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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 315 di lunedì 3 maggio 2010

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 14,05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta di lunedì 19 aprile 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Fitto, Frattini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Guzzanti, La Russa, Leone, Mantovano, Maroni, Martini, Mecacci, Meloni, Menia, Miccichè, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Razzi, Reguzzoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 29 aprile 2010, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla III Commissione (Affari esteri):
«Conversione in legge del decreto-legge 28 aprile 2010, n. 63, recante disposizioni urgenti in tema di immunità di Stati esteri dalla giurisdizione italiana e di elezioni degli organismi rappresentativi degli italiani all'estero» (3443) - Parere delle Commissioni I , II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e V.

Il suddetto disegno di legge, al fine dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Nomina del segretario del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

PRESIDENTE. Comunico che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha proceduto, nella seduta del 29 aprile 2010, alla nomina del segretario, in sostituzione del deputato Roberto Cota, dimissionario. È risultata eletta la deputata Maria Piera Pastore. A lei i nostri migliori auguri.

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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, recante disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori (A.C. 3350-A) (ore 14,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, recante disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3350-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la VI Commissione, onorevole Milanese, che interverrà anche a nome del relatore per la Commissione attività produttive, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, in apertura di discussione sulle linee generali del provvedimento in esame vorrei evidenziare il proficuo lavoro che è stato svolto nei giorni scorsi congiuntamente dalla VI Commissione (Finanze) e dalla X Commissione (Attività produttive) e che ha portato nella giornata di giovedì a conferire ai relatori il mandato a riferire in Aula. Per questo, prima di entrare nel merito delle tematiche affrontate e delle novità introdotte all'esito delle attività in sede referente, è doveroso riconoscere il lavoro svolto dai presidenti delle due Commissioni e dai colleghi di maggioranza e di opposizione, che dopo un confronto costruttivo e sempre rispettoso delle rispettive posizioni, in taluni casi anche convergenti, ha consentito di formare l'attuale testo che viene posto alla valutazione dell'Assemblea. Un ringraziamento va rivolto agli uffici che hanno garantito, grazie alla loro competenza e dedizione, un andamento dei lavori tale da consentire oggi di discutere del provvedimento con pienezza di cognizione sui diversi temi emersi.
Si tratta di un provvedimento che è stato ulteriormente arricchito con nuove misure che integrano tutti i settori già proposti nel testo originario, con particolare riguardo ai seguenti quattro profili: contrasto alle frodi fiscali e finanziarie internazionali e nazionali; potenziamento dell'amministrazione finanziaria; razionalizzazione della riscossione; interventi agevolativi a sostegno della domanda.
Proprio in relazione a questa area di interventi, vorrei sottolineare come le decisioni assunte in seno alle Commissioni, pur salvaguardando le prerogative del Parlamento, hanno inevitabilmente dovuto tener conto della necessità di non pregiudicare gli equilibri di bilancio proseguendo quindi, coerentemente con la volontà del Governo, in una politica diretta ad evitare di indebolire, attraverso l'ulteriore aggravamento del debito pubblico, pericoloso fattore di incertezza finanziaria per tutta l'Eurozona, la forte protezione che è stata Pag. 3eretta a difesa del nostro sistema finanziario nazionale con la manovra finanziaria triennale del 2008.
Questa volontà è stata dettata, da un lato, dalle vicende che stanno interessando altri Paesi europei a più forte rischio di «contagio default» e, dall'altro, dai recenti risultati emersi dalle proiezioni del Fondo monetario internazionale relative agli aggiustamenti strutturali che ogni Paese deve porre in essere per raggiungere l'obiettivo del debito/PIL al 60 per cento nel 2030. Si tratta di dati che incoraggiano nel proseguire sulla strada tracciata per il nostro Paese, tenuto conto che evidenziano come, per l'Italia, l'aggiustamento da attuare tra il 2010 e il 2020 per raggiungere il citato obiettivo è attorno al 4 per cento dell'avanzo primario, quindi, leggermente superiore a quello che dovrà fare la Germania.
Ciò sta a significare che la politica economica adottata dal Governo e da questo Parlamento ha portato l'Italia, in materia di debito pubblico, ad essere al fianco della Germania e ad avere una situazione migliore rispetto a tanti altri grandi Paesi, Stati Uniti compresi.
Per questi motivi, anche questo decreto-legge si pone in continuità con i precedenti provvedimenti anticrisi adottati dal Governo e da questo Parlamento nell'ambito della propria politica economico-finanziaria. In particolare, esso può essere considerato una sorta di continuazione del decreto-legge n. 5 del 2009, sebbene sia cambiata la filosofia concernente le politiche di sostegno alla domanda e che predominante è la parte fiscale di rafforzamento del contrasto all'evasione fiscale per consolidare e incrementare il gettito tributario senza aumentare la pressione fiscale indiscriminatamente, bensì concentrando l'opera di razionalizzazione su fattispecie che già evidenziano particolare pericolo di proliferazione dell'evasione.
Tale scelta strategica, coniugata a quella del forte potenziamento degli strumenti di sostegno al reddito, si può considerare ora appropriata - così come è stata definita l'intera politica economica della maggioranza, certificata dai vari organismi internazionali a ciò delegati (FMI, Unione europea, OCSE) - ove si consideri che il tessuto produttivo nazionale ha tenuto e sta tuttora tenendo alle forti pressioni congiunturali di una crisi globale del mercato internazionale.
Infatti, le imprese nazionali maggiormente in crisi sono quelle operanti sui mercati internazionali, in una fase di flessione delle esportazioni. Tali imprese stanno soffrendo della minore domanda proveniente da due dei più grandi partner commerciali (la Germania e la Francia) maggiormente esposti alla recessione economica ed i cui effetti si stanno ancora trascinando nel corso di questo anno, con Paesi come Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna che, come visto, stanno perdendo sempre più competitività e, purtroppo, non solo.
Forse una riflessione, per ora non approfondita, questo Parlamento dovrà fare sulle agenzie di rating, agenzie sicuramente importanti ma non tanto da poter o dover cambiare, modificare o condizionare la vita di un Paese.
Entrando nel merito delle modifiche apportate, nell'ambito di un più generale disposto diretto a contrastare ulteriormente i fenomeni di frodi fiscali e finanziarie internazionali, è stato rafforzato il contenuto della disposizione già presente nel testo originario, all'articolo 1, consentendo di conoscere in via anticipata non solo le informazioni circa i dati relativi alle iscrizioni nel registro delle imprese relative alle deliberazioni di modifica degli atti costitutivi per trasferimento all'estero della sede sociale delle società, ai sensi dell'articolo 2436 del codice civile, ma anche quelli connessi a tutte le operazioni straordinarie. Ed è il caso di sottolineare come questo intervento sia nato da una opportuna proposta dell'opposizione, raccolta anche dalla maggioranza.
La modifica così apportata consente, quindi, un effettivo potenziamento dello strumento conoscitivo per una più proficua attività degli uffici fiscali in una logica di rafforzamento degli strumenti di contrasto all'evasione fiscale, alla quale il provvedimento in esame rivolge la sua attenzione. Pag. 4
A tal proposito, evidenzio come già nel decreto-legge cosiddetto milleproroghe fosse stato previsto l'ampliamento dei poteri di indagine dell'amministrazione finanziaria, prolungando i termini per l'accertamento e introducendo una sorta di inversione dell'onere della prova, in casi eccezionali.
In base a tale previsione, infatti, per il fisco, le attività e i capitali detenuti all'estero (al di là di specifiche disposizioni autorizzative) sono considerati frutto di evasione, lasciando peraltro al contribuente la piena possibilità di dimostrazione del contrario.
Al riguardo, ricordo che, sulla base degli ultimi dati diffusi di recente dall'Agenzia delle entrate, la lotta all'evasione, nel 2009, ha fatto incassare all'erario 9,1 miliardi di euro, superando i risultati dell'anno precedente del 32 per cento, e portando le somme recuperate in due anni al sommerso a 16 miliardi di euro.
Altro settore nel quale significativi sono stati gli interventi operati dalle Commissioni è stato quello del potenziamento dell'amministrazione finanziaria. In particolare, coniugando la duplice esigenza, da un lato, di rafforzare l'amministrazione economico-finanziaria, nell'ottica di maggiore efficacia dell'attività di contrasto all'evasione fiscale e, dall'altro, di contenimento della spesa pubblica, è stata introdotta la disposizione che prevede una maggiore razionalizzazione nell'impiego delle forze assegnate alle diverse branche riconducibili all'amministrazione economico-finanziaria, attraverso la massima mobilità e flessibilità dell'impiego del personale. Il tutto, ovviamente, senza alcun aggravio di spesa, diretto o indiretto, o avvio di processi di assunzione in deroga alla disciplina generale valevole per le altre pubbliche amministrazioni, ed anzi pienamente confermando i processi di riduzione degli organici già imposti a legislazione vigente.
Inoltre, ancora una volta in una prospettiva di razionalizzazione dell'assetto organizzativo, le Commissioni hanno deciso di potenziare l'amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato in vista della sua trasformazione in Agenzia fiscale.
Di spicco sono anche le modifiche apportate con riguardo alla materia della deflazione e semplificazione del contenzioso tributario. In particolare, un primo intervento, è finalizzato a definire il lunghissimo contenzioso tra lo Stato ed i soggetti che fino alla riappropriazione in mano pubblica del servizio nazionale della riscossione - ottobre 2006 - hanno esercitato tale servizio in regime di concessione amministrativa.
Si tratta di un contenzioso assai articolato e complesso che trova origine in comportamenti risalenti ai primi anni Novanta, che si protrae ormai da anni e che, per la mole degli atti da esaminare, comporta una defatigante attività in sede amministrativa e giurisdizionale. Molto spesso, infatti, relativamente alla posizione di ogni singolo debitore risulta necessario procedere, ora per allora, alla verifica della concreta situazione di effettiva esigibilità del credito.
La soluzione individuata dalle Commissioni consente la definizione del predetto contenzioso a fronte del versamento di una percentuale dell'importo in contestazione, quale cristallizzato nel provvedimento giurisdizionale o amministrativo che caratterizza la controversia nel momento in cui si procede alla definizione. Ciò, rende possibile, peraltro, l'incameramento immediato di importi significativi a fronte dell'incertezza sul quantum che potrà derivare dall'esito del contenzioso ed anche sul momento in cui, considerata l'attività da svolgere, il contenzioso stesso potrà terminare.
Analoga finalità ha anche il comma 2-bis dell'articolo 3 rispetto al quale sottolineo come l'eccessiva lunghezza dei processi tributari costituisce un ostacolo alla efficiente domanda di giustizia dei cittadini, offrendo decisioni definitive solo dopo molti anni dalla data dell'originario ricorso di impugnazione dell'atto di accertamento o della diversa pretesa dell'amministrazione finanziaria. Il risultato è non solo privare il cittadino contribuente della fondamentale garanzia rappresentata Pag. 5dalla certezza derivante da una pronuncia giurisdizionale definitiva, ma anche far lievitare costantemente i costi a carico dell'erario, a causa del pressoché inevitabile ricorso da parte delle parti interessate alla richiesta di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta legge Pinto).
Anche le pressanti campagne di stampa delle ultime settimane avevano messo in evidenza come il contenzioso tributario di più risalente origine giacesse ormai in una sorta di improponibile «limbo», dovendosi attendere anni ed anni per giungere a decisioni che invece possono servire a riaffermare il senso di fiducia del cittadino-contribuente nell'amministrazione e nello Stato solo se tempestive, soprattutto allorché già nei precedenti gradi di giudizio sia stata sancita la fondatezza delle tesi dei contribuenti. In questa prospettiva, è di particolare valenza l'intervento volto a consentire effettivamente l'azzeramento del ponderoso contenzioso ancora giacente presso la Commissione tributaria centrale, nonostante - come è noto - ne sia stata sancita la soppressione già da anni.
Proprio per rimuovere questa condizione, le Commissioni hanno deciso di introdurre uno strumento deflattivo per i procedimenti di origine più risalente nel tempo (iscritti a ruolo in primo grado da più di dieci anni), articolato su un duplice binario, a seconda che i procedimenti risultino pendenti innanzi alla Corte di cassazione ovvero alla Commissione tributaria centrale.
Gli effetti positivi derivanti dall'attuazione di tale innovazione, con la definizione di un gran numero di procedimenti attualmente pendenti nei gradi superiori di giudizio e riferiti a controversie ormai datate, spesso legate ad imposte e fattispecie persino soppresse o comunque radicalmente modificate nel corso del tempo, comportano la rimozione di un pesante ostacolo alla trasformazione in termini di stabile efficienza dell'apparato di giustizia tributaria. A questo si aggiunga l'esigenza di assicurare un efficace strumento di deflazione del contenzioso ancora pendente innanzi alla Commissione tributaria centrale per i procedimenti di più antica origine, e che neppure la possibilità di definizione consentita ai sensi dell'articolo 55 del decreto-legge n. 112 del 2008 è riuscito a superare. Così che, liberati dal peso derivante da un contenzioso di origine risalente nel tempo e, al tempo stesso, segnato da plurime pronunce di soccombenza dell'amministrazione finanziaria, ormai gli organi di giustizia tributaria possano assicurare tempi di definizione dei procedimenti contenziosi tributari coerenti con le esigenze di garanzia di una durata ragionevole del processo, imposti sia dalla normativa costituzionale, sia dall'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848.
Altro argomento affrontato nelle Commissioni è stato quello della riscossione, rispetto al quale voglio sottolineare come anche i colleghi dell'opposizione hanno dato un fattivo contributo nella proposizione ed adozione di disposizioni dirette, in particolare, a: prevedere che gli amministratori delle società ammesse alle procedure per la ristrutturazione delle grandi imprese in stato di insolvenza non possano esercitare le funzioni di amministratore e di revisore di società di riscossione tributi per un periodo di dieci anni; prevedere la possibilità di ridefinizione dei termini di approvazione dei bilanci annuali e pluriennali per venire incontro alle esigenze di quegli enti locali interessati dalle vicende riguardanti le società di riscossione delle loro entrate; prevedere, in una logica di tutela del debitore assoggettabile ad espropriazione forzata, che il concessionario proceda ad espropriazione forzata sulla base del ruolo che costituisce titolo esecutivo, fatto salvo il diritto del debitore di dimostrare, con apposita documentazione, l'avvenuto pagamento delle somme dovute ovvero lo sgravio totale riconosciuto dall'ente creditore; prevedere, in materia di modalità di recupero di somme erogate indebitamente dall'INPS, nonché dei crediti vantati dallo stesso ente oggetto di cessione, l'estensione della disciplina della riscossione a mezzo ruoli esecutivi...

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PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, posso chiedere l'estensione del tempo? Magari ancora cinque minuti...

PRESIDENTE. Facciamo tre minuti, va bene?

MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Va bene, Presidente. Chiederò di poter consegnare la relazione e mi avvio alla conclusione. C'è da sottolineare, comunque, che nell'ambito delle modifiche apportate in sede referente ve ne sono alcune dalle quali derivano maggiori entrare per l'erario che le stesse disposizioni hanno provveduto a destinare per il rifinanziamento delle missioni internazionali di pace delle nostre Forze armate.
Prima di concludere, signor Presidente, voglio sottolineare come i relatori al provvedimento in esame stanno operando, congiuntamente al Governo, ulteriori approfondimenti per cercare di risolvere una problematica sollecitata da tutti i colleghi presenti in sede referente e rispetto alla quale il Governo ha assunto l'impegno a valutare ogni possibile esito in grado di andare incontro alle esigenze dei consumatori rispetto alla materia della devoluzione in favore del Fondo depositi dormienti delle polizze assicurative non reclamate, ovviamente coerentemente con le esigenze di stabilità dei conti pubblici e, dunque, in assenza di oneri finanziari.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in conclusione, vi è da sottolineare che le Commissioni hanno lavorato sull'intero testo, lo hanno modificato in alcune parti ed hanno aggiunto alcuni punti essenziali. Tutto questo è avvenuto, sempre e comunque, in coerenza con la situazione economica in atto. Maggioranza e opposizione hanno posto al centro del dibattito esclusivamente l'individuazione delle risposte più adeguate da fornire al Paese, sempre mantenendo invariati i saldi di spesa e di bilancio. Tutto questo è avvenuto, lo ripeto, salvaguardando sempre il primato e le garanzie del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Milanese, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LAURA RAVETTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, mi riservo di intervenire il sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bragantini. Ne ha facoltà.

MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, bisogna fare una premessa a questo decreto-legge che in parte ha già illustrato il relatore. Nei mesi scorsi gli effetti della crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti si sono inevitabilmente ripercossi nel resto del mondo e, quindi, anche in Italia. Il nostro sistema già attraversava una fase delicata, nella quale gli indicatori macroeconomici e congiunturali testimoniavano una crescita in forte rallentamento. Ad un principio di crisi reale si sono perciò sommati gli effetti di una delle più pesanti crisi finanziarie del mondo moderno. I mutamenti socio-economici degli ultimi anni hanno amplificato gli effetti della crisi, in particolare il processo di globalizzazione ne ha velocizzato la trasmissione. Le conseguenze del fenomeno, tra le quali il riallineamento verso il basso dei livelli della qualità della vita, saranno ben evidenti soprattutto in Europa. L'Italia, pur essendo stata colpita gravemente dagli effetti della crisi, non è stata travolta. La struttura del sistema industriale, fatto da piccole e medie imprese, la capitalizzazione del sistema creditizio ed il forte risparmio privato hanno consentito al sistema di reggere. Pag. 7
Gli ultimi dati sulla crisi economica non sono ancora confortanti: a marzo 2010 il tasso di disoccupazione è salito dall'8,6 per cento del mese precedente all'8,8 per cento, mentre il tasso di inflazione è stato ad aprile dell'1,5 per cento annuo contro l'1,4 per cento del mese precedente. Nonostante gli indicatori negativi, il paragone con le altre economie occidentali non è dei più negativi. Il tasso di disoccupazione, nonostante sia in aumento rispetto agli anni scorsi, rimane tra i più bassi in Europa e nell'intero Occidente. La Francia è assestata intorno al 10 per cento, la Spagna al 20 per cento, gli Stati Uniti poco al di sotto del 10 per cento. Fin dall'autunno 2008, il Governo è intervenuto con una lunga serie di decreti, dando il preciso segnale ai mercati della volontà di tutelare i risparmiatori e salvaguardare la stabilità del sistema bancario e finanziario, precostituendo le condizioni normative per eventuali interventi pubblici; ha ampliato gli strumenti a disposizione dello Stato per entrare nel capitale delle banche e garantire la possibilità di finanziamento, subordinando gli interventi alla necessità e alla volontà dei singoli istituti e alla presenza di un preciso programma di stabilizzazione e di rafforzamento e alla vigilanza della Banca d'Italia. Vista la forte contrazione del reddito disponibile, conseguente alla forte contrazione della domanda internazionale ed interna e alla diminuzione dei livelli di occupazione, il Governo è intervenuto, fornendo i necessari mezzi finanziari per sostenere la rete degli ammortizzatori sociali. Sono stati creati nuovi istituti, che consentiranno di attivare nuovi programmi di formazione a favore del personale posto in cassa integrazione. È stata anticipata la corresponsione dell'indennità di disoccupazione in unica soluzione che potrebbe favorire la nascita di nuove iniziative imprenditoriali ad opera di chi ha perso il lavoro dipendente. Parallelamente al rafforzamento della rete degli ammortizzatori sociali, il Governo ha agito, aumentando il reddito disponibile per le famiglie. Nella fase in cui i tassi di interesse stavano ancora salendo, è intervenuto, fissando il tetto del 4 per cento per interessi variabili dei contratti di mutuo. È stata poi istituita la social card per gli acquisti di prima necessità, attribuita solo ai cittadini italiani grazie alla Lega Nord e il bonus per il pagamento dell'energia elettrica e del gas, senza tralasciare la moratoria sui mutui, essenziale strumento per garantire di superare gli effetti della perdita del lavoro.
Innumerevoli sono stati anche gli interventi governativi a favore delle imprese: sono state detassate le prestazioni di lavoro straordinario; è stata introdotta la detrazione del 10 per cento dell'IRAP dall'IRE; per favorire soprattutto le piccole imprese è stato posticipato il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto al momento dell'effettivo incasso delle fatture; è stata concessa la rivalutazione degli immobili iscritti a bilancio a fronte del pagamento di un'imposta sostitutiva; è stata introdotta la cosiddetta «Tremonti-ter» e così via.
Questo decreto-legge si va a inserire in questi provvedimenti. Sui temi di più stretta competenza della Commissione finanze, possiamo sottolineare che sono stati due i principali temi di intervento del presente decreto-legge: la lotta all'evasione e gli interventi in tema di riscossione e di processo tributario. È importante sottolineare l'impegno del Governo sul tema del contrasto all'evasione fiscale, visto che in passato molte sono state le critiche infondate su questo fronte (basta vedere i dati). In particolare, si cerca di porre un freno al fenomeno delle «frodi carosello» con i Paesi esteri, prevedendo che i soggetti passivi IVA comunichino al fisco, in via telematica, tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizio effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione nei confronti di operatori economici aventi sede o residenza o domicilio nei Paesi appartenenti alla cosiddetta black list.
La mancata o parziale o non veritiera comunicazione fa scattare il raddoppio delle sanzioni pecuniarie. Per dare una stretta al proliferare di trasferimenti all'estero di aziende con il solo scopo di eludere o evadere il fisco, viene resa Pag. 8obbligatoria la comunicazione al registro delle imprese, all'Agenzia delle entrate e agli enti previdenziali delle deliberazioni di modifica degli atti costitutivi aventi ad oggetto il trasferimento delle sedi all'estero e viene semplificato il sistema delle notifiche ai contribuenti non residenti in Italia, sia persone fisiche sia imprese.
Sul versante della riscossione è da sottolineare la possibilità per le società che svolgono attività di riscossione per gli enti locali di accedere alle misure urgenti per le ristrutturazioni industriali di grandi imprese in stato di insolvenza previste dalla legge n. 39 del 2004, sottolineando che abbiamo introdotto un correttivo, grazie all'emendamento della Lega Nord, a prima firma dell'onorevole Comaroli, sull'inibizione degli attuali amministratori a ricoprire ruoli all'interno delle medesime società per un periodo di 10 anni.
È importante anche il tentativo di ridurre la durata dei contenziosi tributari in essere, consentendo la risoluzione delle controversie pendenti da più di 10 anni e semplificando il procedimento di notifica delle sentenze alle parti del processo tributario, abolendo l'obbligo di avvalersi dell'ufficio giudiziario.
Sui temi più industriali, occorre sottolineare la decisione politica di sostenere, con questo decreto-legge, alcuni settori importanti per il nostro sistema, quali il tessile, attraverso l'esclusione dall'imposizione del reddito di impresa, nel limite complessivo di 70 milioni di euro, del valore degli investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, finalizzati alla realizzazione di campionari fatti solo nell'Unione europea (questo grazie ad un altro emendamento della Lega Nord a mia prima firma) dalle imprese a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2009 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2010.
Questo per dire che questo Governo ha lavorato e sta lavorando per risolvere i problemi reali del Paese e non sta parlando, come fa qualcuno altro. È vero che avevamo presentato anche degli altri correttivi.
Ad esempio, avevamo provato, sia l'anno scorso sia quest'anno, ad intervenire per quanto riguarda il settore del mobile, molto importante per le nostre aziende. Però le risorse sono quelle che sono e stiamo facendo il possibile. Speriamo che nel futuro si possa fare un intervento anche in questo settore, magari dando la possibilità per le giovani coppie e per le famiglie di poter avere degli sconti oppure di detrarre dalle tasse i soldi per l'acquisto di mobili per la prima casa.
Oppure, forse un'altra occasione mancata è quella di rifinanziare i fondi per la trasformazione delle macchine a GPL o metano, che avrebbe un doppio vantaggio: uno, per quanto riguarda le imprese (quasi tutte le imprese che producono componentistica per questa trasformazione sono residenti in Italia); secondo, quasi tutti i trasformatori sono italiani, perché nessuno porta la macchina all'estero.
In più vi sarebbe anche un vantaggio dal punto di vista ambientale, perché una macchina che va a GPL o a metano inquina molto, ma molto meno, di una normale. A nostro avviso, poi, per quanto riguarda l'IVA per cassa, che è stata introdotta l'anno scorso, dovremmo trovare il modo di innalzare il limite di fatturato.
Adesso è di 250 mila euro e dovremmo portarlo, piano piano, anno per anno, sempre più in alto; il nostro auspicio è che venga finalmente portato a regime, per un motivo molto semplice: uno dovrebbe pagare le tasse quando incassa i soldi e non quando emette la fattura. Qui si inserisce un'altra problematica molto importante: il pagamento delle fatture.
Troppo spesso, non solo dalla pubblica amministrazione verso i fornitori, ma anche dalle grandi aziende, soprattutto dalla GDO, vi è la problematica che pagano i loro fornitori a 90-120-180 giorni. Dovremmo trovare il modo di far sì che queste aziende della grande distribuzione organizzata, che hanno liquidità, paghino il prima possibile i loro fornitori, in modo che vi sia un circolo virtuoso che possa Pag. 9ripartire, perché ultimamente il problema non è del lavoro e basta, ma è del pagamento dei lavori che stanno facendo i nostri artigiani, i nostri produttori e i nostri agricoltori.
Per questo, speriamo che nella discussione si possa inserire qualcos'altro o che vi siano degli elementi per ulteriori provvedimenti in futuro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, affrontando il cosiddetto decreto incentivi, la prima domanda che mi pongo è se il Governo abbia mai pensato, quanto meno nella sua collegialità, di aprire una riflessione sul significato di politica economica e, all'interno di questa, sul significato di politica industriale.
Certamente non lo ha fatto in Aula; mentre credo invece che una riflessione profonda, anche ascoltando quello che ha da dire chi sta all'opposizione, andrebbe fatta, perché la mia sensazione è che in questi due anni sia mancata totalmente nel Governo un'indicazione, un disegno di politica economica e di politica industriale coerente, basato su alcuni dati (sui dati poi si può discutere, ma se non vengono indicati è difficile anche fare un ragionamento), che mostri, come avviene tutte le volte che si fa un piano, i risultati che si vogliono ottenere, gli obiettivi, i mezzi messi a disposizione per ottenere tali risultati.
Ho alcune dichiarazioni del Ministro per lo sviluppo economico, del Ministro Tremonti, eccetera, che affermano che l'obiettivo è quello di sostenere la domanda, di sostenere la ripresa economica. Questo lo hanno affermato quando è stato emanato il cosiddetto decreto-legge incentivi FIAT, e lo si ripete oggi. Ma se devo sostenere la domanda, l'intervento di politica economica non può essere un intervento microsettoriale sui singoli settori: caso mai, esso deve far parte di una discussione sulla politica industriale, che è una parte della politica economica. Se il mio obiettivo è quello di sostenere la domanda interna, devo mettere i consumatori, quelli che poi sostengono effettivamente la domanda, nelle condizioni di poterlo fare: il principio di politica economica collegato all'obiettivo del sostegno della domanda interna, è quello di aumentare la capacità di spesa delle famiglie, dei cittadini e dei consumatori. È tuttavia evidente che, se tale è l'obiettivo, e in qualche caso un obiettivo dichiarato, il modo con cui si vuole ottenerlo è sbagliato: è sbagliato sul piano del metodo ed è sbagliato nel merito, andando a guardare attraverso quali strumenti lo si vuole ottiene; è poi sbagliato anche sul piano delle risorse, perché, se pensiamo davvero che si sostenga la domanda interna con 300 milioni di incentivi, allora viene un po' da sorridere.
Se vogliamo invece affermare che stiamo mettendo in opera una manovra di politica industriale, allora il comportamento del Governo è ancora meno comprensibile: quando varo una manovra di politica industriale, lo faccio per sostenere o per sviluppare settori che hanno bisogno di essere sviluppati, e non per rispondere a richieste di natura lobbistica del tale microsettore piuttosto che di un altro. Si deve allora capire cosa serve al nostro Paese in termini di politica industriale per lo sviluppo. Forse qualcuno dimentica, ma non dobbiamo mai farlo, che il vero problema del nostro Paese è che, da 15 anni, esso non cresce: cresce ad un tasso medio che è inferiore all'1 per cento, mentre i nostri competitor (e non parlo dei nuovi competitor, quelli lontani, bensì di quelli tradizionali, di quelli più vicini a noi: parlo di Germania, di Francia, di Inghilterra, di Spagna) hanno avuto tassi di crescita fondamentalmente... (Commenti del deputato Conte). Presidente Conte, hanno avuto tassi di crescita mediamente doppi dei nostri: non mi pare che possiamo fare un confronto, e soprattutto la loro produttività a livello di sistema è cresciuta molto più di quanto non sia cresciuta la nostra! Pag. 10
Se il problema allora è quello di «dare» sviluppo, devo decidere innanzitutto quali sono i settori, le filiere che servono per far crescere il Paese, devo decidere all'interno di queste filiere quali sono i settori, e poi devo decidere le risorse da mettere in cantiere per lo sviluppo del Paese.
L'idea, infatti, che, con 300 milioni, si possa sussidiare l'acquisto di qualche bene e che questo fornisca incentivi a comportamenti socialmente desiderabili, a me pare francamente discutibile.
Come dicevo, il nostro prodotto non cresce attraverso un trend orizzontale della produttività e non cresce la produttività. Naturalmente, non sto dicendo che non vi è la crisi - ci mancherebbe, la crisi c'è - ma, proprio per questo, sorridevo quando il nostro relatore diceva prima che sta studiando con il Governo la possibilità di trovare una soluzione al problema delle polizze dormienti, mentre il Governo si accinge ad adottare un decreto-legge che tira fuori 5 miliardi per aiutare la Grecia. Ma il relatore dice che si sta studiando per trovare qualche decina di milioni per la finalità precedentemente citata oppure che sono stati presentati degli emendamenti perché, ad esempio, c'è il settore bieticolo-saccarifero per il quale non si prevede un'ipotesi di aiuto. Si parla infatti di impegni presi - non dico contrattuali, ma quasi contrattualizzati - da parte del Governo e confermati il 10 marzo dal sottosegretario Letta in sede CIPE, ma poi non si trovano gli 80 milioni di euro che rischiano di mettere sul lastrico diecimila operatori del settore.
Mi si dice che non riusciamo a trovare le risorse, ma mi viene da ridere perché la settimana scorsa è stato emanato un decreto, pensate un po', che getta e disperde al vento tre milioni di euro per celebrare i centenari di tanti pittori - per carità, saranno anche illustri - e persino 120 mila euro regalati per la ricorrenza del centenario di Confindustria.
E poi ci chiediamo come facciamo a trovare i quattrini per rispondere a quei poveracci che si sono trovati «fregati» con polizze che sono rimaste lì, che non sapevano di avere e che non avevano potuto incassare, mentre lei, signor relatore, mi viene a dire che sta studiando con il Governo per trovare dei fondi e risolvere quel problema.
Ma certo non è così che si fa, con atti così contrastanti come la dispersione dei soldi o quei 140 milioni della cosiddetta «legge mancia»; i soldi erano stati stanziati, bastava usarli in modo diverso e, forse, oggi avremmo potuto sostenere il settore bieticolo-saccarifero per il quale vi sono impegni precisi assunti contrattualmente (si tratta quindi di diritti per quegli operatori, non stiamo parlando di promesse da mantenere).
Allora, ritornando al nostro decreto-legge sugli incentivi, mi fa un po' sorridere l'idea (ripeto anche il centrosinistra ha varato la rottamazione) che si tratti di qualcosa che ha un significato profondo di politica economica o di politica industriale per lo sviluppo.
Ho fatto anche qualche calcolo: 300 milioni disponibili per avere sconti di 750 euro per un motorino (ma non per una bicicletta, ad esempio, come forse poteva essere utile prevedere), 1.000 per le cucine, 130 per le lavastoviglie (le lavatrici invece non interessano), 1.000 euro per i motori nautici, ma solo per quelli fuoribordo (se sono entrobordo non diamo incentivi), 50 euro per la connessione Internet (ma solo se non si hanno più di trenta anni).
Quindi, anche volendo cercare un filo conduttore, dei criteri in base ai quali vengono assegnati questi incentivi, diventa davvero difficile trovarlo.
Il Ministro Scajola ha detto in merito a questo decreto-legge che l'obiettivo è quello di sostenere la ripresa economica per raggiungere nel 2010 una crescita dell'1-1,2 per cento; siccome le parole hanno un peso, se uno dà dei numeri, ci si immagina che vi abbia fatto pure un ragionamento sopra.
Vorrei ricordare che a novembre 2009 il Ministro Tremonti aveva fatto una previsione di crescita dell'1 per cento per il 2010 e l'aveva ribadita a gennaio 2010. Ora noi sappiamo che il prodotto interno lordo italiano è di circa 1.000 miliardi di euro, Pag. 11ma allora vorrei capire: se qualcuno immagina di farlo aumentare dello 0,1 per cento, sussidiando consumi per 300 milioni, vuol dire che ci sarebbe un moltiplicatore - per ottenere quel risultato - di 3,3. Siccome i numeri li ha dati il Ministro, non io, si tratta di un moltiplicatore di 3,3. È veramente un dato ridicolo (figuriamoci se si volesse farlo aumentare dello 0,3-0,5 per cento in questo modo). È evidente che siamo di fronte ad un atto di propaganda, anche perché un intervento serio di politica economica e di politica industriale non si fa per decreto, ma attraverso una legge nella quale si discute - come dicevo prima - il piano degli interventi e delle azioni che sta dietro la legge. Altrimenti qual è l'urgenza? L'urgenza c'era, ma erano le elezioni regionali, non c'entrava nulla tutto il resto: si trattava di 300 milioni da buttare lì pro elezioni (sicuramente avranno avuto anche un effetto positivo).
L'inconsistenza dell'intervento dal punto di vista degli obiettivi che si volevano raggiungere emerge quando si leggono certe dichiarazioni. Il presidente della Confindustria del settore nautico parla di giornata storica, perché gli hanno dato incentivi a favore dei fuoribordo, e dice: è rilevante perché è il riconoscimento dell'importanza industriale di un comparto. In altre parole, il sostegno pubblico all'industria consiste nel riconoscimento politico dell'importanza del settore, non in un intervento che serva a sviluppare il settore, ma a dire che quel settore è importante (prendiamo atto anche di questo).
Fatto sta che la possibilità di manovra è pari a zero, perché quando emani un decreto-legge che è immediatamente operativo e le cui risorse distribuisci come vuoi, hai deciso tu come distribuire le risorse stesse e, quindi, anche la possibilità di discuterne si traduce semplicemente in un'ipotesi totalmente accademica.
Allora, è evidente l'effetto pratico di un intervento di questo tipo: in realtà è quello semplicemente, se va bene, di anticipare acquisti che erano già stati decisi, che qualcuno aveva già deciso di fare. Lo credo davvero: che differenza può fare, per una persona che ha perso il lavoro, per esempio durante questo periodo di recessione (o che si trova in cassa integrazione), e che perciò non può comprarsi una nuova cucina da 10 mila euro, che vi siano 1.000 euro di sconto? Davvero c'è qualcuno che pensa che possa fare differenza? E se non potevi permetterti lo scooter da 8 mila euro prima, siccome ora ne costa 7 mila 250 euro te lo puoi permettere? Un imprenditore edile, in un'edilizia totalmente in crisi, davvero ricomincia a costruire perché prende 30 mila euro per acquistare una gru a torre? Davvero lo pensiamo? È evidente che se quell'imprenditore aveva deciso di comprare la gru a torre ne approfitta e la paga 30 mila euro in meno, se gli va bene.
Il vero problema è che i risultati di un'operazione come questa sono innanzitutto una ovvia attività di lobbying, che tutti coloro che hanno partecipato ai lavori delle Commissioni interessate hanno toccato con mano guardando la «fauna» che c'era all'esterno delle Commissioni stesse durante la discussione. Si è trattato di decidere dove dare e dove non dare, per cui spesso la linea viene tracciata tra prodotti che hanno un alto grado di sostituibilità. È ridicola la storia per cui sono stati previsti incentivi per i motori fuoribordo, mentre per gli entrobordo no: che senso ha? Che logica ha? È lo sviluppo dei motori? Se uno deve sviluppare il settore dei motori non fa distinzione a seconda che siano fuoribordo o entrobordo. La verità è che ci sarà - come capita sempre in questi casi, ed è un'esperienza consolidata tutte le volte che si sono fatte le rottamazioni - un mese, un mese e mezzo di crescita della domanda, dopodiché andrà a picco (com'è stato per la FIAT). Andrà a picco - lo ripeto - e si pagherà nei prossimi mesi il fatto che si è voluto semplicemente anticipare gli acquisti.
Molto diverso sarebbe stato se il sostegno alla domanda fosse derivato dalle scelte dei consumatori, dando loro la possibilità di disporre di maggiori capacità di spesa, perché si sarebbe alimentata la domanda soprattutto dove la richiesta dei Pag. 12consumatori è spontanea, non indotta o ottenuta attraverso un anticipo degli acquisti, come avviene con questo tipo di provvedimento. È, quindi, un provvedimento che noi giudichiamo complessivamente negativo.
Vorrei anche aggiungere due parole sulla parte fiscale del provvedimento e sul quadro che se ne trae leggendo le norme: è mai possibile che in questo Paese soggetti pubblici ed enti previdenziali, come anche l'Agenzia delle entrate, ancora non dialoghino? Dobbiamo stabilire e obbligarli per legge a dialogare? Vorrei ricordare a questo Governo che in questi ultimi dieci anni ha governato otto anni su dieci e che non è neppure stato in grado di permettere un dialogo tra gli enti, ma che obbliga per legge i soggetti che hanno crediti di imposta a comunicarli agli altri. Deve obbligare tali soggetti a darsi le comunicazioni, perché altrimenti c'è il rischio che, se una persona comunica che ha cambiato sede ed è andata in un paradiso fiscale, quella comunicazione non venga data a chi deve controllare se costui sta evadendo le tasse oppure no! Siamo un Paese allo sbando se questo è vero! Se questo è vero, da questo decreto-legge deriva un giudizio assolutamente negativo del comportamento del Governo. Siccome ribadisco che su dieci anni questo Governo ne ha governati otto, è evidente che le responsabilità le ha principalmente chi ha governato.
Inoltre vi è la storia dei condoni: ma quali condoni se uno ha perso due volte? C'è qualcuno che mi fa capire perché uno che ha vinto due volte dovrebbe pagare? O si è comprato le sentenze, e allora può pure darsi che preferisca cavarsela pagando un'aliquota da ridere come quella del 5 per cento - se non sbaglio o giù di lì -, o aveva ragione, e allora che motivo avrebbe di pagare? Quanto ci si immagina di incassare?
Vorrei ricordare al collega relatore che il Ministro Tremonti fece approvare, nel precedente Governo Berlusconi - non in questo - una serie di condoni fiscali, dichiarando una previsione di entrata di 11 miliardi di euro. La Corte dei conti ha accertato, un po' di anni dopo, che lo Stato ne ha incassati solo 6. Ovvero, 5 miliardi sono stati autodichiarati da contribuenti, evasori e quant'altro, che qualche volta hanno pagato la prima rata e poi non hanno più pagato. Come faccio, quindi, a dare credibilità alle cifre che oggi mi si viene a dire saranno incassate da un condono come questo, che di per sé è un condono ridicolo, mentre si vanno a chiudere tutti i contenziosi con i concessionari all'interno dei quali sono avvenute le più grandi «schifezze» che ci si possa immaginare? Così mettiamo una pietra sopra alle tante «schifezze» e non affrontiamo e non risolviamo il problema di Tributi Italia Spa, per la quale noi chiederemo una Commissione parlamentare di inchiesta. Crediamo, infatti, che quello che è avvenuto e la mancanza di controlli da parte di chi doveva esercitarli siano un dato così rilevante da indurci a chiedere almeno un intervento per permettere la salvaguardia e la tutela dei comuni truffati - e quanti ce ne sono di comuni truffati da quei signori! -, ma finora la nostra proposta non è stata accolta.
Mi riservo naturalmente, nel prosieguo dell'iter della conversione del decreto-legge, di valutare come l'Aula recepirà le nostre proposte emendative, che in molti casi vanno nel senso di migliorare il provvedimento. Tuttavia, devo dire che il provvedimento, così come si annuncia oggi, così com'è oggi nel testo all'esame dell'Aula, è un provvedimento sul quale l'Italia dei Valori non può che esprimere un giudizio duramente e assolutamente negativo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Torazzi. Ne ha facoltà.

