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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 326 di lunedì 24 maggio 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 15.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 17 maggio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Barbieri, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Capodicasa, Carella, Carfagna, Enzo Carra, Casero, Cicchitto, Colaninno, Colucci, Cosentino, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, D'Antoni, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Froner, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Moffa, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Razzi, Reguzzoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tempestini, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio delle dimissioni e della nomina di un sottosegretario di Stato.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato, in data 20 maggio 2010, la seguente lettera: «Onorevole Presidente, la informo che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio dei Ministri, ha accettato le dimissioni dell'onorevole Daniele Molgora dalla carica di sottosegretario all'economia e alle finanze ed ha nominato l'avvocato Sonia Viale sottosegretario di Stato al medesimo Dicastero. Cordialmente. Firmato: Silvio Berlusconi».

TESTO AGGIORNATO AL 16 GIUGNO 2010

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

Testo sostituito con l'errata corrige del 16 GIUGNO 2010 PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 21 maggio 2010, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla VIII Commissione (Ambiente):
«Conversione in legge del decreto-legge 20 maggio 2010, n. 72, recante misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l'assegnazione di quote di emissione di CO2» (3496) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale) e XIV.
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Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.
PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 21 maggio 2010, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla VIII Commissione (Ambiente):
«Conversione in legge del decreto-legge 20 maggio 2010, n. 72, recante misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l'assegnazione di quote di emissione di CO2» (3496) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale) e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

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In morte dell'onorevole Giuseppe Reale.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Giuseppe Reale, già membro della Camera dei deputati dalla III alla VI legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 aprile 2010, n. 63, recante disposizioni urgenti in tema di immunità di Stati esteri dalla giurisdizione italiana e di elezioni degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero (A.C. 3443-A) (ore 15,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 aprile 2010, n. 63, recante disposizioni urgenti in tema di immunità di Stati esteri dalla giurisdizione italiana e di elezioni degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3443-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il vicepresidente della III Commissione, onorevole Nirenstein, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore.

