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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 343 di lunedì 28 giugno 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 15,05.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 giugno 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Crimi, Crosetto, Dal Lago, Fitto, Franceschini, Frattini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Menia, Miccichè, Mussolini, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della sostituzione di un membro supplente del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del Regolamento parlamentare per i procedimenti di accusa, il Presidente della Camera ha inserito nell'elenco di deputati ai fini delle eventuali sostituzioni di cui all'articolo 3, comma 3, del medesimo Regolamento il deputato Fulvio Follegot in sostituzione di Roberto Cota, cessato dal mandato parlamentare.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,10).

PIER FAUSTO RECCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, intervengo per informare l'Assemblea e lei che in questo momento insieme al collega Giachetti siamo in sciopero della fame, a staffetta con lavoratori di Agile ex Eutelia in presidio davanti a Montecitorio. È un'iniziativa volta a ottenere dalla Presidenza del Consiglio la convocazione immediata dei due tavoli già istituiti. Il primo per valutare la situazione delle commesse pubbliche per Agile ex Eutelia; il secondo relativo alle politiche industriali dell'information technology ed alle prospettive di questi lavoratori.
Agile ex Eutelia rappresenta un patrimonio importante, essenziale per il nostro Paese, se pensiamo che per uscire dalla crisi abbiamo bisogno di produzione e Pag. 2servizi qualificati di alto valore aggiunto. Si tratta di lavoratori di alta professionalità che per mantenere lo stesso livello qualitativo devono poter lavorare e continuare il loro percorso formativo.
Eutelia inoltre è proprietaria di infrastrutture, materiali e immateriali molto significative per il nostro Paese. Sto parlando di migliaia di chilometri di fibra ottica e del software necessario per la comunicazione. È questa una delle ragioni principali, insieme alla peculiare vicenda dei passaggi di proprietà dell'azienda, che hanno indotto molti tra deputati e senatori del Partito Democratico ad aderire a questa iniziativa, che speriamo si allarghi ad altri colleghi.
Presidente, le chiediamo di informare la Presidenza della Camera, che in più occasioni ha manifestato consapevolezza e sensibilità verso la situazione di questi lavoratori, e chiediamo alla Presidenza del Consiglio (in particolare al sottosegretario Gianni Letta, che a questo fine si era impegnato) di convocare i tavoli a cui ho fatto riferimento, fissando da subito una data certa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Discussione del disegno di legge: Norme in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili (A.C. 2505-A); e dell'abbinata proposta di legge: Catanoso (A.C. 1151) (ore 15,11).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Norme in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili; e dell'abbinata proposta di legge di iniziativa del deputato Catanoso.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2505-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il presidente della Commissione Affari costituzionali, onorevole Bruno, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione della relatrice per la I Commissione e anche a nome della relatrice per la XII Commissione.