ALBERTO TORAZZI. Signor Presidente, vorrei fare due piccole annotazioni, perché mi rendo conto che, in questa sede, stiamo parlando di manovre, ma c'è qualcuno che con i numeri non ha molta familiarità.
Anzitutto vorrei ricordare che, negli ultimi quattordici anni, per sette anni ha governato il centrosinistra e che, purtroppo, Pag. 13questa maggioranza si è trovata come quegli imprenditori che - sapete com'è il destino cinico e baro - a volte hanno fratelli diversamente intelligenti e quest'ultimi hanno governato per la metà di questi quattordici anni combinandone di tutti i colori (tra le altre cose l'ingresso entusiasta della Cina nel WTO con il nostro appoggio).
Dopodiché, se facciamo un'analisi sull'economia, va ricordato che lo sviluppo degli altri Paesi è stato dopato dall'aumento del deficit, che noi, invece, non abbiamo potuto aggravare perché negli anni di vacche grasse, dal 1996 a 2001, qualcuno non aveva pensato a risparmiare.
Detto questo, siamo favorevoli al provvedimento in esame che, tuttavia, poteva essere migliore. Ricordo il problema del mutuo che, adesso, è stato affrontato con un nuovo decreto-legge; il problema della CO2, sul quale sarà necessario intervenire in futuro, e ricordo, tra le altre cose, la mancata approvazione in Commissione dell'aumento dell'IVA per cassa.
Inoltre, devo anche segnalare la mancata sensibilità federalista che non ha permesso di accogliere in Commissione l'emendamento della Lega Nord sull'idroelettrico, che avrebbe riconosciuto finalmente un diritto ai territori che ospitano le centrali idroelettriche che fanno sì poi che queste risorse siano messe a disposizione di tutto il Paese.
Vi sono comunque passaggi positivi, come la lotta alle frodi fiscali. In particolare, si interviene sui meccanismi che facilitano il ricorso ai paradisi fiscali; rimane tuttavia aperto il problema scatenante di questa crisi. Parliamo di interventi che non avrebbero avuto un costo sulle finanze in questo momento.
Bisogna ricordare che la causa scatenante è stata la globalizzazione selvaggia e poi si è concretizzata con la crisi finanziaria, che è diventata economica. Ma senza la globalizzazione, che è stata anche finanziaria, non avremmo dovuto affrontare questa situazione drammatica. La globalizzazione, per come è stata gestita, è il vero male che ha portato a questa crisi. Ancora una volta l'unica forza politica che ha cercato chiaramente di mettere dei paletti a tali distorsioni e, quindi, di combattere la delocalizzazione è stata la Lega Nord Padania.
Alcuni nostri emendamenti fortunatamente sono stati approvati. Ricordo quello a firma dell'onorevole Bragantini, che punisce chi realizza campionature al di fuori dell'Unione europea, magari ricevendo sussidi e poi li marca come made in Italy. Ricordo l'emendamento dell'onorevole Reguzzoni, che istituisce un fondo di 5 milioni di euro che favorisce chi attua immediatamente la politica del made in Italy. Tuttavia, altri emendamenti sono stati bocciati in Commissione e noi li abbiamo riproposti per l'Aula a prima firma del nostro capogruppo in Commissione finanze, Fugatti. Altri emendamenti importanti sono da ricordare e, tra questi, vorrei sottolineare quello che riguarda la norma sui conti dormienti, che sarebbe dovuto intervenire per evitare la retroattività per le polizze vita.
Noi auspichiamo che tali emendamenti possano essere presi in considerazione dal Governo e dalla maggioranza al fine di migliorare nell'insieme questa manovra. Vorrei, inoltre, ricordare un passaggio che è in un nostro emendamento, forse sovradimensionato per la situazione e per il momento. Tuttavia, abbiamo proposto la proroga sino al 31 dicembre della cosiddetta Tremonti-ter, prevedendo anche una rivisitazione di tale norma, perché purtroppo essa, che ad oggi è già finanziata fino al 30 giugno, fa riferimento alla consegna dei macchinari. Ora, premesso che per lo sviluppo delle nostre aziende e la salvaguardia dei posti lavoro la Tremonti-ter è una norma strategica e importantissima, va detto che, prendendo in considerazione la consegna, oggi stiamo favorendo gli importatori che hanno i macchinari in pronta consegna.
Sarebbe invece opportuno non solo prorogarla al 31 dicembre, come noi chiediamo, ma - sempre come chiediamo noi con il nostro emendamento - prevedere che tale proroga contempli l'ordine e la consegna nei diciotto mesi successivi per Pag. 14favorire effettivamente i nostri comparti produttivi. Ci rendiamo conto del fatto che il provvedimento in esame non ha la struttura per reggere magari la Tremonti-ter, però noi vogliamo segnalare al Governo e alla maggioranza l'esigenza di prendere in considerazione assolutamente il rinnovo di questa norma, che è fondamentale.
Il settore delle macchine utensili soltanto, tolti tutti i mezzi di produzione, ha 180.000 addetti e fattura 40 miliardi di euro. Se non sosteniamo queste società, che sono quelle che, pagando le tasse, permettono che vi sia un Governo, che vi sia una legge finanziaria e che vi sia un decreto incentivi, mettiamo a rischio la sopravvivenza generale della nostra società, perché una società si alimenta ovviamente con le tasse.
Quindi, noi chiediamo che per una volta ci si ricordi di coloro che stanno alla base del nostro lavoro, del sostentamento delle nostre famiglie e della struttura della nostra società. È una situazione difficile e dobbiamo evitare problemi come quelli della Grecia. Sappiamo che i fondi sono pochi, cerchiamo però di indirizzarli al meglio. Ripeto dunque la richiesta al Governo di analizzare con attenzione una proroga, eventualmente con un altro provvedimento ad hoc, della Tremonti-ter (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Polidori. Ne ha facoltà.

CATIA POLIDORI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è con profonda soddisfazione e - permettetemi - anche con una punta di orgoglio condivisa da tutti quanti hanno lavorato così bene e così tanto, che prendo quest'oggi la parola per poter affermare, senza essere smentita, che noi non siamo la Grecia e che la «Cenerentola Italia» può a buon diritto smettere i logori panni per rivendicare un ruolo internazionale, la stima e la fiducia ampiamente guadagnati sul campo in questi due anni di grande lavoro del nostro Governo.
L'Italia è stata finalmente depennata dalla black list dell'Eurozona, conquistando in breve tempo un'autorevolezza ed un peso politico riconosciuti dalla stampa estera e da enti ed istituzioni sovranazionali e assolutamente super partes: uno per tutti il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, che in giorni non certo facili per il vecchio continente ha dichiarato che «l'economia italiana è forte e solida». Sono parole di non poco conto, se collocate nello spaventoso scenario europeo ed internazionale e che mai i catastrofisti e soprattutto le cassandre della sinistra avrebbero pensato potessero essere pronunciate, figurarsi in tempi di crisi planetaria.
Al contrario, grazie ad una politica rigorosa e lungimirante, improntata al senso di responsabilità ed incentrata sul perseguimento del bene comune, piuttosto che sulla finanza spericolata, oggi il Governo e gli italiani possono alzare la testa e guardare al futuro, nella consapevolezza certo che la crisi tuttora in atto ha fatto molto di più che pregiudicare, come altre volte in passato, il solo stato di salute dell'economia, la quale tuttavia costituisce l'ambito sociale che in modo più immediato di altri ne subisce ovviamente gli effetti negativi.
L'attuale crisi ha cambiato per sempre il paradigma sul quale si fondava l'intero ordine mondiale, perturbando le relazioni al suo interno e minando la sopravvivenza delle sue strutture, al punto che, una volta restituite stabilità e prospettiva delle nazioni, gli Stati dovranno impegnarsi in una radicale opera di revisione del loro ruolo politico, cui hanno erroneamente abdicato in favore della finanza, e ad un ripensamento del sistema mondo anche in chiave culturale, dal momento che la crisi non ha risparmiato nessun settore della vita reale, nemmeno quello psicologico, il cui effetto più immediatamente visibile è stato di certo il crollo della fiducia, che ha finito per alimentare poi la spirale negativa che tutti conosciamo.
Ecco dunque che nello stesso momento in cui gli economisti e l'Europa si interrogano su come arginare gli effetti disastrosi Pag. 15della tempesta metaforicamente abbattutasi sulla Grecia (al punto da far dichiarare in Parlamento al Premier Papandreou: «La sopravvivenza della nazione è la nostra linea rossa») e mentre nere nubi minacciano i cieli di Spagna, Portogallo e Irlanda, l'Italia invece è pronta: sul fronte esterno, a correre in aiuto della vicina Grecia, anche nella convinzione che l'Europa unita non debba ridursi ad una mera realtà monetaria, con la consapevolezza di essere ormai un solo soggetto politico oltre che economico (è di oggi la telefonata del Premier Papandreou al nostro Presidente Berlusconi, per sottolineare come l'Italia sia intervenuta per prima in aiuto verso la Grecia); e sul fronte interno, a dare appoggio concreto alle famiglie, ai loro consumi e quindi all'economia con il decreto varato dal Governo ed oggi all'esame dell'Assemblea.
Un decreto-legge (atto Camera n. 3350), alla cui stesura hanno collaborato le due Commissioni Attività produttive e Finanze e contenente, oltre alle disposizioni tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali, anche importanti misure di sostegno all'attività produttiva e ai consumi, tese a migliorare - come previsto dall'articolo 4 del provvedimento in discussione, che più da vicino riguarda la Commissione di cui faccio parte - la qualità della vita e dell'ambiente. Tutto ciò attraverso prodotti ecosostenibili volti ad accrescere la sicurezza sul lavoro in un'ottica che premia settori ed imprese innovative e che sostiene i comparti che più di altri hanno maggiormente sofferto il perdurare della crisi economica.
È infatti prevista l'istituzione di un fondo per il sostegno della domanda, finalizzato, come poc'anzi ricordato, al perseguimento di obiettivi di efficienza energetica, ecocompatibilità ed al miglioramento della sicurezza sul lavoro attraverso il gettito fiscale derivante dal recupero dell'evasione. Tutto ciò, come ben ricordiamo, a completamento di un circuito virtuoso avviato dalla norma che dispone il rimpatrio e la regolarizzazione dei capitali.
Il decreto-legge in discussione rivolge inoltre una attenzione particolare nei confronti delle famiglie (non a caso, tra le filiere interessate vi è il sistema casa: cucine componibili complete di elettrodomestici efficienti, elettrodomestici in genere, immobili ad alta efficienza energetica), e dei giovani (Internet veloce, motocicli e motocicli elettrici ibridi), i cui consumi hanno ricadute positive anche per le imprese.
Lo spirito che ha animato il suo varo, infatti, è stato quello di restituire la giusta centralità alle famiglie, ai lavoratori e ai produttori che «annodati» insieme compongono i fili della corda dell'economia reale. Sostenendo la domanda (anziché l'offerta) si ha, infatti, il doppio vantaggio di finanziare direttamente i consumatori ed indirettamente le imprese. Ciò è ben diverso che spargere denari a pioggia obbedendo ad un assurdo, quanto anacronistico principio assistenzialista che mortifica la capacità di impresa, mina la responsabilità sociale e danneggia l'economia.
Dando impulso alle filiere produttive del nostro Paese, inoltre, il Governo ha inteso perseguire il già grande lavoro compiuto con il decreto-legge n. 135 del 2009, poi convertito dalla legge n. 166 del 2009, nel preciso intento di tutelare, rafforzare e rilanciare il marchio del made in Italy e con esso le nostre migliori eccellenze, premiando la qualità, la creatività e il know-how tricolore di imprese di piccole e medie dimensioni. Imprese, che, a prezzo di duri sacrifici, nemmeno in tempi di vacche magre come questi hanno smesso di innovare e, anziché fare armi e bagagli come purtroppo sogliono fare le loro colleghe di grandi dimensioni, hanno rischiato sulla propria pelle vendendo i cosiddetti gioielli di famiglia, pur di non delocalizzare e restare ancorate alle loro radici. Esse hanno fatto proprio il paradigma «impresa-cultura-territorio» per contribuire a fare grande l'Italia nel mondo.
Il Ministero dello sviluppo economico, ed in particolare l'Istituto nazionale per il commercio estero, sta facendo un grande Pag. 16lavoro per valorizzare i nostri manufatti anche attraverso formule innovative finalizzate ad ottenere l'ammodernamento del sistema produttivo, la promozione del nostro Paese, il potenziamento dell'offerta turistica. Questo ci ha consentito nell'immediato di dare un'ulteriore boccata di ossigeno alle famiglie e alle imprese italiane reperendo i fondi che oggi stiamo ridistribuendo, creando quindi le condizioni per agganciare la ripresa una volta che essa si sarà consolidata.
Il provvedimento di cui stiamo discutendo va collocato nel più ampio quadro della crisi globale generata, come ormai tutti sanno, nell'estate 2007 oltreoceano, a seguito del crollo della finanza cosiddetta innovativa e da lì dilagata nel resto del mondo, con un effetto domino che ha azzerato lo spazio e contratto il tempo. Una crisi, quella tuttora in atto, di cui, malgrado si sia detto tutto, non è ancora possibile prevedere la fine, né tantomeno azzardare cure sperimentali per debellare definitivamente il virus che nel frattempo ha subito delle mutazioni. Ben lo sa chi ha provato a lanciarsi in rimedi rivelatisi essere della stessa natura dei mali da curare e, nel migliore dei casi, ha prodotto solamente dei palliativi, mentre nel peggiore ha finito per estendere il contagio. Diversamente l'Italia ha saputo tenere sotto controllo la pandemia distanziando il gruppo dei Paesi ultimi in Europa, i cosiddetti PIGS: Portogallo, Irlanda - che ha ormai preso il posto dell'Italia - Grecia e Spagna. Quest'ultima è passata dall'essere un Paese virtuoso ad uno Stato con un disavanzo tra i meno invidiabili d'Europa; e pensare che, secondo i benpensanti di sinistra, avremmo dovuto ispirare il nostro agire alla Spagna del moderno Zapatero.
Politica di rigore, alto senso di responsabilità, coraggio e lungimiranza nella piena consapevolezza che la ripresa è ancora «ballerina», hanno ispirato l'azione del Governo e del Ministro Tremonti che ha fatto scuola inaugurando il modello italiano che oggi molti ci invidiano e al quale sempre più Stati stanno ispirando la loro azione. Il modello italiano ha «tenuto botta» alla crisi realizzando provvedimenti tanto congiunturali quanto strutturali in un quadro di forze e debolezze intrinseche al sistema Paese (importante il risparmio delle famiglie e la grandezza del settore manifatturiero - certamente diverso dalla finanza che ha esposto la crisi di altri Paesi - versus un imponente debito pubblico).
Un modello, quello tremontiano, improntato al sano realismo, dal momento che nessuno era ed è in grado di prevedere come evolverà la crisi, né quando e come l'Eurozona ne uscirà. Un modello, dunque, che ha avuto come stella polare la saggia politica di rigore dei conti pubblici, anche a prezzo di aspre quanto infondate critiche, che ha appunto trovato una solida sponda nel tratto distintivo degli italiani, «un popolo di formichine». Si tratta di un modello che si è prefissato di garantire la tenuta dei conti pubblici, la coesione sociale e la produttività, il tutto senza dare alle banche un centesimo dei contribuenti; al contrario, difendendo il risparmio, i conti correnti e la possibilità di pagare i mutui. Lo stesso dicasi per il welfare.
Qualcuno ci imputa il mancato taglio delle tasse. La pressione fiscale non è diminuita, è vero - non dimentichiamo, però, l'abolizione dell'ICI - ma cosa sarebbe avvenuto tagliando qua e là senza cognizione di causa, solo per ottenere facili consensi elettorali? Ci troveremmo sulla stessa barca dei nostri vicini a navigare a vista e, per di più, a spese delle future generazioni.
La saggezza popolare insegna, invece, che per raccogliere una messe copiosa si deve prima aver ben seminato e preparato il terreno dissodandolo dalle erbacce. Occorre anche saper prevedere le intemperie, dopo di che non resta che attendere con la fiducia e la tranquillità di chi sa di avere ben operato.
Il decreto-legge sulle frodi fiscali, sulla riscossione e sugli incentivi rappresenta sicuramente un ulteriore passo in avanti nella direzione della ripresa dell'economia italiana e noi aspettiamo sicuramente di fare un buon raccolto (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Froner. Ne ha facoltà.

