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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 347 di lunedì 5 luglio 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 16,05.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 28 giugno 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantini, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Migliori, Leoluca Orlando, Picchi, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (16,07).

WALTER VERINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

WALTER VERINI. Signor Presidente, la ringrazio davvero per questa disponibilità. Intervengo per informare l'Assemblea che in questo momento sono in sciopero della fame a staffetta con i lavoratori Agile ex Eutelia che sono in presidio da molti giorni davanti alla Camera dei deputati. È un'iniziativa tesa ad ottenere dalla Presidenza del Consiglio dei ministri la convocazione immediata, più rapida possibile dei due tavoli già istituiti. Il primo per valutare la situazione delle commesse pubbliche per Agile ex Eutelia, il secondo relativo alle politiche industriali dell'information technology e alle prospettive di questi lavoratori. Le due imprese rappresentano un patrimonio importante per il nostro Paese, essenziale se pensiamo che per uscire dalla crisi abbiamo bisogno di produzioni e servizi qualificati e di alto valore aggiunto. Si tratta, come è noto, di lavoratori di alto livello che hanno bisogno, per continuare ad esserlo, di lavorare e di formarsi. Agile ed ex Eutelia, inoltre, sono proprietarie di infrastrutture materiali e immateriali molto significative per il nostro Paese; sto parlando di migliaia di chilometri di fibra ottica e del software necessario per la comunicazione. Infine, è questa, Presidente, una delle ragioni principali, insieme alla peculiare vicenda dei passaggi di proprietà di Agile ex Eutelia, che hanno indotto molti deputati e senatori del Partito Democratico ad aderire a questa iniziativa, che speriamo si allarghi Pag. 2ad altri parlamentari. Signor Presidente, le chiediamo semplicemente di informare il Presidente della Camera, che in più occasioni ha espresso consapevolezza e sensibilità verso la situazione di questi lavoratori, e chiediamo alla Presidenza del Consiglio, in particolare al sottosegretario Gianni Letta che a questo si era già impegnato, di convocare al più presto questi tavoli.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Verini.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, è un vero stillicidio, in Calabria proseguono senza sosta le intimidazioni contro gli amministratori pubblici. È di queste ore la notizia dell'incendio dell'autovettura del sindaco di Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole, che segue solo di un giorno quella del vicesindaco, Anselmo Rizzo, avvenuta dopo l'incendio del mezzo del responsabile dell'ufficio tecnico dello stesso comune. Il giorno 21 giugno, addirittura il sindaco di Sant'Agata d'Esaro, Antonio Bisignani, mentre usciva dalla casa dei suoi genitori, in un vicoletto buio, veniva aggredito da due persone con un'azione fulminea e ferito con un'arma impropria. Un'incredibile vicenda che ha portato nei giorni scorsi lo stesso sindaco a dimettersi, anche perché il grave episodio era stato preceduto da innumerevoli minacce e atti intimidatori nei confronti dello stesso sindaco di Sant'Agata d'Esaro e di altri consiglieri comunali. Le intimidazioni ad amministratori costituiscono ormai da anni una specificità irrisolta della realtà calabrese, dove il fenomeno ha ormai assunto dimensioni vastissime; nella situazione difficile in cui versa la regione, aggravata dalla profonda crisi economica ed occupazionale, gli amministratori finiscono per essere il riferimento più vicino per la cittadinanza, ma anche il bersaglio più immediato per soggetti che tendono a condizionare, con atti illegali, la vita delle comunità.
Eppure il Governo, nonostante fosse stato informato di quanto accadeva a Sant'Agata, anche a seguito di diverse interrogazioni parlamentari presentate dai colleghi calabresi del Partito Democratico (la prima riporta la data del 24 febbraio 2010), non ha provveduto a prendere alcuna iniziativa al fine di garantire la sicurezza del sindaco di Bisignano, della sua famiglia e dell'intera comunità locale, ormai stanca di tollerare questi gravi gesti contro gli amministratori.
Signor Presidente, la prego di interessare il Governo affinché sia fatta piena luce sugli avvenimenti che si sono verificati in quest'ultimo periodo a Sant'Agata, ad Isola di Capo Rizzuto e negli altri comuni calabresi, affinché si garantisca l'incolumità, anche fisica, ai sindaci e ai consiglieri comunali e si affronti concretamente il problema degli attentati agli amministratori, che in Calabria ha ormai assunto caratteristiche allarmanti.
Oggi più che mai è necessaria un'assunzione di responsabilità da parte di tutti per frenare questa ondata di intimidazione contro gli amministratori pubblici che offende tutta la Calabria. In una terra difficile come la Calabria, agli amministratori pubblici dev'essere garantita la sicurezza personale, delle loro famiglie e delle loro cose.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Ho concluso, signor Presidente. L'impegno di tutte le forze politiche, sindacali, sociali e della gente dev'essere uno ed uno soltanto: la condanna, senza «se» e senza «ma» di questi atti vili.
Dobbiamo tutti assieme lavorare per una strenua difesa, a tutti i livelli, dei principi della legalità e del confronto civile e democratico. Respingere e frenare la prepotenza e l'arroganza della criminalità organizzata e non, che da anni ormai mortifica questa terra condizionandone lo sviluppo, deve diventare un imperativo categorico per ogni Pag. 3persona che crede nelle potenzialità della Calabria e della sua gente.
Signor Presidente, è nota la sua passione civile. La prego, quindi, di intervenire e con urgenza. È veramente necessario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Oliverio. Le rammento che ha la possibilità di presentare, attraverso gli strumenti previsti dalla Camera, apposito atto di sindacato ispettivo.

Assegnazione alla V Commissione (Bilancio) dei disegni di legge relativi al rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009 e all'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2010 (ore 16,14).

PRESIDENTE. A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti disegni di legge sono assegnati alla V Commissione (Bilancio), in sede referente, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali: «Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009» (3593); «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010» (3594).
Ricordo che il calendario dei lavori dell'Assemblea prevede che la discussione sulle linee generali di tali disegni di legge abbia inizio nella seduta di lunedì 19 luglio 2010. Le Commissioni dovranno pertanto concluderne l'esame in sede consultiva e in sede referente compatibilmente con i tempi previsti dal calendario per l'esame da parte dell'Assemblea.

Discussione della mozione Franceschini ed altri n. 1-00395 sulle risorse destinate al settore della difesa (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Franceschini ed altri n. 1-00395, sulle risorse destinate al settore della difesa (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Casini ed altri n. 1-00402, Di Stanislao ed altri n. 1-00403, Cicu ed altri n. 1-00404 e Lo Monte ed altri n. 1-00405 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Rugghia, che illustrerà anche la mozione Franceschini ed altri n. 1-00395, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, più motivi ci hanno spinto a presentare questa mozione all'attenzione dell'Assemblea. Avvertiamo, innanzitutto, la responsabilità di dover esprimere le nostre preoccupazioni per gli effetti che sull'operatività e sull'efficienza del nostro strumento militare hanno avuto le scelte operate dal Governo attraverso i tagli lineari alla spesa dei Ministeri.
Con le ultime due manovre finanziarie sono state sottratte risorse all'esercizio che, nel triennio 2008-2010, ammonteranno a 1 miliardo e mezzo di euro di tagli. Si tratta di tagli che hanno prodotto conseguenze oltremodo negative per il reclutamento, l'addestramento, la formazione del personale e la manutenzione dei mezzi operativi e delle infrastrutture. La funzionalità e l'efficacia delle forze armate, per effetto di queste scelte, è stata fortemente messa a rischio. Pag. 4
Noi guardiamo con grande preoccupazione quanto sta succedendo al Senato, dove da parte del Governo e della maggioranza si annunciano nuove misure che potrebbero avere effetti devastanti sul modello Difesa. Non vorremmo che, attraverso un emendamento - magari attraverso un voto di fiducia che impedirebbe qualsiasi discussione di merito - possa, con un colpo di mano, essere definito un diverso modello, in sostituzione di quello deciso nel 2000 con la legge di riforma approvata dal Parlamento.
Più volte abbiamo ripetuto che il Partito Democratico non contesta la esigenza di una manovra correttiva dei conti pubblici e, quindi, anche di revisione degli obiettivi fissati dalla riforma per la Difesa. Anzi, riteniamo indispensabile assumere decisioni rigorose di risparmio e riqualificazione della spesa pubblica, di rilancio dell'economia, di maggiore equità fiscale, di lotta alla scandalosa evasione di tasse e imposte che sottrae enormi risorse allo Stato e alla comunità nazionale.
Contestiamo duramente, invece, misure che non prevedono interventi strutturali per il risanamento dei conti pubblici, che aggravano la situazione in funzioni e servizi essenziali del nostro Paese, che non riducono sprechi e inefficienze e che sono pensate con l'ossessione di colpire tutto ciò che è pubblico, compresi i diritti e le conquiste del pubblico impiego e della parte più debole della società. Così è anche per la Difesa.
Infatti, con questa manovra per la funzione Difesa si recita lo stesso copione, e ogni volta che il Governo di centrodestra torna a governare mette in scena la stessa rappresentazione: tagli progressivi per l'arruolamento, blocco della contrattazione per il personale militare e civile, riduzione costante degli incentivi, tagli alle spese di esercizio ridotte al lumicino, manifesta incapacità di gestione e programmazione delle risorse: basti pensare al fallimento di ogni politica di valorizzazione del patrimonio immobiliare della Difesa.
Ogni volta che c'è una discussione su leggi di spesa c'è sempre una ragione di politica economica che viene usata come alibi per giustificare il tradimento di promesse e di legittime aspettative; e ogni volta che c'è una manovra di finanza pubblica vengono assunte decisioni - magari attraverso voti di fiducia - che snaturano ruoli e funzioni decisive su materie che il Parlamento dovrebbe affrontare con un adeguato dibattito e approfondimento di merito.
È soprattutto dal 2004 che sono state operate scelte che hanno bloccato il processo avviato con la riforma della legge n. 331 del 2000 e che hanno pregiudicato il compimento degli obiettivi di trasformazione delle nostre Forze armate. Siamo ormai al 40 per cento in meno delle risorse necessarie sia per il settore dell'investimento che per quello dell'esercizio.
Il bilancio della funzione Difesa è sbilanciato, con il 75 per cento di spesa per il personale e solo il 25 per cento per tutte le altre missioni, in modo assolutamente inadeguato per uno strumento militare moderno, che ha nell'aggiornamento tecnologico e nella capacità di mantenimento dei mezzi una componente essenziale; e il patrimonio di mezzi in possesso della Difesa rischia di ricevere danni gravi ed irreversibili per mancata manutenzione.
Inoltre, riscontriamo la stessa situazione per la formazione e la valorizzazione del personale - che sono presupposti fondamentali, insieme all'addestramento, per uno strumento militare basato sulla professionalizzazione dei propri soldati - e anche per l'area tecnico-industriale della Difesa che è abbandonata a se stessa, ma che andrebbe rivitalizzata, anche attraverso la collaborazione di civili esterni specializzati a supporto delle Forze armate.
Chiediamo con questa mozione, quindi, di portare in Assemblea la discussione sul modello di Difesa prima che quest'ultimo venga del tutto stravolto per effetto di decisioni sbagliate e irreparabili come quelle che vengono annunciate attraverso la manovra correttiva dei conti pubblici all'esame del Senato, dove si prevedono, per il comparto, altri 700 milioni in meno per il prossimo triennio. Pag. 5
Signor Presidente, siamo assolutamente convinti dell'urgenza di intervenire sulla spesa per la Difesa come per altri settori della pubblica amministrazione e siamo altresì convinti che vadano rivisti obiettivi e impegni che hanno determinato l'attuale modello. Avvertiamo la necessità di dover operare una rigorosa selezione di scelte per concorrere al rilancio della nostra economia e per dare risposte alle aspettative occupazionali dei giovani e a quelle del nostro tessuto produttivo ed industriale.
Con questa mozione siamo qui a manifestare per intero la volontà di portare a questa discussione il nostro contributo, chiedendo che venga sviluppato, su questi temi, un dibattito parlamentare adeguato.
Già durante il secondo Governo Prodi abbiamo ritenuto che fosse arrivato il momento di avviare una riflessione sul modello difesa e sulle risorse che come sistema Paese possiamo permetterci di mettere a disposizione per coltivare le nostre ambizioni sulla scena internazionale e per adempiere al dovere costituzionale di difesa della nazione.
Non è, però, per noi possibile accettare che senza un progetto, senza il senso e l'idea di una missione positiva e concreta venga distrutto quello che c'è, per ignavia o per calcolo. Questo vostro modo di procedere - mi rivolgo al Governo e alla maggioranza - non comporta risparmi né permetterà di recuperare mezzi finanziari da destinare magari ad altre priorità. Semplicemente continuando in questo modo vi state assumendo la responsabilità di causare un'immensa distruzione di risorse che avrebbe conseguenze drammatiche per la nostra economia, per i livelli occupazionali e per il prestigio internazionale del nostro Paese.
Nei giorni scorsi le agenzie ci hanno informato della decisione del Presidente della Repubblica di convocare il Consiglio supremo di difesa per il 7 luglio. Oltre che per valutare la situazione internazionale, con particolare riferimento alle aree di crisi e alle missioni in cui è impegnata l'Italia, verrà fatto il punto sul processo di razionalizzazione della difesa e delle Forze armate, con particolare riferimento ai programmi di investimento e di efficienza dello strumento militare. Questa decisione di convocare il Consiglio supremo di difesa da parte del Presidente della Repubblica non è casuale e sta a dimostrare come il tema delle risorse e del modello con cui valorizzarle è di stringente attualità. La riteniamo opportuna anche per esaminare gli effetti che hanno determinato le politiche del Governo sull'efficientamento e sulla manutenzione delle Forze armate, oltre che per far fronte all'attuale situazione di crisi finanziaria che rende necessario intervenire sulla spesa destinata agli investimenti per l'acquisizione dei sistemi d'arma.
È con qualche interesse che valuteremo la discussione e le decisioni della seduta del Consiglio supremo di difesa del 7 luglio. Avvertiamo, però, l'esigenza di portare in Parlamento il confronto, che non è più rinviabile, su questi temi che sono di grande importanza per il Paese. Sono trascorsi dieci anni dall'approvazione della legge n. 331 del 2000, approvata dal Parlamento pressoché all'unanimità. Tuttavia, ricordo che nel 2000 erano già trascorsi dieci anni dalla fine dell'era del confronto militare tra blocchi contrapposti sia in Europa sia nel mondo.
Non solo in Italia ma in tutta Europa venivano avviate le trasformazioni necessarie per rendere professionali le Forze armate. Per i giovani del nostro Paese è stato abolito il servizio militare e venivano fissati nuovi obiettivi per le Forze armate, intese come strumento della politica estera della nazione. Vi era la sensazione dell'avvio di una nuova stagione per il nostro Paese e per l'Unione europea attraverso le missioni per la tutela della pace da sostenere con politiche e strumenti di difesa comuni capaci di maggiore professionalità, di proiettarsi all'esterno e di integrarsi e cooperare fra loro. La riforma, pertanto, guardava all'Europa ed era considerata un elemento fondamentale del processo di integrazione e di costruzione europea.
La riforma prevedeva uno sbocco occupazionale per i giovani militari attraverso strutture di promozione e coordinamento Pag. 6che avevano il compito di agevolare l'inserimento nel mondo del lavoro dei volontari delle Forze armate. L'attuazione degli obiettivi della legge n. 331 del 2000 è stata affidata ad una previsione ventennale di spesa sostenibile in modo attendibile e trasparente, spalmando gli oneri con gradualità nel corso del tempo. A dieci anni di distanza è, comunque, giusto e doveroso da parte del Parlamento verificare la distanza fra gli obiettivi e i risultati. Di questi dieci anni otto sono stati governati da Berlusconi e dalla sua maggioranza. Certamente non si può dire che l'azione di Governo sia stata all'altezza delle ambizioni e delle missioni di quella storica riforma. Soprattutto a partire dal 2004, come già ho affermato, è stato abbandonato il percorso previsto per la sostenibilità e l'efficienza del modello e sembra del tutto abbandonata la strada indicata dalle riforma, ossia quella delle sinergie tra i Paesi europei per accelerare la costruzione di un comune sistema di difesa.
In un'audizione recente il Ministro La Russa con un certo fatalismo ha dichiarato di non credere alla possibilità di integrazione fra i diversi sistema di difesa nazionale su scala europea.
Per lo sbocco occupazionale dei volontari altamente professionalizzati, e che hanno dato prova di valore, umanità e capacità nelle difficili e pericolose missioni internazionali, non è stato fatto praticamente nulla rispetto agli obiettivi di inserimento nel mondo del lavoro previsti dalla riforma.
Il blocco degli arruolamenti nelle Forze armate e di polizia ha limitato drasticamente la possibilità occupazionale e le prospettive occupazionali e sempre in audizione presso la IV Commissione il Ministro La Russa si è accontentato di osservare con un certo distacco che solo per uno su cinque volontari c'è la possibilità di inserimento a tempo determinato nelle Forze armate e nelle forze di polizia.
Poi la vendita e l'alienazione del patrimonio della difesa non più indispensabile, che doveva servire a trovare risorse, è sostanzialmente bloccata o comunque lasciata nelle mani del Ministro Tremonti che con la precedente manovra finanziaria ha deciso di lasciare alla difesa soltanto le briciole.
Allo stesso tempo, mentre si abbatte la scure del Ministro dell'economia e delle finanze su enti, aziende e società (soprattutto quelle partecipate dagli enti locali) viene lasciata in vita la fantomatica Difesa servizi Spa, a cui verrebbe affidato il compito di privatizzare compiti e funzioni pubbliche di spesa. L'area industriale della difesa poi, con i centri di manutenzione degli arsenali, è stata relegata dal Governo ad una situazione di estrema difficoltà quando, attraverso l'efficiente funzionamento dell'area industriale, possono essere recuperate notevoli ed utilissime risorse.
Signor Presidente, per quanto riguarda il tema degli investimenti nell'acquisizione dei sistemi d'arma, noi chiediamo una discussione in Parlamento per rimodulare i programmi e assegnare alla politica una sua centralità nel processo decisionale. La politica su questo tema (molto sensibile e molto avvertito dall'opinione pubblica) ha poca influenza, perché il circuito decisionale si sviluppa soprattutto all'interno di alcuni settori delle Forze armate, del Segretariato generale della difesa e in alcuni settori della nostra industria.
Sta per giungere a conclusione l'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione difesa e sarebbe il caso di trasferire i risultati dell'indagine al Parlamento e delineare l'indirizzo su quali programmi ritenere ancora validi, quali possono essere abbandonati e quali è possibile sospendere in una visione della nostra politica internazionale e di difesa che tenga conto dei nostri impegni, dei cambiamenti che continuano a modificare il mondo rendendolo più insicuro e della nostra concreta possibilità in una situazione di grave crisi economica che ci costringe a confrontarci e a confrontare le nostre ambizioni con la realtà e a fissare un nuovo quadro di priorità.
Le nostre Forze armate sono impegnate in attività di presidio della sicurezza nazionale e in missioni di supporto alla pace in varie zone del mondo. Ormai stabilmente Pag. 7i nostri militari impegnati all'estero variano tra le 8 mila e le 10 mila unità. Ciò significa che in 32 missioni internazionali ogni anno ne vengono impiegati oltre 30 mila su base rotazionale.
La portata di questa attività comporta un grande impegno che deve essere sostenuto da un apparato militare moderno, integrato e interoperabile che deve poter contare sull'efficienza dell'esercizio, sulla formazione degli uomini e sulla sicurezza dei mezzi e questo sforzo - come abbiamo visto - non viene assicurato da risorse adeguate e sufficienti.
Allora abbiamo il dovere di assumere e condividere decisioni politiche: non si può andare avanti per strappi e forzature. Sull'acquisizione dei sistemi d'arma recentemente il Ministro La Russa ha rilasciato a il Giornale un'intervista a dir poco surreale dove ha annunciato 5 miliardi di tagli agli investimenti.
Prima ha affermato che le armi e i cacciabombardieri (bontà sua) non sono di sua proprietà e poi ha comunicato di aver tagliato le spese previste per gli Eurofighter da 121 a 96 unità per due miliardi di risparmio, quattro fregate in meno rispetto a quelle previste (altri due miliardi di risparmio), l'aereo spia e il sistema anticarro (ancora un miliardo di risparmi) e poi ha affermato di non aver firmato l'ordine degli F35 (15 miliardi da spalmare da qui al 2026).
Noi siamo prontissimi a confrontarci con il Ministro e con il Governo, però La Russa avrà la bontà di comprendere che non è lui che può decidere così, perché appunto non si tratta di roba sua.
Venga a spiegarci che cosa intende fare con gli F35 e per l'ordine dei 131 aerei che lui ha proposto di effettuare in IV Commissione (Difesa) e vorrei ribadire che noi come Partito Democratico abbiamo abbandonato la seduta della Commissione tra l'altro perché in assenza di garanzie sugli investimenti e di ritorno per la nostra economia. Magari si possono tagliare, come dice La Russa, 5 miliardi dai sistemi d'arma. Noi siamo convinti che magari si potrà fare anche di più esaminando con attenzione i 71 programmi dei sistemi d'arma o di realizzazione di infrastrutture operative e logistiche che impegnano il nostro Paese. Ci vuole però una seria e ragionata visione di insieme e la verifica delle clausole contrattuali. Ci vuole soprattutto la volontà di definire un nuovo modello sia degli assetti organici che di quelli operativi e di sviluppare a livello europeo le indispensabili sinergie. Noi siamo pronti per questo confronto parlamentare che, anzi, chiediamo attraverso questa mozione.
Signor Presidente, nei dieci anni successivi all'approvazione della legge n. 331 del 2000 il mondo ha continuato cambiare. Soltanto l'11 settembre dell'anno successivo, con il crollo delle twin towers, la minaccia del terrorismo ha raggiunto il suo apice: assistiamo ad un cambiamento veloce e inarrestabile sul piano della sicurezza e della pace. Dobbiamo misurarci con gli estremismi di natura nazionalistica e religiosa, con i traffici illegali di armi e droga, con le organizzazioni criminali e quelle del terrorismo internazionale.
La nostra volontà di pace deve fare i conti con un mondo che pacifico non è. Dobbiamo muoverci sulla scena internazionale sapendo quali oneri possiamo sopportare, fornendo contributi proporzionati alle nostre effettive capacità economiche all'interno dell'Unione europea, delle Nazioni unite e dell'Alleanza atlantica. Con questa impostazione sentiamo l'urgenza di verificare il modello di difesa, strumento fondamentale della nostra politica estera orientando la nostra rotta con la bussola dell'articolo 11 della nostra Costituzione; in un mondo dove l'ideologia è stata sostituita dalla lotta per l'identità, dove l'umiliazione, la paura, le speranze sono sentimenti che caratterizzano lo scenario mondiale è proprio questa probabilmente la carta migliore che ancora abbiamo da giocare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao, che illustrerà la mozione Casini ed altri n. 1-00402, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