DONATO BRUNO, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo disegno di legge nasce per offrire un'opportunità ai tanti giovani che soffrono la mancanza sui propri territori di spazi in cui potersi relazionare in modo sano e positivo. Le comunità giovanili sono luoghi in cui poter svolgere numerose e diverse attività, tutte finalizzate alla formazione del proprio talento e di una coscienza civile da mettere a disposizione della comunità territoriale. Territorio e giovani, questa la sinergia che si vuole aiutare a costruire sostenendo la capacità dei ragazzi di esprimere il proprio potenziale, lavorando nel rispetto e con il sostegno della propria realtà cittadina.
Musica, teatro, cinema, sport, libri e giornali, corsi e laboratori, tornei sportivi e convegni, mostre d'arte e concerti, sono solo alcune delle attività che potranno svolgersi all'interno delle comunità giovanili. Attività importanti per la crescita delle nuove generazioni in ogni parte della nazione; addirittura indispensabili in quelle aree critiche dove le occasioni di corruzione e di smarrimento sono davvero molte e tutte a portata di mano.
Le comunità giovanili si offrono, in questi contesti più difficili, come degli spazi di crescita dove poter studiare, maturare delle attitudini artistiche e professionali, divertirsi responsabilmente, rifiutando modelli negativi, ma anche formarsi delle opinioni ed interagire positivamente con la realtà territoriale che le circonda. Pag. 3Altri due elementi vanno sottolineati: le comunità giovanili non sono solo destinate ai giovani, ma sono anche da loro stessi dirette ed organizzate con criteri democratici e trasparenti. Un'attribuzione di responsabilità nei confronti di uomini e di donne con meno di trent'anni, troppo spesso additati come «bamboccioni», incapaci di assumersi impegni e oneri. Anche per questo il disegno di legge, nel suo piccolo, genera una grande rivoluzione nell'aggregazione giovanile e nel rapporto tra le istituzioni pubbliche, a cui viene demandato il compito di controllare ed, eventualmente, supportare le comunità giovanili ed i giovani a cui viene offerta la possibilità di viverle, ma anche guidarle. È importante, inoltre, sottolineare il fatto che è prevista la possibilità di mettere in rete tra loro le comunità giovanili diffuse sul territorio nazionale, creando così una straordinaria infrastruttura culturale capace di integrare e sviluppare iniziative musicali, teatrali o sportive. Sarà uno dei compiti dell'Osservatorio nazionale sulle comunità giovanili quello di legare insieme le diverse esperienze provinciali e regionali, favorendo circuiti e scambi.
Ci sono temi che sarebbe bene restassero fuori dallo scontro politico perché hanno a che fare, più di altri, con il nostro futuro. L'obiettivo comune, in politica come in ogni ambito della società, è, in fondo, quello di costruire, pezzo per pezzo, il nostro destino condiviso, lavorando efficacemente sul presente. In questo caso, il presente è fatto di giovani, cuori pieni di energia e talento. Spendersi per loro è un investimento per tutti noi.
Passando ad esaminare il testo del provvedimento, ricordo che sul disegno di legge si è già espressa favorevolmente la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Il testo del disegno di legge, infatti, è stato integrato, in più parti, dal Governo per recepire le osservazioni formulate in tale sede.
Per quanto riguarda l'iter parlamentare del provvedimento, ricordo che le Commissioni riunite I e XII ne hanno avviato l'esame, in sede referente, il 9 febbraio 2010, deliberando, il 17 giugno scorso, di adottare il disegno di legge n. 2505 come testo base per il seguito dell'esame. Le Commissioni hanno dedicato la giornata del 17 giugno scorso allo svolgimento di una serie di audizioni informali. Sono state svolte audizioni di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani, del Forum nazionale dei giovani, del Movimento delle associazioni di volontariato italiano, protezione civile e servizi sociali, di Alleanza sportiva italiana, dei Pionieri della Croce Rossa Italiana, dell'Associazione guide e scout cattolici italiani, dell'Associazione ricreativa e culturale italiana, nonché di Andrea Pertici, professore associato di istituzioni di diritto pubblico.
Dopo aver esaminato, quindi, gli emendamenti presentati, di cui molti, di gruppi di maggioranza e opposizione, sono stati accolti dalle relatrici, e dopo aver acquisito i pareri delle competenti Commissioni in sede consultiva, le Commissioni affari costituzionali e affari sociali hanno deliberato, il 24 giugno scorso, di conferire il mandato alle relatrici a riferire in senso favorevole all'Assemblea.
Per quanto riguarda il contenuto del provvedimento, come risultante dagli emendamenti approvati dalle Commissioni I e XII, ricordo che l'articolo 1 qualifica le finalità e l'oggetto del provvedimento, diretto, anche in attuazione della Costituzione, a definire una disciplina per il riconoscimento, la promozione e il sostegno delle comunità giovanili. Nel corso dell'esame presso le Commissioni riunite I e XII è stato inserito, quale finalità ulteriore della nuova disciplina, quella di promuovere azioni dirette al raggiungimento degli obiettivi della legge da parte delle regioni, delle province e dei comuni per il proprio ambito di competenza.
L'articolo 2 reca la definizione di comunità giovanile, quale associazione senza fini di lucro, di persone di età prevalentemente inferiore a trent'anni e, comunque, non superiore a 35, caratterizzata dal perseguimento, per statuto, di alcune specifiche finalità di spiccata vocazione sociale. Pag. 4
È previsto che il Dipartimento della gioventù della Presidenza del Consiglio dei ministri si avvalga della collaborazione delle comunità giovanili nella promozione di specifiche iniziative. Con una modifica apportata nella fase emendativa viene precisato che non sono considerati comunità giovanili i soggetti indicati dal comma 2 dell'articolo 2 della legge 7 dicembre 2000, n. 383, ovvero i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria e tutte le associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici degli associati.
L'articolo 3 destina a compiti di comunicazione, ricerca e informazione del Dipartimento, nonché a finalità proprie delle comunità giovanili parte delle risorse del Fondo nazionale per le comunità giovanili, già istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Nel corso dell'esame in sede referente è stato precisato che il sopracitato Fondo è destinato alle indicate finalità per una quota non superiore al 20 per cento per il primo anno di esercizio dall'entrata in vigore della legge, e al 10 per cento per gli anni successivi.
L'articolo 4 disciplina la composizione e i compiti dell'Osservatorio nazionale sulle comunità giovanili, che ha sede presso il Dipartimento, è presieduto dal Ministro della gioventù o da un suo delegato, è composto da 16 membri dei quali sono previste le modalità di designazione e al cui funzionamento si provvede con le risorse disponibili presso il citato Dipartimento.
Esso svolge compiti di promozione di studi e di ricerche, sostegno di iniziative di formazione ed aggiornamento, promozione di progetti sperimentali e di scambi di conoscenze. Esso provvede anche ad elaborare una relazione annuale al Ministro della gioventù sull'attività svolta, e si coordina con gli osservatori regionali, ove istituiti. Le norme di organizzazione e funzionamento dell'Osservatorio verranno definite, entro quattro mesi dall'entrata in vigore della legge, da un decreto di natura non regolamentare - la natura dell'atto è stata così definita per effetto delle modifiche approvate in corso d'esame - del Ministro della gioventù, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
L'articolo 5 disciplina il registro delle comunità giovanili, configurando l'iscrizione in tale registro, istituito presso il Dipartimento della gioventù, come condizione necessaria per l'accesso delle medesime comunità ai benefici di cui all'articolo 3 del provvedimento e al Capo III della legge n. 383 del 2000. Vengono stabiliti alcuni requisiti necessari per l'iscrizione - a domanda - nel registro ed alcuni obblighi a carico delle comunità iscritte.
L'articolo 6 detta le disposizioni finali rimettendo ad un decreto del Ministro della gioventù, previa intesa acquisita in sede di Conferenza unificata, la definizione dei criteri di ripartizione e delle modalità di funzionamento del Fondo nazionale per le comunità giovanili e prevedendo la clausola di invarianza degli oneri finanziari. Nel corso dell'esame presso le Commissioni riunite è stata approvata una modifica relativa alla trasmissione annuale al Parlamento, dal Ministro della gioventù, di una relazione sullo stato di attuazione della legge.
Ricordo, infine, che sul disegno di legge n. 2505, come risultante dagli emendamenti approvati dalle Commissioni I e XII, sono stati espressi il parere favorevole con una osservazione della II Commissione (Giustizia), il parere favorevole con un'osservazione della XIII Commissione (Agricoltura), il parere con condizioni e osservazioni del Comitato per la legislazione nonché il parere contrario della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Le Commissioni VII (Cultura), X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell'Unione europea) hanno comunicato, per le vie brevi, che non avrebbero espresso il parere, mentre la V Commissione (Bilancio) si è riservata di esprimersi direttamente all'Assemblea.
Per quanto riguarda la valutazione contraria espressa dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali vorrei Pag. 5svolgere alcune brevi considerazioni, che potranno poi essere sviluppate nel prosieguo della discussione in Assemblea.
Circa il parere espresso dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, ricordo che, sulla scorta della costante giurisprudenza costituzionale sul nuovo Titolo V, il riparto di competenza legislativa tra Stato e regioni non avviene in base ad una distinzione rigida delle materie, con una netta e precisa separazione tra ambiti di competenza dello Stato e ambiti di competenza regionale, ma si basa un modello aperto, in cui non risulta possibile ricondurre sempre le singole discipline ad una specifica materia e risultano fondamentali i principi di sussidiarietà, adeguatezza e leale collaborazione.
Per questo appare riduttivo parlare di una materia delle «politiche giovanili» riconducibile alla competenza delle regioni.
La politica di sostegno alla gioventù costituisce piuttosto una politica di carattere trasversale, che interseca varie materie di competenza esclusiva, concorrente e residuale, e che trova il suo fondamento in principi fondamentali dell'ordinamento, sanciti dagli articoli 2, 3, e 31, secondo comma, della Costituzione, nonché, per ciò che riguarda l'associazionismo, dall'articolo 18.
Nel quadro mobile delle competenze del Titolo V, risulta dunque fondamentale l'individuazione di meccanismi di raccordo che consentano sia allo Stato sia alle regioni di esplicare pienamente il proprio ruolo, in un'ottica di proficua collaborazione.
Da questo punto di vista, il disegno di legge in esame realizza un ottimo punto di equilibrio tra gli interessi coinvolti, come del resto dimostra il parere favorevole espresso dalla Conferenza Stato-regioni. Laddove infatti è possibile individuare un profilo di competenza regionale, è sempre assicurato il coinvolgimento delle regioni. Ciò avviene, ad esempio, all'articolo 6, con la previsione dell'intesa con la Conferenza unificata per la gestione del Fondo nazionale delle comunità giovanili e con la piena partecipazione di rappresentanti delle autonomie territoriali nell'Osservatorio sulle comunità giovanili.
Del resto una disciplina del legislatore nazionale risulta imprescindibile, vertendosi, per alcuni aspetti di assoluta rilevanza, in ambiti riservati alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Mi riferisco in particolare alla previsione di una nuova forma di associazione - la comunità giovanile, appunto - che rientra a pieno titolo nella materia dell'ordinamento civile. Possono essere inoltre richiamate le disposizioni che estendono benefici di natura fiscale o riconoscono la legittimazione ad agire o intervenire in giudizio che sono ascritte alle materie «sistema tributario e contabile dello Stato» e «giurisdizione e norme processuali», entrambe di competenza esclusiva statale.
In ogni modo, vorrei sottolineare come vi è l'impegno delle relatrici affinché tutti i rilievi espressi dalle Commissioni in sede consultiva possano essere attentamente approfonditi e valutati nell'ambito del Comitato dei diciotto in modo che possano essere, per quanto possibile, recepiti. Al contempo, in tale sede potrà essere effettuato un ulteriore confronto sugli emendamenti formulati dai vari gruppi per risolvere alcune questioni ancora aperte.
L'auspicio è quello di poter giungere ad un testo quanto più possibile condiviso e ben articolato su un tema di grande rilievo, quale è quello della promozione delle forme di aggregazione giovanili.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, quello in esame è un provvedimento - del quale già alcune cose importanti ha detto il relatore - che nasce, come già abbiamo rilevato dal dibattito in Commissione, con una finalità certamente apprezzabile, ma che pone alcuni problemi di ordine generale sui quali già il dibattito svoltosi in Commissione si è soffermato e, Pag. 6credo, sia opportuno richiamare all'attenzione di quest'Assemblea. Esprimerò queste considerazioni in forma di dubbio, perché naturalmente di ciò si tratta al momento, ma sono dubbi che evidentemente possono avere una notevole consistenza, in relazione alla fisionomia dell'intervento.
Raramente si interviene su una materia così delicata come quella della libertà di associazione. La libertà di associazione è una delle libertà fondamentali e la Costituzione la fa oggetto di energica tutela. Come dice chiaramente l'articolo 18, primo comma, della Costituzione: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione (...)». Questo «senza autorizzazione» non è soltanto un dato burocratico, ma sta ad indicare che non vi può essere alcun tipo di sindacato da parte dello Stato che, in qualche modo, è comunità esterna rispetto a questi ordinamenti particolari, che sono richiamati in tutti i capisaldi della Costituzione. All'articolo 2 si parla infatti della persona e delle formazioni sociali e poi, via via, vi sono una serie di particolari associazioni che vengono fatte oggetto di un particolare tipo di intervento. Perciò, in relazione a questa natura, ogni intervento dello Stato si configura come un intervento estremamente delicato. Quindi, da questo punto di vista noi dobbiamo porci il problema.
Ricordo - lo ho già detto il relatore - che, a livello nazionale, già esistono due leggi importanti: una è la legge 11 agosto 1991, n. 266, cioè la legge quadro sul volontariato, che ha una grande portata e fa riferimento ad associazioni anche comprendenti al loro interno esclusivamente i giovani; l'altra è la legge 7 dicembre 2000, n. 383, concernente la disciplina delle associazioni di promozione sociale. Vi sono, inoltre, interventi che riguardano gli oratori ed altre forme associative; tuttavia, quello in esame è un intervento che, a mio avviso, si presta a considerazioni abbastanza significative sotto tre profili, che vorrei rapidamente riassumere.
Il primo profilo riguarda la competenza legislativa. Il relatore ha richiamato l'impostazione costituzionale ed il Titolo V, tuttavia, dobbiamo considerare che già nella scheda a nostra disposizione, da cui prendono le mosse i nostri lavori, si pone una riflessione: infatti, le politiche giovanili in quanto tali sono considerate una materia non rientrante nella competenza esclusiva dello Stato né in quella concorrente, bensì nella competenza residuale delle regioni.
Questo aspetto è molto delicato, perché il Titolo V nasce con un'idea molto precisa: proprio per garantire l'ordinamento regionale, in esso sono individuate tassativamente le materie di competenza dello Stato e quelle in cui vi è una competenza concorrente tra Stato e regioni, mentre tutte le altre materie - lo ripeto: tutte le altre - sono lasciate alla competenza, alcuni dicono residuale, altri dicono esclusiva, delle regioni.
Questa impostazione può essere certamente superata, individuando alcune materie di carattere trasversale (in altre occasioni, abbiamo parlato della cultura), tuttavia, in questo caso, è necessario procedere con grande attenzione. Infatti, quando la Corte costituzionale è intervenuta con riferimento ad una norma relativa alla legge finanziaria, che riguardava proprio questo argomento, si è espressa sostenendo che non è consentita, nelle materie riservate alla competenza esclusiva o concorrente delle regioni, l'istituzione di fondi speciali o, comunque, la destinazione in modo vincolato di risorse finanziarie, senza lasciare alle regioni e agli enti locali un qualsiasi spazio di manovra. Questo è quanto riportato nella sentenza della Corte costituzionale n. 118 del 2006, che ho citato rapidamente, ma che sarà bene considerare con attenzione. In questo caso, infatti, si parla di comunità, con riferimento alle quali si prevedono politiche, risorse e fondi, che vengono attribuiti, in parte, anche sulla base di scelte di carattere nazionale, o che vincolano il livello regionale.
Credo che questo primo rilievo ci debba preoccupare; del resto, non a caso, pesa come un macigno il parere negativo della Commissione bicamerale per le questioni regionali, deputata ad occuparsi di Pag. 7questo argomento: avendo visto il testo, essa ha affermato in maniera molto chiara, che qui si tocca una materia di competenza regionale. Quindi - e questo è il primo dubbio - stiamo attenti, perché il primo soggetto che sarà escluso dalla ripartizione dei fondi potrà sollevare queste questioni e, a tale proposito, un provvedimento di questo tipo non dà certezze.
Vorrei svolgere una seconda osservazione, assai più delicata, che riguarda la natura delle comunità in questione. Si parla, infatti, di comunità come associazioni e su questo non vi è il minimo dubbio: l'ho detto fin dall'inizio, che stiamo parlando della materia delle associazioni. Tuttavia, proprio perché si tratta di associazioni, sarebbe opportuno che, nell'intero provvedimento - come rilevava, durante il dibattito in Commissione, la collega Miotto - la reversibilità associazioni-comunità/comunità-associazioni fosse costantemente presente. In alcuni casi, infatti, si ha la sensazione che le comunità siano associazioni, ma che non tutte le associazioni siano comunità.
Questo può sembrare un gioco di parole, ma in realtà fa luce su un concetto decisivo: l'inquadramento. In altri termini, queste comunità sono soggetti, oppure sono luoghi, ambiti, spazi? Sono soggetti associativi o attività? Questo influisce notevolmente sull'inquadramento costituzionale ed anche su alcuni profili, ai quali vorrei ora accennare. Uno di questi è collegato all'articolo 5 del provvedimento in discussione, in cui, al secondo comma, si fa riferimento ad un aspetto, che era già stato sollevato nelle proposte emendative di alcuni colleghi, e che riguarda l'ordinamento interno delle associazioni in oggetto.
Nell'articolo 5, comma 2 - che è stato in parte ritoccato, in senso migliorativo naturalmente, ma ancora rimangono alcuni dubbi - si dice: «... prevedono nei propri statuti l'impegno degli associati a contrastare, all'interno della comunità giovanile, ogni sorta di discriminazione o di violenza, ovvero di promozione o di esercizio di attività illegali, nonché l'uso di sostanze stupefacenti o l'abuso di alcol». Niente da dire su quanto riguarda questi ultimi aspetti che riguardano attività legali poiché le associazioni non possono riunirsi per fini che sono vietati al singolo dalla legge penale, come recita chiaramente la Costituzione. Quello che invece può essere delicato è che una legge dello Stato, in qualche modo, pretenda di definire l'ordinamento interno delle associazioni. Quest'ultimo è toccato, a quanto mi risulta, da tre norme costituzionali: una è l'articolo 8 che riguarda le confessioni religiose dove è stabilito che esse hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. In questo caso, vi è un riferimento a un certo tipo di confessioni religiose, alla loro organizzazione e ai loro statuti interni. Vi è poi la norma che riguarda i partiti politici, l'articolo 49, dove si parla di metodo democratico, e poi vi è l'articolo 39 dove si dice che è condizione per la registrazione dei sindacati - ma la norma è rimasta parzialmente non attuata - che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. Questo aspetto, che invece la legge tocca e che sembra volere entrare nell'organizzazione interna della associazioni, è abbastanza delicato dal punto di vista costituzionale, è evidente infatti che ci si riunisce in ragione di una affinità: io mi associo con un altro perché ha la mia stessa affinità...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ROBERTO ZACCARIA. Chiedo scusa, signor Presidente mi deve dare ancora due minuti, quindi questo è un profilo molto delicato.
Vado rapidamente al terzo punto che tocco rapidissimamente però il titolo, voglio che sia chiaro, è la discrezionalità. Nella iscrizione ai registri, nell'attribuzione dei fondi, la discrezionalità dello Stato nei confronti di associazioni libere è un elemento difficilmente giustificabile. È chiaro che l'associazione a cui si danno dei soldi non si lamenterà, ma ci sarà qualche associazione a cui questi soldi non vengono dati, e allora quell'idea contenuta nel testo Pag. 8secondo cui un organo pubblico si avvale di associazioni può anche essere accettabile ma a condizione che sia molto chiaro e non equivoco il riferimento: di quali si avvale, di quelle iscritte nel registro? Di altre, quelle che sceglie discrezionalmente? Questo elemento deve essere indicato con grande chiarezza perché discrezionalità e libertà associativa sono due concetti molto delicati da mettere insieme. Invito quindi i colleghi che interverranno su questi argomenti ad approfondire questi temi perché se li approfondiremo tra di noi, con i relatori e con il Governo forse faremo un passo in avanti, altrimenti rischieremo di farne uno indietro (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Zaccaria.
È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, questo disegno di legge esprime prima di tutto una premessa importante: abbiamo bisogno di giovani ben formati in una società che invecchia. I giovani sono da sempre il segno visibile della speranza nel futuro di una famiglia e di un Paese e ci addolora constatare come il nostro Paese stia invecchiando e abbia smesso di credere nella sua storia e nelle sue tradizioni, nella forza creativa della sua intelligenza e della sua generosità e non senta più l'urgenza di trasmettere i suoi valori alle generazioni future.
I recenti mondiali di calcio sono una metafora significativa della pesante sconfitta a cui va incontro un allenatore che non crede nei giovani, nel loro vigore fisico, nella loro passione sportiva e nella loro creatività non del tutto appiattita su schemi pregressi e facilmente espugnabili.
La premessa essenziale nell'analisi di questo disegno di legge sulle comunità giovanili è la presa di coscienza chiara e netta che siamo noi adulti ad avere bisogno dei giovani, non meno di quanto siano i giovani ad avere bisogno di noi. Su questa relazione di reciprocità si fonda il patto intergenerazionale tra giovani ed adulti: un patto che trasforma ogni debito potenziale in una relazione di investimento e ogni debito contratto in un gesto di gratitudine forte e dichiarata.
Investire sui giovani non è solo un gesto di generosità e di magnanimità, è un fatto di giustizia e di lungimiranza, è un modo di passare il testimone ad una generazione che speriamo possa essere migliore della nostra. Quando si avverte la propria vita come significativa, allora si diventa capaci di costruire qualcosa di inconfondibile e originale, in cui si riflette e si esprime liberamente la propria personalità, invece che in contesti anonimi e conformisti, appiattiti su standard comportamentali privi di valori e di idealità, in cui tutto è relativo ed è spesso inibito nelle sue manifestazioni interiori per quella «coazione a ripetere» che spinge ad uniformarsi e ad essere ripetitivi.
In un Paese che invecchia, i giovani sono ancora più preziosi e rappresentano un capitale umano che va coltivato con somma premura, offrendo loro le migliori opportunità per sviluppare talenti e capacità. Quindi, di un disegno di legge a favore delle comunità giovanili c'era bisogno nel nostro Paese, ma non di un disegno di legge qualsiasi.
Proprio perché destinato a loro - ossia, ai giovani che per tutti noi sono un segno di speranza - è necessario che il disegno di legge abbia caratteristiche ben precise e renda possibile il raggiungimento di tre obiettivi forti: favorire il massimo sviluppo di capacità, valori e apertura verso gli altri; aiutare i giovani a gestire la propria libertà in senso creativo e responsabile; strutturare, attraverso questo disegno di legge, un giusto approccio contestualmente meritocratico e solidale.
Per questo motivo, il disegno di legge deve garantire tutte le comunità giovanili che si ispirano a questi criteri (equità), deve investire maggiormente su quelle che garantiscono prima, più e meglio il raggiungimento di questi valori (efficacia), in quanto esercita un'indiretta capacità di modellizzazione sulle altre comunità grazie ad un'alta qualità sul piano formativo Pag. 9(efficienza): dunque, equità, efficacia ed efficienza sono i parametri di riferimento di un disegno di legge che può davvero guardare oltre le difficoltà con cui si confronta oggi la nostra emergenza educativa.
«Decisiva per l'avvenire delle future generazioni è poi la 'sfida educativa' che attende famiglie ed educatori di oggi: tema che viaggia con la vita delle persone, con i loro comportamenti, con le reazioni che suscitano negli altri»: così recita la lettera di Benedetto XVI alla diocesi di Roma del gennaio passato, sul compito urgente dell'educazione come chiamata che interpella tutti. Tra i primi destinatari non vi sono solo le famiglie con le loro inquietudini e incertezze, dal momento che ci troviamo in una fase critica della stabilità e della tenuta della struttura familiare.
Il problema della formazione dei giovani oggi passa per una drammatica presa d'atto - l'evidenza di un profondo insuccesso dei modelli attuali - e richiede un antidoto di sicura efficacia, ossia riconquistare la fiducia dei più giovani, sapendoli educare alla libertà, con un'avvertenza decisiva: la libertà di ciascuno è sempre nuova, perché resta un fatto personale indelegabile.
Ciascuna generazione e ciascuna persona deve scegliere sempre di nuovo i valori a cui riferirsi, formulando questa scelta in modo consapevole. In questi decenni, però, l'educazione alle libertà è incorsa in un grande equivoco e di fatto è stata interpretata come dovere di non intervenire e, in definitiva, di non educare. Di questo soffre la nostra società, poiché sperimenta di giorno in giorno il disorientamento e la solitudine dei giovani davanti alla sfida educativa.