LAURA FRONER. Signor Presidente, alcuni esperti assicurano da qualche tempo che la ripresa è dietro l'angolo e la crisi economica sta per finire, che i consumi riprenderanno e tutti staremo di nuovo bene come prima.
Saremmo ben felici se queste rassicurazioni venissero confermate dalla situazione in essere; diverso è, invece, il riscontro che si coglie all'interno dei mercati economici, dove i consumi, le aziende in crisi e la disoccupazione non registrano ancora un'inversione di tendenza tale da far pensare ad una ripresa.
Anche l'opinione dei cittadini sembra andare in questa direzione e non avvertire sostanziali momenti di rilancio. La sensazione è che la gente sia fortemente in difficoltà e preoccupata, incerta su quello che sarà il proprio futuro e sulle economie che sarà costretta a fare per sopravvivere.
Il disagio sembra non essere circoscritto alla propria situazione familiare, poiché quello che emerge è un vissuto di sfiducia in cui il Governo e le istituzioni non sono stati capaci di trovare soluzioni in grado di arrestare la crisi, che è destinata di conseguenza a produrre un ulteriore generale calo dei consumi, con tutto ciò che ne deriva.
L'economia italiana viene da un anno di grave crisi che ha visto diminuire la capacità produttiva manifatturiera utilizzata di dieci punti percentuali, dal 76,7 per cento del totale del primo trimestre del 2008 al 66,7 per cento del primo trimestre 2010, con un recupero molto limitato negli ultimi mesi.
In questo contesto, lo scorso 25 marzo il Consiglio dei ministri ha varato il decreto-legge n. 40, recante «disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosiddetti »caroselli« e »cartiere«, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori».
Si tratta di un decreto-legge che si può definire, nel complesso, senza personalità, poco utile sul piano economico e con costi di attuazione da non sottovalutare. Ho ripetuto di proposito la denominazione originale per evidenziare l'insieme dei diversi elementi contenuti in questo decreto-legge, i tanti - singolarmente condivisibili, ma nel complesso troppi - obiettivi per i quali sono state messe a disposizione risorse troppo esigue.
Prima di entrare nel merito di quanto prevede il testo normativo, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti che lo caratterizzano. In primo luogo, i tempi. Si tratta di un decreto-legge di cui si parlava già nel novembre 2009, approvato dal Consiglio dei ministri poco prima delle elezioni regionali e che prevede una durata potenziale fino alla fine del 2010. Se il proposito che lo ha ispirato era quello di sostenere il nostro apparato produttivo, sarebbe stato più opportuno intervenire in una fase precedente e meno pesante della congiuntura, nella quale questa boccata di ossigeno sarebbe potuta risultare più efficace, così come sarebbe parso più utile limitare la durata della validità, che risulta invece di nove mesi.
In secondo luogo, per quanto riguarda i fondi messi a disposizione per la copertura, secondo quanto indicato dal Ministero dello sviluppo economico le cifre del decreto-legge si suddividono in 300 milioni di euro di incentivi destinati a favorire i consumi, 70 milioni di euro di sgravi fiscali (inizialmente per il tessile ora anche per il calzaturiero) e 50 milioni di euro per cantieristica e aerospazio. Il tutto per un totale di 420 milioni di euro che vengono coperti con 150 milioni provenienti da fondi già stanziati (100 milioni dal Fondo per la finanza d'impresa, introdotto con la legge finanziaria del 2007, e 50 derivanti da una riduzione delle risorse destinate ai crediti di imposta a favore della ricerca). In realtà, quindi, le nuove risorse messe a disposizione in questo decreto-legge sono solamente 270 Pag. 18milioni di euro che si prevedono di recuperare con le norme antievasione contenute nei primi articoli del decreto-legge.
Le entrate che derivano dalle norme antievasione sono per loro natura incerte e non dovrebbero essere, quindi, usate per finanziare spese certe; inoltre, esse risultano anche a consuntivo non facilmente verificabili e ciò contrasta con il principio della trasparenza della copertura.
Sicuramente non possiamo che condividere con il Governo l'intento di contrastare le frodi «carosello», rese note dal recente caso di Telecom e Fastweb. Tuttavia ci sembra che l'obbligo di comunicare gli elenchi clienti e fornitori, per le sole transazioni con operatori economici domiciliati in Paesi della black list, sia uno strumento che può fornire solo una risposta parziale al problema più generale dell'evasione dell'IVA.
In terzo luogo, per quanto riguarda l'entità e la gestione del Fondo per il sostegno della domanda finalizzata ad obiettivi di efficienza energetica, ecocompatibilità e di miglioramento della sicurezza sul lavoro: ancora una volta la denominazione del Fondo conferma, per questo decreto-legge, le stesse caratteristiche dei precedenti decreti anticrisi, ossia poche risorse per troppi obiettivi.
I 300 milioni di euro messi in campo per gli incentivi rappresentano lo 0,1 per cento del PIL del settore industriale: una somma troppo esigua per rilanciare la crescita. Inoltre, essi devono essere suddivisi fra dieci settori e una ventina di tipologie di beni: dalle cucine componibili alle gru per l'edilizia, dai motori nautici alle lavastoviglie, dai rimorchi ai motori ecologici, dalle cappe climatizzate alla banda larga. I contributi che ogni singolo acquirente può ottenere possono risultare interessanti, ma quasi sempre sono sottoposti a un duplice tetto: una percentuale della spesa ed un limite assoluto.
Accedere ad un contributo, inoltre, è diventato quasi come vincere la lotteria, secondo un criterio molto simile a quello della rapidità del mouse nel click day per gli incentivi alle imprese per ricerca e innovazione. Come sappiamo, l'estrazione a sorte è partita lo scorso 6 aprile. Il venditore ha l'obbligo di verificare presso il call center di Poste Italiane che i fondi destinati per quel particolare acquisto non siano già esauriti e quindi concedere lo sconto al cliente nell'attesa di essere a sua volta rimborsato. Con questo sistema solo i primi otterranno lo sconto e ancora una volta verranno beneficiati i più informati e i furbi. Inoltre, la procedura di acquisto, oltre ad essere in alcuni casi piuttosto complessa, discrimina i giovani, coppie o singoli, che mettono su casa per la prima volta perché lo sconto è previsto solo nel caso di sostituzione e rottamazione del bene.
Dai 300 milioni di euro dovranno essere detratte le spese di gestione del servizio esternalizzato di call center, attrezzato per gestire telematicamente tutte le informazioni che permettono di verificare la disponibilità dei fondi per i singoli incentivi, l'ordine di priorità e l'identificazione del beneficiario.
Infine, se si può concordare sull'idea di aiutare maggiormente chi ha subito i colpi più violenti a causa della crisi, non risultano del tutto chiari i criteri in base ai quali sono stati scelti i settori da beneficiare. I 70 milioni di euro per la realizzazione di campionari riservati in un primo momento al settore tessile, e allargati grazie alle proposte emendative presentate in Commissione anche al comparto calzaturiero, verranno invece distribuiti sotto forma di deduzioni fiscali di cui si potrà godere solo nel 2011, al momento cioè del versamento a saldo. Ancora non si sa come verrà effettuato il razionamento, e non sarà certo un'operazione facile; l'agevolazione interessa infatti tutte le spese sostenute nell'esercizio successivo al 31 dicembre 2009 e riguarda quindi anche spese compiute prima dell'emanazione del decreto-legge.
Ai Ministri dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze, e dell'ambiente è infine affidato il compito di stabilire i criteri per la ripartizione dei 50 milioni di euro che provengono dal Fondo per la finanza d'impresa che andranno a Pag. 19favore della realizzazione di piattaforme navali e per gli interventi di alta tecnologia aeronautica.
Come abbiamo già avuto occasione di rilevare è difficile sostenere che gli incentivi messi a disposizione con misure come queste possano promuovere la crescita del PIL, così come non è facile definire politica economica la somma di microinterventi distribuiti affannosamente nel corso del tempo - ora questo, ora quel settore - che in molti casi non sollecitano nuova domanda, ma consentono solamente di anticipare spese che erano già state comunque programmate.
Ora vorrei passare al merito di quanto è contenuto nel testo, lasciando ai colleghi l'approfondimento delle parti più significative. Vorrei limitarmi a trattare la questione delle cosiddette polizze dormienti, un argomento che può sembrare di interesse limitato ma che, a nostro giudizio, è esemplificativo dell'andatura incerta con cui procede questo Governo nell'affrontare i problemi. Ci risultano numerose segnalazioni di cittadini che lamentano, in forza di un'erronea interpretazione della successione legislativa che si è prodotta sull'argomento, di aver perduto il rimborso della polizza in seguito al decorso di due anni o di un anno dal decesso del parente contraente, perdendo così tutti i risparmi di quest'ultimo perché incamerati dallo Stato senza diritto di riscatto.
Con il comma 4 dell'articolo 2 del testo del decreto-legge che stiamo discutendo (testo su cui invitiamo ancora oggi il Governo ad intervenire per correggere le ulteriori discriminazioni che andrebbe a creare) ci si propone di rimediare, purtroppo solo in modo parziale, all'ingiustizia nei confronti dei cittadini colpiti dalla retroattività del provvedimento contenuto nella legge n. 166 del 2008. La norma prevede infatti che solo gli importi per i quali non era maturata la prescrizione al 28 ottobre 2008 non debbano essere automaticamente devoluti al Fondo per le vittime degli scandali finanziari. Sono quindi salvi solo gli eredi degli assicurati deceduti prima del 27 ottobre 2007 per i quali non sia già avvenuto il trasferimento al Fondo. Pare, anche se non sono al momento disponibili dati ufficiali, che siano stati trasferiti quasi dieci milioni di euro di indennizzi.
Le disposizioni contenute nell'attuale testo, se da un lato sembrano venire incontro alle esigenze di alcuni risparmiatori, dall'altro rischiano di rendere ancora più complesso il quadro normativo, anche in considerazione del fatto che sia la relazione illustrativa sia l'articolato sembrano prescindere dal quadro giuridico discendente dalle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 116 del 2007. Confidiamo quindi nell'impegno assunto nei giorni scorsi, durante le sedute delle Commissioni riunite, VI e X, dal sottosegretario per lo sviluppo economico, Stefano Saglia, di procedere alla verifica delle risorse necessarie a risolvere definitivamente la questione delle polizze dormienti ai fini dell'esame in Assemblea.
Ma per inquadrare meglio il problema vorrei fare riferimento ai numerosi rilievi delle associazioni dei consumatori e all'interrogazione a risposta immediata, svolta in Aula insieme al collega onorevole Nannicini l'8 aprile scorso, con la quale ci proponevamo di fare un po' di chiarezza rispetto alla questione piuttosto controversa delle cosiddette polizze dormienti. A tal fine avevamo chiesto al Ministro quale fosse la corretta lettura delle disposizioni di legge che all'apparenza si sovrappongono in modo scoordinato e se intendesse impartire le opportune direttive al fine di impedire che, per comportamenti od omissioni da parte degli intermediari, venissero compromessi, quanto meno per la fase antecedente al 27 ottobre 2008, i risparmi dei cittadini che confidavano in un termine di prescrizione decennale, tanto per i conti correnti bancari quanto per le polizze assicurative.
La legge finanziaria per il 2006, la n. 266 del 2005, come è noto ha istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze con la finalità di indennizzare i risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie. Tale fondo è alimentato con le risorse Pag. 20derivanti dai cosiddetti conti dormienti, ovvero i conti correnti e i rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario, nonché del comparto assicurativo e finanziario. La disciplina organica del funzionamento e delle forme di alimentazione del fondo è stata successivamente definita, secondo quanto previsto dalla legge n. 400 del 1988 all'articolo 17, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 116 del 2007. In base all'articolo 1, comma 1, lettera b), tale decreto definisce come dormienti i rapporti contrattuali in relazione ai quali non sia stata effettuata alcuna operazione o movimentazione ad iniziativa del titolare del rapporto o di terzi da questo delegati per dieci anni a partire dalla data di libera disponibilità delle somme e degli strumenti finanziari.
L'articolo 2 dello stesso decreto inoltre fa rientrare nel campo di applicazione i contratti di assicurazione in tutti i casi in cui l'assicuratore si impegna al pagamento di una rendita o di un capitale al beneficiario ad una data prefissata.
In seguito, con il decreto-legge n. 134 del 2008, convertito dalla legge n. 166 del 2008, si era intervenuti sulla stessa materia introducendo un nuovo comma, il 345-quater all'articolo 1 della citata legge finanziaria per il 2006.
Con tale comma si è stabilito che gli importi dovuti ai beneficiari dei contratti di cui all'articolo 2, comma 1, del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209, non reclamati entro il termine di prescrizione del relativo diritto, fossero devoluti al fondo destinato alle vittime di frodi finanziarie entro il 31 maggio dell'anno successivo a quello di scadenza del termine di prescrizione.
Inoltre, con il comma 2-ter del medesimo articolo 3, è stato modificato l'articolo 2952 del codice civile innalzando da uno a due anni il termine di prescrizione per l'esercizio dei diritti derivanti dai contratti in questione.
La sedimentazione nel tempo delle diverse disposizioni sembrerebbe aver determinato di fatto una sostanziale e vistosa disparità di trattamento tra i titolari di conti correnti e i titolari di contratti di assicurazione, dato che questi ultimi avrebbero solamente due anni per attuare il proprio diritto al fine di evitare l'estinzione del proprio contratto e la perdita delle relative somme di denaro.
Nella consapevolezza che non vi possa essere alcuna volontà vessatoria da parte del legislatore nei confronti dei titolari di contratti di assicurazione, appare evidente e necessaria l'interpretazione che è contenuta nel decreto-legge n. 40 del 2010, oggetto della discussione odierna, al comma 4 dell'articolo 2, secondo cui le disposizioni del comma 345-quater dell'articolo 1 della legge n. 266 del 2005, si applicano esclusivamente ai contratti per i quali il termine di prescrizione del diritto dei beneficiari scada successivamente al 28 ottobre 2008, quindi dopo l'entrata in vigore delle disposizioni contenute nell'articolo 3 del decreto-legge n. 134 del 2008.
Tale interpretazione è ancora più auspicabile se si considera che, mentre l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 116 del 2007 prevedeva esplicitamente l'obbligo per l'intermediario di avvisare il titolare del rapporto di credito della avvenuta decorrenza dei termini di prescrizione e, contestualmente, di richiedere disposizioni riguardanti l'eventuale utilizzo delle somme, pena l'estinzione del rapporto e la devoluzione delle relative somme al fondo, il decreto-legge n. 134 del 2008 sembra sollevare l'intermediario da detto compito.
Il combinato disposto del minor periodo di prescrizione e il venir meno degli obblighi di comunicazione da parte dell'intermediario finisce, quindi, per determinare un particolare rischio per i risparmiatori di vedersi sottrarre i risparmi propri o quelli dei propri familiari a favore del fondo.
Si tratta di un'interpretazione che purtroppo si rivela discriminante nel momento in cui non si estende anche agli importi che, alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, siano già stati comunque versati al fondo di cui all'articolo 1, Pag. 21comma 343, della legge n. 266 del 2005, destinato alle vittime di frodi finanziarie.
Tanto nell'interrogazione che nella discussione in Commissione avevamo infine rilevato come, quand'anche il decreto-legge n. 134 del 2008 andasse inteso come nuova disciplina complessiva della materia di prescrizione di fondi assicurativi pur non espressamente abrogando le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 116 del 2007, appaia evidente che, a decorrere da giugno 2007 sino all'ottobre 2008 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 134 del 2008) andasse individuata in dieci anni la durata riconosciuta per la prescrizione dei diritti sui fondi assicurativi.
Riassumendo la questione, a seguito della legge n. 166 del 2008, il cosiddetto «decreto Alitalia», che ha esteso anche alle polizze vita la disciplina dei conti dormienti e quindi l'obbligo del versamento delle somme non riscosse al fondo del Tesoro, gli eredi dei titolari di polizze che sono deceduti tra il 2005 e il 2008 si sono visti svanire ingiustamente i risparmi di una vita.
A causa di questo meccanismo infernale, tutti loro hanno infatti perso la possibilità di riscuotere il rimborso delle somme maturate dal momento che non le hanno reclamate per tempo, cioè entro due anni dalla scadenza o dalla morte dell'intestatario, per mancanza di informazione da parte delle compagnie assicuratrici.
Inoltre, la legge n. 166 del 2008 è stata introdotta con effetto retroattivo; ciò significa che pur essendo stata varata nel 2008, era valida dal 1o gennaio 2006, così anche i rimborsi delle polizze i cui titolari sono morti tra il 2005 e l'ottobre del 2008, quando la legge non esisteva, sono stati bloccati.
Quindi, migliaia di risparmiatori si sono accorti di essere vittime di questa legge non avendo più la possibilità di incassare le polizze vita sottoscritte poiché cadute tacitamente in prescrizione.
Dopo la diffusione della prima bozza del cosiddetto decreto-legge incentivi in cui non era stato inserito l'emendamento alla legge 166 del 2008, il Governo si è ravveduto, approvando la disposizione che ha eliminato la retroattività delle polizze dormienti salvaguardando il diritto delle famiglie e dei risparmiatori deceduti di recuperare i soldi. Tuttavia, se il testo non viene modificato come da noi richiesto con gli emendamenti presentati in Commissione, la disciplina si applicherà solo ai contratti per i quali la prescrizione non era ancora maturata al 28 ottobre 2008, ossia quando è stata introdotta la normativa.
Ciò significa che se l'evento di premorienza o di scadenza della polizza è avvenuto prima del 27 ottobre 2007, tutti i possessori di polizze con prescrizione annuale (l'articolo 2952 del codice civile prevedeva la prescrizione di un anno, prima della modifica della legge n. 166 del 2008 che ha elevato la prescrizione a due anni) non hanno diritto ad alcun rimborso. In questo modo si salverebbero soltanto i titolari di quelle polizze le cui compagnie non hanno ancora versato alcun euro al Ministero. Da qualche calcolo approssimativo, al momento le somme versate si aggirerebbero sui dieci milioni, un quinto di quelle previste, tra le quali non risultano le polizze di Poste Vita che ha fatto sapere di non aver ancora versato nulla al Fondo vittime dei crac essendosi avvalsa della facoltà di rimandare il versamento previsto per il 31 marzo 2010.
Qualora, invece, l'assicurato sia deceduto dopo il 27 ottobre 2007, verrà disposto il trasferimento degli importi per coloro che non abbiano interrotto la prescrizione entro due anni. Per il futuro dovranno essere trasferiti ai fondi tutti gli importi non reclamati entro due anni. Mi sembra una soluzione pasticciata, che non risolve in maniera adeguata i gravi problemi creati dal cosiddetto decreto-legge Alitalia per le polizze dormienti.
Una normativa chiara sull'argomento appare quanto mai necessaria anche sulla base di quanto rilevato dal Governatore Draghi nel suo documento di vigilanza del Pag. 2221 aprile scorso, in cui richiama gli intermediari ad uno scrupoloso e sostanziale rispetto della disciplina in materia di trasparenza e correttezza dei comportamenti, con particolare riguardo ad una chiara e semplice informativa da fornire alla clientela in merito alle caratteristiche del prodotto collocato e alle condizioni applicate, nonché all'obbligo per gli intermediari di adottare procedure interne per assicurare, tra l'altro, che tali caratteristiche e condizioni siano comprensibili al cliente.
Ma ora permettetemi un'ultima digressione che ha comunque a che fare con l'argomento che stavo trattando e che riguarda il fondo istituito con la legge finanziaria per il 2006 e destinato alle vittime degli scandali finanziari. Il nostro sistema legislativo, attraverso una complessa serie di provvedimenti normativi di varia natura, ha creato un sistema di indennizzo dei risparmiatori ancora incompiuto, pieno di lacune, incertezze e contraddizioni, molto diverso (anzi, oserei dire in palese contrasto) sotto ogni profilo con il modello comunitario di riferimento costituito dalla direttiva 97/9 della Comunità europea. Tale direttiva, attraverso cui si è ritenuto che la tutela degli investitori e la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario siano elementi importanti del completamento e del buon funzionamento del mercato interno, reputa essenziale che esista in ogni Stato membro un sistema di indennizzo degli investitori che offra una garanzia minima armonizzata di tutela almeno per i piccoli investitori, in caso di incapacità di un'impresa di investimento di far fronte ai suoi obblighi nei confronti dei clienti investitori.
Come ho già ricordato nella parte sulle polizze dormienti, l'articolo 1, comma 343, della legge n. 266 del 2005, prevede che per indennizzare i risparmiatori che investendo sul mercato finanziario sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto, non altrimenti risarcito, è costituito, a decorrere dall'anno 2006, un apposito fondo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Questo rappresenta sicuramente un primo passo verso le vittime dei crac finanziari, ma se rimane in questa forma riduce significativamente il campo soggettivo di applicazione della direttiva comunitaria.
I risparmiatori che, per usare le parole adoperate nel comma 344, possono essere ammessi ai benefici connessi all'istituzione del fondo, sono infatti non già tutti gli investitori, bensì solamente coloro che investendo sul mercato finanziario sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito. Se dunque non c'è frode, ma, in ipotesi, semplice insolvenza dell'impresa di investimento, i risparmiatori non hanno titolo ad accedere al beneficio della copertura offerta dal sistema di indennizzo degli investitori.
Inoltre, mentre l'investitore comunitario può accedere agli indennizzi anche solo quando l'impresa di investimento non sembra, per il momento, in grado di far fronte ai propri obblighi derivanti dai crediti per gli investitori (e non vi è a breve la prospettiva che possa farlo), il risparmiatore italiano può farlo solo dopo aver subito una truffa e un danno ingiusto. Inoltre, il sistema di indennizzo previsto nel nostro Paese ha la forma di un fondo, come ho già detto, costituito a decorrere dal 2006 nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. È un fondo che non è confermato in modo da presupporre e consentire l'adesione delle imprese di investimento o, in alternativa, di quelle emittenti. È previsto, invece, che il fondo sia alimentato con le risorse di cui al terzo comma, previo il loro versamento al bilancio dello Stato.
La direttiva europea, invece, stabilisce che il sistema di indennizzo deve essere sostenuto principalmente dalle imprese di investimento e, in particolare, l'articolo 5 della direttiva rende assolutamente chiaro che il funzionamento di questo sistema si basa sull'adesione ad esso delle imprese di investimento. È un'adesione che si traduce operativamente nel concorso finanziario al sostenimento dei relativi oneri.
Infine, un particolare apparentemente banale ma, in realtà, fondamentale riguarda il fatto che il sistema di indennizzo Pag. 23italiano non è ancora operativo e ciò vanifica il senso e la portata precettiva della direttiva e costituisce un grave inadempimento a livello comunitario. Quindi, abbiamo adottato una normativa per andare verso i cittadini e, nonostante siano trascorsi quattro anni, non esiste ancora nessun regolamento che preveda che un cittadino truffato possa prendere un centesimo da quel fondo. Per Alitalia erano previsti 100 milioni di euro, ma nessun risparmiatore che abbia investito in Alitalia ha visto un indennizzo, né lo hanno visto i risparmiatori della Parmalat o della Cirio. Nonostante le buone intenzioni, quindi, i soldi restano nel fondo, nel fabbisogno e nell'indebitamento. Appare evidente, quindi, che a distanza di ben 13 anni dall'entrata in vigore della direttiva 97/9/CE, il Governo non possa ulteriormente sottrarsi a provvedere con i necessari strumenti di legge ad adempiere a quanto previsto da tale direttiva, in modo da soddisfare le legittime aspettative di tanti piccoli risparmiatori, senza, però, replicare la presa in giro che ha messo in atto con una class action privata dei suoi elementi caratteristici principali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 40 del 2010, il cosiddetto decreto incentivi che viene oggi in Aula per l'esame e per l'approvazione, di per sé e già dalla roboante titolazione darebbe l'impressione di chissà quale importante svolta si dia in questo Paese per aiutare l'economia, per incentivare la domanda dei consumatori e per aumentare i consumi. Tuttavia, come al solito ci troviamo di fronte ad un Governo che continua a fare l'incantatore di serpenti perché di importante e qualificante resta probabilmente solo la titolazione. Nella sostanza, invece, gratta gratta - come giustamente dice Di Pietro quando c'è qualche provvedimento legislativo del Governo Berlusconi - all'interno c'è sempre il trucco che ti frega e che frega i cittadini. Infatti, come nasce questo provvedimento? Nasce in modo davvero singolare perché, anziché dare una spinta e aiutare l'economia, in buona sostanza a cosa si riduce? Si riduce alla proposizione di due nuovi condoni. Questo è l'aspetto davvero più irritante del provvedimento in esame, perché paradossalmente, anziché aiutare oggi come oggi le fasce più deboli e chi più ne ha bisogno e aiutare nei consumi soprattutto quei cittadini che stanno sempre più in difficoltà economiche, alla fine che succede? Succede che siamo alle solite.
Il Governo dei furbetti che aiuta solo i furbetti di questo Paese, che li aiuta con i due condoni; con il primo aiuta le banche, mentre con il secondo aiuta i contribuenti. Il primo condono serve a facilitare la chiusura agevolata del contenzioso tra i vecchi concessionari abilitati alla riscossione - naturalmente stiamo parlando delle banche perché fino al 30 giugno 2009, ovvero prima che subentrasse Equitalia, erano le banche i concessionari addetti alla riscossione in questo Paese - ed il fisco, mentre il secondo condono consente ai contribuenti di poter chiudere dei contenziosi pendenti quando hanno già vinto nei primi due gradi di giudizio. Tutto questo pagando un modesto 5 per cento dell'importo che era in contenzioso. Insomma, siamo alle solite. Questo è il berlusconismo, è la decretazione della morte dello stato di diritto. Con questa manovra finanziaria pro banche e pro evasori, pro condono e pro furbetti siamo alle solite manovre di questo Governo che pensa, come al solito, a favorire solo loro: i furbetti del quartiere, i pochi amici e i pochi amici degli amici. Andiamo avanti, passiamo ai giochi: le somme dovute all'esito dell'aggiudicazione di gare per giochi vanno addirittura - e questo sa davvero dell'incredibile - a finanziare le missioni internazionali. Naturalmente queste somme vanno ad aggiungersi a quelle derivanti dal condono pro contribuenti. Insomma, con questa operazione, sono stati raggranellati un po' di danari con cui bisognava accontentare qualcuno. Bisognava Pag. 24accontentare forse il Ministro La Russa, per poterlo meglio scippare al Presidente Fini. Questo provvedimento, che ha qualcosa di ancora più sospetto, è nato proprio a ridosso di questa operazione. Non dobbiamo dimenticare infatti che mentre il Presidente Berlusconi scippava il Ministro La Russa al Presidente Fini gli regalava anche un SUV, prodotto dai russi di Sollers, in joint venture con la FIAT. Non lo dimentichiamo. Berlusconi dichiarava espressamente: «Ho prontamente pagato la fattura, ma la macchina sarà intestata a La Russa, che mi ha promesso che la guiderà personalmente». Questi sono, come al solito, provvedimenti ad personam, che favoriscono qualcuno e servono ad altri scopi. Saranno scopi politici, con cui si cercano di costruire alleanze, accordi, maggioranze, ma non potete chiamare questo provvedimento «decreto-incentivi», volto ad aiutare l'economia, i consumi e la domanda, perché alla fine serve semplicemente ad aiutare il Presidente Berlusconi a prendere il Ministro La Russa, come abbiamo visto da fatti specifici. E allora il fondo bonus del decreto-legge n. 40 del 2010, che serve appunto per dare incentivi è addirittura già consumato prima della sua conversione in legge.
Ad oggi, cioè, quei quattro spiccioli che erano stati previsti in questo provvedimento di legge sono già consumati; non solo sono stati già consumati, il che sta a certificare l'insussistenza di questo provvedimento, ma anche quel poco che questo provvedimento ha fatto, come al solito, sostiene delle aziende, dalle moto alle lavatrici, a tutto il resto, che sono insediamenti industriali che prevalentemente, anzi quasi esclusivamente, si trovano al nord.
Quando in Commissione, durante un'audizione dei rappresentanti dei sindacati, ho espressamente richiesto se questo cosiddetto provvedimento incentivi aiuti il nord o il sud, se aumenti il divario tra nord e sud, il segretario generale della UIL, che sembra essere più amico del Governo, ha espresso un giudizio, dichiarando espressamente che questo provvedimento aiuta prevalentemente il nord. È anche abbastanza ovvio, perché le aziende che beneficeranno di queste provvidenze sono radicate prevalentemente al nord. Forse per questa ragione avete detto «no» all'emendamento presentato dall'onorevole Di Pietro, con il quale si chiedeva di rispettare gli impegni che il Governo stesso aveva assunto rispetto al settore bieticolo-saccarifero, dove vi sono 10 mila aziende in bilico, dove vi sono quattro stabilimenti industriali, dove vi sono migliaia e migliaia di lavoratori. Ma, probabilmente, poiché sono presenti, forse, più in Molise, al sud, allora non interessa aiutare questi settori. Ecco perché stiamo andando verso una situazione in cui il Paese precipita.
Svimez, con uno studio economico, soprattutto riguardante le regioni del sud, ha detto che in questo Paese, nel 2007, il PIL dei cittadini del nord è cresciuto dell'1,7 per cento, mentre il PIL dei cittadini del sud è cresciuto dello 0,7 per cento; un punto di distacco nel 2007.
Nel 2008, in piena crisi, il PIL dei cittadini del nord è regredito dello 0,9 per cento, mentre quello dei cittadini del sud è sceso dell'1,4 per cento. Insomma, il divario tra il nord e il sud del Paese cresce, aumenta e con questo provvedimento il Governo Berlusconi si assume la responsabilità di far aumentare questo divario; non prende in considerazione la vera questione di questo Paese, che è la questione meridionale.
Quest'ultima non riguarda - preciso - solo i cittadini e le cittadine del sud d'Italia, ma riguarda l'intero Paese, perché se l'intero Paese non si rialza e non cammina con gli stessi ritmi, questo Paese non si rialzerà mai.
Quest'anno ricorre il ventesimo anniversario della riunificazione delle due Germanie: sono venti anni che si sono unificate. Era il 1990 e le due Germanie non avevano un'analoga situazione, con la Germania dell'est povera e la Germania dell'ovest ricca, con redditi diversi, anche con condizioni di vivibilità diverse. Ebbene, a distanza di venti anni quel Paese ha fatto Pag. 25una vera politica di riunificazione e oggi le due Germanie vivono con gli stessi ritmi e con gli stessi livelli di vita.
Addirittura, il Premier di quel Paese, fatto simbolico, è espressione della Germania dell'est, della Germania Democratica e povera di una volta: la Merkel viene proprio dalla Germania dell'est! E questo perché? Perché quel Paese ha fatto una vera politica di riunificazione, una vera politica economica per i propri cittadini; noi, invece, non abbiamo questo tipo di politica, perché non abbiamo una politica innanzitutto industriale, che in un momento di crisi come quello attuale badi soprattutto al recupero ed alla salvaguardia dei livelli occupazionali.
Ciò non significa assistenzialismo, mantenere in piedi rami secchi. Proprio ieri sono stato nell'ex carcere dell'Asinara, a Porto Torres, dove da 66 giorni vi sono decine di lavoratori che per protesta si sono chiusi nelle celle. Sono i lavoratori della Vynils, del petrolchimico, a proposito del quale ancora oggi non è spiegabile perché questo Governo voglia d'emblée cancellare un settore strategico, quello della chimica. Nel nostro Paese in quegli stabilimenti, che sono a Porto Torres, a Porto Marghera, a Ravenna, si producevano 360 mila tonnellate all'anno di PVC e prodotti analoghi, a fronte di un mercato che solo in Italia richiedeva un milione di tonnellate: la produzione non riusciva da sola a soddisfare neanche il mercato, la richiesta interna. Si tratta di una politica sciagurata, in cui il Ministro Scajola si rende responsabile di passaggi di mano della proprietà da un'azienda ad un'altra, o meglio da un «furbetto» all'altro, il che prima o dopo, come è capitato anche con la Vynils, ha fatto sì che si finisse col dover portare i libri in tribunale.
Insomma, è mai possibile che un Governo rinunci ad un settore così strategico, qual è la chimica? Ieri ho visto, negli sguardi di quei lavoratori, la disperazione! Forse è questo quello che manca loro: il Governo Berlusconi, la maggioranza di centrodestra, non vive, non respira, come facciamo noi dell'Italia dei Valori, i bisogni veri del Paese! Ieri ho visto un bambino, il figlio di uno di quei cassintegrati, nell'isola dei cassintegrati: gli occhi sofferenti di un bambino di neanche due anni; era quello che era «passato» anche per Annozero, in trasmissione. E la disperazione di quella gente, che fino ad alcuni mesi fa guadagnava lavorando (perché vuole lavorare) 1.200 euro; dal mese scorso, quei lavoratori stanno percependo 200 euro al mese. Ecco la ragione per la quale il PIL del Mezzogiorno d'Italia e dei cittadini del sud diventa sempre più basso: perché passiamo da un reddito mensile di 1.200 euro ad un reddito di 200 euro. E che fa il Governo, che fa Scajola? Lo aspettiamo dopodomani, mercoledì, quando è prevista una trattativa sulla vicenda presso il Ministero.
Per non parlare delle comunicazioni: mercoledì della scorsa settimana in Commissione, ad un'interrogazione che ho presentato sulla Telecom, mi ha risposto il sottosegretario, affermando che nel piano industriale da essa presentato il 18 aprile scorso da 2.000 esuberi, di cui si parlava nel precedente piano industriale, si è passati a 6.225 esuberi. Oggi non si usano più i termini con cui bisognerebbe chiamare le cose: questi sono prossimi licenziamenti! E che fa allora il Governo rispetto alle telecomunicazioni, un altro settore altamente strategico? Un emendamento dell'Italia dei Valori, che prevedeva la diffusione della banda larga, finanziandola nel triennio 2010-2012 attingendo fino a 300 milioni di euro dalla Cassa depositi e prestiti, per poterne consentire lo sviluppo ed il radicamento nell'intero Paese, è stato respinto.
Anzi addirittura, paradossalmente, di questo nostro emendamento dell'Italia dei Valori è stata dichiarata l'estraneità per materia; ma il provvedimento stesso non tratta forse all'articolo 4 della banda larga? Allora, di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di un tentativo continuo da parte della politica che vuole addirittura manipolare gli uffici e la burocrazia. Infatti, mi si deve spiegare come si fa a dichiarare l'estraneità per materia di questo emendamento, quando esso è Pag. 26perfettamente inerente alla materia stessa, visto che stiamo parlando di banda larga e non del sesso degli angeli.
Abbiamo così la dimostrazione di come questo Governo sia assente rispetto alle scelte fondamentali per lo sviluppo e per la crescita di questo Paese e, quindi, abbia messo a «dormire» gli 800 milioni di euro che erano già stati previsti, sempre per la banda larga, con il decreto-legge n. 78 del 2009.
Vorrei domandare una cosa al Presidente Berlusconi: non dichiarava forse egli che questo Governo, il Governo Berlusconi, era il Governo delle tre «i»? Ricordate tutti il Governo delle tre «i», la «i» di Internet, quella di inglese e quella di imprese? Ebbene queste tre «i» se ne sono andate tutte al «paese di Pulcinella» con il Governo Berlusconi, che addirittura tradisce anche i suoi proclami, come quello del Governo delle tre «i»!
Con Internet abbiamo visto come sta affondando la banda larga anche nel corrente provvedimento, quella banda larga che doveva servire per collegare tutto il Paese in tutte le zone più lontane fino ai più alti cocuzzoli delle montagne, per consentire - come sostengono oggi su la Repubblica un'indagine e uno studio condotti da Confindustria - di elevare il tasso di collegamento delle famiglie, che oggi è al 45 per cento, all'80 per cento, e quello delle imprese dal 62 per cento al 90 per cento.
Questo sapete che cosa significa anche in termini di costi, in termini economici? Significa far risparmiare ogni anno a questo Paese l'incredibile cifra di 30 miliardi di euro, perché con la banda larga, eliminando i ritardi delle connessioni e la lungaggine dei collegamenti attuali, questo Paese poteva risparmiare 30 miliardi all'anno.
Questa è la modernizzazione che noi dell'Italia dei Valori chiediamo, perché è inconcepibile tenere un Paese in uno stato ancora così arretrato: per arrivare da Sassari a Cagliari ci vogliono sei ore, per arrivare da Messina a Ragusa ce ne vogliono sette; ma in sette ore si passa da un continente all'altro, si parte da Roma e si arriva a New York! Qui siamo invece ancora al tempo in cui si marcia sulle spalle dell'asino: state facendo di questo un Paese dove si deve ancora viaggiare a dorso d'asino!
Allora, caro Presidente, non c'è modernizzazione, non c'è sviluppo. Addirittura la Commissione europea in un suo studio ci ha fatto presente, di recente, che i Paesi che hanno attuato la banda larga vedono crescere più facilmente il loro PIL; infatti, dove la banda larga è diffusa, il PIL cresce dello 0,89 per cento, dove essa è meno diffusa il PIL cresce dello 0,47 per cento.
Insomma state rinunciando alla modernizzazione di questo Paese, che può crescere e svilupparsi soprattutto se viene modernizzato. Invece no, siamo sempre alle solite perché anche con questo provvedimento torna sempre la stessa politica: è un assalto alla diligenza, con tanti microinterventi, piccoli favori, «piccola robetta», mentre si perdono di vista i principi fondamentali, soprattutto nel senso di eliminare disparità e ingiustizie, come è capitato specialmente con i cosiddetti fondi dormienti.
Già con la legge n. 166 del 2008, che allungava da uno a due anni i termini di prescrizione dei diritti derivanti dai contratti assicurativi (così come previsto ex articolo 2592, secondo comma, del codice civile), decorso tale termine tali risorse vanno versate nel fondo relativo ai cosiddetti conti dormienti. Ebbene, l'Italia dei Valori ha presentato un emendamento, dopo che c'erano state forti sollecitazioni soprattutto da parte delle associazioni dei consumatori. Altroconsumo, questa associazione importante, indipendente, di consumatori ci aveva trasmesso un emendamento che abbiamo riprodotto pedissequamente, perché, come Italia dei Valori, a noi non interessa il colore politico (se bianco o nero), a noi interessa difendere i diritti dei cittadini. Ci avete detto di «no» malgrado in Commissione lo stesso sottosegretario mi abbia espressamente confermato che con questo provvedimento si arreca un danno ai cittadini, un danno il Pag. 27cui importo è aleatorio, cioè ad oggi non si riesce a quantificare, non si riesce a capire la sua portata.