FIAMMA NIRENSTEIN, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, il decreto-legge il cui disegno di legge di conversione è all'esame dell'Assemblea contiene due norme di necessità ed urgenza che incidono in ambiti di tale delicatezza che hanno comportato da parte della Commissione di merito, nonché delle Commissioni competenti in sede consultiva, un esame particolarmente approfondito. Al riguardo ricordo che la Commissione affari esteri ha richiesto l'allungamento di una settimana dei termini regolamentari previsti per l'esame in sede referente ed ha proceduto all'audizione di uno dei massimi esperti di diritto internazionale, il professore Natalino Ronzitti. Ringrazio il presidente Stefani, che sto sostituendo come relatore, per aver favorito tale approfondimento. La norma di cui all'articolo 1 concerne la sospensione dei titoli esecutivi nei confronti di Stati esteri nel caso in cui sia pendente un ricorso presso la Corte internazionale di giustizia in tema di accertamento dell'immunità giurisdizionale.
Ove la Corte de L'Aja ammettesse la sussistenza dell'immunità verrebbero infatti meno i presupposti per la validità dei titoli esecutivi. Tale motivazione, a carattere esclusivamente tecnico e procedurale, è stata accolta dalla Commissione, ma sottoposta ad una limitazione temporale, per cui la norma avrà vigore soltanto fino al 31 dicembre 2011.
L'introduzione di una scadenza è stata suggerita dal parere della Commissione giustizia al fine di evitare l'immissione nel nostro ordinamento di un automatismo che avrebbe potuto applicarsi ad ogni caso futuro riconducibile alla fattispecie disciplinata. A seguito della presentazione da parte mia di un emendamento che riproduceva la condizione posta dalla Commissione giustizia, la Commissione di merito ha, quindi, modificato in tal senso il testo originario del decreto-legge. La Commissione Pag. 3ha, infatti, ritenuto doveroso richiamare esplicitamente il fatto che la necessità e l'urgenza della norma in questione deriva dal contenzioso italo-tedesco, noto all'Assemblea anche per essere stato oggetto di atti di sindacato ispettivo, relativo alle richieste di risarcimento da parte dei lavoratori coatti internati in Germania, sia militari che civili, durante tutto il secondo conflitto mondiale. Benché non menzionata nell'articolato, né nella relazione illustrativa, la vicenda sottostante non poteva sfuggire al Parlamento dal momento che si tratta di una dolorosa pagina di storia a cui non può restare insensibile la rappresentanza democratica del Paese. Il sacrificio e lo sfruttamento dei connazionali sottoposti alla deportazione, l'eroica resistenza di tanti internati militari che rifiutarono di passare al servizio del regime nazista, la sofferenza delle loro famiglie, non possono essere dimenticate, fanno parte integrante della memoria storica nazionale e sono meritevoli della tutela risarcitoria. A tale proposito, la magistratura italiana ha maturato un orientamento ineccepibile sul piano del diritto internazionale umanitario. Sin dal 2004, la Corte di cassazione ha escluso che, in presenza di comportamenti dello Stato straniero che siano lesivi dei valori universali di rispetto della dignità umana, sia invocabile l'immunità giurisdizionale. Insomma, i crimini contro l'umanità segnano un assoluto punto di rottura dell'esercizio tollerabile della sovranità nazionale. È questo un irrinunciabile principio di civiltà giuridica che il Parlamento ha inteso rispettare.
Non era peraltro possibile introdurre nel nostro ordinamento una norma che fosse priva di una scadenza temporale, e quindi avesse una portata generale, anche perché la materia delle immunità degli Stati esteri meriterebbe di essere affrontata in modo più sistematico. Risulta, infatti, che l'Italia non ha ancora sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite che ha disciplinato complessivamente la materia il 2 dicembre del 2004. Nelle more di tale auspicata ratifica, sarebbe stato oltremodo inopportuno varare una disposizione che non fosse a tempo. La III Commissione ha per la verità preso in esame anche un'altra ipotesi, prospettata nel corso degli approfondimenti conoscitivi svolti, cioè il rinvio alla stessa Corte internazionale di giustizia dell'adozione e della sospensione dei titoli esecutivi. Si è tuttavia ritenuto preferibile, con il conforto del parere reso dalla II Commissione, seguire la strada del limite temporale.
Con riferimento al predetto caso specifico, segnalo che la pronuncia della Corte de L'Aja è attesa entro l'anno e che, ove confermasse la giurisprudenza italiana, i titoli esecutivi nei confronti dei beni tedeschi riacquisterebbero efficacia immediata. Concludo sul punto, osservando che la Commissione esteri ha respinto decisamente il tentativo di giustificare la norma sul piano di una pretesa ragion di Stato che consiglierebbe di compiacere la Germania, ma l'ha esaminata esclusivamente sotto il profilo del diritto internazionale, ricercando una soluzione che risultasse coerente in un contesto giuridico ancora in evoluzione. Resta, invece, il fatto che la questione possa e debba essere posta con maggiore determinazione sul piano politico, nell'ambito degli eccellenti rapporti bilaterali, al di là della vicenda giudiziaria; Italia e Germania condividono troppo passato e troppo avvenire comune per lasciare irrisolto questo caso. Aggiungo, infine, che la Commissione ha, altresì, aderito alle condizioni poste dal Comitato per la legislazione relative a dubbi, peraltro emersi anche nell'esame preliminare, eliminando il riferimento all'articolo 1 del regio decreto-legge 30 agosto 1925, n. 1621, nonché quello alle organizzazioni internazionali che, come è noto, sono escluse dalla legittimazione ad agire presso la Corte internazionale di giustizia.
Il secondo articolo del decreto-legge prevede un ulteriore rinvio delle elezioni degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero: dal 31 dicembre del 2010 al 31 dicembre 2012. Ricordo che le ultime elezioni per COMITES e per il CGIE si sono svolte nel 2004 e che il rinnovo naturale avrebbe, quindi, dovuto svolgersi lo scorso anno. Anche questa questione Pag. 4non ha natura meramente tecnica, perché incide su due ambiti molto delicati. Il primo è il valore delle comunità degli italiani all'estero, ormai pienamente recepito dalla Costituzione: non più una semplice appendice, ma una componente essenziale della collettività nazionale.
Il secondo è il valore della rappresentanza democratica, che, oggettivamente, è connessa con la periodicità del rinnovo degli organi elettivi. La Commissione esteri ha, quindi, discusso ampiamente al riguardo, valutando le posizioni critiche assunte dal CGIE nella sua ultima sessione plenaria. Ha, poi, ritenuto di mantenere il testo originario soltanto sulla base delle assicurazioni ricevute dal Governo che la scadenza temporale, invero piuttosto ampia, è da intendersi nel senso che le elezioni sarebbero state convocate non appena il Parlamento avesse varato la legge di riforma che è, al momento, all'esame del Senato. Per la verità, i lavori del Senato sono già abbastanza avanzati ed è auspicabile un impegno convergente da parte di tutte le forze politiche per giungere ad una rapida approvazione, anche da parte di questo ramo del Parlamento.
In tale ottica, l'ulteriore rinvio avrebbe la funzione positiva di sollecitare l'iter parlamentare. D'altra parte, l'attuale sistema degli organismi di rappresentanza degli italiani all'estero è innegabilmente desueto perché risalente a prima della previsione costituzionale dell'elezione di 18 parlamentari nella circoscrizione Estero. Pur nella consapevolezza dei risvolti critici dell'ulteriore proroga, non si può non osservare che rinnovare i Comites e i CGIE come se nulla fosse cambiato sarebbe, comunque, piuttosto incongruo. Si chiede, evidentemente, un ulteriore sacrificio ai connazionali che, sempre a titolo gratuito, saranno chiamati all'esercizio di un supplemento di mandato nei rispettivi organismi di cui fanno parte; ma si confida nella loro passione e nel loro attaccamento all'Italia, alla luce del menzionato impegno a far comunque presto, sia da parte del Parlamento che del Governo. Colgo l'occasione per ricordare l'urgenza di avviare la riforma degli istituti di cultura e delle scuole italiane all'estero, un settore troppo a lungo dimenticato, che deve riacquistare funzionalità ed efficacia. Concludo, raccomandando all'Assemblea l'approvazione del provvedimento nel testo adottato dalla Commissione di merito.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LAURA RAVETTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame è stato seguito in Commissione con grande attenzione dal nostro gruppo e in noi ha suscitato diversi dubbi e talune perplessità. È un decreto-legge, si compone di due articoli - come ricordava il relatore poc'anzi - i quali trattano argomenti del tutto diversi tra di loro, il cui unico tratto comune è la competenza del Ministero degli affari esteri. Gli stessi motivi di necessità ed urgenza potrebbero essere oggetto di opinioni diverse, in quanto l'urgenza può crearsi in ragione di un ritardo e il ritardo non sarebbe una buona ragione per giustificare l'urgenza.
Il primo articolo riguarda una materia di grande rilievo e di indubbia delicatezza per i profili di diritto internazionale ed umanitario su cui interviene, nonché per le ricadute politico-diplomatiche che comporta. Il secondo articolo attiene ad una disposizione relativa al rinvio delle elezioni delle rappresentanze consolari e delle comunità italiane all'estero (i Comites), un rinvio in attesa di una riforma che non arriva, che non è ancora arrivata, che si aggiunge ad un precedente rinvio e che, da parte nostra, è motivo di critica e argomentato dissenso. Su questo punto si soffermerà in dettaglio il collega onorevole Pag. 5Fedi, che interverrà dopo di me. Intendo, invece, soffermarmi sul primo articolo del decreto-legge. Questa disposizione, dal nostro punto di vista, non è stata formulata in modo sufficientemente meditato e con la sensibilità che avrebbe meritato. In Commissione sono intervenuti cambiamenti importanti, il relatore ne ha dato conto.
La norma - come recita il titolo del decreto-legge - riguarda l'immunità di Stati esteri dalla giurisdizione italiana. La disposizione è formulata in modo generale, stabilendo che sia sospesa l'efficacia di titoli esecutivi, pignoramenti o altro, nei confronti di beni di uno Stato estero quando tale Stato abbia presentato ricorso alla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, con sede all'Aja, perché sia accertata la propria immunità dalla giurisdizione italiana in relazione a controversie connesse a questi titoli esecutivi. La norma - come dicevo - si presenta come una disposizione di ordine generale, ma in realtà - la stessa relatrice lo ha ricordato con precisione poc'anzi - muove da un contenzioso ben preciso che è bene richiamare subito in modo esplicito.
Tale contenzioso ha origine nelle vicende dolorose e terribili della seconda guerra mondiale, nei crimini commessi in quel contesto, in violazione del diritto umanitario, da truppe occupanti nei confronti delle popolazioni civili o anche di prigionieri in uniforme, eccidi per rappresaglia contro atti di resistenza, deportazioni forzate e lavoro coatto, internamenti di militari che perdono lo status di prigionieri di guerra e sono costretti al lavoro forzato.
Le truppe di cui parliamo oggi, con riferimento a questo provvedimento, sono quelle tedesche del terzo Reich ma domani potrebbero essere quelle di altri Stati per atti commessi nello stesso periodo storico in altri Paesi occupati o per altri in più recenti tempi. Il contenzioso a cui ci si riferisce è quello aperto davanti a tribunali civili e militari italiani e anche greci da singoli individui o gruppi di individui vittime di quegli episodi. Tali vittime, sentendosi ignorate dalle soluzioni offerte per via politica e diplomatica, si sono rivolte ai tribunali per chiedere allo Stato tedesco, successore del terzo Reich, il riconoscimento di un indennizzo morale e materiale per i crimini di cui erano stati vittima. La Repubblica federale di Germania non ha mai negato le proprie responsabilità storiche e morali ma dinanzi a tali richieste, avanzate dinanzi a fori di altri Stati qual è quello italiano, si è difesa sostenendo, in base ad un principio generale del diritto internazionale, di non essere, in quanto Stato sovrano, soggetta alla giurisdizione di Stati esteri per atti, ancorché criminosi, compiuti nell'esercizio della propria sovranità dallo Stato a cui è succeduto: di godere cioè di un diritto all'immunità dalla giurisdizione di Stati esteri.
Questo principio è stato per la prima volta messo in discussione dalle fondamenta da una pronuncia della Corte di cassazione italiana del 2004 che ha affermato che la Germania non poteva invocare l'immunità dalla giurisdizione italiana per le deportazioni compiute in Italia dopo l'8 settembre 1943 poiché quegli atti, benché compiuti in forza della sovranità statuale, violavano diritti umani fondamentali da considerarsi dallo stesso diritto internazionale prevalenti e superiori rispetto al principio dell'immunità. Tralasciando i termini tecnici, in sostanza, il diritto umanitario precederebbe e prevarrebbe sul diritto all'immunità della sovranità statale. Questa pronuncia della Cassazione, che alcuni giuristi considerano un atto di grande civiltà giuridica e di grande coraggio e che altri considerano invece errata ed eccentrica, ha poi dato luogo logicamente ad una serie di pronunce ulteriori di altri tribunali italiani in favore delle vittime. Si tratta - mi pare evidente - di una questione di grande rilievo che evoca anche la domanda su quali siano i fori imparziali che possono giudicare su controversie tra individui e Stati e su quale sia l'ambito di applicazione delle sentenze.
È opportuno per completezza segnalare che tra le pronunce italiane vi è anche una decisione della corte d'appello di Firenze Pag. 6che ha riconosciuto l'efficacia in Italia di una sentenza greca di condanna della Germania per massacri compiuti in Grecia durante la seconda guerra mondiale e che ha disposto il pignoramento di un bene di proprietà dello Stato tedesco in Italia, sentenza che non era stato possibile eseguire nello Stato in cui era stato pronunciato il giudizio e che pone l'Italia dinanzi al rischio di divenire il terreno di esecuzione di sentenze straniere altrimenti ineseguibili. Questo è il quadro di riferimento da cui prende le mosse la decisione della Germania di presentare un ricorso alla Corte internazionale di giustizia per chiedere che sia lì riconosciuta la sua immunità e che la Repubblica italiana sia - cito dal ricorso - «obbligata con i mezzi da essa scelti» a fare sì che le sentenze pronunciate dai propri tribunali non siano eseguibili. Nel ricorso tedesco si stima che siano circa 250 i cittadini italiani che richiedono un risarcimento alla Germania dinanzi a ventiquattro tribunali regionali e a due corti d'appello del nostro Paese.
Il ricorso della Germania all'Aja è stato presentato nel dicembre del 2008. Poco prima, il 18 novembre, a valle di un vertice di Governo italo-tedesco, a Trieste, in una dichiarazione congiunta si affermava che: «Italia e Germania condividono gli ideali di riconciliazione, solidarietà e integrazione che sono alla base del processo di costruzione dell'Europa» e che «in tale spirito di collaborazione Italia e Germania stanno affrontando insieme anche le dolorose vicende della seconda guerra mondiale»; assieme all'Italia, la Germania riconosce pienamente le gravissime sofferenze inferte agli italiani in particolare nelle stragi e agli ex internati militari italiani e ne conserva la memoria». Infine, dopo un riferimento alla visita che si era appena svolta nella Risiera di San Sabba, compiuta dai Ministri degli affari esteri dei due Paesi, il comunicato concludeva dicendo che: «l'Italia rispetta la decisione tedesca di rivolgersi alla Corte internazionale di giustizia per una pronuncia sul principio di immunità dello Stato. L'Italia... considera che la pronuncia della Corte internazionale sulla immunità dello Stato sia utile al chiarimento di una complessa questione».
Ho svolto questa lunga introduzione al tema perché fosse chiaro, ancora più chiaro di quanto pur il relatore ha permesso di fare, qual è la questione richiamata dalla norma in discussione, che è, sì, generale ed astratta nella formulazione, ma che ha anche un riferimento molto particolare e concreto nella realtà. L'ho fatto perché potesse essere comprensibile il nostro giudizio, il giudizio del nostro gruppo, assai critico sul modo in cui il Governo ha agito con la disposizione contenuta nel decreto-legge al nostro esame. Non è che noi non vediamo la delicatezza del problema di diritto affrontato; inoltre, noi abbiamo anche piena consapevolezza del rilievo dei rapporti di amicizia con la Germania e della necessità che tali rapporti siano non solo salvaguardati e posti al riparo da incomprensioni e malintesi, ma anzi vengano sempre migliorati e approfonditi. Lo dico anche dal punto di vista personale, da amico della Germania, Paese al quale mi sento legato da consuetudini e da affinità, da stima e da rispetto. Tuttavia, non minore attenzione noi riteniamo di dovere rivolgere alle vittime delle stragi e delle deportazioni naziste.
È proprio per questo che a noi sembra che il Governo si sia comportato in modo superficiale e tardivo e che non abbia dato prova di adeguata e sufficiente sensibilità verso i superstiti delle stragi delle deportazioni naziste e verso i loro discendenti. La superficialità è provata dal modo sommario ed errato con cui è stata scritta la norma: essa faceva riferimento ad un regio decreto del 1925, sostanzialmente decaduto perché dichiarato incostituzionale con ben due sentenze della Corte costituzionale del 1963 e del 1992. È a partire da quel vuoto che si è peraltro incuneata nell'ordinamento italiano l'incertezza sullo statuto di immunità degli Stati esteri dalla nostra giurisdizione; vuoto mai colmato e che invece andava comunque affrontato con organicità prima che si creasse l'emergenza. Pag. 7
Da ultimo, si poteva affrontare magari a partire dalla recente Convenzione sull'immunità giurisdizionale degli Stati e dei loro beni adottata dalle Nazioni Unite ed aperta alla firma dal 2005. Molti Stati europei hanno già aderito alla Convenzione, fra essi la Francia e il Regno Unito. L'Italia non lo ha fatto, mentre avrebbe fatto bene e farebbe bene a farlo. Noi su questo abbiamo sollecitato il Governo e continueremo a farlo.
L'intervento del Governo inoltre è tardivo e ha luogo con un dispositivo discutibile, tanto discutibile che in Commissione è stato modificato. È tardivo perché la questione è all'ordine del giorno, al più tardi, dal dicembre del 2008 (per non dire dal 2004), quando la Germania ha presentato il ricorso a L'Aja. Perché il decreto-legge viene emanato solo ora, nel 2010? Non era meglio agire in modo più tempestivo e meno precipitoso? Lo dico anche perché il Governo, con la scarna illustrazione che accompagna il decreto-legge, non ha certo aiutato il Parlamento a farsi un'idea precisa della questione all'esame né delle sue implicazioni specifiche. Tra l'altro, i tempi stretti imposti dal decreto-legge non ci hanno consentito di svolgere tutti gli approfondimenti che pur abbiamo chiesto in Commissione e che solo parzialmente - anche questo lo ricordava la relatrice - abbiamo potuto svolgere. Così non abbiamo potuto fare altro che prendere atto di come la norma di sospensiva fosse tale da farsi carico prevalentemente del punto di vista dello Stato ricorrente a L'Aja e non delle ragioni delle vittime, ovvero della serietà della questione di diritto posta dall'alta Corte italiana.
La norma, già un ripiego rispetto al mancato riordino organico della materia, poteva comunque essere formulata in modo diverso, più attento alle altre ragioni in conflitto. Si poteva subordinare l'efficacia della sospensione non alla mera presentazione del ricorso, ma all'accoglimento di misure cautelari richieste dallo Stato ricorrente da parte della Corte internazionale di giustizia.
Questa proposta è stata respinta in Commissione dalla maggioranza, mentre almeno è stato accolto l'emendamento volto a porre un limite temporale alla sospensione conseguente al ricorso alla Corte de L'Aja, come richiesto anche dalla Commissione giustizia; cambiamento che ha il duplice effetto positivo innanzitutto di non mettere in conto che il giudizio de L'Aja sia rinviato, di fatto, sine die, lasciando tutto fermo e non deciso, poi di depotenziare l'incentivo ad altri Stati a presentare ricorso alla Corte internazionale con il solo scopo di bloccare un contenzioso tra cittadini italiani ed entità statali su materie che, magari, nulla hanno a che vedere con l'esercizio della sovranità statale, ma, piuttosto, molto ne avrebbero con responsabilità civili, magari di tipo economico-finanziario, dell'uno o dell'altro Stato.
Come dicevo, in Commissione ci siamo impegnati perché il tema venisse approfondito e abbiamo potuto ascoltare il punto di vista di un esperto che sostiene con forza la fondatezza della sentenza della Corte di cassazione italiana. È stato, però, soltanto un inizio: la ristrettezza dei tempi dettati dal decreto-legge non ci ha consentito di ascoltare altre voci importanti, innanzitutto quelle delle associazioni delle vittime, dalle cui azioni trae origine il contenzioso attuale.
In proposito, a me pare di dover constatare un difetto di sensibilità direi politica del Governo. Il problema del risarcimento morale e materiale delle vittime della guerra e la sua insoddisfacente soluzione non data certo da oggi e non è stato completamente risolto né dal Trattato di pace, né dall'Accordo bilaterale tra Italia e Germania del 2 giugno 1961, con il quale si metteva a disposizione anche una certa somma per il risarcimento delle vittime delle persecuzioni del nazional-socialismo. Quell'Accordo e la sua lenta e farraginosa applicazione da parte italiana finirono - è il parere di uno storico tedesco - per escludere troppi dai risarcimenti - in particolare internati militari e lavoratori coatti, ma anche vittime delle stragi - e per lasciare aperte le porte a Pag. 8richieste che sono venute precisandosi successivamente e che sono arrivate in giudizio dopo decenni.
Mi pare che qui si debba riconoscere un'insufficienza dell'azione politica e diplomatica del nostro Paese che non ha saputo anticipare o instradare appropriatamente le questioni che si ponevano e che ha dato l'impressione di rincorrere i fatti, più che di governarli, e di essere interessato più a sopire e a quietare che ad un'assunzione precisa di responsabilità e di iniziativa basata sulla ricerca della verità, sul riconoscimento delle colpe e sulla custodia della memoria in uno spirito di comprensione e di conciliazione.
È in questa insufficienza politico-diplomatica che si inseriscono l'azione presso i tribunali e le pronunce della Corte di cassazione, con tutte le incertezze e i dubbi aperti dall'imbocco di strade mai percorse prima. Non so come si debbano calcolare, in termini materiali, i danni patiti dalle vittime, come pure è doveroso e necessario fare; quello che so è che con il passare del tempo il risarcimento ineludibile alle vittime, sul quale nessuno può transigere e che è comunque un risarcimento morale alto, è il riconoscimento di quanto hanno subito e del rispetto che meritano da parte di tutti noi.
In un'intervista alla Süddeutsche Zeitung del 20 giugno 2008, il Ministro degli affari esteri, allora come ora Franco Frattini, dopo avere espresso il proprio dissenso dalle sentenze italiane della Corte di cassazione contrarie all'immunità statale che ho richiamato all'inizio, sottolineava la necessità di un gesto simbolico, in ricordo degli ex deportati costretti al lavoro forzato. Cito dall'intervista al Ministro: «vogliamo riunire un gruppo di esperti italo-tedesco. Dovrà valutare un gesto nei confronti degli ex deportati costretti al lavoro (...). Magari un memoriale eretto congiuntamente da Italia e Germania o un museo della memoria».
Sensibilità verso le vittime, con segni di attenzione e riconoscimento, riguardo e rispetto non sarebbero tutto, ma già sarebbe tanto: non ne abbiamo avuto notizia. Se quei gesti ci sono o ci sono stati vorremmo conoscerli e chiedere che vengano valorizzati, a partire dal Parlamento. Se non ci sono, vorremmo che venissero compiuti. Ci pare che l'occasione di questo decreto-legge andasse colta anche per questo dal Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, sottosegretario Ravetto, onorevoli colleghi, devo dire che gran parte dell'intervento, che ha svolto l'onorevole Barbi prima di me, è pienamente condivisibile, anche per il tono pacato con cui ha mosso alcuni rilievi assolutamente calzanti, secondo me, sulle modalità e sul contenuto di questo provvedimento. Modalità e contenuto non condivisibili, perché la delicatezza delle norme contenute in questo testo avrebbe dovuto consigliare un'attenzione e un approfondimento maggiori di quanto effettivamente gli sia stato riservato. Lo ha ricordato prima l'onorevole Nirenstein, che ha usato anche lei parole molto responsabili nel suo intervento in sostituzione del relatore, ma sarebbe stato molto più opportuno non ricorrere, come ha fatto il Governo, alla decretazione d'urgenza che ormai sembra essere l'unico strumento normativo in grado di far vedere la luce alle leggi in questo Parlamento. Forse sarebbe stato opportuno che tale provvedimento fosse assegnato ed esaminato congiuntamente alla Commissione giustizia che invece ha espresso soltanto un parere, sia pur rafforzato.
Inoltre con l'occasione ricordo che è giacente proprio in Commissione giustizia un provvedimento, di cui sono relatore, sulla Corte penale internazionale. Ormai anche questo provvedimento giace da mesi, fermo in attesa che il Governo presenti un suo disegno di legge; ancora una volta, in questo modo, il ruolo del Parlamento sarà esautorato.
Le questioni trattate sono delicate, anche se diverse tra loro. A voler essere fiscali (lo ha già ricordato prima di me il Pag. 9collega del Partito Democratico) anche in questo caso risuona il richiamo, di sabato scorso, del Capo dello Stato, contenuto in una lettera inviata alle Camere in occasione della promulgazione del decreto-legge sugli incentivi, perché l'eterogeneità delle materie trattate sarebbe già di per sé in contrasto con le note indicazioni della legge n. 400 del 1988. Ciò non è, infatti, palesemente rinvenibile nel titolo del provvedimento in esame che tratta genericamente di immunità di Stati esteri dalla giurisdizione italiana e di elezione degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero: due argomenti evidentemente non propriamente omogenei.
In effetti, rileviamo quindi poca attinenza fra le vicende che hanno conseguenze sui rapporti bilaterali delle azioni giudiziarie in corso nei confronti di Stati esteri e la prossima scadenza degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero ovvero i Comites e i CGIE, che peraltro sono già oggetto di un processo di riforma in prima lettura presso l'altro ramo del Parlamento. Questo è un argomento su cui si sono espressi - entrando nel merito dell'articolo 1- e, in diverse occasioni, in atti di sindacato ispettivo, il collega Fiano e altri colleghi del Partito Democratico ma anche la collega Maccanti e altri esponenti della Lega Nord Padania.
L'articolo 1 - così come modificato dall'approvazione degli emendamenti che peraltro hanno recepito le condizioni poste dal parere della Commissione giustizia - dispone fino al 31 dicembre 2011 la sospensione dell'efficacia dei titoli esecutivi nei confronti di Stati esteri nel caso in cui sia pendente un giudizio innanzi alla Corte internazionale di giustizia de L'Aja diretto all'accertamento dell'immunità della giurisdizione italiana. Tale giudizio deve avere ad oggetto controversie oggettivamente connesse ai titoli esecutivi. Si prevede, altresì, sia l'improponibilità o la sospensione dei procedimenti esecutivi e/o conservativi, basati su titoli esecutivi la cui efficacia è sospesa, sia l'applicabilità della nuova disciplina anche ai procedimenti in corso basati su titoli esecutivi perfezionati all'entrata in vigore del decreto-legge.
Al di là del fatto che la norma introduca una novità piuttosto significativa nel rapporto tra ordinamento interno e ordinamento internazionale, l'aspetto effettivo è da rinvenire nella circostanza che la nuova disposizione va ad incidere sul noto, e forse ultimamente un po' dimenticato, contenzioso italo-tedesco relativo alle richieste di risarcimento da parte dei lavoratori coatti internati in Germania durante il secondo conflitto mondiale. Parliamo di nostri connazionali, militari e civili.
Vorrei ricordare che a seguito dell'approvazione della legge 12 agosto 2000 il Governo tedesco ha istituito un fondo di indennizzo gestito dalla Fondazione «Memoria, responsabilità e futuro» in favore di quanti furono ridotti in condizione di schiavitù, ai lavori forzati nel corso della seconda guerra mondiale nei territori occupati o all'interno del Terzo Reich.
Parliamo di coloro che con coraggio, lealtà, sacrificio, scelsero di non obbedire al comando nazista. Una resistenza silenziosa come quella di migliaia di nostri connazionali che per lo stesso motivo furono trucidati a Cefalonia e in altri luoghi del mondo, molti di questi uomini morirono nei campi di sterminio mentre erano ai lavori forzati soprattutto per le industrie belliche del Terzo Reich.
Secondo alcuni dati forniti dal patronato INAS della CISL, circa 120 mila nostri connazionali presentavano domanda alla Repubblica federale tedesca per ottenere il risarcimento spettante ai deportati. Oggi, però, soltanto ad una parte di essi - quelli perseguitati per motivi razziali e religiosi - è stato riconosciuto questo diritto, negato invece ad altri perché considerati prigionieri di guerra (ma, nel loro caso, la Convenzione di Ginevra non fu mai applicata). Dobbiamo anche considerare l'età avanzata degli appellanti, molti dei quali non versano sicuramente in condizioni economiche e di salute particolarmente felici: sono tutti ultraottantenni, probabilmente non vedranno mai riconosciuto loro questo diritto e attualmente percepiscono pensioni che si aggirano attorno ai 450 euro. Pag. 10
In un ricorso alla Corte internazionale di giustizia del dicembre 1988 (già citato in precedenza) contro l'Italia, la Repubblica federale di Germania ha affermato che le decisioni della Cassazione, che aveva contestato questa interpretazione, violerebbero i diritti della Germania in quanto Stato sovrano, per mezzo dell'illegittima espansione della giurisdizione italiana, la quale sinora ha negato la sussistenza dell'immunità giurisdizionale ed ha proceduto in via esecutiva e cautelare. In pratica, per citare un esempio richiamato anche nel corso della discussione in Commissione affari esteri, con l'entrata in vigore del presente decreto-legge viene ad essere sospesa l'efficacia dell'ipoteca iscritta sulla proprietà tedesca, in Italia, di Villa Vigoni.
È chiaro che con questo provvedimento il Governo ha cercato di raggiungere un compromesso tra le esigenze di evitare nuove occasioni di contenzioso nel quadro degli ottimi rapporti bilaterali tra l'Italia e la Germania, e la soluzione della difficile controversia in essere, soprattutto nel pervenire ad un'esatta quantificazione dei soggetti aventi diritto e, quindi, anche dell'intera procedura.
Rimane, tuttavia, aperto l'interrogativo se di fronte a crimini contro l'umanità possano essere invocate violazioni di obblighi o prescrizioni, come ben sanno alcuni deportati italiani nei campi di sterminio. Questi ultimi, dopo una lunga battaglia legale (nel corso della quale, come ho detto, si sono visti confermare dalla nostra Corte di cassazione, nel 2008, il fatto che il lavoro coatto e la deportazione siano crimini contro l'umanità e non vi possano essere impedimenti a cause su questo argomento), hanno poi amaramente dovuto scoprire che il crimine della Germania di allora era caduto, di fatto, in prescrizione.
È passato poi quasi inosservato un altro passo dell'intervista - citata in precedenza dal collega Barbi - del Ministro degli affari esteri Frattini, del 20 giugno del 2008, quando egli ha qualificato come pericolosa questa sentenza della Corte di cassazione che ha negato l'immunità della giurisdizione alla Germania. Egli ha infatti detto che, se i tribunali decidessero caso per caso se ad uno Stato spetta l'immunità, il principio dell'immunità degli Stati diventerebbe imprevedibile. Tuttavia, il fatto è che i tribunali debbono proprio decidere caso per caso, poiché il principio dell'immunità della giurisdizione non è assoluto. Insomma, si tratta di un problema tecnico-giuridico, ma che implica conseguenze politiche.
Le attività, o meglio, le atrocità di cui la Germania si è resa responsabile sotto la dittatura hitleriana, essendo state commesse nel corso degli eventi bellici della seconda guerra mondiale, rientrano in una categoria di atti per cui lo Stato sarebbe esente da giurisdizione. Tuttavia, la sentenza della nostra Corte di cassazione, cui abbiamo fatto riferimento - ossia la sentenza Ferrini (un ex deportato in Germania) del 2004 - ha stabilito che la Germania non aveva diritto all'immunità della giurisdizione.
La Corte, con una sentenza di alto valore morale e giuridico di cui la dottrina italiana deve andare fiera, ha stabilito che quando uno Stato viola norme fondamentali dell'ordinamento internazionale, consentendo la commissione di crimini contro l'umanità, non possa più invocare l'immunità della giurisdizione: ciò perché si tratta di divieti stabiliti da norme imperative del diritto internazionale che prevalgono sulle altre norme internazionali, incluso il principio dell'immunità della giurisdizione. La giurisprudenza Ferrini è stata seguita dal tribunale militare de La Spezia e confermata poi dalla Corte militare d'appello di Roma.
Vorrei dire che è comprensibile la preoccupazione di non esacerbare le relazioni attualmente ottime tra Italia e Germania. È comprensibile anche - come ha lasciato trasparire lo stesso Ministro Frattini nella stessa intervista - che casi simili potrebbero ritorcersi contro l'Italia per la condotta tenuta nei Balcani durante la seconda guerra mondiale o nelle nostre ex colonie. Questo forse è un punto su cui bisognerebbe gettare la maschera e assumersi Pag. 11anche le proprie responsabilità, come del resto il nostro Paese ha fatto.
Ma questo non può mettere in dubbio un principio fondamentale, quale quello affermato con una giurisprudenza innovativa, esempio di civiltà giuridica, secondo cui l'immunità della giurisdizione viene meno di fronte alle esigenze rappresentate da superiori norme internazionali.
È chiaro, quindi, che la questione riguarda la contrapposizione tra visioni diverse del diritto internazionale: da un lato, la concezione tradizionale imperniata sulla nozione di sovrana uguaglianza degli Stati, dall'altro, una visione secondo la quale a prevalere dovrebbero essere i valori come il rispetto dei diritti umani.
Passando all'articolo 2: viene disposta la proroga al 31 dicembre del 2012 del termine per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero (COMITES) e del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) il cui mandato quinquennale, già scaduto nel 2009 come ricordava la relatrice, è stato già oggetto di una proroga al 31 dicembre 2010. Premesso che il Consiglio generale degli italiani all'estero ha contestato la proroga recata dal provvedimento al nostro esame, votando all'unanimità un ordine del giorno volto al rispetto delle scadenze poste dall'attuale normativa, non ci convince il metodo utilizzato dal Governo che motiva tale proroga con il fatto che al Senato è giacente un progetto di riforma degli organi di rappresentanza e che, quindi, sarebbe opportuno allungare la permanenza degli organismi ormai scaduti fino all'entrata in vigore della riforma stessa (anche se alcuni maligni pensano che sulla decisione della proroga dei COMITES e del CGIE siano intervenuti anche problemi di ordine finanziario degli stessi organismi).
Riteniamo che debba essere garantito il rinnovo degli organismi già scaduti - dei 126 COMITES sparsi oggi per il mondo - in ossequio al principio democratico della garanzia della rappresentatività, ed anche perché un'ulteriore proroga rappresenterebbe un vulnus alla vitalità di COMITES e CGIE i quali sono basati sulla volontarietà dell'impegno da parte degli eletti. Riteniamo, inoltre, che la riforma della rappresentanza non sia una priorità, mentre ben più importanti sono le condizioni economiche in cui versano gli italiani all'estero dopo il drammatico taglio di fondi apportato - forse, vorremmo dire, necessariamente - dal Governo.
Siamo convinti che questa non sia la sede dove discutere sul tema della riforma della rappresentanza, che già ha dato segnali di forti contrasti. Resta, invece, il fatto che nostro interesse primario debba essere quello di assicurare, nell'interesse dei nostri connazionali all'estero, il funzionamento e l'adeguatezza di tali organismi che con tale proroga perderebbero di credibilità, rischiando, forse, anche la paralisi (essendo prevedibile che gli stessi interessati non vogliano apparire degli incatenati alla poltrona, anche ai fini di una loro eventuale ripresentazione nella prossima tornata elettorale).
In conclusione: da parte dell'Unione di Centro non ci sono ricerche di divisioni su questi temi. Tuttavia, chiediamo un ulteriore e opportuno approfondimento in Aula, e, se necessario, anche delle correzioni a questo testo perché permangono dubbi e perplessità (credo condivise da buona parte di questa Assemblea). Non contrapposizioni per quanto riguarda l'articolo 1 - tra Italia e Germania - ma neanche un atteggiamento pilatesco del nostro Parlamento. Nella chiarezza, ritengo che ci sia la tutela dei diritti delle vittime italiane di queste deportazioni naziste.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, molti temi sono stati trattati, anche con l'approfondimento dei colleghi Barbi, Rao e della stessa relatrice; soprattutto, quelli di Barbi e Rao, mi sembrano molto convincenti perché mostrano l'opportunità che quest'Aula approfondisca ancora i temi di questo decreto-legge, mettendo in pratica delle correzioni che possono migliorare il testo. Quella in esame è certamente una materia molto Pag. 12delicata ed è stata, diciamo così, motivata, soprattutto, dal lungo contenzioso che si è stabilito tra l'Italia e la Repubblica federale tedesca e, dopo l'unificazione, la Repubblica tedesca.
Oggi le condizioni non sono quelle del 1945, ed è chiaro che i rapporti bilaterali mostrano grande vicinanza e molte affinità. L'opinione pubblica stessa ha ripudiato con sdegno la violenza e ciò che è avvenuto durante il periodo nazista e, in particolare, nel periodo in cui i nostri connazionali sono stati costretti a lavori forzati nella Germania nazista.
Ma questo non ha impedito allo stesso Governo tedesco di ricorrere alla Corte internazionale di giustizia per poter evidentemente stabilire che anche per la Germania vale questo principio, ossia che vi sia effettivamente l'immunità degli Stati esteri verso la giurisdizione italiana o verso quella di un altro Stato estero.
Sono state citate varie sentenze e, in particolare, quella della Cassazione del 2004 che è molto importante e che sembra essere innovativa. Tuttavia, essa evidentemente non è ritenuta valida dagli amici della Germania perché farebbe distinzione tra Stati e, quindi, non porrebbe tutti gli Stati sovrani sullo stesso piano.
È chiaro che si tratta di una sentenza che riguarda un argomento eccezionale e, pertanto, per questo specifico caso evidentemente la sentenza della Cassazione ha innovato e riteniamo che effettivamente abbia innovato bene.
Mi pare anche che la critica che viene mossa al Governo di aver posto tali norme in un decreto-legge non sia valida perché effettivamente vi era molto tempo e si potevano benissimo affrontare prima questi argomenti, per cercare di influire di più con un lavoro, anche di tipo diplomatico, verso la Germania, in modo da ottenere risultati migliori. Ma questo è quanto, perché il Governo ormai opera molto spesso attraverso i decreti-legge e questa volta siamo arrivati ad un punto in cui il decreto-legge viene giustificato - sia l'articolo 1, sia l'articolo 2 - con una tempistica stringente. Inoltre, vi sono due articoli che trattano argomenti completamente diversi e anche questo, come è stato notato, è un argomento che contrasta con la pratica del decreto-legge.
Sul primo punto, cioè sull'articolo 1, si è già detto che si prevede la sospensione dell'efficacia dei titoli esecutivi nei confronti di Stati esteri. Vi sono state sentenze o ve ne saranno e, dunque, vi è la necessità, da parte dell'Italia, di sospendere l'efficacia di questi titoli esecutivi per evitare una reazione che potrebbe essere negativa da parte della Germania.
La giustificazione che ne dà il Ministro degli affari esteri è anche più ampia, perché afferma che evidentemente dobbiamo fare attenzione poiché se portiamo avanti questa linea, probabilmente altri potrebbero fare la stessa cosa verso lo Stato italiano e, quindi, potremmo subire delle conseguenze negative. Tuttavia, penso che debba prevalere sempre la verità storica ed è chiaro che debba prevalere anche la giustizia verso tutti quei nostri connazionali che hanno subito torti inenarrabili e che hanno praticamente affrontato, alcuni di loro, anche la morte in questi campi di concentramento, nei campi di lavori forzati e anche altrove.
Pertanto, tale questione evidentemente è affrontata per una ragione di Stato, anche se con convinzione si potrebbe attendere il risultato, vale a dire la sentenza della Corte di giustizia, che nel caso in cui dovesse non accogliere il ricorso della Germania sbloccherebbe allora tutto il contenzioso.
Quindi, la nostra previsione di sospendere con una disposizione transitoria assume una specifica rilevanza tecnico-giuridica, sia sotto il profilo del diritto internazionale sia sotto quello del diritto processuale.
Avendo carattere generale e astratto introduce una novità significativa nel rapporto tra ordinamento interno e ordinamento internazionale.
Ma certamente abbiamo anche un'altra perplessità. La perplessità che vorrei sollevare, e che mi auguro che nel corso dell'esame in Assemblea venga superata, riguarda la previsione che la sospensione operi di diritto e debba quindi essere Pag. 13rilevata d'ufficio e non su istanza di parte, sia per l'ulteriore onere che deriverebbe all'amministrazione giudiziaria sia per l'accertamento del requisito dell'oggettiva connessione. Sarebbe allora più corretto, da un punto di vista tecnico-normativo, fare riferimento all'improponibilità, più che dei procedimenti esecutivi e conservativi, delle relative azioni.
Passando invece all'articolo 2, esso è inteso a prorogare il termine per il rinnovo dei COMITES e dei CGIE, il cui mandato quinquennale, scaduto nel 2009, è stato già oggetto di una proroga al 30 dicembre di quest'anno. La scadenza che invece viene prevista nel decreto-legge è il 31 dicembre 2012, sulla base della già accennata riforma che è in corso nell'altro ramo del Parlamento, nonché della tempistica necessaria per gli adempimenti elettorali che non sarebbero contenuti nel tempo che manca per la scadenza prevista dalla legge.
Ricordo inoltre che, a seguito dell'elezione del marzo 2004, operano oggi 126 COMITES in 38 Paesi (69 si trovano in Europa, 23 in America latina, 4 in America centrale, 16 in Nordamerica, 7 in Asia e 7 in Africa).
Come è stato già riferito segnalo pure che il CGIE nell'ultima assemblea di fine aprile, portando una prevedibile voce di dissenso sulla questione, ha recisamente contestato l'ulteriore proroga votando all'unanimità un ordine del giorno volto al rispetto delle scadenze poste dall'attuale normativa. Del resto, su questo punto ci sono anche pronunce e proposte da parte di parlamentari. La questione pone pure l'esigenza di contemperare due diversi interessi che non sono però confliggenti: da un lato, c'è l'interesse degli italiani all'estero a rinnovare i loro organismi per assicurarne la rappresentatività; dall'altro, c'è l'interesse degli stessi italiani all'estero a che tali organismi siano funzionali ed adeguati al nuovo quadro politico-costituzionale derivante dalla presenza in Parlamento dei loro eletti, alcuni dei quali - lo ricordiamo - hanno proposto la chiusura dei CGIE.
Allora colleghi, signor Presidente, il Movimento per le Autonomie non è a priori contrario al decreto-legge e, pur muovendo delle critiche abbastanza serie al testo e anche ai tempi e alle modalità attraverso cui è stato presentato, vuole comunque contribuire insieme a tutti gli altri gruppi (ce lo auguriamo) di arrivare ad un testo condiviso che possa migliorare quello proposto che già è stato in gran parte migliorato, soprattutto nell'articolo 1, grazie al lavoro svolto in Commissione, che pensavamo potesse essere un lavoro congiunto con la Commissione giustizia.
Tuttavia siamo pronti a contribuire al miglioramento di questo testo ed avere quindi un atteggiamento costruttivo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente, vorrei aprire questo intervento con una domanda che rivolgo a me stesso e all'Assemblea ed una considerazione di carattere generale.
Che cosa unisce due articoli diversi tra loro per oggetto natura, materia e obiettivi politici come l'articolo 1 sulla sospensione dell'efficacia delle sentenze sui risarcimenti alle vittime del nazismo e l'articolo 2 di proroga di organismi di rappresentanza delle comunità italiane nel mondo (i Comitati degli italiani all'estero e il Consiglio generale degli italiani all'estero)? Non vi è nessun evidente collegamento, ma eterogeneità di materia come spesso accade ultimamente e come rilevato durante l'esame in III Commissione (Affari esteri), oltre ai rilievi sulla certezza e sulla ragionevolezza dei tempi, come ricordato sia dal collega Barbi che dalla relatrice. Per quanto riguarda la certezza dei tempi, siamo arrivati in discussione sull'articolo 1, ma essa non riguarda sicuramente l'articolo 2, in quanto in quel contesto la certezza dei tempi non attiene ad una sentenza ma alla volontà politica del Governo, della maggioranza e di questo Parlamento.
Si tratta di norme decise dal Governo sulla base di necessità ed urgenza presunte Pag. 14di cui non condividiamo le motivazioni, derivanti da esigenze giurisdizionali internazionali per quanto riguarda l'articolo 1 e da riforme in cantiere per quanto riguarda l'articolo 2. In verità, signor Presidente, un filo conduttore esiste, ma è coerente con le ragioni stesse per le quali il Partito Democratico, sia nelle commissioni che in Assemblea, ha sostenuto che questo provvedimento andava fatto in modo diverso. Ci troviamo di fronte ad un ennesimo decreto-legge deciso dal Governo per trascinare nell'emergenza due questioni sulle quali sarebbe stato possibile avere un vero e approfondito dibattito parlamentare.
Il filo conduttore è proprio l'emigrazione, che lega le storie di tante persone in Italia e nel mondo e la storia di chi, prima di emigrare, ha sacrificato la propria vita per l'Italia, nelle forze armate, tra i partigiani o tra i civili. Tanti emigrati hanno partecipato a quelle pagine di storia, hanno contribuito a costruire libertà e democrazia con la lotta partigiana, con la prigionia e con l'internamento sempre con sacrificio personale e familiare. Queste storie di internamento, prigionia ed emigrazione segnano la linea comune tra i due articoli di questo decreto-legge. Non mi pare sia una buona motivazione per il Governo.
Da un lato abbiamo un atto grave, che crea le condizioni e il rischio di cancellare il diritto di chiedere un risarcimento alla Germania per tutte le vittime italiane dei crimini nazisti e per le loro famiglie. È un atto che si riflette in maniera paritaria sugli italiani in Italia e sugli italiani all'estero. Dall'altro, invece, abbiamo la decisione di indebolire gli organismi di rappresentanza politica e comunitaria di queste storie di emigrazione, abbiamo il tentativo di delegittimare i luoghi della discussione, della conoscenza e dell'incontro proprio su questi temi. Tali luoghi della conoscenza e dell'incontro sono appunto i COMITES e il Consiglio generale degli italiani all'estero.
Credo sia giusto fare una riflessione di carattere politico sul futuro del rapporto con le comunità italiane nel mondo, oggi che il Governo annuncia misure drastiche di riduzione della spesa con altri tagli lineari come quelli che hanno già penalizzato le comunità italiane il mondo.
Credo sia necessario farlo perché siamo preoccupati da un Governo che non parla di riforme, ma solo di tagli. Si tratta di un Governo e di una maggioranza che non agiscono sul fronte della cittadinanza, lasciando inapplicate sentenze della Corte di cassazione sulla facoltà della donna di trasmettere la cittadinanza ai propri figli avendola perduta per il matrimonio con uno straniero (superando in questo modo un'odiosa discriminazione a scapito delle donne), oppure riaprendo i termini per il riacquisto della cittadinanza italiana e ristabilendo la verità storica di chi non ha mai davvero rinunciato ad essere italiano, oppure riconoscendo lo ius soli a chi nasce in questo Paese.
Quale migliore occasione del centocinquantesimo dell'unità d'Italia per stabilire un grande e importante momento di unità con le nostre comunità nel mondo e con l'umanità che si stabilisce in Italia? Invece, abbiamo un Governo e una maggioranza che non vedono oltre il proprio naso, che si chiudono entro confini sempre più stretti, che sono sempre più lontani dalle esigenze vere poste in maniera chiara e trasparente proprio da quegli organismi di rappresentanza, grazie al loro forte legame con le comunità italiane nel mondo di cui si vuole prorogare l'esistenza.
Vi è il tema delle nuove generazioni e dei legami culturali e linguistici con l'Italia come, ad esempio, la riforma della legge n. 153 del 1971, che non parte. Perdiamo, intanto, risorse nel settore della scuola, si chiudono lettorati, gli istituti di cultura sono in crescenti difficoltà.
Il tema dei diritti pensionistici e previdenziali, posto con forza anche dai sindacati dei pensionati di CGIL, CISL e UIL, con la richiesta di una sanatoria degli indebiti INPS maturati senza dolo per responsabilità dei ritardi dell'istituto; il riconoscimento dell'assegno di solidarietà per gli anziani in condizione di indigenza nati in Italia e residenti all'estero; l'abrogazione del requisito dei dieci anni di Pag. 15soggiorno continuativo in Italia per avere diritto all'assegno sociale; il tema delle convenzioni bilaterali in attesa di ratifica, tra queste quella con il Marocco, il Canada e il Cile, solo per citarne alcune. A ciò si aggiunge l'esonero dal pagamento ICI sulla prima casa in Italia se non affittata anche per gli italiani all'estero. In sostanza: equità, parità di trattamento, attenzione e sensibilità nei confronti di tantissimi anziani italiani emigrati all'estero che ancora oggi vivono in condizioni di povertà e disagio. Il tema della rete consolare, posto in tutta la sua gravità come questione che attiene alla presenza dello Stato italiano all'estero nella sua complessità, a livello economico, commerciale, culturale, linguistico e di servizio. Un quadro che richiede investimenti e risorse, prima di procedere alla chiusura di sedi.
Noi siamo convinti che il Governo abbia consolidato le fondamenta di questa premessa semplicemente in modo negativo. Ecco perché ogni volta che si mette mano a razionalizzazioni della rete consolare il sospetto è che si intenda procedere sulla base delle solite emergenze congiunturali e non riformare migliorando davvero le condizioni in cui lo Stato italiano offre servizi consolari all'estero. È ancora aperto il tema dei diritti sindacali, in termini di partecipazione e rappresentanza del mondo del lavoro; come ancora è in attesa di soluzione definitiva il tema delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia.
Signor Presidente, il cerchio si chiude, la rappresentanza ci consente di capire e conoscere meglio l'impatto delle scelte del Governo. Al Governo interessa capire come cambia la nostra comunità di italiani nel mondo? Vogliamo offrire davvero opportunità di sviluppo nei rapporti con questa italianità nel mondo? La domanda è legittima perché se interessano davvero i COMITES e i CGIE - e fino ad oggi esponenti di Governo e maggioranza sostengono con noi che debbano rimanere, anzi debbano essere rafforzati - ebbene se questa è la direzione che senso ha indebolirli oggi, in questo momento? Non procedere al rinnovo di questi organismi - ricordo che la scadenza era nel 2009 e il Governo li ha già prorogati entro il termine massimo del 31 dicembre 2010 - ne indebolisce ruolo e autorevolezza.
Il legittimo sospetto quindi è che la proroga al 31 dicembre 2012 sia utile ad indebolire questa rappresentanza in vista di altri tagli e in vista di una riforma che è tutto fuorché un rafforzamento del ruolo politico di questi organismi, la riforma che è stata presentata al Senato. Questo forte sospetto, signor Presidente, è destinato a rafforzarsi. La riforma non è condivisa, i tempi non sono certi e le perplessità sulla copertura finanziaria già espresse in Commissione Bilancio del Senato non saranno facilmente superate. Per molti mesi il Governo ha sostenuto la tesi che occorresse rivedere la normativa per armonizzarla con la rappresentanza parlamentare. Oggi siamo in procinto, se dovessimo prestare ascolto alle dichiarazioni di numerosi esponenti della maggioranza, di disegnare una riforma costituzionale che ridurrà il numero dei parlamentari e istituirà il Senato federale delle regioni e quindi metterà in discussione ruolo, numero e collocazione dei parlamentari eletti all'estero, oltre a ridiscuterne le regole di elezione. Non sarebbe stato utile rinnovare i COMITES e i CGIE alla scadenza naturale, oppure alla scadenza prorogata dopo la finanziaria, per assicurarci anche un contributo nell'azione di completamento delle riforme? Abbiamo avuto altre proroghe in passato, è vero, si è trattato però sempre di proroghe brevi con una proposta condivisa presentata dal Governo; tanto condivisa che la riforma dei COMITES del 2003 fu approvata in sede legislativa sia alla Camera che al Senato.
Concludo, Presidente, ricordando un secondo elemento che unisce in questo decreto due questioni così diverse tra loro: con l'intervento sui COMITES e sui CGIE si proroga la durata di organi elettivi in scadenza; con l'intervento sugli indennizzi si sospende l'efficacia di decisioni assunte da tribunali italiani. In entrambi i casi il Governo e la maggioranza, se decideranno di seguire questo percorso, si porranno oltre un naturale corso degli eventi, oltre Pag. 16il principio di natural national justice determinando un pericoloso precedente sia in termini di funzionamento democratico di organi elettivi sia di efficacia delle sentenze.
Per queste ragioni avevamo presentato un emendamento soppressivo dell'articolo 2 che ripresenteremo in Assemblea, e per queste ragioni il nostro giudizio sul decreto-legge in esame è negativo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.