Nella sua lettera, Benedetto XVI continua dicendo: «la sfida che oggi ci interpella come genitori e come educatori è quella di abbandonare l'alibi dell'ineluttabile inadeguatezza nel trasmettere il senso più profondo della responsabilità, del rispetto umano, dell'educazione al bene comune». Occorre, dunque, intervenire. Ma come? Forse, soltanto forse, una risposta potrebbe venire proprio dalla creazione di comunità giovanili caratterizzate da una forte tensione etica, la quale si esprima in una solidarietà che si fa fraternità, in un impegno si fa competenza, in una responsabilità che si fa servizio.
Libertà e responsabilità sono sempre indissolubilmente legate tra di loro, ma vanno orientate. Per questo motivo, il tema più qualificante dell'intervento nella sfida educativa non può che essere quello di offrire un modello incarnato nel comportamento, nella tensione morale, nella fatica quotidiana del dialogo educativo e nella spiegazione delle ragioni del proprio agire: è un atto di fiducia responsabile che mette nelle mani dei giovani una bussola precisa che consente di orientarsi per trovare la propria strada.
Questo disegno di legge obbliga a riflettere seriamente sul mondo degli educatori, partendo non solo dai due contesti fondamentali (famiglia e scuola), ma includendo tutte quelle realtà formative che vanno dagli oratori ai centri sportivi, dai club dove si fa musica e teatro a tutte le forme associative come lo scautismo, per citarne solo una ma non certamente l'unica.
In questo crogiolo di iniziative formative i giovani impareranno a sviluppare talento e capacità per poi diventare responsabilmente autonomi nella conduzione e nella gestione delle loro comunità giovanili.
Vorrei qui ricollegarmi alla distinzione fatta dal collega che mi ha preceduto tra associazioni e comunità educative: ritengo che le associazioni costituiscano, davvero, il contesto della formazione da cui ricavare quella sorta di alfabetizzazione di valori che poi - nel momento di strutturarsi in comunità giovanile e di assumere autonomamente e responsabilmente la guida di queste comunità - si traduce davvero in risultati positivi di crescita e di sviluppo di capacità personali.
Non possiamo dimenticare che, a torto o a ragione, le comunità giovanili guarderanno al mondo degli adulti come modello di riferimento e, se vogliamo che funzionino bene, nel senso che abbiano il bene comune come fine, è necessario mettere mano Pag. 10a tante sacche di corruzione che intossicano il nostro Paese. Occorre, inoltre, rilanciare modelli organizzativi che riflettano una maggiore tensione etica e valorizzare leader che siano testimoni vivi di una visione diversa della nostra società: più aperta ai valori, decisamente meritocratica nelle sue scelte e capace di riconoscere i livelli di competenza reale senza confonderli con gli spot fumosi di una cultura dell'immagine. In altri termini, serve mettere in pista un nuovo circolo virtuoso che spazzi via l'attuale.
Il disegno di legge che stiamo esaminando esordisce così all'articolo 1: «La Repubblica riconosce il valore sociale delle comunità giovanili, strumento di crescita civile e culturale della popolazione giovanile, espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, nonché veicolo di promozione, creatività e integrazione sociale». Suo obiettivo è quello di promuovere la nascita di nuove comunità giovanili, consolidare e rafforzare quelle già esistenti per incentivare e valorizzare il protagonismo giovanile e creare le condizioni che consentano di attivare spazi di aggregazione in cui i giovani possono coltivare in modo organizzato interessi culturali, artistici, sportivi e sociali. Ipotesi di partenza è che l'organizzazione della vita associativa, come esperienza comunitaria, favorisca la maturazione della personalità.
Il disegno di legge insiste frequentemente sul termine «comunità giovanile» che, peraltro, dà il nome all'intero disegno di legge, mostrando di voler valorizzare, soprattutto, il rapporto che lega i giovani tra di loro, puntando sulla valenza formativa che assume la trasmissione di esperienze quando questa avviene con uno stesso linguaggio, e diventa così possibile capirsi a partire dagli stessi vissuti, dalle stesse aspirazioni, ma anche dalle stesse difficoltà.
Nelle comunità giovanili, una comunicazione empatica consente di attivare una sorta di cortocircuiti che velocizzano la trasmissione dei bisogni e permettono di porsi in sintonia con l'altro, senza inutili giri di parole e senza ricorrere a complesse e artificiose argomentazioni. Ci si capisce perché si appartiene allo stesso universo, e ci si pone in relazione di aiuto reciproco perché si condividono le stesse angosce ma, nel senso tempo, ci si rende conto di come sia difficile soddisfare contemporaneamente due bisogni di pari intensità e di differente segno: da un lato il bisogno di appartenenza reciproca, quello spirito di corpo che genera una solidarietà straordinaria, dall'altro il bisogno di competizione, la voglia di vincere e di stravincere con l'oscura necessità di sentirsi più forte e, per questo, disposti a spingere la competizione anche oltre il livello delle prestazioni richieste.
Una comunità giovanile ben impostata dovrebbe riuscire ad offrire tutte le possibili esperienze di solidarietà e di collaborazione aiutando a controllare e disciplinare quella aggressività latente in ogni giovane perché non si trasformi mai né in bullismo né in violenza.
Vale la pena, quindi, ricordare che le parole chiave di questo primo articolo sono: partecipazione, solidarietà e pluralismo, nonché veicolo di promozione, creatività e integrità sociale.
Certamente, diventa interessante per noi riflettere sui criteri di inclusione e di esclusione che permetteranno ad alcune comunità di essere iscritte nei registri delle comunità giovanili: potremmo dire che sono tre «sì» e tre «no».
L'obiettivo di queste comunità dovrebbe essere quello di innescare dinamiche di empowerment, che consentano di sottrarre i giovani ai rischi che derivano dalla loro cronica insicurezza personale che non facilità certo lo sviluppo della loro autostima. Nello stesso tempo dovrebbero contribuire a rimuovere quel senso di noia e di stanchezza che scaturiscono davanti a modelli educativi stantii e superati. Ed è in un contesto con queste caratteristiche che possono emergere nuove forme di leadership, proprio quelle di cui ha bisogno la nostra società quando immagina e progetta un cambio di leadership a livello generazionale. Un leader, per essere tale, ha bisogno di un determinato mix di qualità che lo rendano uguale e diverso dagli altri. Deve avere una sua creatività Pag. 11specifica ma poi ha bisogno che il gruppo lo riconosca e si identifichi con lui. Ma quello che ci sembra interessante, oltre a questa dimensione, è il fatto che sia un laboratorio di creatività a livello personale e sociale, laboratorio che trae dall'agire creativo la sua forza morale e il suo spessore intellettuale, perché in un clima emotivamente positivo ognuno si sente impegnato nel proprio processo di realizzazione grazie alla collaborazione degli altri.
Ci interessa anche sottolineare, come prerequisito per essere inseriti in questo registro previsto dal disegno di legge, che sia importante la dimensione delle modalità elettive di tipo democratico, lo stile democratico della vita del gruppo e l'assenza totale di discriminazione. Su questo aspetto - l'assenza totale di discriminazione - mi piace, però, pensare che stia sostanzialmente nella capacità di accoglienza e di valorizzazione di ognuno dei giovani nella sua specificità e nella sua originalità, accettando che a talenti e a interessi diversi possano corrispondere soluzioni e proposte diverse.
Una riflessione ulteriore va posta poi a livello di assegnazione delle risorse alle diverse comunità e alla non discriminazione da parte degli adulti nei loro confronti. Questo fatto potrebbe essere un rischio per questo provvedimento. Infatti, i giovani hanno da sempre un forte bisogno di giustizia e una lucida capacità di cogliere le discriminazioni che vengono fatte nei loro confronti. Ora se un disegno di legge, che si propone di implementare i livelli di democraticità di un gruppo, dovesse consentire poi forme di discriminazioni tra i gruppi sarebbe molto grave, perché genererebbe nei giovani, fin dalle prime battute del loro impegno nel sociale, la convinzione che ci si trovi in un sistema fatto di privilegi e di raccomandazioni, in cui il merito conta poco mentre il criterio di riferimento è quello dell'appartenenza.
Vigilare perché non si dia discriminazione fra le stesse comunità giovanili diventa allora essenziale nello spirito di questo disegno di legge e definire, con la massima chiarezza, i criteri di riferimento per accedere alle risorse disponibili, soprattutto in tempo di crisi, diventa un elemento qualificante di educazione democratica fondata sul merito.
Accanto a queste tre qualità positive di appartenenza, come la partecipazione, la democraticità e lo sviluppo delle capacità di risolvere i problemi, appare importante sottolineare il fronte dei no, espresso dall'articolo 5 del disegno di legge, e volto a contrastare all'interno della comunità giovanili ogni forma di violenza, l'esercizio di attività illegali, l'uso di sostanze stupefacenti e l'abuso di alcol.
Il no alla droga, però, va puntualizzato in maniera molto chiara e deve includere tutti i tipi di droga e tutte le loro forme possibili di assunzione, così come va tenuto ben presente che intorno a queste comunità giovanili si deve esercitare un forte controllo perché non sia permesso ad alcun tipo di spacciatore di avvicinarsi. La vera domanda che oggi occorre porsi in modo molto lucido, senza cedere a pregiudizi ma neppure a vecchie ideologie, è questa: cosa sono le dipendenze? Quando quella che sembrava un'innocua abitudine diventa una dipendenza?
Il tema delle dipendenze è un tema che tocca tutti in prima persona, perché è legato alla ricerca del piacere e della felicità. Presi, come siamo, nel vortice degli avvenimenti o semplicemente occupati nelle nostre abitudini, raramente dedichiamo del tempo a riflettere su come viviamo, sui nostri desideri e sulle nostre paure. Per dipendenza si intende un'alterazione del comportamento che da semplice e comune abitudine diventa una ricerca esagerata e patologica del piacere, attraverso mezzi, sostanze o comportamenti, che sfocia in una condizione patologica, perché la persona dipendente perde ogni possibilità di controllo sulle abitudini. Essere dipendenti da qualcosa, da una sostanza o da un'attività, porta con sé una limitazione della propria libertà e della propria capacità di scelta. Riacquistare indipendenza e autonomia necessita una consapevolezza, una volontà e un'autostima che possiamo coltivare. Pag. 12
L'attuale diffusione delle droghe, cominciando da quelle cosiddette leggere e includendo quelle sintetiche e quelle cosiddette pesanti, rende però difficile una selezione previa, che escluda ragazzi che ne abbiamo fatto o ne stiano facendo uso. Ma su questo tema educativo è fondamentale però riflettere e ragionare, tenendo conto che oggi si stanno diffondendo anche nuove forme di dipendenza. Penso, per esempio, ai videogiochi, alla dipendenza da Internet, per cui addirittura è stata coniata una nuova sigla patologica: la Internet addiction disorder.
È un termine piuttosto vago che copre un'ampia varietà di comportamenti e problemi di controllo degli impulsi. La dipendenza da Internet e da videogames è una possibile new entry nella prossima edizione del manuale diagnostico e statistico degli studi mentali ed equivale ad una nuova malattia mentale, per questo dobbiamo riuscire a escluderla in maniera radicale dalla presenza di queste comunità giovanili.
Un altro punto che il disegno di legge tocca è il tema dell'età: giovani sino a quando? Un interessante criterio di appartenenza alle comunità giovanili è quello dell'età. Abitualmente l'età massima è rappresentata dai trent'anni, che possono arrivare a trentacinque anni in alcuni casi concreti, così recita il disegno di legge.
A noi sembra che trent'anni siano un valore massimo per queste comunità giovanili, soprattutto se si vogliono tener presenti due obiettivi importanti. Da un lato, il desiderio di rendere più omogeneo possibile questo universo giovanile, aiutandolo a sviluppare capacità e competenze che rendano realizzabile l'autogoverno. Per questo una filiera corta che rende la cinghia di trasmissione dei criteri e delle indicazioni il più breve e il più omogenea possibile è la migliore soluzione anche in termini di linguaggi, di modelli e stili di vita. D'altra parte, tenendo conto degli standard attuali è possibile che un giovane a trent'anni non sia ancora sposato, non abbia figli e probabilmente egli è ancora in famiglia in condizione di precario, mentre a 35 anni è auspicabile che debba essere spostato, avere un primo figlio e tutti ci augureremmo che avesse superato la fase del precariato, per cui a tutti gli effetti dovrebbe essere entrato in quello che consideriamo il mondo degli adulti.
È vero che ci sono antiche e consolidate associazioni giovanili, prima fra tutte lo scautismo, in cui spesso la struttura organizzativa, pur prevedendo ampi spazi di autonomia e di responsabilità anche per i giovanissimi, per le figure apicali prevede persone di età maggiore ai trent'anni. In questi casi si potrebbe immaginare una comunità giovanile a stazioni, per cui il disegno di legge potrebbe interessare solo la base, quella in cui c'è una maggiore partecipazione e una diffusione più capillare sul territorio, distinguendola bene da altre attività, come sono ad esempio le scuole capi con i loro specifici campi scuola e le loro attività di formazione permanente.
Ma il tema dell'età nelle comunità giovanili riflette un atteggiamento molto frequente soprattutto nelle società che invecchiano e potremmo definire un inutile accanimento pedagogico quello che vorrebbe proteggere i giovani fino a non riconoscerne mai il momento in cui diventano adulti, proteggerli da se stessi oltre che proteggerli da pericoli esterni di vario tipo.
Per non farli sbagliare, commettiamo l'errore peggiore che si possa commettere in campo educativo, ossia impediamo loro di crescere condannandoli a un infantilismo irresponsabile in cui l'unica logica che si coglie è quella di una illogica capricciosità che crede che tutto sia permesso e soprattutto che pretende tutto come qualcosa di dovuto.
Vale quindi la pena immaginare queste comunità giovanili come i luoghi in cui i giovani possono anche commettere degli errori per avere l'opportunità di rifletterci su, di rielaborarli e di correggerli. L'errore che scaturisce dall'inesperienza, l'errore proprio di chi si cimenta con esperienze nuove non è una colpa, ma è una modalità di apprendimento. Infatti, se considerassimo l'errore come una colpa, quando questo accade, ed è inevitabile che prima Pag. 13o poi nella vita accada, per chi lo commette l'unico apprendimento possibile, tacito e nascosto sarebbe la vergogna, la negazione e l'occultamento.
Se l'errore è ineliminabile e se l'esperienza dell'errore è universale, l'errore va innanzitutto accolto e incorporato tra i fattori di cui tener conto nelle decisioni che si prendono. In campo formativo vanno assunte due posizioni: non solo non si conosce contro l'errore ma con l'errore, altrettanto non si decide contro l'errore ma con l'errore. Ciò naturalmente non serve per giustificare a posteriori l'errore, ma per incorporarlo a priori nella decisione assumendolo come possibilità.
Lo scopo è quello di permettere a queste comunità giovanili di essere autenticamente giovani, ben sapendo che se non ci si può aspettare che nelle loro decisioni non siedano errori, non si può neppure lasciare che prevalga una casualità irresponsabile.
Il riferimento ai trent'anni come età massima nasce dalla convinzione che a questa età si sia elaborata la convinzione che le decisioni vanno prese alla luce di una razionalità consapevolmente limitata che sappia di dover incorporare nella decisione l'errore potenziale e su questa base vanno previste le conseguenze che potrebbero derivarne. C'è in questa pedagogia un duplice capovolgimento metodologico.
Un'ulteriore riflessione va fatta sui luoghi delle comunità giovanili. Il disegno di legge in discussione prevede anche che con una convenzione opportuna possano essere messi a disposizione di queste comunità edifici e strutture pubbliche riadattate per adeguarle ai fini istituzionali delle comunità giovanili.
Le comunità giovanili godono di particolari facilitazioni in termini di agevolazioni fiscali, hanno una disciplina agevolata in termini di deducibilità e detraibilità delle imposte sui redditi per tutte le erogazioni liberali che ricevono. Questi due aspetti vanno tenuti attentamente sotto controllo per evitare due rischi di segno opposto: da un lato quello che un'eccessiva semplificazione nella valutazione delle strutture potrebbe mettere i ragazzi in condizioni di non piena sicurezza; dall'altro quello che tutte queste agevolazioni fiscali possano indurre qualcuno a forme di speculazione che vanno rigorosamente proibite.
Se si perde di vista che l'obiettivo della legge è favorire il formarsi di comunità giovanili come esperienza concreta per un pieno sviluppo di capacità sul piano della socializzazione, dell'organizzazione e dell'autonomia nelle decisioni, è facile incorrere in errori strategici e in una manipolazione del senso e dello spirito della legge, strumentalizzando i giovani e utilizzando le risorse a loro destinate in modo distorto. Ma ciò su cui oggi è più importante riflettere - a proposto di luoghi - sono i cosiddetti non luoghi formativi delle comunità giovanili, perché non si sente affatto bisogno di creare potenziali luoghi di non formazione.
Mi riferisco a quegli spazi a prevalente o perfino esclusiva valenza ludica, in cui potrebbe essere vanificato lo stesso impianto della legge attuale. Si tratta di luoghi in cui affiora più la tendenza al disimpegno dei giovani che non il desiderio di caratterizzare il loro stile di vita in modo positivo e costruttivo. Noi adulti, consapevoli dei nostri limiti, delle nostre sconfitte e dei nostri fallimenti, guardiamo ai giovani anche con una nostra possibilità di riscatto, ad un modo nuovo e diverso di ricostruire un'identità nazionale liberandola dalle scorie della cialtroneria, del pressappochismo e della corruzione in tutte le sue forme.
Per questo sentiamo il bisogno di investire su di loro creando spazi e contenuti di valore, ma come c'è un'ecologia ambientale che rende più vivibili certe atmosfere, c'è anche un'ecologia umana in cui la dimensione relazionale si ispira a nuove forme di solidarietà animate da una relazione di aiuto consapevole e maturo. È un criterio, quindi, di cui tenere conto al momento di stipulare le eventuali convenzioni con strutture pubbliche per cedere a condizioni agevolate immobili e strutture che consentano ai giovani di esprimere se stessi e le loro aspirazioni. Pag. 14
Non si tratta di offrire l'opportunità di divertirsi a buon mercato e lontano dallo sguardo degli adulti, ma piuttosto di aiutare a mettersi in gioco per vincere una sfida competitiva con la generazione che li ha preceduti: quella di rendere questa nostra società un po' migliore rispetto a come l'hanno trovata.
Rispetto poi ai due strumenti previsti dalla legge (l'osservatorio e il registro), vorrei commentare due cose. Il disegno di legge prevede l'istituzione di un osservatorio finanziato con il 10 per cento dei fondi stanziati dalla legge per le comunità giovanili composto in caratteristiche che sono abbastanza bene descritte. Il tema vero, però, è un obiettivo importante in cui si intrecciano gli obiettivi volti a raccogliere dati sullo stato delle comunità con quelli che progettano e programmano iniziative di formazione e quelli che, invece, si interfacciano con il mondo della comunicazione a tre livelli: una relazione biennale, una conferenza annuale, un bollettino periodico.
Si tratta di obiettivi che richiedono competenze diverse e che speriamo che non assorbano eccessive risorse per evitare che si parli molto di giovani, senza però né parlare con loro, né farli parlare molto, come dovrebbe essere previsto da questo disegno di legge.
Il registro - mi avvio alla chiusura - istituito presso il dipartimento merita qualche parola di approfondimento, dal momento che è indispensabile esservi iscritti per poter accedere ai contributi statali. L'approvazione dello statuto è un prerequisito di garanzia che dovrebbe permettere di avere ben chiari i fini che l'associazione persegue, ma che ben poco dice della vita reale dell'associazione stessa. Sarebbe bene che le comunità iscritte al registro inviassero periodicamente una relazione delle attività svolte per verificare che gli impegni e le intenzioni presenti nei documenti iniziali al tempo della loro fondazione siano mantenute e le comunità non perdano il senso della loro mission iniziale.
Fatta salva la loro libertà di caratterizzarsi nel modo preferito, è necessario che tra gli obiettivi segnalati, le attività scelte e i risultati ottenuti ci sia corrispondenza, perché è anche in questa coerenza istituzionale che si esprime la dimensione etica di ogni comunità giovanile, liberi di scegliere il modello a cui vogliono ispirarsi, ma poi impegnati a realizzarlo. Per questo, il registro diventa una realtà dinamica con cui le diverse comunità possono dialogare costruttivamente anche per eventuali modifiche di statuto, sapendosi però sempre impegnati a muoversi entro i confini da loro stessi marcati.
I fondi messi a disposizione del dipartimento sono complessivamente ripartiti come si è appena detto. Quello che ci preme però è che quel 70 per cento cui si fa riferimento sia realmente posto a sostegno delle iniziative, dei programmi e dei progetti delle comunità. È sull'assegnazione di queste risorse che il mondo degli adulti offrirà una verifica concreta del suo impegno a garantire la qualità delle diverse comunità evitando quelle logiche clientelari che già alcuni sembrano temere. È per questo che auspichiamo che si creino concreti strumenti di garanzia (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzitutto ringraziare il Ministro Meloni per aver presentato un provvedimento che «parla» di giovani o, meglio, che parla, nella vita concreta, del tema vero dei giovani, non tanto nei salotti televisivi o nei dibattiti culturali, ma nell'aspetto concreto della vita di ogni giorno.
Poiché credo che una legge necessariamente debba rispondere ad un'esigenza, considerato che già i colleghi hanno illustrato precedentemente, in maniera abbastanza approfondita, il provvedimento, mi permetto di raccontare in modo molto breve la mia personale esperienza.
Io arrivo da un territorio difficile, la Calabria, in cui si investe in educazione alla legalità nelle scuole e in misure di questo genere, ma in cui sussiste un dato: i ragazzi sono abbandonati. Al di là della Pag. 15famiglia e dell'orario scolastico, non esiste alcuna misura, alcuno strumento o alcun luogo che permetta loro di incontrarsi, di parlare e di crescere. Insieme ai sindaci del territorio, avevamo costruito, utilizzando i fondi del Programma operativo nazionale per la sicurezza, una rete di centri di aggregazione giovanile, mesi in rete tra di loro ed informatizzati, proprio per dare una risposta a questa esigenza.
Ho portato questa esperienza proprio per dimostrare che abbiamo dovuto rispondere a un'esigenza effettiva in territori difficili, tramite uno strumento che sicuramente non era quello immediato, trattandosi di uno strumento «forzato» verso quell'esigenza.
Il punto su cui vorrei tornare, però, riguarda il fatto che ci occupiamo quasi sempre del giovane caduto nella droga e nella criminalità, ossia del giovane che ha già deviato. Il tema vero da affrontare e sul quale non diamo una risposta - credo che il Ministro Meloni vorrà fornire una risposta in merito - è questo: qual è lo strumento di prevenzione che sta al di là di quell'area? Questo è l'aspetto che uno Stato deve porsi anzitutto come obiettivo.
Durante la discussione ho apprezzato molto l'apporto di tutte le componenti politiche, come è avvenuto già oggi, con l'atteggiamento molto costruttivo tanto della collega Binetti quanto del collega Zaccaria: credo che su questi temi la demagogia debba avere poco agio e la speculazione politica non dovrebbe trovare spazio. Mi dispiace quando essa trova spazio, perché si presta esclusivamente a fare un gioco negativo nei confronti di chi, alla fine, ne paga di più le conseguenze, ossia i giovani.
Mi permetto di affermare ciò perché ho letto con dispiacere una nota della collega Picierno, che critica pesantemente questo provvedimento. Le consiglio di fare riferimento agli uffici del Partito Democratico, che notoriamente sono estremamente efficienti: se lo avesse fatto, avrebbe saputo che il disegno di legge in esame non è stato affrontato da una sola Commissione, ma è stato affrontato sia dalla Commissione affari costituzionali sia dalla Commissione affari sociali e che, nelle Commissioni stesse, i colleghi del Partito Democratico hanno discusso e formulato proposte e, soprattutto, hanno posto temi di discussione. Contrariamente a quanto afferma la collega Picierno, secondo la quale non sarebbero state svolte audizioni, credo che la lista delle audizioni fatte, già elencata dal relatore e che mi permetto di non ripetere, evidenzi la loro importanza.
Ho citato questa dichiarazione non al fine di polemica politica, ma per riconoscere - perché è giusto riconoscere - chi, realmente, in questo Parlamento, al di là del presentatore, si impegna a far sì che un provvedimento possa essere approvato nel migliore dei modi e possa soddisfare un'esigenza reale rispetto alla contrapposizione sterile ed inutile.
Il Ministro Meloni ha già dato ampia disponibilità ad una discussione che sarà ancora approfondita in sede di Comitato dei diciotto. Credo che, attraverso questo provvedimento, che predispone uno strumento che non esiste, dovremmo sforzarci tutti, evidentemente, di distinguere il semplice concetto di associazionismo da quello di comunità. Tali concetti possono essere anche sovrapposti, ma sono cose diverse, che comunque devono risultare tra loro ben distinte.
Voglio ancora soffermarmi soltanto su un riferimento del collega Zaccaria che non ho ben compreso, concernente la libertà di associazione. Infatti, se è ovvio che la libertà di associazione è assolutamente garantita, è altrettanto ovvio che qualsiasi associazione che vuole far riferimento a fondi pubblici ha la necessità di partecipare ad un riconoscimento, di rispondere a determinati requisiti e ad un elenco. Tutto questo è evidente e credo che la trasparenza nella gestione e i risultati che ne conseguiranno costituiscano un interesse tanto di questo Governo e del Ministro Meloni, quanto di tutto il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