Allora il Governo deve capire, in tempi ragionevoli, che in questo modo sta mettendo le mani nelle tasche dei cittadini, contrariamente alla propaganda che ha fatto in passato e con cui ha «fregato» gli italiani. Anzi, per essere più precisi, non è il Governo che mette le mani nelle tasche dei cittadini, in quanto usa dei «sicari». Altri soggetti sono costretti a prendere soldi versati su polizze, risparmi realizzati sul sangue della gente che, con grandi sacrifici, aveva messo da parte una sommetta, che viene «rapinata». Ecco perché avevamo presentato un emendamento con il quale si chiedeva semplicemente di riportare un minimo di giustizia. Ricordatelo: non ci sarà mai pace, se non ci sarà giustizia in questo Paese.
Anche qui si sono fatte orecchie da mercante; non se ne parla, non solo facendo un danno ai cittadini, ai consumatori, in quanto contemporaneamente il Governo Berlusconi è stato bravissimo a «fregare» tutti: da un lato i consumatori, dall'altro la Confindustria assicurativa. Sì, perché in questo contesto, con questa situazione, non si arreca solo un danno economico alle compagnie di assicurazione, perché si tratta anche e soprattutto di un danno di immagine a tali compagnie. La gente, i cittadini poi non si danno tante spiegazioni e immaginano che la compagnia di assicurazioni, alla quale ha dato i soldi per tanti anni, ad un certo punto li vuole «fregare». Quindi si alimenta ancora nell'immaginario collettivo la figura della società assicuratrice formata da persone che «fregano» gli altri.
Ma non è così, perché non sono le compagnie assicurative che stanno «fregando», sono il Governo Berlusconi e questa maggioranza di centrodestra, che, anche in situazioni così evidenti ed eclatanti di ingiustizia e di disparità nei confronti dei cittadini (con addirittura profili di incostituzionalità), sono sordi, non ascoltano, non capiscono, non danno riposte. Abbiamo proposto in Commissione tanti emendamenti. È una continua posizione costruttiva e propositiva quella dell'Italia dei Valori, che si pone oggi in termini reali di alternativa di Governo rispetto ad un Esecutivo che non dà risposte e che non aiuta il Paese a crescere e ad alzarsi dalle risacche di queste crisi economico-finanziaria.
Altri Paesi, anche meno avanzati e meno democratici di noi, stanno facendo la loro parte, la stanno facendo in modo davvero eccellente. I primi Paesi che si sono lanciati sull'informatica e sulla banda larga sono stati la Gran Bretagna, la Francia e la Germania e, per ultimi, addirittura, gli Stati Uniti d'America, perché capiscono che c'è bisogno di investire, di innovare, di modernizzare. Addirittura la Cina sta cercando di dare delle risposte concrete e forti a questa crisi economico-finanziaria investendo, in questi ultimi tempi, ben 586 miliardi di dollari (che corrispondono a circa il 14 per cento del PIL), proprio per fronteggiare la crisi economico-finanziaria che è globale e, quindi, investe tutti.
Allora, rispetto ai 586 miliardi di dollari, il Governo Berlusconi ci mette uno «sputo» di 300 milioni di euro e li indirizza nel modo più strabico e più scriteriato possibile: aiuta qualche «furbetto», favorisce qualche condono, favorisce qualche altro evasore.
Siamo alla solita politica, alla politica dei «furbetti». Quando la farà questo Governo una politica per il nostro Paese? Noi dell'Italia dei Valori abbiamo incalzata e sostenuta una politica alternativa di proposte che non solo facciamo qui, ma faremo anche nel Palazzo, nelle istituzioni - sappiatelo - per difendere i cittadini, per stare al fianco dei cittadini. Continueremo a farla nel Palazzo, nelle istituzioni, ma anche nelle piazze...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCESCO BARBATO. Concludo, signor Presidente, ribadendo la posizione dell'Italia dei Valori presente al fianco dei cittadini in modo concreto, attivo, diffuso sul territorio, dal nord al sud d'Italia. Siamo presenti, sempre sul pezzo, con risposte adeguate, concrete. Pag. 28
Non ci piace filosofeggiare, signor Presidente, ci piace, invece, parlare delle cose concrete e dare, soprattutto, risposte concrete. L'Italia dei Valori vuole dare principalmente ai cittadini italiani la certezza che c'è una forza politica al loro fianco.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, il decreto-legge oggi in discussione ci impone alcune riflessioni dalle quali non possiamo sfuggire. Lo dico al Governo, rappresentato dal sottosegretario Ravetto, e ai relatori: abbiamo tentato in tutti i modi, nelle Commissioni competenti e nelle interlocuzioni che hanno preceduto questa discussione sulle linee generali, di chiedere al Governo di dare un senso a questo decreto-legge.
Oggi, non casualmente, anche un'inchiesta ben fatta di Milano Finanza e ItaliaOggi, amplificata dai principali organi di stampa economici - diciamo non condizionati da altre vicende -, ci ricorda che il biennio 2008-2009, che è il biennio della crisi, certificato dal Ministro Tremonti più volte, ci consegna uno scenario (che sarà ufficiale il giorno in cui vedremo i bilanci del 2009, pubblicati in queste settimane) che ci parla di un patrimonio netto delle imprese italiane di più 8 per cento, pari ad un aumento di 5 miliardi di euro. Che cosa è successo? La crisi è vera ed inconfutabile, le perdite delle imprese sono vere e non sono contestabili.
Vi è poi la diminuzione dei crediti concessi dalle banche - e anche questo è vero e anche questa inchiesta lo conferma - al nord, al centro e al sud.
Dunque, cosa è potuto accadere per far sì che aumentasse il patrimonio netto? Poiché i soldi non arrivano dal cielo e, a parte probabilmente il Presidente del Consiglio, nessuno degli esseri umani che noi conosciamo, soprattutto degli imprenditori che ogni mattina alzano e abbassano le saracinesche delle loro imprese, è in grado di utilizzare una bacchetta magica per far aumentare il patrimonio netto della propria impresa senza metterci dei denari, è accaduto che - ed è il risultato di quell'inchiesta che noi rimettiamo in Aula, in questo Parlamento, all'attenzione del Governo e della maggioranza che sta sostenendo un decreto-legge sugli incentivi alle imprese inutile e che arriva esattamente dove era arrivato il Partito Democratico nelle settimane scorse - i soldi nelle imprese, negli anni della crisi, li hanno messi gli imprenditori. Li hanno tolti dalle proprie tasche e li hanno messi nelle loro imprese per tenerle in vita, per farle sopravvivere, per tenerle a galla, esattamente il contrario di quanto, anche in questa discussione sulle linee generali, è arrivato come considerazione generale dai banchi della maggioranza.
Mi dispiace che il collega Torazzi della Lega Nord Padania sia andato via. Ma Torazzi, arrampicandosi sugli specchi e tentando - lo capisco, con grande difficoltà della Lega Nord - di dare un senso ad un decreto-legge che un senso non ha, ci dice che tale decreto-legge potrebbe essere migliore e ci dice che dovrebbe essere migliore, guarda caso, citando quello che non è stato fatto: il «no» all'IVA per cassa, provvedimento che vi avevamo ricordato più volte e che ha imposto quell'aumento del patrimonio netto attraverso i soldi usciti dalle tasche degli imprenditori e la totale mancanza di disposizioni - Torazzi l'ha chiamata sensibilità federalista - sulle vicende legate agli introiti per le centrali idroelettriche.
Vorrei ricordare alla Lega che gli emendamenti che non sono stati ammessi sono del Partito Democratico. Non è un problema di comuni leghisti, ma è un problema di comuni italiani. Tutti quei comuni che, in realtà, si aspettavano un aumento degli introiti delle concessioni, anche attraverso il loro ingresso nel capitale di quei concessionari, quei comuni e quei territori hanno avuto quella speranza tradita, come sono stati traditi i piccoli imprenditori che si aspettavano una risposta del Governo sui crediti della pubblica amministrazione.
Si continua ad andare in televisione a raccontare che saranno sbloccati i debiti che molte amministrazioni pubbliche, soprattutto Pag. 29quelle della sanità, hanno con le imprese italiane e, in realtà, poi non accade nulla: gli imprenditori, dopo averli ascoltati in TV, tornano a casa sperando che il giorno dopo il commercialista dia loro la buona notizia ma quella notizia non arriverà mai perché in quest'Aula nessuna nostra proposta viene accolta, anche se noi saremmo ben lieti di votare le vostre proposte se andassero in questa direzione. Ma non accade.
Con il decreto-legge in esame ci proponete di approvare la redistribuzione di incentivi che, in realtà, sono già stati redistribuiti. Quindi, non vedo di che cosa altro noi dovremmo discutere.
È un decreto-legge che non ha alcuna coincidenza con i decreti attuativi emanati dallo stesso Governo, è un decreto-legge che, in realtà, ha dopato alcuni settori. Vi avevamo chiesto di allargare la platea e di allungare i tempi, ma per allargare la platea e per allungare i tempi ci voleva un minimo di visione di politica industriale. Evidentemente, questo non è stato possibile perché, in realtà, non è per problemi di queste ore che il Ministro Scajola non ha dato risposte sulla politica industriale. Tant'è che uno dei primi atti che ha compiuto quando si è insediato è stato di cancellare Industria 2015, di rendere Industria 2015 la traccia di un passato che, purtroppo, avete deciso di archiviare.
Avete deliberatamente deciso che la politica industriale è fatta à la carte. Ma non decide il Governo: decidono i gruppi dirigenti dei principali settori, che fanno sistematicamente accordi con il Governo.
Qualche settimana fa, quando avete presentato ed è uscito dal Consiglio dei Ministri il decreto-legge in esame, vi avevamo detto che, a partire dai motorini, questo era doping; si sarebbero impennate le vendite nel periodo in cui sarebbero stati operativi questi incentivi, fra l'altro richiamati dai miei colleghi negli interventi precedenti, incentivi che non fanno cambiare il processo decisionale di acquisto sul motorino: infatti, il fatto che un motorino costi 8.000 o 7.850 euro non cambia il processo decisionale di acquisto, non lo cambia. Vi avevamo detto che sarebbe stato doping e doping è stato: già oggi gli ordinativi sono in flessione e già oggi vi è la previsione di un crollo e di un calo graduale delle vendite dei motorini stessi. Uso l'esempio dei motorini perché è l'esempio più evidente.
Per non parlare della platea che è rimasta fuori e che aspetta risposte. Ci avete raccontato la storia delle scelte importanti sugli aspetti fiscali, perché in qualche modo davano una traccia diversa alle questioni che avevamo dibattuto nei provvedimenti economici precedenti qui in Aula.
Vorremmo ricordarvi che queste sono scelte imposte dal G20, che le avete accettate, le abbiamo accettate come Paese e, quindi, non mi pare che quegli interventi nel decreto-legge in esame - e sono condivisibili - abbiano in qualche modo la necessità di nascondersi dentro incentivi che in realtà nulla hanno a che fare con la politica industriale del Paese.
Su Tributitalia, dopo un confronto durissimo in Commissione, avete accettato una parte dell'emendamento Vico - che interverrà successivamente e sicuramente tornerà sul tema - ma non avete ancora sciolto un nodo: quello che riguarda tutti i comuni tecnicamente raggirati da un'impresa che state difendendo.
Aver avuto la faccia di bronzo di aver fatto rientrare un'azienda che ad oggi ha trattenuto illegittimamente risorse dei contribuenti italiani e risorse dei comuni, averla protetta esattamente come avete fatto fino ad oggi non è solo immorale sul piano politico: penso che sia illegittimo sotto ogni profilo. Quell'azienda doveva essere e dovrà essere giudicata dai tribunali per le cose che ha fatto e i comuni andrebbero lasciati liberi di tutelare i risparmi dei contribuenti, esattamente come accade quando si verificano cose di questo tipo in altri contesti.
È ingiustificabile l'atteggiamento del Governo su Tributitalia. Aver accolto l'emendamento Vico non vi salva la coscienza: è una toppa. Vogliamo in Aula altre risposte e vogliamo avere la certezza che i comuni siano liberi e che le risorse sottratte ai comuni vengano restituite. Pag. 30
Concludo, signor Presidente, ricordando che, rispetto alla vicenda Tributitalia, continuare ad utilizzare i posti di lavoro come icona rispetto all'azione del Governo è una doppia offesa: verso i lavoratori e verso le imprese sane, trasparenti e pulite che in quel comparto ogni giorno tentano di dare un servizio al Paese.
Lo dico perché quando il Governo ha voluto, ha costruito ammortizzatori sociali ad hoc per altre imprese. Sarebbe fin troppo facile qui ricordare le deroghe concesse ai lavoratori Alitalia: quelle deroghe potevano essere concesse ai lavoratori Tributitalia senza parlare di posti di lavoro «ostaggio» rispetto ad una scelta che invece si profila tutta politica.
Signor Presidente, mi avvio a concludere, ribadendo al Governo, al relatore, al sottosegretario Ravetto che, in Aula, riproporremo gli emendamenti che non sono stati accolti: su quelli insisteremo e chiederemo al Governo di ripensare ad un provvedimento che in realtà, come oggi dimostra anche l'inchiesta pubblicata da ItaliaOggi, non c'entra nulla con le imprese e con la piccola impresa. A quelle imprese vogliamo dare risposta sui crediti e faremo la nostra proposta per consentire crediti ulteriormente garantiti, per evitare che i piccoli imprenditori ci mettano soldi loro come hanno fatto durante gli anni della crisi.
Oggi la maschera viene giù con quell'inchiesta: le imprese italiane - soprattutto quelle piccole - restano in piedi perché gli imprenditori - soprattutto i piccoli imprenditori - hanno preso le loro risorse e le hanno messe nelle imprese per non farle fallire.
Concludo, signor Presidente, ribadendo un concetto. Il cosiddetto decreto-legge incentivi ha sottratto 50 milioni di euro al credito di imposta con riferimento alla ricerca e all'innovazione. Ribadiamolo: infatti continuiamo a parlare di un provvedimento di 300 milioni di euro che, in realtà, è pari a 250 milioni perché 50 milioni sono stati sottratti al credito di imposta per la ricerca e l'innovazione. Pertanto, da un'altra parte, ci sarà «un pezzo» del Paese, che ogni giorno si sforza di dare un contributo al Paese stesso, che non ritroverà 50 milioni di euro che erano stati stanziati.
In realtà, per un provvedimento di propaganda fatto - ricordiamolo - nel weekend che ha preceduto le elezioni regionali, quella parte di Paese pagherà un prezzo così alto che sarà inevitabile, sottosegretario Ravetto, rivedersi qui tra qualche mese per rimettere l'ennesima «toppa» anche sulla ricerca e sull'innovazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nelle prossime ore ci accingiamo ad esaminare e votare un provvedimento importante ed impegnativo sotto il profilo finanziario e programmatico. È necessario e opportuno soprattutto in questa delicata congiuntura economica. Anche in questa occasione, infatti, ci siamo trovati irrimediabilmente dinanzi a una panoplia di disposizioni la cui omogeneità di materia risulta piuttosto difficile da cogliere.
Allo stesso modo risultano difficili da cogliere i parametri di ammissibilità seguiti per accogliere o meno le proposte emendative presentate nei giorni scorsi nelle due Commissioni competenti in sede referente.
Il risultato di questo percorso ad ostacoli, di cui il cosiddetto decreto-legge incentivi è stato protagonista, è quello di avere incamerato alcune proposte emendative rispettabili e degne di nota, altre un po' meno, altre ancora, sebbene affini alle prime, sono state bollate addirittura come inammissibili al primo step.
Non credo e non voglio che questa diventi la sede per polemiche di natura normativa, ma non posso esimermi dal riflettere con voi su alcune palesi incongruenze che si sono consumate durante l'esame sede referente.
Non può certamente passare inosservato l'accoglimento di un emendamento Pag. 31che prevede l'estensione del 5 per mille alle associazioni e alle fondazioni non lucrative. Al contrario, è stato rigettato come inammissibile quello da me presentato, e sottoscritto da alcuni colleghi, con l'obiettivo di introdurre, tra le finalità delle destinazioni della quota del 5 per mille, il finanziamento degli enti di ricerca scientifica e delle università, incluse le università e le facoltà pontificie.
Tutto ciò tenendo conto che la normativa vigente prevede che il contribuente possa destinare il 5 per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche a sostegno anche della ricerca scientifica e universitaria, e che le università e le facoltà pontificie rappresentano un tassello imprescindibile del tessuto accademico culturale e scientifico del nostro Paese e necessitano, al pari degli altri istituti universitari, di opportune destinazioni di risorse discrezionali da parte dei cittadini contribuenti.
Si riteneva che la proposta in questione potesse rappresentare un aspetto di completamento di una normativa precisa ed opportuna, ma in realtà è stata messa fuori gioco ben prima che se ne potesse avviare una riflessione condivisa.
Ulteriore e meritevole considerazione è da svilupparsi in merito all'ipotesi di proroga al 2011 del riconoscimento delle detrazioni per carichi di famiglia per i lavoratori italiani residenti all'estero. La proposta emendativa, da me presentata e sottoscritta da un numero importante di colleghi, estende anche al 2011 il diritto - per circa seimila lavoratori italiani residenti all'estero che hanno segnalato la presenza di carichi di famiglia - ad usufruire di detrazioni per carichi di famiglia, finora riconosciute in maniera limitata al 2010.
In un provvedimento di così ampio respiro sono tracciate disposizioni miranti al riconoscimento di particolari agevolazioni ai consumatori, nonché un pacchetto di incentivi a sostegno dei consumi e dei settori produttivi maggiormente colpiti dalla crisi. Si tratta di provvedimenti finanziati dalle entrate derivanti dalla lotta all'evasione.
Questa chiara ed apprezzabile esigenza di venire incontro alle famiglie e ai consumatori con una lodevole forma di sostegno al reddito stona con l'approccio mantenuto nel corso dell'esame in sede referente verso quell'altra categoria di incentivi, la cui proposta emendativa è stata bollata come inammissibile.
Purtroppo vi devo confessare che non riesco a comprendere la ratio di questa scelta. Prorogare di un anno il diritto ai nostri lavoratori all'estero, che lavorano per l'Italia e producono reddito assoggettabile ad IRPEF in Italia, di poter detrarre i carichi di famiglia delle loro tasse è, oltre che un diritto inalienabile e costituzionale, anche una forma di coerenza normativa con quanto discusso in queste ore. Sinceramente, non riesco a comprendere perché per quattro anni il nostro Paese ha consentito a questi connazionali di poter detrarre i carichi di famiglia e all'improvviso, senza una reale ragione, decide di tagliare fuori questo diritto. Molti nostri connazionali che lavorano all'estero vedrebbero in questo modo gravare sul loro budget - a volte già esiguo - anche l'onere di una mancata detrazione, riconosciuta a tutti coloro che invece sono residenti in Italia. Voglio ricordare a quest'Aula che il 16 dicembre 2009 il Governo ha accolto, nell'ambito della legge finanziaria per il 2010, l'impegno ad estendere questo diritto; un impegno accolto nell'ambito dell'ultimo provvedimento «milleproroghe».
La richiesta di impegno formulata al Governo al fine di riconoscere ai lavoratori italiani residenti all'estero un diritto ad un sostegno meritorio e doveroso è stata accolta con favore dallo stesso Governo anche in occasione dell'esame dell'atto Camera n. 2561, dell'atto Camera n. 1386, della legge finanziaria del 2009 e dell'atto Camera n. 2714 (recante disposizioni correttive del cosiddetto decreto-legge anticrisi).
Voglio condividere con voi un'ultima riflessione in merito alla bocciatura, in sede referente, per inammissibilità della richiesta di colmare il taglio retroattivo del 50 per cento dei contributi destinati alla stampa italiana all'estero operato con l'ultimo Pag. 32provvedimento «milleproroghe». L'emendamento in tal senso, insieme ad altri quaranta, era stato considerato problematico e quindi sottoposto al vaglio dei gruppi e della Presidenza. Partendo dal presupposto che il concetto di problematicità risulta complesso da determinare per questo ambito operativo, sarei ben lieto di capire le ragioni che hanno condotto ad escludere completamente l'ipotesi di una discussione su questo argomento.
Voglio ricordare a questa Assemblea che il «milleproroghe» ha tracciato un riassorbimento delle risorse della stampa italiana oltre confine pari a 5 milioni di euro; un contributo che certamente non va a risanare il deficit di bilancio del nostro Paese, ma di contro infligge un colpo basso alla tenuta della nostra immagine e della nostra cultura nel mondo. La sussistenza di questa disposizione, se non emendata, metterebbe in seria discussione la sopravvivenza delle circa 150 testate italiane edite all'estero o edite in Italia per essere distribuite oltre confine. Verrebbe compromesso il diritto all'informazione, costituzionalmente sancito, nonché una forma reale e concreta di sostegno al made in Italy.
Manco a farlo apposta, nel decreto-legge cosiddetto incentivi è stata riconosciuta una norma lodevole che stanzia un fondo per le imprese tessili del nord che decidono di etichettare il prodotto con l'obiettivo di salvaguardare concretamente il made in Italy. Si tende quindi a dimenticare che prodotti editoriali, editi o distribuiti oltre confine, rappresentano un veicolo indiscusso della promozione della lingua e della cultura italiana e della crescita e valorizzazione del made in Italy.
Cancellarne l'esistenza con un colpo di spugna mettendo a repentaglio la storia dell'editoria italiana, il collegamento tra le nostre comunità oltre confine ed il sostegno materiale alla valorizzazione di ciò che è italiano, rappresenta un atto deleterio per la nostra immagine nel mondo.
Fa riflettere in questa ottica, invece, lo stanziamento di 30 milioni di euro a favore di Poste Italiane per il 2010 per le tariffe agevolate degli editori no profit, poiché emergerebbe un'attenzione a due velocità verso chi realizza prodotti editoriali: una attenzione che, purtroppo, non tiene conto di quanto questi prodotti possono rappresentare un riferimento comunicazionale, culturale e sociale a volte indifferibile per gli utenti.
Mi auguro che si possa avviare in tempi brevi e rapidi un percorso di sensibilizzazione del Governo su argomenti che purtroppo sono spesso lasciati un po' all'angolo dell'agenda e delle priorità, e che rischiano di ampliare lo scollamento che al momento esiste tra italiani dentro e fuori i confini nazionali. Questo scollamento non fa bene al Paese, alle nostre comunità e alla nostra immagine nel mondo. Ho una profonda stima dell'operato del Governo e del sottosegretario Ravetto ed auspico che ci possa essere un'occasione per verificare ulteriormente questi aspetti normativi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fogliardi. Ne ha facoltà.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 40 del 2010 oggi al nostro esame reca, tra l'altro, disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori.
Gli articoli 1, 2 e 3 riguardano le disposizioni rientranti negli ambiti di competenza del Ministero dell'economia e delle finanze; mi soffermerò in particolare sull'articolo 1, recante norme contro le cosiddette frodi fiscali.
In sede di Commissioni riunite, il relatore per la VI Commissione, onorevole Milanese, evidenziava come «il provvedimento (...) si ponga in continuità con i precedenti provvedimenti anticrisi adottati dal Governo nell'ambito della propria politica economico-finanziaria. In particolare», Pag. 33secondo il relatore, «esso può essere considerato una sorta di continuazione del decreto-legge n. 5 del 2009, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, sebbene sia da puntualizzare» - e sono sempre parole dell'onorevole Milanese - «che è cambiata la filosofia concernente la parte incentivi e che predominante è la parte fiscale di rafforzamento del contrasto all'evasione fiscale».
Questa è una sorpresa: è cambiata la filosofia e finalmente ci si è accorti che l'evasione, l'elusione e la frode fiscale sono fenomeni reali e non illazioni e speculazioni politiche inventate dal centrosinistra. Meglio tardi che mai, sarebbe da dire. In realtà è bene approfondire questo aspetto: esiste un Paese fatto di migliaia di piccole e medie imprese, la maggior parte a conduzione familiare, le quali hanno vissuto l'anno 2009 e stanno vivendo tuttora il 2010 - come ricordava poc'anzi anche il collega Boccia - in uno stato di criticità gravissima.
Si tratta di imprese che, letteralmente, hanno dovuto «arrampicarsi sugli specchi», affrontare una crisi difficilissima e non hanno tentennato nemmeno un istante nel dare fondo ad ogni sforzo, reimpiegando risparmi, riserve accantonate e quant'altro potevano, indebitandosi ulteriormente pur di salvare le loro aziende: il sacrificio di una vita, lo scopo di un'esistenza.
Si tratta di un tessuto fatto di migliaia di piccoli imprenditori che ogni mattina si alzano e si recano nella propria azienda per profondere ogni sforzo, per fare la loro parte di dovere, per rispondere, insomma, a quella realtà che Enzo Biagi nel suo libro sulla storia del Belpaese chiamava: coloro che alla fine ci salveranno.
A fronte di questi però tanti altri furbetti, non certamente sulla stessa linea d'onda dei primi, hanno ripreso ulteriore fiato a fronte di una linea generale del Governo permissiva e premiante. Lampante è stata la discussione in quest'Aula in occasione dell'approvazione del provvedimento sullo scudo fiscale, una scelta da un lato deleteria e dall'altro umiliante. Deleteria per il significato che essa assumeva per i tanti disonesti: fate pure, tanto dopo tutto si accomoda; umiliante per i tantissimi bravi e onesti imprenditori e cittadini che di paradisi fiscali, frodi e furbizie non conoscono nulla, avendo innanzi a sé solo ed esclusivamente uno scopo: quello di salvare e continuare a far vivere la propria azienda, quello di condurre una vita onesta.
Qual è stato il risultato? Lo troviamo in questi dati, che vado ad illustrare, che mettono in risalto la situazione creatasi e verificata dagli organi a ciò preposti. Sono stati 33 mila i controlli sugli indici di capacità contributiva effettuati nel 2009 dalla guardia di finanza. Tali controlli hanno permesso di scoprire 7.513 evasori totali che hanno omesso di dichiarare basi imponibili per 13,7 miliardi di euro. Ancora, la combinazione tra il controllo economico del territorio e l'analisi di rischio è stata alla base della lotta alle frodi IVA, in particolare alle frodi carosello, quelle che sono oggetto di questo decreto, che vengono perpetrate a mezzo di missing traders ossia di imprese cartiere che acquistano merci da altri Paesi comunitari in sospensione di IVA, le rivendono ai reali destinatari applicando l'imposta, ma omettendo di versarla all'erario e sparendo dopo poco tempo. Questo aspetto, oltre alla frode fiscale, mette in atto un ulteriore aspetto negativo, quello della concorrenza sleale rispetto agli imprenditori onesti, in quanto la merce viene venduta ad un prezzo inferiore; quindi abbiamo non solo l'evasione, ma anche la concorrenza sleale.
Dirò qualcosa successivamente relativamente alla funzione che in questo campo possono svolgere gli ordini professionali se muniti di esclusive in merito alla lotta alle operazioni illegali. Ora ciò che interessa è illustrare altri dati in merito alla lotta alle frodi: 2.727 sono state le indagini antifrode, con la denuncia all'autorità giudiziaria di 6.100 soggetti, ossia il 31 per cento in più rispetto all'anno precedente. Lo ripeto: il 31 per cento in più rispetto all'anno 2008, con un'evasione IVA pari a 2,7 miliardi di euro. Questi sono i dati. Pag. 34Anche a me spiace che alcuni colleghi che sono intervenuti poc'anzi siano andati via, perché questi sono i dati, poi dirò anche la fonte.
I filoni investigativi sono 531 per frodi carosello perpetrate negli scambi tra l'Italia e la Repubblica di San Marino da parte di altrettante società cartiere, imprese filtro, e così via, che hanno messo in circolo fatture false per 708 milioni di euro al fine di evadere 216 milioni di euro di IVA. Sono dati impressionanti che provengono non da riviste di parte né da agenzie incaricate, ma dalla relazione del generale D'Arrigo, Comandante generale della guardia di finanza, nella relazione tenuta la scorsa settimana innanzi alla Commissione bicamerale di vigilanza sull'anagrafe tributaria.
Come non ricordare a questo punto il primo provvedimento del Ministro Tremonti appena insediato: l'abolizione dell'invio degli elenchi clienti e fornitori, ritenuti inutili, burocrazia superflua. Ora la domanda sorge spontanea: signor Ministro, erano davvero inutili e superflui? Se oggi andiamo a sostituire questo adempimento con uno analogo che comunichi alle autorità preposte gli spostamenti in paradisi fiscali e i movimenti, erano poi così inutili gli incroci di questi dati? Certo, si dirà, meglio tardi che mai, con l'inserimento oggi degli adempimenti di cui al comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge in esame.
Certo è altresì che rimane una gravissima responsabilità politica: quella di chiudere i cancelli a buoi scappati e di avere incentivato con politiche permissive un clima del «tutto si può fare, tanto dopo, tra condoni e scudo, tutto si sistema».
Si ritiene comunque utile l'adozione di questo provvedimento, al quale abbiamo concorso cercando di ampliarne la portata non solo a quei contribuenti che svolgono operazioni commerciali con i paradisi fiscali. Il PD ha emendato il provvedimento in Commissione non limitandolo alle sole fatture, ma anche ad altre documentazioni, quali bolle doganali o altro, che possano ricondurre all'illecito perpetrato.
Per quanto attiene i commi 2 e 3 che prevedono, rispettivamente, la possibilità per il Governo di ampliare o meno le black list (comma 2) e le sanzioni amministrative (comma 3), vorrei riprendere l'argomento prima trattato relativamente al ruolo fondamentale che possono svolgere gli ordini professionali e, in questo caso, particolarmente l'ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili, unitamente ai consulenti del lavoro.
Quasi sempre nelle operazioni illecite di frodi fiscali si uniscono la volontà di chi vuole evadere ma anche l'opera di consulenti senza scrupoli, spesso abusivi della professione, che prestano la propria assistenza. Non sono la gran parte dei professionisti regolarmente iscritti e onesti, che in maniera corretta prestano quotidianamente la loro opera e che, in questo caso, subiscono anche loro una concorrenza sleale.
Nei progetti di riforma degli ordini professionali - apro una parentesi - si abbia il coraggio di assegnare finalmente l'esclusiva di alcuni compiti ai commercialisti e consulenti iscritti, così come esiste già per altri ordini, e si subordini l'effettuazione di operazioni alla certificazione e firma da parte di professionisti che ne garantiscano la regolarità e correttezza sanzionando pesantemente, sino alla radiazione dall'albo, le eventuali omissioni e scorrettezze.
Oggi si ha una caratterizzazione di questa categoria professionale, che è chiamata ad essere magazziniere dell'Agenzia delle entrate (perché deve archiviare nei propri magazzini e garage le dichiarazioni dei redditi), che fa da classe impiegatizia perché trasmette via Internet le dichiarazioni dei redditi, mentre sotto altri aspetti non vi è nessuna responsabilità.
Se una casa crolla, l'ingegnere che ha progettato quella casa viene colpito. Se un medico sbaglia l'operazione, viene colpito. Avvocati e notai sono pubblici ufficiali e solo loro possono rappresentare i clienti in determinate situazioni. Gli unici a non avere esclusive sono gli ordini professionali in materia tributaria, fiscale e contabile. Pag. 35
Oggi basta l'acquisto di un personal computer e l'affissione di una targa «elaborazione dati» e tutti diventano fiscalisti. Questo non vuole essere un discorso corporativo, ma è una funzione fondamentale che i professionisti possono svolgere da ausilio alle strutture dello Stato. Ma - ahimè - la sensazione è che anche in questo settore il Governo, ancora una volta, sarà latitante, lasciando tutto così com'è.
Ritornando al decreto-legge, esprimiamo un giudizio negativo anche per quanto riguarda la fonte sugli incentivi e le risorse destinate al finanziamento degli interventi previsti che sono assolutamente inadeguati per rispondere agli attuali bisogni dell'economia italiana. Allo stesso modo esistono forti perplessità in merito alla copertura relativa al Fondo per il sostegno della domanda finalizzata ad obiettivi di efficienza energetica, di ecocompatibilità e di miglioramento sulla sicurezza sul lavoro.
La determinazione della somma che costituirà la dotazione del predetto Fondo è riferita al maggior gettito atteso da misure fiscali di cui non si possono conoscere al momento i concreti effetti. Sono molto più ampie le aspettative dei cittadini e, mentre stiamo discutendo la conversione del decreto-legge in legge, molto probabilmente le risorse sono già terminate.
È un'ulteriore testimonianza del difficile rapporto tra cittadini ed istituzioni, comprovata del resto dall'astensionismo nelle recenti consultazioni elettorali che ha raggiunto livelli mai toccati in tutta la storia dell'Italia repubblicana.
Inoltre, volendo analizzare l'attuale situazione economica, non possono sfuggire i dati diffusi dalla Banca d'Italia, che da un lato segnalano la grave condizione nella quale si trovano i consumatori e le imprese, e dall'altro non autorizzano a formulare al momento previsioni favorevoli. Sono diminuiti del 2,8 per cento i consumi e di circa il 13 per cento gli investimenti, mentre il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto del 2 per cento, si sono assottigliati i redditi di lavoro e di impresa ed è aumentata la mortalità delle microimprese. Se a questo quadro desolante aggiungiamo quello ancora più pesante della diminuzione delle entrate tributarie derivanti dall'imposizione diretta, si può ben comprendere come il provvedimento non soltanto non propone rimedi risolutivi, ma reca interventi scarsamente utili che non stimolano la domanda e che sostanzialmente tengono il Paese in una posizione immobile. Il Paese avrebbe tutti i diritti per diventare normale, ma non gli è permesso.
Un'azione di effettiva rivitalizzazione dell'economia italiana avrebbe richiesto una politica incentrata sulla difesa dei redditi e del lavoro, così come il Partito Democratico aveva proposto con un più esteso ricorso agli ammortizzatori sociali, necessario per fronteggiare gli effetti delle crisi aziendali. A tale riguardo, e concludendo in tal senso, non possono in questa sede non essere condivise le affermazioni del Presidente Napolitano pronunciate in occasione della festa del 1o maggio: valorizzare il lavoro, liberarne le potenzialità, riconoscerne i diritti, a ciò debbono dunque rivolgersi le politiche economiche e sociali e le tendenze dello sviluppo nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Anna Teresa Formisano. Ne ha facoltà.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, cercherò di fare un discorso di carattere generale sull'intero provvedimento, più noto come decreto-legge incentivi, meglio conosciuto come una farsa. Di questi incentivi abbiamo sentito parlare da tanti giorni sui giornali, sulla stampa, nelle televisioni, ma quando siamo andati ad esaminare il provvedimento è rimasta solo la parola, perché definire un provvedimento «decreto incentivi» e parlare di una somma totale per risollevare le sorti delle imprese del nostro Paese pari a 300 milioni di euro è una contraddizione in termini. Forse - dico forse - in un momento come questo, questa quota di Pag. 36incentivi pari a 300 milioni di euro, sarebbe bastata per un unico settore che oggi è in crisi, qualsiasi settore: allora sì che sarebbe stato un segnale. Ma parlare di un decreto-legge incentivi e di una manovra che dovrebbe sostenere in un momento di difficoltà e dare una boccata di ossigeno ad alcuni settori con risorse pari a 300 milioni di euro, lo ripeto, è veramente risibile.
Dall'inizio dell'esame del provvedimento avevamo segnalato proprio l'inadeguatezza delle risorse messe a disposizione dal Governo, un'inadeguatezza che è stata amplificata dal fatto che le già scarse risorse sono state spezzettate in un insieme, definiamolo eterogeneo, di misure con il risultato che non abbiamo avuto alcun risultato. Le nostre preoccupazioni nascevano anche dalla natura della copertura prevista, in gran parte ricavata dal maggior gettito atteso da misure fiscali di cui non si conosceranno a breve gli effetti concreti.
Nonostante tutte le cose da me dette, nel complesso il nostro atteggiamento non è stato pregiudizialmente contrario al decreto-legge, nella speranza che alcune proposte emendative di buonsenso fossero accolte e che il Governo avesse trovato, nel corso dell'iter, risorse adeguate alle condizioni in cui versa l'attuale economia italiana. Sono condizioni difficili non confermate da me, bensì dai maggiori centri studi e dalle principali istituzioni economico-finanziarie che non consentono certo di fare previsioni rosee sul futuro della nostra economia. Ogni settimana, ormai da un po', abbiamo in audizione i rappresentanti delle varie categorie, dal tessile, all'Assofermet, che ha chiesto di essere audita in Commissione per problemi relativi alla crisi che sta vivendo anche un settore delicato come quello a cui appartiene. In ordine al tessile, abbiamo fatto il provvedimento sul made in Italy, dicendo che ci sarebbe stata poi un'attenzione ad altri settori, ma tutto si è fermato lì: un altro bel parlare.
Allora, vogliamo ribadire ciò che abbiamo già sostenuto in analoghe situazioni e per analoghi provvedimenti. Non si può curare, caro Presidente, con l'aspirina patologie che hanno bisogno di ben altre cure, magari di una chemioterapia forte. Purtroppo manca, ancora una volta, una visione d'insieme e un disegno unitario di politica industriale. Il testo, dopo aver subito alcune modifiche nella Commissione di merito (Attività produttive), giunge in Aula privo di un parere importante, quello della Commissione bilancio. È cosa che, anche se prevista dal Regolamento (che conosciamo bene), certamente non dà un contributo per un sereno dibattito da qui in avanti. Ci sono poche luci e molte ombre e di alcune modifiche introdotte ne apprezziamo sicuramente la portata e la ratio. Tuttavia, si tratta di norme che non incidono in modo tangibile e con effetti benefici sulla piccola e media impresa, di cui tutti siamo bravi a riempirci la bocca come il tessuto portante della nostra economia e come la base vera e reale dell'economia del bel paese Italia. A nostro avviso, però, vi è una poca lungimiranza nel non considerare alcune misure che avrebbero prodotto invece (queste sì) effetti benefici in termini di sostegno alla piccola e media impresa. Mancano, ad esempio, le agevolazioni fiscali per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio previste dalla legge finanziaria per l'anno 2008. Direi che tutto il pacchetto ambiente è un po' scomparso e si è volatilizzato. Così è successo per la proroga del MUD - che non è una parolaccia, bensì il modello unico di dichiarazione al 30 giugno - per la ridistribuzione delle quote di emissione di anidride carbonica per i nuovi entranti e la proroga delle concessioni idroelettriche. Sono temi fondamentali per la competitività delle imprese che dovranno accollarsi altri costi, oltre a scontare un'incertezza delle norme. Basti pensare che l'assenza di regole certe sul MUD metterà circa 600 mila aziende, che attendevano la proroga del vecchio modello di dichiarazione, in una situazione di illegalità già dal 1o maggio, ovvero dall'altro ieri. Ciò accade nonostante avessimo avuto rassicurazioni in merito. Stesso dicasi per le quote di emissione che, anche se riguardano una platea di soggetti più Pag. 37limitata, avranno degli effetti negativi e pesanti, in quanto le quote disponibili non sono sufficienti. Questo lo si sapeva già, basti pensare che le quote disponibili per i nuovi entranti sono circa 21-22 milioni di tonnellate di anidride carbonica, sufficienti a coprire le prime 82 richieste, a fronte delle 200 presenti, costringendo le imprese ad acquistare il bonus emissione per i loro impianti nell'Unione europea.
Ritengo che la motivazione del mancato esame di queste norme in questa sede, in quanto non attinente alla materia del decreto-legge incentivi, sia stata una cattivissima scelta. Il mio giudizio è avvalorato, caro collega relatore, dal fatto che leggiamo sui giornali che il Governo è pronto a varare un decreto-legge.

MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Infatti.

ANNA TERESA FORMISANO. Questa è l'ennesima prova di una contraddizione in termini. Sappiamo che c'è un vulnus di inadeguatezza dal primo maggio, invece di sopperire con risorse idonee facciamo un decreto-legge che sana. Che novità! Dunque, si farà un decreto-legge o forse è stato già fatto - lo apprendiamo dai giornali - che sanerà le dichiarazioni MUD presentate con il vecchio modello e la redistribuzione delle emissioni di anidride carbonica. Questo non è programmare, non è pianificare, ma significa mettere una «pezza a colori». Stiamo parlando di un decreto-legge incentivi, che doveva prevedere tutte queste cose; il Governo non doveva fare un provvedimento che sanava una situazione che esso stesso ha creato. Altra partita finita male è quella riguardante il tema TIA-IVA, cioè la tariffa di igiene ambientale. Sembra uno scioglilingua, ma parliamo della tariffa di igiene ambientale, che rischia di avere delle conseguenze pesanti sui bilanci degli enti locali. Anche su questo tema non mancavano le soluzioni sia della maggioranza che dell'opposizione, ma il Governo ha tirato dritto e, a meno di ripensamenti dell'ultima ora, anche questo tema potrebbe far parte di un altro provvedimento ad hoc. In realtà, a nostro giudizio, non si fa altro che perder tempo e denaro e si deve ancora attendere per avere un quadro certo in ordine alla disciplina sulla tariffa di igiene ambientale, travolta dalla sentenza della Corte costituzionale che ne ha dichiarato il carattere di tributo. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, i problemi sul tavolo sono ancora molti e ci saremmo aspettati un atteggiamento più disponibile nei confronti delle proposte emendative presentate dall'opposizione, molte anche a costo zero, per la verità, ma evidentemente il Governo e la maggioranza ritengono di poterne fare a meno. Ovviamente il nostro atteggiamento e il nostro voto potranno mutare solo e in quanto dall'esame in Assemblea scaturisca o dovesse scaturire un diverso atteggiamento ed una nuova disponibilità nei confronti dei pochi, pochissimi emendamenti, che abbiamo presentato, volendo con questo togliere anche al Governo l'imbarazzo di apporre l'ennesima questione di fiducia su un provvedimento che poteva avere sicuramente una diversa portata nel cercare di condurre il nostro settore produttivo fuori dalle secche di una crisi che lo avvolge. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, con tre considerazioni. Noi ci auguriamo che degli emendamenti rimasti in piedi alcuni possano avere una risposta positiva da parte del relatore e dell'Esecutivo. Sto parlando di emendamenti che abbiamo presentato, che riguardano per esempio la rottamazione delle caldaie per riscaldamento - ci sembrava una cosa buona e giusta per le famiglie e per le aziende che investono in questo tipo di settore - o la rottamazione delle macchine agricole.
Si parla tanto di riprendere l'agricoltura come grande forza trainante della nostra economia, però mi sembra tanto di assistere a chi vuol fare le nozze con i fichi secchi. Infatti, se non diamo risorse e investimenti per l'acquisto di macchinari moderni, quale giovane può diventare imprenditore agricolo? Con chi, con che cosa? Ci auguriamo anche che possa essere approvato l'emendamento che parla della dilazione dei pagamenti per l'impresa Pag. 38nei confronti del fisco, quando c'è una difficoltà temporanea di onorare questo tipo di imposta, per un massimo di dodici mesi, quando l'importo sia superiore ai 250 mila euro.
Anche questa ci sembrava una proposta di buonsenso. Abbiamo assistito a sanatorie con rientri di capitali dall'estero ad un tasso risibile: prevedere una dilazione per un anno per le imprese in difficoltà nei confronti del fisco, con una rateizzazione, forse sarebbe stato un segnale di vera attenzione alle aziende che si trovano in difficoltà, salvo poi piangere tutti il giorno dopo, quando leggiamo sui giornali che un imprenditore si è suicidato, perché lì siamo tutti pronti a fare il nostro atto di contrizione e di pentimento.
Sarebbe più opportuno pensarci prima, magari, soprattutto nei confronti di quei piccoli e medi imprenditori che hanno investito tutta una vita in risorse per attrezzare, magari, un'azienda che stanno vedendo morire ogni giorno e che non sanno più dove mettere le mani.
Così come, signor Presidente e onorevoli colleghi, non mi pare vi sia stata attenzione verso l'imprenditoria femminile; d'altronde, l'altro giorno, io stessa ho presentato un ordine del giorno proprio sull'imprenditoria femminile, che era stata completamente cancellata dall'ultimo provvedimento che quest'Assemblea ha approvato, così come in questo decreto-legge non vi è traccia di tale argomento.
Non vi è traccia nemmeno di qualcosa che a noi sta tanto a cuore, caro Presidente: sto parlando delle piccole imprese familiari, perché anche lì si poteva dare un segnale chiaro e forte di attenzione. Tutti parliamo di famiglie e di imprese familiari, salvo poi dimenticarle puntualmente, quando vi è la possibilità di incidere con provvedimenti come questo.
Signor Presidente, concludo dando, ovviamente, un parere critico su questo provvedimento, che poteva essere una grande occasione, che, ancora una volta, il Governo ha perso, riempiendosi la bocca del decreto incentivi; sarà l'ennesimo spot!
Pochissime risorse, come ho detto prima: 300 milioni di euro. Non sono neppure una goccia nel mare! Aspettiamo il Governo alla prova dell'Aula sugli emendamenti che resteranno in piedi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, onorevoli relatori, parlerò di Tributi Italia Spa. È una brutta storia italiana e desidererei, interpretando anche l'opinione di tutto il Parlamento, che non passi come un'ordinaria storia di scandali italiani.
La storia è che oggi, da qualche mese, vi è un buco provvisorio di almeno 90 milioni di euro e vi sono 135 comuni inguaiati: ICI, Tarsu, Tosap e altre imposte, regolarmente pagate dai contribuenti dei comuni a Tributi Italia, ex Publiconsult, ex San Giorgio, ex Gestor, ma non altrettanto regolarmente versati da Tributi Italia nelle tesorerie comunali.
Per anni si è svolta questa vicenda, senza che nessuno, a livello istituzionale, dicesse niente. Ora, a Pomezia mancano 21 milioni e mezzo di euro, circa 25 ad Aprilia, 10 ad Augusta, 5 a Nettuno, 2 a Bologna, così a Bergamo, a Forlì e a Civitavecchia, ma anche a Rosolini, Zafferana Etnea, Piedimonte Etneo, Misilmeri, Scordia, San Giuseppe Jato, Arzachena, Ferrandina, Caserta, Giugliano, Vignola, Polignano, Sinalunga.
Solo a Bologna e a Brindisi si è ottenuto di ricorrere al cash pooling. Ma chi paga? Questa è la prima domanda interessante in questa brutta storia italiana.
Tributi Italia è in odore di fallimento da mesi, da molti mesi: soldi in cassa per risarcire i comuni non ve ne sono. I sindaci che hanno provato a rifarsi sulle società di fideiussione stanno avendo un'amara sorpresa: alcune sono fallite, altre inadempienti, qualcuna addirittura scomparsa in uno strano giro di truffe; in molti casi mancano le autentiche notarili sugli atti. Altro che incassare le polizze per ripianare il buco.
Onorevoli colleghi, volete alcuni esempi? Il comune di Pescara (quasi 800 Pag. 39mila euro mancanti) non sa addirittura dove mettere le mani. Esso aveva, onorevole relatore, onorevole Milanese, una fideiussione della Finroma, ma la società è fallita nel 2007. Il 26 febbraio 2008 ha ricevuto un'altra polizza, teoricamente valida fino al 2010, ma la società Fidecomm, che l'aveva emessa, era stata cancellata dall'albo un mese prima, il 31 gennaio. Adesso ve n'è un'altra, la Finworld, ma la società lascia dei dubbi: non sembra essere né impresa di assicurazione, né tantomeno istituto bancario.
Ogni società di riscossione, e fra queste Tributi Italia, doveva presentare regolari polizze fideiussorie, che i sindaci potevano incassare in caso di inadempienza; le fideiussioni dovevano essere rilasciate da società iscritte all'albo ufficiale degli intermediari finanziari, gestito dall'Ufficio italiano cambi fino al 1o gennaio 2008, e poi dalla Banca d'Italia. Tutti tranquilli! Invece no. Seguendo le tracce della fallita Finroma, di cui ho appena parlato, con sede in Roma alla via Salaria, spunta la Italica Spa. Essa è stata cancellata dall'albo di Bankitalia in aprile, ed è fallita a settembre; ha avuto lo sfratto per morosità. Ai comuni di Aulla, di Monte Sant'Angelo, di Iglesias, di Aprilia non resta che mettersi in coda nell'ufficio del curatore fallimentare.
Stessa storia per la società fideiussoria romana Fingeneral, cancellata dall'albo della Banca d'Italia nel 2009, due anni dopo l'arresto del proprietario; non è una nota del redattore. Caserta vanta 1 milione mai avuto, e crediti ne annoverano inutilmente Cologna Veneta (Verona), Roccalumera (Messina), Cesate, Dalmine (Bergamo), Trecastagni, Vignola (Modena). Molti comuni hanno invece in cassaforte le polizze di Fidecomm e Fidicomm: due società romane che lavoravano in stabile sinergia con Tributi Italia. Curioso: erano entrambe nate per produrre e distribuire energia elettrica, poi hanno fatto il salto nel grande business delle fideiussioni, e sono in azione a Pescara, Bologna, Ferrandina e Alghero. Fidecomm è stata depennata dall'elenco ufficiale degli intermediari finanziari nel 2008, Fidicomm nel 2009, ma anche dopo la cancellazione alcuni enti locali, come Bologna, Alghero e Pescara, ne hanno accettato le polizze senza batter ciglio; eppure sarebbe bastata una visura alla camera di commercio per capire che vi era qualcosa che non funzionava.
Sul sito ufficiale della Banca d'Italia, alla voce «Elenco degli intermediari finanziari», spicca un'avvertenza, che recita così: «L'iscrizione non garantisce la corretta gestione operativa da parte degli intermediari finanziari». La vigente normativa, cioè, non assegna alla Banca d'Italia compiti di vigilanza sull'andamento della gestione degli intermediari stessi; come dire: fantastico, se mi è consentita la battuta ironica. Se perfino la Banca d'Italia se ne lava le mani, chi deve vigilare sulla giungla di operatori che offrono cauzioni, fideiussioni, prestiti miracolosi a destra e manca? Gli interrogativi sarebbero decine.
Ma veniamo al dunque, perché la storia non si conclude qui. Il punto colpevole lascia insoluta la domanda che, da mesi, in Commissione finanze è stata posta in una serie di audizioni e di cui poi questo decreto-legge offriva - e spero offra o potrà offrire in Aula - le soluzioni più adeguate per mettere fine a una storia che rischia di essere infinita, ed è quindi il legislatore che si assume questo compito. Ma come dicevo, anche eventualmente punito il colpevole - il che non è un dato acquisito - la domanda insoluta rimane: chi risarcirà quei comuni sull'orlo del dissesto finanziario comunale o della bancarotta? E non solo: che fine faranno i circa mille dipendenti di Tributi Italia che non percepiscono alcuno stipendio da luglio 2009?
Noi come gruppo del Partito Democratico presso le Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive), cosa abbiamo proposto? Abbiamo proposto delle misure semplici, alcune delle quali sono state accolte (e lo abbiamo apprezzato), ma il nucleo fondamentale della richiesta che riproponiamo in Aula durante la discussione sulle linee generali al Governo e ai relatori riguarda la necessità di prevedere Pag. 40che, nel caso di un'azienda di riscossione cancellata dall'albo ministeriale, perché non ha versato ai comuni le tasse riscosse dai cittadini, il servizio su richiesta dei singoli comuni possa essere assicurato per non oltre tre anni da un ente che gestisce il servizio di riscossione nazionale.
È quindi una richiesta come dire semplice, di garanzia e di opzione che il singolo comune può compiere. Ovviamente dentro questa procedura riteniamo indispensabile che l'azienda di riscossione nazionale si avvalga del personale della società a cui subentra.
Abbiamo posto anche un'altra questione più impegnativa che, come sanno i relatori e il Governo, non si risolve nell'estensione della legge Marzano perché questa, anche se applicata in fede, qualificherà o qualificherebbe i comuni come chirografari ordinari, vale a dire che i tributi dei cittadini dei comuni che sono stati riscossi da Tributi Italia e non sono stati mai riversati costituiscono un danno per i comuni, che rischiano il dissesto, e per il bilancio che, vedremo, è il provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze, così come da emendamento accolto. Ma soprattutto i beneficiari del versamento di una tassa e di un tributo sono coloro che non riceveranno il servizio per cui è prevista la riscossione di una tassa.
Allora noi abbiamo chiesto, perché convinti, se fosse possibile l'intervento della Cassa depositi e prestiti, non già un intervento sanatorio dello Stato. Si tratta di un intervento che, accompagnato alla forma con la quale questi comuni dovranno comporre il bilancio, dovrebbe iscrivere crediti non esigibili dovendo reiterare negli anni, come già accade per tanti comuni, la inesigibilità di un credito riscosso, non di un credito inventato o di un credito mai riscosso, di un credito cioè che è in mano alla brutta storia italiana che si chiama Tributi Italia.
Detto ciò, noi abbiamo già posto - e lo riproponiamo in Aula - il fatto che il problema si possa risolvere nel modo indicato dall'emendamento che abbiamo presentato.
Inoltre richiediamo al Governo, al relatore, ai colleghi, che ai comuni sia assicurato, nelle more di questi mesi appena passati e di quelli che verranno (mi riferisco a quelli che verranno perché non è l'estensione della legge Marzano a risolvere il problema dal punto di vista della tempistica, e in secondo luogo bisognerebbe comunque attendere le sentenze del Consiglio di Stato e del tribunale di Roma in ordine all'insolvenza, come noi auspichiamo), di poter agevolmente decidere la riscossione in proprio o il riaffidamento del servizio, considerato che è noto - come sanno l'onorevole relatore e soprattutto il presidente della VI Commissione che ha reso un importante contributo a tutta la vicenda in sede di istruttoria - che gli archivi e i database sono ancora in mano a Tributi Italia Spa.
In altre parole, per quanto riguarda il dato più importante e significativo che dovrebbe essere tutelato dalle leggi vigenti (perché almeno in quel campo c'è qualche legge), la privacy e la titolarità, si sappia in questa Aula che gli archivi e i database sono ancora in mano alla società Tributi Italia Spa. Vorrei concludere su questo capitolo, perché si tratta di un ordinario intervento e se non lo svolge il legislatore in questa Aula non si mette fine ad una brutta storia, e soprattutto si consegnano ad altre soggettività competenti le soluzioni.
Penso che il legislatore su questa materia possa dire una cosa importante nei giorni che mancano alla conversione del decreto-legge, e aggiungo che il legislatore dovrà assumere un impegno preciso in ordine al sistema e all'istituto della vigilanza. Penso che il legislatore dovrà assumere un altro impegno importantissimo in ordine al sistema più generale della riscossione dei tributi locali in ossequio al Titolo V della Costituzione e al federalismo fiscale. Penso che se tutte queste ultime cose sono il futuro di impegni che questa Assemblea può assumere, ciò che è più urgente è che si metta subito un punto Pag. 41chiaro e che gli emendamenti che noi proponiamo (convinti che sono patrimonio comune) siano assunti nelle giornate di esame del provvedimento a cominciare da domani.
Questo è il nostro agire, perché dentro questo agire si porrà poi un grande problema sociale che vorrei segnalare prima: i lavoratori e le lavoratrici di Tributi Italia Spa, che hanno svolto in questi anni non solo attività di riscossione ma anche di accertamento, sono notoriamente la parte più importante delle politiche fiscali italiane, e rispetto a questo aspetto la previsione - come abbiamo suggerito - della salvaguardia dei livelli occupazionali per quei lavoratori che sono persino esclusi dagli ammortizzatori sociali (se non quelli in deroga) è un altro punto per niente secondario tra le questioni che abbiamo proposto in VI e X Commissione e che oggi riproponiamo in Aula.
Detto ciò, Presidente, immagino di avere ancora cinque minuti di tempo, o forse di più...

PRESIDENTE. Onorevole Vico, le sono rimasti tredici minuti, ma il suo gruppo mi ha chiesto di segnalarle il quarto d'ora per vostri accordi interni.

LUDOVICO VICO. Coglierò l'occasione per affrontare una seconda questione delle problematiche che dobbiamo affrontare. Mi permetterò di rivolgere questa seconda questione al Presidente della Camera e ovviamente al Governo e ai colleghi.
Tutti noi parlamentari siamo sempre più impossibilitati ormai, da diversi mesi, a svolgere il nostro ruolo e la nostra funzione di legislatori. Non per tutte le ragioni che sono rese all'esterno dalla stampa, dai media e così via, ma siamo sempre più impossibilitati a svolgere questa funzione perché i provvedimenti non sono mai a saldo zero, come quello che stiamo esaminando. Per finanziare un provvedimento bisogna prendere le risorse da un'altra parte; è un gioco di scatole, aggiungerei «cinesi», se non fossi difensore del made in Italy.
Accanto a questo gioco delle scatole, ce ne è un altro che è più terribile e che sottopongo al Governo: non ci sono fondi per legiferare, cioè i Fondi speciali delle Tabelle A e B che sono i fondi indispensabili consegnati alla democrazia di un Paese, rappresentata da questa Assemblea e da quella del Senato, quindi dal legislatore, sono decisi dalla legge finanziaria, sia nella versione precedente che nella nuova. Quelle tabelle, titolate accantonamento per le future leggi, sono a fondo zero. In origine nel Fondo vi erano 14 milioni di euro, che il Governo ha preso. Non discuto sulla legittimità - userò questo termine con un lessico complicato - del «prendimento», voglio solo segnalare che era norma dei Governi italiani destinare alle Tabella A e B, o perlomeno alla A, cifre che non fossero inferiori ad 1 miliardo di euro, perché sono l'accantonamento per le leggi future italiane.
Un parlamentare, come ognuno di noi, che si reca alla Ragioneria si sente dire: fondo incapiente. Allora i soldi dove sono? Non si dice che non ci sono, si dice fondi incapienti. Siamo consapevoli della situazione della crisi e non è questa la discussione politica da svolgere. Il punto è un altro: il Parlamento non ha un euro a disposizione, mentre il Governo ha prelevato i pochi e «maledetti» euro della Tabella A. Così pochi ne ha previsti il Ministro Tremonti da non poter competere con il precedente Governo Prodi, che ne aveva previsti un miliardo 200 milioni e il penultimo Governo Berlusconi che ne aveva previsti un miliardo, non più tardi del 2005.
Allora, il Parlamento non ha i soldi per fare le leggi, ma i soldi per fare le leggi li ha il Governo. Qui vi è qualcosa che non funziona: il Governo ha i soldi dei «fondoni» (che sono i tre fondi ex FAS, così ci capiamo da dove sono stati presi), i soldi dello scudo fiscale, i soldi per i grandi eventi, i soldi del FISPE (che è il Fondo per interventi strutturali di politica economica) e il legislatore italiano ha zero euro. Questo Parlamento rischia di limitarsi a fare le mozioni, a votare sui decreti-legge per chi ha i soldi, con l'eventuale bontà che si possa prendere qualcosa dai «fondoni», dallo scudo fiscale, dal Pag. 42FISPE, se non dai conti dormienti - come è accaduto - o da impegnative su lotta all'evasione fiscale e così via. Il Parlamento è svuotato.
Il Parlamento rischierà settimane di discussioni senza legiferare mai se non solo per convertire decreti-legge. Questo, signor Presidente della Camera, non va bene. Questo è un punto che va affrontato poiché è un problema che concerne le prerogative del Parlamento italiano, del legislatore italiano: lo sottopongo a lei come informativa, lo segnalo al Governo perché convinto che gli altri colleghi su questo abbiano e abbiamo comunemente identità comuni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Micheli. Ne ha facoltà.

PAOLA DE MICHELI. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, il giudizio complessivo su questo decreto-legge è negativo per il sostanziale ritardo sui tempi con i quali è stato adottato rispetto alle promesse e alle dichiarazioni stampa che ne avevano anticipato una parte dei contenuti e, soprattutto, per la grave inadeguatezza delle modalità e della quantità di erogazione di risorse rispetto ad un modello di incentivi che, di fatto, in questi giorni si sta dimostrando abbastanza inutile, considerato che in pochi giorni sono state anche esaurite le risorse.
Il quadro generale di finanza pubblica è sicuramente molto preoccupante. Noi ce ne rendiamo conto. Ricordo a quest'Aula, non certo per essere di cattivo auspicio, che sulle questioni di rating (fermo restando che sulle società di rating sarebbe il caso di aprire una discussione, e l'onorevole Milanese su questo tema ha anticipato una riflessione che, forse, dovremmo fare), se rimaniamo a ciò che è oggi il rating, dovremmo anche avere la consapevolezza che siamo posti dopo il Portogallo e la Spagna come valutazione complessiva della finanza pubblica italiana.
Quindi, pregherei i colleghi della maggioranza, oggi, nella discussione sulle linee generali, e nei giorni che verranno, sperando di avere più occasioni per poter affrontare le questioni economiche, di evitare i toni trionfalistici rispetto agli indicatori fondamentali del bilancio pubblico e, invece, di assumersi la responsabilità di un Governo sapiente e attento a quelle che sono le dinamiche economiche che ci attendono nei prossimi mesi.
Una segnalazione: abbiamo l'avanzo primario ormai azzerato e un preoccupante incedere della spesa corrente che cresce di 12 miliardi nel 2009 e il deficit che aumenta di 35 miliardi. Vi sono coperture nelle previsioni di bilancio che sono anche un po' ballerine - non le ho definite così io ma colleghi ben più autorevoli di me - a partire dalle una tantum, i vari scudi fiscali, i prelievi fatti in maniera non molto chiara dall'INPS. Ci sono anche coperture che non ci dovrebbero far stare così tranquilli e sicuramente ci dovrebbero indurre ad evitare di usare toni trionfalistici.
Abbiamo, inoltre, un problema dentro il Paese: infatti, se è pur vero che va riconosciuta la spina dorsale dell'economia italiana ovvero la piccola e media impresa (4 milioni e mezzo di aziende, 4 milioni e mezzo di imprenditori che tutte le mattine, pressati da gravosi sacrifici, aprono le loro aziende e consentono a questo Paese di tentare di migliorarsi), è anche vero tuttavia che per quest'anno la crescita sarà molto più vicina allo zero che all'uno, con moltissimi settori e filiere intere che coinvolgono molte regioni del nostro Paese in crisi di ordini, in forte difficoltà sull'export e soprattutto, con l'approssimarsi della presentazione dei bilanci nel 2009, con una preoccupante immaginabile stretta sul credito. Sottolineo a quest'Aula una difficoltà che gli imprenditori ci segnalano e immagino lo facciano a tutte le componenti di quest'Aula.
Verranno avanzate le richieste per il rinnovo dei crediti da parte delle piccole e medie aziende e verranno depositati per queste richieste i bilanci del 2009 che sono i bilanci di crisi piena. Questo, se verranno applicati tout court i criteri di Basilea 2, determinerà inevitabilmente una stretta Pag. 43sul credito per le piccole e medie aziende, come se non ve ne fosse già stata a sufficienza sin qui rispetto alla contrazione degli ordini.
Quindi, è un giudizio che determina l'idea di un'occasione per l'ennesima volta mancata, anche dentro un quadro internazionale che, nella sua negatività e nella preoccupazione che crea in tutti noi, forza responsabile di opposizione, ci avrebbe però consentito di mettere un po' di ordine, se non altro anche per la paura che possono suscitare le vicende che si realizzano in altri Paesi proprio in queste ore e in questi giorni.
Parlavamo del ritardo e dell'attesa rispetto agli incentivi, quindi della seconda parte del decreto-legge in discussione: questa attesa di fatto ha creato un'aspettativa di consumo, il ritardo ci sembra costruito ad hoc per questioni elettorali e, di fatto, la quantità degli incentivi e delle risorse destinate a questo decreto-legge si sono dimostrate se non altro un'anticipazione di consumo, non intervenendo di fatto su quelli che sono i problemi anche delle poche filiere selezionate nel decreto-legge in esame.
Anche alcuni ampliamenti, rispetto per esempio alla defiscalizzazione dei campionari, che siamo riusciti a concordare in Commissione, sono stati però tutti ricondotti nell'ambito dei tetti di spesa che erano già previsti nel decreto-legge originario. Quindi, vi è stato un ampliamento, ma di fatto i settori coinvolti corrono il rischio di non avere risorse a sufficienza per realizzare le progettualità, soprattutto sull'export.
Sul fronte fiscale finalmente si reintroducono strumenti contro l'evasione fiscale, sospinti anche dal favore dell'opinione pubblica, a causa degli eventi anche di recente attualità. Tuttavia, sull'evasione, signor Presidente e signor relatore, si può e si deve comunque fare di più. Questa è una prima risposta che il Governo può dare ai problemi di finanza pubblica: un intervento più pesante sull'evasione, che anche dagli ultimi provvedimenti che sono stati adottati dimostra di essere ancora una macchia molto ampia e molto nera della situazione economica di questo Paese e che spesso non si nasconde nelle pieghe delle attività delle microimprese, ma è ben più vasta e ben più ampia laddove si ampliano gli orizzonti delle attività delle imprese stesse.
Sulla questione relativa alle polizze dormienti attendiamo le novità che sono state anticipate proprio oggi da parte del relatore.
Sulla riscossione, invece, e in particolare sulla vicenda di Tributitalia, di cui peraltro ha già parlato ampiamente e con dovizia di particolari il collega Vico, vi è un'ulteriore preoccupazione, perché da questa norma potrebbe discendere di fatto che i comuni vengano messi nelle condizioni di doversi ancora assoggettare alle convenzioni sottoscritte con Tributitalia, cioè con una società che non ha riversato 90 milioni di euro nelle casse dei comuni medesimi, che è stata cancellata dall'albo degli intermediari, così come già detto, e quindi l'ampliamento della legge Marzano potrebbe determinare la non decadenza delle convenzioni medesime. Il rischio è che si perpetui una condizione nella quale, oltre al danno, si verifica la beffa.
Sottolineo anche un'altra vicenda che mi ha un po' amareggiato, legata all'inammissibilità di tutto il gruppo degli emendamenti - peraltro presentati anche dalla maggioranza - relativi alla tariffa di igiene ambientale (ho visto che anche la collega Formisano ha citato questa vicenda).
La Presidenza della Camera li ha dichiarati inammissibili. Ora, vi è una questione di emergenza nel Paese rispetto a questa vicenda: è dal luglio del 2009 che la Corte costituzionale, anche se incidentalmente, ha emesso una sentenza che ha determinato di fatto un problema normativo e di realizzazione delle normali riscossioni di questa tariffa, che oggi non potrebbe più essere tariffa.
Vi sono state risoluzioni, interrogazioni di maggioranza, di opposizione e di tutta una serie di singoli parlamentari e di gruppi che chiedono al Governo un intervento normativo rispetto a questa vicenda. Non è più pensabile poter procrastinare la soluzione, soprattutto alla luce dell'attesa Pag. 44che è stata creata nei consumatori, nei comuni e anche nelle società che gestiscono questa tariffa, a seguito delle dichiarazioni che il Governo stesso ha fatto sugli organi di stampa specializzati per una pronta soluzione. Se non è dentro al decreto-legge in esame, perché vi è il problema dell'inammissibilità, insisto ancora con i rappresentanti del Governo affinché venga assunta un'iniziativa normativa urgente per la soluzione di questo problema.
La parte più deludente del decreto-legge in oggetto è sicuramente quella legata all'assenza di una politica per le imprese. L'occasione persa è legata al fatto che ormai un po' su tutti i provvedimenti economici il Partito Democratico chiede al Governo e alla maggioranza di avviare una stagione di interventi - anche interventi minimi - rispetto alla condizione della finanza pubblica, che però consenta un po' di fiato al mondo delle imprese.
Ne segnalo alcuni. Li ricordo perché alcuni di questi erano contenuti anche negli emendamenti che abbiamo presentato presso le Commissioni: in particolar modo l'accelerazione dei pagamenti nei rapporti privatistici e nei rapporti con la pubblica amministrazione. Si tratta di un tema che abbiamo affrontato ripetutamente - vedo che l'onorevole relatore annuisce perché è ben consapevole della gravità e dell'urgenza - soprattutto perché, nel rapporto con la pubblica amministrazione, i soggetti che oggi stanno pagando di più il mancato pagamento sono le piccole e medie imprese che lavorano sul territorio e che svolgono piccole attività di manutenzione.
Vorrei, inoltre, segnalare l'innalzamento del «forfettone» a 70 mila euro per le microimprese e i tagli veri e mirati alla spesa pubblica. Lo ha già detto il collega Vico: è mai possibile che in questo Paese si dica che non ci sono soldi per niente, salvo poi trovarli soltanto per alcune situazioni che io definirei spesso, troppo spesso, legate al governo del consenso piuttosto che alla soluzione dei problemi?
Segnalo, ancora, la riorganizzazione di tutti gli enti pubblici e parapubblici che lavorano sull'export per costruire una nuova e vera rete di supporto alle aziende che faticosamente si affacciano o cercano di continuare e di proseguire in politiche di esportazione su mercati che sono lontani, e che sono difficili. Rispetto a questa questione abbiamo proposte che porteremo avanti anche con provvedimenti di legge.
E ancora: forti politiche di credito «paziente» (lo abbiamo definito così in una delle nostre recenti iniziative legate al sostegno, all'innovazione, alla ricerca e ancora all'export) per fare in modo che non ci siano sistemi che chiedono agli imprenditori un rientro immediato degli investimenti sui nodi fondamentali dello sviluppo dell'impresa. Un credito «paziente» che consenta al mondo delle imprese italiane di guardare al futuro con un po' di tranquillità senza avere addosso l'ansia del rientro immediato. Non dimentichiamoci che tutte le relazioni sul credito - apro e chiudo la parentesi - oggi riportano che la questione dei tempi dell'erogazione del credito sta diventando determinante per lo sviluppo della piccola e media impresa.
Occorrono politiche fiscali che liberino la capacità di spesa degli italiani. Con riferimento a questo tema vi è stato un intervento che, prima del mio, ha chiarito molto bene la questione. Torniamo al cuore del decreto-legge: se continuiamo ad incentivare il mercato con operazioni un po' fittizie, che di fatto concentrano in un periodo limitato consumi probabilmente già previsti dagli italiani, e non consentiamo, soprattutto a quei redditi medio bassi, una liberazione di risorse autentica attraverso un nuovo modello fiscale che, per alcuni punti può già essere intercettato ora, in questa stagione così difficile per la finanza pubblica, allora sui consumi italiani corriamo il rischio di perdere solo del tempo. Invece di microinterventi che drogano temporaneamente il mercato, abbiamo chiesto aiuti all'innovazione, supporti all'impresa ed un sostegno alle famiglie.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, è probabilmente il momento di Pag. 45agire per evitare che situazioni esogene ci obblighino a decisioni traumatiche. Abbiamo bisogno di una politica industriale organica, di una politica che si occupi di sviluppo e di crescita perché se è vero - e va riconosciuto al mondo dell'impresa italiana - che esiste la forza, la capacità di tentare di sopravvivere in una situazione così delicata, è anche vero che le politiche pubbliche hanno l'obbligo di sostenere questi sforzi dei nostri imprenditori.
Sentiamo forte questa responsabilità e ci preoccupa molto l'irresponsabilità di un modello di Governo nel quale spesso e volentieri vengono prese iniziative più per il consenso che per la soluzione dei problemi.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