GUIDO MELIS. Signor Presidente, il provvedimento in discussione, come è stato già osservato in quest'Aula e molte volte nell'iter che ha preceduto questo nostro dibattito, raccoglie nei suoi soli tre articoli materie tra loro troppo eterogenee il cui elemento unificante, peraltro assai labile a mio giudizio, è rintracciabile nella competenza del Ministero degli affari esteri.
Qui, però, vorrei concentrare il mio breve intervento soltanto sull'articolo 1 nel quale si determina la sospensione delle azioni esecutive nei confronti di Stati ed organismi internazionali in attesa che le azioni giudiziarie intraprese nei tribunali italiani contro tali enti siano giudicate da Corti sovranazionali chiamate ad esprimersi in proposito. Nell'articolo in parola si fa esplicito riferimento ad una norma, molto lontana nel tempo, ossia all'articolo 1 del regio decreto-legge 30 agosto 1925, n. 1621, convertito dalla legge 15 luglio 1926, n. 1263. In tale disposizione si aggiunge che i procedimenti esecutivi e/o conservativi basati sui titoli la cui efficacia è sospesa non possono essere proposti, e se proposti sono sospesi; che la sospensione opera di diritto ed è rilevata anche d'ufficio dal giudice, e da ultimo che a tale fine, prima di adottare provvedimenti esecutivi o conservativi nei confronti di uno Stato estero o di un'organizzazione internazionale, il giudice accerta se sia pendente un giudizio per l'accertamento dell'immunità dalla giurisdizione italiana, anche mediante richiesta di informazioni al Ministero degli affari esteri, ai sensi dell'articolo 213 del codice di procedura civile.
Sin qui il contenuto del provvedimento all'articolo 1; mi sia consentita però, signora Presidente, qualche osservazione preliminare, perché a mio avviso il contesto storico nel quale questa disposizione si inserisce merita almeno un rapido cenno. Da alcuni decenni è in atto una profonda trasformazione nel diritto delle relazioni internazionali, una trasformazione radicale che, per dirla in modo semplice, certamente anche un po' banale e me ne scuso con l'Assemblea, sul tradizionale diritto degli Stati tende a far prevalere i principi supremi dei diritti dell'umanità e della tutela della persona umana.
Come è noto e come ci ricorda la dottrina più autorevole, secondo una norma del diritto internazionale recepita dall'articolo 10, primo comma, della nostra Costituzione, uno Stato estero non può essere convenuto in giudizio davanti ai nostri tribunali per atti che investono la sua sovranità, mentre può essere convenuto in giudizio per atti posti in essere alla stregua di un soggetto privato. Vorrei ricordare che con la cosiddetta sentenza Ferrini dell'11 marzo 2004, che qui è già stata ricordata dall'onorevole Barbi e da altri, la Cassazione a sezioni unite ha escluso che la Germania potesse invocare l'immunità dalla giurisdizione per le deportazioni compiute in Italia dopo l'8 settembre 1943. Quegli atti efferati, dai quali, tra l'altro, è derivato lo sterminio di massa della comunità ebraica italiana nei campi di concentramento nazisti, erano certamente atti assunti, per così dire, iure imperii, a proprio modo erano dunque fondati su precise disposizione di legge del Paese che li compiva, ma in quelle norme e nella loro applicazione era stata violata una norma imperativa del diritto delle genti la cui valenza era, ed è, da ritenersi superiore e prevalente rispetto alle altre norme inserite nell'ordinamento tedesco dallo sciagurato regime nazista. Pag. 17
Questa linea della Cassazione a me pare più che condivisibile e sarebbe stata poi ribadita dalla Corte d'appello di Firenze attraverso il riconoscimento di efficacia in Italia ad una sentenza greca di condanna della Germania per massacri compiuti dall'esercito di occupazione tedesco in quel Paese durante la Seconda guerra mondiale e alla conseguente iscrizione di ipoteca giudiziaria su un bene dello Stato tedesco nel territorio italiano. Avendo la stessa Corte d'appello di Firenze respinto con sentenza del 25 novembre 2008 l'opposizione della Germania avverso il decreto di esecutività, l'Italia è stata chiamata dinanzi alla Corte internazionale di giustizia con l'accusa di aver violato la norma sull'immunità dalla giurisdizione. Il giudizio, come è stato ricordato, è attualmente pendente.
Evoco questi precedenti anche io, signor Presidente, non solo per inquadrare l'attuale provvedimento nella sua cornice generale, ma soprattutto per coglierne la ratio, del resto espressamente dichiarata nella relazione che l'accompagna, quando il Governo, con una certa crudezza di termini, a mio avviso, obietta che, in pendenza di un giudizio sulla legittimazione dello Stato all'azione presso un organismo internazionale, si continuano ad emanare provvedimenti esecutivi che, oltre ad avere una profonda ricaduta sul piano delle relazioni internazionali, potrebbero ingenerare sul piano interno legittime aspettative degli attori, che sarebbero destinate ad estinguersi nel caso in cui il giudice sovranazionale fosse favorevole all'istanza dello Stato estero o dell'organismo internazionale. Siamo dunque in presenza - lo dice il Governo stesso - di due interessi: l'uno - se mi è consentito dirlo - più generale, connesso alla tutela dei diritti universali delle vittime al rispetto della vita e della dignità umana (non vedo nessun altro concetto più generale di questo); l'altro - certamente molto rilevante, ma più circoscritto - collegato al rischio, come dice il Governo, di ricadute negative sul piano delle relazioni internazionali. Rispetto a questo secondo interesse, che si può definire degli Stati, vorrei anche io citare incidentalmente l'opinione del professor Natalino Ronzitti, che è uno dei più autorevoli studiosi italiani del diritto internazionale, il quale obietta che comunque la Germania potrebbe chiedere alla Corte internazionale di giustizia da essa stessa adita, l'adozione di misure cautelari volte a bloccare l'esecuzione della sentenza nazionale nell'ordinamento interno. Solo qualora la Corte abbia disposto misure cautelari favorevoli all'attore - sostiene Ronzitti - potrebbero porsi la necessità e l'urgenza di adottare la sospensione tramite il decreto-legge.
Mi sia qui anche consentito - al di là delle formulazioni tecniche dei giuristi, che naturalmente interessano anche molto, ma che sono secondarie rispetto a quello che sto per dire - di insistere, per così dire, in via sostanziale sul diritto ad avere giustizia di soggetti quali le vittime del razzismo, che, avendo subito una disumana violenza, hanno dovuto attendere a lungo in questi cinquant'anni, perché oggi i superstiti - sento dire che sono solo duecentocinquanta - hanno tutti un'età molto avanzata.
Il Comitato per la legislazione, nella seduta dell'11 maggio 2010, ha approvato all'unanimità una proposta di parere, avente come relatore l'onorevole Occhiuto, nel quale sono avanzate alcune istanze critiche e di cui è stata infine proposta l'approvazione, ma con alcune precise condizioni. In tale parere, è tra l'altro recepito che il decreto del 1925, che ho citato prima, evocato dalla disposizione come l'architrave normativo della sospensione di efficacia dei titoli esecutivi nei confronti degli Stati esteri, è quanto meno di dubbia vigenza, considerata la pronuncia della Corte costituzionale del 15 luglio 1992 n. 329, che ha stabilito la parziale illegittimità di questo decreto, con l'espressa dichiarazione che la norma impugnata è da ritenersi tacitamente abrogata, così si è espressa la Corte costituzionale.
Sulla medesima falsariga, che definirei quanto meno parzialmente critica, si è espressa il 19 maggio all'unanimità la Commissione giustizia di questa Camera, Pag. 18al cui parere, pure favorevole al provvedimento, vorrei però fare adesso più diretto riferimento. In questo documento, che è frutto di una considerazione molto ponderata degli interessi in gioco e anche di una assunzione di responsabilità da parte di tutte le componenti politiche della Commissione giustizia, si rivela innanzitutto, sulla scorta anche qui di quanto già osservato dal nostro Comitato per la legislazione, come non si possano porre sullo stesso piano, come fa invece erroneamente l'articolo 1, le organizzazioni internazionali e gli Stati esteri, giacché l'articolo 34 dello statuto della Corte internazionale di giustizia stabilisce che tale Corte può essere adita esclusivamente dagli Stati. Si esprime, quindi, una perplessità sulla previsione che la sospensione operi di diritto e debba quindi essere rilevata d'ufficio e non su istanza di parte. Ciò sia per l'ulteriore onere che ne deriverebbe all'amministrazione giudiziaria - sto citando espressamente - sia per l'accertamento del requisito dell'oggettiva connessione. Ma soprattutto in questo documento della Commissione giustizia si formula una critica più di fondo, che vorrei riprendere in conclusione e fare interamente mia, relativamente al fatto che l'Italia non abbia ancora firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, risalente al 2 dicembre 2004. Questo è il punto politico della questione. Come giustamente si osserva nel parere della Commissione giustizia sarebbe più che opportuno definire organicamente e in termini generali l'intera materia con la firma di questa Convenzione, piuttosto che procedere - come si fa - con lo strumento inadeguato del decreto-legge, al fine di risolvere singoli problemi in nome di interessi certamente comprensibili e anche da proteggere, ma legati alla contingenza dei rapporti tra gli Stati.
È sulla base precisa di queste condizioni che la Commissione giustizia, unanimemente, ha proposto di premettere all'articolo 1 le parole «fino al 30 giugno 2011» che sono state inserite - come ha ricordato la relatrice - proprio perché, in attesa della firma e successiva ratifica della Convenzione, è sembrato opportuno un preciso cenno alla temporaneità dell'applicazione del provvedimento, che si giustifica solo limitatamente alla situazione di necessità e urgenza che lo ha provocato, ma che ci richiama, signora Presidente, ad una precisa assunzione di responsabilità nella direzione di un intervento normativo organico e coerente sull'intera materia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti ed i docenti della direzione didattica statale 3o circolo plesso «San Giovanni Bosco» di Potenza, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signora Presidente, chiedo scusa fin da ora ma sarà difficile evitare di ripetere concetti, parole, espressioni, già utilizzate dai colleghi che mi hanno preceduto e con i quali, del resto, mi trovo in piena sintonia. Non ho ascoltato - chiedo scusa, sono arrivato leggermente in ritardo - la relatrice ma, da quanto mi risulta, lei stessa ha avanzato qualche rilievo critico al testo che oggi è alla nostra attenzione. Prima ancora di iniziare la disamina del contenuto di questo decreto-legge vorrei segnalare negativamente due questioni. La prima, quella a mio avviso più rilevante - ma non è soltanto il mio avviso -, riguarda il fatto che in uno stesso provvedimento siano state inserite materie non omogenee e in contrasto tra loro. È sufficiente, a tal proposito, esaminare l'articolo 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, il quale disciplina l'attività del Governo, l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri e prevede che i decreti-legge debbono contenere misure di immediata applicazione il cui contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo; in tal modo, è possibile evidenziare che qui siamo, fuor di dubbio, in assenza di un nesso tra le due disposizioni contenute in questo provvedimento. La seconda Pag. 19questione che intendo rilevare - anch'essa di contenuto assolutamente opinabile - riguarda il carattere d'urgenza, assolutamente ingiustificato, né tanto meno chiarito attraverso la lacunosa relazione introduttiva predisposta dal Governo: questo è un altro aspetto certamente censurabile. Nei vari pareri richiesti - richiamati, peraltro, da ultimo, dal collega Melis - sono state evidenziate non poche perplessità, ad esempio l'assenza, da ritenere ingiustificabile, della relazione sull'analisi di impatto della regolamentazione - cito il parere del Comitato della legislazione - oppure gli indubbi profili di criticità del testo espressi dalla presidente della Commissione giustizia, l'onorevole Bongiorno.
Quindi, arrivando al contenuto del decreto-legge in esame, intendo richiamare i due scopi principali che esso intende raggiungere. Il primo obiettivo che si prefigge il provvedimento riguarda la sospensione dell'efficacia dei titoli esecutivi nei confronti di beni appartenenti a Stati esteri. In tal senso la Commissione giustizia esprime - lo riporto testualmente - «forti perplessità sulla previsione che la sospensione operi di diritto e debba quindi essere rilevata d'ufficio e non su istanza di parte, sull'ulteriore onere che ne deriverebbe all'amministrazione giudiziaria e sull'accertamento del requisito dell'oggettiva connessione». Un importante e condivisibile correzione - è stato appena ricordato - è stata per fortuna adottata in sede emendativa presso la Commissione affari esteri, di cui faccio parte, a proposito delle organizzazioni internazionali rispetto a quanto previsto inizialmente dal testo o meglio a quanto non previsto inizialmente nel testo, in virtù dell'articolo 34 dello statuto della Corte internazionale di giustizia; tale normativa dispone, infatti, che solo gli Stati possono essere parte nei processi davanti alla Corte nel caso in cui sia in corso un procedimento nei confronti dell'Italia dinanzi alla Corte internazionale di giustizia.
Il secondo scopo del decreto-legge che stiamo esaminando riguarda, invece, il rinvio delle elezioni per il rinnovo degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero, ovvero i Comites e il CGIE (il Consiglio generale degli italiani all'estero), che - come è noto - sono soggetti di un processo di riforma in prima lettura presso l'altro ramo del Parlamento.
Indubbiamente la questione più rilevante per il nostro Paese - lo si capisce chiaramente da questo provvedimento - è la salvaguardia dei buoni rapporti che intratteniamo con la Germania, evitando, in generale, una ricaduta sul piano delle relazioni internazionali. C'è da rilevare nella fattispecie che, benché non esplicitamente riferito nella relazione del Governo, la nuova disposizione ha un'immediata ricaduta sul noto contenzioso italo-tedesco relativo alle richieste di risarcimento da parte dei lavoratori coatti internati in Germania durante il secondo conflitto mondiale (sia militari, sia civili).
Pur nella difficoltà di pervenire ad una precisa quantificazione degli aventi diritto e dell'intera procedura, si calcola che siano poco più di 200. Allo stato è pendente a L'Aja un ricorso tedesco che contesta all'Italia di aver violato i suoi obblighi verso la Germania in base al diritto internazionale, dal momento che la magistratura, ivi inclusa la Corte di cassazione, ha sinora negato la sussistenza dell'immunità giurisdizionale ed ha proceduto in via esecutiva e cautelare.
Secondo il diritto internazionale misure esecutive e cautelari non sono, invece, ammissibili nei confronti di beni di Stati esteri al servizio della sovranità statuale, come può essere per esempio una nave da guerra, mentre lo sono nel caso in cui il bene rientri nella categoria di bene destinato all'attività privata dello Stato. Per fare un esempio, l'ipoteca iscritta sulla proprietà tedesca di Villa Vigoni (è già stato ricordato), un bene dello Stato tedesco sul lago di Como utilizzato da un'associazione culturale, e i cui proventi sarebbero dovuti servire per risarcire i familiari delle vittime, sarà sospesa a seguito dell'entrata in vigore di questo decreto-legge in presenza appunto di una controversia tra l'Italia ed uno Stato estero volta a stabilire l'immunità dalla giurisdizione. Pag. 20
Riteniamo - come gruppo dell'Italia dei Valori, e crediamo di non essere i soli - che questo tipo di prescrizione possa alla fine ledere il diritto all'accesso della giustizia di quanti, in questo caso deportati ed internati nei campi di lavoro nazisti (poi si ha un bel dire quando si va ad Auschwitz o alle celebrazioni del 27 gennaio in cui li ricordiamo che sono un esempio per la nostra storia, per la nostra vita, per la nostra Repubblica, per la nostra democrazia, per la nostra libertà), circa 200, non avranno nessun rimborso e si imbatteranno in questo tipo di contenzioso.
Davvero non credo di esagerare se dico che rischiamo di dare il via ad una sorta di colpo di spugna sui risarcimenti di questi circa 200 tra reduci, ebrei, partigiani, internati militari, che si sono costituiti parte civile in varie cause sparse un po' in tutta la nostra penisola.
Visto il rischio che il nostro Governo fa correre alle vittime di cui ho appena parlato, cioè di essere lasciate senza alcuna tutela in termini risarcitori, preannuncio fin da adesso la presentazione di un ordine del giorno che vada in questa direzione e che possa almeno contare su un sussulto di dignità e di sensibilità da parte del nostro Esecutivo.
È stato ricordato come, nel corso di un'audizione tenutasi in III Commissione lo scorso 12 maggio, il professor Ronzitti abbia sottolineato (tra l'altro lo ritroviamo anche nel parere della Commissione Giustizia) che più di ogni altra cosa, per riordinare compiutamente ed efficacemente la materia dell'immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione, è opportuno che l'Italia proceda (era opportuno che procedesse, ma è comunque opportuno che lo faccia ora) in tempi rapidi alla firma della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, risalente al 2 dicembre 2004.
Piuttosto che procedere con lo strumento del decreto-legge al fine di risolvere una particolare questione in materia di immunità giurisdizionale sorta, appunto, verso uno Stato estero (nel caso specifico la Germania) sarebbe stato, infatti, più opportuno procedere alla firma di tale Convenzione per poi ratificarla, al fine di introdurre nell'ordinamento italiano una disciplina di carattere generale in materia di immunità giurisdizionale.
Invece, ci troviamo che, dopo le leggi ad personam, e «ad aziendam», ora abbiamo anche le leggi «ad statum».
In ragione di ciò, è stato giustamente proposto che le disposizioni di cui all'articolo 1 trovino un'applicazione, se non altro temporale, fino al 31 dicembre del 2011, limitata alla situazione di necessità e d'urgenza che - facciamo finta - ha giustificato l'emanazione del decreto-legge in esame, salvo che valutare l'opportunità di prevedere un coordinamento tra quanto stabilito al primo periodo del comma 1, che dispone la sospensione dell'efficacia dei titoli esecutivi fino al 31 dicembre 2011, e l'ultimo periodo del medesimo comma, che prevede contestualmente la cessazione della sospensione dell'efficacia, con la pubblicazione della decisione della Corte, come sottolineato dalla I Commissione nel suo parere.
Nella direzione di impegnare il Governo verso una celere sottoscrizione e ratifica di questa più volte citata Convenzione, sottoscritta e ratificata già da nove Paesi, tra cui Francia, Regno Unito e Svizzera, a nome del gruppo dell'Italia dei Valori, preannuncio un altro ordine del giorno.
Venendo al secondo articolo di questo provvedimento, quello che assicurerà la proroga del termine per il rinnovo dei Comites e del Consiglio generale degli italiani all'estero, il mandato quinquennale, già scaduto nel 2009, è già stato oggetto di una proroga al 31 dicembre 2010 (scadenza non ancora esaurita). La nuova scadenza è stata portata al 31 dicembre del 2012, altri due anni. Il termine a noi appare francamente troppo dilazionato, senza che la relazione faccia sufficiente chiarezza - lo ripeto - circa la reale necessità di indicare tale data. Il Governo si è solo giustificato ritenendo che la tempistica necessaria per giungere all'approvazione della riforma avviata al Pag. 21Senato non consentirebbe di assicurare in tempo utile l'espletamento degli adempimenti elettorali.
Il gruppo dell'Italia dei Valori aveva, a questo proposito, presentato nella Commissione competente un emendamento, che riproporremo anche in Assemblea, con lo scopo di anticipare ragionevolmente la data entro la quale provvedere al rinnovo dei citati organismi, entro il 30 giugno 2011. Comunque, siccome ho sentito preannunciare un emendamento che addirittura propone la soppressione di questo articolo 2, posso sin d'ora anticipare che noi voteremo favorevolmente anche con riferimento a questa ipotesi soppressiva.
Riteniamo, insomma, che con questa ulteriore proroga, così come previsto nel decreto-legge, si rischia la delegittimazione degli eletti, mentre tali organismi contribuiscono fortemente a garantire un efficace raccordo tra il Paese e le comunità degli italiani all'estero, atteso che sul Consiglio generale degli italiani all'estero sono stati già da tempo depositati progetti di legge in senso abrogativo dello stesso. Si tratta di proposte avanzate da parlamentari di tutti gli schieramenti (per quanto riguarda l'Italia dei Valori voglio ricordare l'iniziativa del collega Razzi alla Camera o del senatore Pedica nell'altro ramo del Parlamento).
Risulta, però, che il testo unificato adottato dal Senato possa apparire assai distante da tali proposte di legge e questo non depone certo a favore di una sua approvazione in tempi rapidi.
Infine, non va dimenticato che, per quanto attiene alle spese per il rinnovo dei Comites e del CGIE, che ammontano a 6 milioni di euro per i primi e a un milione di euro per il secondo, la Commissione bilancio ha fatto presente che andrebbe chiarito se il mancato rispetto delle scadenze temporali previste dalla disciplina vigente per il rinnovo di questi organismi possa alterare le previsioni già incorporate nei tendenziali di spesa «tenuto conto che per effetto della norma in esame lo stanziamento del 2010 rimarrebbe presumibilmente inutilizzato, mentre occorrerebbe disporre di idonee risorse finanziarie per gli anni successivi, in ragione della possibilità di svolgere le elezioni per il rinnovo nel 2011 o nel 2012».
Restiamo attenti pertanto a questo aspetto, in attesa del previsto parere che si immagina domani possa esprimere la V Commissione sul punto specifico a cui ho appena fatto cenno (a meno che il Governo, già questa sera, non voglia anticiparci un chiarimento in proposito).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mi sono iscritto a parlare nella discussione sulle linee generali del decreto-legge in esame mosso dall'attenzione che mi deriva dall'essere un parlamentare eletto dalle comunità all'estero, nonché dalla più che trentennale condivisione delle battaglie che i nostri connazionali all'estero hanno combattuto per i più elementari diritti di cittadinanza, tra i quali, sicuramente, si annoverano, in particolare, il diritto alla rappresentanza e, dunque, alla possibilità di incidere su questioni fondamentali quali la democratizzazione degli uffici consolari, l'erogazione di servizi ai cittadini, l'integrazione sociale e professionale nel Paese di accoglienza, il successo scolastico dei figli degli italiani, nonché la lotta alla marginalizzazione, che molto spesso è insita nella condizione di migrante. E, inoltre, per l'affermazione all'estero di quel «sistema Italia» che è sempre esistito, ma che, per i progressi fatti registrare ovunque dalle nostre comunità emigrate, ha bisogno di un'articolazione sistemica per essere, ora e, soprattutto, in futuro, ancora una volta, risorsa strategica di importanza per l'Italia.
Credo che non sfugga a tutti noi il ruolo fondamentale che hanno avuto gli organismi di rappresentanza di base, riformati e ribattezzati più volte: Comitati consolari di coordinamento, Comitati emigrati italiani, fino all'attuale acronimo di Comites, cioè comitati degli italiani all'estero, Pag. 22e il ruolo fondamentale del Consiglio generale degli italiani all'estero nel portare avanti le rivendicazioni sopramenzionate, nel perseguire il fondamentale obiettivo di promuovere e valorizzare la presenza così numerosa dei nostri concittadini residenti all'estero e della diaspora italiana nel mondo, dove vi sono oltre 60 milioni di persone con origini italiane.
Un anno fa si sarebbe dovuto procedere al rinnovo dei Comites indicendo le elezioni ma, nonostante le innumerevoli prese di posizione espresse in primis dai Comites stessi e dal CGIE, la maggioranza di Governo fece una scelta sbagliata, come dimostra il fatto che, oggi, siamo qui a discutere un ulteriore decreto-legge di proroga che, addirittura, potrebbe allungare il mandato degli eletti fino ad 8 anni, cioè fino al 2012.
Sarebbe facile per noi dell'opposizione, che in ogni occasione che ci è stata data abbiamo contrastato le soluzioni restrittive messe in campo da maggioranza e Governo, cavalcare oggi le dure ed inequivocabili prese di posizione assunte, a larghissima maggioranza, dal più alto organismo di rappresentanza degli italiani all'estero, il CGIE, sfociate nella contestazione bipartisan al sottosegretario Mantica in occasione della recente assemblea, e da molti Comites, esausti per il protrarsi della scadenza fissata per le elezioni. Ma, pur condividendone affermazioni e preoccupazioni, preferiamo, soprattutto in un momento di così teso confronto, impegnarci fino in fondo in uno sforzo di ragionevolezza e chiedere che anche gli altri, a partire dai responsabili di Governo in materia, facciano altrettanto.
Nessuno può far finta di non sentire la voce di forte disagio che si è levata dai rappresentanti di tutte le comunità sparse per il mondo, senza distinzione di orientamento politico e culturale. Nessuno che voglia onorare la sua responsabilità istituzionale, inoltre, può considerare le conclusioni cui è pervenuto il CGIE come un tentativo di estrema difesa di situazioni del passato o, peggio ancora, come uno scatto di autoconservazione.
Semmai, quelle prese di posizione possono essere l'occasione da molti attesa per riorganizzare trasversalmente le forze e per rilanciare l'impegno per una politica attiva e moderna verso le comunità italiane all'estero, una politica che incominci a parlare un linguaggio diverso dai tagli indiscriminati e dall'emarginazione di una realtà considerata ingiustamente residuale.
Insomma, non dovremmo correre il rischio di manzoniana memoria dei capponi di Renzo che si beccavano tra loro mentre si compiva il loro destino.
Pur auspicando, dunque, un dibattito franco, come abbiamo detto in Commissione, vorremmo convincere i colleghi della maggioranza sugli effetti deleteri di questa nuova proroga con cui si rischia, evidentemente, di affossare definitivamente i Comites, facendoli morire per affaticamento e mancanza di carica propulsiva.
I Comites sono, com'è noto, basati sulla volontarietà dell'impegno da parte degli eletti, tanto più non si può strapazzare il loro senso di responsabilità prolungandone all'infinito l'impegno stesso.
Abbiamo sostenuto, sin dal dibattito sulla legge finanziaria 2010, che la legge attuale è stata promulgata soltanto a fine 2003 e che è stata applicata per la prima volta nel 2004, allorquando si poté anche sperimentare il voto per corrispondenza che diede buona prova di sé facendo accrescere notevolmente la partecipazione dei nostri connazionali al voto.
Per inciso, va anche detto che vi sono ampi margini per una migliore applicazione della legge, purché le rappresentanze consolari e diplomatiche mostrino più attenzione e interesse verso una reale cooperazione e valorizzazione degli organismi di rappresentanza e, quindi, verso la promozione delle nostre comunità all'estero.
Per tutte queste ragioni avevamo chiesto con forza che si indicessero le elezioni, ritenendo che non si può prorogare la democrazia, ponendo con ciò le basi per una riforma ponderata del CGIE, avendo davanti un orizzonte di tempo meno affannoso. Infatti, non è vero che questo organismo ha fatto il suo tempo, come Pag. 23sostengono alcuni che probabilmente non hanno piena contezza delle complessità che caratterizzano il mondo degli italiani all'estero.
Viviamo un tempo di grandi trasformazioni che si susseguono a grande velocità e sicuramente anche il CGIE deve essere riformato, ma senza minarne le potenzialità e il ruolo che deve avere. E a quelli che vorrebbero abolirlo in nome di una rappresentanza affidata esclusivamente ai parlamentari eletti all'estero, vorrei dire che in Italia nessuno propone di abolire i comuni o le regioni e di affidare la rappresentanza dei cittadini al solo Parlamento.
In Commissione affari esteri il Partito Democratico ha chiesto ai colleghi e al Governo di lavorare affinché la proroga per lo svolgimento delle elezioni sia fissata tutto al più al 30 giugno del 2011. Ma poiché l'appello non è stato accolto il nostro gruppo ha presentato un emendamento soppressivo dell'articolo che proroga la durata di tale organismo sino al 31 dicembre 2012 e lo ha contestualmente riproposto all'Assemblea.
Le nostre comunità all'estero ci chiedono in maniera inequivocabile di salvaguardare e di aiutare il funzionamento delle strutture di rappresentanza intermedia come Comites e CGIE anche intensificando la collaborazione con gli eletti all'estero. Ce lo chiedono sottolineando che questi organismi sono parte essenziale di quelle politiche migratorie che il nostro Paese dovrebbe assicurare, come quelle della promozione della lingua e della cultura italiana, dell'assistenza agli indigenti, della valorizzazione delle nuove mobilità professionali che sempre più frequentemente si incontrano nelle grandi città europee e del mondo, del collegamento sinergico con l'imprenditoria sviluppata all'estero dai nostri concittadini emigrati, del turismo di ritorno verso l'Italia.
Signora Presidente, avviandomi a conclusione, non posso esimermi dal sottolineare lo strano connubio che caratterizza questo decreto-legge, contenendo esso due provvedimenti così diversi l'uno dall'altro, come si evince già nel titolo, dei quali non ravviso l'urgenza come sostenuta dal Governo.
I colleghi che mi hanno preceduto, in particolare l'onorevole Barbi, che ha illustrato esaustivamente le perplessità del nostro gruppo su questo dispositivo alle quali mi associo pienamente, hanno messo a fuoco la situazione che riguarda i seicentomila internati militari italiani in Germania nel periodo compreso tra il 1943 e il 1945, quando i due Paesi ex-alleati si ritrovarono repentinamente su opposti fronti.
Come è, peraltro, noto sono ben cinquanta le cause contro la Germania attualmente pendenti davanti ai tribunali italiani intentate da vittime di quel periodo nefasto ed è altrettanto noto che la Germania e la Corte di cassazione italiana muovono da posizioni giuridiche nettamente contrastanti relativamente all'ammissibilità di tali cause. Il Governo italiano con questo decreto-legge ha voluto probabilmente evitare che si inasprisse il contenzioso con la Germania, ma personalmente ritengo che esso sia criticabile sotto molteplici punti.
Ritengo che sarebbe auspicabile un riordino organico della disciplina italiana sull'immunità della giurisdizione degli Stati stranieri che preveda anche la ratifica della Convenzione ONU sull'immunità giurisdizionale degli Stati e dei loro beni del 2005.
Si tratta di argomentazioni che non possono essere ignorate e che attengono al diritto internazionale. Altro discorso è la valenza politica di un intervento normativo di iniziativa governativa, che potrebbe avere il valore di tranquillizzare la Germania sulla volontà politica di non arrecarle pregiudizi malgrado i procedimenti in corso. Il Governo, tuttavia, non può ignorare i precedenti giurisdizionali che vanno nella direzione del venir meno dell'immunità nel caso di violazione di norme imperative di diritto internazionale, ius cogens, quali le violazioni dei diritti umani fondamentali perpetrate in occasione dei massacri compiuti in Grecia durante la seconda guerra mondiale, anche se sarà la Pag. 24Corte internazionale di giustizia a dire l'ultima parola sul punto e la sospensione dei provvedimenti esecutivi ha carattere meramente temporaneo. Soprattutto il Governo, nell'utilizzare gli strumenti normativi più adeguati al raggiungimento dei suoi fini, non può ignorare l'evoluzione normativa interna e lo sviluppo progressivo del diritto internazionale, senza contare che l'Italia potrebbe a sua volta non essere del tutto immune da procedimenti esecutivi simili a quello che ha riguardato la Germania.
Signor Presidente, non bisogna lasciarsi andare a misure frettolose come quelle contenute nel decreto-legge in esame, che danno l'impressione di gestire l'immediato senza porsi un orizzonte più ampio. Vorremmo capire se il Governo vuole realizzare politiche per il futuro, politiche in cui la grande comunità italiana all'estero ha un posto e un valore. Se si vuole guardare al futuro della nostra comunità, bisogna fermarsi e studiare le situazioni per capire le priorità: solo così si potrà affrontare il problema in maniera organica e far sentire al cittadino all'estero la presenza di uno Stato attento, che guarda oltre i propri confini nazionali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, il provvedimento che esaminiamo contiene due norme, su cui sono intervenuti i colleghi nel corso del dibattito, alcuni dimostrando qualche convergenza, altri sollevando perplessità. La prima norma riguarda l'immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione italiana. Credo che questa, se valutata nella sua generalità e nella sua astrattezza, sia una norma di assoluto buonsenso e condivisibile. Credo anche che il riferimento specifico al contenzioso italo-tedesco, a cui hanno fatto riferimento diversi colleghi e in particolare anche la relatrice, l'onorevole Nirenstein, testimoni la sensibilità della stessa relatrice su questo tema specifico (peraltro ne è dimostrazione la storia personale, il percorso politico, la sensibilità politica dell'onorevole Nirenstein). Su questo credo che anche da parte del Governo vi sia una sensibilità assoluta di fronte ad un fatto storico, politico e umano importante come quello dei nostri connazionali deportati, dei lavoratori coatti, di quella vicenda in particolare.
Credo che nella valutazione della generalità e dell'astrattezza della norma, che pure noi abbiamo il dovere di affrontare in questa sede, sia certamente oggettivo che la sospensione dell'efficacia dei titoli esecutivi emessi dalla magistratura italiana nei confronti degli Stati esteri nel caso in cui sia pendente un giudizio innanzi alla Corte internazionale di giustizia de L'Aja diretto ad accertare l'immunità della giurisdizione italiana in uno Stato estero - in particolare anche in questo caso, visto che si tratta di una materia specifica della giurisdizione italiana - sia da considerare un elemento di prudenza e di ragionevolezza oggettiva. Dico ciò considerato anche il fatto che nelle riproposizioni, anche future, di questo genere di contenzioso internazionale, essendo codesti pronunciamenti sub iudice di un organismo internazionale, come la Corte de L'Aja, è bene che un meccanismo sospensivo e di cautela intervenga a tutela proprio degli interessi legittimi che si innescano e delle aspettative connesse a questi interessi dei nostri cittadini, per un verso, e anche, sul piano diplomatico, sull'equilibrio, sul profilo, sulla serenità di relazioni bilaterali fra l'Italia e i diversi Stati con cui possa in futuro sorgere un contenzioso di questo genere.
Credo, pertanto, che, al netto del caso specifico, su cui pure si è dimostrata la sensibilità del relatore e dei numerosi colleghi che sono intervenuti nella discussione, la norma sia di oggettiva condivisibilità e ragionevolezza.
Lo stesso può dirsi circa la norma che riguarda l'elezione del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) e dei Comitati degli italiani all'estero (COMITES), che sono organismi rappresentativi importanti che si fondano - come ricordava il collega Pag. 25Rao - sulla volontarietà dei suoi appartenenti e sul prestigio che questi hanno acquistato nel corso degli anni.
Anche per tali organismi, tuttavia, un atteggiamento di ragionevolezza, per un verso, e di prudenza, per un altro, hanno suggerito al Governo di prorogarne ulteriormente l'elezione, in forza del fatto che ci si potrebbe trovare nella condizione di una concomitanza tra tali elezioni e l'approvazione di progetti di riforma dei meccanismi elettivi, progetti che sono in itinere e stanno prendendo sempre più forma, visto il percorso ormai già avviato e in sede di maturazione nell'altro ramo del Parlamento, cioè al Senato.
Signor Presidente, nel quadro della memoria storica di questo Parlamento, alla cui attenzione sono stati portati provvedimenti e decreti-legge ben più eterogenei - certamente non soltanto dai Governi di centrodestra, ma anche da quelli di centrosinistra, quindi l'accusa di eterogeneità è oggettivamente «relativa» - ritengo che vi sia del buon senso in questo decreto-legge e che vi sia non solo un profilo di costituzionalità, ma anche un profilo di ragionevolezza che impongono una conversione rapida. Sulle ragioni del provvedimento ci si può confrontare, con dei distinguo, ma credo che l'appoggio sia politicamente doveroso da parte del gruppo del Popolo della Libertà e della maggioranza.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3443-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione del relatore, il vicepresidente della Commissione affari esteri, onorevole Nirenstein.