Pag. 8

ROBERTO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, siamo tutti consapevoli che le nostre Forze armate non sono solo l'emblema e il simbolo dell'unità nazionale, ma anche lo strumento essenziale tramite il quale il nostro Paese è presente nel sistema delle alleanze internazionali in organismi come l'Alleanza atlantica e l'Unione europea. Le nostre Forze armate sono anche l'elemento di pacificazione e solidarietà nazionale.
Questo ruolo ci viene riconosciuto da tutto il mondo e in questo Parlamento anche da maggioranza e opposizione. Almeno negli ultimi anni maggioranza e opposizione all'unanimità e all'unisono hanno sempre sostenuto il ruolo svolto dalle nostre Forze armate nel mondo. Le nostre Forze armate non vanno alla ricerca di gloria nelle loro missioni. Hanno un compito molto delicato: mantenere e rafforzare la pace e tenere alto il nostro ruolo nel mondo a livello diplomatico come nazione che chiede rispetto in ambito internazionale.
Però vorremmo che tutto il Parlamento in tutte le sue espressioni si trovasse compatto e unito nel dire che, anche in condizioni dure e difficili, pur consapevoli della necessità di certe razionalizzazioni (chiamiamoli pure tagli, necessari in questo momento vista la necessità di una manovra che molti hanno definito di «lacrime e sangue» e molto dolorosa che colpirà tutti gli italiani), occorre individuare se ci sono sicuramente sacche di spreco e colpirle senza esitazioni anche all'interno delle Forze armate. Se vi sono duplicazioni di funzioni e di ruoli occorre eliminarli. Bisogna intendersi però chiaramente su quello che deve e debba essere lo strumento «Forze armate» nel nostro Paese. Si deve dire chiaramente che questo è un Paese conscio del proprio ruolo internazionale, delle proprie esigenze interne e che su questo strumento non si può giocare al «tanto peggio, tanto meglio».
Quindi non possono bastare gli slogan, gli spot - mi consenta, signor sottosegretario - come quello, ad esempio, della mini-naja che è stato soltanto l'ultima trovata che ci è stata proposta in un'intervista di ieri del Ministro La Russa. Sembrano un po' espedienti che ci vengono proposti ogni volta che si è a corto di argomenti. Da quando è finita la leva nel nostro Paese, molti anni fa ormai, il nostro è un esercito di professionisti, non più di ragazzi, ma di professionisti, uomini e donne, che devono avere a loro disposizione tutti gli strumenti per poter operare al meglio nelle migliori condizioni di sicurezza e di professionalità per continuare ad essere stimati nel mondo come lo sono stati fino a questo momento.
Nel corso del Consiglio supremo di difesa del 10 marzo scorso è emersa l'esigenza di continuare a razionalizzare le spese, viste le perduranti ristrettezze di bilancio. Nel comunicato ufficiale emesso al termine del Consiglio si è sottolineato come «l'impegno militare e di concorso allo sviluppo profuso dal nostro Paese nel quadro della Comunità internazionale resta fondamentale e, pertanto, deve continuare ad essere sostenuto con adeguate risorse umane, economiche e materiali».
L'impatto della manovra economica del 2008 ha già prodotto una drastica riduzione delle risorse destinate alla difesa. Secondo il Rapporto dal titolo «L'Italia e la trasformazione dello scenario internazionale», presentato nel marzo scorso, dall'Istituto affari internazionali e dall'Istituto per gli studi di politica internazionale, la percentuale del prodotto interno lordo destinata dal Governo alla difesa si è progressivamente ridotta ben al di sotto dell'1 per cento, più bassa della media europea (1,42 per cento) e delle richieste della NATO (2 per cento).
Il Rapporto segnala che «per la funzione Difesa (quindi spese per l'operatività delle Forze armate) aumenta ulteriormente al 63,3 per cento la parte dedicata al personale (750 milioni) ma con l'esclusione» come lei ben sa «di nuovi reclutamenti, a detrimento di investimenti (meno 560 milioni) e delle spese di esercizio» (meno 440 milioni) e che «la mancanza di risorse e di spese di qualità allontana l'Italia dagli standard di interoperabilità, Pag. 9quindi di sicurezza, delle forze NATO e UE», rischiando, in tal modo, di pregiudicare la pluriennale esperienza acquisita negli interventi in aree di crisi ed in situazioni di conflitto a bassa e media intensità insieme agli alleati.
Il 12 marzo 2009, con il parere favorevole del Governo, è stata approvata la nostra mozione n. 1-00093 che prevedeva l'impegno dell'Esecutivo ad adottare in tempi rapidi misure atte a salvaguardare la funzionalità e le capacità operative di intervento dello strumento militare, garantendo le peculiari caratteristiche delle Forze armate, finalizzandole, oggi ed in previsione delle future esigenze, ai compiti che esse svolgono nelle aree di crisi presenti nel mondo, nonché per la sicurezza e lo sviluppo del nostro Paese; a rivedere ed ottimizzare, coinvolgendo pienamente il Parlamento - questo è un passaggio sul quale tornerò alla fine del mio intervento - il quadro normativo per l'impiego e la gestione delle Forze armate del comparto difesa nel suo complesso, garantendone la capacità di corrispondere alle esigenze di difesa nazionale ed agli impegni internazionali, operando le necessarie scelte nei settori tecnico-amministrativo, del personale, della logistica e dell'organizzazione delle Forze armate sul territorio nazionale; a rimodulare gli investimenti, secondo criteri e priorità strettamente fondati sia sui compiti effettivamente svolti oggi dallo strumento militare in questo periodo storico, sia su quelli, ad alta intensità, con un possibile deterioramento del quadro strategico che potrà costringere ad affrontare, sulla base delle risorse realisticamente disponibili.
Il taglio delle spese correnti, delle retribuzioni e dei fondi per l'addestramento dei reparti, la manutenzione e gestione di mezzi e infrastrutture rischia di creare arsenali sofisticati, anche molto sofisticati, senza risorse e personale addestrato per utilizzarli. Il nuovo modello di difesa non è ancora stato delineato e manca una pianificazione a lungo termine - ed è ciò che denunciamo - che mette a rischio le Forze armate italiane, le quali solo grazie ai fondi destinati per le missioni all'estero riescono a recuperare risorse extra bilancio.
Con questa mozione intendiamo impegnare il Governo a dare seguito agli impegni assunti già con l'approvazione della mozione che ho appena citato; non vorremmo, infatti, che venisse approvata ancora una volta una nuova mozione che fa riferimento ad una mozione già approvata e che poi non trova seguito. Chiediamo di predisporre un piano di investimenti nel settore della difesa selettivo e funzionale alle esigenze prioritarie delle nostre Forze armate, privilegiando i programmi di reclutamento e di addestramento del personale in linea, come dicevo prima, con gli standard europei degli altri partner e della NATO. Signor sottosegretario, so che su questo aspetto in Aula c'è una condivisione pressoché unanime; questo Parlamento, infatti, esprime la volontà che le nostre Forze armate, i rappresentanti del nostro Paese nel mondo con le stellette siano sempre rispettati e possano svolgere al meglio, senz'altro con la maggiore sicurezza possibile, il loro compito che, come abbiamo visto in tante circostanze, non è soltanto un compito militare, ma è un compito diplomatico ed anche umano.
Il Ministro La Russa - a ciò faceva riferimento prima anche il collega del Partito Democratico - ha promesso tagli dove può: quindi, per cercare di far quadrare i conti, taglierà sugli aerei, sui cacciabombardieri, sulle fregate. Ma - anche su tale aspetto chiediamo quale sia la risposta del Governo - quali penali verranno applicate? Secondo quali criteri sono state adottate queste scelte? Perché, come dicevo prima, il Parlamento è stato tenuto fuori?
In Parlamento vi è una volontà comune: non vi è mai stata una dichiarazione del Ministro che non abbia trovato pressoché unanime considerazione in quest'Aula. Abbiamo apprezzato il Ministro La Russa, quando è venuto in Aula immediatamente, per rispondere alle nostre sollecitazioni e per rassicurarci, spesso, purtroppo, su incidenti occorsi ai nostri militari in missioni all'estero. Pag. 10
In Parlamento siamo sempre stati dalla parte dei nostri militari: sappiamo di non essere soli. Non ci siamo mai sottratti al confronto, ma con questa mozione vogliamo fissare alcuni paletti e vogliamo sapere quale progetto e quale visione di insieme vi siano: deve trattarsi di una visione non ragionieristica, perché il compito del nostro Parlamento è sostenere i nostri militari e il compito del Governo è dare loro tutti gli strumenti necessari per poter camminare a testa alta nelle loro missioni militari nel mondo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00403. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, con la mia mozione n. 1-00403 sollecitiamo il Governo e la maggioranza a prendersi qualche responsabilità, rinunciando a qualche slogan: è evidente, infatti, che, come Italia dei Valori, stiamo cercando, ormai da tanto tempo, di costringere, in termini politici e istituzionali, tanto il Governo quanto, soprattutto, il Ministro, a venire in Aula, rispettando le prerogative del Parlamento, non solo per informare e comunicare, ma anche, soprattutto, per confrontarsi sullo stato dell'arte. Avremmo avuto non il piacere, ma il dovere di farlo, esercitando i nostri diritti, affinché, attraverso il Parlamento, l'intera nazione conoscesse l'idea, il programma, i progetti, gli interventi e le risorse da mettere in campo da parte di questo Ministro, che è tanto abile nell'annunciare e nel predicare, molto meno nell'assumersi la responsabilità piena. Questo è un danno per la credibilità dell'intero sistema politico nazionale e dell'intero Parlamento.
Da questa situazione noi ci vorremmo sottrarre, tant'è che facciamo quello che non fa il Ministro: noi, come Italia dei Valori, insieme alle altre opposizioni, sollecitiamo un dibattito, attraverso una mozione che vincoli finalmente il Ministro e il Governo in merito ad una serie di proprie responsabilità, che hanno annunciato e sbandierato, ma che non riescono poi a concretizzare, perché fanno sempre e comunque il gioco delle tre carte.
Oggi, di fronte alla ristrettezza dei conti pubblici e ad una situazione economica mondiale che non consente più a nessuno di mentire sui conti e che impone, finalmente, il valore delle scelte, evidentemente vi è ancora qualcuno che si sottrae, e questo qualcuno è il Ministro La Russa. Noi lo abbiamo sempre sollecitato, come Italia dei Valori, sottoscrivendo in prima persona richieste in tal senso, affinché venisse in Aula non a raccontarci qualcosa, ma a parlarci di che cosa vuole fare e di cosa vuole introdurre all'interno del suo comparto, evidentemente perché il comparto della difesa, insieme a quello del welfare, è tra quelli che danno la cifra della maturità e dell'emancipazione di un'intera nazione.
Il Ministro deve farci capire se ha ancora voglia di tenere agganciato al treno dell'Europa il sistema della difesa e della sicurezza nazionali, cosa che, come stiamo vedendo, in qualche modo diventa sempre più difficile.
È sempre più urgente ed evidente, secondo noi, l'esigenza di una revisione dell'amministrazione della difesa e dello stesso modello di difesa, che dovrebbe concentrarsi essenzialmente sull'acquisto di tecnologie e mezzi atti a garantire più la sicurezza dei nostri soldati nelle missioni all'estero, che l'acquisizione di strumenti atti all'offesa.
Occorre un modello di difesa incentrato sulla formazione e sull'addestramento dei nostri soldati, un modello europeo, da cui il nostro Ministro è totalmente dissonante. Inoltre, non ci vuole far capire - o forse non riesce a farlo perché anche egli non lo ha capito - in che modo e in che misura bisogna oggi relazionarsi in questo mondo con la difficoltà oggettiva di mettere in campo risorse vere, di approntare strumenti che abbiano una valenza non più nazionale, ma europea ed internazionale all'interno di un sistema di nazioni e come voglia effettivamente far calare questo progetto, se il progetto esiste. Pag. 11
Si è parlato del lavoro della Commissione di alta consulenza, noi ancora non ne conosciamo la portata. Abbiamo sollecitato a più riprese, come Italia dei Valori, che venisse finalmente consegnata nella nostra disponibilità questa relazione, questo studio, perché solo attraverso la consegna e la nostra capacità di leggere queste carte possiamo dare un contributo reale. Cosa abbiamo dovuto subire ancora una volta dal Ministro? Il suo racconto della relazione dell'alta consulenza, che dovrà arrivare.
Non vogliamo più frottole da questo Ministro, vogliamo cose concrete e soprattutto che ci dica come intende comportarsi con riferimento alle disponibilità economiche da mettere in campo e che attualmente sono - potremmo dire - disperse e che fornisca chiarimenti relativamente ad affermazioni importanti fatte non dall'Italia dei Valori, ma da qualcun altro che conosce la situazione dall'interno, pertanto molto di più e molto meglio e parlo del sottocapo di Stato maggiore dell'aeronautica, Maurizio Ludovisi, il quale ha detto: «il rapporto difesa-industria va cambiato, ci sono costi e appetiti che lo rendono non ottimale, l'industria non può imporre ciò che vuole».
Rispetto a queste affermazioni dov'è il Governo? Dov'è il Ministro? Che cosa ci vuole dire? Sente o no il bisogno di venire in Aula e di dire al Parlamento - non a raccontare - come si sta muovendo sulla base di queste indicazioni, come si vuole muovere nella prospettiva europea, in che modo e in che misura intende impiegare le risorse umane, le capacità e le potenzialità che stiamo mettendo in campo e delle quali - come giustamente ha detto Rao - andiamo fieri, così come della capacità che mettiamo in campo con i nostri uomini e le nostre donne nelle missioni internazionali, per la quale siamo stimati in tutto il mondo? Che cosa vuole fare il Ministro? Come? Con quali risorse? Questo ce lo deve dire perché penso che sia importante anche che si metta in campo una disponibilità rispetto alla consistenza delle risorse.
Si dice che l'Europa potrebbe spendere meno e meglio; questo vale soprattutto per l'Italia che non è una nazione a parte, ma rientra in questo schema di lavoro, se non vuole rimanere tagliata fuori nella prospettiva del modello di difesa europeo. Peraltro, per il responsabile delle NATO le forze militari dei Paesi europei non sono sufficientemente coordinate e hanno una organizzazione del tutto simile a quella utilizzata durante la Guerra Fredda. Le risorse vengono così impiegate per mantenere caserme e altre infrastrutture datate, mentre si fa poco per investire in nuovi mezzi e sistemi più flessibili, adatti per affrontare i conflitti di oggi. I tagli alla spesa potrebbero aggravare questa condizione, lo sviluppo di nuovi caccia continua a rallentare, la ricerca di nuove soluzioni tecnologiche potrebbe arenarsi nel caso di scarse disponibilità economiche.
Questo è il quadro di riferimento all'interno del quale ci stiamo muovendo e all'interno del quale chiediamo un dibattito parlamentare, chiediamo che la massima prerogativa del Parlamento venga esaltata attraverso un confronto serio da parte del Governo e da parte del Ministro.
È questo il luogo del confronto, del dibattito e non dobbiamo essere noi ogni volta a costringere il Ministro a venire in Aula. È un' esigenza che lui deve sentire direttamente, se non ha nulla da nascondere rispetto a questi fatti, a meno che non siano altri - che non hanno niente a che fare con l'Italia - a definire le politiche militari, di difesa e di sicurezza della nostra nazione. Se le cose stanno così, allora è gravissimo e pensiamo ancor di più che non si tratti di una persona all'altezza di reggere questo Dicastero.
Dobbiamo dirla tutta, perché credo che, rispetto a questo dato, bisogna anche parlare dei tagli che riguardano le spese di esercizio, che vanno a compromettere la capacità operativa del nostro strumento militare, che rischia di avere gravi conseguenze anche sulla stessa sicurezza del personale, mentre il Governo continua a non tener conto che nel bilancio della difesa i consumi intermedi riguardano la manutenzione dei sistemi d'arma e l'addestramento, Pag. 12che invece dovrebbero essere considerati investimenti. Penso che questo sia l'abc della redazione di un piano finanziario ed economico che tenga conto di queste prerogative.
Questo non lo diciamo noi: alcuni studi che riguardano anche la nota aggiuntiva allo stato di previsione della spesa per il 2010, pubblicata dal Ministero della difesa, la quale indica una spesa pari a 20,36 miliardi di euro, laddove, secondo la stima del gruppo sicurezza e difesa dell'Istituto affari internazionali (IAI), le risorse effettivamente disponibili per la difesa nel 2010 sarebbero ancor più limitate e ammonterebbero solo a poco più di 17 miliardi.
Credo che occorra interrogarsi su questo e pensare anche ad un altro dato: la funzione difesa del bilancio del Ministero della difesa raccoglie tutti i costi relativi al funzionamento delle Forze armate, come l'addestramento, l'acquisizione e la manutenzione degli equipaggiamenti, ma soprattutto le spese per il personale, reparto che soffre del pesante squilibrio tra volontari di truppa, da un lato, e ufficiali e sottufficiali dall'altro. Questi ultimi, infatti, risultano in esubero rispetto alle reali esigenze (gli stessi vertici militari parlano di 40 mila marescialli in esubero, esattamente il numero di militari che prevede di tagliare la Germania).
Penso che il sottosegretario Crosetto sappia queste cose e che, se il Ministro non ne è a conoscenza, dovrebbe spiegargliele. Naturalmente, noi abbiamo la volontà di capire e sapere, numeri alla mano, qual è la consistenza e il valore di una manovra e come, all'interno di questa manovra complessiva, si ponga il Dicastero presieduto dal Ministro La Russa. Noi vogliamo avere contezza di tutte le iniziative che vengono messe in campo, perché il nostro Paese spende molto per la difesa, ma abbiamo Forze armate comunque in condizioni precarie: uomini e donne senza più formazione e mezzi, senza carburante e pezzi di ricambio, con riduzioni degli investimenti in manutenzione e in addestramento (soprattutto per i contingenti che operano fuori area) fino a mettere in ginocchio settori importanti delle nostre Forze armate.
Tra l'altro, nella nota aggiuntiva, con riferimento al capitolo riguardante l'esercizio (che tra il 2008 e il 2009 aveva già subito un drastico taglio del 29 per cento ha sofferto un ulteriore decremento del quasi 7 per cento, passando a 1.760 milioni di euro, laddove nel 2001 le spese per l'esercizio ammontavano a 3.570 milioni) si legge testualmente: è possibile soddisfare, e non in modo adeguato, le esigenze nelle aree fondamentali della formazione e dell'addestramento (...) le restanti aree afferenti ad esempio il mantenimento e la manutenzione generale dei mezzi ed equipaggiamenti (...) permangono ed anzi accentuano la loro condizione di forte sottofinanziamento.
Queste parole non vi dicono nulla? Vi fanno riflettere? Vi fanno pensare che avete qualche responsabilità sulle spalle o pensate ancora una volta di spostare in avanti il dibattito e prendere in giro l'intero Paese, comprese le Forze armate?
Sempre secondo l'Istituto affari internazionali la spesa per la difesa risulta, quindi, insoddisfacente, sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo: si spende, cioè, poco e male, come dicevo prima, al punto che la stessa nota aggiuntiva paventa che ne possano essere compromesse le capacità operative delle Forze armate. Si rischia in tal modo di sprecare risorse di non poco conto che non servono alla difesa del Paese, ma solo a favorire gli interessi dei vertici delle lobby industrial-militari, mentre si fa morire la cooperazione allo sviluppo e il servizio civile, per fare solo qualche esempio, che non vi dovrebbe sfuggire.
Il sistema attuale è, infatti, fortemente sponsorizzato dalla nostra industria bellica e dai vertici militari e prevede uno strumento militare composto da 190 mila uomini e donne volontari armati di tutto punto. È un modello che ha ovviamente fatto esplodere le spese militari e anche gli sprechi, con il risultato finale che le Forze armate sono sempre più alla soglia di un'irreversibile inefficienza, per ammissione Pag. 13anche del precedente Ministro della difesa. C'è da chiedersi, per esempio, quale impiego strategico si possa prevedere per il cacciabombardiere F35, con capacità di trasporto di ordigni nucleari, atteso che la difesa del territorio è già garantita dai famigerati Eurofighter, aerei con capacità aria-aria.
L'F35, infatti, è ritenuto una sorta di pozzo di San Patrizio dallo statunitense GAO (Government accountability office), il corrispettivo della nostra Corte dei conti per gli Stati Uniti, capofila del progetto, che ne ha più volte denunciato i forti ritardi e il lievitare dei costi, ponendo più di un dubbio anche sulla buona riuscita del progetto stesso.
La stessa approvazione di nuovi acquisti, che per legge dovrebbe sempre passare al vaglio di una scelta parlamentare - ma per voi questa è «acqua sul marmo», non vi interessa - è spesso fittiziamente presentata come proroga di decisioni precedentemente prese, anche nel caso in cui riguardi programmi del tutto differenti. È da tempo che il nostro Governo, sulla ridefinizione del modello di difesa, annuncia grandi cose, ma manca anche solo una proiezione di come, nei prossimi dieci anni, l'Italia intenderà approntare un proprio sistema di difesa e con quali strategie; sistema che dovrebbe essere ispirato a criteri coerenti, definiti e frutto di un'accurata analisi in ordine alla compatibilità delle risorse impiegate rispetto agli obiettivi da perseguire.
Nonostante gli impegni assunti, non risulta ancora essere stata elaborata e presentata la relazione finale sulla proposta di un nuovo modello di difesa, per la cui elaborazione è stata insediata un'apposita commissione di alta consulenza, di cui parlavo prima, che da tempo si dice abbia concluso i suoi lavori.
Ho chiesto formalmente, con un atto di sindacato ispettivo, che mi venga consegnata nelle mani questa relazione, perché la voglio leggere e capire; voglio farne un dibattito parlamentare, come l'Italia dei Valori e penso l'intera opposizione voglia fare, perché questa è materia di nostra competenza. Noi abbiamo messo lì quelle persone e ci devono far capire, attraverso questa relazione, dove andiamo con il nuovo modello di difesa: se vogliamo andare in Europa, o se, invece, vogliamo stare fuori da questo dato.
Infine - una cosa che penso stia molto a cuore al sottosegretario - si deve ancora una volta registrare la mancata soppressione della società Difesa servizi Spa, prevista nelle prime bozze della manovra ancora in fase di approvazione parlamentare, per far sì che poi si crei un'ulteriore centro di spesa (non è come dice il sottosegretario, lo dimostrerò quando sarà il momento).
Con queste argomentazioni, che non sono finite e concluse, con questa mozione vogliamo impegnare finalmente il Governo ad assumersi qualche responsabilità, e siccome non vogliamo fare di tutt'erba un fascio, abbiamo scelto quattro asset, verso i quali ci attendiamo qualche risposta dentro un confronto parlamentare, dentro questo Parlamento, in quest'Aula, affinché nessuno scappi dalle proprie responsabilità ed esorcizzi anche il futuro che sta arrivando.
Chiediamo al Governo che si impegni: a garantire efficaci programmi di esercitazione ed aggiornamento delle professionalità e dello strumento militare, che permettano ai nostri soldati di ricominciare ad effettuare i necessari addestramenti navali, terrestri ed aerei, nonché a garantire la formazione allo svolgimento delle funzioni di pubblica sicurezza; ancora, ad adottare i necessari provvedimenti straordinari per correggere il grave squilibrio del personale, per evitare che il Paese corra il rischio di trovarsi con uno strumento militare impossibilitato a svolgere appieno le proprie funzioni; a perseguire l'esigenza di una migliore qualità e di una razionalizzazione della spesa militare, accentuando la dimensione interforze dello strumento militare a livello nazionale e realizzando le migliori sinergie nel settore industriale e negli asset operativi a livello europeo; da ultimo, ma non per ultimo, a valutare e predisporre una più attenta analisi dei costi dello strumento militare nella direzione del suo efficientamento. Pag. 14
Credo che non chiediamo tanto; chiediamo solo al Governo e al Ministro di assumersi le proprie responsabilità. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, come sempre abbiamo fatto, e ci auguriamo che, finalmente, qualcuno venga qui parlando, conti alla mano, di qualcosa che è possibile fare, e soprattutto ci si dica le cose che non si vogliono e non si possono più fare in un moderno assetto della difesa e della sicurezza non solo dell'Italia, ma dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gregorio Fontana, che illustrerà anche la mozione Cicu ed altri n. 1-00404, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GREGORIO FONTANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in un mondo che cambia vertiginosamente le nostre Forze armate restano un punto di riferimento costante nella difesa dell'interesse nazionale, della sicurezza e della democrazia.
Il senso del dovere e dello Stato dei nostri soldati, così come il loro coraggio e la loro professionalità, sono stati preziosissimi negli anni della Guerra Fredda, quando il nostro Paese, nell'ambito dell'Alleanza atlantica, era impegnato nella difesa dei confini del mondo libero e nel contrasto ai disegni destabilizzanti elaborati oltre cortina.
Oggi i compiti del nostro apparato di difesa sono diventati più complessi e più ampi, perché più complesso e più ampio è lo scenario geo-politico nel quale ci muoviamo. Diciamo pure che si tratta di uno scenario molto più difficile di quello nel quale si è mossa la generazione che ci ha preceduto. Si è trattato per certi aspetti di uno scenario inatteso; in tanti infatti si aspettavano, dopo la fine della Guerra Fredda, un mondo pacificato e più sicuro, ma non è andata così.
La tragedia dei Balcani ne è stata l'immediata e dolorosa conferma: i conflitti si sono sviluppati in maniera incontrollata e al di fuori delle tradizionali distinzioni tra esterno e interno, tra guerra e terrorismo, tra civile e militare. Abbiamo assistito ad atroci tentativi di genocidio e a vere e proprie operazioni di pulizia etnica. L'11 settembre poi si è reso tragicamente visibile l'attacco, già condotto da qualche anno, del terrorismo internazionale di matrice islamista alle democrazie occidentali.
Per certi aspetti la cosiddetta guerra asimmetrica contro il terrorismo internazionale ci rende tutti partecipi di un conflitto permanente che non può essere ridotto dentro i tradizionali confini di Stato nazionali, perché la sicurezza non riguarda più le nazioni o gli Stati, ma direttamente i popoli e le singole persone.
Sono cose che tutti sappiamo, ma che bisogna ricordare quando in un'Aula parlamentare si parla di Forze armate. I compiti di chi ricopre responsabilità politiche sono infatti molto cambiati negli ultimi anni per quel che riguarda la sicurezza del Paese e la difesa dell'interesse nazionale. Per combattere i nemici della nostra sicurezza, della nostra libertà e della nostra democrazia dobbiamo «pensare globalmente, agire localmente», per prendere in prestito un noto e fortunato slogan ambientalista, dobbiamo cioè assicurare ai cittadini un effettivo controllo del territorio.
È necessario che, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie democratiche, sia assicurata una concreta capacità dello Stato di rispondere a chi minaccia la sua sovranità e la sicurezza dei cittadini. Al tempo stesso - ce lo insegna l'esperienza di tutti i nostri alleati occidentali - dobbiamo muoverci sulla scacchiera internazionale per intervenire laddove minacce alla sicurezza si materializzino, per essere presenti negli scenari in cui le trame contro l'occidente e contro la libertà prendono forma e si concretizzano.
Le nostre Forze armate si stanno mostrando perfettamente all'altezza di questo nuovo scenario, dando prova di grande capacità di ammodernamento pur nel rispetto delle proprie tradizioni. I soldati italiani per iniziativa del Governo stanno dando un grande contributo anche al Pag. 15controllo del territorio nazionale, soprattutto nelle aree caratterizzate da una significativa presenza di criminalità organizzata.
Il valore simbolico della presenza dei soldati sul territorio è alto specialmente in quelle aree del Paese dove la Repubblica per troppi anni è stata avvertita come una presenza lontana, quasi irreale. Tale impegno dei soldati non ha certo solo un significato simbolico: le Forze armate con la loro presenza liberano, per così dire, molte energie delle forze di polizia, che in questo modo possono con maggiore efficacia dedicarsi alla prevenzione del crimine e alla lotta contro varie forme di delinquenza, in particolare contro le mafie. Infatti sono sotto gli occhi di tutti, mai come oggi, situazioni in cui lo Stato ha conseguito risultati brillanti nella lotta contro la malavita organizzata.
Tuttavia, come precedentemente detto, il controllo del territorio non è tutto: oggi la ricerca della nostra sicurezza coincide anche in parte con la ricerca di un ordine globale più stabile e più giusto. L'Italia è certo un Paese pacifico, come si legge nella nostra Costituzione. Siamo infatti in prima linea nel sostegno delle politiche mondiali di disarmo e di non proliferazione nucleare, ma questo non vuol dire che l'Italia sia un Paese che rifiuti in assoluto il ricorso allo strumento militare e all'impegno dei propri soldati per conseguire finalità coerenti con la nostra Carta fondamentale.
Se è vero infatti che la guerra viene da noi rifiutata come uno strumento di risoluzione dei conflitti internazionali, è anche vero, come recita la seconda parte dell'articolo 11 della nostra Costituzione, che la Repubblica «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni».
Anche sul fronte della costruzione dei nuovi equilibri geopolitici e della difesa della sicurezza su scala globale il ruolo delle nostre Forze armate è assolutamente determinante: la nostra politica estera infatti cammina anche sulle gambe delle donne e degli uomini in divisa.
Penso che si possa convenire sul fatto che il prestigio e l'autorevolezza del nostro Paese nel mondo si siano negli ultimi tempi decisamente consolidati. L'Italia si muove sullo scacchiere internazionale così come deve muoversi una grande democrazia contemporanea, cosciente delle proprie responsabilità ed impegnata nello sforzo collettivo di mantenere la pace nel mondo e di collaborare all'affermazione dei valori universali della democrazia e dello Stato di diritto.
Siamo in poche parole protagonisti nella costruzione dei nuovi equilibri geopolitici tra est ed ovest, tra nord e sud, dopo il crollo del sistema bipolare della Guerra fredda e dopo il drammatico acuirsi del fenomeno del terrorismo internazionale.
Ma ciò, come dicevo, è possibile anche grazie al ruolo determinante svolto dai nostri soldati: sono essi a consentire all'Italia - anche a prezzo di sacrifici dolorosi e di gravi perdite umane - di svolgere un ruolo di prim'ordine nel controllo delle aree a rischio e nel contrasto ai focolai del terrorismo internazionale. È noto infatti come le operazioni di peacekeeping condotte dal nostro Esercito e dalle nostre Forze armate facciano ormai scuola per la loro efficacia nel garantire ordine sociale e condizioni di vivibilità alle popolazioni collocate nelle aree critiche del mondo.
I nostri soldati contribuiscono attivamente non solo a garantire la stabilità geopolitica (cosa certo non da poco), ma anche a ricostruire il tessuto civile dei Paesi coinvolti nelle crisi internazionali dei nostri tempi. Essi cominciano con l'assistere le popolazioni nelle loro esigenze più elementari e si impegnano poi nella costruzione dei gradini successivi fino alla preparazione delle condizioni per la costruzione di un sistema democratico.
Se oggi un Paese martoriato come l'Afghanistan, che ha intrapreso un lungo e difficile cammino verso la democrazia, può disporre di una brigata di élite lo si Pag. 16deve anche ai militari italiani. Le nostre Forze armate stanno così contribuendo, tra l'altro, a costituire il nucleo del futuro Esercito completamente autosufficiente e lo stanno facendo dando prova delle loro ben note capacità di addestramento e di comando e del loro senso del dovere nei confronti proprio di quelle popolazioni così provate.
Questi nuovi compiti vengono peraltro assolti dai nostri soldati nel pieno rispetto delle loro tradizioni e dei loro valori nazionali. Insomma possiamo ben dirlo, senza timore di essere accusati di retorica militarista: abbiamo da essere fieri degli italiani in divisa ed ai militari, per questo, deve andare la massima considerazione da parte del mondo politico.
Nel merito vi è da dire che il Governo si è mostrato fino ad oggi molto attento nei confronti del ruolo istituzionale dei nostri militari, nonché delle loro esigenze di carattere professionale.
Infatti in un quadro internazionale segnato da forti criticità economiche e finanziarie, a seguito delle quali ad ogni Paese occidentale si impongono severe politiche di rigore, il Governo ha cercato di tenere al riparo il comparto difesa e sicurezza per quanto possibile dai tagli che inevitabilmente vengono previsti dalla nostra manovra (in tutta Europa si stanno facendo tagli nel comparto della difesa con un generalizzato abbassamento delle spese nel settore militare rispetto al 2008). Insomma, pur nel quadro di una necessaria politica di rigore che comporterà tagli a tutte le spese dello Stato, il Governo - come ha recentemente ribadito il Ministro La Russa - in nessun modo permetterà che i nostri soldati vengano mandati nelle missioni internazionali senza che sia loro assicurato il massimo dell'addestramento e del sostegno.
I recenti incontri tra esponenti della maggioranza, del Popolo della Libertà e gli organi di rappresentanza delle Forze armate confermano questo quadro e fanno sperare in una nuova, ulteriore, positiva evoluzione di questa situazione. Del resto, non è certo di oggi l'interesse che il centrodestra ha verso gli italiani in divisa, a differenza di quanto è accaduto per certa sinistra.
Bisogna quindi evitare di strumentalizzare, in questo dibattito, le posizioni: bisogna evitare di strumentalizzare sia le oggettive difficoltà che il Paese sta affrontando, e alle quali ho fatto sopra riferimento, sia l'alta considerazione in cui le Forze armate sono tenute da tutti i nostri cittadini.
Noi parlamentari del Popolo della Libertà siamo dunque impegnati nel sostenere lo sforzo del Governo di venire incontro alle istanze delle nostre donne e dei nostri uomini in divisa, anche attraverso un approfondimento del quadro delle misure adottate e prospettate che sono ad oggi in discussione.
Nella nostra mozione chiediamo alcuni impegni al Governo: innanzitutto a garantire che lo strumento militare nel suo complesso continui a disporre delle capacità necessarie per l'assolvimento dei compiti istituzionali. Un impegno, poi, a procedere, tramite le opportune iniziative anche di carattere legislativo, verso un riassetto ed una riorganizzazione estesa a tutti i settori delle Forze armate, al fine di generare le economie di scala ed un ulteriore efficientamento.
Chiediamo di sostenere il processo di reclutamento del personale, destinando adeguate risorse per accelerare l'attuazione del modello professionale. Un impegno ed una particolare attenzione, anche, alla tutela della condizione del personale militare, attraverso appropriate iniziative nel settore alloggiativo.
Un impegno ad assicurare adeguati livelli di alimentazione finanziaria nelle spese di esercizio. Per quanto riguarda il capitolo dell'investimento della difesa, molto importante, chiediamo un impegno ad assicurare in esso adeguati livelli di finanziamento; ed anche attenzione nell'ambito dei progetti di acquisizione dei sistemi d'arma, delle opere e dei mezzi direttamente destinati alla difesa, ed un'attenta attività di pianificazione per soddisfare le esigenze urgenti quali, per esempio, Pag. 17quelle correlate alla sicurezza del personale impiegato nei teatri operativi.
Da ultimo, tra gli altri, un impegno a sviluppare il piano di trasformazione, coerentemente con il processo in corso nell'Alleanza atlantica, con l'obiettivo di una politica comune di sicurezza e di difesa in ambito europeo.
Signor Presidente, la mozione in esame va letta pertanto come uno stimolo al Governo, e come un promemoria per la maggioranza. Nella storia politica e culturale, direi nel DNA del Popolo della Libertà, vi è l'altissima considerazione per il ruolo che le Forze armate rivestono nella nostra società, e per il posto cruciale che la moderna etica militare occupa in una democrazia costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà la mozione Lo Monte ed altri n. 1-00405, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, nell'ambito delle manovre economiche che tutti i Governi stanno in questo periodo presentando ai vari Parlamenti, è chiaro che tocca anche al settore militare contribuire alla riduzione delle spese. È però anche vero che nel nostro Paese registriamo una manovra un po' atipica, nel senso che i tagli previsti tendono, in qualche maniera, a ridurre le spese in quasi tutti i settori in modo lineare.
Tale modo di intervenire è stato evidentemente un po' stigmatizzato anche dalle regioni, in particolare da quelle meridionali. Credo vada detto che, anche su questo punto, non ha ragione il Ministro dell'economia e delle finanze, quando sostiene che queste ultime hanno sperperato 40 su 44 miliardi di euro; perché, se è vero come è vero che tutti i POR delle regioni meridionali sono impantanati proprio al Ministero dell'economia e delle finanze da anni, sicuramente da decine di mesi, come riportano oggi i giornali, è chiaro che la responsabilità dei ritardi va al Ministero dell'economia e delle finanze, diretto proprio da chi le accusa.
Quindi tutto ciò a mio avviso deve esser detto proprio nel momento in cui si effettuano questi tagli, i quali praticamente devono essere assolutamente modificati, pur rimanendo costante il quadro complessivo.
È chiaro che le Forze armate italiane costituiscono un settore vitale dello Stato, sostenuto dall'intero arco delle forze politiche italiane, come si è spesso visto in questo Parlamento. Nell'epoca che viviamo, caratterizzata dalla lotta generale al terrorismo non si può non migliorare il sistema militare italiano nel quadro internazionale. In tempo di crisi è però difficile coniugare questi due obiettivi: migliorare il sistema, applicare nuove tecnologie e rendere più sicura l'attività dei nostri soldati, ma nello stesso tempo investire di meno.
Quale migliore occasione di questa per cercare di tagliare in modo selettivo? In altre parole, invece di tagliare il 10 per cento di tutte le spese, occorre tagliare molto laddove ci sono spese che non hanno questa finalizzazione; invece per quanto riguarda gli investimenti che migliorano l'addestramento, le attrezzature, i sistemi è necessario non tagliare, anzi mantenere o aumentare le risorse. Evidentemente tutto ciò finora è stato difficile e noi del Movimento per le Autonomie ci batteremo in questa direzione.
Sappiamo che la Nota aggiuntiva allo stato di previsione della spesa per il 2010, pubblicata proprio dal Ministero della difesa, indica una spesa pari a 20,36 miliardi di euro. Secondo la stima del gruppo sicurezza e difesa dell'Istituto affari internazionali invece le risorse effettivamente disponibili per la difesa nel 2010 ammonterebbero solo a 17,6 miliardi di euro. La stima di questo Istituto include solo le voci che contribuiscono realmente a produrre sicurezza esterna per il Paese nel corso dell'anno di riferimento: la cosiddetta funzione difesa; le spese per le missioni militari all'estero; gli investimenti per l'acquisizione e lo sviluppo di armamenti. Gli stanziamenti per la funzione difesa 2010 ammontano quindi a 14 mila 280 milioni, in calo di 60 milioni rispetto al 2009. Continua quindi il trend discendente cominciato Pag. 18nel 2008 quando per la funzione difesa erano stati stanziati 15,4 miliardi. A questo valore vanno aggiunte le spese per personale dei carabinieri non impegnati nel campo della pubblica sicurezza, in altre parole i carabinieri in missione all'estero e quelli che svolgono funzioni di polizia militare. Questa voce è stimata in 419 milioni. Per quanto riguarda le missioni la legge n. 30 del marzo 2010 ha stanziato complessivamente 706 milioni di euro. Questa cifra è stata calcolata lasciando fuori il costo per le missioni civili, i contributi alle attività di organizzazioni internazionali e la cooperazione allo sviluppo. Raddoppiando gli stanziamenti della legge n. 30 il costo per le missioni militari dell'Italia 2010 dovrebbe attestarsi intorno a 1.412 milioni di euro. Infine nel novero delle spese della difesa dovrebbero rientrare anche i finanziamenti erogati dal Ministero dello sviluppo economico per progetti industriali di rilevanza nazionale quali Eurofighter, Fremm e Freccia. Lo stanziamento quindi basato su mutui pluriennali dovrebbe ammontare quest'anno a poco meno di 1,5 miliardi di euro.
Una nota positiva è rappresentata dalla spesa per gli investimenti, che aumenta di 287 milioni, un incremento del 10 per cento rispetto al 2009, che porterà il totale a 3.172 milioni di euro. Con riferimento alle missioni internazionali il Consiglio supremo di difesa, esaminando la situazione internazionale con particolare riferimento all'Asia centrale, al Medio Oriente e ai Balcani, ha ribadito che l'impegno militare e di concorso allo sviluppo profuso dal nostro Paese nel quadro della comunità internazionale deve continuare ad essere sostenuto con adeguate risorse umane, economiche e materiali. Il Consiglio ha inoltre ribadito che l'attuazione di una comune politica estera e di difesa nell'ambito dell'Unione europea costituisce obiettivo vitale per gli Stati membri e per la crescita dell'Europa. Allora noi del Movimento per le autonomie vogliamo impegnare il Governo a considerare l'opportunità di superare la logica dei tagli lineari, e a verificare se nell'ambito della conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, sia possibile recuperare risorse per il mantenimento in efficacia dello strumento militare, con specifico riguardo all'addestramento ed alla manutenzione dei mezzi.
Vogliamo, altresì, impegnare il Governo a contribuire affinché l'Unione europea diventi punto di riferimento comune in ambito internazionale per il disarmo e la riduzione dell'armamento nucleare; ad intervenire nelle sedi internazionali, dal momento che è stata preannunciata una riforma dei modelli di difesa di Francia e Regno Unito, tesa a renderli più flessibili e adatti alle nuove sfide internazionali, al fine di sostenere e rafforzare una politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea, invocando anche una maggiore cooperazione tra l'Unione europea e la NATO; infine, presso le Commissioni congiunte difesa di Camera e Senato, nell'ottica dell'attuazione di una comune politica estera e di difesa e sicurezza in ambito europeo, occorre verificare la possibilità di lanciare una concreta iniziativa, da parte italiana, di finalizzazione del Trattato di Lisbona, al duplice scopo di concorrere alla costruzione di uno strumento politico-militare comune dal punto di vista operativo e di conseguire importanti risparmi sul piano economico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Recchia. Ne ha facoltà.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, la mozione che ha illustrato il collega Rugghia prende le mosse dalla consapevolezza del passaggio difficile che il nostro Paese è chiamato ad attraversare all'interno di un contesto di grave crisi economica internazionale.
In particolare, i Paesi occidentali sono costretti ad attuare politiche di taglio della spesa pubblica: abbiamo visto, in questi giorni - lo prendo solo come esempio - l'annuncio di una finanziaria «lacrime e sangue» che adotterà il Governo inglese e che supera di gran lunga le previsioni di rigore fatte all'indomani delle elezioni.
Evidentemente, anche l'Italia è chiamata ad una politica di riduzione della Pag. 19spesa, ne siamo consapevoli anche noi. Non sono, infatti, i tagli in sé che contestiamo al Governo, quanto piuttosto il contenuto di una manovra iniqua, che concentra il sacrificio sulle fasce più deboli, e l'assenza di riforme strutturali capaci di stimolare e rilanciare lo sviluppo. Tuttavia, quando ci si trova ad affrontare crisi di questa portata, un Paese deve procedere alla verifica dell'opportunità e dell'utilità di ogni euro speso dallo Stato per ogni settore della spesa pubblica e, dunque, anche il settore della difesa deve essere sottoposto a questa verifica. L'invito rivolto al Governo di procedere a tale verifica è la ragione principale che sta alla base della mozione in oggetto.
Noi sappiamo che le risorse che lo Stato italiano destina alla funzione della difesa equivalgono a circa lo 0,87 per cento (comunque al di sotto dello 0,9 per cento del PIL), un valore al di sotto di quello previsto dagli altri principali Paesi europei a noi comparabili. L'andamento di questo valore è sempre stato al ribasso durante i Governi Berlusconi: la scure di Tremonti si è ripetutamente abbattuta sul comparto della difesa, imponendogli tagli lineari che hanno messo il sistema in difficoltà. Abbiamo più volte sostenuto ciò, entrando nel merito, in quest'Aula e in IV Commissione, in particolare, durante la discussione sul decreto-legge n. 112 del 2008.
L'evidenza di quella difficoltà fece sì che, accanto alle nostre voci si unirono, allora, anche quelle degli Stati maggiori delle Forze armate e, persino, quelle dei vertici politici del Ministero della difesa, con paradossali relazioni sugli effetti della norma a dir poco catastrofici.
Sappiamo anche che il bilancio della difesa ha alcune voci che oggi, con questo modello di organizzazione delle Forze armate, sono incomprimibili. Tutto il settore del personale, comprese anche le risorse destinate ai nuovi arruolamenti, appare in crisi; le spese per l'esercizio sono state già ridotte di un miliardo e mezzo di euro nel triennio 2009-2011 e non possono subire altri tagli senza mettere in discussione la tenuta dello strumento militare, che non avrebbe più risorse da destinare all'addestramento e alla manutenzione dei mezzi, alcuni dei quali operano sui teatri di crisi e, perciò, debbono mantenere massima la loro efficienza. Rimane il settore degli investimenti, di cui larga parte è rappresentato dall'acquisto di sistemi d'arma, su cui si è concentrata recentemente anche la stampa e che ha visto promuovere in Parlamento iniziative riguardanti specifici armamenti.
Anche noi, signor Presidente, ci siamo posti e ci poniamo delle domande più che legittime sulla natura e sulle ragioni di investimenti nel settore della difesa. È per questo che chiediamo che sui programmi di acquisizione di armi si proceda ad una verifica puntuale della loro utilità e della loro corrispondenza con obiettivi definiti.
Potremmo verificare infatti che alcuni programmi o che valutavamo ieri come necessari, oggi non lo sono più e il loro taglio potrebbe essere il mezzo per realizzare un risparmio di spesa. Va sottolineato, inoltre, che tale richiesta di verifica trova le sue ragioni anche in conseguenza delle dichiarazioni rese dal Ministro della difesa negli ultimi giorni. In particolare faccio riferimento a quelle contenute nell'intervista rilasciata a Il Giornale del 12 giugno scorso, nella quale il Ministro ha sostenuto di aver già tagliato cinque miliardi relativi all'acquisizione di sistemi d'arma e dove si facevano anche dichiarazioni impegnative quali: «Gli aerei non sono di La Russa ma fanno capo a scelte fatte in un certo scenario politico che impegnano il Ministro a pagare 21 miliardi di vecchi ordini». Ci siamo chiesti allora - io l'ho fatto anche presentando un'interrogazione in Commissione - se queste affermazioni, segnate dalla discontinuità con il passato, siano il frutto di annunci caratterizzati dall'approssimazione oppure, anche dando seguito ai lavori di alto profilo della Commissione, siano il risultato di una riflessione sul modello di difesa. In altri termini: La Russa muove unicamente dall'assenza di risorse finanziarie necessarie al mantenimento dell'attuale modello, oppure ha avviato un ragionamento sulla riforma dello strumento Pag. 20militare? Perché, signor Presidente, il tema della revisione del modello, che è l'altro punto centrale della mozione che abbiamo presentato, cambia tutto il ragionamento, ci porterebbe cioè ad affrontare il tema della ridefinizione degli obiettivi, procedendo per una necessaria individuazione delle minacce, quelle minacce che riguardano il nostro Paese in un nuovo, se esiste, scenario geopolitico, stabilendo quale debba essere il livello di ambizione dell'Italia sulla scena internazionale. Questo è il rilievo della questione che stiamo trattando. È una questione che coinvolge tutti i Paesi occidentali, dai principali Paesi europei fino agli Stati Uniti. Solo dopo aver affrontato responsabilmente questa discussione possiamo costruire uno strumento militare capace di svolgere i compiti che la Repubblica gli chiede. Intendo dire che da questo, ormai ineludibile, approfondimento deriva tutto il resto: l'alimentazione dello strumento militare con la conseguente rimodulazione della spesa per il personale, l'esercizio, con la ridefinizione dei suoi livelli di spesa, e evidentemente anche le spese per l'acquisizione degli armamenti da rendere a quel punto coerenti con i nuovi obiettivi. Certamente ne potrebbero derivare risparmi di spesa, potremmo affrontare il tema della redistribuzione delle risorse da un settore ad un altro più in crisi sempre nell'ambito del bilancio della difesa. Ma se questo è il tema che abbiamo di fronte, quello della revisione del nostro strumento militare, lo dobbiamo trattare con il rilievo che merita una discussione relativa all'evoluzione di una funzione centrale dello Stato. Vorrei dire la funzione principale che un Paese è chiamato ad assolvere, che prima di ogni cosa deve garantire la tenuta dei confini del proprio territorio. Per questa ragione, attraverso questa mozione, chiediamo al Governo di portare la discussione in Parlamento, attraverso una sessione dedicata, confrontandoci in Aula e in Commissione responsabilmente, cercando di capire se i cambiamenti che sono avvenuti sullo scenario internazionale siano tali da indicare una modifica dei nostri obiettivi e in quale direzione, se richiede una ridefinizione delle minacce, una diversa organizzazione delle nostre Forze armate che renda coerenti gli obiettivi con le risorse messe a disposizione. Questa discussione non deve essere sottratta a un confronto specifico in Parlamento, tale rischio appare oggi concreto, come diceva il collega Rugghia, se si guarda agli emendamenti che sono stati presentati in Senato, i quali, in qualche modo implicitamente, potrebbero portare ad una ridefinizione del modello.
La centralità di questa riflessione è dimostrata dall'attenzione che intende dedicargli il Presidente della Repubblica, il quale ha convocato per mercoledì prossimo il Consiglio supremo di difesa con all'ordine del giorno, oltre a una valutazione sulle missioni internazionali con particolare riguardo al nuovo scenario afgano, la situazione del processo di razionalizzazione dell'amministrazione della difesa e delle Forze armate, con particolare riferimento ai programmi di investimento e all'efficienza dello strumento militare. Signor Presidente, noi siamo pronti a confrontarci senza pregiudizi, senza ambiguità, con la responsabilità di una forza politica che si comporta come forza di Governo anche quando sta all'opposizione, provvisoriamente all'opposizione, come dice il segretario del nostro partito. Auspichiamo che all'interno di un passaggio di crisi così grave la maggioranza sia anch'essa responsabile e avvii velocemente questo confronto sulla funzione della difesa e non si dimostri, questo è un timore, solo guidata dalla demagogia, che in un settore delicato come questo sarebbe sinonimo di irresponsabilità.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Pertanto, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Discussione del disegno di legge: Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno (Testo risultante dallo stralcio degli articoli da 3 a 9 del disegno di legge n. 3291, deliberato dall'Assemblea il 12 maggio 2010) (A.C. 3291-bis-A) (ore 17,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge d'iniziativa del Governo: Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno (Testo risultante dallo stralcio degli articoli da 3 a 9 del disegno di legge n. 3291, deliberato dall'Assemblea il 12 maggio 2010).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3291-bis-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Papa, ha facoltà di svolgere la relazione.

