia la spesa?
La tecnocrazia europea non si chiede quale spesa tagli. Questa manovra piace sicuramente ai salotti dell'Aspen Institute o ai circoli di Ambrosetti, ma una finanziaria che va bene ai salotti buoni dell'economia, ci chiediamo, va bene anche per i cittadini italiani?
Ancora, mettere in salvo i conti pubblici, che di per sé è una cosa giusta, è un fine, come lo interpreta il Ministro Tremonti, oppure è un mezzo indispensabile per rilanciare l'economia, e quindi va accompagnata da scelte di vere politiche economiche?
La messa in salvo dei conti pubblici è, quindi, un fine o un mezzo? Noi crediamo che sia un mezzo e crediamo che questa finanziaria ragionieristica e tecnocrate di Tremonti manchi proprio di questo, delle scelte della politica; in particolare, manca del coraggio della politica. La debolezza di questa manovra si capisce sia dalle cose che vi sono sia da quelle che mancano.
Ci sono i tagli alla spesa pubblica, ma sono tagli lineari, non selettivi, come imporrebbe una scelta politica su ciò che si vuole continuare a fare e su ciò che invece non si vuole più fare. Questa manovra finanziaria continua a premiare i «furbetti» delle quote latte e dall'altra parte taglia i fondi alla scuola paritaria e i servizi ai cittadini. Questi sono i frutti dei tagli lineari.
Per ridurre la spesa pubblica bisogna ridurre i centri di spesa. Noi stiamo illudendo il Paese che il federalismo sia la panacea di tutti i mali. Il federalismo, se fatto bene, rischia di essere una buona operazione, - se fatto bene, non come il federalismo che sta realizzando il Governo -, ma non risolve i problemi della spesa pubblica. Il problema della spesa pubblica in Italia dipende dal fatto che vi sono troppi centri di spesa, ovvero sono in troppi a spendere. Mi chiedo come sia Pag. 66possibile qualificare la spesa pubblica con oltre ottomila comuni, di cui duemila oltre sotto i mille abitanti (uno addirittura ne ha 39) o con oltre cento province? C'è qualcuno che crede che un comune di 39 abitanti possa spendere bene e possa essere efficiente nell'erogazione dei servizi?
La riduzione del numero dei parlamentari, l'abolizione delle province, la riorganizzazione dei comuni rappresentano l'unico vera soluzione per ridurre la spesa. Ma per realizzare ciò, colleghi, ci vuole coraggio, quel coraggio che a questa maggioranza manca. Cosa si fa allora? Si preferiscono gli inutili e iniqui tagli lineari.
Ci sono i tagli, ma a chi sono rivolti? Riguardano le regioni e i comuni, sapendo - senza dirlo - che fare quei tagli equivale ad un aumento di costi per i cittadini. I costi infatti per i cittadini si possono aumentare in due modi: o aumentando le tasse o diminuendo i servizi. Noi siamo contrari a entrambi i metodi, ma rileviamo però una cosa: l'aumento delle tasse può essere anche equo, ma il taglio dei servizi non è mai equo, perché colpisce le fasce più deboli, che hanno bisogno di quei servizi (i bambini, le famiglie, gli anziani, i redditi bassi, i disoccupati) e che in questo Paese fanno più fatica proprio nel momento della crisi.
Avevamo proposto delle soluzioni, si potevano aumentare le tasse e lo si poteva fare in maniera equa. Voi non lo avete voluto fare. Questo era il momento di aumentare le tasse sulle rendite di capitale. Era questo il momento di farlo. Occorreva tassare gli speculatori finanziari e destinare quei soldi alle regioni, che invece così sono costrette a ridurre i servizi.
Ha ragione l'onorevole Malfa, quando dice una cosa lapalissiana: se il Ministro sapeva e il Governo era a conoscenza di uno spreco dei conti pubblici delle regioni e dei comuni, pari a 12 miliardi, ma allora, scusate, perché quella manovra non è stata fatta nel 2008, o addirittura il Ministro Tremonti non l'ha proposta nel 2001, nel 2002, nel 2003? Sarebbe un peccato grave, se così fosse. La verità è che quello spreco c'è, ma forse solo in parte; gran parte invece di quel taglio andrà proprio a riduzione dei servizi.
Per affrontare seriamente i problemi irrisolti della crescita del Paese occorreva il coraggio della politica, ovvero di una classe dirigente capace di guardare oltre la prossima scadenza elettorale, nella consapevolezza che il momento delle scelte è arrivato. Se non ora, quando operare quelle scelte strutturali di politica economica?
Una vicenda in questi giorni la dice lunga sulla competitività di questo Paese. Alcuni giorni fa, discutevamo della chiusura di uno stabilimento della FIAT a Termini Imerese e molti di noi hanno provato ad archiviare quel problema, come dovuto a una mancanza di competitività del sud. Oggi, però, il problema è di FIAT Mirafiori e vi ricordo che Mirafiori è in Piemonte. A qualcuno non viene in mente che il problema della crescita non è nel sud del Paese ma riguarda tutta l'Italia? A fronte di ciò, qual è la risposta di questa manovra? Ve lo dico io: la risposta non c'è. La manovra non affronta uno dei temi principali del nostro Paese, quello della crescita, o meglio della mancanza di crescita. Lo stabilimento Mirafiori non va in Cina.
Il Ministro Tremonti tempo fa scrisse un libro anche interessante nel quale identificava il nostro peggior nemico nella Cina: oggi, almeno su questo caso, il Ministro Tremonti non ha avuto ragione perché la produzione non si sposta in un Paese che è venti volte più grande di noi, si sposta invece in un Paese che ha dieci milioni di abitanti, che è un sesto del nostro Paese e che però ha un cuneo fiscale molto minore del nostro e dà un'agevolazione fiscale alle aziende che vi si insediano consistente nel non pagare le tasse per dieci anni. Pensate che sia una cosa irrisoria? Pensate che sia solo un caso della FIAT di Mirafiori o che riguardi tantissimi piccoli e piccolissimi imprenditori anche della mia regione, l'Emilia-Romagna, che ogni giorno nel silenzio della politica si spostano verso quei Paesi? Pag. 67Non era questo allora il momento di dare una risposta a questo deficit di crescita?
Quanto al problema del debito pubblico, ad ogni convegno cui andiamo ogni volta solleviamo il problema del debito pubblico. Mi chiedo: qual è la risposta che stiamo dando con questa manovra al problema del debito pubblico? Non possiamo continuare a fare manovre che guardano all'oggi, bisogna che prima o poi ci poniamo il problema dei nostri figli.
In questi giorni leggevo uno scritto sconosciuto di Keynes che si intitola: Possibilità economiche per i nostri nipoti. È una lezione che tenne ai suoi studenti di Cambridge nel 1928 pubblicato poi solo due anni dopo, nel 1930; è un testo poco conosciuto perché, come spesso capita agli economisti, le previsioni di questo suo scritto e di questa sua lezione non si sono poi realizzate. Lui però intanto aveva capito anche durante lo scritto che queste sue previsioni probabilmente non si sarebbero realizzate, tant'è vero che ad un certo punto durante la sua lezione cita Newton che aveva perso allora 20 mila sterline in borsa e Newton stesso diceva: io sono in grado di prevedere il moto dei corpi celesti, ma non sono in grado di prevedere la follia degli uomini (e probabilmente queste previsioni non si sono verificate anche a causa delle follie degli uomini).
Però Keynes si poneva il problema non dei figli, ma dei propri nipoti: noi qui non ci poniamo il problema del domani, è questo che manca a questa manovra finanziaria! Quando ignoriamo completamente il problema del debito pubblico, significa che ignoriamo il patto generazionale, ignoriamo i nostri figli, non gli diamo la possibilità di avere quegli ammortizzatori sociali che noi abbiamo avuto, perché non abbiamo il coraggio di compiere le scelte. Non abbiamo il coraggio di fare le riforme perché le riforme fanno perdere consenso, non lo fanno guadagnare nel breve periodo, anche se realizzano le cose utili per il Paese.
Mi domando: ma qualcuno si è chiesto che indirizzo ha questa manovra finanziaria? Mi sarei aspettato da questo Governo una finanziaria liberista, cioè una finanziaria per il mercato, una finanziaria di liberalizzazioni. Ho cercato le liberalizzazioni in questo provvedimento ma non vi è neppure un riferimento alle liberalizzazioni. Liberalizzare significa preparare quelle aziende pubbliche, che oggi sono dei monopoli pubblici, ad essere cedute sul mercato, perché oggi quelle aziende non possono essere cedute, altrimenti trasferiremmo dei monopoli dal pubblico ai privati. Dobbiamo invece fare prima una grande liberalizzazione dei servizi pubblici locali e poi procedere alle dismissioni e da quelle dismissioni recuperare le risorse da portare in detrazione del debito pubblico. Ma qui non vi è questa visione, non si liberalizzano neanche gli altri settori, quelli che sappiamo che sono inquinati da oligopoli o da monopoli (le libere professioni da una parte, le farmacie dall'altra, le banche, tutte cose messe nel cassetto e dimenticate).
Allora mi sono detto: non sarà una finanziaria, una manovra liberista, sarà perlomeno una manovra sociale, di economia sociale. Hanno cambiato idea e puntano su un'altra roba. Ma cosa ha di economia sociale questa manovra? Vi è qualcuno che vi ritrova un po' di Keynes? Non vi è Adam Smith, né vi è Keynes in questa manovra. Vi sono forse aiuti di Stato per le classi più deboli? No, abbiamo detto che si taglia proprio lì, che saranno le famiglie italiane a pagare di più il debito: lo pagheranno con minori servizi, avranno cioè una nuova tassa, quella che comporta appunto minori servizi.
Le famiglie stanno in realtà già pagando una tassa occulta. Andatevi a leggere un bell'articolo di Gotti Tedeschi su uno degli ultimi numeri de L'Osservatore Romano: egli afferma giustamente che la tassa che stanno pagando gli italiani, che sono stati virtuosi nel momento in cui hanno accumulato risparmio negli anni precedenti, e lo conservano, lo stanno utilizzando solo in parte in questa crisi, sta nel fatto che il tasso di interesse per quell'accumulo di capitale che loro hanno compiuto, che sta alla base del nostro sistema capitalistico, oggi non c'è. Vuol Pag. 68dire che la loro virtuosità oggi è azzerata, e non godono di alcun beneficio in termini di tasso sul capitale che hanno negli anni messo da parte; e se non hanno un tasso di interesse, perché quel tasso di interesse copre a malapena l'inflazione, vuole dire che essi stanno pagando con una tassa occulta la ripresa di questo Paese, perché quel capitale è l'unica cosa che oggi abbiamo di forza del nostro Paese per poterci reinserire nella ripresa.
Pagano allora con la tassa occulta sul mancato tasso di interesse sul proprio risparmio, pagano sulla mancanza di servizi. Mi sono detto allora: non è una manovra che si ispira al sistema keynesiano, al sistema sociale; farà forse riferimento all'economia civile, punta fortemente sui corpi intermedi, sul terzo settore, sul volontariato. Non solo non ho trovato nulla in questo senso, non c'è una volta la parola «sussidiarietà», non c'è una volta la parola «famiglia», non c'è una volta «corpo intermedio», ma addirittura si tolgono soldi alle scuole paritarie, che sono l'unico esperimento in Italia di sussidiarietà orizzontale che ha davvero funzionato. Andiamo quindi addirittura contro quell'impostazione! La verità è che la manovra finanziaria in esame non ha un'anima: non ha un'anima propria, non riesce ad equilibrare il Paese perché è in assoluta mancanza di scelte. Si limita solo a mantenere senza coraggio lo status quo, a mantenere quello che è un mezzo e, lo ripeto, non è un fine.
La cosa davvero stramba è che una manovra senza coraggio venga approvata proprio dalla maggioranza più forte che abbiamo avuto negli ultimi vent'anni in questo Paese: una maggioranza con cento parlamentari in più. Allora forse quello che noi avevamo sostenuto all'inizio di questa legislatura, che questo bipolarismo «zoppo» non avrebbe prodotto dei risultati utili all'Italia, oggi è sotto gli occhi di tutti: questa maggioranza forte nei numeri, debole nei fatti, non è in grado di approvare una manovra utile al nostro Paese.
È su questo allora che dobbiamo riflettere. Diamo atto al Governo di aver fatto una manovra di tenuta dei conti pubblici, ma questo non basta, anzi è del tutto insufficiente davanti alle prospettive di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, Viceministro Vegas, onorevoli colleghi, non manco certo di lucidità o pragmatismo politico, ben consapevole della necessità di interventi mirati ed urgenti finalizzati al riequilibrio dei saldi della finanza pubblica nel nostro Paese.
L'ho espresso in sede consultiva, e dando riscontri ai cittadini che talvolta confusi chiedono di capirne di più. Ma accanto a questa presa di coscienza, che ci permette di cogliere quanto il nostro Esecutivo sia stato celere nella rimodulazione delle risorse, emerge più di una perplessità. Avviare un'opera di riequilibrio della finanza pubblica deve necessariamente coincidere con una manovra di tagli e riduzione delle spese, che richiederebbero per contro di sollevare criticità ancora più lampanti: di questo purtroppo i cittadini se ne renderanno conto, e se ne stanno rendendo conto. Non si rinviene nel complesso della manovra una riforma strutturale del sistema di collocazione delle risorse nell'ambito della gestione della pubblica amministrazione, e degli interventi e delle finalità a questa deputate. Tagliare i capitoli di spesa o procedere a razionalizzazioni che purtroppo non sembrano seguire un progetto preciso di natura strutturale, rischiano di legittimare una massimizzazione dell'inefficienza unita ad una grave ripercussione sui profili occupazionali.
Voglio in particolare condividere con voi le criticità in merito all'articolo 7 di questo provvedimento, recante soppressione e incorporazione di enti ed organismi pubblici. Sappiamo bene che le disposizioni vedono coinvolti enti previdenziali come l'IPSEMA, la cui ipotetica confluenza nell'INAIL comporta delle gravi ripercussioni in termini di specificità operativa e capacità procedurale nel settore. Pag. 69Voglio evidenziare che qualche settimana fa era in discussione alla Commissione Lavoro la proposta di legge istitutiva dell'Ente sociale italiano della navigazione (ESIN), il cui obiettivo era quello di avviare un percorso di razionalizzazione del settore marittimo. L'ESIN avrebbe raggruppato in un unico ente tutte le strutture e gli enti operanti nel settore, comportando in maniera unitaria e operativa una massimizzazione dei risultati, oltre che significativi risparmi, tutti aspetti che erano stati ben vagliati dagli uffici competenti e dalla Commissione in sede referente. Dalla nascita dell'ESIN è stato stimato che deriverebbe un risparmio per l'erario di circa 14 milioni di euro, ben distante dalla manciata di euro (500 mila) derivante dalla soppressione dell'IPSEMA e dalla creazione del megaente «carrozzone» INAIL.
Ritornando alla nostra argomentazione, la soppressione dell'IPSEMA per contro andrebbe a criticizzare l'intero comparto, creando problemi agli operatori del mare e ai circa 450 lavoratori del settore che stanno protestando ormai da due mesi contro questa scelta. A ciò si aggiunga che il nostro Paese dovrebbe ratificare entro il dicembre del 2010 la Convenzione ILO sul lavoro marittimo, un provvedimento importante che rappresenta il quarto pilastro del sistema normativo internazionale in materia di rapporto marittimo. Questo testo sancisce l'esigenza di usufruire di un ente specifico nel settore marittimo che risponda ai parametri dettati dalla Convenzione e che conosca perfettamente tutte le attività che ruotano intorno al mondo navale e marittimo.
Quindi il paradosso sta nel fatto che, da un lato, il Governo italiano sopprime l'ente marittimo, dall'altro, con la ratifica dell'accordo che riguarda tale Convenzione si dovrebbe ricostruire uno specifico ente dedicato alla sicurezza, alla prevenzione, e al welfare dei marittimi (cioè un ente uguale all'IPSEMA). Sono elementi che ci inducono a credere che l'ipotesi di rimodulazione amministrativa, così come individuata da questa manovra, necessiti di un'attenzione e di un'indagine maggiore. Anche perché, considerato il richiamo inevitabile al bypassare i principi che in origine avrebbero dovuto dettare l'azione di Governo (il principio della premialità e della razionalizzazione), in questa prospettiva, per cui bisogna inquadrare i tagli lineari del 10 per cento delle risorse stanziate dalle missioni dei Dicasteri, si è preferito vedere nell'immediato qualche numero in meno nel computo del bilancio, piuttosto che ragionare su progetti di razionalizzazione di medio periodo. Questo ha un valore ancora maggiore nei confronti di una platea precisa, quella dei nostri connazionali all'estero. Le istanze di queste comunità, le loro urgenze e le loro problematiche sono passate, anche in occasione di questa manovra anticrisi, in secondo piano. Voglio ricordare che i connazionali all'estero sono stati già penalizzati da significative riduzioni di risorse nei capitoli di spesa a loro destinati nel bilancio del Ministero degli affari esteri: parlo soprattutto dei settori della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo, e mi riferisco al campo dell'assistenza ai connazionali indigenti.
Promuovere il made in Italy, valorizzare la nostra immagine nel mondo, significa tutelare chi è il veicolo di tutto questo. Abbandonare la voce «italiani nel mondo» in un angolo dei nostri progetti di Paese, significa scagliare un colpo non solo alla nostra economia, ma anche e soprattutto alla percezione che hanno gli altri Paesi del nostro Paese. Ben consapevoli di questo limite così evidente e preoccupante, siamo chiamati noi tutti a farci portavoce di iniziative capaci di rettificare quanto fatto finora. In un provvedimento di così ampio respiro, in cui non sono mancate disposizioni (sebbene discutibili) recanti particolare attenzione a determinate categorie, come ad esempio i produttori di latte splafonatori delle quote sancite dalla UE, abbiamo visto una completa assenza della voce degli italiani nel mondo. Una meritevole considerazione è da svilupparsi in ragione dell'ipotesi di proroga al 2011 Pag. 70del riconoscimento delle detrazioni per carichi di famiglia per i lavoratori italiani residenti all'estero.
La proposta emendativa da me presentata, e sottoscritta da altri colleghi, estende, anche al 2011, il diritto, finora riconosciuto in maniera limitata fino al 2010, per circa 6 mila lavoratori italiani residenti all'estero, che hanno segnalato la presenza di carichi di famiglia, ad usufruire di detrazioni per i carichi di famiglia medesimi. Prorogare di un anno la possibilità per i nostri lavoratori all'estero, che lavorano per l'Italia e producono reddito assoggettabile all'IRPEF in Italia, di poter detrarre i carichi di famiglia dalle loro tasse, è un diritto inalienabile e costituzionale. Sinceramente, non riesco a comprendere perché, per quattro anni, il nostro Paese ha consentito a questi connazionali di poter detrarre i carichi di famiglia e, all'improvviso, senza una reale ragione, decide di tagliare fuori questo diritto. Molti nostri connazionali che lavorano all'estero vedrebbero in questo modo gravare sul loro budget, a volte già esiguo, anche l'onere di una mancata detrazione, riconosciuta a tutti coloro che, invece, sono residenti in Italia. Voglio ricordare, in quest'Aula, che il 16 dicembre del 2009 il Governo ha accolto, nell'ambito della legge finanziaria per il 2010, l'impegno ad estendere questo diritto, un impegno accolto anche nell'ambito dell'ultimo provvedimento cosiddetto milleproroghe e nell'ambito del provvedimento sugli incentivi discusso lo scorso maggio.
Sono consapevole della difficoltà di far fronte all'emergenza provocata dalla crisi economica globale con misure adeguate e razionali, ma sono convinto che le strade da intraprendere devono puntare altrove. Definire un provvedimento orientato a ridurre il disavanzo corrente attraverso soltanto tagli alle spese e aumento delle entrate, non conduce facilmente alla ripresa economica. Per favorire questo è necessario puntare sulla crescita e sullo sviluppo del Paese e di questo - ahimè - non se ne parla in questa manovra. Proprio in ragione di questo, pur apprezzando gli sforzi portati avanti dal Dicastero dell'economia e delle finanze e dal suo valido e tenace referente, il Ministro Tremonti, ritengo che, questa manovra, non sia da considerarsi la migliore espressione del risanamento che questo Governo poteva partorire. Abbiamo, però, ancora la possibilità di invertire la rotta sollecitando opportune riforme strutturali che consentano di dirottare maggiore risorse lì dove è necessario che vengano investite, avendo come linee guida i parametri di efficienza e di equità, con un occhio anche puntato sulle nostre comunità nel mondo che restano il motore del made in Italy e della nostra competitività sui mercati internazionali. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce dal resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Di Biagio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor viceministro Vegas, abbiamo, a questo punto, avuto modo di ascoltare una serie di interventi. Prima di me, signor Presidente, hanno parlato molti colleghi del mio gruppo facendo chiaramente riferimento a questo disegno di legge di conversione del decreto-legge che va sotto il nome di manovra economica e finanziaria. Ha parlato, questa mattina, l'onorevole Binetti, poi c'è stato l'intervento dell'onorevole Lusetti, in seguito degli onorevoli Ciccanti e Galletti. A me rimane il compito di fare una valutazione complessiva. È stato detto chiaramente che ci troviamo di fronte ad un provvedimento - lo diceva l'onorevole Galletti, nel suo intervento - senza nessuna anima. Nessuno di noi ha mai messo in discussione - e questo è stato anche il ragionamento dell'onorevole Ciccanti - l'opportunità di una manovra economico-finanziaria, ma le manovre economico-finanziarie possono essere ragionieristiche, possono, ovviamente, essere determinate da una salvaguardia di conteggio o da un contenimento, come si suol dire, della spesa e, invece, altre manovre Pag. 71possono avere una chiara proiezione che si intreccia al dinamismo dei dati e dei fattori economici e, quindi, puntare allo sviluppo.
Abbiamo ben compreso, rispetto alla discussione al Senato e poi alla non discussione alla Camera, che questo provvedimento viene un po' blindato - uso sempre un eufemismo anche per alleggerire l'atmosfera ed il clima, mio caro amico e collega -, anzi del tutto blindato, per dare soddisfazione ai colleghi, e non induce certamente ad una proiezione oltre il tempo immediato. Ma c'è un aspetto che è quello politico. Non c'è alcuna manovra economico-finanziaria credibile se non sostenuta dalla politica oppure dalla credibilità dei soggetti che debbono essere i protagonisti e gli artefici di questa manovra. Viviamo oggi una fase debole sul piano politico. Non sappiamo se questa è una manovra di Tremonti soltanto o di Tremonti-Bossi, con il Presidente del Consiglio dei ministri che ha preso le distanze o quantomeno non ha avuto contezza rispetto al procedimento che ha accompagnato e che ha formato questa manovra. C'è una debolezza nel quadro dell'area della maggioranza dove non sappiamo chi sono i protagonisti e i soggetti destinati certamente ad essere realizzatori di questa manovra o di questi provvedimenti che noi approviamo che sembrano essere deboli e inani rispetto a quelle che sono ovviamente le scelte e le sfide che oggi il presente pone alla nostra attenzione e soprattutto alla loro responsabilità.
Questa è la cosa che più ci preoccupa ed è stato detto da tutti i colleghi che mi hanno preceduto e particolarmente dai colleghi del mio gruppo. Se questi sono gli aspetti possiamo anche conteggiare quelli che sono anche i risultati raggiunti da questa manovra economica che si ferma soltanto a 24 miliardi e 900 milioni: è una manovra che si ferma a questo certamente senza alcuno spazio rispetto alle prospettive di questo nostro Paese. Ma poi c'è un altro dato: una manovra economica deve avere un filone anche per quanto riguarda lo sviluppo economico come se noi fermassimo tutte le spese, tutti i dati, tutti gli investimenti. Potrei anche fare chiaramente riferimento agli investimenti strutturali, agli investimenti per le infrastrutture per quanto riguarda il Mezzogiorno e non soltanto il Mezzogiorno. È stato fatto riferimento al blocco dell'agevolazione per le aree sottoutilizzate non soltanto del centro-sud ma anche del nord. Si è fatto riferimento anche ai fondi FAS così come sono state articolati e come sono stati impiegati. Si è fatto riferimento certo a quelli che sono i dati dell'ISTAT: non ripeto quello che dice l'ISTAT per quanto riguarda una recessione soprattutto nel Mezzogiorno. Ne parla soprattutto lo Svimez ma parla soprattutto dell'abbassamento del reddito e delle difficoltà delle nostre famiglie e delle difficoltà del credito. C'è un quadro di difficoltà oggi che si supera con questa manovra. Certo una manovra di questo tipo può soddisfare il contingente e può soddisfare i momenti in cui noi siamo chiamati ad operare ma non apre una speranza e una proiezione rispetto al futuro.
Una manovra economica, un impiego di risorse, una allocazione di risorse risponde pienamente a un dinamismo del nostro Paese oppure si blocca tutto perché si blocca quando non c'è uno spazio e non c'è ovviamente un ossigeno per quanto riguarda la scuola, la ricerca scientifica, anche la politica del turismo e della sanità.
Non ho mai capito, signor Presidente e signor Ministro, che cosa ci stanno a fare il Ministro della sanità e il Ministro del turismo. Questo non l'ho mai capito, non ne ho mai colto il senso né il significato, perché non esiste una politica a livello nazionale del turismo e una politica a livello nazionale della sanità. Infatti, non capiremmo allora quali sono poi le competenze tra regioni e Stato centrale, quando poi anche il Ministro della salute non riesce nemmeno a fare i controlli preventivi di quelli che sono gli splafonamenti da parte anche delle regioni.
Ma non ho neanche capito il Ministro dell'agricoltura: il Ministro dell'agricoltura è venuto qui per quanto riguarda le quote latte e ha detto che se vi fossero stati rinvii o rimborsi da parte degli splafonatori si Pag. 72sarebbe dimesso. Lo ha detto in Parlamento, al question time. Non chiedo certo le dimissioni del Ministro dell'agricoltura: le si poteva chiedere nel corso della cosiddetta Prima Repubblica, oggi è un altro momento, è un altro tipo di Repubblica, è un'altra politica. Oggi è la non politica, dove anche gli impegni e anche le dichiarazioni assunte e fatte di fronte al Parlamento e di fronte al Paese valgono come carta straccia. Di fronte a questo certamente oggi vi è una difficoltà e una crisi di credibilità, signor Presidente.
Riguardo all'economia - me lo insegnano i colleghi che ne sanno più di me e hanno coltivato più di me questi aspetti e questi problemi - se non c'è la fiducia degli investitori, chi investe oggi nel Paese? Se non vi è una speranza, se non vi è una credibilità, se non vi è un barlume di certezze rispetto al percorso sul futuro, nessuno si espone. Certo, come diceva Galletti, vi sono imprenditori che vanno fuori dall'Italia, ma allo stesso modo vi sono imprenditori che dall'estero vengono in Italia e si accaparrano alcune ricchezze e alcuni pezzi di ricchezze anche all'interno del nostro Paese. Allora se questo è il dato, signor Presidente, i problemi sono articolati e complessi. Anche questa partita noi la chiuderemo e l'augurio è che possiamo chiudere questa partita in tranquillità, ma questo Paese non è tranquillo, non è sereno.
Attendiamo giorno per giorno le evoluzioni delle vicende politiche. Ma sono vicende politiche? Ma questa finanziaria non si intreccia, in termini di un groviglio talvolta astruso e talvolta ambiguo, con quello che è il federalismo fiscale? Lo diceva anche qualche collega: mentre noi vogliamo salvare il federalismo fiscale e quindi l'autonomia delle regioni, l'autonomia impositiva, poi facciamo una legge - quella che va sotto il nome di Codice delle autonomie - che centralizza le regioni. Poi qui invece facciamo un altro tipo di manovra e soprattutto ai comuni togliamo gli spazi e i movimenti. Soprattutto vi è una difficoltà a capire e a collegare un disegno politico che non può essere economico soltanto, se non legato al disegno ordinamentale rispetto alle funzioni, rispetto alle competenze, rispetto ai poteri.
Vi sono certo molti centri di potere decisionale e della politica, ma soprattutto in questo Paese vi sono molti centri occulti di spesa che creano emorragie e dispersione delle risorse. Quando sento parlare di contenimento delle spese per quanto riguarda i costi della politica, signor Presidente, ho qualche sussulto, qualche reazione molto forte - mi suggerisce l'onorevole Ciccanti - di dignità e di decoro, perché questo Paese guarda alla decurtazione certamente, forse giustamente, della cosiddetta piccola indennità dei consiglieri circoscrizionali, che non ci saranno più se non in quelle città al di sopra dei 150.000 abitanti e dei consiglieri comunali, ma nessuno mai ha parlato e nessuno mai ha avuto il coraggio di parlare dei grand commis. Ne ha parlato poco fa Ciccanti, ma io parlo ovviamente di coloro che fanno gli arbitrati e che fanno i collaudi.
Mi riferisco a quelle ricchezze occulte che si distribuiscono e di cui nessuno parla, perché è facile parlare della politica come se fosse uno slogan, ma è difficile, in questo nostro Paese, scardinare i santuari del potere dei gruppi occulti. Oggi, abbiamo qualche sentore e qualche evidenziazione della presenza di gruppi occulti da parte della stampa, in seguito ad alcune inchieste. Certamente, questi gruppi sono forti e sono presenti nell'esercitare pressione e nel condizionare anche il percorso lineare della nostra vicenda politica.
Signor Presidente, se questo è il dato, non vi è dubbio che sia necessario fare uno sforzo in più: non siamo dei ragionieri, non siamo soltanto dei contabili. I bilanci sono l'occasione per capire quali siano le politiche e le prospettive. In precedenza, ho fatto riferimento alla scuola, alla ricerca scientifica e ai parchi. Secondo una dichiarazione feroce del Ministro dell'ambiente, con questa manovra, verrà eliminato il 50 per cento dei parchi: stiamo parlando del bene supremo della biodiversità. Si tratta di un fatto fondamentale ed importante, ma di cui nessuno parla; come se tutti quanti fossimo convinti Pag. 73di contenere e tagliare, ma poi, tagliando e contenendo, si priva sempre di più questo nostro Paese di una prospettiva e di un futuro.
Signor Presidente, esiste anche una problematica che investe il Mezzogiorno. Diciamocelo con molta chiarezza: la questione relativa al ponte sullo Stretto di Messina va avanti, fa capolino. Non c'è il progetto definitivo, né quello esecutivo; poi, si va avanti con il progetto. Non vi è una discussione forte e certa legata all'ambiente; la realizzazione dell'opera è stata rinviata, ma non viene realizzato alcun intervento forte per quanto riguarda le infrastrutture ed anche altri capitoli importanti della spesa. Come se dilazionando, oppure facendo prevalere la burocrazia su tutto e, quindi, allungando sempre di più le procedure, si giocasse al risparmio.
Tutto questo vale anche per i Programmi operativi nazionali (PON) di sicurezza. In quest'Aula, abbiamo discusso del PON sicurezza di Catanzaro: da tre anni, si parla di un Programma operativo nazionale per la sicurezza di una città, caratterizzata da una situazione sempre di più pericolosa, la stessa situazione del sud e di aree, certamente, sovrastate dalla criminalità organizzata. E noi giochiamo sulle procedure, sui meccanismi e sugli adempimenti di carattere burocratico e di certificazione: punti e virgola che mancano, il provvedimento che viene spostato in avanti, allungando, quindi, i tempi dell'erogazione delle risorse. Questo è un gioco antico. Quando vi è un ritardo, vi è sempre una spesa che si allunga, che si dilata e che viene portata avanti, senza, quindi, essere realizzata.
È il gioco di un potere sempre più relativo, sempre più debole, rispetto ad altri poteri forti, come quello della criminalità organizzata che sovrasta e che fa ricchezza. Tuttavia, in questi ultimi tempi, dobbiamo dare atto alla magistratura e alle forze dell'ordine di aver inferto dei colpi seri e forti alla criminalità organizzata. È necessario sostenere le forze dell'ordine sempre di più attraverso le strutture, gli strumenti, le risorse e le energie, senza fare la politica della lesina, perché fare questo tipo di politica nei confronti della sicurezza non solo è un oltraggio al buonsenso, ma soprattutto, è un rifiuto a proseguire verso conquiste di civiltà e di progresso all'interno nel nostro Paese.
Signor Presidente, perché non parliamo anche della Protezione civile? Credo che anche questo sia un aspetto importante e fondamentale. Giorni fa, in quest'Aula, ci siamo soffermati sul tema dei rifiuti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 18)