FIAMMA NIRENSTEIN, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, la mia replica durerà solo un minuto perché quello che intendo fare è soprattutto ringraziare i colleghi per l'alta qualità del dibattito e per la sensibilità dimostrata nei confronti dei temi in discussione.
Desidero, altresì, ribadire che nel corso di tutto il lavoro svolto nella discussione di questo decreto-legge da parte delle Commissioni, sia della II (Giustizia), sia della III (Affari esteri), si è mostrata e dimostrata la maggiore cura possibile nei confronti di un argomento che sta particolarmente a cuore a tutti noi e - lo vorrei sottolineare - in maniera particolare alla sottoscritta, nella mia modestia, per motivi autobiografici molto evidenti.
Dal momento in cui abbiamo audito il professor Ronzitti ci è stata mostrata la via del termine certo che poteva mettere insieme le esigenze legislative di carattere nazionale e internazionale, i problemi dei rapporti internazionali e un'equa soluzione del problema. Abbiamo pertanto presentato degli emendamenti che sono stati accolti dal Governo e abbiamo così seguito la strada che ci sembra si faccia largo nella labirintica complessità dell'argomento.
L'attenzione nei confronti dei deportati, della loro vicenda umana e politica, dei loro familiari, non cessa certo con questa discussione. Sono certa che il Parlamento intero ne seguirà le vicende nel prosieguo del tempo, senza mai perdere d'occhio il seguito della vicenda.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annunzio della convocazione di una Commissione permanente per l'elezione del presidente (ore 16,53).

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione attività produttive, commercio e turismo sarà convocata mercoledì 26 maggio, alle ore 14, per l'elezione del suo presidente.

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Discussione della proposta di legge Letta ed altri: Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori In Italia (A.C. 2079-A) (ore 16,54).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa del deputato Letta ed altri: Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2079-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Mosca, ha facoltà di svolgere la relazione.

