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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 296 di martedì 9 marzo 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 11,05.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 4 marzo 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bindi, Boniver, Brancher, Brugger, Caparini, Cirielli, Conte, Donadi, Gianni Farina, Gregorio Fontana, Gibelli, Leo, Lo Monte, Lucà, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Milanato, Molgora, Mura, Nucara, Pescante, Ravetto, Paolo Russo, Sardelli, Scajola, Stucchi, Tabacci e Vietti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (A.C. 3146-A) (ore 11,09).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3146-A: Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni.
Ricordo che nella seduta del 4 marzo 2010 è iniziato l'esame degli ordini del giorno e il rappresentante del Governo ha espresso i prescritti pareri.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 11,10).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta che riprenderà alle ore 11,30.

La seduta, sospesa alle 11,10, è ripresa alle 11,35.

Si riprende la discussione.

DONATA LENZI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Signor Presidente, a conferma della nostra sostanziale e convinta adesione alla proposta di legge sulle cure palliative e sulla terapia del dolore, per fugare ogni dubbio in proposito, le chiedo, a nome del gruppo del Partito Democratico, l'inversione dell'ordine del giorno in modo da poter affrontare subito Pag. 2il provvedimento iscritto all'ordine del giorno al punto n. 3, rinunciando anche, da parte nostra, alle dichiarazioni di voto in merito a tale questione e alla discussione sulle linee generali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, ringrazio il collega Giachetti che mi ha suggerito di prendere la parola. Effettivamente avevo già deciso di intervenire a nome del gruppo dell'UdC in merito a questa proposta avanzata dalla collega, perché mi pare una proposta seria e corretta, anche a fronte di un certo clima, che forse non si è ancora scoperto del tutto, ma è abbastanza evidente che è teso e che probabilmente ci porterà a discutere di tante altre questioni e in modo diverso nel prosieguo di questa settimana.
Pertanto, ritengo di poter dire che sono d'accordo su questa proposta di invertire l'ordine del giorno esaminando per primo il provvedimento iscritto al punto n. 3, anche in considerazione del contenuto dello stesso e del fatto che in Assemblea, e anche in Commissione, trasversalmente si è convenuto sull'importanza di approvarlo il prima possibile. Anche il gruppo dell'UdC, se questa proposta verrà accettata, rinuncia ad intervenire nella discussione sulle linee generali, che non si è ancora svolta, ed è disponibile a tenere un comportamento corretto, anche tempisticamente parlando, rispetto all'intero provvedimento.

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, anche il gruppo dell'Italia dei Valori ritiene che tra i provvedimenti iscritti in questo ordine del giorno, la proposta di legge sulle cure palliative sia diciamo bipartisan poiché vi è un accordo complessivo. Pertanto, anche per sgombrare il campo da qualunque altra considerazione, noi siamo assolutamente disponibili a questa inversione dell'ordine del giorno e ad evitare anche di intervenire in modo da concludere l'esame in tempi rapidissimi.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, riguardo alla questione del provvedimento sulle cure palliative, nella giornata di ieri, come ho detto quando sono intervenuto rispondendo al collega Giachetti, c'era stata inizialmente una proposta da parte dell'opposizione nel senso di invertire l'ordine delle discussioni sulle linee generali per poter svolgere almeno la discussione sulle linee generali di tale provvedimento prima della discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge che riguarda l'istituzione di un'Agenzia per la gestione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali.
Essendo venuta meno questa volontà, alla quale noi inizialmente avevamo aderito, è evidente che in questo momento è necessario svolgere anche la discussione sulle linee generali di questa proposta di legge.
Nella giornata di ieri abbiamo manifestato il nostro disappunto a fronte di un certo comportamento non rispettoso degli accordi sul percorso dei nostri lavori presi nel corso dell'ultima Conferenza dei presidenti di gruppo. È stata convocata un'altra Conferenza dei presidenti di gruppo da parte della Presidenza proprio per la giornata di oggi e la richiesta di inversione dell'ordine del giorno ci giunge come un fulmine a cielo sereno e in maniera improvvisa. Presidente, ritengo che noi abbiamo dato un percorso ai nostri lavori sostanzialmente lineare, al netto della scelta ostruzionistica a trecentosessanta gradi dell'opposizione, scelta che è intervenuta anche su questo tema. Se si dovesse invertire il punto all'ordine del giorno, evidentemente si dovrebbe iniziare con la Pag. 3stessa discussione sulle linee generali, ma ciò comporterebbe un disagio nei nostri lavori. È evidente, inoltre, che questo non è un percorso concordato neanche in sede esterna, nel senso che le cure palliative (che pure a noi stanno a cuore) rappresentano un provvedimento iscritto in calendario il cui esame potrà essere esaurito in questa settimana, nel quadro di un percorso già stabilito dalla Conferenza dei presidenti di gruppo che, però, l'ostruzionismo dell'opposizione sembra volere far saltare a tutti i costi. Quindi, Presidente, ritengo che la sede all'interno della quale si possa discutere di questo aspetto in maniera molto serena sia la Conferenza dei presidenti di gruppo. Per questo motivo, Presidente, sarebbe opportuna un'altra riflessione in ordine al tema delle cure palliative che anche noi con grande forza vogliamo esaminare. Si tratta di un tema che, come ricordavo nella discussione di ieri, è atteso non soltanto dagli operatori, ma da tanti pazienti e da tante famiglie. Pertanto, Presidente, su questa richiesta sarebbe opportuno formulare una riflessione ulteriore e definire il percorso dei nostri lavori all'interno della Conferenza dei presidenti di gruppo che proprio per questo motivo è stata convocata dalla Presidenza stessa.

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, se ho ben capito, lei dice che in questo momento la vostra posizione sull'inversione dell'ordine del giorno è negativa. Potrebbe diventare positiva dopo...

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, non è stata neanche svolta la discussione sulle linee generali nella giornata di ieri che pure noi avremmo accettato di svolgere. In questo momento, se dovessimo procedere con l'inversione del punto all'ordine del giorno avremmo...

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, non la contesto affatto. È soltanto per avere chiarezza sul parere negativo di adesso, specificando che, dopo la Conferenza dei presenti di gruppo, sulla base degli accordi raggiunti in quella sede, la situazione potrebbe cambiare.

ROBERTO COTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, intervengo a supporto della tesi del collega Baldelli, in quanto avevamo concordato un percorso in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo che prevedeva, per questa mattina, un voto veloce sugli ordini del giorno. Il ritiro degli ordini del giorno, infatti, era stato concordato con l'opposizione e anche l'ordine del giorno che aveva presentato e mantenuto l'opposizione era stato concordato con il Governo e con la maggioranza. Era stata prevista, inoltre, la chiusura dell'esame con la votazione finale per le 13 di oggi. Dunque, se un accordo assunto a livello istituzionale, perché assunto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, adesso viene mandato all'aria, la sede per discutere di questo aspetto è evidentemente la Conferenza dei presidenti di gruppo che, infatti, è stata convocata per le 13,30, ma comunque è quella la sede. In mancanza di ciò, evidentemente il parere è contrario perché riteniamo prioritario il decreto-legge sugli enti locali, anche perché manca poco alla sua conclusione, a meno di pratiche ostruzionistiche che però sono un'altra cosa.

PRESIDENTE. Dobbiamo prendere, dunque, una decisione. È prassi costante - e ho qui una mezza dozzina di precedenti - che gli interventi con richiesta di inversione dell'ordine del giorno devono essere effettuati quando sia esaurita la trattazione del punto all'ordine del giorno, ovvero prima che si passi ad un nuovo punto all'ordine del giorno.
Quindi, essendo iniziata la trattazione del provvedimento alle 11 circa e avendo poi sospeso la seduta, non possiamo procedere all'inversione dell'ordine del giorno, salvo che (come dicevano gli antichi, volenti non fit iniuria) tutti siano d'accordo: l'unanimità sana anche questo difetto procedurale. Mi pare chiaro che l'unanimità non c'è: credo, quindi, che possiamo soltanto procedere con il primo punto all'ordine del giorno.

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ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, intervengo per un richiamo al Regolamento ai sensi dell'articolo 41: già la collega Lenzi aveva proposto di passare al terzo punto all'ordine del giorno, richiesta che, a mio avviso, avrebbe dovuto essere accettata all'unanimità dai gruppi, considerato che si tratta delle cure palliative.
Tuttavia, di fronte al fatto che la maggioranza nega l'opportunità di procedere rapidamente per votare (senza procedere alla discussione sulle linee generali e alle dichiarazioni di voto, secondo la proposta del Partito democratico) la proposta di legge sulle cure palliative, a questo punto, signor Presidente, lei prende atto che, non essendoci l'unanimità ed avendo noi già iniziato a trattare il primo punto all'ordine del giorno, occorre che esso venga concluso prima che si formalizzi ex novo la richiesta di inversione dell'ordine del giorno.
A questo punto, tecnicamente, come da Regolamento, le propongo di procedere al rinvio del primo punto all'ordine del giorno, concernente il decreto-legge sugli enti locali: a quel punto sarà possibile che, da parte della Presidenza, ove vi fosse l'unanimità dell'Aula, si decida di procedere al terzo punto all'ordine del giorno. Signor Presidente, a tal fine, peraltro, credo che non sia necessario procedere di nuovo a chiedere il parere di tutti i gruppi: considerato che la discussione è stata già svolta sul merito, in relazione al quale era già stata chiesta l'inversione dell'ordine del giorno, è sufficiente che sulla proposta che testé le ho avanzato vi sia un intervento a favore e uno contro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Quartiani, quanto da lei affermato adesso è ragionevole e conforme al Regolamento. Se vi è accordo su questo aspetto, eviterei di chiedere l'orientamento dei singoli gruppi e darei la parola sul punto ad un deputato a favore e ad un deputato contro. A favore è già intervenuto l'onorevole Quartiani.

MANUELA DAL LAGO. Chiedo di parlare contro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANUELA DAL LAGO. Signor Presidente, non abbiamo capito questa seconda proposta: se è vero che siamo giunti alla parte finale dell'esame del decreto-legge sugli enti locali (dobbiamo soltanto votare, eventualmente, gli ordini del giorno e poi procedere al voto finale) ed è ripresa la discussione (che, come lei ha osservato, era già iniziata), non si capisce il motivo di questa eventuale richiesta di rinvio. Noi, invece, riteniamo giusto portare a conclusione ciò che è appena iniziato e che era stato concordato a livello istituzionale e poi, eventualmente, invertire il secondo punto all'ordine del giorno riguardante l'Agenzia sui beni confiscati alla criminalità organizzata, con il terzo sulle cure palliative. Quindi, trattandosi ormai della fase finale dell'approvazione del decreto-legge sugli enti locali, riteniamo che non vi siano motivazioni sufficienti per potere chiedere il rinvio.

PRESIDENTE. Avendo considerato l'intervento dell'onorevole Quartiani a favore, passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di rinvio dell'esame del provvedimento formulata dall'onorevole Quartiani.

(È approvata - Vivi applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Italia dei Valori e Unione di Centro).

Il seguito della discussione si intende rinviato alla seduta di domani.

GIUSEPPE CONSOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

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GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, credo che lei debba a quest'Aula la comunicazione del risultato della votazione che si è testé svolta, perché, anche se non c'è la registrazione dei nomi, dovremmo sapere come ognuno di noi ha votato.

ROLANDO NANNICINI. Qual è il problema?

PRESIDENTE. La Camera ha approvato la proposta di rinvio dell'esame per tre voti di differenza.

Inversione dell'ordine del giorno (ore 11,45).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei rivolgermi anche alla maggioranza, perché c'è stato un voto con il quale l'Assemblea sovranamente ha deciso di rinviare a domani la discussione sul decreto-legge riguardante gli enti locali. Ciò credo anche in ragione delle considerazioni che sono emerse nella giornata di ieri. Vedo l'onorevole Di Virgilio e il presidente Palumbo. A questo punto, atteso che sul provvedimento sulle cure palliative c'era obiettivamente un accordo fra tutti i gruppi e che le opposizioni hanno dichiarato di essere disponibili ad approvarlo rapidamente, penso che potremmo, visto che non è più in campo il decreto-legge sugli enti locali, fare tutti insieme un'opera saggia, invertendo l'ordine del giorno e passare subito alla discussione del provvedimento sulle cure palliative (Commenti dell'onorevole Bianconi). Non ti agitare, ogni tanto nella vita devi pure apprezzare le cose come stanno. Dicevo di passare ora alla discussione del provvedimento sulle cure palliative e magari proseguire anche con l'esame delle due ratifiche all'ordine del giorno, che non sono impegnative. Lo dico perché sarebbe un modo di impiegare utilmente il tempo che abbiamo dinanzi, atteso che il voto della Camera ha stabilito che il provvedimento al primo punto dell'ordine del giorno è rinviato a domani.
È una cosa importante e vi è un accordo. Ieri e oggi ce lo hanno ricordato tutti, magari ce lo hanno ricordato sui giornali il presidente Palumbo e l'onorevole Di Virgilio. Adesso abbiamo un'occasione: dimostrare che, essendo tutti d'accordo, questo sulle cure palliative è un provvedimento che si fa tranquillamente in poco tempo, impegnando la giornata di oggi in modo costruttivo.
Faccio quindi una proposta formale di inversione dei punti all'ordine del giorno, che chiederei, comunque, fosse messa ai voti, per essere chiari, ma mi auguro che vi sia l'accordo di tutti i gruppi e possa essere decisa all'unanimità.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, non ho capito bene il contenuto della sua proposta. Le spiego la mia perplessità: lei propone un'inversione dei punti all'ordine del giorno, e questo è corretto ed è il momento giusto per chiederlo.
Lei propone che passiamo alla proposta di legge Binetti ed altri sulle cure palliative, dopodiché non ho capito se lei chiede che l'ordine del giorno prosegua con l'esame dei disegni di legge di ratifica oppure che si riprenda la discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante l'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Qual è esattamente la proposta?

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, io sono all'opposizione; mi piacerebbe molto essere alla maggioranza e probabilmente affronterei l'argomento con più decisione. È ovvio che, per quanto ci riguarda, l'importante è esaminare la proposta di legge sulle cure palliative. Poi, ponendomi in modo immaginifico dall'altra parte, pensavo che i due disegni di legge di ratifica potessero anch'essi essere esaminati rapidamente; si può, volendo, anticiparli rispetto all'altro dibattito. Pag. 6
Se si vuole proseguire con la discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge recante l'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, noi siamo a disposizione; per noi è indifferente.
La mia intenzione è portare adesso la proposta di legge sulle cure palliative al primo punto all'ordine del giorno; poi, per il resto, faccia come vuole. Qualcuno dall'altra parte potrà sapere se è più utile anticipare i disegni di legge di ratifica oppure no. Chiedo che adesso si passi all'esame della proposta di legge sulle cure palliative.

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, ormai abbiamo votato l'inversione dell'ordine del giorno, ritenendo il terzo punto prioritario ed importante; per cui, per quanto ci riguarda, continuiamo su questa strada e affrontiamo questo provvedimento. Poi, alle 13,30, vi sarà la Conferenza dei presidenti di gruppo e vedremo quello che succederà. Per quanto ci riguarda, non proponiamo alcun altro stravolgimento dell'ordine del giorno.

PRESIDENTE. Mi permetto di interpretare i due interventi: la proposta è di passare alla discussione della proposta di legge sulle cure palliative e, per il momento, proseguire con i disegni di legge di ratifica. Dobbiamo avere comunque un ordine nel giorno e non possiamo lasciare nel dubbio questo punto. L'onorevole Giachetti ha già parlato a favore dell'inversione dei punti all'ordine del giorno.
Prendo atto che nessuno intende intervenire contro.
In tal caso mettiamo in votazione l'inversione dei punti all'ordine del giorno. L'ordine del giorno che risulta è: discussione della proposta di legge Binetti ed altri sulle cure palliative e, a seguire, i disegni di legge di ratifica degli accordi internazionali.
In coda verrebbe ad esserci il disegno di legge recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, visto che il momento è piuttosto confuso, perlomeno da queste parti, avrei bisogno di capire e fare in modo che tutti i colleghi comprendano la richiesta del collega Giachetti.
La Presidenza sta mettendo in votazione l'inversione dei punti all'ordine del giorno. Signor Presidente, le chiederei di spiegare all'Assemblea come risulterebbe l'ordine del giorno votando a favore o votando contro, assodato che noi abbiamo già votato una richiesta di inversione dei punti all'ordine del giorno, che è stata approvata.

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, l'inversione dei punti all'ordine del giorno non è stata votata, ma la stiamo votando adesso. Quello che abbiamo votato prima è stato semplicemente il rinvio della discussione del primo punto all'ordine del giorno.
Si vota sulla seguente proposta: un'inversione dell'ordine del giorno, che lo riformula.
L'ordine del giorno in base al quale votiamo, quello nuovo, comprende, in primo luogo, la discussione della proposta di legge Binetti ed altri, poi la discussione dei disegni di legge di ratifica.
Questa è la proposta di inversione dell'ordine del giorno sulla quale l'Assemblea voterà. Successivamente, dovrebbe svolgersi il seguito della discussione del disegno di legge di conversione sui beni sequestrati alla mafia. È chiaro?

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

Pag. 7

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Per un ulteriore chiarimento, quindi, signor Presidente: se questa richiesta venisse approvata, cominceremmo col provvedimento sulle cure palliative, con le ratifiche, e al terzo punto ci sarebbe il decreto-legge antimafia, di cui è ancora in corso la discussione sulle linee generali.

PRESIDENTE. Esattamente.

SIMONE BALDELLI. Se questa richiesta non venisse approvata, continueremmo con la discussione sulle linee generali del decreto-legge sui beni confiscati alla mafia.

PRESIDENTE. Esatto.

SIMONE BALDELLI. Seguirebbe poi il provvedimento sulle cure palliative, e quindi i punti restanti. Ove questa richiesta fosse approvata, passeremo alla proposta di legge sulle cure palliative e alle ratifiche da svolgere subito; se questa richiesta invece non fosse approvata, dovremmo svolgere la discussione sulle linee generali del decreto-legge antimafia, sulla quale vi sono oltre 200 iscritti a parlare.

PRESIDENTE. Esattamente.

SIMONE BALDELLI. Questo era il chiarimento. Signor Presidente, se le opposizioni acconsentono, credo che sarebbe opportuno sospendere la seduta per cinque minuti, per dare la possibilità alla maggioranza di valutare queste ipotesi, ed eventualmente di accedervi.

PRESIDENTE. Veramente siamo in fase di votazione: posso accedere a questa richiesta solo se vi è consenso. Onorevole Giachetti?

ROBERTO GIACHETTI. Se stiamo votando no!

PRESIDENTE. Non vi è quindi consenso sulla proposta.
Devo allora passare alla votazione. Nessuno vuole parlare contro la proposta (Commenti del deputato Bressa)? Onorevole Monaco! Scusi, ho sbagliato il nome. Comunque la invito a tenere un contegno conforme alla dignità dell'Aula!
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di inversione dell'ordine del giorno.

(È approvata - Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Discussione della proposta di legge: Binetti ed altri; Polledri ed altri; Livia Turco ed altri; Farina Coscioni ed altri; Bertolini ed altri; Cota ed altri; Di Virgilio ed altri; Saltamartini ed altri: Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 624-635-1141-1312-1738-1764-ter-1830-1968-ter-B) (ore 12,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato: di iniziativa dei deputati Binetti ed altri; Polledri ed altri; Livia Turco ed altri; Farina Coscioni ed altri; Bertolini ed altri; Cota ed altri; Di Virgilio ed altri; Saltamartini ed altri: Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Pag. 8
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, presidente della Commissione affari sociali, onorevole Palumbo, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIUSEPPE PALUMBO, Relatore. Signor Presidente, il testo che oggi discutiamo è quello approvato in seconda lettura dal Senato il 27 gennaio scorso. Le modifiche che sono state apportate nel testo trasmesso dal Senato sono le seguenti.
L'articolo 1 qualifica le finalità del provvedimento, volto a tutelare il diritto del malato ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore. Al comma 3, lettera b), della disposizione in esame il Senato ha sostituito il riferimento alla fase terminale della malattia con quello relativo alla tutela della qualità della vita fino al suo termine.
Le modifiche approvate dal Senato riguardano, tra l'altro con riferimento all'articolo 2: alla lettera b), la previsione di idonei percorsi diagnostico-terapeutici - invece di un percorso terapeutico - e la menzione della soppressione - accanto al controllo - del dolore; alla lettera c), l'integrazione della definizione di malato, considerando tale anche la persona affetta da una patologia dolorosa cronica da moderata a severa; alla lettera f), nell'ambito della definizione di assistenza domiciliare, la previsione espressa del medico di medicina generale quale parte integrante delle équipe; infine, l'introduzione di una nuova lettera h) per definire l'assistenza specialistica di terapia del dolore, qualificata come l'insieme degli interventi sanitari e assistenziali di terapia del dolore erogati in regime ambulatoriale e di day hospital.
L'articolo 3 definisce le cure palliative: il Senato, modificando il comma 2 dell'articolo in esame, ha rimesso tale definizione, nel rispetto delle disposizioni sul riparto delle competenze in materia tra Stato e regioni, al Ministero della salute.
L'articolo 4 rimette al Ministero della salute la promozione di campagne di informazione ai cittadini sulle modalità e sui criteri. Il Senato ha riferito al triennio 2010-2012 la promozione di tali campagne (alle medesime cadenze temporali ha anche riferito l'importo dei finanziamenti previsti).
L'articolo 5 rimette al Ministero della salute la promozione dell'attivazione di una rilevazione specifica sui presidi. Le modifiche che il Senato ha apportato al comma 1 attengono alla qualificazione dei presidi come ospedalieri e territoriali ed alla previsione, come ulteriore obiettivo, dell'attivazione della rilevazione della uniformità delle due reti su tutto il territorio nazionale.
Viene poi demandata ad un accordo stipulato in sede di Conferenza Stato-regioni, su proposta del Ministro della salute, l'individuazione delle figure professionali. Al comma 2 dell'articolo in esame, nel corso del dibattito presso il Senato sono stati inseriti anche i medici specialisti in radioterapia tra le figure professionali espressamente individuate.
Alla medesima Conferenza Stato-regioni, previa intesa con il Ministero, è demandata anche la definizione dei requisiti necessari per l'accreditamento delle strutture.
L'articolo 6 finanzia e disciplina la completa attuazione, nel 2010-2011, del progetto «Ospedale senza dolore». L'articolo 7 sancisce l'obbligo di riportare la rilevazione del dolore all'interno della cartella clinica: le modifiche apportate dal Senato al comma 1 sono, in questo caso, di carattere solo formale.
L'articolo 8 dispone in tema di formazione e aggiornamento del personale: il Senato ha inserito la previsione che l'emanazione dei decreti debba avvenire entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Viene poi previsto un aggiornamento periodico specifico in tale ambito nell'attuazione dei programmi obbligatori di formazione continua in medicina: al comma 2, Pag. 9nel corso dell'esame presso il Senato è stato previsto che l'aggiornamento periodico riguardi anche il personale socio-sanitario, oltre a quello medico e sanitario.
L'articolo 9 prevede l'attivazione presso il Ministero della salute, eventualmente anche attraverso l'istituzione di una commissione nazionale, di un monitoraggio sull'attuazione delle cure palliative e della terapia del dolore. In questo caso, il Senato ha quindi operato una sostituzione: mentre prima era prevista l'istituzione di un osservatorio in tale ambito, adesso se ne occuperà direttamente il Ministero della salute.
L'articolo 10, che ha subito forse le modifiche più importanti nel corso dell'esame presso il Senato, intervenendo su alcune disposizioni contenute nel testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope semplifica, in sintesi, la prescrizione dei farmaci per il trattamento di pazienti affetti da dolore severo. Tralasciando la lettura delle varie tabelle, viene contemplata poi anche un'assistenza delle forze di polizia alle operazioni di distruzione con le risorse disponibili a legislazione vigente.
L'articolo 11 prevede una relazione annuale al Parlamento da parte del Ministro della salute e nel corso dell'esame presso il Senato è stato inserito il riferimento ai dati raccolti con il monitoraggio, quali elementi da inserire nella relazione, e la loro trasmissione entro il 31 ottobre di ciascun anno.
L'articolo 12, infine, dispone la copertura finanziaria e le modifiche apportate dal Senato riguardano una diversa distribuzione degli oneri previsti, per gli anni dal 2010 al 2012, e delle relative coperture.
Alla luce di queste nuove disposizioni espresse dal Senato, penso che il provvedimento adesso possa essere ritenuto completo.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto. Ne ha facoltà.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, le cure palliative devono diventare un diritto di tutti i cittadini, dal nord al sud, senza eccezione riguardo alla nascita o, cosa ancor più grave, riguardo al reddito che hanno in tasca. Tali cure devono anche essere assicurate con criteri uniformi e da specifici finanziamenti, proprio perché è necessario ed importante per tutti noi garantire il benessere dei malati terminali, non solo di quelli oncologici, per i quali le cure non servono più ai fini della guarigione, ma sono necessarie proprio per la terapia del dolore. Tutti i cittadini italiani, oltre che la comunità scientifica nazionale, attendono l'approvazione di questo provvedimento fondato sul principio molto semplice che è la società, ovvero siamo tutti noi, che dobbiamo farci carico, non solo moralmente, delle persone che vivono in questa condizione di estremo dolore perché, lo ricordo, la lotta non è contro la malattia, ma contro le ore che restano.
Entrando nel merito, il provvedimento è finalizzato all'attivazione di una rete di servizi fondata sulla realizzazione di hospice sul territorio e sul rafforzamento della cura domiciliare. Il Governo farebbe bene ad individuare maggiori risorse finanziarie, perché, come sappiamo bene consultando le nostre tabelle, abbiamo visto che nelle regioni del nord già oggi le strutture sono, mediamente, in grado di soddisfare le esigenze dei cittadini in stato di difficoltà, ma purtroppo la stessa cosa non può dirsi per le regioni del sud, del Mezzogiorno, che già versa in una situazione di arretratezza e qualche volta anche di inconsapevolezza da parte dei cittadini dell'esistenza degli hospice e dell'assistenza domiciliare.
Facendo un passo indietro, ricordo che in Commissione affari sociali si è svolto un ampio dibattito che ha fatto registrare una convergenza sul provvedimento messo a punto insieme al relatore. In seguito vi è stata una battuta di arresto, successiva ai rilievi da parte della Commissione bilancio della Camera, tanto che ricordo che per questa ragione il Partito Democratico Pag. 10aveva abbandonato i lavori della Commissione. Lì è iniziata la nostra battaglia per ulteriori e appropriati finanziamenti.
E devo dire che il senso di responsabilità e lo sforzo che c'è stato - anche se lo riteniamo ancora oggi insufficiente - da parte del Governo ci ha permesso di individuare quelle modifiche che tenessero conto dei rilievi espressi dalla V Commissione (Bilancio), senza correre il rischio di consegnare al Paese una legge che fosse una «legge manifesto». Infatti la nostra intenzione (ma anche quella di tutto il Parlamento) è consegnare una legge che abbia un valore simbolico e non un valore manifesto, un valore simbolico che però deve tradursi in fatti al più presto. Simbolica è la vittoria di tutti gli operatori che hanno iniziato, anni fa, ad affrontare il tema delle cure palliative; simbolica è l'affermazione del diritto a queste cure, verso la semplificazione terapeutica, rifiutando l'abbandono del paziente e rifiutando l'accanimento terapeutico.
Ricordo che la proposta di legge è stata approvata da questo ramo del Parlamento, poi è andata all'esame del Senato, e il Senato ha introdotto delle modifiche, alcune di carattere formale, altre che hanno destato qualche perplessità, perplessità che hanno indotto il Ministro Fazio a fornire ulteriori chiarimenti. La dimostrazione che il Partito Democratico attribuisce una grande importanza a questa legge l'abbiamo avuta anche oggi qui, in questa Aula, perché abbiamo chiesto l'esame del provvedimento in Assemblea, in quanto volevamo che tale atto provenisse da tutto il Parlamento; sarebbe stata sicuramente più rapida l'approvazione attraverso il procedimento in sede legislativa in Commissione, ma, ripeto, abbiamo preferito che l'approvazione avvenisse qui, in Assemblea.
Ricordo che il tema delle cure palliative è un vero problema sociale. Il Ministero della salute ci ricorda che sono 250 mila i malati terminali che ogni anno necessitano di cure palliative, 160 mila sono oncologici e 90 mila con altre patologie: patologie cardiache, respiratorie, neurologiche e infettive. Accede al programma di cure palliative solo il 40 per cento dei malati oncologici e meno dell'1 per cento di quelli non oncologici. Era necessario quindi fare una legge ed era necessario passare dalle parole ai fatti.
Anche l'Unione europea in precedenza aveva raccomandato ai Paesi membri di adottare misure per l'organizzazione e la diffusione di apposite reti per la terapia del dolore, e questa esigenza è condivisa da tutti noi nell'ottica proprio di superare le differenze esistenti fra le regioni d'Italia - come ho detto all'inizio - ma anche purtroppo spesso tra i grandi centri urbani e i piccoli centri. La dignità della fine della vita, l'uguaglianza di fronte alla sofferenza, qualunque sia il punto di vista di ciascuno di noi su questi temi, è un aspetto fondamentale per noi, ed è incontestabile che sono ancora inadeguate le risposte che il nostro sistema sanitario è in grado di offrire per garantire al meglio la qualità della vita in tutte le fasi della malattia, comprese quelle di accompagnamento alla morte. Occuparsi di questi aspetti significa avere attenzione per la qualità della vita e impedire che la sofferenza si trasformi, di fatto, in un impoverimento della dotazione dei diritti della persona, garantendo l'uguaglianza di fronte al dolore e alla morte.
Quali sono stati gli obiettivi di questa legge? L'attenzione alla qualità della vita in tutte le fasi della malattia, quindi la lotta contro il dolore, la lotta contro la sofferenza, l'umanizzazione dei percorsi assistenziali. Il Partito Democratico ritiene che questa sia una legge ben fatta, una legge che però può essere migliorata e sulla quale permangono alcune perplessità.
Faccio riferimento all'articolo 3 del testo di legge: per effetto della modifica avvenuta in Senato viene prevista la soppressione della nomina del commissario ad acta per le regioni in ritardo. Immagino che ciò sia stato previsto per non ledere l'autonomia delle regioni, ma non la riteniamo una previsione di maggior favore, come ci ha spiegato il Ministro in Commissione. Pag. 11
Un'altra perplessità riguarda l'articolo 9 nella parte in cui è stata istituita una commissione in luogo dell'osservatorio nazionale e anche qui ci è stato spiegato che si tratta di una modifica di carattere formale. Io conservo ancora le mie perplessità sul fatto che la modifica nel passaggio dall'osservatorio alla commissione sia una modifica formale.
L'ultima perplessità riguarda i finanziamenti per i quali il Partito Democratico chiederà un maggiore impegno al Governo ad attivarsi affinché siano assegnate risorse idonee al fine di promuovere l'attivazione e l'integrazione delle due reti, la rete della terapia del dolore e la rete delle cure palliative a livello regionale e nazionale e la loro uniformità su tutto il territorio nazionale. Per noi l'approvazione di questa legge è una vittoria culturale e un importante segno di civiltà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, il mio sarà un brevissimo intervento anticipandole che chiederò di consegnare considerazioni integrative del mio intervento per la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna.
Il provvedimento in esame è di estrema importanza e colma una grave lacuna nel nostro ordinamento andando incontro alle esigenze dei cittadini e degli operatori sanitari. Vorrei ricordare che la Società italiana di cure palliative stima che siano almeno 250 mila i potenziali utenti di questa legge e di questi 11 mila sono bambini. Si stima che circa il 70 per cento dei malati terminali non gode attualmente, ad esempio, di adeguate cure antidolore. Ciò colloca il nostro Paese tra i peggiori in Europa sebbene tra i 46 centri di eccellenza di cure palliative 8 siano italiani.
Vorrei ricordare che nel piano sanitario nazionale 2003-2005 era già contenuta la necessità di rafforzare e realizzare in toto la rete nazionale di cure palliative e nel piano oncologico nazionale 2006-2008 si parla di miglioramento dell'assistenza dei pazienti oncologici proprio tramite lo sviluppo delle cure palliative e della terapia del dolore.
Soffermandomi rapidamente sui problemi dei bambini desidero ricordare alcune importanti e significative tappe. Il 15 marzo 2006, il Ministero della salute, allora era Ministro l'onorevole Turco, ha istituito, presso la Direzione generale della programmazione sanitaria, una commissione di tecnici al fine di realizzare un documento relativo alle cure palliative rivolto al neonato, bambino, adolescente inguaribile. Tale documento fu presentato alla commissione LEA ottenendo grande apprezzamento. Ancora il 26 settembre 2007 la Fondazione Maruzza Lefebvre D'Ovidio ed il Ministero della salute hanno firmato il protocollo di intesa con cui intendevano e intendono cooperare per lo sviluppo di un sistema complesso e coordinato denominato «Progetto bambino».
Ancora da sottolineare il fatto che il 20 marzo 2008 è stato siglato l'accordo tra lo Stato e le regioni per l'avvio della rete assistenziale ai bambini non guaribili. Il documento è il via libera per creare le condizioni organizzative, programmatiche ed economiche e affinché ogni regione italiana possa disporre di una rete di cure palliative pediatriche e di un centro di eccellenza dedicato ai piccoli pazienti, anche se questo non è ancora realizzato. Da ciò si evince come risulti necessario e irrinunciabile l'elaborazione di un modello assistenziale di cure palliative flessibile e articolabile in base alle differenti necessità regionali, ma garantendo comunque su tutto il territorio una risposta ottimale uniforme ai bisogni della popolazione. Ogni regione italiana, come dicevo, ha potuto aderire alla programmazione della rete cure palliative anche con modalità applicative tuttavia differenziate moltissimo tra di loro per cui, secondo i dati della pubblicazione Hospice, in Italia, nel 2006, dei 114 hospice attivi la maggioranza sono nel centro-nord, mentre nelle altre regioni sono fatiscenti o a macchia di leopardo. Pag. 12
Inoltre particolare attenzione - desidero sottolinearlo - deve essere rivolta al progetto «Ospedale senza dolore» nato dall'accordo approvato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni che fu approvato il 24 maggio 2001. Con la presentazione del progetto «Ospedale senza dolore» si prevedeva di assicurare un osservatorio specifico del dolore nelle strutture sanitarie in particolare ospedaliere e di coordinare la formazione continua del personale medico-infermieristico, di promuovere gli interventi necessari alla disponibilità dei farmaci.
Ora tale necessità sentita e attesa è stata recepita in pieno dall'articolo 6 della presente legge ove più adeguatamente parleremo di «Ospedale-territorio senza dolore» puntando proprio sull'aspetto territoriale che dia la possibilità di scelta ai cittadini. Questo progetto «Ospedale-territorio senza dolore» prevede un finanziamento di 2 milioni 450 mila euro tra il 2010 e il 2011.
Vorrei inoltre evidenziare tra l'altro, rimandando alla esauriente analisi dell'articolato della legge fatta dal relatore onorevole Palumbo come, con la soppressione del comma 5 dell'articolo 3 del testo precedente - tanto criticato - che era finalizzato a prevedere la nomina di un commissario ad acta per le regioni in ritardo, l'attuale formulazione - che sancisce che l'attuazione della legge costituisce adempimento regionale ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato - va vista in senso positivo, perché la nomina di un commissario ad acta potrebbe dare effetti minori o più limitati rispetto alla prescritta valutazione del comitato LEA, il cui esito favorevole è condizione per l'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale.
In conclusione non si può certo dire che questo Governo e il suo Ministero della salute non abbiano a cuore le problematiche dei tanti malati, adulti e bambini, che soffrono di dolore cronico o che necessitano di cure palliative (le due reti, una per le cure palliative e una per il dolore, previste da questa legge ne sono una chiara dimostrazione). Ricordo poi le due ordinanze urgenti, emanate lo scorso giugno, finalizzate a semplificare la prescrizione dei farmaci per il dolore severo. E anche l'attuale articolo 10 va in questo senso.
Auspico quindi che anche qui alla Camera, come è avvenuto in Senato, il provvedimento veda l'accordo unanime di tutti i colleghi deputati, così da approvare rapidamente questo testo e dare risposte concrete a quanti soffrono di gravi patologie e naturalmente a quanti si occupano di loro.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Di Virgilio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, quello in esame è un provvedimento importante, come ha detto la mia collega Pedoto, nonché il relatore ed anche il collega Di Virgilio, che è appena intervenuto: noi conveniamo che sia un provvedimento importante e del resto su questo terreno credo che le cose più significative siano state avviate proprio quando le nostre forze politiche hanno avuto responsabilità di Governo, mentre vi è stato un silenzio abbastanza preoccupante nel periodo in cui vi è stato il Popolo della Libertà al Governo negli anni passati. Voglio ricordare che i provvedimenti più significativi risalgono al 1996, quando nel piano sanitario per la prima volta si stabilisce e si prevede che le cure palliative e la terapia del dolore siano obiettivo prioritario del piano. Poi sono seguiti alcuni provvedimenti, sempre nel periodo del Governo Prodi, per la costruzione degli hospice e nel secondo Governo Prodi, con i protocolli di intesa con le regioni, per quanto riguarda l'estensione delle cure palliative e della terapia del dolore. Pag. 13
Tuttavia, come è stato più volte denunciato, la rete dei servizi è assolutamente disomogenea sul territorio nazionale, segno evidente che non basta prevederlo nel piano come obiettivo prioritario, ma occorre fare di più: occorre cioè che, a fronte dell'indicazione che questo è un livello essenziale di assistenza, vi siano le linee guida, è necessario che le prestazioni siano quantificate, cioè che vi sia un apposito DRG, è necessario quindi che vi sia la stima del fabbisogno finanziario e poi occorre che sul territorio vi sia l'organizzazione della rete che entra nella programmazione regionale. Per fare questo, ovviamente, servono indici che consentano di valutare il bisogno e di predisporre l'offerta.
Non facciamoci tante illusioni, cari colleghi: non basta una legge affinché tutto ciò si realizzi. Occorre, come spesso si dice, che vi sia la volontà politica, ma questa per poter davvero manifestarsi ha bisogno di alcuni strumenti importanti. Il primo strumento è l'insieme delle regole e quindi vanno bene le linee guida, ma qui evidenzio la prima debolezza del provvedimento in esame, cioè il concerto che ancora una volta è stato riaffermato - anche se non ve ne era bisogno - del Ministero della salute con il Ministero dell'economia per indicare, deliberare e decidere le linee guida per l'organizzazione di questi servizi, che sono indispensabili.
È un segno evidente che vi è un condizionamento di natura economica nell'individuazione delle linee guida. Devo dire che poteva considerarsi inutile, in questa fase, il concerto del Ministero dell'economia e delle finanze, perché voglio ricordare che già vi è, dal 1996 ad oggi, il condizionamento di natura finanziaria. Questa esplicitazione pone una seria ipoteca per la esplicazione compiuta degli effetti di questo provvedimento che, invece, pone come obiettivo l'estensione di un diritto fondamentale all'universalità dei cittadini.
In secondo luogo, accanto agli strumenti occorrono le risorse. Su questo punto - come ha già detto la mia collega, l'onorevole Pedoto - vi è stata una forte iniziativa del gruppo del Partito Democratico. A tale proposito, abbiamo indicato anche un pericolo molto forte, vale a dire quello di votare l'ennesima «legge manifesto». Dopo molte pressioni siamo riusciti ad ottenere un piccolo aumento dello stanziamento che oggi nel bilancio vi è già accanto al Fondo sanitario. Al contempo, ricordo che per gli obiettivi prioritari del piano - e fra questi vi sono le cure palliative - oggi è stabilito un finanziamento di cento milioni, indicati nel bilancio. È chiaro che questo importo è largamente insufficiente, altrimenti non si giustificherebbe la disomogeneità che oggi sussiste sul territorio nazionale in ordine all'offerta di servizi.
Era necessario, quindi, un incremento consistente di questo ammontare e di questo importo che non siamo riusciti ad ottenere. Non vogliamo disconoscere l'importanza di avere una legge sulle cure palliative che, peraltro, rispetta l'autonomia delle regioni in questo campo, perché dal punto di vista organizzativo spetta a queste avviare le iniziative programmatiche affinché le due reti, quella per la terapia del dolore e quella per le cure palliative, siano estese sull'intero territorio di ciascuna regione, senza incidere su questa autonomia. Tuttavia, non possiamo nascondere che questo è un limite oggettivo del provvedimento in esame, indicato nell'articolo 3, comma 1, laddove si dice chiaramente che le cure palliative e la terapia del dolore costituiscono obiettivi prioritari del piano sanitario. Ciò vuol dire, quindi, che sono assoggettate ad un finanziamento che di anno in anno viene deciso e stabilito di concerto fra il Governo e le regioni all'interno di una contrattazione annuale o triennale (ma in questo caso triennale, perché siamo all'interno del patto per la salute che destina alcune risorse per l'attuazione di questi obiettivi prioritari).
Certamente questo aspetto non innova rispetto alla situazione precedente e sarebbe stato necessario maggiore coraggio su questo punto perché lo sforzo finanziario dovrà essere commisurato alla Pag. 14grande importanza che nelle dichiarazioni di principio maggioranza ed opposizione hanno attribuito a questo tema. Ma così non è, e proprio da questo punto nasce - accanto, comunque, al nostro voto favorevole su questo provvedimento - anche il rilievo che consentirà di mantenere, comunque, i riflettori accesi sull'attuazione di questo provvedimento e sugli impegni che questo Parlamento vorrà assumere per il finanziamento delle due reti, a partire dalle prossime leggi finanziarie.
Voglio anche aggiungere un altro elemento che mi sembra importante, in una stagione nella quale si discute tanto sia di questo sia dell'altro delicatissimo tema, quello del testamento biologico. Lo voglio dire con molta chiarezza: il Partito Democratico, in Commissione, ha condizionato l'avvio della discussione sul testamento biologico all'approvazione della proposta di legge sulle cure palliative.
Questa condizione, che avevamo posto in sede di discussione nella Commissione, aveva un unico significato: prima di affrontare il tema delicatissimo del fine vita occorre porsi il problema di risolvere una questione ancora irrisolta, ossia come si affronta l'abbandono di molti malati di fronte al dolore e alla fase terminale della vita che è contraddistinta da cure molto pesanti, dolorose e talvolta insopportabili.
Per questo avevamo condizionato l'avvio della discussione sul testamento biologico all'approvazione di questa legge, proprio affinché i tre «no» che spesso, quando parliamo del fine vita affermiamo (no all'eutanasia, no all'accanimento e no all'abbandono) potessero trovare risposte convincenti e non diventassero alla fine inevitabili vie attraverso le quali si affronta la fase più delicata della vita.
Detto questo, crediamo comunque di avere svolto in Commissione - lo rivendichiamo con forza - nella fase emendativa un ruolo importante per consentire che questo testo giungesse all'esame dell'Assemblea in modo da consentire davvero che nel Paese si possa aprire, con l'aiuto e l'iniziativa delle regioni, una fase nuova in questo campo.
Non vorremmo, cioè, più leggere i comunicati stampa che anche in queste settimane sono stati diramati da varie associazioni - che hanno avuto il ruolo encomiabile e meritorio di essere i pionieri in questo campo, prima che arrivassero le istituzioni - con notizie che ci riportano a milioni di italiani che soffrono di dolore cronico. Stiamo parlando di dolore cronico non neoplastico. Anche questo è un passo importante che penso possiamo fare nell'attuazione degli obiettivi del piano sanitario, in piena attuazione dell'articolo 32 della Costituzione, perché anche questo è il diritto alla salute.
Ci tengo molto a dire che però è diritto alla salute se è davvero universale e se è un diritto davvero esigibile. Tali condizioni (che sia universale e che sia un diritto esigibile per tutti i cittadini indipendentemente dalle condizioni reddituali) costituiscono una delle ragioni del nostro voto favorevole, ma anche della nostra azione tesa a verificare, controllare e monitorare che attorno a questa legge ci siano l'impegno del Governo e le risorse necessarie per far sì che essa produca tutti i suoi effetti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palagiano. Ne ha facoltà.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, purtroppo non riesco a condividere tutto l'ottimismo che ho sentito questa mattina da chi della maggioranza è intervenuto sul varo di questa legge. Essa può sicuramente essere considerata un primo passo per la soluzione dei problemi del dolore, ma credo che non sia attraverso una legge, quella che stiamo approvando tutti all'unisono, che l'Italia riuscirà a risalire nella classifica europea che ci vede al penultimo posto (precedendo soltanto la Grecia) sull'approccio al dolore, sulla sensibilità al dolore e sui mezzi che lo Stato garantisce ai cittadini.
Tutti dovrebbero fruire delle terapie come sancito dalla Costituzione. Ho qui davanti lo schema riassuntivo del servizio studi sulle disposizioni relative all'accesso Pag. 15alle terapie del dolore e alle cure palliative con i disegni di legge nn. 624, 635 e 1141.
Mi preme sottolineare la data: 1o ottobre 2008. Se dobbiamo considerare le priorità di questo Governo in base alla rapidità di approvazione dei disegni di legge o sui fondi stanziati per supportare queste leggi, dobbiamo desumere che, per un Governo che sa essere rapido quando vuole, purtroppo le cure palliative e la terapia del dolore non rappresentano una priorità.
Leggendo anche la dichiarazione che feci in occasione della discussione sulle linee generali quando il provvedimento iniziò l'esame in quest'Aula prima di passare al Senato e di subire un'ulteriore sforbiciata, non in termini economici, ma di sostanza, mi preme sottolineare che c'è una differenza netta tra la terapia del dolore e le cure palliative. Sostenni, infatti, che le cure palliative rappresentano quella parte della medicina che ha a che fare col fine vita: nel momento più duro e triste per un individuo, quello che precede il trapasso, in cui la medicina ufficiale deve accompagnarlo, possibilmente evitandogli la sofferenza. Quindi, il dolore rappresenta soltanto una parte di questo tipo di medicina (le cure palliative) e soltanto il 3 per cento del dolore sofferto dai nostri cittadini riguarda i malati terminali. In termini numerici, stiamo parlando di 250 mila malati terminali contro il 25 per cento della popolazione che, invece, soffre di dolore cronico e acuto.
Si è fatto molto spesso riferimento alle donne. Proprio ieri è stata la festa della donna e da un lavoro pubblicato dall'Onda, l'Osservatorio nazionale sulla salute delle donne (un organismo sicuramente molto attendibile), si vede che una donna su due, il 57 per cento, soffre di dolore cronico. Se si considera la donna in età superiore ai 65 anni, ben il 75 per cento delle donne soffre di dolore. Ho sottolineato come questa legge, cui è strettamente connesso il dolore al fine vita, in realtà non risolveva i problemi quotidiani di tutti quelli che soffrono di cefalee, di artrite reumatoide, di fibromialgia, di endometriosi, insomma ci voleva una legge a parte che prevedesse l'obbligatorietà e l'omogeneità su tutto il territorio e soprattutto le risorse finanziarie.
Purtroppo, noto che il testo che ci perviene dal Senato, pur non avendo subito dei tagli (i fondi sono sempre gli stessi), ha recepito questa differenza tra legge sul dolore e legge per le cure palliative e, quindi, le reti sono passate da una a due. Il testo licenziato in prima lettura dalla Camera prevedeva una sola rete nazionale per la terapia del dolore e le cure palliative. Adesso il testo che andiamo a esaminare prevede due reti. Ma ciò significa doppio personale, doppi macchinari e, in definitiva, doppie risorse, perché il problema della popolazione si amplifica e si estende da 250 mila unità a circa 10 milioni di cittadini italiani che hanno bisogno nella quotidianità, per sopravvivere o vivere meglio, di un approccio più scientifico al dolore.
Basta pensare - per rimanere nel tema femminile - che, a fronte di una richiesta di analgesia peridurale del parto del 90 per cento, c'è un'offerta statale del 16 per cento, quando l'analgesia da parto dovrebbe essere garantita dai livelli essenziali di assistenza. Quindi, questo è per dire che le donne sono trattate male da questo Stato, dalle industrie farmaceutiche, le quali omettono la sperimentazione sulla donna, perché è un soggetto difficile, che presenta degli scompensi legati ai cicli ormonali e mestruali. Di conseguenza, non sappiamo se i farmaci che vengono impiegati sull'uomo sono altrettanto validi sulla donna, poiché non sappiamo se i farmaci adoperati per l'uomo per alleviare il dolore hanno gli stessi effetti collaterali o addirittura possono avere effetti collaterali peggiori nelle donne. Ricordo che la medicina di genere è una scoperta abbastanza recente: se ne parla dalla metà degli anni Novanta, proprio per sottolineare che dovrebbero esistere delle cure diverse o probabilmente saggiare differentemente i farmaci, che servono per la donna e per l'uomo.
Avevamo espresso anche nella precedente discussione sulle linee generali un'esigenza tutta italiana, quella connessa Pag. 16alla disomogeneità dell'applicazione delle terapie del dolore e delle cure palliative sul territorio nazionale, sottolineando che, a fronte di 147 hospice presenti in Italia, 50 sono concentrati in Lombardia, soltanto 4 in Sicilia, mentre non ve n'è traccia in Abruzzo, in Molise, in Basilicata e in altre regioni del Sud.
C'è quindi una diversa sensibilità da parte delle regioni a recepire il problema del dolore, c'è una diversa sensibilità per esempio in Lombardia rispetto al Molise. In Lombardia ci sono cinquanta hospice: o ci sono dei problemi di salute o c'è una diversa sensibilità da parte di questa regione, oppure i cittadini italiani del Sud stanno tutti bene e non vi sono malati oncologici. Per queste ragioni avremmo voluto una legge che in qualche maniera obbligasse le regioni a spendere quei pochi soldi che vengono messi a disposizione per far fruire a tutti i cittadini italiani, dal Nord al Sud, le stesse terapie garantite dalla Costituzione.
Purtroppo questo non è avvenuto. Avevamo predisposto un emendamento, se ricordate, che fu firmato congiuntamente con i colleghi della Lega che in qualche maniera obbligava le regioni a spendere i fondi che venivano destinati in quella direzione. Vediamo purtroppo che, nel testo che ci ritorna dal Senato, l'ex comma 5 dell'articolo 3 è stato cancellato e quindi è andata persa l'obbligatorietà di rendere disponibili le cure del dolore a tutti cittadini, di creare nuovi hospice dove non ci sono, di adeguare le nuove strutture e formare anche la rete del dolore e delle cure palliative in tutte le regioni d'Italia.
Purtroppo questo è mancato, così come è mancata la figura cruciale per la terapia del dolore, quella della anestesista che ci auguravamo fosse sempre presente nell'équipe multidisciplinare che adesso viene soltanto elencata. Si prende atto che devono o possono far parte dell'équipe multidisciplinare i pediatri, i medici di base, i neurologi, gli oncologi, una serie di figure che a mio avviso hanno poca possibilità di lenire il dolore. L'oncologo va bene quando c'è una possibilità di far regredire la malattia e di portarla a guarigione, la figura dell'anestesista invece è quella cruciale, a mio avviso, e andava inserita in questo testo di legge.
Volevamo una legge che fosse contraddistinta da regole certe, da controlli che purtroppo molto spesso in Italia mancano, dall'obbligatorietà e da fondi specifici. Dobbiamo adesso votare un provvedimento che dapprima ha subito dei tagli in Commissione bilancio, poi ha subito dei tagli al Senato. Adesso prendiamo quello che ci viene dato dal Governo, vale a dire una sovvenzione che è di un milione 450 mila euro per il 2010 e un milione di euro per il 2011, mentre per il 2012 tutto sarà da destinare.
Insomma un provvedimento che potrebbe essere migliorato, che non ha risolto affatto - come spesso fa questo Governo - il problema per legge, come è successo per la crisi economica quando è stato detto che non esisteva o apprestando subito dopo dei mezzi molto discutibili. Credo però che il dolore non si possa cancellare per legge, accogliamo queste risorse davvero minime del Governo e quindi insieme agli altri gruppi voteremo questo testo perché anche piccole risorse finalizzate a temi così nobili vanno accolte (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Farina Coscioni. Ne ha facoltà.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Signor Presidente, questo testo di legge - che ricordo a tutti è stato licenziato con un voto unanime dalla Camera dei deputati in prima lettura e, quindi, ritenevo avesse ottime possibilità di vedere una corrispondente situazione di unanimità anche al Senato - ha però percorso un iter che, permettetemi di dire, non ci fa onore come Parlamento. Al Senato la Commissione non ha svolto audizioni, se non quelle di tecnici del Ministero della salute e di tecnici e funzionari del Dipartimento per le politiche antidroga.
Mi riferisco alla nuova versione dell'articolo 10, sulla semplificazione della ricettabilità e della somministrazione dei farmaci Pag. 17antidolore e delle cure palliative. Il fatto è che questa nuova versione dell'articolo 10 suggerisce che il Ministero della salute per spostare una sostanza tra le varie categorie - quelle maggiormente proibite, quelle meno proibite e quelle proibite ma alle quali viene comunque riconosciuta un'attività farmacologica - deve sentire il Consiglio superiore della sanità, ed è giusto.
Tuttavia, il fatto che anziché sentire l'Istituto superiore della sanità si debba sentire il Dipartimento delle politiche antidroga credo sia già di per sé un segnale davvero negativo. Non credo, infatti, che il Ministero della salute operi a favore degli spacciatori, a meno che si abbia una malavisione del medico che spaccia farmaci o sostanze che creano dipendenze nei pazienti.
Sulle dipendenze potremmo poi intavolare un altro discorso, dal momento che si sentono rivolgere critiche persino in merito a somministrazioni troppo prolungate di morfina o di un altro farmaco perché in un malato terminale possono creare una dipendenza. A parte il fatto che affermazioni così grottesche fanno venire i brividi, credo che in questo aspetto risieda molto della problematica dell'argomento oggetto del nostro dibattito.
Quanto alla cannabis terapeutica o ai farmaci a base di principi attivi presenti nella pianta della cannabis, ne esistono molti per curare ed alleviare una serie di dolori importanti, legati espressamente, ad esempio, alla terapia del dolore omeopatico, del dolore tumorale, dell'emicrania, dell'artrite reumatoide, ma potrei continuare: mi riferisco a malattie infiammatorie croniche intestinali, a malattie neurodegenerative come l'Alzheimer, il Parkinson, l'epilessia, a malattie autoimmuni. Quindi, per favore, non facciamo strumentalmente confusione.
Il testo di legge appare pensato per tutti, senza distinzioni tra malati oncologici e non e questo lo si può ritrovare nell'articolo 2, laddove leggiamo che parliamo di pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici. Tuttavia, consentitemi di considerare due aspetti importanti. Si identificano negli hospice, per l'assistenza a livello residenziale e di day hospice, le unità che potranno aspirare all'accreditamento: è un'ottima cosa, perché si riempie un anello mancante nel percorso assistenziale per i pazienti non oncologici. Tuttavia, per considerare una realtà, a Roma già alcune strutture oncologiche si stanno riconvertendo per la presa in carico, ad esempio, di malati affetti da patologie neurodegenerative, come la sclerosi laterale amiotrofica. Questa legge darà loro ulteriori strumenti per l'assistenza domiciliare e residenziale, però consentitemi di esprimere una perplessità.
È ancora forte nella cultura in generale, e in quella degli operatori sanitari, il concetto che le cure palliative coincidano con le cure a pazienti terminali, ma non in neurologia: nutrire con la PEG, seguire con visite periodiche la funzione respiratoria, fare una ventilazione non invasiva o invasiva, aspirare le secrezioni bronchiali con macchine per la tosse a persone con sclerosi laterale amiotrofica è una cura palliativa, cura i sintomi, ma non guarisce, ma non è terminale.
La legge si mantiene sempre nel generico, ma temo che questo equivoco di fondo sia mantenuto: l'obiettivo principale è l'hospice, che è comunemente considerato il luogo dove il malato viene accompagnato nella fase terminale della vita. La questione non è formale, sottolineare che nella definizione di malato che diamo nella legge si prescinde dalla terminalità avrebbe un impatto culturale e pratico notevole. Da una parte, si afferma il valore della palliazione non terminale, conosciuto ai più, dall'altra, pone la necessità di inserire in programmi di terapia domiciliare e in strutture residenziali anche coloro che non sono a termine. Per fortuna, questi pazienti sono pochi, ma nell'esperienza che ho avuto è in aumento il numero di persone che decidono di sottoporsi a trattamenti di supporto respiratorio invasivi e non, ma che non hanno alcun sostegno familiare. Sebbene si rimandino Pag. 18molti degli aspetti organizzativi alla Conferenza Stato-regioni, una qualche aggiunta nel testo di legge sarebbe stata opportuna.
Se vi è l'intenzione di affrontare il tema delle cure palliative in senso più generale, alla luce dei profondi cambiamenti culturali e tecnologici degli ultimi anni, mi sembra che vi siano delle carenze perché in questo testo di legge vengono esclusi centri ospedalieri per le cure palliative, con funzioni totalmente diverse dagli hospice.
In realtà, questi centri non esistono. Per fare un esempio, ricordo la realtà del Gemelli con circa 120 nuove diagnosi di SLA ogni anno, quindi si tratta di uno dei più grandi centri di sclerosi laterale amiotrofica d'Italia in cui: si fanno diagnosi; si mettono e si cambiano PEG; si inietta la tossina botulinica nelle ghiandole salivari; si segue l'andamento della respirazione con visite periodiche; si ventilano in modo non invasivo centinaia di persone; si fa la tracheotomia ad alcuni; si fa supporto psicologico; si assistono con la sedazione profonda tante persone nella fase finale delle malattie. Tutte queste attività sono nuove e non esistevano già solo quindici anni fa: purtroppo, quando vi sono innovazioni, la politica sanitaria non riesce non dico ad anticipare le mosse, ma almeno a stare dietro. Ciò significa spesso disorganizzazione, improvvisazione e disagi per le persone malate.
In questa realtà, come quella del Gemelli ricordo che la palliazione si fa con una sola persona strutturata e l'aiuto di tanti volontari male o per niente pagati. La persona che segue un centinaio di persone che non respirano bene - non si tratta di un mal di pancia - è un borsista che appena troverà qualcosa di meglio lascerà quel posto. Si avrà bisogno, dunque, di altri anni per formare un altro medico e tutto ciò è condito con il disappunto di tanti medici, i quali affermano che basta, per carità, con questi malati, che si ventilano troppi pazienti e che bisogna fare un passo indietro. Credo che sia importante non confondere la palliazione terminale con quella neurologica non terminale, basata su interventi di equipe multidisciplinare e che si eroga nelle unità ospedaliere per acuti (universitari e non), ma non esiste alcuna base culturale e strutturale.
In conclusione, se questa è la situazione in un luogo conosciuto da tutti e con una storia particolare per la sclerosi laterale amiotrofica, mi domando cosa possa accadere in altri centri. Questo provvedimento era un'occasione preziosa per promuovere l'accesso alle cure palliative, ma di fatto i centri ospedalieri ne sono esclusi. Gli hospice, oltretutto, con questa proposta di legge avranno ancor più bisogno di scambi bidirezionali con i centri ospedalieri specializzati, con un ulteriore aggravio a carico di questi ultimi. La possibilità che gli ospedali aprano hospice (cosa che succederà) non cambierà la qualità dell'assistenza: il rapporto tra un centro di terapia palliativa neurologica e l'hospice è lo stesso che c'è tra un reparto di oncologia e lo stesso hospice. La continuità assistenziale è il fulcro dell'assistenza complessa alle persone con malattie neurodegenerative: se un anello non funziona crolla tutto. Quindi, questo provvedimento è un punto di inizio e solo come tale deve essere considerato, ma molto si dovrà fare per rispondere alle istanze di chi vive sul proprio corpo e sulla propria pelle il dolore e la sofferenza.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 624-B)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e presidente della Commissione affari sociali, onorevole Palumbo, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