MARIO TASSONE. Credo che la mia regione, ormai, sia occupata da rifiuti tossici pericolosissimi. Al di là delle navi inabissate nel Tirreno e nell'area del Mediterraneo, vi sono rifiuti tossici a Crotone, nella Sibaritide, a Serra d'Aiello, sempre in provincia di Cosenza, e in provincia di Catanzaro. Vi è una realtà soggetta ad una speculazione. Non vi sono interventi seri: vi sono, ovviamente, delle assicurazioni. L'altro giorno è venuto il buon sottosegretario Menia, che ha risposto come poteva, tuttavia, vi è una debolezza di tutto, anche dell'intervento.
E allora, a cosa serve una manovra economica se poi nei servizi essenziali, nei livelli essenziali dell'operatività tutto si ferma e si blocca? Allora è facile fare i risparmi, è facile contenere le spese, è facile giocare sulle esposizioni «debitorie»; non si muove nulla, non si fa nulla, tutto rimane bloccato, fermo. Certamente non rimangono ferme le regioni dove ovviamente non si è fatta mai nessuna politica attenta e dove, oggi, c'è una polemica feroce - non voglio entrare nel merito dei «grattacieli» o meno e così via - che dovrebbe far capire, far comprendere che la problematica è diversa, anche rispetto al contenimento della spesa, perché le regioni non godono di un'extraterritorialità a meno che, in questa fase, non vogliamo costruire degli Stati e creare quindi una confederazione.
La cosa strana è che le regioni, soprattutto alcune di esse, puntano sulla piena Pag. 74autonomia e poi invece si allarmano per i tagli di spesa. Questa sarebbe una contraddizione in termini, qual è allora il disegno complessivo, istituzionale, politico e di politica economica di questo nostro Governo, di questa nostra maggioranza? Le regioni vogliono la piena autonomia, sempre più svincolata dai centri di potere romano, poi, però, sono legate alle rimesse, ai trasferimenti delle risorse. Tutto questo non si può sostituire attraverso un'imposta o l'autonomia impositiva come sostengono anche i comuni; per i comuni si attende l'imposta unica sugli immobili, mi sembra che il Governo dovrebbe varare un decreto-legge verso la fine del mese, ma anche con questo i comuni hanno difficoltà ad alimentare gli asili, la mobilità, i tram e gli autobus. Si dice: non facciamo imposta però facciamo la tassazione, io ritengo che allora non c'è dubbio che vi è qualche scompenso, qualche squilibrio in più.
Volevo anche, signor Presidente, fare riferimento a quello che è successo qualche tempo fa nella mia regione, nella località Janò del comune di Catanzaro, una realtà, un quartiere, una zona, un territorio che dopo le piogge torrenziali crollò mandando sul lastrico 335 persone, oltre cento famiglie. C'è stata poi la presenza della protezione civile, le assicurazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ma poi tutto questo è rimasto nel silenzio e nel tentativo di far decantare la situazione, ma vi sono ancora cinquantanove famiglie, per un totale di 202 persone, che sono in giro per gli alberghi senza che il comune possa fronteggiare una situazione di questo genere. Il comune di Catanzaro ha già dato un milione di euro per quanto riguarda il primo intervento e per le spese complessive, ma c'è bisogno di una spesa di ulteriori sei milioni di euro per poter dare una sistemazione diversa a queste famiglie. Anche l'arcivescovo di Catanzaro dice continuamente che si potrebbero fare dei fabbricati ma non vi è nessuna intenzione, nessuna strategia, forse risparmiamo su queste cose. Si parla di protezione civile, forse non sarà un «grande evento» ma è un problema di protezione civile e di intervento sul territorio sul quale certamente dovremmo portare un'attenzione maggiore e soprattutto una considerazione maggiore rispetto a questi problemi, altrimenti tutto diventa difficile e tutto diventa senza una prospettiva per quanto riguarda il nostro Paese.
Lo dico con estrema chiarezza, non è un problema del nord o un problema del Mezzogiorno, lo abbiamo sempre detto, abbiamo tentato di essere sempre di più un gruppo parlamentare che avesse una visione nazionale ed europea, non esiste un problema di un'area rispetto ad un'altra area, esiste un problema di tutti i Paesi dell'area del Mezzogiorno, del Mezzogiorno e soprattutto dell'Europa intera. Ritengo che se non c'è un Mezzogiorno che si ricompone, se non c'è un tessuto sociale, civile che possa riannodarsi e soprattutto riconciliarsi con i processi di conquista civile ed umana tutto verrà ad essere dissolto e tutto verrà ad essere ritenuto irrecuperabile.
Noi vogliamo che una prospettiva venga fuori in termini molto seri, e questa potrebbe essere l'occasione per un dibattito e un confronto. Non tolgo la professionalità di nessuno e, tanto meno, la capacità di comporre le situazioni di Tremonti, ma la vicenda vera è che una serie di soggetti sono stati bypassati se la pubblica amministrazione contesta, la pubblica sicurezza contesta, i prefetti contestano, i diplomatici contestano, qualcosa l'ANCI contesta e l'UPI contesta. C'è, certo, una contestazione forte delle regioni che, guarda caso, hanno trovato una loro sintesi e una loro posizione di contrasto nei confronti del Governo. Tuttavia, questo non significa niente sul piano politico, sul piano dell'agilità e della capacità di movimento di un Governo e di una maggioranza. Ho voluto richiamare queste cose proprio a commento delle considerazioni estremamente opportune e profondamente tecniche che hanno fatto i colleghi del mio gruppo prima di me. Lo voglio dire, Signor Presidente, perché credo che questi saranno i temi del prossimo futuro. Pag. 75
Noi chiuderemo così la manovra economica finanziaria: con un bel voto di fiducia che verrà a essere proposto all'Assemblea, presumibilmente, nella giornata di domani. Si chiuderà anche questa partita e si andrà in vacanza, e ognuno rimarrà con i suoi problemi: le nostre famiglie, i disoccupati, i giovani senza nessuna prospettiva.
È forte il richiamo del Presidente della Repubblica in questi giorni, non perché voglia scomodare, come molti fanno anche inopportunamente, il Capo dello Stato, ma vi è questo stato di disagio e di difficoltà, e vorrei una risposta, se il Governo può darla, non soltanto in questo momento ma anche in altri: se hanno pensato veramente che questa manovra possa rispondere a quelli che sono gli interessi e le soluzioni dei problemi del nostro Paese.
Quando sento parlare di vendita dei beni di famiglia, e sento parlare di manovre sul piano del demanio, quante finanziarie abbiamo fatto che hanno puntato su questa tesaurizzazione, e poi le cose si sono disperse? Siamo rimasti così: senza nessuna traccia delle vendite e delle tesaurizzazioni, ma vi sono vari problemi che devono essere affrontati.
Certo, la cosa che più mi duole, e lo dico, ovviamente, da meridionale, è che si squilibra nord e sud. Se vi è una disattenzione in più, oggi, in questa manovra economica finanziaria, è che rispecchia la volontà politica di separare sempre più il sud rispetto al resto del Paese, e questo è un male.
Allora questo è veramente un Governo che non ci interessa, che ha una proiezione diversa, una proiezione culturale che non ci appartiene. L'economia, o ha un sostegno culturale unificante oppure è una falsa economia e un aggiustamento di cifre, di tagli e di ritagli, di cuciture senza una prospettiva una politica e una strategia.
Questa strategia non l'abbiamo vista, non ci ha accompagnato nel corso dell'esame di questo provvedimento, non si evidenzia nemmeno in questo momento e il dibattito che stiamo facendo è molto stanco e lasciato all'iter del procedimento regolamentare come un atto dovuto: si deve fare la discussione sulle linee generali, si passerà domani all'esame dei profili di costituzionalità del provvedimento e si andrà, poi, al voto di fiducia, come se fosse un copione già scritto. Ma un Paese come il nostro ha bisogno di avere una diversa capacità di approccio rispetto ad una problematica molto forte come la crisi che ha investito l'Europa e il globo.
Noi abbiamo oggi qualche difficoltà in più: quella di comprenderci e di capire, soprattutto, qual è il processo, il percorso, la strategia politica, il respiro e il profilo alto della politica. Noi non lo abbiamo intravisto, e se manca il profilo alto della politica, della sensibilità, della difesa di alcuni interessi rispetto ad altri, certamente non vi è economia ma diseconomia.
Si possono aggiustare al momento i conti - come ho detto poc'anzi - ma non vi è una prospettiva forte che possa far guardare al futuro con grande speranza e con grande fiducia (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, fin qui abbiamo sentito, negli interventi sviluppati dai colleghi, una serie di osservazioni, alcune delle quali assolutamente condivisibili. Tuttavia, mi sembra che uno dei difetti principali colti dagli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto è proprio una mancata visione strategica del quadro macroeconomico che oggi interessa il nostro Paese e il sistema Europa.
Innanzitutto, uno degli elementi che dobbiamo sottolineare nel dibattito intorno a questa manovra è che mentre il Governo lotta per ridurre la spesa pubblica, per ridurre gli sprechi, per ridurre quella crescita esponenziale del debito pubblico e, quindi, in definitiva mentre il Governo opera per aumentare l'affidabilità del sistema Italia, vi è un Paese reale che va avanti e riesce, in un certo qual modo, ad arginare la crisi e, addirittura, ad invertire una tendenza. Quel Paese reale è Pag. 76fatto da italiani che lavorano e dal sistema delle piccole e medie imprese. Si tratta di quel Paese reale nel quale sono nascoste le innumerevoli eccellenze italiane. È proprio per questo che intorno a questa manovra vi è un ampio consenso delle forze sociali e delle rappresentanze di categoria.
A me interessa poco l'osservazione del caro e stimato collega Baretta se si tratti di un consenso tattico o di un consenso derivante dalla concertazione. Il fatto vero è che, comunque, questo consenso lo registriamo. Il Paese reale sta producendo dei risultati assolutamente positivi. Infatti, sappiamo che il fatturato delle imprese nel maggio 2010 è aumentato del 12,5 per cento rispetto al corrispondente mese dell'anno precedente. Gli ordinativi sono aumentati del 26,6 per cento e si tratta di ordinativi virtuosi, quelli esteri - cioè gli ordinativi esteri - sono aumentati di ben il 49 per cento rispetto a quelli interni, invece aumentati del 16 per cento.
Certamente, scontiamo gli effetti positivi dovuti al calo dell'euro avvenuto all'inizio dell'anno ma questo non fa altro che conferire maggiore valore all'azione dei Governi europei, concentrata nei mesi di aprile e maggio di quest'anno a seguito del quasi default greco. Gli strumenti di sostegno comunitario alla Grecia e le manovre di tutti i Paesi comunitari per limitare il peso dei propri deficit e per stabilizzare la spesa pubblica hanno avuto effetto e i mercati stanno reagendo restituendo fiducia all'euro.
Un altro elemento che conforta per il lungo periodo è la crescita del 66,4 per cento - nel periodo che va da maggio 2009 a maggio 2010 - degli investimenti in macchine e utensili. Infatti, sappiamo che uno dei segnali dell'approssimarsi della crisi è proprio il crollo degli investimenti in nuovi macchinari, sia sostitutivi sia tecnologicamente innovativi. Le imprese, in questi casi, avvertono la bufera e abbandonano le strategie a lungo termine e si affidano al cabotaggio. All'opposto, la crescita di investimenti in macchine e utensili è il segnale della crescita economica in arrivo.
Va dato atto, quindi, a questo Governo di essere riuscito, sia per la propria capacità, sia per la solidità del sistema industriale nazionale, a trarre fuori l'Italia, almeno per il momento, dal gruppo dei cosiddetti PIGS, cioè da quel gruppo di Paesi comunitari i cui andamenti economici rischiano di mettere in difficoltà il sistema euro e, in definitiva, la stessa Unione. Nel gruppo dei Paesi a rischio sono rimasti il Portogallo, l'Irlanda e la Spagna. Della Grecia già sappiamo e si è aggiunta negli ultimi mesi l'Ungheria.
Certo si può dire che la speculazione internazionale può prendere di mira e mettere in ginocchio un Paese ma, come accade per il petrolio, la speculazione altro non può fare che amplificare oggettivamente difficoltà già presenti sul mercato. Se il petrolio è in sufficiente quantità sul mercato, la speculazione non può far nulla. Allo stesso modo, se un Paese è solidamente strutturato la speculazione non può far nulla. Pertanto, il buon andamento delle più recenti aste dei titoli pubblici italiani, in aggiunta a quanto previsto tra l'altro dalla legge finanziaria - ricordo che abbiamo immesso e stiamo per immettere sul mercato anche i titoli per la copertura del debito greco - dà il segno della fiducia dei mercati. Quanto accaduto nei primi mesi è registrato anche dall'assestamento del bilancio che presenta dati sostanzialmente migliori rispetto alle previsioni iniziali di bilancio.
Poiché la fiducia dei mercati non è un dato meramente contabile, credo che si debba assolutamente ringraziare il lavoro svolto in questi mesi dal Presidente del Consiglio Berlusconi, dal Governo e dal Ministro Tremonti.
Mi preme anche sottolineare la tenuta e la vitalità del nostro sistema produttivo. La crisi di questi mesi ha sottolineato sicuramente questo: che i Paesi che tengono meglio sono la Francia, la Germania e l'Italia, ossia quelli che hanno mantenuto un solido sistema industriale e la cui crescita non è fatta di carta e di bolle speculative.
La Spagna ha mostrato tutta la sua fragilità una volta che il boom immobiliare Pag. 77si è sgonfiato. Personalmente ritengo che possano esserci anche dubbi e preoccupazioni per la Gran Bretagna, un Paese che ha praticamente dismesso il proprio sistema industriale, nonostante fosse proprio la patria della rivoluzione industriale, ed è fortemente finanziarizzato. È paradossale pensare che forse, un giorno, potremmo addirittura trovarci a ringraziare gli inglesi per non essere entrati nell'euro.
Se, dunque, la ricchezza delle nazioni nasce dalla competitività del proprio sistema produttivo, non cesserò mai di insistere su questo punto: senza la produzione, senza l'innovazione, senza la competitività non può esserci nessun welfare, non può quindi esserci uno Stato sociale. Proprio perché non abbiamo nessuna intenzione di tagliare le pensioni è necessario sottolineare che la produzione è più importante del welfare.
Suggerirei ad alcuni colleghi che mi hanno preceduto nei loro interventi e nelle loro osservazioni che bisognerebbe ricordarsi una semplice legge della fisica: la legge dei vasi comunicanti. Questa legge va sicuramente applicata in economia e, anzi, per certi versi è il presupposto dell'economia. L'economia non è il libro dei sogni, ma il libro delle scelte possibili in funzione delle risorse disponibili. La Corte dei conti ci avverte in continuazione di un sistema che molto spesso è fuori controllo, di un sistema che si muove con una serie di automatismi talvolta ineludibili e che molto spesso vede prevalere la somma dei diritti soggettivi in maniera assoluta rispetto alle necessità che riguardano gli investimenti.
Questo è un paradosso che sta interessando il nostro Paese e che sta ipotecando inesorabilmente il futuro. Ritengo che nella complessa rivisitazione delle norme costituzionali sulla libertà di impresa forse dovremmo aggiungere delle norme che prevedano un limite costituzionale alla spesa del welfare, altrimenti si corre il rischio di fare la fine proprio della Grecia.
Ecco perché ritengo che i punti maggiormente apprezzabili della manovra riguardino la fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, le facilitazioni fiscali a favore delle reti di imprese, la possibilità di costituire zone a burocrazia zero nel Mezzogiorno, il varo di drastiche semplificazioni normative per l'avvio di nuove imprese attraverso l'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività (la cosiddetta SCIA) che consentirà di iniziare una nuova attività imprenditoriale, commerciale o artigianale dalla data di segnalazione all'amministrazione competente che poi provvederà a verificare la sussistenza dei requisiti necessari per l'avvio della medesima attività.
Va anche ricordato che l'articolo 40 prevede che le regioni possano stabilire aliquote IRAP minori e stabilire esenzioni, detrazioni e deduzioni con l'obiettivo di realizzare migliori condizioni di sviluppo imprenditoriale e di crescita produttiva. Dunque, si riconosce finalmente per legge che l'IRAP è un freno allo sviluppo.
Qualche perplessità dal punto di vista della crescita alle imprese mi sovviene in relazione alla parte fiscale, nella parte antielusione del decreto-legge. Osserva giustamente il collega Baldassarri nel suo intervento al Senato che non si può bloccare una compensazione fiscale di 100 mila euro per un contenzioso da mille. Infatti, in questi ultimi anni il potere e la capacità di indagine dell'Agenzia delle entrate e degli agenti della riscossione sono enormemente aumentati, ma assistiamo altresì all'esplosione dell'abuso del cosiddetto diritto fiscale. L'abuso consisterebbe nell'adozione di condotte prive di adeguate ragioni economiche il cui unico scopo è quello di ottenere proprio un vantaggio.
Infatti, mentre la normativa antielusiva è strutturata con un procedimento garantista e dispone di una casistica tassativa che predetermina la fattispecie da disapplicare e le norme da applicare, l'abuso del diritto non prevede procedure di contestazione e non si riferisce a fattispecie predeterminate. La sua applicazione stravolge le regole e si presta all'arbitrio.
La Cassazione, tra l'altro, ha recentemente affermato la rilevabilità d'ufficio dell'abuso e ciò sta favorendo il ruolo creativo della giurisprudenza e una contrapposizione Pag. 78tra forma giuridica mutevole e sostanza economica che, invece, ha bisogno di certezze di base.
Il rischio è di tutta evidenza: la riscrittura delle leggi da parte di chi, invece, dovrebbe esclusivamente applicarle. Dunque, per evitare che burocrazia e magistratura frappongano ostacoli al libero sviluppo economico, occorre costantemente vigilare a tutela delle imprese e, di conseguenza, della ricchezza nazionale.
Osservo con attenzione e con favore il dibattito che si sta sviluppando proprio in questi mesi sullo statuto delle imprese in esame presso la nostra Commissione attività produttive su iniziativa dei nostri colleghi di gruppo. Su norme di questo genere, a mio avviso, bisogna lavorare tutti insieme e bisogna anzi accelerare l'iter perché sono queste le cose di cui il Paese ha bisogno. Il Paese ha soprattutto bisogno di credibilità e fiducia e questa manovra contribuisce in maniera decisiva a dare credibilità e fiducia.
Ringrazio tutti i colleghi della Commissione bilancio, non soltanto quelli di maggioranza ma anche quelli di opposizione, che queste cose le sanno e le capiscono, tant'è vero che non abbiamo registrato atteggiamenti ostruzionistici proprio perché, al di là delle singole posizioni e delle divergenze, c'è la consapevolezza delle vere necessità che ha il Paese e alle quali rispondiamo con questo decreto-legge.
Ringrazio, quindi, il Parlamento e soprattutto il Governo e proprio per le ragioni esposte tutto il gruppo del Popolo della Libertà convintamente voterà la questione di fiducia al nostro Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, nel negare per lungo tempo gli effetti della crisi nel nostro Paese si è sempre detto che la situazione italiana era differente, che il nostro sistema bancario aveva retto (senza mai, peraltro, dare merito a chi aveva fatto quelle scelte), che le famiglie non erano indebitate come nel resto del mondo, si era parlato del debito aggregato e via dicendo. Tutto vero.
Poi abbiamo assunto due provvedimenti: uno è il cosiddetto salvataggio delle banche, che non crea alcun problema al bilancio dello Stato; si tratta di entrate e uscite, e si è detto che nel caso ve ne fosse bisogno lo Stato emetterà titoli e, per contro, assumerà obbligazioni fra l'altro con tassi molto salati. Allo stesso modo, il prestito per la Grecia è una operazione di entrate e uscite anche in questo caso con interessi salati. Quindi, questi effetti non hanno inciso sui nostri conti.
Bisogna fare un po' di verità e di chiarezza sulla necessità della manovra. È vero, ce l'ha chiesta l'Europa perché nei tre anni bisogna dimezzare i deficit per difendere l'euro. Tuttavia, nel nostro Paese questa manovra non è altro che il frutto di scelte sbagliate. In due anni abbiamo registrato un raddoppio del deficit dal 2,7 per cento al 5,6 per cento. Signor Presidente, ricordo che il nostro deficit è pari a 80 miliardi, cioè noi ogni anno spendiamo 80 miliardi in più di quelli che incassiamo. Ciò è il frutto della politica economica di questi due anni.
Lo abbiamo denunciato più volte, ma vale la pena ricordarlo: abbiamo bruciato almeno 10 miliardi per l'ICI per i ricchi, per la best company Alitalia, per la rinuncia alle quote latte comprese le infrazioni europee e i ponti improbabili. Ne abbiamo sciupati più ancora per la spesa pubblica fuori controllo (con voi, chissà com'è, cresce sempre). Miliardi bruciati per non aver avuto il coraggio di aggredire gli sprechi veri.
Poi abbiamo allo stesso modo rinunciato ad oltre 10 miliardi, se è vero che in questa manovra economica si stima l'entrata probabile dalla lotta all'evasione fiscale in 8-10 miliardi. Se le norme che oggi proponete hanno quell'effetto vuol dire che averle soppresse - perché ne aveva introdotte in gran parte il Governo Prodi ancora più stringenti di queste - è costato al paese questi miliardi. Lo abbiamo denunciato l'anno scorso in occasione Pag. 79del rendiconto. Ci siamo accorti che le entrate IVA calavano del 10 per cento contro un calo dei consumi ben inferiore.
Quindi, la necessità della manovra deriva da qui: un calo della crescita che poteva essere contenuto e la finalità di rientrare nei nostri parametri.
Il Ministro Tremonti ci ha detto che nel 2010 non vi saranno altre manovre. Vedremo cosa si farà con la legge finanziaria perché ho ricordato che il nostro deficit è di 80 miliardi: dimezzamento vuol dire arrivare a 40 miliardi, mentre questa è una manovra di 24 miliardi in due anni. Quindi, per i tre anni ne occorrono altre. A questo proposito, signor Presidente, ho avanzato delle domande al Ministro Tremonti che voglio riproporre in questa sede.
La prima è questa: come sarà possibile rispettare gli impegni assunti in sede europea di dimezzare il deficit, se la manovra è di importo pari a soli 24 miliardi, adesso 25, e non ai 40 che sarebbero necessari? Non abbiamo avuto risposta. Ho rivolto al Ministro altre domande sul carattere della manovra che vorrei riprendere per ripercorrere il mio intervento. Ho chiesto al Ministro di chiarire per quale ragione non sia stato previsto un contributo, eventualmente a termine, ai percettori di reddito superiori ai centomila euro annui, a partire quindi da noi parlamentari, invece di limitarsi a pretenderlo dalla sola dirigenza pubblica in forme peraltro discutibili sul piano costituzionale e del diritto civile.
Infatti, questa manovra non è equa: l'articolo 53 della Costituzione recita (lo voglio leggere per i colleghi in Aula, ma sicuramente lo conoscono): «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Questa equità nella manovra al nostro esame non c'è: perché accanirsi contro la dirigenza pubblica? Siamo la quinta potenza industriale del mondo, un Paese di 64 milioni di abitanti. Perché colpire così pesantemente l'apparato pubblico con rischi di perdere i corpi scelti dello Stato? La frase non è mia, ma del Ministro Frattini: diplomatici, forze dell'ordine, scuola. Perché non adottare per questi i parametri europei? Perché, rispettando l'articolo della Costituzione, non abbiamo chiesto magari un contributo triennale a tutti i redditi superiori a una certa cifra (ho detto 100 mila euro), magari con la possibilità di restituirlo come facemmo noi con il contributo per l'Europa? Fu un fatto storico: mantenemmo l'impegno.
Ma qui l'obiezione dei cittadini potrebbe essere che stiamo difendendo una pubblica amministrazione inefficiente e sprecona. Se dobbiamo tagliare la spesa pubblica, al di là delle chiacchiere, che cosa dovremmo fare? Questo è un ragionamento giusto e in noi non c'è la difesa di questa pubblica amministrazione e dell'attuale livello di spesa pubblica. Infatti, la spesa pubblica si può e si deve tagliare. Qui è, in verità, il vostro fallimento: lo abbiamo visto nei rendiconti del 2008 e del 2009, con i record storici di spesa corrente. Sono l'effetto dei tagli lineari per i quali le spese superflue, inutili e improduttive non vengono tagliate.
Ma ancora il cittadino potrebbe ritenere questo ragionamento del tutto generico e ci potrebbe chiedere che cosa dovremmo fare per la funzionalità della pubblica amministrazione e per i dipendenti pubblici. Qui vengo ad un'altra domanda che avrei posto al Ministro Tremonti, ma so che nemmeno nella replica il sottosegretario Casero mi risponderà.
Desideravo sapere quali disposizioni della manovra risultino coerenti con gli obiettivi e i principi di meritocrazia, premialità e responsabilità, ai quali il Governo, più volte, ha dichiarato di ispirare la propria azione. La meritocrazia, la premialità, premiare i più bravi, erano un fatto caratteristico di questa maggioranza.
Invece, cosa avete fatto con questa manovra? Avete tagliato a quelli bravi, a quelli onesti, avete tagliato a tutti, anche ai fannulloni, certo, ai lavativi. Così facendo, però, abbiamo demoralizzato chi fa il proprio dovere e chi si impegna, che si dirà: ma a cosa serve farlo, se poi siamo tutti uguali, se poi lo Stato non riconosce chi merita, se le cose continuano ad andare avanti nella stessa maniera? Pag. 80
Questa doveva essere la strada! Ma tutti i principi, le chiacchiere e gli slogan del Ministro Brunetta, dove sono finiti? Ad ogni occasione scegliete sempre la strada più semplice. La verità è che la vostra politica è quella del giorno per giorno, del sondaggio quotidiano, senza la visione e il coraggio di scelte di medio termine (non voglio dire lungo, sarebbe troppo).
Gli stessi criteri di meritocrazia, di premialità e di responsabilità, li troviamo in altre norme? Sono applicati ad altre misure di questa manovra? Vi sono nei tagli a regioni, province e comuni? Premiamo i virtuosi? No, accade il contrario!
In questo Paese conviene continuare ad essere furbi. L'esempio più eclatante in questa manovra, signor Presidente, mi viene da un'altra domanda che ho posto al Ministro Tremonti: se la spinta verso un maggior civismo, alla quale ogni legge dovrebbe tendere, sia rappresentata in questo provvedimento dalla disposizione in materia di quote latte.
Certo, era una domanda ovviamente polemica, perché va proprio contro il civismo e contro il senso civico. Di quote latte parlerà nel suo intervento l'onorevole Zucchi, vicepresidente della Commissione agricoltura, che sostanzialmente ha espresso un orientamento contrario su questa manovra; egli entrerà meglio di me nel dettaglio, ma volevo denunciare questo fatto, perché è gravissimo. La vostra manovra è imperniata su messaggi pericolosi, dannosi, devastanti, così come quelli che ho citato prima sul merito, sulla premialità e sulla virtuosità.
Così voi spingete in senso contrario al rafforzamento del senso civico; invece, questa sarebbe la vera emergenza del nostro Paese. Le cricche e le P3 sono esempi, signor Presidente, di un malcostume più generale, che, così facendo, finite per giustificare.
Vengo ad un'altra domanda relativa al fisco. Mi chiedo e chiedo al Ministro Tremonti: perché i proventi derivanti dalla lotta all'evasione fiscale non sono finalizzati a ridurre il carico fiscale delle fasce più deboli, promuovendo, in tal modo, la fedeltà fiscale e rispettando gli impegni elettorali a far pagare meno, ma a far pagare tutti?
Questo è uno slogan che abbiamo usato tutti: nel denunciare l'entità dell'evasione fiscale nel nostro Paese, del 30 per cento dell'economia sommersa, abbiamo sempre detto che si potrebbe pagare meno, se pagassero tutti.
Nel momento in cui, per la prima volta, scontiamo effetti benefici in una manovra dalla lotta all'evasione fiscale - li scontiamo, perché la Corte dei conti ci ha sempre detto che si dovevano scontare quando fossero stati realizzati, ma per la prima volta li scontiamo - perché non li usiamo per l'abbassamento della pressione fiscale per le fasce più deboli?
Se dessimo questo messaggio, interverremmo anche sulla prima parte, quella del senso civico, e creeremmo nel nostro Paese la condizione culturale per la quale «pagare tutti per pagare meno» è un dovere civico e avrebbe benefici effetti. Ma non andiamo in questa direzione e la fedeltà fiscale risulta essere il vero parametro, rispetto all'Europa, che in questo Paese non torna, e non torna mai. Avevo posto un'altra domanda al Ministro Tremonti sul fisco.
Gli avevo chiesto se l'annunciata riforma fiscale - della quale avremmo voluto conoscere la tempistica - sarà indirizzata a una diversa distribuzione del carico fiscale, che favorisca i redditi bassi, incoraggiando in tal modo l'aumento della domanda e incidendo positivamente sulla crescita. Non abbiamo avuto risposta.
In questa sede vorrei entrare nel tema della manovra economica e dell'aggiornamento dei conti. La questione è che non c'è crescita e che la manovra risulta depressiva. Voi stessi, nel presentare l'aggiornamento della Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, sostenete che la manovra produrrà una decrescita di mezzo punto; la Banca d'Italia ha affermato che con una manovra siffatta cresceremo meno di mezzo punto; il Centro Studi Confindustria ha dichiarato che cresceremo meno di un punto; il senatore Baldassarri, presidente della Commissione Pag. 81finanze e tesoro del Senato, parlamentare di maggioranza, ha stimato una decrescita del 2 per cento.
Vengo al punto. Non avete mai voluto affrontare il tema fiscale in questa crisi, ma il fisco, in tempo di crisi, può essere lo stesso? Abbiamo fatto già esempi - non voglio ripeterli - come quelli dell'IRAP, abbiamo già sentito annunci, abbiamo visto il Presidente Berlusconi telefonare alle maggiori confederazioni dell'artigianato, promettendo un'imposta, quella che va in senso contrario alla crescita; tuttavia, non si può fare niente, perché in momenti di crisi non si può fare niente.
Ma se noi avessimo fatto un minimo di riforma fiscale e di redistribuzione o una migliore distribuzione della ricchezza, avremmo favorito la domanda interna? Avremmo favorito un minimo di ripresa? Nel momento in cui abbiamo avuto forti cali nell'esportazione, avremmo favorito una produzione per una accresciuta domanda interna? Certamente! Era solo la leva fiscale che potevamo usare, la leva di una redistribuzione, o di una migliore distribuzione del reddito.
Voglio fornirvi a questo proposito un dato: negli ultimi 15 anni la quota di prodotto che va a remunerare il lavoro, comprese le pensioni, è calata di otto punti in percentuale, cioè è passata dal 77 al 69 per cento. Questo calo equivale a 130 miliardi di euro.
Per contro, le stesse persone che prendono il 69 per cento, ovvero ricevono il 69 per cento del prodotto, contribuiscono per l'80 per cento alle entrate tributarie del nostro Paese; il lavoro dipendente, quindi, paga 50 miliardi di tasse in più.
Credo che qualsiasi buon amministratore userebbe le imposte a scopo anche parzialmente redistributivo. Se volete un parametro, un confronto con l'Europa, posso dirvi che in Francia e in Germania non è così: attraverso lo strumento fiscale si trasferiscono risorse nette al lavoro. In questo Paese, invece, vi è ormai una divaricazione insostenibile. Il potere di acquisto delle nostre famiglie è al 27o posto nel mondo e noi ci vantiamo di sedere nel G8 e di essere la quinta potenza industriale. L'ISTAT ha denunciato l'altro giorno un ulteriore calo del 2,6 per cento nel primo trimestre 2010, rispetto al 2009, del reddito delle famiglie.
Era dunque questa la chiave da seguire, ovvero una migliore distribuzione della ricchezza attraverso una riforma fiscale, che non avete fatto; neppure in questa sede avete avuto il coraggio di affrontarla! Ho già detto cosa si poteva fare.
Se poi parliamo di crescita, ci dovremmo porre, ad ogni provvedimento che prendiamo in tempo di crisi, una domanda fondamentale. Richiamo anche a questo proposito un articolo della Carta costituzionale - è bene richiamarlo - l'articolo 1, che fonda la nostra Repubblica sul lavoro, ma anche l'articolo 4: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto». Ad ogni provvedimento, signor Presidente, dovremmo chiederci: quanti posti di lavoro crea questo provvedimento nel Paese? Quanta ricchezza può creare? Quanti giovani possono trovare occupazione, dopo che avremo approvato il provvedimento? La risposta è negativa.
Il Centro studi Confindustria ci dice che tra il 2010 e il 2011 perderemo ancora 246 mila posti di lavoro.
Abbiamo un tasso di disoccupazione che arriva ormai al 10 per cento e non sappiamo quanti cassaintegrati rientreranno, quanti precari hanno perso il lavoro, quanti piccoli artigiani e piccoli commercianti hanno chiuso le loro attività.
I disoccupati sono 2 milioni 273 mila: l'ISTAT ci dice che due milioni di ragazzi tra i 18 e i 29 anni non lavorano, non studiano, non stanno ufficialmente cercando un lavoro. Questi sono dati drammatici, quindi non possiamo presentare una manovra che va in senso depressivo. L'ossessione nostra dovrebbe essere questa: qual è lo scopo della nostra attività, della politica, se non quello di lasciare un mondo migliore a chi verrà dopo? Come hanno detto tanti colleghi, un mondo senza lavoro può essere un mondo migliore? Un Paese che ha un debito così Pag. 82elevato (ed il record lo raggiungerà nel prossimo anno, stimato al 118 per cento) lascia forse un mondo migliore a chi verrà dopo o lascia una palla al piede?
Eppure questa è una manovra che aumenta il debito, non crea lavoro, non crea ricchezza, non crea crescita. Questo confronto voi non lo avete voluto, mentre vi era la possibilità di farlo e con le nostre proposte - di cui ha dato qui conto questa mattina il relatore di minoranza, l'onorevole Baretta - vi era la possibilità di fare altro, di distribuire meglio i sacrifici, di coniugarli con la crescita, di rispettare il rigore che pure è necessario provando però a crescere: ma voi non avete voluto nemmeno il confronto!
Voglio parlare negli ultimi minuti che mi rimangono di macroscopici errori che sono invece presenti in questa manovra e che voglio denunciare in questa Aula per denunciare anche il paradosso di due letture che non riescono a correggerli.
Ne abbiamo avuto un esempio ancora lo scorso anno, proprio in questo periodo: a fine luglio licenziammo un provvedimento anticrisi che conteneva una famosa norma sulla Corte dei conti che non era «potabile» e norme sul Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ugualmente non lo erano. Il Presidente della Repubblica pretese che venisse emanato un decreto-legge correttivo per firmare la manovra: non chiediamo al Presidente della Repubblica di non firmare questa manovra, perché il Presidente della Repubblica garantisce l'unità nazionale e non la costituzionalità degli atti, ma chiediamo a voi se sia corretto licenziare una manovra che presenta queste enormità al proprio interno.
Voglio ricordare quel decreto correttivo anche perché il Presidente della Repubblica chiese un decreto correttivo per mandarvi in ferie (ed avevate già le valigie pronte), ma nella conversione del decreto correttivo aveste il coraggio e l'impudenza di infilare dentro lo scudo fiscale.
Vi sono poi due misure che non riesco francamente a digerire e sulle quali abbiamo fatto battaglia nella Commissione bilancio (o meglio, abbiamo cercato di contrastarle). Quanto all'articolo 6, comma 21-quinquies, credo che sia un provvedimento incredibile che disciplina il sequestro dei titoli e la vendita degli stessi entro dieci giorni. Nel caso in cui i titoli venissero poi dissequestrati al proprietario dei titoli viene riconosciuto solo ed esclusivamente il ricavato dell'alienazione. Questa è una norma incredibile: qui si tratta di un esproprio! Mettiamo il caso che un imprenditore abbia questi titoli per garantire altre operazioni e per garantire l'attività della propria azienda: essi vengono sequestrati a causa di un errore e poi vengono dissequestrati nel momento in cui lui magari non ha potuto, attraverso quei titoli, esercitare le sue possibilità e la sua attività.
Anche un'altra norma, quella dell'articolo 41, sul regime fiscale di attrazione europea è a mio avviso certo accattivante ma fantasiosa e lede principi fondamentali.
In esso si dice: qualsiasi impresa può venire in Italia dall'estero, dall'Europa e scegliere la normativa fiscale più favorevole, cioè portarsi dietro la propria normativa fiscale; ma vi è un'evidente violazione della concorrenza, vi è una discriminazione questa volta a danno dei residenti, a danno dei lavoratori italiani: i confinanti avrebbero due contratti di lavoro diversi. Vi è un ostacolo applicativo incredibile, per il quale i giudici tributari, l'Agenzia delle entrate dovrebbe conoscere 27 normative più favorevoli. Solo queste due norme, come quella delle quote latte di cui parleranno i colleghi, avrebbero meritato una terza lettura; nel proseguire la nostra attività legislativa cercheremo di riformarle, prima che producano danni. Voglio sempre pensare alla buona fede, ma due norme di questo tipo non mi richiamano certo alla buona fede: mi richiamano invece ad eventualità molto pericolose per il nostro Paese.
Signor Presidente, ho concluso. Credo che porrete la questione di fiducia, creando ancora una volta uno strappo in Parlamento, e la porrete su un provvedimento del tutto sbagliato, insufficiente, iniquo ed inadeguato. Per questo, quindi, Pag. 83voteremo «no» alla fiducia molto più convintamente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, all'onorevole Vannucci vorrei ricordare che, sarà stato un lapsus, non so quanto freudiano; tuttavia, per quanto dai banchi dell'opposizione sia permesso dire tutto, affermare che questa manovra aumenti il debito credo che oggettivamente sia un po' fuori luogo.
Al di là di ciò, la scelta che con questa manovra il Governo ha compiuto è di natura politica importante. Ricordo il contesto nel quale essa è nata: nelle giornate del 7 e del 10 maggio di quest'anno si riuniva la Conferenza straordinaria dei Capi di Stato e di Governo e l'Ecofin, e si tracciavano alcune linee guida con elementi comuni di denominatore politico e di politica economica a livello europeo.
Si tratta di una manovra importante, che ha avuto come oggetto delle decisioni di fondo da parte del Governo, in linea con le scelte che a livello europeo sono state coordinate e concordate tra gli Stati membri all'interno di queste due sedi e all'interno di un percorso più ampio anche di riforme già avviate, che guardano con grande attenzione all'avvio di una sessione di bilancio europea, alla partecipazione degli Stati membri a tale sessione di bilancio, di controlli reciproci, di sanzioni e di meccanismi che diano sostanza alla politica economica di livello continentale.
La scelta di fondo che è stata operata è nata successivamente ad una riflessione: la presa d'atto di un'asimmetria insostenibile, come l'ha definita propriamente il Ministro dell'economia e delle finanze in Commissione bilancio la scorsa settimana, tra un debito che cresce ed una ricchezza che si riduce, tra un deficit che aumenta ed un prodotto interno lordo che invece per effetto della crisi si contrae. Tale asimmetria è frutto dello spostamento di una crisi internazionale dal privato al pubblico: mentre l'Europa, mentre gli Stati facevano la guardia al «bidone», alle loro economie finanziarie pubbliche, la crisi nasceva nell'ambito privato, ed aveva poi ripercussioni sul pubblico.
All'interno di questo quadro la scelta che è stata compiuta è stata importante: quella di uno stop ciclico alla spesa pubblica.
E all'interno di questa scelta si è deciso di non intervenire sulla pressione fiscale, con l'eccezione, unica a livello europeo, dell'Inghilterra (che peraltro è intervenuta sull'imposta del valore aggiunto, che con l'intervento del Governo inglese raggiunge un livello simile a quello italiano). Si tratta della scelta di operare una lotta importante all'evasione e di operare tagli nelle pubbliche amministrazioni. Responsabilità è stata chiesta ai lavoratori (che hanno risposto con grande senso della stessa), alle parti sociali (che hanno dialogato e sostanzialmente accolto l'impostazione di massima della manovra), agli enti locali, e alle regioni è stato chiesto un sacrificio importante, considerando anche - come giustamente sottolineava lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze - che in passato a fronte di altre manovre alle regioni sono stati chiesti in proporzione meno sacrifici.
Quindi si tratta di una manovra con un ampio spettro di ricadute, una manovra che ha tra i suoi elementi centrali quello dell'intervento sul sistema pensionistico, sul sistema previdenziale. Si tratta di una manovra che ha visto, da un lato, la responsabilità importante del Governo, che ha attivato prima di ogni altro Paese un meccanismo di intervento sui conti pubblici, e, dall'altro, un'adesione responsabile dei lavoratori e delle parti sociali. La stessa responsabilità, purtroppo, non si è potuta riconoscere in tanti spezzoni dell'informazione e in tanti settori della politica, che invece in occasione di questo provvedimento hanno ben pensato di attivare un meccanismo strumentale per nulla aderente al contenuto, alla realtà e al merito della manovra stessa.
Ci tenevo a sottolineare brevemente alcuni elementi, perché credo che possa essere utile in questa discussione sulle Pag. 84linee generali confrontarsi al di là di quello che è il canovaccio classico di qualsivoglia manovra in questo Parlamento: mi riferisco a scelte spesso difficili e sofferte da parte di chi sta al Governo e a interventi ispirati quasi sempre ad un «benaltrismo», che può essere spesso e volentieri di maniera, per cui a fronte di poche risorse e di scelte importanti da dover fare e di scelte (in qualche modo sofferte) che comportano sacrifici in periodi non di vacche grasse, il segnale di una responsabilità manifestata in diverse occasioni rispetto a questa manovra dalle parte sociali e dai lavoratori credo vada sottolineato, anche in questa sede, con altrettanto senso di responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, all'onorevole Vannucci vorrei ricordare che, sarà stato un lapsus, non so quanto freudiano; tuttavia, per quanto dai banchi dell'opposizione sia permesso dire tutto, affermare che questa manovra aumenti il debito credo che oggettivamente sia un po' fuori luogo.
Al di là di questo la scelta che con questa manovra il Governo ha compiuto è di natura politica. Ricordo il contesto nel quale essa è nata: nelle giornate del 7 e del 10 maggio di quest'anno si riuniva la Conferenza straordinaria dei Capi di Stato e di Governo e l'Ecofin, e si tracciavano linee guida con elementi comuni e di politica economica a livello europeo.
Si tratta di una manovra importante, che ha avuto come oggetto delle decisioni di fondo da parte del Governo, in linea con le scelte che a livello europeo sono state coordinate e concordate tra gli Stati membri all'interno di queste due sedi e all'interno di un percorso più ampio anche di riforme già avviate, che guardano con grande attenzione all'avvio di una sessione di bilancio europea, alla partecipazione degli Stati membri a tale sessione di bilancio, di controlli reciproci, di sanzioni e di meccanismi che diano sostanza alla politica economica di livello continentale.
La scelta di fondo che è stata operata è nata successivamente ad una riflessione: la presa d'atto di un'asimmetria insostenibile, come l'ha definita propriamente il Ministro dell'economia e delle finanze in Commissione bilancio la scorsa settimana, tra un debito che cresce ed una ricchezza che si riduce, tra un deficit che aumenta ed un prodotto interno lordo che invece per effetto della crisi si contrae. Tale asimmetria fotografa lo spostamento di una crisi internazionale dal privato al pubblico. Mentre l'Europa, mentre gli Stati facevano la guardia al «bidone», alle loro economie finanziarie pubbliche, la crisi nasceva nell'ambito privato, ed aveva poi ripercussioni sul pubblico.
All'interno di questo quadro la scelta che è stata compiuta è stata di portata storica: quella di uno stop ciclico alla spesa pubblica.
E all'interno di questa determinazione si è deciso di non intervenire sulla pressione fiscale, con l'eccezione, unica a livello europeo, dell'Inghilterra (che peraltro è intervenuta sull'imposta del valore aggiunto, che con l'intervento del Governo inglese raggiunge un livello simile a quello italiano), ma di operare una lotta importante all'evasione e di operare tagli nelle pubbliche amministrazioni. Responsabilità è stata chiesta ai lavoratori (che hanno risposto con grande senso della stessa), alle parti sociali (che hanno dialogato e sostanzialmente accolto l'impostazione di massima della manovra), agli enti locali, e alle regioni è stato chiesto un sacrificio importante, considerando anche - come giustamente sottolineava lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze - che in passato a fronte di altre manovre alle regioni sono stati chiesti in proporzione meno sacrifici.
Quindi si tratta di una manovra con un ampio spettro di ricadute, una manovra che ha tra i suoi elementi centrali quello dell'intervento sul sistema pensionistico, sul sistema previdenziale. Si tratta di una manovra che ha visto, da un lato, la responsabilità importante del Governo, che ha attivato prima di ogni altro Paese un meccanismo di intervento sui conti pubblici, e, dall'altro, un'adesione responsabile dei lavoratori e delle parti sociali. La stessa responsabilità, purtroppo, non si è potuta riconoscere in tanti spezzoni dell'informazione e in tanti settori della politica, che invece in occasione di questo provvedimento hanno ben pensato di attivare un meccanismo strumentale per nulla aderente al contenuto, alla realtà e al merito della manovra stessa.
Ci tenevo a sottolineare brevemente alcuni di questi elementi, perché credo che possa essere utile in questa discussione sulle Pag. 84linee generali confrontarsi al di là di quello che è il canovaccio classico di qualsivoglia manovra in questo Parlamento: mi riferisco alla enunciazione di scelte spesso difficili e sofferte da parte di chi sta al Governo e a interventi ispirati ad un «benaltrismo», che può essere spesso e volentieri di maniera, per cui a fronte di poche risorse e di scelte importanti da dover fare e di decisioni (in qualche modo sofferte) che comportano sacrifici in periodi non di vacche grasse, il segnale di una responsabilità manifestata in diverse occasioni rispetto a questa manovra dalle parte sociali e dai lavoratori credo vada sottolineato, anche in questa sede, con altrettanto senso di responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Micheli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante PAOLA DE MICHELI. Signor Presidente, non mi soffermerò sui numeri di questa manovra perché prima di me lo hanno fatto molto bene i colleghi Misiani, Vannucci, e non entrerò nemmeno nel merito preciso e puntuale di tutte quelle che sono state le proposte emendative del gruppo del Partito Democratico, perché nel suo complesso sono state illustrate dal nostro collega Baretta questa mattina. Vorrei provare a fare con voi un tentativo di riflessione che parte da questa manovra e che prova ad individuare un pezzo di strada che sarebbe bello, per il Paese e per noi, poter fare insieme.
In questi mesi, in questi ultimi giorni in particolar modo, si è parlato molto di Europa. L'Europa ci chiede la manovra, ci chiede di fare interventi di rigore sul bilancio pubblico. In realtà l'unico vero riferimento europeo per la riflessione che dovremmo fare, secondo me, valido nel dibattito di questi giorni (dibattito purtroppo sempre troppo limitato in queste stanze) è quello sul confronto tra le politiche di rigore e le politiche di crescita, che in alcuni casi qualcuno - anche dalla maggioranza - ha tentato di mettere in contrapposizione. Anche le testate giornalistiche internazionali europee hanno organizzato forum molto interessanti di approfondimento su questo tema, cioè se possa esistere un modello economico nuovo per l'Occidente nel quale il rigore si possa sposare con la crescita.
Il modello di sviluppo dell'Europa è sicuramente, quindi, l'elemento chiave di un serio approccio e di un serio approfondimento in merito alle politiche economiche anche del nostro Paese. Anche noi democratici siamo convinti che l'eccesso di debito pubblico determini un rischio serio sui mercati e, quindi, un rischio di stabilità finanziaria. Anche noi siamo convinti che, in tutta Europa, l'antico modello di deficit spending sia fuori dalla storia. È inutile l'accusa che la maggioranza ci rivolge di avere ancora in testa questi modelli arcaici. Non solo ne siamo convinti, ma, quando abbiamo governato, abbiamo attuato coerenti politiche di rigore che, purtroppo, ci sono costate moltissimo sul piano del consenso.
Esiste, però, oggi, un altro modello possibile, soprattutto per quei Paesi - e l'Italia, a mio avviso, ne è il capofila - che non hanno mai affrontato seriamente le questioni nodali del profilo economico del Paese nel suo complesso. Il modello sul quale avremmo voluto ragionare con voi è quello che ridisegna i confini dello Stato sul piano funzionale e di conseguenza, come conseguenza, anche su quello fiscale. Per ridurre principalmente il deficit e, quindi, questa produzione a ciclo continuo di nuovo debito (ricordo all'onorevole Baldelli che, comunque, anche se questa manovra dovesse andare a buon fine, si continuerà a produrre deficit, nell'ipotesi dei vostri conti 40 miliardi, che dovrà essere alimentato dal debito pubblico), occorre intervenire sul modello di pubblica amministrazione, ridefinendo seriamente - e non come è stato fatto con l'ultimo Codice delle autonomie che è stato frettolosamente liquidato qualche settimana fa da quest'Aula - funzioni e modalità di intervento, nella società, dello Stato a tutti i suoi livelli istituzionali.
Tutto questo non lo avete fatto, ma ciò che è peggio ho il sospetto che non lo Pag. 85vogliate fare o, addirittura, peggio ancora, esiste un modello alternativo: italiani, arrangiatevi, tanto siete bravi e belli e si salvi chi può. Noi non la pensiamo così; noi, invece, non senza molte fatiche, anche al nostro interno, abbiamo costruito e abbiamo chiaro un percorso in testa, un modello nuovo di Stato che, su più provvedimenti, abbiamo cercato di proporvi in via emendativa.
Ci avete, invece, proposto dei tagli lineari, già di antico fallimento (dagli anni Ottanta in poi non si è mai vista una politica economica che abbia avuto successo, soprattutto se l'obiettivo era quello del rigore, attraverso l'utilizzo di questo strumento), tagli lineari, peraltro, tutti scaricati su chi poco può opporre e che, francamente, ha già dato, come i comuni, le province e anche le regioni. I numeri del contributo che, negli ultimi due o tre anni, hanno dato gli enti locali al risanamento del deficit sono stati illustrati dai miei colleghi, ma è noto che, per esempio, il comparto dei comuni ha di fatto raggiunto il pareggio sul piano del deficit. Inoltre, i tagli lineari hanno evidentemente un effetto recessivo che il Governo stesso riconosce, ipotizzando uno 0,4 per cento in meno di crescita e che, addirittura, per alcuni osservatori particolarmente autorevoli, potrebbe arrivare all'1 per cento.
È un modello, il nostro, invece, che si ispira a qualcos'altro, ossia all'articolo 5 della Costituzione che ci parla dell'autonomia, di sturziana memoria, che è una ricchezza anche sotto il profilo dell'approfondimento culturale, che dovremmo avere più coraggio di riprendere; si ispira al Titolo V perché - lo dico sommessamente - anche noi, su federalismo e autonomia, non abbiamo da imparare niente da nessuno; si ispira alla sussidiarietà, europeamente intesa. Dentro a questa architettura sono contenuti il rigore della spesa pubblica, la liberalizzazione vera dei nostri chiusi mercati interni e il federalismo, quello vero e possibile. Nel nostro modello, lo Stato arretra sull'inutile e destina le risorse sui diritti universali con criteri di efficacia e di efficienza.
Ottanta miliardi di deficit sono insostenibili; a questo dato non si arriva solo con 130 miliardi in meno di ricchezza prodotta a causa di una crisi che ha ragioni esterne al Paese, ma ci si arriva soprattutto con una spesa centrale che, come dimostrano i numeri che ci avete presentato anche nell'ultimo rendiconto, è fuori controllo. Infatti non è sempre e non è bene destinata al bene dei cittadini. È questo il problema che ha oggi il Governo!
Noi avremmo ridisegnato lo Stato sulla base di principi chiari ed inequivocabili e voi invece avete fatto tagli lineari ai territori perché se vi foste cimentati in tagli all'amministrazione centrale probabilmente nessuno, primi fra tutti l'Europa e i mercati, ci avrebbe creduto. Il nostro modello ci avrebbe rapidamente portato a due importanti riforme, quella del fisco e quella federale, che io preferisco chiamare la riforma autonomista. Su questo fronte - deficit, fisco, federalismo -, con questa manovra il Governo si incarta definitivamente: rimane una previsione di deficit a 40 miliardi e sul fisco vi beate di una nuova recrudescenza antievasiva sui piccoli lasciando bellamente gli scudati protetti per i prossimi cinque anni da qualunque controllo. Sul federalismo sperate di rianimare qualche sindaco, qualche buon sindaco, con una pessima copia dell'ICI che non basterà a coprire nemmeno le attuali funzioni dei comuni: figurarsi se ai comuni dovessero essere riconosciute altre funzioni!
Mi soffermo un attimo sul federalismo. In merito alla relazione dell'albero storto vi abbiamo avvisato sul modello fiscale. Quel modello fiscale per comuni, province e regioni porterà ad aumentare le tasse per la negligenza riformista del Governo. È questa la vera stortura dell'albero istituzionale e federale, che invece avremmo voluto far crescere con il Governo e la maggioranza. Di questa stortura, di questo rischio che deriva dalla parte finale della relazione che il Governo ha prodotto sul federalismo fiscale, abbiamo parlato talmente forte che pare che oggi qualcuno l'abbia sentito. Qualcuno chiede l'IVA e l'IRPEF per i comuni perché forse si è Pag. 86reso conto che quell'altra cosa che sta scritta lì non è sufficiente e porterebbe gli amministratori a dover aumentare le tasse. Avremmo voluto, prima di affrontare la riforma fiscale sul federalismo, vedere ridurre la spesa pubblica e gli sprechi veri, non gli emolumenti dei consiglieri comunali. Dicevo che il Governo si è incartato per un'assoluta mancanza di disegno di politica economica e per la totale sordità alle proposte dell'opposizione, che responsabilmente si è messa a disposizione del Paese anche in questo caso correndo qualche rischio di consenso. Lo dico perché, non me lo sono inventato io ma qualcuno che ha vinto il premio Nobel per l'economia è stato dimostrato che al massimo di democrazia e, quindi, al massimo di dibattito pubblico sui problemi di un Paese, corrisponde anche il massimo di sviluppo di crescita del Paese stesso.
L'altra questione che rischia di diventare drammatica è quella del debito pubblico cresciuto di 65 miliardi in 12 mesi nonostante zero interventi per salvare le banche o per salvare aziende e che anche con questa manovra, purtroppo, non smetterà di crescere. È vero - lo riconosco anche alla maggioranza - che di ricette anche in campo internazionale per bloccare la crescita dei debiti pubblici non ne girano poi così tante, ma vogliamo trovare il coraggio di sederci per provare a produrre una soluzione invece di continuare a negare il problema oppure, peggio ancora, tentare di nascondere il problema dei debito pubblico dietro alla verità del basso debito privato che però, a livello europeo e a livello di stabilità dei mercati, in realtà conta molto meno. Ma vi pare possibile che questo fardello venga completamente respinto dal dibattito solo perché non ci sono idee in merito che possono essere spese in termini comunicativi in maniera leggera?
Non mentite agli italiani: in primo luogo non se lo meritano e in secondo luogo non vi crederanno a lungo. Già sulla bugia della crisi che non c'era avete dovuto togliervi la maschera, allora riguardo al debito pubblico, che è veramente una bomba ad orologeria per il nostro Paese, non potete scaricare sul futuro delle generazioni che verranno l'irresponsabilità evidente delle ultime manovre.
Terza e vera questione nodale: la crescita. All'inizio ho parlato della finta - almeno a mio e a nostro avviso - antinomia tra rigore e crescita, due valori che pare non si possano tenere insieme. Se vi è un Paese che invece potrebbe affrontare questo tema in un clima di ragionevole consenso sociale è proprio l'Italia, anzi addirittura in certi momenti il clima sembra un pochettino malato di eccesso di conformismo: non c'è niente per la crescita, niente sull'innovazione, niente sull'export, niente sul fisco per i piccoli e i medi imprenditori, vera spina dorsale del nostro Paese, niente di niente sulla semplificazione, se non quella norma relativa all'apertura delle imprese in un giorno che probabilmente, nel 90 per cento del territorio italiano, risulterà inapplicabile.
Le questioni della crescita, per onestà intellettuale, vengono da lontano nel nostro Paese. Ma sull'innovazione vi è una propensione naturale ad innovare, altrimenti non si spiegherebbe la tenuta di una gran parte della piccola e media impresa italiana, almeno fin qui. Bene, ma se questa propensione è vera, vogliamo provare ad accompagnarla con modelli di credito di imposta che creino automatismi? E non con denari a fondo perduto, che ancora servono solo a sostenere clientele e a gonfiare i faldoni della burocrazia.
Sulle esportazioni (questo è un campo nel quale mi sono personalmente cimentata, penso con discreto successo): gli altri Paesi, nel mondo soprattutto asiatico - è la zona che le previsioni economiche e macroeconomiche ci dicono crescerà di più - non si comportano come noi, dove ciascuno va da solo. Gli altri Paesi conquistano commercialmente le frontiere asiatiche con tutto il loro sistema-Paese, perché vanno ad affrontare queste nuove frontiere con le assicurazioni, le banche, uno Stato organizzato che supporta anche sul piano culturale gli imprenditori e poi con i loro marchi. Da noi invece sulle esportazioni vi è la solitudine più Pag. 87totale: per le grandi imprese qualche aiutino mirato e poi un gran caos di rappresentanze di tutti i livelli istituzionali. Possiamo affrontare - speriamo con il nuovo Ministro dello sviluppo economico, che ci auguriamo a breve venga nominato - la questione della riforma del nostro modello di export?
Sul fisco: non eravate il Governo che avrebbe avuto in mano in poco tempo il combinato disposto della riforma fiscale e del federalismo per - cito testualmente dal vostro programma - «liberare le imprese e i cittadini»? E gli studi di settore? E il «forfaittone»? Invece i grandi evasori li abbiamo scudati e i piccoli rimangono massacrati da una competizione sleale.
Il patto della Prima Repubblica tra la piccola e media impresa e la politica in fondo ci raccontava una storia legata ad una certa tranquillità fiscale in cambio della crescita, ma in assenza di una qualunque politica attiva, che accompagnasse la crescita stessa delle piccole e medie imprese. Ma il mondo di oggi è cambiato: l'unicità delle piccole e medie imprese italiane porta ad individuare gli evasori come il vero competitor sleale interno al sistema ed al mercato italiano e l'esigenza di una nuova politica di accompagnamento alla crescita, senza invadenze da parte dello Stato, ma nemmeno con l'attuale solitudine, è la sfida che ci dobbiamo mettere in testa. Addirittura avevate promesso un'iniziativa che stava cominciando ad avere un discreto successo: il prolungamento della Tremonti-ter. Grandi squilli di trombe, ma anche questo non ci sta dentro a questa manovra. Allora per la crescita avete parlato anche della semplificazione, attaccando violentemente l'articolo 41. Io ho avuto modo di dirlo in tante sedi: di artigiani, di commercianti e di imprenditori ne incontriamo tanti, ma mai nessuno ha attaccato l'articolo 41 per i propri problemi di burocrazia. Noi non viviamo sulla luna.
Il settore pubblico - enti locali e Stato centrale - non paga per colpa del Patto di stabilità. Con riferimento a quest'ultimo, da due anni, vi abbiamo proposto un'alternativa possibile, che faceva bene ai conti pubblici. Sulle questioni relative ai finanziamenti, si prevede solo il fondo perduto e, spesso e volentieri, non si sa nemmeno dove vanno a finire i soldi. La giustizia civile ha un problema non da poco in ordine al sistema delle piccole e medie imprese, con un saldo negativo annuo di 200 mila procedure, che vanno a sommarsi ai 5 milioni di arretrati. Per ottenere un'ingiunzione di pagamento, ci vogliono mesi e mesi e gli imprenditori, di fatto, rinunciano ad esercitare un loro diritto, perché sanno che non verrà mai garantito.
Queste sono le semplificazioni che possono essere realizzate senza provvedimenti di natura costituzionale. Queste, nel breve e nel medio periodo, sarebbero state alcune delle riforme possibili, o almeno, un ragionamento su un modello alternativo, per dare un futuro all'Italia. Tali riforme potevano essere realizzate in dodici mesi, senza, peraltro, incontrare grandissimi ostacoli, perché sono questioni sulle quali il Paese discute da tempo. È necessario trasformare in politiche attive i valori fondanti del nostro patto civile, senza dimenticare valori - che sono stati citati dai miei colleghi - come il merito, l'equità, il sapere e, soprattutto, il lavoro.
Abbiamo parlato di impresa. Vorrei solo segnare un punto di riflessione, sul quale chiederei a quest'Assemblea di tornare quanto prima. La novità di questa crisi, che corre il rischio di soffocare l'Occidente, è il divorzio che si sta consumando tra la crescita, anche laddove potrebbe essere più sostenuta e credibile in Italia, e l'occupazione. A tale proposito, vi è un problema che non era presente negli anni Ottanta e negli anni Novanta: la disoccupazione aumenta, non vi sono politiche attive e, per ora, non vediamo nemmeno all'orizzonte le riforme annunciate dal Ministro Sacconi. Tuttavia, ciò che più mi preoccupa è che non esiste una riflessione rispetto a quello che ho chiamato semplicemente un divorzio.
Con riferimento al futuro, vorrei che le persone della mia generazione continuassero a vivere e ad investire in questo Paese. Ma se vincono sempre le corporazioni, Pag. 88che voglia avranno di investire in questo Paese? Se i dipendenti pubblici, all'interno dei quali si stagliano eccellenze meravigliose, diventano improvvisamente tutti uguali e si deprimono i migliori, uniformandoli verso un modello qualitativo basso; se i più meritevoli, anche se più poveri, non hanno l'opportunità di realizzarsi né di affermarsi, il merito dove sta? Oltre due milioni di giovani non lavorano e sono talmente disillusi che il lavoro nemmeno lo cercano.
Con riferimento al tema dell'equità, questa manovra ferisce e fa del male al cuore delle virtù italiane. Parliamo, spesso, dei vizi - dall'evasione, ai modelli di aggiramento delle regole - ma, invece, in questo Paese, vi è tanta virtù. L'esempio classico che abbiamo fatto in quest'Aula è stato quello legato agli imprenditori che pagano le tasse e ai comuni che si sono impegnati a dare il loro contributo al risanamento del deficit.
Signor Presidente, signor sottosegretario, in questo Paese, c'è sete di giustizia ed è insopportabile per gli onesti vedere vincere i disonesti: quote latte, nessun contributo da parte dei più ricchi, condoni su condoni dove gli onesti vengono annichiliti.
L'altra parola chiave è «sapere». Abbiamo parlato della questione occidentale, che è principalmente una questione culturale: l'identità forte nella quale l'Occidente è cresciuto e si è sviluppato non deve temere di essere conquistata. Ma se viene svenduto il modello culturale sul quale abbiamo costruito le nostre democrazie, allora, giocoforza, si corre il rischio che vincano altri modelli, che tendono a conquistarci.
Alla fine, questo ragionamento culturale si poggia sull'assenza di coraggio, di visione e di prospettiva. Il rischio è di essere sopraffatti prima culturalmente, poi, economicamente e, di conseguenza, sul modello sociale di Stato sociale, da altri modelli culturali che non ci appartengono, perché vengono prima dei diritti che abbiamo già conquistato, e dei doveri che vogliamo rafforzare e ridefinire.
Vi abbiamo proposto di cambiare passo, un nuovo modello di Stato, di ripartizione della spesa, di fisco e quindi di sviluppo. Forse, noi Democratici non saremo campioni, come voi, di comunicazione, ma noi la visione dell'Italia del 2020 ce l'abbiamo, l'Italia che vogliamo per i nostri figli, l'Italia che si riappropria della sua primazia imprenditoriale e industriale, l'Italia che aiuta i suoi giovani a realizzarsi, i suoi anziani ad invecchiare bene e i suoi disabili ad alleviare il dolore di una vita, a volte, drammatica. Noi questa visione del futuro ce l'abbiamo chiarissima, ve l'abbiamo dimostrata con poche chiacchiere e pochi emendamenti ma di grande respiro. Questa visione ve l'abbiamo offerta nella responsabile consapevolezza della difficoltà dei nostri conti pubblici, delle nostre imprese e, in generale, degli italiani. Voi però, sordi e cechi, siete stati gli unici in Europa a rifiutare il contributo dell'opposizione, perseverando nell'errore, ecco questo per voi potrebbe segnare il punto di errore definitivo, per questo Governo questi errori potrebbero rappresentare la parola fine perché sepolto da una montagna di bugie, figlie della paura, di una visione corta, della mancanza del coraggio di dire la verità e di perdere qualche voto corporativo. Sepolto dall'errore dell'arroganza di chi crede, e lo dico alla Bersani, indegnamente, di «sfangarla» sempre con una battuta televisiva; non è così signor sottosegretario, gli italiani chiedono di essere governati con serietà e se non ne siete capaci, sappiate che noi siamo già pronti a farlo, con la nostra visione dell'Italia, per il futuro. Perché state dimostrando che vi manca ciò che noi, sommessamente, invece abbiamo in abbondanza: che è il coraggio. Altro che benaltrismo, onorevole Baldelli, il coraggio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PAOLA DE MICHELI. Signor Presidente, non mi soffermerò sui numeri di questa manovra perché prima di me lo hanno fatto molto bene i colleghi Misiani, Vannucci, e non entrerò nemmeno nel merito preciso e puntuale di tutte quelle che sono state le proposte emendative del gruppo del Partito Democratico, perché nel suo complesso sono state illustrate dal nostro collega Baretta questa mattina. Vorrei provare a fare con voi un tentativo di riflessione che parte da questa manovra e che prova ad individuare un pezzo di strada che sarebbe bello, per il Paese e per noi, poter fare insieme.
In questi mesi, in questi ultimi giorni in particolar modo, si è parlato molto di Europa. L'Europa ci chiede la manovra, ci chiede di fare interventi di rigore sul bilancio pubblico. In realtà l'unico vero riferimento europeo per la riflessione che dovremmo fare, secondo me, valido nel dibattito di questi giorni (dibattito purtroppo sempre troppo limitato in queste stanze) è quello sul confronto tra le politiche di rigore e le politiche di crescita, che in alcuni casi qualcuno - anche dalla maggioranza - ha tentato di mettere in contrapposizione. Anche le testate giornalistiche internazionali europee hanno organizzato forum molto interessanti di approfondimento su questo tema, cioè se possa esistere un modello economico nuovo per l'Occidente nel quale il rigore si possa sposare con la crescita.
Il modello di sviluppo dell'Europa è sicuramente, quindi, l'elemento chiave di un serio approccio e di un serio approfondimento in merito alle politiche economiche anche del nostro Paese. Anche noi democratici siamo convinti che l'eccesso di debito pubblico determini un rischio serio sui mercati e, quindi, un rischio per la stabilità finanziaria. Anche noi siamo convinti che, in tutta Europa, l'antico modello di deficit spending sia fuori dalla storia. È inutile l'accusa che la maggioranza ci rivolge di avere ancora in testa questi modelli arcaici. Non solo ne siamo convinti, ma, quando abbiamo governato, abbiamo attuato coerenti politiche di rigore che, purtroppo, ci sono costate moltissimo sul piano del consenso.
Esiste, però, oggi, un altro modello possibile, soprattutto per quei Paesi - e l'Italia, a mio avviso, ne è il capofila - che non hanno mai affrontato seriamente le questioni nodali del profilo economico del Paese nel suo complesso. Il modello sul quale avremmo voluto ragionare con voi è quello che ridisegna i confini dello Stato sul piano funzionale e di conseguenza, come conseguenza, anche su quello fiscale. Per ridurre principalmente il deficit e, quindi, questa produzione a ciclo continuo di nuovo debito (ricordo all'onorevole Baldelli che, comunque, anche se questa manovra dovesse andare a buon fine, si continuerà a produrre deficit, nell'ipotesi dei vostri conti 40 miliardi, che dovrà essere coperto da debito pubblico), occorre intervenire sul modello di pubblica amministrazione, ridefinendo seriamente - e non come è stato fatto con l'ultimo Codice delle autonomie che è stato frettolosamente liquidato qualche settimana fa da quest'Aula - funzioni e modalità di intervento, nella società, dello Stato a tutti i suoi livelli istituzionali.
Tutto questo non lo avete fatto, ma ciò che è peggio ho il sospetto che non lo Pag. 85vogliate fare o, addirittura, peggio ancora, esiste un modello alternativo: italiani, arrangiatevi, tanto siete bravi e belli e si salvi chi può. Noi non la pensiamo così; noi, invece, non senza molte fatiche, anche al nostro interno, abbiamo costruito e abbiamo chiaro un percorso in testa, un modello nuovo di Stato che, su più provvedimenti, abbiamo cercato di proporvi in via emendativa.
Ci avete, invece, proposto dei tagli lineari, già di antico fallimento (dagli anni Ottanta in poi non si è mai vista una politica economica che abbia avuto successo, soprattutto se l'obiettivo era quello del rigore, attraverso l'utilizzo di questo strumento), tagli lineari, peraltro, tutti scaricati su chi poco può opporre e che, francamente, ha già dato, come i comuni, le province e anche le regioni. I numeri del contributo che, negli ultimi due o tre anni, hanno dato gli enti locali al risanamento del deficit sono stati illustrati dai miei colleghi, ma è noto che, per esempio, il comparto dei comuni ha di fatto raggiunto il pareggio sul piano del deficit. Inoltre, i tagli lineari hanno evidentemente un effetto recessivo che il Governo stesso riconosce, ipotizzando uno 0,4 per cento in meno di crescita e che, addirittura, per alcuni osservatori particolarmente autorevoli, potrebbe arrivare all'1 per cento.
È un modello, il nostro, invece, che si ispira a qualcos'altro, ossia all'articolo 5 della Costituzione che ci parla dell'autonomia, di sturziana memoria, che è una ricchezza anche sotto il profilo dell'approfondimento culturale, che dovremmo avere più coraggio di riprendere; si ispira al Titolo V perché - lo dico sommessamente - anche noi, su federalismo e autonomia, non abbiamo da imparare niente da nessuno; si ispira alla sussidiarietà, europeamente intesa. Dentro a questa architettura sono contenuti il rigore della spesa pubblica, la liberalizzazione vera dei nostri chiusi mercati interni e il federalismo, quello vero e possibile. Nel nostro modello, lo Stato arretra sull'inutile e destina le risorse sui diritti universali con criteri di efficacia e di efficienza.
Ottanta miliardi di deficit sono insostenibili; a questo dato non si arriva solo con 130 miliardi in meno di ricchezza prodotta a causa di una crisi che ha ragioni esterne al Paese, ma ci si arriva soprattutto con una spesa centrale che, come dimostrano i numeri che ci avete presentato anche nell'ultimo rendiconto, è fuori controllo. Infatti non è sempre e non è bene destinata al bene dei cittadini. È questo il problema che ha oggi il Governo!
Noi avremmo ridisegnato lo Stato sulla base di principi chiari ed inequivocabili e voi invece avete fatto tagli lineari ai territori perché se vi foste cimentati in tagli all'amministrazione centrale probabilmente nessuno, primi fra tutti l'Europa e i mercati, ci avrebbe creduto. Il nostro modello ci avrebbe rapidamente portato a due importanti riforme, quella del fisco e quella federale, che io preferisco chiamare la riforma autonomista. Su questo fronte - deficit, fisco, federalismo -, con questa manovra il Governo si incarta definitivamente: rimane una previsione di deficit a 40 miliardi e sul fisco vi beate di una nuova recrudescenza antievasiva sui piccoli lasciando bellamente gli scudati protetti per i prossimi cinque anni da qualunque controllo. Sul federalismo sperate di rianimare qualche sindaco, qualche buon sindaco, con una pessima copia dell'ICI che non basterà a coprire nemmeno le attuali funzioni dei comuni: figurarsi se ai comuni dovessero essere riconosciute altre funzioni!
Mi soffermo un attimo sul federalismo. In merito alla relazione dell'albero storto vi abbiamo avvisato sul modello fiscale. Quel modello fiscale per comuni, province e regioni porterà ad aumentare le tasse per la negligenza riformista del Governo. È questa la vera stortura dell'albero istituzionale e federale, che invece avremmo voluto far crescere con il Governo e la maggioranza. Di questa stortura, di questo rischio che deriva dalla parte finale della relazione che il Governo ha prodotto sul federalismo fiscale, abbiamo preso una posizione talmente forte che pare che oggi qualcuno l'abbia sentito. Qualcuno chiede l'IVA e l'IRPEF per i comuni perché forse si è Pag. 86reso conto che quell'altra cosa che sta scritta lì non è sufficiente e porterebbe gli amministratori a dover aumentare le tasse. Avremmo voluto, prima di affrontare la riforma fiscale sul federalismo, vedere ridurre la spesa pubblica e gli sprechi veri, non gli emolumenti dei consiglieri comunali. Dicevo che il Governo si è incartato per un'assoluta mancanza di disegno di politica economica e per la totale sordità alle proposte dell'opposizione, che responsabilmente si è messa a disposizione del Paese anche in questo caso correndo qualche rischio di consenso. Lo dico perché, non me lo sono inventato io ma qualcuno che ha vinto il premio Nobel per l'economia, ha dimostrato che al massimo di democrazia e, quindi, al massimo di dibattito pubblico sui problemi di un Paese, corrisponde anche il massimo di sviluppo di crescita del Paese stesso.
L'altra questione che rischia di diventare drammatica è quella del debito pubblico cresciuto di 65 miliardi in 12 mesi nonostante zero interventi per salvare le banche o per salvare aziende e che anche con questa manovra, purtroppo, non smetterà di crescere. È vero - lo riconosco anche alla maggioranza - che di ricette anche in campo internazionale per bloccare la crescita dei debiti pubblici non ne girano poi così tante, ma vogliamo trovare il coraggio di sederci per provare a produrre una soluzione invece di continuare a negare il problema oppure, peggio ancora, tentare di nascondere il problema dei debito pubblico dietro alla verità del basso debito privato che però, a livello europeo e a livello di stabilità dei mercati, in realtà conta molto meno. Ma vi pare possibile che questo fardello venga completamente respinto dal dibattito solo perché non ci sono idee in merito che possono essere spese in termini comunicativi in maniera leggera?
Non mentite agli italiani: in primo luogo non se lo meritano e in secondo luogo non vi crederanno a lungo. Già sulla bugia della crisi che non c'era avete dovuto togliervi la maschera, allora riguardo al debito pubblico, che è veramente una bomba ad orologeria per il nostro Paese, non potete scaricare sul futuro delle generazioni che verranno l'irresponsabilità evidente delle ultime manovre.
Terza e vera questione nodale: la crescita. All'inizio ho parlato della finta - almeno a mio e a nostro avviso - antinomia tra rigore e crescita, due valori che pare non si possano tenere insieme. Se vi è un Paese che invece potrebbe affrontare questo tema in un clima di ragionevole consenso sociale è proprio l'Italia, anzi addirittura in certi momenti il clima sembra un pochino malato di eccesso di conformismo: non c'è niente per la crescita, niente sull'innovazione, niente sull'export, niente sul fisco per i piccoli e i medi imprenditori, vera spina dorsale del nostro Paese, niente di niente sulla semplificazione, se non quella norma relativa all'apertura delle imprese in un giorno che probabilmente, nel 90 per cento del territorio italiano, risulterà inapplicabile.
Le questioni della crescita, per onestà intellettuale, vengono da lontano nel nostro Paese. Ma sull'innovazione vi è una propensione naturale ad innovare, altrimenti non si spiegherebbe la tenuta di una gran parte della piccola e media impresa italiana, almeno fin qui. Bene, ma se questa propensione è vera, vogliamo provare ad accompagnarla con modelli di credito di imposta che creino automatismi? E non con denari a fondo perduto, che ancora servono solo a sostenere clientele e a gonfiare i faldoni della burocrazia.
Sulle esportazioni (questo è un campo nel quale mi sono personalmente cimentata, penso con discreto successo): gli altri Paesi, nel mondo soprattutto asiatico - è la zona che le previsioni economiche e macroeconomiche ci dicono crescerà di più - non si comportano come noi, dove ciascuno va da solo. Gli altri Paesi conquistano commercialmente le frontiere asiatiche con tutto il loro sistema-Paese, perché vanno ad affrontare queste nuove frontiere con le assicurazioni, le banche, uno Stato organizzato che supporta anche sul piano culturale gli imprenditori e poi con i loro marchi. Da noi invece sulle esportazioni vi è la solitudine più Pag. 87totale: per le grandi imprese qualche aiutino mirato e poi un gran caos di rappresentanze di tutti i livelli istituzionali. Possiamo affrontare - speriamo con il nuovo Ministro dello sviluppo economico, che ci auguriamo a breve venga nominato - la questione della riforma del nostro modello di export?
Sul fisco: non eravate il Governo che avrebbe avuto in mano in poco tempo il combinato disposto della riforma fiscale e del federalismo per - cito testualmente dal vostro programma - «liberare le imprese e i cittadini»? E gli studi di settore? E il «forfaittone»? Invece i grandi evasori li abbiamo scudati e i piccoli rimangono massacrati da una competizione sleale.
Il patto della Prima Repubblica tra la piccola e media impresa e la politica in fondo ci raccontava una storia legata ad una certa tranquillità fiscale in cambio della crescita, ma in assenza di una qualunque politica attiva, che accompagnasse la crescita stessa delle piccole e medie imprese. Ma il mondo di oggi è cambiato: l'unicità delle piccole e medie imprese italiane porta ad individuare gli evasori come il vero competitor sleale interno al sistema ed al mercato italiano e l'esigenza di una nuova politica di accompagnamento alla crescita, senza invadenze da parte dello Stato, ma nemmeno con l'attuale solitudine, questa è la sfida che ci dobbiamo mettere in testa. Addirittura avevate promesso un'iniziativa che stava cominciando ad avere un discreto successo: il prolungamento della Tremonti-ter. Grandi squilli di trombe, ma anche questo non ci sta dentro a questa manovra. Allora per la crescita avete parlato anche della semplificazione, attaccando violentemente l'articolo 41. Io ho avuto modo di dirlo in tante sedi: di artigiani, di commercianti e di imprenditori ne incontriamo tanti, ma mai nessuno ha attaccato l'articolo 41 per i propri problemi di burocrazia. Noi non viviamo sulla luna.
Il settore pubblico - enti locali e Stato centrale - non paga per colpa del Patto di stabilità. Con riferimento a quest'ultimo, da due anni, vi abbiamo proposto un'alternativa possibile, che faceva bene ai conti pubblici. Sulle questioni relative ai finanziamenti, si prevede solo il fondo perduto e, spesso e volentieri, non si sa nemmeno dove vanno a finire i soldi. La giustizia civile ha un problema non da poco in ordine al sistema delle piccole e medie imprese, con un saldo negativo annuo di 200 mila procedure, che vanno a sommarsi ai 5 milioni di arretrati. Per ottenere un'ingiunzione di pagamento, ci vogliono mesi e mesi e gli imprenditori, di fatto, rinunciano ad esercitare un loro diritto, perché sanno che non verrà mai garantito.
Queste sono le semplificazioni che possono essere realizzate senza provvedimenti di natura costituzionale. Queste, nel breve e nel medio periodo, sarebbero state alcune delle riforme possibili, o almeno, un ragionamento su un modello alternativo, per dare un futuro all'Italia. Tali riforme potevano essere realizzate in dodici mesi, senza, peraltro, incontrare grandissimi ostacoli, perché sono questioni sulle quali il Paese discute da tempo. È necessario trasformare in politiche attive i valori fondanti del nostro patto civile, senza dimenticare valori - che sono stati citati dai miei colleghi - come il merito, l'equità, il sapere e, soprattutto, il lavoro.
Abbiamo parlato di impresa. Vorrei solo segnare un punto di riflessione, sul quale chiederei a quest'Assemblea di tornare quanto prima. La novità di questa crisi, che corre il rischio di soffocare l'Occidente, è il divorzio che si sta consumando tra la crescita, anche laddove potrebbe essere più sostenuta e credibile che in Italia, e l'occupazione. A tale proposito, vi è un problema che non era presente negli anni Ottanta e negli anni Novanta: la disoccupazione aumenta, non vi sono politiche attive e, per ora, non vediamo nemmeno all'orizzonte le riforme annunciate dal Ministro Sacconi. Tuttavia, ciò che più mi preoccupa è che non esiste una riflessione rispetto a quello che ho chiamato semplicemente un divorzio.
Con riferimento al futuro, vorrei che le persone della mia generazione continuassero a vivere e ad investire in questo Paese. Ma se vincono sempre le corporazioni, Pag. 88che voglia avranno di investire in questo Paese? Se i dipendenti pubblici, all'interno dei quali si stagliano eccellenze meravigliose, diventano improvvisamente tutti uguali e si deprimono i migliori, uniformandoli verso un modello qualitativo basso; se i più meritevoli, anche se più poveri, non hanno l'opportunità di realizzarsi né di affermarsi, il merito dove sta? Oltre due milioni di giovani non lavorano e sono talmente disillusi che il lavoro nemmeno lo cercano.
Con riferimento al tema dell'equità, questa manovra ferisce e fa del male al cuore delle virtù italiane. Parliamo, spesso, dei vizi - dall'evasione, ai modelli di aggiramento delle regole - ma, invece, in questo Paese, vi è tanta virtù. L'esempio classico che abbiamo fatto in quest'Aula è stato quello legato agli imprenditori che pagano le tasse e ai comuni che si sono impegnati a dare il loro contributo al risanamento del deficit.
Signor Presidente, signor sottosegretario, in questo Paese, c'è sete di giustizia ed è insopportabile per gli onesti vedere vincere i disonesti: quote latte, nessun contributo da parte dei più ricchi, condoni su condoni dove gli onesti vengono annichiliti.
L'altra parola chiave è «sapere». Abbiamo parlato della questione occidentale, che è principalmente una questione culturale: l'identità forte nella quale l'Occidente è cresciuto e si è sviluppato non deve temere di essere conquistata. Ma se viene svenduto il modello culturale sul quale abbiamo costruito le nostre democrazie, allora, giocoforza, si corre il rischio che vincano altri modelli, che tendono a conquistarci.
Alla fine, questo ragionamento culturale si poggia sull'assenza di coraggio, di visione e di prospettiva. Il rischio è di essere sopraffatti prima culturalmente, poi, economicamente e, di conseguenza, sul modello sociale di Stato sociale, da altri modelli culturali che non ci appartengono, perché vengono prima dei diritti che abbiamo già conquistato, e dei doveri che vogliamo rafforzare e ridefinire.
Vi abbiamo proposto di cambiare passo, un nuovo modello di Stato, di ripartizione della spesa, di fisco e quindi di sviluppo. Forse, noi Democratici non saremo campioni, come voi, di comunicazione, ma noi la visione dell'Italia del 2020 ce l'abbiamo, l'Italia che vogliamo per i nostri figli, l'Italia che si riappropria della sua primazia imprenditoriale e industriale, l'Italia che aiuta i suoi giovani a realizzarsi, i suoi anziani ad invecchiare bene e i suoi disabili ad alleviare il dolore di una vita, a volte, drammatica. Noi questa visione del futuro ce l'abbiamo chiarissima, ve l'abbiamo dimostrata con poche chiacchiere e pochi emendamenti ma di grande respiro. Questa visione ve l'abbiamo offerta nella responsabile consapevolezza della difficoltà dei nostri conti pubblici, delle nostre imprese e, in generale, degli italiani. Voi però, sordi e cechi, siete stati gli unici in Europa a rifiutare il contributo dell'opposizione, perseverando nell'errore, ecco questo per voi potrebbe segnare il punto di errore definitivo, per questo Governo questi errori potrebbero rappresentare la parola fine perché sepolto da una montagna di bugie, figlie della paura, di una visione corta, della mancanza del coraggio di dire la verità e di perdere qualche voto corporativo. Sepolto dall'errore dell'arroganza di chi crede, e lo dico alla Bersani, indegnamente, di «sfangarla» sempre con una battuta televisiva; non è così signor sottosegretario, gli italiani chiedono di essere governati con serietà e se non ne siete capaci, sappiate che noi siamo già pronti a farlo, con la nostra visione dell'Italia, per il futuro. Perché state dimostrando che vi manca ciò che noi, sommessamente, invece abbiamo in abbondanza: che è il coraggio. Altro che benaltrismo, onorevole Baldelli, il coraggio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole De Micheli.
È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.
Siamo in attesa del suo sintetico intervento, prego, Presidente. Anche perché Pag. 89dopo la prova da maratona oratoria dell'onorevole De Micheli, lei deve solo batterla.