PAOLA DE MICHELI. Vi invitiamo, pertanto, ad abbandonare i toni trionfalistici - anche e soprattutto per il rispetto di coloro che stanno facendo una fatica «bestiale» ad alzare quella famosa saracinesca tutte le mattine - e a lavorare con un po' di umiltà, con un po' di realismo e con tanta concretezza - anche e soprattutto insieme a noi e alle nostre proposte - sui fondamentali dell'economia, perché su queste basi ci trovate, trovate il Partito Democratico e trovate soprattutto proposte all'altezza di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il decreto-legge che stiamo discutendo e che da domani ci appresteremo a votare in Assemblea è un'altra occasione persa da parte del Governo. Esso offriva e offrirebbe, in realtà, l'opportunità per intervenire in una serie di materie e di settori, per razionalizzare e semplificare normative e procedure, per ridestinare risorse importanti in un momento di crisi e per farlo anche in un'ottica di sano regionalismo e di effettivo federalismo.
In realtà, il provvedimento si configura come un patchwork molto confuso, un aggregato affastellato senza una seria riflessione e un serio approfondimento che, attraverso i vari rami del Governo, consenta di adeguare alla normativa comunitaria alcuni punti della riscossione tributaria e soprattutto di operare per un'efficace incentivazione e un sostegno a settori strategici della nostra economia.
In particolare, vorrei soffermarmi su tre aspetti che sono raccolti negli articoli 4 e 5 e sui quali il nostro gruppo ha presentato delle proposte emendative in VIII Commissione; esse sono state in parte respinte e in parte accolte come osservazioni e, pertanto, le riproporremo da domani in Assemblea.
La prima questione riguarda l'applicazione del Sistri, il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti. Esso fu introdotto dal Governo Prodi - come ben si ricorda - nell'ambito di un adeguamento alle normative europee e nella logica di una riforma organica e d'insieme dell'intero sistema nazionale di gestione dei rifiuti. Come accade in questi provvedimenti di carattere generale, esso sarebbe dovuto passare per una serie di atti applicativi che però il successivo Governo, cioè l'attuale, non ha saputo né voluto promuovere.
Il tema, se vogliamo, è anche più generale di questa materia. Aspettiamo ancora, ad esempio, un'organica riorganizzazione del sistema delle agenzie e degli istituti di ricerca e di controllo nel campo della protezione ambientale. Tutto questo è stato promesso fin dal 2008, ma non sono stati fatti ancora passi concreti e non è stato adottato alcun atto.
Nel frattempo, siamo passati per la drammatica vicenda dei lavoratori dell'ISPRA che con la loro lotta hanno messo a nudo ritardi ed inefficienze del Governo e anche, più in generale, la totale assenza politica e di sostegno al settore della ricerca pubblica.
Per tornare al tema, l'introduzione del Sistri presupponeva, come dicevo, il varo di un sistema applicativo che, vista la complessità della materia, della normativa Pag. 46esistente e della miriade di tariffe, di tasse e di balzelli vari ai quali è sottoposto, in particolare, il mondo della piccola e media impresa, doveva passare attraverso una concertazione larga con le categorie, le rappresentanze del sistema degli interessi e della produzione e le amministrazioni locali.
Ora, invece, il Governo si presenta, sostanzialmente, con la proposta di una proroga di termini, proprio perché questa assenza di concertazione, di applicazione e di attuazione nel concreto delle cose rischia di aprire una grande confusione e di rendere tutto estremamente disordinato e contraddittorio.
Questo Governo ha fatto della parola «semplificazione» e della parola «federalismo» due bandiere della propria condotta, ma, per l'appunto, si tratta di parole, di bandiere e di slogan dietro i quali puntualmente si celano confusione e centralismo delle scelte. Nel provvedimento, ad esempio, non compare nulla circa una concreta incentivazione di quelle misure finalizzate ad una efficienza energetica reale; il tema ormai stranoto del 55 per cento è del tutto assente, così come sono assenti misure di sostegno per la conversione delle autovetture a GPL o a metano.
Abbiamo riproposto queste misure nelle nostre proposte emendative. Ci auguriamo che l'Assemblea possa accoglierle perché si tratta di misure pratiche, condivisibili da tutti, in linea con l'azione concreta di «efficientamento» e di risparmio energetico. Allo stesso modo ci auguriamo che il Ministero dell'ambiente metta in campo finalmente un'azione per aprire un tavolo con le categorie e gli enti locali in relazione all'applicazione della tracciabilità dei rifiuti ormai introdotta da oltre due anni.
In secondo luogo vorrei soffermarmi su un tema specifico, ma che è una clamorosa riprova della confusionaria condotta del Governo, e di questa maggioranza anche in alcuni comuni, su argomenti decisivi per la vita dei cittadini. Mi riferisco in questo caso al tema della mobilità sostenibile e della specifica vicenda della metropolitana da realizzarsi nella, o meglio sotto, la città di Parma.
In queste ore la stampa di destra sta facendo, localmente, una campagna fuorviante (che merita un chiarimento ed una risposta) come se il Partito Democratico fosse contrario alla realizzazione di un'importante infrastruttura per una città di media provincia e in crescita come le aree urbane sviluppate.
Qual è la storia di questa vicenda? Più o meno nel 2003 l'amministrazione comunale di Parma, pervenendo ad una intesa con il Governo e con la regione Emilia-Romagna, promosse la realizzazione di una metropolitana interrata per circa 11 chilometri, che attraversasse da nord a sud il comprensorio urbano. All'epoca il Partito Democratico rimase perplesso ma, nonostante ciò, la regione Emilia-Romagna, governata dal centrosinistra, aderì istituzionalmente all'intesa. Venne costituita una società di gestione, la Metroparma, e fu bandita una gara d'appalto utilizzando fondi e risorse per un totale di circa 260 milioni di euro, di cui 170 provenivano dalla legge obiettivo ed altri 90-100 milioni erano fondi comunali ottenuti attraverso un mutuo contratto con la Cassa depositi e prestiti.
Furono avviate le progettazioni finché, come spesso accade in Italia in materia di opere pubbliche, più o meno un anno fa, nel luglio del 2009 il comune di Parma rinunciò al progetto aprendo un complesso problema. Attraverso un iter molto problematico e molto complicato il percorso si concluse e si pose, già da quel momento, il problema della destinazione dei fondi CIPE.
Ecco la confusione che giustifica la iniziale perplessità del Partito Democratico. La domanda è questa: poteva già allora, una città come Parma di circa 170-180 mila abitanti, puntare strategicamente su una forma di sistema di trasporto pubblico di massa così costosa e complessa, nonché evidentemente necessitante di grandi carichi di domanda impossibili per una città di medie dimensioni? Tutti coloro che si sono in qualche Pag. 47modo occupati di queste materie sanno che da un serio calcolo, anche preliminare, il rapporto costi-benefici per le aree sedi di grandi infrastrutture di massa, come le metropolitane, ha bisogno e si basa su un'altissima densità abitativa.
A malapena in Italia si riescono a realizzare le metropolitane per le grandi città, a malapena si riescono a soddisfare i bacini di utenza che riguardano popolosi quartieri delle grandi metropoli che hanno spesso una densità abitativa tra mille e mille 200 abitanti per chilometro quadrato, ma, nonostante ciò, a Parma si decise di realizzare una metropolitana interrata per 11 chilometri. Sappiamo che il costo unitario per chilometro lineare di una metropolitana è un costo assolutamente proibitivo, molto più alto dei 260 milioni di euro previsti per il totale dell'infrastruttura avviata e pensata dall'amministrazione comunale di Parma, per la quale il Governo ha destinato fondi e per la quale sono stati spesi soldi per le progettazioni.
Per questo motivo, la scelta della metropolitana fu da noi criticata in sede locale nell'ottica di una diversa scelta di vettori e di tecnologie che fossero in grado di servire Parma in maniera più realistica, di praticare quella «infrastrutturazione» del trasporto pubblico più realistica per Parma, la quale consentisse di utilizzare comunque i fondi statali per opere più fattibili e più adatte alle caratteristiche della città.
D'altra parte il finanziamento di 260 milioni di euro era abbastanza inadeguato, lo ripeto. Da qui poi l'inevitabile rinuncia del comune di Parma. Ora, perché questa premessa? Perché nel decreto, all'articolo 4, una volta verificata l'impossibilità di arrivare al compimento di quell'opera, solo una parte di quelle risorse vengono rimodificate e rimodulate, fallita la metropolitana, a pioggia. Quindi vengono ridestinate sulla base di una richiesta autonoma del comune di Parma e sulla base di un'intesa con il Governo che taglia completamente fuori la regione Emilia-Romagna che invece, pur essendo contraria, aveva sottoscritto l'intesa iniziale per la metropolitana.
Qui ci sono le tre critiche che nascono da una vicenda specifica ma che hanno un contenuto generale. In primo luogo, il comune di Parma ha rincorso confusamente un progetto senza efficacia del tutto sbagliato, salvo poi accorgersene soltanto cinque anni dopo, dopo aver consumato parte di quelle risorse per le progettazioni preliminari e definitive, non quelle esecutive perché non si è mai arrivati all'appalto.
In secondo luogo, il Governo si è comportato scorrettamente perché ha inserito nel decreto una rimodulazione non più finalizzata ad opera di mobilità, ma ad opere a pioggia che vanno dai servizi sociali, alla casa e a tante altre cose, senza il doveroso coinvolgimento della regione, tradendo l'iniziale intesa, che naturalmente era prevista dalle procedure perché si parla di legge obiettivo, con la regione Emilia-Romagna.
In terzo luogo, si sono persi i soldi, perché vengono rimodulati soltanto una parte di quei 172 milioni previsti dal CIPE e vengono distribuiti senza una strategia e abbandonando a questo punto del tutto l'obiettivo del potenziamento e del miglioramento del sistema di mobilità parmense: dal grande progetto della metropolitana adesso i cittadini di Parma si ritroveranno con un nulla di fatto, senza un progetto alternativo.
Ecco la confusionarietà e il falso federalismo, il falso regionalismo. Noi chiediamo, anche negli emendamenti che ripresenteremo domani dopo averli presentati in Commissione, che Parma non perda risorse e che quelle stanziate vengano recuperate per altri progetti strategici di mobilità che intervengano sul sistema urbano della città. Chiediamo però che queste risorse vengano destinate attraverso un'intesa istituzionale corretta, cioè che si recuperi la linearità alla quale la regione Emilia-Romagna si era correttamente prestata con una concertazione istituzionale complessiva. Pag. 48
Anche qui c'è un esempio di come vengono condotte le grandi operazioni di trasformazione del nostro territorio; nella vicenda di Parma si tratta di un caso piccolo, ma ha un significato abbastanza generale: federalismo e semplificazione in questa vicenda appaiono limpidamente e chiaramente come delle semplici bandiere, delle semplici parole e dei puri simulacri.
Infine, nel decreto in esame sono previste all'articolo 5 alcune misure di cosiddetta semplificazione o accelerazione procedurale in materia di attività edilizia libera che, a ben guardare, suonano come un campanello d'allarme ulteriore, a dir poco, sulla materia del governo del territorio e della trasformazione urbana che il Governo sta lasciando andare completamente e senza una politica organica. Non ci si deve poi stupire se purtroppo il nostro territorio viene coinvolto in vicende di disastri naturali dai quali emerge una difficoltà di controllo e di gestione del territorio, salvo poi andare a raccattare i pezzi e a recuperare i danni attraverso missioni speciali, attraverso procedure accelerate, attraverso «mission impossible» in situazioni di emergenza. L'emergenza nel Paese c'è, ma obiettivamente viene anche un po' creata quando si lascia il territorio deperire a se stesso. Non ci si deve poi stupire se il nostro Paese in questo campo è ormai paralizzato dalla burocrazia, infestato da leggi e norme tra di loro contraddittorie e che si elidono a vicenda.
Per esempio, un giorno si dovranno raccontare gli effetti della legge sull'ultimo condono edilizio del 2003, praticamente inapplicabile, voluto dal precedente Governo Berlusconi, con una ormai cronica incapacità di modernizzare, migliorare ed accrescere il proprio patrimonio di capitale fisso, di infrastrutture, di attrezzature pubbliche per l'istruzione, la sanità, l'edilizia sociale, l'edilizia popolare, lo sport, l'edilizia carceraria, la mobilità. A tal proposito ho appena ricordato il caso di Parma che è un piccolo, ma significativo esempio.
Perché succede questo? Semplicemente perché il Governo non ha la forza, non ha la voglia, e forse non ha la capacità di affrontare per via parlamentare, attraverso la sua maggioranza, un'organica riforma di governo del territorio come sarebbe assolutamente necessario ed indilazionabile, ma procede caso per caso, con misure tampone o di settore, nell'illusione assurda che in questo modo si agisca più celermente, più concretamente, più rapidamente, ma senza rendersi conto che in materia edilizia, urbanistica e di trasformazioni territoriali tutto si tiene e se non si affronta il problema nel complesso il Paese è destinato a restare paralizzato o anche a disunirsi a causa del fatto che poi ogni regione procede un po' come le pare.
In questo decreto-legge, senza neanche tener conto o prevedere il coinvolgimento delle regioni, che concorrono costituzionalmente, come è noto, alla definizione dell'assetto del territorio, si introducono alcune modifiche al testo unico in materia di edilizia, di cui al decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380, modifiche che risultano essere abbastanza sostanziali e che sono molto più che semplici modificazioni e semplificazioni procedurali. Anzi, nel testo del provvedimento si deroga esplicitamente alle misure più restrittive previste dalle legislazioni regionali, cosa che imporrà alle regioni un adeguamento delle loro leggi e provocherà un'ulteriore ferita alla natura concorrente della materia urbanistica ed edilizia sancita dal Titolo V della Costituzione. È presumibile che ci saranno molti ricorsi delle regioni verso questo aspetto del decreto-legge perché viene lesa una potestà legislativa regionale, probabilmente con il risultato di nutrire nel tempo altra carta per ricorsi, altre confusioni e ulteriori conflitti istituzionali.
Inoltre, si prevedono, per esempio nelle attività di manutenzione straordinaria, cioè nei piccoli interventi di adeguamento edilizio, di manutenzione degli edifici esistenti, norme che varcano ampiamente i limiti del testo unico n. 380 del 2001, che ne depotenziano la chiarezza soprattutto sull'aspetto che riguarda il mantenimento dei volumi, delle superficie e delle destinazioni d'uso. In sostanza, con le modifiche proposte dal Governo, peraltro in maniera surrettizia, senza una chiara Pag. 49esplicitazione, ma soltanto elidendo alcune previsioni del testo unico n. 380, si rendono di fatto liberi e non sottoposti neanche a DIA tutti gli interventi che, pur mantenendo le unità immobiliari, magari ne modificano le quantità, le destinazioni d'uso ed i parametri urbanistici che ne derivano in base alla legge generale.
Per come è scritta, questa parte dell'articolo 5 fa pensare ad una sorta di nuovo condono surrettizio, senza neanche l'obbligo di sottoporsi alle procedure molto complesse, che prevedono tutte le pur complicate leggi di condono esistenti in Italia che almeno sottopongono chi commette un abuso al versamento di un'oblazione o di una concessione in sanatoria, per cui bisogna pagare comunque una multa. In questo caso, attraverso un semplice escamotage riguardante le norme generali sull'edilizia, per la parte che concerne le attività di edilizia pubblica si consente di ampliare senza neanche presentare una DIA.
Bisogna chiarire il significato di questa parte del decreto-legge perché delle due l'una: o si sta giocando con le parole per introdurre dalla finestra qualcosa che mai nessuno potrebbe oggi più accettare, cioè il varo di un nuovo condono, o la norma è scritta male e può dare corso a fraintendimenti e confusioni. È per tale ragione che abbiamo chiesto in Commissione, ottenendo niente più che un'osservazione favorevole da parte della Commissione stessa, che sia ripristinato per intero il testo originario del decreto legislativo n. 380 del 2001 senza ambiguità e senza confusioni ed è per questo che riproporremo le nostre osservazioni in Aula.
D'altra parte, cari colleghi, come si fa a procedere in questo modo? Da anni, dall'inizio della legislatura (se vogliamo riferirci soltanto a quest'ultima) giacciono in Commissione proposte organiche per la riforma del governo del territorio che non vengono affrontate né discusse.
Invece ci troviamo, ad ogni piè sospinto, di fronte a provvedimenti settoriali, ma che hanno spesso un'incidenza generale e che sfasciano definitivamente ogni riferimento d'insieme. Piano casa; piano carceri in project financing inserito dal Ministro Alfano nei provvedimenti sulla giustizia; leggi per gli stadi con la fretta di abborracciare qualcosa per concorrere agli europei di calcio; modifiche e deregolamentazioni alle norme edilizie senza coinvolgere le regioni. Ma dove può finire questo Paese? Forse i colleghi della Lega possono pensare di essere soddisfatti che, a livello parlamentare, tutto si blocchi nell'illusione che le regioni possano poi fare da sole. Ma nella confusione, poi, le stesse regioni ci rimettono e l'articolo 5 del presente decreto-legge ne è la riprova.
In conclusione, nel nostro Paese urgono un'organica riforma dei suoli e una legge nazionale che dia alle regioni - sia a quelle più avanzate ed europee sia a quelle più arretrate - un quadro di riferimento legislativo nel quale muoversi per legiferare e per agire. Basterebbe una legge breve, semplice e snella di pochi articoli che renda chiara l'applicabilità di moderni meccanismi perequativi, che equipari i diritti edificatori privati con le aree a destinazione pubblica, che consenta la costituzione da parte dei comuni di un demanio comunale di aree a costo zero per fare quelle politiche pubbliche e far crescere, oltre alla città «privata», anche la città «pubblica». Per sbloccare, ad esempio, senza pesi aggiuntivi sui sistemi urbani, l'edilizia sociale per i ceti popolari, per quelli medi e piccoli, per le famiglie che oggi in Italia, come in tutto il mondo occidentale, pagano il peso della crisi.
Le nostre città sono le più belle del mondo, perché nei secoli le vecchie classi dominanti ne hanno curato, magari per motivi di potere o di dominio, la parte pubblica, realizzando monumenti, edifici pubblici, chiese, piazze e ville storiche. Lo hanno fatto potendo gestire senza tanti ostacoli il suolo anche per finalità collettive. Oggi, da anni in Italia non è più così.
Insomma, e concludo davvero, se con questo decreto-legge e con la norma in esso contenuta all'articolo 5 si va verso un'ulteriore deflagrazione del corpus legislativo e normativo italiano in materia urbanistica ed edilizia, è bene chiarirlo subito. Anche perché questo non comporterà Pag. 50una semplificazione ed un miglioramento delle procedure, ma un ulteriore caos e un ulteriore aggrovigliamento. Vedrete negli uffici tecnici di tutti i comuni d'Italia, grandi e piccoli, rimpallarsi le pratiche e scaricarsi le responsabilità di fronte a norme che non sono chiare e che si elidono. Vedrete quanto lavoro per i legali del settore, quanti ricorsi, quanti giudizi, quanti stop e, conseguentemente, quanti ritardi per le imprese e quanti soldi e lavoro perduto. Volete semplificare? Invece complicate, perché non volete prendere il toro per le corna e sfidare il problema centrale, che è quello di riequilibrare, con poche chiare regole forti, dentro una seria riforma generale, lo strapotere della rendita immobiliare maturato in tutte le città dagli anni Ottanta in poi. Ma di questo mi auguro si possa discutere in quest'Aula un giorno, presto o tardi. Per ora, ribadiamo il nostro «no» a questa parte del decreto-legge e riproponiamo i nostri emendamenti per scongiurarne le ambiguità e gli effetti negativi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, il nostro giudizio sul decreto-legge è negativo, in quanto è al di sotto delle necessità e, anche quando opera scelte giuste come un inasprimento della lotta all'evasione fiscale, lo fa tardivamente e forse neanche bene fino in fondo. Pur tuttavia, come riconosciuto anche dal relatore, onorevole Milanese, che evidentemente ha supplito anche l'assenza dell'altro relatore della Commissione attività produttive, onorevole Fava, l'opposizione e il Partito Democratico in particolare hanno lavorato per migliorare il decreto-legge.
Siamo, infatti, un'opposizione responsabile, sappiamo che il nostro Paese è alle prese con problemi molto seri e non si può giocare alla propaganda, come, in verità, la maggioranza e il Governo, anche in questo dibattito, stanno facendo e come hanno fatto utilizzando il decreto incentivi in campagna elettorale, trasformando un intervento insufficiente in uno spot elettorale. Ciò perché i problemi del Paese passano in secondo piano e in primis viene la ricerca del consenso.
Forse è anche per questo, perché evidentemente il Ministro dell'economia e delle finanze, onorevole Giulio Tremonti, ha un atteggiamento volto ad impedire al Parlamento e al Consiglio dei ministri di intervenire, forse non si fida dei colleghi di Governo - come testimoniano gli scontri con il Ministro dello sviluppo economico che avvengono più di una volta e tutte le volte c'è da assumere qualche provvedimento - né evidentemente si fida della propria maggioranza politica. Noi pensiamo che, prima di tutto, dobbiamo dirci la verità perché, onorevoli colleghi, può andare bene dire in televisione che l'Italia sta meglio di altri, che il tasso disoccupazione non è così elevato, che gli altri Paesi reagiscono peggio alla crisi, che i conti pubblici non vanno così male. Per carità, noi non abbiamo problemi quando vi è da marcare un giudizio positivo su alcune iniziative del Governo. Lo abbiamo fatto - poi vedremo l'efficacia - quando è stata messa in piedi l'Agenzia per la piccola e media impresa, con la riforma della Cassa depositi e prestiti, anche se vorremmo vedere quello che poi significherà in concreto. Siamo d'accordo con le dichiarazioni del Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti quando si è speso per aiutare la Grecia, perché è giusto, perché l'euro va difeso, perché va difesa l'Unione Europea, anzi vorremmo incoraggiare il Governo a rafforzare l'azione politica unitaria dell'Unione Europea - e credo che in questo vi sia una qualche autocritica da parte dello stesso Ministro, che spesso ha dipinto l'Unione Europea in modo non del tutto positivo negli scorsi anni - però quando si arriva a conclusioni giuste noi non rimaniamo prigionieri di polemiche passate. Allo stesso modo siamo lieti se in queste ore il fabbisogno di cassa sembra rivelare un miglioramento rispetto all'anno passato, perché noi conosciamo questo Paese, lo amiamo e siamo pronti - come abbiamo sempre detto - a fare la nostra parte per affrontare la crisi, dare Pag. 51speranza, cercare di dare un contributo per fare uscire il nostro Paese da una crisi molto pesante. Tuttavia, onorevoli colleghi, non è certamente con questo decreto-legge e con tutti i provvedimenti che sono stati assunti da questo Governo che si dà un contributo importante per fronteggiare la crisi. Sulla lotta all'evasione fiscale, di cui ai primi articoli di questo provvedimento, non voglio aggiungere molto poiché ne ha parlato molto bene il collega Fogliardi. Certo viene da sorridere, perché di fatto si reintroduce l'albo dei clienti e dei fornitori, che sembrava fosse uno spauracchio per le imprese, ci si è, invece, resi conto che è utile ai fini della legalità e della lotta all'evasione fiscale. Aspetto che vengano reintrodotte anche altre norme che sono state cancellate. Mi riferisco a quelle in materia di tracciabilità dei pagamenti o alle norme più restrittive sui money transfer, che voi avete cancellato e che certamente non hanno contribuito a una maggiore fedeltà fiscale e anzi hanno colpito proprio quelle imprese che più di altre avevano bisogno della legalità e di competere con regole chiare e condivise, visto che c'è un'aggressione molto forte sui mercati internazionali e che soprattutto la crisi ha accentuato una competizione che sicuramente, anche se l'economia si riprenderà, non si farà meno forte.
Credo che da qui bisogna partire: cercare di affrontare il tema della verità, non perché bisogna essere pessimisti. Noi non lo siamo affatto, però neghiamo che questo dibattito sulla crisi debba essere affrontato pensando di consolarci con il fatto che c'è qualcuno che sta peggio, perché poi, in realtà, la disoccupazione aumenta e non è solo un problema di tasso di disoccupazione.
Vorrei ricordare, se proprio vogliamo ragionare sui dati, che è il dato del tasso di attività lavorativa che in Italia è calato in questi ultimi due anni, perché, evidentemente, vi è anche uno scoraggiamento nella ricerca del lavoro. Questo fatto ha invertito una tendenza, che, negli ultimi anni, era tesa a crescere e a recuperare il divario che ci separa dall'Unione europea, per lo meno dall'Unione a 15.
È un dato molto negativo, che deve fare riflettere, senza contare il fatto che sappiamo che arriva una scadenza per gli ammortizzatori sociali, che non c'è chiarezza sulla loro proroga e che questo può provocare un ulteriore aumento della disoccupazione.
Bisogna capirsi: certo che in altri Paesi alcuni dati sono andati peggio dell'Italia, per esempio, rispetto all'indebitamento e al deficit annuo, però, cari colleghi, bisogna comprendere che altri Paesi sono intervenuti con terapie d'urto sulla crisi, cioè hanno investito, hanno sostenuto la domanda, hanno attivato processi di innovazione del sistema industriale, hanno sostenuto la loro economia.
Noi non lo abbiamo fatto! Certo, vi è la preoccupazione del debito pubblico, ma è una preoccupazione che abbiamo sempre condiviso, anzi, direi che la storia di questi ultimi 15 anni, se volessimo essere sinceri, ha consegnato al centrosinistra e alla sinistra di questo Paese il mestiere storico, che una volta era della destra storica, di controllo dei conti pubblici e della spesa pubblica.
Almeno questo dovrebbe essere riconosciuto, per onestà intellettuale! Il punto è che la preoccupazione che abbiamo è che arriviamo nel 2010 con il fiato più grosso nel raccogliere i primi sintomi di uscita dalla crisi, con un pezzo importante dell'apparato industriale del nostro Paese che può non farcela.
Il Ministro dell'economia e delle finanze ci dice sempre che, per fortuna, noi siamo un Paese manifatturiero e non ci siamo finanziarizzati come gli altri Paesi, ma questo deve, però, darci maggiore preoccupazione, perché, se davvero lasciamo un pezzo importante di apparato produttivo per strada nel 2010, indeboliamo il nostro Paese e rischiamo di pagare un prezzo più alto degli altri.
Sappiamo che questo è un tema che non deve essere oggetto di polemica politica fra di noi. Una classe dirigente di un Paese che si rispetti, all'altezza di un Paese tra i più importanti nell'economia mondiale, dovrebbe prendere di petto questa questione e mettersi d'accordo su come Pag. 52affrontare questo nodo, altrimenti il rischio è che ci troviamo tutti messi peggio; soprattutto, si trovano messi peggio non solo le piccole aziende e gli artigiani, ma tante famiglie e tanti giovani, quelli che pagano il peso della crisi, come sempre, allargando le differenze nella distribuzione della ricchezza, facendo emergere un quadro di minore ricchezza in larghi strati della popolazione e aumentando le differenze.
In un Paese come l'Italia, dove spesso diciamo che la piccola impresa e i sistemi di piccole imprese sono un'ossatura importante, mettere in discussione la coesione sociale di tanti territori significa indebolire la nostra economia.
Bisogna fare molta attenzione, perché questo è un Paese che non ha vissuto nei decenni trascorsi le separazioni sociali che altri Paesi hanno governato ed hanno fronteggiato in modo diverso anche perché hanno strutture sociali e produttive diverse.
Anche su ciò occorre intendersi. La pressione fiscale (lo certificano i vostri documenti, lo vedremo probabilmente anche nel prossimo Documento di programmazione economico-finanziaria, o come lo vorrete chiamare) è aumentata; per non parlare delle tariffe: vogliamo parlare dell'acqua, vogliamo parlare della benzina, vogliamo parlare del gas?
Andiamo poi a vedere come stanno davvero i nostri conti pubblici. In proposito ho sentito ragionamenti che francamente mettono scoramento, perché il non guardare in faccia la realtà mette in condizioni difficili anche la stessa opposizione nel fare il proprio mestiere costruttivo, come noi vogliamo fare. Se si mettono da parte 12 miliardi di entrate straordinarie (lo scudo fiscale ed altre imposte straordinarie sulle imprese, che probabilmente hanno avuto il potere di anticipare delle entrate che forse non vi saranno), il calo degli introiti delle imposte è quasi del 6 per cento: un calo più alto di quanto sia calato il prodotto interno lordo.
Ciò non è stato frutto di sgravi fiscali alle imprese ed al lavoro, perché non vi è stata alcuna manovra in tale direzione: promesse tante, e non voglio neppure parlare delle promesse di abolizione dell'IRAP, che ogni tanto sentiamo dal Presidente del Consiglio, e che arrecano un'offesa alla gente, che lotta tutti giorni per mantenere in piedi l'azienda e si sente fare promesse che sa benissimo non possono essere mantenute.
Questo fatto cosa significa sostanzialmente nella struttura della spesa pubblica? Questo è un punto decisivo, perché, come sappiamo tutti, questa crisi mondiale non ha avuto gli effetti del 1929 perché vi è un fatto molto importante: lo Stato, la spesa pubblica hanno una rilevanza ben più ampia rispetto a quella che aveva ottant'anni fa (per fortuna, dico io), e quindi hanno sorretto l'economia, hanno sorretto la società. Abbiamo però il 5,7 per cento di entrate in meno, il più 3 per cento di spese; l'avanzo primario, che era al più 4,2 per cento, è precipitata al meno 0,6 (siamo in disavanzo primario), nonostante vi sia un meno 12,2 di spese per interessi sul debito, per l'effetto, che conosciamo bene, del costo del denaro ai minimi; il dramma è che sono cresciuti del 7,5 i consumi intermedi: un peggioramento della qualità della spesa pubblica, che arreca peraltro un danno nei confronti dei comuni, perché essi sono legati ad un patto di stabilità interno che non consente loro neppure di utilizzare le risorse che avrebbero potuto esserlo in modo anticiclico.
Non parliamo dell'indebitamento rispetto al PIL, che è schizzato molto in alto. Non parliamo del reddito nazionale, che è calato di 6,5 punti, molto più di quanto sia calato nell'Unione europea a 15; per non parlare della produzione industriale, che è calata del 25 per cento.
A fronte di ciò abbiamo il decreto-legge cosiddetto incentivi, che è assolutamente discutibile anche nelle priorità che si scelgono di incentivare. Noi abbiamo svolto un ruolo di miglioramento, e cercheremo di svolgerlo anche in Aula, perché siamo un'opposizione costruttiva, ma non vogliamo rinunciare ad un confronto di merito.
Siamo infatti convinti che vi sia bisogno di una terapia d'urto, altrimenti c'è il Pag. 53rischio di risvegliarsi fra qualche tempo con una situazione più difficile di quella che abbiamo oggi, perché se l'economia non cresce o tarda a risalire dalla crisi è chiaro che l'impatto sui nostri conti pubblici sarà molto negativo. Questo bisogna saperlo e noi non solo ribadiamo la disponibilità a un lavoro in questa direzione. Per il lavoro, che è il problema dei problemi di questo Paese, siamo disposti a fare uno sforzo importante, comune, anzi pretendiamo che il Governo metta al primo posto il lavoro e il sostegno all'economia.
Soprattutto quando si scelgono le priorità, non voglio fare ragionamenti ma - come ha già detto il collega Boccia - abbiamo tolto 50 milioni dal fondo per l'innovazione e la ricerca: si può convenire che tali risorse vadano a sostenere i campionari tessili e delle calzature in un momento di difficoltà, per quanto si potrebbe obiettare che forse quei settori potevano essere aiutati in un altro modo (magari sostenendo i terzisti, la filiera produttiva).
Mettiamo pure che si possa fare questa scelta, ma come si può pensare di uscire dalla crisi se non investiamo nettamente sull'innovazione e sulla ricerca? Le nostre filiere produttive hanno bisogno di riposizionarsi e di valorizzare le capacità umane e la creatività di tanti imprenditori e di tanti artigiani (e anche di tante lavoratrici e di tanti lavoratori). Se non spendiamo e non investiamo in quella direzione, è chiaro che questo Paese rischia di perdere un appuntamento importante.
Noi siamo affaticati dagli ultimi dieci anni, abbiamo problemi strutturali che non riusciamo ad affrontare: a questo punto occorre davvero compiere un ragionamento di verità tra di noi.
Signor Presidente, queste cose sono state già dette e saremo attenti a capire anche come verranno modificate alcune misure nel corso dell'esame del decreto-legge. Poiché il relatore ci ha annunciato che siamo al lavoro sulle cosiddette polizze dormienti, spero che tale lavoro produca un effetto positivo, anche perché qui si sono presi i soldi dei cittadini. Non si tratta di fare spesa pubblica, bensì soltanto di rendere giustizia dei soldi che, a mio modesto avviso, sono stati accaparrati in modo un po' maldestro.
Vorrei concludere quindi sulla questione di Tributi Italia. Credo che l'intervento del collega Vico sia stato esaustivo, ma vi è un punto su cui bisogna chiarirsi: occorre cioè mettere in campo misure che evitino il dissesto dei comuni interessati perché - cari colleghi e caro Governo, e mi rivolgo a lei, sottosegretario Ravetto - non si può pensare che, se per il comune di Catania si trovano 340 milioni di euro, ovvero molti di più di quelli che abbiamo stanziato con il decreto-legge sugli incentivi per rilanciare la domanda interna, in una situazione nella quale i comuni sono stati danneggiati da un'impresa (come la vogliamo definire, criminale?) non vengono invece forniti gli strumenti per evitare il dissesto.
Possono esservi responsabilità diffuse, ma in questo momento ciò non mi interessa: occorre piuttosto dare una risposta a quei cittadini che hanno pagato i tributi e che non è giusto che si vedano, per responsabilità di altri, dichiarato in dissesto il loro comune.
Questa è una questione alla quale non si può girare intorno, bisogna dare una risposta.
Noi su questo vi incalzeremo. Abbiamo presentato pochi emendamenti perché vogliamo svolgere un confronto di merito. Sappiamo che su alcune questioni, realisticamente, gli spazi sono quelli che sono, però su altre - per le quali non si pone un problema di costo e di finanza pubblica - penso che se vogliamo scrivere una piccola pagina positiva del Parlamento (della Camera in questo caso) gli spazi per migliorare quel provvedimento ci sono. Noi, pur mantenendo un giudizio critico sull'insieme del decreto, siamo qui apposta per dare il nostro contributo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3350-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la VI Commissione e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Lo Presti ed altri: Modifica all'articolo 8 del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, concernente la misura del contributo previdenziale integrativo dovuto dagli esercenti attività libero-professionale iscritti in albi ed elenchi (A.C. 1524-A) (ore 18,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Lo Presti ed altri: Modifica all'articolo 8 del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, concernente la misura del contributo previdenziale integrativo dovuto dagli esercenti attività libero-professionale iscritti in albi ed elenchi.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1524-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente. Il relatore, onorevole Cazzola, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la XI Commissione (Lavoro) riferisce favorevolmente all'Assemblea su un progetto di legge d'iniziativa parlamentare che ha incontrato la condivisione di tutti i gruppi rappresentati in Commissione poiché reca importanti disposizioni concernenti i soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione iscritti alle casse professionali cosiddette privatizzate.
La proposta in particolare - come lei ha ricordato, signor Presidente - modifica l'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 103 del 1996, al fine di prevedere che il contributo integrativo a carico degli iscritti alle casse professionali (attualmente bloccato da tale disposizione al 2 per cento del fatturato lordo) sia autonomamente stabilito, con apposita delibera di ciascuna cassa, approvata dai Ministeri vigilanti, nei limiti del nuovo tetto massimo fissato dalla presente proposta di legge al 5 per cento del fatturato lordo, così come stabilito per le altre casse di liberi professionisti di più antica istituzione regolate dal decreto legislativo n. 509 del 1994. Si tratta quindi di introdurre un regime di parità di condizioni per tutte le casse e gli enti dei liberi professionisti.
Al riguardo è bene ricordare brevemente il concetto di casse o enti privatizzati, perché si tratta di un profilo specifico del nostro ordinamento previdenziale, il quale consente, nel caso dei liberi professionisti e dei giornalisti (l'INPGI è il solo ente a cui sono iscritti dei lavoratori dipendenti che si avvale del medesimo regime), di gestire forme di previdenza obbligatoria ai sensi dell'articolo 38 della Costituzione a soggetti di natura privata (già enti pubblici trasformati in associazioni o fondazioni i cui organismi sono eletti dalle categorie interessate) dotati, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 509 del 1994, di autonomia gestionale, organizzativa e contabile, nel rispetto dei principi stabiliti della legge, un'autonomia sottoposta comunque alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Pag. 55
Di casse privatizzate ve ne sono di due tipologie: quelle di più antica istituzione (avvocati, medici, notai, geometri, ingegneri e architetti, consulenti del lavoro, ragionieri, commercialisti ed altri), che hanno potuto adottare il nuovo regime a partire dal 1o gennaio 1995, nell'ambito del riordino generale degli enti previdenziali disposto con l'articolo 1, commi da 32 a 38, della legge n. 537 del 1993. In attuazione di tale delega venne emanato il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, a regolamentare la specifica materia.
Successivamente, il comma 25 dell'articolo 2 della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha delegato il Governo ad emanare norme volte ad istituire nuove casse o enti per assicurare la tutela previdenziale in favore di soggetti che svolgono anch'essi attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è condizionato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi, soggetti che, in precedenza, erano privi di uno specifico riferimento di carattere previdenziale.
In attuazione di tale norma è stato emanato il decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, che ha assicurato, a decorrere dal 1o gennaio 1996, la tutela previdenziale per i richiamati soggetti, istituendo ex novo una serie di enti privatizzati per psicologi, periti industriali, infermieri professionali, assistenti sanitari, biologi, agronomi forestali, attuari, chimici e geologi. Mentre le casse di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 entrarono nel nuovo regime privatizzato con gli ordinamenti previdenziali e assistenziali vigenti (i trattamenti pensionistici erano regolati sulla base del sistema di calcolo retributivo), per le casse di nuova istituzione l'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 103 del 1996, ha disposto l'applicazione del sistema di calcolo contributivo, con aliquota di finanziamento non inferiore a quella di computo.
Le riforme realizzate nel tempo per le casse di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 hanno introdotto, in generale, il metodo di calcolo contributivo anche per i nuovi iscritti alle casse suddette. Ovviamente, gli iscritti alle casse professionali di ambedue le tipologie, in virtù di singoli regolamenti di gestione, sono tenuti al versamento di specifici contributi obbligatori così definiti: il contributo soggettivo, legato principalmente al reddito dell'iscritto; il contributo integrativo, applicato sul volume d'affari annuale e fatturato al cliente. L'aliquota del contributo soggettivo è mediamente stabilita in misura pari al 10 per cento, con punte più elevate in qualche caso. Quella riguardante il contributo integrativo, il cui gettito è rivolto ad interventi di carattere assistenziale, è fissata entro un tetto massimo del 5 per cento. Per le casse di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 è del 2 per cento. Qui sta la disparità, la discriminante che vogliamo rimuovere come previsto per l'appunto dall'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 103 del 1996, su cui interviene la proposta di legge in esame.
Nelle casse e per i soggetti a cui si applica il sistema di calcolo contributivo, quelle di cui al decreto legislativo n. 103 del 1996 - hanno persino scelto il metodo della capitalizzazione -, non sarà possibile assicurare trattamenti adeguati con versamenti contributivi tanto ridotti. Così, se nel caso del lavoro dipendente, un montante contributivo, alimentato per 35-40 anni di versamenti, sulla base di una aliquota del 33 per cento, determinerà tassi di sostituzione in misura del 60 per cento dell'ultimo reddito, è facilmente immaginabile quale sarà il tasso di sostituzione determinato da aliquote contributive inferiori per più della metà.
Il gettito contributivo integrativo è ora usato, come ricordavo, per interventi di carattere assistenziale e non viene utilizzato per migliorare il montante contributivo dei lavoratori iscritti alle casse privatizzate o dei lavoratori che hanno il metodo contributivo come metodo di calcolo della pensione. Così, mentre le casse di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 hanno problemi di sostenibilità, quelle di cui al decreto legislativo n. 103 del 1996 hanno problemi di adeguatezza.
Ed esiste, in ogni caso, un problema di carattere trasversale, sempre di adeguatezza, Pag. 56per tutti i soggetti, iscritti ad ambedue le tipologie di casse, a cui si applica il metodo di calcolo contributivo. Nel caso delle casse ex decreto legislativo 12 febbraio 1996, n. 103, infatti, il limite al contributo integrativo fissato per legge non può essere superato - come consentito alle casse di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 - con delibere degli organi amministrativi, sia pure con l'approvazione del Ministero vigilante. In questo senso, la Commissione lavoro, nel corso dell'esame in sede referente, ha opportunamente deciso di superare questo limite, integrando il testo originario del progetto di legge e chiarendo comunque che la misura del contributo integrativo non possa eccedere il 5 per cento del fatturato lordo come per le altre casse.
Peraltro, faccio notare che la possibilità di rimuovere tale vincolo normativo (sia pur stabilendo un nuovo tetto) che, nell'alveo dell'autonomia gestionale, ha riconosciuto agli enti di previdenza privatizzati dall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 509 del 1994, la facoltà di fissare una maggiore aliquota da applicare sul volume di affari lordi e da destinare in parte alla previdenza, può rappresentare di per sé un'opportunità per l'incremento dei montanti contributivi che rimangono pur sempre ragguagliati ai versamenti effettuati. Peraltro la fissazione di un tetto non implica necessariamente che tale limite debba essere raggiunto automaticamente in quanto le relative valutazioni rimangono affidate alle casse e, quindi, alle categorie interessate e all'autorità vigilante.
Per tali ragioni la Commissione lavoro ha approvato anche un'ulteriore proposta emendativa che, integrando un testo originariamente presentato dal collega Lo Presti, ha previsto che al fine di migliorare i trattamenti pensionistici degli iscritti alle casse o enti di cui al decreto legislativo n. 103 (ai quali si applica il metodo contributivo) e a quelle di cui al decreto legislativo n. 509, che adottano il sistema di calcolo contributivo per, ovviamente, i soggetti a cui questo sistema si applica, è riconosciuta la facoltà di destinare parte del contributo integrativo stesso all'incremento dei montanti individuali, previa delibera degli organismi competenti secondo le procedure stabilite dalla legislazione vigente e dai rispettivi statuti e regolamenti, nonché dalle procedure di autorizzazione del Ministero vigilante.
Come detto in precedenza, la XI Commissione ha raggiunto un accordo unanime sul contenuto di questa proposta di legge, rispetto alla quale, peraltro, tutte le Commissioni competenti in sede consultiva hanno espresso un parere favorevole. Il Governo si è dichiarato d'accordo.
Di più: proprio per recepire l'unico rilievo in materia, espresso nel parere della Commissione bilancio, si è anche stabilito di apportare un'altra modifica al testo, che ora prevede, all'ultimo periodo, che le delibere di casse o enti, concernenti la modifica della misura del contributo integrativo e i criteri di destinazione dello stesso, sono sottoposti all'approvazione dei Ministeri vigilanti che valutano la sostenibilità della gestione complessiva e le implicazioni in termini di adeguatezza delle prestazioni. In questo modo, ci si è adeguati testualmente alle richieste della V Commissione.
In sostanza, signor Presidente, signora rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame realizza due importanti modifiche di contenuto riformatore, molto sentite e sollecitate dalle categorie interessate; è pienamente rispettoso dell'autonomia delle casse e delle funzioni del Ministero vigilante. Inoltre, il rapporto democratico ed elettivo esistente tra gli iscritti e gli organi statutari è tale da garantire che gli eventuali incrementi del contributo integrativo corrisponderanno ad un effettivo grado di consenso allo scopo di migliorare il livello delle prestazioni. Certo, il sistema pensionistico dei liberi professionisti avrebbe bisogno di una rivisitazione più ampia e profonda. Ma anche i cammini più lunghi cominciano sempre con un primo passo.
L'Assemblea può, quindi votare in assoluta tranquillità a favore della proposta di legge, che costituirà - ne sono sicuro - il primo caso in cui la Camera approverà, Pag. 57in questa legislatura con un voto pressoché unanime un provvedimento in materia di lavoro e, in qualche modo, risarcirà anche questo relatore delle fatiche fatte la scorsa settimana non sempre con altrettanta unità da parte degli altri gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LAURA RAVETTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signora sottosegretario e colleghi (non vedo colleghe, ma colleghi sì), probabilmente sarò una voce fuori dal coro.
Nell'intervenire sul provvedimento in esame, il relatore ha detto che è stato approvato all'unanimità, ma doveva aggiungere dei presenti, perché nell'occasione in cui venne approvato e dato mandato al relatore non erano presenti i rappresentanti dell'Italia dei Valori. Prima che il presidente della Commissione mi dica qualcosa, preciso subito che, avendo fatto fare una verifica dell'attività dei commissari nella Commissione lavoro, i nostri rappresentanti sono intervenuti 38 volte a testa, mediamente quanto altri, un po' meno i rappresentanti della Lega, che sono intervenuti 29 volte a testa e del PDL, che sono intervenuti circa 23 volte a testa. In altre parole, non vorrei che si dicesse che siamo troppo assenti. In quella seduta, non eravamo presenti, e come è giusto chi è assente ha sempre torto. Tuttavia voglio dire che se fossimo stati presenti avremmo espresso un avviso contrario al provvedimento in esame ed ora cerco di spiegare il motivo.
Vi sono svariati modi per mettere le mani nelle tasche dei cittadini e anche questo è un modo. Che gli enti di previdenza dei professionisti avessero problemi è cosa risaputa. D'altronde, scorrendo la presentazione del collega Lo Presti alla sua proposta di legge si ritrova più volte il fatto che «non è in grado, in termini di rapporto pensione-reddito professionale, di garantire un'apprezzabile continuità con il reddito professionale percepito al momento della cessazione dell'esercizio della professione» e che «quindi, bisogna prevedere interventi anche legislativi che consentano un incremento della base del calcolo del trattamento pensionistico espresso dai montanti contributivi».
Ora non voglio farla eccessivamente lunga e giustamente il collega relatore è entrato in particolari anche molto tecnici di tipo giuridico e delle leggi che hanno interessato le casse di previdenza, però è evidente che la situazione di queste casse era una situazione che generava problemi, soprattutto sul futuro. Pertanto, l'idea che fra l'altro il problema finisca nelle tasche dei cittadini è anche richiamato in qualche modo dal collega Lo Presti, quando al termine del suo intervento afferma che l'intervento non avrebbe impatto inflattivo, in quanto le prestazioni rese dai professionisti non sono inserite nell'elenco considerato dall'ISTAT, cioè il paniere. In altre parole vuol dire: aumentiamo a carico dei cittadini - in questo caso dei clienti dei professionisti - gli importi da pagare, però non preoccupiamoci perché non genereranno inflazione. Tuttavia, ciò non toglie che per quei cittadini l'intervento si traduca in un aumento di ciò che essi devono pagare agli avvocati, come a tutti gli altri professionisti.
Dunque a me pare che, tanto più in un momento come quello attuale, sia inaccettabile l'idea di far pagare ai cittadini e ai clienti la sistemazione delle posizioni pensionistiche dei professionisti, perché le loro casse non ce la fanno. È vero che alcuni hanno cambiato già il sistema e sono passati da quello retributivo a quello contributivo, alcuni anche con la capitalizzazione, però se l'intervento si doveva fare, e posto che si tratta di un intervento che serve a dare beneficio ai professionisti, è evidente che ci si doveva preoccupare di far sì che fossero essi stessi ad essere i Pag. 58protagonisti della sistemazione del loro sistema pensionistico aumentando i contributi a loro carico.
Ciò soprattutto in un'area che - per carità - varia da categoria a categoria ma, nella quale, come è noto, l'evasione fiscale non è che sia proprio assente. Quindi ci sono casi, e non sono pochi, di professionisti che percepiscono trattamenti pensionistici che poco hanno attinenza con il reddito dichiarato ma, forse, perché quel reddito dichiarato non è stato in molti casi neppure un reddito veritiero con riferimento agli aspetti fiscali.
Pertanto a me pare che sia sbagliato un intervento di questo genere. Sono anni che questo problema si pone. Posso ricordare un intervento: allora l'onorevole Maroni non era a capo del Ministero dell'interno ma si trovava al Ministero competente in questa materia, e ricordo che dichiarava di temere che le Casse non facessero quanto necessario confidando che nel momento del bisogno sarebbe stato lo Stato a salvare la previdenza obbligatoria. Tuttavia, il Ministro del welfare - si legge nei testi - assicurava che ciò non sarebbe accaduto.
In effetti ciò non succederà nel senso che non è lo Stato ad intervenire. Tuttavia per particolari categorie, come quelle dei giornalisti, è sufficiente ricordare anche interventi che si sono verificati in quest'ultima legislatura con circa 10 milioni di euro di contributi buttati là sui prepensionamenti. Quindi non è vero che lo Stato non interviene: anche lo Stato è intervenuto, ma la dimostrazione è che, alla fine, da anni, ci sono interventi, ad esempio da parte di soggetti che si occupano di bilanci, che evidenziano l'opacità che presentano molti bilanci delle Casse di previdenza dei professionisti.
Tali interventi spingono, o vorrebbero spingere - e di questo avrei voluto vedere qualche effetto all'interno del provvedimento in oggetto - per rendere quei bilanci leggibili, per far capire realmente come sono stati utilizzati quei denari. Ci sono Casse che hanno investito male perché hanno investito in titoli che sono poi crollati con la crisi finanziaria; ora non noi, ma i clienti di questi professionisti, vengono chiamati a pagare gli errori compiuti da chi ha gestito quelle Casse. Forse era necessario intervenire con maggiori controlli, più direttamente per far sì che fossero gli stessi beneficiari ad intervenire in modo più diretto e più completo, visto che si tratta delle pensioni del futuro.
Vorrei anche leggere qualcuno che diceva: ben vengano gli inviti alle Casse dei liberi professionisti ad attuare rigorose revisioni normative e ad impostare politiche di bilancio tali da mettere al riparo le categorie dagli effetti di maturazione dei regimi, l'implacabile virus a causa del quale, riducendosi il numero dei contribuenti e aumentando quello delle pensioni, vanno in crisi irreversibile i modelli di solidarietà fondata sulla ripartizione. Onestà intellettuale impone di chiarire che se il sistema pensionistico soffre di anemia perniciosa, non è colpa delle Casse dei professionisti che però sono chiamate in causa.
Ho richiamato questo passo, perché era contenuto in un articolo scritto nel 2003 dal nostro relatore, l'onorevole Cazzola, che ora peraltro ha un po' cambiato parere. Infatti egli ha dato la disponibilità ad un intervento che, anziché ricadere su coloro sui quali dovrebbe ricadere, è volto a prelevare direttamente i quattrini dalle tasche dei cittadini.
Per questi motivi, l'Italia dei Valori non sarà favorevole e voterà contro il provvedimento in oggetto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.

ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che oggi ci accingiamo ad approvare consta di un solo semplice articolo: è nato esclusivamente in Parlamento, è stato approvato all'unanimità - tranne, lo apprendiamo oggi, l'Italia dei Valori che avrebbe votato contro - in Commissione, dopo un proficuo ed articolato dibattito. Ringrazio la Commissione intera ed il relatore per il lavoro svolto.
Il testo ha ricevuto il parere favorevole di tutte le Commissioni, compresa la Commissione bilancio che ha riconosciuto e Pag. 59certificato l'inesistenza di costi a carico del bilancio dello Stato e infine ha ottenuto l'unanime apprezzamento dal mondo delle Casse di previdenza dei professionisti italiani, un mondo, quello delle professioni, che rappresenta l'8 per cento del prodotto interno lordo del nostro Paese. Si tratta, quindi, non soltanto di una risorsa economica, ma anche di un patrimonio di cultura, di tecnica, di competenze e professionalità che rende l'Italia un Paese moderno e solido.
La proposta di legge che questo ramo del Parlamento approverà ha, dunque, caratteristiche che la rendono unanimemente apprezzabile ed è riconosciuta come un primo significativo tassello del più articolato mosaico rappresentato dalla riforma della previdenza dei professionisti italiani. È, in poche parole, una riforma, una piccola riforma se vogliamo, ma è comunque uno di quegli strumenti permanentemente invocati nel dibattito politico per migliorare il nostro Paese e soprattutto per migliorare le condizioni di vita dei cittadini.
Si tratta di una riforma della previdenza privata che avrà effetti indiscutibilmente positivi sia con riguardo alla sostenibilità del sistema previdenziale delle Casse, sia con riferimento all'adeguatezza delle prestazioni previdenziali. Quello dell'adeguatezza delle pensioni è un tema che interessa le giovani generazioni di lavoratori, siano essi lavoratori dipendenti, autonomi o professionisti, e sul quale proprio di recente è intervenuto il Presidente Fini nel corso della presentazione del rapporto annuale dell'INPS, sollevando argomentate e preoccupate riflessioni sul futuro di coloro i quali dal 1995 sono sottoposti al regime previdenziale contributivo, vale a dire quei giovani che alla fine del percorso lavorativo potranno beneficiare - si fa per dire - di un tasso di sostituzione che nella migliore delle ipotesi consentirà loro di avere una pensione pari al 35 o al 40 per cento dell'ultima retribuzione: troppo poco per affrontare una vecchiaia dignitosa e serena.
Dovere della politica, allora, è intervenire per tempo, proprio per dare ai giovani la certezza e non soltanto la speranza di un futuro migliore. Si dovranno quanto prima mettere a punto nuovi interventi che facciano fronte alla prevedibile crisi del sistema previdenziale pubblico (quella gestita dall'INPS, per intenderci) dovuta all'aumento delle aspettative di vita, alla diminuzione del tasso di natalità e alla diminuzione delle entrate contributive. È certamente una sfida politica, questa, ma è anche una sfida umana e culturale, come osservato da alcuni commentatori, di cui oggi come classe politica dobbiamo farci carico.
È proprio in questa prospettiva che, almeno sul fronte dei professionisti, non abbiamo voluto perdere tempo intervenendo su una delle leve che possono essere azionate dalle Casse di previdenza o dal legislatore per garantire ad un sistema previdenziale sostenibilità e adeguatezza.
Ci sono, infatti, ben sei modi per intervenire: agire sull'impianto stesso del sistema, passando dal retributivo al contributivo o ad uno misto, e alcune Casse lo hanno fatto; aumentare l'età pensionabile, e anche questo alcune Casse lo hanno fatto; aumentare il contributo soggettivo, strada obbligata considerando che i professionisti italiani pagano molto meno dei colleghi europei, e molte Casse si stanno avviando su questa strada; migliorare e ottimizzare la gestione del patrimonio; passare dal sistema della doppia tassazione di rendite e pensioni (ETT) a quello di monotassazione (ET); infine, aumentare il contributo integrativo.
I primi quattro modi di intervento sono di competenza delle Casse e della loro autonoma determinazione, valutati, ovviamente, gli interessi dei propri amministrati. Gli ultimi due sono di competenza del legislatore.
Noi oggi interveniamo sull'ultima leva, quella del contributo integrativo, a costo zero. Si tratta di quel contributo che, secondo la norma vigente contenuta nell'articolo 8 del decreto legislativo n. 103 del 1996, può variare dal 2 al 4 per cento e che il professionista carica sul proprio compenso per finalità che fino ad oggi Pag. 60erano destinate a scopi meramente assistenziali o a contribuire alle spese di gestione dell'ente di previdenza.
Con la proposta di legge al nostro esame viene completamente mutata la ratio di tale norma e il contributo, che potrà essere aumentato sino al 5 per cento, servirà anche e soprattutto per migliorare i montanti contributivi individuali per i professionisti di quelle Casse di nuova o vecchia generazione che sono passate dal sistema retributivo al sistema contributivo o a quello misto.
È una vera e propria rivoluzione per il mondo della previdenza privata che potrà così migliorare non soltanto i propri conti, ma anche l'adeguatezza delle prestazioni future aumentando la percentuale del tasso di sostituzione fino a un rapporto del 60 per cento.
In tal senso conducono le previsioni attuariali di una delle casse che, in via sperimentale, e da oggi, grazie a questa proposta di legge, in via definitiva, ha adottato questo principio: sto parlando della cassa dei dottori commercialisti, alla quale mi sembra che lei, onorevole Borghesi, appartenga...

ANTONIO BORGHESI. Vent'anni fa!

ANTONINO LO PRESTI. Non fa il commercialista? Mi scusi. Come dicevo, la cassa dei dottori commercialisti ha aperto la strada a questa piccola, ma significativa riforma di cui beneficeranno circa diciotto casse. Ne cito alcune a titolo esemplificativo: la cassa dei periti, degli agrotecnici, dei geometri, degli architetti, degli ingegneri, degli avvocati, degli infermieri, dei chimici, dei ragionieri e dei consulenti del lavoro. Si tratta di un intero sistema, un universo produttivo significativo per l'economia italiana, che oggi segna un punto importante sulla strada di quella riforma di cui il Paese ha bisogno e, lo ripeto, senza gravare di una sola «lira» sul bilancio dello Stato.
Abbiamo demolito in Commissione bilancio tutte le perplessità che qualche burocrate ministeriale - ma vedo oggi anche l'onorevole Borghesi insistere su questo fronte - aveva avanzato riguardo a due possibili effetti negativi della riforma: in primo luogo, il possibile aumento dell'inflazione. Si tratta di un argomento desueto, infondato e strumentale sia perché una simile voce, come ricordato, non è inclusa in alcun paniere o indice inflattivo, sia perché uno studio molto approfondito e molto serio di Inarcassa esclude tale eventualità se non per una infinitesima percentuale (pari allo 0,00 e qualcosa).
In secondo luogo, l'aggravio della pressione fiscale e dei costi per la pubblica amministrazione: anche questo argomento è stato demolito sulla base di due semplici osservazioni. Il contributo integrativo esiste già da molti anni e se ne cambia solo la destinazione, non c'è alcuna novità. Di fatto, esso è ormai inglobato nel compenso che viene pattuito dal professionista con il privato, ma soprattutto con la pubblica amministrazione.
Oggi, quando si redigono le parcelle, il professionista include, nel prezzo pattuito con il cliente o con la pubblica amministrazione, anche il contributo integrativo che poi viene di fatto scorporato.
Tuttavia, ripeto, non vi è nessuna novità perché esso è sempre esistito: viene mutata la destinazione. Questo è l'elemento significativo di questa proposta di legge: un mutamento di destinazione finalizzato a garantire il futuro pensionistico dei giovani professionisti. Lo vada a spiegare lei, onorevole Borghesi, ai giovani professionisti, i quali, evidentemente attendono di poter sperare in un futuro migliore, nel momento in cui oggi, rebus sic stantibus, il tasso di sostituzione della loro pensione, prevedibile fra trent'anni, lo ribadisco e lo ripeto, si attesta intorno al 35-40 per cento dell'ultimo reddito. Faccio un esempio: un professionista che dovesse guadagnare negli ultimi anni della propria vita un emolumento pari a 1.500 euro al mese, godrebbe di un tasso di sostituzione che ridurrebbe tale pensione a poca cosa, 600 euro al mese. Vedremo se riusciremo a farli sopravvivere i giovani.
In ogni caso, il fatto che vi sia un aumento sino al 5 per cento, ossia appena un punto in più della previsione attuale Pag. 61che è del 4 per cento, non aggrava certo la situazione economica dei già tartassati italiani, professionisti compresi, i quali contribuiscono ancora oggi con la fiscalità generale a pagare i trasferimenti allo Stato per l'assistenza gestita dall'INPS.
Superate, dunque, le argomentazioni pretestuose che avrebbero voluto, ancora una volta, frapporsi a questa riforma, la Camera dei deputati oggi, grazie all'approvazione di questa norma, favorisce lo sviluppo virtuoso di un sistema previdenziale, imprimendo una svolta significativa anche al processo di riforma dell'intero comparto delle professioni, il quale, in questa legislatura, speriamo possa finalmente vedere la luce.
Riforma delle professioni e riforma della previdenza dei professionisti - non mi attardo su questo argomento che avremo occasione di sviluppare in seguito - devono procedere di pari passo, non foss'altro perché un sistema delle professioni non competitivo significa minori redditi per i professionisti, turnover limitato e conseguente riduzione della platea dei contribuenti e dell'ammontare dei contributi; fattori questi che si legano indissolubilmente tra di loro e sui quali bisogna intervenire in un quadro di insieme, avendo ben presente non solo il benessere di chi è già in pensione, ma soprattutto il destino e il benessere dei giovani lavoratori con i quali dobbiamo siglare un nuovo patto generazionale fatto anche di sacrifici, ma soprattutto di considerazione, rispetto e responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, come è già stato ricordato dall'onorevole Cazzola, questa proposta di legge è stata discussa in Commissione lavoro, dove ci sono stati importanti approfondimenti. Noi pensiamo che la proposta in discussione rappresenti senz'altro un passo avanti compiuto in direzione di un sostegno concreto agli iscritti alle casse professionali. Da qui la nostra adesione che abbiamo dimostrato nel corso dell'esame in Commissione e che coerentemente sosterremo anche in Aula.
I liberi professionisti, al pari dei lavoratori dipendenti, hanno diritto a beneficiare di adeguate prestazioni previdenziali e assicurative, cosa che attualmente non avviene in quanto essi percepiscono pensioni significativamente basse con una grossa disparità rispetto al reddito percepito nel corso dell'attività professionale.
In particolare, la situazione delle professioniste donne appare oltremodo critica, laddove esse percepiscono una pensione che ammonta, secondo le statistiche, a circa la metà di quella degli uomini, scontando i periodi di interruzione dovuti alla maternità e ai servizi di cura della famiglia.
Dunque, anche in questo caso si ricalca la medesima situazione che caratterizza il settore privato, dove le donne risultano essere particolarmente penalizzate. Di qui la necessità di un aumento delle aliquote che riesca a sanare una situazione di disparità di trattamento estremamente sfavorevole per alcune casse previdenziali.
In questo contesto comunque, considerando che anche in questo caso ci sono degli elementi di criticità che vanno ricordati, sarebbe auspicabile un intervento legislativo a favore degli iscritti alle casse previdenziali privatizzate che affronti il problema di una riforma ampia ed organica del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509. Sarebbe opportuno, infatti, che le casse potessero assolvere ai compiti assegnati dalla Carta costituzionale allo Stato e da questi devoluti alle associazioni e alle fondazioni, in un contesto favorevole più definito e più stabile dell'attuale.
Vi è, inoltre, l'esigenza di valutare seriamente l'opportunità di una più complessiva rivisitazione e razionalizzazione del sistema degli enti previdenziali privati, rispetto ai quali si pone con forza un problema di tenuta dei rispettivi bilanci, sorto in conseguenza anche della crisi economica e di taluni investimenti gravemente sbagliati intrapresi da diverse casse tra quelle privatizzate. In questo senso, Presidente, vi sono dei progetti di legge già Pag. 62depositati dal nostro gruppo che auspichiamo siano al più presto posti all'ordine del giorno delle Commissioni di competenza; tra questi vi è un progetto a mia firma.
Il sistema previdenziale dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione si caratterizza per l'originalità della formula giuridica adottata per gli organismi deputati a garantirne obbligatoriamente l'assicurazione in caso di invalidità e di vecchiaia, come previsto del resto dall'articolo 38 della Costituzione. Il settore vanta un'esperienza ormai quindicennale per le casse cosiddette di prima generazione, privatizzate in base al decreto legislativo n. 509 del 1994, e ultradecennale per quelle cosiddette di seconda generazione, costituite con il decreto legislativo n. 103 del 1996.
Noi riteniamo positiva la valutazione complessiva di tale esperienza, sebbene le Casse si siano trovate ad operare in un contesto di incertezza normativa.
Le categorie professionali interessate hanno registrato una dinamica demografica e reddituale mediamente sostenuta, con conseguente beneficio per le rispettive casse di previdenza. Le relative gestioni hanno assunto caratteri di sempre maggiore complessità, anche derivanti dall'accumulo delle riserve e da fattori esogeni, tra i quali, fra l'altro, le modifiche dei requisiti di accesso all'esercizio della professione, la mobilità interprofessionale, la crescente longevità degli associati. È opportuno che le Casse possano assolvere ai compiti assegnati dalla Carta costituzionale allo Stato, e da questo devoluti alle associazioni ed alle fondazioni, in un contesto quindi che sia chiaramente più favorevole, come abbiamo ricordato in precedenza.
Ciò induce, dunque, a ritenere giunto il momento di procedere a quello che ho definito un riassetto organico della disciplina da perseguire attraverso uno specifico intervento legislativo che sia - lo voglio sottolineare - in coerenza con le linee guida contenute nel Memorandum sottoscritto l'8 aprile 2008 tra il Ministero del lavoro e della previdenza sociale - a quel tempo ero Ministro del lavoro, quindi ricordo bene quella circostanza - e l'associazione degli enti previdenziali privati, l'Adepp. In tale ottica si intendono affrontare quei temi e quelle criticità individuati nel richiamato documento di indirizzo sottoscritto con le associazioni professionali al fine di assicurare il rafforzamento degli istituti previdenziali e dei margini di efficienza e trasparenza delle gestioni, nell'interesse del miglioramento e dell'estensione delle prestazioni per gli associati. Quindi, la proposta di legge che abbiamo cominciato a discutere in questa giornata è sicuramente un passo avanti, ma è urgente affrontare una vera riforma degli enti.
A seguito dell'adozione da parte delle casse previdenziali privatizzate del metodo di calcolo contributivo delle prestazioni pensionistiche e della presenza di aliquote contributive estremamente contenute, si rendono necessari interventi volti a incrementare la base di calcolo del trattamento pensionistico, espressa dai montanti contributivi, al fine di garantire un'accettabile adeguatezza dei trattamenti pensionistici in continuità con il reddito professionale percepito al momento della cessazione dell'esercizio della professione. Si è creata, infatti, una situazione di eccessiva disparità tra reddito percepito dai professionisti e ammontare pensionistico di questi, percepito al termine della vita professionale.
Non ci entusiasma - lo vogliamo dire - il fatto che, come veniva già ricordato, l'aumento ricada direttamente sui clienti; la proposta, infatti, prevede che sia riscosso direttamente dal professionista all'atto del pagamento, previa evidenziazione del relativo importo sulla fattura, quindi il cliente ha il diritto di essere informato, di sapere, ma comunque pagherà questo aumento. Sarà interesse del professionista fatturare tutto per avere una pensione più consistente e contemporaneamente questo sarà un miglioramento anche per il fisco, ma pagherà il cliente.
Esiste, inoltre, anche un concreto pericolo per questi enti, soprattutto se di recente istituzione, che si trovano oggi in una situazione apparentemente invidiabile dal punto di vista delle risorse finanziarie; infatti, poiché tale situazione deriva dalla Pag. 63pressoché assoluta mancanza di pensionati, vi è il rischio che, proseguendo nella gestione, si possa registrare un significativo peggioramento dei bilanci, nel momento in cui tali casse dovranno cominciare ad erogare un numero significativo di prestazioni. Tale rischio può rappresentarsi in misura ancora più marcata per quelle Casse che attualmente non sono transitate ad un regime di natura contributiva.
La proposta di legge in esame reca disposizioni volte a permettere agli enti previdenziali istituiti ai sensi del decreto legislativo n. 103 del 1996, relativi a liberi professionisti, di elevare la misura del contributo integrativo. Tale proposta è volta ad equiparare, sotto questo aspetto, la disciplina relativa a tali enti con quella vigente per gli enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 per consentire di liquidare trattamenti pensionistici migliori.
È importante ricordare, anche in questa sede, che il problema di riuscire a garantire una pensione più alta riguarda tutti; noi, come Partito Democratico, abbiamo presentato anche per i lavoratori e per le lavoratrici dipendenti una proposta di legge per garantire un tasso di sostituzione del 60 per cento nel rapporto tra retribuzione e pensione. Per molti anni, infatti, nel nostro Paese il lavoro dipendente equivaleva a un contratto a tempo indeterminato, vita lavorativa lunga e senza interruzioni: 35-40 anni oppure 55 anni di età per andare in pensione, se donna, o 60 anni se uomo fino al 1992.
Erano previste le pensioni pari al 2 per cento l'anno per ogni anno effettuato e calcolato sugli ultimi cinque anni di lavoro (sempre fino al 1992) e sugli ultimi dieci anni, gradualmente dal 1992 in poi. Il senso comune generale era il lavoro sicuro in azienda, se l'azienda era grande con un tipo di contrattualità collettiva. Se l'azienda era piccola, la sicurezza del contratto veniva sostituita dal clima più familiare e la sicurezza affettiva compensava la sicurezza della grande azienda.
Questo sistema aveva creato un senso di sicurezza nel futuro soggettivo, per cui ci si aspettava che, con quarant'anni di lavoro, si potesse vivere fino alla morte con l'80 per cento di quanto si guadagnava lavorando. Sappiamo che l'allungamento dell'aspettativa di vita e la grande elusione contributiva sino al limite fatidico degli anni che sarebbero serviti per il calcolo della pensione, ha portato alla consapevolezza che il sistema non avrebbe potuto reggersi in equilibrio. Si sono avviate riforme che, oltre ad avere un significato economico, hanno modificato culturalmente il senso comune del rapporto che intercorre tra lavoro, tempo e pensione.
Si è, quindi, arrivati alla prima riforma con il decreto legislativo n. 503 del 1992 con l'allungamento del periodo di lavoro necessario per il raggiungimento del requisito minimo e dell'età della pensione di vecchiaia. Da quindici anni si è passati a venti anni; dai 55 anni di età ai 60 per le donne e dai 60 anni ai 65 per gli uomini. Anche gli storici 35 anni per la pensione di anzianità sono diventati flessibili e sono ormai un ricordo. Pensare, quindi, ad un sistema che tenesse conto di tutta la carriera lavorativa e, quindi, che ogni persona debba coltivare il proprio patrimonio contributivo per avere certezza di pensione è stata una via obbligata. La legge n. 335 del 1995 ha tenuto conto dei grandi cambiamenti del mondo del lavoro, ha finalmente preso atto che potevano esistere anche forme di lavoro non dipendente e ha creato, quindi, la gestione separata per le collaborazioni coordinate e continuative. Sono state riforme che hanno adeguato il sistema pensionistico alle nuove esigenze.
I lavoratori e le lavoratrici dipendenti oggi iniziano la propria attività con la consapevolezza che dal loro reddito lordo vengono trattenuti i contributi e la quota a loro carico per una garanzia di futuro anche pensionistico. Versando regolarmente la contribuzione dovuta si crea una legittima attesa di poter fruire, al termine della vita lavorativa, di un reddito da pensione che consenta loro di trascorrere una vecchiaia dignitosa. Questo traguardo era più facilmente calcolabile con il sistema retributivo, ma con il passaggio al sistema contributivo si deve tener conto Pag. 64del progressivo cumulo di contributi ed è stata istituita anche la previdenza complementare che doveva rappresentare il secondo pilastro previdenziale atto a garantire una serena vecchiaia.
Presidente, anche il sistema di previdenza complementare, però, risente delle difficoltà occupazionali di mercato e, quindi, il secondo pilastro, su cui si basava la filosofia della riforma del 1995 per non abbassare il livello complessivo delle prestazioni, non riesce sempre ad assolvere al suo ruolo istitutivo. In un periodo in cui la disoccupazione, la cassa integrazione e la mobilità sono interruzioni costanti durante l'attività lavorativa, si aggiunge che sono molti i lavoratori che non sono ancora iscritti e non possono accedere ad un fondo di previdenza complementare.
Per tutti questi motivi, che richiamano il senso più generale delle riforme pensionistiche attuate a partire dal 1992, con questa proposta noi pensiamo che si vada nella giusta direzione, ancorché parziale, per i liberi professionisti, anche se rimane per noi fondamentale pensare alla riforma complessiva degli istituti previdenziali di riferimento. Contiamo, inoltre, che si possa arrivare in Aula anche con provvedimenti migliorativi per le pensioni di tutti e che riguardino, quindi, una sistemazione più complessiva anche per quanto riguarda le Casse dei professionisti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1524-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Cazzola.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, sono un ottimista e vorrei provare a convincere l'onorevole Borghesi che, in realtà, non ho cambiato opinione sull'articolo che ha avuto il compiacimento di leggere. Soprattutto, credo che non dobbiamo fare lotta politica ai danni della gente e, infatti, con questo provvedimento non mettiamo le mani in tasca a nessuno, nel senso che queste categorie, che hanno un'ampia autonomia gestionale in quanto sono fuori dal sistema previdenziale e quindi eleggono i loro organi dirigenti, assumono le decisioni che ritengono opportune sul loro funzionamento. Ovviamente, trattandosi di previdenza obbligatoria, devono farsi autorizzare i provvedimenti dai Ministeri vigilanti ed è giusto che sia così, in quanto anche per loro vale l'articolo 38 della Costituzione.
Qui noi abbiamo a che fare con delle Casse di liberi professionisti alcune delle quali quelle più vecchie, quelle più antiche, in qualche modo sono cresciute all'ombra di un sistema retributivo. Quindi pagando un'aliquota previdenziale molto bassa - perché si tratta di aliquote previdenziali intorno al 10 per cento più o meno - hanno potuto assicurare trattamenti adeguati, decenti, in forza di un elemento transeunte che è quello degli avanzi di gestione, perché queste sono sostanzialmente casse che hanno molti iscritti ed erogano poche pensioni. Tuttavia questo è un processo destinato a finire. Già queste Casse si stanno interrogando fino a quando potranno durare e potranno durare - nella previdenza purtroppo c'è una memoria lunga, bisogna ragionare di decenni in avanti - ancora per qualche decennio e hanno fatto delle riforme. Le riforme che hanno fatto sono le solite, quelle di applicare il regime contributivo - un regime in virtù del quale ciascuno avrà in base a quello che ha versato - ai nuovi ingressi, ai nuovi entrati, alle nuove forze lavoro, ai professionisti iscritti a queste Casse, ovviamente abbassando i rendimenti di queste nuove persone che entreranno. In questa situazione nel 1995 altre categorie di professionisti hanno bussato alla porta del legislatore ed hanno ottenuto di farsi le loro Casse. Il legislatore ha detto loro: «Bene, voi ve le fate col sistema contributivo come tutti», quindi in buona sostanza anche questi avendo delle aliquote molto basse, aliquote molto ridotte, si candidano ad avere trattamenti pensionistici Pag. 65che sono molto inferiori rispetto a quelli degli altri, a quelli che sono del sistema retributivo e - lo dico anche all'onorevole Lo Presti - molto più bassi di quel 35 per cento cui faceva riferimento il collega Lo Presti. Infatti molte di queste categorie avranno dei tassi di sostituzione che non arriveranno al 20 per cento. Quindi, mettendo in campo la possibilità di utilizzare volontariamente il contributo integrativo, allineando il contributo integrativo a quel 5 per cento che vale per le altre Casse - se lo vogliono fare ovviamente - noi diamo una mano sostanzialmente a mettere insieme dei montanti contributivi che assicureranno dei trattamenti pensionistici migliori e auspicabilmente dignitosi, tenendo conto peraltro che queste categorie di lavoratori dicono di voler fare da sé, e che, anche in caso di difficoltà, visto che sono privatizzate, non andranno a battere cassa da nessuno. Ma credo che invece l'articolo 38 della Costituzione costringerà lo Stato - di fronte a disavanzi crescenti per le categorie, per le Casse di vecchio tipo, di vecchio conio e di fronte a situazioni inadeguate alle Casse di nuovo conio - tra qualche decennio a provvedere anche a questi lavoratori. Quindi, sinceramente invito i colleghi a riflettere attentamente su questi temi e a fare di questa operazione, una operazione positiva, a favore di lavoratori che ce lo chiedono.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