ALESSIA MARIA MOSCA, Relatore. Signor Presidente, prima di iniziare ad illustrare nel dettaglio il contenuto di questa proposta di legge vorrei usare i minuti che ho a disposizione per svolgere una breve premessa relativa alle finalità per le quali abbiamo presentato e stiamo discutendo questa proposta di legge e sul metodo che abbiamo seguito per arrivare a questa ultima formulazione.
Questa è una proposta di legge che si rivolge ai lavoratori italiani al di sotto dei quarant'anni che risiedono all'estero da almeno ventiquattro mesi e che intendano fare rientro nel nostro Paese. È una proposta di legge che si inserisce all'interno di un dibattito che è stato molto acceso, soprattutto negli ultimi mesi, e che ha riguardato la preoccupazione relativa ad una tendenza all'impoverimento del nostro Paese a causa della perdita di un forte capitale umano altamente specializzato e soprattutto legato alle persone più giovani.
Con questa proposta di legge quindi cerchiamo di intervenire dando una risposta proprio a questa preoccupazione di impoverimento che viene non solamente alimentata dal dibattito che c'è stato sui media nel corso degli ultimi mesi, ma risulta evidente da tutti i dati di cui disponiamo. Riferisco alcuni dati di Eurostat: è impiegata attualmente all'estero una percentuale del 2,3 per cento di laureati italiani contro quanto avviene per gli altri Paesi dell'Unione europea con i quali comunemente ci confrontiamo, cioè lo 0,6 per cento della Germania, l'1,1 per cento della Francia, lo 0,9 per cento del Regno Unito e lo 0,8 per cento della Spagna. Questo si aggiunge al fatto che i laureati stranieri che vivono nel nostro Paese rappresentano solo lo 0,3 per cento. Vi è quindi un divario di due punti percentuali a parità di professionalità e di titolo di studio.
In più si registra, dai dati di AlmaLaurea, che, a un anno dal conseguimento dalla laurea, lavorano all'estero il 2,2 per cento dei laureati e a cinque anni dal titolo la quota sale al 3 per cento con una probabilità di rientro molto bassa. A questo si aggiunge il fatto che il 40 per cento di questa popolazione ha un'età compresa tra i 18 e i 45 anni.
Questi dati - già di per sé molto allarmanti - rappresentano, peraltro, solo una percentuale del fenomeno. Sappiamo bene, infatti, che molti dei laureati nostri concittadini, andando all'estero soprattutto nell'imminenza del termine del loro percorso universitario o subito dopo averlo concluso, non si registrano all'AIRE. Pertanto, non abbiamo dati che ci diano una fotografia effettiva di questo fenomeno.
Questa constatazione di impoverimento di capitale umano va ad aggiungersi anche ad una constatazione di impoverimento strettamente economico per il nostro Paese. Infatti, se è vero - come i dati ci confermano - che allo Stato italiano costa Pag. 27101.282,00 euro portare un ragazzo al conseguimento del titolo di studio di laurea, ed avendo un saldo negativo, registrato tra il 1996 e il 2006, tra i laureati che sono usciti dal nostro Paese e quelli che sono rientrati, pari a 4.589 unità, allora il nostro Paese ha perso un totale di 464.783.098,00 euro. Si tratta di dati che, certamente, non possono non suscitare forti preoccupazioni.
Per tale motivo, la nostra proposta di legge interviene per cercare di dare una prima risposta a questo fenomeno. Sono sorte alcune obiezioni nel corso del dibattito, in generale di questo tema e, in modo particolare, nello specifico, nella discussione su questa proposta di legge. La più forte obiezione è stata quella relativa al fatto che la mobilità non deve essere contrastata, ma anzi incentivata, poiché rappresenta un arricchimento per il nostro Paese.
A tal riguardo vorrei subito precisare che il motivo per cui abbiamo lavorato a questa proposta di legge non è affatto legato alla volontà di ridurre la mobilità. Al contrario, siamo perfettamente consapevoli che la mobilità è anche un fattore di competitività e questa proposta di legge ha, tra le sue finalità, quella di tentare di aumentare complessivamente la competitività del nostro Paese.
Il fatto che la mobilità e la contaminazione siano elementi strettamente connessi con la competitività, ci è dimostrato da tanti fatti, ne cito uno per tutti: non ci sarebbero stati fenomeni quali la grande potenzialità economica che ha espresso la Silicon Valley negli ultimi anni, se non vi fosse stata tale contaminazione. Lo dimostrano anche tanti nostri concittadini che si sono trasferiti e si sono contaminati in un ambiente molto dinamico e internazionale, e che hanno ottenuto i successi che hanno ottenuto. Non ci sarebbero stati fenomeni come Google, se si pensa che uno dei due fondatori è un immigrato negli Stati Uniti di origine russa.
Tutto questo per dire che questa proposta di legge si inserisce in un più ampio sguardo, in un più ampio progetto volto ad incentivare la mobilità. Il fatto che il nostro intento è quello di valorizzare tale mobilità e, quindi, cercare di spingere sulla competitività del nostro Paese, non significa che con questa proposta di legge si penalizzano coloro che sono rimasti nel nostro Paese. Al contrario, pensiamo che investire su quanti hanno arricchito la propria professionalità, confrontandosi con diversi sistemi, imparando nuove modalità di lavoro e imparando anche, banalmente, una lingua differente, possa essere un elemento di arricchimento, complessivamente, per il nostro sistema Paese.
Per arrivare a questa ultima formulazione della proposta di legge, abbiamo seguito un metodo abbastanza caratteristico - su cui vorrei spendere due parole - che ci ha portato alla definizione della proposta di legge oggi al nostro esame.
Questa proposta di legge rientra in un progetto più ampio di una serie di provvedimenti concernenti il potenziamento dell'attrattività del nostro Paese. Questo progetto - chiamato «controesodo» - si compone di una serie di progetti di legge: esso nasce da una prima intuizione dell'onorevole Guglielmo Vaccaro ed è stato poi ampiamente sostenuto, all'inizio, da un ampio numero di giovani parlamentari, caratterizzati tutti dall'appartenere a quella che viene spesso definita «generazione Erasmus», ossia quella generazione che si è formata proprio all'interno di una mobilità di massa nel proprio percorso formativo.
Non è un caso che questa proposta di legge abbia, tra i suoi primi firmatari, due colleghi che fanno parte di questa cosiddetta generazione Erasmus: l'onorevole Letta e l'onorevole Saglia. In seguito, tale gruppo di parlamentari ha ampliato la propria capacità di consenso attorno a questo progetto, che è stato ampiamente e fortemente sostenuto anche da tutto «l'intergruppo sussidiarietà», presieduto dall'onorevole Maurizio Lupi. Questa proposta di legge, infatti, si presenta con un'ampia e abbondante sottoscrizione (da parte di una cinquantina di parlamentari dei diversi gruppi, sia della maggioranza che dell'opposizione) risultando, così, il frutto di una condivisione molto forte. In realtà, Pag. 28la condivisione è andata anche oltre i ristretti confini di questo palazzo; infatti, prima che fosse presentata questa proposta di legge c'è stata un'ampia discussione che ha visto coinvolta una serie di associazioni di giovani già residenti all'estero che hanno inviato via Internet - e poi attraverso contatti diretti - una serie di osservazioni e correzioni al testo di legge originario, tali da portarci ad una modifica della stessa proposta di legge in molte parti.
Il testo in discussione oggi rappresenta, quindi, un lavoro molto lungo, che ha coinvolto un grandissimo numero di soggetti e che è stato ridisegnato anche a seguito dell'esame nelle Commissioni competenti - in primis nella Commissione finanze - e nelle altre Commissioni che hanno espresso i loro pareri.
Il testo consta di otto articoli e ha mantenuto le caratteristiche che volevamo originariamente, anche se è stata modificata la natura degli incentivi. Molto brevemente, gli otto articoli delineano i soggetti potenziali beneficiari di questi incentivi e descrivono in modo dettagliato la natura degli incentivi stessi.
Per quanto riguarda i destinatari ci siamo concentrati sui soggetti che hanno un'età inferiore ai quarant'anni, che hanno risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia, che studiano, lavorano o che hanno conseguito una specializzazione post lauream all'estero e che decidono di fare rientro in Italia. La natura del beneficio, che originariamente si traduceva in un credito di imposta, si è tradotta, invece, nell'ultima versione, in una forma di incentivo tale per cui viene considerata una base imponibile ridotta che rappresenta il 30 per cento per i lavoratori uomini e il 20 per cento per le lavoratrici donne. Questo beneficio rientra nel regime del de minimis e non può, quindi, superare i 200 mila euro, così com'è stabilito dalla normativa comunitaria. È un incentivo che ricalca, in qualche modo, un provvedimento che è già norma vigente, in quanto inserito dal Ministro Tremonti nell'articolo 17 del decreto-legge n. 185 del 2008 e rivolto, semplicemente, ai ricercatori e ai professori universitari. In questa proposta di legge noi utilizziamo la stessa natura degli incentivi, ma ampliamo la platea, ed estendiamo questo incentivo a quanti, laureati, esercitano professioni differenti rispetto a quelle del ricercatore o del professore universitario. Ciò perché riteniamo che anche questi profili rappresentino un capitale umano importante e di arricchimento per il nostro Paese.
Il resto degli articoli della proposta di legge riguarda in modo più dettagliato alcune modalità di riscossione di questi incentivi.
Ritengo che sia importante - e in questo senso abbiamo lavorato tutti nelle Commissioni - che in questo momento vi sia da parte del Parlamento una discussione e poi un voto positivo su questa proposta di legge che sia - ci auguriamo - più ampio possibile, in quanto sarebbe un segnale davvero importante nel momento di difficoltà economica e anche istituzionale che stiamo vivendo. Credo che sia importante che il Parlamento lanci un messaggio, attraverso questo provvedimento, che si rivolga ai giovani che vivono all'estero, che sono e che rappresentano il nostro capitale umano migliore e che quindi possano cogliere questo messaggio come un incentivo ad occuparsi del nostro Paese e a ritornare nel nostro Paese per darci sostegno, proprio perché essi rappresentano il nostro migliore capitale dal cui investimento, anche in momenti di difficoltà, il nostro Paese potrebbe trarre forza vitale (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LAURA RAVETTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, Pag. 29ringrazio anche l'onorevole De Micheli che mi ha concesso di anticipare l'intervento.
Sempre più spesso apprendiamo dai media dei brillanti successi ottenuti dai nostri connazionali presso prestigiose università e centri di ricerca di altri Paesi e con altrettanta frequenza assistiamo a dibattiti sul rientro del capitale umano formatosi in Italia e dotato di elevata qualificazione. Tuttavia, per il momento i provvedimenti del Governo si sono concentrati sul rientro di un altro tipo di capitali dall'estero. Il tema è, però, di elevata rilevanza, perché va a incidere sulle possibilità e potenzialità di crescita e sviluppo del nostro Paese. L'Italia, infatti, negli ultimi anni ha registrato un crescente esodo di giovani e dietro ogni cervello ovviamente emigra sempre una persona con la sua storia, i suoi studi, i suoi problemi e la sua cultura. Come dicevo, si tratta di giovani preparati e qualificati che vanno in altri Paesi europei, negli Stati Uniti e non solo perché assistiamo continuamente all'esodo - dai piloti agli esperti informatici - non solo verso altri Paesi europei o verso Paesi occidentali, come l'America, ma anche e sempre più spesso in Paesi dell'Estremo e del Medio Oriente.
Pertanto, assistiamo al paradosso di essere divenuti il principale esportatore di capitale umano all'estero a fronte di un import, invece, sempre più crescente di personale straniero a bassa - troppo bassa - qualificazione professionale. Una tale situazione, ovviamente, rischia di mettere alle corde, già nel breve periodo, la competitività del nostro sistema produttivo. Se poi andiamo ad analizzare il trend descritto con riferimento alla sua distribuzione sul territorio noteremo che esso è più marcato nelle regioni meridionali, forse per l'assenza ormai cronica di opportunità.
In questo caso il discorso investe più fattori, a cominciare da un tessuto produttivo ancora non definito e contraddistinto da imprese piccole, spesso a conduzione familiare, operanti in settori poco innovativi che non riesce ad assorbire il flusso di laureati per i quali l'alternativa alla disoccupazione è tentare l'esperienza all'estero. Non è un caso - e dovrebbe costituire un campanello d'allarme - che dopo una lunga crescita il tasso di iscrizione alle università del sud - troppe università, che ormai crescono in ogni provincia d'Italia - abbia registrato negli ultimi anni un calo comunque evidente. Inoltre, il fatto che vi sia un certo scoramento tra i giovani a investire nell'istruzione superiore, dove non sempre viene garantito un tasso di qualità sufficiente ad essere inseriti nel mondo del lavoro, dovrebbe impegnare le istituzioni a interrompere questo circolo vizioso sicuramente negativo.
Il provvedimento al nostro esame è uno dei pochi - come ricordava prima la relatrice - di iniziativa parlamentare, uno dei pochi che vede come primo firmatario un esponente autorevole dell'opposizione. Inoltre, è uno dei pochi provvedimenti bipartisan o almeno per cui si annuncia un consenso bipartisan. Tuttavia, per fare questo si è pagato forse qualche prezzo nella mediazione e questo lo ha ricordato, in qualche modo, anche la relatrice.
Esso cerca di fornire delle risposte a quesiti e problemi fondamentali per lo sviluppo socio-economico del nostro Paese, incontrando facilmente il favore sia della maggioranza che dell'opposizione, e di tutti gli schieramenti politici.
Tuttavia, il testo è stato completamente riscritto nel corso del suo iter in Commissione, lasciando sul campo più di qualche dubbio circa la sua reale portata. Alcune criticità erano infatti già presenti nel testo originario, laddove si rivolgeva ai lavoratori in generale, legati tra loro solo dal criterio anagrafico e dal fatto di essere stati residenti in Italia per almeno 24 mesi, indirizzandosi così a soggetti fortemente eterogenei e con problematiche sicuramente differenti.
La proposta non distingueva poi tra tipologie di lavoratori, lasciando insoluto il problema del rientro dei cervelli per il quale esiste già, peraltro, una disposizione apposita contenuta nel decreto-legge n. 185 del 2008, che rappresenta uno dei primi provvedimenti di questo Governo.
Oggi discutiamo di un testo che ha subito una trasformazione tale che anche i proponenti probabilmente fanno fatica a Pag. 30ritrovarvi lo spirito della loro proposta originaria. Segnalerei, per prima cosa, il parere contrario della Commissione esteri che ha sottolineato l'estrema difficoltà di procedere alla verifica delle caratteristiche dei soggetti beneficiari, così come definiti dall'articolo 2, l'indeterminatezza dell'aggravio procedurale che deriverebbe alla rete consolare del Ministero degli affari esteri, ai sensi dell'articolo 4, e l'onerosità della previsione in capo al Governo di promuovere la stipula di accordi bilaterali in materia previdenziale, di cui all'articolo 6.
Tuttavia, è a partire dal parere della Commissione bilancio che sono derivate le maggiori modifiche al testo originario della proposta di legge, le cui condizioni hanno mutato soprattutto la natura dei benefici previsti passando dalla concessione di incentivi fiscali sotto forma di crediti di imposta, in favore sia di coloro che decidono di rientrare in Italia sia dei datori di lavoro italiani che intendono assumerli, alla concessione di incentivi fiscali sotto forma di minore imponibilità del reddito in favore dei soggetti individuati dall'articolo 2, eliminando la possibilità, prevista appunto dalla proposta, di estendere tali benefici fiscali ai familiari.
La forte eterogeneità dei soggetti interessati è stata quindi limitata con l'introduzione del requisito del possesso del titolo di laurea o del conseguimento di un titolo a seguito di un corso di specializzazione post laurea nel periodo trascorso all'estero, per poter accedere appunto ai benefici previsti dalle modifiche che - come detto - hanno trasformato il credito di imposta in una riduzione della base imponibile dei redditi percepiti.
Quindi, ci sono stati sicuramente dei miglioramenti nel percorso che questo provvedimento ha avuto in Commissione. Inoltre, nel corso di questo dibattito abbiamo avuto modo di sottolineare come, oltre ad incentivare il rientro, bisognasse creare le condizioni migliori affinché il ritorno non fosse temporalmente limitato, prevedendo, per esempio, la possibilità di facilitazioni per l'accesso ad una abitazione. Ciò è stato in parte ottenuto grazie all'emendamento del collega Occhiuto che prevede la possibilità per le regioni, nell'ambito della loro disponibilità, di riservare ai soggetti di cui all'articolo 2 una quota degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati alle assegnazioni in godimento o alla locazione per uso abitativo per un periodo non inferiore a 24 mesi. Allo stesso modo, è stato assorbito l'emendamento che introduceva una sorta di vincolo quinquennale prefruizione, onde evitare nuovamente il trasferimento all'estero del soggetto una volta fruito del beneficio fiscale statale.
Onorevoli colleghi, mi sono però dilettato anche a leggere alcuni forum aperti sull'argomento su Internet, che hanno visto anche una discreta partecipazione di ricercatori e lavoratori che si sono trasferiti all'estero. Scorrendo le risposte, ho rilevato che circa l'80 per cento degli intervistati ha formulato un «no, grazie», per cui non si capisce bene chi e quanti usufruiranno delle agevolazioni. Ma quello che mi ha colpito è stata la rabbia di alcuni di loro che, pur rivendicando l'amore verso il loro e il nostro Paese, hanno espresso disappunto rimarcando le gravi inefficienze nel nostro sistema che riassumerò adesso: scarsità di fondi per la ricerca (è in corso, tra l'altro, proprio in questi giorni, una protesta dei ricercatori nei principali atenei e segnaliamo che si è ancora in attesa del nuovo piano nazionale della ricerca scaduto ormai da anni); un sistema universitario e della ricerca dominato ancora dalle baronie e scarsamente meritocratico. Altri dubbi riguardano la mancanza di presupposti complessivi per un rientro che vada al di là dell'aspetto fiscale, ma che investa la qualità della vita, l'ambiente di lavoro, i sistemi di carriera, i bassi livelli di retribuzione.
Segnalo poi la caustica risposta di un giovane, secondo cui tali soggetti non fuggono all'estero per pagare meno tasse, ma vanno all'estero perché in Italia non avrebbero redditi sui quali pagare le tasse.
Potrei citare molti altri gravi esempi, ma mi fermo per non apparire troppo disfattista: non lo sono, non lo è il mio partito, non lo è il mio gruppo parlamentare, e sicuramente Pag. 31avremo un atteggiamento positivo e costruttivo anche su questo provvedimento.
Gli incentivi fiscali sono un aspetto importante, specie nel nostro sistema di tassazione, tuttavia per affrontare il problema è necessario un approccio di sistema.
L'Aspen Institute ha invitato alcuni giorni fa un gruppo di italiani, che hanno ottenuto successi e fama all'estero, per discutere di opportunità e di sviluppo. Dai loro contributi è emerso che, oltre ai benefici fiscali, è necessario aumentare i finanziamenti per l'innovazione e la ricerca, attuare riforme «sburocratizzanti» e attrarre talenti indipendentemente dalla loro nazionalità; e che è necessario affiancare a tali interventi strumenti dedicati al miglioramento, ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture, per consentire alle imprese di crescere in maniera tale da consentire loro di investire sulle migliori professionalità.
Al di là dei contenuti e delle criticità che ho voluto sottolineare, forse anche troppo, il provvedimento assume comunque un valore simbolico, nella speranza che possa dare, per il bene del sistema Paese, una scossa per risolvere una questione fino ad oggi troppo a lungo sottovalutata e sottostimata.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Micheli. Ne ha facoltà.

PAOLA DE MICHELI. Signor Presidente, sottosegretario, onorevole relatrice, riteniamo molto positivo, come gruppo del Partito Democratico, avere l'opportunità finalmente di discutere un testo che sicuramente, nella sua filosofia e anche nella sua prima formulazione, è risultato essere alquanto condiviso dalle forze politiche rappresentate in Parlamento. La stesura iniziale ha visto firmatari appartenenti a più gruppi parlamentari, e ciò ha sicuramente dato un impulso importante anche alla discussione che si è successivamente svolta nelle Commissioni, sia quella di merito che le Commissioni che hanno espresso i prescritti pareri. Speriamo, e ci auguriamo che, alla fine della discussione parlamentare e del suo iter in Aula, questa tipologia di condivisione, anche sull'ultimo testo che è uscito dalla Commissione, possa avere lo stesso livello di accordo.
La premessa ispiratrice, a cui ha già fatto cenno l'onorevole Mosca, è sicuramente quella di dare risposta ad una domanda che rimane sottesa a molte delle attività e delle realtà che si sviluppano in questo Paese: quali opportunità vi sono per i giovani, soprattutto per i giovani che hanno voglia di fare e di realizzarsi? La risposta allo stato attuale è dura, cruda: le opportunità sono molto poche, sia sotto il profilo delle condizioni generali di accoglienza dei giovani che sono desiderosi di affermarsi e di realizzare i propri sogni, ma anche sotto il profilo proprio realistico, concreto, con difficoltà di accesso al mercato del lavoro, un carico fiscale sul lavoro medesimo e modalità di rapporti di lavoro che spesso si caratterizzano per l'incertezza. Tutte queste condizioni generali di fatto allontanano i nostri giovani dall'Italia.
Registriamo la prevalenza di prospettive di carriera spesso «blindate», di fatto, da una filosofia di fondo, che attraversa purtroppo un po' tutto il Paese: la convinzione culturale diffusa che in fondo i giovani non sono in grado di spiegare le vele della responsabilità, perché in un qualche modo in questo Paese sono un pochettino diversi dai loro colleghi europei.
La proposta di legge in esame si inserisce invece nel tentativo di smentire i numeri che prima sono state illustrati dall'onorevole relatrice. Si tratta certamente di numeri straordinariamente significativi, perché se i giovani si affermano all'estero significa che, sotto il profilo della capacità di assumersi delle responsabilità lavorative, non sono sicuramente carenti: tali capacità esistono, e possono essere sviluppate anche nel nostro Paese.
Il testo originario, dicevo, era certamente più ampio, sia nella platea dei beneficiari che nella modalità degli incentivi fiscali: diciamo che da questa parte politica si propende sempre per il modello del credito d'imposta. Ma anche il testo che è uscito dal lungo, approfondito dibattito della Commissione sicuramente garantisce una svolta rispetto alla filosofia di approccio alla questione Pag. 32giovanile. Il testo infatti è riferito soprattutto ai laureati, under 40, che lavorano all'estero da almeno due anni al momento dell'entrata in vigore di questa norma, e consente loro di beneficiare di un incentivo che di fatto interviene a migliorare una delle condizioni negative più evidenti che vi sono oggi per l'accesso al lavoro dei giovani, e cioè la questione fiscale. Il beneficio, che scade il 31 dicembre 2013, viene di fatto garantito sia ai lavoratori dipendenti, sia a coloro che, nel Paese nel quale hanno sviluppato gli ultimi anni di lavoro, sono stati imprenditori; ma anche a coloro che rientrando vogliono rimanere, od essere, o diventare imprenditori.
Si garantiscono quindi le due fattispecie più importanti, forse quelle di cui abbiamo più bisogno nel nostro Paese: il lavoro dipendente altamente qualificato e il lavoro d'impresa. La tipologia di beneficio fiscale riguarda una detassazione parziale per il lavoratore, il 70 per cento per il lavoratore uomo e l'80 per cento per le lavoratrici; la stessa tipologia di beneficio riguarda anche coloro che si immettono nell'attività di impresa, con un tetto pari a 200 mila euro. Questo modello di beneficio è già stato sperimentato, in realtà abbiamo la necessità di fare ulteriormente delle verifiche e penso e spero che la Commissione finanze, la Commissione di merito che ha lavorato su questo testo, potrà farlo nei prossimi mesi perché è un modello di beneficio fiscale già sperimentato nel decreto-legge n. 185 del 2008, uno di quelli sulla crisi, ed applicato esclusivamente ai ricercatori universitari.
Oltre alle norme che agevolano procedure legate agli aspetti burocratici per il rientro da Paesi stranieri, all'articolo 5 si prevede una cosa molto significativa, la facoltà per le regioni di attivare un primo ulteriore beneficio rispetto a un piano abitativo, con la possibilità di riservare eventualmente una quota di alloggi di edilizia residenziale pubblica a lavoratori e imprenditori che sono beneficiari di questa legge. Perché è importante questo aspetto? Perché di fatto si introduce un ulteriore tassello di ragionamento rispetto alle condizioni negative per le quali spesso i giovani si allontanano dal nostro Paese, come quella dell'abitazione rispetto alla quale c'è una forte pressione soprattutto nelle grandi città e nelle città capoluogo di regione.
L'importanza di questa proposta di legge, come dicevo prima, sta nel cambio di filosofia normativa che si vuole realizzare soprattutto in quest'Aula in un momento di aspro confronto su altre tematiche di natura economica. Si vogliono costruire nuove condizioni affinché giovani talentuosi, volenterosi e soprattutto disponibili al sacrificio (questo concetto di sacrificio è un'idea che forse troppo frettolosamente anche la politica ha accantonato e che invece, soprattutto per chi fa tanta fatica a trovare lavoro nei Paesi stranieri e nel nostro, andrebbe rivalutato) possano rientrare in Italia per sprigionare le loro qualità personali a servizio del nostro Paese che ha già dato un contributo nel momento in cui ha garantito, non sempre e non in tutti i luoghi, ma almeno ha tentato di garantire, l'arrivo alla laurea. Più in là si vogliono affrontare seriamente i problemi di fondo che caratterizzano la questione.
Questo potrebbe essere l'inizio di un ragionamento dentro il Parlamento, che oggi dimostra, spero in termini molto chiari, anche il fatto di non essere così inutile, come volte invece il dibattito pubblico sostiene; potrebbe essere un primo segnale per cambiare le condizioni socio-economiche generali che di fatto determinano una vera e propria fuga di cervelli e una fuga di talenti. Questo Paese ha bisogno oggi più che mai di investire sul futuro; le parole chiave che sono state usate tante volte in quest'Aula da parte di tutti i gruppi parlamentari sono scuola, università, formazione professionale, ricerca e innovazione. Parole che dovrebbero diventare fatti per far tornare l'Italia un po' più competitiva, all'altezza della sua storia imprenditoriale e della sua storia intellettuale.
Pertanto, auspichiamo anche in sede di discussione sulle linee generali un esito positivo, largamente condiviso anche nelle votazioni dell'Assemblea, così come è successo nelle Commissioni, smontando un'obiezione, sicuramente ragionevole, quella che segnala questa proposta di legge come «ancora un po' poco». Sì, ma è anche Pag. 33vero che per affrontare questa vicenda noi abbiamo l'obbligo di cominciare e questo è l'inizio di un percorso, un segno tangibile di una visione che faticosamente condividiamo e che tutti sappiamo essere l'unica visione vincente: quella di dare un po' di speranza all'idea di futuro che abbiamo in mente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Del Tenno. Ne ha facoltà.