ROCCO BUTTIGLIONE. Avevo preparato un breve trattato di millecinquecento pagine ma cercherò di stare nei trenta minuti che mi sono dati dal Regolamento.

PRESIDENTE. Pensavo ci risparmiasse qualche minuto, ma noi siamo puntuali ad ascoltarla.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è opinione comune degli esperti che questa manovra sia sufficiente per ciò che riguarda la quantità e inadeguata per ciò che riguarda la qualità. In altre parole i risparmi e le altre entrate previste sono sufficienti per assicurare la stabilità e far fronte agli impegni europei. Ma la manovra ha un impatto negativo sullo sviluppo e sull'occupazione che può essere valutato intorno a uno 0,5 per cento di crescita in meno. A partire da questo giudizio sarebbe stato possibile svolgere un serio dibattito in Parlamento per migliorare la manovra e alla fine di questo dibattito, un'opposizione responsabile, avrebbe anche potuto astenersi o addirittura votare a favore. Una opposizione responsabile, infatti, sa che la stabilità è condizione della crescita, sa che i sacrifici sono necessari, sa che il Paese ha bisogno, in questo momento, di medicine amare. Una opposizione responsabile quindi, non alimenta nella pubblica opinione l'idea che sia possibile uscire dalle presenti difficoltà senza sacrifici. Il Governo ha però, opportunamente, posto la questione di fiducia e quindi ogni convergenza tra maggioranza e opposizione è diventata impossibile. Come mai dico che il Governo ha posto «opportunamente» la questione di fiducia? In realtà, il giudizio ultimo sulla manovra non è tecnico ma è politico, e se guardiamo al problema in un'ottica politica più generale, il giudizio sulla sufficienza quantitativa della manovra non regge. Giorgio Guglielmo Federico Hegel ha scritto una volta che la quantità si converte a un certo punto in qualità. Noi invece, oggi, diciamo che la qualità si converte in quantità, la cattiva qualità politica della manovra si converte in quantità, in insufficienza quantitativa.
La finalità prima della manovra è quella di rassicurare i mercati, di convincerli che l'Italia continuerà a pagare il suo enorme debito pubblico e che, quindi, vale la pena di continuare a comprare i titoli di questo debito pubblico rinnovandoli alle scadenze. Questo è il compito primario del Ministro dell'economia, e io do atto al Ministro Tremonti di aver assicurato una gestione impeccabile del debito pubblico. Qualunque critica gli si voglia fare - e ci saranno nel prosieguo diverse critiche - questo merito gli va riconosciuto.
Purtroppo, nessuna gestione tecnica del debito pubblico, nessuna manovra quantitativamente adeguata è sufficiente a colmare il deficit di credibilità politica di un Governo percepito come debole, diviso e, quindi, incapace di fare fronte ai propri impegni nel lungo periodo.
Provate a guardare all'Italia con gli occhi di un grande investitore istituzionale straniero: importanti membri del Governo e della maggioranza appaiono coinvolti in preoccupanti vicende giudiziarie di corruzione e anche di camorra; il Ministero dello sviluppo economico è privo da mesi del suo titolare; un altro Ministro è stato nominato e congedato nell'arco di qualche settimana; altre dimissioni importanti sono avvenute o vengono annunciate; si annunciano altri procedimenti giudiziari che potrebbero avere un impatto devastante sugli equilibri politici.
Non basta. La maggioranza è lacerata da un violento conflitto che mette in forse l'esistenza stessa del partito del Popolo della Libertà, che ne costituisce la spina dorsale e politica. Il Capo del Governo lascia trapelare chiaramente la sua insoddisfazione per la manovra, e alimenta voci di un conflitto con il Ministro dell'economia. Questo avviene, probabilmente, per cercare di evitare l'impopolarità che inevitabilmente accompagna misure di austerità. Tuttavia, gli investitori si domandano se il corso di risanamento economico che è iniziato verrà proseguito, e se esista la Pag. 90volontà politica di proseguire su questo cammino. La debolezza politica del Governo rischia di diventare causa di insufficienza per una manovra che, altrimenti, potrebbe essere giudicata positivamente dai mercati.
Spesse volte, parlando della manovra, si dice che essa ci è imposta dall'Europa, oppure anche, che possiamo stare tranquilli perché l'Europa, cioè Ecofin, il Consiglio dei Ministri europei dell'economia, l'ha approvata. Le cose in realtà, non stanno così: anche senza la pressione dell'Europa noi dovremmo ugualmente mettere in ordine i nostri conti, e l'approvazione di Ecofin non sarà sufficiente a salvarci se i mercati avranno la percezione di una nostra debolezza.
Se i risparmiatori non comprano i nostri titoli di debito pubblico, lo Stato italiano fa fallimento. Senza andare ad ipotesi così estreme, e per fortuna improbabili, se i mercati ci chiedono un punto di interesse in più per finanziare il nostro debito pubblico, questo già ammonta all'intero valore della manovra finanziaria. La manovra e la sua debolezza politica vanno poi collocate nel quadro della complessiva situazione europea ed internazionale. È di fatto in corso la rinegoziazione del Patto di stabilità. Alcuni tratti sono stati determinati già nel corso dell'ultimo Consiglio europeo. Per un aspetto si tratta di tornare a Maastricht; in genere si dice che il vincolo europeo ci obbliga a non avere un disavanzo di bilancio superiore al 3 per cento, e su questo presupposto, giornalistico, si fonda anche la vostra manovra che dovrebbe portarci, nell'arco di due anni, ad un disavanzo del 2,7 per cento, se tutto va secondo le previsioni.
In realtà, però, il Trattato di Maastricht dice una cosa diversa: l'obiettivo generale di finanza pubblica è il pareggio di bilancio, un deficit del 3 per cento è tollerato provvisoriamente per fare politiche anticicliche in situazione di crisi, da esso, però, bisogna rientrare. Non saprei dire se ci sarà o meno un'altra manovra a breve, quello che è sicuro, invece, è che l'obiettivo vero del risanamento di bilancio è il pareggio, deficit zero. Questo obiettivo, certo, non ha una scadenza di due anni, e può essere perseguito in un arco temporale più ampio, ma non troppo, tre o quattro anni.
In ogni caso questa manovra di risanamento ci porta solo fino alla metà del cammino che sta davanti a noi. L'osservanza della regola del pareggio di bilancio sarà richiesta con particolare intensità a quei Paesi, l'Italia, che hanno un debito pubblico elevato. È vero che siamo riusciti ad ottenere che non si valuti solo il debito pubblico ma anche il debito privato (che in Italia è ridotto perché gli italiani sono ancora piuttosto una nazione di risparmiatori che di debitori), ma questo tempera solo un poco il rigore che ci verrà chiesto.
Si comincia a parlare anche del fatto che non è possibile che rimangano nella medesima area monetaria Paesi che hanno tendenze diverse di crescita e di competitività. A monte di tutte le grandezze monetarie vi è, infatti, l'economia reale e la vera grande sconfitta dell'Europa è stata la incapacità di realizzare la cosiddetta Agenda di Lisbona, che mirava a fare di quella europea l'economia della conoscenza più sviluppata del mondo. È stato sbagliato il metodo: il cosiddetto coordinamento aperto è insufficiente ed inadeguato. Abbiamo bisogno, semmai, di un coordinamento chiuso, che fissi obiettivi vincolanti ed assegni sanzioni convincenti in caso di inadempimento, come avviene nel caso dell'euro.
Oggi l'Europa ha una moneta comune ma non ha una politica economica comune. Di conseguenza, abbiamo ottenuto l'obiettivo della stabilità della moneta ma non quello della crescita dell'occupazione e dello sviluppo. Si è pensato di sostituire la politica economica comune con una serie di parametri fissi, ma questo non ha funzionato e non poteva funzionare. Anche nel Trattato di Maastricht l'attenzione si è concentrata soprattutto sugli shock asimmetrici, vale a dire sulle crisi che colpiscono uno solo dei Paesi dell'eurogruppo e sui margini di manovra da concedergli per farvi fronte. È anche per questo che siamo stati così sorpresi Pag. 91quando è arrivato uno shock simmetrico che ha colpito, pur se in misura diseguale, tutti i Paesi dell'Unione. Adesso siamo fuori dei parametri e lo siamo tutti, costretti a muoverci in un certo senso a naso. La realtà è più forte dei trattati e ci ha costretti a mettere sotto tutela tutte le economie del continente, elaborando i primi passi di una politica economica comune.
Su questo cammino dobbiamo adesso proseguire e dobbiamo far sentire la voce dell'Italia nel dibattito su questi temi. Non basta, infatti, dire che serve una politica economica comune ma bisogna dire anche come deve essere fatta questa politica economica comune. Il presente modello economico europeo è accentuatamente liberista. Deve esserlo necessariamente, non tanto per una convinzione ideologica quanto perché gli Stati membri hanno perso la loro sovranità economica ma l'Unione non ne ha acquistata una sua propria. Gli Stati non si sono fidati abbastanza l'uno dell'altro e non hanno costruito le istituzioni della politica economica comune. Da qui il primato del mercato e il primato della stabilità sulla crescita.
Occorre adesso stabilire in che modo si arriva a definire un deficit globale europeo, dimensionato in modo tale da svolgere la desiderata funzione anticiclica globale. In linea di principio, tale deficit può essere anche ripartito fra i diversi Stati membri ed è quello che stiamo facendo in questa tornata di leggi finanziarie europee. Sarebbe, però, cosa migliore affidarne la gestione a un'autorità europea, autorizzata ad emettere i titoli di debito pubblico europei (gli eurobond). L'Unione dovrebbe naturalmente ricevere le risorse finanziarie proprie necessarie per i servizi di tale debito.
Nel corso della discussione tra i Governi su questi temi è affiorata una proposta interessante. Tutti stiamo pagando il costo della crisi e le leggi finanziarie che si fanno nei diversi Paesi oggi distribuiscono sacrifici. Una categoria soltanto sembra esente dai sacrifici e sono gli speculatori che con i loro comportamenti hanno provocato la crisi o, almeno, ne hanno approfittato e ne hanno ampliato gli effetti.
Una tassa di modestissimo importo sulle transazioni bancarie non verrebbe praticamente percepita dalla clientela normale, ma fermerebbe potentemente la speculazione che deve operare con enormi capitali presi a prestito a fronte di capitali propri molto ridotti. Essa, inoltre, genererebbe una quantità considerevole di risorse. È stato calcolato che un'aliquota dello 0,01 per cento potrebbe generare risorse per 38 miliardi di euro su base europea, ossia quanto basta per finanziare un debito pubblico europeo di più o meno 600 miliardi di euro, con il quale si potrebbe realizzare un necessario piano per l'occupazione e lo sviluppo, un processo di Lisbona finalmente dotato di mezzi adeguati. L'idea, originariamente del professor Tobin, di recente è stata fatta propria dalla Cancelliera Angela Merkel ed ha ottenuto il consenso del Consiglio europeo. Per la verità, sembra che la signora Merkel intenda destinare il ricavato della tassa non ad un progetto per l'occupazione, lo sviluppo e la competitività, ma ad un fondo di garanzia contro possibili nuove crisi bancarie. A me sembra che sia piuttosto opportuno vincolare le banche ad un aumento delle loro riserve legali piuttosto che incoraggiarle a comportamenti irresponsabili, con la convinzione che in caso di necessità vi sarà un intervento praticamente automatico di un fondo di Stato.
È invece prioritario intervenire per sostenere l'occupazione, lo sviluppo e la competitività. Non si è capito quale sia stata su questo tema la posizione del Governo italiano. Il Capo del Governo ha dichiarato di aver fermato questa iniziativa; essa però è contenuta nel comunicato finale del Consiglio europeo con la firma anche dell'Italia.
Una simile tassa, naturalmente, non può essere istituita dall'Italia: sarebbe troppo facile per la speculazione aggirare le nostre frontiere e svolgersi indisturbata su altre piazze finanziarie compiacenti. Più difficile sarebbe aggirare l'intera Pag. 92Unione europea, se essa dovesse istituire questo prelievo. Certo, la dimensione ottimale sarebbe mondiale. Al G20 non è stato possibile trovare il necessario sostegno, ma di recente il Presidente della Commissione Barroso ha rilanciato l'idea e anche negli Stati Uniti essa sembra guadagnare terreno.
Le politiche economiche europee e mondiali degli ultimi trent'anni sono state dominate dalla ripulsa delle dottrine economiche keynesiane e dalla grande rivincita di von Hayek. Il liberismo di von Hayek e della scuola di Chicago ha portato all'umanità grandi benefici: sotto la sua pressione si sono negoziati gli accordi GATT e si è istituito il WTO. Popoli emarginati dallo sviluppo hanno avuto, in forza del libero commercio, la possibilità di entrare nel circolo della produzione della ricchezza. Queste nuove tendenze hanno fatto per i poveri del mondo molto più che non intere generazioni di terzomondismo. Certo, essere sfruttati dal capitalismo è brutto. C'è solo una cosa ancora più brutta: non essere sfruttati dal capitalismo e vegetare fuori dal circolo mondiale della produzione e del consumo, magari sotto la protezione di regimi socialisti.
Dobbiamo però dire che oggi la spinta propulsiva di quel modello sembra essersi esaurita. La crisi indotta dalla speculazione ha indotto tutti gli Stati ad adottare misure di sostegno dell'economia di sapore vagamente keynesiano, politiche di deficit spending a sostegno dell'economia sono state fatte in misura gigantesca per impedire il fallimento delle banche. È lecito che qualcuno si ponga la domanda: se si può fare per le banche, perché non si può fare per i lavoratori che rimangono senza lavoro?
Un altro elemento che mette in crisi il paradigma liberista nasce dal suo stesso successo. La competizione dei Paesi nuovi mette in difficoltà quelli di più antico benessere. I Paesi nuovi invadono settori a tecnologia medio-bassa, dove tradizionalmente era forte l'Italia. Abbiamo bisogno di ristrutturare la nostra economia per far fronte alla competizione dei Paesi emergenti.
Goetz Briefs ci ha insegnato molti anni fa che vi sono due modi di aumentare la produttività: uno di essi comprime i diritti del lavoro, aumenta i tempi e i ritmi, diminuisce i salari e i benefit, fa crescere gli orari di lavoro e, in questo modo, la condizione dei nostri lavoratori si avvicina a quella dei lavoratori dei Paesi emergenti e il differenziale del costo del lavoro diminuisce.
Vista l'abissale differenza dei punti di partenza, questa via non sembra essere molto promettente, anche se per una fase sarà inevitabile ricorrere anche ad essa, come mostra l'esempio della ristrutturazione FIAT in corso. Gli accordi raggiunti dal sindacato sono una amara necessità cui sarebbe impossibile ed irresponsabile sottrarsi, ma non rappresentano un modello da seguire.
L'altro cammino per incrementare la produttività è porsi al riparo dalla competizione con i Paesi emergenti e investire in conoscenza, fare cose che loro ancora non sanno fare o fare le stesse cose con metodi, procedure e strumenti che essi ancora non sono in grado di maneggiare. Per questo risultato, però, è necessario un potente investimento in educazione e ricerca, oltre che in infrastrutture materiali ed immateriali.
Rimprovero al presente Governo il suo deficit di credibilità politica che minaccia di vanificare i sacrifici che con questa manovra finanziaria vengono chiesti ai cittadini italiani. I mercati non valuteranno solo la quantità della manovra; inevitabilmente gli speculatori si domanderanno: c'è una politica di lungo periodo per il rilancio della produttività? C'è una visione per riposizionare l'Italia nella nuova divisione internazionale del lavoro? C'è l'energia per costruire un nuovo e necessario progetto Paese?
Se la risposta è negativa, allora una manovra, pur quantitativamente adeguata, potrebbe non bastare a salvarci. La speculazione, come il Satana della lettera di San Pietro «tamquam leo rugiens circuit Pag. 93quaerens quem devoret» (si aggira come un leone ruggente alla ricerca di una vittima da divorare). La vittima designata appariva essere, dopo la Grecia, il Portogallo, o l'Irlanda, o la Spagna.
Benché i fondamentali dell'Italia non siano cattivi - sono anzi, a parte il debito, fra i migliori dell'Unione europea - la debolezza politica del Governo ci espone al pericolo. È affiorata di recente la proposta di un Governo di responsabilità nazionale; è affiorata ed è sta rapidamente accantonata.
La maggioranza non vuole riconoscere la propria debolezza aprendo una crisi di Governo e gran parte dell'opposizione si preoccupa della possibilità che il nuovo Governo possa essere guidato dall'attuale capo del Governo. Pochi si domandano: un nuovo Governo per fare cosa? Con quale programma? Con quale prospettiva? Con quale visione? E ancora, è possibile costruire un'azione di Governo che ponga al centro il tema dell'occupazione e del lavoro che è inscindibile da quello della competitività del nostro sistema economico?
Oggi ho cercato di dare un contributo per aprire un dibattito su questi temi, quelli che riguardano non gli equilibri interni della classe politica, ma il bene comune del Paese. Ha detto una volta Giovanni Paolo II: un sistema sociale che non riesce a creare una ragionevole abbondanza di occasioni di lavoro, un sistema in cui chi vuole lavorare ed ha bisogno di lavorare non ha la possibilità di farlo, perde buona parte della propria legittimazione morale (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Buttiglione, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Sereni. Ne ha facoltà.