ALFONSO PAPA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, preliminarmente vorrei porre l'accento sul fatto che questo disegno di legge - il quale, nella parte che residua dallo stralcio, concerne l'esecuzione domiciliare della pena, per le pene detentive non superiori ad un anno nell'ultimo anno di detenzione - tocca un tema di pressante attualità, sul quale si è drammaticamente chiusa la precedente legislatura e sul quale si è aperta quella attuale. Si tratta, fondamentalmente, del tema del sovraffollamento carcerario, nonché dell'esigenza di porre in essere misure per intervenire sia sull'esecuzione della pena in termini di umanità e rieducazione, sia su un sistema che necessita di interventi radicali.
Dico questo perché, su tale materia, si è svolto un dibattito approfondito in Commissione che oserei definire caratterizzato da luci ed ombre. Dobbiamo ricordare a noi stessi, a questo Parlamento e all'opinione pubblica - che ci segue e che spesso ci rammenta ciò essa stessa - che la popolazione carceraria effettiva è oggi di quasi quattro volte superiore alle capacità di contenimento delle strutture che abbiamo in essere.
Dobbiamo, altresì, ricordare che ci avviciniamo drammaticamente ad una stagione estiva, anzi siamo nel pieno di questa stagione, dove l'esperienza insegna che all'interno delle carceri e delle celle sovraffollate nei termini e con le modalità che dicevo prima le temperature rasentano cifre impressionanti che a volte si avvicinano quasi ai 50 gradi.
È di ieri l'ultima visita del Pontefice ad una struttura penitenziaria, quella di Sulmona. È inutile che stia qui a ricordare come tante volte sia stata messa in evidenza - da parte della Chiesa, della maggioranza, dell'opposizione, di intellettuali e di operatori - la situazione nella quale versa il sistema carcerario.
Abbiamo un Governo impegnato in un programma radicale di interventi urgenti su questa materia, sul quale si andava a collocare inizialmente questo disegno di legge. Con una punta di delusione, ma, nondimeno con il mutato spirito costruttivo e il desiderio di concludere un provvedimento di cui vi è un oggettivo bisogno e rispetto al quale auspico una convergenza che non può non essere al di là delle contrapposizioni ideologiche o politiche, devo dire che oggi ci troviamo a trattare questioni che sono un po' il cuore di questa materia. Pag. 22
Inizialmente, questo provvedimento aveva un carattere più generale e più complessivo. Oggi, di questo provvedimento, giunge in discussione in Aula una delle due componenti, ossia l'esecuzione domiciliare dell'ultimo anno di pena detentiva.
Su questo provvedimento l'assetto originario era organico ed ampio e tendeva ad intervenire sulla definizione complessiva della pena e sugli interventi che il Governo intendeva fare sulla stessa. Devo dire che il fatto che sia stata espunta la parte sulla messa alla prova - su cui mi soffermerò brevemente dopo - incide certamente negativamente sul portato complessivo che poteva avere e sul quale contiamo sia possibile ritornare.
Dobbiamo anche ricordare che questo provvedimento ripeteva, nella sua fase originaria, in buona sostanza, un intervento di carattere analogo che era stato predisposto dal Ministero della giustizia proprio all'indomani del tanto criticato provvedimento sull'indulto - che recava la firma dell'allora sottosegretario Li Gotti - e che introduceva un meccanismo di messa alla prova su reati di minore allarme sociale e di non particolare alta gravità. Esso introduceva un meccanismo simile a quello in essere nell'ordinamento francese e in altri ordinamenti attraverso il quale, con delle modalità premiali, il soggetto poteva sottrarsi al processo accettando di essere messo alla prova e di avviare un percorso rieducativo. Tutto ciò allo scopo, all'epoca sentito - proprio perché si era all'indomani del provvedimento sull'indulto - di avviare una riflessione nuova su tutte le modalità deflattive del processo e dell'esecuzione della pena.
Questa parte della messa alla prova ha trovato forte opposizione in Commissione e, soprattutto, nella componente politica e culturale che all'epoca era stata promotrice - attraverso l'allora sottosegretario - della medesima parte che oggi è stata stralciata. Di questo ci dogliamo, ma vogliamo rappresentare il fatto unicamente in un'ottica costruttiva e in uno spirito di collaborazione che certamente non sfuggirà alla parte più sensibile della componente politica dell'opposizione che ha attaccato quella parte del provvedimento, e che, siamo convinti, nel corso dell'esame di questo disegno di legge fornirà, non di meno, un contributo leale e meditato per portare avanti un provvedimento che nella parte in cui residua - purtroppo, dobbiamo dire - si occupa a questo punto di un'emergenza che è quella alla quale facevo riferimento, ossia di un intollerabile sovraffollamento carcerario.
Dobbiamo anche dire che nella formulazione originaria il provvedimento non si caratterizzava per essere un intervento tampone, o un intervento a tempo, o un intervento che si limitava a gestire una specifica emergenza, ma voleva intervenire anche sulla parte della definizione della pena residua, nell'ultimo anno di detenzione, con una normativa stabile che potesse fungere da ponte sino alla ridefinizione del piano carceri e alla ridefinizione di quel processo riformatore rispetto al quale il Ministero della giustizia è impegnato sin dall'inizio della legislatura, e il Parlamento è in attesa dei relativi frutti.
Oggi tutto questo non è stato possibile perché, al fine di venire incontro a quelle che sono state ulteriore considerazioni - fatte questa volta anche da parti del Parlamento che sostengono la maggioranza politica che dà la fiducia a questo Governo - si è intervenuto anche su questi altri elementi.
Per tali motivi abbiamo dato vita, in sostanza, in Commissione, ad una scissione delle due anime di quel provvedimento; oggi residua solo la prima parte, quella cioè relativa alla possibilità di far scontare al detenuto l'ultimo anno di detenzione presso la propria abitazione.
Si è intervenuto anche sul tema delle modalità con cui questa opportunità può essere concessa e per il momento si è accantonata la parte relativa alla messa alla prova.
Ma questo iter è importante e da tenere a mente nella discussione che ci accingiamo a svolgere perché questo provvedimento aveva ed ha probabilmente tutte le caratteristiche per ottenere la possibilità di una definizione anche in sede di Commissione Pag. 23in via legislativa. Certamente oggi in Aula - e a maggior ragione nella qualità di relatore - mi permetto di fare appello a tutte le forze politiche affinché il provvedimento possa avere una definizione celere e soddisfacente.
Il testo, così come oggi viene ad essere consegnato, si compone di cinque articoli che sono composti da due originari, presenti nel disegno di legge nella sua originaria formulazione, e altri tre che sono stati successivamente introdotti dalla Commissione.
Il nucleo centrale di questo provvedimento è caratterizzato dall'articolo 1, che intervenendo sull'esecuzione della pena stabilisce che la pena detentiva non superiore a 12 mesi - o parte residua di maggior pena - può essere eseguita presso l'abitazione del condannato o in altro luogo idoneo e riconosciuto. Rispetto al testo originario sono state apportate due modifiche sostanziali: la prima è stata quella di trasformare la previsione da una modalità in via definitiva a una in via temporanea. Questa disposizione ha un termine fissato al 31 dicembre 2013, che deriva dalla sintesi di varie esigenze rappresentate in Commissione. Tale termine, dunque, sostanzialmente va a coincidere con l'approvazione definitiva del piano carceri. Tutto questo da un lato avvicina questa normativa ad una di carattere emergenziale, proprio per quanto affermavo prima; d'altro canto, chiama a maggior ragione il Parlamento ad uno sforzo di responsabilità, cui per primo si è sottoposto il Governo, accettando un termine che lo chiama, entro tale data, a dare seguito alla definizione di quel piano carceri sul quale si è tanto dibattuto nel corso di questi mesi e sul quale in Commissione il sottosegretario ha più volte dato ampie rassicurazioni per quel che riguarda lo stato di avanzamento delle attività e dei lavori.
Da questo punto di vista il provvedimento mira, quindi, ad incidere sul tema del sovraffollamento e ad alleggerirlo. Quello che dobbiamo tener presente è che già oggi questo provvedimento, una volta approvato, consentirebbe ad una popolazione penitenziaria pari a circa il 32 per cento di quella complessiva di poter accedere ad un beneficio che, ricordiamolo, non è neanche più previsto, come vedremo, in via automatica ma viene affidato, comunque, alla cognizione di un magistrato con modalità peraltro non dissimili da istituti che vi si avvicinano e che a regime vigente sono già operativi, seppure con presupposti e modalità differenti.
Il tema della discrezionalità del giudice è importante perché prevede un contributo significativo del magistrato di sorveglianza e del pubblico ministero, in termini di cognizione e di valutazione. Il provvedimento viene quindi emesso all'esito di un'istruttoria e, dunque, si definiscono e si caratterizzano ancora di più alcuni limiti soggettivi ed oggettivi che erano già previsti nella formulazione originaria del provvedimento.
Su questo provvedimento si sono dette tante cose. La lettura del testo, ad esempio, consente agevolmente di comprendere che a questo provvedimento non può essere ammesso il detenuto che non ha un domicilio, o che non ha un domicilio tale da poter essere considerato idoneo ad una forma di detenzione quale quella domiciliare.
Quindi, la paventata ipotesi di persone che, ammesse a questo beneficio, poi di fatto si renderebbero irreperibili, è un'ipotesi impossibile o dovremmo immaginare che sia legata ad una erronea cognizione da parte dell'autorità giudiziaria a ciò preposta che, invece, è chiamata a fare questo tipo di valutazione.
Allo stesso modo, per quello che riguarda i recidivi e i soggetti che già nel passato si sono caratterizzati per reati connessi a quello dell'evasione o si siano resi responsabili di episodi di latitanza o parificabili, essi sono considerati soggetti che non possono beneficiare di questo provvedimento.
Tutto questo perché? Tutto questo (lo ricordo brevemente) proprio per far comprendere all'opinione pubblica che questo provvedimento non è un indulto mascherato, né quel provvedimento «svuota carceri» che in maniera impropria, e forse Pag. 24anche volgare, qualcuno ha ritenuto di voler indicare. Dobbiamo poi ricordare che vi sono casi in cui il provvedimento non può essere applicato e poi può convivere con misure alternative alle quali il soggetto può essere affidato, laddove ne ricorrano i presupposti.
Dobbiamo dire che in Commissione si è approfondito anche il tema della convivenza tra questi provvedimenti e l'ipotesi di programma di recupero di tossicodipendenti, di alcoldipendenti o di soggetti che manifestino un disagio sociale particolare ulteriore rispetto a quello nascente dal fatto per il quale il soggetto è detenuto, ma tutto questo proprio per valorizzare il tema del recupero anche in questo ambito.
L'articolo 2 prevede una forte incidenza della pena per quel che riguarda l'ipotesi di evasione per i soggetti ammessi a questo provvedimento, così come gli articoli successivi (3 e 4) intervengono su temi relativi ai costi e al contenimento degli stessi. In particolare, l'articolo 5, (introdotto, come dicevo, come gli articoli 3 e 4) dalla Commissione affronta il tema del rafforzamento dei Corpi di polizia penitenziaria, dei soggetti preposti alle attività di controllo e vigilanza.
Su di essi (non ci nascondiamo) è nata ed è in corso una discussione che chiama tutto l'apparato statale a uno sforzo di responsabilità che certamente non può ricadere, per quelle che sono le esigenze organizzative e di costo delle amministrazioni penitenziarie di pubblica sicurezza, sulle condizioni, non consone spesso ai parametri europei, alle quali sono tenuti a soggiacere i detenuti italiani all'interno di strutture che oggi manifestano limiti di sovraffollamento non più accettabili.
Per questo concludo, signor Presidente, ringraziando per l'attenzione e ricordando che questo è un tema sul quale è necessario agire con responsabilità ed urgenza, affinché non si venga a nostra volta ad essere «agiti» da pericoli e forme di reazione che con il sovraffollamento, con il caldo e con le previsioni che sempre più spesso si fanno di iniziative anche violente e di protesta nelle carceri, potrebbero caratterizzare questa estate.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica. È iscritto a parlare l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.

LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, appena ieri il Santo Padre, nel visitare la città di Sulmona, ha voluto ancora una volta esprimere la sua attenzione e la sua opera pastorale verso i detenuti.
Si tratta dei detenuti di un carcere mediaticamente indicato come il «carcere dei suicidi», nel quale più incidenza ha avuto la situazione drammatica di sovraffollamento e di disagio nel determinare gesti estremi fra i detenuti quali quelli del suicidio.
Siamo consapevoli che quella carceraria è una delle emergenze della giustizia italiana e che essa è strettamente legata all'altra emergenza, cioè la crisi del funzionamento del processo ovvero della irragionevole durata dei processi. Entrambe le crisi andrebbero affrontate con un intervento di riforma e di innovazione sistematico e complessivo. Ciò non viene fatto nel nostro Paese da tempo e credo che - poi spiegherò come - occorra finalmente intraprendere con decisione la strada che porta alla soluzione definitiva di questi problemi (la carcerazione e il funzionamento del processo).
Il Partito Democratico si è posto di fronte a questo provvedimento con grande senso istituzionale e con grande responsabilità, nella consapevolezza che questo è un intervento non di sistema, ma che va fatto data l'emergenza che le carceri vivono. Certamente, così come era stato presentato nella versione originaria, questo provvedimento non poteva essere adottato e non avrebbe risolto alcun problema.
Infatti, era stato presentato come la soluzione definitiva e non lo sarebbe stato perché avrebbe incontrato degli ostacoli notevoli nella sua applicazione, perché recava in sé il germe della incostituzionalità nella concessione automatica dei benefici; perché non conteneva nessun tipo di intervento su quelle strutture di servizio Pag. 25al sistema carcerario e nessun tipo di intervento di rafforzamento degli organici delle funzioni della Polizia penitenziaria; perché conteneva un istituto effettivamente da pensare e da riflettere, probabilmente anche da introdurre nel nostro ordinamento, quale l'affidamento in prova, ma che avrebbe risolto il problema della crisi del processo e non del carcere perché sul carcere, sulla detenzione e sul numero dei detenuti, per la platea dei reati verso i quali era rivolta, avrebbe inciso poco.
Si tratta, comunque, di un istituto che ha una dignità di applicazione già nel nostro ordinamento e che va pensato anche nella sua estensione ai reati degli adulti e non solo dei minori. Occorre peraltro segnalare che su questo punto le perplessità e le opposizioni maggiori sono venute, nel corso dell'iter che ha portato poi allo stralcio dell'istituto dell'affidamento in prova, da parti rilevanti e importanti della maggioranza quali, la Lega Nord.
Nel merito di quello che è oggi il provvedimento al nostro esame, noi in Commissione abbiamo sin dal primo momento ritenuto che questo provvedimento andasse fortemente incanalato e migliorato per essere efficace e costituzionalmente conforme. Il lavoro fatto in Commissione secondo noi ha portato ad un risultato positivo.
Correttamente il relatore ha detto che questo non è un indulto mascherato, è un provvedimento che contiene il principio per cui la pena si sconta fino in fondo, sebbene con meccanismi che per l'ultimo anno prevedono non la detenzione carceraria, ma quella domiciliare, e soprattutto si sconta nella forma della detenzione domiciliare a seguito di una valutazione del giudice di sorveglianza sulla circostanza che il condannato meriti questo beneficio.
Il provvedimento in esame assume le forme di una legge-ponte verso interventi che possano offrire una soluzione definitiva al problema, quali il Piano carceri e la revisione delle normative sulle misure alternative alla detenzione. Ecco perché questo è un percorso serio per affrontare un problema, non quello dei proclami, dei facili slogan sulla necessità della certezza della pena o della sicurezza dei cittadini. Quando affrontiamo questi problemi, infatti, dobbiamo ricordare che per essere sicuro un Paese deve avere innanzitutto un sistema carcerario che produce redenzione, recupero, non un sistema carcerario che produce altro crimine, cioè altri soggetti pronti a sbagliare una seconda volta. Le statistiche sulla recidiva dei soggetti che beneficiano di forme premiali sulla detenzione dimostrano chiaramente che il percorso di recupero, dell'applicazione costituzionale della pena è l'unico percorso giusto per garantire non solo la funzione costituzionale della pena, ma soprattutto la sicurezza dei cittadini.
Questo provvedimento, grazie all'opera realizzata in Commissione, contiene anche delle novità. Contiene finalmente un intervento sulla Polizia penitenziaria e il riconoscimento della necessità che il Parlamento controlli le modalità di applicazione di questa legge da parte della magistratura di sorveglianza, della Polizia penitenziaria e delle strutture di supporto con la presentazione di una relazione alle Camere per far sì che le stesse seguano l'iter legislativo.
Quello che non capiamo è come mai, una volta arrivati a questo percorso di condivisione e di responsabilità comune nel cercare di dare un piccolo contributo alla soluzione di un problema grande e grave, il Governo non sia stato indotto a dare il suo assenso allo svolgimento dell'esame in sede legislativa a questo punto del lavoro (che adesso sì sarebbe stata utile e necessaria) e abbiamo dovuto iniziare, invece, questa discussione in Aula. Spero che ciò non sia indice di ulteriori dubbi, di ulteriori divisioni all'interno della maggioranza e che porti rapidamente il Governo a dare un assenso su un provvedimento, sul quale già si registra una larga convergenza dei gruppi di maggioranza e di opposizione, che, come ho già detto, non contiene alcun aspetto di liberazione anticipata, di non effettività della pena, ma, anzi, rende la pena ancora più certa sia per coloro che beneficeranno Pag. 26di questo sistema di detenzione domiciliare, sia per coloro che rimarranno a scontare la pena dentro le strutture carcerarie.
La crisi del sistema carcerario in Italia è abbinata alla crisi del processo penale, è figlia della crisi del processo penale.
Le statistiche più aggiornate ci dicono che circa 30 mila detenuti attualmente ristretti nelle nostre carceri sono detenuti non definitivi, che cioè non hanno avuto una sentenza definitiva. Di questi 30 mila, circa 19 mila sono detenuti in custodia cautelare, cioè non hanno ricevuto ancora una sentenza di primo grado.
Ciò evidenzia che la radice del problema sta nel funzionamento del processo. Quindi, una maggioranza avveduta, che abbia a cuore tali problemi, avrebbe dovuto presentare un progetto di riforma organica del processo, per rendere il processo penale finalmente effettivo e di ragionevole durata.
La legislatura è ormai giunta ad un'età quasi adulta: stiamo entrando nella fase finale, nella seconda metà della legislatura e di questa riforma, pur annunciata - in genere viene annunciata a luglio per essere discussa a settembre o a dicembre per essere discussa a gennaio - non abbiamo visto ancora neanche una riga scritta: una riforma di alcune parti del processo penale è rimasta arenata al Senato.
Se questa strada di riforma del processo penale non viene intrapresa, la normativa che ci accingiamo a discutere e a varare sarà solo un «pannicello» caldo: il problema si riproporrà, perché l'entrata nel sistema carcerario è determinata dai meccanismi di applicazione della custodia cautelare e dall'estrema durata del processo penale.
Quindi, per responsabilità, abbiamo ritenuto di dover contribuire al miglioramento di questo testo e, spero, al varo di un testo efficace: rimane, però, tutta la nostra critica per l'assenza di una politica di riforma della giustizia complessiva e coerente, che abbia come fine quello dell'effettività dei principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di effettività della pena.
Solo la responsabilità e la consapevolezza che un'opposizione, per essere veramente tale, deve essere capace di dire dei «no», ma deve anche imporre i propri «sì» su questioni e su norme che servono al Paese, permette di affermare che queste sono norme che possono servire, ma non saranno la soluzione del problema (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, di fronte a provvedimenti tampone, che rappresentano pezze su squarci importanti di una coperta che non tanto è troppo corta, ma che non serve - come la crescente presenza penitenziaria dimostra -, noi dell'Italia dei Valori rimaniamo fortemente perplessi, perché abbiamo già avuto occasione di rilevare che in questi due anni e mezzo di Governo (due anni e poco più, ma comunque è molto tempo), non vi è stato ancora un provvedimento organico, serio e risolutivo nei confronti dell'aumento crescente della popolazione penitenziaria, quale quello che si è registrato dal momento in cui questo Governo si è insediato.
Non abbiamo visto niente di organico e di risolutivo: persino il cosiddetto piano carceri, di cui si è cominciato a sentire parlare qualche mese fa, dopo uno o due anni di Governo, non lo conosciamo ancora.
Conosciamo solo alcune espressioni, ma non quelle che dovrebbero costituire la parte più importante e cioè quelle concernenti l'adeguamento del fabbisogno delle strutture penitenziarie alla popolazione penitenziaria e gli interventi in favore della Polizia penitenziaria, la cui consistenza era già insufficiente rispetto alla presenza ordinaria della popolazione penitenziaria, ma che ora presenta una carenza, un vuoto di organico di cinquemila unità e di tremila unità nelle strutture penitenziarie, cioè per l'assolvimento dei compiti cui esse sono demandate in quanto attribuite ad altri compiti. Su questi Pag. 27due punti essenziali per il contenimento della pressione della popolazione penitenziaria e comunque per affrontare meglio la presenza crescente dei detenuti il Governo non ha presentato nessun provvedimento serio.
Ecco perché siamo molto perplessi, se non addirittura contrari, di fronte a provvedimenti che non possono definirsi neanche provvedimenti tampone ed hanno il senso molto chiaro e netto soltanto di una parziale, desiderata deflazione penitenziaria che comunque neppure si verificherebbe, almeno in termini rilevanti - non dico risolutivi -, perché l'entità di circa il 30 per cento della popolazione penitenziaria presente che uscirebbe dagli stabilimenti penitenziari in virtù di questa legge, l'entità così indicata dal relatore, ci sembra assolutamente ottimistica. Infatti sappiamo che la maggior parte della popolazione penitenziaria è rappresentata da soggetti nei confronti dei quali è stata emessa una misura cautelare o da soggetti extracomunitari, che non hanno certo la possibilità di espiare la pena in una situazione domiciliare, in quanto non hanno neanche il domicilio.
Perciò non possiamo dichiararci entusiasti di questo provvedimento che non risolve niente: è una sorta di foglia di fico che il Governo vuole utilizzare per coprire una propria inadempienza molto forte.
Ciò detto, non siamo così irresponsabili da non porci il problema della presenza della popolazione penitenziaria e della sofferenza della Polizia penitenziaria insieme ai detenuti. È un problema che ci poniamo, che abbiamo posto al Governo dal primo momento del suo insediamento, che vorremmo fosse risolto in modo organico e definitivo e che invece questo provvedimento non risolve assolutamente, né rappresenta un palliativo.
Perciò noi siamo fortemente perplessi di fronte ad un voto favorevole a questo disegno di legge, anche perché non abbiamo visto una volontà decisa del Governo di intervenire in favore delle strutture penitenziarie e della Polizia penitenziaria. Infatti non c'è nessuna disposizione che, ad esempio, preveda l'aumento del personale di Polizia penitenziaria o misure in favore dell'aumento delle strutture penitenziarie o della ristrutturazione e della migliore funzionalità di quelle esistenti, né c'è un provvedimento che preveda un adeguamento delle forze ordinarie di polizia (Polizia di Stato e carabinieri) sulle quali graverà, in definitiva, il compito di provvedere alla vigilanza sulla esecuzione della detenzione domiciliare.
Perciò, ci sembra che questo provvedimento sia soltanto una misura, neanche un palliativo ma uno specchietto per le allodole, per far capire che il Governo pone in essere dei provvedimenti in favore della situazione carceraria, ma che in realtà non sono affatto provvedimenti risolutivi.
Noi pensiamo di aver apportato miglioramenti estremamente importanti a questo provvedimento. Per esempio, in Commissione abbiamo contribuito ad evitare che si trattasse di provvedimenti automatici, che non tenessero conto dell'effettiva personalità del condannato che dovrebbe espiare la pena presso il domicilio o in una comunità. Abbiamo respinto fin dall'inizio ogni possibilità di automatismo ed abbiamo preteso che ci fosse l'intervento della magistratura di sorveglianza per una valutazione dell'opportunità di far espiare l'ultimo anno di detenzione presso il proprio domicilio. Questo è stato accolto. È un atteggiamento che abbiamo assunto nell'ottica della riduzione del danno, nell'ipotesi in cui la maggioranza avesse da sola la forza per approvare questo provvedimento.
Inoltre, con i nostri emendamenti al testo approvato per l'Assemblea, abbiamo esplicitamente previsto che ci fossero risparmi di spesa forti, di cui abbiamo dato conto puntigliosamente nel nostro emendamento e nella nota esplicativa, sui diversi capitoli di spesa da utilizzare per tre finalità. La prima è quella dell'aumento delle forze di polizia, sia della Polizia di Stato sia dei carabinieri, sui quali graverebbe in più, benché si tratti di contingenti insufficienti anche per svolgere i normali compiti di istituto, il compito della vigilanza sulle persone che espiano l'ultimo Pag. 28anno di pena al domicilio. Non si può provvedere ad una riforma senza prevedere contemporaneamente le ricadute anche in termini di personale e di risorse disponibili.
Ebbene, si sa che la Polizia di Stato e i carabinieri sono assolutamente insufficienti già oggi: ci sono stati impedimenti al turnover e tagli ulteriori in questi settori, che già mortificano le forze di polizia e ne riducono anche il contingente. Poiché ogni spesa deve essere giustificata, noi abbiamo documentato tutto in modo preciso nei nostri emendamenti. Con un emendamento abbiamo previsto l'aumento del contingente della Polizia di Stato e dei carabinieri, in modo che possano provvedere a questo ulteriore compito che verrebbe a gravare su di loro. Con un altro emendamento, di cui abbiamo previsto la copertura in maniera molto precisa, abbiamo previsto un accantonamento, affinché diventi uno stanziamento, in favore dell'edilizia penitenziaria nuova oppure della ristrutturazione di quella presente. Con un terzo emendamento, abbiamo previsto, dando ugualmente giustificazione e motivazione della copertura, l'aumento del contingente degli agenti di Polizia penitenziaria. Abbiamo voluto anche superare, rimodulando questi emendamenti, i rilievi fatti dalla Commissione bilancio. Quindi, abbiamo omesso di indicare l'entità precisa degli aumenti di questi contingenti delle forze di polizia e della Polizia penitenziaria, che risulteranno dall'entità dei risparmi operati secondo le indicazioni che abbiamo dato nei nostri emendamenti.
Ho voluto citare questi emendamenti per dimostrare che ci poniamo in una dimensione seria di approccio al problema, in una dimensione strutturale di risoluzione del problema, e non ci poniamo, invece, in una dimensione soltanto contingente, che si risolve poi in fumo negli occhi e non risolve il problema della popolazione detenuta né quello della Polizia penitenziaria, e comunque degli operatori carcerari, verso i quali va la nostra estrema attenzione.
Le nostre forti perplessità discendono proprio da questo: il provvedimento in esame sembra fatto per far pensare agli operatori carcerari che il Governo si sta occupando di questo problema, ma, in realtà, non se ne sta occupando, e quindi si potrebbe risolvere in un'ulteriore delusione. Per noi vi sono segni importanti, che verranno dal dibattito in Aula e anche dall'atteggiamento del Governo e delle forze di maggioranza: se una gran parte di questi nostri emendamenti, che sono strutturali e non soltanto congiunturali e limitati, verrà accolta, potremo valutare quale esito finale dare al dibattito parlamentare per quanto riguarda il nostro voto; altrimenti, al momento, la nostra valutazione sul provvedimento è estremamente critica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, l'Unione di Centro non comprende le motivazioni del Governo, che ha deciso, fino a questo momento, la calendarizzazione in Assemblea del provvedimento, rinunciando, di fatto, ad approvarlo direttamente in Commissione in sede legislativa. L'Unione di Centro ritiene che il disegno di legge in esame rappresenti senz'altro una scelta condivisibile.
Certo, lo consideriamo un palliativo rispetto alle reali esigenze del mondo carcerario e rispetto alle promesse, ai cosiddetti pilastri della giustizia su cui doveva fondarsi la riforma della giustizia promessa dal Ministro Alfano, ma su cui, finora, è poggiato ben poco, signor sottosegretario, con nostro grande rammarico, viste anche le nostre aperture e la nostra disponibilità ad un confronto serio sui temi reali della giustizia.
Questo provvedimento, però, ammette per la prima volta ciò che finora il Governo ha negato: non solo e non tanto l'insostenibilità della condizione penitenziaria. Al 28 giugno scorso erano 68.206 i reclusi nelle carceri, di cui 43.249 italiani e 24.957 stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 44.592 posti per i detenuti; praticamente, vi era posto soltanto per gli italiani, come direbbe qualcuno. La Pag. 29capienza massima tollerabile è stimata in 66 mila posti, ma, insieme ai colleghi della componente radicale del Partito Democratico, spesso ci chiediamo: la capienza massima tollerabile da chi? Comunque, l'insufficienza e l'inefficacia del rimedio finora sbandierato è stata in qualche modo ammessa dal Governo, l'insufficienza del rimedio immobiliare-edilizio, del sempre annunciato e, purtroppo, ancora fantomatico piano carceri.
Siamo a metà legislatura: ancora il piano carceri, più volte annunciato, non si vede, e questo, purtroppo, rischia di essere ricordato come l'annus horribilis per i detenuti in carcere. Abbiamo assistito al maggior numero di suicidi dall'inizio dell'anno rispetto agli anni precedenti e, soprattutto, vediamo in che condizioni, veramente drammatiche, vivono non soltanto i detenuti, ma anche tutti coloro che operano nelle carceri.
Speriamo, soprattutto, che questa estate, che è sempre una stagione esplosiva per quanto riguarda il problema carcerario, stavolta non sia in linea con quello che è successo fino a questo momento, altrimenti si tratterebbe di una vera e propria ecatombe. Ricordiamo che di questo piano carceri si iniziò a parlare, con la sua teorica definizione, nel Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2009, quindi oltre un anno e mezzo fa.
Signor sottosegretario, valuteremo con grande attenzione, senza sconti, ma anche senza pregiudizi, come siamo abituati a fare, il cronoprogramma sul piano carceri, che dovrebbe essere definito, come annunciato dai Ministri Alfano e Matteoli, il prossimo 9 luglio. Speriamo non sia soltanto una data indicativa.
Con il disegno di legge oggetto del nostro esame, la maggioranza ammette quindi che la soluzione dell'emergenza carceri non può poggiare solo sul pilastro della costruzione di nuove carceri: l'ammissione - così la interpretiamo, seppur maldestra - di un errore o di un'inadempienza da parte del Governo merita comunque di essere apprezzata.
Ci troviamo di fronte ad una condizione di disagio che da una parte espone lo Stato italiano alle condanne della Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione del divieto di trattamento inumano e degradante, sancito dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, e che dall'altra non consente di attuare pienamente la funzione rieducativa della pena, secondo il dettato dell'articolo 27 della nostra Costituzione.
Consapevole dell'inutilità pratica in tempi rapidi dello «strumento edilizio» - così vogliamo chiamarlo - il Ministro della giustizia, cui spetta la responsabilità politica di quanto accade e di quanto speriamo non accada nei prossimi mesi nelle carceri italiane, ha tentato quindi di correre ai ripari, anche con la promozione del disegno di legge che è alla nostra attenzione.
Giova ricordare peraltro che nei mesi scorsi, proprio per superare il sovraffollamento carcerario, il Premier annunciò, in una conferenza stampa del 16 aprile, l'ipotesi di varare un decreto-legge, che in gran parte avrebbe ricalcato il testo dell'atto oggi all'esame dell'Assemblea. Noi non dichiarammo allora la nostra contrarietà, perché rappresentava comunque la presa di coscienza di una situazione insopportabile che noi stessi avevamo denunciato.
Certo è che a quell'annuncio non solo non sono seguiti i fatti, ma oggi, 5 luglio, in piena estate - e sappiamo bene, lo abbiamo detto, quale innalzamento delle condizioni di difficoltà ambientale determini l'estate nei nostri istituti penitenziari - siamo ancora sulla discussione sulle linee generali di un provvedimento che rischia di non essere legge prima dell'autunno prossimo, a meno di un ripensamento da parte del Governo e della maggioranza che riporti nelle prossime ore tale provvedimento in Commissione in sede legislativa per una sua modifica e un suo miglioramento.
Si tratta di un ritardo le cui colpe ricadono per intero sulla maggioranza che, su questo tema, ha dimostrato spesso di avere poche idee e confuse, se è vero che proprio su tale provvedimento, come diremo Pag. 30più avanti, si è registrato un vero e proprio scontro tra i ministri interessati, che ha determinato correttivi, miglioramenti e poi alla fine un reale svuotamento dei contenuti iniziali, con la complicità della Commissione bilancio, che ha negato le coperture per le esigenze connesse all'entrata in vigore della legge, e non è questo un caso unico da parte della Commissione bilancio, che è diventata in parte una vera e propria «tagliola» per i provvedimenti portati all'attenzione del Parlamento.
La musica finora non è cambiata: non sono stati adottati provvedimenti concreti ed è grave il fatto che esseri umani vengano stipati in condizioni indecenti nelle strutture carcerarie. La gravità aumenta esponenzialmente, se si considera che molte delle strutture penitenziarie del nostro Paese non possono essere certo chiamate con questo nome, essendo costituite da vecchie costruzioni fatiscenti. Il numero di suicidi, ad oggi trentadue - e mi riferisco soltanto a quest'anno -, lascia decisamente esterrefatti.
Risultano poi insopportabili le condizioni di lavoro degli operatori e dei poliziotti penitenziari - ne facevo cenno prima - sovraccarichi di incombenze, con organici scoperti e fermi a programmazioni ormai lontane anni luce dalla realtà e spesso dimenticati. Quando si parla di carceri, spesso vengono troppo sottostimate le grandi ansie e le difficoltà che vivono uomini e donne della Polizia penitenziaria o anche gli altri operatori delle strutture penitenziarie.
Si tratta di persone che ho visto più volte, quando mi è capitato di visitare le carceri italiane, dal nord al sud (per esempio Rebibbia, Regina Coeli o il carcere di Cagliari). Ho visto persone molto motivate nel loro lavoro, ma sottoposte a un grandissimo stress di tutti i generi; ne ho apprezzato l'umanità, la grande pazienza e l'essere disponibili a svolgere lavori che spesso non sono ricompresi nelle loro specifiche competenze; li ho visti sempre molto attenti e disponibili alle esigenze dei detenuti e di chi opera al di fuori anche del carcere, tuttavia li ho trovati sempre pronti a chiedere aiuto e chiedere un sostegno da parte della politica e di questo Governo, per loro e per chi vive in carcere, dal momento che anche loro trascorrono gran parte della giornata in carcere e sono padri e madri, che portano poi a casa lo stress di lavorare in condizioni veramente improbe. Questi sì che sono lavori realmente usuranti.
Come reagisce il Ministro Alfano di fronte a questa grave emergenza? Corre in Parlamento a spiegare perché il suo piano carceri sia tanto in ritardo? Sollecita Governo e opposizione a una larga intesa per difendere l'umanità e la Costituzione?
No, nulla di tutto questo! Si continua ad affrontare con provvedimenti emergenziali la situazione ed è una situazione che porta una netta contrapposizione tra maggioranza ed opposizione a prescindere dalla bontà delle soluzioni adottate e dell'interesse generale. Vanno al contrario individuate strategie di intervento condivise che siano frutto di un confronto anche acceso ma costruttivo e che non risentano di un atteggiamento pregiudizialmente conflittuale, almeno su questo. Nel merito va detto che il giudizio sul provvedimento al nostro esame - così com'è arrivato in Assemblea - non può essere certo positivo ed auspichiamo per questo che torni in Commissione per poter essere cambiato e riveduto radicalmente per trovare anche un consenso unanime che fino adesso l'Italia dei Valori ancora non ha voluto dare, affinché questo provvedimento vada realmente nell'interesse di chi vive ed opera nel carcere e di chi è nelle carceri per scontare la pena.
La proposta viene presentata come una sorta di detenzione domiciliare speciale per le pene ed i residui di pena fino ad un anno, cui era stata affiancata nel testo originario - come ricorderete - la messa alla prova come ulteriore elemento di riduzione degli ingressi in carcere.
Di fronte ad un tasso di incarcerazione insostenibile del nostro sistema penitenziario il Governo dovrebbe innanzitutto individuare gli eccessi punitivi (ve ne sono Pag. 31e lo sappiamo tutti) che producono carcerazione inutile quanto dannosa, soprattutto in questo contesto.
Regolate le condotte, smaltire il sovraffollamento non assomiglierebbe più al tentativo di svuotare il mare con un bicchiere: è questo il tema che qualche giorno fa il Ministro della giustizia britannico, il conservatore Kenneth Clarke, ha posto in occasione del suo primo intervento pubblico in materia; è questa la direzione intrapresa dall'amministrazione federale e da alcuni degli Stati Uniti d'America nella direzione di contenere la popolazione detenuta ed i suoi enormi costi per i bilanci pubblici.
Se la procedura per l'applicazione della misura oggetto del disegno di legge appare più sbrigativa della detenzione domiciliare ordinaria (che già esiste e che non riesce però a drenare la popolazione detenuta con pene o residui di pena inferiori a due anni), le preclusioni per il titolo di reato e per etichettatura soggettiva lasciano immaginare che i margini di successo, anche della nuova misura, siano molto limitati.
Si tratta quindi di un intervento destinato ad avere un impatto limitatissimo sui drammatici numeri del sovraffollamento carcerario, in quanto riguarderebbe soltanto quei detenuti che oggi non possono beneficiare della detenzione domiciliare solo perché hanno visto applicarsi in sede di condanna la recidiva reiterata, escludendo dal suo raggio di operatività tutti quei condannati - anche a pene detentive brevi - che restano ristretti in regime intramurario per mancanza di domicilio o di collegamenti con il territorio (pensiamo agli extracomunitari) e di conseguenza inadatti ex lege sia alla detenzione domiciliare sia all'affidamento in prova.
È ragionevole prevedere che, in assenza di una relazione dettagliata e soprattutto aggiornata sull'effettiva disponibilità da parte del condannato di un domicilio ove scontare la pena, il magistrato di sorveglianza sarà costretto a rigettare l'istanza o a differire la decisione disponendo nuove indagini, con ciò dilatando i tempi del provvedimento e frustrando le finalità dell'istituto che soprattutto sono legate, come sappiamo, all'urgenza.
Secondo le ultime stime che sono circolate nelle scorse settimane, i beneficiari effettivi di un simile provvedimento potrebbero essere circa 2 mila persone: siamo molto lontani dai numeri che possano riportare le nostre carceri in una condizione di legalità.
Abbiamo accolto favorevolmente la proposta di stralcio che ha registrato una sostanziale condivisione tra i gruppi degli articoli riguardanti l'istituto della messa alla prova al fine di approfondire in maniera adeguata i delicati profili di questo nuovo istituto. Non poche sono infatti le criticità da noi ampiamente evidenziate già durante i lavori della Commissione. Legittimamente individuato il lavoro di pubblica utilità come condizione della messa alla prova che sospende il processo, se ne estende la previsione alla misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale applicato con pieno successo dal 1975 ad oggi senza una simile contropartita, con l'assai probabile effetto di renderne assai più difficile la concessione.
In questi termini il lavoro di pubblica utilità risulta meramente punitivo (siccome non ti faccio stare in galera, ti punisco almeno un po' costringendoti al lavoro per la collettività!).
Nell'ipotesi più verosimile che all'esito dell'entrata a pieno regime del sistema le offerte di impiego non siano sufficienti ad assorbire la domanda si finirebbe per penalizzare coloro che, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non riescono ad ottenere alcuna disponibilità sul territorio da enti pubblici o privati per svolgere l'attività lavorativa richiesta, arrivando così ad ottenere risultati opposti a quelli che il disegno di legge si propone in termini di inevitabile aumento della popolazione reclusa. Mettere mano all'istituto dell'affidamento in prova, che sino ad oggi ha dato buona prova di sé e che rappresenta l'unica vera alternativa alla custodia intramuraria contribuendo a rendere governabili le carceri, è un'operazione da compiere con estrema cautela e Pag. 32non certo nel senso di un depotenziamento dell'istituto, ma anzi di un ampliamento della sua portata.
Signor sottosegretario, so che lei sta comunque seguendo queste vicende, anche se in questo momento è impegnato probabilmente in una «trattativa», credo però abbastanza utile per l'efficacia del provvedimento; e so che lei è sempre stato attento sin dall'inizio alle possibili implicazioni che vi possono essere su di esso.
Che fatica oggi andare avanti su questo discorso: sapere come il provvedimento verrà affrontato dall'Assemblea, e sapere già che vi sono tantissime riserve su di una questione che invece sulla carta è sostanzialmente condivisa da tutti i gruppi. È difficile oggi accedere al sistema delle misure alternative: ciò costituisce per la fascia più debole dei detenuti, quella meno dotata in termini di risorse sociali e relazionali, un percorso veramente difficile. Prevedere infatti un impegno non retribuito che si aggiunge alle difficoltà che queste persone incontrano a trovare una casa ed un lavoro, significa rendere la misura inaccessibile alle fasce più fragili degli imputati, ovvero proprio a coloro che di fatto finiscono in carcere per reati di modesto allarme.
Anche in questo caso la norma pone il problema degli stranieri senza permesso di soggiorno: come si immagina che costoro possano accedere alla sospensione, non essendo in esecuzione di pena e non avendo quindi il titolo legittimo di soggiorno sul territorio?
Siamo contrari a rendere ordinaria la clemenza permanente. Anche i presidenti dei tribunali di sorveglianza si sono espressi in questo senso, dopo aver analizzato il testo in un incontro convocato alla VI commissione del Consiglio superiore della magistratura; magistrati che avevano definito il testo originario della manovra lento ed anche rischioso, ritenendo preferibile ripristinare le misure alternative alla detenzione. La legge, secondo i magistrati, era pericolosa per il suo carattere automatico. Esso la faceva funzionare di fatto come un indulto, pur non essendo tale: non erano consentiti accertamenti, veniva negato ogni spazio discrezionale al giudizio, e quindi ogni valutazione sulla possibilità di recidiva.
E cosa sarebbe successo per i delitti di maltrattamenti e di violenza sessuale in famiglia? L'assegnazione al domicilio coniugale è obbligatoria: non esiste la previsione di un domicilio diverso da quello della persona offesa, né dal luogo di commissione del reato. Condividiamo quindi l'inserimento nel testo, questo sì, della previsione di non applicabilità della detenzione domiciliare, quando non sussista l'idoneità e l'effettività del domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato; e le vicende di questi giorni, di stalking e di violenza sessuale in famiglia, riportano drammaticamente la questione all'ordine del giorno.
Se, grazie agli automatismi previsti, un detenuto poteva godere dell'alternativa domiciliare per un anno anche quando il tribunale di sorveglianza avesse rigettato una o più richieste di misure alternative, risultava evidente l'effetto di delegittimazione che se ne sarebbe ottenuto. Anche se il provvedimento introduce la novità di una relazione sulla condotta in carcere, un detenuto potrebbe comportarsi bene in cella e non a casa; né, d'altro canto, viene precisato il periodo di condotta da prendere in considerazione.
Inoltre, e soprattutto: questa è una legge lenta, in quanto i tempi reali saranno ben diversi da quelli auspicati e necessari. È infatti prevedibile la sospensione di alcuni procedimenti anche per dubbi di costituzionalità, come già avviene per l'«indultino» e per l'espulsione ex articolo 16 del Testo unico sull'immigrazione.
Vanno opportunamente rilevate anche le gravissime carenze degli uffici, che dovrebbero affrontare migliaia di casi entro brevissimo tempo, pur soffrendo delle «scoperture» e delle insufficienze di organici di magistrati, cancellieri, polizia penitenziaria, educatori, assistenti sociali, che tante volte - e il sottosegretario lo sa - abbiamo denunciato in Aula e in Commissione. Problema, questo, che, con il grave contesto dell'attuale allarmante sovraffollamento delle carceri italiane, riveste Pag. 33primaria importanza: le misure economiche non sono affatto previste, in quanto il Governo esclude di investire anche un solo euro, come recita l'esplicita clausola di invarianza finanziaria; e senza un solo euro la riforma carceraria non si compie, e non si potrà applicare bene neanche la legge in esame.
Il finanziamento del provvedimento, e quindi il potenziamento del personale della Polizia e degli uffici civili dell'amministrazione penitenziaria, rappresentano condizioni necessarie per consentirne l'attuazione: come può il Governo pensare di aggravare gli uffici locali dell'esecuzione penale esterna e del monitoraggio di tutte le incombenze derivanti dalle nuove disposizioni di detenzione domiciliare, senza prevedere un minimo di intervento di sostegno numerico e professionale? Al contrario, la Commissione giustizia ha dovuto prendere atto del parere della Commissione bilancio, che ha definitivamente «killerato» il cosiddetto «svuota carceri», chiedendo la soppressione dell'articolo con cui si stabiliva l'assunzione di 3.000 unità di agenti delle forze dell'ordine (1.500 poliziotti e 1.500 carabinieri) per il controllo dei detenuti assegnati ai domiciliari.
Non solo: la Commissione bilancio ha chiesto anche di abrogare la deroga alla riduzione del personale della carriera dirigenziale penitenziaria del Ministero della giustizia.
Ricordo che l'assunzione di nuovi agenti era stata inserita nel testo su richiesta anche della Lega dopo che il Ministro dell'interno aveva posto un veto sul disegno di legge. È peggio di un indulto, aveva affermato il Ministro Maroni. Maroni il 5 maggio poi con realismo, in questo convenendo con quanto noi dell'Unione di Centro e le altre opposizioni affermavano da tempo, poneva il problema di come riuscire a garantire un sistema di controllo efficace delle persone scarcerate e assegnate al regime di detenzione domiciliare con un organico di forze di polizia assolutamente insufficiente, e visto anche il fallimento in Italia dell'esperimento del braccialetto elettronico, anche questo denunciato in Commissione più volte con atti di sindacato ispettivo.
Alle parole di Maroni sono seguite poi una serie di polemiche e contrasti alla luce del sole, fino alla soluzione di un'intesa sulle modifiche che hanno portato allo stralcio della messa alla prova, allo stop dell'automatismo nella concessione dei domiciliari e, appunto, alla previsione dell'incremento delle forze dell'ordine. Ciò detto, se le condizioni sempre più precarie del Governo non consentono un cambio di registro nella politica penale, il più tortuoso percorso delle alternative al carcere non può essere seguito a meno che mostri qualche condizione di efficacia a partire dalla rimozione delle preclusioni soggettive fino al potenziamento delle risorse normative e finanziarie utili a scarcerare alcune particolari tipologie di detenuti.
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Altra questione che andrebbe affrontata con urgenza riguarda quel 50 per cento di detenuti in custodia cautelare ovvero in attesa di una sentenza di condanna definitiva. Siamo di fronte a un'emergenza di civiltà. La condizione di reclusi nella quale si trovano tante persone ancora in attesa di giudizio colpisce violentemente chi, da legislatore, si sforza ogni giorno di richiamare l'attenzione dell'Esecutivo e della maggioranza non sulle mille questioni settoriali ma sulla riforma del processo, sulla celerità del nostro sistema giudiziario. Perché se c'è un dato di fondo che emerge chiaro anche dalle nostre visite agli istituti penitenziari (come quella che molti di noi, su iniziativa della componente radicale, compimmo lo scorso agosto) è che una giustizia lenta il più delle volte è una giustizia negata. In conclusione, nel ribadire fermamente la necessità di un intervento organico di riforma che ponga seriamente rimedio alle disfunzioni della giustizia penale, non può che prendersi atto della parzialità di un disegno che seppur ispirato a finalità certamente condivisibili quali quelle di rimediare al problema sempre più urgente e indifferibile del sovraffollamento carcerario, non sembra - così com'è arrivato in Pag. 34quest'Aula - ancora destinato nella sua formulazione attuale ad incidere in maniera significativa sui numeri del sistema giudiziario italiano. Una cosa è certa (lo ricordava il quotidiano Avvenire). Se la politica sulle carceri si riducesse a questo provvedimento, rischia di essere per il carcerato una specie di congedo che suona come: via di qui, i posti sono limitati e tu ci ingombri. Può suonare come il disprezzo residuo verso chi conta ormai così poco che chiudere un occhio è toglierselo dagli occhi. Questo ad uno Stato di diritto, ad uno Stato civile non è consentito. Il grande malato, il sistema giustizia nel suo complesso, impone il ricorso a tutte le forme possibili che consentano (e senza inutili spot propagandistici, perché in Parlamento c'è una reale disponibilità veramente bipartisan) di ottenere una effettiva riduzione, non solo della popolazione carceraria, ma anche e soprattutto del contenzioso penale. Ma il Governo da questo orecchio purtroppo sembra continuare a non sentirci.
Noi perciò vogliamo - concludo - non solo auspicare ma anche credere che questo sia l'ultimo provvedimento che affronti in maniera rocambolesca ed emergenziale questo tema, e che al di là delle posizioni e dei ruoli di maggioranza e di minoranza si affermi la consapevolezza che questa non è materia per spot e facili consensi, bensì che abbiamo di fronte il dramma di uomini che come tali vanno trattati e a cui la politica da troppi anni deve ancora delle risposte (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, signor sottosegretario, già altri oratori hanno messo in evidenza la parzialità di questo intervento legislativo e soprattutto il legame che esiste tra i contenuti di questo provvedimento e la riforma stessa della giustizia.
L'ordinamento penitenziario vigente è stato oggetto - e continua ad esserlo - di molteplici interventi normativi, spesso disorganici, emergenziali, addirittura occasionali, dettati a volte per garantire esigenze di sicurezza, altre volte per controllare il flusso della popolazione carceraria. Ci si trova dunque ad avere un sistema poco coerente, in particolar modo nel settore dei trattamenti extracarcerari. Da tempo la più autorevole dottrina evidenzia la necessità di pervenire ad una riforma organica in grado di ridare al sistema penitenziario, e più ancora al sistema sanzionatorio, una coerenza e un'armonia complessiva.
L'originario disegno di legge governativo, n. 3291, dedicato alle disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno e sospensione del procedimento con messa alla prova, interveniva ancora una volta, soprattutto con l'articolo 1, con misure dettate dall'esigenza di far fronte all'ennesima emergenza carcere. Con il nuovo testo, che oggi viene sottoposto all'esame dell'Aula, vi è una maggiore consapevolezza del legislatore della necessità che il sistema delle misure alternative vada complessivamente ripensato, anche al fine di rendere effettivo il principio sancito dal terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione per il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Nella nuova versione, il primo comma dell'articolo 1 del disegno di legge esordisce precisando che la nuova disciplina si applica fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013; è questo un provvedimento ponte. Si vuole cioè intervenire con la misura in esame solo in via transitoria, riservando a un intervento legislativo di più ampio respiro una nuova disciplina relativa alle misure alternative alla detenzione. Se il carcere rappresenta l'unica risposta che l'ordinamento è in grado di offrire ai problemi dell'illegalità e della devianza non può sorprendere né l'incremento progressivo della popolazione Pag. 35detenuta né la constatazione dell'estrema difficoltà, per una parte della popolazione carceraria, di accesso alle misure alternative previste dall'ordinamento penitenziario, con l'ulteriore conseguenza che il sovraffollamento degli istituti detentivi rispetto alla capienza regolamentare, determina inevitabilmente la sottoposizione ad una vera e propria pena aggiuntiva rispetto alla sola privazione della libertà personale e ostacola la possibilità di attivare un reale programma di risocializzazione della pena. Com'è noto l'ordinamento penitenziario già prevede una misura simile a quella prevista dal disegno di legge in esame: la detenzione domiciliare, disciplinata dall'articolo 47-ter della legge n. 354 del 26 luglio 1975. Peraltro proprio la detenzione domiciliare è stata, nell'ambito delle misure alternative alla detenzione, l'istituto su cui negli ultimi anni si sono incentrati i maggiori interventi di modifica. Originariamente orientato in via esclusiva a evitare la detenzione in carcere in ipotesi in cui ne sarebbero derivati gravi pregiudizi a beni diversi dalla libertà personale o anche per soggetti diversi dal condannato, con la legge Simeone - Saraceni se ne sono ampliati i limiti. Ma soprattutto è stata prevista l'ammissione alla misura alternativa di qualsiasi condannato, per reati diversi da quello di cui all'articolo 4-bis, che debba scontare una pena residua non superiore ai due anni anche se costituente parte residua di maggior pena, quando non ricorrano i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale e sempre che la detenzione domiciliare sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta nuovi reati. È proprio con quest'ultimo intervento che la detenzione domiciliare si presenta quale misura ad ampio spettro a disposizione della magistratura di sorveglianza per sottrarre alla pena detentiva soggetti non pericolosi che possono essere contenuti attraverso l'imposizione di adeguate prescrizioni.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