FERRUCCIO FAZIO, Ministro della salute. Signor Presidente, in merito a questo provvedimento vorrei esprimere la soddisfazione Pag. 19del Governo e quella mia personale anche come medico, perché riteniamo sia un traguardo importante. Ricordo che su questo provvedimento si è svolta la discussione nei due rami del Parlamento in un clima di positivo confronto e collaborazione. Vorrei ringraziare, in particolare, l'opposizione per il clima di assoluto e positivo confronto e collaborazione.
Molto brevemente, mi rivolgo proprio ai cittadini: la proposta di legge in esame migliora la qualità di vita di chi vive in una situazione di sofferenza fisica e sostiene le famiglie, che vivono quindi un dramma non paragonabile agli altri drammi...

PRESIDENTE. Invito a contenere il brusio, in modo da rendere possibile l'ascolto delle parole del Ministro.

FERRUCCIO FAZIO, Ministro della salute. Che vivono nell'espletamento delle funzioni della sanità.
Ricordo che nel provvedimento sono contenuti aspetti estremamente innovativi, quali l'istituzione delle reti (sia per le cure palliative, sia per la terapia del dolore) e il progetto «Ospedale-territorio senza dolore», che conta su un modello organizzativo integrato nel territorio.
Vorrei, infine, ricordare che fino all'anno scorso l'Italia era il penultimo Paese della Comunità europea per la somministrazione dei farmaci non oppioidi, in quanto non vi era una normativa adeguata al riguardo. Dapprima con ordinanza del Governo e adesso, finalmente, con una proposta di legge, l'Italia si riallinea in questo importante settore con la Comunità europea. Si tratta, dunque, di un provvedimento predisposto per gli ammalati. Sono riconoscente e orgoglioso nei confronti dell'Assemblea per averlo voluto votare ed approvare all'unanimità (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Esame degli articoli - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli della proposta di legge.
Avverto che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate).

(Esame dell'articolo 1 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, impiegherò pochissimo tempo: vorrei aggiungere anche la mia voce al commento positivo per l'approvazione della proposta di legge in esame, che peraltro ritorna dal Senato e alla quale avevamo già dedicato una serie di riflessioni che evidenziavano in modo bipartisan soddisfazione per l'approvazione della stessa e, ovviamente, preoccupazione affinché essa sia ulteriormente migliorata, con il passare del tempo, in particolare attribuendo alla stessa una dotazione finanziaria che non la faccia iscrivere dentro il rango di una mera legge di principio.
Si tratta di un provvedimento assolutamente importante - lo richiamava poco fa il Ministro -, che si occupa della tutela della salute dei cittadini: si tratta, quindi, di una proposta di legge predisposta per i cittadini e per la loro malattia, in particolare per il capitolo così problematico che è rappresentato dal dolore che accompagna molti momenti della vita.
Anch'io spero che, con l'approvazione della proposta di legge in discussione, si possa aprire una fase nuova, oltre che sul piano politico e istituzionale, anche sul piano culturale, iscrivendo il tema delle cure palliative e della terapia del dolore in quel sentiero che deve fare uscire questo argomento da un perimetro molto ristretto (che ha registrato fenomeni di volontarismo e anche atti di eroismo, che però, sostanzialmente, ci tenevano lontani dal Pag. 20soddisfare quell'esigenza di riconoscere un diritto che, come è stato richiamato, è universale e da rendere esigibile per tutti i cittadini, sia per quanto attiene al discorso delle neoplasie sia per quanto attiene - anche questo è stato richiamato - al dolore, che è presente in modo diffuso e cronico anche con riferimento a molte patologie non neoplasiche).
Il secondo elemento che vorrei sottolineare brevemente riguarda il fatto che spero - anzi, personalmente sono abbastanza convinto - che questa nuova frontiera possa anche aiutarci a superare alcune difficoltà proprie di un tema molto più rilevante che vedrà confrontarci in Aula, spero, con sobrietà, quello del testamento biologico: se noi dedichiamo l'attenzione dovuta al tema della palliazione e delle cure palliative, potremo uscire dall'approccio ideologico sul versante del testamento biologico.
Almeno su un punto, cari colleghi, credo che potremmo trovarci d'accordo: non è certo che lo Stato si debba occupare di fissare necessariamente per legge - uso questa forma dubitativa, poi ci tornerò quando parleremo di testamento biologico - regole certe per il testamento biologico, ma è sicuramente certo che lo Stato si deve occupare di fornire tutti gli strumenti e tutte le risorse per lenire il dolore, per aiutare le persone che si trovano in una condizione di malattia, reversibile o irreversibile. In questo modo, si consente di vivere meglio questa fase molto particolare, delicata, personale e individuale della vita, in cui prima o poi ciascuno di noi si può venire a trovare.
Se dedichiamo al tema delle cure palliative e della terapia del dolore, con tutto ciò che richiede in termini di organizzazione e non solo in termini retorici, l'attenzione dovuta, credo che forse potremo quanto meno mitigare le asprezze che caratterizzano il discorso sul testamento biologico, che alla fine lo fanno scivolare inevitabilmente in un perimetro di carattere ideologico, come dicevo prima.
Concludo il mio intervento confidando che l'unanime sostegno a questa legge possa presto trovare attuazione attraverso un impegno concreto che sia anche di natura economica e finanziaria.

PRESIDENTE. Onorevole Duilio, la prego di concludere.

LINO DUILIO. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Lo dico anche all'indirizzo del Ministro, perché, come dice un vecchio detto popolare, «senza i soldi non si cantano messe». Noi abbiamo dato un certo contributo già nel decreto-legge anticrisi. I colleghi della Commissione bilancio lo ricorderanno. Modestamente, anche chi vi parla, insieme al collega Polledri, ha contribuito al reperimento di un po' risorse per le cure palliative.
Dobbiamo andare avanti su questa strada, perché, se oltre ad un discorso di principio faremo un discorso concreto, credo che la nostra sensibilità, diffusa, bipartisan e trasversale, potrà vedere l'approvazione unanime di questa legge, anche come un buon viatico perché si possano conseguire migliori risultati su questo tema così importante per la vita umana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scilipoti. Ne ha facoltà.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi, come dicevano i colleghi, all'interno di questa Aula è un momento delicatissimo e importante, perché si continua una discussione sugli argomenti che dovrebbero tutelare e garantire la qualità della vita di coloro i quali sono stati o sono affetti da malattie degenerative. Alcuni passaggi del testo richiamano all'attenzione di noi deputati alcune riflessioni. L'articolo 1, comma 3, lettera b), prevede la tutela e la promozione della qualità della vita fino al suo termine.
Questo, colleghi, significa che dovremmo cercare di fare tutto ciò che è possibile per tutelare al meglio la qualità della vita di pazienti che sono in fase Pag. 21terminale o che sono affetti da malattie degenerative. Come facciamo a parlare così in generale, senza renderci conto che, all'interno di questa proposta di legge sull'argomento delle cure palliative, manca qualcosa di grosso e di importante, ossia tutto ciò che noi sosteniamo fuori da questo Parlamento? Mi riferisco alla libertà di cura che ogni cittadino dovrebbe avere. Ognuno deve potersi curare come meglio crede, ma non solo perché noi lo vogliamo dire e qualcuno lo vuole portare all'attenzione per spirito di appartenenza.
Quando parliamo di libertà di cura affermiamo che ci sono tecniche e sostanze che vengono chiamate medicine biologiche. Sono tecniche come l'agopuntura, che hanno contribuito e contribuiscono giornalmente a dare una migliore qualità di vita e a far sì che all'interno degli organismi e degli organi martoriati dei pazienti affetti da malattie degenerative, attraverso queste cure, vi possa essere un miglioramento, qualche volta addirittura una stabilizzazione della patologia o un processo di inversione della stessa.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, chiedo a voi che siete all'interno di quest'Aula di riflettere un attimino e di avere la possibilità di parlare e di avere una visione leggermente più ampia; non solo la visione che tutti noi o la maggior parte di noi abbiamo nel campo della medicina, che è quel concetto meccanicistico e cartesiano, senza volere dare apertura mentale alle discipline sotto il profilo olistico e delle medicine integrative. Quando parliamo di medicine integrative, stiamo parlando di qualcosa di importante, che noi, come parlamentari, dovremmo prendere in seria considerazione; dovremmo stare attenti e cercare di inserirle all'interno di una legge, perché potrebbero comportare un miglioramento vero e reale. Come qualcuno sosteneva all'interno di quest'Aula, in modo particolare il mio collega di partito onorevole Palagiano, è importante utilizzare i presidi farmacologici, ma qualche volta anche questi ultimi potrebbero avere un ritorno non perfettamente consono all'interesse dell'organismo.
Cosa vuole dire questa riflessione all'interno di quest'Aula, signor Ministro e onorevoli colleghi? Esistono delle discipline e altri sistemi che potrebbero essere aggiuntivi e migliorativi del protocollo farmacologico, che si chiamano terapie biologiche. Si parla di melatonina, di somatostatina, di alfatocoferile acetato, che sono sostanze altamente positive per l'organismo, perché lavorano nell'interesse dell'equilibrio di un organismo malato, per rafforzarlo e per far sì che quell'organismo martoriato possa difendersi al meglio.
Ma non abbiamo finito, perché su questo possiamo argomentare, discutere e affrontare.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Scilipoti.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, ancora 30 secondi: qualcuno potrebbe anche dire che le terapie biologiche potrebbero ancora non essere concepite nella nostra mente e nella mente di coloro i quali dovrebbero legiferare, ma vi è un altro fatto importante, colleghi presenti in quest'Aula.
All'interno di queste cure palliative ci siamo scordati una cosa importantissima, cioè una tecnica e una disciplina che si chiama agopuntura, che potrebbe essere utilizzata a beneficio di quegli organismi, di quei soggetti e di quegli ammalati che con altre terapie ed altri protocolli terapeutici non hanno ottenuto alcun risultato.
Lo dimostrano migliaia di lavori che esistono non solo in Italia, ma nel mondo, che dicono che il protocollo principale per trattare un malato neoplastico è l'agopuntura, perché tre sono gli elementi essenziali per un malato neoplastico: il dolore, il vomito e la nausea. La tecnica dell'agopuntura è quella sperimentata che ha dato effetti veramente validi affinché si risolvesse questo tipo di malattia o di affezione che il malato neoplastico ha.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, Pag. 22mi auguro che si prenda in considerazione e si cominci a ragionare apertamente...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Scilipoti.
Passiamo ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Calderisi, Simeoni, Concia, Vico, Golfo, Nizzi, Ministro La Russa...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 454
Votanti 452
Astenuti 2
Maggioranza 227
Hanno votato
452).

Prendo atto che la deputata Ferranti ha segnalato che non è riuscita a votare.

(Esame dell'articolo 2 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Vico, Cesario, Formisano. L'onorevole Cesario ancora non ha votato. Onorevole Favia.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 455
Votanti 453
Astenuti 2
Maggioranza 227
Hanno votato
453).

Prendo atto che il deputato Palagiano ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole e che la deputata Ferranti ha segnalato che non è riuscita a votare.

(Esame dell'articolo 3 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Cesa, Foti, Sardelli, Bellotti, Gatti.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 457
Votanti 455
Astenuti 2
Maggioranza 228
Hanno votato
455).

Prendo atto che la deputata Ferranti ha segnalato che non è riuscita a votare.

(Esame dell'articolo 4 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 4 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti. Pag. 23
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 4.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Gatti, Sardelli, Madia.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 457
Votanti 455
Astenuti 2
Maggioranza 228
Hanno votato
455).

Prendo atto che la deputata Ferranti ha segnalato che non è riuscita a votare.

(Esame dell'articolo 5 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 5 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 5.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Cesario, Sardelli.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 456
Votanti 454
Astenuti 2
Maggioranza 228
Hanno votato
454).

Prendo atto che la deputata Ferranti ha segnalato che non è riuscita a votare.

(Esame dell'articolo 6 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 6 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 6.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Miglioli, Golfo, Migliori. L'onorevole Miglioli ancora non ha votato? Ci siamo?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 460
Maggioranza 231
Hanno votato
460).

Prendo atto che la deputata Ferranti ha segnalato che non è riuscita a votare.

(Esame dell'articolo 7 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 7 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 7.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Migliori, Barani, Sardelli, Volpi, Nizzi.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 457
Votanti 456
Astenuti 1
Maggioranza 229
Hanno votato
456). Pag. 24

Prendo atto che la deputata Ferranti ha segnalato che non è riuscita a votare.

(Esame dell'articolo 8 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 8 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 8.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Sardelli, Gatti, Vincenzo Fontana, Vico, Cesario.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 455
Maggioranza 228
Hanno votato
455).

Prendo atto che i deputati Ferranti e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti a votare.

(Esame dell'articolo 9 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 9 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 9.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Sardelli, Miotto, Briguglio...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 457
Votanti 456
Astenuti 1
Maggioranza 229
Hanno votato
456).

Prendo atto che i deputati Ferranti e Barbareschi hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che la deputata Anna Tersa Formisano ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole.

(Esame dell'articolo 10 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 10 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 10.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Vico, Migliori...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 456
Maggioranza 229
Hanno votato
456).

Prendo atto che la deputata Anna Teresa Formisano ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole e che il deputato Barbareschi ha segnalato che non è riuscito a votare.

(Esame dell'articolo 11 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 11 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti. Pag. 25
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 11.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Lehner, basta avere un poco di pazienza... onorevole Ferranti... l'onorevole Anna Teresa Formisano non riesce a votare...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 456
Maggioranza 229
Hanno votato
456).

Prendo atto che il deputato Barbareschi ha segnalato che non è riuscito a votare e che il deputato Sarubbi ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.

(Esame dell'articolo 12 - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 12 (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lenzi. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Signor Presidente, intervengo solo per motivare il nostro voto di astensione su questo articolo, che riguarda le risorse finanziarie, pari a 1 milione e 650 mila euro per il 2010, 1 milione e 300 mila euro per il 2011 e a 300 mila euro per il 2012, che sono ad ogni evidenza assolutamente insufficienti a far fronte alle molte e impegnative azioni che questa proposta di legge indica.
Ciò vale anche per il vincolo di 100 milioni di euro sull'utilizzo del Fondo sanitario che, in realtà, vincola una parte di risorse già di per sé non sufficienti a far fronte agli attuali livelli di assistenza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, ovviamente il gruppo del Popolo della Libertà è di parere contrario rispetto a quello della rappresentante e collega del PD. Non è vero infatti quanto sta dicendo, perché il Governo con questo provvedimento ha creato un fondo che complessivamente può disporre di oltre 150 milioni di euro, al quale possono accedere le regioni per attuare gli interventi. Ovviamente speriamo che le regioni realizzino gli interventi per le cure palliative e la terapia del dolore, e non per le solite assunzioni di personale - funzionari e clientelismi vari - che sono abituate a fare dopo la modifica del Titolo V della Costituzione.
Ricordo alla collega che questo provvedimento interessa oltre 250 mila famiglie di malati cronici e, grazie anche ad un nostro emendamento approvato in Commissione, 11 mila bambini e ragazzi, fino all'età di 18 anni (dei quali oltre il 50 per cento è colpito da malattie tumorali). Ricordo anche che su tutto il territorio verranno create due reti con centri specifici, dei reparti ospedalieri, hospice, con figure professionali preparate e che, per la prima volta in Italia, nasceranno centri pediatrici con operatori qualificati per le cure palliative e le terapia del dolore.
Quindi, 250 mila famiglie e 11 mila bambini aspettano questa legge e per le regioni vi sono 150 milioni di euro a disposizione. Se questo non è un grande sforzo del Governo, perché in precedenza, quando vi erano i vostri Governi, non è stata realizzata questa legge e non è stato previsto un euro (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)?

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole D'Incecco. Ne ha facoltà.

VITTORIA D'INCECCO. Signor Presidente, in risposta proprio a quello che dice l'onorevole Barani, noi ci aspettiamo dal Pag. 26Governo un impegno a vigilare sulle regioni affinché rispettino l'accordo siglato nella Conferenza Stato-regioni, proprio perché l'utilizzo di queste risorse sia finalizzato a un'equa distribuzione tra le cure palliative e la terapia del dolore secondo il reale fabbisogno del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 12.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Sardelli, Ghiglia, Migliori...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 457
Votanti 266
Astenuti 191
Maggioranza 134
Hanno votato
266).

Prendo atto che i deputati Barbareschi e Vessa hanno segnalato che non sono riusciti a votare.
Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà nel pomeriggio alle ore 15 con il seguito dell'esame del testo unificato delle proposte di legge in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.
Ricordo che alle 13,30 è convocata la Conferenza dei presidenti di gruppo.
Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 15,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Brancher, Caparini, Casini, Cirielli, D'Alema, Gregorio Fontana, Franceschini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Graziano, La Russa, Martini, Milanato, Molgora, Mussolini, Pescante, Ravetto, Romani, Sardelli e Tabacci sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che, come precisato nel corso dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, domani i lavori della Camera riprenderanno con il seguito dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge concernente enti locali e regioni; seguiranno gli altri argomenti previsti dal calendario (seguito dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge sui beni sequestrati alla criminalità organizzata ed esame delle mozioni Bersani ed altri n. 1-00333 e Di Pietro ed altri n. 1-00336, concernenti misure urgenti per contrastare la crisi economica).
Come preannunciato nella stessa sede, considerato l'andamento dei lavori in atto, la Camera dovrà proseguire la sua attività anche nella settimana precedente lo svolgimento delle elezioni regionali. Inoltre, a partire dalla settimana in corso e nelle successive settimane di marzo, sarà previsto lo svolgimento dei lavori anche nelle giornate di venerdì, sabato ed eventualmente domenica.
Per quanto riguarda la prossima settimana, dopo il disegno di legge di conversione del decreto-legge sui beni sequestrati alla criminalità organizzata sarà previsto l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia di energia elettrica nelle isole maggiori. Seguiranno le mozioni Bersani ed altri e Di Pietro ed altri, concernenti misure urgenti per contrastare la crisi economica, e, quindi, l'esame della proposta di legge sulle misure di sostegno del reddito dei lavoratori (ove concluso dalla Commissione).

Pag. 27

Si riprende la discussione della proposta di legge n. 624-B ed abbinate.

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è concluso l'esame degli articoli.

(Esame degli ordini del giorno - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A - A.C. 624-B ed abbinate).
L'onorevole Scilipoti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/624-B/4.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, sarò brevissimo. Onorevoli colleghi, signor Ministro, stamattina sono intervenuto per quanto riguarda l'argomento in discussione per suscitare una riflessione a più tappe (cercando di far riflettere il più possibile) da parte dell'Assemblea e del Governo (e credo che il Governo abbia avuto in passato grande responsabilità sull'argomento) sulla proposta di inserire all'interno delle cure palliative - se possibile - anche la disciplina dell'agopuntura. Come ho detto stamattina, l'agopuntura è conosciuta da molti, ma qualcuno non la conosce. È e potrebbe essere un supporto validissimo nell'interesse sia degli ammalati sia dei parenti e dei familiari che vivono con loro. L'agopuntura molte volte, quasi sempre, si può usare non solo come una tecnica di terapia antalgica, ma anche come una tecnica riequilibrante, una tecnica per rafforzare il protocollo terapeutico farmacologico.
Utilizzando questa tecnica, questa disciplina (l'agopuntura), si potrebbe recare un alto beneficio non solo ed esclusivamente al dolore - come dicevo prima - ma anche a supporto delle cure e del protocollo di terapia farmacologica, per quanto riguarda tutti quegli effetti collaterali da farmaco. Spesso i farmaci che vengono utilizzati nei pazienti neoplastici rappresentano dei protocolli assai brutali, creano danni all'interno dell'organismo, provocando ciò che volgarmente definiamo vomito e nausea. Allora questo protocollo di terapia aggiuntivo, che è la disciplina dell'agopuntura potrebbe determinare una riduzione di tutti gli effetti collaterali.
Ciò a vantaggio del paziente, ma anche a vantaggio dei familiari affinché non vedano soffrire in modo atroce il proprio caro dopo l'utilizzo dei protocolli farmacologici.
Ho cercato di fare una riflessione questa mattina perché molte volte quando si parla di agopuntura se ne parla come qualcosa di esoterico, come qualcosa di astratto che riguarda la magia. Invece l'agopuntura non è né magia né qualcosa di astratto: lo documentano tutti i lavori scientifici che sono diffusi a livello mondiale e lo documenta anche l'alta professionalità dei medici in Italia che esercitano tale professione e dei medici fuori dalla nostra nazione, che esercitano quest'attività e questa disciplina a livello europeo e mondiale e la utilizzano con grande professionalità e con grande beneficio per coloro i quali ne hanno e ne avessero eventualmente bisogno. Questa è la riflessione che ho voluto svolgere illustrando l'ordine del giorno da me presentato per pregare il rappresentante del Governo di tenere in giusta considerazione quanto sto dicendo e l'ordine del giorno da me presentato. Infatti nel caso in cui il riferimento all'agopuntura non potesse essere inserito all'interno del provvedimento riguardante le cure palliative, almeno si dia ad essa un minimo di riconoscimento e vi sia un'apertura sotto il profilo olistico, sotto il profilo di una cura di altra natura, un'apertura a trecentosessanta gradi che non corrisponde a quella mentalità che questa mattina sottoponevamo alla vostra attenzione, quella dei medici tradizionali che, come dicevamo, hanno una mentalità cartesiana.
È arrivato il momento di aprirci ad una mentalità olistica, ad una mentalità integrativa. Questa disciplina potrebbe essere non alternativa come molti la vorrebbero definire: infatti quando parlo di agopuntura pensano che sia l'alternativa completa Pag. 28alle cure e al protocollo tradizionale, mentre molte volte si tratta di una cura integrativa a quei protocolli utilizzati. Questi protocolli ne potrebbero trarre solo beneficio e, come dicevo prima, ne potrebbero trarre benefici non solo i pazienti, ma l'umanità. Riconoscendo l'agopuntura come tecnica e disciplina ad integrazione dei protocolli terapeutici sicuramente oggi faremo qualcosa di importante nell'interesse della nostra collettività e del nostro Paese.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di intervenire, invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sugli ordini del giorno presentati.

FERRUCCIO FAZIO, Ministro della salute. Il Governo accetta l'ordine del giorno Binetti n. 9/624-B/1 purché il dispositivo, che consiste di tre capoversi, sia riformulato prevedendo per il primo capoverso del dispositivo la sostituzione con le parole: «a promuovere d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca un riconoscimento dell'attività formativa» e così via e per il secondo capoverso la soppressione, mentre il terzo capoverso resterebbe invariato.
Il Governo accetta l'ordine del giorno Mura n. 9/624-B/2 e accoglie come raccomandazione l'ordine del giorno Palagiano n. 9/624-B/3.
Il Governo accetta l'ordine del giorno Scilipoti n. 9/624-B/4 purché il dispositivo sia riformulato nel modo seguente: «impegna il Governo a prevedere l'utilizzo dell'agopuntura nel campo della terapia del dolore».
Il Governo, infine, accetta l'ordine del giorno Livia Turco n. 9/624-B/5.

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori accettano la riformulazione e non insistono per la votazione dell'ordine del giorno Binetti n. 9/624-B/1, accettato dal Governo, purché riformulato.
Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione degli ordini del giorno Mura n. 9/624-B/2, accettato dal Governo e Palagiano n. 9/624-B/3, accolto dal Governo come raccomandazione.
Prendo atto che il presentatore accetta la riformulazione e non insiste per la votazione dell'ordine del giorno Scilipoti n. 9/624-B/4, accettato dal Governo, purché riformulato.
Prendo atto, infine, che i presentatori non insistono per la votazione dell'ordine del giorno Livia Turco n. 9/624-B/5, accettato dal Governo.
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 624-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Calgaro. Ne ha facoltà.

MARCO CALGARO. Signor Presidente, noi del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia preannunciamo il nostro voto favorevole alla proposta di legge in esame e vorremmo fare qualche considerazione nel corso di questa dichiarazione di voto. La prima è che si è ben lavorato su questa proposta di legge: noi esprimiamo un giudizio favorevole su come si è lavorato in Commissione, su come si è lavorato insieme, fra i componenti di entrambi gli schieramenti, per produrre una proposta di legge che secondo noi introduce e formalizza innovazioni importanti nel Sistema sanitario nazionale. Intanto è una proposta di legge che ci riporta ad una maggiore umanizzazione della sanità, che riporta al centro il malato e la sua famiglia nella fase terminale della vita. Quindi ci pare un provvedimento che, anche nei principi ispiratori, è un passo in avanti ed è un riscoprire la persona al centro delle cure sanitarie.
I principi che vengono formulati con molta chiarezza ci convincono: sono la tutela della dignità e dell'autonomia del malato, la tutela e la promozione della qualità della vita fino al suo termine, l'integrazione sanitaria e socio assistenziale per porre al centro il malato e la sua famiglia. Questi principi dichiarati e posti Pag. 29all'interno di una legge ci rassicurano e ci convincono. Ci convince anche il fatto che si istituiscano due reti separate ma complementari con il provvedimento in esame: la rete per le terapie palliative e la rete per le terapie del dolore.
È importantissimo il fatto che sia prescritta l'integrazione delle due reti a livello regionale e nazionale e soprattutto la loro uniformità su tutto il territorio nazionale. Proprio questo è ciò che ci preoccupa: andrà fatto un grandissimo lavoro affinché le terapie palliative vengano portate davvero alla possibilità di un reale utilizzo da parte del malato e della sua famiglia e soprattutto si eviti il pericolo - che è ingravescente in questo momento - che all'interno del nostro Paese si creino sistemi sanitari di fatto differenziati, alcuni di alto livello e che garantiscono cure anche nella fase terminale della vita a tutti di alto livello, altri all'interno dei quali è difficile riuscire ad arrivare a sfruttare le opportunità che vengono in teoria offerte da questa legge.
Importantissimo, secondo noi, è che l'attuazione dei principi della legge costituisca un adempimento regionale ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del Sistema sanitario nazionale a carico dello Stato. Questo a noi pare un nodo fondamentale proprio per essere di stimolo affinché tutte le regioni uniformemente facciano partire l'applicazione e la messa in atto del provvedimento in esame.
Rimangono punti di debolezza: è debolissima perché non finanziata in pratica per nulla la parte riguardante le campagne informative ai malati ed ai parenti, è finanziata in modo sinceramente risibile.
È importante ancora che si definisca un sistema tariffario di riferimento per le attività erogate dalle due reti, perché in questo modo, nell'attuale situazione di assoluta disomogeneità sul territorio nazionale delle prestazioni fornite e delle strutture presenti negli ospedali e sul territorio, si pongono le basi per una maggiore omogeneizzazione e soprattutto per la possibilità oggi resa difficoltosa di ricovero, nelle regioni ricche di strutture, di pazienti provenienti da altre regioni. Quindi, questo è un punto importante del provvedimento in esame.
Vi è ancora in un articolo di questa legge il rifinanziamento del progetto «Ospedale territorio senza dolore». Noi riteniamo assolutamente importante questa decisione, ma è ridicolo per la sua entità il finanziamento che viene concesso. Quindi è di nuovo un buon principio, una dichiarazione di assoluta buona volontà, ma non finanziata per niente. Insomma, è chiaro che il finanziamento del provvedimento in esame andrà rivisto ed a ciò presteremo grande attenzione.
Inoltre bisogna prestare grande attenzione all'individuazione dei percorsi formativi riguardanti le intere equipe di coloro che si occupano di cure palliative, quindi medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali, volontari.
Sono stabiliti dei principi che richiedono un'attuazione: bisognerà vigilare anche su questo aspetto, affinché in Italia sia strutturato un percorso formativo di livello e, soprattutto, verificato, in modo che le strutture che si formeranno siano composte da personale ad elevata ed incrementale professionalità.

PRESIDENTE. Deve concludere.

MARCO CALGARO. Vogliamo ancora condividere il fatto che nel provvedimento in oggetto è previsto un monitoraggio costante...

PRESIDENTE. Onorevole Calgaro, deve concludere.