MAURIZIO DEL TENNO. Signor Presidente, come prima di me ha detto la relatrice, si tratta di una proposta di legge bipartisan, quindi mi dovrò ripetere ma credo che valga la pena sottolineare qualche passaggio.
Prima di tutto, però, vorrei evidenziare il proficuo lavoro che è stato svolto dalla Commissione, dalla relatrice e dai colleghi, sia di maggioranza che di opposizione, in un confronto costruttivo che ha consentito di formare l'attuale testo sul quale oggi iniziamo la discussione in Assemblea.
La proposta di legge all'esame ha l'ambizioso obiettivo di porre un freno al fenomeno dell'emigrazione dei cervelli italiani che si sta trasformando in un vero e proprio esodo, creando anche un enorme danno per la nostra economia. In merito a tale fenomeno permettetemi di ripetere alcuni dati che in parte sono stati già forniti dalla relatrice. La percentuale dei laureati che lascia il Paese è quadruplicata nell'ultimo decennio, tale tendenza è comune ai laureati che provengono dal nord e ai laureati che provengono dal sud d'Italia. In termini assoluti, tuttavia, è il nord ad avere la maggiore emorragia di laureati: infatti, il 7 per cento dei laureati del nord ha lasciato il Paese, contro solo il 2 per cento dei laureati del sud. Le destinazioni di questi laureati sono per lo più la Francia, la Germania e il Regno Unito per quel che riguarda l'Europa, ma ci sono anche gli Stati Uniti d'America. Tale esodo, purtroppo, non è bilanciato dal flusso dei laureati di altri Paesi che si sono trasferiti in Italia.
Confrontando la percentuale di laureati italiani che lavorano all'estero con la percentuale di laureati stranieri che lavorano in Italia, l'anomalia del caso italiano è ancora più evidente. Utilizzando i dati e facendo riferimento alle nazioni che ho citato prima, risulta che i laureati del nostro Paese residenti all'estero sono il 2,3 per cento contro la media di questi quattro Paesi che è dello 0,85 e che la sola Francia ha una percentuale dell'1,10, quindi un tasso addirittura inferiore del 50 per cento rispetto all'Italia. Tutt'altro, invece, accade con riferimento ai laureati stranieri del nostro Paese che rappresentano lo 0,30 per cento, mentre la media è dell'1,25.
Analizzando questi dati, quindi, l'anomalia italiana è evidente, ma essa si fa ancora più grave se consideriamo i dati dei nostri connazionali laureati dai venticinque ai trentaquattro anni. Infatti, solo 19 su 100, quindi solo il 19 per cento è la media dei laureati italiani contro la media europea del 30 per cento e se consideriamo che Francia, Svezia e Regno Unito sono al 40 per cento ciò rende ancora più allarmante la valutazione sulla percentuale che riguarda i nostri laureati.
Se vogliamo superare la fase di crisi che stiamo vivendo è necessario fare leva sull'innovazione e sulla crescita della competitività dello Stato puntando sull'intelligenza e sui giovani per restituire all'Italia i suoi talenti. La presente proposta di legge considera talenti non solo i cittadini italiani, ma qualunque cittadino comunitario abbia vissuto per almeno 24 mesi continuativi nel nostro Paese. Chi, pur non essendo italiano, è stato in Italia per un periodo di tempo così consistente e successivamente ha deciso di andare via è comunque una risorsa persa. Anche a questi soggetti, purché cittadini comunitari, sono attribuiti i benefici previsti dalla presente proposta di legge, purché oltre ad aver vissuto in Italia per 24 mesi continuativi, abbiano successivamente risieduto fuori dal rispettivo Paese di origine per almeno altri 24 mesi.
Con la presente proposta di legge, proponiamo una politica che consenta all'Italia di trasformarsi recuperando nel tempo gran parte dei talenti perduti. Per realizzare questa opportunità proponiamo di offrire loro incentivi fiscali e, ove possibile, Pag. 34edilizia residenziale agevolata: entrambe le previsioni rendono interessante e concreta la scelta di ritornare nel nostro Paese.
Entrando maggiormente nel dettaglio di alcune valutazioni, sottolineo che la proposta di legge in esame, a seguito delle condizioni poste dalla Commissione bilancio, ha subito importanti modifiche. In particolare, per quanto concerne la tipologia di incentivo fiscale prevista, è stato introdotto in luogo del credito di imposta un regime di parziale detassazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi. Inoltre, in merito all'ambito soggettivo, l'incentivo è stato confermato per i lavoratori, siano essi lavoratori dipendenti o soggetti che avviano attività d'impresa o di lavoro autonomo, mentre è stato soppresso il beneficio inizialmente previsto anche in favore dei datori di lavoro che assumono i suddetti lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Al fine di rendere operativa la seguente disciplina sono state introdotte agevolazioni fiscali in favore dei lavoratori che rientrano in Italia per svolgere attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e d'impresa. Il beneficio spetta fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013.
Il provvedimento in esame introduce anche alcune semplificazioni di natura procedurale e burocratica. Il diritto alla concessione dei benefici fiscali spetta ai cittadini dell'Unione europea dalla nascita, nati successivamente al 1o gennaio 1969, quindi con al massimo quarant'anni di età, in uno degli Stati membri dell'Unione europea, sebbene residenti nei loro Paesi d'origine, sempre che si verifichi una delle seguenti condizioni: che siano in possesso di un titolo di laurea ed abbiano risieduto in via continuativa, come dicevo prima, per almeno ventiquattro mesi in Italia e abbiano continuativamente avuto negli ultimi ventiquattro mesi un contratto di lavoro dipendente in un Paese diverso sia da quello di origine sia dall'Italia; che abbiano risieduto in via continuativa per almeno ventiquattro mesi in Italia ed abbiano svolto continuativamente negli ultimi ventiquattro mesi un'attività di studio in un Paese diverso sia da quello di origine sia dall'Italia, acquisendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
In ogni caso, il beneficio spetta a condizione che i suddetti lavoratori vengano assunti o decidano di esercitare un'attività di impresa o di lavoro autonomo in Italia e trasferiscano il proprio domicilio, confermando la residenza in Italia, entro tre mesi dall'assunzione o dall'avvio dell'attività. Sarà compito poi del Ministero dell'economia e delle finanze individuare le categorie e i soggetti beneficiari degli incentivi, senza che ciò causi nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il beneficio consiste nella detassazione parziale del reddito imponibile in favore dei lavoratori in possesso dei requisiti di cui sopra. La base imponibile per la determinazione delle imposte sui redditi, con riferimento ai redditi da lavoro dipendente, di impresa e di lavoro autonomo, è ridotta al 20 o al 30 per cento. In particolare, la detassazione è fissata in una misura pari al 70 per cento ed è elevata all'80 per cento con riferimento alle lavoratrici impiegate nel territorio nazionale. Quindi, il provvedimento, oltre ad essere volto a favorire il rientro dei cervelli, sostiene l'accesso al mondo del lavoro dei giovani e incentiva il lavoro femminile. Il beneficio è riconosciuto anche nel rispetto dei limiti stabiliti dalla normativa europea in materia di aiuti d'importanza minore (de minimis), pertanto non è soggetto all'obbligo di notifica dell'autorizzazione comunitaria.
Sono esclusi dall'ambito di applicazione del beneficio i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni e delle imprese italiane che svolgono attività all'estero in forza del suddetto rapporto di lavoro dipendente. Spetta poi al datore di lavoro il compito di operare le ritenute fiscali sulla base della disciplina in commento.
La definizione delle modalità operative verrà poi stabilita con conseguente provvedimento dell'Agenzia delle entrate. Le pratiche burocratiche necessarie per dare esecuzione all'operazione di rientro dei cervelli saranno curate dagli uffici consolari italiani all'estero, anche d'intesa con la società Italia lavoro Spa. Ai rientranti in Italia Pag. 35si garantisce, in quanto applicabile, l'attestazione delle competenze professionali dei titoli di studio eventualmente acquisiti all'estero, mediante rilascio dell'Europass.
Nel termine di due mesi successivi all'entrata in vigore della presente legge il Ministro degli affari esteri, di concerto con i Ministeri competenti, definisce con proprio decreto le funzioni e i ruoli relativi all'attuazione di quanto sopra detto, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il presente provvedimento prevede non solo la concessione di benefici fiscali, ma anche la possibilità per le regioni nell'ambito delle loro disponibilità, come dicevo prima, di riservare una quota degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati all'assegnazione in godimento o alla locazione per uso abitativo per un periodo non inferiore a ventiquattro mesi in favore di questi lavoratori.
In materia previdenziale, si prevede l'obbligo per il Governo di promuovere la stipulazione con gli Stati esteri di provenienza dei lavoratori comunitari di appositi accordi bilaterali, finalizzati a riconoscere la totalizzazione - per ottenere un'unica pensione - dei contributi versati. Attualmente, la disciplina concernente la totalizzazione dei periodi assicurativi e previdenziali lavorati in Paesi fuori dall'Unione europea è rimessa a specifici accordi bilaterali. I soggetti beneficiari degli incentivi decadono dal diritto a fruire degli stessi qualora, entro cinque anni dalla prima fruizione del beneficio, trasferiscano la residenza o il domicilio fuori dall'Italia. La decadenza dal beneficio opera anche rispetto ai periodi già maturati e pertanto comporta il recupero delle agevolazioni.
In merito a questo e ad altri piccoli passaggi l'Assemblea ci permetterà, con degli emendamenti, di apportare alcune piccole variazioni, non tanto nel merito, ma soprattutto per evitare libere interpretazioni.
Signor Presidente, in conclusione, avremmo certamente voluto fare di più, ma la congiuntura economica e la crisi che stiamo vivendo non ce l'ha permesso. Non è senz'altro una risposta risolutiva, ma questa proposta di legge, insieme a quella già approvata, la legge n. 2 del 2009, senz'altro costituiscono un piccolo grande passo per incentivare e soprattutto per sostenere, lo sviluppo e l'evoluzione del sistema Italia (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, la cosiddetta fuga dei cervelli rappresenta uno dei grandi problemi del sistema di ricerca italiano. Non è un fenomeno nuovo, ma antico, che origina nei primi anni del dopoguerra quando il nostro Paese, uscito distrutto dal conflitto mondiale, non era in grado di investire in ricerca e sviluppo.
Oggi siamo costretti a constatare che la situazione non è ancora cambiata. Il crescente interesse sul fenomeno della fuga dei cervelli, testimoniato da studi, convegni e articoli della stampa quotidiana, ha posto in primo piano la problematica inerente il sistema della ricerca in Italia ed in particolare le difficoltà del Paese a trattenere e ad attrarre capitale intellettuale.
Non voglio assolutamente polemizzare - perché mi sembra che questa proposta di legge abbia trovato consenso in tutti i gruppi parlamentari - ma soltanto riferirmi al fatto che le percentuali del 2 per cento di laureati che proviene dal sud e va verso l'estero e quella del 7 per cento che proviene dal nord e va verso l'estero sono inficiate dal fatto che il 90 per cento dell'emigrazione dei laureati meridionali va verso il nord e solo il 10 per cento va verso l'estero. Quindi, è evidente che di quel 7 per cento che va all'estero dal nord Italia molti o quasi tutti sono meridionali. Non è un bel primato, tuttavia è un fatto positivo e negativo allo stesso tempo. È positivo perché si tratta certamente di laureati brillanti, che hanno vinto un concorso, una borsa di studio, che si sono formati attraverso anni di lavoro, di studio e di ricerca e ritengono di dover andare in centri di ricerca o di insegnamento che corrispondono alle loro aspettative. Certo ci aspetteremmo un maggiore flusso verso l'Italia da parte di giovani dell'estero ma - come abbiamo visto - le percentuali sono abbastanza basse.
I motivi di questa «fuga di cervelli» verso il nord e verso l'estero - come in più Pag. 36occasioni abbiamo avuto modo di enunciare - sono da ricercare nella presenza al sud di un tessuto produttivo ancora incompleto, caratterizzato dalla presenza di imprese di minori dimensioni e specializzate in settori tradizionali, fattori che non avrebbero permesso di dare occupazione al crescente flusso di personale altamente qualificato.
Ben vengano allora interventi legislativi come questo, volti a favorire il rientro dei cervelli che tuttavia non si limitino, in via principale, a strumenti di incentivazione fiscale rivolti a singoli individui, ma piuttosto provvedano a ricollocare questi ultimi all'interno di una strategia di intervento mirato all'adeguamento strutturale e alla modernizzazione dei territori meridionali, per rendere il nostro territorio attraente non solo per i talenti italiani e stranieri, ma anche per investimenti e capitali, unitamente a politiche credibili che riescano a favorire un incremento dell'occupazione nel Mezzogiorno.
Ma la fuga dei cervelli dall'Italia non è un fenomeno che si manifesta unicamente nel mondo della ricerca. Molti giovani laureandi o laureati, interessati ad utilizzare e sviluppare le proprie capacità, lasciano l'Italia perché qui non riescono a trovare posizioni adatte alle loro capacità.
I ricercatori italiani si recano all'estero per sfuggire ai mali propri dell'università italiana, quali la scarsità di fondi per la ricerca, ovvero quei nepotismi e clientelismi che rendono le procedure di reclutamento e di carriera poco trasparenti.
In queste condizioni i giovani più capaci non trovano lo spazio che uno Stato moderno dovrebbe offrire loro, e prima o poi si trovano a decidere se rimanere e sopravvivere nel migliore dei modi oppure cambiare Paese. Ciò si conferma come il sintomo più grave ed evidente del male che affligge il sistema della ricerca nel nostro Paese.
Tuttavia, per sistema della ricerca non va intesa solo la ricerca scientifica, bensì più in generale l'intera capacità d'innovazione di un Paese.
La fuga dei cervelli è anche la preoccupante misura di quanto un Paese stia smarrendo sia la visione del proprio futuro sia la capacità stessa di pensarlo e di progettarlo, fenomeno tanto più preoccupante poiché è suscettibile di rallentare il progresso tecnologico e ovviamente - man mano che la fuga aumenta e si aggrava - di trasformare il sintomo di una malattia in una malattia vera e propria.
Ecco perché oggi in quest'Aula con l'approvazione di questo provvedimento ci accingiamo a contribuire e a scongiurare che l'Italia diventi un Paese sempre più avviato verso il declino.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Barbato, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2079-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Mosca.

ALESSIA MARIA MOSCA, Relatore. Signor Presidente, intendo ringraziare tutti i colleghi che sono intervenuti in questo dibattito e che hanno portato le loro osservazioni alla proposta di legge.
Intendo soprattutto soffermarmi su alcune osservazioni che sono state mosse dall'onorevole Rao, e replicare ad alcune di esse. Mi riferisco, in modo particolare, all'osservazione concernente il fatto che molti dei possibili beneficiari di questo provvedimento, nel corso di questi mesi di discussione soprattutto sui forum su Internet, si sono espressi in modo non del tutto favorevole rispetto a questa nostra proposta.
Sottolineo il fatto che noi non ci siamo sottratti a questo confronto; anzi, proprio nell'illustrazione del provvedimento ho espressamente dichiarato che molte delle osservazioni che ci sono pervenute dai Pag. 37forum e dai soggetti che abbiamo ascoltato sono state recepite nel nostro testo.
Siamo ben consapevoli che la più grossa critica rispetto alla proposta di legge in discussione è che questi incentivi non siano sufficienti rispetto all'ampia situazione di coloro che sono stati costretti a trasferirsi all'estero per trovare soddisfazione rispetto alle proprie competenze e che non trovano in questi benefici una sufficiente motivazione per ritornare nel nostro Paese.
È una consapevolezza che ci è molto chiara. Tuttavia, detto questo, riteniamo che sia importante il fatto che oggi discutiamo questo provvedimento, perché la nostra proposta non ha la pretesa di riuscire a stravolgere un sistema (che è quanto viene chiesto in molti degli interventi di commento al provvedimento in esame).
Sappiamo benissimo quali sono i limiti per i quali i migliori giovani del nostro Paese si sono dovuti trasferire all'estero per avere la possibilità di lavorare e per avere degli stipendi adeguati rispetto alle loro competenze.
Riteniamo, però, che questo stesso dibattere oggi su questo tema sia di per sé importante, intanto perché il Parlamento «tematizza» questa discussione, e perché la politica pone un'attenzione particolare rispetto ad un mondo che abbiamo visto dai numeri essere amplissimo e che non ha avuto proprio quell'attenzione e quell'ascolto di cui ha invece bisogno, affinché tali soggetti possano rimanere legati al nostro Paese e nel futuro possano continuare a portare positività e benessere, incrementando la capacità di competitività del Paese medesimo.
Siamo consapevoli, quindi, che questa proposta di legge non rappresenta uno stravolgimento del sistema, ma ne siamo convinti ed orgogliosi, perché comunque rappresenta un primo passo di una attenzione e di un messaggio che lanciamo ai nostri giovani. È un primo messaggio, che speriamo possa essere accolto da questo Parlamento e dai beneficiari, rispetto al quale auspichiamo possano seguire, passo dopo passo (date anche le condizioni nelle quali ci troviamo a vivere in questo momento), altre azioni di miglioramento.
Speriamo che il provvedimento in esame possa davvero rappresentare una piccola rivoluzione a cui seguano dei passi molto più ampi ed incisivi rispetto a quanto previsto in questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

STEFANO SAGLIA, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, desidero solo sottolineare l'attenzione con la quale il Governo segue questa proposta di iniziativa parlamentare.
Confermate, in questo periodo, le necessità di equilibrio di bilancio, il giudizio del Governo è estremamente positivo, laddove il provvedimento si pone la necessità di far diventare il nostro Paese non più terra dalla quale si deve in qualche modo fuggire, ma terra di accoglienza, capace di raccogliere linfa vitale per la sua economia.
Chi ha un talento, un'idea, un'opportunità, chi ha svolto degli studi, deve trovare nel nostro Paese la possibilità di esercitare la sua professione. Si dovrà, soprattutto, cercare di attrarre giovani e talenti dall'estero per la realizzazione di iniziative che spesso non sono solo passive, ma anche attive (l'obiettivo della proposta di legge è quello di dare modo a queste persone di creare ulteriore occupazione e occasioni di lavoro).
Non sarà una legge risolutiva, come diceva la relatrice, ma è un primo passo. Non risolverà tutti i problemi strutturali del nostro Paese e le ragioni profonde per le quali accadono questi fenomeni, ma è certamente un segnale in questa direzione che può garantire un'opportunità forte a coloro che non hanno trovato sbocco in Italia, ma che, probabilmente, desiderano rientrare e che, quindi, meritano di poterlo fare.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Discussione della proposta di legge Meta ed altri: Concessione di un contributo per la realizzazione di un programma per il rinnovo del materiale rotabile della società Ferrovie dello Stato Spa e altre disposizioni in materia di trasporto ferroviario (A.C. 2128-A) (ore 17,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa del deputato Meta ed altri: Concessione di un contributo per la realizzazione di un programma per il rinnovo del materiale rotabile della società Ferrovie dello Stato Spa e altre disposizioni in materia di trasporto ferroviario.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2128-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la IX Commissione (Trasporti) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Meta, ha facoltà di svolgere la relazione.

MICHELE POMPEO META, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, come sappiamo il trasporto locale e pendolare soffre da molti anni di inefficienze e di uno stato di generale abbandono. Questo settore dispone di materiale rotabile molto vecchio, e spesso anche inadeguato, che rende particolarmente difficili quelli che vengono chiamati i percorsi casa-lavoro, e casa-studio, per grande parte dei lavoratori e degli studenti che si servono quotidianamente del sistema ferroviario; parliamo di milioni di persone.
Come sapete, i dati resi noti dal Censis recentemente, e anche dall'organizzazione di trasporto delle imprese pubbliche, ci dicono che sono più di 13 milioni i pendolari in Italia (una cifra pari al 22 per cento della popolazione residente).
È un dato che è cresciuto, tra il 2001 ed il 2007, del 35 per cento, pari ad un incremento di 3 milioni e mezzo di persone. Secondo una recente indagine dell'Istituto nazionale di statistica, il treno viene utilizzato dal 15 per cento dei pendolari, cioè da più di 2 milioni e mezzo di persone per spostarsi, sia in ambito locale che metropolitano, e rappresenta a volte l'unico mezzo di trasporto o in combinazione con altri mezzi.
All'articolo 16 della Costituzione viene sancito un importantissimo principio per la nostra Repubblica, ossia il principio che ogni cittadino può circolare liberamente, in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo deroga imputabile a ragioni di salute o di sicurezza. Il diritto alla mobilità dei cittadini, quindi scolpito nella nostra Carta dei valori, vincola lo Stato a costruire le condizioni per poterlo, appunto, garantire.
È certamente importante per il nostro Paese che, dopo molti anni e in ritardo rispetto alle altre realtà europee, si siano inaugurati i primi tratti di alta velocità, che permettono ai cittadini di un Paese come il nostro, che si articola in una penisola, di accelerare i propri spostamenti rinunciando finalmente all'automobile. Ma questo non è sufficiente come sappiamo, perché, laddove non arrivano gli interessi di mercato, deve essere lo Stato ad assumere l'iniziativa.
Un sistema di mobilità pubblica, moderna ed efficiente rappresenta al tempo stesso un diritto fondamentale di cittadinanza ed un obiettivo strategico per la costruzione di politiche tese a promuovere quello che chiamiamo «sviluppo sostenibile». È importante promuovere anche strategie di crescita economica e di progresso sociale, nonché migliori condizioni di tutela della salute dei cittadini, nell'ottica Pag. 39e nel rispetto degli accordi del Protocollo di Kyoto e del programma di riduzione dei gas dannosi fatto dall'Unione europea.
Il trasporto su rotaia produce, infatti, il 92 per cento in meno di anidride carbonica rispetto all'automobile e l'88 per cento in meno rispetto agli aerei. Dati questi che hanno spinto l'amministrazione di Obama a presentare un ambizioso piano per lo sviluppo del trasporto su ferro negli Stati Uniti d'America e questo è avvenuto dopo tanti e tanti decenni di distrazione da parte di quel Paese.
In questi anni, ancora, sono intervenute sul settore importanti riforme, come la legge cosiddetta Bassanini del 2000, che hanno trasferito le competenze e le risorse del trasporto ferroviario, e quello regionale, dallo Stato agli enti locali e alle regioni, che a loro volta versano le risorse ricevute dallo Stato a Ferrovie dello Stato Spa.
L'offerta dei servizi per i pendolari è basata essenzialmente sul trasporto pubblico regionale su ferro, finanziato in questo caso dalle regioni. Sono diverse le ricerche che dimostrano come, mentre cresce la domanda di servizio ferroviario, la qualità media, intesa in termini di regolarità, puntualità e comfort, è andata, invece, progressivamente degradando.
Ciò richiama l'esigenza di un programma davvero intelligente ed ambizioso di investimenti per la modernizzazione e il miglioramento dell'offerta ferroviaria rivolta ai pendolari, tenendo anche in considerazione che un servizio di trasporto pubblico su rotaia, efficace ed efficiente, rappresenta anche un volano insostituibile per promuovere modelli di sviluppo di comunità locali decentrate.
Non appare superfluo a questo punto ricordare, inoltre, che proprio tra i pendolari del servizio pubblico c'è un'evidente presenza di cittadini che vengono più colpiti dagli effetti della crisi economica che ha investito tutte le principali economie e, in particolare, anche il nostro Paese. E ricordare che la manovra dei 24 miliardi di euro che il Governo si appresta a varare per il prossimo biennio continuerà - ne sono sicuro, al di là delle prime indiscrezioni che trapelano -, così come è avvenuto in questi ultimi due anni, a considerare il settore dei trasporti certamente non come un'emergenza.
Nelle grandi aree metropolitane (il Lazio, la Lombardia, l'Emilia) gli effetti economici e territoriali legati alla loro progressiva esposizione hanno finito per generare sui territori enormi problemi insediativi, funzionali e gestionali. Ne dà esempio la tendenza ad una dispersione incontrollata degli insediamenti sul territorio detta urban sprawl. Da ciò deriva anche un rilevante incremento della mobilità, soddisfatto in prevalenza dal ricorso - ahimè - al mezzo privato che rende continuamente inadeguate le infrastrutture generando sempre disservizi e congestione.
Vogliamo continuare così? Direi proprio di no. Dobbiamo dare risposte: senza dubbio una di queste risiede nella realizzazione di una rete di trasporto ferroviario di elevata capacità e prestazione.
È ormai dimostrato che la domanda di mobilità sul trasporto pubblico cresce in maniera inversamente proporzionale al PIL, così come ormai è dimostrato, da un po' di tempo a questa parte, che l'ultima settimana di ogni mese ci sono meno veicoli sulle strade perché ci stiamo impoverendo a tal punto da non avere i soldi per la benzina.
Dal 2000 al 2007 abbiamo assistito ad un incremento di passeggeri su ferrovia intorno al 4 per cento annuo. Dal 2008 in poi tale percentuale è raddoppiata assestandosi oggi proprio all'8 per cento. Basta essere cittadini del Lazio piuttosto che della Lombardia o di qualsiasi altra grande area metropolitana per accorgersi che i servizi ferroviari sono scarsi, scadenti e saturi. Nel Lazio siamo ormai a quota 400 mila spostamenti al giorno su ferrovia. In questo senso, non vi è dubbio quindi sul vantaggio a breve termine che può comportare l'acquisto di nuovi treni anche più capienti degli attuali in attesa di interventi infrastrutturali di più lungo periodo.
Chiediamo in sostanza ai 35 milioni di automobilisti italiani di contribuire all'acquisto di treni secondo un principio solidaristico Pag. 40che agisce nello stesso tempo sull'ambiente attraverso la riduzione di emissioni inquinanti.
L'obiettivo ambizioso è quello di garantire la giusta dignità ai viaggiatori, a quelli pendolari soprattutto, favorendo in questo modo inoltre il rilancio della cura del ferro coraggiosamente intrapreso negli anni passati soprattutto a livello di amministrazioni locali e che è davvero l'unica soluzione per il riequilibrio modale degli spostamenti quotidiani in favore del ferro.
La sfida che proponiamo è quindi di avviare un ambizioso programma di rinnovo del materiale rotabile della Società Ferrovie dello Stato Spa tramite il finanziamento per i nuovi treni, consentendo altresì un rilancio del settore dell'industria ferroviaria in crisi come quello dell'automobile. Basti pensare che dal 2000 al 2007 il totale delle carrozze FS è diminuito da 85 mila 800 a 58 mila carrozze. Le motrici da 5.200 a 4.800 e i binari sono aumentati, invece, di mille chilometri.
Nel nostro Paese abbiamo eccellenze nella progettazione e nella costruzione di materiale rotabile. Riattivare la produzione in questo settore permetterebbe ai tanti suoi addetti e al relativo indotto di uscire dalla terribile prospettiva della cassa integrazione o, peggio ancora, del fallimento e della disoccupazione.
Nel vademecum anticrisi che l'ONU ha elaborato nei mesi scorsi per rilanciare una rivoluzione verde a livello mondiale viene indicato, tra gli altri, il settore dei trasporti sostenibili come settore strategico. Infatti, questo è in grado di produrre, oltre al miglioramento del clima, effetti immediati sull'occupazione creando quattro posti di lavoro indiretti ogni occupato in maniera diretta nel settore.
Dal punto di vista economico bastano pochi macrodati per spiegare la convenienza del nostro progetto di legge. Ogni anno, inoltre, la collettività paga 30 miliardi di euro, un punto e mezzo del PIL, e questo per sostenere i costi dovuti all'incidentalità, costi sanitari, danni, costi giudiziari, mancata produzione.
Se con l'acquisto di nuovi treni spostiamo anche di un solo punto percentuale - cioè niente - la ripartizione modale dal veicolo privato al sistema ferroviario, avremo fatto guadagnare alla collettività 300 milioni di euro.
Mi avvio alle conclusioni: sulla proposta di legge in esame e sugli obiettivi che si vogliono raggiungere, in Commissione trasporti abbiamo avuto una convergenza unanime. Lo stesso parere del Ministero dei trasporti è stato positivo. Credo che questa condivisione rappresenti un patrimonio positivo da non disperdere e noi non lo vogliamo disperdere. Abbiamo di fronte una contingenza impervia e anche alta, che riguarda la crisi economica e finanziaria: ne siamo consapevoli, ma questo non può in alcun modo rappresentare un ostacolo insormontabile.
Abbiamo proposto di reperire le risorse per finanziare questa importante operazione attraverso un centesimo di euro sull'accisa di benzina. Qualcuno l'ha definita una tassa aggiuntiva, io la considero una sorta di tassa di scopo o di ecotassa e per la prima volta si potrebbe introdurre il principio che chi inquina paga e che il mezzo privato sostiene quello pubblico, ma lasciamo perdere questi ragionamenti. Le ragioni a sostegno di questa ipotesi sono convincenti e praticabili, come pure - lo ripeto, proprio in considerazione del momento delicato che sta vivendo la situazione economica italiana - vanno considerate con attenzione le obiezioni di chi, pur condividendo le finalità della legge, suggerisce di trovare coperture alternative. Personalmente ritengo che dotare il Paese di una nuova, più moderna e sicura flotta di treni sia non solo una risposta che si deve a milioni di pendolari, ma anche una misura anticiclica. Infatti 4,5 miliardi di euro di investimenti sarebbero più che una boccata d'ossigeno per il settore dell'industria ferroviaria.
Poi vi sono considerazioni che non svolgo su Kyoto, Copenaghen e anche sugli equilibri modali da sostenere dal mezzo privato a quello pubblico, collettivo innanzitutto e soprattutto su ferro. Ma non voglio dilungarmi.
Sono convinto - e ho finito - proprio perché la discussione e il confronto sono Pag. 41stati onesti e leali tra maggioranza e opposizione, che insieme bisogna ricercare una sintesi che salvi il contenuto della legge. Non abbiamo molto tempo: pochi giorni, meglio ancora poche ore purtroppo. Maggioranza, opposizione e Governo - e questa è la mia proposta - ne sono convinto, possono e devono trovare la quadratura del cerchio. Pertanto, ci sentiamo impegnati a far tesoro e a raccogliere ogni suggerimento tale da farci portare in porto un risultato utile, perché capace di rispondere e tenere insieme i diritti dei pendolari, la tutela dell'ambiente e un'innovazione che guarda al futuro della mobilità e dei trasporti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Toto. Ne ha facoltà.