AURELIO SALVATORE MISITI. Mi avvio a concludere, signor Presidente. La misura di carattere eccezionale è ispirata a una logica umanitaria per cui, concludendo, possiamo dire che si tratta ancora una volta di un intervento che mira a controllare il flusso della popolazione carceraria proseguendo su un percorso già sperimentato, cioè cercando di rimuovere gli ostacoli che hanno reso probabilmente meno cospicuo del previsto lo strumento della detenzione generica attraverso due direzioni. In conclusione, sarebbe auspicabile un ritorno in Commissione per le correzioni necessarie affinché l'intervento attuale si possa definire, certamente come ponte, ma contenente ulteriori elementi strutturali che lo rendano sostenibile nell'intero Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciriello. Ne ha facoltà.

PASQUALE CIRIELLO. Signor Presidente, il provvedimento su cui oggi si avvia la discussione sulle linee generali, come è noto, è un provvedimento che ha conosciuto, e in parte continua a conoscere, una gestazione assai difficile. Per un verso, infatti, esso è rimasto singolarmente sospeso tra la disponibilità - largamente manifestata in Commissione giustizia - ad un suo varo attraverso il procedimento in sede legislativa, e le condizioni iugulatorie apposte dalla Commissione bilancio, invero tali da sminuirne largamente la portata sino a depotenziarne inaccettabilmente l'impatto.
Allorché in Commissione si è poi raggiunta una intesa ampiamente condivisa sulle modifiche da apportare al fine di superare i problemi sollevati dalla Commissione bilancio, il Governo, contraddicendo l'atteggiamento sino ad allora mantenuto e senza peraltro fornire alcuna motivazione sul punto, ha negato il proprio assenso al trasferimento in sede legislativa, con ciò mortificando il lavoro condotto in Commissione e fondato sull'affidamento, poi rivelatosi falso, dell'assunzione del provvedimento in sede deliberante.
Per altro verso il disegno di legge ha risentito di condizionamenti sia di ordine Pag. 36tecnico (o paratecnico, se vogliamo), sia di carattere squisitamente politico. Tra i condizionamenti riferibili alla prima tipologia, mi limito a segnalare la pervicace volontà del Governo di non assumersi la responsabilità di reperire le risorse finanziarie indispensabili per licenziare un provvedimento realmente in grado di fronteggiare la drammatica condizione di sovraffollamento in cui versano le carceri del nostro Paese e di cui l'elevato numero di suicidi di detenuti rappresenta solo una spia, sia pure evidentemente la più difficile da tollerare in un Paese civile.
Dopo oltre due anni dall'avvio della legislatura e a dispetto delle mirabolanti promesse di investimenti nell'edilizia penitenziaria e di fantomatici piani carceri, poco o nulla è stato realizzato di concreto. Si è lasciato, invece, che la situazione incancrenisse fino a superare il livello di guardia. D'altronde, l'ansia securitaria di cui la Lega Nord si è fatta portatrice - e vengo così al profilo più propriamente politico - non solo ha impedito che si ponesse mano ad una seria ed efficace politica di depenalizzazione, ma ha fatto sì che si assumesse una direzione di marcia diametralmente opposta - per intenderci, una direzione all'insegna del panpenalismo - e sin dall'inizio ha posto pesanti e ripetute ipoteche sul cammino del provvedimento, nel timore che venisse percepito dall'opinione pubblica come una sorta di indulto mascherato, valga per tutte il riferimento alle dichiarazioni del Ministro Maroni che a un certo punto sono sembrate preludere ad un abbandono definitivo del provvedimento.
Ho voluto ricordare questi dati per meglio chiarire la posizione del Partito Democratico rispetto a questo disegno di legge. Per noi esso non rappresenta ad alcun titolo una risposta compiuta all'inaccettabile condizione della popolazione carceraria e rifiutiamo, quindi, da subito ogni maldestro tentativo di spacciarlo per tale.
Tuttavia, come sempre, abbiamo assunto la linea di un'opposizione responsabile, disponibile a farsi carico, per la parte che le compete, del compito di dare al Paese le risposte che esso attende. In quest'ottica, anche un provvedimento che secondo le stime forse ottimistiche del Ministero della giustizia dovrebbe rivolgersi ad una platea di destinatari dell'ordine di circa duemila detenuti all'anno, è comunque meglio dell'inerzia assoluta.
Naturalmente, questo non ci impedisce di contestare la scelta del Governo di introdurre una nuova misura alternativa di detenzione, ulteriormente ingarbugliando un quadro normativo già di per sé abbastanza complesso piuttosto che modificare la disciplina della detenzione domiciliare già prevista dalla legge Gozzini, con l'eliminazione di tutta una serie di vincoli che i Governi di centrodestra vi hanno apposto negli anni a partire dalla cosiddetta legge ex Cirielli (vedi, per esempio, il caso della recidiva reiterata).
Allo stesso modo, una seria realizzazione dell'ampliamento delle ipotesi di detenzione domiciliare non si costruisce miracolisticamente attraverso la semplice evocazione dell'istituto. È difficile porre mano alla questione senza prima fornire soluzione a questi problemi dal momento, infatti, che essa produce effetti sui carichi di lavoro dei magistrati di sorveglianza ed implica la chiamata in causa, a diverso titolo, di nuove figure di educatori.
Insomma, o si assume l'indirizzo rigorista e si allestiscono conseguentemente nuovi istituti penitenziari in grado di ospitare dignitosamente la crescente popolazione carceraria, o si lavora a serie di misure alternative ispirate, come la Costituzione impone, alla funzione rieducativa della pena. Quello che non è accettabile è un pastrocchio normativo che non va né nell'una né nell'altra direzione, ma si pone assai più realisticamente come un semplice «pannicello caldo» destinato, peraltro, ad essere rapidamente superato dagli eventi.
Potrei andare avanti sottolineando, ancora, le ulteriori manchevolezze del provvedimento come la necessità di un maggiore coordinamento con alcune scelte legislative di recente assunte anche da questo stesso Governo, come la disciplina dell'esecuzione delle pene detentive di cui all'articolo 656 del codice di procedura Pag. 37penale, in particolare al comma 9. Preferisco, tuttavia, avviandomi a conclusione, accennare rapidamente ad alcuni emendamenti che abbiamo predisposto per l'Aula, i quali, mettendo a profitto anche le indicazioni scaturite in sede di audizioni, rivisitano sistematicamente la materia dandole organicità, coordinandola con la normativa vigente e depurandola da disposizioni meramente propagandistiche patrocinate in modo particolare dalla Lega Nord. Mi riferisco, ad esempio, alla proposta destinata ad alimentare il meccanismo cosiddetto della porta girevole, in base a cui - per i condannati in stato di libertà e per alcuni reati - pur in presenza di una pena da scontare inferiore ad un anno vi sarebbe comunque la necessità di entrare in carcere per poi, eventualmente, uscirne dopo un mese a seguito della valutazione della loro posizione da detenuti; ciò, davvero, non si capisce come possa concorrere a deflazionare la popolazione carceraria.
Chiediamo poi una attenzione specifica per la proposta di introdurre un patto per il reinserimento e la sicurezza sociale, che consideriamo una risposta ben più efficace e matura ai problemi legati alla materia su cui verte il disegno di legge.
Ci aspettiamo, da Governo e maggioranza, apertura e disponibilità verso queste proposte, sicuramente migliorative del provvedimento e, comunque, a questo condizioneremo il nostro comportamento in sede di voto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, le cifre dell'illegalità delle carceri italiane sono sotto gli occhi di tutti, e anche davanti ai nostri colleghi deputati, con tutto il loro carico di sofferenza, tortura e morte. Sofferenza, tortura e morte non solo dei detenuti, ma di tutta la comunità penitenziaria: agenti, direttori, educatori, assistenti sociali, psicologi, medici e familiari.
Abbiamo raggiunto - lo ricordava il collega Rao - il massimo della popolazione carceraria: 68.206 detenuti stipati in 44 mila posti, in condizioni di vita disumane e degradanti. Abbiamo raggiunto il minimo dell'organico di agenti, educatori e psicologi.
Lo scorso anno si sono suicidati ben 72 detenuti - in questo 2010 siamo già a 33 - e, a riprova che non solo i detenuti trovano nella morte il sollievo alla loro sofferenza, nel mese di maggio ben quattro agenti di polizia penitenziaria hanno scelto la stessa strada e si sono suicidati.
In tutto, nel 2009, le morti in carcere sono state 175 (quest'anno siamo già a 98). Si tratta di quelle morti che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) definisce naturali, ma che sono il frutto dell'incuria e dell'abbandono terapeutico di ogni tipo.
Stefano Cucchi in quale categoria è stato messo? Il suo corpo straziato cosa ha a che fare con una morte naturale? E gli altri, Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, Marcello Lonzi, Niki Aprile Gatti, che cosa hanno a che fare con la morte naturale? Il detenuto del carcere di Bologna morto oggi, un tossicodipendente giovanissimo, cosa ha a che fare con la morte naturale?
Esagero? Esageriamo noi della delegazione radicale e quanti credono ancora nella Costituzione e nel rispetto delle regole? E allora sappiate che il presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli, prendendo atto della drammatica situazione degli istituti di pena compresi nella Corte di appello di Napoli, ha inviato alle rispettive direzioni, e in primo luogo quindi al carcere di Poggioreale, l'ordine di disporre quanto necessario per eliminare l'evidente contrasto fra le condizioni di vita all'interno degli istituti di pena partenopei e le norme vigenti.
Scrive ancora il presidente del tribunale di sorveglianza, Angelica Di Giovanni: «La Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza Sulejmanovic che ha condannato l'Italia, ricorda che l'articolo 3 della Convenzione sancisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche, cioè quello di una vita dignitosa in carcere, e proibisce in termini assoluti la tortura e Pag. 38le pene o i trattamenti disumani e degradanti a prescindere dal comportamento della persona al riguardo. Essa impone allo Stato di assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto nelle condizioni che sono compatibili con il rispetto della dignità umana e che le modalità di esecuzione del provvedimento non espongano l'interessato a pericoli o a prove di un'intensità che ecceda il livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute e il benessere dei prigionieri siano assicurati in modo adeguato». Questo è quanto afferma il tribunale di sorveglianza.
Inoltre, rispetto ai suicidi che prima abbiamo ricordato, volete conoscere il parere del comitato nazionale di bioetica che ho trovato non su un sito radicale, ma sul sito istituzionale del Governo? Il comitato nazionale di bioetica ritiene che l'alto tasso dei suicidi della popolazione carceraria, di gran lunga superiore a quello della popolazione generale, sia un problema di considerevole rilevanza etica e sociale, aggravato delle presenti condizioni di marcato sovraffollamento degli istituti e di elevato ricorso alla incarcerazione. La recrudescenza di questo tragico fenomeno, nel corso del 2009 e nei primi mesi del 2010, rende ancora più urgente richiamare su di esso l'attenzione delle istituzioni e dell'opinione pubblica, anche se l'atto di togliersi la vita - questo punto viene chiaramente precisato - contiene un'irriducibile componente di responsabilità individuale. Ma la responsabilità collettiva è chiamata in causa per rimuovere tutte quelle situazioni legate alla detenzione.
Voi, tutti i gruppi parlamentari di quest'Aula, non volete l'amnistia e l'indulto. Lo avete ribadito più volte. I partiti si sono pentiti dopo aver varato l'indulto nel 2006, seppure non accompagnato dal provvedimento di amnistia. Avete votato l'indulto a maggioranza qualificata. Si trattava sicuramente di una maggioranza schiacciante e lo avete votato dopo esservi spellati le mani di fronte al Pontefice, Papa Giovanni Paolo II, che chiedeva un atto di clemenza.
Preferite, voi gruppi parlamentari, l'amnistia in atto, ma nascosta all'opinione pubblica, delle 200 mila prescrizioni l'anno frutto dell'immenso debito di giustizia (e cito le parole del Ministro della giustizia) degli oltre cinque milioni di processi arretrati che non si celebrano.
Questo disegno di legge è il frutto di una politica di unità nazionale che tutti insieme i gruppi parlamentari hanno perseguito in Commissione. Lo avete svuotato di tutta la sua positiva portata iniziale per far entrare (questo era lo scopo) almeno un poco di legalità nelle carceri italiane. Unità nazionale dei partiti e del partito dei magistrati, eppure il disegno di legge originario segnava un'importante inversione di tendenza rispetto al «più carcere per tutti i diseredati», anziché le misure alternative che si sono rivelate e si rivelano le uniche efficaci rispetto alla recidiva e al reinserimento sociale.
Il disegno di legge Alfano cominciava a mettere in atto quanto scritto e approvato nella mozione sulle carceri che abbiamo approvato a gennaio. Già, dirà qualcuno, ma perché mai rispettare le mozioni approvate in quest'Aula? L'illegalità sia per tutto, perché è di questo che si tratta: questo è un Paese che da sessant'anni rifiuta il rispetto delle regole, ma vorrei ricordare a voi e a tutti che, laddove c'è strage di legalità, prima o poi ci sarà strage di popoli.
Il precipitare degli eventi politici, anche di queste ore, dovrebbe farci riflettere; il precipitare degli eventi politici di queste ore è il frutto di sessant'anni di politica partitocratica e dell'illegalità e non fa presagire nulla di buono per tutto il popolo italiano. E, d'altra parte, se la civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle carceri, possiamo ben dire che abbiamo raggiunto oggi, nel 2010, il massimo grado di inciviltà con condizioni di detenzione addirittura peggiori di quelle dello sciagurato periodo fascista (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.

Pag. 39

ENRICO COSTA. Signor Presidente, nell'affrontare la discussione su questo provvedimento è opportuno partire dal testo della Costituzione e, in particolare, dall'articolo 27 che recita: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità».
Vorrei andare al di là di quelle che sono le tesi sostenute sul significato del termine «rieducazione», sul significato di questa norma, ed anche sul significato del verbo «tendere» che (forse con una certa saggezza e prospettiva futura) i padri costituenti hanno deciso di inserire perché il tendere alla rieducazione ci fa percepire come vi fossero da parte loro anche un certo dubbio e una certa insicurezza sull'effettivo raggiungimento dell'obiettivo finale sancito da questa norma.
Però è fondamentale evidenziare come l'obiettivo dei Costituenti fosse quello di fare in modo che le pene avessero una tendenza e puntassero (forse non necessariamente, ma facessero il possibile) a realizzare la rieducazione e il reinserimento del condannato. È vero: non è facile conciliare il carcere e la rieducazione, ma almeno - è questo il punto nevralgico sul quale dobbiamo ragionare - il carcere non deve favorire un aggravamento delle criticità proprie dei detenuti e non deve creare le condizioni perché le tendenze a delinquere vengano potenziate e perché le personalità vengano umiliate.
Gli obiettivi manifesti nella Costituzione sono legati alla pena: la dissuasione, la prevenzione, la difesa sociale e la rieducazione. Alla luce di questi obiettivi il carcere non è né luogo di segregazione, né di separazione dei detenuti dalla società. Il sovraffollamento carcerario, proprio alla luce di questo ragionamento fondato su principi costituzionali, è un trattamento inumano e degradante che deve essere bandito da uno Stato di diritto.
Oggi la popolazione carceraria presenta delle criticità sconosciute in altri tempi. Pensiamo alla presenza di molti detenuti stranieri per i quali l'inserimento e anche la vita carceraria sono diversi rispetto ai detenuti italiani. Pensiamo alla presenza di tanti tossicodipendenti che hanno dei problemi diversi e superiori ancora rispetto alla maggior parte della popolazione carceraria. Pensiamo all'effetto «porta girevole» che c'è nel nostro panorama giudiziario: molti detenuti che entrano in carcere vi rimangono tre giorni ed escono e magari sono posti in coabitazione con molti altri definitivi, che rappresentano soltanto il 32 per cento della popolazione carceraria.
Di fronte ad essere umani che certamente hanno sbagliato, ma che mantengono una propria dignità e propri diritti, uno Stato di diritto deve porsi il problema del sovraffollamento e impedire che il carcere diventi luogo di segregazione, umiliazione, disagio, lesione della dignità della persona, ma soprattutto di produzione di una nuova delinquenza. Anzi, il carcere non può diventare una scuola di delinquenza.
Mi rivolgo a quelle forze politiche che si oppongono in modo evidente o forse anche un po' strisciante a questo provvedimento brandendo la clava della sicurezza e dicendo che questo provvedimento mette a repentaglio la sicurezza del nostro Paese. Penso che questo provvedimento vada esattamente nella direzione opposta: un carcere che recupera non fa bene ai detenuti, ma alla società ed alla sua sicurezza. Il problema della sicurezza viene combattuto da questa norma perché un carcere che recupera, che consente il reinserimento, che fa lavorare, che ha al suo interno delle scuole che funzionano, consente di avere una maggiore sicurezza perché il detenuto si reinserisce e non torna a delinquere.
Il sovraffollamento, invece, impedisce il lavoro e la formazione professionale. Non permette di avviare delle scuole, di rieducare e di recuperare. Nel nostro Paese soltanto il 3 per cento dei detenuti lavora non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Ciò nonostante ci siano dei benefici e delle agevolazioni a favore dei privati che intendono svolgere le loro attività all'interno delle strutture penitenziarie. Uno dei problemi fondamentali è quello caratterizzato dall'edilizia carceraria, Pag. 40che attualmente non consente di avviare dei lavoratori e di mettere in sicurezza le strutture, affinché magari gli approvvigionamenti di coloro che intendono svolgere la loro attività all'interno delle strutture carcerarie vengano effettuati in tutta sicurezza.
Il sovraffollamento è un ulteriore problema perché non consente di concentrarsi su queste attività. Abbiamo un'edilizia penitenziaria molto risalente nel tempo, per cui è molto difficile ampliare, adeguare e modernizzare.
Auspichiamo veramente che con il piano carceri avviato dal Governo si possa andare anche in questa direzione, nonché in quella del recupero e del reinserimento di persone nei confronti delle quali hanno fallito in tanti: hanno fallito le famiglie, le scuole, gli oratori; ebbene, auspichiamo che lo Stato non fallisca nella sua azione prevista dalla Costituzione di applicare una pena. Ci auguriamo, altresì che questo provvedimento sia un tassello nella direzione che ho indicato, un tassello temporaneo, come è stato specificato, una sorta di ponte verso un momento in cui vi sarà un'edilizia penitenziaria moderna e soprattutto adeguata alle esigenze del nostro Paese.
È proprio per tale motivo che in Commissione il provvedimento del Governo, che come ha evidenziato l'onorevole Bernardini era un provvedimento franco, chiaro, diretto a risolvere una determinata situazione, è stato messo nelle condizioni di essere approvato da un'ampia maggioranza ed è diventato un provvedimento che tiene conto e realizza il bilanciamento di una serie di opposti interessi, di opposti valori che sono stati evidenziati da tutte le forze politiche. In questa logica si pone, prima fra tutte, la scelta di stralciare la messa alla prova, compiuta proprio perché abbiamo voluto concentrarci sull'esigenza primaria che era quella di combattere il sovraffollamento carcerario, un obiettivo condiviso da tutti. Inoltre, questo provvedimento parte soprattutto da un presupposto: la pena viene comunque eseguita. Questo è un elemento fondamentale, che non va mai trascurato e soltanto chi volesse strumentalizzare il reale senso di questo disegno di legge potrebbe affermare il contrario.
Abbiamo un ordinamento che prevede molte ipotesi di misure alternative alla detenzione e il provvedimento in questione presenta una serie di limiti oggettivi e soggettivi. Esso determina un'uscita dal carcere non certo massiccia, come quella che vi sarebbe stata se fosse diventato legge il disegno di legge del Governo; comporterà dei mancati ingressi, ma attraverso dei filtri molto forti che sono state apportati attraverso emendamenti formulati dal Governo approvati dalla Commissione. Mi riferisco al filtro del giudice che dovrà effettuare una valutazione di non ulteriore commissione dei reati da parte del soggetto, relativa anche al luogo nel quale il soggetto dovrà eseguire la sua pena domiciliare, ma soprattutto legata alla temporaneità. Parlavo prima di «provvedimento ponte», di tassello per arrivare ad un momento in cui nel nostro Paese l'edilizia penitenziaria sarà capiente per svolgere appieno un ruolo adeguato, senza l'umiliazione dei soggetti detenuti. Dunque, sono stati posti dei paletti che rendono il provvedimento equilibrato.
La Commissione ha certamente ridotto la platea dei destinatari e, forse, come evidenziato dall'onorevole Bernardini, questo provvedimento non arriverà a raggiungere quell'obiettivo che l'Esecutivo si era posto all'inizio, però ci consentirà di raccogliere un'ampia maggioranza e di contemperare una serie di esigenze e di valori che sono emersi da un dibattito serio e franco che si è svolto in Commissione e che auspichiamo possa ritornare proprio in tale sede.
Dai dati che ci sono stati forniti dal sottosegretario si parlava inizialmente di oltre 10 mila soggetti interessati, esclusi i casi di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario e i delinquenti abituali o per tendenza che comunque sono esclusi dalla portata del provvedimento. Teniamo conto del fatto che una serie di Pag. 41modifiche normative hanno evitato che venissero applicati dei benefici a tanti soggetti.
Sicuramente, queste modifiche normative hanno garantito la sicurezza nel nostro Paese. D'altra parte, però, è necessario anche equilibrare e bilanciare la situazione del sovraffollamento delle carceri.
Penso che, attraverso il disegno di legge in esame, attraverso le modifiche approvate in Commissione e il senso di responsabilità di tante forze politiche, si potrà arrivare - non penso in quest'Aula, ma auspico veramente in Commissione, in cui vi era un numero di firme superiore ai quattro quinti dei componenti per l'approvazione del provvedimento in sede legislativa - ad un testo maturo ed equilibrato, che consenta veramente al nostro Paese di avere un periodo di ossigeno, per poi giungere all'attuazione vera e propria del piano carceri (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3291-bis-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, intervengo solo per svolgere alcune osservazioni, dal momento che dal dibattito che si è svolto è emerso quanto avvenuto in Commissione, ossia che vi è stato un accordo generale sulla funzione della pena. Devo ricordare che questo Governo, appena insediato, tenne conto di un'esigenza di sicurezza dei cittadini e intervenne con determinate norme, ossia con il decreto-legge sicurezza e con il disegno di legge sicurezza, che aggravavano la situazione penitenziaria e determinavano sanzioni anche più rigide.
La pena, però, oltre a quella funzione retributiva, ha anche una funzione di rieducazione e questo provvedimento, come hanno già ricordato il relatore e l'onorevole Tenaglia, non è un indulto né un provvedimento di clemenza, ma è un provvedimento di esecuzione della pena.
Anche per quelli che continuano ad insistere sui pericoli della detenzione domiciliare, richiamo non solo la mia esperienza personale di quarant'anni in magistratura - in cui posso ben dire di aver visto forse due o tre processi per evasione -, ma vi fornisco anche i dati degli ultimi due anni, il 2009 e il 2010: nel 2009 sono stati concessi 25.091 arresti domiciliari. Tenete conto che il reato di evasione si ha non solo per i condannati definitivi, ma anche per i condannati a pena detentiva durante la custodia cautelare e che l'abbandono del luogo degli arresti domiciliari è un'evasione. Nel 2009, a fronte di 25.091 arresti domiciliari, vi sono stati 167 ingressi in carcere per evasione. Ma questi 167 ingressi in carcere per evasione non si riferiscono tutti ai 25.091 arresti domiciliari, ma anche ai condannati in maniera definitiva: si tratta di dati presi dalla matricola degli istituti penitenziari. In questo primo periodo del 2010, rispetto a 12.502 arresti domiciliari, vi sono state soltanto 35 evasioni, che riguardano anche i condannati definitivi.
Questa è la realtà: quindi, concedere gli arresti domiciliari per l'ultimo anno, quando cioè viene meno quella funzione rieducativa, che ormai è già esaurita dal punto di vista della gestione e dell'organizzazione del carcere, è tale che vi può essere una certezza matematica da parte del Parlamento, anche sotto il profilo di quella che viene chiamata «sicurezza».
Mi rivolgo all'onorevole Rao e agli altri: il piano carceri è stato varato e la settimana scorsa l'organismo di vigilanza sul piano carceri ha approvato un piano che prevede la costruzione di 10 mila posti detenuti nei prossimi due anni. Vorrei però ricordare all'onorevole Palomba che, negli ultimi due anni, ossia in questi due anni di Governo, questo Governo è riuscito Pag. 42a costruire 2.250 posti detenuti, rispetto ai 1.700 realizzati nei dieci anni precedenti.
Nei dieci anni precedenti sono stati realizzati 1700 posti, in due anni 2252, che non rientrano ancora nel piano carceri.
Mi vengono rivolte contestazioni con riferimento alla Polizia penitenziaria, ma - probabilmente a qualcuno è sfuggito - questo provvedimento consentirà di procedere all'assunzione dei 2000 agenti di Polizia penitenziaria prevista dalla precedente finanziaria che - come ricorderete - ha disposto determinati stanziamenti i quali, tuttavia, per un'interpretazione letterale del testo da parte del Ministero dell'economia e della Commissione bilancio si ritiene che debbano essere utilizzati dal Ministero della giustizia per tutti i suoi compiti e non solo per la Polizia penitenziaria. Con l'emendamento approvato in Commissione, il Governo intende dedicare quei finanziamenti esclusivamente all'assunzione dei 2000 agenti di Polizia penitenziaria che erano stati previsti.
Mi avvio alla conclusione dicendo all'onorevole Tenaglia e ad altri che è stato comunicato dal Governo - posso già annunciarlo - l'assenso all'assegnazione alla Commissione in sede legislativa. Per tale ragione sarà poi il Parlamento a valutare questi elementi nella successiva valutazione e discussione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,25).