MARCO CALGARO. ...sia a livello regionale che nazionale. Signor Presidente, le chiedo ancora un minuto.
Riteniamo che la modifica apportata al Senato in termini di prescrivibilità degli oppiacei sia certamente da ripensare in prospettiva, perché limita la libera prescrivibilità ai soli medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale, escludendo i medici che operano all'interno delle strutture private. Mi limito a ricordare che in Paesi come la Germania, la Francia, la Pag. 30Gran Bretagna, gli Stati Uniti e il Canada, ogni medico può prescrivere sul proprio ricettario ogni farmaco antidolore.
In conclusione, a nostro avviso, questo non è solo un provvedimento «manifesto» - altrimenti, non lo avremmo adottato -, ma un provvedimento che consente al Sistema sanitario nazionale di compiere un importante passo in avanti. Tuttavia, esso è carente sotto due punti di vista: quello relativo al finanziamento e quello relativo all'informazione (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palagiano. Ne ha facoltà.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, con senso di grande responsabilità, ci apprestiamo a votare un provvedimento condiviso, caratterizzato da una storia molto particolare, quasi insolita, di collaborazione, in Commissione affari sociali. Tale collaborazione è iniziata con la presenza di un relatore - voglio ricordarlo in Aula -, il professor Scapagnini, con il quale non ho condivisioni di tipo politico o ideologico, ma sicuramente di tipo scientifico: infatti, abbiamo frequentato lo stesso ateneo e, quindi, conosco le qualità scientifiche di quest'uomo. Vi è stata una grande disponibilità da parte del professor Scapagnini prima, e dell'onorevole Palumbo dopo, ad accogliere le istanze dell'opposizione. Non è un caso che l'opposizione, in questo momento, si accinga, con le dovute critiche, a votare a favore del provvedimento in oggetto, tanto atteso dagli italiani.
Con l'intervento di numerosi scienziati ed esperti in Commissione affari sociali abbiamo avuto conoscenza dei problemi che affliggono il mondo dei pazienti e la società italiana. In precedenza, ho dovuto ricordare che, purtroppo, attualmente, siamo al penultimo posto in Europa come approccio al dolore. Sicuramente, vi è una mancanza di cultura: il triste primato di essere l'ultimo Paese europeo in cui si fa uso di oppiacei e si continuano a trattare - secondo la Società italiana di cure palliative e l'Associazione italiana di oncologia - i pazienti affetti da cancro con farmaci antinfiammatori non steroidei, la dice lunga sulla considerazione del dolore che abbiamo ancora in Italia.
È necessario compiere passi in avanti: oggi, l'accesso a farmaci e a preparati con nuove somministrazioni - mi riferisco al cerotto - ha incrementato del 13 per cento le prescrizioni di oppiacei, ma il dato è ancora troppo basso. Secondo la dichiarazione della Società italiana di cure palliative, il problema del dolore oncologico in Italia è ancora totalmente irrisolto.
Avevamo parlato dell'esigenza di una doppia rete, ma, ovviamente, esistono dei finanziamenti. Stiamo accogliendo un provvedimento che sicuramente rappresenta un primo passo: è presente in Aula il Ministro Fazio e credo che da medico prima, e da politico poi, debba fare qualcosa. I fondi sono davvero irrisori: si parla di un milione 650 mila euro per il 2010, e di un milione 300 mila euro per il 2011, fino a scendere, man mano, a 300 mila e 150 mila euro. Con tali fondi dovremmo ammodernare gli hospice e crearne di nuovi nei luoghi in cui non vi sono; dovremmo creare nuovo personale (è prevista la formazione del personale, anche di quello volontario degli hospice) e fornire farmaci. Sono previste diverse misure, ma si comprende bene, se si conosce quanto costa ristrutturare una singola abitazione, cosa si potrà fare con i fondi destinati a tali scopi.
Ci accingiamo a varare un provvedimento che prende in considerazione una realtà italiana: aiutare i pazienti nel «fine vita» e i pazienti che soffrono (faccio spesso riferimento alle donne in quanto, statisticamente, sono quelle che più patiscono il dolore, specialmente dopo i sessantacinque anni). Tuttavia, bisogna fare molto di più.
Avremmo voluto un provvedimento legislativo che avesse la caratteristica della obbligatorietà, in quanto, se esistono molti hospice al Nord e pochi al Sud, vuol dire che esiste una differente sensibilità al problema da parte degli amministratori Pag. 31locali. Pertanto, avremmo voluto che, con questa proposta di legge, il Governo obbligasse o almeno sanzionasse quelle regioni che non sono sensibili al problema o che destinano in altre direzioni quei pochi fondi che il Ministero ha stanziato. Purtroppo, ciò non è previsto, anzi, l'ex comma 5 dell'articolo 3 è stato eliminato al Senato. La ragione la dice lunga: il Governo non può sanzionare una regione perché inadempiente, se prima non le fornisce i mezzi necessari per costruire hospice, per costruire non una, ma, questa volta, due reti, per formare il personale sanitario e parasanitario. In altri termini, prima si danno i fondi e poi si può sanzionare la regione.
Pertanto, si tratta di una forma di ammissione di incompleta disponibilità del Governo al problema del dolore e delle cure palliative, e ci auguriamo che il Ministro Fazio, proprio accogliendo il nostro ordine del giorno, possa destinare qualcosa in più per risolvere i problemi che riguardano la società italiana, in particolar modo le donne.
Preannuncio, dunque, il voto favorevole dell'Italia dei Valori sull'operato di uno studente - il Governo - che avrebbe voluto e avrebbe potuto fare di più, ma si è fermato ai fondi per questa legge.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Scilipoti, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto, vi rinunzia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo unificato approvato in prima lettura in questa sede e modificato al Senato il 27 gennaio scorso, giunge all'esame della Camera dei deputati in seconda lettura. Esso giunge in un momento politicamente difficile, ma vuole segnare un punto positivo, in cui la politica torna ad occuparsi in prima battuta degli interessi dei cittadini, in modo particolare di quelli più fragili, quei cittadini che sono affetti da sindrome di dolore e di dolore grave, o quei cittadini che versano in condizione di pazienti terminali.
Il provvedimento è, per questo motivo, di estrema importanza e colma una grave lacuna nel nostro ordinamento, andando incontro alle esigenze di tutti quanti coloro che fanno dell'assistenza al malato il centro e il punto di convergenza di un'azione professionale, di un'azione sociale e di un impegno familiare.
Attualmente, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, l'assistenza domiciliare sanitaria e sociosanitaria ai pazienti terminali, l'assistenza territoriale, residenziale e semiresidenziale, a favore degli stessi, i trattamenti erogati nel corso del ricovero ospedaliero (quindi, anche per i pazienti terminali) e gli interventi ospedalieri a domicilio costituiscono livelli essenziali di assistenza.
L'obiettivo di questa legge è quello di estendere e approfondire, proprio in chiave di livelli essenziali di assistenza, anche le nuove esigenze che poniamo all'ordine del giorno e che poniamo davvero all'attenzione di tutto il mondo che guarda al dolore e alla sofferenza come un punto di umanizzazione indispensabile per la nostra cultura e per la nostra società.
Stiamo esaminando, in quest'Aula, una delle proposte di legge più attese e più importanti di questa legislatura, la quale contiene più di una svolta per i tanti malati cronici e terminali, costretti spesso a difficili slalom per avere le cure necessarie e per lenire spesso inutili sofferenze.
Sono tre i punti di cambiamento reali su cui mi piace richiamare l'attenzione: il primo riguarda la costituzione della rete che lega gli hospice all'assistenza domiciliare, alla home, alla casa dei pazienti, agli ospedali in senso proprio, come luogo concreto per affrontare gli aspetti più critici e gli aspetti dell'urgenza e dell'emergenza che si possono presentare in questi pazienti.
Ma l'idea di creare una rete che giri intorno al paziente risparmiandogli quella sua sorta di migrazione interna nei vari servizi costituisce già di per sé un capovolgimento della situazione. È il sistema che ruota intorno al malato e non il Pag. 32malato che è obbligato ad una sorta di «satellizzazione» per ruotare intorno al sistema.
Un secondo punto che mi sembra interessante e di innovazione di questa proposta di legge riguarda il fatto che gli enormi e continui progressi della medicina richiedono che il sistema sanitario in prima persona, le università e le società scientifiche si adeguino colmando quanto prima il ritardo della formazione in questi particolari settori. Tutti sappiamo che se vogliamo che il cambiamento si dia e si dia nei fatti è necessario che esso si dia innanzitutto nella mente, nella testa e nel cuore di tutti gli operatori sanitari nel loro arco, che va dai più semplici a coloro che sono chiamati a governare i processi. Vi è bisogno che nella formazione si arrivi ad immaginare modelli diversi di una medicina più fortemente caratterizzata sotto il profilo dell'umanizzazione e forse meno attratta e sedotta dai modelli tecnologici più avanzati che molte volte distraggono dalla relazione di cura.
Un terzo punto che mi sembra importante di questa proposta di legge è quello che assume come assioma il fatto che il dolore deve essere tolto, impegnando in questa campagna tutte le risorse farmacologiche e non farmacologiche di cui si dispone. È una sorta di cambiamento a livello antropologico che ci porta a considerare il dolore come un interlocutore con cui dobbiamo misurarci e fare i conti, ma anche un interlocutore che se possibile dobbiamo accompagnare alla porta perché non sia scomodo e non condizioni negativamente la qualità della vita dei pazienti.
Il dibattito che si è tenuto sul provvedimento, che è stato in larga misura approfondito e condiviso prima alla Camera, poi al Senato e nuovamente qui oggi in quest'Aula, mette in evidenza come le modifiche che il Senato ha inteso apportare a questa proposta di legge sono in molti casi di carattere formale.
Ci sembra che siano soltanto due i punti da cui risulta un intervento che modifica in maniera significativa il provvedimento. Uno riguarda il sistema di controllo e di valutazione, che noi avevamo immaginato posto al di fuori del Ministero, con un Osservatorio in grado di svolgere una funzione terza altamente qualificata e qualificante. Viceversa, nella proposta di legge che è tornata dal Senato questa funzione viene svolta dall'interno del Ministero e quindi, in un certo senso, è una di quelle situazioni in cui controllato e controllore corrono il rischio di avere una mescolanza di funzioni che non è una sufficiente garanzia per il cittadino, a meno che non vi sia una volontà precisa e forte di farsi guidare esclusivamente dal bene del paziente.
Il secondo punto è quello che riguarda la somministrazione dei farmaci oppioidi; è stato più volte segnalato come, attraverso questo provvedimento, può essere destinata ad aumentare e a raggiungere la soglia di consumo a livello europeo. Ma non vi è dubbio, come è stato sottolineato questa mattina anche in alcuni interventi, che a livello dell'immaginario di molte persone vi sia il rischio che questa somministrazione di oppioidi, o comunque questa maggiore quantità di oppioidi in circolazione, possa non essere soltanto posta al servizio del malato, ma possa essere destinata anche ad un uso improprio. Il Senato ha voluto marcare totalmente questo rischio e sottolineare, in maniera, direi quasi ossessiva nel suo puntualizzare costante e continuo, quello che potrebbe essere questo uso improprio e quindi ha voluto rendere impossibile una destinazione che non fosse strettamente farmacologica di questi farmaci. Tutto ciò avrebbe potuto, a nostro avviso, essere risolto anche al di fuori della legge, con una sorta di linee guida appositamente strutturate.
In ogni caso, il testo in esame intende mettere al centro dell'attenzione non la malattia, ma il paziente con tutti i suoi bisogni ed è questo che gli conferisce il valore di modello che sempre di più si va rendendo necessario, dal mondo della formazione, al mondo dell'assistenza fino al mondo dell'organizzazione e della gestione.
In questo senso il malato, soprattutto quello oncologico, viene preso in considerazione Pag. 33con tutti i suoi bisogni, fisici, funzionali, psicologici, assistenziali e sociali, che sono stati riconosciuti e che sono stati affrontati con uno sguardo di insieme che tocca non solo lui ma anche la sua famiglia L'interesse posto anche nella famiglia in questa proposta di legge e, quindi, l'attenzione posta all'aspetto contagioso che il dolore e il disagio possono avere rappresenta, anche questo, un punto di vista importante, perché ci fa considerare la famiglia all'interno del sistema di cura del paziente e ce la fa considerare come una delle risorse più preziose su cui il paziente può contare anche quando, invece, sappiamo che molte volte la famiglia corre il rischio di essere un po' la cenerentola degli interventi politici e degli interventi parlamentari.
Quello che abbiamo trovato particolarmente interessante, anche in questa proposta di legge, è la rilevanza che è stata data alle strutture che ospitano i minori e a quelle che ospitano i soggetti diversamente abili. Sono soggetti che già soffrono - i minori per la loro stessa età e i soggetti diversamente abili perché portatori di una patologia cronica che li colpisce da tempo - e meritano, quindi, un surplus di attenzione, un surplus di dedizione concreta e di risorse, anche non farmacologiche, da parte di un personale altamente qualificato e di strutture capaci di cogliere fino in fondo i loro bisogni.
Secondo il testo, quindi, l'accesso alle prestazioni erogate dalle rete di cure palliative e dalle rete delle terapie contro il dolore è regolato dai principi generali dell'universalità, dell'equità e dell'appropriatezza. Tuttavia, vi è un dato che ci fa sospettare che questi tre principi non vengano presi in considerazione con la dovuta esigenza. Si tratta del dato relativo al censimento stesso degli hospice. Quando veniamo a sapere che ci sono 51 hospice in Lombardia, 5 in Campania e 15 nel Lazio abbiamo l'idea anche della totale difformità con cui è stato preso in considerazione questo tema e, quindi, ci sorge il sospetto che questa universalità, questa equità e questa appropriatezza non siano sufficientemente garantite.
Ci auguriamo che le regioni possano essere in grado di superare questo gap e ci auguriamo che dal Ministero si possa svolgere una funzione di vigilanza seria e severa su questo punto, perché non sia dato ai cittadini, per il solo fatto di essere nati in una regione diversa, di essere considerati una sorta di figliastri all'interno di un sistema che, proprio perché nazionale, vuole garantire tutti e tutto nello stesso modo.
Il testo ha tenuto conto della necessità di un'informazione puntuale e adeguata non solo ai pazienti ma anche alle loro famiglie. Per questo si è puntato molto su una campagna di informazione e di educazione e sulle potenzialità assistenziali delle cure palliative nonché sull'applicazione della terapia del dolore.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PAOLA BINETTI. Si affronta questo provvedimento, quindi, come un provvedimento buono, soprattutto nei principi. Vorremmo, però, che non rimanesse un contenitore vuoto. È stato fatto notare, da molti dei colleghi che mi hanno preceduta, l'importanza riposta nelle risorse, anche quelle economiche e finanziarie, messe a sostegno di questo provvedimento. Ci auguriamo che il Ministro, che ha mostrato grande sensibilità nell'arco di tutto il dibattito, sia capace davvero di garantire questo.
Con questa premessa possiamo assicurare il voto favorevole dell'Unione di Centro e auspichiamo che il provvedimento in esame possa essere approvato con lo stesso clima di condivisione che ne ha accompagnato l'esame in prima lettura e che anche questa mattina abbiamo visto praticamente all'unanimità, dal momento dello spostamento dei punti all'ordine del giorno sino al momento dell'approvazione dei singoli articoli. Si tratta, infatti, di uno dei pochi provvedimenti che questo Parlamento ha approvato, sempre e in ogni suo passaggio, all'unanimità ed è questo che ci rende orgogliosi di esserne i firmatari (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro - Congratulazioni).

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LUCA VOLONTÈ. Brava Paola!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli Ministri, colleghe e colleghi, ci sono momenti in cui la battaglia si ferma e la battaglia democratica si combatte nei telegiornali e nelle piazze. È una battaglia aspra, che colpisce i sensi, che colpisce l'udito e che colpisce con il fumo. Nei momenti in cui però si ferma e il fumo della battaglia diminuisce emergono dei volti.
Oggi la battaglia si è fermata, come dicevano i colleghi, ed emergono i volti di 250 mila persone in questo Paese che probabilmente aspettavano questo provvedimento. Un provvedimento che vale dal punto di vista legislativo, ma che vale molto anche dal punto di vista umano. Si tratta, infatti, di 250 mila persone, 150 mila malati oncologici e tra questi l'80 per cento ha più di 65 anni.
Ma vediamo tra loro anche il volto di 11 mila minorenni. Di questi il 70 per cento oggi non riceve cure adeguate, non ha uno Stato vicino, non ha un medico vicino, non ha forse una politica vicina. Oggi prendiamo per mano queste persone, prendiamo per mano questa categoria e vogliamo vederla in faccia. Nel momento in cui si ferma la battaglia politica e andiamo ad approvare un provvedimento non solo a larga maggioranza, ma credo forse all'unanimità, andiamo a ridare dignità anche al nostro lavoro di operai della politica.
Dicevo che ci sono 250 mila persone che probabilmente negli ultimi tre giorni di vita (almeno nella metà dei casi) non ricevono le cure adeguate, e ciò avviene all'interno dello stivale italiano, perché ricordiamo che sui 114 hospice ci sono regioni che in qualche modo sono state vicino ed hanno investito e speso i soldi che sono stati stanziati dallo Stato ed altre regioni che invece non hanno fatto niente. Vi sono dunque regioni in cui il diritto di essere curati esiste ed altre dove invece non esiste.
Abbiamo chiesto alla comunità sanitaria, ma anche alla comunità politica locale, di prendersi le sue responsabilità. Occorre un'assistenza articolata in hospice, articolata sul territorio, articolata in rete, articolata in assistenza domiciliare. Infatti, ricordiamo che tra i più importanti indicatori di qualità c'è anche il rispetto della volontà del paziente. Oggi il 75 per cento dei malati chiede di morire a casa e vorrebbe delle cure domiciliari e per il 50-60 per cento di questi forse questo non è possibile. Occorre, quindi, una maggiore assistenza sul territorio.
Ma il volto che, dicevo, vediamo oggi - dal momento che ci siamo fermati per poterlo guardare - è quello di tante persone che si rivolgono agli hospice per un periodo ben determinato: 49 giorni. Per 49 giorni gli hospice in media accolgono quelli che sono i nostri genitori, i nostri fratelli, i nostri vicini o, purtroppo, i nostri figli. Sono 49 giorni in cui trovano persone attente e una risposta puntuale molte volte per ridurre il dolore e molte altre per dare sollievo alla famiglia, che è un grande ammortizzatore sociale che troppo spesso trova poche risposte nella classe politica.
Allora vogliamo rispondere anche a quelle lettere che sono arrivate in tempi in cui qualcuno aveva più facilità di accesso. Fa molto più scalpore la voce di qualcuno che chiede di morire, piuttosto che la voce di qualcuno che chiede di essere curato. Ricordiamo Maria, che viene citata in un libro di Mario Melazzini, ma che mentre Welby chiedeva di poter morire, chiedeva con 1.200 firme di poter vivere e scriveva al Capo dello Stato. Maria non ha avuto risposta, ma credo che la risposta oggi la stia dando il Parlamento.
Inoltre, vi sono altre persone che ci chiedono di continuare a vivere, ma hanno una pensione di 6 mila euro l'anno e non riescono a fare fronte a questo. Oggi diamo una risposta (forse parziale in termini economici, ma ricordo che lo sforzo è stato enorme con 150 milioni di euro), ma diamo fondamentalmente una risposta culturale.
Oggi diciamo che la malattia non è una sconfitta, che non esiste una condizione Pag. 35subumana, che non esiste una condizione di cui ci vergogniamo, consciamente o inconsciamente. Infatti, probabilmente inconsciamente noi oggi ci vergogniamo di far vedere una determinata parte della vita, eppure, come diceva Levi Montalcini, tutta la vita ha il diritto di essere vissuta, tutta la vita ha il diritto di avere la propria dignità fino all'ultimo uomo e fino all'ultimo secondo.
Viviamo in un mondo che parla molto spesso delle veline come di un modello: tutte o molte delle nostre figlie vorrebbero fare le veline, oppure c'è il sogno di fare i calciatori, anch'essi assunti come modello.
Ogni anno ci sono più partecipanti al corso per veline che iscritti in tutte le facoltà scientifiche, quindi questo qualcosa lo dice. Non ci vergogniamo delle ambizioni della gioventù, ma vogliamo dire che c'è una parte della vita, che è la malattia, che non è una sconfitta, che può trovare dei momenti alti di condivisione con delle persone al nostro fianco.
Credo che oggi il voto di questa Camera vada verso la condivisione, un diritto di dignità di qualunque fase della vita, che riporta al centro la dignità dell'uomo, che ha ritrovato le diverse culture liberali, socialista e federalista unite con un unico obiettivo.
Per concludere, come diceva Shakespeare nel Macbeth, occorre dare parola al dolore. Il dolore che non parla, sussurra al cuore di finirla, di scoppiare, di estinguersi. Ho concluso, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Livia Turco. Ne ha facoltà.

LIVIA TURCO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, noi abbiamo tenacemente voluto questa legge e il nostro contributo, come ha riconosciuto il Ministro Fazio, è stato determinante. Lo è stato attraverso la presentazione di un disegno di legge - questa è una legge di iniziativa parlamentare - contribuendo alla stesura del testo unificato e poi battendoci per trovare le risorse affinché questa legge non fosse soltanto una legge-manifesto. Abbiamo operato mettendoci dalla parte delle persone e abbiamo tenacemente ascoltato. Idealmente voglio ringraziare i tantissimi medici, infermieri, quegli straordinari volontari, quelle straordinarie ONLUS (strutture del privato sociale), che sono stati i pionieri del nostro Paese: da soli e per primi hanno scritto una pagina straordinaria e ancora poco conosciuta. Questa legge-quadro corona il loro impegno, la loro capacità innovativa, la loro dedizione totale al bene delle persone.
A proposito di persone, voglio dedicare un pensiero ai più piccoli, ai bambini che vivono il tormento di lunghe malattie e di tanto dolore. Voglio sottolineare il valore delle cure palliative pediatriche e dire che sono contenta di aver avuto la possibilità, quando ero Ministro, di promuovere queste cure palliative pediatriche attraverso atti amministrativi. Sono particolarmente contenta di vedere quegli atti ripresi qui e indicati nella legge come livelli essenziali di assistenza.
Abbiamo tenacemente voluto questa legge. Per questo, mi consentano il presidente Palumbo e l'onorevole Di Virgilio di dire qui che siamo stati molto colpiti e amareggiati per le polemiche di cui ieri siete stati protagonisti come se volessimo in qualche modo non affrontare questo disegno di legge. Proprio voi sapete quanto noi abbiamo voluto e quanto siamo affezionati a questa legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Per questo noi voteremo a favore, nonostante i limiti che con molta puntualità le mie colleghe e i miei colleghi hanno questa mattina rappresentato e voglio cogliere l'occasione per ringraziare le colleghe e i colleghi, i deputati e le deputate del Partito Democratico che fanno parte della XII Commissione (Affari sociali) e che hanno condiviso questo sforzo per costruire una pagina di bella politica.
All'onorevole Barani, che non ha perso l'occasione di essere inutilmente polemico, vorrei ricordare la storia istituzionale delle Pag. 36cure palliative (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico): non le abbiamo inventate noi, ma i medici e i volontari straordinari di cui ho parlato prima. Ma c'è una storia istituzionale delle cure palliative, che inizia con la legge n. 39 del 1999, quando il Ministro Rosy Bindi stanziò 500 milioni per gli hospice (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Poi prosegue con l'ospedale senza dolore, Ministro Umberto Veronesi; poi prosegue ancora con i provvedimenti sulle cure palliative pediatriche, sul regolamento che definisce gli standard degli hospice e con le risorse per il patto della salute di cui beneficia anche questo provvedimento. Questi sono fatti che risalgono all'ultimo Governo Prodi. Questi sono fatti: è la storia delle cure palliative nel nostro Paese.
Per questo noi ci siamo molto affezionati, ma non c'è dubbio che questa legge, con il contributo di tutti, con un lavoro condiviso e soprattutto con l'ascolto dei medici, degli infermieri, dei volontari, delle famiglie, questa legge segna un salto di qualità, perché scrive in modo chiaro due grandi valori. Il primo è la dignità delle persone sempre, la dignità della vita sempre; la dignità della vita vale ancora di più quando si sta affrontando la sua fase terminale. Allora è importante che ci sia una legge che parli di rispetto, di accompagnamento, di sostegno; una legge che dica: noi vogliamo dare una carezza a tutti, quel pallium da cui l'espressione cure palliative, il mantello che avvolge. Noi sentiamo la responsabilità, a partire da questa legge, di far sì che quella carezza, quell'accompagnamento, quella presenza sia per tutte le persone, perché la più atroce delle disuguaglianze, la più cruda, la più ingiusta, è quella nei confronti della morte, il fatto di avere delle persone accanto con la possibilità di essere seguiti sulla base del reddito e non sulla base della dignità della persona. Per noi le cure palliative vogliono dire questo: impegno a promuovere la dignità della vita sempre e per tutte le persone, facendo in modo che nessuno sia solo di fronte alla malattia. Per questo è importante quella rete, e non soltanto gli hospice, per questo è importante il team professionale, per questo sono importanti le cure palliative a domicilio.
L'altro grande valore scritto nella legge è quello di poter vivere la malattia senza sofferenza, combattendo il dolore. Noi proseguiremo la nostra battaglia, anche culturale oltre che concreta, per affermare la sfida contenuta nelle cure palliative: quel nuovo paradigma che innova la medicina e il sistema sanitario, quello che viene definito un approccio olistico per cui ciò che conta è la persona, la sua storia, le sua relazioni, la sua dimensione umana profonda: la persona e non la malattia; poi c'è la competenza della persona malata che deve essere ascoltata; la relazione di fiducia tra medico e paziente; la continuità assistenziale. Questa è la grande sfida contenuta in questa legge che noi faremo di tutto per affermare concretamente nel Paese e ci auguriamo che questi valori, dignità della persona, relazione di fiducia tra medico e paziente, umanizzazione della medicina, presa in carico della persona, siano presenti anche, scritti in modo netto, nella legge sul testamento biologico.
Noi vigileremo sull'applicazione di questa legge, daremo battaglia per le risorse; apprezziamo che il Ministro abbia accolto l'ordine del giorno che abbiamo presentato su questo aspetto. Daremo battaglia e soprattutto continueremo a dare battaglia affinché si affermi nel nostro Paese il valore della dignità della persona. Continueremo a dare battaglia perché davvero nessuno si trovi solo di fronte alla malattia, la grande sfida di questa importante legge che oggi approviamo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, ovviamente ringrazio i relatori, il primo, Umberto Scapagnini, e il secondo, il presidente Palumbo, che sono riusciti a portare Pag. 37alla fase conclusiva dell'esame di questa Camera l'importante testo unificato che ha visto unanimemente questo ramo del Parlamento approvarlo nell'ottobre 2009. Il testo unificato ha poi proseguito l'esame al Senato ed è arrivato a noi oggi con un iter che ha portato ad un grande confronto fra le varie forze politiche, un confronto serrato, costruttivo, che ha consentito di tener conto delle proposte e dei suggerimenti degli esponenti dei diversi schieramenti, in modo da poter giungere all'approvazione di un testo il più possibile condiviso. Tuttavia, onorevole Turco, questo è un testo che, una volta approvato da questo ramo del Parlamento e promulgato dal Presidente Napolitano porterà tre firme: quella del Presidente Berlusconi, e non di Prodi, quella del Ministro Fazio e non del Ministro Turco, quella del Ministro dell'economia Tremonti e non di Padoa Schioppa (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Questa è la realtà, perché nella precedente legislatura il presidente Marino ha tenuto imboscata per due anni questa proposta che non ha mai seguito l'iter cui doveva essere sottoposta, iter che questa volta siamo riusciti a seguire. Vi diamo atto del fatto che avete lavorato bene con noi, avete lavorato seriamente e concretamente, ma siamo arrivati ad un grande risultato, senza polemiche, però ci siamo arrivati. Penso alle 250 mila famiglie che stanno aspettando questa legge, penso a quegli 11 mila bambini, ragazzi, fanciulli, il 50 per cento dei quali è affetto da tumore, che aspettano questa importante legge e che forse domani potranno usufruire di tutti i benefici in essa previsti.
La proposta di legge, infatti, tratta una questione caratterizzata da un'urgenza estrema, ponendo alcuni principi fondamentali in tema di cure palliative e di terapie del dolore, intendendosi con il termine «cure palliative» le cure multidisciplinari per i pazienti affetti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e di cui la morte è diretta conseguenza. Si tratta, infatti, di assicurare un'assistenza adeguata e mirata ai pazienti che si trovano in particolari condizioni, non soltanto fisiche, ma anche psicologiche, garantendo ad essi e alle loro famiglie la presenza e l'efficiente organizzazione di strutture specialistiche dotate di personale con competenze specifiche, nonché la somministrazione di idonee terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, vale a dire di tutti gli interventi rientranti in un moderno concetto di terapia del dolore. Per la prima volta in Italia nasceranno centri pediatrici con operatori qualificati per le cure palliative di quei sfortunati ragazzi che hanno bisogno di questa legge.
Nel complesso il provvedimento è diretto a introdurre alcuni principi e linee guida omogenee su tutto il territorio nazionale per quanto attiene all'erogazione dell'assistenza che abbiamo inserito nei LEA, ossia nei livelli essenziali di assistenza, perché altrimenti ci siamo accorti che le regioni non avevano quella sensibilità che questo problema merita e meritava anche nel passato. Mi riferisco alla formazione del personale impiegato nel settore, all'uso di farmaci per la terapia del dolore, al monitoraggio sull'attuazione delle nuove disposizioni e di quelle preesistenti da parte delle regioni e dei soggetti impegnati in tale ambito. La proposta di legge definisce le cure palliative e le terapie del dolore «obiettivi prioritari del Piano sanitario nazionale», dettando anche disposizioni idonee ad assicurare standard omogenei di cure in tutto il Paese.
Quella che stiamo per approvare è quindi una legge fortemente attesa sia dai pazienti e dalle loro famiglie, sia dagli operatori del settore. Va anche tenuto conto che nel prossimo futuro, considerando l'aumento dell'età media della popolazione e la circostanza che le malattie croniche incurabili insorgono più frequentemente in età avanzata, un numero più elevato di persone necessiterà di maggiore assistenza nella fase terminale dell'esistenza. La comorbilità, vale a dire la presenza concomitante di più malattie nella stessa persona, si affermerà sempre più frequentemente come fenomeno caratteristico dell'invecchiamento e renderà molto più complesse le cure. Pag. 38
Ma anche pazienti più giovani affetti da malattie gravi come tumori, disturbi neurologici e patologie croniche necessitano solamente di un'assistenza medica e infermieristica completa e protratta nel tempo. In tal senso va sottolineato che le nuove norme, oltre a promuovere l'attivazione e l'integrazione delle reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore, rimettono ad un accordo Stato-regioni l'individuazione delle figure professionali con specifica competenza ed esperienza in tali ambiti, anche per l'età pediatrica. Ciò è previsto con particolare riferimento ad alcune categorie espressamente individuate tra le quali i medici di medicina generale, gli specialisti in anestesia e rianimazione, gli specialisti in geriatria, neurologia, oncologia, radioterapia, pediatria, nonché psicologi e assistenti sociali. Dunque, una vasta gamma di professionisti qualificati ad assistere i pazienti in tutti gli stadi e in tutte le conseguenze della patologia ed in grado di fornire un supporto adeguato anche ai familiari che spesso sopportano un carico emotivo e fisico non indifferente. L'approvazione della proposta di legge che stiamo esaminando rappresenta, dunque, un grande esempio di civiltà, un deciso passo in avanti verso l'umanizzazione e l'efficacia delle cure e un progresso in linea con gli sviluppi futuri della società.
In conclusione, il Parlamento compie, dunque, oggi un gesto importante per la modernizzazione del Paese, mettendolo in grado di competere con i migliori sistemi sanitari europei e mondiali nell'assicurare ai suoi cittadini il diritto ad un'adeguata assistenza anche nella fase terminale dell'esistenza. Si prevedono anche oltre 150 milioni di euro, a cui possono accedere le regioni per attivare gli interventi, con la speranza che ovviamente le regioni lo facciano seriamente e serenamente. Per tutte queste motivazioni, il gruppo del Popolo della Libertà voterà favorevolmente e con un pensiero e con una dedica rivolti a Papa Pio XII che 53 anni fa, il 24 febbraio del 1957, partecipando al primo congresso della società italiana di anestesiologia, nel suo intervento aveva chiesto, sue parole, una legge che prevedesse: «per combattere il dolore anche l'uso di narcotici». Oggi questa sua speranza è diventata realtà con una legge che verrà immediatamente usufruita da oltre 260 mila persone in Italia. Con questa motivazione e con tutto quello che ho detto in premessa noi riteniamo che la vita è un'autentica meraviglia e come tale deve essere vissuta fino alla fine, proprio come concetto laico (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, intervengo per unirmi a tutti i colleghi, al di là delle polemiche, per esprimere la mia soddisfazione per l'approvazione di questa proposta di legge. Lo dico da medico che ha operato per oltre 38 anni negli ospedali romani e che ha visto troppe sofferenze che non trovavano risposte adeguate e troppe famiglie disperate che non sapevano a chi e dove affidare i loro malati terminali. Lo voglio dire da cattolico come sono perché sono felice, in quanto oggi con questo provvedimento diviene più concreta e possibile la soppressione del dolore desiderata da tanti pontefici come ha ricordato poco fa il collega Barani. Lo dico da parlamentare perché tutti ci siamo impegnati, specialmente nella Commissione affari sociali in un modo splendido e al di là delle proprie ideologie, affinché il nostro Paese avesse una legge che ci ponesse all'avanguardia in Europa. Ciò anche per uno sguardo e un'attenzione particolare alle sofferenze di tanti bambini in fase terminale che oggi sono poco curati e poco adeguatamente assistiti. Grazie Presidente e grazie a tutta l'Aula che ha contribuito all'approvazione di questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il relatore, presidente della XII Commissione, onorevole Palumbo. Ne ha facoltà.

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GIUSEPPE PALUMBO, Relatore. Signor Presidente, voglio ringraziare tutta la Commissione, maggioranza e opposizione, per l'approvazione di questo provvedimento che è di grande importanza. Sono molto contento che oggi finalmente si riesca a concludere questo iter che, come è stato detto, è stato a volte anche burrascoso, però sempre vivace e finalizzato a questi pazienti e ai loro familiari. Mi permetta, Presidente, di dire che sono anche colpito e amareggiato perché tra ieri e oggi sono stato accusato di scorrettezza politica, di malafede e quant'altro.
Di scorrettezza politica e di malafede perché ho voluto fortemente che il provvedimento in esame venisse approvato in questi due giorni e non venisse trascinato a dopo le elezioni regionali. Se essere politicamente scorretti e in malafede ha portato a questo sono ben felice e me ne assumo tutte le responsabilità.
Vorrei, inoltre, ringraziare sia il Ministro e i suoi collaboratori per il grande apporto che ci hanno dato, sia tutti gli uffici che hanno collaborato fortemente alla stesura del testo.
Infine, permettetemi anche di ricordare l'amico Umberto Scapagnini, per me collega di università da oltre trent'anni, che sperava di essere presente oggi in quest'Aula, ma purtroppo non c'è, che è stato l'iniziatore di questo provvedimento nella stesura del primo testo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Argentin. Ne ha facoltà.

ILEANA ARGENTIN. Signor Presidente, intervengo per dichiarazione di voto a titolo personale. Mi asterrò dal votare questa legge, perché credo che sia un alibi per molti, nel senso che una legge che non ha dietro i soldi per essere garantita e rispettata non ha motivo di essere. Siccome di leggi quadro in questo Paese ne abbiamo tante, ma non ci sono i soldi che concretizzano e realizzano poi i servizi veri, io personalmente, a nome di tutte le persone che realmente soffrono e non di quelle che si conoscono per caso, mi asterrò.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 624-ter-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta di legge n. 624-635-1141-1312-1738-1764-ter-1830-1968-ter-B, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Onorevoli Sardelli, Lanzillotta, Verini, Barbareschi, Scalia, Pizzolante e Girlanda...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia - Applausi).

(Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore) (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (624-635-1141-1312-1738-1764-ter-1830-1968-ter-B):

(Presenti 478
Votanti 476
Astenuti 2
Maggioranza 239
Hanno votato
476

Prendo atto che i deputati Leoluca Orlando, Cesare Marini e Scilipoti hanno segnalato che sono riusciti ad esprimere voto favorevole, che il deputato Vessa ha segnalato che non è riuscito a votare e che il deputato Cera ha segnalato di essersi astenuto mentre avrebbe voluto esprimere voto favorevole.

Pag. 40

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 3082 e 3083.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Memorandum d'Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana concernente l'apertura dell'Ufficio «Indonesian Trade Promotion Center» (ITPC), fatto a Jakarta il 10 marzo 2008 (A.C. 3082) (ore 16,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Memorandum d'Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana concernente l'apertura dell'Ufficio «Indonesian Trade Promotion Center» (ITPC), fatto a Jakarta il 10 marzo 2008.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3082)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, presidente della III Commissione, onorevole Stefani, ha facoltà di svolgere la relazione.

STEFANO STEFANI, Relatore. Signor Presidente, ci conosciamo da più di quindici anni e mi chiama ancora Stefàni. Ormai ci rinuncio.

PRESIDENTE. Ho amici che da più di vent'anni mi chiamano ancora «Buttiglione».

STEFANO STEFANI, Relatore. Colleghi, il Memorandum al nostro esame risponde alle esigenze di una maggiore cooperazione italo-indonesiana nei campi dell'economia e del commercio. L'Accordo consente la formalizzazione delle aspettative verso l'apertura di una serie di rapporti commerciali con la Repubblica indonesiana, inserendosi nell'ambito di un auspicabile allargamento delle relazioni economiche bilaterali. Occorre, infatti, tenere presente che l'Italia sconta, in un mercato particolarmente complesso come quello indonesiano, la vicinanza dell'Indonesia ai due colossi asiatici, Giappone e Cina. La quota italiana purtroppo si attesta solamente all'1 per cento e sta risentendo negativamente degli effetti della crisi mondiale, che in questo panorama ha fatto calare di circa un terzo le esportazioni.
Si notano, tuttavia, positivi progressi compiuti soprattutto negli ultimi due anni da parte degli operatori italiani, grazie a una più incisiva azione di sostegno da parte istituzionale. Non v'è dubbio che la ratifica di questo Accordo va nella giusta direzione, creando un clima normativo favorevole allo sviluppo dei rapporti commerciali.
Quanto al contenuto del Memorandum d'intesa, esso si articola in un Preambolo e 9 articoli.
Con l'articolo 1 si stabilisce l'apertura a Milano dell'ufficio «Indonesian Trade Promotion Center» (ITPC) e, in base al principio di reciprocità, l'eventuale istituzione di un centro di promozione commerciale in una città indonesiana a scelta del Governo italiano, per cui sarà comunque necessario un ulteriore provvedimento legislativo.
Le attività che l'ITPC dovrà intraprendere consistono nella pubblicizzazione e introduzione in Italia di prodotti di industrie indonesiane, nell'assistenza alle missioni commerciali da e per l'Indonesia, nello scambio di informazioni utili al miglioramento del commercio indonesiano, Pag. 41nella conduzione di ricerche e studi, nell'agevolazione della cooperazione tecnica, incluso il trasferimento di tecnologia concernente il commercio.
Noi ci auguriamo che la reciprocità sia applicata al più presto perché, altrimenti, si tratterebbe di aprire le porte a un nuovo competitor per i nostri prodotti. All'ITPC viene riconosciuta personalità giuridica, mentre il suo personale non godrà di uno status diplomatico o consolare, ma avrà l'assistenza del Governo italiano per l'ottenimento di visti appropriati per i soggetti che non sono cittadini italiani e residenti permanenti in Italia.
Rileva osservare che l'articolo 6 stabilisce che l'ITPC collabori con le autorità italiane competenti per prevenire, in territorio italiano, gli abusi commessi con le facilitazioni derivanti dall'Accordo in esame.
Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Memorandum d'intesa si compone di tre articoli, dei quali il primo reca l'autorizzazione alla ratifica propriamente detta, il secondo l'ordine di esecuzione dell'Accordo nell'ordinamento interno, il terzo la previsione dell'entrata in vigore della legge di autorizzazione il giorno successivo alla pubblicazione del medesimo nella Gazzetta Ufficiale.
Il disegno di legge non reca alcuna norma di copertura finanziaria perché la relazione introduttiva al disegno di legge asserisce che l'attuazione dell'Accordo non comporta nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, in quanto, come accennato, l'eventuale apertura di un centro di promozione commerciale italiano in altra città indonesiana, previsto come eventualità dall'articolo 1 dell'Accordo, avverrà con l'approvazione di un apposito provvedimento legislativo.
Conclusivamente, si auspica che tale opportunità possa presto concretizzarsi perché l'attuazione del presente Accordo possa considerarsi veramente compiuta.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LAURA RAVETTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, il Memorandum di cui discutiamo oggi la ratifica è un segno - spiace dirlo, ma è così - di dinamismo della Repubblica indonesiana che il nostro Paese non ha ovviamente ragione di ostacolare, e a cui il nostro Parlamento non ha ragione di opporsi, ma che tuttavia va segnalato perché dovrebbe spingerci ad interrogarci, a svolgere politiche commerciali più attive e ad una presenza più efficace in Indonesia.
Com'è stato fatto presente dal relatore, il memorandum riguarda l'apertura di un centro di promozione commerciale dell'Indonesia a Milano. Il compito di questo ufficio è ovviamente quello di promuovere le esportazioni indonesiane in Italia, compiendo tutte quelle attività conoscitive dei mercati e delle normative italiane che possono servire allo scopo, e assistendo le stesse autorità diplomatiche dell'Indonesia in Italia.
La reciprocità, prevista dal Memorandum, e che prevede la possibilità per l'Italia di aprire un centro analogo in Indonesia, in una città di nostra scelta, è al momento una mera eventualità, in quanto non esiste un progetto concreto in tal senso. Si tratterebbe di un progetto che peraltro per essere realizzato richiederebbe spese ed investimenti che non paiono all'ordine del giorno qui da noi nell'attuale congiuntura di finanza pubblica; anche se mi chiedo se una tale iniziativa dovrebbe poi per forza avere un carattere pubblico.
Comunque, ci viene segnalato che l'Italia è già presente in Indonesia con una sede dell'Istituto per il commercio estero. Non so se tale presenza di promozione commerciale sia sufficiente, né se sia soddisfacente quanto ad efficacia. Quello che è il caso di rilevare in sede parlamentare, facendo tesoro, forse, di questa occasione, è che l'Indonesia è un Paese davvero Pag. 42importante e forse non adeguatamente valorizzato nel nostro sistema di relazioni, con potenzialità grandi, e che vede attualmente un interscambio non enorme in volume, nettamente a favore della parte indonesiana.
Mi permetto qualche nota sull'Indonesia che è un gigante con circa 250 milioni di abitanti (di cui circa l'88 per cento sono mussulmani, l'8 per cento cristiani, e poi vi sono hindu e buddisti) distribuiti su un arcipelago di oltre 13.500 isole con una superficie che è il sestuplo di quella italiana.
L'Indonesia è un Paese in forte sviluppo, ancora relativamente povero, se si pensa che con una popolazione che è oltre il quadruplo dell'Italia, ha un PIL che è circa un terzo di quello del nostro Paese.
L'Indonesia è anche un Paese che sperimenta una vita democratica articolata e complessa da quando fu rovesciata nel 1998 la dittatura di Suharto. Il 2009 è stato un anno di elezioni per il Parlamento e per il Presidente della Repubblica.
Il quadro politico emerso da queste elezioni sembra consolidare la democrazia indonesiana con un prevalere complessivo dei partiti laici su quelli religiosi e delle tendenze civili su quelle militari.
Il successo alle elezioni parlamentari di aprile del Partito Democratico indonesiano ha trainato l'elezione diretta del leader di quel partito, l'attuale Presidente Susilo Bambang Yudhoyono, candidato del suo partito e di un altro partito rappresentato in Parlamento, secondo un metodo di selezione delle candidature presidenziali che presuppone un sostegno preliminare, in sede parlamentare, piuttosto complesso e non privo di interesse.
Si tratta di risultati importanti per un Paese che deve affrontare tensioni religiose, movimenti separatisti e il conflitto sanguinoso, con uno strascico di crimini, con Timor Est.
Comunque, l'Indonesia si è mostrata meno esposta alla recessione globale rispetto agli altri Paesi asiatici: la sua economia è cresciuta del 4,2 per cento su base annua nella prima metà del 2009; presenta una politica di incentivi pubblici e di investimenti infrastrutturali; mantiene un trend vivace di crescita dei consumi privati; sono deboli gli investimenti; i tassi di interesse sui prestiti sono bassi; le società nazionali hanno incontrato difficoltà nell'ottenere capitali.
Prima della crisi finanziaria le società nazionali indonesiane non finanziarie ottenevano il 50 per cento dei loro finanziamenti dall'estero.
La crisi globale incide sulle esportazioni, che sono in netto rallentamento, e sulle importazioni, in calo a causa della diminuzione dei prezzi del petrolio e della riduzione degli investimenti nazionali.
Il surplus commerciale dell'Indonesia dovrebbe comunque diminuire leggermente nel 2009. I prezzi, saliti in media intorno al 10 per cento nel 2008, si sono parecchio raffreddati l'anno scorso.
L'Indonesia gode di un'economia assai bilanciata e i principali motori dello sviluppo rimangono le risorse naturali, il petrolio, il gas naturale, le risorse minerarie e le enormi piantagioni tropicali, che consentono alla nazione indonesiana un notevole afflusso di valuta pregiata. L'agricoltura è di vitale importanza. La percentuale di PIL cui contribuisce l'agricoltura comunque è diminuita da quando l'Indonesia si è industrializzata; all'inizio degli anni Settanta vi contribuiva per il 40-50 per cento del PIL, dal 2006 tale percentuale è scesa al 14,1 per cento. Siamo, quindi, di fronte ad un Paese sostanzialmente moderno.
I principali prodotti agricoli sono il riso, il tè, il caffè, le spezie e la gomma. Il settore manifatturiero ha iniziato ad espandersi rapidamente a partire dalla metà degli anni Ottanta, e nel 1991 la percentuale del PIL manifatturiero ha superato quella del settore agricolo.
Veniamo all'interscambio commerciale dell'Italia con l'Indonesia. Lo accennavo prima, il nostro Paese tradizionalmente acquista il doppio di quello che vende in termini di volume. Il saldo commerciale è dunque tradizionalmente in negativo. L'aumento delle nostre importazioni dall'Indonesia Pag. 43si giustifica come conseguenza di acquisti divenuti più a buon mercato dal Paese asiatico.
Nel triennio 2004-2006 si conferma lo stesso andamento sia dell'import che dell'export, con un saldo a meno 800 milioni di euro circa nel 2006. I prodotti che l'Italia acquista sono carbon fossile, apparecchiature per la radiodiffusione ed altro; crescono gli arrivi di calzature, suole, tacchi di gomma e di plastica, prodotti della torcitura, frutta, e prodotti per la preparazione di bevande; derivati del petrolio miscelati il cui import, dopo il boom del 2004, è invece sceso nel 2005 e ripreso nel 2006.
Risulta in flessione dall'Indonesia l'import di pasta - carta e di legno tagliato.
Per quanto riguarda le nostre esportazioni, i prodotti commercializzati sono prevalentemente i macchinari. Si è registrato un notevole incremento dell'export di turbine idrauliche e termiche e di pompe, compressori e sistemi idraulici, mentre risulta in calo l'export di macchine automatiche per il dosaggio, la confezione e l'imballaggio, di macchine per la lavorazione delle materie plastiche, e di macchine per la lavorazione di prodotti alimentari, delle bevande e del tabacco.
Infine, risulta positiva invece la crescita costante nel triennio delle esportazioni di macchine da miniera, cava e cantieri, rubinetti, valvole. I dati più recenti, riferiti al 2008, ci indicano esportazioni per 618 milioni di euro a fronte di importazioni per 1,78 miliardi di euro, con un deficit per l'Italia di 1,16 miliardi.
Vi sono alcuni accordi sulla promozione e la protezione degli investimenti e un trattato sulla doppia imposizione. In questo quadro ritengo possibile dire che vi sarebbero forse spazi per una politica di cooperazione commerciale e di presenza commerciale italiana in Indonesia più attiva e con risultati che intervengano a bilanciare e a modificare in senso positivo lo squilibrio attuale.
Con queste osservazioni e con queste sollecitazioni al Governo preannuncio il voto favorevole del Partito Democratico alla ratifica del provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Memorandum d'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana per la promozione del commercio tra i due Paesi attraverso l'apertura dell'ITPC risponde nei fatti all'esigenza già espressa nel 1973. Entrano quindi sempre in ballo i ritardi rispetto alle ratifiche e agli impegni concreti che il nostro Parlamento e i nostri Governi avrebbero dovuto prendere nel tempo con grande celerità per non perdere una serie di occasioni di carattere economico e commerciale soprattutto per le imprese che sono impegnate nell'export e nei rapporti internazionali.
Dunque, ritengo che le due delegazioni, quella indonesiana e quella italiana, che sono chiamate a cooperare nei campi dell'economia e del commercio, debbano entrare a far parte di una relazione internazionale molto più forte, che tenga stretto il rapporto, l'intensità e gli interessi tra l'Italia e l'Indonesia.
Il Memorandum consente la formalizzazione delle aspettative verso l'apertura di una serie di rapporti commerciali con la Repubblica indonesiana, inserendosi nell'ambito di un auspicabile allargamento delle relazioni economiche di carattere bilaterale.
Ricordo che all'interno del Memorandum si stabilisce anche l'apertura a Milano di un ufficio dell'ITPC in base al principio della reciprocità, con l'eventuale istituzione di un centro di promozione commerciale in una città indonesiana a scelta del Governo italiano. Evidentemente ciò pone un problema di carattere «intrusivo» rispetto ad alcune situazioni già consolidate all'interno delle esperienze bilaterali a livello internazionale. Noi siamo infatti già presenti in Indonesia, così come in tutto il mondo, con i nostri uffici dell'ICE; quindi non si riesce a capire in Pag. 44che modo e in che misura si possano introdurre elementi di presunta innovazione all'interno del panorama della promozione commerciale dell'Italia, quando a Giacarta - lo ricordo - è già presente un ufficio dell'ICE che sta facendo da sempre in maniera egregia il proprio tipo di lavoro, che è quello della promozione, inserendo gli interessi compositi della nostra economia, delle nostre piccole e medie imprese e del nostro made in Italy.
Bisognerebbe dunque capire - e ce lo diranno gli eventi e i fatti successivi - se questi possano essere elementi di integrazione o di disturbo rispetto ad azioni e declinazioni già in atto e alle iniziative che il nostro Istituto per il commercio con l'estero ha portato avanti con profitto in tutti questi anni.
Altro elemento che mi riservo di valutare e di cui chiedo una valutazione anche al Governo riguarda in che modo e in che misura il Governo abbia qualificato e quantificato l'entità della reciprocità di carattere commerciale tra Indonesia e l'Italia. Mi sembrano prerogative fondamentali laddove si mettono in campo elementi così forti. Lo ricordava l'onorevole Barbi: abbiamo a che fare con un Paese che ci può offrire stabilità e grande opportunità di carattere economico e commerciale, un Paese che ha 250 milioni di abitanti e che, se visto nella prospettiva positiva e propositiva, evidentemente ha bisogno di una standardizzazione della nostra presenza e della nostra offerta, che non possono essere lasciate al caso in maniera così improvvisata. Credo che rispetto a questi elementi sia necessario trovare una quadratura del cerchio, perché rappresenta per noi in quel contesto una grandissima opportunità che dobbiamo cogliere attraverso tutte le nostre competenze e le nostre esperienze.
Ritengo che l'ICE e nessun altro tipo di struttura e di organizzazione possa andare lì. Anzi ritengo che l'ICE debba essere potenziato e debba essere soppressa l'ipotesi, scritta nell'articolo 2 del Memorandum, di un ulteriore ufficio da istituire, non a Giacarta, ma in un altro contesto all'interno dell'Indonesia. Quindi, è opportuno potenziare fortemente l'ICE e attribuirgli un ruolo fondamentale anche nella prospettiva di nuove ed ulteriori sfide nel panorama internazionale.
Ricordo, peraltro, che il disegno di legge non reca alcuna norma di copertura finanziaria perché nella relazione introduttiva non ve n'è traccia e non se ne fa menzione. Infatti, come si asserisce all'interno dell'Accordo, si dice che questo «non comporta nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato» in quanto, come detto prima nel preambolo, l'eventuale apertura di un centro di promozione commerciale italiano in un'altra città indonesiana, previsto come eventualità dall'articolo 1 dell'Accordo, avverrà con l'approvazione di un apposito provvedimento legislativo. Ma era possibile già declinarlo all'interno di questo provvedimento senza rinviare ad altri ulteriori provvedimenti legislativi. Infatti, perdiamo sempre la grande occasione di inserire la questione all'interno di uno specifico provvedimento, che, peraltro, è in campo dal 1973, per dire una volta per tutte come la pensiamo in riferimento alle nostre attività di carattere bilaterale.
Sono molto più avanti di noi le piccole e medie imprese quanto alla capacità di mettere in campo opportunità di tipo economico e commerciale, piuttosto che questo o quel Governo o il Parlamento. Quindi siamo in grandissimo ritardo. Mi auguro che questo non possa e non debba pregiudicare i rapporti che si stanno attivando.
Credo, peraltro, che il provvedimento consenta, per la parte positiva e propositiva, la formalizzazione di una serie di rapporti tra l'amministrazione italiana e le autorità commerciali indonesiane e che si inserisca nell'ambito di un auspicabile allargamento delle relazioni economiche tra i due Paesi, tenuto conto anche delle prospettive di penetrazione locale e delle definizioni del trattato.
Per questi aspetti di carattere positivo - quindi guardando il bicchiere mezzo pieno -, siamo propensi a favorire il provvedimento in esame e mi auguro che Pag. 45tutto il tempo perso in questi anni possa essere recuperato attraverso la definitiva approvazione dello stesso

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Baldelli, iscritto a parlare, vi rinunzia.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3082)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, presidente della Commissione, onorevole Stefani, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, con estrema rapidità, voglio sottolineare che il Memorandum si fonda sull'esigenza di garantire il rispetto del criterio di reciprocità, prevedendo la possibilità di aprire un centro di promozione commerciale italiana in Indonesia e in tale contesto preannunzio di accettare l'ordine del giorno del presidente Stefani, perché risponde pienamente alla volontà del Governo di fare al più presto passi in questa direzione.
L'apertura dell'ufficio commerciale indonesiano italiano renderà possibile un costante scambio di informazioni e il monitoraggio delle opportunità offerte dai due mercati.
L'Indonesia, con oltre 230 milioni di abitanti, rappresenta il più grande mercato di consumo del sud-est asiatico ed offre alle imprese italiane un importante mercato di sbocco in settori chiave, come quello dei beni industriali, per i quali la domanda indonesiana è crescente.
Il rafforzamento delle relazioni economiche si inserisce nel contesto di un rafforzamento delle imprese politiche e del dialogo politico tra Italia ed Indonesia, culminato il 4 marzo del 2009 con la visita del Ministro degli esteri indonesiano in occasione della Conferenza internazionale «Unità nella diversità: il modello indonesiano per una società del convivere», organizzato con la comunità di Sant'Egidio. Voglio sottolineare che l'Indonesia è il più grande Paese islamico tollerante, con una pluralità di presenze religiose al proprio interno.