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CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, questo provvedimento vede il gruppo dell'Italia dei Valori un po' perplesso. Infatti, se, da una parte, è apprezzabile l'attenzione verso il tema delle politiche giovanili, dell'integrazione e della migliore partecipazione di questi cittadini «in erba», che in qualche modo devono certamente essere accompagnati e supportati affinché le loro capacità, le loro aspirazioni, le loro problematicità possano essere sostenute e agevolate nella migliore delle politiche, dall'altra parte, c'è una sorta di criticità sia di metodo che di contenuti - che andremo poi ad esaminare partitamente - nel disegno di legge in discussione.
L'Italia - voglio ricordarlo - era uno dei pochi Paesi dell'Unione europea in cui, fino al 2006, non si era definita una politica giovanile a livello centrale: non c'era un'istituzione di coordinamento delle politiche giovanili, ma c'erano delle competenze distribuite tra diversi Ministeri, quello del lavoro e della previdenza sociale, dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, degli affari esteri e dell'interno. Mancava, quindi, una sorta di centro pensante e pulsante, per quanto riguardava la politica di settore.
La carenza di un quadro legislativo di riferimento nazionale ha fatto in modo che si attivassero degli interventi frazionati, legati spesso alla sensibilità e alla disponibilità di varie figure tecniche e politiche, che hanno portato ad operare in questo settore, sulla spinta di sensibilità particolari.
Il «Progetto giovani» ha rappresentato poi un banco di prova molto importante sia nelle politiche regionali che nelle politiche degli amministratori locali, ossia dei Comuni. Infatti, sono state predisposte delle risorse finalizzate a questo scopo, che sono state poi trasferite agli enti locali con gli accordi di programma, di cui anche il Ministero per le politiche giovanili è stato protagonista.
Non c'è dubbio che il Ministro Meloni - anche per la sua storia personale - sia particolarmente sensibile a queste tematiche. A lei va l'apprezzamento del nostro gruppo per la buona fede con cui ha approcciato questa materia. Tuttavia, certamente - a nostro giudizio - il tema è stato abbozzato con eccessiva accelerazione e forse con un po' di approssimazione.
Mi spiego: questo progetto di legge è stato, di fatto, presentato alla Camera un anno fa; poi è stato dimenticato per circa otto mesi ed esaminato solo in due sedute in sede referente, che si sono svolte nel febbraio del 2010.
Dopodiché c'è stata questa accelerazione inspiegabile da parte della maggioranza parlamentare, con il consenso del Governo, che ha deciso di portarlo in Assemblea per la sua approvazione dopo sole cinque sedute in sede referente (due nel febbraio scorso e tre in questo mese di giugno), in pratica senza alcuno straccio di dibattito e di approfondimento serio sul merito del provvedimento, che - voglio ricordarlo - è un provvedimento di per sé importante per la materia che tratta e che meriterebbe maggiore approfondimento e partecipazione nel dibattito in Commissione e in Assemblea.
Quello che ci lascia perplessi è questa accelerazione, che è stata tipica di tutte quelle leggi ad personam di cui questo Governo si è reso protagonista. Non vorrei che anche in questa logica si nascondesse una seconda finalità, magari tra le righe di questo provvedimento. Effettivamente, alcune criticità appaiano ictu oculi perché, per esempio, c'è una discrasia che si appalesa nella lettura della relazione tecnica al provvedimento e nell'articolato che stiamo esaminando.
In particolare, voglio ricordare come nella relazione si parla, con riferimento all'articolo 3, della possibilità di finanziamento a carico del fondo per le comunità giovanili di immobili pubblici e privati da destinare alle medesime comunità. Qui, da una parte, con riferimento agli immobili di proprietà privata, nel disegno di legge è previsto un finanziamento anche di interventi volti al loro recupero e al loro riadattamento, quindi sostanzialmente la possibilità di ristrutturare immobili privati con Pag. 17denaro pubblico, quando invece la relazione tecnica fa esclusivamente riferimento a finanziamenti finalizzati all'abbattimento dei canoni. Anche qui non si capisce quale coordinamento vi sia tra la relazione illustrativa e l'articolato.
Così come mi pare importante il rilievo della Commissione per le questioni regionali, la quale ha espresso un lapidario parere contrario sottolineando che il tema delle politiche giovanili sia affidato alla competenza legislativa delle regioni.
Nelle parole del presidente Bruno ho sentito una obiezione su questa ritenuta esclusione di competenza statale sul tema delle politiche giovanili, così come ho anche apprezzato i rilievi dell'onorevole Zaccaria, che, nello specifico, ha rimarcato come questa competenza residuale o esclusiva che viene dal nuovo Titolo V della Costituzione assegni alle regioni il tema delle politiche giovanili. Ciò anche perché, sotto un profilo di merito e di opportunità, nella logica della sussidiarietà invocata dall'onorevole Bruno, non mi pare che a livello di politiche giovanili sia più funzionale un approccio centrale e statalista rispetto a quello diffuso e più vicino alle comunità locali, tipico delle regioni, delle province e dei comuni.
Nella stessa logica mi pare si collochi anche l'ipotesi di prevedere di catalogare in un registro le associazioni, che in qualche modo debbono introdurre nello statuto alcuni canoni che sono anche piuttosto scontati e quasi pleonastici. Lo ricordava l'onorevole Zaccaria: che senso ha stabilire per legge che queste associazioni nello statuto debbano precisare di non avere come finalità il perseguimento di scopi illegali, cioè che non devono promuovere o esercitare attività illegali, nonché usare sostanze stupefacenti o fare abuso di alcol? Questi sono già precetti penali, in base ai quali sarebbe vietata la costituzione di un'associazione che abbia per finalità questo tipo di attività. Pertanto, mi pare pleonastico prevedere l'ipotesi positiva, quando c'è già un precetto penale che di questi comportamenti sanziona le condotte.
Se è vero che la Costituzione riconosce un libero diritto di associazione, a condizione che quello che è consentito al singolo possa essere consentito anche all'associazione, il prevedere siffatti divieti mi pare pletorico e tautologico.
Così pure ha poco valore il prevedere che tali impegni siano finalizzati a evitare ogni forma di discriminazione o violenza. Anche qui si tratta comunque di caratteristiche talmente basilari che forse diventano quasi pleonastiche, rispetto a quello che è già il sistema democratico: i divieti che fanno della discriminazione sessuale, razziale o altro - penso all'articolo 3 della nostra Carta fondamentale - sono un tessuto indefettibile di qualunque azione civile.
L'istituzione di tale registro forse altro non è che una sorta di burocratizzazione delle associazioni che verrebbero in qualche modo incardinate e avallate. Per quanto riguarda i benefici di tale disegno di legge - che, come si ricordava, ha molte parti di coincidenza, contatto e sovrapposizione con la legge sul volontariato piuttosto che con la legge sugli enti di promozione sociale - mi pare ci sia il rischio di una superfetazione sotto il profilo della burocrazia, dell'inquadramento, della classificazione e della schedatura di tali associazioni rispetto ai fini del medesimo, peraltro positivi, che sono quelli di concedere sussidi e contributi affinché tali associazioni possano attuare i propri scopi statutari.
Anche in tal caso l'articolazione nazionale delle associazioni, che se non richiesta è in qualche modo favorita dall'approccio centrale che ha tale disegno di legge, finisce per snaturare forse anche la finalità principale del provvedimento. Mi spiego meglio: forse in questo modo potrebbero venire favorite le organizzazioni più «politicizzate» e vicine ai partiti.
Vi è una norma che vieta ai partiti di poter assumere tali iniziative, però lei, signor Ministro, sa benissimo che vi sono associazioni dei fiancheggiatori, che sono già codificate nell'ambito della campagna elettorale indiretta: ogni volta che c'è una Pag. 18competizione elettorale, si propongono di affiggere manifesti nei tabelloni della propaganda indiretta.
Intendo dire, dunque, che il fenomeno dei fiancheggiatori e delle associazioni di estrinsecazione politica, che potrebbero essere favoriti con tale provvedimento, mi pare porti a delle valutazioni molto caute e critiche rispetto a quello che dovrebbe essere, a mio, anzi a nostro giudizio, l'approccio migliore, ovvero quello che veda nelle regioni e negli enti locali i veri primi protagonisti di questa partita delle politiche giovanili.
Personalmente faccio parte del Friuli Venezia Giulia, sono un cittadino di quella regione e, prima di sedere sui banchi di quest'Aula, ho avuto una esperienza positiva in consiglio regionale, sotto la presidenza Illy.
Ricordo che il 24 aprile 2007 il consiglio regionale approvò una legge che si intitola «Promozione della rappresentanza giovanile, coordinamento e sostegno delle iniziative a favore dei giovani». Penso che essa possa anche essere uno spunto significativo per orientare la legislazione nazionale, perché di fatto, tale legge, pur avendo una sua vigenza nel limite territoriale della regione Friuli Venezia Giulia, ha un approccio meno «schedatorio» e burocratico: si dà spazio alle associazioni giovanili, senza per questo chiederne il reclutamento in fantomatici registri, come pure si consente il sostegno e il supporto a progetti che nascono dai giovani, che magari vengono vagliati dagli organi regionali con comitati tecnici a partecipazione diversificata e che vedono peraltro un ruolo attivo delle comunità giovanili, in una logica multidisciplinare e anche multisettoriale.
I giovani infatti devono essere supportati, sì, nella loro attività di «fantasia», nell'emozione sociale, ma hanno anche bisogno di orientarsi nel lavoro, di essere sostenuti nel trovare una sistemazione abitativa, e quant'altro.
Penso, quindi, che il provvedimento di cui stiamo discutendo necessiti di ben altre energie intellettive, per articolare un testo più solido, meno spot (mi passi questo termine, signor Ministro). Anche perché la sostanza è che, rispetto al precedente Governo, il Fondo che era stato costituito per le politiche giovanili è stato falcidiato di oltre il 41 per cento: si tratta di un passaggio che ha una sua valenza politica, perché al di là delle belle parole o dei buoni proponimenti che il provvedimento enuncia nelle sue varie norme, vi è il fatto che le risorse sono state purtroppo falcidiate in maniera molto drastica.
Da questo punto di vista, noi forse auspicheremmo meno leggi, meno annunci protocollari, e più farina con cui produrre il pane.
Vorrei ricordare che nell'ultima legge finanziaria del Governo Prodi il Fondo nazionale per le comunità giovanili era stato alimentato da 138 milioni di euro per il 2008, mentre le due leggi finanziarie del Governo Berlusconi hanno tagliato le risorse, portando lo stanziamento a 80 milioni per il 2009, e a 81 milioni per il 2010: un taglio di 57 milioni di euro, pari a oltre il 41 per cento in meno nello stanziamento complessivo assegnato al Fondo.
Oltre a questo, vorrei rimarcare come la struttura, che va a costituirsi nell'Osservatorio, nel Dipartimento e quant'altro, sia di fatto un'ulteriore falcidie di disponibilità e di risorse destinate ai giovani e alle loro associazioni, perché è previsto che il 20 per cento il primo anno (non si capisce bene se «primo anno» significhi quello dell'entrata in vigore della legge, oppure il successivo), e comunque il 10 per cento negli anni successivi, venga destinato ad alimentare la «sovrastruttura»: non le politiche giovanili, ma coloro che di queste politiche giovanili alimentano la propria visibilità o la propria funzione politica. Mi pare anche questa un'operazione non pertinente e non perspicua, dal punto di vista della proporzionalità tra denaro ed obiettivi annunciati.
Così come è emblematico il parere del Comitato per la legislazione. Vi sono una serie di criticità che sono state segnalate dal Comitato per la legislazione, di cui penso si debba tenere conto: nell'impianto Pag. 19complessivo di tale parere si sostanzia una riserva sulla frettolosità, sulla disorganicità e sull'eccessiva accelerazione che all'approvazione del provvedimento si sono volute imprimere, rispetto ad una tecnica legislativa che voglia individuare in maniera più precisa ed utile gli obiettivi che ci si prefigge di perseguire; e poi il modo di tradurli in legge, con coerenza rispetto all'ordinamento vigente e con coerenza interna tra le norme che si vogliono articolare.
Mi permetto, inoltre, di segnalare la criticità evidenziata dal Comitato per la legislazione sui requisiti soggettivi anagrafici: si parla di associazioni costituite prevalentemente da persone che abbiano non più di 30 anni, e comunque non più di 35 anni.
Anche in questo caso non si capisce bene che cosa succeda quando poi queste persone (che magari al momento della costituzione dell'associazione hanno 30, 31 o 29 anni) nel corso degli anni, come tutti, invecchiano, e che cosa succeda quindi delle associazioni in questione: se debbano essere cancellate d'ufficio dal registro, se possano viceversa continuare ad alimentare le loro attività per quei dieci anni per i quali le convenzioni per l'utilizzo degli edifici pubblici sono previste nella legge.
Vi sono a tal proposito forti perplessità sulla tenuta del sistema che si è voluto inquadrare con questo provvedimento e sull'utilità complessiva di una legge che rischia di essere funzionale ad alcune associazioni più organizzate e più strutturate dal punto di vista politico (che in qualche modo siano collegate ai partiti politici tradizionali) piuttosto che a quella diffusa partecipazione giovanile che molte volte nei comuni, piuttosto che nelle regioni, si sostanzia in iniziative che consistono, ad esempio, nell'uso di sale prove per la musica, nell'informagiovani, in tanti progetti che vedono i giovani protagonisti. Tali giovani con questo provvedimento rischiano oggi di essere messi un pochino da parte (un po' nel cantone) rispetto ad altre iniziative di finanziamento (per tutto quello che questo provvedimento prevede: l'Osservatorio, il Dipartimento, il registro e quant'altro); tutto ciò a discapito di quello che può interessare di più ai nostri ragazzi (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Rondini, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato. È iscritto a parlare l'onorevole Mosella. Ne ha facoltà.

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, onorevole Ministro, è difficile per me e per l'Alleanza per l'Italia non assumere un orientamento positivo su questo disegno di legge. Di fatto esso riconosce e sostiene la nascita di comunità giovanili. L'Italia - è stato detto e scritto - non è un Paese per giovani, quindi tutto ciò che aiuta ad invertire questa tendenza per noi deve essere visto dalle istituzioni con favore e sostegno incondizionato. Tuttavia, le perplessità che hanno sollevato alcuni colleghi (alcune contenute anche nella relazione del presidente Bruno) sono perplessità che - credo - lei debba considerare con attenzione e con rispetto, perché anch'io sono stato sorpreso dalla rapidità con la quale un tema di questo tipo è arrivato in Aula (dove tra l'altro non vedo l'ombra delle relatrici: ce n'erano due, almeno una poteva seguire il dibattito).
Francamente vedo che i nodi venuti al pettine con questa discussione - mi riferisco anche all'ultimo intervento e a quello della stessa onorevole Binetti - sono pertinenti e meritano di essere esaminati. Li salto, così sostanzialmente ho modo di aggiungere alcune considerazioni di carattere generale. Intanto bisogna dire - Ministro, lei lo sa bene - che l'Italia è un Paese ricco di associazionismo sociale, anche di marca giovanile, nel senso che la nostra tradizione storicamente fondata vede veramente un numero enorme di associazioni, di ogni tipo, che hanno carismi e provenienze diversi. Non possiamo dunque dire che non ci sono o che sono poche. Purtroppo dobbiamo dire che abbiamo migliaia e migliaia di aggregazioni, molte di marca giovanile. Si tratta di Pag. 20associazioni che hanno resistito a regimi totalitari, nel senso che hanno superato nel secolo scorso diverse difficoltà. L'Italia non era ancora liberata e vi era già una corrispondenza straordinaria tra movimenti, gruppi e associazioni che si riattivavano (erano state soppresse dal regime) per portare tra i giovani italiani nuovi sussulti di associazionismo attraverso lo sport, la cultura, lo spettacolo, le arti, le tradizioni.
Sono associazioni, quindi, che si sono sempre autofinanziate, organizzate, facendo leva sui giovani, sulla generosità di un'età che non ha condizioni di prezzo, dove il volontariato, il donarsi, diventava, come è ancora tuttora, veramente uno strumento riconosciuto. Abbiamo due leggi a cui lei, onorevole Ministro, in questo provvedimento, fa riferimento: la n. 383 del 2000 e la n. 266 del 1991, ovvero la disciplina delle associazioni di promozione sociale e la legge sul volontariato, che sono veramente dei pilastri a supporto dell'associazionismo italiano.
Sono disciplinate, quindi, da leggi dello Stato, hanno risorse economiche, utilizzano e gestiscono spazi, locali, impianti e hanno statuti che fanno esplicito riferimento alla partecipazione giovanile. Moltissime sono associazioni giovanili per statuto. Sono o dovrebbero essere costituite da giovani, eppure, a queste associazioni, a cui non mancano progetti, programmi, proposte di attività, operatori, anche qualificati, manca quello che il suo Ministero deve, come dire, riportare al Paese. Se l'Italia ha sentito il bisogno, come tanti Paesi europei, di avere un Ministero che si occupa dei giovani, non è solo perché, sostanzialmente, ci sono dei giovani, ma perché questi giovani spesso non si trovano, o meglio, non si trovano nei luoghi in cui pensiamo debbano stare per vivere una dimensione associativa, culturale, professionale, lavorativa, adeguata dello sviluppo del Paese. Nelle associazioni mancano i giovani e mancano anche i giovani della normalità, in quanto molti vivono una forma latente di disagio, sempre più diffusa.
L'Italia si trova di fronte ad un fenomeno estremamente complesso e anche sfuggente - che lei, anche nell'attività che sta svolgendo intende inseguire e insegue, spesso centrando qualche obiettivo -, in quanto unitamente connesso alle dinamiche di crescita degli adolescenti, al loro percorso di ricerca di identità personale e sociale, ed assume tratti e valenze diverse. Accanto a forme di disagio economico familiare, se ne devono collocare altre derivanti da marginalità culturali, etniche, geografiche, ambientali. Costituiscono forme di marginalità e fonte di disagio anche situazioni di difficoltà di accesso allo studio, di ingresso nel mondo del lavoro, di analfabetismo tecnologico, di funzione di occasioni educative. Sulle difficoltà intrinseche al processo evolutivo dei giovani si sono innestati, in questi anni, nel nostro Paese, in maniera macroscopica, altri elementi di rischio, che possono portare a comportamenti devianti, con gravi ricadute per l'individuo e la collettività, in termini anche di costi sociali.
La stessa povertà progettuale di tanti giovani, la fuga dall'assunzione di responsabilità, il distacco dalla vita delle istituzioni, l'inclinazione ad una trasgressività estrema, sono tutte questioni destinate ad avere una forte incidenza sulla qualità della vita democratica e che trovano fondamento in processi di emancipazione sempre più complessi e messi a rischio dai segnali fuorvianti che provengono dal mondo anche degli adulti.
Il disagio dei giovani italiani, se non compreso da chi ha la responsabilità di guidare l'evolversi della società da una generazione all'altra, se cronicizzato, rischia di creare un punto di rottura tra presente e futuro. Non è teoria sociologica, le cronache degli ultimi tempi sono ricche di segni e segnali in cui il protagonismo negativo dei giovani ha raggiunto livelli di particolare allarme. A ciò si aggiunge la situazione che l'ISTAT ci ha fatto notare, giustamente senza nessun riguardo. Sono stati resi noti, infatti, i dati secondo i quali il tasso di occupazione giovanile complessiva è calato dell'1,2 per cento nell'ultimo anno, mentre quello dei giovani tra i 15 e Pag. 21i 29 anni - quelli che immaginiamo di accasare - dell'8,2 per cento, scendendo al 44 per cento. Ma il dato più preoccupante, che va considerato e che va oltre la mera disoccupazione, riguarda i cosiddetti giovani che non sono né occupati in un lavoro né inseriti in percorsi di studio e di formazione e che, in Italia, sono il 21,2 per cento, in larga parte diplomati e laureati. Proprio quelli sui quali dovrebbe poter contare un Paese per rilanciare la propria economia. Si tratta di 2 milioni di giovani che aspettano. Qualche autorevole opinionista dice che aspettano, non si sa che cosa, ma aspettano. Se a questo si aggiunge, quindi, il dato sulla disoccupazione l'ottimismo diventa veramente poco. E allora lei, onorevole Ministro, mentre combatte per questo disegno di legge che penso potrà trovare il favore, in quest'Aula, da parte di molti di noi, dovrebbe mettere insieme i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dello sviluppo economico, e convincerli a lavorare insieme, a ranghi serrati, per pensare a misure strutturali che consentano al Paese di non perdere per strada queste nuove generazioni.
A questo si aggiunge il fatto che i giovani hanno bisogno di luoghi. Anche oggi qualcuno ha parlato di luoghi, di aggregazioni, e se quelli vecchi non suscitano attrazione, creiamone pure degli altri. In questo noi vogliamo seguirla, ma lavoriamo per costruire o favorire luoghi che siano da loro percepiti come significativi, posti dove si conclude qualcosa.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Mosella.