MAURO PILI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURO PILI. Signor Presidente, intervengo per sottoporre all'attenzione del Governo e della Presidenza una gravissima vicenda che ha come protagonista una famiglia italo-sardo-liberiana, che, ormai da un mese, è ostaggio di fatto in Costa d'Avorio. La famiglia, costituita da Alessandro Giovanni Deidda e Luisa Ranieri è praticamente bloccata ormai da un mese in Costa d'Avorio dopo aver proceduto all'adozione di una bambina di otto mesi in Liberia. Si tratta di un'adozione valida per il Governo liberiano, che l'ha autorizzata attraverso una regolare decisione di un giudice. La famiglia, recatasi in Liberia per prendere la bambina, si è poi dovuta a spostare in Costa d'Avorio, dove si trova l'unica ambasciata italiana della zona. In ambasciata è stata bloccata perché taluni sostengono che quella adozione non sarebbe valida ai sensi del diritto italiano.
A questo punto, di fatto, da ormai un mese questa famiglia è la famiglia adottiva di questa bambina di otto mesi. Non può rientrare in Italia, ma non può nemmeno tornare in Liberia perché le condizioni di sicurezza di quel Paese hanno vietato in questi giorni qualsiasi tipo di contatto fisico. Sono state bloccate le ferrovie, tutti i collegamenti aerei e non vi è nemmeno la possibilità di raggiungere in macchina la residenza originaria della bambina.
Si tratta di una famiglia che vive a Roma e che da un mese è costretta a sopportare costi inauditi per restare in attesa del visto di ingresso della bambina in Italia. Ho già sottoposto stamane la vicenda all'attenzione del Ministro Frattini. Lo stesso Ministro si è già attivato, con tutti i canali internazionali e con l'ambasciata italiana, per affrontare in termini immediati la soluzione del problema.
Mi sembra giusto chiedere anche alla Presidenza che si faccia parte attiva verso il Ministero perché i giovani coniugi possano ritornare presto in Italia con la bambina adottiva che certamente sfugge ad una situazione gravissima come quella della Liberia.

Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge (ore 19,27).

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, Pag. 43della seguente proposta di legge, della quale la sotto-indicata Commissione, cui era stata assegnata in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:
alla IX Commissione (Trasporti):
S. 1720. - ZELLER e BRUGGER; CONTENTO; ANNA TERESA FORMISANO e NUNZIO FRANCESCO TESTA; META ed altri; CARLUCCI; LULLI ed altri; CONTE; VELO ed altri; BOFFA ed altri; VELO ed altri; VANNUCCI; LORENZIN ed altri; MOFFA ed altri; MINASSO ed altri; GIAMMANCO; GUIDO DUSSIN ed altri; COSENZA; BARBIERI; PROPOSTA DI LEGGE DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO; PROPOSTA DI LEGGE DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO; STASI; BRATTI e MOTTA: «Disposizioni in materia di sicurezza stradale» (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (44-419-471-649-772-844-965-1075-1101-1190-1469-1488-1717-1737-1766-1998-2177-2299-2322-2349-2406-2480-B).

(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica (ore 19,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 2252, 3498-A e 3499-A.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Sudan sulla promozione e reciproca protezione degli investimenti, con Protocollo, fatto a Khartoum il 19 novembre 2005 (A.C. 2252).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Sudan sulla promozione e reciproca protezione degli investimenti, con Protocollo, fatto a Khartoum il 19 novembre 2005.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2252)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto altresì che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Renato Farina, ha facoltà di svolgere la relazione.

RENATO FARINA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Sudan intende promuovere e proteggere gli investimenti tra Italia e Sudan, così da creare una cornice giuridica favorevole per le società italiane già operanti in Sudan che sono impegnate nei settori delle costruzioni, dell'energia elettrica e dello sfruttamento petrolifero. Il quadro giuridico è delineato con estrema precisione, onde evitare equivoci.
Il disegno di legge consta di tre articoli: il primo reca l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo con il Sudan sulla promozione e protezione degli investimenti, il secondo l'ordine di esecuzione e il terzo la data di entrata in vigore della legge. Non ci sono oneri a carico del bilancio dello Stato. Pag. 44
Sicuramente il punto interessante, problematico e critico è quello politico, che si pone sempre quando si fanno accordi in cui la parte contraente è con ogni evidenza non corrispondente agli standard internazionali dei diritti umani. Questo è tanto più evidente in Sudan, quando si noti che il Presidente Omar al-Bashir, che tra l'altro in aprile ha vinto le elezioni, è latitante. Ha un mandato d'arresto internazionale per crimini di guerra. Quindi, è una situazione problematica. Esistono persecuzioni, esiste la prospettiva di nuove violenze a causa dell'esito del prossimo referendum che vedrà probabilmente la secessione di parte del Paese.
Detto questo, credo che sia comunque importante tenere aperte delle porte di collegamento e di dialogo, purché siano basate sulla franchezza nel far presente l'importanza dei diritti umani e su questo non ci siano cedimenti. Le nostre aziende non devono essere come altre, ad esempio quelle cinesi, che creano il deserto laddove investono denari e annientano le popolazioni locali (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Renato Farina, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, il relatore è stato già molto chiaro, quindi anche io intendo consegnare il mio intervento scritto. Vorrei sottolineare il fatto che questo Accordo non può che portare un benefico effetto dal punto di vista della capacità di offrire piena e totale protezione alle aziende che intendono investire in quel Paese e alle aziende italiane che sono già presenti nei vari settori strategici dell'energia, delle infrastrutture, dei macchinari e dell'agricoltura.
Quindi, credo che sia un fatto estremamente positivo portare a conclusione questo provvedimento, che, ricordo, era già stato esaminato nella precedente legislatura, ma che poi non ha avuto la possibilità di essere concluso.
Ma anche io voglio sottolineare l'aspetto politico, perché, quando si parla di Sudan, evidentemente bisogna evidenziare la problematicità dei diritti umani in quel Paese, soprattutto in due regioni: la prima è la regione del sud del Sudan, caratterizzata dalla presenza di cristiani, che subiscono atti di violenza inaudita. Mi auguro che il prossimo referendum degli inizi del prossimo anno possa portare un beneficio.
Da questo punto di vista, è utile sottolineare il grande apporto che l'Italia ha svolto per fare in modo che si arrivasse ad un accordo di riappacificazione, che, indubbiamente, è ancora molto precario e che ci auguriamo possa trovare una soluzione definitiva attraverso il referendum.
Ricordo che dal 1993 in quel Paese vi sono stati 2 milioni di morti e 4 milioni di profughi; quindi, siamo di fronte ad una situazione veramente tragica dal punto di vista dei diritti umani. Si tratta del Paese che ha visto gli aspetti dei diritti umani in termini di grande precarietà, ed è stata una grande tragedia.
Voglio parlare anche del Darfur, molto brevemente, perché, avendolo visitato, ho visto situazioni veramente tragiche. Infatti, le azioni del Governo sudanese vanno a squilibrare e a creare tutta una serie di violenze inaccettabili per le nostre coscienze. Tra l'altro, anche l'azione del Governo italiano negli anni è stata importante attraverso la cooperazione e la capacità di portare aiuti a quelle popolazioni.
Concludo dicendo che, sia sul versante del sud del Sudan sia per quanto riguarda il Darfur, auspico e sono molto determinato nel chiedere che il Governo possa continuare l'azione benefica che ha svolto negli anni, perché, di fronte a uno scempio come quello che si sta perpetrando nei confronti di queste popolazioni, le nostre coscienze e le nostre azioni politiche devono necessariamente agire con molta determinazione e convincimento, per risolvere Pag. 45una situazione veramente tremenda per quelle popolazioni (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Pianetta, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Maurizio Turco. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, inizierei dando la mia solidarietà al relatore, nel cui tono ho riconosciuto una difficoltà, nel senso che vi è oggettivamente un problema di bilanciamento tra i valori della politica e le scelte economiche. In effetti, il Presidente del Sudan, con il quale firmeremo un accordo, è un criminale di guerra: dal 2003, dicono le Nazioni Unite, è riuscito a fare 380.300 morti e 2 milioni 700 mila sfollati e rifugiati. Parlare di generica violazione dei diritti umani mi sembra anche un po' riduttivo rispetto alla situazione in Sudan.
Solo nel 2009 sono stati assassinati 2.500 sudanesi e gli sfollati sono stati 350 mila. Sentivo il collega Pianetta dire che dobbiamo fare affidamento sul referendum. Come non fare affidamento sul referendum, quando il Presidente del nord è stato eletto con il 62 per cento dei voti e quello del sud, che è più bravo, con il 98 per cento dei voti?
Onorevole Pianetta, lei ricordava la situazione nel sud del Paese: non vi è infatti semplicemente un dittatore criminale (ricercato dalla Corte penale internazionale per i crimini commessi nella regione del Darfur), ma è tutta la situazione in quel Paese ad essere critica, che è preda di un conflitto interetnico e nello stesso tempo interreligioso, vi è un conflitto tra credenze, una guerra religiosa in atto tra religioni.
Noi riteniamo che la scelta di calendarizzare un Accordo per il rafforzamento dei rapporti commerciali e finanziari con un tale Paese e con un tale Presidente sia il risultato di una precisa scelta di apertura politica ai Governi autoritari di tutto il mondo. Per il momento è stata realizzata solamente con la Libia e adesso con il Sudan, ma se questa è la strada che il Governo vuol percorrere - e, purtroppo, con una scelta largamente condivisa in questo Parlamento - noi riteniamo invece che vi sia necessità di opporsi decisamente e di sottolineare che ormai non siamo di fronte a una banale e rituale violazione dei diritti umani.
Il Sudan è un Paese particolare, al quale non stiamo dando alcuna mano, altro che «l'Italia si è data da fare». Ma se l'Italia si è data da fare e tali sono i risultati, credo che vi sia qualcosa da rivedere anche nella nostra politica e non solo nelle scelte economico-finanziarie: non è frutto del caso.
Credo che la campagna per il Sudan che vede impegnate le ACLI di Milano e di Cremona, la Caritas Ambrosiana, la Caritas Italiana, Mani Tese, i Missionari e le Missionarie comboniani, Pax Christi - e non Comunione e Liberazione naturalmente - rappresenti la componente più preoccupata di quanto voi state facendo.
Cosa volete di più? Di quali scelte politiche state parlando? Parlateci dunque più approfonditamente delle scelte economiche. Prendiamo in considerazione l'energia. Va bene, ma allora, onorevole Farina, mi scusi, vogliamo cercare di trovare un punto di mediazione? Ogni volta - ripeto - ogni volta, tra politica ed economia, tra diritti umani ed interesse, la bilancia pende sempre sull'economia e sugli interessi. Ma di chi sono gli interessi in questi Paesi? In regioni dittatoriali, quale Corte dei conti controlla i conti delle nostre aziende o di quelle che pagano le nostre aziende?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MAURIZIO TURCO. Altro che paradisi fiscali! Questi sono i Paesi dai quali arriva il nero, non solo il greggio, anche l'altro!
Per tali ragioni, e le sono davvero solidale, perché so che lei, relatore, ha Pag. 46difficoltà a dover accettare tutto questo, forse, ogni tanto, bisogna dire qualche «no».

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, quello che ci troviamo oggi ad affrontare e discutere non è uno dei tanti accordi a carattere commerciale che il nostro Paese stipula. Non è uno dei tanti, non è un accordo qualsiasi, perché il Sudan non è un Paese qualsiasi. Se proprio vogliamo essere generosi, possiamo parlare di un'entità statuale dove il nord e il sud hanno combattuto e combattono una guerra civile da più di ventidue anni, durante i quali hanno trovato la morte i civili. C'è chi dice un milione, chi un milione e mezzo, qualcuno ha parlato di due milioni di civili, comunque, al di là del dramma e dei numeri, siamo di nuovo sull'orlo del rischio di un'escalation di un conflitto che non si è mai sedato.
A proposito di accordi non possiamo neanche dimenticare che quello precedente si era concluso, almeno sulla carta, nel 2005, con l'Accordo di pace comprensivo, cosiddetto CPA (Comprehensive Peace Agreement), la cui efficacia è stata più volte messa in discussione a causa di alcuni punti cruciali nel documento, che tuttavia non sono mai stati risolti.
Infatti, strettamente collegato a questo Accordo di pace era ed è previsto lo svolgimento di un referendum ipoteticamente fissato per il gennaio del 2001, quale diritto rivendicato dalla parte sud del Paese a margine di trattative in corso per una possibile secessione del Sudan meridionale, mentre il nord del Paese e la sua capitale - Khartoum - ha già fatto sapere che non intende accettare questo strumento e tanto meno quello che potrebbe essere un ovvio risultato.
A tutt'oggi il conflitto in Darfur, questa vasta regione semidesertica ma ricca di risorse del sottosuolo, messa a ferro e fuoco dalle milizie dei janjaweed spalleggiati dal Governo di Khartoum le cui scorrerie hanno costretto alla fuga metà della popolazione contadina, è più cruento che mai: nel solo mese di maggio si calcola che le vittime siano state almeno 600 e giugno è stato caratterizzato da nuovi rapimenti ed attacchi persino ai caschi blu dell'UNAMID (penso ai cinque caschi blu uccisi in due diversi attacchi poche settimane fa).
Quest'anno le minacce al rispetto dei diritti umani in quel Paese si sono fatte ancora più serie, minacce che possono essere prevenute solo se a livello internazionale si agirà affinché i venti di guerra in Sudan possano soffiare sempre meno forti e la situazione politica, gli equilibri politico-diplomatici ed istituzionali possano subire una qualche innovazione.
La situazione, come dicevo, è straordinariamente difficile ed è peggiorata con l'espulsione dal Darfur di sedici organizzazioni non governative, una decisione questa del Governo del Sudan presa come ritorsione proprio per il mandato di arresto nei confronti del Presidente Al-Bashir decretato da parte della Corte penale internazionale per i crimini contro l'umanità (stiamo parlando del marzo del 2009).
La perdita di questi preziosissimi partner (si calcola che in questo caso siano 7.700 gli operatori umanitari espulsi) rappresenta un colpo durissimo per un'organizzazione come l'Unicef che, pur non avendo subito provvedimenti diretti, è ora quasi nella impossibilità di garantire la prosecuzione di alcuni programmi e progetti.
In questo contesto si inserisce dunque l'Accordo che il nostro Paese ha stipulato con il Sudan nel 2005 prima della firma della pace siglata nel 2006, sui contenuti del quale già altri si sono soffermati.
A quanto risulta l'interscambio commerciale tra l'Italia e il Sudan nell'ultimo triennio è stato positivo per il nostro Paese. Nel corso di questo triennio si è registrata una forte crescita delle esportazioni nei settori principali dove si confermano la meccanica strumentale, elettronica e elettrotecnica, metallurgica, prodotti in metallo, motori, generatori, trasformatori elettrici; le importazioni dal Pag. 47Sudan invece si sono composte e si compongono principalmente di prodotti delle miniere e delle cave e di prodotti agricoli, ma la composizione merceologica delle nostre importazioni è rappresentata anche da prodotti di natura vegetale, petrolio greggio e gas naturale. Appare dunque evidente la necessità di dover tutelare giuridicamente le società italiane già operanti in Sudan per lo più impegnate - come sappiamo - nel settore delle costruzioni, dell'energia elettrica e dello sfruttamento petrolifero. Non vi sono però soltanto queste perché quando parliamo di azioni di tutela necessarie che un Accordo di tale portata deve assolutamente prevedere non possiamo dimenticare che abbiamo a che fare con un Paese guidato da un Presidente, Omar al-Bashir, su cui pende - ripeto - un mandato di arresto per crimini di guerra, quelli commessi appunto in Darfur.
Questo mandato è stato emesso dalla Corte penale internazionale e semmai questa è l'occasione - detto per inciso - per ricordare che il nostro Paese non ha ancora dato concreta attuazione allo statuto della Corte penale internazionale poiché non sono state ancora introdotte le norme interne di attuazione ed adottate le norme di implementazione interna dello statuto stesso, malgrado l'impegno del Governo italiano a calendarizzarne la discussione e a favorirne l'adeguamento.
Tra l'altro, a due mesi dal voto il Presidente Al-Bashir appena rieletto non è ancora riuscito a delineare la nuova squadra di Governo, ed appare sempre più in difficoltà con i suoi omologhi continentali. Qualche significato l'ha avuto persino la sua mancata, e desiderata, partecipazione ai Mondiali di calcio, proprio su insistenza del Presidente sudafricano Jacob Zuma, il quale ha dichiarato ed assicurato che qualora Al-Bashir fosse giunto in Sudafrica per seguire la kermesse calcistica, sarebbe stato senz'altro arrestato.
Ciò che possiamo allora fare in questa sede istituzionale è sfruttare i buoni rapporti, sia politici che commerciali, che il nostro Paese intrattiene con il Sudan, per chiedere appunto il rispetto del CPA, Comprehensive Peace Agreement, e garantire così il mantenimento della pace, non solo per scambiarci delle merci. È infatti reale il rischio che tale Accordo possa essere disatteso, e che la tregua sia rotta favorendo il ritorno della furia devastante della guerra, con disastrose conseguenze per il popolo del Sudan.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FABIO EVANGELISTI. Ho finito il mio tempo. Vado allora rapidamente a concludere, ribadendo che, ovviamente, ci riserviamo una valutazione più approfondita nelle prossime ore; abbiamo comunque presentato due emendamenti al provvedimento in esame, e persino un ordine del giorno che avevo in animo di illustrare quest'oggi, ma lo farò al momento opportuno. Preannuncio fin da ora il sostegno anche agli emendamenti presentati dai colleghi della delegazione radicale nel gruppo del Partito Democratico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, se lei consente, consegnerò anch'io l'intervento completo; desidererei solo illustrare alcune note.
Vorrei in particolare ricordare che, in un Paese che importa principalmente macchinari per la raffinazione ed il trasporto del petrolio, oltre a prodotti alimentari e medicinali, prodotti chimici e macchinari per il tessile (tra l'altro, un settore in ascesa), si percepisce forte l'influsso cinese, tanto che la Cina costituisce il principale mercato per il Sudan: ne assorbe il 48 per cento delle esportazioni contro il 4,1 per cento di quelle verso l'Italia, con evidente influenza, poi, anche a livello di scelte politiche. La Cina ha infatti saputo sfruttare gli spazi vuoti lasciati dai Paesi occidentali in seguito all'isolamento internazionale del Sudan negli anni Novanta, successivo al colpo di Stato, assumendo un ruolo economico molto importante in quel Paese, mossa dall'interesse per l'approvvigionamento delle risorse petrolifere. Pag. 48
Attualmente si registra una certa apertura agli investimenti stranieri: credo che ne dobbiamo tener conto, nel momento in cui discutiamo un Trattato essenzialmente di carattere economico. Secondo i dati UNCTAD, infatti, nel 2007 il Sudan è riuscito ad attrarre investimenti diretti per un valore di 2,436 miliardi di dollari, mantenendo il trend positivo anche nel 2008 con 2,601 miliardi di dollari: investimenti sicuramente attirati dalla presenza del petrolio.
Ci troviamo quindi di fronte ad un Paese che ha molte potenzialità inespresse. Vorrei anche sottolineare l'importanza strategica che potrebbero assumere gli investimenti nel settore agricolo, visto l'interesse recentemente mostrato in proposito da diverse aziende italiane: un settore che dovrebbe avere anche un significato di aiuto allo sviluppo, per un Paese che oltre al petrolio vede nell'agricoltura una delle principali attività, fondamentale tra l'altro per il sostentamento della popolazione, e che ha bisogno di uno sfruttamento più razionale ed innovativo, nel rispetto dell'ambiente naturale.
Un Paese, dicevo, con molte potenzialità inespresse, che impediscono lo sfruttamento adeguato delle ingenti risorse naturali per il suo sviluppo e la sua crescita. In quest'ottica, al mio gruppo sembra importante promuovere investimenti strategici italiani in Sudan, che a tal proposito ha emanato una legge proprio per favorire gli investimenti diretti esteri: investimenti italiani che possiamo aiutare con la ratifica dell'Accordo tra Italia e Sudan sulla promozione e protezione di essi, che è stato già ratificato dalle autorità di Khartoum. Si tratta di uno strumento giuridico per garantire una maggiore protezione degli investimenti agli operatori economici: ricordo infatti che nell'Accordo si afferma che le parti si impegnano a garantire in qualsiasi momento un trattamento giusto ed equo agli investitori.
All'articolo 5, poi, si fuga ogni paura di una nazionalizzazione e, dove è necessaria per fini pubblici, si garantisce il giusto risarcimento computato sulla base del reale valore di mercato attribuito all'investimento immediatamente prima della decisione di nazionalizzare.
Sono argomenti validi per orientarci a votare questa ratifica assieme all'idea che una maggiore presenza italiana in questa parte del mondo può anche aiutare in maniera più efficace lo sviluppo secondo canoni più aderenti al rispetto dei diritti umani di quanto possano fare altri Paesi come la Cina. Siamo convinti che il Governo si adopererà affinché la macchia del Darfur sia lavata dall'esecutività della giustizia internazionale secondo la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 4 marzo 2009, promuovendo i diritti ed il rispetto della dignità umana, ed assicurando adeguati standard in tema di libertà religiosa.
Chiediamo al Governo italiano - questo lo facciamo - un atteggiamento che anche questa volta sappia rispecchiare gli stili dell'azione del nostro Paese sullo scenario mondiale, un atteggiamento che promuova realmente i diritti in ogni luogo del mondo, soprattutto in quelli dove intessiamo relazioni commerciali. Riteniamo che si debbano fare tutti gli sforzi per assicurare la stabilità al Sudan, nella prospettiva della pacificazione, anche con azioni diplomatiche nei confronti dei Paesi più influenti sul Sudan, in primis la Cina e i Paesi del Golfo Persico. Un'azione che assume ancora più significato se consideriamo che il Governo sudanese spende quasi l'80 per cento dei proventi del petrolio in armamenti, tra cui rilevanza assumono le forniture da Cina, Russia e Iran.
Concludo dicendo, signor Presidente, che l'arrest warrant, emanato dal giudice Anita Usacka della Corte de L'Aja nei confronti del Presidente Omar al-Bashir pesa come un macigno e la Comunità internazionale non può ignorarlo, tanto meno il nostro Paese. Il genocidio è un crimine orribile che deve essere pagato dai responsabili, un crimine che però non può bloccare un popolo nella sua strada verso lo sviluppo, un popolo che deve ritrovare le ragioni del futuro per uscire fuori da una storia di violenza. L'Italia può ancora Pag. 49una volta fare tanto, sia promuovendo la giustizia internazionale, sia aiutando uno sviluppo veramente sostenibile, favorendo la coesistenza pacifica delle diverse etnie.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2252)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Renato Farina.

RENATO FARINA, Relatore. Signor Presidente, intendo fare una piccola replica. Naturalmente non ignoro - come credo proprio il Governo non ignori - i dati che sono stati forniti in questa, purtroppo breve, discussione sul Sudan. Si tratta di capire questo. A volte il nesso economico non è qualche cosa che si contrappone alla politica, ma può essere una buona base per consentire delle presenze alternative ad un regime dittatoriale. Questa è l'esperienza che si ha.
Inoltre, vorrei replicare soprattutto all'accenno malizioso che il deputato Maurizio Turco ha fatto a proposito di Comunione e Liberazione. Vorrei ricordargli che, a differenza di quelli che fanno riunioni internazionali per poi apparire sui giornali, la presenza di Comunione e Liberazione in quel Paese data dai primi anni Settanta. Ci sono stati molti ragazzi locali di Comunione e Liberazione assassinati; dal 1972 si sta facendo un lavoro a proposito dei bambini soldato; vi sono state anche delle mostre dell'ONU dedicate a questo argomento, e sono tutte cose fatte dai ragazzi e dalle presenze in loco di Comunione e Liberazione. Poi forse non appaiono nelle conferenze stampa e nelle riunioni ad alto vertice, il che peraltro anche qui è falso, perché l'anno scorso il vescovo Mazzolari è venuto al Meeting di Rimini esattamente a fare delle denunce che sono state poi raccolte, e a proposito delle quali ad esempio mi vedono in Consiglio d'Europa promuovere anche il discorso sulla cristianofobia (un tema che, secondo me, viene troppo spesso trascurato a favore di altri temi più alla moda). Questo per dire che non c'è bisogno di infliggersi delle piccole forchettate nelle gengive solo perché uno appartiene ad una organizzazione o ad un'altra senza sapere i fatti e parlando a vanvera.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo semplicemente per ricordare a me stesso che il relatore, quando è in questa Aula, è il relatore della Commissione. Se poi appartiene a Comunione e Liberazione o a qualche altro ente è un problema suo o una virtù sua. Ma non è che nello svolgere la replica come relatore prende le difese dell'organizzazione di cui fa parte, perché francamente non rientra nei compiti del relatore.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Belarus sulla cooperazione e la mutua assistenza amministrativa in materia doganale, con allegato, fatto a Minsk il 18 aprile 2003 (A.C. 3498-A) (ore 19,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Pag. 50Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Belarus sulla cooperazione e la mutua assistenza amministrativa in materia doganale, con allegato, fatto a Minsk il 18 aprile 2003.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3498-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari Esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Renato Farina, ha facoltà di svolgere la relazione.