MARINA SERENI. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, l'esame di questa manovra finanziaria straordinaria segna un'ennesima occasione mancata per il Governo, per il rapporto tra Governo e Parlamento, per il confronto in Parlamento tra maggioranza e opposizione.
Un'occasione mancata sì, poiché la straordinarietà della situazione poteva forse fare imboccare finalmente al nostro Paese la strada di una normale dialettica tra schieramenti e di un confronto costruttivo sulle risposte da dare alla crisi economica e finanziaria in corso. Eppure, il provvedimento prende le mosse da alcuni punti difficilmente contestabili che potevano essere considerati, dal nostro punto di vista, una discontinuità positiva nell'approccio fin qui seguito dal Governo sulla crisi.
Il primo di questi punti: la manovra è indispensabile ed urgente. Condividiamo questo giudizio, anzi abbiamo denunciato da tempo, anche a costo di essere tacciati di catastrofismo, il rischio di una sottovalutazione della portata della crisi sull'economia reale e sugli equilibri della nostra finanza pubblica e, dunque, di un peggioramento del quadro frutto di interventi nazionali non sufficientemente incisivi. Pertanto, ben venga una nuova consapevolezza sulla necessità di politiche di rigore e di severità nei conti pubblici.
Ci sono due dati che danno la dimensione del problema che abbiamo di fronte: nel periodo 1994-2007 il rapporto debito-PIL diminuisce di 18 punti; nel solo biennio 2008-2009 lo stesso dato aumenta di 12 punti. Altri colleghi, prima di me, si sono incaricati di sottolineare i dati negativi sulla crescita, la pesantissima recessione che l'economia italiana ha attraversato. Vale solo la pena di ricordare che sono stati adottati nei due anni dall'inizio della crisi innumerevoli provvedimenti di urgenza sull'economia, il cui effetto - come avevamo, ahimè, avvertito - si è rivelato del tutto insoddisfacente a contrastare la caduta della produzione e dei consumi. Pag. 94
La seconda novità di questa manovra è l'individuazione dell'evasione fiscale come una priorità per il nostro Paese. Finalmente, scelta tardiva, ma si potrebbe dire che non è mai troppo tardi. Impossibile per noi non condividere la reintroduzione di misure che, assunte dai Governi del centrosinistra, erano state prontamente smantellate dal vostro Esecutivo. Semmai dobbiamo domandarvi se avete inteso così abbandonare definitivamente la strada dei condoni e se rinuncerete per il futuro a quel messaggio che in questi anni avete in mille occasioni mandato al Paese, teso a sminuire o addirittura a premiare i comportamenti sleali e scorretti sotto il profilo fiscale.
Insieme dobbiamo insistere su un punto per noi essenziale: se si recuperano risorse dall'immenso mare dell'evasione e dell'elusione, sarebbe giusto che almeno una parte di queste risorse tornasse nelle tasche dei lavoratori e degli imprenditori che pagano regolarmente le tasse. Ridurre le tasse ai contribuenti onesti rappresenterebbe il migliore aiuto concreto alla ripresa dei consumi e della crescita economica.
Il terzo punto da cui prende le mosse questo provvedimento - che non saremo certo noi a mettere in discussione - è la dimensione europea della crisi e della stessa manovra. Anche qui si potrebbe commentare «meglio tardi che mai».
Il Governo, che per anni ha criticato l'euro e si è mostrato tiepido, se non scettico, verso il processo di unificazione, si muove, come ha detto il Ministro Tremonti, dentro una matrice europea e avverte della necessità di un più forte coordinamento con i partner dell'Unione anche per il futuro.
Non saremo certo noi a prendere le distanze da un'impostazione che guarda con più convinzione rispetto al passato all'Europa. Semmai vorremmo chiedere al nostro Governo di essere più coraggioso, di battersi per politiche comuni dell'Unione e non per un semplice coordinamento che rischia di consegnare alla sola Germania la responsabilità - nel bene, ma anche nel male - di guidare le prossime scelte economiche e finanziarie su scala europea.
Consentiteci di sottolineare come sia singolare che nel provvedimento che mette l'Europa al di sopra di ogni altro riferimento si scelga di commettere l'ennesimo sfregio alle regole comunitarie, prorogando il pagamento delle multe per le quote latte. Sorge il sospetto di un utilizzo strumentale della matrice europea, quantomeno a geometria variabile, rigida e insormontabile quando si tratta dell'allungamento dell'età pensionabile delle donne nella pubblica amministrazione, flessibile e aggirabile quando riguarda una minoranza di furbetti fra gli agricoltori italiani.
Ho voluto ricordare questi tre punti in premessa (la necessità e l'urgenza della manovra; la priorità della lotta all'evasione fiscale; il richiamo all'ineludibile cornice europea) perché, a partire da questi nodi da noi condivisi, sarebbe stato possibile un dibattito pubblico più consapevole sull'entità della crisi e sulla necessità che sia l'occasione per avviare un cambiamento coraggioso nel nostro Paese.
Purtroppo, non è stato così: le misure che il Governo ha fatto discendere da quelle premesse sono totalmente inadeguate, insufficienti e inique al tempo stesso. Lo spazio per un confronto vero e di merito si è scontrato con la decisione del Governo di apporre la questione di fiducia, annunciandola addirittura in maniera anticipata rispetto all'inizio dell'esame alla Camera.
Nonostante l'indisponibilità del Governo a confrontarsi seriamente con l'opposizione e con le proposte del Partito Democratico noi abbiamo utilizzato tutti gli spazi disponibili per porre quattro questioni di fondo che avrebbero richiesto e richiedono coraggio e riforme. La prima è che l'Italia perde competitività. Fatto 100 il dato della competitività italiana nel 1995, nel 2007 il nostro Paese si attesta a 94,8 per cento, perdendo 5 punti percentuali. Nello stesso periodo la Germania aumenta del 30 per cento e la Francia del 26. Non c'era bisogno di attendere il caso FIAT - ieri a Pomigliano e oggi a Mirafiori - per accorgerci che c'è un problema Pag. 95molto serio di produttività che rischia di indebolire irreparabilmente l'apparato industriale italiano.
Se il Governo non vuole soltanto fare da spettatore o, ancora peggio, scaricare sulle relazioni industriali e sui diritti dei lavoratori questo nodo, occorrerà interrogarsi su quali politiche e strumenti di intervento pubblico possono rispondere alla sfida della competitività nell'economia globale. Nulla in questa manovra si muove nella direzione dello sviluppo e della crescita. Anzi, per ammissione dello stesso Governo, la manovra avrà un impatto recessivo e ciò non potrà che riflettersi negativamente sugli equilibri finanziari.
La seconda questione riguarda i giovani italiani, che vivono in una condizione di straordinaria precarietà: secondo l'ISTAT il 29,5 per cento dei giovani sotto i 25 anni risulta disoccupato, certamente con percentuali diversificate a seconda che guardiamo al nord, al centro o al sud del Paese. Il 79 per cento dei posti persi nella crisi riguardano giovani tra i 18 e 29 anni. Due milioni di ragazzi e ragazze in questo momento in Italia non studiano, non lavorano, non stanno cercando un lavoro: sono come sospesi.
Questo, dunque, sarebbe stato il momento per raccogliere la ferma sollecitazione del Capo dello Stato in occasione della cerimonia del ventaglio «a guardare alla condizione dei giovani e alle troppe debolezze e strozzature del nostro sistema economico e civile che occorre superare per garantire ai giovani un futuro sostenibile e dinamico». Nulla in questa manovra dà il segno di cogliere questa vera e propria emergenza.
Terza questione: la scuola, l'università e il sistema formativo italiano sono per noi dei fattori strategici, sui quali si dovrebbe investire; dopo di me, altre colleghe torneranno su questo tema. Voglio soltanto dire che, in questo momento, è in discussione al Senato un provvedimento sull'università, che, se non si rivedranno i tagli apportati con le precedenti manovre finanziarie, porterà alla crisi di gran parte del sistema universitario pubblico e ad un impoverimento drammatico del nostro patrimonio di sapere e di ricerca, mentre la scuola italiana sta già vivendo una fase di difficoltà estrema per i tagli del recente passato, che, in questo provvedimento, vengono aggravati, in particolare per quanto riguarda la penalizzazione del suo personale.
Infine, è in atto una grande trasformazione demografica, che il Governo sembra scoprire soltanto per quanto riguarda l'età pensionabile, ma poi nega e nasconde, quando si tratta di destinare le risorse necessarie ad un welfare rinnovato, in grado di sostenere le famiglie con bambini o con persone non autosufficienti.
Anzi, il colpo che viene dato con questa manovra ai bilanci di regioni ed enti locali indica il tentativo cinico di trasferire a quel livello il taglio di servizi essenziali ad affrontare le conseguenze della rivoluzione demografica in corso, magari nascondendolo dietro una campagna mediatica sugli sprechi dei governi locali, che è il vero filo conduttore del documento con cui questo Governo vorrebbe avviare il federalismo fiscale.
Ho voluto citare questi quattro nodi, sui quali il Partito Democratico ha concentrato la maggior parte delle sue proposte emendative, indicando una strada, di fatto, alternativa a quella imboccata dal Governo. Per il risanamento serve la crescita, per la crescita servono riforme. A questa sfida il Governo sfugge e si presenta con misure che puntano soltanto a fare cassa, con una manovra ingiusta e inefficace.
È ingiusta perché chiede sacrifici ad una parte di cittadini, ai redditi medio-bassi, mentre ai più ricchi non si chiede sostanzialmente neppure un euro; è ingiusta perché distribuisce i tagli in maniera squilibrata: pochissimo sulle amministrazioni centrali, moltissimo su quelle decentrate, con l'effetto di scaricare sulle famiglie, sui lavoratori e sulle imprese aumenti di tasse o tariffe locali e riduzioni di servizi essenziali, che si avvertiranno già tra qualche mese.
Inefficace perché rinunciataria; non aggredendo alcuno dei problemi strutturali del sistema Italia, questa manovra non Pag. 96sostiene la crescita, non avvia alcuna riforma del fisco e del welfare, non investe su scuola, università e ricerca e non riuscirà a riportare in equilibrio il rapporto debito/PIL.
Nonostante il Ministro Tremonti, ancora qualche giorno fa, abbia negato l'ipotesi di ulteriori interventi correttivi nel prossimo futuro, c'è da temere che questa manovra non sarà l'ultima; si rivelerà insufficiente a mettere davvero in sicurezza i conti pubblici.
Vorrei che un punto restasse agli atti di questa nostra discussione: in un momento di difficoltà e di crisi straordinaria, come quello che stiamo vivendo, è del tutto ragionevole chiedere ai cittadini dei sacrifici. Non è questo il punto che ci divide!
Ci divide il giudizio sulle condizioni di questi sacrifici: noi vorremmo che fossero distribuiti in maniera più giusta, in proporzione ai mezzi e alle ricchezze di ognuno, e vorremmo che fossero dentro una visione strategica, un'ambizione di cambiamento, per rompere rendite di posizione, privilegi, incrostazioni, che rendono il nostro Paese più lento ed arretrato di quanto le nostre risorse di lavoro, cultura ed impresa meriterebbero.
Signor Presidente, concludo con una considerazione tutta politica: la manovra è approdata alla Camera dopo il voto di fiducia del Senato. Prima in Commissione e ora nel dibattito sulle linee generali in Assemblea, in questo ramo del Parlamento, il Partito Democratico ha testardamente portato le sue ragioni, pur sapendo che in nessun modo avremmo potuto modificare il testo, avendo il Governo già deciso di porre la questione di fiducia.
Il collega Marinello, poco fa, ha ammesso e riconosciuto che non v'è stato ostruzionismo da parte dell'opposizione. Una maggioranza forte nei numeri, ma debole nella capacità di Governo, è quanto di peggio possa accadere in una fase di crisi economica e sociale così seria.
L'ennesimo voto di fiducia su questa manovra è emblematicamente una prova di questa situazione, da cui, per l'interesse generale di tutti, sarebbe auspicabile uscire prima possibile, per evitare che il Paese paghi a caro prezzo le divisioni interne al centrodestra e l'incapacità del Governo di fare fino in fondo il proprio mestiere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, i colleghi dell'opposizione hanno già parlato a lungo di questa manovra correttiva, caratterizzata da scelte di iniquità sociale e da assenza di risorse per lo sviluppo.
Per quanto mi riguarda, vorrei concentrare la mia attenzione su due punti in particolare: il primo riguarda le conseguenze di questa manovra sul lavoro, il secondo, le conseguenze di questa manovra sul sistema pensionistico, di cui stranamente si parla assai poco.
Devo dire che, per quanto riguarda in particolare i temi previdenziali, noi dobbiamo denunciare al Paese la gravità di una situazione, nella quale, grazie alle riforme introdotte attraverso un emendamento, come ha ricordato il Ministro Tremonti a Bruxelles, si verrà a creare una situazione insostenibile, soprattutto per le nuove generazioni delle quali giustamente si è parlato nel corso della discussione.
Qual è lo scenario che abbiamo di fronte e con il quale saremo costretti a confrontarci? Sarà uno scenario nel quale, per il futuro del sistema previdenziale, con questi atti del Governo, vedremo la coesistenza del sistema contributivo pieno (per coloro che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1o gennaio del 1996 vige totalmente questo nuovo sistema contributivo per tutto l'arco della vita di lavoro) con l'applicazione triennale dei coefficienti di trasformazione, che verranno rivisti in base all'andamento del prodotto interno lordo (e sarà una revisione sicuramente al ribasso).
Ma tutto questo non basta ed era già previsto dalle precedenti riforme. Avremo - questa è la novità - anche l'adeguamento automatico dell'uscita verso la pensione Pag. 97all'innalzamento dell'attesa di vita, a partire dal 2015.
Si passa in sostanza da un sistema retributivo di vecchia generazione, che dava alcune certezze (all'epoca le lavoratrici e i lavoratori sapevano la data nella quale si poteva andare in pensione e il risultato per quanto riguardava l'assegno pensionistico), ad una nuova situazione, nella quale le giovani generazioni, che sono le generazioni del lavoro discontinuo e del precariato, non sapranno più né quando andranno in pensione, né quanto percepiranno di assegno pensionistico.
Ci troviamo di fronte a una situazione di radicale trasformazione del sistema previdenziale che cancellerà - questa è la mia opinione - la sostanza delle riforme previdenziali realizzate a partire dal 1995 ai giorni nostri, fino agli ultimi atti normativi del secondo Governo Prodi.
Da questo punto di vista è estremamente emblematica e anche preoccupante la dichiarazione del Ministro Tremonti, alla quale facevo prima riferimento. Tremonti, con riferimento alle pensioni, ha appunto detto: «Un'importante riforma delle pensioni è stata fatta passare in Italia con un emendamento, senza che si facesse un solo giorno di sciopero».
Voglio ricordare all'Assemblea ed al Ministro Tremonti che il tema delle pensioni, dal 1968 ai giorni nostri, è stato sempre oggetto di concertazione tra il Governo e le parti sociali e che questo Governo, al di là delle sue dichiarazioni, ha completamente cancellato la concertazione, anche su temi così importanti e sensibili come il sistema pensionistico.
A questo cambiamento di fondo del sistema pensionistico - di cui non si parla in questo Paese ormai assuefatto a cambiamenti che non passano attraverso nessun atto di confronto tra il Governo e le parti sociali e tanto meno con una possibilità di intervento per quanto riguarda il Parlamento, anche perché il sistema della fiducia nega alla radice la possibilità di un confronto approfondito - vogliamo ricordare che si aggiungeranno poi gli effetti della manovra correttiva, che toccano a loro volta le condizioni esistenti.
Si pensi, ad esempio, all'introduzione nella manovra delle cosiddette finestre scorrevoli e al brusco innalzamento fino a 65 anni dell'età di pensionamento per le donne del pubblico impiego. Anche questo particolare è stato spiegato sbrigativamente da questo Governo, come è stata spiegata la manovra: la manovra - è stato detto - ci viene imposta, ma questo Governo dimentica di dire che l'entità di questa manovra è anche il frutto degli errori compiuti da questo Governo che, se avesse risparmiato qualche miliardo (penso all'ICI sulla prima casa tolta ai redditi più alti), forse non sarebbe stato costretto a fare una manovra così pesante e ingiusta.
Anche per quanto riguarda l'innalzamento dell'età di pensionamento delle donne del pubblico impiego è stato detto: è uno stato di necessità, ce lo impone l'Europa; ciò senza ricordare che vi erano altre strade perché l'Europa non ci ha chiesto l'innalzamento dell'età a 65 anni ma l'equiparazione delle condizioni tra uomo e donna nel lavoro, nelle pensioni, nella retribuzione e nella carriera.
A questa impostazione del Governo vi sono alternative? Certo! Noi come Partito Democratico proponiamo delle alternative: riteniamo che si debbano contrapporre a queste proposte delle visioni diverse del problema previdenziale che siano capaci di dare continuità alle riforme a partire da quella del 1995, introducendo correttivi di sistema che siano in grado di mantenere un welfare adeguato per le nuove generazioni ed al tempo stesso un sostanziale equilibrio dei conti.
Non si dica che noi non abbiamo alternative: pensiamo che il punto chiave - e vorremmo confrontarci su questo - sia il recupero per quanto riguarda il sistema pensionistico della flessibilità nell'uscita dal lavoro verso la pensione prevista dalla legge Dini del 1995 e non l'irrigidimento, come sta facendo il Governo sotto traccia, del sistema in gabbie mobili difficili da raggiungere per le nuove generazioni perché continuamente spostate Pag. 98in avanti con un andamento automaticamente collegato all'aumento dell'aspettativa di vita.
Temo che non sia ancora giunta al Paese - probabilmente neanche alla politica in generale - la situazione nella sua gravità e che vi sia da questo punto di vista una grande sottovalutazione.
La nostra proposta come Partito Democratico è quella sempre di recuperare pienamente il concetto di flessibilità e di libera scelta dei lavoratori del momento dell'uscita verso la pensione fondato su regole di base.
Considerando questo ragionamento, l'obiettivo può essere quello di prevedere l'allineamento di tutto il sistema pubblico e privato ad uno standard che contempli l'uscita a partire dai 62 anni di età (che saranno la base di partenza comune sostanzialmente a partire dal 2013 per uomini e donne) fino ad un massimo di 70 anni. Consideriamo l'allungamento dell'aspettativa di vita per andare in pensione, ma ovviamente deve sempre valere un numero di anni minimo di versamenti contributivi. Questa flessibilità potrebbe essere incentivata e disincentivata.
Consideriamo necessario fissare un punto di equilibrio nei 65 anni per tutti? Si tratterebbe allora di prevedere fino a quell'età l'integrale applicazione dei coefficienti di trasformazione. Come tutti sanno, il loro adeguamento triennale porta inevitabilmente ad un abbassamento dell'assegno pensionistico in quanto calcolato in base all'andamento del prodotto interno lordo. Quando nel 1995 i coefficienti furono varati con il sistema contributivo, la stima dell'epoca prevedeva una crescita del prodotto interno lordo su base annua pari al 2 per cento: è chiaro che questo risultato sarà un miraggio per gli anni a venire e, quindi, diminuirà l'assegno pensionistico. Dai 65 anni in poi si può prevedere un incentivo o la sospensione dell'applicazione dei coefficienti per invogliare lavoratori e lavoratrici a rimanere in attività.
Altro elemento portante dev'essere costituito dalla consapevolezza che il sistema contributivo per le nuove generazioni porterà ad un risultato, come ricordato, largamente insufficiente sotto il profilo della remunerazione. Per questo si renderà necessario immaginare per il futuro - non come sta facendo il Governo, e come alcune proposte di legge del Partito Democratico propongono - di fissare uno zoccolo universale di base a carico della fiscalità generale sul quale collocare il sistema contributivo: soltanto in questo modo si potrebbe consolidare l'obiettivo di conseguire un assegno pensionistico pari al 60 per cento dell'ultimo periodo del lavoro, che si presume essere più favorevole, com'era del resto previsto dal Protocollo del 23 luglio 2007.
A questo fine - non come sta facendo il Governo - andrebbero invece per le nuove generazioni, di cui tutti parlano, consolidati strumenti già contenuti in quel Protocollo, che prevedevano ad esempio un riscatto della laurea più favorevole per le famiglie e per i giovani, che si può ancora migliorare, i contributi figurativi pieni, correlati all'effettiva retribuzione nei periodi di disoccupazione ed una totalizzazione di tutti i contributi che dovrebbe essere abbassata al di sotto dell'attuale tetto dei tre anni, con il rischio, stante l'attuale normativa, che i nostri figli, che hanno un lavoro discontinuo, possano disperdere i loro contributi e non arrivare quindi ad un risultato pensionistico soddisfacente.
Le alternative esistono, e sono alternative compatibili, sono alternative di equilibrio nel sistema pensionistico. Accanto a ciò, noi proponiamo anche soluzioni che consentano di considerare particolari categorie svantaggiate: si pensi alle categorie di lavoratori che sono costretti a lavori cosiddetti usuranti, che dovrebbero trovare una loro definizione di uscita anticipata, cioè una delega al Governo, che dovrebbe avere una durata di tre mesi appena riusciremo a concludere l'iter faticoso per quanto riguarda il cosiddetto «collegato lavoro».
Per quanto riguarda le donne, anche in questo caso bisogna prevedere un'uscita anticipata. Abbiamo avanzato delle proposte: per le donne prevedere un anticipo di Pag. 99due anni per ogni figlio, fino ad un massimo di cinque anni, proprio per considerare anche l'importanza del lavoro di cura, o per i lavoratori e le lavoratrici che hanno familiari con gravi disabilità. Ciò rappresenterebbe, da un punto di vista riformatore, un'alternativa concreta per quanto riguarda la possibilità di disegnare una nuova strategia per il futuro del sistema pensionistico, che corre il rischio di essere messo pesantemente in discussione dalle scelte di questo Governo. E quando arriviamo al paradosso di un Ministro, come il Ministro dell'economia e delle finanze, che si vanta di introdurre riforme così delicate con un emendamento, vuol dire che non consideriamo più utile non solo il dialogo sociale ma, come si è visto, anche il confronto parlamentare.
Quindi alternative, flessibilità in uscita, incentivi e disincentivi sopra e sotto la soglia dei 65 anni, la completa parità tra uomini e donne, una pensione di base universale sulla quale costruire il sistema contributivo e l'anticipo pensionistico delle categorie più svantaggiate: tutte proposte che possono costruire un'architettura alternativa per un sistema che guardi alla costruzione di un welfare moderno, capace di tenere insieme equilibrio sociale ed equilibrio dei conti, e non punire ingiustamente coloro che devono andare in pensione.
E ancora, per concludere, in questa manovra noi pensiamo che vi debbano essere alcune attenzioni di carattere prioritario. Abbiamo già parlato della questione pensionistica per quanto riguarda le finestre scorrevoli; ma allora mi domando: nel momento in cui il Governo, con la questione di fiducia, farà passare questo tipo di impostazione, noi dobbiamo subire l'onta, per quanto riguarda i lavoratori che hanno già maturato i quarant'anni di contributi, di vedere anche per loro l'obbligo di aspettare un altro anno, dal momento della maturazione della loro pensione, per poter percepire l'assegno pensionistico? Anche questo è un fatto di profonda ingiustizia sociale.
La seconda questione: di fronte ad una situazione di crisi come l'attuale abbiamo purtroppo in Italia centinaia di casi di accordi di cosiddetta mobilità; in questi accordi di mobilità sono inseriti i lavoratori. Ma come può pensare il Governo di poter soddisfare con diecimila persone in tutta Italia (un plafond di diecimila persone) la possibilità di non sottoporre i lavoratori che sono costretti alla mobilità alle forche caudine della perdita ulteriore di un anno di tempo prima di poter andare in pensione? Quel tetto doveva essere molto più alto, non doveva esistere un tetto. Ma ci stiamo rendendo conto che costringeremmo decine di migliaia di persone, che per anni hanno avuto la cassa integrazione (quindi una retribuzione assolutamente più bassa rispetto a quella normale), e che hanno avuto per almeno tre anni una retribuzione di mobilità (anche essa profondamente più bassa rispetto a quella normale), nel momento in cui avrebbero il diritto di andare in pensione, ad aspettare un altro anno? Si tratta di persone senza lavoro, persone senza indennità, persone che non potranno percepire la loro pensione. Si tratta in questo caso di una grave, profonda iniquità, e non si parli - come farebbe il Ministro Sacconi - di un ulteriore refuso, perché di refuso in refuso noi colpiamo sempre gli stessi, vale a dire i più deboli.
Per quanto riguarda un altro punto, quello del pubblico impiego, voglio ricordare il carattere particolare del blocco della contrattazione. Qualcuno potrà dire: beh, è già stato fatto. Certo, è stato fatto nel passato il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, ma non si era mai verificato il fatto che questo blocco non consentisse, almeno ex post, il recupero di quella contrattazione. Qui siamo all'indennità di contrattazione, che è una bassissima retribuzione che non può compensare assolutamente quella che è la previsione per questi lavoratori, che significa una perdita secca del loro potere d'acquisto.
Ma non è tanto questo il punto sul quale vorrei soffermare la mia attenzione. In una logica di priorità avrei scelto un altro punto che mi sembra estremamente grave, e che non ha secondo me - anche Pag. 100questo - la dovuta attenzione. Nel momento in cui si taglia il 50 per cento dei lavoratori precari della pubblica amministrazione noi sappiamo già qual è la fine di questi lavoratori: ci saranno 140 mila licenziamenti che si aggiungono, e sono giovani precari inseriti nella pubblica amministrazione. Non sono i «fannulloni» di Brunetta, sono quelli che sono indispensabili per far funzionare gli sportelli dell'immigrazione presso le questure, sono quelli che fanno funzionare i piccoli e grandi comuni, sono quelli che ormai, pur avendo un lavoro precario, sono organicamente inseriti nella pubblica amministrazione, e che verranno licenziati. Questi si aggiungono ai licenziati della scuola, e in più bisogna sapere che un miliardo di ore di cassa integrazione consumate nel 2009 (e c'è la replica nel 2010) vuol dire seicentomila persone in cassa integrazione su base annua a otto ore piene, il che vuol dire due milioni di cassintegrati, che non rientreranno tutti nei luoghi originali di lavoro, perché molte fabbriche, molte aziende (sopratutto quelle piccole) hanno chiuso, e altre stanno facendo dei processi di ristrutturazione. In sostanza questa manovra del Governo aggiungerà disoccupazione pubblica alla disoccupazione privata.
Mi sono - per così dire - limitato a considerare la pubblica amministrazione in senso stretto, perché se dovessi considerare il vero elenco (l'elenco dell'ISTAT) dovremmo considerare i potenziali licenziamenti anche di coloro che, ad esempio, lavorano nelle Ferrovie o all'ANAS. Per quanto riguarda un altro punto, i disabili, ne parlerà successivamente l'onorevole Schirru.
Vorrei fare una sottolineatura su un tema, quello delle casse di previdenza private dei liberi professionisti.
Siamo riusciti - c'è stato uno stop and go da parte del Governo - attraverso questa nostra ostinata manovra, che ha cercato di sottrarre le Casse di previdenza privata alle mani di Tremonti, ad esentare queste Casse per quanto riguarda il concorso nel risanamento essendo, appunto, degli istituti di natura privata che hanno una finalità di carattere pubblico. Resta, però, una grande incognita, soprattutto la possibile gravissima ingerenza dei Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro nella gestione dei patrimoni immobiliari e delle risorse economiche da investire nel settore, ora vincolati dal parere preventivo dei Ministeri. Anche questo ci sembra un grave colpo all'autonomia di queste Casse che sono impegnate, ovviamente, ad una previsione di equilibrio nell'arco dei prossimi trent'anni e che hanno dimostrato, in qualche modo, di avere una capacità di andare verso questa previsione. Questi sono i punti che volevo sottolineare.
Concludendo, evidenzio che, al termine della discussione che abbiamo svolto nella Commissione lavoro, i rappresentanti del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori non hanno partecipato al voto conclusivo per due motivi: il primo è di contenuto, ossia la presenza di contenuti estremamente gravi, pesanti, per quanto riguarda l'aspetto sociale di questa manovra e, in secondo luogo, per il metodo, perché è evidente che il Governo, se continua ad andare nella direzione di un utilizzo della fiducia, costringe il Parlamento ad un'attività umiliante, così come umiliante è l'attività all'interno delle Commissioni. Per questo, il nostro giudizio, che stiamo portando al Paese, è profondamente negativo. Non è un giudizio basato su degli elementi astratti, ma su elementi concreti, di valutazione, perché pensiamo - e continuiamo ostinatamente a sostenere - che si poteva fare una manovra diversa. Nessuno mette in discussione la necessità di un intervento...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Damiano.

CESARE DAMIANO. Ho controllato il mio tempo, signor Presidente, sono esattamente 21 minuti che parlo.

PRESIDENTE. Il suo gruppo aveva dato indicazione di segnalarle il tempo dopo 18 minuti. Se, poi, lei vuole, ha a disposizione ancora 7 minuti e 53 secondi. Prego, onorevole Damiano.