DONATO RENATO MOSELLA. Facciamo in modo che questi luoghi - concludo, signor Presidente - che lo Stato finanzia siano luoghi dove i nostri giovani molto letteralmente possano leggere qualcosa delle relazioni che hanno con la loro storia, con la natura che li circonda e ancor più delle relazioni che intrattengono gli uni con gli altri.
Sono passati sedici anni da quando Marc Augé (è stato uno dei miei riferimenti dal momento che, signor Presidente, mi sono occupato di giovani molto a lungo) coniò il termine luogo-non luogo. Egli ci disse che il luogo si caratterizza per tre elementi: è identitario, cioè è tale da contrassegnare l'identità di chi ci abita; è relazionale nel senso che individua i rapporti reciproci tra i soggetti in funzione di una loro comune appartenenza; infine è storico perché rammenta all'individuo le proprie radici. Ma se uno spazio non può definirsi né identitario né relazionale, né storico - questo è acquisito in alcuni tratti del progetto che noi stiamo andando ad approvare - lo si può definire un non-luogo e la nostra società ne ha di non-luoghi: sono le stazioni, i terminal, le mega-discoteche, i supermercati dove la gente vaga, i giovani vagano. Per questo noi dobbiamo immaginare di creare luoghi in cui questo vagabondare abbia termine. Costruiamo dei luoghi dove gli altri ci capiscono e noi li capiamo al volo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, anche noi del Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud abbiamo una propensione ad assecondare tutti i tentativi e gli indirizzi che vanno verso una valorizzazione di aggregazioni soprattutto di giovani, soprattutto nelle grandi città, nelle grande periferie delle nostre città.
È chiaro che un obiettivo di questo genere è non soltanto positivo ma è anche un obiettivo che, se raggiunto, può determinare anche un futuro migliore per il Paese. È evidente che questo scopo, questo obiettivo si può perseguire certamente anche con una legge di questo tipo ma intanto bisogna evitare che un'iniziativa legislativa, non solo legittima ma anche positiva nella direzione che dicevo prima, provochi rotture tra i giovani. Dico questo perché conosco la realtà giovanile che è molto divaricata sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista sociale. È chiaro che è difficile inquadrare i giovani, che questi si lasciano inquadrare difficilmente. Pag. 22Le aggregazioni nascono spontanee. Questo è un caso un po' diverso nel senso che queste aggregazioni sono definite per legge. Loro ripudiano spesso questo tentativo che sempre ha fatto il potere nella storia di metterli insieme intervenendo anche sul modo in cui si devono comportare. Questo è un pericolo che evidentemente noi dobbiamo cercare di evitare; occorre elaborare una norma che possa evitare quelli che sono, qualche volta, pregiudizi soprattutto di gruppi giovanili che sono un po' estremisti, ma sono tali perché sono giovani.
Quindi bisogna essere attenti affinché le nostre iniziative non si traducano in questioni che possono effettivamente danneggiare, piuttosto che favorire. Noi siamo favorevoli a questa iniziativa, però vogliamo entrare nel merito e cercare di migliorarla.
Qui si parla di comunità e il rischio è anche che la comunità racchiuda dei giovani, dei gruppi di giovani e delle associazioni che ragionano solo tra loro e comunque non si aprono alla società per intero e potrebbero vivere una vita loro senza un rapporto culturale con l'esterno; anzi, in queste iniziative di conferenza e così via si prevedono iniziative tra le comunità giovanili e le istituzioni, mentre nella società vi sono centinaia - lo diceva anche Mosella - di aggregazioni e di associazioni che esistono e per poter partecipare ad un dibattito, ad una conferenza, per poter essere presenti devono iscriversi a queste comunità. Su questo aspetto sollevo particolari dubbi e perplessità, perché questo tipo di impostazione sarà accolta male. Mi sembra, tuttavia, un tentativo importante; vedremo se poi funzionerà e speriamo che funzioni, ma questi punti li dobbiamo esaminare uno per uno.
Poi vi è la questione che viene qui messa a fuoco dalla Commissione specifica, quella delle regioni, che afferma con chiarezza che questo è un argomento che non dovrebbe trattare lo Stato ma le regioni. Credo che anche questo elemento in questo momento non ci aiuta, nel senso che proprio in questo momento decisivo vi è in corso uno scontro tra lo Stato e le regioni; ciò deriva dalla manovra ma non è solo nella manovra, e, nonostante i pareri che sono stati espressi, credo che alcune regioni certamente protesteranno per un tipo di legislazione che ritengono sicuramente appartenere a loro. Quindi non c'era bisogno anche di questo tipo di contrasto. Dunque, in questo momento anche i contenuti del provvedimento vanno un po' concordati.
Vedete, quando con riferimento alle comunità giovanili - che stanno nei comuni, nelle province e nelle regioni - qui si dice chiaramente che si rapportano direttamente alla Presidenza del Consiglio, ciò rappresenta un fatto indicativo, anomalo, che evidentemente porterà di sicuro a diatribe, a discussioni e, quindi, a scarsa efficacia poi nella realizzazione concreta di quanto andiamo deliberando.
Mi auguro che siano apportate alcune modifiche fondamentali, in modo tale che un provvedimento di questo tipo possa essere accolto anche dalle regioni (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marsilio. Ne ha facoltà.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'iniziare questo intervento sul disegno di legge per le comunità giovanili non posso non denunciare un pizzico di emozione, perché, oggi che sono qui, che ho l'onore di stare in Parlamento a sostenere questa proposta, rivendico di essere stato tra quel gruppo di giovani sognatori che 15-20 anni fa provava ad interrogarsi nei quartieri, nelle città e nei comuni di tutta Italia, su come offrire alla gioventù italiana degli spazi di protagonismo, dei luoghi di aggregazione, dei quali vi era un drammatico bisogno e che tuttora non esistono.
Il disegno di legge in esame, che ha presentato il Ministro alle Camere, ha il grande pregio di colmare questo pesantissimo vuoto di attenzione nei confronti della gioventù italiana. Pag. 23
In particolare, parliamo della fascia di età che va dall'adolescenza in poi. Infatti, per varie categorie generazionali, esistono provvidenze ed attenzioni da parte dello Stato e delle istituzioni pubbliche: da quelle specifiche che riguardano il mondo dell'infanzia, a quelle che, al contrario, passando attraverso le generazioni, riguardano gli anziani. Basti solo pensare al modello dei centri anziani, diffusi praticamente nei comuni di tutta Italia: sono luoghi in cui una certa categoria, unita da un'esperienza e da un vincolo generazionale, ha la possibilità di incontrarsi, riunirsi, socializzare, produrre attività ed avere, comunque, un luogo dove poter stare insieme.
Nulla di tutto questo esiste per i ragazzi dai quattordici anni in poi. Essi, infatti, lasciano le scuole elementari e medie, entrano nelle scuole superiori - facendo anche un salto esistenziale importante - e frequentano strutture che, all'ora di pranzo, terminata l'ora di lezione, li abbandonano a se stessi e al loro destino.
In questo, scontiamo ancora un modello di organizzazione della società, purtroppo, datato: infatti, fino alle scuole medie, i ragazzi possono restare a scuola quasi per l'intero pomeriggio grazie al «tempo pieno» e vengono restituiti alle famiglie dopo che almeno uno dei due genitori ha completato la propria attività lavorativa. Dai quattordici anni in poi, invece, niente di tutto questo è previsto: la scuola chiude all'ora di pranzo e noi abbiamo la presunzione di pensare che questi ragazzini di quattordici, quindici, sedici anni siano già autosufficienti e responsabili di se stessi, che sappiano riempire in maniera costruttiva, seria ed educativa la propria giornata e che, quindi, sappiano gestire il proprio tempo libero e lo spazio che viene lasciato vuoto. Ciò in una società in cui l'80-90 per cento delle famiglie vede entrambi i genitori costretti a lavorare e a fare questa scelta.
Ci ponemmo questo problema tanti anni fa e abbiamo continuato a credere in questo modello e in questa possibile risposta. Non è un caso che, insieme al disegno di legge di iniziativa governativa del Ministro, vi sia anche una proposta di legge, che è stata ad esso abbinata in questo dibattito, dell'onorevole Catanoso, uno di quelli con cui facemmo questa esperienza, costruimmo questo percorso e rielaborammo questa tesi e questi progetti. Oggi, abbiamo la gioia di vederli portati in Parlamento e fatti propri dal Governo della Repubblica, perché, evidentemente, erano idee, progetti e bisogni fortemente sentiti nella società, che oggi, ho anche il piacere di vedere condivisi praticamente da tutte le forze politiche. Se vi è stato un fatto positivo di questo dibattito - voglio sottolinearlo - è che tutte le forze politiche che sono intervenute sono partite dal principio che il tema posto dal disegno di legge del Ministro Meloni è serio e fondato e che si tratta di un argomento del quale vi è bisogno di discutere.
In Parlamento, anche per ragioni di forza maggiore, si impiega gran parte delle proprie energie e del tempo intorno a manovre economiche, fiscali e tributarie e a riforme apocalittiche che riguardano la giustizia, piuttosto che il mondo del lavoro. Ebbene, trovare il tempo e riuscire anche a guadagnarsi lo spazio per parlare dei giovani e, magari, di coloro che ancora non votano (e che, quindi, non formano una massa di manovra elettorale), è un momento molto nobile e alto che la Camera dei deputati sta dedicando e riservando. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto portare un contributo al dibattito ed arricchire la discussione.
Quindi, abbiamo ascoltato - ed ho ascoltato - anche parole importanti ed interessanti da parte dei colleghi degli altri gruppi, in particolare di quanti sono intervenuti da parte dei gruppi dell'opposizione. Lo ripeto: nessuno ha potuto negare che il tema sia molto importante e che l'argomento che il Ministro ha posto alla discussione del Parlamento meriti tutta la nostra attenzione.
Al termine di questo dibattito e successivamente poi in sede di votazione, vorrei che anche le perplessità residue venissero fugate e si potesse tutti insieme lavorare per licenziare un testo che dia anche la forza al Ministro Meloni di Pag. 24guadagnare - su questi temi, sulla maggior attenzione di cui necessitano le nuove generazioni - più forza, più peso politico all'interno del Consiglio dei ministri, dando in generale ai giovani maggiore centralità, maggiore peso nel dibattito politico, sociale e culturale della nostra nazione. Perché, ripetendo magari argomenti già utilizzati dai miei colleghi nei precedenti interventi, abbiamo un drammatico e urgente bisogno di investire sulle giovani generazioni, di dare fiducia alla gioventù per favorire il ricambio generazionale, per favorirne una crescita sana e corretta. A proposito di questo vorrei intanto contribuire con il mio intervento a sciogliere almeno alcuni dei nodi che sono stati presentati; ho ascoltato colleghi dire che magari alcune delle specifiche che vengono sottolineate per qualificare queste comunità giovanili e le associazioni che le possono gestire, per qualcuno possono risultare pleonastiche. Certo esistono leggi dello Stato, la Costituzione della Repubblica, che dice quali sono le cose lecite che si possono fare e vieta alcuni comportamenti, alcune teorie, alcune pratiche. Questo potrebbe essere un discorso generale che vale per qualunque tipo di legge e che annoia non solo la Camera dei deputati: si discute ormai da qualche generazione su come si scrivono le nostre leggi e quante cose pleonastiche e superflue vengono inserite nei nostri dettati normativi appesantendone la comprensione e la leggibilità. Potremmo avere anche in questo caso un elemento di questo tipo, tuttavia vorrei invece sottolineare che le caratteristiche che ha delineato il Ministro Meloni in questo disegno di legge sono invece precise e tali che ne era utile e necessaria la presenza. Non possiamo far finta di non vedere come in tutta Italia esistano modelli di aggregazione che pure praticano la violenza politica nei confronti dei propri avversari e propagandano l'utilizzo di droghe. Non stiamo qui a distinguere se trattasi di droghe leggere o pesanti, non credo a questa distinzione, ma utilizziamo il termine droghe leggere, lo stesso che loro usano. Si organizzano feste della semina, feste del raccolto e, comunque, politiche dirette alla liberalizzazione, legalizzazione dell'uso di almeno una parte degli stupefacenti e così via, eppure queste associazioni, di fatto, non solo continuano ad essere libere di esercitare la propria attività, ma molte istituzioni locali versano contributi e danno riconoscimenti istituzionali all'attività di queste realtà. È stato quindi giusto, o molto opportuno, che il Ministro, nell'individuare un nuovo modello di aggregazione giovanile, dicesse anche, in maniera molto chiara, che lo Stato finanzia, sostiene e valorizza quei luoghi di aggregazione e quelle associazioni che andranno a gestire tali luoghi che, in maniera esplicita e senza equivoci, combattono l'uso di sostanze stupefacenti, l'abuso di alcol, adottano politiche di inclusione e si conformano a modelli di reale democrazia, rifiutano la violenza come metodo di azione politica e sociale e diventano quindi delle vere e proprie palestre di educazione alla democrazia, alla civile convivenza, allo stare insieme. Perché questo devono essere le comunità giovanili: dei luoghi dove i ragazzi dai 14 ai 30 anni possano incontrarsi, ritrovarsi, costruire insieme dei progetti, elaborare insieme delle attività che coprono uno spettro molto ampio.
Ciò dipende, ovviamente, anche dalle caratteristiche del luogo e delle strutture di cui questo luogo dispone. Pertanto, a seconda delle disponibilità dei luoghi che verranno individuati e reperiti, i ragazzi potranno svolgere attività teatrali, ludico-ricreative, sportive o di formazione al lavoro, così come potranno disporre di biblioteche e ludoteche. Ciò dipende - ripeto - dalla dotazione di mezzi e di spazi di cui potranno disporre: quanto più lo spazio sarà ampio e articolato, tanto più sarà facile svolgere, all'interno di una comunità giovanile, uno spettro molto più ampio di iniziative, ma questo dipende, ovviamente - come ho già detto - dalle condizioni di partenza del bene.
Tuttavia, è importante rivendicare il fatto che ognuno di questi spazi deve essere aperto a tutti. Al riguardo, desidero sottolineare un aspetto che anche in Commissione ci ha indotto in discussione, ossia Pag. 25quello della «non discriminazione». Inserire il principio della «non discriminazione» sembrava un argomento scontato, tale da non meritare ulteriori passaggi e specificazioni. Al contrario, dal momento che l'argomento è stato sollevato, ritengo sia utile sottolineare anche questo aspetto, che rappresenta un elemento molto qualificante di questo provvedimento.
Ciò non vuol dire che le associazioni che promuovono la costituzione e la gestione di una comunità giovanile, non possano e non debbano avere, nel loro statuto e nella loro ragion d'essere, un qualche elemento particolare di identità culturale, religiosa o sociale, che provochi almeno la scintilla iniziale dello stare insieme e del costituirsi in associazione. Tuttavia, non sarebbe tollerabile che una di queste associazioni, nel momento in cui ottenesse da parte dello Stato i riconoscimenti e anche i contributi per poter attivare una comunità giovanile e svolgere attività in quel luogo, potesse poi selezionare - e, quindi, discriminare in qualche modo - i partecipanti alle attività e alla frequentazione di quel luogo, sulla base, appunto, di una originaria appartenenza o meno a quell'elemento caratteristico identitario.
Credo che nessuno abbia mai manifestato questa intenzione. Tuttavia, poiché la questione è stata sollevata e ha costituito argomento di dibattito, ritengo sia utile tornare a spiegare qual è la motivazione di fondo che porta anche a sottolineare l'aspetto della «non discriminazione», facendo salvo, ripeto, quanto segue: tutte le associazioni (costituite nel rispetto della legge e dei principi fondamentali della Costituzione e dello Stato democratico, e che mostrino di adottare comportamenti tali da rispettare le leggi e la Costituzione) possono chiedere al Dipartimento della gioventù di iscriversi al registro delle comunità giovanili e, successivamente, ottenere, sulla base di procedure trasparenti di pubblica evidenza, la possibilità di avere contributi per gestire comunità giovanili aperte a tutti, dove non sia mai possibile che qualcuno possa dire: no, tu non puoi entrare perché non condividi la nostra idea, il nostro credo, la nostra razza o non so bene quale altra cosa particolare che non si ritiene in quel caso opportuna.
Spero che questo disegno di legge giunga rapidamente in porto. A tal riguardo, vorrei soffermarmi sulla questione dei tempi che qualcuno ha sollevato: il disegno di legge è stato presentato già da molto tempo in Consiglio dei ministri. Non è stato dimenticato. Chi lo ha seguito, sa bene che si tratta di un disegno di legge di iniziativa governativa, che coinvolge competenze territoriali (regioni, province e comuni) ed è passato attraverso un confronto molto serrato e molto lungo - ma anche molto costruttivo, perché ha portato a soluzione alcuni dei temi che erano stati posti - in sede di Conferenza Stato-regioni e Stato-città ed autonomie locali, ove per diversi mesi il provvedimento è stato presente. Esso ha poi iniziato il suo percorso nelle Commissioni competenti, dove si sono svolte audizioni delle principali realtà associative giovanili italiane, oltre che delle istituzioni rappresentative delle autonomie locali, le quali sono state ascoltate dalle Commissioni.
Credo che, quindi, giunti ormai all'inizio del terzo anno di Governo di questa legislatura, sia assolutamente necessario e opportuno che un provvedimento, così importante per la politica del Governo nei confronti dei temi legati alla gioventù, possa essere presto approvato dalla Camera in modo da mettere il Senato nella condizione di potere licenziare lo stesso provvedimento in tempi ragionevoli e concludere così l'iter legislativo.
Ciò permetterebbe al Ministero per le politiche giovanili di svincolare le risorse già stanziate nel bilancio dello Stato e pronte ad essere impegnate a questo scopo e, soprattutto, di avere il tempo di verificare in maniera concreta la fattibilità e la percorribilità, nonché i frutti, delle costituende comunità giovanili o delle comunità già esistenti in alcune realtà del territorio (ci sono già, infatti, realtà territoriali, come alcune regioni, che hanno adottato normative e modelli di aggregazione giovanile che rispondono, più o meno, ai requisiti del presente provvedimento). Pag. 26
Il disegno di legge in esame serve a dare, infatti, una norma quadro di riferimento e, soprattutto, un sostegno economico concreto dello Stato nei confronti dei giovani che vogliano fare questa esperienza e che vogliano avventurarsi verso questo percorso che noi dobbiamo incoraggiare.
Spero vi sia da parte del Parlamento l'attenzione necessaria perché l'esame di questo disegno di legge si concluda in tempi ragionevoli in modo da avere la possibilità, nei prossimi due o tre anni, di poter vedere, davvero, il frutto di questo lavoro nonché vedere crescere e gemmare, in ogni città d'Italia, una o più comunità giovanili che possano arricchire l'offerta formativa, educativa e di socializzazione della gioventù italiana.
Questo perché, come altri colleghi intervenuti precedentemente hanno lamentato, l'alternativa, oggi, sono i «non luoghi», gli spazi vuoti e le periferie abbandonate; luoghi dove non solo non si crea aggregazione ma, anzi, si ottiene la dis-integrazione della società e si rischia di lasciare sempre più soli i giovani, di ritrovarci con generazioni che non hanno punti di riferimento e non hanno acquisito alcuna capacità critica rispetto alla costruzione del proprio futuro e al governo delle società delle quali, a breve, saranno protagoniste.
Ringrazio il Ministro Meloni per aver voluto portare con grande determinazione questo qualificante disegno di legge all'attenzione del Governo prima, e del Parlamento oggi; ringrazio, inoltre, le forze politiche che si sono interessate e che sono intervenute in questo dibattito con partecipazione e spirito costruttivo. Spero di ritrovare tale spirito anche nei prossimi giorni quando passeremo all'esame degli articoli, delle proposte emendative ad essi relative, e all'approvazione finale del disegno di legge, per fornire alla gioventù italiana uno strumento importante di crescita, di socializzazione e di educazione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, da più di vent'anni si promuovono politiche giovanili nel nostro Paese. È giusto, allora, interrogarsi se con questo disegno di legge il Governo si mette in sintonia con ciò che nel Paese si è sviluppato in questo settore o se desidera stabilire una discontinuità e, in questo caso, quale discontinuità?
È noto che comuni, province e regioni hanno sviluppato esperienze interessanti: laboratori creativi di politiche giovanili che hanno, in parte sostenuto, e in parte promosso, la nascita di un diffuso firmamento di associazioni.
Questo disegno di legge è in sintonia con questo lavoro che vi è alle spalle? Crea nuovi orizzonti? Oppure no?
Non emerge una risposta a questo interrogativo dalla lettura del provvedimento. E già questo è un punto negativo perché occorrerebbe che su questo punto fossero chiari gli obiettivi.
Si dice che le comunità giovanili sono associazioni e in questo senso credo che il coinvolgimento delle associazioni sia essenziale nel progettare le politiche. Tuttavia, è altrettanto vero che la stragrande maggioranza dei giovani non intende entrare nei circuiti formali delle associazioni e dei movimenti e, inoltre, vi sono molte organizzazioni non formali che rappresentano ugualmente un'occasione straordinaria di crescita umana e sociale. Pertanto, proprio a questo proposito, capiamo che è il territorio ad occupare una posizione centrale e, quindi, va valorizzata la titolarità delle istituzioni locali, dei comuni in primo luogo, nella promozione di politiche giovanili.
Conosco l'obiezione che a questo punto potrebbe essere avanzata: se mettiamo al centro i comuni, si potrebbe affermare, si rischia la distribuzione di contributi a pioggia. Certamente questo è un rischio, se a monte non vi è uno strumento di programmazione che individui gli obiettivi di azione in relazione alle condizioni economico-sociali da modificare e, ancora una volta, non può che essere l'ente locale ad avere la capacità di leggere le criticità di un territorio. In ogni caso, è assodato che le Pag. 27politiche giovanili sono correlate a un tasso di mobilità e di flessibilità molto elevato, non solo perché sono influenzate da rapidi cambiamenti per effetto del rapido ricambio anagrafico che comporta un'elevata mortalità nelle realtà associative locali.
Pertanto, bisogna interrogarsi in verità su cosa si attendono oggi i giovani e sul fatto se questo provvedimento intercetta le domande prevalenti: occorre rispondere a questi obiettivi e non ad altri. Penso che le preoccupazioni e le aspirazioni dei giovani oggi siano quelle che ci consegnano le più diffuse ricerche e indagini e che vedono una realtà giovanile che può rappresentare anche una straordinaria occasione per rilanciare lo sviluppo del Paese, in un momento di crisi, cioè se si sblocca l'accesso al lavoro e alle professioni, se è accessibile l'accesso alla formazione, alla casa, alle tecnologie digitali, alla cultura e alla politica, insomma, se si consente un più agevole accesso al futuro.
Le politiche giovanili rappresentano un pezzo di questi interventi, un intervento che le istituzioni possono fare non sotto forma di una politica «paghetta» né di una politica assistenziale, ma sotto la forma di uno strumento per rafforzare il protagonismo e aprire spazi di cittadinanza alle giovani generazioni. Ciò che dobbiamo evitare è la tentazione di politiche di stampo paternalistico, come in parte rischia di diventare il provvedimento al nostro esame. Come realizzare questo obiettivo e come evitare questo rischio? Innanzitutto aprendo le porte, sì, proprio aprendo le porte innanzitutto alle altre responsabilità del Governo, perché i giovani rappresentano un prisma attraverso il quale è possibile analizzare tutta l'azione del Governo.
Infatti, non si potrebbe pensare diversamente, non si potrebbe pensare di affrontare la grande questione della precarietà esistenziale dei giovani senza individuare un piano di azione che coinvolga il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il lavoro, il sottosegretario con delega alla famiglia, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per i problemi della casa, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'accesso alla formazione, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione se pensiamo che particolarmente tra i giovani abbiamo il dovere di valorizzare i talenti e di sviluppare la creatività, il Ministero dell'industria (che ancora non esiste) per l'imprenditoria giovanile e così ancora. Quindi, è necessario un approccio interministeriale per essere davvero efficaci.
Tuttavia, non solo si devono aprire le porte alle altre responsabilità del Governo ma, soprattutto, non si devono selezionare i soggetti ammessi alla coprogettazione delle politiche del Dipartimento della gioventù, come purtroppo individua l'articolo 2, comma 2, del disegno di legge. Ciò che mi attendo è che si apra a tutti l'opportunità di sviluppare, in autonomia, progetti e programmi. Non si deve imporre un modello dal centro, come in realtà rischia di prefigurare l'impianto del provvedimento in esame.
Ho compreso, credo, le intenzioni del Governo. Invece di sostenere l'associazionismo giovanile si opta per la creazione di una rete di organizzazioni giovanili, connotate dall'appartenenza a un profilo identitario predefinito, cioè la comunità giovanile.
Penso che questa sia un'idea che abbia bisogno di una più chiara collocazione giuridica innanzitutto, perché le conseguenze di tipo amministrativo potrebbero introdurre pericolose discriminazioni.
Il Governo non pensi che non ci sia un'attenzione e una sensibilità ad un provvedimento come questo. Quando approda in Parlamento un disegno di legge che aiuta i giovani, l'evento va sempre valutato con favore. Tuttavia ci chiediamo se questo sia uno strumento per erogare contributi oppure se sia il prodotto di una elaborazione per promuovere una nuova politica per le giovani generazioni.
Partiamo dalla prima ipotesi, perché non ho trovato una risposta convincente nel testo del disegno di legge. Si tratta di un modo per erogare nuovi contributi, nuovi fondi? Ben vengano. Sorge però immediatamente un interrogativo, ossia Pag. 28per quale ragione il Governo abbia tagliato consistentemente il Fondo per le politiche giovanili istituito nel 2006 dal Governo Prodi che ha consentito la sottoscrizione di ventuno APQ, cioè di accordi di programma quadro con le regioni e le province autonome. Sarebbe stato più semplice che il Ministro implementasse quel Fondo e aggiungesse una finalità negli APQ, cioè il sostegno alle comunità giovanili, e avrebbe già raggiunto l'obiettivo.
Gli APQ, come sappiamo, sono strumenti importanti perché consentono di attivare cofinanziamenti e così moltiplicare le risorse a disposizione. Sarebbe stato utile riversare le nuove risorse su quel Fondo che ha a disposizione strumenti e procedure già collaudate per la fase di erogazione, invece che procedere con la frammentazione di bandi e con la proliferazione dei «progettifici» per poter concorrere alla lotteria del finanziamento.
Per questa ragione, penso che non sia questo l'obiettivo. C'è una seconda ipotesi che non può essere che quella più giusta, e cioè la promozione di una nuova politica. Ma quale? Nella relazione che accompagna il provvedimento nel breve dibattito in Commissione, sono stati indicati attraverso alcuni esempi le linee direttrici degli interventi.
Si pensa e si parla di luoghi e spazi - lo si è ripetuto anche poco fa - in cui si possono sviluppare attività aggregative, esperienze comunitarie finalizzate alla formazione dei giovani e alla loro crescita umana e sociale, ma anche attività economiche in ambito ambientale, culturale, turistico eccetera. Insomma, si profila una tipologia di impresa sociale che perciò chiama in causa l'esigenza di tener conto, nella predisposizione degli strumenti di intervento, di una forte relazione con il territorio. Sarebbe cosa buona, se così fosse. Basta dirlo, basta scriverlo, perché questi strumenti competono agli enti locali.
Penso all'esempio che più volte il Ministro ha fatto che riguarda la possibilità di finanziare l'avvio di un villaggio turistico in alcune aree particolarmente svantaggiate del Paese. Penso alla necessità di coordinamento con gli strumenti di programmazione e di sviluppo del territorio che comuni, province e regioni hanno già approvato in quei siti. Questo è un esempio classico per sottolineare come interventi di per sé buoni necessitano però di interventi di codecisione con altri ambiti istituzionali che da Roma non si possono che concertare. Inoltre, non è liquidabile facendo spallucce il parere della Commissione affari regionali contrario al provvedimento.
Voglio sottolineare il fatto che spesso si rivendica con un pizzico di retorica la centralità del Parlamento quando si evita il voto sulla questione di fiducia, ma altrettanto dobbiamo difendere il lavoro delle Commissioni e rispettarne i pareri visto che nelle Commissioni ci siamo noi e non i marziani.
Ma ritornando alla lesione di autonomia, su questo punto credo sia stato fatto un torto al grande lavoro istituzionale svolto dalle regioni in questo campo. Tutte le regioni hanno un piano strategico per le politiche giovanili, più della metà hanno leggi regionali e quindi esiste una rete significativa di responsabilità istituzionali che dovrebbero trovare nel Governo il punto di riferimento per introdurre quelle modifiche strutturali agli assi portanti del nostro welfare e del nostro modello di sviluppo che imprigionano - ahimè - il futuro dei giovani.
Ho detto quindi degli obiettivi. In proposito, non sembra trattarsi di un modo per distribuire fondi né di un modo per avviare una nuova politica concertata. Non rimane che un residuo obiettivo, una nuova forma giuridica che bisogna introdurre nell'ordinamento: la comunità giovanile.
Anche questo può andar bene, ma chiediamoci se ciò corrisponde a una nuova esigenza, a un nuovo orientamento delle politiche giovanili.
Su questo è bene capirci. Per anni sono stati offerti servizi ai giovani nell'ottica di esaudirne i bisogni e di colmarne i vuoti. I servizi sono un elemento del contesto, sia chiaro, ma non sono risolutivi. Esperienze più avanzate nel Paese, che si stanno facendo a livello locale, si orientano verso Pag. 29politiche di comunità, non comunità giovanili, verso cioè il protagonismo dei giovani in relazione con la comunità.
Occorre certamente lavorare con i giovani, ma da qualche tempo occorre lavorare con la comunità nell'ottica di un cambiamento della qualità delle relazioni. Andiamo a rileggerci il rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, che, come è noto, è il più apprezzato studio che dovrebbe essere la stella polare per gli orientamenti delle istituzioni, Governo compreso. Quali sono le cose più importanti della vita per i giovani? I valori al primo posto sono quelli a carattere individuale, ma non può non preoccupare che, per esempio, perda 17 punti percentuali in otto anni l'importanza del valore della solidarietà. In altre parole, le cose più importanti per i giovani sono sempre più quelle legate alla sfera della socialità ristretta a scapito dell'impegno collettivo.
Accanto a questi indicatori, si aggiunge il declino della fiducia nei confronti di molte istituzioni. Inoltre, se si guarda al futuro, la stessa indagine ci consegna una generazione che non si impegna in scelte troppo vincolanti. Anche le scelte più importanti non sono per sempre e questo atteggiamento orientato al presente, questa riduzione dell'orizzonte verso il futuro ha un effetto sui comportamenti: la transizione all'età adulta diventa più lunga e lenta rispetto alle generazioni del passato.
Quindi, la risposta non può essere quella del «recinto», ma l'apertura ad una più forte «relazionalità» nell'impegno sociale al di fuori del rapporto fra pari. Pertanto, se si ha intenzione di individuare una nuova nicchia nell'universo associativo noi siamo in linea con le esigenze prevalenti del Paese. Quindi, se non è questo, la definizione non è necessaria. L'articolo 2, comma 1, della legge n. 383 del 2000 stabilisce che sono considerate associazioni di promozione sociale le associazioni riconosciute e non, i movimenti, i gruppi, i loro coordinamenti o federazioni. Quindi, anche la comunità giovanile può iscriversi nel registro delle associazioni. Peraltro, il termine «comunità» appartiene già ad alcune associazioni iscritte nel registro della legge n. 383 del 2000. Ne cito una per tutte, conosciuta in tutta Italia che è la comunità di Sant'Egidio. Chiamarsi «comunità» non è un termine ostativo per l'iscrizione ai sensi della legge n. 383 del 2000. Condizione per l'iscrizione sono i requisiti.
A questo proposito, la legge non è chiara e, quindi, nella fase emendativa occorre che il Governo faccia uno sforzo di chiarezza. Con gli emendamenti abbiamo fatto la nostra parte. Sono sovrapponibili i requisiti con quelli previsti dalla legge n. 383 del 2000? Sono ulteriori? Non credo. Sono invece meno rigorosi? Bisogna dirlo. In questa legge il nodo è il rapporto con la legge n. 383 del 2000, che è una buona legge, che può essere utilizzata sia per il registro che per l'osservatorio. Possono essere organizzati con una sezione separata sia il registro che l'osservatorio per le associazioni giovanili, proprio per rispondere alla richiesta di specificità.
Il percorso per questo disegno di legge - è già stato detto da alcuni colleghi - è stato inaspettatamente ristretto per un provvedimento così importante. Faccio notare che alcuni pareri delle Commissioni mancano e la discussione sul testo è stata ristretta a pochi minuti per la discussione della fase emendativa: troppo poco per un provvedimento che presenta elementi di criticità che avrebbero consigliato una maggior riflessione, ma soprattutto un maggior confronto nelle Commissioni. Infatti, francamente una legge come questa - come è avvenuto per molte leggi che riguardano il mondo associativo da sempre approvate pressoché all'unanimità dal Parlamento - non può secondo me uscire da questo Parlamento a maggioranza.
Per fare questo, occorre un lavoro di riflessione e di confronto che mi auguro possa essere recuperato in Aula differentemente da quanto è avvenuto nelle Commissioni, perché credo che a tutti noi stia a cuore davvero una occasione ulteriore per offrire alle giovani generazioni opportunità di crescita e di maturazione sul piano umano e sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lenzi. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Signor Presidente, tutti gli interventi di oggi hanno rimarcato il fatto, positivo, che questo Parlamento discuta del tema dei giovani e che vi sia un provvedimento che dedica ad essi risorse, nel Paese forse più vecchio d'Europa e nel quale è più difficile per loro trovare una strada e realizzare appieno i propri sogni e i propri desideri.
Riprendo, soltanto citandoli per motivi di tempo, gli interventi dell'onorevole Mosella e dell'onorevole Miotto, che hanno rimarcato il fatto che sono l'interdisciplinarietà e la collaborazione tra più ministeri che potrebbero significativamente permettere un salto al tema delle politiche giovanili. Stiamo discutendo di un provvedimento più limitato, sicuramente meno ambizioso, ma cogliamo l'occasione per cercare di alzare lo sguardo.
Non posso, però, nascondere due perplessità: la prima riguarda il tema delle risorse e delle modalità con le quali vengono definite le priorità di spesa. In questi giorni, in questo ultimo mese, il Paese è impegnato in una manovra delicata, inevitabile, a fronte della quale, non più tardi di ieri, ci è stato ricordato che tutti devono fare sacrifici. È aperta la caccia alle spese inutili o alla rimessa in discussione di spese utili, ma che vengono in qualche modo messe in discussione dal punto di vista della loro efficienza. Vengono soppressi enti importanti e rilevanti per risparmiare i soldi dei consigli di amministrazione e vengono drasticamente ridotte le indennità assegnate a chi svolge ruoli impegnativi, anche nel campo della politica.
In questi momenti, quindi, qualsiasi risorsa venga destinata alle associazioni giovanili non dovrebbe trovare quell'effetto di trattenimento nell'ambito della burocrazia, perché questo è ciò che ci viene chiesto di fare, giustamente, in un momento difficile. Questo Ministero senza portafoglio, che è il più piccolo, nell'ambito delle politiche giovanili annovera: l'agenzia, l'osservatorio, il forum, il fondo e l'albo. Dal punto di vista burocratico non ci siamo fatti mancare nulla e ognuna di queste strutture ha come minimo un costo di gestione. Noi vorremmo che di più arrivasse alle associazioni stesse e di meno fosse trattenuto da apparati burocratici e che quel più che arriva alle associazioni fosse distribuito nel modo più trasparente possibile, perché i giovani non debbano imparare da subito il prezzo di un'italianità che sacrifica al merito le amicizie.
La seconda questione è una questione culturale, che forse meriterebbe qualche osservazione in più e sulla quale, in realtà, non ho trovato, nella relazione e negli interventi, la risposta: si tratta dell'uso del termine «comunità». Personalmente, penso che, menzionando la legge n. 383 del 2000 e la legge n. 266 del 1991, ossia delle leggi sull'associazionismo, e sul volontariato i problemi giuridici siano già risolti. Peraltro, per accedere ai vantaggi definiti per le ONLUS dal punto di vista fiscale, bisogna fare riferimento alla legge n. 460 del 1997. Il quadro è normato, condiviso sia da destra che da sinistra e valido da più di dieci anni.
Il termine, però, implica qualche volontà di trasmettere un messaggio o un contenuto. Mi sono chiesta quale sia, ossia se ci si riferisca, ad esempio, al tema del welfare comunitario, con tutto quello che ciò implica (ma qui viene a mancare la parte di responsabilità sociale e di impegno alla risposta dei bisogni ) o se, invece, ci si voglia riferire alla vita comunitaria: in tal senso (valga la citazione della comunità di Sant'Egidio), lo stare insieme implica anche una condivisione di momenti di vita comune e di risorse comuni, più adatto a comunità a forte valenza religiosa (immagino che nessuno di noi rimpianga le comuni californiane degli anni Settanta e che non sia quello il modello di riferimento).
In questo quadro, che, appunto, meriterebbe qualche riflessione in più - qualunque cosa si voglia evocare - è difficile pensare che queste comunità siano così indiscriminatamente aperte. Peraltro, la normativa sull'associazionismo è chiaramente Pag. 31rivolta ai soci, come, d'altra parte, è stato detto nell'intervento che mi ha preceduto.
In questo quadro, almeno, accolga, signor Ministro, la sollecitazione che è venuta da tutti: parliamo solo dei giovani! Infatti in una comunità così, una ragazza di sedici anni, non la manderei - da genitore - in una compagnia nella quale, magari c'è una rilevante presenza di persone che hanno tra i trenta ed i trentacinque anni; non li vedrei, così, vivere la stessa dimensione comunitaria.
Penso che, in questo Paese - nel quale non è individuabile il momento preciso nel quale un giovane passa all'età adulta - sia opportuno almeno, per legge, fermarsi ai trenta anni (fino ad un certo momento si era detto ai ventotto). Fermiamoci senza discussioni e senza eccezioni ai trent'anni, se veramente si vuole, in qualche modo, insistere su una dimensione di condivisione, altrimenti faremo confusione tra chi può essere genitore e chi, invece, è nella situazione di essere figlio.
Queste sono alcune osservazioni su un provvedimento che - lo riconosco - ha avuto un'ampia discussione, ha coinvolto due Commissioni, ha visto una presenza, un'interlocuzione con diversi soggetti, rappresentanti sia degli enti locali, che dei mondi giovanili, i quali - è ovvio e scontato - nel momento in cui vedono la possibilità che arrivi qualche risorsa, con i tempi che corrono, non possono che apprezzarlo. La nostra preoccupazione è che quelle risorse arrivino a loro e non si fermino lungo la strada (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, sono contento di intervenire per ultimo perché così ho evitato di scrivere un discorso, perché posso fare a meno di dire molte cose che, in realtà, sono state già dette dai miei colleghi. Penso a quanto detto dall'onorevole Binetti, dall'onorevole Mosella, a quanto, per certi versi, ha anticipato anche l'onorevole Marsilio, che pure ha accenti diversi dai miei.
Mi dispiace che non sia qui l'onorevole Santelli ma vorrei tranquillizzarla sul fatto che la posizione dell'onorevole Picierno non è la posizione del Partito Democratico, riguardo a questo provvedimento.
Mi sembra di poter dire, senza tema di smentita, che il Partito Democratico stia tentando di collaborare, nel modo più costruttivo possibile, affinché questo disegno di legge diventi una legge il più possibile condivisa e non sia mai la legge di una parte. Ciò anche perché, onorevole Ministro, lei sa che, con tutta la nostra opposizione, non resterà Ministro a vita, quindi arriverà il momento in cui - lo speriamo, ce lo auguriamo - la maggioranza cambierà e ci auguriamo anche che chi verrà dopo di lei possa portare avanti questo progetto. Infatti, non avrebbe senso fare qualcosa che serva adesso a questa maggioranza e serva a lei.
Una cosa vorrei dirle, signor Ministro: lei ha dalla sua l'età e credo che i nostri colleghi quasi coetanei - insomma io sono un po' più vecchietto di lei, ma non di tanto, a parte i capelli bianchi, signor Presidente, so di averli - abbiano perso un'occasione. Infatti, non ho sentito grandi interventi di giovani in quest'Aula e questo mi dispiace molto perché sono sempre i vecchi a parlare dei giovani e a volte non lo fanno neanche a ragion veduta. Non ce l'ho con lei, onorevole Monai.
Detto questo, anch'io vedo che ci sono dei punti che vanno chiariti e per questo motivo, forse, accolgo la critica dell'onorevole Monai quando dice: «c'è stata un po' di fretta». È vero che lei ne sta parlando da tempo.
È vero che prima o poi in Aula bisogna arrivarci, però è pur vero che le audizioni ce le siamo «giocate» in mezz'ora, che di sedute di Commissione su questo provvedimento non ne abbiamo fatte moltissime e soprattutto, se posso permettermi, se è lecito che una cosa del genere si dica in Aula, anche per le vie brevi, secondo me, ci poteva essere qualche momento maggiore di confronto.
Credo che non abbiamo una fretta cane di votare questo provvedimento domani mattina, ma mi auguro che da qui al momento Pag. 32in cui arriveremo all'esame emendamento per emendamento ci possa essere un confronto maggiore. Il Comitato dei diciotto è già stato avviato e spero davvero che le occasioni non manchino.
Il tema delle discriminazioni secondo me è il tema fondamentale. Leggevo lo statuto dell'UGEI, l'Unione dei giovani ebrei, che nei suoi principi generali, in sostanza, afferma che il suo compito è quello di rispettare le norme tradizionali dell'ebraismo e garantire all'interno delle proprie attività le condizioni che ne consentano l'osservanza. Mettere questo insieme al divieto di discriminazione non dico che sia impossibile, ma è qualcosa che va solo scritto meglio. Noto nel suo disegno di legge che - almeno secondo me - pur essendo piuttosto chiaro nella relazione introduttiva, forse non lo è altrettanto negli articoli, cioè su alcune cose puntualizzerei meglio.
Puntualizzerei meglio che cosa voglia dire, per esempio, comunità giovanile, perché il fatto che oggi in discussione sulle linee generali non si sia ancora capita la differenza tra comunità giovanile, associazione giovanile, progetti e così via vuol dire che evidentemente dobbiamo ancora chiarire qualche aspetto. Ma lo faremo - onorevole Presidente lo dico a lei, ma anche all'onorevole Ministro, che è seduto qui davanti a noi - nella massima disponibilità. Non ci spaventa l'idea di essere accusati di accordi e «accordicchi», perché tanto prevediamo una cosa su cui probabilmente non potremo neanche mettere mano, e mi riferisco ai fondi e a come verranno assegnati. Anzi, su questo la invito ad un impegno formale nei confronti del Parlamento.