LAURA RAVETTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, rinuncio alla facoltà di replica e mi riservo di intervenire nel prosieguo della discussione.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 4 maggio 2010, alle 9,30:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15)
2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, recante disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori (C. 3350-A).
- Relatori: Milanese, per la VI Commissione; Fava, per la X Commissione.

3. - Deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dal Tribunale ordinario di Roma di cui all'ordinanza della Corte costituzionale n. 86 del 2010.

4. - Seguito della discussione della proposta di legge:
LO PRESTI ed altri: Modifica all'articolo 8 del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, concernente la misura del contributo previdenziale integrativo dovuto dagli esercenti attività libero-professionale iscritti in albi ed elenchi (C. 1524-A).
- Relatore: Cazzola.

La seduta termina alle 19,25.

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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MARCO MARIO MILANESE SUL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3350-A

MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, in apertura di discussione sulle linee generali del provvedimento in esame, vorrei evidenziare il proficuo lavoro che è stato svolto nei giorni scorsi congiuntamente dalla VI Commissione (Finanze), e dalla X Commissione (Attività produttive), e che ha portato nella giornata di giovedì a conferire ai relatori il mandato a riferire in Aula.
Per questo, prima di entrare nel merito delle tematiche affrontate e delle novità introdotte all'esito delle attività in sede referente, è doveroso riconoscere il lavoro svolto dai presidenti delle due Commissioni e dai colleghi di maggioranza e opposizione che dopo un confronto costruttivo e sempre rispettoso delle rispettive posizioni, in taluni casi anche convergenti, ha consentito di formare l'attuale testo che viene posto alla valutazione dell'Aula.
Un ringraziamento va rivolto agli uffici che hanno garantito, grazie alla loro competenza e dedizione, un andamento dei lavori tale da consentire oggi di discutere del provvedimento con pienezza di cognizione sui diversi temi emersi.
Un provvedimento che è stato ulteriormente arricchito con nuove misure che integrano tutti i settori già proposti nel testo originario, con particolare riguardo ai seguenti quattro profili: contrasto alle frodi fiscali e finanziarie internazionali e nazionali; potenziamento dell'amministrazione finanziaria; razionalizzazione della riscossione; interventi agevolativi a sostegno della domanda.
Proprio in relazione a questa area di interventi, vorrei sottolineare come le decisioni assunte in seno alle Commissioni, pur salvaguardando le prerogative del Parlamento, hanno inevitabilmente dovuto tener conto della necessità di non pregiudicare gli equilibri di bilancio proseguendo quindi, coerentemente con la volontà del Governo, in una politica diretta ad evitare di indebolire, attraverso l'ulteriore aggravamento del debito pubblico, pericoloso fattore di incertezza finanziaria per tutta l'Eurozona, la forte protezione che è stata eretta a difesa del nostro sistema finanziario nazionale con la manovra finanziaria triennale del 2008. Questa volontà è stata dettata da un lato dalle vicende che stanno interessando altri Paesi europei a più forte rischio di «contagio default», e dall'altro dai recenti risultati emersi dalle proiezioni del Fondo monetario internazionale relative agli aggiustamenti strutturali che ogni paese deve porre in essere per raggiungere l'obiettivo del debito/PIL al 60 per cento nel 2030. Dati che incoraggiano nel proseguire sulla strada tracciata per il nostro paese, tenuto conto che evidenziano come, per l'Italia, l'aggiustamento da attuare tra il 2010 e il 2020 per raggiungere il citato obiettivo è attorno al 4 per cento dell'avanzo primario, quindi, leggermente superiore a quello che dovrà fare la Germania.
Ciò sta a significare che la politica economica adottata dal Governo e da questo Parlamento, ha portato l'Italia, in materia di debito pubblico, ad essere al fianco della Germania e ad avere una situazione migliore rispetto a tanti altri grandi Paesi, Stati Uniti compresi.
Per questi motivi, anche questo decreto si pone in continuità con i precedenti provvedimenti anticrisi adottati dal Governo nell'ambito della propria politica economico-finanziaria. In particolare, esso può essere considerato una sorta di continuazione del decreto-legge n. 5 del 2009, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, sebbene sia cambiata la filosofia concernente le politiche di sostegno alla domanda e che predominante è la parte fiscale di rafforzamento del contrasto all'evasione fiscale per consolidare e incrementare il gettito tributario senza aumentare la pressione fiscale indiscriminatamente, bensì concentrando l'opera di razionalizzazione su fattispecie Pag. 67che già evidenziano particolare pericolo di proliferazione dell'evasione.
Tale scelta strategica, coniugata a quella del forte potenziamento degli strumenti di sostegno al reddito, attuata dal Governo, si può considerare ora appropriata - così come è stata definita l'intera politica economica della maggioranza, certificata dai vari organismi internazionali a ciò delegati (FMI, Unione europea, OCSE) - ove si consideri che il tessuto produttivo nazionale ha tenuto e sta tuttora tenendo alle forti pressioni congiunturali di una crisi globale del mercato internazionale.
Infatti, le imprese nazionali maggiormente in crisi sono quelle operanti sui mercati internazionali, in una fase di flessione delle esportazioni. Tali imprese stanno soffrendo della minore domanda proveniente da due dei più grandi partner commerciali, la Germania e la Francia, maggiormente esposti alla recessione economica ed i cui effetti si stanno ancora trascinando nel corso di questo anno, con Paesi come Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna che, come visto, stanno perdendo sempre più competitività e, purtroppo non solo.
Forse una riflessione, per ora non approfondita, questo Parlamento dovrà fare sulle agenzie di rating. Agenzie sicuramente importanti ma non tanto da poter o dover cambiare, modificare o condizionare la vita di un Paese.
Entrando nel merito delle modifiche apportate, nell'ambito di un più generale disposto diretto a contrastare ulteriormente i fenomeni di frodi fiscali e finanziarie internazionali, è stato rafforzato il contenuto della disposizione già presente nel testo originario, all'articolo 1, consentendo di conoscere in via anticipata non solo le informazioni circa i dati relativi alle iscrizioni nel registro delle imprese relative alle deliberazioni di modifica degli atti costitutivi per trasferimento all'estero della sede sociale delle società, ai sensi dell'articolo 2436 del codice civile, ma anche quelli connessi a tutte le operazioni straordinarie. Ed è il caso di sottolineare come questo intervento sia nato da una opportuna proposta dell'opposizione, raccolta dalla maggioranza, abbandonando ogni preconcetto di sorta, e con il solo obiettivo condiviso del miglioramento del testo originario. La modifica così apportata consente, quindi, un effettivo potenziamento dello strumento conoscitivo per una più proficua attività degli uffici fiscali in una logica di rafforzamento degli strumenti di contrasto all'evasione fiscale, alla quale il provvedimento in esame rivolge la sua attenzione. A tal proposito, evidenzio come già nel decreto-legge cosiddetto «mille proroghe» fosse stato previsto l'ampliamento dei poteri di indagine dell'amministrazione finanziaria, prolungando i termini per l'accertamento e introducendo una sorta di inversione dell'onere della prova, in casi eccezionali. In base a tale previsione, infatti, per il fisco, le attività e i capitali detenuti all'estero (al di là di specifiche disposizioni autorizzative) sono considerati frutto di evasione, lasciando peraltro al contribuente la piena possibilità di dimostrazione del contrario. Al riguardo, ricordo che, sulla base degli ultimi dati diffusi di recente dall'Agenzia delle Entrate, la lotta all'evasione, nel 2009, ha fatto incassare all'erario 9,1 miliardi di euro, superando i risultati dell'anno precedente del 32 per cento, e portando le somme recuperate in due anni al sommerso a 16 miliardi di euro.
Altro settore nel quale significativi sono stati gli interventi operati dalle Commissioni è stato quello del potenziamento dell'Amministrazione finanziaria.
In particolare, coniugando la duplice esigenza da un lato di rafforzare l'amministrazione economico finanziaria, nell'ottica di maggiore efficacia dell'attività di contrasto all'evasione fiscale e dall'altro di contenimento della spesa pubblica, è stata introdotta la disposizione che prevede una maggiore razionalizzazione nell'impiego delle forze assegnate alle diverse branche riconducibili all'amministrazione economico-finanziaria, attraverso la massima mobilità e flessibilità dell'impiego del personale. In sostanza, si tratta di consentire una più razionale e flessibile distribuzione delle risorse umane tra i diversi settori, privilegiando quelli maggiormente pressati Pag. 68dall'esigenza di assicurare gli obiettivi finanziari prefissati, a fronte della eventuale distribuzione di risorse in altri settori meno cruciali suscettibile di più efficace utilizzazione. Il tutto, ovviamente, senza alcun aggravio di spesa, diretto o indiretto, o avvio di processi di assunzione in deroga alla disciplina generale valevole per le altre pubbliche amministrazioni, ed anzi pienamente confermando i processi di riduzione degli organici già imposti a legislazione vigente.
Inoltre, ancora una volta in una prospettiva di razionalizzazione dell'assetto organizzativo, le Commissioni hanno deciso di potenziare l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato in vista della sua trasformazione in Agenzia fiscale, attraverso la soppressione delle direzioni territoriali dell'economia e finanze le cui funzioni vengono riallocate prioritariamente presso gli uffici centrali del Dipartimento dell'amministrazione generale, dei servizi e del personale, ovvero presso le Ragionerie territoriali dello Stato mentre, per il personale in servizio presso le Direzioni territoriali dell'economia e delle finanze è stato previsto il trasferimento, a domanda, prioritariamente all'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, ovvero alle Ragionerie territoriali dello Stato, organi periferici della ragioneria Generale dello Stato, essenziale per assicurare sul territorio quella preziosa opera di controllo e monitoraggio dei conti delle amministrazioni pubbliche che si sta rivelando indispensabile per garantire la tenuta della finanza pubblica.
Di spicco sono anche le modifiche apportate con riguardo alla materia della deflazione e semplificazione del contenzioso tributario.
In particolare un primo intervento, è finalizzato a definire il lunghissimo contenzioso tra lo Stato ed i soggetti che fino alla riappropriazione in mano pubblica del servizio nazionale della riscossione (ottobre 2006) hanno esercitato tale servizio in regime di concessione amministrativa.
Si tratta di un contenzioso assai articolato e complesso che trova origine in comportamenti risalenti ai primi anni novanta, che si protrae ormai da anni e che, per la mole degli atti da esaminare, comporta una defatigante attività in sede amministrativa e giurisdizionale.
Molto spesso, infatti, relativamente alla posizione di ogni singolo debitore risulta necessario procedere, ora per allora, alla verifica della concreta situazione di effettiva esigibilità del credito.
La soluzione individuata dalle Commissioni consente la definizione del predetto contenzioso a fronte del versamento di una percentuale dell'importo in contestazione, quale cristallizzato nel provvedimento giurisdizionale o amministrativo che caratterizza la controversia nel momento in cui si procede alla definizione. Ciò rende possibile, peraltro, l'incameramento immediato di importi significativi a fronte dell'incertezza sul quantum che potrà derivare dall'esito del contenzioso ed anche sul momento in cui, considerata l'attività da svolgere, il contenzioso stesso potrà terminare.
Analoga finalità ha anche il comma 2-bis dell'articolo 3 rispetto al quale sottolineo come l'eccessiva lunghezza dei processi tributari costituisce un ostacolo alla efficiente domanda di giustizia dei cittadini, offrendo decisioni definitive solo dopo molti anni dalla data dell'originario ricorso di impugnazione dell'atto di accertamento o della diversa pretesa dell'amministrazione finanziaria. Il risultato è non solo privare il cittadino contribuente della fondamentale garanzia rappresentata dalla certezza derivante da una pronuncia giurisdizionale definitiva, ma anche far lievitare costantemente i costi a carico dell'erario, a causa del pressoché inevitabile ricorso da parte delle parti interessate alla richiesta di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta «legge Pinto»). Anche le pressanti campagne di stampa delle ultime settimane avevano messo in evidenza come il contenzioso tributario di più risalente origine giacesse ormai in una sorta di improponibile «limbo», dovendosi attendere anni ed anni per giungere a decisioni che invece possono servire a riaffermare il senso di fiducia del cittadino-contribuente Pag. 69nell'amministrazione e nello Stato solo se tempestive, soprattutto allorché già nei precedenti gradi di giudizio sia stata sancita la fondatezza delle tesi dei contribuenti. In questa prospettiva, è di particolare valenza l'intervento volto a consentire effettivamente l'azzeramento del ponderoso contenzioso ancora giacente presso la Commissione tributaria centrale, nonostante - come è noto - ne sia stata sancita la soppressione già da anni.
Proprio per rimuovere questa condizione, le Commissioni hanno deciso di introdurre uno strumento deflattivo per i procedimenti di origine più risalente nel tempo (iscritti a ruolo in primo grado da più di 10 anni), articolato su un duplice binario, a seconda che i procedimenti risultino pendenti innanzi alla Corte di cassazione ovvero alla Commissione tributaria centrale.
Gli effetti positivi derivanti dall'attuazione di tale innovazione, con la definizione di un gran numero di procedimenti attualmente pendenti nei gradi superiori di giudizio e riferiti a controversie ormai datate, spesso legate ad imposte e fattispecie persino soppresse o comunque radicalmente modificate nel corso del tempo, comporta la rimozione di un pesante ostacolo alla trasformazione in termini di stabile efficienza dell'apparato di giustizia tributaria. Infatti, se le riforme degli ultimi anni hanno consentito una significativa accelerazione dei primi due gradi di giudizio tributario (innanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali), si è trasferito immancabilmente solo nel successivo procedimento davanti alla Corte di Cassazione l'onere di un contenzioso accumulatosi a dismisura negli anni passati.
A questo si aggiunga l'esigenza di assicurare un efficace strumento di deflazione del contenzioso ancora pendente innanzi alla Commissione tributaria centrale per i procedimenti di più antica origine, e che neppure la possibilità di definizione consentita ai sensi dell'articolo 55 del decreto-legge n. 112 del 2008 è riuscito a superare. Così che, liberati dal peso derivante da un contenzioso di origine risalente nel tempo e, al tempo stesso, segnato da plurime pronunce di soccombenza dell'amministrazione finanziaria, ormai gli organi di giustizia tributaria possano assicurare tempi di definizione dei procedimenti contenziosi tributari coerenti con le esigenze di garanzia di una durata ragionevole del processo, imposti sia dalla normativa costituzionale, sia dall'articolo 6, paragrafo I della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848.
Altro argomento affrontato in Commissione è stato quello della riscossione, rispetto al quale voglio sottolineare come anche i colleghi dell'opposizione hanno dato un fattivo contributo nella proposizione ed adozione di disposizioni dirette, in particolare, a:
Prevedere che gli amministratori delle società ammesse alle procedure per la ristrutturazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, non possano esercitare le funzioni di amministratore e di revisore di società di riscossione tributi per un periodo di dieci anni. Con la condivisione di questa norma abbiamo voluto affermare, in linea con una logica prudenziale, che gli stessi amministratori delle società in questione non possano quindi continuare la loro attività in altre società del settore.
Prevedere la possibilità di ridefinizione dei termini di approvazione dei bilanci annuali e pluriennali per venire incontro alle esigenze di quegli enti locali interessati dalle vicende riguardanti le società di riscossione delle loro entrate.
Prevedere, in una logica di tutela del debitore assoggettabile ad espropriazione forzata, che il concessionario proceda ad espropriazione forzata sulla base del ruolo che costituisce titolo esecutivo, fatto salvo il diritto del debitore di dimostrare, con apposita documentazione l'avvenuto pagamento delle somme dovute ovvero lo sgravio totale riconosciuto dall'ente creditore.
Prevedere, in materia di modalità di recupero di somme erogate indebitamente dall'INPS, nonché dei crediti vantati dallo Pag. 70stesse ente oggetto di cessione, l'estensione della disciplina della riscossione a mezzo ruoli esecutivi ed ad attribuire la gestione delle somme indebitamente erogate ad Equitalia spa, allo scopo di garantire una celere gestione dell'azione di recupero del credito. Ora con la soluzione approvata in sede referente, la società incaricata del recupero potrà utilizzare tutte le modalità di riscossione in uso per le tipologie di crediti riscossi ad altro titolo (contributi, premi e sanzioni aggiuntive), agevolando il flusso di pagamenti dai beneficiari dei pagamenti privi di titolo agli enti creditori senza l'aggravio di procedure finalizzate alla formazione del titolo esecutivo (messa in mora, ricorso per decreto ingiuntivo) garantendo le ragioni creditorie dell'ente previdenziale.
Prevedere, in una logica di tutela degli interessi degli enti locali, nuovi criteri per l'affidamento dei servizi di riscossione delle entrate degli stessi enti locali.
Fare chiarezza in ordine ad una problematica relativamente alla quale prima dell'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione vi erano contrasti interpretativi sia tra i giudici di merito che in dottrina. Faccio riferimento all'introduzione , anche per l'iscrizione di ipoteca effettuata dagli agenti della riscossione ai sensi dell'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, del limite degli ottomila euro, che, attualmente, l'articolo 76 del medesimo decreto impone agli stessi agenti esclusivamente per procedere all'espropriazione immobiliare.
Fornire la massima chiarezza relativamente alle modalità di riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate di comuni e province, stabilendo, coerentemente con l'impianto normativo previsto dal titolo III del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, con certezza che i servizi di riscossione delle predette entrate possono essere affidati solo in base a gara.

In merito agli interventi agevolativi a sostegno della domanda, si sottolinea l'estensione degli incentivi riconosciuti alle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo anche al settore della fabbricazione di articoli in pelle e simili; richiamo altresì l'estensione degli incentivi al sostegno per l'efficientamento del parco dei generatori di energia elettrica prodotta nei rifugi di montagna, il contributo per il rinnovo della flotta dei navigli impiegati per il trasporto di persone sui laghi, attraverso l'acquisto di battelli solari a ridotto impatto ambientale ed ancora, gli incentivi riconosciuti per il sostegno alla formazione professionale nel settore nautico nonché la costituzione di un fondo per favorire la trasparenza dei mercati e promuovere un consumo consapevole anche al fine di garantire ai consumatori un'informazione chiara e inequivoca sull'origine dei prodotti immessi in commercio e proteggerli dai falsi, con risorse destinate al sostegno e all'incentivazione a favore delle imprese dei distretti del settore tessile ed abbigliamento che volontariamente applicano il sistema di etichettatura dei prodotti privilegiando le strutture produttive che possono esprimere maggiore solidità in quanto inserite in distretti produttivi.
Nell'ottica di agevolare le esigenze delle imprese, sono stati, inoltre, operati interventi, diretti a chiarire che qualora l'acquirente dei beni agevolati sia un'impresa, è applicabile ai contributi in esame il regime di aiuti temporanei di importo limitato con cui la Commissione Europea ha permesso a tutti gli Stati membri di erogare, sino al 31 dicembre 2010, aiuti di importo fino a 500 mila euro per aiutare le imprese ad affrontare le conseguenze della crisi. Tale modifica è stata ritenuta necessaria delle Commissioni, onde superare le difficoltà interpretative del decreto di attuazione che sembra vincolare la fruibilità dei contributi al rispetto del regime di aiuti «de minimis» previsti dal regolamento (CE) n. 1998/2006, limitando così la portata degli interventi previsti. Il riferimento al regolamento (CE) n. 1998/2006 sugli aiuti «de minimis» comporterebbe l'esclusione di alcuni settori. Si ricorda infatti che tale regolamento, all'articolo 1, Pag. 71comma 1, lettera g), prevede il divieto di aiuti destinati all'acquisto di veicoli per il trasporto di merci su strada da parte di imprese che effettuano trasporto di merci su strada per conto terzi, che rimarrebbero quindi escluse dai benefici previsti dalla norma.
Altro importante obiettivo raggiunto dai lavori delle Commissioni è stato quello di prevedere la possibilità di revoca delle risorse trasferite e non utilizzate entro il quinto anno dalle Autorità portuali che abbiano dimostrato poca capacità di spesa e riassegnazione delle stesse ad altre Autorità con maggiori capacità di spesa, rispondendo in questo modo a considerazioni fatte sia dalla Corte dei conti sia dalla Ragioneria Generale dello Stato in merito ai finanziamenti assegnati alle Autorità portuali per la realizzazione di opere per l'ammodernamento, la riqualificazione e lo sviluppo dei porti nazionali che in molti casi sono rimaste allo stadio di semplice progetto se non addirittura alla fase di programmazione. La disposizione quindi oltre a istituzionalizzare il potere di revoca razionalizza ed ottimizza le risorse pubbliche. Sempre in questa ottica è stato specificato che le risorse del fondo infrastrutture portuali destinate a finanziare le opere infrastrutturali nei porti di rilevanza nazionale, devono essere assegnate secondo criteri coerenti con una logica di massima premialità ed efficienza nella gestione di risorse pubbliche, indirizzandole verso quelle autorità portuali che abbiano dimostrato elevata capacità di spesa nonché favorire progetti, già approvati, diretti alla realizzazione di opere immediatamente cantierabili, finalizzate a rendere le strutture operative al fine di essere funzionali allo sviluppo dei traffici.
Le Commissioni hanno anche riscritto il testo dell'articolo 5 del decreto legge concernente attività edilizia libera.
In particolare, si è agito in un'ottica di semplificazione delle attività necessarie per la realizzazione di alcune «piccole» attività edilizie, che vengono rese libere, ovvero non più soggette a D.I.A. Rispetto alla formulazione vigente dell'articolo, che contempla unicamente gli interventi di manutenzione ordinaria, di eliminazione di barriere architettoniche e le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, la norma in esame liberalizza del tutto i seguenti interventi, attualmente soggetti a DIA: i movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e le pratiche agrosilvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari; le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola.
Per altre tipologie di attività, anch'esse da ritenersi «minori», il comma 2 richiede quale unico adempimento a carico dell'interessato l'invio al competente ufficio comunale, anche per via telematica, di una comunicazione dell'avvio dei lavori, alla quale vanno allegate le autorizzazioni eventualmente previste dalle normative di settore. Inoltre al fine di garantire l'esecuzione in totale sicurezza degli interventi di manutenzione straordinaria, la norma prevede un ulteriore meccanismo di tutela. Il contenuto della comunicazione dell'avvio dei lavori, infatti, viene ampliato con i dati identificativi dell'impresa affidataria e viene previsto l'obbligo di trasmettere, contestualmente, una relazione tecnica redatta da un professionista abilitato - libero da rapporti di dipendenza con l'impresa e con il committente - il quale asseveri, sotto la propria responsabilità, la conformità del progetto agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti e che i lavori da realizzare non sono subordinati ad alcun titolo abilitativo. Il comma 4 precisa che la realizzazione degli interventi oggetto della norma non incide sulle vigenti disposizioni in materia di aggiornamento catastale, mantenendo intatto l'obbligo di aggiornamento catastale eventualmente gravante sull'interessato.
Il comma 5 prevede che le Regioni a statuto ordinario possono estendere l'obbligo di comunicazione e di trasmissione della relazione tecnica anche ad ulteriori interventi, nonché ampliarne il contenuto, nel rispetto di quello minimo sopra illustrato. La disciplina sin qui descritta è subordinata al rispetto, oltre che delle prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici Pag. 72comunali, anche delle «altre normative di settore», ossia le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, quelle relative all'efficienza energetica e quelle contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.
A fianco a questi interventi finalizzati ad integrare disposizioni già presenti nel decreto legge, le Commissioni, a seguito di una valutazione congiunta dei gruppi parlamentari, hanno esteso la loro attività ad altre problematiche di interesse generale.
In particolare si è intervenuti in materia di 5 per mille.
Infatti la legge finanziaria per il 2006, ha introdotto, in via sperimentale, la possibilità per i contribuenti di destinare una quota pari al 5 per mille dell'imposta netta sul proprio reddito in favore delle associazioni di volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, nonché delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionali, regionali e provinciali previsti dall'articolo 7, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 7 dicembre 2000, n. 383, e delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'articolo 10, comma 1, lettera a), del citato decreto legislativo n. 460 del 1997.
Tale previsione legislativa è stata riproposta nel corso degli anni confermando l'impianto dell'istituto ma modificando di volta in volta la platea degli aventi diritto. In attesa della stabilizzazione dell'istituto, le Commissioni hanno deciso di riproporre anche per l'anno 2010 la medesima proposta normativa.
Sempre in materia di 5 per mille le Commissioni hanno anche risolto una disparità di trattamento derivante dalla circostanza che, come sopra evidenziato, la normativa di riferimento ha subito nel corso del tempo numerose variazioni, che hanno riguardato soprattutto i soggetti rientranti nel settore del volontariato. Ciò ha creato un forte disorientamento nella platea dei possibili fruitori del beneficio e, in qualche caso, una disparità di trattamento a danno di alcune tipologie di enti che si sono viste di volta in volta inserite od escluse dal benefico.
Il caso di maggior rilevo ha riguardato le fondazioni riconosciute, che hanno avuto un percorso particolarmente accidentato: inserite all'origine per l'esercizio finanziario 2006 (anno d'imposta 2005) nel testo proposto dall'articolo 1, comma 337, legge 23 dicembre 2005, n. 266; escluse per l'esercizio finanziario 2007 nel testo proposto dall'articolo 1, comma 1234, legge 27 dicembre 2006, n. 296, mentre la novella introdotta dall'articolo 45, comma 1-bis, del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, ha riammesso al beneficio le sole fondazioni nazionali di carattere culturale; escluse per l'esercizio finanziario 2008 nel testo proposto dall'articolo 3, comma 5, legge 24 dicembre 2007, n. 244, mentre la novella introdotta dall'articolo 45, comma 1-bis, del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, ha riammesso al beneficio le sole fondazioni nazionali di carattere culturale; inserite nuovamente per l'esercizio finanziario 2009 nel testo proposto dall'articolo 63-bis del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Non sono stati infrequenti i casi di fondazioni che - di fronte a una normativa così frammentata - hanno prodotto comunque la propria domanda di iscrizione, ipotizzando forse che una successiva disposizione normativa le avesse potuto riammettere al beneficio.
All'attualità questi soggetti - per gli esercizi finanziari 2007 e 2008 - non hanno titolo per accedere al beneficio (fatte salve le fondazioni nazionali di carattere culturale) e, dunque, anche l'eventuale riapertura dei termini per il mondo del volontariato non consentirebbe loro di rientrare tra i beneficiari. Le Commissioni hanno adottato una disposizione che consente quindi di superare questa disparità di trattamento per le fondazioni riconosciute.
Peraltro, sono state gettate le basi anche per l'ulteriore estensione temporale Pag. 73della misura, cominciando ad accantonare le risorse finanziarie occorrenti per la riproposizione della misura per il 2011 (per il 2010, infatti, come è noto già l'ultima legge finanziaria ha garantito tutte le risorse finanziarie occorrenti).
Altro importante settore sul quale è stato apportato un intervento condiviso in sede referente, è stato quello dell'editoria, attraverso il ripristino del regime delle tariffe postali agevolate a favore delle Onlus, delle altre associazioni senza fini di lucro e degli enti religiosi.
Infine voglio sottolineare come nell'ambito delle modifiche apportate in sede referente ve ne sono alcune dalle quali derivano maggiori entrare per l'erario che le stesse disposizioni hanno provveduto a destinare per il rifinanziamento delle missioni internazionali di pace delle nostre Forze armate.
Prima di concludere, signor Presidente, voglio sottolineare come i relatori al provvedimento in esame stanno operando, congiuntamente al Governo, ulteriori approfondimenti per cercare di risolvere una problematica sollecitata da tutti i colleghi presenti in sede referente e rispetto alla quale il Governo ha assunto l'impegno a valutare ogni possibile esito in grado di andare incontro alle esigenze dei consumatori rispetto alla materia della devoluzione in favore del fondo depositi dormienti delle polizze assicurative non reclamate, ovviamente coerentemente con le esigenze di stabilità dei conti pubblici e, dunque, in assenza di oneri finanziari.
Analogo approfondimento, si doveva effettuare rispetto ad altre tematiche emerse in sede referente e rispetto alle quali c'è stato un ampio consenso, ma comunque già risolte dal Governo con apposito decreto licenziato nel Consiglio dei ministri del 30 aprile.
Mi riferisco in particolare all'assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008 - 2012, alla realizzazione di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile che sia stata avviata in forza di una dichiarazione di inizio attività, al modello unico di dichiarazione ambientale.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in conclusione, vi è da sottolineare che le Commissioni hanno lavorato sull'intero testo, lo hanno modificato in alcune parti ed hanno aggiunto alcuni punti essenziali. Tutto questo è avvenuto, sempre e comunque, in coerenza con la situazione economica in atto. Maggioranza e opposizione hanno posto al centro del dibattito esclusivamente l'individuazione delle risposte più adeguate da fornire al Paese, sempre mantenendo invariati i saldi di spesa e di bilancio.
Tutto questo è avvenuto, lo ripeto, salvaguardando sempre il primato e le garanzie del Parlamento.