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CESARE DAMIANO. Confermiamo, quindi, la nostra opinione che non è fondata su elementi pregiudiziali. Come dicevo, non abbiamo nessuna difficoltà a riconoscere il fatto che vi siano dei saldi di correzione, il problema è da dove si prendono le risorse e in che direzione va l'intervento della manovra. In tutto questo - lo ripeto -, per noi, nel carattere fondamentale della manovra, si evincono due punti: l'ingiustizia sociale da un lato e l'assenza di qualsiasi sforzo per quanto riguarda indicazioni di sviluppo di cui, in questo momento, il Paese avrebbe bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, in primo luogo voglio ribadire ciò che hanno già detto altri colleghi del gruppo. Il Partito Democratico non ha mai messo in discussione la necessità e l'urgenza della manovra economica, ma quello che abbiamo contestato sono i suoi contenuti e, soprattutto, il fatto che l'impianto di questo provvedimento è fortemente contrassegnato da scelte inique e recessive. È una manovra che scarica sui più deboli, sui lavoratori precari, sul pubblico impiego, sul lavoro dipendente e, per quanto riguarda le istituzioni, soprattutto sugli enti locali e sulle regioni, ossia sui servizi sociali, sanitari, scolastici, sui trasporti, sui tagli della spesa e che impoverirà il Paese di ogni prospettiva di crescita e di sviluppo. Tra i più penalizzati ci saranno i ragazzi e le ragazze italiani.
I dati ci dicono che, già nel 2009, il 63 per cento dei posti di lavoro persi riguarda lavoratori con contratto a tempo determinato, collaboratori a progetto, cioè lavoratori precari per lo più ragazzi e ragazze. Nella fascia di età tra i 19 e i 29 anni, la perdita degli occupati ha raggiunto le trecentomila unità, portando così il tasso di disoccupazione giovanile in Italia al 25,4 per cento, una percentuale che è più del triplo del tasso di disoccupazione nazionale, molto al di sopra della media europea. Abbiamo inoltre il primato negativo europeo della dispersione scolastica che si attesta intorno al 25 per cento.
I dati OCSE-Pisa ci consegnano altresì dati allarmanti sia sui livelli di apprendimento dei nostri ragazzi quindicenni, in particolare sulla matematica e sulla lingua. Secondo l'ultimo rapporto dell'ISTAT dal 1983 ad oggi si sono triplicati i ragazzi tra i 30 e i 34 anni che vivono con i genitori a testimonianza di una perdita di autonomia ma anche di una perdita di fiducia senza precedenti nelle giovani generazioni italiane. A questi dati sulla drammatica condizione femminile si aggiungono i dati negativi che riguardano l'occupazione femminile tra i più bassi d'Europa. Abbiamo invece il primato del tasso di invecchiamento più alto d'Europa.
Questi dati in sintesi ci dicono che siamo di fronte ad un Paese sempre più invecchiato senza mobilità sociale che non investe sul proprio capitale fondamentale, quello umano e, in particolare, su quello più innovativo e creativo, sulle intelligenze e sui talenti dei giovani e delle donne e per questo motivo rischia seriamente un declino irreversibile. Non c'è una misura positiva in questa manovra che riguarda le giovani generazioni, le donne e la famiglia. È una manovra difensiva ripiegata sull'oggi e che non è diretta a costruire una nuova prospettiva per il futuro dell'Italia. La crisi con le sue negatività poteva costituire anche un'occasione per affrontare quelle riforme strutturali necessarie per migliorare i fondamentali del Paese. Con una manovra più coraggiosa e ambiziosa si poteva fare appello alle migliori energie del Paese e a tutti gli italiani e le italiane che avrebbero compreso il senso di sacrifici necessari per il bene comune, purché equamente distribuiti e finalizzati a superare da un lato l'emergenza e dall'altra a costruire un Paese migliore, più competitivo, con una nuova prospettiva di crescita e di sviluppo.
La manovra è invece indifferente alle necessità del Paese e fa emergere chiaramente l'incapacità e lo stato di confusione del Governo nella gestione della finanza Pag. 102pubblica e l'assenza di qualsiasi politica economica anticiclica in grado di sostenere le famiglie e il sistema produttivo. Nell'articolato della manovra non vi è traccia di misure di carattere strutturale che garantiscano un duraturo risanamento dei conti pubblici. In particolare alcuni interventi hanno un effetto depressivo sui consumi e riducono la capacità di risparmio delle famiglie, altri hanno un impatto negativo sulle capacità di investimento.
La manovra è recessiva perché aggredisce e depotenzia il fattore fondamentale alla base della crescita economica dei sistemi produttivi e soprattutto tutto il sistema della cultura, della conoscenza e dei saperi. Ancora una volta, come già avvenuto due anni fa con il decreto-legge n. 112, il Governo colpisce mortalmente la scuola, l'università, la formazione, la ricerca e l'innovazione che al contrario dovrebbero essere i motori del rilancio dell'economia e della crescita. Ancora una volta, diversamente da quello che sta avvenendo negli Usa e in altri Paesi europei, il Governo deprime il sistema di istruzione e formazione. Ad esempio, la Germania all'interno di una manovra rigorosissima ha inserito misure di potenziamento dello studio, della formazione e della ricerca introducendo tra l'altro un vincolo per i länder del 10 per cento della spesa destinati a questo fine. In Italia, invece, la manovra colpisce i lavoratori e le lavoratrici del settore mentre inventa la «mini-naja» sprecando 20 milioni di euro che sarebbero al contrario preziosi, se investiti nel sistema dell'istruzione, per elevare la qualità dell'educazione e della formazione dei nostri giovani e dunque per il futuro del nostro Paese.
Il Presidente del Consiglio fino a poche settimane fa ripeteva ai cittadini e alle imprese che la crisi economica era solo alle nostre spalle, che era soprattutto psicologica, che non erano necessari ulteriori interventi per la tenuta dei conti pubblici, per il sostegno dei consumi e della produttività. Tutte le critiche e le preoccupazioni avanzate dal Partito Democratico venivano respinte e bollate di catastrofismo, di pessimismo e di antitalianità. Purtroppo per il nostro Paese la realtà dei numeri e le recenti vicende di questi giorni ci hanno dato ragione e testimoniano che al contrario le preoccupazioni espresse nei mesi scorsi erano fondate.
Non è credibile la tesi che il Ministro Tremonti sta sostenendo per giustificare le sottovalutazioni e i ritardi con cui la crisi è stata affrontata e cioè i fatti contingenti come la speculazione che ha colpito la Grecia e la crisi dei mercati internazionali. Gran parte delle responsabilità è del Governo e della sua ostinata volontà di dipingere una situazione economica e di bilancio assai diversa dalla realtà. Così come nell'aver incoraggiato l'evasione fiscale cancellando i provvedimenti positivi assunti in tale direzione dal precedente Governo. La manovra fa pagare il conto di una gestione superficiale e inadeguata della politica economica e della finanza pubblica del Paese soltanto ad una parte dei cittadini e più che altro ai lavoratori precari, ai giovani, alle donne ai dipendenti pubblici, ai lavoratori prossimi al pensionamento e alle autonomie locali.
Per quanto riguarda in particolare l'istruzione pubblica, l'Italia che uscirà dalla crisi sarà più debole, con una generazione di giovani fortemente deprivata di qualità nella sua formazione e quindi con un grave deficit di conoscenze rispetto ai coetanei degli altri Paesi. Già l'ISTAT ha conteggiato in due milioni i giovani che non studiano, non si formano e non lavorano. Ci troviamo dunque di fronte ad un peso sociale ed economico insopportabile per il nostro Paese.
La manovra altresì non interviene sul sistema produttivo e ci consegna un'Italia senza un chiaro indirizzo di sviluppo industriale, con un tessuto produttivo ridimensionato dalla crisi, in particolare nella componente delle piccole e medie imprese, priva di adeguate risorse finanziarie e di credito, esposta alla concorrenza sempre più aggressiva non solo dei concorrenti tradizionali, ma anche dei nuovi Paesi emergenti, con un mercato del lavoro indebolito e privo di adeguati strumenti di sostegno e riqualificazione per i soggetti che perdono l'occupazione e con una forte Pag. 103distorsione nella distribuzione della ricchezza, a discapito delle fasce più deboli della società.
Nella manovra non vi sono misure per affrontare e contrastare la dinamica di medio periodo prevista per la nostra economia, che è molto modesta e del tutto inadeguata ad affrontare le sfide del nuovo scenario globale e soprattutto a contenere l'aumento dei disoccupati già registrato e previsto per tutto il 2010. Anche i lavoratori della scuola pagano un prezzo carissimo in termini di disoccupazione, a seguito dei provvedimenti già assunti dal Governo e voluti con il decreto-legge n. 112 dal Ministro Tremonti e sostenuti dalla Ministra Gelmini: circa 8 miliardi di tagli alla spesa e oltre 132.000 posti di lavoro in meno. Il sistema scolastico italiano è stato gettato dal Governo in una situazione di estrema precarietà e fragilità, non solamente per l'insopportabile riduzione di risorse destinate determinata dalle ultime finanziarie, ma anche per l'incertezza e la confusione di provvedimenti non preceduti da un periodo di costruzione condivisa con il Parlamento e con il mondo della scuola; penso ai contenuti del cosiddetto piano programmatico ed ai regolamenti attuativi che ne sono seguiti, il cui segno dominante è quello meno, meno, meno: meno ore di scuola, meno discipline, meno docenti e personale non docente, meno tempo pieno, meno tempo prolungato, meno ore di laboratorio, meno inclusione dei bimbi migranti, meno attenzione verso i bambini diversamente abili e verso i bambini in condizioni sociali ed economiche disagiate.
Siamo a fine luglio e non si è ancora proceduto all'attribuzione definitiva degli organici del personale alle istituzioni scolastiche, in particolare sulle classi a tempo pieno nella scuola primaria e sulle scuole superiori. Le iscrizioni alle prime classi delle scuole superiori invece che a gennaio sono state effettuate a marzo, in una situazione di profonda incertezza circa l'offerta formativa e i programmi didattici che potranno essere attivati nel nuovo anno scolastico. È del tutto evidente che il nuovo anno scolastico che inizierà a settembre sarà purtroppo segnato negativamente da questi gravi ritardi, inadempienze e confusione che peseranno sul diritto allo studio di milioni di bambini e di ragazzi e sulle loro famiglie.
Nella manovra si prevedono misure assolutamente inaccettabili per il personale della scuola: si va dal blocco dei contratti e degli scatti di anzianità al congelamento degli stipendi, con l'obiettivo, secondo quanto riportato dalla relazione tecnica, di un risparmio di spesa superiore al miliardo di euro nel triennio 2011-2013. In particolare si prevede che gli anni 2010, 2011 e 2012 non siano utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti. Il blocco degli automatismi stipendiali rappresenterà una notevole perdita in termini economici a regime e per sempre, nel senso che gli effetti si trascineranno negli anni, determinando la modifica delle curve retributive. Si tratta di cifre rilevanti, che vanno ben oltre gli aumenti non ancora ottenuti per i rinnovi contrattuali: alcuni studi hanno quantificato la perdita in 1.823 euro l'anno per un docente di scuola elementare a metà carriera, con un reddito di 23.000 euro l'anno lordi e in 753 euro l'anno per i collaboratori scolastici. L'effetto cumulativo di queste misure sull'arco dell'intera carriera sarà particolarmente penalizzante.
In questo scenario non può essere poi dimenticato l'effetto del blocco sulla contribuzione pensionistica, particolarmente per chi matura il diritto alla pensione nel nuovo regime. Inoltre, al danno del blocco degli automatismi per il comparto scuola si somma il blocco dei contratti collettivi nazionali fino al 2013, senza possibilità di recupero. Questa norma comporterà una perdita media complessiva a fine triennio di circa 1.500 euro.
Per i lavoratori della scuola, l'erogazione dell'indennità di vacanza contrattuale viene rinviata al 2012: la manovra sottrae 420 milioni di euro, già postati in bilancio, che verranno, pertanto, rideterminati e diminuiti. Gli anni 2010-2011-2012 non saranno utili neanche ai fini Pag. 104della maturazione delle posizioni stipendiali e della retribuzione professionale dei docenti, nonché degli incrementi retributivi. Altresì, la carriera del personale viene allungata di tre anni e, fino al 2013, il servizio non è valido neanche ai fini giuridici.
Negli anni 2011-2012-2013, il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifiche dirigenziali, ivi compreso il trattamento accessorio, non potrà superare quello ordinariamente spettante per l'anno 2010. Le voci del salario accessorio, fisso e continuativo, non saranno certe dal 2013.
Le risorse finanziarie vengono automaticamente ridotte in misura proporzionale al numero di personale in servizio e, per effetto dei tagli e dei pensionamenti, una parte di risorse, definite contrattualmente e destinate alla contrattazione integrativa, verrà incamerata dal Ministero dell'economia e delle finanze. A tutto questo, si aggiunge l'elevamento a 65 anni dell'età pensionabile, che riguarderà e colpirà centinaia di migliaia di insegnanti, insieme a tutte le lavoratrici del pubblico impiego.
In questo quadro, la Ministra Gelmini ha più volte negato che con questa manovra vi sarebbero state ulteriori misure penalizzanti sul personale della scuola, segnalando, come risposta positiva in tal senso, la modifica apportata al Senato al testo del decreto-legge. Si tratta della norma che, almeno, lascia nella disponibilità del settore scolastico il risparmio del 30 per cento conseguito con i tagli operati con il decreto-legge n. 112 del 2008 e finalizzato a premiare il merito e lo sviluppo professionale dei docenti e del personale ATA. Per tali risorse, il decreto approvato dal Consiglio dei ministri imponeva un cambio subdolo di destinazione per ripianare i debiti pregressi e finanziare le spese ordinarie delle scuole. Dunque, spese obbligatorie.
La nuova formulazione approvata non dà, comunque, alcuna garanzia circa il recupero delle misure penalizzanti previste sugli stipendi dei lavoratori della scuola. Anche con la nuova formulazione, dunque, si sancisce, in ogni caso, uno scippo: o degli scatti stipendiali, che erano previsti dal contratto, o dei debiti delle scuole, che erano, comunque, da pagare, o del reinvestimento di questi fondi per il miglioramento e la valorizzazione del merito, come era stato promesso e previsto dal decreto-legge n. 112 del 2008.
Sono, poi, particolarmente gravi, anche sotto il profilo etico, le disposizioni che ridefiniscono la procedura di individuazione degli alunni in situazioni di handicap e il riconoscimento del diritto di tali alunni al docente di sostegno. La norma, in particolare, prevede, per l'anno scolastico 2010-2011, un contingente di docenti di sostegno pari a quelli in servizio nell'organico di fatto dell'anno scolastico 2009-2010, a prescindere dal numero di alunni in situazioni di handicap che ne avrebbero il diritto. Il limite imposto all'organico dei docenti di sostegno vanifica, di fatto, la sentenza della Corte costituzionale n. 80 che, nel febbraio scorso, aveva stabilito l'illegittimità costituzionale della norma che fissava il limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno.
Alle misure punitive operate sul personale, si aggiungono gli ulteriori tagli al Ministero, in particolare, alla missione n. 22 «Istruzione scolastica», per un ammontare superiore a 190 milioni di euro nel triennio, con le conseguenti ripercussioni negative sul funzionamento delle scuole.
Noi non ci limitiamo a criticare la manovra: con i nostri emendamenti abbiamo avanzato una vera e propria proposta alternativa basata su tre pilastri fondamentali. Primo: il fisco. Come ho già detto, noi pensiamo che la crisi sia anche un'occasione per avviare riforme strutturali, alcune a costo zero, altre volte a produrre maggiori entrate per lo Stato. Tra queste, è possibile e necessario reimpostare la struttura fiscale del nostro Paese verso una maggiore giustizia sociale.
Non vogliamo più tasse, ma solo una nuova distribuzione più equa. Noi pensiamo che sia giusto che tutti paghino le tasse in proporzione ai propri redditi e tenuto conto della situazione familiare. Pag. 105Noi, come aveva già fatto il precedente Governo Prodi, riteniamo decisiva la lotta, senza se e senza ma, all'evasione fiscale. Per tutto questo, abbiamo presentato degli emendamenti.
Secondo: la spesa corrente. Abbiamo avanzato proposte per mettere in campo misure e interventi più rigorosi ed efficaci, per eliminare gli sprechi nella spesa pubblica a partire dai Ministeri e riequilibrando il peso della manovra tra le strutture dello Stato, le regioni e gli enti locali.
Terzo: la crescita e lo sviluppo. Tra le tante proposte per lo sviluppo, abbiamo avanzato proposte alternative ai tagli per la cultura, la scuola, l'università e la ricerca perché convinti che questi settori siano motori e fattori per la crescita, investimenti decisivi in capitale umano, l'unica materia prima che il Paese possiede.
Mi soffermo in particolare sulla scuola. Abbiamo espresso in più occasioni in Parlamento, sia in Aula che nella sede della VII Commissione permanente (Cultura), la nostra disponibilità a confrontarci con il Governo e con la maggioranza e abbiamo presentato a più riprese le nostre proposte per migliorare, innovare e per affrontare i nodi critici veri del sistema pubblico dell'istruzione in Italia. Ma ci siamo trovati di fronte ad un'assoluta indisponibilità del Governo che ha considerato il settore solo un fattore di risparmio della spesa pubblica e quindi da tagliare in modo indiscriminato. Con vere e proprie campagne mediatiche il Governo in questi due anni ha cercato di occultare i tagli e di spostare l'attenzione dell'opinione pubblica su altri argomenti come, ad esempio, la campagna estiva di due anni fa sul grembiulino, mai diventato oggetto di un provvedimento; altre volte attivando vere e proprie campagne mediatiche condite da provvedimenti ideologici come quello sul maestro unico, bocciato dalle famiglie italiane, il voto in condotta, il ritorno ai voti numerici, l'esaltazione delle bocciature, presentati come panacee per risolvere i mali della scuola italiana. Misure che invece producono solo l'effetto di bloccare ancora di più l'ascensore sociale del nostro Paese perché continuano a penalizzare i bambini e i ragazzi per la loro condizione sociale, economica e di salute di partenza e non, come si vuole far credere, per premiare il merito ed il talento. Di ben altro ci sarebbe bisogno per fare in modo che i nostri giovani possano acquisire quei livelli alti di saperi e di competenze necessari per competere nell'era del mondo globale e della conoscenza. Noi crediamo che occorra in primo luogo considerare l'istruzione, la formazione e la ricerca una leva fondamentale della crescita e dello sviluppo per il futuro del nostro Paese. Secondo noi è fondamentale: innovare la didattica; integrare i saperi e il saper fare; collegare l'offerta formativa al territorio e al sistema produttivo; definire organici funzionali e attivare programmi di formazione permanente dei docenti; determinare condizioni di pari opportunità e premiare il merito; rafforzare la scuola pubblica di tutti e di ciascuno; garantire la sicurezza degli edifici scolastici; realizzare lo snellimento, la sburocratizzazione e la semplificazione del Ministero e degli uffici statali decentrati; puntare sulle istituzioni scolastiche assicurando loro finanziamenti adeguati e certi per far decollare l'autonomia scolastica; attivare un sistema di valutazione e di autovalutazione capace di affiancare e sostenere le scuole con l'obiettivo di migliorare i risultati di apprendimento dei ragazzi e di portarli a conseguire risultati sempre più alti sino all'eccellenza; realizzare un vero e proprio patto educativo fra le scuole, le famiglie e gli studenti. Riteniamo molto importante dunque l'attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione. La poca chiarezza e il mancato riconoscimento reciproco dei ruoli che spettano, rispettivamente, alle istituzioni scolastiche autonome, agli enti locali e allo Stato, impedisce una governance condivisa ed efficace così come previsto dalla Costituzione in materia di istruzione ma bloccata purtroppo dalla mancata intesa tra il Ministero e la Conferenza Stato-regioni. Secondo noi è, dunque, più che mai urgente la completa attuazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e che, a supporto di tale autonomia, Pag. 106in attuazione del Titolo V della Costituzione, vengano ridefiniti i ruoli del Ministero e delle regioni, attribuendo a livello centrale...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIA COSCIA. ... compiti fondamentali finalizzati a garantire l'unitarietà e l'alta qualità del sistema scolastico pubblico in ogni luogo del Paese e, a livello regionale e locale, la gestione completa, condivisa e partecipata dagli operatori della scuola, dalle famiglie e dagli studenti delle scuole autonome. Abbiamo presentato degli emendamenti significativi e rilevanti che vanno in questa direzione. Con l'attuazione di queste proposte si potrebbe realizzare un risparmio nel tempo di una grande quantità di risorse pubbliche, si sarebbero così potuti evitare i tagli indiscriminati attivati con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, e le misure ingiuste e vessatorie di questa manovra operata sui lavoratori della scuola.
Per concludere, signor Presidente, la nostra opposizione è certamente di critica radicale alla manovra, ma anche e soprattutto di responsabilità verso l'Italia. Per questo abbiamo avanzato proposte concrete che sono insieme di rigore e di austerità nella gestione del bilancio pubblico ma anche improntate ai principi di equità, di giustizia sociale e di costruzione di una nuova prospettiva di crescita e di futuro del Paese.
Tuttavia, l'ennesimo voto di fiducia impedirà un confronto vero in Parlamento. Noi comunque continueremo la nostra battaglia di opposizione, ad essere in sintonia con i bisogni e le aspettative dei cittadini italiani, per costruire una nuova prospettiva per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ghizzoni. Ne ha facoltà.

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, da qualche giorno alcuni docenti e ricercatori hanno posto in calce alle proprie e-mail la dichiarazione che il Ministro Gelmini pronunciò per commentare la manovra il giorno stesso della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
La Ministra Gelmini disse: «È una manovra coraggiosa e indispensabile per contenere la spesa, una manovra che garantisce equità, sviluppo e crescita, le promesse del Presidente Berlusconi sono state confermate; sono stati tutelati i ceti deboli, non ci sono tagli per pensioni, sanità e scuola, non ci sono tagli per i centri di ricerca e per il fondo per l'università; le infrastrutture del sapere del nostro Paese sono state salvaguardate».
La scelta di questi docenti e ricercatori è quella, quindi, di poter avere sempre sotto gli occhi, quando lavorano al personal computer, la distanza siderale tra gli annunci di chi ha responsabilità politica di un Dicastero e la deludente realtà della sua incoerente azione.
Con questa dichiarazione il Ministro ha voluto lanciare un messaggio rassicurante, ma infondato, sugli effetti della manovra sui comparti di sua competenza: scuola e università e ricerca.
Evidentemente il Ministro deve aver pensato che è sufficiente la propria parola per convincere che la manovra contiene, davvero, misure di crescita e di equità e non danneggia - come dice la Ministra - le infrastrutture del sapere. Tuttavia, la manovra raccontata dal Ministro non esiste; la realtà è un'altra, scritta nero su bianco, e consegna agli italiani una manovra priva di interventi organici per il futuro nella quale è assente il tratto dell'equità, e che si abbatte sulle retribuzioni dei lavoratori del pubblico impiego come un vero ciclone, e non lascia indenni nemmeno le pensioni perché, a differenza di quanto sostiene il Ministro, la manovra predispone una riforma del sistema previdenziale senza che se ne sia discusso con i cittadini e le parti sociali, come poco fa ha spiegato l'onorevole Damiano.
La collega Coscia, che mi ha preceduto, ha descritto quanto accadrà al comparto scuola e, quindi, mi concentrerò sull'università e sulla ricerca. Pag. 107
Il Ministro sostiene che non sono stati previsti tagli agli enti di ricerca. In effetti sono proprio gli enti di ricerca ad essere stati tagliati ed accorpati ad altre strutture. Si tratta di enti come l'ISPES, l'IAS, l'ISAE, l'EIM, l'ENSE, le stazioni sperimentali dell'industria, l'INCA, l'INSEAN, che non sono sottoposti alla vigilanza del MIUR, ma questo non è un motivo sufficiente perché il Ministro ignori e non stigmatizzi una scelta priva di senso.
Una scelta che determinerà l'interruzione dell'attività di ricerca portata avanti, di solito, in equipe, che pregiudicherà la partecipazione ai programmi europei, disperderà un patrimonio di competenze e un know-how di conoscenze stratificate nel tempo.
La soppressione e l'accorpamento degli enti di ricerca comporta risparmi davvero risibili, come dice la relazione tecnica, e, pertanto, queste misure hanno più il sapore di un vero e proprio attacco al sistema della ricerca pubblica e libera, come attesta in modo esemplare il caso dell'ISAE.
L'ISAE si è sempre occupato di analisi economiche, e lo ha fatto con l'autonomia scientifica e il rigore tipico della ricerca, forse è per questo che recentemente le sue analisi sono risultate sgradite al Ministro Tremonti e, forse, è per questo motivo che le funzioni e le risorse dell'istituto sono state assegnate al Ministero dell'economia e all'ISTAT.
L'intervento sugli enti di ricerca non pare quindi guidato dalla necessità di risparmiare, bensì dalla volontà di comprimere l'autonomia operativa che ne ha caratterizzato fino ad ora l'operato.
Negli enti di ricerca e nelle università lavorano persone, anzi, sono fatti di persone che reggono, sulle proprie spalle, il sistema pubblico della ricerca e del trasferimento della conoscenza; per il Governo, forse, il problema sta proprio qui, nell'appartenenza al sistema pubblico. Del resto, il tratto iniquo della manovra è chiarissimo se pensiamo allo scippo che la stessa dispone a danno delle retribuzioni dei dipendenti della pubblica amministrazione.
Si tratta di una scelta unilaterale ed autoritaria del Governo, che non ha sentito nemmeno il bisogno di imbastire un simulacro di concertazione per condividere la necessità di un patto sociale giustificato dalla crisi.
Il Governo ha scelto, invece, la strada di frugare nelle buste paga dei lavoratori del pubblico impiego, mentre si è guardato bene dall'intervenire sui capitali e sui patrimoni dei cosiddetti «paperoni». Si tratta di un modo irresponsabile di procedere che enfatizza il tratto ingiusto della manovra, fonte di inevitabili tensioni sociali. Ma il Governo attacca il pubblico impiego anche per un altro motivo, ossia per dare una plastica manifestazione al proprio pregiudizio verso ogni segmento del sistema pubblico quali scuole, università, ricerca e sanità, che costituiscono gli ambiti in cui la Costituzione si fa materiale e in cui diritti di cittadinanza diventano esigibili.
Vengo ora alle misure che riguardano il sistema universitario e della ricerca. Per i ricercatori, i tecnologi degli enti di ricerca e i dipendenti contrattualizzati dell'università è previsto il congelamento per tre anni, dal 2011 al 2013, delle retribuzioni all'importo percepito nel 2010. È previsto, poi, il blocco dei contratti collettivi nazionali fino al 2013, senza possibilità di recupero. Come il congelamento della retribuzione, anche questa è una misura del tutto inaccettabile, che porta ad una perdita netta e consistente delle retribuzioni. Per i lavoratori contrattualizzati dell'università le stime computano una sottrazione annua che va dai 1.200 euro ai 2.100 per le categorie più alte. Negli enti di ricerca per i lavoratori inquadrati tra il quarto e l'ottavo livello la perdita media va dai 1.400 euro ai 1.070 euro, mentre per i ricercatori e i tecnologi si va dai 1.700 euro ai 5.100 euro, secondo i diversi livelli e le varie fasce di appartenenza.
Altrettanto inaccettabile appare il blocco, per il triennio 2011-2013, degli adeguamenti stipendiali per i professori e per i ricercatori universitari senza possibilità di recupero, che determina la perdita media complessiva nel triennio da Pag. 108cinquemila a duemila euro, a seconda del ruolo e delle classi stipendiali. Bisogna tener conto del fatto che la perdita si trascinerà per tutta la carriera e andrà, di fatto, ad incidere per sempre sulle curve retributive. Ma la conseguenza che più deve attrarre la nostra attenzione è che tali perdite sono particolarmente pesanti perché avvengono all'inizio della carriera, in quanto il blocco colpisce con più durezza proprio gli stipendi più leggeri. Infatti, un ricercatore, non ancora confermato e al primo livello stipendiale, perde fino al 32,7 per cento all'anno. Pertanto, mi chiedo se davvero secondo il Ministro Gelmini questa norma si ispira a quell'equità invocata nella sua dichiarazione. Eppure, si poteva fare davvero meglio e non punire i ricercatori e i docenti con poca anzianità. Lo abbiamo scritto in un nostro emendamento che, ovviamente, non è stato preso in considerazione.
Il blocco poi inibisce l'interpretazione premiale degli scatti stipendiali previsti dalla legge n. 1 del 2009, che pure era stata sostenuta dal Ministro Gelmini, la quale non manca mai, almeno a parole, di invocare la valorizzazione del merito. La manovra, quindi, fa ostruzionismo all'applicazione di norme volute e sbandierate come emblema del Governo e della sua capacità di fare e di premiare il merito. Non è un paradosso ma il frutto di chi ha seminato propaganda. A questo proposito segnalo che al Senato è in discussione - e lo ha richiamato la collega Sereni - il disegno di legge Gelmini sull'università che a parole ha l'ambizione di intervenire sul sistema, valorizzando la valutazione. Ora non entro nel merito del disegno di legge Gelmini, lo farò a tempo debito, ma è vero che il blocco degli scatti stipendiali, insieme ad altre misure comprese in questa manovra su cui mi soffermerò, dimostrano la velleità dell'intervento di riforma che non è supportato da adeguate risorse.
Ma torno ai colpi che la manovra batte sui lavoratori della conoscenza. Tra questi vi è la previsione che nel triennio 2011-2013 le progressioni di carriera e i passaggi verticali non comporteranno alcun giovamento economico ed avranno effetti solo ai fini giuridici. Lo scenario descritto, quindi, è un corposo elenco di perdite nette di retribuzione, di norme odiose ed inique, lesive di diritti, imposte per decreto come se si intervenisse sui sudditi e non sui cittadini. Non mi meraviglia ma mi preoccupa che il Ministro Gelmini nulla abbia da eccepire nei confronti di misure vessatorie che esprimono un chiaro pregiudizio nei confronti di chi oggi tiene in piedi la ricerca e la trasmissione del sapere, cioè di coloro che assolvono ad una funzione pubblica fondamentale per il progresso del Paese. È il segno inequivocabile che insieme allo status sociale del ricercatore e del docente si vuole deprimere e pregiudicare la funzione pubblica da loro assolta.
Ma il Governo non si accanisce solo contro coloro che già lavorano negli enti di ricerca e negli atenei, ma interviene pesantemente anche contro chi ha titoli e legittime aspettative per entrare a far parte della comunità scientifica.
La manovra non lesina, infatti, rigidi vincoli per l'ingresso negli enti di ricerca, poiché per il prossimo triennio limita le assunzioni al 20 per cento delle risorse derivanti dai pensionamenti, fermo restando che non si superi il limite dell'80 per cento delle proprie entrate per spese di personale.
È un netto peggioramento rispetto al regime ora vigente. Siamo di fronte, cioè, a un blocco sostanziale del turnover che determinerà la riduzione di circa mille unità rispetto agli attuali 18 mila ricercatori e tecnologi. Così, mentre altri Paesi investono fortemente nel personale di ricerca in Europa come gli Stati Uniti, la Cina, l'India e il Brasile noi, che già siamo fanalino di coda per numero di ricercatori rispetto alla popolazione attiva, riduciamo ulteriormente la possibilità per i giovani di mettere il proprio talento al servizio della ricerca pubblica per l'innovazione e lo sviluppo del Paese che li ha formati.
Per l'università resta in vigore la previsione di un turnover al 50 per cento delle spese del personale cessato dal servizio, fermo restando che la spesa per il personale non superi il tetto del 90 per cento Pag. 109del fondo di finanziamento ordinario (50 per cento, 90 per cento: è una numerologia complessa). Negli ultimi due anni, complice la costante riduzione del fondo di finanziamento ordinario e la modifica delle norme di valutazione comparativa introdotta dalla legge n. 1 del 2009, ha avuto l'effetto deleterio di chiudere letteralmente le porte in faccia ai giovani, bloccando di fatto anche la copertura dei posti da ricercatore (definiti posti Mussi) ed impedire la progressione della carriera a chi è già dentro all'università.
Si tratta di una politica ottusa che per miope contabilità non permette di compensare i pensionamenti dall'università e dagli enti di ricerca, peraltro accelerati dalle disposizioni della manovra. Non si rallegrino troppo i Ministri Gelmini e Tremonti per quanti hanno affrettato il pensionamento pensando al minor fabbisogno di risorse per il personale; dovrebbero, piuttosto, preoccuparsi del fatto che il combinato disposto dell'accelerazione dei pensionamenti, abbinata al blocco del turnover che impedisce l'immissione di giovani talenti, determinerà un deprecabile depauperamento di competenze e sapere.
Ma davvero pensiamo di poter riagganciare la crescita e lasciarci alle spalle la crisi con il blocco del turnover, cioè senza investire nelle risorse umane per la ricerca di base e applicata e senza mettere i ricercatori nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro con budget adeguati e programmabili e con la tranquillità di un incarico non a termine attribuito con valutazione dei meriti scientifici?
È ben vero che le cronache di questi giorni portano alla ribalta la vicenda di una giovane donna che nella stessa seduta di laurea triennale ha ricevuto un'offerta per salire in cattedra. Si tratta di un episodio che non appaga il diffuso desiderio di veder premiare il talento dei giovani ricercatori, perché molti elementi fanno ritenere che l'offerta sia legata più al cognome della giovane che alla sua maturità scientifica. Piuttosto, è un episodio dell'Italia di oggi che magnifica il potere come grimaldello per spalancare le porte alla carriera universitaria ben più efficacemente dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche e ci impone di riflettere sulla funzione pubblica che gli atenei non statali svolgono nell'ambito della ricerca e della trasmissione del sapere e ancora più ci impone di riflettere sui requisiti etici che sostanziano questa funzione.
Ma per una giovane donna alla quale viene offerta una cattedra sono migliaia quelli che fino ad oggi hanno partecipato alla comunità scientifica da precari, senza diritti e senza tutele. La manovra ha in serbo una sorpresa anche per questi lavoratori: non si tratta, però, di un posto fisso a seguito di una severa valutazione. Questo capiterebbe in un Paese normale; si tratta, invece, del taglio della spesa del 50 per cento per attivare contratti a tempo determinato e di collaborazione coordinata e continuativa da pagare sui fondi di finanziamento ordinario; è una misura deprecabile, depressiva per i livelli occupazionali e per l'attività accademica.
Nell'università si contano 650 contratti a tempo determinato, 12.000 assegnisti e un numero superiore di Cococo e borse di studio, in gran parte a valere sul fondo di finanziamento ordinario. A questi bisogna aggiungere le docenze a contratto. Dal prossimo anno alla metà di questi ricercatori non sarà quindi rinnovato il contratto, con conseguenze gravi sul loro futuro professionale e personale, nonché sul funzionamento delle università stesse che rischiano il depauperamento delle attività di ricerca e della didattica perché ad esse contribuiscono sempre più frequentemente i precari.
Impedire l'attivazione di contratti a tempo determinato non è la strada per contrastare il precariato nelle università che deve essere superato a fronte del talento e del valore con un contratto stabile che preveda tutele e diritti.
Anche gli effetti della norma «taglia precari» riverberano sul disegno di legge Gelmini una luce sinistra, in particolare per quanto riguarda la nuova figura di ricercatore in «tenure-track», cui saranno attivati i contratti a tempo determinato a valere sul Fondo di finanziamento ordinario. Pag. 110
Il combinato disposto della decurtazione dei contratti e l'aumento della retribuzione dei ricercatori in «tenure-track», come previsto dal disegno di legge Gelmini, determineranno un taglio sul numero di posizioni attivabili di circa il 66 per cento. Peraltro, tenuto conto che nel 2009 erano presenti nelle università 652 ricercatori a tempo determinato, un taglio del 66 per cento significa che, a regime, cioè dal prossimo anno, potranno essere attivati per tutto il sistema universitario 210 contratti. Un numero risibile che dimostra come la società della conoscenza sia, per il nostro Paese, una meta irraggiungibile.
Così come il blocco degli scatti stipendiali, anche lo sbarramento al turnover e la decurtazione dei contratti a tempo determinato dimostrano la velleità del disegno di legge Gelmini, che avrà l'effetto quindi di bloccare per anni il reclutamento nelle università italiane se non interverranno importanti modifiche in ordine alle risorse, oltre che alle previsioni ordinamentali.
Il Ministro Gelmini, nella sua dichiarazione, ha fatto riferimento all'assenza di tagli al Fondo di finanziamento ordinario per rivendicarlo come un elemento positivo della manovra. A me viene da fare un'altra considerazione: ci mancherebbe altro che ci fosse un altro taglio al Fondo di finanziamento ordinario, dato che - vi informo, signori - per il prossimo anno al Fondo mancano un miliardo 300 milioni di euro.
Come è stato confermato in quest'Aula dal Ministro Vito, in risposta ad una nostra interrogazione a risposta immediata, mancano per il prossimo anno i 400 milioni recuperati dallo scudo fiscale, i 550 milioni previsti nel triennio 2008-2010 dal Patto Mussi-Padoa Schioppa per l'università ed i 476 milioni sottratti al Fondo di finanziamento per poter permettere l'esenzione ICI ai redditi medio alti. Il decreto-legge n. 93 del 2008 rappresenta un capolavoro di questo Governo appena insediato, un furto ai danni dell'università a vantaggio dei ceti abbienti.
Che il Fondo di funzionamento ordinario stia soffrendo una deplorevole e drammatica carenza di risorse per i prossimi anni è noto a tutti, anche il Governo ne è consapevole, tanto che nei giorni precedenti il varo della manovra era insistentemente circolata la notizia dell'attribuzione al Fondo di finanziamento di 700 milioni di euro per compensare parzialmente i tagli previsti per il prossimo biennio. Purtroppo, nel testo definitivo questa norma non c'è, e allora agli studenti che frequentano l'università, ai ricercatori precari che aspettano un concorso che tarda ad arrivare, ai docenti la cui retribuzione è tartassata dalla manovra e anche a me sorge una domanda: perché le quote latte sì e le risorse per l'università no? Si tratta di scelte politiche che il Governo Berlusconi non vuole evidentemente assumere a vantaggio della conoscenza e del sapere, mentre altri Paesi investono con forza proprio in questi settori.
Con questa finanziaria, quindi, il Governo persevera nella politica delle sottrazioni di risorse al sistema universitario, già condotta nei due anni di legislatura e che proseguirà senza tentennamenti nel prossimo triennio, con la conseguenza di mettere a repentaglio, già per il prossimo anno, l'erogazione delle spese fisse per il personale, oltre che la stessa funzionalità degli atenei. Il sistema universitario è appesa ad un filo che questa manovra non vuole affatto rafforzare ma, al contrario, si dispone a tagliarlo. Siatene consapevoli. Peraltro, il sistema universitario sconta, oltre alla carenza di risorse, l'assoluta inefficienza nel distribuire i finanziamenti a disposizione.
Non so se ne siete a conoscenza, ma vi voglio dire che il riparto del Fondo di finanziamento ordinario non è ancora avvenuto e siamo alla fine di luglio. Che cosa vogliamo dire poi...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, quanti minuti ho ancora?

Pag. 111

PRESIDENTE. Onorevole Ghizzoni, ha ancora due minuti.

MANUELA GHIZZONI. Che cosa vogliamo dire poi dei PRIN? Non sono ancora stati distribuiti quelli del 2008, mentre per il 2009 siamo ancora e solo alla nomina dei garanti. E così, mentre la crisi internazionale avanza e gli altri Paesi, in generale, l'affrontano con investimenti massicci in innovazione, la ricerca italiana è bloccata dall'inefficienza ministeriale nel distribuire le poche risorse disponibili. Questo è il capolavoro del Governo del fare.
Avrei voluto soffermarmi un attimo sui tagli alle missioni, perché mi sembra veramente una norma senza senso e ottusa. Come pensiamo di poter davvero affrontare progetti di ricerca europei e internazionali senza le risorse per le missioni? Evidentemente questa è proprio la norma che esemplifica la mancanza di lungimiranza di questa manovra che confonde il rigore con i tagli lineari, l'investimento con la spesa.
Mi avvio a concludere. L'assenza di un processo di crescita e di sviluppo in grado di dare futuro al Paese attraverso interventi strutturali è proprio il tratto distintivo di questa manovra. Come Partito Democratico abbiamo, invece, avanzato proposte in questo senso come il rifinanziamento del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica che, al contrario, il Governo nella precedente finanziaria ha completamente azzerato, e l'attivazione dei crediti d'imposta per investimenti in ricerca a vantaggio delle piccole e medie imprese.
Ho concluso, signor Presidente, non prima di aver detto che ciò che manca a questa manovra è proprio il futuro, soprattutto perché è una manovra che non crede e non investe nell'istruzione, nella formazione e nel sapere che - lo voglio ricordare in conclusione - è un bene pubblico e una pubblica responsabilità. Quindi, questa manovra deprime la possibilità che tutti noi e soprattutto i giovani possano contribuire al futuro del Paese. Lo denunciamo con nettezza e preoccupazione e lo abbiamo fatto anche due anni fa in occasione dell'approvazione del decreto-legge n. 112 del 2008 (la manovra estiva del 2008). Fummo inascoltati allora e lo siamo oggi, ma non mi arrendo e, anche se incombe la fiducia e il tempo è scaduto, continueremo in ogni occasione a denunciare che tagliare il sapere significa tagliare la speranza e la crescita di questo Paese e non vi permettiamo di farlo a nostro nome (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Strizzolo. Ne ha facoltà.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, credo che il contributo che il Partito Democratico sta dando in Assemblea, nella discussione sulle linee generali, dopo aver svolto un lavoro egregio in termini di proposta nell'ambito della V Commissione (Bilancio), sia finalizzato non alla volontà di svolgere un mero esercizio stanco e rituale, ma alla volontà comunque di contribuire a migliorare questa manovra. Purtroppo, il Governo di centrodestra - con la scelta già annunciata ben prima che la manovra approdasse a Montecitorio - aveva preannunciato la posizione della questione di fiducia negando, quindi, a questo ramo del Parlamento la possibilità di contribuire a migliorare la manovra. Peraltro, pur esprimendo noi un giudizio complessivamente negativo, ciò è avvenuto al Senato e ciò è stato riconosciuto dallo stesso Ministro Tremonti una settimana fa in V Commissione (Bilancio).
Tuttavia, questa possibilità concessa ai colleghi del Senato non è concessa a questo ramo del Parlamento. Questo è un fatto molto grave perché non si tratta di un provvedimento di poca portata, ma di una manovra che inciderà pesantemente nel nostro Paese, soprattutto sulle categorie sociali più deboli e più emarginate. Inoltre, questo provvedimento aumenta ancora di più il grado di iniquità sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista fiscale. Come Partito Democratico, noi vogliamo comunque, attraverso i nostri interventi, esprimere e ribadire alcuni concetti e affermazioni. Pag. 112
Si è più di una volta parlato dall'inizio di questa legislatura di provvedimenti risolutivi da parte del Governo. Questa se non vado errato è la decima manovra finanziaria che questo Governo porta all'attenzione del Parlamento e quasi tutte queste dieci manovre erano state presentate come la soluzione definitiva per stabilizzare i conti pubblici del nostro Paese. Invece, ci troviamo con un debito pubblico che è aumentato. Non lo diciamo per sentito dire, ma sono i dati forniti qualche settimana fa dalla Banca d'Italia laddove si è registrato per il mese di maggio un debito pubblico ad un livello record, mai raggiunto nella storia del nostro Paese, pari a 1.827,1 miliardi di euro con un aumento di 65,8 miliardi, pari al 3,7 per cento dalla fine del 2009 al mese di maggio 2010. Dico questo per sottolineare ancora una volta la natura del debito pubblico.
Siccome spesso in quest'Aula, soprattutto da parte dei colleghi della Lega Nord, si afferma che l'enorme debito pubblico è colpa dei Governi di centrosinistra degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta, questo è vero solamente in parte; l'aumento del debito pubblico si deve anche a chi ha governato questo Paese almeno 10-11 anni degli ultimi 15-16 anni.
Si tratta, perciò, di un'affermazione che respingiamo al mittente, perché anche la Lega Nord fa parte di questa maggioranza; quindi, ogni volta che fanno queste affermazioni, dovrebbero rendersi conto che, implicitamente, rivolgono un'accusa anche a una parte, se non a tutti, degli esponenti del PdL, che a suo tempo erano impegnati nei Governi di centrosinistra tanto vituperati della prima Repubblica.
Fatta questa sottolineatura, siamo molto preoccupati della condizione complessiva di questo Paese, che sta invecchiando, che sta declinando, che da tempo non ha una sua politica industriale. A proposito, siamo ancora in attesa che venga nominato il nuovo Ministro dello sviluppo economico, perché vi sono tante situazioni in giro per l'Italia, ultima la vicenda di Mirafiori. Nelle varie regioni e nei territori vi sono situazioni che attendono un'iniziativa del Ministero dello sviluppo economico.
Cito una realtà che più volte ho portato all'attenzione di quest'Aula: mi riferisco alla Caffaro di Torviscosa, dove vi è un palleggiamento di responsabilità tra il Ministero dell'ambiente e quello dello sviluppo economico; intanto, la cassa integrazione si sta esaurendo per quegli operai e nell'indotto, complessivamente, vi sono quasi mille posti lavoro di mezzo.
Dicevo che vi sono state dieci manovre: mitica quella con cui si approvò una finanziaria, annunciata da Tremonti, che ha portato via ai lavori del Consiglio dei ministri nove minuti e mezzo; un record mondiale, che doveva essere portato ad esempio in giro per l'Europa!
Vi sono stati errori strategici, compiuti in questi due anni: altri colleghi, più volte, hanno ricordato l'errore sull'Alitalia; in quel caso, vediamo che il servizio non solo non è migliorato, ma il costo dei biglietti è aumentato e la concorrenza nel mercato del trasporto aereo in Italia è diminuita. Poi vi è la vicenda dell'ICI, che non solo è stata un'ingiustizia, perché abbattere l'ICI sulla prima casa ai ceti con redditi medio-alti è stato un regalo, peraltro neppure sollecitato da quelle categorie sociali, ma ha pesato e sta pesando ancora oggi sulla finanza locale, colpendo in particolare i comuni.
Dicevo che in questo Paese non vi è una politica industriale, non vi è un'impostazione che veda un'indicazione di medio-lungo periodo. Cito un solo fatto: quante volte, anche in quest'Aula, sui giornali, è stato annunciato un grande intervento. Si parlava, allora, di 800 milioni da investire subito per realizzare la banda larga nel nostro Paese. Signor Presidente, colleghi, mi viene da dire che abbiamo visto che la «banda larga» si è realizzata in altri campi, legati ad un aumento della corruzione e dei fatti criminosi anche da parte di qualche esponente del Governo e della maggioranza. Altro che banda larga che doveva consentire un supporto alle attività economiche e produttive! Pag. 113
Siamo senza Ministro dello sviluppo economico, non vi è ancora il presidente dell'Autorità di vigilanza sulle società quotate, la Consob, in una situazione in cui, evidentemente, non vi è quel grande senso di responsabilità che, invece, non si esita ad annunciare ogni giorno da parte di questo o quell'esponente del Governo. Già altri colleghi hanno parlato della scarsità di risorse destinate agli investimenti sul futuro, cioè la scuola, la ricerca, l'università, i giovani.
Se si pensa, come si è fatto qualche settimana fa, di risolvere il problema della condizione giovanile nel nostro Paese portando in Aula un provvedimento sgangherato come quello istitutivo delle comunità giovanili, bisogna ribadire ancora una volta l'inadeguatezza e l'incapacità di questo Governo di affrontare i problemi veri del Paese.
Procedo solo per flash, per citazioni, ma come si può pensare di dare una mano anche alle piccole e medie attività imprenditoriali e artigianali, impegnate nel settore dell'innovazione, quando per esempio la detrazione fiscale del 55 per cento sugli investimenti per il contenimento energetico si conclude alla fine di quest'anno (e si conclude alla fine di quest'anno, perché l'anno scorso abbiamo fatto una grande battaglia, altrimenti questo Governo avrebbe già chiuso tale misura all'inizio dell'anno)?
Era questa una misura che si autofinanziava e che dava anche la possibilità di realizzare delle assunzioni, di investire in ricerca, di sostenere le attività tecnologicamente avanzate e, tra l'altro, anche di contribuire alla diminuzione delle emissioni di CO2 nell'atmosfera.
Era una linea che dunque funzionava e che sta funzionando, ma si pensa di colpire, con una ritenuta d'acconto del 10 per cento, le piccole e medie imprese. A queste, quando incassano attraverso i pagamenti, giustamente, per la tracciabilità e per le altre cose che tante volte abbiamo ricordato, attraverso il bonifico bancario, si pensa di applicare subito una ritenuta d'acconto del 10 per cento, quando magari la stessa azienda alla fine dell'anno non chiuderà neppure in utile. Sono dunque misure strampalate, che non aiutano il comparto delle attività economiche e produttive, ma che invece creano unicamente problemi, non solo di ordine economico-finanziario, ma anche di carattere burocratico.
Se pensiamo alle attività legate anche al contrasto dell'evasione fiscale, abbiamo avuto la vicenda dello scudo fiscale, che ha rappresentato una misura pesantemente iniqua, soprattutto nei confronti delle persone che pagano puntualmente le tasse in questo nostro Paese e, guarda caso, sono sempre quasi soltanto i lavoratori dipendenti e i pensionati. Si è fatto questo enorme regalo: dovendo pagare mediamente il 43 per cento, a queste persone, con il 5 per cento, si è consentito - mi riferisco a quelli che hanno utilizzato lo scudo fiscale - di risparmiare il 38 per cento.
Sarebbe stato equo e giusto se da parte di questo Governo - lo abbiamo detto anche in Commissione - si fosse chiesto un ulteriore contributo, visto anche che dobbiamo far fronte a una situazione dei conti pubblici pesantemente preoccupante.
Questa manovra, come hanno detto anche altri colleghi del Partito Democratico, prevede una riduzione pesante delle risorse agli enti locali, altro che «non si mettono le mani nelle tasche degli italiani»: i comuni, le province e le regioni saranno costretti a metterle in nome e per conto dello Stato! Anche in questo caso c'è una buona dose non solo di demagogia, ma anche di cinismo nel fare queste affermazioni nei confronti dei cittadini e del sistema delle autonomie locali.
Vi è poi un'altra «balla» colossale che va sgonfiata. Si dice in tutte le sedi che siamo costretti ad assumere questa manovra e a portarla avanti perché l'Europa ce lo chiede e ce lo impone. Ma che gioco è questo? Noi siamo partecipi dell'Unione europea, siamo nel sistema della moneta unica europea e nel sistema dell'euro; è un nostro dovere assumere delle iniziative per dare la garanzia ai mercati internazionali che siamo un Paese con un debito pubblico con i titoli sottoscritti per circa il 50 Pag. 114per cento anche da investitori internazionali, che siamo solvibili e affidabili. Questo è un dovere nostro!
Noi comunque, come hanno detto altri colleghi e ribadisco anche io, diamo un giudizio complessivamente negativo a questa manovra.
Sappiamo però che va fatta una manovra per dare certezza ai mercati internazionali circa il grado di affidabilità dell'Italia, perché l'alternativa è quella di uscire dall'euro con una situazione che sarebbe molto, molto più devastante.
Smettiamola allora di dare sempre la colpa all'Europa: la responsabilità principale è del Governo di questi due anni e non si può neanche più dire che si tratta di un Governo appena entrato in carica cui bisogna dar tempo, perché ormai siamo praticamente a metà legislatura e quindi credo che il Governo non possa più sfuggire alle sue responsabilità.
Per quanto riguarda tutta un'altra serie di questioni, ricordo rapidamente che in questo provvedimento vi sono delle mostruosità. Abbiamo la vicenda della mini-naja: sono circa 20 milioni di euro e quindi non si tratta di una cifra elevatissima, ma, come hanno detto altri esponenti del PD, se questi soldi fossero stati utilizzati nell'università, nella scuola, nella ricerca, si sarebbe fatto altroché e meglio l'interesse delle giovani generazioni per dare loro un sostegno e contribuire a realizzare condizioni migliori per il loro futuro (altro che la mini-naja che, tra l'altro, mi risulta essere contestata anche dagli appartenenti all'Esercito).
Con questa manovra si tagliano poi enti pubblici importanti. Non dico che non serva una razionalizzazione o colpire, ridurre ed eliminare gli sprechi dove esistono, però questo Governo taglia ad esempio un ente come l'ISPESL, un'istituzione deputata a garantire soprattutto migliori condizioni anche nella sicurezza sui posti di lavoro, mentre non ha esitato ad istituire la Difesa Spa (tentando poi di far approvare da quest'Aula anche l'altra società gemella negli equilibri interni alla coalizione, come doveva essere la Protezione civile Spa).
Si tagliano anche altre istituzioni e, a proposito della Difesa Spa, si portano avanti certi programmi ma poi mancano i soldi per fare, ad esempio, un intervento risolutivo sulle fortificazioni della città di Palmanova che è un monumento nazionale (larga parte della responsabilità per la manutenzione delle fortificazioni è in capo al Ministero della difesa, però appunto mancano le risorse).
Si potrebbe continuare così con tantissimi altri esempi. Cito anche un altro aspetto, quello contenuto nell'articolo 41 sull'attrazione fiscale delle imprese: forse l'idea può anche essere buona, però stiamo attenti, perché non so quali simulazioni ed approfondimenti siano stati fatti dal Ministero dell'economia e delle finanze o dal Ministero dello sviluppo economico per capire se attraverso questa misura non rischiamo invece di creare ulteriori difficoltà alle aziende italiane.