DANIELE TOTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame, come ha illustrato il relatore, prevede la concessione al gruppo Ferrovie dello Stato di un rilevante contributo, pari a 300 milioni di euro annui per 15 anni, da destinare all'acquisto di materiale rotabile per il trasporto passeggeri in ambito interregionale, regionale e locale, con particolare riferimento al trasporto dei pendolari. Nel corso dell'esame in Commissione sono stati approvati emendamenti che hanno precisato, anche sotto il profilo tecnico, le finalità per le quali può esser utilizzato il contributo e le procedure relative all'erogazione dello stesso.
È stata altresì introdotta nel testo un'ulteriore misura che, sempre intervenendo in ambito di trasporto ferroviario, consentirebbe l'inquadramento, diretto e immediato, nell'organico dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, del personale che proviene dal gruppo Ferrovie dello Stato e, che, dall'istituzione dell'agenzia, opera presso di essa. L'inquadramento avverrebbe in ogni caso nei limiti del 50 per cento dei posti dell'organico stabilito dalla legge. In assenza di questo intervento o in assenza della tempestiva adozione di un regolamento che comunque consenta l'inquadramento diretto del personale in questione - che come ho detto già opera presso l'Agenzia fornendo, in ragione della propria esperienza nel settore, un contributo non sostituibile - si rischia di assistere alla richiesta generalizzata da parte di tale personale di ritornare alle dipendenze di Ferrovie dello Stato.
Ciò, evidentemente, pregiudicherebbe il funzionamento dell'Agenzia proprio quando questa ha dimostrato, nel tempo relativamente breve che è passato dalla sua istituzione, di saper svolgere un'attività ampia, efficace e caratterizzata da una significativa autonomia di valutazione e quando, più in generale, gravi incidenti ferroviari, recenti e meno recenti, hanno reso tutti consapevoli che sul tema della sicurezza del trasporto ferroviario non si può in alcun modo ridurre l'attenzione.
La proposta di legge in esame, pur essendo di iniziativa del collega Meta e di altri membri del gruppo del Partito Democratico, giunge in Assemblea con un mandato al relatore a riferire favorevolmente, votato in Commissione trasporti anche dal gruppo del Popolo della Libertà. Il voto del gruppo cui appartengo è motivato innanzitutto dalla condivisione delle finalità generali della proposta, sia per quanto concerne il potenziamento dei mezzi impiegati per il trasporto pendolare, sia per quanto riguarda la garanzia del buon funzionamento dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie.
Relativamente al primo aspetto, ricordo, in particolare, che il Governo e il Parlamento erano già intervenuti nel primo anno della legislatura con il decreto-legge n. 185 del 2008, successivamente modificato dal decreto-legge n. 207 del 2008, che ha previsto un apposito Fondo per gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato di 960 milioni di euro relativi al 2009, da destinare in quota parte all'acquisto di nuovo materiale rotabile per il trasporto pubblico regionale e locale. Con il medesimo decreto-legge è stato, altresì, autorizzato lo stanziamento di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 per migliorare il Pag. 42trasporto pubblico regionale, evitando aumenti tariffari. L'erogazione di questo secondo finanziamento è stata, infatti, subordinata alla stipula dei nuovi contratti di servizio tra lo Stato e le regioni a statuto ordinario, da una parte, e Trenitalia, dall'altra.
Si è trattato di due interventi rilevanti anche sotto il profilo finanziario, rivolti a migliorare da un lato - per quanto attiene alle infrastrutture - il materiale rotabile e dall'altro - per quanto attiene ai servizi - il trasporto regionale e locale, con particolare riferimento al trasporto dei pendolari.
D'altra parte, il tema rimane di attualità sia per la lunghezza dei tempi di erogazione dei finanziamenti che ho richiamato, sia, più in generale, per il rischio che la concentrazione dell'impegno del gruppo Ferrovie dello Stato sulle tratte del trasporto passeggeri economicamente redditizie (e proprio per questo oggetto di interesse anche da parte di gruppi concorrenti) possa portare a un sensibile peggioramento del servizio sulle tratte regionali e locali utilizzate prevalentemente da chi, nell'arco della stessa giornata, si sposta per ragioni di studio o di lavoro.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 18,15).

DANIELE TOTO. In secondo luogo, il voto favorevole del mio gruppo sulla proposta di legge in esame è dovuto all'impegno assunto dal relatore, nella seduta stessa della Commissione trasporti in cui è stato votato il mandato a riferire favorevolmente, di chiedere, dopo lo svolgimento in Assemblea della discussione sulle linee generali e prima di passare all'esame e alla votazione degli eventuali emendamenti, che il testo sia rinviato in Commissione.
Se, infatti, per le ragioni su cui mi sono soffermato, in linea generale le finalità del provvedimento sono condivisibili, occorre tuttavia individuare una diversa copertura finanziaria per il contributo quindicennale al gruppo Ferrovie dello Stato, eventualmente rimodulando nell'importo e nella durata il contributo stesso.
Nel testo in esame la copertura finanziaria è reperita con l'aumento di 10 euro per mille litri o mille chili dell'accisa sulla benzina, sul gasolio e sul GPL. Come si osserva giustamente nel parere espresso dalla Commissione finanze, tale copertura finanziaria determinerebbe un incremento della pressione fiscale e comporterebbe un aumento dei prezzi dei carburanti che risulterebbe gravoso, in particolare per le fasce della popolazione con i redditi più bassi.
Una simile misura appare, inoltre, a mio avviso ancora meno proponibile in un momento in cui la crisi economica e finanziaria che colpisce l'Europa impone l'attuazione di una manovra correttiva del bilancio dello Stato e della finanza pubblica di notevoli dimensioni.
La stessa Commissione bilancio, pur non esprimendo il proprio parere sul provvedimento, ha comunicato, con una lettera del suo presidente, che ritiene la copertura finanziaria inidonea e pertanto invita la Commissione trasporti a individuarne una diversa.
Concludendo, ritengo che il rinvio della proposta di legge alla Commissione, oltre a rispondere all'esigenza ineludibile di individuare una diversa copertura finanziaria, possa essere anche l'occasione per impostare, nell'ambito di questo stesso provvedimento o di una distinta iniziativa legislativa, la definizione di altre importanti misure nel sistema del trasporto ferroviario.
Mi limito a segnalare, a solo titolo di accademico esempio, l'indubbia esigenza di intervenire per evitare che rimangano compresse le potenzialità di sviluppo del trasporto ferroviario di merci, vale a dire di un comparto che - in un contesto di piena liberalizzazione e di una effettiva parità di condizioni tra i soggetti in esso operanti - potrebbe rivestire un ruolo importante in rapporto sia alla configurazione dell'intero sistema di trasporti transnazionale, sia al rilancio dell'economia del Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonavitacola. Ne ha facoltà.

FULVIO BONAVITACOLA. Signor Presidente, il relatore Meta ha già illustrato, Pag. 43con dovizia di dati numerici e di valutazioni di carattere generale, le motivazioni di fondo di questa iniziativa che ha registrato, in sede di esame in IX Commissione (Trasporti), una positiva convergenza tra le diverse forze parlamentari.
Credo che questo sia da segnalare come un fatto importante, abbiamo testé ascoltato alcune osservazioni di un collega della maggioranza che richiamava delle criticità in ordine ai modi individuati per sostenere finanziariamente questo intervento. Non spetta a me fare previsioni, naturalmente credo che nel corso del dibattito e dello sviluppo dei lavori parlamentari, nelle sedi che saranno appropriatamente individuate in modo condiviso, alla fine si troverà una soluzione. Credo che questa soluzione sia sicuramente alla portata di un Paese che, naturalmente ne siamo consapevoli, è di fronte a una crisi grave e difficile ma che impone però delle scelte. Non credo che in ragione della grave crisi economica e finanziaria, noi dobbiamo, in qualche modo, congelare l'Italia. Dobbiamo scegliere delle priorità, sapere che possiamo fare poche cose ma, con sagacia, individuare quali sono queste poche cose.
Credo che un criterio possibile sia proprio quello che è l'anima di questo provvedimento: partire dai più disagiati, dai bisogni dei più deboli e intercettare due grandi temi che sono l'ambiente e lo sviluppo economico. Questa è la triangolazione che dovrebbe essere la stella polare che deve guidare l'individuazione delle priorità per l'Italia nei prossimi anni. Partire dai più deboli, incrociare la tutela dell'ambiente e sostenere lo sviluppo.
In questa triangolazione, se la si condivide naturalmente, questo provvedimento appare straordinariamente coerente. Come ricordava Meta, in Italia, ogni giorno si muovono 2 milioni 600 mila cittadini che coprono percorsi giornalieri per ragioni connesse alla frequentazione scolastica ovvero per ragioni connesse alle attività lavorative. Se guardiamo nel dettaglio abbiamo numeri rilevantissimi: Campania più di 400 mila, Lazio 540 mila, Lombardia 550 mila, Toscana 260 mila, 2 milioni 600 mila italiani che ogni giorno percorrono le tratte che conducono a scuola o al posto di lavoro nelle condizioni di disagio che tutti conosciamo. Naturalmente non abbiamo ragione, visto che siamo stati tra i primi a impegnarci negli anni passati anche quando avevamo responsabilità di governo, di nascondere i risultati positivi che, sul piano del risanamento finanziario e della qualità dei servizi erogati all'utenza, il gruppo Ferrovie dello Stato ha conseguito in questi anni.
In particolare, sono stati conseguiti risultati lusinghieri nel campo della cosiddetta alta velocità, che hanno maggiormente avvicinato l'Italia e ridotto le distanze tra i grandi centri. Tuttavia, abbiamo bisogno non solo di «accorciare» l'Italia, ma anche di avvicinare l'Italia all'Europa. Se alle sette di mattina uno studente sale su una carrozza ferroviaria e prega il Signore che in qualche modo possa concludere il proprio viaggio senza spiacevoli inconvenienti dal punto di vista della sicurezza igienico-sanitaria ed altro, per non parlare degli orari, è questo il modo per accorciare le distanze dell'Italia dall'Europa?
Non a caso, la Francia, la Spagna e la Germania stanno sostenendo investimenti nel campo del materiale rotabile e delle infrastrutture di trasporto, con cifre che viaggiano nell'ordine del miliardo e mezzo di euro all'anno; la Germania, ad esempio, nel 2008, ha sostenuto investimenti per due miliardi di euro. Noi stiamo parlando di un investimento di 300 milioni di euro - un contributo quindicennale, quindi - per un onere complessivo di 4 miliardi e mezzo di euro nell'arco di quindici anni.
Ebbene, credo che questa sia una scelta giusta, che va nella direzione di un avvicinamento del nostro Paese agli standard di qualità dei servizi primari europei, ed è anche un modo per sperimentare, tra di noi, in concreto che cosa significhi il federalismo. Questo non è un tema estraneo al federalismo, poiché vi è l'abitudine - a mio avviso, errata - di approcciare il tema del federalismo soltanto in termini di riequilibrio dei costi: c'è l'esempio classico del costo standard, che vede al nord un costo nettamente inferiore rispetto a quello di un Pag. 44determinato servizio o prestazione, oggi, nelle aree del centro-sud. Ebbene, quello dei costi è sicuramente un tema importante, ma viene dopo l'individuazione delle prestazioni essenziali che lo Stato deve garantire ai cittadini.
Se oggi andassimo ad individuare le prestazioni essenziali che devono essere garantite ai cittadini, vedremmo che il ragionamento si fa molto più complicato rispetto alla banale media della «siringhina». Livello delle prestazioni essenziali significa in primo luogo garantire, in campi diversi della vita sociale, un eguale diritto di accesso a prestazioni essenziali: quello dei trasporti ne è un esempio.
Pertanto, oggi, quando vogliamo garantire a questi 2 milioni 600 mila nostri connazionali, che ogni mattina prendono il treno per andare a scuola o al lavoro, livelli standard di qualità del servizio, è questo un modo per iniziare un discorso di federalismo che significa garantire parità di prestazioni all'utenza, in modo uniforme, sull'intero territorio nazionale.
Per questo motivo, probabilmente, abbiamo ancora resistenze che spero saranno superate. Questo infatti è un banco di prova importante, anche in quest'Aula, per dare un impulso a un'Italia che garantisca, nell'ambito della gestione dei servizi primari, livelli omogenei di prestazioni all'utenza, a partire - ripeto ed insisto - da coloro che vivono in condizione di maggiore disagio.
Naturalmente poi - come è stato rilevato - si tratta di un intervento che incrocia il tema dell'ambiente, perché da anni in questo Paese ci siamo resi conto dei gravi errori compiuti nei decenni scorsi, quando lo sviluppo del trasporto monotematico, soltanto con la modalità su gomma, ha creato gravissimi problemi non solo di congestione dei centri urbani, ma addirittura della qualità della nostra vita quotidiana, con riferimento in particolare all'aria che respiriamo e all'inquinamento acustico. È stato calcolato che l'80 per cento delle emissioni di CO2 in atmosfera è collegato all'uso degli autoveicoli a trazione meccanica.
È evidente che oggi una politica di riequilibrio modale e una politica di penalizzazione del trasporto su gomma, a favore di altre modalità meno inquinanti, sono scelte del tutto coerenti con una politica seria - non a chiacchiere - di riqualificazione ambientale, di tutela della qualità dell'aria e della salute, soprattutto nei grandi centri urbani.
Da ultimo, il grande significato che questo investimento pluriennale avrebbe rispetto ad una fase di difficoltà della nostra economia: darebbe respiro all'industria della meccanica, dell'elettromeccanica e della componentistica che vivono momenti di difficoltà. Esse rappresenterebbero un indotto più complessivo per dare respiro all'economia in un momento nel quale, lo sappiamo bene, le politiche di risanamento e di rigore finanziario non possono non accompagnarsi all'apertura di leve per la domanda interna per dare uno sbocco a produzioni che, altrimenti, rischierebbero di avvitarsi su se stesse in una spirale senza fine.
Una compressione dell'economia, infatti, in termini di recessione spinta e di mancato sostegno allo sviluppo, determinerebbe un abbassamento del PIL il quale determinerebbe un abbassamento del gettito che, a sua volta, determinerebbe un'ulteriore recessione. È questa la spirale perversa nella quale noi ci troviamo e dalla quale dobbiamo uscire con politiche virtuose di sviluppo e di sostegno a settori importanti, strategici e di grande valenza come quello del materiale rotabile.
Un'ultima osservazione - anche se non emerge in maniera diretta dai lavori parlamentari, mi è capitato di cogliere qualche commento esterno - riguarda la perplessità di una previsione che individuasse un gestore, quale Trenitalia, destinatario di un contributo statale di questa natura. È, questa, un'osservazione priva di fondamento perché è notorio che, in base alla legislazione di settore, tutti gli investimenti, sia di carattere infrastrutturale che di carattere veicolare, determinano un vincolo di destinazione di questi beni al servizio pubblico cui sono destinati.
Vi è, quindi, una neutralità della proprietà del bene rispetto alla gestione del servizio e saranno, quindi, gli atti successivi (applicativi e regolamentari) a garantire Pag. 45che, laddove il gestore del servizio dovesse essere soggetto diverso (per una successione di rapporti giuridici), il soggetto nuovo affidatario potrà utilizzare questi beni alla stessa stregua per la quale il soggetto, attualmente gestore del servizio, li utilizzerebbe.
È naturale che, oggi, si individui in Trenitalia il soggetto che ha l'esperienza, la conoscenza e il know-how più qualificato per questo ammodernamento perché è il gestore di questo servizio nel 95 per cento del territorio nazionale e dà ampie garanzie di conoscenza e di esperienza.
Per queste ragioni, credo che si possa procedere oltre e mi auguro che, nei passaggi dovuti, possa registrarsi anche la condivisione che si è fin qui realizzata con l'approvazione in sede di voto finale di questo progetto di legge (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, intervengo anche in qualità di componente della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni che di questo provvedimento è stata artefice in sede referente.
Si tratta di un'iniziativa che porta la firma del collega Meta, come primo firmatario, e di tanti altri colleghi del Partito Democratico, i quali si sono posti, giustamente, lo scrupolo di individuare un'importante iniziativa meritevole che pone l'accento sul grave deficit infrastrutturale per cui il nostro Paese sta marcando un gap importante, sia nel confronto con gli altri Paesi europei, sia per le arretratezze, ormai endemiche, che segnano soprattutto il Mezzogiorno d'Italia dal punto di vista delle infrastrutture ferroviarie.
Si parla oggi di un'Italia a tre velocità, nel senso che Ferrovie dello Stato Spa se ha innovato in maniera cospicua e anche meritevole sul tema dell'alta velocità dedicata ai passeggeri altrettanto non ha fatto nella logica del trasporto pendolare-metropolitano, che è molto arretrato rispetto agli standard degli altri Paesi europei e anche sulle intermodalità del trasporto merci che segna il passo, sia per la crisi che ha attraversato l'Italia in questi ultimi anni sia per l'antieconomicità del trasporto ferroviario merci rispetto al trasporto su gomma. Infatti, le statistiche ci dicono che il costo medio è di 1,3 euro al chilometro per l'autotrasporto ed è di 3 euro al chilometro per le merci su rotaia, in questo modo disincentivando quella intermodalità che avrebbe il grande beneficio di sgravare dal traffico pesante le nostre strade e autostrade, con benefici dal punto di vista della salubrità dell'ambiente che, come è stato detto, incide in maniera determinante proprio sull'autotrasporto che è responsabile di oltre l'80 per cento dell'inquinamento atmosferico da polveri sottili e da anidride carbonica, garantendo così anche un maggiore rispetto da parte del nostro Paese nei confronti delle indicazioni del Protocollo di Kyoto e del programma di riduzione dei gas dannosi dell'Unione europea.
D'altra parte, abbiamo una stella polare che è rappresentata dall'articolo 16 della Costituzione, secondo il quale «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale». Esso continua affermando che «nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge». Troviamo poi tale norma enunciata in maniera più articolata anche nel Trattato che adotta la Costituzione per l'Europa, dove la libertà di circolazione è garantita dall'articolo II-105 che recita: «Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La libertà di circolazione e soggiorno può essere accordata, conformemente alla Costituzione, ai cittadini dei Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro».
Da questo principio, che è stato appunto enucleato sia nel Trattato europeo che nella Costituzione, derivano conseguenze giuridiche importanti anche per il settore dei trasporti. Infatti, la Costituzione non è solo un'enunciazione di principi ma deve tradursi Pag. 46in politiche tese a garantire l'effettività e la sostanza dei vantaggi di queste petizioni di principio. Pertanto, il diritto alla mobilità che questi articoli enunciano si deve tradurre poi con politiche governative tese a dotare lo Stato e le regioni di una rete di trasporti adeguata ed efficiente, che di questo diritto alla mobilità si renda garante e lo renda, appunto, attuale.
Abbiamo detto che questo sviluppo della ferrovia e soprattutto del trasporto dei pendolari ha una forte incidenza sociale. Ricordo che il Censis, negli ultimi dati rilevati, afferma che i pendolari in Italia risultano essere più di 13 milioni, pari al 22,2 per cento della popolazione. Inoltre, questo dato è in forte crescita al punto che in cinque anni è salito del 35,8 per cento, con un incremento pari a 3,5 milioni di persone.
Anche l'ISTAT ci insegna che il treno viene utilizzato dal 14,8 per cento dei pendolari - oltre 1,9 milioni di persone - per viaggiare in ambito locale e metropolitano, come unico mezzo di trasporto o in combinazione con altri mezzi. Pertanto, vi è effettivamente un'esigenza sociale molto forte che è legata al trasporto ferroviario pendolare e metropolitano. D'altra parte, come un contrappeso, vi è invece un'ormai endemica trascuratezza nei convogli e vi sono ritardi che anche con l'alta velocità vedono questa sorta di trasporto ancillare ulteriormente penalizzato e segmentato come mai è accaduto in precedenza.
La situazione del Paese registra poi un'ulteriore discrepanza tra nord e sud proprio perché nel sud del Paese è ancora più evidente questa inefficienza, soprattutto nel trasporto pendolare ferroviario.
Mancano ancora le dorsali nel centro-sud del Paese che percorrono l'intero Mezzogiorno d'Italia e le isole. Nel Lazio - lo ricordiamo - la tratta ferroviaria Roma-Pescara è del tutto inadeguata e obsoleta; la Avezzano-Roma doveva godere di un contributo di 168 milioni di euro che invece è stato revocato con la legge n. 126 del 2008.
Così ancora in Sicilia abbiamo una rete regionale molto ramificata, pari a 1.444 chilometri di ferrovia, ma anche qui non ci sono stati interventi di ammodernamento o di raddoppio dei binari realizzati da Ferrovie dello Stato rispetto all'Italia settentrionale. Allo stesso modo in Calabria vi è una flotta vetusta di treni attivi e i collegamenti o servizi ai passeggeri risultano inefficienti se non inesistenti. Anche la situazione della Basilicata è assai precaria con treni che non si trovano o non si riconoscono più o vengono soppressi o vengono dotati di carrozze sudice e cadenti, come è accaduto per l'Eurostar Taranto-Potenza-Roma. Nonostante ciò, Trenitalia continua a chiedere esborsi finanziari alle regioni per mantenere dei servizi che sono sempre al di sotto della sufficienza.
Infine, in Puglia o sulla tratta Napoli-Bari abbiamo visto togliere dei treni moderni e veloci come gli ETR500 oppure eliminare i finanziamenti che sulla tratta Napoli-Bari il Governo Prodi aveva espressamente previsto e finanziato. Ricordiamo appunto che, nel precedente Governo, con il Documento di programmazione economico finanziaria (il Dpef del 29 giugno 2007), il CIPE e il Consiglio dei ministri avevano previsto il finanziamento integrale della progettazione di alcune tratte e di altre già dotate di progettazione.
Questo finanziamento era ipotizzato per la variante Cancello-Napoli nel comune di Acerra per integrare le linee ad alta capacità e ad alta velocità per ben 583 milioni di euro. Era altresì previsto il finanziamento per il raddoppio della Apice-Orsara di Puglia per 297 milioni di euro, quello per il raddoppio e la velocizzazione della Cervaro-Bovino per 550 milioni di euro con un costo complessivo previsto di circa 5 miliardi di euro, di cui 1.442 già finanziati e 3,5 miliardi ancora da finanziare.
Sennonché, anche in questo caso abbiamo assistito ad una certa schizofrenica frattura tra quello che il Governo Berlusconi ha dichiarato più volte - e cioè di intraprendere una azione di governo del fare e poi di implementare le infrastrutture nel nostro Paese - rispetto a quello che invece abbiamo letto nei provvedimenti che sono stati adottati dal Governo e dal Parlamento. Per esempio, con la legge finanziaria per l'anno 2009 si è disposta una riduzione di ben il 32,5 per cento delle risorse Pag. 47previste per le Ferrovie dello Stato, stanziando da 3.500 a 2.363 milioni di euro.
Con l'articolo 25 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, ricordo che era stato istituito un Fondo per gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato con una dotazione di 960 milioni di euro per il 2009 ed era stata autorizzata una spesa di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni successivi (2009, 2010, 2011). Questo provvedimento, che sembrava essere in linea con le buone intenzioni del Governo, è stato poi soppresso con la finanziaria per l'anno 2010. Abbiamo infatti assistito alla soppressione del capitolo 7.120 che recava 960 milioni di euro in attuazione di questa norma sui finanziamenti per il 2009 al gruppo Ferrovie dello Stato, così come abbiamo assistito ad altre draconiane censure e cesure al bilancio. Per esempio, la soppressione del capitolo 1.351 che prevedeva 104 milioni di euro per il 2008 per un Fondo per il finanziamento dei servizi pubblici di viaggiatori e merci sulla media e lunga percorrenza, che era già stato eroso nel 2009 e dal quale appunto sono stati tolti 104 milioni di euro previsti per il 2010.
Vi è stata, inoltre, la soppressione di altri capitoli come il 7.251, che prevedeva un Fondo per l'acquisto di veicoli adibiti al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale (che è stato azzerato per il 2010), così come il capitolo 7.252 Fondo per il finanziamento di interventi volti ad elevare il livello di sicurezza dei trasporti pubblici locali nello sviluppo (stanziamento di 50 milioni di euro che abbiamo visto ancora nel 2009 e che non ha trovato continuità nel 2010).
Abbiamo poi tutta una serie di tagli apportati ad altri capitoli come le sovvenzioni per l'esercizio di ferrovie (capitolo 1.325): in questo caso lo stanziamento di 11,6 milioni di euro è stato ridotto di 1,2 milioni di euro rispetto all'assestamento del 2009. Si è registrato l'incremento irrisorio del capitolo 7.137 dove il Fondo comune per il rinnovo di impianti fissi e materiale rotabile delle Ferrovie in regime di concessione e in gestione governativa ha visto un aumento di 0,8 milioni di euro rispetto al dato assestato del 2009.
Vi è stato anche il taglio del capitolo 7.141, riguardante contributi per capitale e interessi per l'ammortamento dei mutui garantiti dallo Stato e che le Ferrovie in regime di concessione e gestione commissariale governativa possono contrarre per la realizzazione di investimenti. Anche in questo caso c'è stata una riduzione di 11,4 milioni di euro rispetto all'assestamento del 2009.
Ancora, con riferimento al capitolo 7.254 relativo al Fondo per promuovere lo sviluppo del trasporto pubblico locale, lo stanziamento di 110 milioni di euro è stato ridotto di 20 milioni di euro rispetto all'assestamento del 2009. Da ultimo, vi è stato il taglio ai capitoli 7.303 e 7.304 che riguardavano il concorso dello Stato alla spesa per la realizzazione dei sistemi di trasporto rapido di massa a guida vincolata e di tramvie veloci nelle aree urbane, piuttosto che i contributi per capitale ed interessi per l'ammortamento dei mutui garantiti dallo Stato per realizzare sistemi ferroviari passanti (56,6 milioni di euro in meno e 48,3 milioni in meno).
Ho elencato tutti questi dati per dimostrare che questa proposta di legge è effettivamente un po' come una manna dal cielo, dal momento che fornisce un'indicazione forte al Governo, tesa a finanziare per 15 anni con 300 milioni di euro all'anno (quindi si parla di 4,5 miliardi di finanziamento complessivo) tutto questo comparto del trasporto ferroviario periferico, non quello delle grandi linee di percorrenza, che assume una valenza strategica sia per lo sviluppo economico del Paese che per quel diritto alla mobilità che abbiamo visto compresso e non garantito a tanti milioni di cittadini che ogni giorno protestano per i disservizi che si accumulano su queste linee.
Non abbiamo dati significativi su tali disservizi, ma è emblematico che siano sorti a centinaia i comitati spontanei di cittadini pendolari che si organizzano per cercare di invocare una maggiore attenzione da parte delle Ferrovie statali piuttosto che degli organi Pag. 48gestori. Ciò è sintomatico di una sofferenza reale, che ogni giorno o quasi trova voce e spazio sulle lettere ai giornali e sui dossier che i giornalisti dedicano a questi temi. Ho fatto una veloce scorsa della rassegna stampa e si potrebbe riempire un volume di enciclopedia solo di lamentele e casi specifici di disservizio.
Questo provvedimento, quindi, dovrebbe trovare una maggiore attenzione da parte del Governo, che forse ha male orientato i soldi pubblici. Infatti, se è vero che tutti riconosciamo strategico lo sviluppo intermodale e l'arretratezza delle nostre ferrovie, è altrettanto deprecabile che si concentrino miliardi di risorse dei cittadini per quell'opera faraonica che porta il nome del «ponte sullo Stretto». Non ha senso che noi, rispetto ad un'Italia a tre velocità, che arranca come una cremagliera su una china molto irta, guardiamo ad un'opera così settoriale e locale come quella del ponte sullo Stretto che assorbe tutte queste risorse quando, invece, ci sono delle priorità ben più pregnanti e pressanti che sono quelle che anche questo provvedimento di legge cerca di tutelare e di assecondare.
Quindi se è vero che il lavoro che abbiamo fatto in Commissione è stato utile, perché grazie all'Italia dei Valori - penso che lo riconosca anche il primo firmatario onorevole Meta - abbiamo apportato qualche piccola ma significativa modifica che ha reso il testo finale più confacente alle necessità che si volevano perseguire con questa proposta di legge, altrettanto vero è che c'è stato da parte della Commissione bilancio il dubbio (che peraltro io condivido in parte) sulla non opportunità di una copertura finanziaria tesa all'aumento dell'accisa sulla benzina e sui prodotti petroliferi destinati all'autotrasporto, perché in questa contingenza effettivamente noi assistiamo ad una notevole oscillazione dei prezzi con picchi record che da anni non si verificavano, per cui certamente non è questo il momento migliore per aumentare con le accise il prezzo della benzina alla pompa che è sicuramente tra i più alti mai verificatisi, cosa che certamente dovrebbe portare ad una diversa valutazione sulla copertura finanziaria di questo provvedimento.
Valuteremo se assecondare ulteriormente l'ipotesi che l'Italia dei Valori aveva proposto che prevede finanziamenti agevolati da attingere alla Cassa depositi e prestiti, anche se l'impostazione data dal collega Meta a questo provvedimento è quella di un finanziamento a fondo perduto, piuttosto che un semplice prestito. Valuteremo anche se si potrà ragionare con la maggioranza e con il Governo sulla necessità di individuare comunque dei filoni di finanziamento tesi a dare maggiore valenza e maggiore priorità al settore ferroviario che è così importante per il Paese per le motivazioni che ho detto.
Sarebbe deprecabile che il Governo mantenesse questa sorta di discrasia tra le enunciazioni di principio e la realtà dell'azione di Governo, perché in questo senso noi siamo pronti a denunciare queste contraddizioni in termini e a riportare nei modi più ampi nelle nostre comunità di riferimento questa inaccettabile posizione del Governo che speriamo possa essere presto riportata al comune buonsenso (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, questa proposta di legge, come le altre che oggi discutiamo, sono proposte che vengono sostenute da un po' tutti i gruppi parlamentari, ma questa ha una caratteristica particolare: se fosse stata discussa due o tre mesi fa in quest'Aula io credo che non avrebbe trovato queste osservazioni nemmeno da parte della Commissione bilancio. Oggi in tempi di finanziaria ristretta e di tagli che si sono determinanti per la crisi che proviene dalla situazione della Grecia e di altri Paesi che avrebbero anch'essi delle difficoltà - qualcuno dice compresa addirittura l'Italia - è chiaro che il clima è cambiato, ma nessuno della Commissione trasporti aveva pensato a qualcosa del genere nel momento in cui l'avevamo proposta, mentre oggi evidentemente si fanno queste osservazioni che possono essere anche comprensibili. Pag. 49
Tuttavia il finanziamento di questa proposta di legge che era stato trovato e riportato nel testo, che era stato discusso e accolto da tutti, è all'interno dell'alveo dei trasporti, nel senso che non proviene da altre parti. Si tentano di spostare fondi che dovrebbero andare ad un settore più inquinante ad un settore che invece è notoriamente meno inquinante per l'ambiente. Questa modalità si deve confermare.
Intanto si potrebbe fare un'osservazione: siamo d'accordo su tutto il resto, è inutile che ne discutiamo; concentriamoci invece su questo aspetto fin da subito, perché la discussione sulle linee generali deve costituire un momento di riflessione particolare anche sulla questione del finanziamento.
Qui si tratta di un contributo per la realizzazione di un programma per il rinnovo del parco ferroviario, quindi è necessario che questo contributo avvenga all'interno del quadro dei trasporti. Non possiamo pensare di sottrarre i fondi per le infrastrutture, e a me dispiace che si metta sempre avanti la questione dell'opera per il sud; io sarei favorevole, anzi favorevolissimo, a levare i fondi, per esempio, al Mose oppure alla Pedemontana veneta, ma non capisco perché di questo non si parla mai. Questi discorsi secondo me sono fuori luogo in questo caso, dobbiamo concentrarci all'interno dei trasporti, come giustamente prevede la proposta di legge.
Tuttavia, a mio avviso, nei primi due anni le accise sarebbero utilizzate molto poco, semmai lo sarebbero dal terzo anno, quindi bisognerebbe salvare, diciamo così, il senso, il contenuto della proposta sapendo che si realizza una programmazione che nei primi due anni costerà pochissimo e in quei due anni dovremo considerare meglio il modo in cui riformulare, riordinare la questione delle accise. Voi sapete, infatti, che ci sono accise che riguardano il Vajont, i terremoti molto risalenti (forse qualcosa riguarda anche il terremoto di Messina) e perdura la previsione di qualcosa a favore della Calabria che risale addirittura agli anni del dopoguerra! Quindi, in questi due anni si dovranno rimodulare le accise e si metterà in evidenza il rinnovamento del parco ferroviario attraverso una riformulazione, ma senza aumenti di tasse.
Pertanto, ritengo che si possa fare momentaneamente una specie di prestito, che cioè si possa prevedere non 10 euro, ma 50 centesimi o 1 euro per il primo anno, 1 euro o 1 euro e mezzo per il secondo, e che poi nel frattempo si riformuli la questione delle accise. Suggerirei alla Commissione di intervenire e di chiedere agli uffici della Camera di studiare questi aspetti per trovare il modo di arrivare allo stesso risultato, non sconvolgendo però il sistema delle tasse, cioè non aumentandole, ma confermando nella sostanza la proposta di legge.
Occorre, infatti, eliminare le parti che non servono più, che sono assolutamente obsolete con riferimento alle accise, e riformularla in modo tale che si possano raccogliere i fondi per definire un intervento che tutto il Parlamento dovrebbe approvare perché lo renderebbe popolare. L'opinione pubblica su questo tema, infatti, è molto sensibile e ciò consentirebbe di intervenire su una fascia molto larga di popolazione meno abbiente, che oggi è portata a vedere il Palazzo molto lontano, ma così lo vedrebbe più vicino (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud, Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.