RENATO FARINA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa ratifica si riferisce ad un Accordo dove si predispongono gli strumenti per una seria cooperazione doganale in particolare in riferimento alla lotta contro il traffico illecito di stupefacenti. Tutto questo viene perfettamente definito e dettagliato nei venti articoli di cui si compone il disegno di legge, provvedimento necessario e che ha avuto l'unanimità in Commissione.
Anche qui bisogna fare riferimento a ciò che accade in Bielorussia; appartengo al Consiglio d'Europa e di recente anche in questa sede si è dovuto notare come gli standard internazionali dei diritti umani praticati dalla Bielorussia siano calati ulteriormente: condanne a morte e una visione della democrazia, per così dire, molto particolare. Io sono obbligato a ripetermi, come ho fatto rispetto al Sudan, è importante, credo, mantenere, anche attraverso la ratifica di accordi come questo, un canale di collegamento, non solo con la Bielorussia intesa come Governo ma soprattutto con la sua società civile, una presenza che al di là delle motivazioni di convenienza economica consenta una crescita di rapporti tra civiltà, culture, popoli e persone nella consapevolezza che non si scambiano solamente merci.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Farina, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, in questo momento desidero soltanto evidenziare quello che del resto ha già sottolineato ampiamente il relatore e cioè che questo provvedimento si pone l'obiettivo di rafforzare la lotta contro la frode e i numerosi traffici illeciti provenienti da quelle zone dell'ex Unione Sovietica e in particolare dal Belarus. Al tempo stesso questo provvedimento consentirà una maggiore semplificazione delle procedure doganali, rendendo meno oneroso il compito degli operatori e più trasparente l'interscambio commerciale tra i nostri due Paesi.
Ci aspettiamo quindi che questo provvedimento possa dare benefici effetti; una più sensibile diminuzione del traffico illegale e al tempo stesso anche la possibilità di realizzare condizioni di migliore sicurezza dei territori con la riduzione di questi traffici legali. Da ultimo voglio sottolineare il fatto che la lotta alle merci illegali e contraffatte produrrà effetti anche positivi per le imprese che operano legalmente sul territorio garantendo quindi una corretta concorrenza e una migliore competitività.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Pianetta, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

Pag. 51

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, l'accordo in esame - che, tra l'altro, anche in Commissione è stato esaurientemente illustrato dal relatore, onorevole Renato Farina - ha essenzialmente natura di mutua assistenza in materia doganale con la Bielorussia, un impegno di cooperazione che nelle finalità include, tra l'altro, la lotta al traffico illecito di stupefacenti, con un richiamo esplicito alla Convenzione delle Nazioni Unite del 20 dicembre 1988.
Premetto subito che questi importanti obiettivi e principi sono ampiamente condivisi dal gruppo del Partito Democratico, il quale sosterrà la ratifica dell'Accordo, ma in pari tempo è d'obbligo chiedere al Governo italiano una presa di posizione sulle tante ombre che gravano sull'operato del Governo bielorusso guidato da Aleksandr Lukashenko.
Credo che sia soprattutto importante fare chiarezza sulla strategia messa in campo dal Governo italiano, visto che il Presidente Berlusconi è stato l'unico Capo di Governo europeo ad avere visitato la Bielorussia. Si intende, forse favorire la graduale democratizzazione della Bielorussia anche attraverso l'adesione all'Unione europea, come peraltro farebbero intuire le aperture di credito avanzate da vari Paesi europei nei confronti della Bielorussia stessa?
Oppure l'azione italiana in materia economica si inserisce in una strategia coerente di politica estera nei confronti dell'Europa dell'est, cioè l'Italia come una sorta di cerniera diplomatica nei rapporti Europa-USA e Russia Europa dell'est, assicurandosi un ruolo di interlocutore privilegiato nell'area?
E ancora: l'Italia sta lavorando per favorire - attraverso la sua presenza nel settore geopolitico dominato da Mosca - forse un miglioramento graduale dei rapporti USA-Russia?
Credo che queste domande rivestano un significato importante relativamente all'azione del Governo italiano, soprattutto se persegue - anche attraverso la stipula di accordi di matrice economica e la discussione politica - la possibile evoluzione dell'attuale regime bielorusso in senso democratico.
Non si può sottacere, infatti, che quest'anno in Bielorussia sono state eseguite due condanne a morte e che questo fatto richiederebbe una decisa presa di posizione ufficiale da parte dell'Italia; quell'Italia che aveva ottenuto ampi consensi e aveva guadagnato tantissime simpatie il 18 dicembre 2007, quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite disse sì alla proposta di moratoria sulla pena di morte, una vittoria diplomatica caparbiamente portata avanti dall'allora Ministro degli affari esteri Massimo D'Alema. Giova ricordare anche che l'approvazione della moratoria premiò il grande lavoro, non solo dell'Italia, ma della Francia e dell'Unione europea, insieme al contributo dei coautori della risoluzione e, tra i tanti, cito Messico e Brasile.
Ho voluto ricordarlo ritenendo che la politica di apertura verso la Bielorussia, portata avanti dal Governo italiano, debba prevedere alcune forme di valutazione delle strategie da attuare nei rapporti bilaterali e multilaterali con la Bielorussia stessa, di concerto con gli altri Stati europei e con l'Unione europea.
Non mi soffermo, evidentemente, signor Presidente e onorevoli colleghi, sulle parti del Trattato che delineano il quadro normativo di riferimento in tema di cooperazione e mutua assistenza amministrativa in materia doganale tra Italia e Bielorussia, e definiscono, in un allegato al Trattato stesso, i principi fondamentali in materia di utilizzo dei dati personali. Il relatore, tra l'altro, lo ha illustrato con chiarezza e dovizia.
In conclusione del mio intervento mi sembra importante sottolineare - come ha fatto in precedenza il relatore - che il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica, secondo quanto riportato nell'analisi dell'impatto della regolamentazione, costituisce l'unico strumento normativo possibile di attuazione dell'intervento regolatorio, tenuto conto della riserva di legge formale imposta dalla Costituzione per l'autorizzazione alla ratifica Pag. 52dei trattati internazionali, di cui all'articolo 80 della Costituzione stessa.
Ritengo, infine, degno di menzione il parere trasmesso dalla Commissione bilancio alla Commissione esteri, nel quale vengono avanzati alcuni rilievi di natura tecnica e finanziaria che regolano con chiarezza i profili di natura finanziaria, nonché le direttive necessarie per escludere oneri aggiuntivi in virtù di quanto disposto all'articolo 19, comma 1, che prevede che le amministrazioni doganali possano rivendicare il rimborso delle spese e delle indennità corrisposte a esperti e a testimoni, nonché il rimborso dei costi degli interpreti e dei traduttori che non siano funzionari dello Stato, i quali devono essere a carico dell'amministrazione doganale richiedente.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, con il crollo del sistema economico creato intorno all'Unione Sovietica - stiamo parlando del 1990 - la stessa Bielorussia ha dovuto affrontare una durissima fase di recessione dovuta al collasso del proprio sistema commerciale e di pagamenti preesistenti, al repentino calo della domanda da parte di quella che oggi chiamiamo Russia e alle errate previsioni sui rifornimenti di materie prime ed energia.
La sua economia era completamente integrata in quella dell'Unione Sovietica; il Paese esportava, infatti, circa il 50 per cento del suo prodotto interno lordo verso l'Unione Sovietica: macchinari, prodotti agricoli, mezzi di trasporto pesante, prodotti chimici, e ne importava circa il 40 per cento risultando fortemente dipendente dalle materie prime e dal gas proveniente dalla Russia.
Attualmente la Bielorussia è un Paese con una sviluppata base industriale; grazie anche al sostegno statale l'industria di questo Paese contribuisce all'economia per una quota di poco inferiore al 30 per cento. Lo sviluppo economico è in discreto aumento anche grazie all'industrializzazione nei campi della meccanica, della chimica e del settore tessile. Nei pressi della capitale, Minsk, si stanno, tra l'altro, sviluppando anche industrie dedicate alla microelettronica e all'informatica.
Proprio nella capitale è stato sottoscritto l'Accordo di cui stiamo discutendo: sulla cooperazione e sulla mutua assistenza amministrativa in materia doganale, firmato il 18 aprile del 2003, un Accordo che ci apprestiamo a ratificare e con il quale entrambi i Paesi si impegnano a fornirsi reciproca assistenza e cooperazione delle rispettive autorità doganali.
Ciò, soprattutto, per assicurare il pieno rispetto della legislazione doganale e realizzare un'efficace azione di prevenzione, investigazione e repressione delle violazioni delle norme rendendo, nello stesso tempo, più trasparente il rispettivo interscambio commerciale.
Non possiamo che auspicare che l'iter di ratifica di tale Accordo si possa concludere e preannuncio, a nome del mio gruppo, il nostro voto favorevole su questo provvedimento, senza dimenticare che lì è ancora aperta la transizione verso un completo passaggio alla democrazia così come la intendiamo noi europei occidentali (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3498-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia per la manutenzione del confine di Stato, fatta a Roma il 7 marzo 2007 (A.C. 3499-A) (ore 20,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia per la manutenzione del confine di Stato, fatta a Roma il 7 marzo 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3499-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore, il vicepresidente della Commissione affari esteri, onorevole Narducci.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Accordo sottoscritto dai Governi della Repubblica italiana e della Repubblica di Slovenia intende dare risposta ad un'esigenza importante, quella di fissare in forma compiuta e rinnovata il tracciato del confine di Stato fra Italia e Slovenia, superando quanto previsto dalla precedente Convenzione siglata nel 1989.
Tale tracciato era già stato oggetto di un Accordo firmato nell'ottobre del 1980, dal Governo italiano e quello jugoslavo, a Nova Gorica, per la manutenzione del confine italo-jugoslavo e per garantire l'integrità e la visibilità dei cippi che segnano la frontiera fra i due Stati fissata dal Trattato di pace di Parigi del 1947 e dal Trattato di Osimo del 1975.
I grandi cambiamenti politici che hanno interessato l'intera area balcanica, e che nel 1991 hanno portato alla nascita della Repubblica di Slovenia - subentrata alla Jugoslavia come Parte contraente degli accordi preesistenti - hanno imposto un diverso atteggiamento nell'affrontare le problematiche di confine conseguenti al nuovo quadro politico.
Analogamente a quanto avvenuto per i tracciati di confine con altri Stati, il nuovo Accordo prende anche in considerazione le possibilità offerte in materia dalle nuove tecnologie, in particolare quelle satellitari, che ben si sposano con le nuove esigenze metodologiche dei lavori di manutenzione del tracciato di confine.
Tutto ciò ha indotto il Governo di Lubiana a chiedere la conclusione di una Convenzione che è stata preceduta, a partire dal 1998, da una nuova rilevazione generale dell'intero confine di Stato fra i due Paesi, con il supporto dei nuovi strumenti tecnologici cui accennavo poc'anzi.
Il risultato delle operazioni di rilevamento, concluse nel 2004, è stato documentato dalla Commissione mista per la manutenzione dei confini di Stato attraverso specifici documenti tecnici che costituiscono parte integrante del nuovo.
Signor Presidente, consegnerò il mio intervento e, quindi, non illustrerò gli articoli sia del disegno di legge sia della Convenzione il cui contenuto è chiaro nei documenti. Tuttavia, signor Presidente, vorrei solo aggiungere che recependo una condizione posta dalla Commissione bilancio è stato introdotta, con l'approvazione di un emendamento, una clausola di salvaguardia che dispone il monitoraggio degli oneri da parte del Ministero della difesa e l'eventuale utilizzo per spese eccedenti delle risorse di tale Dicastero. Ricordo, infatti, che come risulta dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di ratifica il Ministero della difesa, con l'ausilio dell'istituto geografico militare, è il soggetto competente a gestire la materia con gli ordinari strumenti a sua disposizione.
Concludo ricordando l'esito positivo del recente referendum svoltosi in Slovenia Pag. 54per affidare ad un arbitrato internazionale la soluzione del contenzioso relativo ai confini con la Croazia. Stiamo parlando di un Paese dell'Unione europea e di un Paese che è molto avanti nel negoziato per l'adesione all'Unione europea e che, quindi, apre la strada all'ingresso di quest'ultimo Paese nell'Unione europea e contribuisce ad un clima probabilmente più collaborativo nella regione e credo che ve ne sia bisogno dopo le vicissitudini degli ultimi anni.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Porta. Ne ha facoltà.

FABIO PORTA. Signor Presidente, se mi è consentito anche io consegnerò il mio intervento. Voglio soltanto sottolineare, a nome del gruppo del Partito Democratico, l'importanza di questa ratifica che va anche al di là della semplice formalità di carattere parlamentare. Si tratta, infatti, dell'antico confine tra l'Italia e la ex Jugoslavia, una frontiera carica di una storia complessa e contraddittoria segnata dagli anni difficili del dopoguerra, della Guerra Fredda e, infine, dal mutato scenario geopolitico seguito al drammatico conflitto dei Balcani.
Per le considerazioni esposte dal relatore e per le altre contenute in questo intervento che mi accingo a consegnare preannunzio anche il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Porta, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, il provvedimento che ci accingiamo a ratificare costituisce la nuova Convenzione tra l'Italia e la Slovenia per la manutenzione del confine di Stato e la relazione del vicepresidente Narducci è stata molto esaustiva in proposito.
In ogni caso questo provvedimento ha l'obiettivo, appunto, di sviluppare meglio la manutenzione dei confini di Stato che - lo ricordo - sono stati definiti a seguito del Trattato di pace di Parigi del 1947 e del Trattato di Osimo del 1975. Pertanto, voglio tra l'altro ricordare, nel riservarmi di consegnare il mio intervento più ampio, signor Presidente, che la Slovenia è interessata all'ammodernamento della linea ferroviaria nell'ambito del progetto del Corridoio 5 e, pertanto, si stanno incrementando i lavori per le nuove opere anche nelle zone di confine.
Voglio concludere questo mio brevissimo intervento affermando che questo è un provvedimento che per la sua chiarezza non può che confermare e rafforzare le relazioni bilaterali tra i nostri due Paesi, l'Italia e la Slovenia.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Pianetta, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo in maniera telegrafica soltanto per annunciare il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori alla ratifica di questa Convenzione che mi porta a fare soltanto una semplicissima riflessione: Pag. 55sessanta anni fa questo era un confine di guerra che ha conosciuto soltanto lutto e sangue; oggi voglio sperare che, nell'ambito della costruzione della nuova Europa, possa diventare presto soltanto un confine amministrativo che non abbia più bisogno neanche della minima manutenzione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3499-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 6 luglio 2010, alle 12:

1. - Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge C. 44 ed abbinate-B.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione sospensiva presentata):
Norme in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili (C. 2505-A).
e dell'abbinata proposta di legge: CATANOSO (C. 1151).
- Relatori: Lorenzin, per la I Commissione; De Nichilo Rizzoli, per la XII Commissione.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00395, Casini ed altri n. 1-00402, Di Stanislao ed altri n. 1-00403, Cicu, Gidoni ed altri n. 1-00404 e Lo Monte ed altri n. 1-00405 sulle risorse destinate al settore della difesa.

5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno (Testo risultante dallo stralcio degli articoli da 3 a 9 del disegno di legge n. 3291, deliberato dall'Assemblea il 12 maggio 2010) (C. 3291-bis-A).
- Relatore: Papa.

6. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Sudan sulla promozione e reciproca protezione degli investimenti, con Protocollo, fatto a Khartoum il 19 novembre 2005 (C. 2252).
- Relatore: Renato Farina.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Belarus sulla cooperazione e la mutua assistenza amministrativa in materia doganale, con allegato, fatto a Minsk il 18 aprile 2003 (C. 3498-A).
- Relatore: Renato Farina.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Slovenia per la manutenzione del confine di Stato, fatta a Roma il 7 marzo 2007 (C. 3499-A).
- Relatore: Antonione.

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PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla IX Commissione (Trasporti):
S. 1720. - ZELLER e BRUGGER; CONTENTO; ANNA TERESA FORMISANO e NUNZIO FRANCESCO TESTA; META ed altri; CARLUCCI; LULLI ed altri; CONTE; VELO ed altri; BOFFA ed altri; VELO ed altri; VANNUCCI; LORENZIN ed altri; MOFFA ed altri; MINASSO ed altri; GIAMMANCO; GUIDO DUSSIN ed altri; COSENZA; BARBIERI; PROPOSTA DI LEGGE DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO; PROPOSTA DI LEGGE DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO; STASI; BRATTI e MOTTA: «Disposizioni in materia di sicurezza stradale» (approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (C. 44-419-471-649-772-844-965-1075-1101-1190-1469-1488-1717-1737-1766-1998-2177-2299-2322-2349-2406-2480-B).
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

La seduta termina alle 20,20.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO RENATO FARINA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2252.

RENATO FARINA, Relatore. Onorevoli colleghi, l'Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti tra Italia e Sudan è stato firmato nel novembre 2005 al fine di creare una cornice giuridica favorevole per le società italiane già operanti nel Sudan, per lo più impegnate nei settori delle costruzioni, dell'energia elettrica e dello sfruttamento petrolifero.
Dall'entrata in vigore dell'Accordo si attendono inoltre effetti positivi sulla possibilità di ulteriori investimenti italiani in altri settori economici come quello agricolo: non possiamo tuttavia dimenticare che il quadro politico-sociale sudanese permane ancora segnato da profondi contrasti politico-etnici e da grandi tragedie umanitarie, in particolare nella regione del Darfur.
Ricordo in proposito che il prossimo decreto-legge sulle missioni internazionali prevedibilmente disporrà la proroga della partecipazione di personale militare alla missione delle Nazioni Unite e dell'Unione Africana in Sudan, denominata United Nations/African Union Mission in Darfur (UNAMID).
L'impegno politico dell'Italia nella risoluzione dei conflitti sudanesi ha contribuito ad una crescita della considerazione del nostro paese, che potrebbe avere importanti risvolti in termini di penetrazione economico-commerciale: ne fa stato ad esempio il contratto firmato per la costruzione di una grande raffineria a Port Sudan, con possibilità di un ulteriore notevole indotto a favore di aziende italiane.
L'interscambio con l'Italia vede tuttora un notevole attivo a favore del nostro paese, ma il trend è quello di una sua riduzione, determinata sia dal decremento delle nostre esportazioni che dall'aumento delle importazioni italiane dal Sudan.
Per quanto concerne il contenuto dell'Accordo, composto da 15 articoli e un Protocollo, esso provvede in primo luogo a fornire le opportune definizioni di quei termini, quali «investimento», «investitore», «persona fisica», «persona giuridica», «redditi» e «territorio», necessari ad individuare in modo certo l'ambito di applicazione, oggettivo e soggettivo, dell'accordo (articolo 1).
Al fine di incoraggiare gli investimenti esteri ciascuna delle Parti si impegna anzitutto ad assicurare sul proprio territorio agli investitori dell'altra Parte un trattamento giusto ed equo e la totale protezione agli investimenti da essi operati.
La clausola della nazione più favorita trova applicazione anche in caso di risarcimento di danni derivanti da guerre, rivoluzioni, rivolte, stati di emergenza o altri avvenimenti similari (articolo 4).
La protezione degli investimenti è assicurata, inoltre, dalla clausola che stabilisce che gli investimenti effettuati da soggetti Pag. 57appartenenti ad uno degli Stati contraenti non potranno costituire oggetto di nazionalizzazioni, espropriazioni, requisizioni o altre misure con analogo effetto se non per fini pubblici o per motivi di interesse nazionale, in conformità alle disposizioni di legge e dietro corresponsione di un adeguato risarcimento.
Ognuna delle due Parti contraenti si impegna a garantire il diritto per l'investitore dell'altra Parte a trasferire all'estero, dopo aver assolto gli obblighi fiscali, tutti i capitali investiti e guadagnati (articoli 6 e 8). Vengono stabilite, inoltre, procedure arbitrali per la composizione delle controversie che dovessero insorgere fra gli investitori e le Parti contraenti in materia di investimenti (articolo 9) o fra le Parti in relazione a questioni di interpretazione o applicazione dell'accordo (articolo 10).
L'applicazione delle norme contenute nell'Accordo è estesa (articolo 13) anche agli investimenti posti in essere anteriormente alla sua entrata in vigore, con l'eccezione tuttavia delle disposizioni riguardanti le controversie relative agli investimenti. La durata dell'Accordo è prevista in dieci anni, con rinnovo automatico per ulteriori cinque anni, salvo denuncia di una delle due Parti.
Il disegno di legge di ratifica consta di tre articoli recanti, il primo, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo con il Sudan sulla promozione e protezione degli investimenti, il secondo, l'ordine di esecuzione ed il terzo la data di entrata in vigore della legge.
L'esecuzione dell'Accordo in questione non comporta, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge, oneri a carico del bilancio dello Stato.
Sin qui le considerazioni d'ordine giuridico, intese ad evidenziare l'esigenza di tutelare gli investimenti italiani in Sudan: tali considerazioni non possono però essere disgiunte da una valutazione del quadro politico-sociale sudanese che sta conoscendo nuovi sviluppo a seguito delle elezioni politiche, tenutesi dall'11 al 14 aprile, che hanno registrato un' affermazione del National Congress Party del Presidente Omar al Bashir, sul quale pende un mandato d'arresto internazionale per crimini di guerra e contro l'umanità e del Sudan People's Liberation Movement (SPLM).
La preoccupazione per una nuova fase di violenze, che è stata recentemente espressa all'opera caritativa cattolica «Aiuto alla Chiesa che soffre» dal vescovo Eduardo Hiiboro Kussala, della diocesi di Tombura-Yambio, nel Sud del Sudan, dove, l'anno scorso, sono stati crocifissi sette ragazzi cattolici, tra i 15 e i 20 anni, dai miliziani del Lord's Resistance Army (Lra), un gruppo armato nato nella Uganda del Nord, responsabile di attacchi contro civili nella zona tra Sudan, Repubblica democratica del Congo e la stessa Uganda.
Lo stesso prelato ha dichiarato che la frustrazione della popolazione è stata aumentata dalle accuse di brogli ed ha denunciato un acuirsi del risentimento per le questioni irrisolte come la disputa per i confini tra il Nord e il Sud del Sudan circa la regione di Abyei, ricca di petrolio.
Il Vescovo Hiiboro ha anche sottolineato che continuano le trattative su una possibile secessione del Sudan meridionale - questione su cui si voterà in un referendum nel gennaio 2011 -, con le richieste associate di trasporti e relazioni commerciali con il Nord, condivisione dei proventi del petrolio e diritti di cittadinanza.
Alcune settimane fa Amnesty International ha denunciato la pratica della fustigazione in Sudan, che costituisce una minaccia quotidiana nei confronti delle donne. Secondo l'articolo 152 del codice penale del 1991, le donne arrestate per «condotta o abbigliamento indecenti o immorali» possono essere punite con quaranta frustate.
Auspico che l'esame parlamentare di questo accordo con una Paese segnato da una così grave crisi umanitaria possa rappresentare l'occasione per «riaccendere» l'attenzione del Parlamento e del Governo sull'esigenza di moltiplicare le iniziative umanitarie del nostro Paese a favore delle Pag. 58popolazioni sudanesi, duramente colpite in questi ultimi anni da una violenza cieca e brutale, che rischiano purtroppo di ripetersi nell'indifferenza della Comunità internazionale.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI ENRICO PIANETTA E FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2252.