PRESIDENTE. Onorevole Strizzolo, la invito a concludere.

IVANO STRIZZOLO. Così come, ad esempio, è passato sotto silenzio al comma 2 dell'articolo 48-bis l'aumento - e concludo - delle spese dei processi civili e amministrativi. Potremmo parlare poi anche di qualche punto di possibile incostituzionalità, come il comma 13-quater dell'articolo 38 laddove si prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (ancora lui e sempre lui!) si possono modificare le aliquote con cui fare i calcoli per definire oneri da porre in detrazione nella dichiarazione dei redditi di alcuni tipi di imprese.
Signor Presidente, e concludo, ne approfitto anche per ribadire quanto riguarda un emendamento che assieme ad altri colleghi avevo presentato in Commissione e che è stato bocciato, che concerneva tra l'altro la possibilità di consentire alla regione Friuli Venezia Giulia di vedere effettivamente corrisposto un credito che è maturato da anni.
Se questo emendamento che è stato bocciato in Commissione non verrà approvato (come ormai pare non possa avvenire Pag. 115come pure per tutti gli altri emendamenti che, con la posizione della questione di fiducia, risulteranno decaduti), si rischia di mettere in difficoltà l'amministrazione di quella regione, che è del centrodestra.
Nel bilancio hanno, infatti, iscritto 450 milioni di introiti da parte dello Stato, mentre attualmente ve ne sono effettivi solo 200; con questo emendamento cercavamo quindi anche di venire incontro alla soluzione di questo problema, che era l'attuazione concreta - e concludo, signor Presidente - del tanto declamato federalismo fiscale. Si tratta di una misura legata ad una compartecipazione erariale dovuta alla regione Friuli Venezia Giulia, allorquando la regione stessa si è accollata l'intera spesa sanitaria: anche da questo punto di vista si predica bene il federalismo fiscale, l'autonomia, la responsabilità delle regioni e degli enti locali, però poi nel concreto si va in una direzione esattamente opposta. Per cui il giudizio non può che essere complessivamente negativo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mariani. Ne ha facoltà.

RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, oltre a giudicare questa manovra priva di prospettiva riguardo alle possibili opportunità di cambiamento, che anche in momenti così duri dal punto di vista economico, finanziario ed occupazionale occorrerebbe intravedere, noi del PD la consideriamo profondamente ingiusta, per gli effetti che produrrà su molte categorie di lavoratori, tra enti locali e regioni, nelle aree del Paese che oggettivamente hanno differenti storie alle spalle, e in un Paese che ha visto salire ancora il debito, fino al 118 per cento, che ha una pressione fiscale di quasi il 43,5 per cento e che azzera l'avanzo primario.
Eravamo avanzati nelle classifiche mondiali per la competitività di 13 punti con i Governi dell'Ulivo, e oggi l'Italia ha perso 21 posizioni ed è al quarantottesimo posto di questa classifica. Noi pensiamo si possa ancora farcela, soprattutto facendo in modo che nel Paese tutti, e sottolineo tutti, si sentano equamente coinvolti dai sacrifici, dagli effetti del rigore nella spesa pubblica.
Molti italiani, tante imprese hanno garantito con il loro risparmio la solidità del sistema bancario. Si dice ormai, come recitando un mantra, che nel nostro Paese il risparmio privato compensa ampiamente lo stato del debito pubblico, e questo non può essere quindi il punto di attacco cui rimandare ogni politica di prelievo diretto o indiretto, salvaguardando rendite di posizione inattaccabili, evitando riforme strutturali, disconoscendo la necessità di regolare, sburocratizzare, controllare.
Tutto il provvedimento che stiamo analizzando è costellato di interventi di taglio che rispondono ad esigenze demagogiche, molto ipocrite, ma che non aiutano certo ad individuare il bandolo della matassa che produca finalmente la riduzione della spesa corrente della pubblica amministrazione, la riduzione delle modalità che hanno portato fuori controllo il bilancio dello Stato.
Altro che politiche non liberali, colleghi: ormai stiamo andando nella diversa direzione, nella direzione antica del mantenimento dei privilegi esistenti. Dovrei citare anche le ultime misure che questo Governo ha proposto, senza possibilità di discutere in Parlamento, circa i meccanismi di alcuni, solo alcuni servizi pubblici locali. Altro che liberalizzazioni: vere e proprie privatizzazioni a favore di gruppi ristretti di imprese! Ma questo è stato l'atteggiamento avuto anche nella partita delle quote di CO2 appena discussa, rispetto al quale l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha richiamato al rispetto delle regole del libero mercato, definendo «aiuti di Stato» le misure così congegnate.
E che dovremmo dire del sistema per le concessioni autostradali, del sistema delle tariffe minime degli autotrasporti, anche oggi criticato dal dottor Catricalà? Delle Pag. 116concessioni idriche, del meccanismo che abbiamo denunciato numerose volte della gestione degli appalti pubblici?
Occorre ripetere che le furberie che hanno organizzato livelli diversi per l'assegnazione di lavori e servizi hanno salvaguardato un numero ridottissimo di imprese, penalizzando fino al rischio di chiusura una buona parte di quelle oneste, che hanno mantenuto oneri burocratici, conseguenze delle lungaggini burocratiche, scarsi aiuti negli investimenti da parte del sistema bancario, senza alcun privilegio pubblico sulle loro spalle.
Oggi la magistratura fa il proprio lavoro, ed il Governo non sente il bisogno di correggere con urgenza meccanismi che hanno prodotto illegalità, privilegi, spesa pubblica fuori controllo. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: con l'alibi della Protezione civile, con la copertura dei grandi eventi sono state autorizzate spese per investimenti fuori da ogni regola di trasparenza e concorrenza. Ma questa che spesa può essere, Ministro Tremonti?
Sia chiara la differenza rispetto alla mole di soldi pubblici impiegati fuori di ogni controllo. Si parla di 13 miliardi di euro investiti con le modalità di cui ho parlato. Lo dice l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, e potremmo dire: altro che spesa degli enti locali. Come spiegheremo a chi si vede sottrarre poche centinaia di migliaia di euro per servizi essenziali dovuti alla comunità che questo è uno Stato giusto, in particolare alle categorie svantaggiate che hanno visto utilizzare il loro status di invalidi - penso agli invalidi veri e non autosufficienti e alle loro famiglie - come obiettivo di un attacco sconsiderato? Si abbia il coraggio di controllare, di verificare, si imponga a chi di dovere di fare il proprio lavoro. I mezzi ci sono, le leggi già esistono, manca la volontà di applicarle. Si chiude un occhio, ma sempre a favore di chi conta qualcosa, di chi ha un privilegio da difendere. Non a caso siamo il Paese che ha il triste primato dell'immobilismo sociale, ma il saldo economico ne risente. Tutto ciò ha un prezzo e non è più accettabile la direzione percorsa.
Avremmo potuto in questo frangente così difficile trovare le ragioni per dare una sterzata, per dimostrare quella responsabilità di cui troppo spesso si richiama l'utilizzo. Se mettere in salvo i conti pubblici è l'obiettivo comune, le opzioni scelte per farlo anche nei settori che approfondirò sono contraddittorie e incoerenti. Coraggio e correttezza avrebbero permesso almeno di evitare tagli lineari ed indiscriminati, ad esempio all'articolo 7 della manovra finanziaria di cui stiamo discutendo, che prevedano la riduzione del 50 per cento rispetto al 2009 degli stanziamenti, e ciò riguarda tra i molti enti anche i parchi nazionali che hanno competenze di tutela dell'ambiente, e che oggi - se ciò sarà confermato - avranno l'impossibilità di esistere.
Lo voleva il Governo? Non lo voleva? Non siamo più in grado di sapere se un Ministro dell'ambiente si rende conto della gravità degli atti che condivide nel Consiglio dei ministri. Vorremmo tanto farle sapere, se avesse la bontà di confrontarsi con il Parlamento, quanto manca alla gestione del Ministero un obiettivo che gli restituisca un ruolo e il rispetto dei principi costituzionali. Purtroppo all'articolo 49, ricorrendo la necessità di semplificare le procedure autorizzatorie nelle disposizioni in materia di conferenze di servizi, si mette la tutela ambientale e quella paesaggistico-territoriale alla stregua degli altri procedimenti autorizzativi, gestendo la mancanza di espressione di parere definitivo in contraddizione con il dettato costituzionale e con quello della normativa comunitaria.
Lavorare così, colleghi, per il Governo significa alimentare il contenzioso, non risolvere problemi di inefficienza e di grave e scarso coordinamento tra enti, che esiste (lo dobbiamo ammettere). Perché non favorire la professionalità e la collaborazione negli enti e tra gli enti? Alimentare il conflitto allunga i tempi e distrugge la leale collaborazione auspicata dalla riforma costituzionale del Titolo V. Sempre al Ministero dell'ambiente vorremmo chiedere che cosa pensa dei provvedimenti che riguardano l'interpretazione Pag. 117della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani. Spettava al Ministro dire una parola dal momento che la delega richiesta per modificare il decreto n. 152 (il cosiddetto Codice ambientale) è scaduta proprio con la fine di giugno, senza che alcuna notizia ci sia arrivata, né alcun provvedimento in materia di rifiuti (che molti chiarimenti doveva portare) sia stato emanato.
La norma interpretativa introdotta circa la natura non tributaria della TIA (la tariffa di igiene ambientale) riguarda il futuro, cari colleghi, rinviando alla giurisdizione ordinaria le controversie. La Corte costituzionale aveva però riconosciuto la natura tributaria della TIA, escludendo l'imponibilità dell'IVA. Si risolve così, per mancanza di copertura adeguata, una questione. Ma, attenzione, sarà sufficiente? Che Stato è inoltre quello che sceglie sempre per le sue convenienze a scapito di cittadini e di imprese? Che Stato è quello che non paga i suoi debiti alle imprese che hanno prestato servizi e lavori a tutte le sue emanazioni, e ritarda fino a sei mesi il pagamento non dovuto?
Sempre all'ambiente ed alla sua azione fuori controllo rimando citando una delle questioni più spinose del momento, che riguarda la privatizzazione dei servizi pubblici locali, di quelli idrici e di quelli inerenti i rifiuti. In un ingorgo normativo, tra decreto Ronchi, questa manovra e la mancata definizione della parte del Codice ambientale sulle acque, ci troviamo ad una delle fasi più delicate che impone un cambiamento di gestione senza un quadro stabile e definito sugli ATO (le autorità territoriali ottimali), con la definizione di tempi e modi per le società di gestione che penalizzano il sistema pubblico, stranamente, anche in questo caso, anche laddove è virtuoso. Sarebbe abbastanza per dire quanto sfascio si è prodotto ancora con pochi riferimenti, e quanto poco è possibile fare in un sistema così fragile come quello oggi rappresentato dalle politiche ambientali.
Dovremmo insistere sulla legalità, sui controlli e sull'organizzazione della tracciabilità dei rifiuti quando ormai, una volta alla settimana, assistiamo a fenomeni di inquinamento di aree urbane e non senza che quello Stato giusto e severo, che vorremmo, perda l'occasione per dire la sua, perda quell'accelerazione riguardo alle riforme che, invece, avremmo chiesto. È tutto nelle mani delle forze dell'ordine, della magistratura, che non ricevono apprezzamenti né misure a favore anche da questa manovra.
Bonifiche, aiuti per ridurre l'inquinamento, niente di tutto ciò; spenderemo di volta in volta secondo la migliore tradizione, magari con regole in deroga ad ogni procedura ordinaria, e spenderemo di più, come al solito e come è sempre accaduto, ma chi si sottrarrà nell'emergenza conclamata, pubblicizzata, dal richiedere interventi urgenti a qualsiasi costo? E sul 55 per cento, colleghi, sulle misure sul credito di imposta per l'efficienza energetica che tanto hanno prodotto sul sistema, sull'indotto delle imprese, nell'efficientamento delle nostre abitazioni, quali notizie? Quest'anno scadranno le misure, con la fine di dicembre, e non abbiamo nessuna notizia, nessun provvedimento, che accenni a misure che stabilizzino il sistema.
Arrivando alla parte che richiama i lavori pubblici e le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, devo sottolineare il disagio rispetto alla superficialità e alla sfrontatezza con cui il Governo ha introdotto meccanismi per la ricerca delle risorse necessarie alla copertura di alcuni capitoli fondamentali, quali quelli che restituiscono ad ANAS le risorse per la manutenzione ordinaria e straordinaria della viabilità e del sistema autostradale. A dicembre, nella manovra finanziaria, il Governo aveva lasciato ANAS priva del fondo di un miliardo e mezzo per devolvere quella quantità di risorse ingenti, destinate all'intero sistema infrastrutturale nazionale, al ponte sullo Stretto di Messina. Queste le priorità del Governo Berlusconi e, fin qui, anche legittime se non condivisibili per il PD.
Quello che oggi è inaccettabile è che, per far quadrare il bilancio, si chieda di aumentare i pedaggi autostradali agendo direttamente sui cittadini, chiedendo sempre Pag. 118a loro, come nel caso delle tariffe aeroportuali, di fare un piccolo sforzo, come dice il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ma questo sforzo, signor Ministro, perché non l'avete chiesto a coloro a cui avete fatto rientrare i capitali dall'estero? Questo sforzo, Ministro Matteoli e Ministro Tremonti, dovevate farlo voi mettendo mano al sistema drogato degli appalti pubblici, al sistema con cui, oggi, viene gestito il contenzioso nella materia delle opere pubbliche.
Ormai non sfugge a nessuno, se non a voi, membri del Governo, che quel sistema garantisce solo pochissimi soggetti e non produce nemmeno, se ciò fosse l'obiettivo da privilegiare, più opere e più efficienza. Non garantisce neanche il recupero del gap infrastrutturale del Paese e, mentre si sbandierano politiche contro gli sprechi degli enti pubblici, per risparmiare a volte solo poche migliaia di euro, si trascura di vedere che in quel contenzioso, ormai divenuto modalità ordinaria nell'amministrazione delle opere pubbliche, lo Stato soccombe in oltre il 90 per cento dei casi rimettendo milioni di euro e ritardando la realizzazione delle infrastrutture.
Questi dati sono noti e certificati dall'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. Volete prenderne atto? Vogliamo chiarire che dei provvedimenti annunciati e di quelli proposti nessuno mette mano a procedure antilegalitarie e anticompetitive che hanno portato alla «cricca» e che, da anni, distribuiscono soldi, i soldi dei cittadini, a pochi eletti, amici interessati, imprese privilegiate, dirigenti collaborativi? A noi interessa ribadire il principio della pubblica gara e delle pari opportunità di tutte le imprese in competizione secondo il principio della concorrenza e nel rispetto della legalità; a noi interessa limitare tutte le attuali eccezioni in materia di grandi opere, di segreto di Stato e di Protezione civile e garantire un'adeguata pubblicità per i casi che restano esclusi.
Il nostro sistema normativo non ha cercato di creare occasioni per le imprese, ma ha mirato a garantire la possibilità del decisore politico di selezionare l'impresa affidataria. Ciò ha portato storicamente ad un duplice effetto: rendite di posizione per le imprese cooptate, alla faccia della competitività, harem di imprese amiche, sempre disposte a rinunciare ad un contenzioso per poter essere richiamate nelle gare. Il diritto comunitario, però, recepito con grande riluttanza, ha imposto, per gli appalti più importanti, il criterio della pubblicità e del bando pubblico. Di ciò dovranno farsi una ragione coloro che realmente vogliono usare le risorse pubbliche correttamente. Ci spieghino allora il significato dell'articolo 8, comma 10, che attribuisce, in questa manovra, ai dirigenti degli uffici generali la facoltà di secretare provvedimenti per opere di servizi e forniture.
Perché, a quale scopo? Nessun Paese europeo vi ricorre in quel modo ed è il caso oggi, dopo tutto quello che abbiamo visto, di utilizzarlo? Quale risparmio produce sul bilancio? Avete perso un'altra volta un'occasione importante ma nel caso di obiettivi che ormai caratterizzano la maggioranza e il Governo vorrei sottolineare l'incongruenza tra ricerca del federalismo declinata anche riguardo alla gestione delle concessioni autostradali e poi l'attuale situazione. Fermatevi, avete già cambiato le politiche sul sistema delle concessioni autostradali due volte in questa legislatura. Farete arrabbiare anche chi vi aveva scagliato contro le scelte del Governo Prodi in materia di concessioni autostradali e decidete una buona volta se volete essere federalisti tutti i giorni o solo il fine settimana al rientro dai palazzi del potere dove è più comodo tenere sotto controllo centralizzando.
A proposito di Expo 2015, quando vi fermerete a considerare che il tempo corre velocemente e lo spettacolo che darete chiamerà in causa tutta l'Italia, come spiegheremo che tutti i nostri progetti si sono ridimensionati a causa di lotte di potere? Nella manovra correttiva 14,8 miliardi sono rappresentati dai tagli imposti ai governi locali. Ciò rischia di far inceppare politiche regionali delle quali c'è molto bisogno in questo momento. Riguardo al trasferimento a favore del comune di Pag. 119Roma di 300 milioni di euro, come è accaduto nei mesi scorsi a favore dei comuni di Catania e di Palermo, ci dicono anche in questo caso che voi utilizzate due pesi e due misure. Non è giusto né equo. Noi pensiamo che rispetto a questo gli italiani onesti, le imprese e tutti coloro che hanno bisogno di sviluppo e di crescita vi giudicheranno e riteniamo che per questo motivo vi siano numerosissime ragioni per dare un voto negativo a questa manovra (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, hanno già detto molti colleghi perciò io guadagno qualche minuto e non espongo tutte le ragioni per le quali questa manovra si presenta con tutti gli errori dei provvedimenti che l'hanno preceduta, errori previsionali di sottovalutazione della crisi, una manovra che non coglie i problemi che ha davvero questo Paese, che non affronta le questioni più importanti, quelle che altri Paesi europei hanno affrontato con più efficacia di noi, che non definisce obiettivi programmatici per la ripresa, che è iniqua ed è squilibrata, che è al di sotto delle necessità; ma non basta dire questo, perché è stato già bene spiegato e io non mi soffermo.
Vorrei soffermarmi su un'altra questione che ha caratterizzato il dibattito di questi giorni dopo l'audizione del Ministro Tremonti qui alla Camera nella competente Commissione. Voglio semplicemente cogliere l'opportunità di questo frammento di dibattito che ci è consentito dai Regolamenti parlamentari per fare chiarezza su due affermazioni che sono totalmente destituite di fondamento, anzi suonano come offesa nei confronti di cittadini che sono fortemente penalizzati da queste misure.
Il Ministro Tremonti ha parlato in Commissione della necessità di questo provvedimento e ha detto che sarebbe stato un suicidio aumentare le tasse. Ma per chi aveva fatto rientrare 107 miliardi illecitamente portati all'estero pagando 6 miliardi in luogo di 45, forse non sarebbe stata questa un'opportunità, invece, per fare un po' di equità e sanare anche lo sbilancio dei conti pubblici? Ci ha ripetuto il Ministro: è una manovra che per la prima volta tocca alcuni «papaveri». Come li definirebbe il Ministro coloro che hanno esportato illecitamente, illegalmente questi 107 miliardi? Perché li ha lasciati indenni, non sono forse almeno una parte di quei papaveri ai quali lui si riferisce? La motivazione per la quale ha detto di «no» ad una misura che avevamo avanzato per tassare tutte quelle fonti di reddito che sono state così gradevolmente dal Governo riportate «pulite» con la «lavatrice» dello scudo fiscale, riportate in Italia con un modesto obolo di 6 miliardi.
Ha replicato dicendo che non si cambiano le regole del gioco quando la partita è in corso. Allora io vorrei chiedere al Ministro e al sottosegretario che è qui presente, come chiamerebbero, a proposito di cambiamento delle regole del gioco, la norma prevista dall'articolo 11, commi 13 e 14, che al di là del tecnicismo cambia le regole del gioco per le persone che sono state danneggiate in ambito sanitario per effetto delle complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, di trasfusioni, di somministrazione di emoderivati.
Sostanzialmente, caro sottosegretario, stiamo parlando di persone che, al di là della loro volontà e per effetto di misure come una terapia sbagliata o un errore sono state contagiate dall'HIV. Sono persone alle quali con una legge dello Stato è stato riconosciuto un indennizzo, che consiste in un sostegno economico che è fondato sulla solidarietà collettiva garantita a tutti i cittadini, ai sensi degli articoli 2 e 38 della Costituzione - così dicono le sentenze della Corte - perché frutto di eventi generanti una situazione di bisogno e trova, quindi, fondamento nell'insufficienza dei controlli sanitari fino a quell'epoca predisposti.
L'indennizzo con questa manovra viene ridotto. Ma poiché il cinismo non ha fine, non solo viene ridotto e si afferma che Pag. 120l'indennità integrativa speciale non potrà più subire gli adeguamenti sulla base dell'aumento al tasso di inflazione, così come era previsto. Il cinismo aumenta: con il comma 14 dell'articolo 11 si afferma che, fermi restando gli effetti già esplicati da sentenze passate in giudicato per i periodi da esse definiti, cessa l'efficacia di provvedimenti emanati ai fini di rivalutare la predetta somma, in forza di un titolo esecutivo.
Tutti i colleghi hanno ricevuto nella loro posta elettronica e-mail di decine di persone che, avendo letto la manovra, si sono ribellate e ci hanno scritto, dicendo che con questa manovra - giustamente affermano questo - viene imposta una svalutazione delle somme ora per allora, con un salto indietro di 18 anni, in quanto gli importi versati per l'indennizzo vengono mantenuti fermi alle somme stabilite nel 1992. In altre parole lo Stato, il Governo in questo caso, al di là della giurisprudenza che si è affermata, impone per legge un'interpretazione che è contraria alla giustizia e nega a persone gravemente e in maniera irreversibile danneggiate da trasfusioni di sangue infetto oppure da vaccinazioni la rivalutazione degli importi che sono stati riconosciuti come indennizzo. Per capirci queste persone, che avevano un indennizzo di circa 1.000 euro al mese, se lo vedono decurtato a 838, con una riduzione, pari al 22 per cento. Il 22 per cento non lo paga nessuna categoria tra quelle che sono massacrate da questa manovra del Ministro Tremonti.
Ma non basta: sempre naturalmente a proposito dei papaveri che sarebbero stati colpiti, all'articolo 10, comma 5, viene modificata la norma che riguarda l'attività degli insegnanti di sostegno per le persone disabili e l'inserimento delle persone disabili nel sistema scolastico.
Ebbene, vi è un cambiamento radicale nell'impostazione: si passa dall'insegnante di sostegno all'indicazione, all'articolo 10, comma 5, di ore di sostegno, che devono essere finalizzate all'educazione e all'istruzione, restando a carico - si dice, poi, nella norma - di altri soggetti istituzionali - sostanzialmente, dei comuni - la fornitura delle altre risorse professionali. In altri termini, gli insegnanti di sostegno sono ridotti a prestare ore di sostegno a vari disabili, alla faccia del progetto educativo individualizzato (PEI), che dovrebbe garantire l'integrazione di queste persone in ambito scolastico. Anche in questo caso, siamo di fronte ad un arretramento, che ci porta indietro rispetto alla legge n. 104 del 1992, ci porta indietro di diciotto anni. Del resto, non è la prima occasione. Ma non basta.
Inoltre, il Ministro, in questi giorni, ha detto che, tutto sommato, il provvedimento è stato recepito ed accettato in termini positivi dal Paese. Sì, vi è stata qualche manifestazione - cosa volete? -, sono stati anche fatti degli scioperi, ma per errore; ed ha citato, in particolare, lo sciopero dei medici. Vorrei riportare solo due elementi, che dovrebbero indurre il Ministro ad essere un po' più cauto in queste affermazioni. Inoltre, vorrei dire che, quando migliaia di persone scioperano, rimettendoci lo stipendio per quella giornata di lavoro, andrebbero quanto meno rispettate, ma sappiamo che questo non appartiene nemmeno allo stile di questo Governo.
Ebbene, perché i medici hanno scioperato? Per varie ragioni, non certo per gli aumenti di stipendio, non è questa la ragione per la quale sono scesi in piazza. Essi hanno scioperato per una ragione fondamentale: il blocco, anzi, il licenziamento di metà dei precari.
Signor sottosegretario, è la prima volta, da quindici anni a questa parte - perché misure di contenimento della spesa pubblica si sono succedute in tutti questi anni, a più riprese - che il comparto della sanità non viene escluso da provvedimenti di riduzione del personale. Ciò per una ragione molto semplice: il funzionamento dei servizi è legato alla presenza del personale, e se si taglia il personale, i servizi non ci sono. Non bastano le strutture, né le tecnologie: la risorsa principale del sistema sanitario è rappresentata dalle professioni. È la prima volta che, a casaccio - lo ripeto, a casaccio - si dice che la metà dei precari non può più essere Pag. 121riassunta l'anno prossimo. Significa che qualche decina di migliaia di medici non potrà più essere assunta l'anno prossimo; vuol dire che alcuni servizi fondamentali, che si reggono prevalentemente sui precari, in particolare i pronto soccorso, non avranno più il personale. Nei reparti ospedalieri, dove, comunque, il numero dei precari può essere marginale rispetto al personale strutturato, l'assenza di un medico - lo sappiamo tutti - fa saltare il turno, quanto meno, obbliga all'ampliamento del lavoro straordinario e, quindi, a diminuire le prestazioni, per esempio, di natura ambulatoriale. E ciò significa aumentare le liste d'attesa.
Oltre alla beffa, si somma il fatto che il risparmio per la mancata conferma dei precari, per la mancata stabilizzazione e per la riduzione del personale andrà a riduzione del Fondo sanitario nazionale. Onorevole sottosegretario, ciò significa che, quando si risparmia sul personale sanitario, si riducono i livelli essenziali. Pertanto, con questa manovra, per la prima volta, viene infranto l'articolo 32 della Costituzione. Infatti, i livelli essenziali non potranno più essere esigibili, peraltro, in situazioni difformi sull'intero territorio nazionale, perché diversa è la situazione delle regioni in ordine alle assunzioni dei precari. Non voglio nemmeno fare riferimento alle regioni che sono «in rosso» e che sono sottoposte al piano di rientro, perché, evidentemente, questa misura si somma ad una situazione già compromessa.
Devo dire che non basta. Non avete perso l'occasione per introdurre in questa manovra un nuovo spoil system in stile hard, se ve ne fosse stato bisogno.
È recente, di qualche settimana fa, il dibattito in quest'Aula sulla necessità di sottrarre la sanità al condizionamento della politica per quanto riguarda la nomina dei primari e comunque dei dirigenti, anche di struttura semplice, all'interno degli ospedali. Qui tutti hanno detto che c'era la necessità di introdurre nuove norme per fare prevalere il merito, le capacità, la professionalità, le competenze. Con l'articolo 9, comma 32 invece, cosa fa il Governo? Non so dove fossero i Ministri che si sono fatti paladini di tutta questa battaglia del merito, in primo luogo il Ministro Brunetta. Peraltro il Ministro Brunetta con questa manovra è rimasto disoccupato quindi, se c'è un primo risparmio da fare, probabilmente seguirà la stessa sorte del Ministro Brancher, fra poco. Ma possibile che nessuno si sia accorto di niente? Come si fa a sottoporre 120 mila medici in Italia, tutti dirigenti della pubblica amministrazione, semplicemente alla discrezionalità del direttore generale per la loro conferma? Anzi è stata abrogata la norma che prevede il diritto per il dipendente, da parte della sua pubblica amministrazione, ad avere la motivazione per la mancata conferma dell'incarico. Ma come si fa ad approvare una norma che invece dice che non serve più motivare, ma soprattutto, non è più il merito il criterio che determina la conferma dell'incarico, e lo si dice esplicitamente nella norma: anche in presenza di un giudizio favorevole o meglio in assenza di un giudizio negativo, che è la stessa cosa, due negazione si compensano ovviamente. Anche in presenza di un giudizio positivo e quel medico può essere senza motivazione destinato ad un incarico con retribuzione inferiore in un altro servizio; può essere mandato via, mandato a casa, ma anche naturalmente può essere mandato in un altro servizio. Ma come si fa ad approvare una norma di questo genere che dissesta il sistema sanitario? Queste sono le due ragioni per le quali i medici hanno scioperato davanti a Montecitorio la scorsa settimana. Il Ministro dell'economia e delle finanze si permette il lusso di dileggiare queste persone: ma come si fa? Loro protestano per la semplice ragione che vedono minacciata la sopravvivenza di un sistema sanitario di qualità.
È evidente che siamo di fronte a una manovra che ha un obiettivo manifesto ed un obiettivo nascosto. Quello manifesto, esplicito è tagliare la spesa pubblica, dopo che per due anni si è detto che la pubblica amministrazione è popolata di tanti fannulloni. Vi è però un obiettivo nascosto, che ora viene alla luce chiaramente, e che Pag. 122è quello del ritiro dello Stato dalle politiche pubbliche. Si dice cioè: cari cittadini, fate come volete, insomma arrangiatevi, dietro questa manovra c'è un'idea che da questa crisi si deve uscire con una forbice che si allarga, non che si restringe, fra chi ha più possibilità e chi ne ha meno. Questa è l'amarezza più grande, dover constatare che, diversamente da altre democrazie evolute nel mondo, dove di fronte alla crisi si pensa di far uscire il Paese un po' più giusto, un po' più equo, in Italia evidentemente le pressioni solo di alcuni, solo le esigenze di carattere elettorale e di carattere elettoralistico fanno premio su esigenze di riforma di un Paese che avrebbe bisogno di riforme vere.
Per questo noi non mancheremo in tutte le sedi di denunciare questi aspetti, e di denunciare l'insufficienza non solo della manovra ma anche del Governo ad affrontare una fase critica come questa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Froner. Ne ha facoltà.