PIERGUIDO VANALLI. Bravo Scotti!

(Esame degli articoli - A.C. 3082)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge di ratifica.
Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 3082), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazioni di voto l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, intendo intervenire sull'articolo 1 del disegno di legge in esame per ribadire alcuni concetti che ritengo importanti e che sono stati in parte illustrati.
Credo che il precedente Governo avesse visto bene nel volere e nel sottoscrivere questa intesa con il gigante indonesiano, che in questi ultimi anni ha visto una crescita vertiginosa sia in termini economici, sia demografici, pur essendo stretto in un comprensorio che va dal Giappone alla Cina.
Noi crediamo che l'investimento che si intende fare con l'apertura dell'ufficio Indonesian Trade Promotion Center sia un investimento giusto, che si colloca nella logica dei tempi che viviamo, che sono quelli dell'economia globale, dei grandi scambi, della crescita con Paesi che hanno ampi margini. In tal senso, anche la scelta di Milano come sede dell'ITPC risponde alla logica degli accordi bilaterali, dell'intraprendere, del fare concretamente.
Resta, tuttavia, un pesante interrogativo sulla reciprocità, che è parte di questo Accordo, nonostante le parole rassicuranti del Governo. Non crediamo - ed io non credo - che un ordine del giorno, ammirevole, apprezzabile e stimato, come Pag. 46quello presentato dal presidente Stefani possa sbloccare le scelte e le decisioni che, a nostro avviso, dovevano essere assunte da tempo.
L'onorevole Barbi ha elencato i punti forti dell'import e dell'export per quanto riguarda l'interscambio con l'Indonesia. Credo che vi siano ampi margini ed ampi spazi per la conduzione di ricerche e studi e per l'agevolazione della cooperazione tecnica, che rappresenta un punto di forza del nostro Paese. Non dobbiamo dimenticare che il nostro Paese ha un ruolo importante nel Fondo monetario internazionale e nel G8 e che ha molto da dire anche in relazione al trasferimento di tecnologie, non soltanto dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista delle tecnologie che incidono ed impattano fortemente sul commercio.
Pertanto, dichiaro il voto favorevole del Partito Democratico sull'articolo 1 del provvedimento in oggetto, ma esprimo anche, in questa sede, tutta la preoccupazione relativa alla reciprocità, che è parte importante del Memorandum d'Intesa in oggetto, e che il Governo deve assolutamente onorare senza far slittare i tempi, come è prassi con riferimento al Memorandum stesso. Signor Presidente, questo è l'aspetto preoccupante (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Zamparutti, Germanà e Polledri.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 465
Votanti 464
Astenuti 1
Maggioranza 233
Hanno votato sì 464).

Prendo atto che i deputati Monai e Scilipoti hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole e che il deputato Vessa ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 3082), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Porta. Ne ha facoltà.

FABIO PORTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci accingiamo a votare l'articolo 2 del provvedimento di ratifica ed esecuzione del Memorandum d'Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana concernente l'apertura dell'Indonesian Trade Promotion Center a Milano.
Si tratta di un Memorandum importante, perché al centro vi è uno dei Paesi giganti del sud-est asiatico: sto parlando dell'Indonesia che, insieme alla Cina e al Giappone, costituisce, forse, l'altra grande potenza dell'economia dell'Asia.
È una democrazia - come ha rilevato, giustamente, anche il rappresentante del Governo - che si segnala non soltanto per il suo carattere pacifico, dopo gli oscuri anni della dittatura, ma anche per il suo alto livello di tolleranza, anche dal punto di vista etnico e religioso. È un Paese che, negli anni della democrazia, ha vissuto, e sta continuando a vivere, un forte livello di sviluppo e di crescita economica.
Tutti questi motivi supportano e danno man forte alle motivazioni che sono all'origine dell'Intesa siglata tra i due Governi nel 2008.
Voglio anche sottolineare - come veniva esposto in particolare dall'onorevole Barbi nel suo intervento - come, nel caso dei rapporti di interscambio commerciale tra l'Italia e l'Indonesia, i margini per il nostro Paese siano davvero enormi ed espressivi.
L'accordo ha una sua valenza importante e forse questo è anche il punto più delicato del Memorandum, quando fa riferimento alla necessaria reciprocità, cioè alla possibilità che anche per il nostro Paese vi sia l'opportunità di aprire a Pag. 47Giacarta, capitale dell'Indonesia, un ufficio della nostra rappresentanza commerciale istituzionale, cioè dell'Istituto per il commercio con l'estero.
Si tratta di un elemento importante, anche se su questo aspetto confidiamo nella determinazione del Governo, dal momento che un semplice ordine del giorno - come è stato rilevato - probabilmente non sarà sufficiente ad obbligare e a determinare una scelta che, tra l'altro, come sappiamo, ha anche bisogno dei relativi e opportuni investimenti, in un periodo in cui tutta la nostra struttura consolare all'estero - e l'ICE ne fa parte - sta soffrendo di tagli e riduzioni fortissimi, che compromettono la piena operatività del nostro apparato diplomatico-consolare e anche della sua espressione dal punto di vista commerciale.
In questo senso, mi preme soltanto sottolineare e caldeggiare ai colleghi, e in particolare al Governo, come vi siano molte altre ratifiche che, in questo momento, sono in attesa di un'approvazione da parte del nostro Parlamento, non soltanto in materia di scambio commerciale, ma anche in materia di sicurezza sociale. Più volte abbiamo ribadito l'urgenza di procedere alla ratifica di importanti accordi di sicurezza sociale, come quelli con il Canada e il Cile, attesi da gran parte della popolazione di origine italiana in quei luoghi residente.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Di Virgilio ed Aprea.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 466
Votanti 464
Astenuti 2
Maggioranza 233
Hanno votato
464).

Prendo atto che i deputati Pizzetti, Scilipoti e Monai hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole e che il deputato Vessa ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - A.C. 3082), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Corsini. Ne ha facoltà.

PAOLO CORSINI. Signor Presidente, innanzitutto vorrei dare lettura del testo dell'articolo 3: «La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale». In effetti, potrà sembrare abbastanza anomalo il fatto che io mi senta in dovere di chiarire il senso della nostra posizione in ordine, non solo al complesso di questo provvedimento, ma anche alla norma prevista dall'articolo 3. In realtà, esistono motivazioni che riteniamo fondate per un approfondimento anche in questa sede del testo che ho poc'anzi enunciato.
Innanzitutto, infatti, questo Memorandum d'Intesa per la promozione commerciale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana risponde a fondamentali e pressanti esigenze che vennero motivate oltre quarant'anni fa, agli inizi degli anni Settanta, allorquando si incontrarono due delegazioni, le quali misero sul tappeto la questione della cooperazione nei campi dell'economia e del commercio, in modo tale che la stipula di un accordo potesse favorire le relazioni internazionali tra i due Paesi.
Non vi è dubbio, quindi, che scontiamo un ritardo assai gravoso che ha pesato sul complesso delle relazioni fra il nostro Paese e questo straordinario Paese centroasiatico.
Non mi voglio peritare di illustrare le caratteristiche fondamentali dell'Indonesia, perché soprattutto l'intervento del collega onorevole Barbi è stato, come al solito, estremamente chiaro ed esplicativo. Il Memorandum, in realtà, consente di poter formalizzare le aspettative in direzione Pag. 48di un'apertura di una serie di rapporti commerciali con la Repubblica indonesiana nel quadro di un auspicabile allargamento delle relazioni economiche tra i due Paesi. Non vi è dubbio che un approfondimento delle relazioni economiche consente relazioni pacificate, soprattutto in relazione ad un Paese che presenta le caratteristiche che testé i colleghi hanno illustrato.
Da dove deriva l'urgenza indifferibile di una pubblicazione rapida e non rimandata sulla Gazzetta Ufficiale del testo della legge che ci apprestiamo ad approvare? Deriva da uno degli aspetti fondamentali del Memorandum in questione che, come i colleghi sanno, è stato firmato a Jakarta il 10 marzo 2008. Qual è il tema che giustifica l'urgenza della rapidità della pubblicazione? Si specifica nel testo del Memorandum che l'apertura di un centro di promozione commerciale italiano in una città indonesiana è prevista nella città di Jakarta, laddove di fatto esiste già un ufficio dell'Istituto nazionale per il commercio estero. Questa apertura, di fatto, è un'ipotesi meramente eventuale, è una pura ipotesi di scuola, poiché l'eventuale apertura di un centro di promozione commerciale italiano in un'altra città indonesiana avverrà soltanto all'indomani dell'approvazione di un apposito provvedimento legislativo.
Ora mi domando, come è possibile promuovere un particolare, specifico e puntuale provvedimento legislativo se non si procede ad una rapida pubblicazione di questo testo di legge? È questa la ragione per la quale sottolineiamo questa urgenza e ci apprestiamo ad esprimere un voto favorevole a questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Berruti...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 467
Votanti 465
Astenuti 2
Maggioranza 233
Hanno votato
465).

Prendo atto che il deputato Scilipoti ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole e che il deputato Vessa ha segnalato che non è riuscito a votare.

(Esame di un ordine del giorno - A.C. 3082)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'unico ordine del giorno presentato (Vedi l'allegato A - A.C. 3082).
Nessuno chiedendo di intervenire per illustrare l'ordine del giorno Stefani n. 9/3082/1, ricordo che il sottosegretario Scotti, di fatto, ha già espresso il relativo parere nel corso del suo intervento e che questo è favorevole.
Prendo atto che il presentatore non insiste per la votazione dell'ordine del giorno Stefani n. 9/8082/1, accettato dal Governo.
È così esaurito l'esame dell'unico ordine del giorno presentato.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3082)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, intervengo brevemente: vedo che qui ho dei fans, ma li deluderò, perché invece di parlare per una decina di minuti, ne userò solo pochi.
I colleghi hanno già illustrato le tante ragioni del voto favorevole a questo provvedimento e io mi permetterò di consegnare il mio intervento scritto. Certamente Pag. 49la formalizzazione delle aspettative verso l'apertura di una serie di rapporti commerciali con la Repubblica indonesiana è non solo auspicabile, ma è auspicabile anche l'ampliamento delle relazioni economiche bilaterali che si mette in campo attraverso l'Accordo tra il Governo italiano e la Repubblica indonesiana.
Si tratta di un provvedimento importante che, tra le altre ragioni, consente di formalizzare una serie di rapporti tra l'amministrazione italiana e le autorità commerciali indonesiane. Esso si inserisce nell'ambito di un auspicabile ampliamento delle relazioni economiche tra i due Paesi, tenuto conto anche delle prospettive di penetrazione locale rese possibili dalla definizione del Memorandum d'intesa. Questa è una ragione in più, che non era emersa così chiaramente come tante altre che invece non voglio ricordare, che ci induce ad esprimere voto favorevole su questo disegno di legge di ratifica.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Volontè, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.

GIANLUCA PINI. Signor Presidente, vogliamo ringraziare sia il relatore sia il Governo per questa specifica sulla reciprocità che riteniamo assolutamente fondamentale al fine di ottenere un voto favorevole da parte del nostro gruppo.
Già i colleghi hanno illustrato l'importanza di questi scambi bilaterali. Tuttavia, vogliamo rimarcare come la necessità di inserire, nel più breve tempo possibile, sul territorio indonesiano un ufficio di rappresentanza commerciale possa essere anche uno strumento di controllo contro le produzioni scorrette e contro la concorrenza sleale che, purtroppo, ancora arriva anche da questo Paesi.
Quindi, riteniamo fondamentale questo Memorandum, anche alla luce dei rapporti, che saranno sicuramente più proficui nell'interscambio, e di quelle che sono le questioni commerciali legate alla tutela dei nostri brevetti. Tante aziende, per fortuna non solo italiane, producono all'interno del territorio indonesiano delle commodity che fanno in qualche modo concorrenza forte anche alle produzioni europee in questo momento. Tuttavia, dobbiamo essere corretti e onesti e ammettere che sicuramente la concorrenza sleale, pur essendoci, è più lieve rispetto a quella che può venire da Paesi come il Vietnam o la Cina (mi riferisco, soprattutto, al settore merceologico delle calzature).
Pertanto, oltre ad invitare a fare in fretta ad aprire questo punto di riferimento per chi opera a livello commerciale con l'Indonesia, invito anche a fare attenzione anche alla tutela legale dei marchi e dei brevetti italiani, soprattutto del made in Italy nelle calzature, perché è fondamentale per la tenuta della nostra economia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, non ripeterò il contenuto dell'intervento che ho fatto durante la discussione sulle linee generali del provvedimento in esame. Pertanto, mi limito a confermare il voto favorevole sul provvedimento in esame da parte del gruppo del Partito Democratico, accompagnando tale annuncio con l'esortazione, rivolta al Governo e alle strutture competenti, perché colgano questa occasione per sottoporre ad una ricognizione fattuale e creativa i rapporti commerciali con l'Indonesia, sia per quello che riguarda la nostra parte sia per il deficit strutturale che caratterizza questi rapporti, in modo da trovare strade e vie per potenziare la nostra presenza.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

Pag. 50

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 3082)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di ratifica n. 3082, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
Onorevole Girlanda... chi altro deve votare? Onorevole Concia... ha votato.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Ratifica ed esecuzione del Memorandum d'Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana concernente l'apertura dell'Ufficio 'Indonesian Trade Promotion Center' (ITPC), fatto a Jakarta il 10 marzo 2008) (3082):

(Presenti 469
Votanti 467
Astenuti 2
Maggioranza 234
Hanno votato
si 467).

Prendo atto che i deputati Ferranti, Scilipoti e D'Antoni hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole e che il deputato Vessa ha segnalato che non è riuscito a votare.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Dichiarazione di intenti tra i Ministri della difesa di Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna relativa alla creazione di una Forza di gendarmeria europea, con Allegati, firmata a Noordwijk il 17 settembre 2004, e del Trattato tra il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica portoghese per l'istituzione della Forza di gendarmeria europea, EUROGENDFOR, firmato a Velsen il 18 ottobre 2007 (A.C. 3083) (ore 16,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Dichiarazione di intenti tra i Ministri della difesa di Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna relativa alla creazione di una Forza di gendarmeria europea, con Allegati, firmata a Noordwijk il 17 settembre 2004, e del Trattato tra il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica portoghese per l'istituzione della Forza di gendarmeria europea, EUROGENDFOR, firmato a Velsen il 18 ottobre 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3083)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che le Commissioni III (Affari esteri) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la III Commissione, onorevole Malgieri ha facoltà di svolgere la relazione.

GENNARO MALGIERI, Relatore per la III Commissione. Signor Presidente, colleghi, i due Accordi al nostro esame non hanno un carattere circoscritto, ma costituiscono un momento essenziale nella creazione del concetto di identità europea di sicurezza e di difesa.
Sorta da un'iniziativa del giugno 2003 del Ministro della difesa francese, Michelle Alliot-Marie e del Ministro Antonio Martino, adottata nel corso di una riunione informale svoltasi a Roma dei Ministri della difesa dell'Unione europea, l'istituzione dell'Eurogendfor è stata formalizzata il 17 settembre 2004, a Noordwijk, nei Paesi Bassi, attraverso una Dichiarazione di intenti che ora è al nostro esame, Pag. 51sottoscritta dai Ministri della difesa di 5 Paesi comunitari (Italia, Francia, Olanda, Portogallo e Spagna).
I contenuti della citata dichiarazione sono stati poi recepiti in un Trattato internazionale siglato il 18 ottobre 2007 a Velsen in Olanda ed è già stato ratificato dai Paesi Bassi, dal Portogallo e dalla Spagna. Mancano soltanto l'Italia e la Francia. Rilevo che il 18 dicembre 2008 è stato, infine, riconosciuto alla Jandarmeria rumena lo status di nuovo membro di EGF mentre Turchia, Polonia e Lituania partecipano al progetto in qualità, rispettivamente, di osservatore (la prima) e partner (gli altri due Paesi).
Richiamo l'attenzione dei colleghi sul fatto che, a partire dal 1o gennaio 2010, l'Italia ha assunto la presidenza annuale del Comitato interministeriale di alto livello, organo che coordina dal punto di vista politico-militare la Forza di gendarmeria europea.
Già nel giugno 2006, l'Assemblea parlamentare dell'Unione europea occidentale coglieva in un rapporto presentato dalla baronessa Taylor of Bolton e dall'onorevole Ignacio Cosidò Gutierrez i tratti innovativi della Forza di gendarmeria europea, sottolineando la crescente rilevanza delle missioni europee di polizia, a partire dagli interventi in Kosovo e dall'operazione «Alba», fino alle missioni in Bosnia-Erzegovina e in Macedonia.
In continuità con questi sforzi dal dicembre scorso l'Eurogendfor opera anche in Afghanistan all'interno della Nato Training Mission per la formazione, l'addestramento e il mentoring delle forze di polizia afgane.
La Forza di gendarmeria europea è quindi uno degli strumenti più efficaci a disposizione delle organizzazioni internazionali nella gestione delle crisi anche in ambienti molto instabili. Sfortunatamente non vi è stata, nel nostro, come altri Paesi aderenti all'Eurogendfor, una adeguata riflessione della rappresentanza parlamentare sulla valenza tutta politica degli accordi istitutivi dell'organismo che si inserisce pienamente nella logica delle cooperazioni cosiddette rafforzate.
Attraverso l'Eurogendfor l'Unione europea acquisisce, infatti, uno strumento operativo tendente a qualificarla sempre più come attore politico internazionale in grado di condurre autonome operazioni di peacekeeping, ovvero nell'ambito di un'organizzazione capofila.
Per quanto attiene ai profili di più specifica competenza della III Commissione (Esteri), mi permetto di rilevare che lo scopo del Trattato è la costituzione, come dice l'articolo 1 del provvedimento, di una Forza di gendarmeria europea operativa di rapido spiegamento che sarà composta esclusivamente da elementi tratti dalle forze nazionali di polizia a statuto militare per l'esecuzione di tutti i compiti di polizia nell'ambito delle operazioni internazionali di gestione della crisi.

PRESIDENTE. Onorevole Malgieri, la prego di concludere.

GENNARO MALGIERI. Relatore per la III Commissione. Signor Presidente, rimando poi alla relazione che ho svolto in Commissione per il dettaglio dell'esposizione dei singoli articoli e dell'articolato che è molto complesso. Raccomando ovviamente all'Assemblea di approvare il provvedimento al nostro esame che costituisce - come dicevo all'inizio - un rafforzamento della identità europea di sicurezza e di difesa, di cui, mai come di questi tempi, si sente il bisogno.

PRESIDENTE. Il relatore per la IV Commissione (Difesa), onorevole Ascierto, ha facoltà di svolgere la relazione.

FILIPPO ASCIERTO, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, il provvedimento in discussione riveste un'indubbia rilevanza. Esso, infatti, autorizza la ratifica dell'istituzione, nell'ambito della politica europea di sicurezza e difesa, di una Forza di gendarmeria europea, Eurogendfor. Particolare significato assume il provvedimento per l'Italia, in quanto la Forza ha il proprio comando nel nostro Paese a Vicenza. L'istituenda Forza di gendarmeria europea coinvolge solo alcuni Pag. 52Paesi dell'Unione europea: Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi e Portogallo che hanno sottoscritto a tal fine prima una Dichiarazione di intenti il 17 settembre 2004, quindi un Trattato il 18 ottobre 2007.
Come precisa la relazione illustrativa, l'iniziativa per la costruzione della Forza di gendarmeria europea è stata assunta da Francia e Italia nel corso della riunione informale dei Ministri della difesa dell'Unione tenutasi a Roma l'8 ottobre 2003 alla presenza del nostro Ministro di allora Martino. La finalità era quella di costituire una Forza internazionale che unisse e coordinasse l'attività di forze di polizia aventi status militare, sfruttando l'esperienza maturata dall'Arma dei Carabinieri ad esempio nel Kosovo.
In tal senso, la dichiarazione di intenti e il successivo Trattato citati hanno anche coinvolto Stati dell'Unione europea che presentano forze di polizia ad ordinamento militare analogo all'Arma dei Carabinieri, come Francia, Spagna, Paesi Bassi e Portogallo. Successivamente al Trattato, è entrata a far parte dell'Eurogendfor anche la Romania, in base alla dichiarazione unilaterale di adesione del dicembre 2008, mentre, sempre nel 2008, la Polonia ha ottenuto lo status di partner.
In tal senso, il Trattato si colloca in un quadro, quello della PESD, in continua evoluzione, a dieci anni dal suo avvio con i Consigli europei di Colonia e Helsinki del 1999. Si può ricordare, in proposito, oltre all'avvio delle prime missioni PESD, come «Althea» in Bosnia-Erzegovina, anche l'avvio della costituzione di un mercato europeo della difesa, che ha visto l'istituzione nel 2004 dell'Agenzia europea della difesa, nonché l'approvazione di due direttive: una sugli acquisti pubblici dei prodotti per la difesa e la sicurezza e l'altra sui trasferimenti intracomunitari dei prodotti militari.
Tuttavia, la Forza di gendarmeria europea si colloca anche nel solco delle esperienze precedenti di cooperazione nel settore militare tra Stati dell'Unione europea come l'Eurocorps, nato dall'iniziativa franco-tedesca nel 1992 ed attualmente composto da Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Spagna che ha sede a Strasburgo. Il collegamento con la politica di sicurezza e difesa dell'Unione europea è assicurato fin dall'apertura della Dichiarazione di intenti, laddove si afferma che la Forza nasce al fine di contribuire fattivamente allo sviluppo della politica di sicurezza e difesa europea, nonché alla creazione di un'area in cui vigano libertà, sicurezza e giustizia.
Inoltre finalità della Forza della gendarmeria europea è mettere l'Europa in condizione di svolgere appieno i compiti di polizia richiesti in tutte quelle operazioni di gestione delle situazioni di crisi ed offrire una struttura operativa multinazionale a quegli Stati che intendono affiancare l'Unione europea nello svolgimento delle operazioni. Infine si prevede che la Forza possa essere posta al servizio di altre organizzazioni internazionali, come l'OSCE e l'ONU, laddove si afferma che la Forza potrà partecipare alle iniziative delle organizzazioni internazionali nel settore delle operazioni di gestione delle situazioni di crisi. L'articolo 5 del Trattato al riguardo precisa che la Forza di gendarmeria europea potrà essere messa a disposizione dell'Unione europea, dell'ONU, dell'OSCE, della Nato e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specialistiche.
I possibili utilizzi della Forza di gendarmeria europea in missioni di sicurezza e ordine pubblico e di suddivisione e formazione delle forze di polizia locale nel territorio oggetto di missione sono indicati dall'articolo 4.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FILIPPO ASCIERTO. Relatore per la IV Commissione. Si tratta di un importante provvedimento di cui l'Italia costituisce un fondamentale modello con i carabinieri.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

Pag. 53

MARIO BARBI. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, con favore e senza incertezza il Partito Democratico esprime il suo consenso alla Forza di gendarmeria europea di cui esaminiamo gli accordi istitutivi e il relativo disegno di legge di ratifica. I relatori hanno illustrato i documenti alla base dell'accordo, in primo luogo la dichiarazione di intenti del 17 settembre 2004, sottoscritta in Olanda dai Ministri dei primi Paesi aderenti (Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna) e poi il conseguente Trattato istitutivo di EUROGENDFOR, firmato a Roma il 12 novembre 2007. Questi atti furono firmati per il nostro Paese da due diversi Ministri della difesa appartenenti a Governi diversi per orientamento e maggioranza politica, Antonio Martino e Arturo Parisi; Governi che hanno fatto scelte discordanti di politica estera e di difesa, ma che hanno avuto anche importanti elementi di accordo nelle scelte fatte dal nostro Paese su questioni rilevanti di politica estera e di sicurezza e di politica europea ed atlantica. L'istituzione della Gendarmeria europea è una di queste scelte comuni.
Da questo punto di vista mi pare di qualche rilievo attrarre l'attenzione sull'intenzione espressa fin dall'inizio dei colloqui tra i Ministri di dare vita a questa Forza di gendarmeria comune nel quadro della politica europea di sicurezza e di difesa, come componente della politica estera di sicurezza comune, nella prospettiva di dare attuazione a quello che allora era l'articolo 17, comma 2, del Trattato sull'Unione europea (quello di Maastricht) che poi è diventato l'articolo 42 del Trattato di Lisbona a cui fa espresso riferimento il Trattato della Gendarmeria europea. In base all'articolo del Trattato sull'Unione europea la politica di sicurezza e difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune ed assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. Tale politica non pregiudica, si precisa, il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa degli Stati membri, rispetto per esempio agli obblighi derivanti dal Trattato NATO per quegli Stati che ritengono che la loro difesa si realizzi tramite l'organizzazione atlantica. Ricordo che in materia di PESD il Consiglio delibera all'unanimità su proposta dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, su iniziativa di uno Stato membro.
Vorrei anche richiamare testualmente l'articolo 42, comma 2, che è importante. Lo cito testualmente: «La politica di sicurezza e di difesa comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell'Unione. Questa condurrà ad una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, avrà così deciso».
Ora è evidente che siamo ancora lontani da quel traguardo e il travaglio che ha preceduto l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dopo l'accantonamento del più ambizioso progetto di Costituzione europea, ce lo ricorda. Comunque è un fatto positivo che la Gendarmeria europea si inserisce organicamente nell'impianto di quella Sezione del Trattato di Lisbona, la Sezione 2, che è dedicata alle «Disposizioni sulla politica di sicurezza e difesa comune», che comprende gli articoli da 42 a 46.
L'istituzione della Forza di gendarmeria europea sembra, in particolare, collegata all'articolo 44 del Trattato, il quale prevede che, nell'ambito della politica di sicurezza e difesa comune, il Consiglio possa affidare la realizzazione di una missione ad un gruppo di Stati membri che lo desiderano e che dispongono delle capacità necessarie per tale missione. Gli Stati membri interessati sono tenuti ad accordarsi con l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sulla gestione della missione ed a riferire periodicamente al Consiglio in materia.
Inoltre, vorrei anche ricordare che il Trattato di Lisbona ha introdotto la possibilità di creare, con decisione del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa tra gli Stati membri che hanno le capacità militari necessarie e la volontà politica di aderirvi. Pag. 54Il Trattato sulla gendarmeria europea potrebbe rappresentare, di fatto, se non ancora di diritto, una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa, ai sensi dell'articolo 46.
Poi ritornerò sulla PESD e sulla sua storia, ma prima vorrei che ricordassimo come la Gendarmeria europea è, di fatto, già operativa dal 2004. Se si va sul sito ufficiale di Eurogendfor, accanto alle informazioni essenziali sulla missione di questa struttura, sui Paesi che la compongono, sul quartiere generale che è ubicato nella caserma generale Chinotto di Vicenza, veniamo anche aggiornati sulle attività più recenti di EGF: da ultimo, ricordo la presenza di unità della Gendarmeria in Afghanistan, nel quadro della missione di addestramento NATO delle forze di polizia afgane.
È del 24 dicembre scorso, vigilia dell'ultimo Natale, la cerimonia di attivazione di questa missione EGF in Afghanistan, a Kabul, alla presenza del Ministro dell'interno afgano e di autorità NATO ed europee. Nel corso di questa cerimonia, vorrei ricordare anche questo aspetto, le unità EGF hanno simbolicamente sostituito con il berretto blu della Gendarmeria europea le loro uniformi nazionali. Questa missione in Afghanistan, dedicata all'addestramento della polizia nazionale afgana, si affianca all'impegno che EGF ha già in corso in Bosnia Erzegovina nel quadro della missione Althea portata avanti da Eufor.
Prima citavo il Trattato di Lisbona, ora vorrei aggiungere che alla base di EGF c'è l'avvio della PESD, che risale a più di dieci anni fa, anzi ancora più indietro andando a cercare le sue radici. La politica di sicurezza e difesa comune delineata dal Trattato di Lisbona rappresenta, infatti, l'evoluzione di questa politica europea di sicurezza e difesa, avviata nell'ambito della già istituita politica estera e di sicurezza comune, in particolare con i Consigli europei di Colonia e di Helsinki del 1999 con lo scopo di dotare l'Unione europea di una capacità autonoma di azione basata su forze militari credibili.
A Helsinky venne definita una specie di road map per dare attuazione a decisioni adottate nel quadro dell'Unione dell'Europa occidentale, decisioni volte a dotare l'Europa di capacità militari necessarie ad attuare - e qui c'è un altro concetto che ricorre nel testo che esaminiamo - le missioni di Petersberg. Si tratta del luogo vicino a Bonn in cui si svolse un Consiglio europeo nel 1992 e fu adottata una dichiarazione che individuava una serie di compiti, precedentemente attribuiti alla stessa UEO, che venivano assegnati all'Unione europea. Quindi, ci troviamo in questo passaggio costitutivo e di trasferimento di competenze fino al Trattato dell'Unione europea. Le missioni di Petersberg sono le seguenti: missioni umanitarie o di evacuazione; missioni intese alla...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO BARBI. Signor Presidente, accorcio l'intervento che stavo svolgendo e lo consegnerò. Mi limito ad aggiungere che il Trattato è stato già ratificato dai Paesi bassi, Portogallo e Spagna, quindi è utile che anche noi lo facciamo. Inoltre, la forza della gendarmeria europea è già attiva e oltre a Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna ne è membro a pieno titolo anche la Romania, mentre la Turchia partecipa con lo status di osservatore e Polonia e Lituania lo sono con lo status di partner.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Barbi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, colleghi, come è noto ormai da tempo, a seguito del completamento del processo di ratifica da parte di tutti gli Stati membri dell'Unione europea, il 1o dicembre scorso è entrato in vigore il Pag. 55Trattato di Lisbona che modifica i precedenti fondamentali Trattati, quello dell'Unione europea e quello che istituisce la Comunità europea. Il Trattato di Lisbona contiene una serie di novità relative alle competenze, alle procedure decisionali e alle istituzioni dell'Unione europea e al ruolo dei Parlamenti nazionali.
All'interno del provvedimento sul rifinanziamento delle missioni internazionali che abbiamo approvato la scorsa settimana vi era contenuta una di queste novità: quella relativa al Servizio per l'azione esterna che avrà il compito di assistere l'Alto commissario nell'esercizio del suo più importante compito di responsabilità della politica estera e di sicurezza comune (la più nota PESC), strettamente collegata alla politica europea di sicurezza e di difesa (meglio conosciuta come PESD). Questa fu adottata nei Consigli europei di Colonia e di Helsinky nel 1999 al fine di dotare l'Unione europea di una capacità autonoma di azione basata sulle forze militari credibili per attuare le cosiddette missioni di Petersberg, ossia una gendarmeria europea, ovvero un valore aggiunto per le missioni dell'Unione europea. Come sappiamo, questa nuova forza (l'Eurogendfor) potrà essere impiegata in linea con quanto finora avvenuto per le unità specializzate multinazionali e per l'intero spettro delle operazioni di pace. L'Eurogendfor avrà compiti di polizia militare e di coordinamento e cooperazione con unità di polizia locali o internazionali e compiti di collaborazione con agenzie civili e internazionali nell'ambito delle iniziative della comunità internazionale per missioni di prevenzione, stabilizzazione e ricostruzione delle strutture statuali nelle aree di crisi. Inoltre, l'Eurogendfor dovrà favorire la riattivazione dei servizi di sicurezza, in particolare nelle fasi di transizione da situazioni operative militari alla ricostruzione di istituzioni civili. L'Eurogendfor è primariamente a disposizione dell'Unione europea, ma potrà anche operare in favore dell'ONU, della NATO, dell'OCSE o di altri organismi o coalizioni internazionali. Essa è aperta alla partecipazione di contingenti di polizia militare di altri Paesi dell'Unione europea e in caso di operazioni a contributi di Paesi con adeguate capacità di polizia. L'Eurogendfor non è sottoposta al controllo dei Parlamenti nazionali o del Parlamento europeo, ma risponde direttamente ai Governi e svolge funzioni di polizia e addestramento di esercito e polizia locale nella fase di ritiro della componente militare.
Nel merito del provvedimento in esame, c'è da dire che la dichiarazione di intenti individua le missioni delle unità appartenenti all'Eurogendfor che possano essere messe alle dipendenze sia di un comando militare che civile, con una catena di comando definita, ma suscettibile di variazione durante la missione. La dichiarazione di intenti definisce, peraltro, i criteri per l'ammissione all'Eurogendfor di nuovi Stati che devono appartenere all'Unione europea ed essere dotati di una forza di polizia a ordinamento militare.
Prevede che ogni membro sostenga le spese di partecipazione all'Eurogendfor e proporzionalmente le spese ordinarie. L'Italia in questo caso, in quanto Paese che ospita il quartier generale a Vicenza, fornisce il supporto logistico per tale struttura, in base ad un apposito accordo tecnico con gli altri Stati membri. Lo scopo del Trattato - lo ricordo - prevede invece la costituzione di questa forza europea operativa di rapido spiegamento, che sarà composta esclusivamente da elementi tratti dalle forze nazionali di polizia a statuto militare e definisce i principi fondamentali su obiettivi, statuto, modalità organizzative e operatività della forza di gendarmeria europea. Il coordinamento politico-militare sarà garantito da un comitato interministeriale di alto livello, composto da rappresentanti dei Ministeri competenti, essenzialmente difesa e affari esteri. Quando agirà per conto dell'Unione europea, la direzione strategica e il controllo politico andranno al comitato politico e di sicurezza dell'intera Unione europea. L'Eurogendfor disporrà di una capacità iniziale di reazione rapida di circa ottocento effettivi in un arco di tempo di Pag. 56trenta giorni e il nucleo permanente con sede a Vicenza sarà composto da ventinove ufficiali, di cui undici italiani.
Il contributo italiano all'Eurogendfor sarà costituito da personale dell'Arma dei carabinieri, ma ne faranno parte anche la Gendarmeria Nazionale francese, la Guardia civil spagnola, la Guarda nacional republicana portoghese, la Guardia olandese e, a partire dal dicembre 2008, anche la Gendarmeria romena. A questi si aggiungono la Turchia con lo status di osservatore, la Polonia e la Lituania con lo status di partner. Va ricordato che la prima operazione della Forza di gendarmeria europea ha già avuto luogo nel dicembre 2007 in Bosnia Erzegovina con la missione ALTHEA, che comunque ha esaurito il suo compito. La seconda, più recente, ha avuto luogo in Afghanistan, a partire dallo scorso dicembre. Infine, il 25 gennaio i Ministri degli affari esteri dell'Unione europea hanno deciso l'invio di una forza di trecento uomini della gendarmeria ad Haiti. In considerazione del fatto che si auspicava da tempo una maggiore sinergia tra le varie forze militari messe a disposizione dai Governi europei, si può salutare positivamente questo provvedimento e ne auspichiamo quindi una celere approvazione, considerato che al momento lo fanno già i Paesi Bassi, il Portogallo e la Spagna.
Concludendo, signor Presidente e colleghi, auspico, come sollecitato anche da un esperto in diritto internazionale, quale è il professor Natalino Ronzitti, più volte audito nelle nostre Commissioni ma su altre questioni, che alcuni profili di questo provvedimento possano migliorare, sia per tutto ciò che riguarda la costruzione di un concetto strategico rispettoso dei diritti umani e del diritto umanitario - in tal senso ricordo al Governo e al sottosegretario di aver presentato un apposito ordine del giorno - sia in relazione all'esercizio della giurisdizione penale nello Stato di svolgimento dell'operazione, non disciplinata espressamente nella dichiarazione di intenti. Su questo punto rinvio ancora al SOFA della NATO, disciplinato dalla Convenzione di Londra del 1951.
Infine, per concludere, credo che vada attentamente valutata anche la questione relativa al problema di coordinamento che si pone con altre missioni dell'Unione europea, come accade per esempio in Afghanistan, dove sono presenti sia la Gendarmeria europea, sia la missione di polizia EUPOL. Per tutte queste ragioni, pur rimanendo qualche ombra, noi voteremo a favore del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3083)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione affari esteri, onorevole Malgieri.

GENNARO MALGIERI, Relatore per la III Commissione. Signor Presidente, rinuncio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione difesa, onorevole Ascierto.

FILIPPO ASCIERTO, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, rinuncio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, non aggiungo niente a quanto detto dai relatori e dagli intervenuti. Dichiaro solo sull'ordine del giorno che è stato presentato che il Governo esprime parere favorevole, a condizione di una riformulazione più efficace del testo che suonerebbe in questi termini: «a sostenere nelle sedi opportune la necessità che la Gendarmeria europea ispiri le proprie operazioni al rispetto dei diritti dell'uomo e del diritto umanitario». Pag. 57
In questo modo, la decisione è più immediata e diretta; non dobbiamo passare attraverso altre procedure comunitarie. Va bene?

AUGUSTO DI STANISLAO. Si, sono d'accordo.

PRESIDENTE. Grazie, signor sottosegretario.

(Esame degli articoli - A.C. 3083)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge di ratifica.
Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 3083), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, i due Accordi al nostro esame hanno un'importanza che va ben oltre l'intesa che ha portato cinque Paesi (Francia, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna) a creare una forza di gendarmeria europea.

PRESIDENTE. Non siamo in uno stadio, per favore!

FRANCO NARDUCCI. Essi infatti rappresentano uno dei tratti distintivi del processo che deve connotare la creazione del concetto di «identità europea» sul versante della sicurezza e della difesa.
Signor Presidente, vorrei ricordare alla maggioranza che nella precedente legislatura e in quest'Aula abbiamo visto ben altre scene di opposizione nei confronti di chi allora aveva la maggioranza (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Vorrei invitare tutti a tenere un comportamento consono alla dignità dell'Aula. Non vorrei essere spinto a prendere provvedimenti, peraltro previsti dal Regolamento. Prego, onorevole Narducci.

FRANCO NARDUCCI. Scusi, Presidente: è stata un'interpretazione errata dei fischi. Dicevo che, in effetti, questi due Accordi rappresentano uno dei tratti distintivi del processo che tutti insieme - maggioranza e opposizione - come abbiamo sempre fatto, dobbiamo portare avanti perché essi connotano la creazione del concetto di «identità europea» sul versante della sicurezza e della difesa. Un aspetto che, tra l'altro, i relatori hanno correttamente evidenziato e sottolineato (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Richiamo il fatto che il Trattato in esame è perfettamente compatibile con l'ordinamento comunitario e con le competenze delle regioni ordinarie e a statuto speciale.
Preannuncio quindi, a nome del nostro gruppo, il Partito Democratico, un voto favorevole sull'articolo 1.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Narducci.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, in quest'Aula ciascuno deve fare la sua parte: non so cosa intenda fare l'altra parte, ma noi intendiamo fare la nostra. Gradiremmo (ovviamente la ringraziamo, signor Presidente) che agli oratori dell'opposizione, che parlano nel tempo stabilito dal contingentamento - quindi non c'è nessun ostruzionismo e nulla di nulla, ma solo un tempo assegnato che stiamo utilizzando per intervenire come ci spetta - sia consentito di parlare senza avere l'idea di stare in uno stadio, mentre si fischia e si urla.
Signor Presidente, ciascuno di noi, se vuole, può utilizzare mezzi extraregolamentari per proseguire questa seduta senza passare agli ulteriori punti all'ordine del giorno, assolutamente meglio di quanto sappiano fare loro. Pag. 58
Sappiamo fare meglio e l'abbiamo dimostrato stamattina, nel rispetto delle regole. Se vogliamo, possiamo fare meglio anche per rimandare ulteriormente le nostre sedute.
Noi vogliamo fare il nostro lavoro; ce lo si lasci fare. Se non sono capaci a fare il loro, vadano a casa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giachetti. Vorrei invitare tutti a calmare un poco gli animi. Per mia memoria personale, rileggo l'articolo 59 del Regolamento: «Se un deputato pronunzia parole sconvenienti oppure turba col suo contegno la libertà delle discussioni o l'ordine della seduta, il Presidente lo richiama nominandolo». Al secondo richiamo, il deputato viene espulso dall'Aula.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Di Virgilio, Frassinetti, Saltamartini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 461
Maggioranza 231
Hanno votato
461).