ENRICO PIANETTA. Il trattato che ci accingiamo a ratificare, già ratificato dal Sudan nell'agosto 2007 e che il nostro Parlamento aveva già esaminato nella precedente legislatura senza però concludere l'iter, si pone l'obiettivo di definire, in modo reciproco, un quadro normativo per dare maggiore certezza giuridica a chi ha investito o per i futuri investimenti e quindi incoraggiando ulteriori iniziative imprenditoriali.
Le clausole sono quelle classiche, tipiche di questi accordi: piena e totale protezione sugli investimenti, diritti di proprietà intellettuale, trattamento giusto ed equo e non meno favorevole di quello riservato ai propri cittadini, clausola delle nazioni più favorite, no a espropriazioni, nazionalizzazioni, requisizioni, diritto a trasferire all'estero i guadagni e gli investimenti, corrette procedure arbitrali in caso di controversie.
Dunque l'accordo è da ritenersi utile e positivo per le società italiane già presenti in Sudan nei settori costruzioni, energia, estrattivo e inoltre per attivare altri imprenditori italiani in settori di crescita quale il settore agricolo.
Inoltre da questo accordo si possono attendere benefici e reciproci sviluppi economici e sociali con il trasferimento dall'Italia al Sudan di know-how tecnico e manageriale con una maggiore efficienza del sistema produttivo e conseguente nuova e qualificata occupazione.
Queste aspettative sono peraltro supportate da concreti segnali, già interpretati da aziende italiane per le nuove potenzialità offerte dal mercato sudanese: la firma di un importante contratto per la costruzione di una raffineria a Port Sudan da parte della APS di Roma con la conseguente possibilità di forniture per altre imprese italiane.
Imprese italiane stanno realizzando infrastrutture alberghiere, sottostazioni elettriche, stazioni di pompaggio delle acque del Nilo, forniture di macchinari per la produzione di energia elettrica e lo stoccaggio di carburanti.
Promettenti di sviluppo sono il settore agricolo e la conseguente industria alimentare, quello energetico, quello delle infrastrutture in particolare ferroviario, la telefonia, il turismo.
Del resto il Sudan con 2,5 milioni di chilometri quadrati - il più grande Stato africano - e i suoi oltre 40 milioni di abitanti è un paese con una realtà economica in costante sviluppo con percentuali a due cifre.
Certamente questa crescita è dovuta in larga parte all'incremento della produzione di petrolio (il 95 per cento dell'export è dato dal petrolio) e la Cina ne ha importato più della metà.
La Repubblica popolare cinese è il principale importatore di beni sudanesi (circa il 70 per cento) e il principale esportatore in Sudan (circa il 30 per cento).
E sappiamo che la Repubblica popolare cinese ha sul Sudan non solo una influenza ed interessi commerciali, ma anche influenza a livello di politica internazionale anche con il potente strumento del diritto di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che non cessa di essere utilizzato a favore del Presidente Ahmad Al-Bashir che è a capo di un governo di una giunta militare.
Un paese antico come storia e giovane come popolazione se pensiamo che il 45 per cento - secondo i dati non ancora ufficiali del censimento del 2008 - è composto da una fascia compresa tra 0 a 14 anni.
Sempre secondo dati non ufficiali circa il 40 per cento della popolazione vive per metà nel Sudan Meridionale e per metà nella provincia del Darfur. Pag. 59
Sono le due aree che come sappiamo hanno determinato conflitti interni e guerre per il contrasto con le forze governative settentrionali.
Gli effetti delle guerre stesse e delle carestie hanno provocato dal 1983 due milioni di morti e quattro milioni di rifugiati: una vera e propria catastrofe umanitaria.
Una delle principali cause del conflitto, secondo molti osservatori, è da ricercare nell'esistenza di notevoli giacimenti petroliferi nella parte meridionale del paese che sono sfruttati da compagnie cinesi. Ma non vi è dubbio che la decisione britannica del 1924 - successiva a venticinque anni di protettorato - di dividere il Sudan in due parti distinte - il sud cristiano ed il nord musulmano - e che rimase invariata fino all'indipendenza del 1956, ha contribuito a generare tensioni e conflitti.
Infatti, dall'indipendenza del 1956 la politica interna sudanese è stata caratterizzata da regimi militari di ispirazione islamica che hanno privilegiato il Sudan settentrionale e sempre contrastato le rivendicazioni all'autonomia del sud.
La nascita del SPLM/A sudanese People's Liberation movement/Army nel 1983 è stata originata dalla volontà del governo di dividere in tre parti il sud e di introdurre la sharia.
Il complesso di queste tensioni e conflitti ha fatto sì che il Sudan abbia rappresentato «la più grave situazione umanitaria del pianeta».
La situazione è lontana ancora da una soluzione definitiva sia nel sud Sudan - nonostante gli accordi - sia in Darfur.
Le violenze non sono sopite e anzi possono aumentare.
Anche nel sud nonostante gli accordi che prevedono lo svolgimento di un referendum sull'indipendenza agli inizi del 2011.
Anzi sia la celebrazione del referendum che gli esiti dello stesso possono costituire occasione per il riacutizzarsi delle tensioni e del conflitto.
L'Italia ha costantemente ed ufficialmente svolto un'azione molto incisiva a sostegno del processo di pace tra nord e sud. È una funzione che ci viene riconosciuta a livello bilaterale ed internazionale.
Anche per il Darfur l'impegno italiano e gli aiuti umanitari sono stati notevolmente apprezzati.
In Darfur gli episodi di violenza sono devastanti e terrificanti.
Anche all'interno degli stessi campi profughi, ad esempio il campo di Kalma a pochi chilometri da Nyala.
Da qui l'incoraggiamento al nostro Governo a continuare queste azioni umanitarie con il convincimento che questo accordo con l'apporto che saprà dare allo sviluppo economico e sociale del Sudan potrà contribuire anche alla sua riappacificazione.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la ratifica dell'Accordo sulla promozione e la reciproca protezione degli investimenti tra Italia e Sudan firmata nel novembre del 2005, a Khartoum, rappresenta un atto di attenzione nei confronti dei tanti operatori economici italiani impegnati in quell'area del globo definendo anche il preciso significato giuridico dei termini degli accordi. Il Sudan è, come noto, il terzo produttore di petrolio dell'Africa sub-sahariana, una ricchezza naturale che rappresenta il principale motore di crescita del Paese, poiché dai proventi petroliferi, il 22 per cento del PIL nel 2008, deriva il finanziamento del Governo alla ricostruzione economica e alle infrastrutture dove sono attive diverse imprese italiane.
In un Paese che importa principalmente, macchinari per la raffinazione e per il trasporto del petrolio, macchinari, oltre a prodotti alimentari, medicinali, prodotti chimici e macchinari per il tessile, un settore in ascesa, si percepisce forte l'influsso cinese tanto che essa costituisce il principale mercato per il Sudan, il 48 per cento delle esportazioni contro il 4.1 per cento di quelle verso l'Italia. La Cina ha saputo sfruttare gli spazi vuoti lasciati dai paesi occidentali, in seguito all'isolamento internazionale del Sudan negli anni 90 seguito al colpo di stato, assumendo un ruolo economico molto importante in quel Pag. 60Paese mossa dall'interesse dell'approvvigionamento delle risorse petrolifere.
Oltre alla Cina, vi sono altri attori molto attenti al mercato sudanese come l'India, Indonesia e Malesia oltre ai Paesi del Golfo persico, una concorrenza sicuramente agguerrita che unitamente alla situazione di instabilità dell'area, di cui la tragedia del Darfur è emblema, ci ricordano l'importanza della protezione dei nostri investimenti.
Attualmente si registra una certa apertura agli investimenti stranieri da parte del Governo di Khartoum, infatti secondo i dati UNCTAD nel 2007 il Sudan è riuscito ad attrarre investimenti diretti per un valore di 2,436 miliardi di dollari mantenendo il trend positivo anche nel 2008 con 2,601 miliardi di dollari; sicuramente investimenti attirati dalla presenza del petrolio.
L'Italia nell'ambito dell'interscambio commerciale con il Sudan ha fatto registrare un ammontare positivo delle esportazioni per un valore di 256 milioni di dollari circa nel 2008 e di 164 milioni di dollari nel 2009.
Una flessione che comunque non fa scemare l'interesse mostrato, negli ultimi anni, dalle nostre aziende per le possibilità offerte dal mercato sudanese. Infatti si sono stipulati contratti di una certa importanza nel settore dell'energia, delle costruzioni, dell'agricoltura e dell'idraulica.
In particolare mi preme segnalare il valore pionieristico che alcuni investimenti possono costituire e che sono richiamati nella relazione al Disegno di legge di ratifica e che per brevità non ripeto. Tale attività dell'imprenditoria italiana in Sudan, infatti, potrebbe orientare il mercato verso la produzione italiana creando un ulteriore possibilità di sviluppo tanto importante in un periodo in cui abbiamo forte bisogno di iniettare fiducia per la ripresa economica.
Voglio anche sottolineare l'importanza strategica che potrebbero assumere gli investimenti nel settore agricolo, visto l'interesse recentemente mostrato da diverse aziende italiane in proposito. Un settore che dovrebbe avere anche un significato di aiuto allo sviluppo per un paese che, oltre al petrolio, vede nell'agricoltura una delle attività principali, fondamentale per il sostentamento della popolazione e che ha bisogno di uno sfruttamento più razionale ed innovativo nel rispetto dell'ambiente naturale.
Ci troviamo di fronte ad un Paese che ha molte potenzialità inespresse che impediscono lo sfruttamento adeguato delle ingenti risorse naturali per lo sviluppo e la crescita del Paese. In quest'ottica ci sembra importante promuovere investimenti strategici italiani in Sudan che a tal proposito ha emanato una legge proprio per favorire gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) nel 1999, emendata, poi, nel 2003, tendente a garantire agli investitori esteri una serie di facilitazioni. Investimenti italiani che possiamo aiutare con la ratifica dell'Accordo tra Italia e Sudan sulla Promozione e Protezione degli Investimenti che è stato già ratificato dalle Autorità di Khartoum. Si tratta di uno strumento giuridico per garantire una maggiore protezione degli investimenti agli operatori economici, infatti ricordo che nell'Accordo si afferma che le Parti si impegnano a garantire in qualsiasi momento «un trattamento giusto ed equo agli investitori» e all'articolo 5 si fuga ogni paura di nazionalizzazione ed ove necessaria per fini pubblici si garantisce il giusto risarcimento «computato sulla base del reale valore di mercato attribuito all'investimento» immediatamente prima della decisione di nazionalizzare.
Sono argomenti validi per orientarci a votare questa ratifica assieme all'idea che una maggiore presenza italiana in quella parte del mondo può anche aiutare in maniera più efficace lo sviluppo secondo canoni più aderenti al rispetto dei diritti umani di quanto possano fare altri paesi come la Cina. Siamo convinti che il governo si adopererà affinché la macchia del Darfur sia lavata dall'esecutività della giustizia internazionale secondo la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 4 marzo 2009, promuovendo i diritti ed il Pag. 61rispetto della dignità umana ed assicurando adeguati standard in tema di libertà religiosa.
Chiediamo al Governo italiano un atteggiamento che anche questa volta sappia rispecchiare gli stili dell'azione del nostro Paese sullo scenario mondiale, un atteggiamento che promuova realmente i diritti in ogni luogo del mondo soprattutto in quelli dove intessiamo relazioni commerciali. Riteniamo che si debbano fare tutti gli sforzi per assicurare la stabilità al Sudan, nella prospettiva della pacificazione, anche con azioni diplomatiche nei confronti dei Paesi più influenti sul Sudan, in primis la Cina e i Paesi del Golfo persico. Una azione che assume ancora più significato se consideriamo che il governo sudanese spende quasi l'80 % dei proventi del petrolio in armamenti tra cui rilevanza assumono le forniture da Cina, Russia e Iran.
«L'arrest warrant» emanato dal giudice Anita Usacka della Corte dell'Aja nei confronti del Presidente Omar Al-Bashir pesa come un macigno e la Comunità internazionale non può ignorarlo, tanto meno il nostro Paese. Il genocidio è un crimine orribile che deve essere pagato dai responsabili, un crimine che però non può bloccare un popolo nella sua strada verso lo sviluppo, un popolo che deve ritrovare le ragioni del futuro per uscire fuori da una storia di violenza. L'Italia può ancora una volta fare tanto, sia promuovendo la giustizia internazionale sia aiutando uno sviluppo veramente sostenibile favorendo la coesistenza pacifica delle differenze.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO RENATO FARINA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3498-A.

RENATO FARINA, Relatore. Onorevoli colleghi, l'Accordo al nostro esame, firmato il 18 aprile 2003 a Minsk, si compone di un breve Preambolo, 22 articoli e un Allegato concernente i principi fondamentali in materia di utilizzo di dati personali.
Nel Preambolo si evidenzia, tra i vari aspetti e motivi della cooperazione doganale, quello della lotta ai traffici illeciti di stupefacenti, con un esplicito richiamo alla Convenzione delle Nazioni Unite del 20 dicembre 1988 e relativi allegati ed emendamenti.
In base a tale accordo, i Governi italiano e bielorusso si impegnano a fornirsi, attraverso le rispettive Autorità doganali, assistenza e cooperazione reciproca, al fine di assicurare il pieno rispetto della legislazione doganale e di realizzare un'efficace azione di prevenzione, investigazione e repressione delle violazioni a tale normativa, per rendere maggiormente trasparente l'interscambio commerciale tra i due Paesi.
Dopo le definizioni che specificano l'esatto significato dei termini utilizzati nel testo dell'Accordo, recate dall'articolo 1, con l'articolo 2 se ne delimita il campo di applicazione e si individuano nelle Amministrazioni doganali delle due Parti contraenti le Autorità competenti per l'applicazione; il comma 3, in particolare, limita esclusivamente alla mutua assistenza amministrativa tra le Parti l'ambito di applicazione dell'Accordo, escludendo dunque l'assistenza in campo penale.
L'articolo 3 definisce l'ambito di applicazione dell'assistenza precisando che essa è scambiata direttamente tra le Amministrazioni doganali, mentre l'articolo 4 prevede lo scambio di informazioni sulla legislazione e sulle procedure doganali nazionali nonché sulle tecniche di applicazione di tale legislazione e sui metodi impiegati per commettere infrazioni doganali.
Gli articoli da 7 ad 11 disciplinano lo scambio di informazioni tra le Amministrazioni doganali e le correlate procedure e formalità da rispettare nella formulazione delle richieste di assistenza.
L'articolo 14 consente lo scambio di dossier e documenti contenenti informazioni su azioni che costituiscono - o sembrano costituire - infrazioni doganali. La possibilità e le modalità di invio di funzionari dell'Amministrazione doganale di una Parte a deporre in qualità di Pag. 62esperti o testimoni davanti le competenti Autorità dell'altra Parte sono previste dall'articolo 15.
L'articolo 16 disciplina l'uso e la tutela delle informazioni e delle informazioni ricevute nell'ambito dell'assistenza amministrativa prevista dall'Accordo.
L'articolo 17 condiziona l'eventuale scambio di dati personali alla circostanza che le Parti contraenti ne garantiscano un livello di protezione giuridica almeno equivalente a quello indicato nell'apposito Allegato, che costituisce parte integrante dell'Accordo.
L'articolo 18 disciplina i casi in cui l'assistenza può essere rifiutata o differita.
L'articolo 19 prevede che le Amministrazioni doganali rinuncino a rivendicare il rimborso delle spese derivanti dall'applicazione dell'Accordo, ad eccezione di spese e indennità corrisposte a esperti e testimoni. L'articolo 20 detta le procedure per risolvere i problemi connessi con l'attuazione dell'Accordo, ed istituisce una Commissione mista italo-bielorussa che si riunirà quando se ne ravvisi la necessità su richiesta di una delle Amministrazioni, per seguire l'evoluzione dell'Accordo e per individuare le soluzioni agli eventuali problemi.
Il disegno di legge di ratifica in esame consta di quattro articoli: i primi due articoli recano, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione dell'Accordo.
L'articolo 3 autorizza, per l'attuazione della legge, la spesa di 21.665 euro l'anno a decorrere dal 2010, disponendo che l'onere sia coperto mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio 2010-2012, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del ministero dell'economia e delle finanze.
Prima di concludere vorrei sottolineare che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, di cui mi onoro di far parte, segue costantemente gli sviluppi del quadro politico a Minsk. Purtroppo le ultime notizie non sono particolarmente buone: il 29 aprile scorso, infatti, si è arrivati ad una sospensione delle iniziative di dialogo tra il Parlamento ed il Governo bielorussi meritoriamente promosse dall'Assemblea di Strasburgo, poiché la stessa Assemblea rilevato una carenza di progressi verso gli standard democratici europei ed un'assenza di volontà politica da parte delle autorità bielorusse. Destano inoltre preoccupazioni le tensioni tra il Belarus e la Federazione russa che recentemente hanno anche causato forti problemi alle forniture di gas all'Unione europea.
Conclusivamente, sono in un certo senso obbligato a ripetermi, riprendendo le parole pronunciate recentemente illustrando il ddl di ratifica di un accordo con un altro Paese «caldo»: è importante mantenere, anche attraverso la ratifica di accordi come questo, un canale di collegamento non soltanto con il Belarus, ma soprattutto con la sua società civile: una presenza che, al di là delle motivazioni di convenienza economica, consenta, anche nell'ambito dell'iniziativa Partenariato orientale lanciata lo scorso anno dall'Unione europea, una crescita di rapporti tra civiltà, culture, popoli e persone nella consapevolezza che non si scambiano solamente merci.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI ENRICO PIANETTA E FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3498-A.

ENRICO PIANETTA. L'Accordo si inquadra nell'azione e nella volontà dell'Unione europea di agire contro le frodi doganali ed il traffico di stupefacenti.
Definito secondo il modello redatto dalla OMD - Organizzazione mondiale delle dogane, l'Accordo si pone l'obiettivo di rafforzare la lotta contro la frode e i numerosi traffici illeciti provenienti dalle zone dell'ex Unione Sovietica; ma al tempo stesso, per le modalità di completezza e semplicità, questo provvedimento consentirà una maggiore semplificazione delle procedure doganali rendendo meno oneroso Pag. 63il compito degli operatori e più trasparente l'interscambio commerciale tra i nostri due paesi.
Ci si aspetta quindi, con la corretta applicazione degli adempimenti doganali previsti, una sensibile diminuzione del traffico di stupefacenti provenienti dal Belarus e anche che merci illegali e contraffatte non inondino il mercato italiano.
Del resto la Repubblica di Belarus per la sua posizione geografica tra le repubbliche baltiche e la Russia da una parte e la Polonia e l'Ucraina dall'altra si presta ad essere un'area di transito di traffici illeciti.
Questo provvedimento avrà pertanto anche benefici effetti per quanto attiene la sicurezza dei territori.
Inoltre, come è stato detto, la lotta alle merci illegali e contraffatte produrrà effetti positivi per le imprese che operano legalmente sul territorio, garantendo una corretta concorrenza e competitività.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Accordo al nostro esame, esaurientemente illustrato dal relatore, onorevole Renato Farina, ha essenzialmente natura di mutua assistenza in materia doganale con la Bielorussia, un impegno di cooperazione che nelle finalità include, tra l'altro, la lotta al traffico illecito di stupefacenti con un richiamo esplicito alla Convenzione delle Nazioni Unite del 20 dicembre 1988.
L'accordo prevede dunque, attraverso il pieno rispetto della legislazione doganale, di assicurare una effettiva trasparenza all'interscambio commerciale tra i due Paesi, da realizzarsi anche con gli strumenti della prevenzione, investigazione e repressione delle infrazioni.
Premetto subito che questi importanti obiettivi e principi sono ampiamente condivisi dal Gruppo del Partito Democratico, che sosterrà la ratifica dell'Accordo, ma in pari tempo è d'obbligo chiedere al Governo italiano che prenda posizione sulle tante ombre che gravano sull'operato del Governo bielorusso guidato da Aleksandr Lukashenko.
Io credo che sia soprattutto importante fare chiarezza sulla strategia messa in campo dal Governo italiano, visto che il Presidente Berlusconi è stato l'unico Capo di governo europeo ad aver visitato la Bielorussia. S'intende forse favorire la graduale democratizzazione della Bielorussia anche attraverso l'adesione all'Unione Europea, come per altro farebbero intuire le aperture di credito avanzate da vari Paesi europei nei confronti della Bielorussia stessa? Oppure l'azione italiana in materia economica si inserisce in una strategia coerente di politica estera nei confronti dell'Europa dell'Est, cioè l'Italia come una sorta di cerniera diplomatica nei rapporti Europa - USA e Russia Europa dell'Est, assicurandosi un ruolo di interlocutore privilegiato nell'area?
E ancora: l'Italia sta lavorando per favorire - attraverso la sua presenza nel settore geopolitico dominato da Mosca - un miglioramento graduale dei rapporti USA-Russia?
Io credo che queste domande rivestano un significato importante relativamente all'azione del Governo italiano, soprattutto se persegue, anche attraverso la stipula di accordi di matrice economica e la discussione politica, la possibile evoluzione dell'attuale regime bielorusso in senso democratico. Non si può sottacere, infatti, che quest'anno in Bielorussia sono state eseguite due condanne a morte e che questo fatto richiederebbe una decisa presa di posizione ufficiale da parte dell'Italia; quella Italia che aveva ottenuto ampi consensi e aveva guadagnato tantissime simpatie il 18 dicembre 2007 quando l'assemblea generale delle Nazioni Unite disse sì alla proposta di moratoria sulla pena di morte, una vittoria diplomatica caparbiamente portata avanti dall'allora Ministro degli esteri Massimo D'Alema. Giova ricordare anche che l'approvazione della moratoria premiò il grande lavoro non solo dell'Italia, ma della Francia e dell'Unione Europea insieme al contributo dei co-autori della Risoluzione e, tra i tanti, Messico e Brasile.
Ho voluto ricordarlo ritenendo che la politica di apertura verso la Bielorussa Pag. 64portata avanti dal Governo italiano debba prevedere alcune forme di valutazione delle strategie da attuare nei rapporti bilaterali e multilaterali con la Bielorussia di concerto con gli altri Stati europei e con l'Unione europea.
Non mi soffermo, signor Presidente, onorevoli colleghi, sulle parti del trattato che delineano il quadro normativo di riferimento in tema di cooperazione e mutua assistenza amministrativa in materia doganale tra Italia e Bielorussia e definiscono, in un Allegato al trattato stesso, i principi fondamentali in materia di utilizzo di dati personali. Il relatore ha illustrato con chiarezza le peculiarità del trattato per quanto concerne: lo scambio di visite di funzionari doganali eventualmente disposto dalle amministrazioni doganali; la possibilità di fornirsi reciprocamente assistenza tecnica; le modalità di avvio delle indagini e comunicazione dei risultati al richiedente; la possibilità - previa autorizzazione dell'amministrazione doganale adita - di autorizzare propri funzionari a testimoniare davanti alle autorità competenti della Parte contraente richiedente in qualità di esperti o testimoni; come pure la regolamentazione del rimborso delle spese derivanti dall'applicazione dell'Accordo, ad eccezione di spese e indennità corrisposte a esperti e testimoni nonché dei costi degli interpreti e dei traduttori che non siano funzionari dello Stato, che devono essere a carico dell'Amministrazione doganale richiedente.
In conclusione del mio intervento, mi sembra importante sottolineare - come ha fatto in precedenza il relatore - che il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica, secondo quanto riportato nell'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR), costituisce l'unico strumento normativo possibile di attuazione dell'intervento regolatorio, tenuto conto della riserva di legge formale imposta dalla Costituzione per l'autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, di cui all'articolo 80 della Costituzione.
Ritengo infine degno di menzione il parere (Verifica delle quantificazioni) inviato dal Servizio Bilancio dello Stato alla Commissione Esteri, nel quale vengono avanzati alcuni rilievi di natura tecnica e finanziaria che regolano con chiarezza i profili di natura finanziaria, nonché le direttive necessarie per escludere oneri aggiuntivi in virtù di quanto disposto all'articolo 19, comma 1, che prevede che le amministrazioni doganali possano rivendicare il rimborso delle spese e delle indennità corrisposte a esperti e a testimoni nonché il rimborso dei costi degli interpreti e dei traduttori che non siano funzionari dello Stato, che devono essere a carico dell'Amministrazione doganale richiedente.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL VICEPRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3499-A.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'accordo sottoscritto dai Governi della Repubblica italiana e della Repubblica di Slovenia intende dare risposta ad un'esigenza importante, quella di fissare in forma compiuta e rinnovata il tracciato del confine di Stato fra Italia e Slovenia superando quanto previsto dalla precedente Convenzione siglata nel 1989. Tracciato che era stato già oggetto di un accordo firmato nell'ottobre 1980 a Nuova Gorizia dal Governo italiano e da quello jugoslavo per la manutenzione del confine italo-jugoslavo e per garantire l'integrità e la visibilità dei cippi che segnano la frontiera tra i due Stati, fissata dal Trattato di Pace di Parigi del 1947 e dal Trattato di Osimo del 1975.
I grandi cambiamenti politici che hanno interessato l'intera area balcanica e che nel 1991 hanno portato alla nascita della Repubblica di Slovenia, subentrata alla Jugoslavia come Parte contraente degli accordi preesistenti, hanno imposto un diverso atteggiamento nell'affrontare le problematiche di confine conseguenti al Pag. 65nuovo quadro politico. Analogamente a quanto avvenuto per i tracciati di confine con altri Stati, il nuovo accordo prende anche in considerazione le possibilità offerte in materia dalle nuove tecnologie, in particolare quelle satellitari, che ben si sposano con le nuove esigenze metodologiche dei lavori di manutenzione del tracciato di confine.
Tutto ciò ha indotto il Governo di Lubiana a chiedere la conclusione di una convenzione, che è stata preceduta, a partire dal 1998, da una nuova rilevazione generale dell'intero confine di Stato tra i due Paesi, con il supporto dei nuovi strumenti tecnologici cui accennavo pocanzi. Il risultato delle operazioni di rilevamento, concluse nel 2004, è stato documentato dalla Commissione mista per la manutenzione del confine di Stato attraverso specifici documenti tecnici che costituiscono parte integrante del nuovo accordo.
L'Accordo mira altresì a regolamentare in modo più puntuale i lavori di manutenzione e di visibilità dei termini e del tracciato del confine secondo le rispettive competenze (articoli 2-6 ed articoli 8 e 9) ed a garantire agli incaricati dei lavori l'attraversamento della linea di confine (articolo 14) e gli eventuali indennizzi a terzi che ne potrebbero derivare (articolo 7).
La Convenzione definisce inoltre le limitazioni di eventuali costruzioni in prossimità del confine (articolo 5, punto 2) ed istituisce una Commissione mista con lo scopo di dirigere e regolamentare tutti i lavori e un gruppo misto di esperti per l'esecuzione dei lavori di manutenzione del confine (articoli da 10 a 13). Ai membri della Commissione mista ed alle persone incaricate dei lavori di manutenzione è assicurata l'immunità personale e l'inviolabilità dei carteggi al seguito (articolo 15).
Il disegno di legge di ratifica contiene oltre alla consueta norma di autorizzazione alla ratifica ed all'ordine di esecuzione, una disposizione (articolo 3) sulla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione dell'accordo: l'onere complessivo è valutato in 32.705 euro per l'anno 2010, a 19.000 euro per l'anno 2011 ed a 32.705 euro annui a decorrere dall'anno 2012.
Recependo una condizione posta dalla Commissione Bilancio, è stata introdotta, con l'approvazione di un emendamento, una clausola di salvaguardia che dispone il monitoraggio degli oneri da parte del Ministero della difesa e l'eventuale utilizzo per spese eccedenti delle risorse di tale dicastero. Ricordo infatti che, come risulta dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di ratifica, il Ministero della difesa, con l'ausilio dell'Istituto geografico militare, è il soggetto competente a gestire la materia con gli ordinari strumenti a sua disposizione.
Concludo ricordando l'esito positivo del recente referendum svoltosi in Slovenia per affidare ad un arbitrato internazionale la soluzione del contenzioso relativo ai confini con la Croazia, che apre la strada all'ingresso di quest'ultimo Paese nell'Unione europea e contribuisce ad un clima più collaborativo nella regione.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI FABIO PORTA ED ENRICO PIANETTA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3499-A.

FABIO PORTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la ratifica in oggetto, che renderà esecutiva la Convenzione tra il nostro Paese e la Repubblica di Slovenia firmata a Roma il 7 marzo del 2007, ha un valore che va al di là di una semplice formalità di carattere parlamentare.
Si tratta infatti dell'antico confine tra l'Italia e la Ex-Jugoslavia: una frontiera carica di una storia complessa e contraddittoria, segnata dagli anni difficili del dopoguerra e dalla guerra fredda ed infine - più recentemente - dal mutato scenario geopolitico seguito al drammatico conflitto dei Balcani.
L'Accordo in esame - come ha ben ricordato l'onorevole Narducci nel corso Pag. 66del suo ricco ed articolato intervento - risponde all'esigenza di fissare, in forma più completa rispetto alla Convenzione siglata nel 1989, il tracciato del confine di Stato fra la Repubblica italiana e quella di Slovenia. Già nell'ottobre 1980 il Governo italiano e quello jugoslavo firmarono a Nuova Gorizia un accordo per la manutenzione del confine italo-iugoslavo, con la finalità di assicurare l'integrità e la visibilità dei cippi che segnano la frontiera tra i due Stati, fissata dal Trattato di Pace di Parigi del 1947 e dal Trattato di Osimo del 1975.
Ma è con la nascita della Repubblica di Slovenia che si ripropone l'esigenza di rivedere e aggiornare tale accordo, soprattutto su spinta della legittima richiesta del governo della Repubblica slovena con sede a Lubiana, che subentrava alla vecchia Repubblica jugoslava nella titolarità della convenzione.
Al diverso atteggiamento nell'affrontare le problematiche di confine conseguenti al nuovo quadro politico della regione si aggiungeva infatti la possibilità di aggiornare l'accordo sui confini a partire dalle nuove conoscenze messe a disposizione dall'evoluzione tecnologica connessa con le nuove esigenze metodologiche dei lavori di manutenzione del confine.
In base a tali elementi il Governo di Lubiana ha quindi chiesto un rinnovo della Convenzione; tale iniziativa è stata preceduta da una nuova misurazione generale dell'intero confine di Stato con metodologia satellitare. Il risultato di tale nuova misurazione, conclusasi nel 2004, è stato documentato dalla Commissione mista per la manutenzione del confine di Stato attraverso specifici documenti tecnici che costituiscono parte integrante del nuovo accordo.
Anche io, come il relatore, vorrei evidenziare positivamente come l'approvazione di tale ratifica consentirà di regolamentare in modo più puntuale i lavori di manutenzione e di visibilità dei termini e del tracciato del confine secondo le rispettive competenze (articoli 2-6 ed articoli 8 e 9) ed a garantire agli incaricati dei lavori l'attraversamento della linea di confine (articolo 14) e gli eventuali indennizzi a terzi che ne potrebbero derivare (articolo 7); punto, quest'ultimo, molto delicato per le dirette ricadute su complesse e delicate situazioni che riguardano la popolazione che storicamente ha vissuto in quelle zone.
La Convenzione definisce infine le limitazioni di eventuali costruzioni in prossimità del confine (articolo 5, punto 2) ed istituisce una Commissione mista con lo scopo di dirigere e regolamentare tutti i lavori e un gruppo misto di esperti per l'esecuzione dei lavori di manutenzione del confine (articoli da 10 a 13).
Il disegno di legge di conversione contiene oltre alla consueta norma di autorizzazione alla ratifica ed all'ordine di esecuzione, una disposizione (articolo 3) sulla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione dell'accordo: l'onere complessivo ammonta a 32.705 euro per l'anno 2010, a 19.000 euro per l'anno 2011 ed a 32.705 euro annui a decorrere dall'anno 2012.
Tali oneri sono coperti mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2010-2012, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2010, utilizzando parzialmente l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.
Al riguardo vorrei osservare come l'accantonamento del Fondo Speciale del quale è previsto l'utilizzo reca le necessarie disponibilità ed una specifica voce programmatica.
Con riferimento all'allineamento temporale tra la spesa autorizzata e la relativa copertura finanziaria, appare opportuno che il Governo confermi che, nell'anno 2011, la prima riunione della Commissione mista italo-slovena di cui agli articoli 10 e 13 della Convenzione e le riunioni del gruppo misto di esperti di cui all'articolo 11 della suddetta Convenzione si tengano in Italia.
Infine, con riferimento alla formulazione in termini di limite massimo dell'autorizzazione Pag. 67di spesa, appare opportuno che il Governo confermi che tale formulazione sia idonea anche in relazione agli oneri derivanti dalla concessione degli eventuali indennizzi (ai quali mi riferivo poc'anzi) per consentire i lavori di manutenzione del confine di Stato di cui all'articolo 7 della Convenzione.
Con queste considerazioni e con una sostanziale conferma dei contenuti espressi nel suo articolato intervento dal Relatore, esprimo a nome mio e del gruppo del Partito Democratico il parere favorevole all'approvazione di tale ratifica da parte del Parlamento italiano.

ENRICO PIANETTA. La Slovenia con i suoi due milioni di abitanti circa su una superficie di circa ventimila chilometri quadrati, fa parte dal 1o maggio 2004 dell'Unione europea e dal 1o gennaio 2007 è nell'eurozona.
Indipendentemente dal 25 giugno 1991 le terre su cui si è costituito lo Stato sloveno fino al 1918 hanno fatto parte, per la maggior parte, dell'impero austroungarico e parzialmente del Regno d'Italia fino al 1945.
La Slovenia è lo Stato con il quale confiniamo a est lungo un confine stabilito dal trattato di pace di Parigi del 1947 e dal trattato di Osimo del 1975.
In Slovenia risiedono circa quattromila abitanti di nazionalità italiana, principalmente a Capodistria, Isola d'Istria e Pirano: sono comuni bilingui; inoltre alla comunità italiana (come a quella ungherese) è garantito un seggio al Parlamento slovacco.
Dicevo dei confini: il trattato che ci accingiamo a ratificare costituisce la nuova convenzione tra i nostri due paesi, per la manutenzione del confine di Stato.
Per la nuova situazione politica successiva al 1989 e per l'evoluzione tecnologica è stato definito meglio il tracciato del confine di Strato e anche le modalità di manutenzione; e si normano in modo più preciso gli accessi, le limitazioni di costruzione ed il funzionamento della Commissione Mista.
Voglio tra l'altro ricordare che la Slovenia è interessata all'ammodernamento della linea ferroviaria nell'ambito del progetto del Corridoio 5 e pertanto si stanno incrementando lavori relativi alle nuove opere anche nelle zone di confine.
È questo un provvedimento che per la sua chiarezza non può che confermare e rafforzare le relazioni bilaterali tra i nostri due paesi.