LAURA FRONER. Signor presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, prima di esaminare la manovra correttiva sui conti pubblici nei sui contenuti vorrei fare alcune valutazioni di ordine politico e finanziario.
In primo luogo, vorrei esprimere alcune riflessioni sulla necessità di ricorrere ad una manovra correttiva.
Le misure straordinarie sui conti pubblici che alcuni Paesi stanno realizzando in questi mesi si sono rese indispensabili a seguito degli interventi di stimolo al sistema produttivo, oppure per il sostegno delle banche allo scopo di evitare rischi di fallimento. Se analizziamo la nostra situazione non rientriamo in questa casistica.
In Italia, infatti, il sistema bancario non ha avuto bisogno di quei sostegni, e gli interventi a favore dell'economia sono stati, purtroppo, di importo limitatissimo, come rilevato più volte dai principali istituti internazionali.
Tuttavia, come ha ricordato il Ministro Tremonti in Commissione bilancio l'altro giorno, la decisione è stata presa a seguito della riunione straordinaria dei Capi di Stato e di Governo del 7 maggio e della riunione dell'Ecofin del 10 maggio, si tratta della prima finanziaria comune europea.
Nella relazione sull'economia e la finanza pubblica si afferma che gli obiettivi programmatici di indebitamento netto restano fermi al 3,9 per cento del PIL per il 2010, e al 2,7 per cento per il 2011, e che il mantenimento degli obiettivi individua una manovra correttiva sul saldo primario pari, in termini cumulati, a circa l'1,6 per cento di PIL nel biennio 2011-2012.
Questa manovra verte, quindi, sul saldo primario. Può apparire superfluo ricordare qui che il saldo primario è l'indicatore più importante dello stato di salute della finanza pubblica, e che la presenza di un avanzo primario testimonia la bontà dell'azione di governo del debito e della finanza pubblica.
Se esaminiamo questo dato, negli anni scorsi possiamo osservare che mentre nel 2007 l'avanzo primario era pari al 3,5 per cento del PIL, nel 2009 è precipitato a - 0,6 per cento. In due anni di questo Governo, quindi, abbiamo avuto un peggioramento di oltre quattro punti, che corrispondono ad oltre 62 miliardi di euro. Forse è il caso di ricordare che dieci degli ultimi sedici anni sono stati governati dall'attuale Presidente del Consiglio, il quale, dopo aver ricevuto da Prodi un Paese il cui debito era al 103,5 per cento del PIL, lo ha portato, quest'anno, al 118 per cento.
Presidente che, seppur eletto sulla promessa di meno tasse per tutti, ha portato la pressione fiscale al record storico del 43,2 per cento; Presidente con il quale, per la prima volta dopo 19 anni, è stato azzerato, come dicevo, l'avanzo primario, cioè il risparmio necessario per abbattere il debito.
Se da un lato una manovra come quella di cui stiamo discutendo, dell'1,6 per cento di PIL corrispondente a 24 miliardi di euro, può significare, in linea teorica, che ci stiamo avviando verso il rientro dal debito, dall'altro non possiamo ignorare Pag. 123che cifre di questa entità, se sono effettive, rischiano di determinare effetti depressivi sull'economia.
Inoltre, se manovre come queste non sono strutturali, non solo non bastano a rassicurare i mercati, ma sono destinate a provocare un rimbalzo negli anni successivi.
Teniamo presente, comunque, che la correzione non serve a migliorare gli obiettivi, bensì a raggiungerli. Peraltro, alcune misure, tra cui quelle riguardanti il pubblico impiego, entrano immediatamente in vigore e, quindi, diversamente da quanto sostenuto dal Ministro Tremonti, sembrerebbero corrispondere ad una necessità di correzione anche per l'anno in corso.
Se ne potrebbe dedurre, quindi, che la finanza pubblica, nonostante quanto ripetutamente affermato dal Governo, non è affatto sotto controllo.
Ricordiamo, in particolare, che, per quanto riguarda le spese, quelle finali al netto degli interessi sono aumentate di 57 miliardi di euro, di cui 3 miliardi per spese in conto capitale, e ben 54 miliardi di euro di spese correnti al netto degli interessi. Inoltre, per il 2010 il Governo prevede un ulteriore aumento delle spese primarie di 6,8 miliardi di euro rispetto al 2009, aumento che deriva da un incremento di 13 miliardi di euro delle spese correnti, al netto degli interessi, e da una riduzione di 6,2 miliardi di euro delle spese in conto capitale.
A nostro avviso non ci sono ragioni per ricondurre alla crisi l'impennata della spesa corrente, il conseguente crollo del saldo primario e l'esplosione del deficit di bilancio.
Quindi, nonostante i tagli lineari, non possiamo esimerci dal notare che la spesa corrente cresce, mentre si comprime la spesa necessaria a rilanciare l'economia, ossia quella in conto capitale, e che sulla base delle linee della manovra, il Governo intende proseguire con la stessa politica che ci ha portato a questi risultati.
Tornando alla manovra e alla sua entità, è lecito chiedersi se sia equa la distribuzione dei sacrifici imposti, se cioè non si possa evitare di far pagare, anche a livello internazionale, alla gente comune gli eccessi e gli errori della finanza. A questo proposito, risulta quanto mai interessante la proposta recentemente avanzata da Visco. Per riportare in equilibrio i bilanci dei Paesi più colpiti dalla crisi, egli suggerisce di collocare l'eccesso dei debiti successivi al 2007 in un fondo comune, da gestire con i proventi di un'apposita imposta sulle transazioni finanziarie. Ciò permetterebbe di recuperare l'equilibrio dei bilanci pubblici, di tranquillizzare i mercati e di far pagare i costi della crisi nel lungo periodo esclusivamente agli operatori dei mercati. Si tratta di una scelta essenzialmente politica che la comunità internazionale non ha avuto, però, il coraggio di adottare. Si tratta della stessa mancanza di coraggio che riscontriamo nella manovra in discussione.
Si ripete spesso che i momenti di crisi possono trasformarsi in opportunità per migliorare i fondamentali del Paese e per affrontare quelle riforme strutturali che in condizioni normali sono più difficili da introdurre. Invece, per questo Governo la crisi è diventata un alibi per imporre senza una discussione adeguata, non solo in Parlamento ma neanche nello stesso Governo, una manovra che è senza prospettiva e che vuole rispondere a un'urgenza ostinatamente negata dal Ministro Tremonti e dal Governo per un lungo periodo. Eppure, vi sarebbe stato il tempo per fare un discorso franco al Paese, facendo appello alle nostre migliori energie e costruendo un consenso reale intorno a ciò che è necessario. Ma il Presidente del Consiglio ha scelto un'altra strada. In un primo tempo ha negato l'emergenza e poi ha proseguito con il suo solito metodo, che punta più a dividere che ad unire.
Abbiamo invitato più volte invano il Presidente del Consiglio e il Ministro Tremonti a riconoscere apertamente la situazione di crisi. Siamo convinti che l'opinione pubblica avrebbe capito il senso dei sacrifici necessari per il bene comune purché essi, contrariamente a quanto previsto da questa manovra, fossero stati Pag. 124equamente ripartiti e finalizzati a far crescere un Paese migliore, più giusto e in grado di competere.
A proposito di competitività del Paese, permettetemi una piccola digressione. Vorrei ricordare come mentre negli anni dei Governi dell'Ulivo sia stato registrato un avanzamento da parte dell'Italia di tredici posti nella classifica mondiale per la competitività, frutto delle politiche di liberalizzazione, di apertura dei mercati e di riforme portate a compimento, negli anni in cui ha governato l'attuale Presidente del Consiglio l'Italia ha perso la bellezza di ventuno posizioni e risulta ora al quarantottesimo posto. Come se ciò non bastasse, in una fase di incertezza per l'economia reale come quella che sta vivendo il nostro Paese, un Dicastero cruciale come quello dello sviluppo economico, cui faccio riferimento in particolare in quanto componente della X Commissione, è stato lasciato per quasi tre mesi senza titolare.
Tuttavia, questo non è tutto. Come è stato rilevato anche recentemente da alcuni giornali in questo periodo di interim abbiamo assistito ad un progressivo svuotamento di alcune importanti competenze del Ministero gestito finora ad interim dal Presidente del Consiglio. È stata dirottata a Palazzo Chigi la gestione dei fondi europei e del FAS, con delega al Ministro per i rapporti con le regioni Fitto. In questi mesi le competenze sul nucleare sono stato oggetto di attenzione da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Prestigiacomo, e quelle sulle crisi industriali si sono avvicinate al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Sacconi. Allo stesso modo si è parlato di un possibile passaggio di consegne per il Mezzogiorno ed il commercio internazionale.
In questo clima di costante rischio e di ridimensionamento abbiamo potuto notare come al Ministero dello sviluppo economico molte cose siano state rallentate o addirittura fermate, passando dagli incentivi alle imprese al disegno di legge annuale sulla concorrenza, dalla nomina dei vertici dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, senza la quale il tanto sbandierato rilancio dell'energia nucleare è praticamente impossibile, ai posti vacanti dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Nonostante l'incessante e proficuo impegno sui tavoli e sulle vertenze industriali del sottosegretario Saglia, cui va tutto il nostro apprezzamento, è innegabile che alcune grandi crisi abbiano inevitabilmente risentito dell'assenza del Ministro, come nei casi degli stabilimenti FIAT, quelli della Vinyls o della Telecom, solo per citare alcuni degli esempi più recenti.
Finalmente il Presidente del Consiglio, anche grazie al poderoso richiamo del Presidente della Repubblica, ha annunciato che nei prossimi giorni indicherà il nuovo Ministro. Confidiamo, quindi, nel fatto che qualcuno si occupi dell'economia reale e delle politiche che permettano di riparare, almeno in parte, i danni arrecati dalla più grave crisi anche industriale degli ultimi decenni, consapevoli che la politica industriale costituisca il pezzo forte anche dei Paesi che più si fondano sull'economia di mercato.
Non voglio ora entrare nel complesso della manovra che è già stata oggetto di numerosi interventi puntuali da parte dei colleghi che mi hanno preceduto. Preferisco richiamare la vostra attenzione su alcune norme finalizzate al sostegno dello sviluppo. Troviamo interventi volti a realizzare una fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, norme dirette a istituire un regime fiscale di attrazione europea, interventi a favore delle reti di imprese, misure tese ad istituire nel Meridione zone a burocrazia zero, la semplificazione delle procedure per l'avvio all'esercizio di imprese con la segnalazione certificata di inizio attività, nonché incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero.
Ma se guardiamo in modo più dettagliato il contenuto dei vari articoli possiamo subito notare come, rispetto alle dichiarazioni, i contenuti siano decisamente esigui e poco utili. Prendiamo in considerazione ad esempio l'articolo 43 che introduce le zone a zero burocrazia per il Meridione in deroga ai regolamenti in vigore, la proposta di sospendere per Pag. 125due-tre anni le autorizzazioni per le piccole e medie imprese e le attività artigiane e la ricerca, ma non dimentichiamo che, contrariamente a quanto succede in Italia, in molti altri Paesi l'apertura di una attività è già un adempimento leggero.
Il principio della deroga alla norma denota l'incapacità di correggere una legge quando non va bene. Non si capisce perché non si possa proseguire sulla strada dello sportello unico, valutandone l'esperienza e formulando i correttivi necessari. Più in generale, i confronti internazionali mostrano che in Italia i tassi di natalità sono in linea, se non superiori, con quelli degli altri Paesi industrializzati.
Il problema è che poi le nostre imprese non crescono, quindi più che sulle barriere all'entrata, bisogna interrogarsi sulle barriere alla crescita delle imprese. Le piccole e medie imprese sono importantissime, ma un'economia avanzata ha bisogno anche di medie e grandi aziende che facciano gli investimenti in ricerca e sviluppo, in marchi e nuovi prodotti e queste sono le imprese che scarseggiano in Italia.
Non crediamo che si possa ovviare alla loro mancanza favorendo fiscalmente i distretti come fa l'articolo 42 che ripropone quanto già stabilito dal decreto-legge n. 5 del 10 febbraio 2009 sulla tassazione di distretto. La norma, che prevede il coordinamento fra le imprese per ripartire il carico tributario e un concordato preventivo con l'Agenzia delle entrate, ci sembra difficile da mettere in pratica.
L'articolo, difficoltoso da comprendere, disciplina nel dettaglio la redazione del contratto di rete. Il comma 2-quater stabilisce che una quota di utili destinata al contratto di rete è esente da tassazione, ma tale esenzione richiede una procedura intricata che si scontra con l'esiguità dei limiti complessivi per l'agevolazione: 20 milioni per il 2011 e 14 milioni per il 2012 e il 2013.
Il direttore dell'Agenzia delle entrate dovrà emanare un ulteriore provvedimento per stabilire modalità e criteri di attuazione dell'agevolazione e anche per assicurare il rispetto del limite complessivo. In conclusione, anche nell'ipotesi molto bonaria che questa sia un'iniziativa utile, riteniamo che i fondi siano troppo limitati per avere un impatto significativo. Sicuramente, però, la norma offre materiale per il prossimo provvedimento di semplificazione burocratica.
Ancora, analizzando le norme che usano la leva fiscale per attirare le imprese ed investire nel Mezzogiorno e attrarre quelle estere in tutta Italia, abbiamo l'impressione che non ci si possa aspettare molto da nessuna delle due. L'articolo 40 introduce la possibilità per alcune regioni del sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) di modificare le aliquote IRAP fino ad azzerarle e di disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei riguardi delle nuove iniziative produttive.
Già oggi le regioni possono variare l'aliquota e concedere deduzioni, detrazioni ed altre agevolazioni. Con la nuova norma alle regioni del sud viene concesso un più ampio margine di manovra fino a consentire l'azzeramento completo dell'IRAP sulle nuove iniziative produttive. In pratica, la norma anticipa l'attuazione di quanto già previsto nella legge delega sul federalismo che prevede l'individuazione di forme di fiscalità di sviluppo con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottosviluppate.
In entrambe le disposizioni vi è l'opportuno richiamo alla necessità che l'agevolazione sia nel rispetto o in conformità della normativa comunitaria. Fiscalità differenziate non solo fra settori di attività, ma anche sul territorio nazionale, potrebbero infatti essere ritenute incompatibili con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato posta a tutela della concorrenza nel mercato comune europeo.
In base alla normativa comunitaria, la decisione dell'ente deve avvenire in piena autonomia istituzionale, procedurale ed economica. La regione, quindi, non solo deve prendere in piena autonomia la decisione, ma deve anche sopportare il calo di gettito che ne deriva individuando corrispondenti compensazioni nell'ambito dei propri bilanci. Pag. 126
È difficile pensare che le regioni del Mezzogiorno - tanto più dopo i tagli previsti dalla manovra in discussione e, per alcune di esse, l'obbligo di far ricorso alla leva fiscale per coprire i disavanzi sanitari - abbiano risorse per avviare una concorrenza fiscale nei confronti delle altre aree per attirare nuove iniziative. Anche quando si ritenesse che una concorrenza fiscale tra regioni è non solo possibile, ma anche sana e utile alla crescita produttiva, è tutto da vedere se, data la situazione arretrata, la carenza di infrastrutture, il degrado istituzionale e l'esposizione alla malavita organizzata in cui molte zone delle regioni interessate dalla fiscalità di vantaggio si trovano, sia sufficiente abolire l'IRAP per compensare i maggiori costi che un investitore sostiene aprendo un'attività.
In base all'articolo 41, alle imprese residenti in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia che intraprendono in Italia nuove attività economiche, nonché ai loro dipendenti e collaboratori si può applicare, in alternativa alla normativa tributaria italiana, la normativa tributaria vigente in uno degli Stati membri dell'Unione europea. In sostanza, la normativa fiscale più favorevole tra le 27 esistenti all'interno dell'Unione.
È evidente la difficoltà che si pone sia per l'Agenzia delle entrate, che dovrebbe conoscere 27 diverse normative tributarie, sia per i giudici, che si trovino a dirimere eventuali contenziosi tributari. È altrettanto evidente che le imprese italiane sarebbero esposte alla concorrenza di altre aziende che potrebbero godere di un regime fiscale più vantaggioso, per non parlare della disparità di tassazione che si produrrebbe per i lavoratori e della difficoltà di attribuire a regioni, province e comuni la quota loro spettante sul gettito prelevato su tali imprese.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LAURA FRONER. Non entro nel merito delle varie problematiche relative al tema dell'energia che sono state affrontate dai miei colleghi del Partito Democratico in Commissione, ma ritengo importante segnalare che l'intervento operato sull'articolo 15 con l'aumento dei sovracanoni sull'energia idroelettrica, se da un lato va a vantaggio dei territori interessati dai bacini imbriferi, dall'altro finirà certamente per gravare sulle bollette dei cittadini.
Esaminando, infine, l'articolo 49 nella parte in cui introduce la segnalazione certificata di inizio attività, la cosiddetta SCIA, possiamo riscontrare l'ennesimo intervento del Governo con misure di apparente semplificazione normativa che, in realtà, si sovrappongono ed intersecano senza un disegno organico e senza certezze normative. In che cosa si differenziano le deroghe previste dalla SCIA rispetto a quelle che sono già previste dalla normativa vigente, ossia dall'articolo 19 della legge n. 241 del 1990? Ed ancora: possiamo essere certi che la SCIA trovi applicazione anche nel campo della DIA relativa all'edilizia? In sintesi, non solo queste norme appaiono ridondanti e prive di efficacia, ma con la loro disorganicità contribuiscono a generare ulteriore incertezza nei cittadini e nelle imprese su una materia che è quanto mai delicata.
Concludo questo mio intervento confermando il giudizio negativo espresso dal Partito Democratico e dai numerosi colleghi che sono intervenuti tanto sul metodo da voi adottato quanto nel merito di questa manovra che consideriamo iniqua, insufficiente e assolutamente inaccettabile (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zucchi. Ne ha facoltà.

ANGELO ZUCCHI. Signor Presidente, in questi giorni si stanno susseguendo, in numerose piazze italiane, manifestazioni di tutto il mondo agricolo. La Coldiretti, la CIA, la Confagricoltura manifestano a Roma, Bari, Milano, Cremona, Napoli.
Il fatto che le manifestazioni avvengano in piazze diverse e in giorni diversi non vuol dire che non sia unico, univoco o identico il lamento, il moto di ribellione, Pag. 127addirittura lo sconcerto di tutto il mondo agricolo per questa manovra, per quello che essa non contiene, per le aspettative che tradisce, per la delusione che provoca a un mondo che in questi due anni si è sentito trascurato, non attenzionato come avrebbe dovuto. I diversi disegni di legge anticrisi che si sono succeduti mai si sono occupati della crisi dell'agricoltura e della pesca, come se agricoltura e pesca avessero potuto cavarsela senza interventi mirati e senza interventi ad essi dedicati.
Ma questo mondo è anche sdegnato per quello che questa manovra contiene, in modo particolare per quella parte che riguarda le quote latte. Tuttavia, la protesta deriva da una profonda crisi di un settore che ha visto profondamente diminuito il fatturato delle imprese, un peggioramento dei margini di filiera, un aumento sostanzioso dei costi di produzione, una diminuzione del reddito degli agricoltori del 25 per cento (più del doppio di quello che è avvenuto in Europa), una situazione del credito raddoppiata e notevolmente peggiorata.
Dal quadro appena descritto deriva che l'agricoltura e la pesca necessitano di politiche strutturali e di scelte strategiche che mettano al centro la ricerca e l'innovazione. Si tratta di interventi che si preoccupano di dare respiro al futuro, che siano da stimolo e incentivo per il ricambio generazionale, per il sostegno attivo a forme di aggregazione di imprese. Sono interventi che non ci sono in questa manovra, così come non ci sono neanche gli interventi che servono a mantenere impegni consolidati nel tempo come il rinnovo degli sgravi contributivi, come il Fondo per il settore bieticolo-saccarifero, come le difficoltà che si sono viste in questi mesi per reperire le risorse per il Fondo di solidarietà nazionale.
Di fronte a queste carenze, noi del Partito Democratico abbiamo presentato una serie di proposte emendative il cui insieme rappresenta un approccio alternativo a quello fin qui avuto dal Governo e dalla sua maggioranza. Ci siamo preoccupati di consolidare gli impegni che per questo settore sono essenziali. Il primo è la proroga delle agevolazioni previdenziali e contributive. È un provvedimento che scade il 31 luglio e che metterà nelle condizioni le imprese più deboli del nostro Paese, quelle che operano nelle aree svantaggiate e nelle zone montane, di ritrovarsi un costo del lavoro aumentato tra il 15 e il 50 per cento. È una cosa che riguarda le nostre imprese più deboli, in modo particolare del settore vitivinicolo, che già faticano a stare nella competizione. È un provvedimento che dovrebbe quanto meno essere prorogato fino alla fine di dicembre con l'obiettivo molto più nobile e più giusto di arrivare ad una stabilizzazione.
Inoltre, abbiamo presentato emendamenti per rifinanziare il Fondo bieticolo-saccarifero. Voglio ricordare che tale Fondo è stato negoziato in Europa quando si chiusero gli zuccherifici e si ridusse del 50 per cento la produzione di zucchero. Esso doveva servire per cinque anni a sostenere quella parte di produzione di zucchero italiana che nel frattempo si era ammodernata e aveva ammodernato gli impianti per riuscire a competere.
Questi cinque anni sono stati finanziati per tre anni - lo ricordo - quando c'era il Governo Prodi, mentre mancano il 2009 e il 2010. Oppure, ancora, abbiamo presentato emendamenti per la riduzione dell'accisa del gasolio, per le coltivazioni sotto serra, per le imprese che coltivano fiori, ma anche ortofrutta, che sono in grande difficoltà. Questo, infatti, è un provvedimento che non è stato più rifinanziato e lascia scoperta tutta la partita degli aumenti del costo di produzione.
Oppure ancora abbiamo proposto fondi per ammodernare le piccole imprese della pesca che si trovano a fare i conti con un provvedimento europeo scattato dal 1o giugno che le costringe a modificare l'ampiezza delle maglie delle reti e anche la distanza minima dalla costa. È un provvedimento che nessuno vuole disconoscere, ma che può essere accompagnato con una serie di incentivi che abbiamo previsto in questa nostra manovra alternativa. Oppure ancora abbiamo presentato emendamenti di medio respiro, misure per l'internazionalizzazione delle imprese. Pag. 128
Siamo in un Paese dove calano i consumi interni. Le nostre imprese, anche nel settore agroalimentare, debbono andare a cercare posizioni e spazi nei mercati esteri. Abbiamo proposto fondi per i confidi e per l'accesso al credito per aiutare le politiche di cofinanziamento e di investimenti o ancora misure per l'imprenditoria giovanile. Questo è il Paese, parafrasando un film, dove per l'agricoltura è certamente un Paese per vecchi e non bastano le promesse dell'ex Ministro Zaia che propose di dare i terreni demaniali da coltivare a giovani. Al di là del fatto che tali terreni non si sono visti, se non ci sono politiche di incentivo la propaganda serve a poco. Ancora, abbiamo proposto misure per le crisi del mercato in un settore che con la volatilità dei prezzi rischia davvero di entrare in un grosso corto circuito e più di 40 mila imprese hanno già chiuso in questo anno.
Come si vede, abbiamo presentato un pacchetto che, complessivamente, dà un'idea di agricoltura e abbiamo anche presentato un emendamento, sopra tutti, che tende a sopprimere l'articolo scandaloso che ha imperversato sulle prime pagine dei giornali in questi giorni: l'articolo 40-bis, che riguarda la proroga delle multe per le quote latte.
Su questo articolo bisogna essere molto chiari, signor Presidente: la proroga riguarda 109 allevatori. Quando il Ministro Bossi dice che sta dalla parte degli allevatori, dovrebbe rivedere questa sua decisione e posizione, ma soprattutto questa sua dichiarazione, perché sta dalla parte di 109 allevatori. Gli altri 39 mila non vengono minimamente toccati da questo provvedimento, perché la proroga agisce solo per gli allevatori che hanno aderito all'ultimo percorso di rateizzazione, all'ultima legge, la n. 33 del 2009, voluta dal Ministro Zaia, che vedeva scadere il pagamento della prima rata al 30 giugno, che viene prorogata al 31 dicembre. Tutti gli altri, che hanno aderito alla rateizzazione della legge n. 119 del 2003, già pagavano il 31 dicembre e non beneficeranno di alcun tipo di proroga. La cosa curiosa di questo articolo 40-bis è che le motivazioni per cui questo articolo è presente nella manovra sono due: vi è una grave crisi del settore lattiero-caseario e vi sono accertamenti in corso.
Sul fatto che vi sia una grave crisi del settore lattiero-caseario siamo tutti d'accordo. Vediamo la fatica che fanno gli allevatori a strappare prezzi del latte che riescano, in qualche modo, a coprire i loro costi di produzione. Sabato notte, in Lombardia, si è definito un costo e un prezzo del latte di 36 centesimi, che a malapena copre i costi di produzione degli allevatori, ma naturalmente dobbiamo anche dire che la crisi del settore lattiero-caseario riguarda tutti; non solo i 109 allevatori che beneficiano della proroga, ma anche tutti gli altri allevatori.
Come ci stiamo preoccupando di loro, se riconosciamo che c'è una grave crisi, forse sarebbe stato più utile, efficace ed efficiente mettere a disposizione quei 45 milioni di euro che la legge n. 33 del 2009, voluta dal Ministro Zaia, prevedeva per coloro che in questi anni hanno investito e affittato quote per riuscire a stare dentro i limiti della propria produzione.
Ma non v'è traccia, naturalmente, di questo nel provvedimento in esame. L'altra motivazione è che vi sarebbero degli accertamenti in corso; qui la questione non solo si fa curiosa, ma si fa anche politicamente molto più rilevante.
Infatti, signor Presidente, non vi sono accertamenti in corso. Si fa riferimento a una relazione dei carabinieri, su mandato assegnato dall'allora Ministro Zaia, protocollo 001731 del 24 febbraio 2010; al riguardo, osserverei la data, perché questa relazione dei carabinieri viene richiesta dal Ministro Zaia due mesi prima che egli si presenti e vinca le elezioni del Veneto, due mesi prima di abbandonare il Ministero.
Questa relazione ha lo scopo, secondo il Ministro, di approfondire e accertare la produzione nazionale di latte. Questa relazione è commissionata da Zaia a un gruppo di carabinieri e fa seguito alla presentazione di un'altra relazione conclusiva, attribuita alla commissione di indagine Pag. 129amministrativa istituita con decreto ministeriale del 20 giugno 2009, n. 6501.
Viene spontanea una domanda: cosa non convince Zaia nella relazione conclusiva della commissione, tanto da affidare ai carabinieri, che per inciso erano una parte minoritaria della commissione che indagava, un ulteriore approfondimento? L'esito della relazione dei carabinieri dimostra, anzi - il condizionale qui è d'obbligo - dimostrerebbe che in Italia non si sarebbe, di fatto, prodotto latte in eccesso, e quindi le multe inflitte dall'Europa non sarebbero dovute.
Naturalmente, signor Presidente, le conclusioni di questa relazione bastano perché il migliaio di allevatori irriducibili che non intendono pagare le sanzioni e che utilizzano ogni argomento possibile per iniziare dei ricorsi davanti ai giudici riaccendano i trattori e ripartano con una serie di ricorsi, per evitare, naturalmente, il pagamento delle multe.
È evidente allora, signor Presidente, che - e a pensar male da questo punto di vista forse ci si azzecca - la motivazione dell'articolo 40-bis, accertamenti in corso, diventa valida sia per i 109 allevatori, che hanno, per così dire, la proroga dei loro pagamenti sia, a questo punto, per il famoso migliaio di irriducibili che pensa: se è stata prevista una legge e ci sono degli accertamenti in corso, io intanto che aspetto dei chiarimenti non pago le multe. Questi mille, che detengono il 70 per cento delle multe da pagare, continuano allegramente a non pagarle.
Poi succede a un certo punto che arriva il ministro Galan, il quale commissiona un'altra relazione al dipartimento del MIPAF, con il sostegno di Agea, che arriva a delle conclusioni diametralmente opposte a quelle dei carabinieri sostenendo, in realtà, di confermare la sovrapproduzione del latte in questo Paese e quindi la necessità e l'obbligo di pagamento delle multe. Lo dice il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, lo dice il Governo e quindi ufficialmente non ci sono accertamenti in corso, perché la questione, secondo il MIPAF è chiusa.
Ho fatto la storia del 40-bis, signor Presidente, perché è abbastanza scandalosa. Questo provvedimento - che trasferisce peraltro la guerra che Galan e Zaia avevano in Veneto all'interno del Ministero dell'agricoltura e che certo non produrrà benefici per le politiche agricole in questa situazione - costa qualcosa, in termini di ritardati pagamenti, come 5 milioni di euro, che avremmo potuto investire tranquillamente nel settore lattiero-caseario così in crisi; costa inoltre anche rispetto alle sanzioni che l'Europa ci comminerà, perché il Commissario europeo Ciolos ci ha già fatto sapere, rispondendo a Galan attraverso una lettera protocollata 2010/1175, che l'Europa, se noi proroghiamo il pagamento delle multe, ci sanzionerà.
Mettiamo insieme cinque milioni, mettiamo insieme il pagamento delle multe e probabilmente uscirà una cifra utile, o più utile, a sostenere il settore lattiero-caseario. Naturalmente la questione mette in imbarazzo la maggioranza perché l'altro giorno, in Commissione agricoltura, la maggioranza si è spaccata ed è letteralmente implosa. Il PdL, e il capogruppo Beccalossi in particolare, voleva approvare un parere favorevole alla manovra economica, condizionandola alla soppressione dell'articolo 40-bis. A quel punto la Lega Nord ha lasciato i lavori della Commissione, per non partecipare a quel voto, e la maggioranza è andata sotto. La Commissione agricoltura si presenterà quindi in quest'Aula, avendo bocciato la manovra economica del Governo, perché naturalmente trasferisce qui questa tensione, che è abbastanza evidente e che ricade e si ripercuote negativamente sul settore agricolo.
In realtà, si fa una forzatura per continuare a proteggere i furbi, per calpestare quei pochi o tanti onesti che hanno rispettato le regole, per cercare di stare, come dire, in un sistema in cui uno Stato dovrebbe quanto meno tutelare chi rispetta le regole.
La Lega Nord però vi sta imponendo la sua strategia. Vorrei sapere, anzi vorremmo sapere - e poi indagheremo - chi sono questi 109 interessati. Ci deve essere Pag. 130una relazione molto diretta, se la Lega Nord si spende per 109 allevatori. Dirò di più, vorremmo anche sapere chi sono questi mille e in quale relaziono sono con la Lega, se un manipolo di persone, poche rispetto ai 40 mila allevatori, mobilita una forza politica con la veemenza con la quale la Lega vi ha imposto nell'ambito della manovra, questa operazione assolutamente scandalosa.
Concludo dicendo che il furore, che vi ha condotto a chiudere gli enti pubblici, vi ha portato anche a chiudere enti che non costavano un euro allo Stato e ciò per dare in pasto all'opinione pubblica, con un poco di propaganda, il fatto che voi riducete i costi e quindi fate operazioni di risanamento. Anche noi siamo per le operazioni di risanamento, ma qui state chiudendo enti che non costavano nulla.
Faccio l'esempio dell'ENSE, l'Ente nazionale sementi elette, che ha un ruolo essenziale per garantire certificazione e controllo sulla qualità dei semi e per garantire la genuinità della filiera produttiva agricola.
L'ENSE, che svolge un ruolo autonomo di ricerca, controllo e certificazione in un momento importante e che riesce anche a tutelare il nostro patrimonio e la nostra biodiversità rispetto al tema degli OGM, - ma anche in questo caso a pensar male probabilmente si fa bene - voi lo sopprimete.
L'ENSE non costa un euro, perché vive dei costi di certificazione che attribuisce ai sementieri e agli imprenditori agricoli. Cosa risparmia lo Stato? Niente, però il furore di questa chiusura e delle prime pagine dei giornali vi porta a chiudere qualunque cosa. Ci avevate provato con l'Ente nazionale risi: lì aveste un sussulto di riflessione e vi siete fermati, qui la riflessione non c'è perché dovete mettere la fiducia, non si può ragionare, non si può discutere e quindi chiudiamo l'ENSE: grande capolavoro! L'agricoltura in questa manovra non solo è dimenticata ma mi verrebbe da dire che continuate a dimenticarla, perché quando invece vi mettete in testa di occuparvi dell'agricoltura fate solo dei danni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zucchi, anche per l'entusiasmo suscitato nei suoi colleghi vista l'ora.
Avverto che il seguito della discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione in esame avrà luogo nella seduta di domani con inizio alle ore 9,30.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 22,28).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla X Commissione (Attività produttive):
S. 2266 - «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105, recante misure urgenti in materia di energia. Proroga di termine per l'esercizio di delega legislativa in materia di riordino del sistema degli incentivi» (Approvato dal Senato) (3660) - Parere delle Commissioni I, II, V, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Ricordo che il Parlamento in seduta comune è convocato domani alle ore 13 Pag. 131per l'elezione di otto componenti il Consiglio superiore della magistratura. La chiama avrà inizio dai deputati.

Martedì 27 luglio 2010, alle 9,30:

(ore 9,30, con votazioni a partire dalle ore 11)

Seguito della discussione del disegno di legge (per il seguito della discussione sulle linee generali e, previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali presentate, per il seguito dell'esame):
S. 2228 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica (Approvato dal Senato) (C. 3638).
- Relatori: Gioacchino Alfano, per la maggioranza; Baretta e Borghesi, di minoranza.

La seduta termina alle 22,30.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIOACCHINO ALFANO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3638

GIOACCHINO ALFANO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, il decreto-legge che oggi cominciamo ad esaminare è stato adottato dal Governo per affrontare la congiuntura economica e finanziaria descritta dalla Relazione unificata sull'economia e sulla finanza pubblica (RUEF), elaborata dal Governo all'inizio dello scorso mese di maggio, e per dare una risposta alle pressioni che si sono determinate sui mercati finanziari internazionali a seguito dell'emersione della gravissima situazione di deficit delle finanze greche.
Come ha bene affermato il Ministro Tremonti, durante l'esame in Commissione bilancio, per effetto della crisi, i problemi finanziari, originati in importanti Paesi stranieri da una crisi del debito privato, si sono trasferiti in ambito pubblico.
A fronte di tale esigenza, vi è stata una risposta, coordinata in tutti i principali Paesi europei a seguito del Consiglio straordinario dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione e della riunione ECOFIN, rispettivamente, del 7 e del 10 maggio scorsi.
Occorre, quindi, sottolineare che la manovra può essere definita di matrice europea, nel senso che in questo dato momento storico, a fronte dei problemi finanziari emersi, non si poteva che ricorrere, in un'area sostanzialmente omogenea come quella europea, a misure di quelle del tenore proposto, pressoché ovunque, anche se non vi fosse stata, per assurdo, l'Unione europea.
Alla base della manovra vi è dunque una riflessione politica sulla necessità di porre rimedio ad una dinamica sociale ed economica non più sostenibile a livello europeo, laddove si è registrata una forte asimmetria tra la ricchezza prodotta e le spese sostenute.
Possiamo sicuramente affermare che questa manovra è anticipata rispetto alle scadenza ordinarie, in quanto intende ridurre l'incertezza degli operatori economici, rendendo evidente che la politica di bilancio è al momento fermamente orientata a raggiungere gli obiettivi indicati, con un impatto a regime quantificato pari a circa 1,5 per cento del Pil. Questa manovra si colloca nella fase di consolidamento della ripresa tenendo presente che la crisi del biennio 2008-2009 non ha ancora esaurito i suoi effetti sia sull'economia reale sia sulla finanza pubblica.
Per quanto attiene al quadro economico, in particolare, ricordo che, in Europa, nel corso del 2009, si è registrata una significativa contrazione del tasso di crescita dell'economia, pari a 4,2 punti percentuali (4,1 per cento nell'area euro) rispetto all'anno precedente. Inoltre, nel medesimo periodo, l'indebitamento netto dell'area euro rispetto al prodotto interno lordo è passato dal 2 per cento del 2008 Pag. 132al 6,3 per cento del 2009 e un ulteriore aumento è atteso per l'anno in corso (6,6 per cento). Peraltro, in Paesi come Francia e Spagna si registra una situazione ancora peggiore. Al di fuori dell'eurozona, il Regno Unito dovrebbe registrare nel 2010 un indebitamento netto dell'ordine dei 12 punti percentuali sul PIL. L'incremento del disavanzo ha concorso a causare un aumento, di circa 10 punti, del rapporto tra il debito ed il PIL tra il 2008 e il 2009 (dal 69,4 al 78,7 per cento del PIL). Tale trend appare confermato anche per il 2011 con una previsione in aumento fino all'84,7 per cento.
Per quanto riguarda l'Italia, la RUEF ha previsto che l'indebitamento netto dovrebbe attestarsi, nell'anno in corso, su un valore pari al 5 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di un andamento dell'economia che, dopo aver registrato una consistente riduzione nel 2009, torna a mostrare nell'anno in corso valori positivi, sia pure modesti. Un lieve miglioramento è previsto negli anni successivi quando, in corrispondenza di un progressivo aumento del PIL, il disavanzo dovrebbe ridursi fino al 4,3 per cento nel 2012. In relazione all'evoluzione attesa per il deficit di bilancio e per il prodotto interno lordo, il debito è previsto aumentare dal 115,8 per cento del 2009 al 118,4 per cento nel 2010. Un ulteriore aumento, al 119,5 per cento, è previsto nel 2011.
Rispetto all'ultimo documento di programmazione (Aggiornamento del Programma di Stabilità 2010-2012) la RUEF ha rivisto in senso prudenziale le stime, sia per quanto riguarda la crescita dell'economia (nel 2010 dall'1,1 per cento all'1,0 per cento, nel 2012 dal 2,0 all'1,5 per cento), mentre sono confermati gli obiettivi programmatici di indebitamento netto (in termini nominali, pari al 3,9 per cento del PIL nel 2011, al 2,7 per cento nel 2012) e il percorso atteso di riduzione del saldo strutturale (pari al 2,5 per cento del PIL nel 2011 e al 2 per cento nel 2012).
Il decreto-legge n. 78 del 2010 costituisce lo strumento necessario al fine di adottare gli interventi correttivi già delineati dalla richiamata relazione. Tali obiettivi riflettono gli impegni assunti in ambito europeo con l'aggiornamento del Programma di Stabilità 2010.
Faccio presente peraltro che, in sede europea, nel novembre scorso, è stata concordemente valutata l'opportunità, alla luce della situazione finanziaria internazionale, di impegnare gli Stati membri ad assumere tempestivamente le misure necessarie ad assicurare la stabilità delle finanze pubbliche nel breve e nel medio periodo, al fine di rassicurare i mercati e di rafforzare la moneta unica. In particolare, è stato chiesto agli Stati membri che presentavano, come l'Italia, uno scostamento nei conti pubblici rispetto agli obiettivi fissati con il Trattato di Maastricht, di presentare i rispettivi interventi correttivi entro il 2 giugno 2010.
A tal proposito vorrei chiarire che le valutazioni del novembre scorso non avevano carattere perentorio e che la decisione effettiva circa la necessità di anticipare interventi, che - lo ribadisco - sarebbero stati assunti comunque, ma solo qualche mese dopo, è stata assunta solo a seguito delle richiamate riunioni dell'inizio dello scorso mese di maggio.
Segnalo, inoltre, che tutti i principali Paesi dell'Unione europea, ivi compresa la Germania, comunemente presa a modello per la stabilità dei conti, hanno adottato manovre correttive volte a prevedere drastiche e talvolta anche più dolorose disposizioni di riduzione delle spese.
Vorrei inoltre decisamente sottolineare come, in nessun Paese europeo, si sia deciso di intraprendere la strada di puntare alla soluzione dei problemi attraverso un aumento delle entrate, come suggerito da alcuni settori dell'opposizione, perché tale scelta è stata considerata controproducente.
Ricordo inoltre che la comunicazione del 30 giugno 2010 della Commissione europea - che la Commissione bilancio Pag. 133sta esaminando in questi giorni insieme alla Commissione XIV - ha delineato l'introduzione di un semestre europeo. Si dovrà realizzare, in sostanza, una sorta di sessione di bilancio a livello europeo nella quale tutti gli Stati membri, prima di presentare le rispettive manovre finanziarie, dovranno discuterne assieme il contenuto. Dovrà, così, realizzarsi un coordinamento tra i diversi Paesi e un controllo reciproco sull'andamento delle rispettive finanze. Il provvedimento in esame anticipa questa linea di tendenza e concorre all'adozione di una sorta di «finanziaria» comune a livello europeo.
Con il presente decreto-legge, che si pone in linea di continuità con la legge finanziaria 2010, l'Italia compie quell'opera di messa in sicurezza dei propri conti, al fine di evitare fenomeni di tipo speculativo analoghi a quelli che hanno investito altri Paesi europei.
Si è quindi resa necessaria una manovra assai rilevante, che - pur senza aumentare la pressione fiscale - richiede tuttavia sacrifici, in particolare ai dipendenti pubblici, che negli ultimi anni hanno beneficiato di aumenti mediamente maggiori di quelli ottenuti dai dipendenti del settore privato. È comunque un intervento assolutamente necessario, anche alla luce della procedura aperta, in sede europea, per disavanzo eccessivo a carico dell'Italia, come per altri Paesi europei. Lo sforzo del Governo e della maggioranza è stato quello di assicurare un'equa ripartizione del carico della manovra correttiva tra i diversi livelli territoriali e tra le diverse categorie sociali. Se guardiamo al quadro complessivo degli interventi previsti, possiamo notare lo sforzo compiuto dal Governo di agire in maniera pressoché esclusiva su due versanti, la riduzione della spesa pubblica e la lotta all'evasione fiscale, con misure che possono raccogliersi in quattro principali capitoli: enti locali; pubblica amministrazione; entrate; previdenza.
Come si evince dalla nota informativa trasmessa nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento, il richiamato contenimento della spesa pubblica sarà pari a circa 8 miliardi di euro nel 2011, a 14,9 miliardi di euro nel 2012 e a 17 miliardi di euro nel 2013.
In questo quadro, si è reso necessario un significativo apporto al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali, che, a regime, contribuiranno con circa 8,5 miliardi di euro.
La consistente riduzione delle risorse destinate agli enti territoriali non pregiudicherà tuttavia in alcun modo l'attuazione del federalismo fiscale, come chiarito dall'articolo 14, comma 2, del provvedimento in esame, ed anzi potrà essere un'occasione per una razionalizzazione della finanza degli enti territoriali medesimi, più volte invocata.
Il provvedimento, peraltro, rivela alcune potenzialità che, se ben utilizzate, potranno rappresentare un incentivo allo sviluppo, specialmente per le regioni del Mezzogiorno. Ricordo in particolare le disposizioni relative a forme di fiscalità di vantaggio ed alla creazione di zone a «burocrazia zero».
La necessità di uno snellimento degli apparati burocratici e di un contenimento delle dinamiche di crescita della spesa, che ha raggiunto l'insostenibile soglia del 52,5 per cento del prodotto interno lordo, è alla base della filosofia che ha ispirato le analoghe manovre adottate negli altri Paesi europei.
La situazione relativamente migliore dell'Italia, anche grazie all'azione prudente e rigorosa perseguita dal Governo, sul versante del deficit ha consentito di effettuare una correzione relativamente contenuta, pari a circa 25 miliardi di euro nel triennio di riferimento.
Desidero inoltre sottolineare che il decreto-legge introduce importanti norme volte a rendere più efficace il contrasto all'evasione fiscale, perseguito con grande determinazione dal Governo.
In particolare, ricordo le misure volte a potenziare il cosiddetto redditometro e l'introduzione della fattura telematica per Pag. 134importi superiori ai 3.000 euro, nonché i controlli più incisivi su taluni fenomeni e comportamenti elusivi.
Più nel dettaglio, rilevo come l'esame da parte del Senato abbia sostanzialmente confermato l'impianto generale della manovra, senza operare una modifica dei saldi complessivi.
Va anzi sottolineato come le modifiche introdotte dall'altro ramo del Parlamento siano in realtà virtuose, in quanto determinano un'ulteriore riduzione dell'indebitamento netto per 77,3 milioni nel 2011, 86,2 milioni nel 2012 e 54,6 milioni nel 2013. Nel 2012 la correzione arriva dunque a 25.068 milioni.
Rilevo inoltre come, con riferimento alla manovra netta negli anni 2011-2013, ovvero alla correzione del deficit operata attraverso un miglioramento del saldo primario, essa operi prevalentemente (62,2 per cento nella media del triennio) attraverso il contenimento della spesa e, al suo interno, della componente di parte corrente.
È questa un'inversione di rotta di fondamentale importanza, che tende a correggere uno squilibrio strutturale della finanza pubblica e che come tale va guardato con grande favore.
In merito alla composizione della manovra, particolare rilievo assumono le misure correttive poste a carico del comparto delle Amministrazioni locali, che rappresentano una quota della manovra complessiva pari alla metà nell'esercizio 2011 e a un terzo nei due esercizi successivi.
Il comparto maggiormente inciso è quello delle regioni a statuto ordinario, sul quale grava oltre la metà della correzione complessiva richiesta al totale delle amministrazioni locali.
Nel complesso, la misura del concorso alla manovra a carico degli enti territoriali è determinato in 6.300 milioni nel 2011 e 8.500 milioni a decorrere dal 2012,
Le modifiche apportate al Senato riguardano esclusivamente il comparto dei comuni e hanno effetti sostanzialmente compensativi all'interno dello stesso, fatta eccezione per lo stanziamento in favore dei comuni commissariati (destinato in sostanza al comune di Roma), che trova copertura a valere sugli effetti di maggiore entrata recati da altre disposizioni introdotte al Senato.
Rispetto alla tipologia degli strumenti utilizzati nella manovra, a differenza di quanto operato negli ultimi anni, l'effetto di contenimento dei saldi per le regioni a statuto ordinario, i comuni e le province non risulta affidato allo strumento del patto di stabilità interno, inteso come vincoli sulle poste di bilancio, bensì ad una riduzione di trasferimenti. I vincoli previsti dalla normativa vigente del patto, che copre un arco temporale che arriva fino al 2011, non sono, infatti, modificati dal provvedimento in esame.
In merito all'utilizzo dello strumento del taglio dei trasferimenti, va segnalato come il susseguirsi, nel passato, di manovre basate sui vincoli di spesa (per le regioni) o di saldo (per gli enti locali), mediante lo strumento del patto di stabilità interno, abbia portato in molti casi all'emersione di avanzi di amministrazione: interventi aggiuntivi miranti a restringere ulteriormente la capacità di spesa delle regioni (a parità di risorse disponibili), o a imporre agli enti locali miglioramenti cumulativi di saldi già in avanzo, avrebbero pertanto comportato indesiderabili effetti distorsivi rispetto ad un'efficiente allocazione di risorse.
Da tale circostanza deriva, verosimilmente, la scelta - dolorosa ma fondata sotto il profilo tecnico - di intervenire mediante una riduzione delle risorse. Riduzione i cui criteri di riparto tra gli enti territoriali potranno essere concordati con le stesse autonomie sulla base di una logica - sottesa alle modifiche introdotte dal Senato - volta a premiare le amministrazioni più virtuose in termini di equilibri di bilancio e contenimento delle spese.
Con riferimento alle regioni a statuto speciale, invece, lo strumento utilizzato per la manovra resta affidato, come nel passato, al meccanismo del patto di stabilità interno, da attuarsi mediante accordi Pag. 135tra lo Stato e le regioni stesse, rimanendo tali regioni escluse dalla riduzione delle risorse loro spettanti.
Ricordo poi che il decreto-legge prevede un inasprimento delle sanzioni vigenti per il mancato rispetto del patto di stabilità interno. In particolare per gli enti locali le sanzioni sono integrate con la riduzione dei trasferimenti dal bilancio dello Stato in misura pari allo scostamento tra saldo obiettivo e saldo conseguito e, per le regioni, con l'obbligo di versare all'entrata del bilancio dello Stato un importo pari allo scostamento tra l'obiettivo ed il risultato conseguito.
Parallelamente, il decreto dispone, per l'anno 2010, un'attenuazione del patto di stabilità interno, in analogia con quanto disposto lo scorso anno, al fine di sostenere la spesa per investimenti degli enti locali.
Gli enti locali rispettosi del patto dell'anno 2009 possono, infatti, escludere dal saldo di riferimento le spese di investimento in misura pari allo 0,78 per cento (in realtà, sembra si tratti dello 0,75, secondo quanto rilevato dagli uffici in merito all'articolo 14, commi 11 e 33-bis) dei residui passivi di conto capitale risultanti dai rendiconti dell'esercizio 2008.
Ulteriori deroghe ai vincoli del patto di stabilità sono inoltre previste in favore di determinate categorie di enti locali, in particolare per i comuni della Provincia de L'Aquila in stato di dissesto e per i comuni commissariati per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, che possono escludere dal patto alcune voci di entrata e di spesa connesse a specifici trasferimenti autorizzati al fine di agevolare il lavoro delle commissioni straordinarie chiamate alla gestione di tali enti.
Tra le ulteriori misure in materia di autonomie territoriali ricordo, in quanto inedita, la previsione contenuta nell'articolo 14, comma 6, relativa alla sospensione dei trasferimenti erariali nei confronti delle regioni che risultino «in deficit eccessivo di bilancio».
Il decreto dispone poi una serie di misure in favore del comune di Roma, per il concorso al sostegno degli oneri derivanti dall'attuazione del piano di rientro (articolo 14, commi da 13-bis a 18). A tal fine, si prevede la costituzione di due fondi nel bilancio dello Stato, rispettivamente, di 300 e 200 milioni annui a decorrere dal 2011, come contributo al comune di Roma per il finanziamento del piano di rientro dall'indebitamento pregresso. Il comune di Roma è peraltro autorizzato ad adottare una serie di misure - tra cui l'istituzione di un'addizionale sui diritti di imbarco e l'incremento dell'addizionale comunale all'IRPEF - per reperire le risorse necessarie all'attuazione del predetto piano e a garantire l'equilibrio della gestione ordinaria.
Un ulteriore esteso ambito di intervento è riferibile al pubblico impiego, per il quale si prevedono, in termini di indebitamento netto, minori spese pari a circa 921 milioni di euro per il 2011, 1.407 milioni di euro e 1.766 milioni di euro per il 2013.
L'entità della manovra è particolarmente ampia se si considera che tali dati non includono le riduzioni di spesa eventualmente attuate dalle autonomie locali in applicazione dell'articolo 14.
Le misure di contenimento si sostanziano, principalmente, nel blocco delle retribuzioni per il triennio 2011-2013. A tal fine si prevede di non procedere ai rinnovi dei contratti, raffreddando nel contempo le dinamiche di crescita delle retribuzioni. Tra gli interventi disposti un'assoluta novità è rappresentata anche dal taglio del 5 e del 10 per cento delle retribuzioni superiori, rispettivamente, a 90 e 150 mila euro; le misure introdotte si affiancano al rafforzamento di altre più tradizionali, come la riduzione del turn over.
La manovra si completa con una pluralità di altre norme tra le quali la riduzione dei trattamenti spettanti a Ministri e Sottosegretari non parlamentari e agli addetti agli uffici di diretta collaborazione dei Ministri.
In tale quadro, sottolineo tuttavia che si è riuscito ad evitare un taglio alle Pag. 136indennità previste per il comparto sicurezza, a dimostrazione della grande attenzione del Governo per questo settore e della determinatezza con cui si intende continuare la lotta alle organizzazioni criminali che ha dato, anche nelle ultime settimane, frutti molto importanti.
Risparmi di spesa rilevanti sono altresì ottenuti limitando i costi di funzionamento della pubblica amministrazione.
A tale scopo è prevista la riduzione del 10 per cento delle dotazioni finanziarie delle spese rimodulabili nell'ambito delle missioni di spesa di ciascun Ministero, i cui effetti in termini di indebitamento netto comportano una riduzione pari a circa 1.400 milioni per l'anno 2011, 2.000 per il 2012 e 2.700 per il 2013.
Tali riduzioni di spesa comprendono anche gli effetti di contenimento degli stanziamenti di spesa dei Ministeri per consumi intermedi; in tale ambito rileva il contenimento delle spese per studi e consulenze, nonché per relazioni pubbliche, convegni, mostre e spese di rappresentanza, nonché il divieto di sponsorizzazioni. Contribuiscono alla riduzione dei consumi intermedi anche i risparmi derivanti dalla riduzione delle risorse per le missioni.
È altresì disposta la riduzione delle spese per formazione, nonché per quelle relative all'acquisto, manutenzione, noleggio di autovetture e la riduzione delle spese per fitti passivi.
Le misure richiamate si applicano a tutte le Amministrazioni pubbliche in via diretta, con esclusione delle Regioni, delle Province autonome, e degli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali si prevede che tali norme costituiscano disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica.
Di rilievo sono inoltre le misure tese alla soppressione ed unificazione di enti ed organismi pubblici, nonché la riduzione di contributi al finanziamento degli enti, istituti, fondazioni e altri organismi.
A queste misure si affiancano interventi per la semplificazione della governance degli enti previdenziali pubblici ed il rafforzamento dei vincoli della spesa sanitaria.
Ulteriori risparmi derivano inoltre dalla riduzione dei cosiddetti costi della politica, conseguita attraverso la riduzione degli stipendi di Ministri e Sottosegretari, della struttura amministrativa della Presidenza del Consiglio, nonché con la riduzione delle risorse destinate ai rimborsi delle spese elettorali. Nella medesima direzione operano le misure volte al contenimento del costo degli apparati politici ed amministrativi locali, in particolare quelle relative ai trattamenti economici dei Consigli regionali, delle Giunte e dei Presidenti di Giunta (articolo 5, comma 1) e quelle relative dirette alla riduzione delle indennità di sindaci, presidenti di provincia, assessori ed altri amministratori locali; all'abolizione dei compensi dei consiglieri circoscrizionali; all'introduzione del divieto di cumulo delle indennità dei soggetti che ricoprono più incarichi (articolo 6, commi 6-11).
Sempre sul versante del reperimento delle risorse, un ruolo significativo - anche se inferiore, come accennato, a quello svolto dalla riduzione delle spese correnti - è esercitato dalle misure di contrasto all'evasione fiscale e, in generale, dal comparto delle entrate tributarie, che garantisce un contributo netto alla manovra di stabilizzazione, in termini di indebitamento netto, di circa 798 milioni di euro nel 2010, 3.329 milioni di euro nel 2011, 9.676 milioni di euro nel 2012 e di 7.589 milioni di euro nel 2013.
Le misure di potenziamento della lotta all'evasione adottate operano su un duplice piano: da un lato, attraverso l'introduzione di più efficaci strumenti di accertamento, dall'altro, attraverso la focalizzazione dell'attività di ispezione e controllo su determinati segmenti di contribuenti, i cui comportamenti appaiono a più elevato rischio di evasione.
Tra le misure del primo gruppo, un impatto significativo sul gettito viene garantito dall'aggiornamento dell'accertamento sintetico, cosiddetto redditometro (articolo 22), dall'obbligo di comunicazione Pag. 137telematica all'Agenzia delle entrate delle fatture di importo superiore ad una certa soglia (articolo 21), dalla procedura di autorizzazione per l'effettuazione di operazioni intracomunitarie (articolo 27) e dalla previsione di una documentazione standardizzata di conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento (articolo 26).
Tra le misure volte ad orientare efficacemente l'attività di accertamento si segnalano quelle di contrasto al fenomeno delle imprese «apri e chiudi» (articolo 23) e delle imprese in perdita sistemica (articolo 24),
Di rilievo sono inoltre le misure in tema di regime fiscale per i fondi immobiliari e quelle volte a contrastare il fenomeno del riciclaggio dei proventi da attività criminose attraverso la tracciabilità dei movimenti in contanti.
Sotto altro versante, significativi risparmi sono attesi dal contenimento delle spese in materia previdenziale e assistenziale, e in particolare dal rinvio dell'uscita dal lavoro per il pensionamento di vecchiaia ordinario e per il pensionamento anticipato.
In particolare, a partire dal 2011 si potrà andare in pensione 12 mesi dopo aver raggiunto i requisiti per i lavoratori dipendenti e 18 mesi dopo per i lavoratori autonomi. Inoltre, il trattamento di fine servizio dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche sarà riconosciuto in quote annuali, in base al livello della complessiva prestazione e si dispone il computo delle medesime indennità secondo il sistema del pro-rata con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011.
Ulteriori interventi di risparmio sono disposti per contrastare gli abusi in materia di invalidità civile.
Il decreto prevede, infine, una serie di misure per rilanciare lo sviluppo e incentivare la competitività.
Tra queste, oltre alla già richiamata fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno e le aree sottoutilizzate del Paese - in base alla quale le Regioni potranno modificare le aliquote Irap, fino ad azzerarle, e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni per le nuove iniziative produttive - ricordo come per agevolare l'iniziativa produttiva nel Mezzogiorno sia prevista l'individuazione di un Commissario di governo per tutte le pratiche amministrative connesse all'avvio di nuove attività economiche (zone a «zero burocrazia»).
Sono, inoltre, previsti incentivi per attirare investimenti dall'estero, in base ai quali le imprese di Paesi dell'Unione europea, che intraprendono iniziative imprenditoriali in Italia, possono scegliere, in alternativa alla normativa fiscale italiana, l'applicazione, per un periodo di tre anni, del regime fiscale vigente in uno degli Stati dell'Unione europea.
Analogamente, è prevista l'introduzione di vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari alle reti di imprese riconosciute ai sensi della disciplina in materia di contratto di rete introdotta durante l'esame al Senato.
Specifici incentivi in materia di imposta sul reddito sono riconosciuti per il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero.
Di assoluto rilievo sono inoltre le disposizioni di cui all'articolo 49 in materia di Conferenza di servizi e quelle, introdotte in tale ambito dal Senato, recanti norme in materia di segnalazione certificata di inizio attività e altre norme di semplificazione amministrativa per le imprese, attraverso le quali si intende corrispondere all'esigenza di liberalizzazione dell'attività d'impresa attraverso l'istituzione di una segnalazione certificata di inizio attività che sostituisce ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale.
Ricordo, poi, le disposizioni in materia di contratto di produttività, il riordino della disciplina dei certificati verdi e sistema CIP 6, il rifinanziamento del Fondo infrastrutture, le norme in materia di concessioni autostradali, assieme ad Pag. 138altre misure introdotte dal Senato, quali ad esempio quelle volte a far fronte alla crisi in atto nel settore della pesca marittima. Queste disposizioni costituiscono nel loro complesso un insieme di interventi normativi assai ampio e intenso, che rivela il tentativo di perseguire gli obiettivi di risanamento di finanza pubblica distribuendo il più possibile i relativi oneri a livello sociale ed economico.
Un insieme di interventi che si rivela idoneo a consolidare i conti pubblici nella misura richiesta dall'Unione europea e a soddisfare le aspettative dei mercati, condizioni queste irrinunciabili per incamminarsi su un nuovo percorso di crescita e di sviluppo del sistema paese.
Da ultimo vorrei svolgere qualche breve considerazione sul significato dell'esame del decreto-legge presso questo ramo del Parlamento. La necessità di assicurare la conversione del provvedimento ha imposto - ovviamente - limiti molto stretti all'ambito di manovra a nostra disposizione. Tuttavia, credo che l'esame che abbiamo svolto nell'ambito della Commissione bilancio, anche grazie al contributo dei gruppi dell'opposizione, non sia stato inutile. Mi sembra importante, infatti, che - anche senza apportare modifiche - la Commissione abbia potuto svolgere un ampio dibattito sul contenuto del decreto e sulle scelte di politica economica del Governo, al quale ha preso parte lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze. In questa discussione abbiamo potuto ascoltare e discutere le scelte del Governo e della maggioranza e valutare le proposte di modifica e di integrazione al testo del decreto avanzate dall'opposizione, che in alcuni casi appaiono meritevoli di approfondimento e potranno, comunque, essere considerate in occasione dell'esame di futuri provvedimenti. Auspico, comunque, che nel futuro - anche grazie alla riforma dei Regolamenti parlamentari - si possano finalmente definire modalità di esame delle manovre finanziarie e dei provvedimenti collegati che consentano a tutti e due i rami del Parlamento di concorrere alla definizione delle linee essenziali di politica economica del nostro Paese.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI ALDO DI BIAGIO E ROCCO BUTTIGLIONE IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3638