PRESIDENTE. Onorevole Sarubbi, la prego di concludere.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, mi scusi solo un secondo. Nel testo si parla di un secondo decreto, immagino ministeriale, che dovrà poi decidere come verranno assegnati questi fondi. Lei capisce che l'idea di vedere un «Sacconi due», che decide sull'immigrazione con il permesso di soggiorno a punti, senza che il Parlamento possa toccare palla su un tema così importante, mi mette un po' in agitazione. Pensare che il Partito Democratico dia il via libera ad un disegno di legge di questo tipo e che poi il Ministro, senza consultare nessuno, decida di dare i fondi come vuole mi mette un po' in subbuglio. Però, confidando nella sua onestà, che come lei sa le riconosco e che apprezzo grandemente, credo che anche su questo potremo trovare una risposta condivisa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 2505-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione della relatrice per la Commissione affari costituzionali, il presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Bruno, anche a nome della relatrice per la Commissione affari sociali.

DONATO BRUNO, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIORGIA MELONI, Ministro della gioventù. Signor Presidente, ovviamente voglio partire dai ringraziamenti a tutti i colleghi che sono intervenuti in questa discussione sulle linee generali, perché mi pare che ci sia la voglia e la capacità di scendere nel concreto, di non lasciarsi trascinare semplicemente dagli schieramenti e di provare ad entrare in maniera approfondita nell'ambito di una tematica che per forza di cose è di grande complessità.
Il tema del rapporto con la politica delle giovani generazioni, il tema delle competenze relative al concetto di politiche giovanili, che è un concetto molto ampio, Pag. 33e il tema del rapporto con l'associazionismo sono tutte questioni chiaramente complesse e penso sia normale che nella discussione che abbiano portato avanti oggi siano state fatte molte domande.
Proverò, in base alla mia motivazione e alla mia lettura di questo disegno di legge, a fornire qualche risposta, nella speranza che possa essere esaustiva, perché penso che dalla chiarezza possa nascere anche una maggiore capacità di condivisione.
Penso che innanzitutto si debba muovere dalla motivazione. Noi abbiamo lavorato da subito, perché chi vi parla quasi immediatamente dopo la sua nomina a Ministro della gioventù ha lavorato per portare in Parlamento questo disegno di legge.
In Italia non esistono spazi di aggregazione giovanile. Questa è una delle frasi più comuni che abbiamo sentito dire negli ultimi anni quando si parla di giovani.
È una carenza che si sente e che in Italia è ancor più grave, perché qui vi sono anche altre mancanze.
Mi pare che l'onorevole Marsilio citasse la scuola: in tutte le grandi democrazie occidentali, se andate a vedere come sono organizzate le scuole, troverete che non solo all'università, ma già nelle scuole medie e superiori, sono organizzati in veri e propri campus.
Le scuole in pratica sono aperte oltre l'orario curricolare, riescono ad essere un punto di riferimento per tutta la realtà territoriale e sono spazi entro i quali è possibile portare avanti attività di ogni tipo, che concorrono alla formazione e alla crescita delle nuove generazioni anche attraverso la cosiddetta educazione non formale e attività diverse che non riguardano strettamente quella curricolare.
Ciò da noi non esiste e, purtroppo, nella grande maggioranza dei casi sappiamo che una buona parte delle nostre scuole sono modifiche di destinazione di uso, per cui già per la loro struttura non sarebbero in grado di svolgere tale compito.
Nel corso degli anni, proprio a dare conto di una consapevolezza e di una richiesta da parte delle giovani generazioni, qualche tentativo è venuto, per esempio, nelle rivendicazioni del movimento studentesco. Ricordo a proposito che nel 1996, con il Governo di centrosinistra, sotto l'allora Ministro della pubblica istruzione, onorevole Luigi Berlinguer, fu emanato il decreto del Presidente della Repubblica n. 567 relativo all'apertura pomeridiana delle scuole. Esso rappresentava la risposta ad una storica rivendicazione del movimento studentesco per significare che vi era il bisogno di utilizzare le scuole anche al di fuori dell'orario curricolare al fine di portare avanti iniziative di carattere diverso.
Tale decreto fu varato ma, poiché i fondi purtroppo non sono stati mai sufficienti, di fatto, ha trovato poca o nulla attuazione. Tuttavia, il principio che lo ispirava era assolutamente valido e ancora oggi non abbiamo dato una risposta al problema.
Mi capita spesso, ovviamente, di dialogare con le giovani generazioni, di correre su e giù per il territorio nazionale e di incontrare una domanda che è anche un'offerta. Ovunque andiamo e interroghiamo le nuove generazioni, fra quanto i giovani ci chiedono, troveremo ai primi posti proprio la necessità di avere spazi di aggregazione.
Tra le tante iniziative che abbiamo portato avanti in Abruzzo, mi ha colpito molto un progetto con cui, attraverso un'iniziativa di giornalismo di strada, abbiamo intervistato e interrogato i ragazzi colpiti dal terremoto. Chiaramente parliamo di ragazzi che, in molti casi, non hanno più una casa, che insomma non hanno niente. Ebbene, figura tra i primissimi posti, se non al primo posto, proprio la richiesta di spazi di aggregazione, ovvero luoghi di socialità dove si possa stare insieme e insieme realizzare cose importanti.
Esiste, dunque, una domanda e un'offerta, nel senso che, nel corso della storia, sono nate tante esperienze nel territorio nazionale, che in maniera amatoriale, discrezionale o comunque sulla base della buona volontà, hanno cercato di rispondere a questa carenza. Alcune iniziative Pag. 34rappresentano assolutamente una ricchezza, altre non le considero una particolare risorsa, ma, di fatto, sono tutti tentativi di rispondere a una carenza.
Ho citato spesso alcuni di tali progetti, fra cui - lo avrete sentito tutti - un esempio per tutti è ciò che ha realizzato Pino Maddaloni a Scampia, che forse meglio racconta quanto si stia cercando di fare: in un territorio difficile, nel quale non vi è assolutamente niente, questo nostro atleta, medaglia d'oro di judo alle olimpiadi di Sidney, insieme ad alcuni amici, a Scampia - un territorio, ripeto, non facile - ha aperto una palestra, dove si impartiscono lezioni di judo per i ragazzi del quartiere. Non so se alcuni colleghi hanno avuto la fortuna di visitare tale centro: io ho avuto tale fortuna e ho trovato qualche centinaia di giovanissimi e ragazzi che facevano lezioni di judo, ma anche tanto altro.
È evidente che quella palestra non è così frequentata perché a Scampia vi sia una predisposizione genetica alla pratica del judo. Essa è così frequentata perché in quella zona è l'unica alternativa al degrado, all'abbandono, alla droga, alla criminalità e perché è un luogo nel quale si racconta e si trasmette plasticamente che la vita può offrire qualcosa di diverso, ovvero è un luogo nel quale plasticamente - utilizzo un termine forse retorico, ma in alcuni casi la retorica non va vista come qualcosa di negativo - si riesce a raccontare che la vita può offrire del bene.
Continuo a rimanere convinta del fatto che, se offriamo un'opportunità di scegliere tra il bene e il male, la gran parte della gente continuerà a scegliere il bene.
Si tratta di un errore che commettiamo soprattutto nel rapporto con le giovani generazioni, a 360 gradi: parliamo di disagio, parliamo di droga, parliamo di bullismo, parliamo di alcol, parliamo di tutto quello che non funziona. Raccontiamo solo quello che non funziona: il singolo episodio di bullismo apre tutti i nostri telegiornali, e nessuno racconta mai le migliaia e migliaia di storie straordinarie che nelle giovani generazioni esistono, delle quali questi ragazzi sono ogni giorno protagonisti; perché, come sempre, fa più rumore l'albero che cade della foresta che cresce, ma vi è una foresta che cresce.
La nostra responsabilità non è semplicemente quella di denunciare quanto non funziona, cioè di denunciare il male: la nostra responsabilità è prima di tutto quella di promuovere il bene; e il bene si promuove offrendo un'alternativa.
Quel che il provvedimento in esame tenta di fare è offrire tale alternativa: dare una risposta finalmente organica ad una carenza che io ho tentato di raccontare, ma che noi tutti sappiamo esservi, che è quella di spazi di aggregazione giovanile in Italia, di luoghi nei quali si possano svolgere iniziative di ogni tipo insieme, attraverso un disegno di legge a ciò appositamente dedicato.
Tento a questo punto di dare una risposta. Comprendo anche la necessità di approfondire le tante domande che emergono, e che possono sorgere leggendo il testo, ma non discutiamo un disegno di legge per normare l'associazionismo giovanile. Non abbiamo la pretesa di introdurre con esso una norma che valga per tutto l'associazionismo giovanile: noi stiamo cercando di normare un particolare tipo di associazionismo giovanile, finalizzato alla gestione di spazi di aggregazione giovanile. Può essere banale, può sembrare banale, ma è così; perché questo è quel che non esiste, perché questo è quel che manca, e perché a questo noi vorremmo dare una dignità propria. Noi vorremmo che delle associazioni giovanili, che hanno come obiettivo quello di gestire degli spazi di aggregazione giovanile, avessero nel nostro ordinamento pieno diritto di cittadinanza. Perché questa ritengo sia una condicio sine qua non per fornire una risposta organica alla carenza della quale ho parlato finora.
Si tratta di associazioni che non possono avere, chiaramente, scopo di lucro, associazioni composte prevalentemente di under 30. Il tema dei limiti di età è un tema sul quale mi considero assolutamente «laica»: l'unico errore che non dobbiamo correre il rischio di commettere è non tarare i provvedimenti anche sulla realtà Pag. 35della nostra società. A me non piace, e spesso denuncio il fatto che in Italia non si fanno davvero i conti con il fatto che i giovani sono sempre di meno, semplicemente spostando l'asticella, per cui abbiamo una società nella quale si è giovani imprenditori a 45 anni e a 55 si è troppo giovani per avere dei ruoli importanti su un piano accademico, per esempio; attenzione, quindi, a tarare i provvedimenti sulla realtà della nostra società. Tuttavia, sono tutte questioni sulle quali penso che in Parlamento, se vi è davvero la volontà di misurarsi sulla «carne» dei problemi, sulle questioni concrete, vi debba essere da parte del Governo massima disponibilità; e questo è un tema sul quale sono ampiamente disponibile a dialogare.
Tali associazioni, dicevo, hanno chiari limiti di età ed alcuni specifici obiettivi; per tutto quello che non è previsto dalla legge, viene richiamata la legge n. 383 del 2000, sulle associazioni di promozione sociale, ma anche in alcuni casi la legge n. 266 del 1991 sul volontariato. Non è quindi questione di essere in contrapposizione, non è questione di essere in aggiunta: è semplicemente un testo che vuole normare uno specifico tipo di associazione giovanile, rivolto ad un obiettivo predeterminato.
Noi abbiamo voluto inserire - e vorrei anche dire una parola su ciò - alcuni elementi tra le specifiche che riguardano tali comunità giovanili (rispondo, credo, in questo all'onorevole Monai, ma non sono sicura che l'abbia detto lui; chiedo scusa, eventualmente, se così non fosse). Si obiettava: che bisogno vi è di precisare la discriminazione, la violenza, l'alcol, la droga? È infatti tutto già previsto. Ciò è evidente: è evidente che una legge difficilmente potrebbe prevedere una cosa diversa. Quel che noi abbiamo tentato di fare è operare una sottolineatura, per raccontare anche qual è la mission, qual è l'obiettivo che tali spazi di aggregazione si danno.
L'obiettivo delle comunità giovanili (oltre ovviamente allo sviluppo di una serie di attività cui farò riferimento più avanti) è innanzitutto quello di consentire a tutti di poter partecipare: le comunità giovanili sono dei luoghi aperti, devono essere dei luoghi aperti, e a nessuno può essere impedito di partecipare all'attività di una comunità giovanile, perché questo già esiste e non è questo quello che vogliamo normare.
Le comunità giovanili hanno come obiettivo quello di promuovere (è un'espressione che non mi appassiona) corretti stili di vita, cioè una socialità sana, il rispetto della persona, e la lotta ad una serie di degenerazioni che tra le giovani generazioni sono molto comuni. Mi riferisco al tema dell'uso di droghe e dell'abuso dell'alcol. Noi siamo abituati ancora a ritenere che, per esempio, nel rapporto con la droga si parli sempre di una nicchia della società, ma il rapporto che questa generazione ha con la droga non è il rapporto che le giovani generazioni avevano con la droga vent'anni fa. Ieri chi si drogava era comunque considerato ai margini della società. Oggi questi ragazzi familiarizzano con la droga, è nella loro quotidianità. Quindi, non è così scontato dire che l'associazione, la comunità giovanile, si pone come obiettivo quello di combattere anche la cultura della droga, una cultura che è purtroppo dilagante nella nostra società, per non parlare dell'abuso di alcol (9-10 anni è l'età in cui i ragazzi familiarizzano con l'alcol).
Il punto non è scrivere in una legge qualcosa di scontato, il punto è porre una sottolineatura su qual è l'obiettivo, e perché questi spazi esistono, dunque con quale mission. Chiaramente le comunità giovanili operano una serie di attività, anche questo è l'elemento. Come si fa a promuovere il bene? Come si fa a combattere la droga? Come si fa a offrire un'alternativa? Lo si fa offrendo la possibilità, all'interno di questi spazi, a questi ragazzi di fare una serie di cose.
Noi abbiamo previsto un ampio ventaglio di attività, ma lasciamo questo aspetto anche all'autodeterminazione delle singole associazioni, delle singole comunità giovanili, che in questo campo vorranno Pag. 36operare. Abbiamo previsto la possibilità di portare avanti attività di carattere sportivo. Chiaramente lo immagino come uno strumento di alleanza, non di contrapposizione o di competizione con il mondo dell'associazionismo sportivo. Lo dico anche perché penso che il disegno di legge non sia affatto risolutivo da questo punto di vista di un'altra problematica che il Governo ha il dovere di affrontare, che è quella di una maggiore attenzione da rivolgere alle società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, e particolarmente a quelle che creano dei vivai; si tratta, infatti, di un settore strategico che rischia di non essere adeguatamente valorizzato. Le attività sportive dunque si possono portare avanti all'interno delle comunità giovanili. Mi riferisco anche ad attività di formazione, chiaramente in questo caso in apporto e in raccordo con le regioni, con chi ha le competenze in tale settore. A tale proposito vi è un'assoluta disponibilità a sistemare, come per quanto riguarda il disegno di legge in generale, le norme che dovessero non essere abbastanza chiare. Mi riferisco ad attività legate ovviamente alla libera circolazione delle idee e del pensiero.
Mi pare che serpeggi - anche in questo dibattito è stato fatto questo richiamo - l'idea per la quale tutto questo disegno di legge sarebbe necessario semplicemente per dar vita a realtà politicizzate, che possono aiutare qualcuno a fare qualcosa che non ho capito bene. Chiaramente questa legge nasce con il presupposto diametralmente opposto, perché a tutti è chiaro (a chiunque abbia fatto politica, e a chiunque abbia fatto politica nel mondo giovanile) che i partiti politici, particolarmente i movimenti giovanili, soprattutto i movimenti giovanili di quei partiti politici che sono radicati sul territorio, hanno già rappresentato e già rappresentano una realtà tra le poche di aggregazioni che esistono a livello giovanile. Sarebbe francamente stupido presentare un disegno di legge per normare questa realtà.
Quello che io voglio - quello che noi vogliamo fare - è dare una risposta a quel 94 per cento di ragazzi che in Italia non fanno politica, che sono la stragrande maggioranza del nostro mondo giovanile, e che hanno bisogno di risposte anche se non frequentano i partiti politici. Nessuno che venga dalla storia di un movimento giovanile ha bisogno di fare una legge per dare degli spazi da gestire ai partiti politici e ai movimenti giovanili di partito. Infatti, chi viene dalla storia di un movimento giovanile o di un partito politico quegli spazi già li ha e, quindi, tende a dare risposte rispetto a qualcosa di cui non dispone.
Questo vorrei che fosse chiaro, perché - ripeto - tra le diverse forme di dietrologia che si sono fatte sul provvedimento, questa mi pare quella più ricorrente, ma anche la meno fondata. Non è un caso che la norma preveda specificamente l'esclusione dei partiti politici, l'assenza di discriminazione; proprio per evitare che si possa discriminare, sul piano ideologico, rispetto all'ingresso in ambienti come questi, e che si possa utilizzare una norma di questo tipo per favorire anche le associazioni di fiancheggiatori della politica. Non ci sono, secondo me, delle associazioni di fiancheggiatori della politica; ci sono movimenti giovanili di partito, ma non sono fiancheggiatori, sono parte integrante del partito e anche una bella parte integrante per chi viene da questa storia e la conosce bene. Non c'è, a mio avviso, quindi, tale rischio e vorrei, su questo, sgomberare il campo con parole molto chiare.
Certo, immagino che le comunità giovanili possano occuparsi anche di libera circolazione delle idee, organizzare cineforum, dibattiti, qualunque cosa, che da questo punto di vista possa formare le giovani generazioni. Tuttavia, questo non attiene al tema della politicizzazione, ma semplicemente al tema dell'approfondimento, della formazione, della crescita. Questo fanno tante realtà e questo sarebbe giusto fare.
E, poi, soprattutto, vi sono le attività legate al mondo della creatività. Altro grande tema perché il Ministero della gioventù, da questo punto di vista, sta ampiamente lavorando - ormai da un paio d'anni - per cercare di dare delle Pag. 37risposte ai tanti talenti che abbiamo in Italia e che, spesso, non hanno dei luoghi nei quali esprimersi o ai quali riferirsi o non hanno delle opportunità. Abbiamo portato avanti tante iniziative, ma non ne parlerò adesso perché non voglio essere troppo lunga. Penso, però, davvero, che una presenza capillare di queste strutture sul territorio domani possa rappresentare un'infrastruttura culturale, cioè una rete capace di partire dal basso e di dare una opportunità, di offrire a tanti ragazzi uno strumento per scoprire il proprio talento, una propria vocazione, e per raccontare quella vocazione e quel talento. Non è un caso che ci sia un Osservatorio in questo provvedimento. L'Osservatore nazionale sulle comunità giovanili è stato un altro strumento che ha fatto discutere e sul quale si è fatta molta dietrologia, affermando che si spendono i soldi per tenere in piedi dei carrozzoni. In questo devo rispondere all'onorevole Lenzi: mi dispiace che si sia citata una serie di presunte strutture del Ministero della gioventù. Vorrei segnalare che, non più tardi di due giorni fa, è uscito un articolo di giornale che raccontava come il Ministero della gioventù sia secondo solo al Ministero per i rapporti con il Parlamento tra quelli che hanno delle spese di funzionamento più basse di tutto il Governo italiano. Insomma, lo considero un elemento importante perché, di contro, il Ministero della gioventù ha una competenza praticamente infinita e, quindi, non si può dire che spendiamo soldi per tenere in piedi non si sa bene quale carrozzone. Lei fa riferimento all'Agenzia nazionale per i giovani - che è stata istituita dall'Unione europea e, quindi, non è una scelta che abbiamo fatto noi - la quale serve ad applicare il programma «Gioventù in azione», ovvero programmi di mobilità messi in piedi dall'Unione europea; e fa riferimento anche al Forum delle associazioni, che non è stato istituito da noi, ma che è una rete di associazioni riconosciuta, se non ricordo male, durante lo scorso Governo. Ad esso è stato dato un finanziamento che ho semplicemente reiterato; si trattava di qualcosa che ereditavo.
Penso sia giusto che ci sia uno spazio di aggregazione e di rappresentanza dell'associazionismo giovanile che possa anche essere di confronto con la politica. Anzi, su questo stiamo ragionando a qualcosa di più serio. Dell'Osservatorio al quale si fa riferimento - ho chiarito e chiarisco qui di nuovo - faranno parte 16 componenti a titolo gratuito, perché a me non serve, e a nessuno serve, qui, fare una qualunque norma per dare uno stipendio a qualche burocrate o a qualche amico dell'amico dell'amico. Non è questo che si sta tentando di fare e non si può dire, di fronte ad un disegno di legge che, per la prima volta, stanzia, di fatto, 18 milioni di euro da dare alle associazioni giovanili e da far gestire ad associazioni di ragazzi, che si stanno investendo o spendendo i soldi nella burocrazia, perché, francamente, ciò è al di là di quello che è realmente scritto sul provvedimento.
Non è un caso, quindi, che esista questo Osservatorio. Esiste per un presupposto completamente diverso che è quello di tentare di costruire una rete tra queste comunità giovanili. Se vogliamo creare un'infrastruttura culturale e se, come credo, dalla singola esperienza di ciascuna comunità giovanile usciranno fuori delle idee, delle proposte, delle iniziative, straordinarie, è bene che ci sia uno strumento che consenta a quelle iniziative di essere rilanciate, che consenta una rete tra tutte queste iniziative, perché questo può fare la differenza.
L'Osservatorio non serve a fare altro che questo: a monitorare l'attività delle comunità giovanili. Penso che il monitoraggio sia importante proprio quando si spendono soldi pubblici, vale a dire avere qualcuno che controlli cosa si fa con quei soldi ma niente di più.
Vi è un altro elemento che forse non si tiene in debita considerazione e che tuttavia per me fa la differenza. Dicevamo che le comunità giovanili sono gestite da associazioni di persone che di norma non devono avere più di trenta anni. Penso che questo sia un elemento importante che non va sottovalutato. Infatti investire somme ingenti e consentire una volta tanto Pag. 38a chi è giovane di misurarsi non solamente con qualcosa che noi immaginiamo e che caliamo sul territorio come se questi ragazzi fossero semplicemente fruitori o cavie, ma immaginare uno strumento che consenta loro di gestire questi fondi e di avere una responsabilità rispetto ad essi e al funzionamento di questa attività, nonché rispetto al successo di questa iniziativa, ritengo che faccia la differenza e che sia un elemento che non si può e non si deve sottovalutare.
Per il disegno di legge in esame vengono stanziate risorse che io considero insufficienti a fare quello che sogno ma comunque risorse importanti. Vorrei ricordare che è dal 2005 che esiste un fondo destinato alla nascita delle comunità giovanili, era un fondo triennale. Tale fondo è stato fin qui inutilizzato anche a causa dell'assenza di una normativa di riferimento. Il Governo ha aggiunto uno stanziamento ulteriore e siamo così complessivamente a 18 milioni di euro che spero si possano trasformare domani, se l'iniziativa avrà successo, anche in uno stanziamento stabile e strutturale. Anche su questo voglio fare un po' di chiarezza. Come si fa ad accedere a queste risorse? Noi approviamo una legge nella quale prevediamo che per essere una comunità giovanile bisogna rispondere a determinati parametri e che tutti i soggetti che rispondono a determinati parametri si iscrivono a un registro e chiunque può costituirsi comunità giovanile: anche su questo bisogna fare chiarezza. Chiunque può costituirsi comunità giovanile: associazioni di persone che prevalentemente non abbiano più di trent'anni - vediamo cosa uscirà fuori dal dibattito parlamentare sull'età - con parametri che abbiamo previsto all'interno della legge, ne citavo qualcuno. Si dice che tali parametri sono scontati ma comunque nulla osta nel senso che non sono limitativi di niente dopodiché nessuno viene precluso dalla possibilità di costituirsi comunità giovanile e di iscriversi a un registro. Tra coloro che fanno parte di questo registro noi faremo l'unica cosa che si può fare e che si deve fare in questa occasione: un bando di concorso. Si indice un bando, che è il modo più trasparente e più obiettivo per spendere soldi pubblici. Nessuno darà finanziamenti a pioggia, nessuno darà finanziamenti discrezionali a qualche associazione amica e a qualcun'altra no. Semplicemente si stabiliranno criteri e chi sarà più bravo a confrontarsi con quei criteri avrà fondi che derivano da questo particolare stanziamento, fermo restando che considero fondamentale il tema della sussidiarietà verticale cioè della capacità di partecipare allo stesso obiettivo tra livelli di governo diversi.
Considero importante da questo punto di vista anche l'intervento dell'onorevole Miotto. Vorrei sottolineare che anche su questo abbiamo fatto un grande lavoro. Anche qui nulla osta a che i comuni, le province, le regioni, anche sulla base dei piani locali giovani, degli accordi di programma quadro, che noi finanziamo con la regione, vogliano contribuire con proprie risorse a finanziare la comunità giovanili o a finanziarne altre che non vengono finanziate perché non vincono il bando nazionale. Qual è il problema? Ritengo che sia giusto che livelli di governo diversi lavorino sullo stesso obiettivo. Penso che su questo sia importante anche, a livello centrale, indicare degli obiettivi. Lei citava i piani locali giovani e io aggiungo gli accordi di programma quadro. Quando io ho ereditato il Ministero della gioventù, ho trovato in alcuni casi stanziamenti che il Governo faceva agli enti locali o alle regioni per somme che francamente erano non risolutive della condizione giovanile, magari un milione di euro. Ricordo di un accordo programma quadro che con un milione di euro di stanziamento pretendeva di centrare diciotto obiettivi. Ora noi abbiamo preso e rinegoziato buona parte di questi accordi di programma quadro, ritenendo che sia molto più credibile spendere risorse limitate magari su due-tre grandi obiettivi sui quali tutti quanti lavoriamo insieme perché c'è una possibilità in più di dare risposte.
Altrimenti sì che si rischia di dare i soldi a pioggia; esattamente come, quando siamo andati a rivedere i criteri per definire gli Pag. 39accordi con l'ANCI; ricordo che il Ministero della gioventù ha devoluto, anzi ha avviato un accordo anche quest'anno con l'ANCI per 12 milioni di euro, sui quali abbiamo lavorato prevalentemente a bando. A questo riguardo, noi abbiamo dato la priorità a quello che è destinato a rimanere sul territorio, piuttosto che ai progetti il cui beneficio termina insieme al progetto stesso. Ciò è tutto nella visione di questo Ministero e nulla osta e niente vuole contrapporsi anche a livello di governo regionale. Non risponderò sul tema della competenza perché il presidente Bruno, che ringrazio, su questo ha risposto e non vi è figura più autorevole che da questo punto di vista possa dare una risposta quanto il presidente della Commissione affari costituzionali.
Al di là del tema della competenza, noi lavoriamo quotidianamente con il livello di governo regionale, con i livelli di governo territoriale, con i comuni. Lo facciamo anche nel disegno di legge in esame: voglio ricordare che il disegno di legge in esame è stato in Conferenza Stato-regioni per 8 mesi; è stato dibattuto insieme alle regioni e alla fine è uscito come un accordo che noi abbiamo chiuso con le regioni e, quindi, è condiviso dalla Conferenza Stato-regioni. È un disegno di legge che prevede un'intesa forte con la Conferenza Stato-regioni e quindi è già - e concludo, signor Presidente - un disegno di legge che prevede attenzione nei confronti di livelli di governo diversi e particolarmente di quelli che hanno la competenza sulle politiche giovanili. Figuriamoci se vogliamo venire meno a questo elemento. Però penso anche che non sarebbe una grande risposta per noi avere finalmente una norma su spazi di aggregazione giovanili, rimandarla alle regioni e avere venti norme diverse, a seconda della regione nella quale ci si trova. Infatti, a mio avviso, anche questa non sarebbe purtroppo una risposta. Quello che si sta cercando di fare è un'altra cosa.
Giustamente mi sollecitano, quindi vado a concludere. Vi sarebbero sicuramente tante altre risposte da dare. Voglio dare alcune ultime risposte.
Sul tema dell'accelerazione dell'iter del provvedimento, onorevoli colleghi, francamente a questo non posso accedere. Il disegno di legge in esame è stato licenziato dal Consiglio dei ministri due anni fa. È stato, come detto, 8 mesi in Conferenza Stato-regioni, ed è stato dopo un anno calendarizzato alla Camera. Tutto ciò non dipende da me. Mi pare però che le Commissioni abbiano svolto un lavoro, che vi sia stato il confronto e che siano state fatte delle audizioni. Non mi pare onestamente che abbiamo corso così tanto. Io sono estremamente disponibile a cercare ogni forma di dialogo e i gruppi parlamentari lo sanno, perché stiamo dialogando con tutti. Però attenzione a non fare poi, con la scusa che bisogna dialogare di più, che bisogna confrontarsi e che bisogna parlarne meglio, slittare sempre i provvedimenti che riguardano le giovani generazioni in coda al calendario di qualunque assise politica. Su questo io, da Ministro della gioventù, non posso assecondare le richieste che pervengono. Siccome mi pare che vi sia stato obiettivamente tutto il tempo per studiare la materia e approfondirla (io ne parlo ovunque vada da 2 anni a questa parte), sinceramente non me la sento di dire: «Rimandiamo il provvedimento perché abbiamo corso troppo», non foss'altro, ripeto, perché aspetto la calendarizzazione del provvedimento in esame da ormai diversi mesi, se non anni.
Ultime due cose velocissime: si è detto anche in quest'aula che quello in esame è un provvedimento spot. Ringrazio l'onorevole Sarubbi per aver detto che ciò non è la posizione del suo gruppo, ne sono contenta. È stato detto, anche via stampa, da una parlamentare, in particolare dall'onorevole Picierno del Partito Democratico. Io ho un'altra idea rispetto a cosa sia un provvedimento spot. Io penso ad esempio che vi siano provvedimenti spot quando si crede che la partecipazione giovanile si risolva facendo i consigli comunali dei giovani, come se i giovani non potessero confrontarsi con un consiglio comunale vero, o quando si fanno le consulte che non hanno alcun potere. Pag. 40Penso che sia invece tutt'altro che un provvedimento spot stanziare 18 milioni di euro e darli alle associazioni giovanili affinché possano autogestire il proprio tempo libero e affinché possano portare avanti teatro, musica, sport, formazione, Internet, biblioteche, fare amicizia, conoscersi e crescere insieme. Questo a me non sembra un provvedimento spot francamente e se questo è un provvedimento spot certo ci sarebbe molto da discutere su buona parte di quello che sulle politiche giovanili è stato fatto fin qui in Italia. Un'ultima cosa e sto zitta davvero; ringrazio il Presidente, ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti: ripeto, il dibattito è stato ed è comunque interessantissimo.
Dicevo prima che, in Aula, serpeggia l'idea che si voglia dare vita ad associazioni politicizzate. In generale, è stato detto, anche in questo dibattito, che il provvedimento in oggetto, in alcuni punti, sembra nascondere un interesse e un obiettivo diverso. Ho sentito dire ciò non solamente in questo dibattito, ma in diverse occasioni in questo Parlamento. Francamente, non accetto una lettura di questo tipo, perché la considero avvilente.
Per quanto possa sembrare strano, nella politica italiana, vi è ancora gente che fa delle cose semplicemente perché le considera giuste. Penso che su questo dovremmo provare a confrontarci. Non vi è sempre un altro fine, un interesse di parte o un interesse personale: vi sono anche le storie delle persone, le loro rivendicazioni, i loro sogni e il tentativo di concretizzare una visione del mondo.
Penso che questo sia uno strumento che consente di concretizzare, in Italia, una rivoluzione sul tema dell'aggregazione giovanile. Provengo dal movimento giovanile, con riferimento al quale ho vissuto una storia lunghissima: ritengo che sia mio dovere, nel momento in cui rappresento la gioventù italiana, provare a misurare quelle idee che tanti ragazzi hanno portato in piazza, per tanti anni, e provare a trasformarle in qualcosa di concreto. Ciò è semplicemente giusto ed è utile, non al Popolo della Libertà o a Giorgia Meloni, ma al popolo italiano. Io la vedo così e penso che sia una ricchezza misurarsi con il Parlamento su qualcosa che si considera utile rispetto al proprio popolo, perché la politica dovrebbe servire a questo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Annunzio di una questione sospensiva - A.C. 2505-A)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la questione sospensiva Donadi ed altri n. 1, che sarà esaminata e votata in altra seduta (Vedi l'allegato A - A.C. 2505-A).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Carlucci, Rivolta, Mura ed altri n. 1-00261, Livia Turco ed altri n. 1-00393 e Binetti ed altri n. 1-00396 sulla prevenzione e cura del carcinoma al seno (ore 18,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Carlucci, Rivolta, Mura ed altri n. 1-00261, Livia Turco ed altri n. 1-00393 e Binetti ed altri n. 1-00396 sulla prevenzione e cura del carcinoma al seno (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio, che illustrerà la mozione Carlucci, Rivolta, Mura ed altri n. 1-00261, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