Prendo atto che i deputati Dal Lago e Rugghia hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole e che la deputata Lo Moro ha segnalato che non è riuscita a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C.3083), al quale non sono state presentate proposte emendative.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei chiedere scusa a tutta l'Aula, perché non avevo capito che i fischi di prima erano rivolti al sottosegretario Santanchè: chiedo scusa, pensavo fossero rivolti al nostro oratore (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Portas. Ne ha facoltà.

FABIO PORTA. Signor Presidente, io mi chiamo Porta, il mio collega Portas, con la «s», è colui che è stato eletto in Piemonte (tra l'altro ricordo che anche il Ministro portoghese della difesa che nel 2003 firmò questo Trattato si chiamava Portas come l'onorevole Giacomo Antonio Portas e non come chi vi parla).

PRESIDENTE. Le chiedo scusa onorevole Porta, ma - ahimè - a me avevano segnalato Portas, e in questo modo ho letto il suo nome. Prego, proceda con il suo intervento.

FABIO PORTA. Ci accingiamo a votare l'articolo 2, rispetto al quale preannuncio il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico, che determina l'esecuzione di questa Dichiarazione di intenti relativa all'istituzione della forza di gendarmeria europea. Si tratta di una misura che qualche anno fa, prima del Trattato di Nizza, e in particolare prima di quello di Lisbona, sarebbe stata assolutamente impensabile.
Quindi, quanto stiamo votando è sicuramente un fatto di un significato che va ben oltre la semplice costituzione di questo organismo. Siamo di fronte ad uno degli atti che consolida la creazione del nuovo sistema di relazioni politiche e istituzionali dell'Unione europea, all'interno del quale, non soltanto il sistema di difesa, ma anche l'istituzione del servizio diplomatico comune, che forse è l'espressione più alta di questo processo, rappresenta sicuramente un momento importante.
La costituzione di una forza di gendarmeria europea composta esclusivamente Pag. 59da forze nazionali di polizia per l'esecuzione di tutti i compiti che gli sono attribuiti nell'ambito di operazioni internazionali, costituisce, quindi, un passaggio significativo ed importante.
Tra l'altro noi come Paese, a partire dal 1o gennaio 2010 siamo a capo del Cimin, che è il Comitato interministeriale che sovrintende e coordina, anche dal punto di vista militare, tutte le forze di gendarmeria europea. A questo proposito, quindi, il voto di oggi consolida e rafforza questa importante responsabilità rivestita dal nostro Paese.
Un altro dato che è giusto sottolineare, come ha fatto il mio collega Di Stanislao, è che il quartier generale della forza di gendarmeria europea sarà in Italia, a Vicenza, e che del coordinamento generale composto da 15 ufficiali e 14 marescialli, il maggior contingente sarà quello costituito dagli ufficiali e dai marescialli italiani.
Per questi motivi, per l'importanza di questo provvedimento e anche per tutti i significati che vanno, al di là del provvedimento stesso, a consolidare il processo di integrazione europea, come gruppo del Partito Democratico, voteremo a favore dell'articolo 2 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Sardelli, onorevole Tommaso Foti, onorevole Ghiglia, onorevole Girlanda...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 460
Votanti 459
Astenuti 1
Maggioranza 230
Hanno votato
459).

Prendo atto che i deputati Leoluca Orlando e Ferranti hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.
Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - A.C. 3083), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Corsini. Ne ha facoltà.

PAOLO CORSINI. Signor Presidente, l'articolo 3 costituisce a mio avviso, a nostro avviso, un tratto caratterizzante e distintivo di questo Accordo. Del resto io non intendo aggiungere osservazioni alle considerazioni del tutto plausibili che sono state svolte dai colleghi Malgieri, Ascierto e Barbi. C'è una larga condivisione, inoltre, in ordine al testo che ci accingiamo a sottoscrivere e ad approvare.
Tuttavia l'articolo 3, nel momento in cui definisce che ai fini del Trattato di cui all'articolo 1 la forza di polizia italiana a statuto militare per la forza di gendarmeria europea è l'Arma dei carabinieri, tocca - direi - un aspetto distintivo, tale da connotare il senso del nostro contributo a questa iniziativa.
In effetti il Trattato Eurogendfor, del quale noi ci accingiamo a sottoscrivere il testo, costituisce una tappa non secondaria, anzi direi centrale, nell'ambito dell'impegno che il nostro Paese sta profondendo per offrire il proprio contributo alla definizione del concetto di identità europea di sicurezza e di difesa. Ed in effetti il nostro obiettivo, anche alla luce degli sviluppi più generali della politica internazionale e delle relazioni nel mondo globale, è indirizzato al rafforzamento della politica europea di sicurezza e di difesa, che rappresenta una delle componenti (non esclusivamente, non l'unica componente), ma una delle componenti più significative della politica estera e di sicurezza comune, cioè il secondo pilastro sul quale appunto si regge l'impianto normativo dell'Unione europea.
Come tutti sappiamo l'obiettivo della PESD è quello di rafforzare la capacità dell'Unione europea di agire in ambito Pag. 60esterno attraverso la mobilitazione delle sue energie civili e militari in materia di prevenzione dei conflitti internazionali e di gestione delle crisi, in vista di un rafforzamento del processo di pace, di consolidamento della sicurezza internazionale in modo conforme ai dettami della Carta delle Nazioni Unite.
Ebbene, credo che questo articolo 3 vada proprio letto in questa prospettiva. È questa la ragione del nostro convinto sostegno al testo oggi in discussione.
In effetti, in attuazione dell'articolo 17 del Trattato dell'Unione europea, che fu firmato - come è noto - a Maastricht nel febbraio del 1992, nel corso della riunione dei Ministri della difesa dell'Unione europea che si tenne a Roma nel 2003, i responsabili dei Dicasteri francese e italiano convennero per primi sulla necessità di dar vita ad una forza di gendarmeria europea, alla quale contribuiscono la Spagna con la Guardia civil, i Paesi Bassi con la Marechaussee e il Portogallo con la Guarda nacional republicana.
Una prospettiva tesa a valorizzare le capacità peculiari che le forze di polizia che hanno status militare, cioè le gendarmerie, sono in grado di esprimere nelle operazioni di peacekeeping.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 17,40)

PAOLO CORSINI. Ebbene, sulla scorta di una specifica esperienza che è stata maturata dall'Arma dei carabinieri con la formula originale della forza specializzata dello strumento militare in possesso di capacità di polizia - un dato questo che si è imposto all'attenzione della comunità internazionale per la dimostrata efficacia nelle operazioni di gestione delle situazioni di crisi -, si è ritenuto di mettere a disposizione l'Arma dei carabinieri che costituisce, a nostro avviso, un indubbio presidio di libertà, una tutela di garanzia democratica non solo all'interno della vita pubblica del nostro Paese...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Corsini.

PAOLO CORSINI. ...del resto è noto il radicamento territoriale di questa fondamentale componente, anche nel quadro più generale delle situazioni di crisi. Una forza che è capace di assolvere all'intero spettro dei compiti di polizia richiesti nell'ambito di particolari operazioni, ma che nello stesso tempo è in grado di promuovere iniziative che consentono la possibilità di solidarizzare con le popolazioni nel quadro di una gestione cooperativa e civile nei processi di crisi. È appunto in questo quadro...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Corsini. Il quadro ce lo illustrerà la prossima volta...

PAOLO CORSINI. È in questo quadro che noi riteniamo fondamentale questo articolo e riteniamo che il nostro Paese possa dare un contributo significativo nel quadro del concerto europeo.

PRESIDENTE. Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Scilipoti... onorevole De Micheli... onorevole Rossi...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 453
Votanti 452
Astenuti 1
Maggioranza 227
Hanno votato
452).

Prendo atto che il deputato Di Cagno Abbrescia ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Passiamo all'esame dell'articolo 4 (Vedi l'allegato A - A.C. 3083), al quale non sono state presentate proposte emendative. Pag. 61
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente, abbiamo al nostro esame un importante provvedimento di ratifica che dovrebbe offrirci l'opportunità di una riflessione sul cammino di costruzione delle istituzioni europee in un momento di crescente tensione rispetto alla questione del raggiungimento degli obiettivi del Trattato di Lisbona rispetto alla tenuta dei parametri economici della casa comune in una fase invece in cui avremmo bisogno di fare emergere volontà comune, capacità di affrontare insieme i temi della difesa e della sicurezza e di saper disegnare una politica estera comune.
In questo quadro, quindi, signor Presidente, la ratifica di questo provvedimento da parte del nostro Paese è assolutamente importante. Ricordo che la forza di gendarmeria può essere schierata per prevenire situazioni di crisi e questo è sicuramente importante per il futuro dell'Unione europea e rappresenta un passo concreto per quella politica di sicurezza e difesa comune delineate appunto dal Trattato di Lisbona.
È previsto che la forza di gendarmeria europea sia nelle condizioni di mobilitare una forza di reazione rapida di 800 unità nel giro di 30 giorni. Il 17 settembre del 2004, quindi, i Ministri della difesa di Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna sancirono l'impegno a sottoscrivere un trattato per stabilire le funzioni e le condizioni giuridiche dell'Eurogendfor e dei suoi membri, una struttura multinazionale che affianchi l'Unione europea nella realizzazione delle missioni internazionali nelle aree di crisi del mondo, una forza di gendarmeria costituita da contingenti dei rispettivi corpi di polizia dell'ordinamento militare. Nel nostro caso - è stato ricordato dall'onorevole Corsini - è costituita dall'Arma dei carabinieri.
L'articolo 4 del disegno di legge di ratifica quantifica gli oneri derivanti dalla ratifica del Trattato stesso pari a 191.200 euro annui a decorrere dal 2010.
Anche in questo caso - lo ricordo a questa Assemblea - ne fa le spese la lotta alla desertificazione, che è un impegno preso a livello di Nazioni Unite e che - desidero ricordarlo - sta subendo continue riduzioni. La ratifica della Convenzione ONU del 1997 sulla lotta contro la desertificazione deve rimanere un impegno per il nostro Paese e questo impegno deve essere misurato anche dalle risorse che destiniamo a questi scopi, tenendo presente - voglio ricordarlo a tutti noi - il fatto che la desertificazione è oggi un problema che riguarda tutti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 4.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Sardelli e Cicu.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 444
Votanti 443
Astenuti 1
Maggioranza 222
Hanno votato
443).

Prendo atto che i deputati Coscia, Realacci, Gozi e Melis hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.
Passiamo all'esame dell'articolo 5 (Vedi l'allegato A - A.C. 3083), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, so di avere pochi minuti a disposizione e siccome non posso che condividere molti dei contributi che sin qui si sono espressi, tutti anche pregevoli, mi limiterò a fare un'osservazione di carattere Pag. 62generale: noi approviamo con convinzione questa innovazione nell'ambito dell'Unione europea, ma non dobbiamo dimenticare naturalmente che la politica di difesa comune resta ancora la «Cenerentola» nel processo di unificazione e di convergenza europea.
Lo voglio dire perché naturalmente non dobbiamo mai cadere nell'artifizio e nella trappola della retorica: la politica di difesa comune è ancora molto lontana dal poter dire di aver imboccato una strada certa, visibile e davvero percorribile. Siamo ancora molto lontani.
Naturalmente atti come questi non credo si possano definire operazioni rafforzate, ma ci siamo molto vicini e comunque vanno nella direzione giusta. Come ha fatto il mio collega Barbi, voglio anche io ricordare due ex Ministri che sono entrambi presenti in quest'aula, Martino e Parisi, che da questo punto di vista hanno dato un contributo a fare questo piccolo ma comunque significativo passo avanti.
Dobbiamo avere il coraggio di guardare la politica di difesa comune per quella che è e dobbiamo nutrire la speranza che le nuove norme, delle quali si è dotata l'Unione europea con il Trattato di Lisbona, consentano di fare qualche passo in avanti più significativo. Naturalmente questo è l'approccio con il quale il Partito Democratico guarda a questa definizione e a questa materia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 5.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Girlanda, Di Virgilio e Causi.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 439
Votanti 438
Astenuti 1
Maggioranza 220
Hanno votato
438).

Prendo atto che i deputati Granata, Reguzzoni, Berruti e Bellotti hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.

(Esame di un ordine del giorno - A.C. 3083)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'unico ordine del giorno presentato (Vedi l'allegato A - A.C. 3083).
Qual è il parere del Governo sull'ordine del giorno Di Stanislao n. 9/3083/1, nel testo riformulato?

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, il Governo lo accetta.

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione dell'ordine del giorno Di Stanislao n. 9/3083/1, accettato dal Governo, nel testo riformulato.
È così esaurito l'esame dell'unico ordine del giorno presentato.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3083)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, con il voto che ci accingiamo ad esprimere, il provvedimento in oggetto, firmato nel 2004 e riportato alla nostra attenzione nel 2007, verrà definitivamente ratificato: siamo nel 2010, dunque, sei anni dopo. In esso non è presente la Germania, una nazione ed una forza importante, che potrebbe dare un contributo fondamentale al rafforzamento e allo sviluppo di questa nuova forma di collaborazione, cioè della Gendarmeria europea. Sono limiti di cui Pag. 63dobbiamo farci carico e da cui dobbiamo partire per chiedere al Governo che la Dichiarazione di intenti in oggetto possa trovare non solo una prima verifica, ma anche la possibilità di svilupparsi ulteriormente.
La Forza di gendarmeria europea è uno strumento adeguato al fine di contribuire allo sviluppo della Politica europea di sicurezza e di difesa. Essa favorisce, inoltre, lo svolgimento dei compiti di polizia richiesti nelle operazioni di gestione delle crisi, svolti nel quadro di una struttura multinazionale degli Stati che affiancano l'Unione europea nella realizzazione di missioni e che possono partecipare alle iniziative delle organizzazioni internazionali nel settore delle missioni internazionali e nelle aree di crisi.
La Forza di gendarmeria europea, chiamata anche Eurogendfor, costituita da contingenti dei rispettivi Corpi di polizia ad ordinamento militare, che dovrà essere operativa, preorganizzata ed impiegabile in tempi rapidi, è uno strumento fondamentale anche nella risoluzione e nell'intervento di fronte a crisi istantanee che si possono verificare (come è accaduto frequentemente in questi ultimi anni). Sono forze cui competono le operazioni di gestione delle crisi, che svolgono compiti di polizia e favoriscono la riattivazione di servizi di sicurezza, in particolare, nelle fasi di transizione da situazioni operative e militari alla ricostruzione di istituzioni civili.
La struttura della Forza di gendarmeria europea si compone di tre elementi fondamentali: una componente operativa, che svolge missioni di pubblica sicurezza e ordine pubblico, una componente destinata alla lotta contro il crimine e una componente di supporto logistico.
Tutto questo - anche in ragione dei numerosi aspetti che condividiamo, che sono stati illustrati dai colleghi durante la discussione sulle linee generali - ci induce a votare convintamente a favore del provvedimento in oggetto e a ribadire l'invito al Governo affinché l'approvazione della Dichiarazione di intenti possa trovare ulteriori sviluppi positivi anche nei prossimi anni.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, confermo il voto favorevole del Partito Democratico secondo le linee illustrate durante la discussione sulle linee generali. Richiamo, brevemente, i tre punti qualificanti del provvedimento in oggetto.
La Gendarmeria europea è uno strumento utile e positivo al servizio dell'Unione europea e delle altre organizzazioni internazionali, con compiti di gestione delle crisi, sotto il punto di vista sia civile sia militare. Essa rappresenta l'espressione positiva di una lunga evoluzione politica, che ha visto l'Unione europea acquisire progressivamente competenze in materia di difesa e di sicurezza, e che ha visto la messa a disposizione da parte sua di specifiche capacità operative. Essa si inserisce, infine, nella cornice del Trattato dell'Unione europea e delle ambizioni che esso definisce.
Ci auguriamo che sia un punto di partenza per un percorso più veloce di quanto sia avvenuto fino ad ora (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 3083)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di ratifica n. 3083, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Pag. 64

Onorevoli Migliori, Centemero e Tocci.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva.

«Ratifica ed esecuzione della Dichiarazione di intenti tra i Ministri della difesa di Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna relativa alla creazione di una Forza di gendarmeria europea, con Allegati, firmata a Noordwijk il 17 settembre 2004, e del Trattato tra il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica portoghese per l'istituzione della Forza di gendarmeria europea, EUROGENDFOR, firmato a Velsen il 18 ottobre 2007» (3083):

Presenti 443
Votanti 442
Astenuti 1
Maggioranza 222
Hanno votato 442
(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Prendo atto che i deputati Rugghia, Piffari e Verini hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.

Sull'ordine dei lavori (ore 17,55).

LUCA VOLONTÈ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori, più che per richiamare il Governo ad un'azione diplomatica, che sta già svolgendo con il massimo impegno, per invitarlo ad accogliere questo sostegno, che immagino provenga da tutti noi, al fine di contrastare, attraverso le azioni diplomatiche che sta mettendo in campo (e ne può mettere in campo ancora molte con il sostegno di tutto questo ramo del Parlamento e del Senato), le discriminazioni in ordine alla tutela e al rispetto della libertà religiosa, soprattutto nei confronti della minoranza più discriminata in questo momento nel mondo, ossia la minoranza cristiana.
Alcune notizie emerse in questi giorni riportano all'attualità questo elemento fondamentale: taluni usano il termine «cristianofobia», altri preferiscono - giustamente, dal mio punto di vista - affermare una difesa più puntuale della libertà religiosa, in ottemperanza alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite.
Sappiamo che il Governo italiano ha posto tale questione all'attenzione dell'incontro bilaterale di qualche mese fa tra l'Unione europea e l'India, così come lo sta ponendo all'attenzione del Pakistan. Confidiamo che l'azione, già molto positiva, del Governo e del Ministero degli esteri, nella scorsa come in questa legislatura, possa trovare maggiore impegno grazie al sostegno del nostro Parlamento.
In secondo luogo, desidero invitare ancora una volta il Governo italiano ad ottemperare alla mozione - a prima firma Buttiglione ed altri - sulla selezione e sull'aborto nei confronti delle donne, in particolare delle bambine (mozione approvata più di un anno fa da questo ramo del Parlamento). Grazie ad un nuovo interesse da parte dell'opinione pubblica internazionale, mi auguro che questo sforzo possa sempre più manifestarsi, anche da parte dell'Unione europea, all'interno dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, affinché questa piaga veramente drammatica - lo diciamo il giorno dopo la festa delle donne - possa finalmente trovare fine e si possa, per adoperare i termini utilizzati questa settimana dall'Economist, porre fine a questo genocidio di genere nei confronti delle bambine e delle neonate.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (A.C. 3175) (ore 18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di Pag. 65legge: Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Ricordo che nella seduta dell'8 marzo 2010 sono iniziati gli interventi relativi alla discussione sulle linee generali. Risultano ancora iscritti a parlare 219 deputati.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3175)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, chiederei l'attenzione del Governo.

PRESIDENTE. Mi sembra una richiesta corretta.
Sottosegretario Santanchè, onorevole De Nichilo Rizzoli, per cortesia... Dobbiamo permettere all'onorevole Lulli di svolgere il suo intervento e ai sottosegretari di ascoltare.
Prego, onorevole Lulli, inizi il suo intervento, che il tempo è breve.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, il testo che oggi arriva all'esame dell'Aula è uno dei più delicati e importanti ai fini di una strategia efficace e risolutiva nella lotta alla criminalità organizzata.
È ormai un fatto notorio e riconosciuto che la mafia rappresenta, in termini di fatturato e di infiltrazione su base territoriale, la prima azienda del Paese, come testimoniato... Però, signor Presidente, richiamerei l'attenzione del Governo, per cortesia.

GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, che cosa vuole? Posso ripetere quello che ha detto!

PRESIDENTE. Onorevole Lulli, si rivolga alla Presidenza.

ANDREA LULLI. Infatti, mi sono rivolto alla Presidenza.

PRESIDENTE. Prosegua, onorevole Lulli.

ANDREA LULLI. Come ho già detto, la mafia rappresenta la prima azienda del Paese, come testimoniano annualmente i dossier e i rapporti di organismi istituzionali a livello locale e nazionale o di associazioni di categoria e di volontariato che sono impegnate in prima linea nella battaglia a Cosa nostra.
In modo particolare, questo sistema criminale nell'ambito del settore edilizio, in tutte le sue fasi, costituisce uno dei baluardi del progressivo e costante arricchimento delle associazioni mafiose, con una profonda infiltrazione nel tessuto sociale ed economico del Paese. Sappiamo perfettamente che le forme attraverso cui ciò avviene vanno dal controllo degli appalti - su cui il Partito Democratico è più volte intervenuto presentando diverse proposte di legge - a quello delle opere pubbliche, dalla richiesta del «pizzo» al ricorso all'usura.
Parallelamente - e su questo tornerò più avanti - va sottolineato il salto di qualità nei rapporti fra le mafie nostrane e le numerose organizzazioni criminali transnazionali, al punto che gli organismi internazionali e la stessa Unione europea stanno pensando di adottare provvedimenti ricalcati sull'impianto normativo italiano proprio per far fronte alla facilità di comunicazione e contatti derivanti dalla globalizzazione e, in ambito europeo, dall'apertura delle frontiere.
In questo scenario l'attività di recupero da parte dello Stato dei beni immobili delle aziende riconducibili ad elementi o ad associazioni di stampo mafioso appare strategica e decisiva nell'attività di repressione del fenomeno. Se è vero che da decenni la trasformazione e il passaggio fondamentale che ha visto protagoniste le mafie italiane coincide sostanzialmente con una scalata orizzontale al controllo dello sviluppo economico del Paese, è altrettanto evidente che sia proprio su Pag. 66questo terreno che lo Stato si gioca la sua battaglia per la legalità.
Da questo punto di vista, negli ultimi anni è stato portato avanti un significativo e consistente lavoro, che ha visto impegnate, come organi demandati, tanto le autorità giudiziarie quanto l'Agenzia del demanio, fino ad oggi unici soggetti titolati ad occuparsi dell'amministrazione, della gestione, della confisca e della destinazione dei beni in oggetto.
Il riferimento legislativo che sottende a questo processo è la legge n. 109 del 1996, una normativa unica nel suo genere nel panorama internazionale, perché mirata a restituire alla collettività i patrimoni delle organizzazioni criminali attraverso il loro riutilizzo sociale, produttivo e pubblico.
Dobbiamo al sacrificio di Pio La Torre, storico dirigente del Partito comunista siciliano, la grande intuizione, così precoce per quei tempi, che il sequestro delle attività illecite e criminose della mafia costituisse uno dei rimedi più efficaci, se non per debellare il fenomeno, almeno per disinnescarne la propagazione dal punto di vista operativo.
Lo stesso dobbiamo dire per tante personalità delle forze dell'ordine e per uomini di Stato, come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, su cui il collega Vico, nel successivo intervento, si soffermerà.
La restituzione alla società civile di ciò che la mafia ha acquisito illegalmente è e deve restare un principio cardine su cui si fonda la lotta alla criminalità organizzata. Diciamo questo affrontando il provvedimento in esame, perché il testo in oggetto su questo punto non ci sembra completamente adeguato, nonostante nelle Commissioni siano stati apportati miglioramenti e approvati numerosi emendamenti presentati dal gruppo del Partito Democratico.
Malgrado la ratio della legge n. 109 del 1996 mantenga tutta la sua validità e la sua importanza sostanziale, invece sul piano della sua applicazione, secondo molti osservatori, non è apparsa sufficiente a risolvere le molteplici problematiche sottese alla gestione, alla destinazione e all'utilizzo dei beni confiscati alle mafie. In buona sostanza, la norma non ha avuto un facile decollo anche perché, come denunciato da associazioni come «Libera», la stessa percezione per cui la consegna alla comunità di beni sottratti ai patrimoni mafiosi ripristina, in qualche modo, una condizione di Stato di diritto non è stata sufficientemente alimentata. Questo è avvenuto perché il Governo, da un lato, ha propagandato con facili slogan una guerra a tutto campo contro la mafia e, dall'altro, ha poi inserito, da ultimo nella scorsa legge finanziaria, misure che appaiono in contraddizione con l'obiettivo, dando vita a un inspiegabile paradosso che non viene risolto neanche in questo provvedimento. Del resto vorrei ricordare che lo stesso superamento della tracciabilità dei pagamenti non aiuta provvedimenti che possono «mordere» nei confronti della criminalità organizzata e del riciclaggio delle somme che la criminalità è, in qualche modo, intenta ad ottenere.
Tornando alla legge n. 109 del 1996, si può affermare che le ragioni del suo parziale funzionamento sono diverse. In primo luogo, è emersa chiaramente una certa farraginosità nella procedura e una dispersione generale dovuta a diversi fattori, come ben spiegato nel rapporto del commissario straordinario dottor Maruccia, dalla estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva e il provvedimento di destinazione, dal conseguente degrado dei patrimoni, dalla perdita di competitività, dal frequente rischio di fallimento delle imprese sottoposte a sequestro, con evidenti ricadute sui livelli occupazionali e sulla legittimazione sociale dell'intervento giudiziario che è importante mantenere per combattere questo fenomeno, e, infine, dal diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari operanti nei diversi distretti.
È proprio per queste acclarate difficoltà di gestione che il Governo - e in modo specifico il Ministro Maroni - ha avvertito l'esigenza, certamente tardiva vista la delicatezza e l'entità della questione, di dar vita a una sorta di cabina di regia unitaria e di ambito nazionale, che faccia da raccordo tra tutti gli organismi coinvolti Pag. 67nel procedimento di recupero dei beni. In realtà, va detto che in questo testo vi è molto di più, perché vedremo che l'attività di coordinamento dell'Agenzia, in virtù di competenze e poteri amplissimi che tale legge le attribuisce, finisce per ridimensionare notevolmente la funzione e la professionalità, acquisita in materia da anni, da alcuni organi giudiziari, rivelatisi assai preziosi per l'esperienza acquisita nei passaggi nevralgici della gestione amministrativa.
In ogni caso, come Partito Democratico, accogliamo con favore questo provvedimento su cui le Commissioni si sono dette disposte a lavorare ulteriormente su alcuni emendamenti che giudichiamo certamente - se accolti - ancora più migliorativi. Auguriamoci anche che in questa sede si mantenga questo orientamento.
Entrando nello specifico del provvedimento non possiamo non prendere le mosse dai dati illustrati nella sua relazione annuale dal dottor Maruccia, così da renderci meglio conto di quale sia l'ordine di grandezza nei numeri - e dunque nelle cifre - dell'oggetto di cui parliamo.
Per quanto riguarda i beni immobili confiscati, al 30 giugno 2009, questi ammontano a 8.933; l'83 per cento si trova nelle quattro regioni meridionali con una netta prevalenza della Sicilia che ne ha il 46 per cento, mentre Campania e Calabria si attestano rispettivamente al 15 e al 14 per cento e la Puglia all'8 per cento. Il restante 17 per cento è concentrato prevalentemente in Lombardia e nel Lazio.
Al 30 giugno 2009 le aziende confiscate alla criminalità, invece, sono 1.185; il 38 per cento di queste si trova in Sicilia, mentre Campania e Lombardia si attestano rispettivamente attorno al 19 e al 14 per cento e il Lazio all'8 per cento. Per ciò che riguarda le destinazioni, su 8.933 beni immobili confiscati, 5.407 (ossia il 60 per cento) sono stati destinati.
La maggior parte dei beni destinati è stata consegnata agli enti locali per finalità sociali (ossia l'86 per cento di questi beni); il restante 14 per cento è stato mantenuto allo Stato per fini istituzionali. Delle aziende su 1.185, 388 (pari quasi a un terzo) sono state destinate. Solo l'11 per cento delle aziende è stato destinato alla vendita o all'affitto. Il restante 89 per cento è andato in liquidazione. Infatti un'azienda su tre risulta già in liquidazione o tecnicamente fallita prima della confisca definitiva, e quindi precedentemente alla presa in consegna da parte dell'Agenzia del demanio.
Come si vede, stando alle percentuali, la destinazione delle aziende confiscate risulta molto più difficile da gestire e questo per una serie di problematiche: in primo luogo, per un discorso di mancanza di liquidità, perché i creditori e gli istituti bancari, a seguito del provvedimento di sequestro, tendono a ridurre o eliminare le linee di credito; in secondo luogo, per una carenza di esperti del settore che possano garantire e sostenere la redditività dell'impresa anche in vista della destinazione finale.
Per sopperire a tale esigenza alcuni tribunali hanno adottato protocolli anche in accordo con il commissario straordinario per i beni confiscati per la valorizzazione delle aziende in sequestro. La nascita di una Agenzia nazionale che gestisca quella che appare una sorta di filiera (confisca, destinazione, assegnazione monitorata dalle prefetture con annessa riutilizzazione sociale) dovrebbe dunque correggere tutta una serie di errori e ritardi nella procedura che vanno dalla difficoltà nell'elaborazione di stime e di mappature dettagliate dei siti oggetto di confisca, alla mancanza di monitoraggi specifici, tanto che spesso il Demanio ha destinato beni alle amministrazioni senza prima averli svincolati o, ancora, dovrebbe fronteggiare la perdita del valore del bene dovuta ad anni e anni di sequestro tanto che nell'assegnazione alla collettività, per essere agibili, questi necessiterebbero di un impiego ingente di fondi.
Venendo alla lettura degli articoli di cui si compone il provvedimento, vogliamo mettere in evidenza le principali novità del testo che vanno a incidere tanto sulla precedente normativa quanto su un punto che ci pare significativo relativo al codice di procedura penale. L'articolo 1, al Pag. 68comma 1, istituisce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, mentre il comma 2 ne riconosce la personalità giuridica di diritto pubblico dotata di autonomia organizzativa e contabile, ponendone la sede principale a Reggio Calabria.
L'Agenzia è sotto la vigilanza del Ministero dell'interno e organo apicale dell'Agenzia è il direttore, scelto esclusivamente tra i prefetti e coadiuvato dal consiglio direttivo composto da quattro membri: un rappresentante del Ministero dell'interno, il direttore dell'Agenzia del demanio, un magistrato designato dal Ministro della giustizia e uno dal Procuratore nazionale antimafia.
L'Agenzia è istituita con effetto immediato, ma le norme previgenti in materia di amministrazione dei beni sequestrati continuano ad applicarsi fino all'emanazione, entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge, dei regolamenti.
Sembra, ma la formulazione non ci pare delle più felici, che, dopo l'emanazione dei regolamenti, l'Agenzia assumerà i propri compiti anche con riferimento ai beni già sequestrati. Dunque, vediamo che il ruolo del Ministero dell'interno, che ha compiti di vigilanza e che propone la nomina di un direttore, risulta preponderante sia sul piano della definizione strutturale che nella vocazione centralistica che l'Agenzia finisce per avere. In sé e per sé non è detto che ciò costituisca un aspetto negativo, ma può accadere - e temiamo che accada - che paradossalmente l'esigenza di una semplificazione e di uno snellimento delle procedure, che il Governo intende risolvere instaurando un elefante burocratico di tali dimensioni, possa invece creare una confusione tale da rendere inefficaci gli stessi obiettivi che si vogliono perseguire.
Nella rincorsa costante ad un decisionismo di facciata, cui ormai siamo abituati e che si traduce spesso in slogan facili dal forte impatto mediatico, si rischiano poi di perdere di vista le conseguenze dannose o che non producono nulla che tali provvedimenti potrebbero comportare. Dunque, il decreto-legge, mirando a velocizzare il passaggio che va dall'amministrazione giudiziaria alla confisca definitiva del bene, programmando già nella prima fase la sua destinazione finale, unifica i due momenti dell'amministrazione: quelli che in prima battuta erano di competenza della Autorità giudiziaria e in seconda battuta dell'Agenzia del demanio.
L'Agenzia si sostituisce così integralmente all'amministratore nominato oggi dal tribunale (misure di prevenzione) o dall'Autorità giudiziaria, provvede alla custodia, alla gestione, all'amministrazione dei beni, presenta al giudice delegato o all'autorità giudiziaria una relazione entro tre mesi dall'esecuzione del sequestro e successivamente, in via periodica, indicando anche eventuali ulteriori beni da sequestrare.
Viene previsto il deposito delle relazioni periodiche sia al tribunale (misure di prevenzione) per consentire la verifica dell'amministrazione, che al giudice delegato, il quale può chiedere la documentazione giustificativa. Nel caso di sequestro di aziende, si presenta una relazione entro sei mesi sulla utilità della prosecuzione della stessa (analoga alla situazione attuale) e cambia, quindi, il quadro giuridico nel quale si colloca l'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati, assumendo competenza esclusiva e generale in materia.
Peraltro, all'articolo 5, che modifica la legge 31 maggio 1965, n. 575, si prevede che, per l'espletamento dei propri compiti, l'Agenzia si avvalga di proprio personale: tecnici o altre persone retribuite, di coadiutori (scelti nell'ambito degli amministratori giudiziari) e, nel caso di aziende, di persone iscritte nell'apposita sezione dell'albo degli amministratori giudiziari. Premesso che, come è stato segnalato in particolar modo dall'associazione «Libera», ciò comporterebbe un incremento dei costi derivanti dal necessario utilizzo da parte dell'Agenzia di coadiutori e dall'intervento del personale di raccordo della stessa Agenzia, quello che va sottolineato è che in questo modo viene attribuito all'Agenzia il potere di nomina del soggetto Pag. 69effettivamente incaricato della gestione al di fuori di ogni controllo dell'Autorità giudiziaria.
Emerge con evidenza, dunque, uno scollamento tra l'Autorità giudiziaria e l'amministrazione del bene sequestrato, oggi assicurato dal rapporto fra amministratore e giudice delegato. È proprio questo ruolo, fin qui cruciale, proprio perché nominato nell'ambito del procedimento di prevenzione, che subisce un significativo ridimensionamento.

PRESIDENTE. Onorevole Lulli, dovrebbe concludere...

ANDREA LULLI. Concludo fra pochi minuti. Infatti, non vengono riprodotti compiti di direzione rispetto alle attività dell'amministrazione previste dall'attuale comma 1 (il potere di autorizzare l'utilizzo da parte dell'Agenzia di tecnici o altre persone retribuite).
Inoltre nel caso di compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte dell'Agenzia, all'autorizzazione scritta del giudice delegato si sostituisce il nulla osta del medesimo e viene meno, a seguito della sostituzione integrale del comma 3 dell'articolo 2-septies, il potere di proporre al tribunale la revoca dell'amministratore, nonché il potere di quest'ultimo di disporla d'ufficio, attualmente prevista nel caso di inosservanza dei doveri e di incapacità dell'amministratore.
Nella relazione illustrativa al decreto viene appunto evidenziata la necessità di liberare il giudice delegato da una serie di incombenze con effetti positivi anche sulla funzionalità degli uffici giudiziari, nonché di determinare consistenti risparmi nelle spese di gestione e di amministrazione finora sostenute. Il punto è che l'Agenzia si sostituisce di fatto all'amministratore giudiziario, ma a differenza di quest'ultimo, che comunque operava sotto la direzione del giudice delegato, non ha alcun obbligo di rendicontazione e verifica che non sia la periodica trasmissione di relazioni sull'andamento del procedimento gestionale. Inoltre è proprio dal punto di vista dell'efficienza che molte associazioni coinvolte hanno evidenziato una criticità forte su tale aspetto, e cioè che i risultati positivi sin qui raggiunti spesso e volentieri sono frutto dell'esperienza del giudice delegato che, avendo una funzione specializzata svolta in tutta la durata del processo, garantisce competenza e professionalità.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANDREA LULLI. Potrei continuare ancora ad elencare una serie di criticità, pur tuttavia ribadisco la volontà del Partito Democratico di valutare, in modo costruttivo, il provvedimento positivamente sperando in alcuni nuovi miglioramenti nel corso del dibattito parlamentare. Mi auguro che la nostra sensibilità su questo tema abbia successo e ci consenta di arrivare ad un provvedimento ancora più fortemente positivo rispetto all'attuale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato prefetto di Palermo con poteri straordinari dall'allora Ministro dell'interno Virginio Rognoni subito dopo la morte di Pio La Torre, nella sua ultima intervista dell'agosto 1982 resa a Giorgio Bocca (la Repubblica), pochi giorni prima di essere ucciso il 3 settembre 1982, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'autista che li seguiva, già poneva in quell'intervista le premesse di quella che sarebbe dovuta essere la lotta contro la mafia nel nostro Paese: una lotta alle mafie che deve andare a colpire i loro interessi economici e le ricchezze che hanno accumulato con i loro traffici illegali. Così disse il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che, continuando, diceva che il cosiddetto disegno di legge Pio La Torre è la presa d'atto della realtà della mafia che non è soltanto una questione criminale fine a sé stessa, ma anche economico-sociale, come si vede nel riciclaggio. Diceva: Pag. 70in Italia la mafia uccide fra i malavitosi e l'Italia perbene può disinteressarsene (siamo nel 1982, queste parole vanno inserite in quel contesto storico). La mafia - diceva ancora - sta ormai nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi e commerciali e magari industriali. Vede - disse rivolgendosi a Giorgio Bocca - a me interessa conoscere questa accumulazione primitiva del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio di danaro sporco che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne, in alberghi, in ristoranti.
Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa del controllo che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci, magari passati a mani insospettabili, protette, sta nei punti chiave, assicura rifugi, procura reti di riciclaggi e controllo di potere. Ecco, la dimensione nazionale di Cosa Nostra e della mafia in generale, ma anche la dimensione economica dell'inquinamento mafioso, sta proprio in tutto questo.
Con queste parole, come dicevo, nel 1982, il generale Dalla Chiesa è stato tra i primi rappresentanti delle istituzioni a porre attenzione in maniera specifica sulla dimensione economica e finanziaria delle organizzazioni criminali, ma ad un certo punto è andato oltre e ha detto: «Ho capito però una cosa semplice, ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi, caramente pagati dai cittadini, non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati».
Onorevoli colleghi, questa è una chiave di lettura molto importante, perché il generale Dalla Chiesa non si ferma solo ad una lettura del fenomeno mafioso in termini puramente criminali, non soltanto fa un passo avanti dicendo che il terreno fondamentale per combattere proprio il potere mafioso è aggredirlo e aggredire le sue ricchezze, ma fa un passo in avanti, ha un'intuizione importantissima. Parla di mafia e di criminalità organizzata come uno strumento per assicurare e garantire, in modo diverso, i diritti dei cittadini, prima di tutto e fra tutto, il diritto al lavoro.
Noi viviamo ancora oggi in molti territori del nostro Paese una situazione che permette alle organizzazioni mafiose di garantire un posto di lavoro ai nostri giovani. Colleghi, è così a Napoli, in Sicilia, in Calabria. Con questo appello, il generale Dalla Chiesa anticipa quello che possiamo definire l'antimafia dei diritti, delle opportunità e del lavoro vero diverso da quello offerto dalle mafie e caratterizzato da ricatto, violenza, sopraffazione, e spesso morte.
L'antimafia dei diritti nasce nel periodo successivo alle stragi di Capaci e di via d'Amelio e di quelle del 1993 che hanno colpito Firenze, Roma e Milano; un'antimafia sociale e dei diritti che si affianca a quella delle manette, della repressione assicurata con notevoli sforzi e scarsità di mezzi dalla magistratura e dalle forze dell'ordine. Ecco, quindi, che Dalla Chiesa con questa intuizione che proviene un po' dalla sua storia di lotta al terrorismo, ma soprattutto di lettura di un fenomeno in Sicilia che ha permesso, già nei primi anni Ottanta, la nascita di primi corsi di educazione alla legalità nelle scuole, che poi avranno una loro diffusione e sistematicità negli anni Novanta.
La lotta alla mafia deve essere soprattutto caratterizzata da politiche di promozione sociale, di promozione di occupazione, di lavoro, che molto spesso viene offerto come un favore, e che invece deve essere garantito come un diritto, ma lo sappiamo tutti che ancora oggi in Italia non è così. Tutte le politiche di inclusione sociale, le politiche di promozione sociale, di educazione alla legalità, di percorsi lavorativi, utilizzando anche i beni confiscati, si inquadrano in tutto questo, perché il fenomeno del lavoro nero, del caporalato, dello sfruttamento al lavoro, del lavoro minorile e dell'usura interessano non soltanto le regioni a sud di Roma, ma anche molte regioni del centro e del nord.
Questa premessa, onorevoli colleghi, serve per descrivere il contesto in cui si inquadra la legge n. 109 del 1996 di cui Pag. 71tanto diffusamente abbiamo parlato ieri, ne parliamo oggi e ne parleremo nel prosieguo di questa discussione sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie. È una legge che ha ottenuto importanti risultati sotto molti punti di vista, una legge che nel nostro panorama legislativo e normativo ha creato una rottura, insieme con altre leggi, ad una legislazione antimafia dell'emergenza.
La legislazione antimafia nel nostro Paese - se così si può chiamare un corpus normativo che nel corso degli anni si è arricchito anche in maniera disorganica nei vari settori giuridici, quelli del diritto commerciale, fallimentare, processuale, penale, amministrativo e penitenziario, e che è stata presa come modello dalle altre legislazioni in Europa e dalla stessa Convenzione delle Nazioni Unite firmata a Palermo nel dicembre del 2000 - ha subito nel corso degli anni delle modifiche di carattere emergenziale legate a gravi delitti e stragi, secondo quella logica definita l'antimafia del giorno dopo.
Vorrei iniziare, onorevoli colleghi e onorevole sottosegretario Mantovano, dal 1963 con la strage di Ciaculli a Palermo dove morirono sette carabinieri. Nella logica dell'antimafia del giorno dopo venne istituita per la prima volta la commissione antimafia in Sicilia e nel 1965 viene emanata una legge che conteneva per la prima volta il termine mafia nel suo titolo, ovvero: Disposizioni contro la mafia. Questa legge aveva previsto l'estensione di alcune forme di privazione della libertà personale agli indiziati di appartenere ad un'organizzazione criminale di stampo mafioso. Nel 1982, dopo l'uccisione di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, viene approvato il disegno di legge che lo stesso Pio La Torre aveva presentato con Rognoni e che introduce il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, un delitto che consente di perseguire la mafia dal punto di vista della sua organizzazione e carattere associativo. A questa importante modifica legislativa si aggiungono in quegli anni due fattori di straordinaria importanza: la nascita del pool di Palermo di Rocco Chinnici e poi di Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e l'inizio delle collaborazioni di giustizia dal 1984 con la collaborazione di Tommaso Buscetta e poi, a seguire, tutti gli altri pentiti. Dal 1982 al 1984 si crea una coincidenza temporale tra l'introduzione della legge che permette di contrastare il fenomeno mafioso con l'organizzazione e il lavoro del pool di Palermo che porterà al maxiprocesso contro Cosa nostra e le collaborazioni di molti boss che suffragano anche quello che era stato definito a livello giuridico dall'articolo 416-bis del codice penale, ovvero la mafia come un'associazione e come un'organizzazione verticistica.
Sempre secondo la logica emergenziale di cui parlavo prima nel corso di questa discussione che stiamo svolgendo, dopo l'uccisione del «giudice ragazzino», il giudice Livatino, nel settembre del 1991, su idea di Giovanni Falcone, il quale nel 1991 andò a Roma a lavorare con l'allora Ministro Martelli presso la Direzione generale affari penali del Ministero della giustizia, vengono istituite la Direzione nazionale antimafia e la Direzione investigativa antimafia. Si trattava di un gruppo interforze di carabinieri, polizia, guardia di finanza specializzata. Ancora, solo dopo la morte di Libero Grassi, imprenditore di Palermo che venne ucciso nell'agosto del 1991, viene emanata nel nostro Paese la prima legislazione anti-racket. Dopo le stragi di Capaci e di via Amelio viene introdotto l'articolo 41-bis che prevede il carcere duro per i mafiosi e quant'altro. Quindi, si tratta di una legislazione che si è succeduta nel corso degli anni e per la quale, come ricordavo prima, numerosi sono stati gli interventi straordinari dello Stato.
La legge n. 109 del 1996 segna una rottura perché nasce dalla spinta delle associazioni della società civile e da una campagna di raccolta firme nel Paese. Si è trattato di una campagna finalizzata a sostenere il cammino parlamentare che nel 1995 era cominciato per sostenere un disegno di legge che prevedeva l'uso sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. Quindi, una legge che pose e pone Pag. 72degli obiettivi importanti perché riconosce il ruolo antimafia che la società civile e il mondo dell'associazione e della cooperazione sociale hanno nel nostro Paese.
Lo hanno per quello che fanno, per il lavoro che svolgono tutti i giorni, per il lavoro educativo e di promozione sociale che sono in grado di svolgere. Successivamente, altre leggi sono entrate in vigore seguendo le stesse finalità e partendo dagli stessi presupposti. Ovviamente, faccio riferimento alla legge sull'usura, la n. 108 del 1996, che introduce il Fondo di solidarietà per le vittime di questi reati. Nel 1999 la prima legislazione antiracket viene riformulata e si ricreano le condizioni per la nascita e lo sviluppo delle associazioni antiracket nel nostro Paese, per arrivare poi al 2000, alla legge sullo scioglimento dei comuni per fatti di mafia e alla legislazione in materia di vittime di mafia e di reinserimento sociale delle vittime della tratta delle persone. In questo ambito, signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, si inquadra una legislazione anche a livello regionale, che in questi ultimi anni, non soltanto nelle regioni a forte presenza mafiosa, ha contribuito in maniera significativa alla prevenzione e al contrasto dei fenomeni criminali. Vorrei qui richiamare le leggi in materia di appalto, di racket, di usura, di riutilizzo dei beni confiscati e i percorsi di educazione alla legalità nella scuola. È proprio, quindi, in questo contesto che la legge n. 109 del 1996 sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie ha permesso che si realizzassero in molti territori non solo, onorevoli colleghi, nel sud Italia, nel Mezzogiorno, le condizioni per un lavoro vero per i giovani, che su questa opportunità hanno investito e trovato un'occasione di riscatto sociale ed economico. Quando dico non solo, ma che nel sud Italia è avvenuto ciò, penso a quei giovani che hanno costituito le cooperative sui terreni confiscati a Cosa Nostra in Sicilia, alla 'ndrangheta in Calabria, alla camorra a Napoli, alla sacra corona unita a Brindisi.
Ma ritorno al 1982, quando era finalmente in vigore la legge Rognoni-La Torre. Siamo alle prime indagini patrimoniali, quelle finanziarie e anche bancarie che permisero e permettono di sequestrare i conti correnti all'estero, le prime proprietà immobiliari ed aziendali. Penso alla necessità che lo scudo fiscale prevedesse la nominatività di chi ha fatto rientrare i capitali nel nostro Paese. Ma torniamo all'ordine del giorno: questo metodo di lavoro, che è stato inaugurato con il pool di Palermo di Falcone e di Borsellino, viene esteso ad altre procure non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, in Campania, in Basilicata, in Puglia. Anche in queste regioni si formano i primi pool antimafia e si celebrano i primi maxiprocessi, si crea un metodo di lavoro, un'organizzazione giudiziaria, che poi sarà ufficializzata dalla nascita della Direzione nazionale antimafia e delle Direzioni distrettuali antimafia, formate da giudici specializzati nella lotta alle organizzazioni criminali. Aumentano i sequestri, che vengono trasformati in confische definitive. Quando il bene veniva tolto dalla disponibilità del mafioso e acquisito come patrimonio dello Stato, nascevano anche delle difficoltà. Che fare sulla domanda di tutti questi beni che venivano prima sequestrati e poi confiscati? La legge Rognoni-La Torre non aveva previsto procedure di gestione e di riutilizzo. A questa esigenza si risponde in un primo momento con un decreto-legge, che fu varato nel 1989, che introdusse le prime forme di destinazione. Viene introdotta la figura dell'amministratore giudiziario dei beni e un primo procedimento di destinazione poi semplificato dalla legge n. 109 del 1996. Due cose però vanno dette: il decreto-legge non prevedeva, cosa che ha fatto la legge n. 109 del 1996, l'uso sociale dei beni, nel senso che non parlava di associazioni o cooperative sociali che potevano prendere in carico il bene e quindi gestirlo.
La cosa più grave è che la legge prevedeva la possibilità, anche per i beni immobili, di vendere il bene confiscato, con il rischio concreto che vendere beni in territori come Palermo, Trapani, Agrigento significasse far riacquistare il bene mafioso tramite un prestanome. Una sorta di Pag. 73«riciclaggio di Stato», mi sia consentito dirla così, perché sappiamo tutti come vanno le aste nel nostro Paese: se è il prestanome ad acquistare il bene, il danaro sporco derivato dai traffici illeciti viene usato per acquistare il bene. La legge n. 109 del 1996 ha pertanto previsto l'esclusivo uso sociale e il divieto assoluto di vendita del bene confiscato. Tante e significative sono state le esperienze positive realizzate in questi primi dieci anni di applicazione della legge: è un dato obiettivo, noto non solo al Parlamento italiano e al Governo, ma al Paese. Ma c'è ancora molto da fare, perché le esperienze positive avviate mettano radici e, soprattutto, si moltiplichino. Attualmente in commercio si trovano pasta, farina, olio, vino, marmellate, legumi, passata di pomodoro ed altro, prodotti coltivando le terre confiscate alle mafie e rivendute con il marchio di qualità, nella legalità. Il marchio è Libera terra, e dà lavoro a ragazzi e ragazze di tante cooperative siciliane e calabresi. Da citare per il loro forte impegno sul territorio, e sul difficile fronte del disagio, vi sono sicuramente la cooperativa Placido Rizzotto, la cooperativa Lavoro e non solo Lavoro, la cooperativa Noè, l'associazione Casa dei giovani, la cooperativa Valle del Marro e, in futuro, le altre esperienze che stanno nascendo a Trapani, ad Alcamo, a Marsala, a Bagheria, a Paceco, a Canicattì, ad Agrigento, a Lentini; altre se ne aggiungeranno in altre parti del nostro Paese: a Mesagne e a Torchiarolo, in provincia di Brindisi. Riteniamo pacifico che questa sia una delle strade più giuste per ricavare un reddito pulito e onesto da quei beni sottratti alla collettività dalle mafie e riconquistate grazie all'azione positiva dello Stato. Non è insomma un'utopia, ma è frutto di lavoro, dignità e giustizia. E quel progetto di Libera terra di cui parlavo fu pensato nel 2000, grazie all'impegno dell'allora Prefetto di Palermo, Renato Profili.
Sto concludendo, Presidente. Signori del Governo, non create difficoltà. Sottosegretario Mantovano, e mi rivolgo a lei a nome e per conto del Governo, non create difficoltà. Io penso che serva l'impegno, quello di creare le condizioni affinché i beni confiscati si considerino una risorsa per lo sviluppo ordinario economico e sociale del territorio: pertanto, risulta importante far passare soprattutto il valore simbolico delle azioni di cui ho parlato. Alcuni sociologi hanno colto in pieno il significato di questa legge, sostenendo che l'uso sociale dei beni confiscati ha consentito, nel nostro Paese, di scardinare il consenso sociale che le mafie hanno sul territorio, che è fatto non solo di collusione a livello politico, economico e finanziario, ma - come il sottosegretario Mantovano sa - anche di indifferenza, di rassegnazione e di omertà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Colombo. Ne ha facoltà.