GREGORIO FONTANA. Signor Presidente, svolgo alcune considerazioni al termine di questa discussione sulle linee generali che si è protratta fino a quest'ora, ma penso che ne sia valsa la pena perché il provvedimento al nostro esame riveste un grande interesse proprio in quanto riguarda la stragrande maggioranza degli utenti delle ferrovie.
La maggioranza e il Governo in questi anni hanno proposto un forte rilancio delle grandi opere proprio per cercare di superare il deficit infrastrutturale del Paese, in particolare per ciò che riguarda i trasporti. Con l'Alta velocità è stato realizzato un robusto asse ferroviario che unisce il nord al sud del Pag. 50Paese con grandi benefici per tutti i settori produttivi, dal commercio all'industria turistica. Una volta garantito quest'asse, è necessario però occuparsi dei gravi, anzi dei gravissimi problemi dei pendolari che costituiscono il 90 per cento dei viaggiatori ferroviari. È inaccettabile, tanto per fare un esempio eclatante, che in una regione come la mia, la Lombardia, che è considerata unanimemente come uno dei motori dell'Europa, ci sia un trasporto locale degno di un Paese in via di sviluppo, specialmente per quel che riguarda il materiale rotabile.
Il Governo è concretamente impegnato su questo fronte, come dimostra lo stanziamento di 2 miliardi per l'ammodernamento e il rilancio del trasporto regionale e interregionale, reso noto nel settembre scorso da Trenitalia e dal Ministro Matteoli. Con questo piano, infatti, finalizzato al trasporto locale, si darà il via all'acquisto di 840 locomotori e 2.550 carrozze ferroviarie. Si tratta di un impegno sul quale si sta realizzando, inoltre, una positiva collaborazione tra centro e regioni, come dimostra la nascita proprio in Lombardia di una società mista tra Trenitalia Ferrovie Nord e regione Lombardia.
La proposta di legge di cui si discute va considerata sicuramente un'importante occasione per proseguire nella politica, già avviata, di potenziamento della rete locale dei trasporti. Le risorse previste, distribuite in quindici anni dal provvedimento in esame, si andrebbero quindi a sommare ai 2 miliardi già stanziati, con la conseguente creazione di un fondo sicuramente utile per far sì che i vari servizi offerti ai nostri pendolari siano presto allineati agli standard europei, che vedono il nostro materiale più vecchio di dieci anni rispetto alla situazione europea.
Per fare queste cose, le buone intenzioni non bastano, occorre agire con concretezza e obiettività, lasciando da parte la demagogia ed evitando che gli sforzi di questo Parlamento in una questione di tale interesse, che riguarda milioni di cittadini e il nostro sistema Paese, possano essere resi vani. Per questo occorre lavorare ancora sulla proposta in esame. Nella proposta di legge, infatti, si prevede che la copertura finanziaria del provvedimento sia data dall'incremento delle aliquote sulle accise di carburanti.
Tutto questo - lo ha già detto il collega Toto - per noi non è accettabile. Lo è in generale, perché finanziare il rafforzamento del trasporto attraverso l'aumento della pressione fiscale, cioè con l'aumento del prezzo della benzina, suona un po' come una beffa, anche per quei tanti pendolari che utilizzano il sistema integrato di spostamento automobile-treno. Lo è poi - lo diceva in parte il collega Misiti - in questa congiuntura, mentre ci apprestiamo ad avviare una sessione di bilancio in un contesto globale europeo altamente critico dal punto di vista economico e finanziario.
Anche i presupposti che avevano orientato il promotore - lo si legge nella relazione del provvedimento - ad individuare la fonte di copertura nell'aumento dell'accise sono cambiati. Nel gennaio del 2009, data in cui è stata presentata questa proposta, il barile del petrolio oscillava attorno ai 40 dollari, oggi il prezzo è quasi raddoppiato. È quindi necessario rivedere e ponderare bene la copertura, proprio perché l'insieme delle circostanze è mutato.
Un altro punto su cui è necessario prevedere un approfondimento nelle sedi idonee riguarda il fatto che il destinatario di questo finanziamento siano le Ferrovie dello Stato. Meglio sarebbe, a mio parere, rifinanziare il Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto locale, dando la disponibilità di questi fondi alle regioni.
Un altro punto delicato, su cui è opportuno avviare un confronto, è quello che io considero un errore, cioè definire a priori se finanziare il Nord o il Sud, perché l'arretratezza e la vetustà del materiale rotabile, come abbiamo sentito unanimemente da tutti i colleghi, sono una costante di tutto il Paese. Meglio sarebbe, quindi, individuare criteri di intervento come quello del numero di treni per chilometro o del numero complessivo di passeggeri.
Il gruppo del Popolo della Libertà, quindi, ribadisce la sua richiesta di un ulteriore approfondimento in Commissione, proprio perché siamo convinti che il rafforzamento Pag. 51del trasporto locale rappresenti un passaggio strategico per la crescita del sistema Paese. Questa convergenza di massima tra maggioranza e opposizione è un'occasione che non deve essere sprecata e, quindi, sarà importante proseguire proprio nell'obiettivo di cogliere i risultati (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ginefra. Ne ha facoltà.

DARIO GINEFRA. Signor Presidente, signora rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il relatore Meta, nel suo intervento introduttivo, bene puntualizzava il principio costituzionale che è alla base di un provvedimento che, vorrei ricordare, collega Fontana, deve mettere in condizione di circolare nell'intero Paese.
Lei faceva un'affermazione, cioè che l'alta capacità ha collegato finalmente il Nord e il Sud dell'Italia: vorrei ricordarle che l'alta capacità si ferma nella città di Salerno e che da mesi attendiamo - come il sottosegretario Ravetto saprà sicuramente, visto che il Ministro Vito è venuto qui in Aula a rispondere ad un'interrogazione dei parlamentari della Puglia - che il CIPE prosegua quel lavoro che il collega Monai ha richiamato nel suo intervento.
Noi, però, abbiamo svolto una valutazione comune all'interno della Commissione trasporti - pur partendo da un testo che riproponeva un decreto-legge che era stato già oggetto di valutazione, e di un avvio di discussione nella XV legislatura - muovendo dal presupposto che sono oltre 2 milioni 630 mila i cittadini che ogni giorno prendono i treni per motivi di lavoro e che a questa domanda di mobilità, che è andata via via aumentando nel nostro Paese - come ricordava il relatore -, non ha corrisposto un proporzionale incremento della qualità degli standard delle nostre ferrovie nelle tratte regionali, con problemi seri per la qualità della vita di tanti nostri connazionali.
Si tratta di problemi che investono l'Italia intera, dalla Lombardia fino alla Sicilia, e che condizionano i tempi e le modalità di espletamento del lavoro e dello studio di tanti italiani e italiane.
A questo si aggiunga - come evidenziato nella relazione dal relatore Meta - che stiamo discutendo di un provvedimento che risponderebbe ad un'altra esigenza fondamentale per il nostro Paese: quella di proseguire nel rispetto degli accordi internazionali.
Si ricordava il Protocollo di Kyoto, l'orientamento comunitario in materia di riduzione di anidride carbonica CO2 e quanto il rapporto tra mobilità su ferro e mobilità su gomma e per via aerea sia evidentemente di impatto totalmente diverso. Se non ricordo male, i dati che ha fornito il collega Meta erano di un meno 92 per cento rispetto al trasporto su gomma e meno 88 per cento nel trasporto aereo, a dimostrazione che questo Paese, per rispettare fino in fondo questi accordi, dovrà investire in questo settore.
Il rinnovamento del materiale rotabile è uno dei pilastri delle norme di civiltà, una delle forme di sostegno al quadro di sostenibilità, teso a favorire la mobilità sostenibile che un Paese civile come il nostro dovrebbe porre come priorità negli interventi che in queste ore noi assumeremo nel complesso.
Dobbiamo anche spiegarci perché sono diventati così rilevanti il traffico e il pendolarismo nel nostro Paese.
Ragioniamo di riforma dello Stato, ragioniamo delle riforme istituzionali che considerano anche il sistema delle aree metropolitane; non possiamo sottovalutare quelli che sono i fenomeni sociali ed economici che hanno inciso fortemente sulla delocalizzazione progressiva delle abitazioni rispetto ai grandi centri urbani e alle grandi aree urbane e il proporzionale trasferimento di una serie di funzioni e di servizi in un'idea di città policentrica. Ecco, noi come legislatori dobbiamo porci anche questo tema. Nel momento in cui provvediamo a prevedere l'istituzione delle città metropolitane e a dotarle di tutti quanti gli strumenti per essere fino in fondo tali non possiamo sottovalutare che l'hardware va evidentemente modificato, sostituito, ma va aggiornato anche il software.
Noi abbiamo - come ricordavo precedentemente - milioni di cittadini che ogni Pag. 52giorno vivono sulla loro pelle tale situazione. Il collega Monai - richiamo il suo intervento, chi parla per ultimo ha spesso la necessità di ricorrere alla citazione dei colleghi che lo hanno preceduto - ricordava la rassegna stampa che quotidianamente noi leggiamo sull'insoddisfazione dell'utenza.
Ebbene, nelle prossime ore - come ricorda quest'oggi il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta - si annunceranno sacrifici duri e si spera (queste sono le sue parole) provvisori per i nostri connazionali. Con questa proposta di legge, che dovrà evidentemente - anche per stessa ammissione del relatore - trovare in quel secondo comma relativo alle risorse una riformulazione, così come mi sembra venga richiesto da tutte quante le parti, noi chiediamo ai nostri connazionali un piccolo sforzo, e lo chiediamo ricompensandoli di un servizio. Mi auguro che tutte le misure contenute nella manovra di bilancio, che fra qualche ora verrà sottoposta all'attenzione di questa Aula, prevedano lo stesso criterio. Guai se noi chiedessimo ai nostri connazionali sacrifici senza dare in cambio neanche il miglioramento dello standard di qualità della vita.
Ecco perché, Presidente, credo che vada ribaltato quel messaggio che il Ministro Togni al Salone dell'automobile nel 1951 ebbe a ricordare: all'epoca si dichiarò convinto assertore della vittoria della strada sulla ferrovia. In questi anni abbiamo fatto tanti investimenti sulla gomma, sul trasporto privato. Credo che anche il centrosinistra durante gli anni del Governo abbia mancato di quel coraggio che evidentemente un legislatore deve avere nel momento in cui si rivolge ai propri connazionali, e cioè di abituarli ad un'altra idea del funzionamento della società.
Se noi andiamo a vedere il trasporto privato ci accorgiamo che nelle nostre città la media - lo ricordava il collega Meta pochi istanti fa - è di 1,4 passeggeri per ogni auto. Ebbene credo che noi dovremmo avere il coraggio di ribaltare il messaggio del Ministro Togni nel 1951 al Salone dell'auto in un'idea diversa delle politiche ambientali e della qualità della vita del nostro Paese, se volete, dando un significato pieno a quell'espressione anglosassone che in questi giorni e in questi mesi riempie la bocca di tanti, cioè green economy, che molto spesso è oggetto di citazioni in pubblici convegni, ma che richiede un'applicazione da parte di chi come noi è chiamato a svolgere un ruolo di guida del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2128-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Meta.

MICHELE POMPEO META, Relatore. Signor Presidente, intervengo brevemente per ringraziare i contributi che sono venuti, anche in questa sede, sia dalle forze di opposizione sia da quelle di maggioranza, e per cogliere l'occasione per alcune puntualizzazioni di merito e di metodo. Questo provvedimento - come veniva ricordato - è stato presentato nel gennaio del 2009, circa un anno e mezzo fa.
Tante cose sono cambiate rispetto a quella situazione e, naturalmente, raccolgo anche le sottolineature riferite all'andamento dei costi del prezzo unitario del barile di petrolio; questa è una questione che non possiamo davvero nascondere. Come pure ritengo che questo provvedimento debba fare i conti con quella che è la manovra politica. Sono per valorizzare l'orientamento generale emerso dalla discussione di queste settimane: l'Italia ha bisogno di ritornare al trasporto collettivo su ferro, abbiamo un'infrastruttura di 16 mila chilometri di rete che dobbiamo mettere a reddito per tante ragioni, e ciò significa guardare anche alla coerenza dei Protocolli internazionali che abbiamo sottoscritto, significa tradurre nel nostro Paese le indicazioni europee, significa tenere insieme anche i ragionamenti sulla sicurezza stradale. Pag. 53
Ricordavo prima che i costi, non solo sociali, ma anche economici, di un parco di 35 milioni di autovetture corrispondono a 30 miliardi all'anno. Basterebbe davvero spostare una piccola percentuale di questi flussi dal trasporto privato a quello pubblico per avere anche un ritorno di tipo economico.
È, innanzitutto, un provvedimento che guarda all'economia. In momenti come questi disporre di un investimento di 4,5 miliardi significa intervenire con misure anticicliche, significa guardare alla crisi di quelli che un tempo erano i nostri gioielli, come l'industria ferroviaria, significa davvero essere coerenti e conseguenti con tutta una serie di impostazioni.
Al di là di questo, credo che debba prevalere un senso di responsabilità. La discussione svolta oggi ha arricchito le consapevolezze e le convinzioni di ciascuno, bisogna essere coerenti e conseguenti.
Non voglio aprire polemiche e voglio vedere anche i contenuti di questa manovra economica. Nei giorni scorsi giravano voci di pedaggi da mettere sulle tratte stradali gestite da ANAS che riguardano le infrastrutture al Sud, il grande raccordo anulare di Roma e altre tangenziali: non ci voglio credere.
Per quanto concerne la fiscalità generale, mi pare che questo Parlamento qualche giorno fa abbia previsto una tassa non solamente sui superalcolici ma anche sui prodotti di largo consumo come birra e vino.
Inoltre, le dinamiche inflattive le potrebbe provocare anche l'aumento delle tariffe chieste dal presidente di Assoporti, deliberate dal Governo e mai attuate (applicarle in questa fase, significherebbe portare le tariffe da 1 a 3 euro negli aeroporti italiani), e ciò moltiplicato per decine e decine di migliaia di viaggiatori, ci porterebbe a ragionare di cifre simili a quelle che stiamo discutendo.
Al di là di questo, ringrazio i colleghi di maggioranza e di opposizione. Domani sarà una giornata utile per tentare di tradurre suggerimenti e proposte emerse da questa discussione, per salvare questo provvedimento e per consentire di tornare a far coincidere gli interessi di milioni di utenti, di viaggiatori, con quelli dell'economia e con quelli anche dell'industria.
Credo che questo provvedimento abbia una serie di elementi che ci consentono di agire con coraggio perché non è né un provvedimento di destra, né di sinistra, e quella che un tempo era la sinistra ferroviaria, per fortuna, in questo Paese non c'è più (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge.

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, della seguente proposta di legge, della quale la sottoindicata Commissione, cui era stata assegnata in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:

alla XII Commissione (Affari sociali):
S. 392-550-918 - Senatori BASSOLI e altri; Senatore COSTA; Senatori NESSA e altri: «Misure per il riconoscimento dei diritti delle persone sordocieche» (Approvata, in un testo unificato, dalla 11a Commissione permanente del Senato) (2713).

A tale proposta di legge è abbinata la proposta di legge: VANNUCCI ed altri: «Norme per il riconoscimento della sordocecità quale disabilità unica» (1335).

Pag. 54

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 25 maggio 2010, alle 11,30:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge C. 2713 ed abbinata.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 28 aprile 2010, n. 63, recante disposizioni urgenti in tema di immunità di Stati esteri dalla giurisdizione italiana e di elezioni degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero (C. 3443-A).
- Relatore: Stefani.

4. - Seguito della discussione della proposta di legge:
LETTA ed altri: Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia (C. 2079-A).
- Relatore: Mosca.

5. - Seguito della discussione della proposta di legge:
META ed altri: Concessione di un contributo per la realizzazione di un programma per il rinnovo del materiale rotabile della società Ferrovie dello Stato Spa e altre disposizioni in materia di trasporto ferroviario (C. 2128-A).
- Relatore: Meta.

La seduta termina alle 19,15.