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DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi qui presenti, quando si perde la salute ci accorgiamo tutti di essere dei cittadini che hanno bisogni estremi, che riguardano i familiari e gli amici. Non per questo, la salute è considerata un bene supremo che riguarda tutti gli individui, a cui lo Stato non può non rivolgere la massima attenzione. Oggi parliamo di uno di questi problemi, che riguarda il tumore alla mammella, e tutte le mozioni presentate anche dagli altri colleghi mirano ad ottenere una maggiore attenzione.
Vorrei iniziare, fornendo le dimensioni del problema. Nel mondo, vengono diagnosticati, ogni anno, un milione di nuovi casi di tumore alla mammella. Nel mondo, 400 mila donne muoiono, ogni anno, a causa di questa malattia. In Europa, nel 2007 - mi riferisco ai dati ufficiali - sono stati diagnosticati 280 mila nuovi casi, con una mortalità di circa 75 mila persone. Nel nostro Paese, ogni anno, si ammalano di tumore alla mammella circa 37 mila donne, di cui il 30 per cento prima dei cinquant'anni. Il tumore alla mammella rappresenta la prima causa di morte tra le donne: sono segnalati 8 mila decessi all'anno, e ciò testimonia l'elevato rischio di mortalità della malattia, seppure essa sia in diminuzione.
In coda a questi dati, che indicano le dimensioni del problema, vi è un dato anche economico: uno studio recente della Lega italiana per la lotta ai tumori (Lilt) ha stimato che i costi del tumore al seno sono compresi tra i 29 mila e i 31 mila euro per ogni singola patologia, in relazione alla gravità della malattia, alle eventuali complicanze, alla complessità e alla durata dei cicli di terapia.
Questi sono i dati da cui partire, veniamo ora alle considerazioni su cosa si fa e cosa si può fare di meglio. Al di là del pur rilevante impatto economico e sociale, c'è un risvolto importante che costituisce un grande dilemma medico e sociale: di questa patologia, quando se ne viene a conoscenza, ne soffre tutta la famiglia e tutto il nucleo di amici della persona colpita. Oggi è possibile parlare, in relazione a questa malattia come per altre fortunatamente, di prevenzione. Signor Presidente, signor Ministro, sappiamo benissimo, grazie anche ad una lunga esperienza medica, che la prevenzione è costosa, ma un domani si spenderà molto di meno e avremo la soddisfazione di veder soffrire in misura minore i cittadini. Nel caso del tumore alla mammella vi è la cosiddetta prevenzione primaria; sul punto voglio ricordare che recentemente sono stati anche scoperti dei geni che forse non sarebbe male inserire nello screening mammografico. Tale prevenzione prende in considerazione gli stili di vita da modificare, l'eccesso di alcol, la cattiva alimentazione, la protratta esposizione a radiazioni ionizzanti; ad ogni modo, il nucleo fondamentale di questa situazione è dato dalla prevenzione secondaria basata sulla diagnosi precoce. Oggi è possibile (l'Italia è all'avanguardia nel mondo in questo senso, abbiamo dei centri altamente qualificati e di eccellenza) effettuare una diagnosi precoce con una guarigione che rasenta il 100 per cento per quanto concerne tumori della mammella al di sotto di uno o due centimetri; in questi casi infatti non si attuano più quelle pratiche mutilanti di resezione della mammella, ma basta togliere il tumore, la cosiddetta tumorectomia. Questo, quindi, rivela come la diagnosi precoce sia fondamentale non soltanto da un punto di vista primario nell'evitare la morte del soggetto, ma anche da un punto di vista estetico poiché, giustamente, le donne richiedono anche questo aspetto. Cito ora due righe tratte dall'ultimo numero della rivista The Medical Letter in cui è stato approfondito proprio l'aspetto relativo allo screening; secondo il redattore dell'articolo il disaccordo tra le raccomandazioni delle diverse linee guida su quando effettuare lo screening del carcinoma mammario crea confusione nei medici poiché sul tema vi è una grande discussione. Per esempio, le recenti linee guida delineate dalla Preventive Services Task Force sono a sfavore dello screening mammografico nelle donne al di sotto dei 49 anni di età. Le opinioni di questa società sono però in disaccordo con le raccomandazioni e con le linee Pag. 42guida risalenti al 2002 di un'altra prestigiosa associazione come l'American Cancer Society. Questo però non deve farci discutere e mettere in seconda linea l'importanza fondamentale della prevenzione secondaria data da una corretta ed efficace applicazione di linee guida ben precise sullo screening del tumore della mammella. È chiaro che occorre, preliminarmente, una campagna di sensibilizzazione e di informazione. Il nostro Governo, attraverso la Conferenza Stato-regioni, ha inserito nei livelli essenziali di assistenza (LEA) la previsione di uno screening mammografico con frequenza biennale; ciò, assieme alla prevenzione di altri tumori come quello della cervice uterina e del cancro colon-rettale. Ad ogni modo, come ci spieghiamo la grande differenza nell'aderire a questo programma di screening tra nord, centro e sud? Quando le cifre ci dicono che nel nord si sottopone a questo screening il 70 per cento delle donne mentre nel sud il 27 per cento, ci deve essere qualche problema che non è una mancanza di prevenzione da parte delle donne ma forse una campagna di sensibilizzazione, di informazione non adeguatamente corretta.
Come dicevo, la Conferenza Stato-regioni ha preso atto ed ha inserito nei livelli essenziali di assistenza (LEA) questo problema, uniformando in tutto il territorio nazionale la possibilità dello screening mammografico gratuito. Ricordo che, rispetto al numero di donne effettivamente destinatarie dell'invito da parte delle autorità sanitarie a sottoporsi a tale screening - numero che nel 2007 ammontava a 7 milioni e 400 mila - soltanto 2 milioni e 200 mila donne hanno risposto.
Questo squilibrio - che, tra l'altro, permane tra Nord e Sud, così come all'interno delle regioni - nell'aderire ad una campagna di screening gratuito, è fondamentale e ci pone delle problematiche.
Per questo motivo, chiediamo che il Governo si impegni ancora di più a considerare la prevenzione e la cura del tumore al seno tra le priorità della sanità pubblica e ad avviare ogni intervento idoneo a fronteggiare questo problema.
Chiediamo, altresì, che il Governo si impegni a predisporre un progetto nazionale per la promozione delle informazioni e la necessaria sensibilizzazione sull'adozione di un corretto stile di vita. A tal riguardo, occorre coinvolgere i medici di famiglia: essi sono il trait d'union fondamentale con i cittadini, godono della fiducia e della priorità nell'approccio in questo senso.
Chiediamo, ancora, al Governo di monitorare meglio e con maggiore attenzione e continuità l'andamento dei programmi di screening mammografico, e non di fornire soltanto linee guida. Chiediamo, quindi, al Governo di assumere iniziative di qualsiasi tipo, idonee ad eliminare le evidenziate differenze nell'attuazione dei programmi di screening mammografico.
Chiediamo, inoltre, una valutazione - poiché, in tal senso, c'è un problema economico, lo sappiamo benissimo - per quanto riguarda i finanziamenti disponibili: essi sono messi in preventivo ma poi, se non vengono spesi, significa che la campagna di informazione non è fatta adeguatamente.
Infine, chiediamo al Governo di pensare anche, ad esempio, ad incentivazioni, d'intesa con le regioni, volte ad adottare tutte le iniziative opportune per superare le problematiche che a tutt'oggi impediscono la piena realizzazione di una prestazione diagnostica essenziale per diminuire i costi sociali, personali e familiari, nonché i rischi di una mortalità elevata.
Signor Ministro, sappiamo che è in preparazione il Piano nazionale di screening per il 2010. Già quelli precedenti - del 2007, 2009 e del 2004, di cui sono stato uno degli autori quando ero sottosegretario alla salute - si sono occupati di questo screening della mammella.
Con questa mozione chiediamo - come chiederanno anche gli altri colleghi - una maggiore attenzione verso una problematica che colpisce le donne in maniera notevolissima, a fronte (questo è un aspetto importantissimo) delle moltissime possibilità che ci sono di prevenire, in maniera primaria e secondaria, una patologia che può essere estremamente dannosa, Pag. 43non soltanto esteticamente, ma perché contribuisce in modo notevole alla mortalità.
Richiamo, dunque, l'attenzione del Governo ad applicare linee guida coerenti, a monitorarle, a coinvolgere i medici di famiglia e a fare in modo che l'informazione raggiunga in modo capillare tutte le donne, affinché si possa arrivare alla prevenzione totale di questo tumore (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole D'Incecco, che illustrerà la mozione Livia Turco ed altri n. 1-00393, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

VITTORIA D'INCECCO. Signor Presidente, ringrazio il Ministro Meloni che è presente a questa nostra illustrazione, ma non vedo il Ministro della salute e mi dispiace molto. Mi sembra che sia un argomento così importante da coinvolgerlo: probabilmente aveva forse di meglio da fare.
La patologia che colpisce, più di tutti, le donne - come diceva l'onorevole Di Virgilio - è, purtroppo, il carcinoma mammario, che in Italia rappresenta la prima causa di morte tra i 35 e i 45 anni. Ogni anno, purtroppo, 1 milione di nuovi casi si presenta in tutto il mondo e 400 mila donne muoiono a causa di tumore maligno al seno.
In Italia, sono 37 mila le donne colpite, dato che rappresenta il 20-25 per cento dei tumori maligni femminili, di cui il 30 per cento prima dei 50 anni, il 45 per cento fra 50 e 70 anni e il 25 per cento dopo i 70.
Il mio lavoro di medico da circa trent'anni mi ha portata spesso - ed ancora mi porta - vicino a queste tristi realtà. Ma chi di voi non si è trovato coinvolto, anche da lontano, a condividere anche solo il racconto di queste brutte esperienze? Lo smarrimento, l'angoscia, il dolore, la disperazione e, poi, la rassegnazione, la ricerca di un aiuto, il bisogno di affidarsi in mani sicure: ecco che cosa si prova.
Tuttavia, nonostante questo bisogna pensare ai costi. Sì, signor Presidente, perché i costi derivanti da questa patologia - secondo l'entità e le eventuali complicanze, la durata di un possibile o indispensabile ciclo chemioterapico o radiante - secondo una recente indagine effettuata per conto della Lega italiana per la lotta ai tumori (già citata dall'onorevole Di Virgilio) sono stimate intorno ai 29-31 mila euro l'anno. Ci sono, poi, i costi legati al coinvolgimento dei familiari: per le trasferte e gli spostamenti, quelli in relazione alla diminuzione del reddito a causa dell'impossibilità della donna di lavorare e, inoltre, quelli dovuti alla necessità di una diversa gestione dell'economia domestica all'interno della famiglia non riuscendo più, la stessa, ad assolvere neanche al suo ruolo essenziale di mamma e di moglie.
Ecco che il tumore al seno diventa patologia sociale, che non interessa più soltanto la donna ma anche il marito, i figli, i parenti, e porta a gravissime ripercussioni sulla qualità della vita e, soprattutto, sulla serenità di tutto il contesto familiare.
Come intervenire? Pensiamo ad interventi efficaci ed efficienti per la prevenzione primaria con adeguate campagne di informazione e sensibilizzazione. La donna deve conoscere i fattori di rischio da evitare: l'obesità, l'eccessivo consumo di alcol, le protratte esposizioni a radiazioni ionizzanti, deve sapere se ha familiarità per la malattia, se si trova in età critica o se è affetta da turbe mestruali e che è importante la prevenzione secondaria sottoponendosi ad uno screening ecografico e o mammografico che permetta una diagnosi precoce.
Infatti, il mammografo riesce a superare i limiti dell'ecografo e ad identificare lo stadio iniziale di tumori, anche di minime dimensioni. In questo modo si potrà intervenire prima con terapie meno invasive di quelle che ha citato l'onorevole Di Virgilio, si accorceranno i tempi della malattia e aumenterà la probabilità di guarigione con una riduzione di circa il 50 per cento del rischio di mortalità. Pag. 44
Signor Presidente, come si è inteso superare le liste d'attesa? Le linee guida approvate l'8 marzo 2001 dalla Conferenza Stato-regioni per prevenzione, diagnostica e assistenza in oncologia, in linea con gli altri Paesi europei, hanno iniziato ad offrire gratuitamente a tutte le donne residenti in Italia - e non solo alle italiane - di età compresa tra 50 e 70 anni uno screening mammografico ogni due anni. Tale servizio è stato successivamente inserito nell'elenco dei LEA approvato il 29 ottobre 2001 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
L'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 7 maggio 2005 n. 105, ha assegnato il compito ad un apposito Comitato - istituito presso il Ministero della salute - di monitorare e verificare l'appropriatezza delle prestazioni e certificare l'esatto adempimento degli obblighi regionali in materia sanitaria.
Ben quattro anni fa, grazie alla sensibilità dell'onorevole Livia Turco, prima firmataria di questa mozione e allora Ministro della salute, i LEA sono stati potenziati e il numero delle donne destinatarie dell'invito è per fortuna aumentato. Ma nonostante questo, come giustamente ha rilevato l'onorevole Di Virgilio, è emerso un dato un po' allarmante: su base nazionale, purtroppo, ha aderito solo il 62 per cento del target annuale di riferimento e vi è una significativa differenza tra nord e centro, da un lato, e sud e isole, dall'altro. Nei primi l'estensione dell'invito si è identificata fra il 70 e l'82 per cento; nei secondi, l'indicatore supera di poco il 27 per cento. Perché questo? Come mai? Forse per scarsa informazione e differenza nell'attuazione dei programmi nei singoli territori?
Invece, è confortante, come ha rilevato l'onorevole Di Virgilio, il fatto che recenti studi effettuati negli ultimi anni hanno permesso di identificare il gene TP53 e i geni BRCA1 e BRCA2, responsabili di forme autosomiche dominanti definite «ad alta penetranza». Questo ha permesso di riconoscere più in fretta i fattori di rischio genetico coinvolti nello sviluppo della neoplasia mammaria e di intervenire in tempo. Quindi, è importante la ricerca. Facciamone tesoro.
Pertanto, vogliamo impegnare il Governo: a considerare il tumore al seno quale patologia sociale e il contrasto alla malattia quale priorità per la sanità pubblica; a promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione per seguire un corretto stile di vita e per l'importanza di una diagnosi precoce, coinvolgendo i medici di famiglia e quelli dei servizi territoriali; a promuovere la creazione di unità di patologia mammaria presso la maggior parte delle aziende ospedaliere; a monitorare, con attenzione e continuità, l'andamento di programmi di screening mammografico nelle diverse regioni, demandando al comitato per la verifica dei LEA la rilevazione delle migliori pratiche e la promozione delle buone prassi in tutte le regioni; ad eliminare ogni differenza nell'attuazione dei programmi degli screening mammografici; ad istituire linee guida per la presa in carico, tra virgolette e in tutti i sensi, delle donne geneticamente predisposte al rischio di carcinoma mammario; ad adottare misure incentivanti per le regioni virtuose che dimostrino risultati positivi nella realizzazione di percorsi a favore di una diagnosi precoce e che prevedano lo screening mammografico associato a visita senologica, così che lo specialista oncologo possa inquadrare precocemente il problema ed offrire consigli utili e preziosi; ad adottare, d'intesa con le regioni, provvedimenti opportuni per eliminare tutti gli impedimenti in modo da realizzare una prestazione diagnostica essenziale che miri a ridurre i costi sociali e i rischi di mortalità legati alla patologia; infine, a definire, su proposta del comitato paritetico permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 9 dell'intesa sottoscritta il 23 marzo 2005 tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, un termine ultimo nei confronti delle regioni inadempienti per la realizzazione di quanto già previsto negli attuali LEA in termini di presa in carico, screening e prevenzione del carcinoma mammario, Pag. 45applicando, in caso di permanenza dell'inadempimento, l'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e del deputato Di Virgilio).

PRESIDENTE. Sospendo brevemente la seduta. Riprenderemo i nostri lavori con l'illustrazione da parte dell'onorevole Binetti della sua mozione n. 1-00396.