FURIO COLOMBO. Signor Presidente, l'argomento a cui stiamo dedicando la nostra attenzione - e la sua telefonata - in questo momento in Aula è piuttosto importante.
È piuttosto importante perché ne va non soltanto della gestione materiale e organizzativa dei beni della mafia che diventano beni dello Stato nel momento in cui vengono confiscati, ne va del senso stesso della lotta alla criminalità organizzata, ne va del significato di ciò che vogliamo dare a quella lotta, ne va dei simboli che quella lotta acquista o non acquista agli occhi dei cittadini italiani, ne va anche dell'immagine del nostro Paese nel mondo, perché purtroppo tutto ciò che riguarda la mafia è seguito con attenzione e con molta cura dalle notizie e dall'opinione pubblica del mondo, specialmente nei Paesi dirimpettai dal punto di vista della criminalità organizzata, in particolare nella stampa, nei giornali e, persino, nei media degli Stati Uniti.
Un trattamento disinteressato, sbadato, disattento, che addirittura rende possibile il riacquisto dei beni sequestrati alla mafia dalla mafia stessa, se non vengono poste barriere accuratamente studiate ed intelligentemente pianificate affinché ciò non avvenga, potrebbe dare di noi un'immagine Pag. 74sgradita e sgradevole che, purtroppo, corrisponderebbe a un modo sgradito e sgradevole di occuparci di questo fatto fondamentale.
Signor Presidente, se avessi la sua attenzione e quella del Governo, racconterei come comincia il mio coinvolgimento in questa questione e perché oggi ne parlo volentieri e con interesse.
Il mio coinvolgimento comincia con un nome che molti in quest'Aula certamente ricordano, o dovrebbero ricordare: il nome di Danilo Dolci. Nel 1954, quando sono venuto in contatto con l'attività e l'opera di questo personaggio che ha animato con il suo lavoro volontario, la sua passione, il suo impegno, il suo esempio, con la sua stessa vita che ha fatto diventare la vita dei contadini di Partinico, ho cominciato a rendermi conto della differenza - era come passare da uno schermo piatto al tridimensionale - tra ciò che leggevo da giovanissimo sui giornali italiani sulla mafia come notizia, come thriller, come giallo, e la mafia come realtà. Una visita a Partinico, un periodo di convivenza con Danilo Dolci, poteva essere molto importante e utile per una persona giovane in quegli anni, fresco di laurea, e deciso di occuparsi in quel periodo, se non fosse intervenuta l'esperienza giornalistica, del lavoro del magistrato.
Voglio ricordare brevemente ciò che è avvenuto, perché questo piccolo fatto, molto marginale rispetto alla vicenda di cui stiamo parlando, non lo è rispetto alla vita di Danilo Dolci e, dunque, non è marginale all'argomento di cui ci stiamo occupando. È accaduto che Danilo Dolci sia diventato ospite di una trasmissione che in quel momento la RAI faceva negli studi di Torino. Era una trasmissione praticamente sperimentale, era l'inizio della televisione, era il primo settimanale giornalistico che aveva luogo nel nostro Paese ed io ne ero il primo editor, il primo direttore che tentava di dare vita al rotocalco televisivo.
Vi era sempre qualcuno più adulto di noi, che eravamo persone molto giovani, che faceva l'editoriale, qualche volta era Carlo Casalegno, qualche volta Primo Levi, qualche volta era Alessandro Galante Garrone. Alla quarta volta abbiamo invitato Danilo Dolci che è venuto da Partinico e ci ha raccontato che cosa vuol dire la vita da schiavi dei contadini di Partinico in un mondo dominato dalla mafia (si intende era una mafia arcaica che controllava l'acqua e la terra, il pane e la sopravvivenza nel modo più gretto, diretto, e violento, ma era già una mafia della proprietà).
Ho questo da ricordare di quell'episodio ad onore di Danilo Dolci, ma non ad onore di ciò che è stato il nostro Paese e le sue autorità nel passato.
Quella trasmissione, Presidente, è stata l'ultima di quella serie, perché aver invitato Danilo Dolci a parlare della mafia in Sicilia e della connivenza tra autorità e mafia è stata ritenuta una violazione del nostro lavoro e del nostro dovere giornalistico.
Per fortuna, molto presto, dopo quell'evento la vita mi ha portato in America, mi ha portato ad occuparmi di vita e di situazioni americane, e mi ha messo in condizione di formare negli Stati Uniti un comitato di sostegno per Danilo Dolci (era il secondo dopo quello che esisteva in Svezia).
Non ho mai avuto tanto successo in nessuna delle cose che ho fatto nella mia vita come nel tentare di raccogliere volontariamente fondi a sostegno di ciò che Danilo Dolci intendeva fare a Partinico, a sostegno dei contadini schiavi, per contrapporre una vita di civiltà all'egemonia della mafia e delle autorità che, insieme con la mafia, rendevano quei contadini schiavi.
Quando Danilo Dolci è venuto in America è stato come portare in giro un grande autore, un grande poeta, un grande personaggio della vita culturale; ecco, era lui che era il personaggio, ed era anche l'autore di una storia in parte scritta (Banditi a Partinico, qualcuno lo ricorderà in quest'Aula), in parte mai scritta perché la sua vita è stata molto più grande della sua opera, nella quale si rendeva conto del che cosa è resistere alla mafia e alla proprietà della mafia che diventa efficace, Pag. 75effettiva, pesante e difficile da respingere nel momento in cui trova accordo e legame con l'autorità.
Questo era in quel momento il peccato non perdonabile di quella trasmissione che ha portato, alla fine, alla chiusura di quello che avrebbe dovuto essere il primo settimanale giornalistico: aver permesso che un protagonista testimone come Dolci rivelasse che c'era, c'era davvero, un rapporto tra autorità, personalità della vita italiana e mafia, gente che si muoveva alla luce del sole con prestigio, con libertà e con autorevolezza anche professionale e politica, e gente che invece lavorava con le armi, con la violenza, con la morte.
Tanti anni dopo compare un personaggio come don Ciotti (e un ente come l'associazione Libera) che si occupa del problema. La mafia è ricchezza, la mafia è proprietà, la mafia è imprese, la mafia è coinvolgimento in quelle imprese, la mafia è una grandiosa organizzazione d'affari che si estende in molte parti del mondo (basti pensare alla potenti succursali australiane e americane).
Ho conosciuto per fortuna don Ciotti prima ancora di tornare dagli Stati Uniti in Italia (nel frattempo uno degli amici della vita americana era Rudolph Giuliani, ritenuto qui un campione, uno sceriffo della destra, e che è stato invece un grande avversario della mafia americana e un grande amico di Giovanni Falcone), e, mentre seguivo questo problema, visto dal punto di vista degli Stati Uniti, ho potuto constatare come personaggi come Giuliani sono diventati famosi qui da noi, in provincia, come i promotori della tolleranza zero nei confronti degli zingari o dei banditelli di strada. Ma nel suo Paese Rudolph Giuliani è diventato campione della tolleranza zero battendosi contro le più potenti organizzazioni mafiose del suo Paese, battendosi per poterle mettere alla sbarra, indifferente alle relazioni che di volta in volta trovava tra mafia e personaggi di Wall Street, tra mafia e gente per bene di Park Avenue, tra mafia e ricchezze americane che apparivano essere legittime.
La sua tolleranza zero era di impedire che quelle ricchezze potessero espandersi, che quelle ricchezze potessero sopravvivere al delitto, che quelle ricchezze potessero ritornare nelle mani dei mafiosi a cui erano state sequestrate.
Noi oggi siamo a quella prova: che fare? Quella prova ci ha dato notizie interessanti per i molti risultati che si sono ottenuti, per le molte conclusioni felici e positive che importanti processi hanno avuto, acquisendo quantità importanti di proprietà e di ricchezza della malavita organizzata, del crimine organizzato che sono divenuti materiale sequestrato, aziende sequestrate, organizzazioni sequestrate, imprese sequestrate, ricchezze sequestrate. Che fare di questa immensa dotazione?
Qui direi che ci muoviamo su un territorio che ha parecchie trappole e non possiamo dire oggi di essere liberi da tutte quelle trappole o di essere adeguatamente coscienti se stiamo a ciò che questo Governo propone di fare a proposito della salvaguardia e della restituzione al mondo della legge e al mondo dei cittadini delle ricchezze che sono due volte gravemente segnate da colpa, gravemente segnate da dolo e da crimine, perché dal crimine derivano e perché il crimine consentono e hanno consentito e perché quel tipo di ricchezza è un inquinamento gravissimo che, se può continuare a circolare, è come un'attività radioattiva della criminalità verso altra criminalità.
Non credo che sia il caso di ricordare che uno dei punti più delicati, più importanti a questo proposito è quello di come amministrare, da un lato, e se vendere e vendere all'asta, dall'altro.
Il come amministrare è la contrapposizione tra il giudice delegato e la capacità dell'autorità giudiziaria di mantenere un contatto continuo e diretto con i beni che sono stati sequestrati e con l'amministrazione di quei beni, tanto più se ci si preoccupa del valore più grande e più importante che ha questo tipo di amministrazione che è il rendiconto, che è la trasparenza, che è il sapere con esattezza che cosa sta accadendo, per mano di chi e in che modo. Pag. 76
L'altro aspetto è quello di chiedersi se potrà mai questa concentrazione di ricchezza - sia essa un edificio, un territorio, uno spazio agricolo, sia essa un'impresa - tornare attraverso il meccanismo della vendita all'asta nelle mani di coloro che vorrebbero riaverla perché infatti la possedevano non per il gusto di ornare la propria lista di proprietà, ma per la necessità di disporre di ricchezza per produrre attraverso il crimine altra ricchezza, per pesare sull'autorità dello Stato, per infierire sull'intangibilità e la incorruttibilità dei funzionari, per comprare i privilegi di cui il crimine organizzato, come la cattiva politica, ha bisogno.
Questo problema fondamentale del poter vendere liberamente e, quindi, rivendere alla mafia ciò che della mafia è stato ritengo che non sarà mai abbastanza sottolineato con allarme e con vera, profonda preoccupazione. Di nuovo si leva la voce di Libera e dell'organizzazione di don Ciotti e dell'esperienza di coloro che lavorano da volontari, che sono diventati titolari in alcuni casi di ciò che era della mafia per renderlo, per restituirlo all'utilità comune dei cittadini.
Di nuovo si leva la loro voce per ripeterci la possibilità che questa porta rimanga socchiusa, che queste proprietà possano essere riacquistate dalla mafia. L'occasione che potrebbe fare dei vecchi proprietari i nuovi proprietari o di altri proprietari dei proprietari simili a coloro che avevano ammassato questo tipo di ricchezza è qualcosa che non dovrebbe succedere, che non dovrebbe essere sospettato, che non dovrebbe essere ragione neppure di equivoco o di ambiguità. Questo è certamente il punto chiave della situazione.
Accanto ad esso vi è il problema che nella tradizione giuridica anglosassone si chiama accountability, cioè il dovere di rendere conto e la capacità di rendere conto. E questo è il meccanismo che va costruito intorno a questo tipo di proprietà, nel momento in cui esso diventa pubblico, viene sottratto alle mani che lo avevano assemblato e diventa un'aggiunta alla ricchezza collettiva, che dovrebbe consentire scuole, produzione, lavoro agricolo, civiltà e libertà, che sono poi i fini ultimi della giustizia.
In questo caso molte cose vanno chiarite, precisate e messe a punto e a fuoco nel discorso di cui stiamo parlando e nel processo giuridico a cui stiamo tentando di dare vita.
Questo partito ha un suo progetto, ha presentato un suo percorso firmato dal segretario di questo partito, Bersani (porta il suo nome) ed ha verificato dettaglio per dettaglio, momento per momento, passaggio per passaggio in che modo si rende conto, in che modo si amministra, in che modo si mantiene legato al meccanismo della giustizia e al controllo del giudice delegato, in che modo si stabilisce che non un momento di opacità o di velo si frapponga fra l'opinione pubblica e la nuova gestione di un pezzo di Italia nuova, di Italia ritrovata, di proprietà ripresa legittimamente nelle mani dei cittadini.
Come lei sa, vi è un problema delicato che si frappone tra il momento del sequestro ed il momento della gestione e tale momento delicato è quello della complessità delle aziende, quando si tratta di aziende con personale, aziende con produzione, aziende con piani, aziende con quotazione, aziende con mercato, aziende con prestigio.
Noi sappiamo che la mafia è riuscita a mettere le mani in situazioni molto apprezzate e in aziende importanti e complesse, in settori importanti e complessi. Qui si tratta di dare vita ad un capolavoro di organizzazione giuridica, nella quale non si disperda il valore, non si vada allo sbando dell'appiattimento, come se un impresa, con tutto il carico di personale che vi lavora, fosse semplicemente un terreno la cui coltura possa passare dal granoturco al vino, ma mantenendo invece la complessità ed il senso della complicazione che guida questo tipo di lavoro. Delle tante volte in cui invano si è detto in quest'Aula che certe cose si potevano fare insieme, questo è certamente un caso in cui intelligenze, esperienze, capacità amministrative e giuridiche, comprensione della complessità della vita aziendale e del rigoroso Pag. 77legame con il mandato giudiziario che si ricava dal diventare titolari di un'azienda di questo genere, dovrebbero dare la possibilità di unire il meglio per capire ciò che vi è da capire, per costruire ciò che vi è da costruire e per fare ciò che resta da fare.
L'importante è che niente mai, in nessun momento, dia la sensazione di rendere possibile un ritorno o un annullamento di questa enorme impresa: sequestrare i beni alla mafia, seguire il danaro - come si dice tipicamente nei thriller americani: «follow the money» - seguire la ricchezza, per stanare la criminalità. Ciò serve per, poi, liberare il male e, almeno in parte, restituire una parte del male che è stato compiuto dalla criminalità, riconsegnando alla legittima proprietà della cittadinanza italiana il controllo di quella ricchezza.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FURIO COLOMBO. Nel corso di questa discussione, che dura da tempo (nei media, e con le infinite valutazioni di questo problema, dura da molto più tempo rispetto alla discussione in quest'Aula) è stato detto che sarebbe stato meglio, per esempio, se questo Paese non avesse conosciuto tante di quelle fiction, tante di quelle trasmissioni e tanti di quegli eventi che parlano di un'Italia mafiosa, che, in questo modo, hanno dato una cattiva immagine dell'Italia.
Tuttavia, nel dire ciò, si dimentica che abbiamo ricevuto le migliori immagini dell'America dal coraggio con cui essa ha saputo denunciare i suoi mali e ha saputo raccontarci i suoi problemi e, a volte, i suoi orrori. Si dimentica che, poco tempo fa, ha vinto il premio Oscar per il miglior film in quel Paese, un film che denuncia aspetti tremendi della guerra e della violenza che vi sono state appena pochi anni fa intorno e a causa di una parte della politica di quel Paese.
È stato ignorato in modo antico e provinciale o, probabilmente, è stato malamente orientato e malamente consigliato. È stato, invece, accettato il concetto che se dici la verità su te stesso, invece di apparire come una persona coraggiosa che sta prendendo atto della realtà, appari come un delatore che sta parlando male del proprio Paese e che quindi, è un anti-italiano.
È un brutto argomento, che avrebbe dovuto indurre a ricordarsi di capolavori che hanno fatto il giro del mondo come «Il bandito Giuliano» di Francesco Rosi, un film che è stato girato mettendo a rischio la vita di chi, in quel momento, lo stava girando, e che ha posto in rilievo, molto presto nella vita pubblica italiana, il mistero di forze e, dunque, anche di ricchezze, che stavano alle spalle di mafie, come quelle che hanno eseguito il delitto di Portella della Ginestra.

PRESIDENTE. Deve concludere.

FURIO COLOMBO. Vorrei ricordare un film come «Lucky Luciano», che ha rappresentato il modo in cui si stava formando, intorno ai nuclei di mafiosi siciliani, quel tipo di ricchezza di cui stiamo parlando questa sera, in quest'Aula, con riferimento al provvedimento in oggetto.
Ricordo una conversazione con un autore americano, che l'Italia conosceva bene, perché ha combattuto nel nostro Paese, e poi ne ha scritto nel suo indimenticato «Uno sguardo dal ponte»: mi riferisco ad Arthur Miller. Egli mi ha raccontato che, passeggiando davanti all'Hotel delle Palme di Palermo, subito dopo la guerra, è stato avvicinato da un signore con una bellissima auto americana, il quale gli ha offerto un passaggio. Si trattava - lo ha scoperto più tardi e ne ha scritto sul New York Magazine in un suo celebre intervento - di Lucky Luciano, che ha portato Arthur Miller - credendo che fosse un ufficiale americano, senza sapere che era proprio Arthur Miller - a vedere ciò che siamo (come diceva Lucky Luciano), dicendogli: «Questo è nostro, questo è nostro, questo è nostro, questo è nostro».
Si trattava di una serie di rappresentazioni del potere della mafia siciliana, che, molti anni dopo, Arthur Miller ha raccontato all'Istituto italiano di cultura di Pag. 78New York, per dire come era nata nella sua mente l'idea di un dramma come «Uno sguardo dal ponte».
Tutto ciò mi serve per ricordare in quest'Aula che ciò che accade a noi, intorno alla mafia, non è giudicato e iscritto nella mente, nell'opinione pubblica e nei Governi degli altri Paesi, a seconda di quanto cerchiamo di festeggiare la nostra bravura e la nostra grandezza, ma lo è a seconda di quanto siamo solidi, trasparenti, veri e sinceri nell'affrontare i nostri problemi.
Vorrei, inoltre, ricordare - in difesa di quella fiction che ha detto le cose che non sono state dette e che spesso non vengono dette nei discorsi politici - un altro film di Francesco Rosi: «Il caso Mattei». Potrà essere buffo che citi un film nel quale sono stato attore (impersonavo l'assistente di Mattei e traducevo in inglese i suoi discorsi per i petrolieri americani). Ebbene, per quel film ha perso la vita un giornalista dell'Ora, al quale era stato chiesto di verificare alcuni dettagli che sarebbero potuti servire ad un regista maniaco della precisione, quale Francesco Rosi. Quest'ultimo, infatti, aveva chiesto al giornalista Mauro De Mauro di verificare alcune circostanze che avevano a che fare con il possibile intervento della mafia in quell'evento terribile, oggetto della narrazione del film.
Stiamo, dunque, parlando di persone che hanno pagato con la vita. Stiamo parlando di fatti che sono effettivamente avvenuti. Stiamo parlando di rappresentazioni, fiction, che ci hanno dato onore nel mondo, perché hanno mostrato il coraggio di raccontare cosa ci stava accadendo e come lo stavamo combattendo.
Inoltre, signor Presidente, vorrei ricordare che in un Paese poco retorico e poco incline ai monumenti e alle statue, quale gli Stati Uniti, vi sono soltanto due monumenti, due statue che riguardano l'Italia: la prima si trova a New York ed è la statua di Garibaldi; la seconda si trova a Washington ed è la statua di Giovanni Falcone. Nessun giudice del mondo ha una sua rappresentazione e celebrazione in una sede istituzionale americana: soltanto Giovanni Falcone. Egli, infatti, è il simbolo del coraggio di combattere quella mafia i cui beni sequestrati siamo qui chiamati a fare in modo che alla mafia non tornino mai più (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cesare Marini. Ne ha facoltà.

CESARE MARINI. Signor Presidente, il punto centrale del provvedimento che stiamo discutendo è quello relativo all'Agenzia, anche perché, in linea di principio, credo che possiamo concordare sull'opportunità di aggiornare la normativa, la quale riguarda, appunto, il sequestro e la confisca dei beni delle organizzazioni delinquenziali.
Il provvedimento è opportuno nella misura in cui tenta di semplificare e accelerare le procedure di gestione e di destinazione dei beni. Di questo provvedimento, però, ci lascia perplessi il modo in cui viene immaginata l'Agenzia e, soprattutto, la possibilità che si dà all'Agenzia stessa di alienare i beni confiscati.
Che possa nascere e, quindi, sia prevista una struttura come l'Agenzia, preposta all'amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati, nonché dotata di autonomia e professionalità, è uno strumento che ritengo utile.
Io ho un'esperienza personale che riguarda proprio il modo in cui fino ad oggi sono stati utilizzati questi beni e, soprattutto, i limiti della vecchia disciplina.
Qualche decennio fa mi è capitato di denunciare a più riprese l'occupazione abusiva di beni demaniali. Poiché si trattava di terreni ad alto valore agricolo, considerato che potevano essere destinati ad impianti fruttiferi, era giusto che lo Stato intervenisse ed eliminasse lo sconcio dell'usurpazione. Più volte mi rivolsi con delle denunce sia ai carabinieri, sia alle procure, fino a quando la procura di Rossano meritoriamente intervenne e sequestrò circa 300 ettari di pianure - che si estendevano però lungo i fiumi, quindi erano terreni demaniali - tutti coltivati ad agrumeto. Pag. 79
Il procuratore fu molto deciso nell'azione e ne disposte il sequestro, però nacque un problema: cosa dovesse fare di questi beni, che comportavano un primo intervento di espianto e quindi di restituzione alle origini dei terreni, poi la custodia degli stessi terreni. Aspettò qualche tempo poi si rivolse agli uffici del demanio, che però non avevano la possibilità di intervenire; gli uffici del demanio, a loro volta, si rivolsero all'Esercito per avere la possibilità di procedere al ripristino dei luoghi e la vicenda finì con la procura che dovette disporre il dissequestro dei beni, non avendoli potuti affidare a chicchessia.
Oggi ho potuto constatare come in quei luoghi siano rimasti gli agrumeti e gli usurpatori continuino a godere dei benefici che derivano dal frutto di quelle piante. Tutto ciò mi fa capire come fosse necessario aggiornare la disciplina e come fosse opportuno intervenire.
Senza dubbio è necessaria un'Agenzia che risolva il problema del conflitto di competenze e della concorrenza tra autorità diverse e che molte volte superi anche l'immobilismo di certe procure e di certi tribunali, così come l'immobilismo degli uffici del demanio. Credo che fosse necessario e opportuno affidare ad un'agenzia i compiti di custodia, di utilizzazione e di valorizzazione dei beni.
Il punto, però, qual è? Il punto della nostra critica e anche della mia personale perplessità per l'esperienza che ho vissuto in una regione nella quale, come sapete, esiste una forte delinquenza organizzata che è la 'ndrangheta, è che il decreto-legge non considera la natura dei beni confiscati e la loro possibile destinazione finale. Quali sono, in generale, i beni che vengono confiscati e quale può essere la loro destinazione finale? Si tratta di beni che provengono da attività illecite e delittuose, quindi è giusto che lo Stato se ne appropri: è giusto che lo Stato diventi proprietario di beni che sono frutto, non del lavoro dell'uomo, bensì della sua attività delittuosa.
La confisca colpisce grandi organizzazioni delinquenziali quali la mafia, la 'ndrangheta, la camorra e la sacra corona unita, in particolare le prime due, che sono quelle che hanno maggiori rapporti internazionali. Ci dobbiamo chiedere innanzitutto di quali beni si tratta, quali sono i beni che vengono confiscati e cosa ci dice l'esperienza. In primo luogo si tratta di immobili: case, ville, attività commerciali, cioè stabili destinati ad attività commerciali o artigianali, e fondi rustici, molti fondi rustici. Laddove esiste una delinquenza organizzata di vecchio stampo c'è sempre, nell'immaginario del mafioso o dello 'ndranghetista, la proprietà di un fondo rustico.
Ci sono aziende industriali, anche importanti, e soprattutto aziende commerciali e supermercati. Abbiamo un'estensione inquietante dell'acquisizione di supermercati da parte di organizzazioni delinquenziali, anche perché i supermercati danno la possibilità di avere denaro fresco in grandi quantità, sera per sera.
Poi vi è la confisca di denaro, per la verità poco, e di titoli. Ci sono alberghi, autovetture, natanti e motociclette. Gli investimenti, però, delle grandi organizzazioni delinquenziali riguardano, senza dubbio, il territorio nazionale solo per piccola parte, perché la maggior parte delle attività illecite, che costituiscono poi guadagni di denaro spropositati, vengono investiti all'estero. Dobbiamo ormai sapere che le grandi organizzazioni delinquenziali investono all'estero e i fatti drammatici di Duisburg ce lo hanno fatto comprendere. Per la verità, è stata una sorpresa anche per la polizia tedesca sapere che un fiume di denaro notevole, che la 'ndrangheta ricava dalla vendita e dal monopolio dell'eroina, venisse impiegato nelle attività turistiche e commerciali della Germania. Lì vi è un grande impiego, una rete organizzativa delinquenziale e anche una rete di immobili, di attività commerciali e di attività turistiche in mano alla 'ndrangheta.
Vi sono stati, poi, grandi investimenti nell'est Europa. Sappiamo che quando l'est europeo è ritornato nel regime di libertà è stato oggetto di grandi investimenti, soprattutto in città come Praga, Budapest e Varsavia. In particolare, i centri Pag. 80storici sono stati aggrediti dagli investimenti. Di recente abbiamo scoperto che anche i Paesi dell'Africa del nord sono stati investiti da questo flusso di denaro. Per fare un esempio, la cosca più importante del vibonese calabrese ha effettuato grandi investimenti in Egitto, in particolare nelle attività alberghiere e turistiche egiziane. Sono stati investiti molti soldi in Africa del nord, anche in fondi rustici. Abbiamo visto come nella recente vicenda - di pochi giorni fa - di Fastweb sia entrata la cosca di Isola Capo Rizzuto. Abbiamo sentito e abbiamo letto che sono state sequestrate alcune grandi attività commerciali importanti - si pensi al Café de Paris di via Veneto, qui a Roma - da parte delle organizzazioni criminali meridionali. Quindi, ci sono bar famosi, locali notturni e supermercati.
Mi sembra che in questo decreto-legge, che, a mio avviso, è opportuno - intendiamoci bene - non sia stato affrontato questo problema relativo agli investimenti all'estero, che pure non è secondario. Certamente, non poteva farlo un decreto-legge perché si tratta di trovare accordi con Paesi esteri, che devono anche capire - e va loro spiegato - che possono anche ricevere un vantaggio iniziale, che è quello dell'afflusso di capitale e, quindi, degli investimenti. Tuttavia, a lungo andare, questi Paesi finiscono con l'accettare una serpe al proprio interno che può corrodere anche quella società. Insomma, si deve far loro capire che in questo caso vi debba essere un'azione congiunta internazionale forte, per scoprire questi investimenti, frutto di attività illecite. Tuttavia, bisogna anche fare capire loro come sia necessario un coordinamento tra Stati per far sì che siano scoperti questi investimenti e siano assicurati alle istituzioni pubbliche, perché è nell'interesse di tutti e, quindi, anche degli Stati che ricevono tali investimenti e che in una prima fase - lo ripeto - possono trarre il vantaggio di veder arrivare ingenti capitali. Alla lunga, però, bisogna spiegare a questi Paesi, che aprono le porte alle grandi organizzazioni criminali, che queste possono influenzare, così come fanno già in certe aree nazionali, il futuro della vita di quelle società. Credo, quindi, che vi sia un interesse comune a una politica di repressione.
Tuttavia, tornando all'Agenzia, dobbiamo anche interrogarci su quale sia la funzione della confisca e quale sia la funzione della gestione dei beni confiscati. La confisca, come tutti i grandi impegni dello Stato, che si rivolgono a fenomeni radicati e che richiedono uno Stato vigile, deve avere, senza dubbio, una funzione immediata e incisiva, che è l'estirpazione di un fenomeno giudicato unanimemente negativo, ma contemporaneamente deve avere anche una funzione educativa e di insegnamento.
Deve essere un monito all'intera società in una duplice direzione. Alla parte sana della società che vuole reagire e difendersi da questi fenomeni degenerativi e questa parte deve sapere che lo Stato è impegnato direttamente e seriamente nell'estirpazione di questo fenomeno. Per mobilitare la parte attiva bisogna che vi siano segnali positivi, segnali educativi, segnali che stanno a significare che l'intera società fa di tutto e si impegna per eliminare quelli che sono ritenuti fenomeni estremamente gravi. Poi c'è un'azione diretta, l'azione di repressione, che non può non esserci, e - lo debbo dire - per la verità dopo l'assassinio di Falcone e Borsellino lo Stato sta dimostrando di avere una maggiore capacità di repressione di questo fenomeno. Ebbene, credo che la previsione, e quindi la possibilità che l'Agenzia possa vendere questi beni, non sia giusta, perché intacca il principio della funzione dell'azione dello Stato e, quindi, del monito che la funzione dello Stato ha verso i cittadini.
Noi tutti (i pochi colleghi presenti, ma anche tutti i colleghi assenti) abbiamo vissuto e letto quello che è successo a Reggio Calabria con le bombe poste dinanzi al portone dell'ufficio giudiziario maggiore di quella città, e quella posta in una strada laterale a quella principale dove è passato il corteo del Presidente della Repubblica.
Quei due messaggi, badate colleghi, sono molto significativi. Essi non erano Pag. 81rivolti né contro il tribunale, nel senso che la bomba non doveva servire a fare delle vittime o a colpire qualche giudice, né contro il Presidente della Repubblica, ma avevano un altro significato. Tali episodi avevano un significato destinato soprattutto alle grandi imprese. Le organizzazioni mafiose sanno che prima o poi queste ultime saranno chiamate a costruire il ponte sullo Stretto e quindi il significato era: attenzione, chiunque venga qui deve fare i conti con noi, perché siamo in grado di colpire ovunque e sempre, siamo in grado di colpire l'ufficio giudiziario maggiore della città. Si tratta, peraltro, di un ufficio ben vigilato con tutto un sistema di telecamere. Si voleva dire: siamo in grado di colpire anche lì e siamo in grado di colpire il Presidente della Repubblica se vogliamo, quindi non vi fate illusioni; se venite a Reggio Calabria per costruire il ponte, dovete fare i conti con noi. Ma anche una serie di messaggi inquietanti mandati a magistrati in questi giorni hanno lo stesso significato.
Pertanto, rispetto ad organizzazioni mafiose così potenti, così arroganti, così violente, ci deve essere per forza da parte dello Stato una risposta chiara nella duplice direzione: da un lato, nel reprimere trovando i colpevoli e assicurandoli alla giustizia e, dall'altro, nel dire alla popolazione di fare la sua parte. Abbiamo bisogno dei cosiddetti cittadini attivi, di coloro che vogliono partecipare; ma il cittadino è attivo se sa che in quelle che sono le azioni giuste di denuncia, di protesta, di educazione e di trasmissione di principi sani ai giovani e quindi ai ragazzi, hanno lo Stato al loro fianco.
Il punto dell'Agenzia è che non va bene proprio questo, ossia la possibilità di poter vendere beni, perché ciò vanifica l'azione che svolgono tutti quelli che sono preposti a funzioni pubbliche. Dobbiamo scoraggiare i delitti, prevenirli, sanzionarli quando sono avvenuti.
Però contemporaneamente dobbiamo far sì che chiunque dovesse arricchirsi con l'attività illecita e delinquenziale non solo sia punito, ma che il frutto di quell'attività diventi della collettività, divenga un bene pubblico. Quindi, mi chiedo: se si mette in vendita un bene confiscato che tipo di messaggio viene fuori? Intanto, si offre una possibilità reale, ovvero che la organizzazione delinquenziale, alla quale è stato sottratto il bene, possa diventarne nuovamente proprietaria. Infatti, le organizzazioni delinquenziali controllano il territorio. Dobbiamo anche capire che le grandi organizzazioni delinquenziali controllano, come detto, il territorio, fette di cittadinanza, hanno rapporti diretti di primazia con dei subordinati. Per una organizzazione delinquenziale è facile trovare dei prestanomi, anche puliti, che possono acquistare questi beni. Occorre sapere che le organizzazioni criminali hanno la possibilità di fare in modo che all'asta non concorra chi magari vuole acquisire quel bene per svolgere un'attività e, quindi, di fare in modo che l'asta sia aggiudicata al prestanome, «all'uomo di paglia», come si usa dire. Questo non va bene, perché scoraggia, non lancia alcun messaggio. In realtà noi dobbiamo anche comprendere che cos'è la società dominata dalle grandi organizzazioni delinquenziali, come si è trasformata questa società, quale è il peso che in queste società hanno le parti buone, che magari sono la stragrande maggioranza, e quale è il peso che hanno le minoranze, se non colluse, che subiscono passivamente il dominio del territorio da parte di queste organizzazioni.
Voglio ricordare ciò che è avvenuto, per esempio, con la rivolta di Rosarno. Lì lo spaccato è chiaro.

PRESIDENTE. Onorevole Cesare Marini, la prego di concludere.

CESARE MARINI. È stato chiaro in chi ha voluto leggere in quei fatti. Lì vi era senza dubbio un fenomeno gravissimo di una massa di immigrati che sono stati sfruttati per anni. Non è un fenomeno solo di Rosarno, ma è diffuso soprattutto in agricoltura, laddove i redditi sono molto bassi e, quindi, non è possibile molte volte da parte del datore di lavoro poter corrispondere stipendi contrattuali, giusti, che garantiscano un minimo di vita decorosa. Pag. 82Quindi, lì si innesta una spirale: da un lato il reddito basso, l'incapacità di un'economia, di un settore economico di organizzarsi e saper affrontare il mercato in maniera concorrenziale con un rapporto diretto tra il produttore e il consumatore. Dall'altro, poi, ci sono i fenomeni di chi si arrangia e, arrangiandosi, commette un tipo di illegalità particolare, pure orribile, che è quella del mancato rispetto dei contratti di lavoro.
Su questa situazione di grave emergenza e gravissima crisi economica si è innestato un fenomeno, che si ripeteva ogni anno, di masse di lavoratori immigrati che provengono dai Paesi africani, non solo mal pagati, ma trattati dal punto di vista umano in una maniera scandalosa e che purtroppo ha posto un problema serio a noi calabresi.

PRESIDENTE. Onorevole Cesare Marini, la prego di concludere.

CESARE MARINI. Il famoso rapporto di amicizia e solidarietà che fine ha fatto? Dov'è andato a finire? Tutto questo, signor Presidente, mi fa dire che questo decreto-legge è opportuno, però poi con questa previsione finisce con l'essere un messaggio negativo.
Noi vogliamo invece che sul punto della lotta alla criminalità organizzata ci sia il massimo di unità e di appoggio del Parlamento. Quindi, è necessario che ci sia una nuova riflessione. C'è qui il sottosegretario che è persona amabile e corretta. Noi abbiamo bisogno, signor sottosegretario, di un rapporto serio di collaborazione, soprattutto per noi che viviamo in quei territori che conoscono forme di devianza molto gravi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Orlando. Ne ha facoltà.