ALDO DI BIAGIO. Onorevoli colleghi, Viceministro Vegas, non manco certo di lucidità o pragmatismo politico, ben consapevole della necessità di interventi mirati ed urgenti finalizzati al riequilibrio dei saldi della finanza pubblica del nostro Paese.
L'ho espresso in sede consultiva e dando riscontri ai cittadini che talvolta, confusi, chiedono di capirne di più.
Ma accanto a questa presa di coscienza che ci permette di cogliere quanto il nostro Esecutivo sia stato celere nella rimodulazione delle risorse, emerge più di una perplessità. Avviare un'opera di riequilibrio della finanza pubblica non deve necessariamente coincidere con una manovra di tagli e riduzioni di spesa, che rischierebbero - di contro - di sollevare criticità ancora più lampanti.
Di questo - purtroppo - i cittadini se ne stanno rendendo conto.
Non si rinviene nel complesso della manovra una riforma strutturale del sistema della collocazione delle risorse nell'ambito della gestione della Pubblica Amministrazione e degli interventi e delle finalità a questa deputate.
Tagliare i capitoli di spesa o procedere con razionalizzazioni che - purtroppo - non sembrano seguire un progetto preciso di natura strutturale, rischiano di legittimare una massimizzazione dell'inefficienza unita ad una grave ripercussione sui profili occupazionali.
Voglio - in particolare - condividere con voi le criticità in merito all'articolo 7 di questo provvedimento, recante soppressione ed incorporazione di enti ed organismi pubblici. Sappiamo bene che le Pag. 139disposizioni vedono coinvolti enti previdenziali come 1'Ipsema, la cui ipotetica confluenza nell'Inail comporta delle gravi ripercussioni in termini di specificità operativa e capacità procedurale nel settore.
Voglio evidenziarvi che qualche settimana fa era in discussione in Commissione lavoro la proposta di legge istitutiva dell'Ente Sociale Italiano della Navigazione (ESIN) il cui obbiettivo era quello di avviare un percorso di razionalizzazione nel settore marittimo.
L'ESIN avrebbe raggruppato in un unico ente tutte le strutture e gli enti operanti nel settore, comportando unitarietà operativa e massimizzazione dei risultati oltre che significativi risparmi.
Tutti aspetti che erano stati ben vagliati degli uffici competenti e dalla Commissione in sede referente.
Dalla nascita dell'Esin è stato stimato che deriverebbe un risparmio per l'erario di circa 14 milioni di euro.
Ben distanti dalla manciata di euro, circa 500 mila derivanti dalla soppressione dell'Ipsema e dalla creazione del mega ente Inail.
Ritornando alla nostra argomentazione, la soppressione dell'Ipsema - di contro - andrebbe a criticizzare l'intero comparto, creando problemi agli operatori del mare e ai circa 450 mila lavoratori del settore, che stanno protestando ormai da due mesi contro questa scelta.
A ciò si aggiunge che il nostro Paese dovrebbe ratificare entro dicembre 2010 la Convenzione ILO sul lavoro marittimo.
Un provvedimento importante che rappresenta il quarto pilastro del sistema normativo internazionale in materia di rapporto marittimo.
Questo testo sancisce l'esigenza di usufruire di un ente specifico nel settore marittimo che risponda ai parametri dettati dalla convenzione e che conosca perfettamente tutte le attività che ruotano intorno al mondo navale e marittimo.
Quindi il paradosso sta nel fatto che, da un lato il Governo italiano sopprime l'ente marittimo, dall'altro con la ratifica di tale convenzione si dovrebbe ricostituire uno specifico ente dedicato alla sicurezza, prevenzione e welfare dei marittimi, cioè un ente uguale all'Ipsema.
Elementi che ci inducono a credere che l'ipotesi di rimodulazione amministrativa - così come individuata da questa manovra - necessiti di un'attenzione e di un'indagine maggiore.
Anche perché il rischio inevitabile è quello di bypassare i principi che in origine avrebbero dovuto dettare l'azione di governo: il principio della premialità e della razionalizzazione. In questa prospettiva, bisogna inquadrare i tagli lineari del dieci per cento delle risorse stanziate sulle missioni dei dicasteri. Si è preferito vedere nell'immediato qualche numero in meno nel computo di bilancio, piuttosto che ragionare su progetti di razionalizzazione di medio periodo. Questo ha un valore ancora maggiore nei confronti di una platea precisa, quella dei nostri connazionali oltre confine.
Le istanze di queste comunità, le loro urgenze e le loro problematiche sono passate - anche in occasione di questa manovra anticrisi - in secondo piano.
Voglio ricordare che i connazionali all'estero, sono stati già penalizzati dalle significative riduzione di risorse nei capitoli di spesa a loro destinati nel bilancio del MAE.
Parlo soprattutto dei settori della promozione della lingua e della cultura italiane nel mondo e nel campo dell'assistenza ai connazionali indigenti.
Promuovere il made in Italy, valorizzare la nostra immagine nel mondo significa tutelare chi è il veicolo di tutto questo.
Abbandonare la voce Italia nel mondo, in un angolo dei nostri progetti di Paese significa scagliare un colpo non solo alla nostra economia ma anche - e soprattutto - alla percezione che hanno gli altri Paesi del nostro.
Ben consapevoli di questo limite così evidente e preoccupante, siamo chiamati noi tutti a farci portavoce di iniziative capaci di rettificare quanto fatto finora.
Infatti in un provvedimento di così ampio respiro, in cui non sono mancate disposizioni - sebbene discutibili - recanti Pag. 140particolari attenzioni a determinate categorie, come ad esempio i produttori di latte «splafonatori» delle quote sancite dall'Unione europea, abbiamo visto una completa assenza della voce italiani nel mondo.
Una meritevole considerazione è da svilupparsi in ragione all'ipotesi di proroga al 2011 del riconoscimento delle detrazioni per carichi di famiglia per i lavoratori italiani residenti all'estero.
La proposta emendativa da me presentata e sottoscritta da altri colleghi, estende anche al 2011 il diritto - per i circa seimila lavoratori italiani residenti all'estero che hanno segnalato la presenza di carichi familiari - ad usufruire di detrazioni per carichi di famiglia, finora riconosciuto in maniera limitata al 2010.
Prorogare di un anno il diritto ai nostri lavoratori all'estero che lavorano per l'Italia e producono reddito assoggettabile ad Irpef in Italia, di poter detrarre i carichi di famiglia dalle loro tasse, è un diritto inalienabile e costituzionale.
Sinceramente non si riesce a comprendere perché per quattro anni il nostro Paese ha consentito a questi connazionali di poter detrarre i carichi di famiglia e all'improvviso senza una reale ragione decide di tagliare fuori questo diritto.
Molti nostri connazionali che lavorano all'estero vedrebbero in questo modo gravare sul loro budget - a volte già esiguo - anche l'onere di una mancata detrazione, riconosciuta a tutti coloro che invece sono residenti in Italia. Voglio ricordare a questa aula, che il 16 dicembre 2009 il Governo ha accolto nell'ambito della legge finanziaria 2010 l'impegno ad estendere questo diritto. Un impegno accolto anche nell'ambito dell'ultimo provvedimento mille proroghe e nell'ambito del provvedimento incentivi discusso lo scorso maggio.
Sono consapevole della difficoltà di far fronte all'emergenza provocata dalla crisi dell'economia globale, con misure adeguate e razionali, ma sono convinto che le strade da intraprendere devono puntare altrove.
Definire un provvedimento orientato a ridurre il disavanzo, corrente attraverso soltanto tagli alla spesa e aumento delle entrate non conduce facilmente alla ripresa economica.
Per favorire questa è necessario puntare sulla crescita e sullo sviluppo del Paese, e di questo - ahimè - non se ne parla in manovra.
Proprio in ragione di questo, pur apprezzando gli sforzi portati avanti dal dicastero del tesoro e dal suo valido e tenace referente, il Ministro Tremonti, ritengo che questa manovra non sia da considerarsi la migliore espressione di risanamento che questo Governo poteva partorire.
Ma abbiamo ancora la possibilità di invertire la rotta, sollecitando opportune riforme strutturali che consentano di dirottare maggiori risorse lì dove è necessario che vengano investite. Avendo come linea guida i parametri di efficienza e di equità.
Con un occhio anche puntato alle nostre comunità nel mondo, che restano il motore del made in Italy e della nostra competitività sui mercati internazionali.

ROCCO BUTTIGLIONE. È opinione comune degli esperti che questa manovra sia sufficiente per ciò che riguarda la quantità ed inadeguata per ciò che riguarda la qualità. In altre parole i risparmi e le nuove entrate previste sono sufficienti per assicurare la stabilità e far fronte agli impegni europei ma la manovra ha un impatto negativo sullo sviluppo e la occupazione che può essere valutato intorno a uno 0,5 per cento di crescita in meno. A partire da questo giudizio sarebbe stato possibile svolgere un serio dibattito in Parlamento per migliorare la manovra ed al fine di questo dibattito una opposizione responsabile avrebbe anche potuto astenersi o addirittura votare a favore. Una opposizione responsabile, infatti, sa che la stabilità è condizione della crescita, sa che i sacrifici sono necessari e sa che il paese Pag. 141ha bisogno in questo momento di medicine amare. Una opposizione responsabile, quindi, non alimenta nella pubblica opinione l'idea che sia possibile uscire dalle presenti difficoltà senza sacrifici.
Il Governo ha però opportunamente posto la questione di fiducia e quindi ogni convergenza fra maggioranza ed opposizione è diventata impossibile. Come mai dico che il Governo ha posto «opportunamente» la questione di fiducia?
In realtà il giudizio ultimo sulla manovra non è tecnico ma politico e se guardiamo al problema in una ottica politica più generale il giudizio sulla sufficienza quantitativa della manovra non regge.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel ha scritto una volta che la quantità si converte ad un certo punto in qualità. Noi dobbiamo dire oggi invece che la qualità si converte in quantità. La cattiva qualità (politica) della manovra si converte in quantità, in insufficienza quantitativa.
La finalità prima della manovra è quella di rassicurare i mercati, di convincerli che l'Italia continuerà a pagare il suo (enorme) debito pubblico e che quindi vale la pena di continuare a comprare i titoli di questo debito pubblico rinnovandoli alle scadenze. Questo è il compito primario del Ministro dell'economia ed io do atto al Ministro Tremonti di avere assicurato una gestione impeccabile del debito pubblico. Qualunque critica gli si voglia fare (ed in effetti il Ministro merita molte critiche), questo merito gli va riconosciuto. Purtroppo nessuna gestione tecnica del debito pubblico, nessuna manovra quantitativamente adeguata è sufficiente a colmare il deficit di credibilità politica di un Governo percepito come debole, diviso e quindi incapace di fare fronte ai propri impegni nel lungo periodo. Provate a guardare all'Italia con gli occhi di un grande investitore istituzionale straniero. Importanti membri del Governo e della maggioranza appaiono coinvolti in preoccupanti vicende giudiziarie di corruzione e anche di camorra. Il ministero delle attività economiche è privo da mesi del suo titolare. Un altro ministro è stato nominato e congedato nell'arco di qualche settimana. Altre dimissioni importanti sono avvenute o vengono annunciate. Si annunciano altri procedimenti giudiziari che potrebbero avere un impatto devastante sugli equilibri politici.
Non basta. La maggioranza è lacerata da un violento conflitto che mette in forse l'esistenza stessa del partito del Popolo delle Libertà che ne costituisce la spina dorsale politica. Il Capo del Governo lascia trapelare chiaramente la sua insoddisfazione per la manovra ed alimenta voci di un conflitto con il Ministro della economia. Questo avviene probabilmente per cercare di evitare la impopolarità che inevitabilmente accompagna misure di austerità. Tuttavia gli investitori si domandano se il corso di risanamento economico che è iniziato verrà proseguito e se esiste la volontà politica di proseguire su questo cammino. La debolezza politica del Governo rischia di diventare causa di insufficienza per una manovra che, altrimenti, verrebbe giudicata positivamente dai mercati.
Spesse volte, parlando della manovra, si dice che essa ci è imposta dall'Europa oppure anche che possiamo stare tranquilli perché l'Europa (cioè Ecofin, il Consiglio dei ministri europei della economia) la ha approvata. Le cose in realtà non stanno così. Anche senza la pressione dell'Europa noi dovremmo egualmente mettere in ordine i nostri conti, e l'approvazione di Ecofin non sarà sufficiente a salvarci se i mercati avranno la percezione di una nostra debolezza. Se i risparmiatori non comprano i nostri titoli di debito pubblico lo Stato italiano fa fallimento. Senza andare ad ipotesi così estreme e (per fortuna) improbabili, se i mercati ci chiedono un punto di interessi in più per finanziare il nostro debito pubblico questo già annulla l'intera manovra finanziaria.
La manovra e la sua debolezza politica vanno poi collocate nel quadro della complessiva situazione europea ed internazionale. È di fatto in corso la rinegoziazione del patto di stabilità. Alcuni Pag. 142tratti sono stati determinati già nel corso dell'ultimo Consiglio Europeo. Per un aspetto si tratta di tornare a Maastricht. In genere si dice che il vincolo europeo ci obbliga a non avere un disavanzo di bilancio superiore al 3 per cento e su questo presupposto si fonda anche la nostra manovra che dovrebbe portarci, nell'arco di due anni, ad un disavanzo del 2,7 per cento , se tutto va secondo le previsioni. In realtà, però, il trattato di Maastricht dice una cosa diversa. L'obiettivo generale di finanza pubblica è il pareggio di bilancio. Un deficit del 3 per cento è tollerato provvisoriamente per fare politiche anticicliche in situazioni di crisi. Da esso bisogna però rientrare. Io non saprei dire se vi sarà o meno una altra manovra a breve. Quello che è sicuro, invece, è che l'obiettivo vero del risanamento di bilancio è il pareggio (deficit 0). Questo obiettivo, certo, non ha una scadenza di due anni e può essere perseguito in un arco temporale più ampio (ma non troppo, tre o quattro anni). In ogni caso questa manovra di risanamento ci porta solo fino alla metà del cammino che sta davanti a noi.
L'osservanza della regola del pareggio di bilancio sarà richiesta con particolare intensità a quei paesi (l'Italia) che hanno un debito pubblico elevato. È vero che siamo riusciti ad ottenere che si valuti non solo il debito pubblico ma anche il debito privato (in Italia ridotto perché gli italiani sono ancora piuttosto una nazione di risparmiatori che di debitori) ma questo tempera solo un poco il rigore che ci verrà chiesto. Si comincia a parlare, anche, del fatto che non è possibile che rimangano nella medesima area monetaria paesi che hanno tendenze diverse di crescita di competitività. A monte di tutte le grandezze monetarie c'è infatti l'economia reale e la vera grande sconfitta dell'Europa è stata la incapacità di realizzare la cosiddetta agenda di Lisbona, che mirava a fare di quella europea l'economia della conoscenza più sviluppata del mondo. È stato sbagliato il metodo. Il cosiddetto «coordinamento aperto» è insufficiente ed inadeguato. Abbiamo bisogno, se mai, di un «coordinamento chiuso» che fissi obiettivi vincolanti ed assegni sanzioni convincenti in caso di inadempimento, come avviene nel caso dell'euro.
Oggi l'Europa ha una moneta comune ma non ha una politica economica comune. Di conseguenza abbiamo ottenuto l'obiettivo della stabilità della moneta ma non quello della crescita della occupazione e dello sviluppo. Si è pensato di sostituire la politica economica comune con una serie di parametri fissi, ma questo non ha funzionato e non poteva funzionare. Anche nel trattato di Maastricht la attenzione si è concentrata soprattutto sugli «shock asimmetrici», vale a dire sulle crisi che colpiscono uno solo dei paesi dell'eurogruppo e sui margini di manovra da concedergli per farvi fronte. È anche per questo che siamo stati così sorpresi quando è arrivato uno schock simmetrico, che ha colpito (pur se in misura diseguale) tutti i paesi dell'Unione. Adesso siamo tutti fuori dei parametri, costretti a muoverci, in un certo senso. «a naso». La realtà è più forte dei trattati e ci ha costretti a mettere in un certo senso, sotto tutela tutte le economie del continente elaborando i primi passi di una politica economica comune. Su questo cammino noi dobbiamo adesso proseguire e dobbiamo fare sentire la voce dell'Italia nel dibattito su questi temi. Non basta infatti dire che serve una politica economica comune. Bisogna anche dire come deve essere fatta questa politica economica comune. La Germania, che fino a ieri recalcitrava davanti alla idea di una politica economica comune, adesso se ne va convincendo. Dobbiamo però dire con chiarezza ai nostri amici tedeschi che la nuova politica economica comune non può consistere in una semplice estensione del modello tedesco a tutta l'Europa. Il cosiddetto modello renano prevede una economia trainata da esportazioni ad alta tecnologia, rese possibili dalla eccellenza della università e della ricerca scientifica tedesche. In tal modo ci si pone al riparo della concorrenza dei paesi nuovi che Pag. 143dispongono di molta manodopera poco qualificata a basso prezzo e si drenano sui mercati mondiali le risorse necessarie a finanziare uno stato sociale generoso. Alcuni aspetti di questo modello possono e devono essere imitati da tutta l'Europa ed in particolare dall'Italia. Mi riferisco al necessario investimento in ricerca scientifica e formazione universitaria. Non è invece plausibile pensare che l'Europa abbia una economia trainata dalle esportazioni. Oggi nel mondo la Cina vuole uno sviluppo trainato dalle esportazioni, il Giappone vuole uno sviluppo trainato dalle esportazioni, il sud est asiatico e l'India vogliono esportare. Inevitabilmente ci si pone la domanda: se tutti vogliono vendere chi comprerà? Fino a ieri compravano gli americani. Oggi gli Stati Uniti hanno cominciato a ridurre il loro mostruoso deficit commerciale. Il futuro modello economico europeo dovrà prevedere in modo equilibrato il traino delle esportazioni ma anche quello del mercato interno.
Il presente modello economico europeo è accentuatamente liberista. Deve esserlo necessariamente non tanto per una convinzione ideologica quanto perché gli Stati membri hanno perso la loro sovranità economica ma l'Unione non ne ha acquistata una sua propria. Gli Stati non si sono fidati abbastanza l'uno dell'altro e non hanno costruito le istituzioni della politica economica comune. Di qui il primato della stabilità sulla crescita. Occorre adesso stabilire in che modo si arriva a definire un deficit globale europeo, dimensionato in modo tale da svolgere la desiderata funzione anticiclica globale. In linea di principio tale deficit può anche essere ripartito fra i diversi Stati membri. Sarebbe però cosa migliore affidarne la gestione ad una autorità europea autorizzata ad emettere titoli di debito pubblico europei (eurobonds). La Unione dovrebbe naturalmente ricevere le risorse finanziarie proprie necessarie per il servizio di tale debito. Nel corso della discussione in corso fra i governi su questi temi è affiorata una proposta interessante. Tutti stiamo pagando il costo della crisi e le leggi finanziarie che si fanno nei diversi paesi europei oggi distribuiscono sacrifici. Una categoria soltanto sembra esente dai sacrifici e questi sono gli speculatori che con i loro comportamenti hanno provocato la crisi o almeno ne hanno profittato e ne hanno ampliato gli effetti. Una tassa di modestissimo importo sulle transazioni bancarie non verrebbe praticamente percepita dalla clientela normale ma frenerebbe potentemente la speculazione che deve operare con enormi capitali presi a prestito a fronte di capitali propri molto ridotti. Essa inoltre genererebbe una quantità considerevole di risorse. È stato calcolato che una aliquota dello 0,01 per cento potrebbe generare risorse per 38 miliardi di euro su base europea. Quanto basta per finanziare un debito pubblico europeo di più o meno 600 miliardi di euro con i quali si potrebbe realizzare un necessario piano per l'occupazione e lo sviluppo, un «processo di Lisbona» finalmente dotato di mezzi adeguati. La idea (originariamente del professor Tobin) di recente è stata fatta propria dalla Cancelliera Angela Merkel ed ha ottenuto il consenso del Consiglio europeo. Per la verità sembra che la signora Merkel intenda destinare il ricavato della tassa non ad un progetto per l'occupazione, lo sviluppo e la competitività ma ad un fondo di garanzia contro possibili nuove crisi bancarie. A me sembra che sia piuttosto opportuno vincolare le banche ad un aumento delle loro riserve legali piuttosto che incoraggiarle a comportamenti irresponsabili con la convinzione che in caso di necessità vi sarà un intervento praticamente automatico di un fondo di Stato. È invece prioritario intervenire per sostenere l'occupazione, lo sviluppo e la competitività. Non si è capito quale sia su tale tema la posizione del Governo italiano. Il Capo del Governo ha dichiarato di avere fermato questa iniziativa. Essa è però contenuta nel comunicato finale del Consiglio europeo con la firma anche dell'Italia. Una simile tassa, naturalmente, non può essere istituita dall'Italia. Sarebbe troppo facile per la speculazione Pag. 144aggirare le nostre frontiere e svolgersi indisturbata su altre piazze finanziarie compiacenti. Più difficile sarebbe aggirare l'intera Unione europea, se essa dovesse istituire questo prelievo. Certo, la dimensione ottimale sarebbe mondiale. Al G20 non è stato possibile trovare il necessario sostegno ma di recente il Presidente della Commissione Barroso ha rilanciato l'idea ed anche negli Stati Uniti essa sembra guadagnare terreno.
Le politiche economiche europee e mondiali degli ultimi trenta anni sono state dominate dalla ripulsa delle dottrine economiche keynesiane e dalla grande rivincita di von Hayek. Il liberismo di von Hayek (e della scuola di Chicago) ha portato all'umanità grandi benefici. Sotto la sua pressione si sono negoziati gli accordi GATT e si è istituito il WTO. Popoli emarginati dallo sviluppo hanno avuto, in forza del libero commercio, la possibilità di entrare nel circolo della produzione della ricchezza. Queste nuove tendenze hanno fatto per i poveri del mondo molto più che non intere generazioni di terzomondismo. Certo: essere sfruttati dal capitalismo è brutto. C'è solo una cosa ancora più brutta: non essere sfruttati dal capitalismo e vegetare fuori del circolo mondiale della produzione e del consumo, magari sotto la protezione di regimi socialisti.
Dobbiamo però dire che oggi la spinta propulsiva di quel modello sembra essersi esaurita. La crisi indotta dalla speculazione ha indotto tutti gli Stati ad adottare misure di sostegno della economia di sapore vagamente keynesiano. Politiche di deficit spending a sostegno della economia sono state fatte in misura gigantesca per impedire il fallimento delle banche. È lecito che qualcuno si ponga la domanda: se si può fare per le banche perché non si può fare per i lavoratori che rimangono senza lavoro?
Un altro elemento che mette in crisi il paradigma liberista nasce dal suo stesso successo. La competizione dei paesi nuovi mette in difficoltà quelli di più antico benessere. I paesi nuovi invadono settori a tecnologia medio/bassa dove tradizionalmente era forte l'Italia. Abbiamo bisogno di ristrutturare la nostra economia per fare fronte alla competizione dei paesi emergenti.
Goetz Briefs ci ha insegnato molti anni fa che vi sono due modi di aumentare la produttività. Uno di essi comprime i diritti del lavoro, aumenta i tempi ed i ritmi, diminuisce i salari ed i benefits, fa crescere gli orari di lavoro. In questo modo la condizione dei nostri lavoratori si avvicina a quella dei lavoratori dei paesi emergenti ed il differenziale del costo del lavoro diminuisce. Vista la abissale differenza dei punti di partenza questa via non sembra essere molto promettente, anche se per una fase sarà inevitabile ricorrere anche ad essa, come mostra l'esempio della ristrutturazione Fiat in corso. Gli accordi raggiunti dal sindacato sono una amara necessità, cui sarebbe impossibile ed irresponsabile sottrarsi, ma non rappresentano il modello da seguire. L'altro cammino per incrementare la produttività e porsi al riparo della competizione con i paesi emergenti è investire in conoscenza, fare cose che loro (ancora) non sanno fare o fare le stesse cose con metodi, procedure e strumenti che essi (ancora) non sono in grado di maneggiare. Per ottenere questo risultato è però necessario un potente investimento in educazione e ricerca oltre che in infrastrutture materiali ed immateriali. Noi dobbiamo risparmiare sulle spese correnti, in modo ancora più severo di quanto faccia questa manovra finanziaria. Dobbiamo farlo però non solo e non tanto per garantire i mercati ma anche e soprattutto per potere investire in innovazione e sviluppo. E per fare questo dobbiamo anche poter attivare una spese in deficit per investimenti, con rigorose procedure di certificazione, secondo la cosiddetta regola aurea.
Naturalmente questa nuova linea di politica economica si può perseguire in modo assai limitato e parziale al di fuori di una nuova iniziativa europea. Abbiamo bisogno di più Europa per poter restituire alla politica la possibilità di difendere Pag. 145efficacemente il diritto dei cittadini al lavoro ed allo sviluppo. Abbiamo bisogno di un keynesismo moderato o di un nuovo keynesismo. Il punto di partenza è la situazione rilevata da Keynes in cui «il cavallo non beve» . Il credito è disponibile a buone condizioni ma le imprese non prendono il denaro e non fanno investimenti (o anche le banche per un qualche motivo sono molto spaventate ed il denaro non lo danno). In queste situazioni è ragionevole che lo Stato prenda in prestito il denaro delle banche per fare grandi opere pubbliche. Keynes vedeva questa necessità più dal lato del sostegno della domanda. Noi dobbiamo vederla più dal lato del sostegno della produttività. Dobbiamo investire in infrastrutture materiali ed immateriali per proteggere la nostra posizione competitiva nel mondo.
Alla politica economica di questo Governo noi rimproveriamo un certo provincialismo italiano e la mancanza di una visione europea. L'Europa entra in questa politica solo come un vincolo. Si dice: «bisogna fare così perché lo chiede l'Europa». Bisogna invece comprendere e interiorizzare le ragioni per cui l'Europa ce lo chiede, comprendere ed interiorizzare la «cultura della stabilità». Una volta compresa ed interiorizzata questa cultura bisogna però anche partecipare, con prudenza e con coraggio, al dibattito intorno alla modifica delle regole esistenti. Una volta interiorizzato lo spirito bisogna dire in che modo la lettera va interpretata o anche cambiata per realizzare l'intenzione dello spirito. Su questo il nostro Governo è carente, a parte alcuni spunti interessanti di Giulio Tremonti più nella sua veste privata di professore e «libero pensatore» che in quella pubblica di Ministro dell'economia. Per dirla con una parafrasi di una celebre frase di San Paolo: bisogna stare in Europa con uno spirito da figli legittimi e non con uno spirito da schiavi. Certo, se tutto il proprio prestigio e la propria autorevolezza europei li si gioca per ottenere scandalose amnistie per agricoltori che hanno violato ripetutamente la normativa europea poi non ci si deve meravigliare se si rimane fuori dalla stanza dove si decidono le cose veramente importanti.
Io rimprovero al presente Governo il fatto di avere una politica economica costruita per intero sulle convinzioni di una fase ormai superata della storia. Allora la chiave dello sviluppo era semplicemente la riduzione dell'intervento dello Stato e la diminuzione del carico fiscale. Tutto si poteva sintetizzare nel motto: meno regole, meno Stato e soprattutto meno tasse. Se poi la concreta azione di Governo abbia realizzato quei propositi o sia stata troppo arrendevole alla forza delle corporazioni e dei monopoli è altra questione. Oggi quelle parole d'ordine non hanno perduto la loro attualità ed il loro fascino ma ad esse se ne accompagnano di nuove: più infrastrutture materiali ed immateriali, più ricerca scientifica, più ferrovie, più autostrade ed infostrade, più università di qualità, eccetera. E, soprattutto, per rendere possibile questo, nuove regole europee. Voglio ripeterlo: fuori dell'Europa non c'è salvezza, ma non ci si salva neppure in una Europa sclerotica che ripete vecchie formule di cui smarrisce progressivamente il senso.
Io rimprovero al presente Governo il suo deficit di credibilità politica che minaccia di vanificare i sacrifici che con questa manovra finanziaria vengono chiesti ai cittadini italiani. I mercati non valuteranno solo le quantità della manovra. Inevitabilmente si domanderanno: c'è una politica di lungo periodo per il rilancio della produttività? C'è una visione per riposizionare l'Italia nella nuova divisione internazionale del lavoro? C'è l'energia per costruire un nuovo e necessario progetto paese?
Se la risposta è negativa allora una manovra pur quantitativamente adeguata potrebbe non bastare a salvarci. La speculazione, come il Satana della lettera di San Pietro «tamquam leo rugiens circuit, quaerens quem devoret» (si aggira come un leone ruggente, alla ricerca di una vittima da divorare). La vittima designata Pag. 146pareva essere, dopo la Grecia, il Portogallo o l'Irlanda o la Spagna. Benché i fondamentali dell'Italia non siano cattivi (sono anzi, a parte il debito, fra i migliori dell'Unione) la debolezza politica del Governo ci espone al pericolo.
È affiorata di recente la proposta di un Governo di responsabilità nazionale. È affiorata, ed è stata rapidamente accantonata. La maggioranza non vuole riconoscere la propria debolezza aprendo una crisi di Governo. Gran parte della opposizione si preoccupa della possibilità che il nuovo Governo possa essere guidato dall'attuale Capo del Governo. Pochi si domandano: un nuovo Governo per fare cosa? Con quale programma? Con quale prospettiva e con quale visione? E ancora: è possibile costruire una azione di Governo che ponga al centro il tema della occupazione e del lavoro che è inscindibile da quello della competitività del nostro sistema economico. Oggi ho cercato di dare un contributo per aprire un dibattito su questi temi, quelli che riguardano non gli equilibri interni della classe politica ma il bene comune del paese. Un sistema sociale che non riesce a creare una ragionevole abbondanza di occasioni di lavoro, un sistema in cui chi vuole lavorare ed ha bisogno di lavorare non ha la possibilità di farlo, perde buona parte della propria legittimazione morale.