La seduta, sospesa alle 18,35 è ripresa alle 18,50.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00396. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, intervenire dopo l'onorevole Di Virgilio e l'onorevole D'Incecco mi ha permesso di mettere a fuoco un aspetto che mi sembra particolarmente interessante.
A volte pensiamo che i numeri abbiano un'oggettività indiscussa e indiscutibile. In realtà già i numeri dati dall'onorevole Di Virgilio e dall'onorevole D'Incecco non convergevano tra di loro e devo dire onestamente che non convergono nemmeno con i numeri di cui dispongo io. Anche se le diversità mostrano quanto sia difficile a volte approdare a conoscenze certe, a partire dalla capacità di raccolta dei dati, tuttavia ciò che comunque si evidenzia nelle tre relazioni è una situazione in ogni caso drammatica.
Il carcinoma mammario resta in tutte e tre le relazioni la prima causa di mortalità per tumore nel sesso femminile con un numero di decessi, a seconda dell'indagine che ho fatto, che si attesta tra i 12 mila e i 13 mila per ogni anno. È come dire che ogni anno muore una quantità di persone pari a quella di un piccolo comune presente in Italia. Il fenomeno risulta ancora più drammatico se si considera che ogni anno vi sono tra i 33 mila e i 37 mila nuovi casi, cioè circa una donna ogni tredici si ammala di carcinoma al seno.
Grazie alle nuove tecnologie diagnostiche la patologia in Italia viene diagnosticata nel 30,4 per cento dei casi a donne con meno di 44 anni. È vero che qui non c'è il Ministro della salute ma il Ministro della gioventù, tuttavia è interessante che ella, tra tutti i suoi obiettivi, si renda interprete autorevole del fatto che questo tipo di tumore tocca sempre di più le fasce giovanili. Infatti, nel 37,7 per cento dei casi interessa donne di età compresa tra i 45 e i 64 anni e nel 18 per cento dei casi donne di età maggiore di 65 anni.
Entro i 65 anni nella popolazione femminile una diagnosi di tumore su tre è rappresentata da un carcinoma mammario. In una società che invecchia come la nostra, in cui andiamo verso un numero di ultrasessantenni che nel 2025 si attesterà su una quota che supera il 40-45 per cento della popolazione, possiamo dire che una donna su tre presenterà un tumore al seno con tutte le conseguenze che questo può avere dal punto di vista sociale perché fa di una patologia individuale un'autentica patologia sociale e sulle conseguenze che questo potrà avere sull'intero sistema sanitario nazionale.
Un'attenzione particolare, a nostro avviso, merita la diagnosi sui tumori del seno effettuata durante la gravidanza che riguarda il 15 per cento di donne, probabilmente per l'innalzamento dell'età media della prima gravidanza che si è spostata tra i 34 e i 38 anni. In questa ipotesi la maternità in età avanzata può rappresentare un fattore di rischio e questo ci pone anche problemi di particolare interesse sul come poi dover trattare le donne che presentano un carcinoma del seno diagnosticato in fase di gravidanza. Ciò pone problemi molto seri per la donna e per il bambino, pone problemi sotto il profilo scientifico, sotto il profilo clinico e anche sotto il profilo etico.
Purtroppo a quasi vent'anni dall'avvio dei programmi biennali di screening per la diagnosi precoce del tumore al seno, poco più del 60 per cento delle donne aventi diritto riceve l'invito a sottoporsi alla mammografia, per cui circa 3 milioni di italiane restano escluse da questa importante azione di prevenzione. Questo è un dato che non è soltanto grave per la discriminazione che si crea tra il centro, il Pag. 46nord, il sud e le isole, è un danno grave perché una quantità considerevole di donne non riceve la sollecitazione a partecipare allo screening mammario.
È vero che questo dovrebbe attenere ad una sorta di consapevolezza privata, individuale, di tutela della propria salute ma è anche vero che una sorta di campanello di allarme, una chiamata, un sollecito, può aiutare a vincere a volte quell'inerzia e quella pigrizia che possono tenere le donne lontane dall'approfondimento diagnostico che le riguarda così profondamente.
Questo ci dice pure che non basterà predisporre gli strumenti per uno screening perché questo sia efficace, se non si dispongono contestualmente anche tutti gli strumenti necessari a realizzare una vera e propria campagna di educazione alla salute.
La campagna di educazione alla salute non si risolve nella campagna di informazione. È qualcosa di più profondo, che riguarda non soltanto i dati informativi, ma anche gli atteggiamenti, i comportamenti, la motivazione e che ha a che vedere con i corretti stili di vita, ma anche con quell'atteggiamento concreto con cui ogni donna si prende cura di sé, della propria vita e mantiene uno sguardo attento alla propria famiglia e alle implicazioni che la propria salute ha sull'intera famiglia.
Oggi sussiste una discreta consapevolezza dei rapporti che legano salute ed educazione. Vi è un'educazione alla salute che include due momenti di particolare interesse rispetto alla mozione che stiamo discutendo: da un lato la possibilità di attuare una buona prevenzione, dall'altro la necessità inderogabile di fare diagnosi il più precoci possibile. Prevenzione e diagnosi precoce sono due momenti totalmente diversi: con la prevenzione guardiamo alle condizioni che potrebbero in qualche modo impedire che si crei la condizione patologica e che, quindi, permetta di non trovarci a confrontare con casi di carcinoma del seno. Viceversa, con l'intervento precoce interveniamo il più presto possibile in donne in cui si è già sviluppato il tumore al seno.
La nostra attenzione va posta contestualmente sulle campagne di prevenzione che riguardano prevalentemente gli stili di vita e sulle campagne di diagnosi precoce attraverso le quali approdiamo allo screening mammario. Esistono oggi strumenti diagnostici che consentono di assistere all'insorgere di una patologia assai prima di quanto non riesca a percepirlo il paziente nella soggettività del suo corpo sofferente e prima di quando non arrivi a farlo lo sguardo esercitato del clinico attento ed obiettivo. Oggi nelle prime fasi di una malattia si può essere malati senza saperlo e il non sapere può diventare un pesante fattore di rischio che consente alla malattia di svilupparsi e di mettere radici nel nostro organismo fino al punto da rendere assai più problematico ogni successivo intervento terapeutico.
Molti progressi della medicina oggi sono da ascrivere ad una tecnologia sempre più raffinata che consente di arrivare prima e di battere sul tempo lo sviluppo della malattia intervenendo quando ancora è impercettibile agli occhi del medico e del paziente. Tuttavia, la mancata adesione ai programmi di screening comporta un ritardo nella diagnosi e diminuisce le chance della terapia che oggi può portare alla guarigione in un numero crescente di casi.
L'uso della tecnologia in medicina ha rappresentato una conquista molto importante, che ha permesso di elevare l'aspettativa di vita, di abbassare i tassi di mortalità e di morbilità e di migliorare la qualità della vita dei pazienti. Se è vero che tutti auspichiamo una medicina sempre più umana e capace di declinarsi nello stile di un'etica della cura orientato alla centralità del paziente, non possiamo dimenticare che la tecnologia può e deve far parte di questo nuovo paradigma delle medical humanities. Abbiamo bisogno di una tecnologia sempre più avanzata, ma vogliamo che cresca e si sviluppi con lo stile proprio delle technological humanities, a tal punto che in molti ambiti oggi si parla di «umanizzazione della tecnologia» come uno degli elementi caratterizzanti del nuovo paradigma della medicina. Pag. 47
La tecnologia, anche nella prospettiva degli screening come quello proposto da questa mozione, ha modificato sensibilmente la pratica medica ed ha posto nuovi problemi, ha fatto emergere nuovi elementi di discussione in merito all'agire degli operatori sanitari, veri e propri dilemmi etici che cominciano con l'allocazione di risorse sempre più scarse a livello di micro e macro economia. Non è sempre facile definire i criteri di accesso ai programmi di screening high tech ovvero stabilire come allocare risorse sanitarie scarse. Per uscire dal dilemma di decidere i criteri di inclusione ed esclusione, è stato creato l'health technology assessment, processo analitico decisionale strutturato e multidimensionale di analisi di decisioni il cui scopo è la valutazione secondo un approccio alla metodologia multidisciplinare dell'impiego delle tecnologie per supportare razionalmente le decisioni di politica sanitaria stante la limitata disponibilità di risorse finanziarie.
Proprio in base a queste valutazioni, che permettono di confrontare i costi e i benefici in modo multidimensionale, la nostra mozione propone di abbassare l'età in cui si effettua il primo screening mammografico, portandolo dai cinquanta anni attualmente previsti a quaranta anni, per offrire una copertura diagnostica precoce ed efficace anche alle donne più giovani, in cui il carcinoma della mammaria sembra decisamente in aumento.
Gli strumenti di cui attualmente disponiamo offrono già standard di alta qualità, che possono essere investiti su una scala più ampia, come propone la nostra mozione, anche se, davanti alla molteplicità degli strumenti offerti dalla tecnologia, ci si illude che quello di ultima generazione, meglio se ultimissima, possa risolvere dubbi e problemi.
Il medico sa benissimo che nessuno strumento può compiere magie, né lui riuscirà a sfruttare pienamente le potenzialità, se non investe nella propria formazione specifica. Questo è uno degli elementi qualificanti della nostra mozione: la formazione dei medici alla capacità di attuare una diagnostica precoce e sempre più raffinata, a partire dagli strumenti di cui dispone.
Tutti sperimentiamo e percepiamo il ritmo alternativamente cadenzato e incalzante del nostro modo di reagire agli stimoli esterni e agli stimoli interni della nostra corporeità: cogliamo gli alti e bassi della nostra emotività, ragioniamo con tono positivo davanti a potenziali difficoltà, ma siamo i primi a prospettarci scenari angoscianti quando ci sentiamo più deboli e più fragili o quando ci viene posta una diagnosi che, oggettivamente, ci dà quella che chiamiamo una cattiva notizia.
Ci dicono che viviamo in un presente «liquido», ma, se a volte è possibile «galleggiarvi» pienamente, altre volte si sente tutti il rischio di affogare. I segnali più sensibili vengono sempre dal nostro corpo, dalle antenne sottilissime che captano segnali molto deboli, amplificandoli ben prima che la nostra intelligenza e la nostra ragione sappiano dire da dove vengano e dove ci stiano conducendo. Insegnare alle donne a leggere il proprio corpo, a decriptarne i messaggi per poterli volgere sempre e solo a proprio favore dovrebbe essere uno dei grandi messaggi che restituiscono al corpo femminile la sua dignità e lo sottraggono a strumentalizzazioni commerciali di pessimo gusto.
La corporeità è il primo step del dialogo della donna con l'ambiente umano che la circonda, perché il suo corpo è diafania di tutto il suo essere, delle sue emozioni e delle sue sofferenze, delle sue capacità e dei suoi limiti, del suo stato stesso di malattia.
Rilanciare il protagonismo della corporeità serve a far comprendere che il corpo è l'alfabeto del medico che legge, interpreta e risponde ai suoi bisogni, sia quelli espressi sia quelli inespressi, ma ugualmente presenti nel libro del suo corpo.
Con la nostra mozione vogliamo ribadire l'assoluta necessità di un'alleanza forte fra medico e paziente, per anticiparne l'incidenza al momento stesso in cui un'insospettata patologia sembra prospettarsi all'orizzonte e per prolungarla fino al termine della vita. Il tumore del seno, Pag. 48infatti, nonostante i progressi della scienza e della tecnica, nonostante la relativa riduzione del numero di pazienti che muoiono per carcinoma mammario, resta la causa più frequente di mortalità femminile in oncologia.
Uno screening è efficace solo quando il suo focus è posto sul paziente e riconosce il nuovo protagonismo dei pazienti nel processo di cura. La ricerca di una diagnosi precoce richiede una sguardo ampio e profondo ed esige una costante capacità di sintesi, sia in fase diagnostica sia nel passaggio alla scelta delle terapie. La numerosità e la complessità dei problemi, sempre fortemente interdipendenti, richiede un approccio unitario, che non può essere delegato alla pluralità delle competenze degli specialisti: c'è bisogno di una figura unitaria, di un oncologo che affianchi realmente l'esperto di mammografia, perché la diagnosi non sia soltanto tecnica, ma sia, soprattutto, una diagnosi umana, che prende in carico la donna, con tutta la complessità dei suoi bisogni. La fragilità della donna, infatti, davanti a una diagnosi di possibile carcinoma, non consente al medico né scorciatoie né deleghe di responsabilità.
In questo caso, l'etica della cura impegna tutta la responsabilità del medico, che deve imparare a sentire e a ragionare in modo empatico, per capire anche ciò che non si dice e per raccogliere anche ciò che non si chiede.
Anche questo è un modo concreto per riconoscere la dignità della donna e metterla al centro dell'attenzione dell'intero sistema sanitario. Per la riuscita dell'azione educativa è di fondamentale importanza la disponibilità all'ascolto, non solo la disponibilità all'intervento tecnico e tecnologicamente evoluto: serve un atteggiamento ulteriore di accoglienza di ciò che l'altro è e dice, come disponibilità concreta a parlare con il malato.
Quando si fa prevenzione o si interviene in modo precocissimo in una patologia, occorre tempo, per spiegare e per chiarire. Si tratta di un tempo che spesso va oltre quello programmato dal medico, con i vincoli propri dei modelli aziendali: un tempo che si misura sui bisogni della singola persona, per capire e decidere insieme a lei che cosa fare e di che cosa ha bisogno.
È necessario trovare la formula perché il fattore tempo diventi l'alleato del processo terapeutico-educativo: come esistono momenti differenti nella storia di una malattia - o, meglio, nella storia di una persona con una malattia -, esistono tempi diversi per poter realizzare, affrontare e gestire la condizione particolare in cui ci si trova, senza doversi uniformare a standard precostituiti.
I tempi del paziente sono una delle variabili essenziali con cui il medico deve fare i conti per ottenere quella preziosa compliance che è parte integrante della diagnosi e della terapia. Il medico darà valore al suo tempo, dando tempo al malato, considerato lui stesso come un valore.
In questo senso uno screening senza un counseling adeguato toglie valore alle informazioni che scaturiscono da diagnosi precoci e le consegna, invece, ad una deflagrazione che può nuocere senza riuscire a curare, perché un sapere così fortemente anticipatorio può creare più angosce che speranze, più timori che prospettive.
Il saper comunicare, in questi casi, diviene parte integrante del processo di cura e non può essere delegato ad altri. Proprio a questo punto si riferisce la nostra mozione, quando chiede di assicurare opportuni livelli di qualità nel settore della prevenzione, grazie alla formazione degli operatori e allo sviluppo di adeguati programmi di educazione sanitaria, così come raccomandato dalle linee guida europee.
Nella formazione del medico, con particolare attenzione ai medici di famiglia, la mozione ricorda la necessità di integrare competenze cliniche specifiche e competenze di tipo educativo, ben sapendo quanto le une esigano una solida acquisizione delle altre e non ci possano essere risultati positivi se non siano presenti entrambe.
I costi dell'errore - soprattutto quando siamo davanti ad una mancata diagnosi o ad una diagnosi erronea - sono sempre più alti, sia in termini personali che sociali. Pag. 49L'errore in medicina è sempre meno giustificato e la medicina difensiva sta diventando una delle preoccupazioni maggiori a livello medico, sia a livello istituzionale, che a livello delle società di assicurazione.
Sul piano organizzativo ed economico sta prendendo corpo la cosiddetta medicina difensiva prescrittiva, che sollecita consulenze e indagini non per una concreta efficacia diagnostica o terapeutica, ma piuttosto allo scopo di cautelarsi.
Il medico si vuole tutelare, e con lui ogni altro operatore sanitario, anche se ciò comporta un consumo immotivato di beni, spreco di risorse ed incremento ingiustificato di costi. Calcolare l'entità, il corrispettivo degli errori medici ed il loro costo individuale e sociale non è facile, sia che si tratti di un'omissione, che di un intervento eccessivo.
La medicina difensiva costituisce un forte deterrente ad evitare di commettere errori che possano essere imputati al medico o alla struttura in cui opera, ma non sempre si ispira ad una maggiore e migliore capacità di tutelare il malato ed i suoi diritti. Rivela, piuttosto, una medicina malata, insicura, che non ha ancora trovato un modo appropriato ai tempi per rilanciare l'alleanza terapeutica con il malato. In questo senso uno screening ben fatto potrebbe permettere di contenere i costi e limitare gli errori. Il lievitare dei costi della sanità si sta spostando, infatti, dal servizio diretto al malato all'indotto di costi di supporto al sistema difensivo, finendo con il sottrarre risorse proprio a chi vorrebbe e dovrebbe curare.
Il tema economico non è qualcosa di estrinseco rispetto al paradigma della medicina, ne costituisce parte integrante, come un vero e proprio fattore di salute. Lo dimostrano i livelli di salute e gli indicatori della qualità di vita nelle regioni a bilancio sano e in quelle con bilancio in rosso.
Nessuno possiede ricette sicure per contenere i costi, che hanno raggiunto proporzioni enormi in tutte le regioni ed hanno portato alcune di queste sull'orlo di un tracollo finanziario che non può più essere ignorato: attese più lunghe, rischi più elevati, strutture fatiscenti, servizi limitati al punto di non poter garantire nemmeno i livelli essenziali di assistenza.
Tutto ciò fa della mala sanità pubblica un rischio concreto per la salute dei cittadini. Il rapporto tra etica ed economia nella sanità pubblica pone interrogativi stringenti a tutte le parti in causa, è come un sasso gettato in uno stagno che provoca cerchi di malessere sempre più allargati, fino a coinvolgere tutti i livelli di gestione politico-economica di un Paese. La spirale inizia a livello dell'azienda sanitaria, giunge agli assessorati regionali della sanità e del bilancio, arriva alla Conferenza Stato-regioni, per poi rimbalzare sul Ministero del lavoro, su quello della salute e del welfare, fino a quello dell'economia. Muove risorse economiche sempre più ingenti, distrae capitali da un obiettivo all'altro, si confronta con situazioni ai limiti della corruzione, come confermano molti degli scandali più recenti.
In un contesto in cui la confusione, l'improvvisazione e la mancanza di trasparenza hanno dominato il dibattito, la trasparenza amministrativa diventa un fattore di salute, la competenza gestionale acquista un potere curante anche rispetto alle patologie più diffuse, la lotta agli sprechi potrebbe guarire una nuova forma di obesità burocratico-amministrativa.
Una recente indagine ha stimato i costi del tumore al seno tra i 30 mila ed i 35 mila euro, a seconda della gravità e delle complicanze che presenta.
La stima include costi diretti di tipo medico-sanitario, per circa l'80 per cento, e costi indiretti, per circa il 20 per cento, che spesso comportano una riduzione del reddito familiare dovuto alle mutate condizioni lavorative della donna affetta da tumore. Sono dati ISTAT che sono stati già citati anche dai colleghi che mi hanno preceduto. In ogni caso, il tumore al seno rappresenta una vera e propria patologia sociale, con evidenti ripercussioni sulla qualità di vita complessiva di tutto il nucleo familiare. Non si può, infatti, ignorare che questo tipo di tumore colpisce in genere donne che, oltre al loro lavoro professionale, si fanno carico della famiglia Pag. 50e della gestione della casa. Molte volte si fanno contemporaneamente carico dei loro figli e dei loro genitori.
In conclusione, sono proprio questi i nuovi grandi quesiti che toccano lo statuto della medicina nel nostro tempo e reclamano nuovi livelli di conoscenza e di competenza solo apparentemente indipendenti, certamente non scollegati tra loro. Le nuove attese nei confronti della medicina e di una sua potenziale onnipotenza e i nuovi parametri della relazione tra medico e paziente fanno delle nuove tecnologie gli strumenti più potenti nelle aspettative di diagnosi e cura, ma anche dei distrattori formidabili nel rapporto interpersonale che tende a sconfinare in un anonimato istituzionale sempre più invasivo ed ostile. I crescenti limiti delle risorse disponibili sotto il profilo economico-finanziario, si sommano ai limiti organizzativo-gestionali, per cui i modelli assistenziali finora proposti si rivelano insoddisfacenti sia a livello individuale che istituzionale.
Cosa debba realmente cambiare, per quali motivi e in che modo si possa e si debba orientare il cambiamento per renderlo più virtuoso non è sempre chiaro ed evidente. Sorprende ogni volta di più lo spaesamento di tanti professionisti e di tanti pazienti, di tanti amministratori e di tante famiglie, eppure tutti siamo davanti all'innegabile opportunità che il mondo della scienza e la tecnica sembrano offrire alla nostra società. Si ha la sensazione che l'approccio decisionale si stia spostando verso meccanismi quasi automatici, che espropriano l'uomo sia delle sue responsabilità personali che di quelle condivise con altri. Tutto dà una connotazione etica difficile da decifrare, che sembra diversa a seconda di come si valutano i fatti, le loro cause e le loro conseguenze.
In teoria, il nostro sistema sanitario è considerato tra i migliori al mondo, per il suo livello professionale, per l'impegno ad offrire assistenza gratuita a tutti, ma tuttavia chi lo sperimenta nei fatti ne coglie la criticità. È una criticità che cresce andando da nord a sud, dai grandi ai piccoli ospedali, dal centro alla periferia. Sono molte le istituzioni operanti in sanità: ospedali, facoltà di medicina, associazioni di pazienti, società scientifiche, che oggi si interrogano sulle cause e sulle possibili conseguenze dell'attuale emergenza in sanità. È un'emergenza di cui il carcinoma della mammella rappresenta un modello concettuale importante.
Ecco perché porre al centro dell'attenzione lo screening sul carcinoma della mammella significa porre l'attenzione su tutti i modelli possibili da applicare in campo di prevenzione e di diagnosi precoce per moltissime altre patologie. Cominciamo dallo screening del carcinoma della mammella, perché in qualche modo dispone di una tecnologia facile, perché in qualche modo c'è una sensibilità che è già presente sul territorio, perché tocca in modo pesante l'universo femminile, che nel nostro sistema sociale costituisce un punto di riferimento per tutti quanti.
Questa mozione vuole essere, quindi, un punto di riflessione condiviso, volto a garantire la tempestiva attuazione del piano nazionale della prevenzione 2010-2012, così come sottoscritto recentemente in sede di Conferenza Stato-regioni, il 29 aprile 2010, assicurando il rispetto dei termini previsti. In definitiva, è qualcosa perfettamente in linea con quanto già deciso dall'attuale Governo, ma con una sottolineatura stringente a passare dalle parole ai fatti.
In questo senso, vorrei sottolineare il primo punto del dispositivo della nostra mozione che impegna il Governo a prevedere di abbassare l'età in cui si effettua il primo screening mammografico. Insisto che è urgente portarlo dai cinquant'anni, attualmente previsti, ai quarant'anni, perché questo carcinoma sta mangiando e divorando una fetta importante di donne giovani.
L'altra cosa su cui voglio insistere è la necessità di eliminare le grandi discrepanze tra nord e sud. Non è più possibile che al sud si debba morire di cose per cui al nord si può guarire. Questa discriminazione sociale è intollerabile per tutti noi. Per questo motivo, è necessario convocare tempestivamente il tavolo di confronto tra Governo e rappresentanti delle regioni, finalizzato Pag. 51a monitorare le regioni che sono in ritardo nell'attuazione dei programmi di screening.
Chiediamo poi il coinvolgimento forte dei medici di famiglia, perché promuovano attivamente l'accesso allo screening, informando le donne sull'importanza di eseguire una mammografia ogni due anni. Ribadisco che la pura informazione non è sufficiente: è necessario passare dall'informazione all'educazione terapeutica.
Infine, ci auguriamo che si possano assicurare opportuni livelli di qualità anche nel settore della prevenzione, grazie alla formazione degli operatori e allo sviluppo di adeguati programmi di educazione sanitaria, così come raccomandano le linee guida europee.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, intendo esprimere l'apprezzamento da parte del gruppo dell'Italia dei Valori per i colleghi deputati che si sono resi protagonisti di tali iniziative politiche, che riguardano il tema del carcinoma alla mammella e dell'incentivazione dello screening mammografico, un rimedio preventivo che si è già dimostrato negli anni molto efficace e che necessita di una rinnovata attenzione proprio perché la sua applicazione pratica non è stata omogenea in tutto il Paese.
Ricordo che la prima mozione al nostro esame, di cui è prima firmataria l'onorevole Carlucci...

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, onorevole Monai. Onorevole Giachetti, se lei fosse al suo posto, adesso starebbe protestando per il fatto che un deputato distrae il Ministro, che è qui in Aula per ascoltare il collega.

ROBERTO GIACHETTI. Le chiedo scusa, ha ragione signor Presidente

CARLO MONAI. Come dicevo, la mozione n. 1-00261, di cui è prima firmataria l'onorevole Carlucci, porta anche la firma della mia collega di gruppo, l'onorevole Silvana Mura, a dimostrazione di come tali temi siano patrimonio bipartisan di quest'Assemblea, proprio perché si rivolgono al tema della salute e della prevenzione da gravi malattie come il carcinoma della mammella.
Ex professo, venendo al tema della mozione, penso che il nucleo vero e forte di questi atti di indirizzo al Governo sia sostanzialmente la constatazione, piuttosto amara, che vede nella nostra nazione un'applicazione molto diversificata e discriminatoria fra il nord, il centro e il sud del Paese, a cui il Governo deve essere chiamato a porre rimedio.
Sulle altre notazioni, che siffatte mozioni portano alla nostra attenzione, penso non vi siano grandi discussioni, sul tema di come rappresenti una malattia sociale, ovvero una patologia di grande diffusione con implicazioni sociali molto pregnanti. Se pensiamo alla mortalità, ai costi sociali, familiari e lavorativi che affliggono le persone colpite da questa malattia o anche alle sofferenze e alla devastazione fisica, che spesse volte si accompagnano agli interventi chirurgici - mi riferisco alla mastectomia che le donne spesse volte subiscono in questo contesto - credo che non ci sia molto da dire, perché siamo tutti d'accordo.
Si tratta del resto di un'acquisizione che risale ormai a qualche decennio fa, tanto è vero -voglio ricordarlo perché non vedo citato tale riferimento legislativo nelle mozioni che si occupano del tema - già il Parlamento, con la legge n. 138 del 2004, di conversione del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81, recante «Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica», indirizzò un impegno finanziario considerevole e un progetto di screening contro il cancro del colon retto (come pure quello della mammella e del collo dell'utero) da realizzarsi in collegamento con l'assistenza sanitaria di base e coinvolgendo la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Pag. 52
La considerazione che tale patologia debba essere individuata come una malattia sociale, cui porre rimedio in maniera preventiva forte, la troviamo quindi già consacrata in un provvedimento legislativo. Se è vero che esso ha avuto una validità solo triennale (2004-2006), è anche vero che ha trovato poi ulteriori conferme e validazioni nel decreto che ha inserito tale tipo di prevenzione nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza, che le regioni devono garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale; tant'è che fu oggetto di vari accordi Stato-regioni, proprio per garantire che anche il settore dello screening mammografico venisse mantenuto nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza.
Il problema vero, che è rimasto ancora oggi irrisolto, è che, come dicevo, nell'ambito della penisola vi sono regioni più virtuose e regioni un po' in affanno, un po' in difficoltà nel garantire la prestazione medica alle donne di questo progetto; che, lo ricordo, sono quelle ricomprese in un delta tra i 49-50 anni e i 69 anni. Questo delta registra applicazioni diverse, sia rispetto al numero di inviti al soggetto «bersaglio», tra le donne che devono essere coinvolte, sia rispetto all'estensione effettiva, cioè all'effettiva risposta di queste donne all'invito a recarsi presso le strutture sanitarie ad espletare il test radiologico. In tale ambito, abbiamo una media che nel nord tocca il 90 per cento degli inviti alle donne comprese in questa fascia di età, il 70 per cento e più al centro, e al sud invece la percentuale tracolla al 40 per cento. Nel nord e al centro ormai circa 3 donne su 4 della popolazione target hanno ricevuto l'invito a sottoporsi al test, mentre tali dati sono molto più deludenti al sud; con la conseguenza che ci troviamo di fronte anche in questo ambito - non solo in quello economico o in quello produttivo, ma anche dal punto di vista dello screening mammografico, della prevenzione del carcinoma alla mammella - ad un'Italia a due velocità, alla questione meridionale.
Questa situazione peraltro non produce, generalmente, regioni peggiori rispetto a regioni migliori. Cito ad esempio il caso della Basilicata, che nello scenario meridionale si distingue, perché dai dati che ho esaminato è praticamente all'87,64 per cento, quindi una media analoga alle regioni più virtuose del nord, tra le quali svetta la Lombardia, seguita a ruota dal Friuli Venezia Giulia, che è la regione che ha avviato questo progetto già alcuni anni fa (ricordo che allora ero consigliere regionale). Essa ha dato attuazione allo screening, che attualmente è già alla terza chiamata, cioè sono già tre volte che le donne di tale fascia d'età vengono convocate per sottoporsi al test.
Come ho detto, l'obiettivo prioritario delle mozioni in esame è sensibilizzare il Governo affinché - attraverso una maggiore applicazione delle pratiche migliori fino ad oggi collaudate, piuttosto che con una sorta di penalty per chi non è in grado di provvedere a questo tipo di prestazioni, e d'altra parte con un approccio premiale per le regioni che sono invece da tale punto di vista più virtuose - possa essere colmato il gap, che ancora oggi si amplifica, nella prestazione di tali terapie preventive alla nostra comunità nazionale.
Ci terrei, quindi, a questo proposito, a segnalare alcune notizie, che penso possano essere utili nell'ambito delle valutazioni che riguardano le pratiche migliori. Per esempio, il Friuli Venezia Giulia, insieme alla regione Piemonte, fu tra quelle che per prime attivarono i protocolli dello screening mammografico.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

CARLO MONAI. Cosa abbastanza importante, è che nella regione Friuli Venezia Giulia sia prevista una doppia lettura «in cieco», con eventuale arbitrato da parte dei professionisti radiologi che devono diagnosticare e verificare i test.
Si tratta di un aspetto particolare che offre maggiore qualità nella diagnosi e garantisce anche una minore incidenza dell'errore e una crescente credibilità anche all'esterno. La risposta delle donne è certamente anche qui diversificata. Forse sono penalizzanti dei retaggi culturali che Pag. 53al sud creano maggiore diffidenza e minor sensibilità verso questo tema. Da qui anche la necessità - come auspicano le mozioni - che ci sia una sorta di operazione promozionale che valorizzi l'approccio culturale verso queste tematiche, anche con la finalità di creare le condizioni per cui le donne capiscano che questo test è assolutamente importante per la loro salute e quindi si adeguino agli inviti che le regioni mandano loro.
Infine nella pratica della Basilicata, che forse proprio per questo è nell'ambito delle regioni meridionali la più virtuosa (come il Friuli Venezia Giulia), si è ritenuto di esternalizzare il primo livello di questi test, cioè quello che riguarda proprio la mammografia, la rilevazione radiografica, che consiste sostanzialmente nel dislocare dei camper in varie parti non servite dalle aziende sanitarie e dagli ospedali, in modo tale che sia più prossima alla persona interessata l'acquisizione di questo test con tutto il miglior approccio comunicativo che questa operazione può offrire.
Infatti una cosa è vedere un camper, magari parcheggiato in una posizione visibile in una cittadina che non ha una sede ospedaliera, altra cosa è doversi recare in un ospedale e sottoporsi a questi test. Penso che anche dalla verifica di quello che è stato l'iter di questi test nell'ambito delle varie regioni il Governo possa raccogliere le più efficaci e ottimali pratiche, in modo tale che queste mozioni non si limitino ad un auspicabile ed auspicato maggiore interesse del Governo su questi settori, ma diano anche delle indicazioni comparative e di qualità, affinché questo gap venga presto a colmarsi (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il Movimento per le Autonomie plaude a questa iniziativa e pur avendo firmato una delle mozioni, la n. 1-00261 sottoscritta dagli onorevoli Carlucci, Rivolta, Mura, ed altri avrebbe potuto firmare anche le altre. Al di là delle indagini statistiche a supporto dell'iniziativa, che rappresentano qualche differenza (ma questo non conta), noi comunque voteremo a favore di tutte e tre le mozioni, perché ci sembra che vi sia la validità dell'impegno richiesto al Governo, e queste richieste possono benissimo essere unificate e integrabili.
Direi che qualche mozione rappresenta qualcosa di più. Per esempio la mozione Binetti ed altri n. 1-00396 presenta la richiesta - sottolineata dalla stessa collega Binetti nell'intervento - di abbassare dai 50 ai 40 anni l'età minima per lo screening mammario che viene assicurato. Credo che questo punto sia assolutamente importante. Avremmo voluto che vi fosse una mozione sola (perché si poteva benissimo fare), ma ciò non è avvenuto. Comunque speriamo che tutte e tre le mozioni abbiano l'unanimità di quest'Assemblea.
Poi abbiamo chiesto al Governo un impegno: principalmente come Movimento per le Autonomie, che ovviamente ha al centro la questione meridionale, non possiamo che chiedere al Governo di impegnarsi per il riequilibrio territoriale, perché vi è ora un equilibrio tutto spostato a favore di territori più ricchi. Riteniamo che si possa raggiungere facilmente tale obiettivo di riequilibrare i territori attraverso una formazione, un'informazione molto più dettagliata, e un impegno comune tra Governo e le regioni.
È necessario considerare il tumore al seno come una patologia sociale e, quindi, il contrasto alla malattia deve essere una priorità della sanità pubblica. Questo deve essere un impegno del Governo, insieme alle regioni. Occorre anche un progetto nazionale per la sensibilizzazione e l'informazione, per la diagnosi precoce, e mobilitare, quindi, lo screening a tutti i livelli.
Le linee guida bastano e non bastano, ci vogliono anche misure che incentivino e premino le regioni dove si può aumentare la percentuale di donne che vengono sottoposte allo screening. Promuovere, quindi, progetti di supporto multidisciplinare anche per le donne che hanno già avuto una Pag. 54diagnosi di tumore al seno è importantissimo, perché queste donne non devono essere lasciate abbandonate.
Infine, è necessario che il Governo si impegni a garantire la tempestiva attuazione del Piano nazionale della prevenzione che è stato sottoscritto, proprio recentemente, nella Conferenza Stato-regioni, il 24 aprile 2010, e che è valido dal 2010 al 2012.
Questi sono gli obiettivi che si possono raggiungere con un impegno del Governo, ma anche delle regioni, del Parlamento e di tutti noi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 29 giugno 2010, alle 11:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 16).

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati (C. 3118-A).
e delle abbinate proposte di legge: STUCCHI; STUCCHI; URSO; MOGHERINI REBESANI ed altri; ANGELA NAPOLI; GARAGNANI; GIOVANELLI ed altri; BORGHESI ed altri; DI PIETRO ed altri; RIA e MOFFA; MATTESINI ed altri; REGUZZONI; GARAGNANI (C. 67-68-711-736-846-1616-2062-2247-2471-2488-2651-2892-3195).
Relatore: Bruno.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 20 maggio 2010, n. 72, recante misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l'assegnazione di quote di emissione di CO2 (C. 3496-A).
Relatore: Bonciani.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione sospensiva presentata):
Norme in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili (C. 2505-A).
e dell'abbinata proposta di legge: CATANOSO (C. 1151).
Relatori: Lorenzin, per la I Commissione; De Nichilo Rizzoli, per la XII Commissione.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Carlucci, Rivolta, Mura ed altri n. 1-00261, Livia Turco ed altri n. 1-00393 e Binetti ed altri n. 1-00396 sulla prevenzione e cura del carcinoma al seno.

La seduta termina alle 19,30.