ANDREA ORLANDO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, vorrei dire innanzitutto che la scelta di costituire l'Agenzia è un fatto positivo, seppure perseguito attraverso una strada discutibile. Può sembrare un sofisma sollevare questa questione nel giorno in cui si pone la fiducia sul provvedimento sul legittimo impedimento nell'altro ramo del Parlamento, tuttavia la scelta del decreto-legge, come dimostrato anche nella discussione che si è svolta nelle Commissioni, non ha consentito di raccogliere una serie di indicazioni e di sviluppare fino in fondo un confronto fra le forze politiche che io credo avrebbe consentito di arricchire ulteriormente, prima della valutazione dell'Assemblea, il testo che sarà sottoposto alla votazione. Mi auguro che alcune indicazioni saranno comunque raccolte dal Governo e su queste vorrei tornare.
Prima di passare a questa parte vorrei sottolineare un altro aspetto che considero positivo: la scelta di costituire l'Agenzia smentisce, noi speriamo fino in fondo ma diciamo che inizia a smentire, l'indicazione che era contenuta nel testo della legge finanziaria dove era presente un orientamento che sostanzialmente affrontava in modo ragionieristico un problema complesso e delicato come quello che l'Agenzia è chiamata a gestire, cioè quello della destinazione e del futuro dei beni confiscati alle organizzazioni criminali.
Credo che questo inizio di ripensamento debba produrre tutti gli effetti dovuti e tuttavia vorrei sottolineare ancora, come ha fatto il collega Cesare Marini prima di me, come quell'orientamento abbia già di per sé prodotto in qualche modo dei danni di immagine per lo Stato. Infatti ritengo che la sola idea per la quale i beni confiscati alla mafia possano essere considerati e trattati come tutti gli altri beni, cioè un'eguale provenienza, è di per sé un'equiparazione concettuale che toglie la drammaticità e l'aspetto di gravame che caratterizza queste proprietà. Non è vero che il denaro non puzza, lo ha dimostrato la vicenda Fastweb, e non è vero che i beni comunque acquisiti alla fine restino beni. Ogni bene ha una sua storia e la storia che lo Stato è in grado di scrivere, dal momento in cui ne torna ad essere proprietario, è un segnale di per sé politico e di come si intende contrastare le organizzazioni criminali. Pag. 83
C'era il rischio, che è stato più volte denunciato, che la vendita all'asta consentisse il reimpossessamento, soprattutto in zone ad alta densità mafiosa e per questo ad alta valenza simbolica, dei beni da parte della mafia, delle mafie per meglio dire in questa fase storica. Ma c'era anche un altro rischio ancora presente che non è scongiurato di per sé dalla costituzione dell'Agenzia: il fatto che in quelle zone un'asta, per esempio, possa andare deserta. Come chiariva prima il collega Cesare Marini, il prestanome è un rischio, cioè che tutti sappiano in quel paese che il proprietario vero torna ad essere quello a cui era stato confiscato il bene; ma costituisce un gigantesco spot per la mafia anche l'idea che a un'asta non partecipi nessuno per la paura e per i condizionamenti che si possono determinare nel territorio. Infatti la rendita fondamentale della mafia è quella della capacità di controllo del territorio e la dimostrazione di tale capacità anche dal punto di vista simbolico.
L'Agenzia è un passo avanti che si muove lungo un percorso del quale noi abbiamo sempre dato atto al Governo, il quale se ne assume talvolta qualche merito di troppo, stentando a riconoscere il merito di tutti coloro che partecipano a questa attività.
Mi riferisco al fatto che sta diventando talvolta un po' grottesco l'elenco della cattura dei latitanti raccontata quasi come se fosse stata realizzata materialmente dai Ministri di questo Governo e non, invece, dal concorso delle forze dell'ordine e della magistratura.
Tuttavia, questa azione di contrasto alla mafia sul territorio, rispetto alla quale la stessa costituzione dell'Agenzia costituisce un valido supporto, non cancella la responsabilità di un Governo che gira, invece, la testa dall'altra parte con riferimento al fenomeno che oggi è il più drammatico ed emergente, cioè quello della capacità della mafia di utilizzare i circuiti di carattere finanziario e di introdursi pesantemente nel mondo economico non passando dalla porta di servizio, ma dalla porta principale.
Non sto qui a citare le vicende giudiziarie delle settimane scorse, mi limito a dire che temo che le questioni che abbiamo sollevato rispetto alla cancellazione della tracciabilità di alcuni flussi finanziari, all'introduzione dello scudo fiscale si riveleranno, purtroppo, profetiche, perché rappresentano porte aperte che, date le dimensioni delle disponibilità finanziarie, della liquidità di cui dispongono le organizzazioni criminali, saranno sicuramente utilizzate e che rischiano di condizionare pesantemente aree che storicamente e tradizionalmente non sono coinvolte dal fenomeno della criminalità organizzata.
Il fatto che la Commissione antimafia, recentemente recatasi a Milano, ha potuto constatare come uno dei soggetti ormai più rilevanti dal punto di vista imprenditoriale nell'ambito dell'edilizia in quella città sia oggi la 'ndrangheta la dice lunga su quanto l'area di intervento di queste organizzazioni si sia davvero estesa e riguardi anche Paesi del resto d'Europa, i quali, per la verità, si sono accorti di questo fenomeno con la strage di Duisburg, anche se va detto che quella vicenda non ha più consentito di far finta di niente rispetto a segnalazioni ed elementi che, invece, erano noti anche ai Paesi di cui ha parlato pure il collega Cesare Marini, mi riferisco, in primo luogo, alla Germania.
Riguardo a ciò che a nostro avviso occorre perseguire nel testo definitivo che quest'Aula licenzierà, in primo luogo, parto dal considerare il presupposto che giustifica la costituzione dell'Agenzia. La crescita delle dimensioni dei beni confiscati e la differenziazione del tipo di investimenti realizzato dalla criminalità organizzata implica l'esigenza di una specializzazione di chi è chiamato ad intervenire, quindi dell'Agenzia. Per completezza di ricognizione, per equilibrio, dobbiamo dire che se è uno spot a favore della mafia un bene che torna nelle sue mani dopo l'asta, è uno spot anche un bene che prima di essere utilizzato viene distrutto perché lo Stato non è messo, e non si mette, nelle condizioni di poterlo riassegnare e riutilizzare adeguatamente. In questo, diciamo così, trovo anch'io spesso Pag. 84velleitaria la semplice rivendicazione di assegnare tutti i beni confiscati alle associazioni del volontariato o alle associazioni che agiscono in questo settore; quindi è giusto dotarsi di uno strumento che sappia differenziare gli interventi, però, per questo motivo, diventa ancora più alta la preoccupazione riguardo al rischio che questa Agenzia si limiti ad essere una sorta di centrale di assegnazione delle consulenze.
Se lo Stato vuole davvero portare fino in fondo questo disegno, se davvero vuole contrastare e competere con le organizzazioni criminali sul terreno economico, è necessario che si doti direttamente di professionalità e di strumenti che non possono essere esterni all'Agenzia.
Si tratta di costruire professionalità in grado di controllare e di guidare l'attività degli amministratori che, a loro volta, devono affrontare un percorso di diversa qualificazione rispetto alle persone che oggi sono chiamate a svolgere questo tipo di funzione. È importante - e mi auguro che da questo punto di vista anche la sensibilità del Ministro dell'interno accolga questo rilievo - che l'Agenzia abbia una capacità di radicamento sul territorio e faccia in modo che le sezioni distribuite sul territorio godano della necessaria autonomia. Questa è la condizione, infatti, per avere un rapporto di interlocuzione con gli enti locali che sono, laddove non si siano manifestati fenomeni di infiltrazione, gli interlocutori fondamentali per un processo di riutilizzo dei beni e anche per rimettere in moto dei meccanismi di sviluppo del territorio.
È necessario, a mio avviso, che la costruzione di questa Agenzia si strutturi in modo diverso anche rispetto ad altri tipi di intervento dello Stato circa l'acquisizione dei beni. Ci troviamo di fronte spesso ad aziende che non hanno soltanto il problema di essere custodite e tutelate, ma che già oggi danno occupazione a dei lavoratori. Sarebbe davvero un segnale negativo - e su tale aspetto in più occasioni siamo stati richiamati anche da magistrati che hanno svolto indagini su questo fronte e che hanno proceduto poi ad avviare l'iter per la confisca - se il passaggio di proprietà allo Stato costituisse l'interruzione dell'attività aziendale. Lo abbiamo letto e sentito dire purtroppo tante volte, ma la didascalia di un passaggio come questo significherebbe che la mafia è in grado di assicurare un'occupazione che purtroppo lo Stato non sa dare. Quindi, è importante che l'Agenzia si doti di strumenti anche dal punto di vista imprenditoriale. Inoltre, è importante che si tenga un nesso forte tra chi ha svolto le indagini e chi è chiamato a gestire i beni di competenza dell'Agenzia. Ci troviamo di fronte, infatti, non a mere cose, ma spesso a prove processuali e a strutture economiche funzionali alla ricostruzione delle dinamiche delle organizzazioni criminali. Ci troviamo di fronte a due tipi di azione (quella dell'Agenzia e quella della magistratura) che, se messe in sinergia, possono ottenere ulteriori risultati di miglioramento dell'attività dell'Agenzia, ma anche di supporto al lavoro e alle indagini della magistratura e a sostegno della sua azione di contrasto della criminalità sul territorio.
C'è poi un'altra parte degli emendamenti da noi presentati che riguarda un aspetto che, credo, possa essere condiviso da tutti. Mi riferisco al fatto di evitare che il sequestro e, poi, la confisca del bene si arresti di fronte a una serie di gravami che riguardano i beni stessi. Mi riferisco al fatto che spesso questi beni sono stati soggetti ad ipoteche bancarie e il rischio è che l'ipoteca diventi una sorta di assicurazione preventiva da parte delle organizzazioni criminali per evitare che lo Stato diventi il proprietario dell'intero valore. Così si genererebbero una serie di contenziosi che possono essere risolti se si prevedono, ad esempio, forme di indennizzo che possono riguardare anche i congiunti dei proprietari formali di questi beni. Chi si è occupato di ciò ha registrato in più occasioni il fatto che la proprietà viene volontariamente frammentata per evitare che un lato di confisca riguardi l'insieme della proprietà. Quindi, è molto Pag. 85importante che lo Stato si doti degli strumenti necessari per superare questo tipo di rischio.
Penso che l'Agenzia rappresenti davvero un'occasione per svolgere un'azione di contrasto su un terreno nuovo, di cui Pio La Torre - tra qualche settimana ricorrerà l'anniversario della sua morte - aveva intuito l'esito e lo sviluppo. Credo che da questo punto di vista la cartina di tornasole della buona volontà del Governo di utilizzare fino in fondo questo strumento sarà rappresentata dalle risorse che effettivamente saranno destinate all'attività di questa Agenzia. Infatti, considerare questo tema semplicemente come uno dei temi da porre sullo sfondo credo equivalga a realizzare uno spot, come ne abbiamo visti molti nel corso di questi mesi. Attraverso tale modo di operare si è riusciti per un giorno a focalizzare l'attenzione su Reggio Calabria e sul fenomeno in questione, di questo va reso merito al Governo; ciò, può essere servito per accreditarsi nei confronti di quella regione e cercare in qualche modo di crearsi anche qualche elemento di consenso. Ma senza le risorse tutto il meccanismo messo in moto rischia di non avere alcun tipo di effetto, anzi rischia di diventare persino un'azione controproducente, persino peggiore - lo vorrei dire - della norma che mi auguro sia superata. Perlomeno lì c'è una procedura che ha un suo inizio e una sua fine, ma, se ci trovassimo di fronte a uno strumento che non è in grado di funzionare per assenza di professionalità e per assenza di risorse, rischieremmo di stabilire, con la costituzione stessa dell'Agenzia, la paralisi, che è il rischio più grande che lo Stato possa correre nel momento in cui affronta il tema del contrasto alla criminalità, soprattutto sul terreno economico. Quindi, per questo, signor Presidente, sottosegretario, mi auguro che le indicazioni contenute negli emendamenti presentati dall'opposizione siano raccolte e mi auguro anche che qualche impegno concreto, in ordine alle risorse e alle intenzioni per i prossimi anni di sostegno anche finanziario e di dotazione degli organici nei confronti dell'Agenzia, emerga prima della fine di questa lunga discussione.
Mi auguro anche - e concludo - che la collocazione, che noi condividiamo, della sede presso Reggio Calabria non nasconda il fatto che il grosso dei beni confiscati ad oggi insiste in Sicilia e in particolar modo nella provincia di Palermo. Questo naturalmente non significa smentire la scelta compiuta, che ha un valore simbolico assolutamente condivisibile, ma significa tener conto, nel momento in cui si determinerà la costituzione della sezione, che immagino sarà prevista presso la regione Sicilia, in particolar modo a Palermo, di questa specificità e di questi pesi in gioco. Mi auguro, come dicevo, che le indicazioni che noi abbiamo avanzato siano raccolte fino in fondo. Mi auguro anche che da ora in poi si possano condividere passaggi fondamentali, dei momenti di gioia collettiva che si hanno nel momento in cui le comunità ritornano in possesso di beni confiscati ad organizzazioni criminali.
Per questo, mi auguro - lo dico anche riprendendo alcune dichiarazioni che hanno caratterizzato alcuni esponenti della maggioranza e se non sbaglio anche del Governo - che si cessi di dire che in qualche modo chi avversava la norma prevista in finanziaria lo faceva per difendere rendite o un associazionismo a sé vicino.
Ci auguriamo che nasca un associazionismo anche lontano da noi - e anche opposto a noi, dal punto di vista della collocazione ideologica - che si occupi di questo, di educazione alla legalità; che si occupi di come si può passare da un'economia controllata dalla criminalità organizzata ad un'economia finalmente libera; di come si può arrivare alla liberazione dei territori da questo peso. Però, a questo fine ci vuole il riconoscimento del valore di chi già oggi svolge queste funzioni; ci vuole il riconoscimento del valore delle istanze poste da questo tipo di associazioni; ci vuole - e concludo - un'attenzione diversa e un'attitudine culturale diversa, che non riduca la lotta alla criminalità organizzata semplicemente alle foto Pag. 86dei latitanti catturati, ma che ne faccia un'azione molto più complessa: contrasto all'azione militare, ma anche sostegno all'economia buona che si è prodotta nel corso degli anni attraverso questi interventi, educazione alla legalità. È un'attività molto complessa e talvolta, capisco, può essere imbarazzante per chi non sempre ha una fortissima dimestichezza con la legalità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, nel 1992 un pentito di mafia, Leonardo Messina, rivelò che Pio La Torre era stato ucciso, dieci anni prima (il 30 aprile), proprio per commissione di Totò Riina, «re» dei corleonesi; egli pagò con la vita l'affronto alla mafia consistito nella legge che porta il suo nome - e quello del collega Rognoni - la quale prevedeva, in un contesto di contrasto alla criminalità organizzata, la confisca ed il sequestro dei beni dei mafiosi. Pio La Torre pagò con la vita questo affronto, che ha però avviato una stagione nuova di contrasto alla criminalità organizzata, con la consapevolezza che lo Stato ha maturato allora: ovvero di non limitarsi alla repressione penale di questi efferati delitti e di queste associazioni criminali, ma di colpire le stesse «sul portafoglio», con il sequestro e la confisca dei loro beni. Questo primo intervento strategico, pur lodevole, aveva delle carenze: esse si sostanziavano nella mancata riutilizzazione di questi beni a fini sociali. Tale aspetto stimolò un'ampia discussione nel Paese, perché vide l'associazione «Libera» di don Ciotti protagonista di quella petizione popolare che favorì l'approvazione della legge n. 109 del 1996. È significativo ricordare come quella petizione annunciava questa iniziativa legislativa. Dicevano i sottoscrittori - 1 milione e più - di quella petizione: «Vogliamo che lo Stato sequestri e confischi tutti i beni di provenienza illecita, da quelli dei mafiosi a quelli dei corrotti. Vogliamo che i beni confiscati siano rapidamente conferiti, attraverso lo Stato e i comuni, alla collettività, per creare lavoro, scuole, servizi, sicurezza, lotta al disagio». Ebbene, questa petizione - è utile ricordarlo - portò all'approvazione pressoché unanime della legge n. 109 del 1996 da parte del Parlamento, con esclusione della Lega Nord. Tuttavia l'approvazione unanime pagò un prezzo: da questo articolato, mentre sono stati mantenuti i rimedi della confisca per i beni di provenienza illecita dei mafiosi, si è dovuto elidere il contenuto relativo ai corrotti - pena la non approvazione di tale provvedimento.
Da questo punto di vista, noi dell'Italia dei Valori invochiamo un'attenzione del Governo altrettanto solerte di quanto non dica di aver fatto in questi mesi sulla lotta alle mafie, per la lotta alla corruzione. Quel disegno di legge che avete approvato al Consiglio dei ministri è un pannicello caldo, non serve ad inasprire le sanzioni, ben altri sono i provvedimenti utili alla lotta alla corruzione, come quelli che appunto Pio La Torre aveva individuato rispetto alla lotta alla criminalità organizzata e quelli che la legge n. 109 del 1996 ha migliorato, stabilendo la riconversione dei beni a fini sociali. Da questo punto di vista, l'Agenzia che oggi andiamo a costituire può essere un ulteriore passo in avanti per rendere più efficace, solerte e rapida la lotta alla criminalità organizzata, perché questa Agenzia, effettivamente, è individuata, non solo dal Governo, ma anche dalle opposizioni sia pure con qualche aggiustamento, come un grimaldello utile per superare le lentezze, le pastoie burocratiche, le disfunzioni che in questi anni si sono concretizzate e che hanno impedito molte volte una gestione proficua di questi beni.
La mafia si avvale della globalizzazione come le imprese sane, forse anche meglio, ormai è diventata una mafia dei colletti bianchi che usa le manovre finanziarie e le scatole cinesi con altrettanta abilità di quanto avviene in altri settori dell'imprenditoria nazionale. La strage di Duisburg, che è stata già qui evocata, questo assassinio di 6 uomini delle famiglie Strangio-Nirta e Pelle-Romeo ha svelato anche in Pag. 87Germania quanto sia efferato il crimine che porta la firma della 'ndrangheta che in quel Paese, come è stato già detto dai colleghi che mi hanno proceduto, è ormai ramificata e vede fiumi finanziari convogliarsi verso attività apparentemente lecite. Certo è che questo provvedimento rimedia a quell'emendamento che il Governo ha approvato nella legge finanziaria 2010 con il quale si è stabilita l'asta pubblica dei beni non utilmente reimpiegati dopo la confisca alla mafia. Anche in quel caso l'associazione Libera - non solo lei - e tanti anche in questo Parlamento avevamo gridato allo scandalo proprio perché quel provvedimento rischiava di ridare alle mafie una facile uscita per riprendersi il maltolto o meglio il bentolto. Le 100 piazze di novembre forse hanno dato uno spunto anche al Governo per rimediare con questo provvedimento.
Il demanio militare avrebbe forse bisogno di analoghe attenzioni. Tanti sono i beni militari abbandonati a se stessi che rischiano il collasso, determinano perdite di denaro pubblico consistenti, viziano il tessuto urbano di molte belle città. Io vengo dal Friuli Venezia Giulia che è terra di servitù militari, che è la terra del confine orientale che ha contraddistinto una politica della cortina di ferro con insediamenti importanti in tante città; e cito Palmanova che oggi è una delle città più belle, ma anche più devastate dalla presenza fantasma di queste caserme abbandonate a se stesse.
Invito, quindi, il Governo a porsi il problema di affrettare e accelerare l'azione relativa anche a quest'altra sfera di beni che rimangono inutilizzati e che rischiano di aggravare il dissesto pubblico.
Tornando al tema dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ai mafiosi, questo decreto-legge risolve alcune delle criticità, ma non è sufficiente per dare risposta a quei problemi che la Commissione parlamentare antimafia nelle sue relazioni periodiche ha sottolineato essere problemi insormontabili rispetto alla facile liquidazione dei patrimoni, alla loro gestione, alla loro riutilizzazione.
Penso - come è stato citato dal collega Orlando - ai pesi pregiudizievoli che questi beni spesso hanno e che talvolta nascondono una preordinata azione mafiosa tesa proprio a garantire una sorte di riutilizzo economico di quei beni attraverso la relazione che il creditore ipotecario, magari fittizio, ha sull'asta del bene medesimo e sulla possibilità di recuperare almeno la liquidità e il controvalore di quel bene. Qui c'è tutto il tema della tutela del creditore di buona fede, che sappiamo la Cassazione ha individuato essere una buona fede oggettiva e soggettiva: oggettiva perché non deve essere un creditore che ha partecipato alla creazione del patrimonio mafioso; soggettiva come percezione psicologica di non essere a conoscenza della qualità mafiosa del soggetto cui viene offerto il credito.
Da questo punto di vista il decreto-legge tace ed è bene che una riflessione in quest'Aula si faccia per eliminare queste criticità che inficiano il buon esito di questa azione di prevenzione e di confisca.
Ci sono poi altri capitoli che riguardano il coinvolgimento dell'attività giurisdizionale, cioè il collegamento che in questo modo viene eliso tra l'amministrazione giudiziaria del bene e il giudice penale che non potrà più nominare il relativo amministratore, e non avrà più quel rapporto fiduciario con lo stesso. Si taglia, si impedisce quella capacità di comunicazione che ha dato grandi risultati investigativi e grande efficacia all'azione dei giudici nel rapporto di conoscenza tra l'amministratore giudiziario e il giudice medesimo. C'è poi la criticità relativa al fatto di individuare nella sede di Reggio Calabria la sede dell'Agenzia nazionale.
Se non vi saranno delle effettive partecipazioni localistiche, diramazioni territoriali di questa Agenzia sulle singole prefetture, con il coinvolgimento delle associazioni, dei comuni che di questi beni sono in qualche modo potenziali fruitori, ebbene, il rischio che questa Agenzia rimanga un carrozzone forse più inutile di quello che oggi pare sulla carta c'è, eccome! Pag. 88
Noi dell'Italia dei Valori siamo qui a dire che siamo soddisfatti del fatto che il Governo abbia avviato una riflessione sull'Agenzia nazionale, ma siamo preoccupati perché questo provvedimento non risolve molti dei problemi che le Commissioni parlamentari antimafia hanno segnalato dopo una serie di audizioni, nelle relazioni che è sufficiente rileggere. Da questo punto di vista gli emendamenti che abbiamo proposto sono tesi anche a migliorare questo testo base e a favorire una sua più snella e operosa applicazione.
L'augurio, quindi, è che il Governo provveda con la stessa solerzia ad attuare azioni analoghe sul tema della corruzione, che è un cancro altrettanto e forse ancora più subdolo del Paese, perché la mafia è criminale, ma la corruzione si veste degli abiti candidi della politica ed è ancora più pervicace nella sua azione delittuosa perché meno evidente, più subdola, più sotterranea, e per questo anche più pericolosa perché alligna, non negli scantinati della Palermo criminale, ma nei palazzi dove il potere viene amministrato e dove viene gestita la cosa pubblica.
Un'azione che noi vorremmo venisse attuata è proprio questa decisione, che noi vorremmo quanto prima vedere declinata, di una lotta all'illegalità. Oggi affrontiamo il tema dell'Agenzia dei beni confiscati, domani vorremmo che ci fosse una stagione in cui la legalità diventi non un optional ma il crisma con cui la politica si confronta con il Paese, abbandonando tutti quegli esempi - non ultimo il decreto-legge «salva-liste» - con i quali il Governo ci dimostra di calpestare la legalità e di fare sempre leggi che favoriscono alcuni a danno di altri.
Con questo auspicio - so che è più un'utopia, almeno nelle condizioni date, di quanto non sia un auspicio - concludo il mio intervento e ringrazio dell'attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Motta. Ne ha facoltà.

CARMEN MOTTA. Signor Presidente, onorevole signor sottosegretario, il provvedimento all'attenzione dell'Aula è sicuramente di particolare rilevanza per il tema che ha all'oggetto, cioè la lotta alla criminalità organizzata. Lotta che non vede più confini territoriali relegati a sole poche regioni del nostro Paese, del sud d'Italia.
Anche al nord, anche in Lombardia, in Emilia Romagna che è la mia regione di provenienza, la penetrazione e l'infiltrazione malavitosa è purtroppo una presenza accertata, denunciata, ma non sempre debellata. Questo perché le organizzazioni criminali cercano di radicarsi, e a volte lo fanno purtroppo con successo, nei territori economicamente forti, con benessere diffuso, per diventare forti sul piano territoriale imprenditoriale ed avere le coperture necessarie alle proprie attività illecite.
Per questo motivo è universalmente riconosciuto che la mafia rappresenti, in termini di fatturato e di infiltrazione capillare su base territoriale, la prima azienda del Paese, come testimoniano annualmente i dossier e i rapporti di organismi istituzionali di livello locale e nazionale o di associazioni di categoria e di volontariato impegnati in prima linea nella battaglia a Cosa nostra.
In modo particolare la pervasività del sistema criminale nell'ambito del settore edilizio in tutte le sue fasi costituisce uno dei baluardi del progressivo e costante arricchimento delle associazioni mafiose con una profonda infiltrazione nel tessuto sociale ed economico del Paese.
Sappiamo perfettamente che le forme attraverso cui ciò avviene vanno dal controllo degli appalti, su cui il Partito Democratico è più volte intervenuto presentando anche diverse proposte di legge, a quello delle opere pubbliche, dalla richiesta del pizzo al ricorso all'usura.
Parallelamente va sottolineato il salto di qualità nei rapporti fra le mafie nostrane e le numerose organizzazioni criminali transnazionali al punto che gli organismi internazionali e la stessa Unione europea stanno pensando di adottare provvedimenti ricalcati sull'impianto normativo italiano proprio per far fronte alla Pag. 89facilità di comunicazioni e contatti derivanti dalla globalizzazione e, in ambito europeo, dall'apertura delle frontiere.
In questo scenario l'attività di recupero da parte dello Stato dei beni immobili e delle aziende riconducibili ad elementi e associazioni di stampo mafioso appare strategica e decisiva nell'attività di repressione del fenomeno, se è vero che da decenni la trasformazione e il passaggio fondamentale che ha visto protagoniste le mafie italiane coincide sostanzialmente con una scalata orizzontale al controllo dei gangli dello sviluppo economico del Paese ed è altrettanto evidente che è proprio su questo terreno che lo Stato si gioca la sua battaglia per la legalità.
Da questo punto di vista, negli ultimi anni è stato portato avanti un significativo e consistente lavoro, che ha visto impegnati come organi demandati tanto le autorità giudiziarie quanto l'Agenzia del demanio, fino ad oggi unici soggetti titolati ad occuparsi dell'amministrazione, della gestione, della confisca e della destinazione dei beni in oggetto.
Il riferimento legislativo che sottende a questo processo - lo hanno già ricordato i colleghi che mi hanno preceduto - è la legge n. 109 del 1996, una normativa unica nel suo genere nel panorama internazionale, perché mirata a restituire alla collettività i patrimoni delle organizzazioni criminali attraverso il loro riutilizzo sociale, produttivo e pubblico.
Sto parlando ovviamente della legge Pio La Torre: dobbiamo proprio al sacrificio di Pio La Torre, storico dirigente del PCI siciliano, la grande intuizione, così precoce per quei tempi, che il sequestro delle attività illecite e criminose della mafia costituisse uno dei rimedi più efficaci, se non per debellare il fenomeno, almeno per disinnescarne la propagazione dal punto di vista operativo.
La restituzione alla società civile di ciò che la mafia ha acquisito illegalmente è e deve restare un principio cardine su cui si fonda la lotta alla criminalità organizzata, e questo lo dico perché il testo in oggetto su questo punto non ci pare completamente adeguato.
Malgrado la ratio della legge n. 109 del 1996 mantenga tutta la sua validità e la sua importanza sostanziale, sul piano della sua applicazione, secondo molti osservatori, non è apparsa sufficiente a risolvere le molteplici problematiche sottese alla gestione, alla destinazione e all'utilizzo dei beni confiscati alle mafie.
In buona sostanza la norma non ha avuto un facile decollo, anche perché, come denunciato da associazioni come Libera, la stessa percezione per cui la consegna alla comunità di beni sottratti ai patrimoni mafiosi ripristina in qualche modo una condizione di Stato di diritto non è stata sufficientemente alimentata. Questo perché il Governo, da un lato, ha propagandato con facili slogan una guerra a tutto campo contro la mafia e, dall'altro lato, ha poi inserito, ad esempio nell'ultima legge finanziaria, una o più misure che appaiono in contraddizione con l'obiettivo, dando vita ad un inspiegabile paradosso che non viene risolto neanche nel provvedimento in esame.
Tornando alla legge n. 109 del 1996, le ragioni del suo parziale funzionamento sono diverse, ma in primo luogo è emersa chiaramente una certa farraginosità nella procedura ed una dispersione generale dovuta a diversi fattori, come è ben spiegato nel rapporto del commissario straordinario dottor Maruccia: l'estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva ed il provvedimento di destinazione, il conseguente degrado dei patrimoni, la perdita di competitività ed il frequente rischio di fallimento delle imprese sottoposte a sequestro, nonché il diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari operanti nei diversi distretti.
È proprio per queste acclarate difficoltà di gestione che il Governo - e nello specifico il Ministro Maroni - ha avvertito l'esigenza (certamente un po' tardiva, vista la delicatezza e l'entità della questione) di dar vita ad una sorta di cabina di regia unitaria e di ambito nazionale, che faccia da raccordo tra tutti gli organismi coinvolti nel procedimento di recupero dei beni. Pag. 90
In realtà, va detto che in questo testo vi è molto di più, perché vedremo che l'attività di coordinamento dell'Agenzia, in virtù di competenze e poteri amplissimi che tale legge gli attribuisce, finisce per ridimensionare notevolmente la funzione e la professionalità acquisite in materia da anni di alcuni organi giudiziari rivelatisi assai preziosi per l'esperienza dei passaggi nevralgici della gestione amministrativa.
In ogni caso, come Partito Democratico, accogliamo sicuramente favorevolmente nella parte sostanziale il testo in esame, su cui la Commissione si è detta disposta a considerare alcuni emendamenti che giudichiamo migliorativi, augurandoci che anche in questa sede si mantenga tale orientamento.
Nello specifico del provvedimento in esame non possiamo non prendere le mosse dai dati illustrati nella sua annuale relazione dal dottor Maruccia, così da renderci meglio conto di quale sia l'ordine di grandezza dei numeri e, quindi, delle cifre dell'oggetto di cui parliamo.
Per quanto riguarda i beni immobili confiscati al 30 giugno 2009, questi ammontano a 8.933, l'83 per cento si trova nelle quattro regioni meridionali, con una netta prevalenza della Sicilia (46 per cento), mentre Campania e Calabria si attestano rispettivamente intorno al 15 e al 14 per cento, la Puglia all'8 per cento. Il restante 17 per cento è concentrato prevalentemente in Lombardia e nel Lazio.
Al 30 giugno 2009, le aziende confiscate alla criminalità sono, invece, 1.185: il 38 per cento si trova in Sicilia, mentre Campania e Lombardia si attestano, rispettivamente, intorno al 19 e al 14 per cento, il Lazio all'8 per cento.
Per quanto riguarda le destinazioni, su 8.933 beni immobili confiscati, 5.407, pari al 60,5 per cento, sono stati destinati: la maggior parte dei beni destinati (86 per cento) è stata consegnata agli enti locali per finalità sociali; il restante 14 per cento è stato mantenuto allo Stato per fini istituzionali.
Per quanto riguarda le aziende, su 1.185, 388 (pari al 32,7 per cento) sono state destinate. Solo l'11 per cento delle aziende è stato destinato alla vendita o all'affitto; il restante 89 per cento è andato in liquidazione. Infatti, un'azienda su tre risulta già in liquidazione, o tecnicamente fallita, prima della confisca definitiva e, quindi, precedentemente alla presa in consegna da parte dell'Agenzia del demanio.
Dunque, stando a queste percentuali, la destinazione delle aziende confiscate risulta molto più difficile da gestire e questo per una serie di problematiche. In primo luogo, per un discorso di mancanza di liquidità, perché i creditori e gli istituti bancari, a seguito del provvedimento di sequestro, tendono a ridurre o eliminare le linee di credito. In secondo luogo, per una carenza di esperti del settore che possano garantire e sostenere la redditività dell'impresa anche in vista della destinazione finale.
La nascita di un'Agenzia nazionale che gestisca quella che appare come una sorta di filiera - confisca, destinazione, assegnazione monitorata dalle prefetture con annessa riutilizzazione sociale - dovrebbe, dunque, correggere tutta una serie di errori e ritardi nella procedura, che vanno dalla difficoltà nell'elaborazione di stime e di mappature dettagliate dei siti oggetto di confisca, alla mancanza di monitoraggi specifici (tanto che, spesso, il Demanio ha destinato beni alle amministrazioni senza prima averli svincolati). O, ancora, dovrebbe fronteggiare la perdita di valore del bene dovuta ad anni ed anni di sequestro, tanto che nell'assegnazione alla collettività, per essere agibili, questi necessiterebbero di un impiego ingente di fondi.
Per parlare delle principali novità del testo, seppur brevemente, queste incidono tanto sulla precedente normativa, quanto sul codice di procedura penale. L'articolo 1, comma 1, del provvedimento in oggetto istituisce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, mentre il comma 2 ne riconosce la personalità giuridica di diritto pubblico, dotata di autonomia organizzativa e contabile, ponendone la sede principale a Reggio Calabria. Pag. 91
L'Agenzia è sotto la vigilanza del Ministro dell'interno. Organo apicale dell'Agenzia è il direttore, scelto esclusivamente tra i prefetti, coadiuvato dal consiglio direttivo, composto da quattro membri. Sembra - ma la formulazione è infelice - che, dopo l'emanazione dei regolamenti, l'Agenzia assumerà i propri compiti anche con riferimento ai beni già sequestrati. Il ruolo del Ministero dell'interno - che ha compiti di vigilanza e che propone la nomina di un direttore - risulta, a questo punto, preponderante sul piano sia della definizione strutturale, che della vocazione centralistica che l'Agenzia finisce per avere.
Paradossalmente, credo che l'esigenza di una semplificazione e di uno snellimento delle procedure, che il Governo intende risolvere instaurando un «elefante burocratico» di tali dimensioni, creerà una confusione tale da rendere inefficaci gli stessi obiettivi che si intendono perseguire. Nella rincorsa costate ad un decisionismo di facciata, a cui ormai siamo abituati, che si traduce, spesso, in slogan facili e dal forte impatto mediatico, si perdono, poi, di vista le conseguenze che tali provvedimenti potrebbero comportare.
Dunque, il decreto-legge, mirando a velocizzare il passaggio che va dall'amministrazione giudiziaria alla confisca definitiva del bene, programmando, già nella prima fase, la sua destinazione finale, unifica i due momenti dell'amministrazione: quelli che, in prima battuta, erano di competenza dell'autorità giudiziaria, e in seconda battuta, dell'Agenzia del demanio.
Pertanto, l'Agenzia in oggetto, di fatto, si sostituisce integralmente all'amministratore nominato oggi dal tribunale, provvede alla custodia, alla gestione e all'amministrazione dei beni, presenta al giudice delegato, o all'autorità giudiziaria, una relazione entro tre mesi dall'esecuzione del sequestro e, successivamente, periodicamente, indicando anche eventuali ulteriori beni da sequestrare.
Cambia, quindi, il quadro giuridico nel quale si colloca l'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati, assumendo competenze esclusive generali in materia.
Peraltro, all'articolo 5, il quale modifica la legge 31 maggio 1965, n. 575, si prevede che, per l'espletamento dei propri compiti, l'Agenzia si avvalga di proprio personale tra «tecnici o (...) altre persone retribuite», nonché essa può avvalersi di coadiutori scelti nell'ambito degli amministratori giudiziari e, nel caso di aziende, di persone iscritte nell'apposita sezione dell'albo degli amministratori giudiziari. Ciò comporterebbe un incremento dei costi derivanti dal necessario utilizzo, da parte dell'Agenzia, di coadiutori e dall'intervento del personale di raccordo della stessa Agenzia.
Va sottolineato che, in questo modo, viene attribuito all'Agenzia il potere di nomina del soggetto effettivamente incaricato della gestione, al di fuori di ogni controllo da parte dell'autorità giudiziaria. Emerge con evidenza, dunque, il completo scollamento tra l'autorità giudiziaria e l'amministrazione del bene sequestrato, oggi assicurato dal rapporto tra amministratore e giudice delegato.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CARMEN MOTTA. Mi avvio alla conclusione. Tutto quanto sopra ricordato e precisato, rilevo quindi che vi sono diverse osservazioni su aspetti critici del provvedimento, le quali sono state espresse da più parti e anche dall'associazione Libera, in prima linea sul versante del recupero dei beni sottratti alla mafia e a cui, peraltro, il decreto-legge attribuisce scarsissimo spazio, non prevedendo forme di partecipazione eventuale ad un nucleo di supporto presso le prefetture, né un'eventuale presenza a specifiche riunioni del comitato direttivo.
Sul netto ridimensionamento della funzione dell'autorità giudiziaria, il procuratore capo Pignatone ha espresso la preoccupazione per una nuova disciplina, che potrebbe svilire l'efficacia del sistema delle misure patrimoniali antimafia, sottraendo Pag. 92al giudice quel patrimonio informativo scaturente dal rapporto fiduciario e continuativo con l'amministratore giudiziario che assumeva un'importanza determinante sotto molteplici profili.
Un ulteriore elemento che vorrei sottolineare riguarda il fatto che non ci sembra vi sia questa velocizzazione delle pratiche: su questo punto ci auguriamo che il Governo sia disponibile a licenziare un testo quanto più condiviso, tenendo in debita considerazione le proposte emendative presentate dal gruppo del Partito Democratico.
Vorrei sottolineare positivamente la modifica, prevista dall'articolo 6 del presente decreto-legge, dell'articolo 416-bis del codice penale e dell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, laddove si include espressamente la 'ndrangheta tra le associazioni di tipo mafioso. È stata di fatto recepita in questo testo la proposta di legge, a prima firma Bersani, di modifica del citato articolo del codice penale, in relazione ad associazioni di tipo mafioso anche straniere, riconoscendo alla mafia calabrese un ruolo di primo piano tra le organizzazioni criminali, sia sul piano economico, sia per le ampie ramificazioni internazionali, sanando, in questo modo, una lacuna grave nel nostro ordinamento e rendendo esplicita l'applicabilità ad essa dei reati di cui all'articolo 416-bis.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CARMEN MOTTA. Per giungere alle conclusioni, lo stesso commissario straordinario, dottor Maruccia, ha così espresso nella sua relazione le proprie riserve sul complesso di questo provvedimento, non nascondendo la preoccupazione per le conseguenze di una procedura che renderebbe inutili tutti gli sforzi fatti sin qui. Il tema della vendita nei decreti attuativi dovrà essere circondata da specifiche cautele - dice il dottor Maruccia - per renderla possibile solo in casi eccezionali, in condizioni di sicura affidabilità quanto agli acquirenti.
In sostanza, riteniamo che, pur nella bontà di questo provvedimento, vi sia la necessità di affrontare in maniera complessiva i problemi che lo stesso affronta e che possa essere davvero utile per sconfiggere le mafie, attraverso forme di controllo e di prevenzione, nonché tramite l'accertamento di reati, soprattutto per fare in modo che lo Stato si dimostri all'altezza del compito che gli è proprio: appunto, sconfiggere le mafie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto. Ne ha facoltà.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, a quanto ammonta il fatturato complessivo della mafia? Nel 2009 il fatturato complessivo della mafia ha raggiunto i 135 miliardi di euro e un utile dell'ordine di 70 miliardi, al netto di investimenti e accantonamenti. Possiamo dire, quindi, che tutta l'organizzazione criminale messa in piedi sul territorio italiano e anche nei collegamenti con il territorio internazionale, costituisce un'azienda; potremmo anzi affermare che si tratta della prima Spa del Paese.
Il provvedimento di cui ieri è iniziato l'esame e che istituisce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata è un'occasione utile e fondamentale che tutti noi aspettavamo per affrontare la lotta alla criminalità organizzata. È stata molto sentita la necessità di interventi seri, ma soprattutto organici, in questo settore, perché, come vedremo, è necessario superare alcune perplessità e alcuni aspetti critici.
Quanti sono i beni oggetto di confisca della mafia? Secondo i dati forniti dall'associazione Libera, che riporta i dati del monitoraggio del commissario straordinario, dal 1982 ad oggi sono stati confiscati 8.993 beni, di cui 3.213 sono stati bloccati dall'Agenzia del demanio. Tra questi beni bloccati presso l'Agenzia del demanio è necessario fare una distinzione: una parte (circa un terzo) è bloccata perché gravata da ipoteche bancarie, un'altra parte (circa un altro terzo) è occupata abusivamente e la terza parte è rimasta lì perché, oggettivamente, Pag. 93è costituita da beni a proprietà indivisibile.
L'idea di recuperare i beni acquisiti illecitamente - lo ricordo a me stessa -, quindi derivanti da attività criminali, è la missione che ha contraddistinto la vita di Pio La Torre e anche la sua morte, visto che è morto ucciso dalla mafia. A lui, alla sua attività e alla legge che fu approvata dopo la sua morte, la cosiddetta legge Rognoni-La Torre, dobbiamo l'introduzione dell'articolo 416-bis del codice penale, che riguarda proprio il reato di associazione mafiosa e con cui, finalmente, veniva prevista la confisca dei beni del crimine organizzato.
Quattordici anni dopo l'associazione Libera, che è molto attiva in questo settore, come è stato ripetuto più volte in quest'Aula dall'inizio del dibattito, raccolse un milione di firme per arrivare alla legge n. 109 del 1996. Essa prevedeva un'intuizione, quella di finalizzare la confisca dei beni sottratti alla mafia al riutilizzo sociale degli stessi beni. In questo modo, quindi, si è legata l'attività giudiziaria di repressione ad un'attività educativa e sociale.
La legge n. 109 del 1996, però, ha presentato delle lacune e dei ritardi nella sua applicazione e proprio di queste lacune e di questi ritardi siamo stati testimoni quando abbiamo audito le diverse associazioni nelle Commissioni affari costituzionali e giustizia della Camera, mettendo in evidenza le difficoltà riscontrate nel procedere.
C'erano delle lentezze e dei ritardi nei monitoraggi e nelle verifiche, nonché una serie di ostacoli, anche di natura finanziaria. Questo perché quando abbiamo a che fare con un'azienda avviene che la stessa azienda si depaupera sul piano commerciale per effetto del tempo, ossia il tempo necessario per la lungaggine dei sequestri. Quindi, questo meccanismo, perfetto sulla carta, subiva degli inceppi nella pratica e, quindi, le principali ragioni che sono state riepilogate dal dottor Maruccia sono state proprio queste, ossia l'estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva e il provvedimento di destinazione e in qualche caso, quindi, anche il degrado dei patrimoni, e la perdita di competitività e il rischio di fallimento delle imprese sottoposte a sequestro. Una circostanza come questa, che ho appena citato, è evidente che comporta anche ricadute negative sui livelli occupazionali.
Un'altra delle caratteristiche e delle lacune che sono state segnalate era quella relativa alla differenza del livello di professionalità - a volte accade - richiesto dagli amministratori giudiziari che operavano nei diversi distretti. A queste difficoltà, note a tutti, aggiungo delle altre minori, che sono: la difficoltà nell'elaborazione di stime e di mappature dettagliate dei siti oggetto di confisca e la mancanza di monitoraggi specifici, tanto è vero che spesso l'Agenzia del demanio ha destinato beni alle amministrazioni, a volte senza prima averli svincolati. Inoltre, come ho già detto, si deve ricordare la perdita di valore del bene dovuta ad anni e anni di sequestro, tanto che nell'assegnazione alla collettività a volte, per rendere questi beni agibili, è necessario un nuovo impiego di fondi e, a volte, si tratta anche di cifre abbastanza ingenti.
Non mi soffermo sulle cifre dei beni confiscati, perché chi mi ha preceduto lo ha fatto abbastanza dettagliatamente, sia nel numero sia nella distribuzione sul territorio nazionale. Ci tengo, però, a sottolineare un aspetto, ossia che un'azienda su tre, tra quelle confiscate, è in liquidazione o sottoposta a procedure concorsuali. Pertanto, si tratta di aziende che sia tecnicamente sia praticamente sono fallite, ancora prima della confisca definitiva e, quindi, ancora prima della presa in carico da parte dell'Agenzia del demanio. Questo significa che tutta la procedura è ancora più complessa da gestire, perché sicuramente siamo di fronte ad una problematica aggiuntiva determinata dalla mancanza di liquidità. Questa, infatti, è una conseguenza abbastanza ovvia. Basta pensare ai creditori o agli istituti bancari che appena vengono a conoscenza del provvedimento di sequestro sicuramente tenderanno Pag. 94quanto meno a ridurre le linee di credito se non, addirittura, ad eliminarle.
La seconda caratteristica, su cui voglio soffermarmi, è una carenza di esperti del settore, che siano in grado di garantire alta la redditività di quell'impresa. Vi sono stati dei casi di alcuni tribunali che per sopperire a questa esigenza sono riusciti ad adottare alcuni protocolli per cercare di valorizzare le aziende oggetto del sequestro.
Ora è chiaro che, di fronte alle considerazioni che ho appena svolto, l'attività di recupero da parte dello Stato è sicuramente, oltre che decisiva, anche strategica.
Inoltre, necessitava certamente di un intervento che riuscisse a sopperire a queste storture che ho segnalato, questi ritardi e queste lacune.
Entrando nel merito del provvedimento, vorrei fare qualche osservazione. All'articolo 1 è prevista l'istituzione, come abbiamo già detto, dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. È un ente di diritto pubblico dotato di autonomia giuridica, organizzativa e contabile sotto la vigilanza del Ministero degli interni.
L'aspetto più importante è quello relativo ai poteri di Agenzia e alle sue competenze, che sono enormi: sarà titolare del potere di gestione, amministrazione e destinazione dei beni sottratti alla criminalità organizzata. Essa avrà, in particolare, altri compiti: acquisire i dati relativi ai beni sequestrati e confiscati; acquisire le informazioni relative allo stato dei procedimenti di sequestro e confisca; verificare lo stato dei beni nei procedimenti; accertare la consistenza, la destinazione e l'utilizzo dei beni; programmare l'assegnazione e la destinazione dei beni confiscati; analizzare i dati acquisiti, nonché le criticità relative alla fase di assegnazione e destinazione; amministrare e custodire i beni sequestrati e confiscati; adottare iniziative e provvedimenti necessari per la tempestiva assegnazione e destinazione dei beni confiscati anche attraverso la nomina, ove necessaria, di un commissario ad acta.
All'articolo 2 viene illustrata la struttura dell'organo, che è composto da un direttore, da un consiglio direttivo e dal collegio di revisori. Quindi, abbiamo di fronte una struttura fortemente centralizzata che, nelle intenzioni del legislatore, possa raggiungere l'obiettivo di rendere effettivamente più efficaci e più rapide le procedure, snellendo i vari passaggi e riducendo in modo significativo i tempi di attesa, a volte lunghissimi, tra la fase del sequestro e la fase della destinazione.
Quindi il tentativo è quello di unificare in un'unica fase i due momenti dell'amministrazione, il primo di competenza dell'autorità giudiziaria, e il secondo dell'Agenzia del demanio. Infatti, su questo punto l'articolo 5 prevede che il tribunale affidi all'Agenzia l'amministrazione giudiziaria dei beni.
Una modifica che è intervenuta nel corso del dibattito ha disposto la sostituzione integrale del comma 1, per cui è venuta meno la previsione che attribuiva al presidente del tribunale la nomina del giudice delegato alla procedura e dell'amministrazione nel caso del provvedimento emanato nel corso dell'istruzione per il reato di cui all'articolo 416-bis (associazione di stampo mafioso).
Cosa faranno i soggetti iscritti all'albo nazionale degli amministratori giudiziari? Coadiuveranno l'Agenzia e saranno chiamati dalla stessa Agenzia nella gestione dei beni e, nel caso più specifico delle aziende, come ho detto poc'anzi, l'Agenzia potrà avvalersi di persone scelte nella sezione di esperti in gestione aziendale.
Viene pertanto ridimensionato il ruolo del giudice delegato. Infatti, non vengono riprodotti i compiti di direzione rispetto all'attività dell'amministrazione e, nel caso di compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte dell'Agenzia, a quella autorizzazione scritta del giudice delegato si sostituisce il nulla osta e viene meno il potere di proporre al tribunale la revoca dell'amministratore, attualmente previsto nel caso di inosservanza dei doveri o di incapacità dell'amministratore.
All'Agenzia vengono attribuiti i compiti attualmente spettanti all'amministratore e, Pag. 95quindi, di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati, nonché le funzioni attualmente assegnate all'amministratore sempre nel caso di aziende.

PRESIDENTE. Onorevole Pedoto, la prego di concludere.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, a questo punto mi avvicino alla conclusione...

PRESIDENTE. Onorevole Pedoto, se vuole, posso autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del suo intervento...

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, la ringrazio, so che lei mi ha ascoltato attentamente.

PRESIDENTE. Molto attentamente, in particolare perché è lei, onorevole Pedoto...

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, a questo punto mi fermo, non senza un'ultima precisazione. Il Partito Democratico conosce molto bene l'importanza di questo provvedimento ed è anche consapevole dello sforzo che si sta facendo perché la priorità è effettivamente quella di arrivare ad un testo condiviso.
È per questo che ci aspettiamo molto dall'atteggiamento del Governo e della maggioranza, che vedremo nel corso del dibattito. Auspichiamo una approvazione all'unanimità da parte del Parlamento così come fu auspicato nella scorsa legislatura dalla Commissione antimafia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Peluffo. Ne ha facoltà.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, questo provvedimento, in realtà come tanti altri, non doveva essere adottato con un decreto-legge, perché questi provvedimenti nascono da elaborazioni portate avanti per anni da associazioni e anche da progetti di legge presentati nel corso degli anni. La sinistra e il Partito Democratico ne hanno depositati sia alla Camera che al Senato.
Si tratta di provvedimenti che hanno bisogno di maturazione, approfondimenti, limature per evitare che si crei una struttura, una scatola vuota, che magari serve solo a poter dire che si è costituita l'Agenzia dei beni confiscati, senza preoccuparsi però se funzionerà oppure no. Stiamo parlando di qualcosa che è già operativo in forza dell'efficacia del decreto-legge, ma che nella realtà rischia di non esserlo perché questa struttura, così come è, non è in grado di funzionare.
Per questo, il testo che arriva all'esame dell'Assemblea è uno dei più delicati ed importanti nell'ottica di una strategia più efficace e risolutiva nella lotta alla criminalità organizzata. È ormai un fatto notorio e universalmente riconosciuto che la mafia rappresenti, in termini di fatturato e di infiltrazione capillare su base territoriale, la prima azienda del Paese, come testimoniano annualmente dossier e rapporti di organismi istituzionali di livello locale e nazionale o di associazioni di categoria e di volontariato impegnate in prima linea nella battaglia a Cosa nostra.
In modo particolare la pervasività del sistema criminale nell'ambito del settore edilizio e in tutte le sue fasi costituisce uno dei baluardi nel progressivo e costante arricchimento delle associazioni mafiose: una profonda infiltrazione nel tessuto sociale ed economico del Paese.
Sappiamo perfettamente che le forme attraverso le quali ciò avviene vanno dal controllo degli appalti a quello delle opere pubbliche, dalla richiesta del pizzo al ricorso all'usura.
Parallelamente - su questo tornerò più avanti nel corso dell'intervento - va sottolineato il salto di qualità nei rapporti tra le mafie nostrane e numerose organizzazioni criminali transnazionali, al punto che gli organismi internazionali e la stessa Unione europea stanno pensando di adottare provvedimenti ricalcati sull'impianto Pag. 96normativo italiano, proprio per far fronte alla facilità di comunicazione e ai contatti derivanti dalla globalizzazione in ambito europeo e dall'apertura delle frontiere.
In questo scenario l'attività di recupero da parte dello Stato dei beni immobili e delle aziende riconducibili ad elementi o associazioni di stampo mafioso appare strategica e decisiva nell'attività di repressione del fenomeno.
Se è vero che da decenni la trasformazione e il passaggio fondamentale che hanno visto protagoniste le mafie italiane coincidono sostanzialmente con una scalata orizzontale al controllo dei gangli dello sviluppo economico del Paese, è altrettanto evidente che è proprio su questo terreno che lo Stato si gioca la sua battaglia per la legalità. È un problema, come è evidente, che riguarda tutto il territorio nazionale, non solo il Mezzogiorno d'Italia.
Signor Presidente, sia io che lei siamo deputati eletti nel collegio di Milano e provincia. Allora, voglio citare la relazione annuale della Direzione distrettuale antimafia di Milano, laddove recita testualmente che la penetrazione delle organizzazioni mafiose nel territorio del distretto di Milano non si arresta ed anzi sembra accentuarsi, favorita da una maggiore predisposizione degli ambienti amministrativi, economici e finanziari ad avvalersi dei rapporti che si instaurano con ambienti criminali, soprattutto nei settori delle opere pubbliche, dell'edilizia, del mercato e della circolazione del denaro.
La criminalità non esita all'occorrenza, anche in territorio lombardo, a far ricorso pure ad azioni violente per conseguire più agevolmente i propri scopi; una presenza capillare, invasiva, che non si fa scrupoli a minacciare. Per questo suonano ancora fuori luogo le dichiarazioni del prefetto Lombardi a gennaio, in occasione della visita della Commissione antimafia, quando aveva detto testualmente: anche se sono presenti singole famiglie ciò non vuol dire che a Milano esista la mafia; parole poi rettificate. Nessuna intenzione di riprendere la polemica, ma attenzione da parte di tutti al messaggio che veicoliamo: non dobbiamo dare neppure l'impressione di minimizzare il rischio delle infiltrazioni della criminalità organizzata, perché si tratta di controllo del territorio.
Cito ancora la relazione della Direzione distrettuale antimafia dove si dice che persiste la presenza di organizzazioni di tipo mafioso che, soprattutto nell'area metropolitana di Milano e nelle province confinanti, si caratterizzano più per una capillare occupazione di interi settori della vita economica e politico-istituzionale che per la tradizionale e brutale gestione militare del territorio in connessione con le attività tipiche delle associazioni mafiose, dal traffico degli stupefacenti all'usura, allo sfruttamento della prostituzione, alle estorsioni in danno di pubblici esercizi. In sostanza, si è verificato che proprio nelle zone a più alta densità mafiosa - cito in proposito a solo titolo esemplificativo, ma l'elenco potrebbe essere più lungo, i comuni di Corsico, di Buccinasco, di Cesano Boscone, di Cologno Monzese - le seconde e terze generazioni delle note famiglie malavitose (di natura 'ndraghetistica soprattutto) sono sempre più saldamente radicate nel territorio; hanno iniziato a gestire e a sfruttare le zone di influenza stringendo dal punto di vista istituzionale alleanze con spregiudicati gruppi politico-affaristici dal punto di vista economico e inserendosi nel campo imprenditoriale con illimitate disponibilità economiche. Alla tradizionale occupazione militare si è così sostituita una nuova forma di controllo del territorio, che proprio perché più sofisticata e moderna rivela con evidenza tutta la sua maggiore pericolosità: si tratta, appunto, di controllo del territorio e di presenza in segmenti economici.
Cito ancora la relazione della Direzione distrettuale antimafia di Milano, laddove si fa riferimento al fatto che, avvalendosi del cosiddetto affidamento mafioso del riciclaggio del denaro proveniente da reato mediante il reimpiego in svariate attività economiche, utilizzandolo al nord e più specificamente in Lombardia, il sistema economico agisce attraverso imprese che, in ragione dei legami degli imprenditori e dei dirigenti con i gruppi mafiosi predominanti Pag. 97nel luogo di origine, nonché in ragione della provenienza dei capitali utilizzati e delle modalità operative, possono definirsi mafiose. I settori produttivi ed economici nell'ambito dei quali opera la criminalità organizzata attraverso le imprese in questione sono prevalentemente i seguenti: il settore edilizio e le attività connesse (il movimento terra, gli scavi, il trasporto del materiale di scavo), il settore immobiliare, il settore delle forniture di prodotti alimentari, il settore delle agenzie di servizi, il settore degli appalti pubblici. Sono arrivato soltanto al punto cinque su quindici e qui mi fermo.
Nel campo dei provvedimenti che qualificano la lotta alla mafia sicuramente è stata fondamentale la legge n. 109 del 1996, che fu introdotta come normativa unica nel suo genere nel panorama internazionale, finalizzata alla restituzione alla collettività dei patrimoni delle organizzazioni criminali attraverso il loro riutilizzo sociale, produttivo e pubblico. Si è trattato di una scelta di fondamentale importanza, non solo sul piano dell'azione di contrasto del sistema di potere e degli strumenti di condizionamento propri delle organizzazioni criminali, ma anche dello sviluppo dell'economia di vaste zone del territorio nazionale.
Tuttavia, nella fase applicativa quella legge non è apparsa sufficiente a risolvere le molteplici problematiche sottese alla gestione, alla destinazione e all'utilizzo dei beni confiscati alla mafia. Tra i fattori di crisi ricordiamo: l'estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva e il provvedimento di destinazione; il degrado dei patrimoni; la perdita di competitività e il rischio di fallimento di imprese sottoposte a sequestro; il diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari.
Da più parti si è quindi segnalata da tempo la necessità di una cabina di regia nazionale che orientasse l'azione delle istituzioni verso un utilizzo effettivo dei beni.
La verifica delle criticità, allora, è importante per appurare se poi questo decreto-legge, nel testo oggi all'esame dell'Assemblea, sia idoneo a risolverle. Le criticità maggiori sono state rappresentate sicuramente dal coinvolgimento di vari soggetti pubblici: l'Agenzia del demanio, le prefetture, le amministrazioni statali, gli enti pubblici territoriali, i soggetti privati, l'amministrazione giudiziaria, e da una serie di questioni non definite legislativamente, quali, ad esempio, la sorte delle ipoteche iscritte sui beni immobili in epoca precedente al sequestro o le mancate risorse finanziarie necessarie per finanziare alcuni progetti.
Tutto ciò a fronte di un impegno enorme delle forze di polizia e della magistratura che risulta dai dati che sono stati già citati da altri miei colleghi e per questo non li riprendo nel dettaglio. Si tratta di dati importanti perché testimoniano l'impegno profuso, pur nella farraginosità delle procedure, pur nella difficoltà di acquisire effettivamente la prova che quei beni sono lo strumento o il provento, o comunque sono destinati nell'ambito della criminalità organizzata.
Ecco, in questo quadro risiede l'importanza dell'Agenzia, e senza nulla togliere al Ministro Maroni e a chi ha voluto dire che soltanto il Ministro Maroni è riuscito in questa impresa, non ci dobbiamo dimenticare che la proposta di istituire l'Agenzia è stata avanzata dall'associazione Libera dal 2006. La proposta è stata oggetto di dibattito e di specifiche proposte di legge del Partito Democratico, sia alla Camera, sia al Senato. L'istituzione di tale Agenzia risulta, inoltre, dai lavori della Commissione parlamentare approvati all'unanimità il 27 novembre 2007, nella relazione del 2009 del commissario straordinario per i beni confiscati, Antonio Maruccia.
Venendo al merito del provvedimento, è sicuramente positiva la parte del provvedimento in cui si prevede il trasferimento all'Agenzia delle competenze del prefetto in materia di destinazione dei beni confiscati, nonché la regolazione dei rapporti tra l'Agenzia del demanio per l'amministrazione e la custodia dei beni. Infatti, si cerca di accorciare le distanze e di evitare la burocratizzazione delle procedure, che hanno portato ad un rallentamento nell'ultima Pag. 98frase, che arriva fino alla programmazione della destinazione dei beni.
In questo senso, signor Presidente, vanno gli emendamenti presentati a prima firma dell'onorevole Ceccuzzi, laddove si fa riferimento al fatto che con riferimento agli enti locali che hanno già manifestato interesse al prefetto per il bene residente nel loro territorio, l'Agenzia possa procedere in tempi rapidi alla loro assegnazione, senza rischiare di ricominciare l'iter da capo.
L' Agenzia di cui parliamo, stando sempre al merito del provvedimento, si avvale di alcuni organi: il consiglio direttivo e il collegio dei revisori. Riteniamo che nel consiglio direttivo possano esservi anche altre rappresentanze, oltre a quelle indicate, proprio perché l'Agenzia ha scopi che riguardano sia l'autorità giudiziaria, e quindi la fase prettamente giudiziaria, sia la fase susseguente, quindi il rapporto specifico che vi è anche con gli enti territoriali.
Sicuramente sarà importante che l'Agenzia in discussione raccolga tutti gli elementi informativi sullo stato dei procedimenti di prevenzione penale e i dati di interesse relativi ai beni confiscati e sequestrati, insieme all'analisi finalizzata alla progressiva programmazione dell'assegnazione e della destinazione dei beni in vista della confisca. Ma qual è il punto debole, il punto di mera apparenza di questa costruzione? L'Agenzia, alla fine consta - e lo sottolineo - soltanto della disponibilità di trenta persone in termini di risorse umane, perché è stata congegnata come un ente a struttura leggera. In realtà potrà, anzi, dovrà farsi coadiuvare per l'amministrazione dei beni confiscati da tecnici ed altre persone retribuite. Dunque, cosa facciamo?
L'enorme mole dei compiti affidati all'Agenzia potrà essere espletata soltanto con il ricorso ad altra autorità amministrativa o ad altri tecnici esterni. Se dovessimo rimanere fermi all'attuale formulazione del testo, cosa avremmo? Avremmo il sequestro, l'intervento dell'autorità giudiziaria, la subitanea immissione in possesso da parte dell'Agenzia, la quale, però, non sarebbe in grado di gestire direttamente, e quindi non vi sarebbe quel risparmio di tempo e di denaro che viene palesato come la finalità del provvedimento legislativo.
In realtà, vi è un ulteriore passaggio: vi è un'Agenzia che deve nominare l'amministratore giudiziario, e si dice che bisogna creare un unico centro decisionale e che occorre sollevare la magistratura da una serie di incombenze essenzialmente amministrative.
In realtà questa struttura, così com'è congegnata, non è in grado di funzionare e di risolvere quei problemi che non hanno consentito la completa efficacia di quell'intuizione geniale e grandiosa introdotta con la legge n. 109 del 1996, consistente nell'aggressione della criminalità organizzata nel suo punto più vivo, ossia la parte economica dei patrimoni.
L'altro aspetto importante è quello che riguarda la procedura di vendita degli immobili e dei beni confiscati oggetto di un ulteriore recente intervento legislativo. A tal riguardo, un'altra nota critica è che la norma ora in vigore afferma che la destinazione dei beni immobili e aziendali è effettuata con provvedimento del direttore dell'Agenzia, previa delibera del consiglio direttivo, entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo prorogabile di ulteriori 90 giorni in caso di relazioni particolarmente complesse. Ove non sia possibile effettuare la destinazione al trasferimento entro i termini previsti, fermo restando il parere del prefetto della provincia interessata, si può andare alla vendita. Il divieto di vendita era l'elemento qualificante della disciplina del 1996, ovvero quello più innovativo che, oltre ad un'efficacia diretta nell'acquisizione del patrimonio, aveva anche un significato dimostrativo rispetto alla società civile.
Certamente questa norma, che abbiamo già criticato perché contrastante con lo spirito della lotta alla criminalità organizzata, in questo testo non ha più ragione di essere così com'è.
Se andiamo a coniare un'Agenzia che, attraverso la contrazione dei tempi, entra Pag. 99immediatamente nel possesso dei beni sequestrati, come possiamo pensare e giustificare che per lungaggini burocratiche, ovvero per l'effetto del passaggio di 180 giorni, possa poi addivenire alla vendita?
Pertanto, quello che è anche stato evidenziato in sede di audizione e su cui sono intervenuti gli altri colleghi del Partito Democratico che mi hanno preceduto è di prevedere la vendita solo in casi oggettivamente eccezionali. Mi riferisco ai casi dove in maniera documentale l'Agenzia - questa volta effettivamente individuando un soggetto responsabile - possa documentare che si sia dinnanzi ad un bene che non può esser utilizzato in termini di destinazione sociale e pubblica. Proprio chi ha operato per anni nell'ambito dei procedimenti di prevenzione ha sottolineato in sede di audizione quanto sia importante che questi beni non siano venduti all'asta. L'asta, infatti, con il meccanismo del ribasso può provocare il reinserimento di quei beni tramite soggetti nella disponibilità della criminalità organizzata.
Ricordo, signor Presidente, che di recente, nel corso di un'audizione, il commissario europeo degli affari interni, Cecilia Malmström, ha dichiarato la propria intenzione di arrivare ad una normativa comunitaria che estenda a tutti i Paesi membri il riutilizzo sociale dei beni confiscati sul modello della legge di iniziativa popolare Rognoni-La Torre.
Quindi, diventa ancora più cogente ripensare alla possibilità che il bene venga venduto a prezzo di mercato e che siano fatte le opportune verifiche sulla provenienza del denaro per evitare che questo torni ad elementi legati alla criminalità, magari sotto forma di prestanome. Su questa necessità di armonizzare il decreto-legge in oggetto con quella disposizione contenuta in finanziaria, il gruppo del PD ha presentato degli emendamenti che ci paiono essenziali nella loro funzione preventiva. Lo stesso commissario straordinario, dottor Maruccia, ha così espresso nella sua relazione...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Signor Presidente, se mi permette di consegnare il testo, svolgo soltanto un'ultima sottolineatura. La dotazione organica prevista per l'Agenzia di 30 unità misura la distanza tra l'annuncio di un provvedimento e la sua efficacia; lo dico anche perché ci sono altri esempi che dimostrano sul campo questa distanza creata dall'azione di questo Governo.
L'8 gennaio di quest'anno a Reggio Calabria il Ministro dell'interno Maroni ha parlato di un'attrazione fatale tra la 'ndrangheta e i lavori collegati all'Expo 2015. È una preoccupazione che noi condividiamo, per questo il 18 marzo dello scorso anno abbiamo depositato un progetto di legge per costituire un comitato di vigilanza sul complesso degli interventi (parliamo di svariati miliardi di euro) che riguardano la realizzazione Expo 2015.
Il Governo il 20 novembre dello scorso anno ha istituito una sezione specializzata del comitato di coordinamento e sorveglianza delle grandi opere. Abbiamo proposto che venisse coinvolta anche la DIA all'interno di questo ma così non è stato. Sono andato a guardarmi il decreto attuativo del Ministero dell'interno che prevede in termini di dotazione personale per questa sezione specializzata (che deve presiedere sul complesso degli interventi per l'Expo) otto persone.
Ecco la distanza tra gli annunci e l'efficacia dei provvedimenti. Per questo motivo, noi riproponiamo, per quanto riguarda l'Expo, la stazione unica appaltante presso la prefettura, che peraltro è stata materia di un ordine del giorno che abbiamo presentato e che il Governo ha accolto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Peluffo, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Pag. 100

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 10 marzo 2010, alle 9,30:
(ore 9,30 e al termine del punto 4)
1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (3146-A).
- Relatori: Calderisi, per la I Commissione; Bitonci, per la V Commissione.
2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (3175).
- Relatori: Santelli, per la I Commissione; Contento, per la II Commissione.
3. - Discussione delle mozioni Di Pietro ed altri n. 1-00336, Bersani ed altri n. 1-00340, Casini ed altri 1-00341 e Lo Monte ed altri n. 1-00342 concernenti misure urgenti per contrastare la crisi economica in atto.
(ore 15).
4. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 21,10.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO DOMENICO DI VIRGILIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 624-B ED ABBINATE.

DOMENICO DI VIRGILIO. Il provvedimento in esame è di estrema importanza e colma una grave lacuna nel nostro ordinamento, andando incontro alle esigenze dei cittadini e degli operatori sanitari.
Come ho già detto nel mio intervento in Commissione, le modifiche apportate dal Senato non comportano una sostanziale alterazione del testo approvato in prima lettura dalla Camera; è da rilevare però l'importanza della modifica apportata all'articolo 10, che prevede una semplificazione della prescrizione di farmaci per il trattamento di pazienti affetti da dolore severo; queste modifiche vanno viste in coerenza alla finalità del disegno di legge in esame e cioè, in estrema sintesi, come ausilio a chi vive una situazione di sofferenza fisica, per assicurare una adeguata qualità della vita.
La Società italiana di cure palliative (SICP) stima che siano 250.000 gli utenti potenziali ogni anno, di cui 11.000 minorenni. Però circa il 70 per cento dei malati terminali non gode di adeguate cure anti-dolore; ciò colloca il nostro Paese tra i peggiori in Europa nella diffusione della cultura della riduzione del dolore, anche al fine di garantire una migliore qualità di vita per i malati inguaribili e/o terminali, sebbene tra i 46 centri di eccellenza per le cure palliative riconosciuti in ambito europeo, soltanto otto siano italiani.
La condizione di un malato terminale dieci anni fa non è certo quella di oggi. Il grande problema del malato terminale è che non siamo di fronte a una categoria uniforme, ma che ne esistono vari tipi. Il malato terminale può essere un malato inguaribile e il cui destino si compie in poche ore o in pochi giorni, ma può anche essere un malato affetto da neoplasia in stato avanzato che può vivere alcuni mesi, o migliorano la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare problemi connessi a malattie a rischio per la vita, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza, per mezzo della valutazione e del trattamento del dolore e degli altri problemi fisici, psico-sociali, spirituali». Nel Piano sanitario nazionale 2003-2005 era già contenuta Pag. 101la necessità di rafforzare e di realizzare in toto la rete i nazionale di cure palliative.
Nel Piano oncologico nazionale 2006-2008 si parla di miglioramento dell'assistenza ai pazienti oncologici, nel senso di individuare i loro bisogni, attraverso: a) l'ottimizzazione dei percorsi di cura e di assistenza con un'adeguata organizzazione della rete. Tra le azioni prioritarie vi è la necessità di caratterizzare i processi nelle fasi di cura attiva, riabilitativa e palliativa, in particolare per quanto riguarda l'intervento territoriale, domiciliare e residenziale; b) lo sviluppo di cure palliative; c) lo sviluppo della terapia del dolore; d) il riconoscimento della riabilitazione oncologica.
Naturalmente poi quando è un bambino ad essere colpito da una malattia inguaribile è necessario prevedere una rete assistenziale mirata che comprenda una equipe multidisciplinare tesa a garantire servizi territoriali ed ospedalieri il più possibile vicini al minore ammalato.
Desidero ricordare a questo proposito alcune importanti e significative tappe: il 15 marzo 2006 il Ministero della salute ha istituito, presso la Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, una commissione di tecnici, al fine di realizzare un documento relativo alle cure palliative rivolte al neonato, bambino ed adolescente inguaribile; il documento è stato presentato alla Commissione LEA, ottenendo grande apprezzamento, ma soprattutto il riconoscimento dell'importanza di avviare le procedure, in esso contenute, su tutto il territorio nazionale. Ancora il 26 settembre 2007 la Fondazione Maruzza Lefebvre D'Ovidio Onlus ed il Ministero della salute hanno firmato il Protocollo d'intesa - n. 8425752 - con cui «intendono cooperare per lo sviluppo di un sistema complesso e coordinato denominato Progetto Bambino». Il Progetto Bambino ha l'obiettivo di favorire lo sviluppo di una rete di hospice e servizi di cure palliative che incontrino i bisogni di bambini ed adolescenti. Il Progetto prevedeva l'ampliamento dei servizi di assistenza domiciliare già esistenti, l'apertura di hospice pediatrici specializzati, formazione mirata per i team di assistenza multidisciplinare, e programmi di ricerca e la costituzione di un osservatorio nazionale sulle cure palliative pediatriche. Ora con questa legge si è dato il via concreto alla realizzazione di questo progetto, i bambini gravemente malati e le loro famiglie avranno finalmente garantito il diritto ad una qualità della vita in un ambiente di loro scelta. È fondamentale prevedere una maggiore offerta di servizi e di prestazioni di assistenza domiciliare; attualmente questi piccoli pazienti vengono assistiti spesso in appositi reparti ospedalieri, e la gestione dei pochi casi assistiti al proprio domicilio spesso ricade sulle relative famiglie.
Ancora è da sottolineare che il 20 marzo 2008 è stato siglato l'accordo tra lo Stato e le regioni per l'avvio della rete assistenziale ai bambini non guaribili. Il documento è il via libera per creare le condizioni organizzative, programmatiche ed economiche affinché ogni regione italiana possa dispone di una rete di cure palliative pediatriche e di un centro di eccellenza dedicato ai piccoli pazienti.
Risulta, quindi, necessaria e irrinunciabile l'elaborazione di un modello assistenziale di cure palliative flessibile e articolabile in base alle differenti necessità regionali, ma garantendo comunque su tutto il territorio una risposta ottimale ai bisogni della popolazione, sia per i piccoli malati sia per le loro famiglie che si trovano ad affrontare una realtà difficile e dolorosa.
Ogni regione italiana ha provveduto a definire la programmazione della rete di cure palliative, ma le modalità applicative si differenziano tra loro. Molte hanno elaborato programmi regionali specifici per le cure palliative (soprattutto in conseguenza del decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39), anche con riferimento alla necessità di elaborare il programma regionale per le cure palliative finalizzato all'accesso ai finanziamenti previsti per la realizzazione dei centri residenziali di cure palliative o hospice. Altre hanno inserito lo sviluppo Pag. 102delle cure palliative all'interno del più vasto programma di riorganizzazione della rete di interventi domiciliari sanitari, socio-sanitari e assistenziali.
I dati della pubblicazione «Hospice in Italia 2006: prima rilevazione ufficiale», effettuata dalla Società italiana cure palliative in partnership con la Fondazione Isabella Seragnoli e la Fondazione Floriani, pubblicati a novembre 2007, evidenziano che l'applicazione e la diffusione delle cure palliative sono ancora poco sviluppate, come dicevo, nel nostro Paese rispetto alla richiesta ufficiale. Si calcola infatti che a tutt'oggi ci siano circa 114 hospice attivi, strutture residenziali di degenza, con una maggiore concentrazione nel centro-nord, che rispecchiano circa un terzo del fabbisogno stimato, a cui si aggiunge la quasi assenza delle cure palliative delle unità domi ciliari.
Inoltre, particolare attenzione deve essere rivolta al progetto «Ospedale senza dolore», nato dall'accordo approvato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il 24 maggio 2001 (di cui al provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29 giugno 2001), con l'obiettivo di cambiare l'approccio degli operatori sanitari e dei cittadini nei confronti di un fenomeno spesso sottovalutato.
Per la realizzazione del progetto si prevedeva che in ogni azienda sanitaria si costituisca il comitato «Ospedale senza dolore», con il compito di assicurare un osservatorio specifico del dolore nelle strutture sanitarie, in particolare ospedaliere, di coordinare la formazione continua del personale medico e infermieristico, di promuovere gli interventi necessari per la disponibilità dei farmaci di derivazione oppiacea e di dare impulso all'applicazione di protocolli di valutazione e trattamento del dolore con l'obiettivo di estendere la cura agli ammalati affetti da dolore di qualsiasi origine (dolore post operatorio, neoplastico e cronico). Tale necessità, sentita e attesa, è stata recepita in pieno nell'articolo 6 ove più adeguatamente si parla della realizzazione del progetto «Ospedale-territorio senza dolore» con un finanziamento di 1450 milioni di curo per il 2010 e di 1000 milioni per il 2011.
Vorrei inoltre evidenziare tra l'altro, rimandando alla esauriente analisi, dell'articolato della legge fatta dal relatore Onorevole Palumbo come la soppressione del comma 5, dell'articolo 3 del testo precedente, che era finalizzato a prevedere la nomina di un commissario ad acta, per le regioni in ritardo, l'attuale formulazione - che sancisce che l'attuazione della legge costituisce adempimento regionale ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del SSN a carico dello Stato - va vista in senso positivo perché la nomina di un commissario ad acta, potrebbe dare effetti minori o più limitati rispetto alla prescritta valutazione del Comitato LEA, il cui esito favorevole è condizione per l'accesso al finanziamento integrativo del SSN. In riferimento poi alla modifica al finanziamento dell'articolo 6, comma l, non si tratta di una decurtazione del precedente finanziamento, quanto piuttosto di una modifica finalizzata a sopprimere l'anno 2009, per ovvie ed evidenti ragioni temporali, rispalmando il relativo finanziamento nell'anno 2010. Il finanziamento totale di 2 milioni e 450 mila euro rimane confermato.
In conclusione non si può certo dire che questo Governo e il suo Ministero della salute non abbiano a cuore le problematiche dei tanti malati, adulti e bambini, che soffrono di dolere cronico, o che necessitano di cure palliative. Le due reti previste da questa legge sono una chiara dimostrazione. Inoltre le campagne di informazione previste dall'articolo 4 impegnano il Ministero della salute a diffondere nella popolazione le modalità di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.
Ricordo poi le due ordinanze urgenti, emanate lo scorso giugno, finalizzate a semplificare la prescrizione dei farmaci per il dolore severo. E l'attuale articolo 10 va considerato, pertanto, come la corretta Pag. 103misura per assicurare, e rendere operative, le identiche semplificazioni senza soluzione di continuità.
Si tratta quindi di giungere ad un modello assistenziale di cure palliative flessibile e articolabile in base alle differenti necessità regionali, ma garantendo comunque su tutto il territorio una risposta ottimale ai bisogni della popolazione, sia per i piccoli malati sia per le loro famiglie che si trovano ad affrontare una realtà difficile e dolorosa.
Auspico quindi che anche qui alla Camera, come è avvenuto in Senato, il provvedimento veda l'accordo unanime di tutti i colleghi deputati così da approvare rapidamente questo testo e dare risposte concrete a quanti soffrono di gravi patologie e naturalmente a quanti si occupano di loro.

TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO LUCA VOLONTÈ SUL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3082

LUCA VOLONTÈ. Il Memorandum d'Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana per la promozione del commercio tra i due Paesi mediante l'apertura dell'«Indonesian Trade Promotion Center» (ITPC) risponde alle esigenze già emerse nel 1973, in occasione delle «Agreed Minutes» tra le due Delegazioni concernenti la cooperazione nei campi dell'economia e del commercio, e si inserisce nell'ambito dei rapporti internazionali tra Italia e Indonesia. Il Memorandum consente la formalizzazione delle aspettative verso l'apertura di una serie di rapporti commerciali con la Repubblica indonesiana in vista di un auspicabile ampliamento delle relazioni economiche bilaterali.
Il Memorandum d'Intesa si articola in un preambolo e nove articoli.
L'articolo 1 stabilisce l'apertura a Milano dell'ufficio «Indonesian Trade Promotion Center» (ITPC) e, in base al principio di reciprocità, l'eventuale istituzione di un Centro di promozione commerciale in una città indonesiana a scelta del Governo italiano.
L'articolo 2 indica le finalità dell'istituendo ITPC che consistono nell'assistere l'Ambasciata indonesiana in Roma sia nella promozione degli scambi dall'Indonesia verso l'Italia, con particolare riguardo alle esportazioni di beni e servizi, sia nell'ampliamento dell'accesso di prodotti indonesiani al mercato italiano.
L'articolo 3 individua le attività che l'ITPC dovrà svolgere per il raggiungimento di tali finalità, che riguardano la pubblicizzazione e l'introduzione in Italia di prodotti di industrie indonesiane, l'assistenza alle missioni commerciali da e per l'Indonesia, lo scambio di informazioni utili al miglioramento del commercio indonesiano, la conduzione di ricerche e studi, l'agevolazione della cooperazione tecnica (incluso il trasferimento di tecnologia concernente il commercio), il mantenimento di stretti legami di cooperazione commerciale sia con il Governo italiano sia con i settori privati italiani, la gestione, nell'ambito delle strutture dell'ITPC, di un eventuale Centro Esposizione e ogni altra attività ritenuta necessaria.
Gli articoli 4 e 5 riguardano lo stato giuridico dell'ITPC e del personale; in particolare, all'ITPC viene riconosciuta personalità giuridica e il suo personale, che non avrà uno status diplomatico o consolare, riceverà l'assistenza del Governo italiano per l'ottenimento dei visti appropriati per i soggetti che non sono cittadini italiani e residenti permanenti in Italia.
L'articolo 6 stabilisce che l'ITPC collabori con le Autorità italiane competenti per prevenire, in territorio italiano, gli abusi connessi con le facilitazioni derivanti dall'Accordo in esame; in caso di abuso le Parti terranno consultazioni volte a determinare se esso ha effettivamente avuto luogo e nel caso affermativo per assicurare che questo tipo di abuso non si ripeterà.
L'articolo 7 prevede che le controversie che dovessero sorgere tra le parti circa l'interpretazione e l'applicazione dell'Accordo saranno risolte per via amichevole attraverso consultazione e negoziato mediante canale diplomatico. Pag. 104
L'articolo 8 prevede la possibilità che l'Accordo venga consensualmente modificato, in ogni momento e per iscritto, tramite canale diplomatico, e che le modifiche concordate, che formeranno parte integrale di esso, entrino in vigore in data da determinare tra le Parti.
L'articolo 9, infine, stabilisce l'entrata in vigore dell'Accordo alla data di ricezione della seconda delle due notifiche di espletamento delle procedure di ratifica; si stabilisce altresì che l'Accordo rimanga in vigore fino a denuncia di uno degli Stati contraenti e si prevede la possibilità di denuncia dell'Accordo, tramite notifica per via diplomatica, e la cessazione dell'effetto del medesimo sei mesi dopo la data di notifica.
Contenuto del disegno di legge di ratifica.
Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Memorandum d'Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana concernente l'apertura dell'Ufficio «Indonesian Trade Promotion Center» (ITPC) consta di tre articoli, dei quali il primo reca l'autorizzazione alla ratifica propriamente detta, il secondo l'ordine di esecuzione dell'Accordo nell'ordinamento interno e il terzo la previsione dell'entrata in vigore della legge di autorizzazione il giorno successivo alla pubblicazione della medesima nella Gazzetta Ufficiale.
Il disegno di legge non reca alcuna norma di copertura finanziaria: la relazione introduttiva al disegno di legge, infatti, asserisce che l'attuazione dell'Accordo non comporta nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, in quanto l'eventuale apertura di un Centro di promozione commerciale italiano in altra città indonesiana, previsto come eventualità dall'articolo 1 dell'Accordo, avverrà con l'approvazione di un apposito provvedimento legislativo.
Il disegno di legge è corredato da un'Analisi tecnico-normativa (ATN) nella quale si evidenzia che il provvedimento consente la formalizzazione di una serie di rapporti tra l'amministrazione italiana e le autorità commerciali indonesiane e si inserisce nell'ambito di un auspicabile ampliamento delle relazioni tra i due Paesi, tenuto conto anche delle prospettive di penetrazione locale rese possibili dalla definizione del trattato.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARIO BARBI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3083

MARIO BARBI. È con indubbio favore e senza alcuna incertezza che il Partito democratico esprime il suo consenso alla Forza di gendarmeria europea di cui esaminiamo gli accordi istitutivi e il relativo disegno di legge di ratifica. I relatori hanno illustrato i documenti alla base dell'accordo: in primo luogo la Dichiarazione di intenti del 17 settembre 2004, sottoscritta in Olanda a Noordwijk dai Ministri dei Paesi aderenti (Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna) e poi il conseguente Trattato istitutivo di EUROGENDFOR (EGF), firmato a Roma il 12 novembre del 2007.
Questi atti furono firmati per il nostro Paese da due diversi ministri della difesa appartenenti a governi diversi per orientamento e maggioranza politica - Antonio Martino ed Arturo Parisi -, governi che hanno fatto scelte anche discordanti in politica estera e di difesa, ma che hanno avuto anche importanti elementi di comunanza nelle scelte fatte dal nostro paese in questioni rilevanti della politica estera e di sicurezza e della politica europea ed atlantica. L'istituzione della Gendarmeria europea è una di queste scelte comuni. Da questo punto di vista mi pare di sicuro rilievo l'intenzione espressa fin dall'inizio dei colloqui tra i ministri di dare vita a questa forza di gendarmeria comune nel quadro della Politica europea di sicurezza e di difesa (Pesd) come componente della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), nella prospettiva di dare attuazione all'articolo 17, comma 2, del Trattato sull'Unione europea (di Maastricht), che è diventato l'articolo 42 del Trattato di Lisbona, Pag. 105a cui fa espresso riferimento il Trattato di EGF. In base all'articolo del Trattato sull'Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, la politica di sicurezza e difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune e assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. Tale politica non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa degli Stati membri, rispetta gli obblighi derivanti dal trattato NATO per gli Stati membri che ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite la NATO. In materia di Pesd il Consiglio delibera all'unanimità su proposta dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza o su iniziativa di uno Stato membro.
La norma richiamata, articolo 42, comma 2, è assai rilevante. E recita: «La politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell'Unione. Questa condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, avrà così deciso».
Da quel traguardo siamo ancora lontani, ovviamente. Il travaglio che ha preceduto l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dopo l'accantonamento del più ambizioso progetto di Costituzione europea, sta a ricordarcelo. Comunque è un fatto ed è positivo che la gendarmeria europea si inserisca organicamente nell'impianto della Sezione 2 del Trattato di Lisbona dedicata alle «Disposizioni sulla politica di sicurezza e difesa comune», che comprende gli articoli da 42 a 46. In particolare, l'istituzione della Forza di gendarmeria europea si collega all'articolo 44 del Trattato sull'Unione europea che prevede che, nell'ambito della politica di sicurezza e difesa comune, il Consiglio possa affidare la realizzazione di una missione ad un gruppo di Stati membri che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie per tale missione. Gli Stati membri interessati sono tenuti ad accordarsi con l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sulla gestione della missione ed a riferire periodicamente al Consiglio in materia.
Inoltre, il Trattato di Lisbona ha introdotto la possibilità di creare, con decisione del Consiglio che delibera a maggioranza qualificata, una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa tra gli Stati membri che hanno le capacità militari necessarie e la volontà politica di aderirvi. Il Trattato sulla Gendarmeria europea rappresenta di fatto, se non ancora di diritto, una Cooperazione strutturata permanente in materia di difesa, ai sensi dell'articolo 46. Poi ritornerò un momento sulla Pesd e sul quadro di riferimento generale.
Prima vorrei ricordassimo che la Gendarmeria europea è di fatto operativa già dal 2004. Sul sito ufficiale di Eurogendfor, accanto alle informazioni essenziali sulla missione di questa struttura, sui paesi che la compongono e sul quartiere generale ubicato nella caserma Generale Chinotto di Vicenza, veniamo aggiornati sulle attività più recenti di EGF: da ultimo la presenza di unità di EGF in Afghanistan nel quadro della Missione di Addestramento Nato delle forze di polizia afgane. È del 24 dicembre, alla vigilia dell'ultimo Natale, la cerimonia di attivazione della missione di EGF in Afghanistan, a Kabul, alla presenza del ministro degli interni afgano e di autorità Nato ed europee. Nel corso di questa cerimonia le unità EGF hanno simbolicamente sostituito con il berretto blu dell'Europa le loro uniformi nazionali. Questa missione in Afghanistan, dedicata all'addestramento della polizia nazionale afgana, si affianca all'impegno che EGF ha già in corso in Bosnia Erzegovina nel quadro della missione Althea portata avanti da Eufor.
Alla base di EGF c'è l'avvio della PESD, che risale a più di dieci anni fa. La politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) delineata dal Trattato di Lisbona rappresenta infatti l'evoluzione della politica europea di sicurezza e difesa (PESD), avviata, nell'ambito della già istituita politica estera e di sicurezza comune (PESC), con i Consigli europei di Colonia e di Helsinki Pag. 106del 1999 al fine di dotare l'Unione europea di una capacità autonoma di azione basata su forze militari credibili. A Helsinki venne definita una specie di road map per dare attuazione a decisioni adottate nel quadro dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO) volte a dotare l'Europa delle capacità militari necessarie ad attuare le cosiddette «missioni di Petersberg» (dal luogo, vicino a Bonn in cui si svolse il consiglio Ueo nel 1992), dal nome dato a una Dichiarazione che individuava una serie di compiti, precedentemente attribuiti alla stessa UEO, da assegnare invece all'Unione europea. Le missioni sono le seguenti: missioni umanitarie o di evacuazione, missioni intese al mantenimento della pace, nonché missioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace. A Helsinki 99, gli stati della Ue si impegnavano, dapprima entro il 2003 e poi entro il 2010 a mettere a disposizione una capacità comune composta di 60.000 soldati, militarmente autosufficiente, dotata del necessario supporto aereo e navale e schierabile entro 60 giorni. Tali obiettivi sono stati aggiornati nel 2004, con gli headline goal 2010 che hanno previsto, tra le altre cose, la creazione di un'Agenzia europea della difesa (effettivamente istituita nel 2004) per conseguire una maggiore integrazione nel mercato europeo della difesa; l'implementazione di un coordinamento congiunto per il trasporto strategico in vista del raggiungimento di una piena capacità ed efficienza di trasporto per il 2010 e la creazione di gruppi di combattimento rapidamente dispiegabili. Inoltre, in base all'articolo 43 del Trattato di Lisbona, l'ambito delle missioni in cui può essere attivato il sistema comprende oltre alle «missioni di Petersberg» i compiti relativi alle missioni di disarmo, di consulenza ed assistenza in materia militare, di stabilizzazione al termine dei conflitti. Infine, con l'articolo 44 è stata istituzionalizzata l'Agenzia europea per la difesa.
Nel medesimo consiglio di Helsinki si era giunti anche ad un'intesa sulle modalità di cooperazione completa tra l'Unione europea e la NATO. Il successivo Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000 istituiva gli organismi di gestione della PESD, rendendo permanente il Comitato politico di sicurezza. Infine, nel 2002 venne deciso l'avvio della prima missione PESD, la missione Althea in Bosnia-Erzegovina, poi divenuta operativa nel dicembre 2004. E così completiamo il quadro di riferimento normativo nella cornice dinamica in cui si è sviluppato storicamente.
Ritorniamo alla Gendarmeria europea, dove si prevede che Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna, per contribuire allo sviluppo della PESD, favoriscano lo svolgimento dei compiti di polizia richiesti nella operazioni di gestione delle crisi svolte nel quadro della dichiarazione di Petersberg, offrano una struttura multinazionale agli Stati che affiancano l'UE nella realizzazione di tali missioni e partecipino alle iniziative delle Organizzazioni internazionali nel settore delle missioni internazionali nelle aree di crisi. La Forza di gendarmeria denominata EUROGENDFOR (EGF) è costituita da contingenti dei rispettivi corpi di polizia ad ordinamento militare, per l'Italia i Carabinieri, che dovrà essere operativa, pre-organizzata e impiegabile in tempi rapidi.
Qualche parola sulla specializzazione di EGF.
Tale Forza dovrà assicurare, nell'ambito delle operazioni di gestione delle crisi, lo svolgimento dei compiti di polizia, in collaborazione con gli altri partecipanti (contingenti militari, polizia locale, forze di polizia di altri Paesi partecipanti), favorire la riattivazione dei servizi di sicurezza, in particolare nelle fasi di transizione da situazioni operative militari alla ricostituzione di istituzioni civili. Nelle missioni loro affidate le unità appartenenti all'EGF possono essere messe alle dipendenze sia di un comando militare che civile. Nell'ambito di ogni operazione, l'EGF svolge missioni di sicurezza pubblica e ordine pubblico, collabora con la polizia locale e ne cura l'addestramento, dirige la pubblica sorveglianza, la polizia Pag. 107di frontiera, svolge investigazioni criminali, protegge la popolazione e la proprietà.
La struttura della Forza di gendarmeria, composta dalle Forze già fornite dagli Stati membri per il conseguimento degli obiettivi e delle capacità nelle operazioni di gestione della crisi civile, è pensata per essere messa a disposizione dell'Unione europea. L'EGF può inoltre essere posta a disposizione di altre organizzazioni internazionali, quali l'ONU, la NATO e l'OSCE, o di forze multinazionali create ad hoc, garantendo sempre la coordinazione con gli organi militari o civili ed il collegamento con le autorità di polizia locali o internazionali presenti nel territorio ospitante.
Della struttura del comando dell'EGF fanno parte: l'Alto Comitato Interministeriale (CIMIN), composto da rappresentanti dei ministri competenti degli Stati membri che assicura il coordinamento politico-militare, nomina il Comandante della Forza di gendarmeria.
Un Quartier generale multinazionale, con sede in Italia (Vicenza) , costituito, sotto il comando del comandante dell'EGF, da un nucleo spiegabile all'estero e che può venire, se necessario, rinforzato; esso si occupa della pianificazione operativa, ha rapporti con i Quartier generali presenti nei teatri operativi.
È previsto che la forza di gendarmeria europea sia nelle condizioni di mobilitare una forza di reazione rapida di 800 unità nell'arco di trenta giorni.
Il Trattato è già stato ratificato da Paesi bassi, Portogallo e Spagna. È positivo che anche l'Italia proceda alla ratifica.
Peraltro, come dicevo, la Forza della gendarmeria europea è già attiva.
Oltre a Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna, ne è membro a pieno titolo anche la Romania, mentre la Turchia partecipa con lo status di osservatore e Polonia e Lituania con lo status di partner.
Gli oneri derivanti dalla ratifica del Trattato in oggetto, pari a 191.200 euro annui a decorrere dal 2010 sono coperti mediante corrispondente riduzione della spesa di cui all'articolo 3, comma 1 della legge 4 giugno 1997, n. 170, recante ratifica della Convenzione ONU sulla lotta, contro la desertificazione.
È una cosa che si ripete e che abbiamo già deplorato. Lo facciamo anche in questo caso nonostante le assicurazioni del Governo che le risorse attinte da quel fondo non incidono sui programmi operativi.
Ultimissima annotazione: il Consiglio del 17 novembre 2009, nel celebrare il decimo anniversario della politica europea in materia di sicurezza e di difesa (PESD), ha lodato il successo di questa politica, che ha dispiegato personale pari a circa 70.000 persone in 22 missioni e operazioni, di cui 12 attualmente in corso, a sostegno della pace e della sicurezza internazionali. Ricordo la missione Atalanta per la sicurezza marittima al largo delle coste somale, le missioni in Bosnia Erzegovina, Georgia, Afghanistan, nei territori palestinesi, al valico di Refah e nella repubblica democratica del Congo. Secondo il Consiglio, la PESD si è dimostrata uno strumento efficace per l'insieme dell'azione esterna dell'UE. La Gendarmeria europea si inserisce in questo contesto e dà il suo contributo.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3175

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Lo stesso commissario straordinario, dottor Maruccia, ha così espresso nella sua relazione le proprie riserve in merito, non nascondendo la preoccupazione per le conseguenze di una procedura che renderebbe inutili tutti gli sforzi fatti sin qui.
Infatti, lo citiamo testualmente, «Il tema della vendita, nei decreti attuativi, dovrà essere circondato da specifiche cautele per renderla possibile solo in casi eccezionali, in condizioni di sicura affidabilità quanto agli acquirenti. Dovrà trattarsi dunque di una ipotesi residuale nei casi di assoluta impossibilità di destinazione Pag. 108sociale o pubblica di beni non significativi, da attuarsi caso per caso ed attraverso procedure garantite che stabiliscano obblighi puntuali della pubblica amministrazione in ordine alla praticabilità della destinazione sociale o pubblica, che resta l'obiettivo principale».
Ecco, non vorremmo che la necessità di istituire un organismo pure utile, per le sue funzioni di collegamento e di raccordo tra i soggetti coinvolti nel procedimento amministrativo e giudiziario, si traducesse, di fatto, in una rapida messa all'asta dei patrimoni dei mafiosi, pronti ad essere ricomprati dai boss.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 13)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. pdl 624-ter-B e abb. - articolo 1 454 452 2 227 452 55 Appr.
2 Nom. articolo 2 455 453 2 227 453 55 Appr.
3 Nom. articolo 3 457 455 2 228 455 55 Appr.
4 Nom. articolo 4 457 455 2 228 455 55 Appr.
5 Nom. articolo 5 456 454 2 228 454 55 Appr.
6 Nom. articolo 6 460 460 231 460 55 Appr.
7 Nom. articolo 7 457 456 1 229 456 55 Appr.
8 Nom. articolo 8 455 455 228 455 55 Appr.
9 Nom. articolo 9 457 456 1 229 456 55 Appr.
10 Nom. articolo 10 456 456 229 456 55 Appr.
11 Nom. articolo 11 456 456 229 456 55 Appr.
12 Nom. articolo 12 457 266 191 134 266 55 Appr.
13 Nom. pdl 624-ter-B e abb. - voto finale 478 476 2 239 476 56 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.

INDICE ELENCO N. 2 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 14 AL N. 23)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
14 Nom. ddl 3082 - articolo 1 465 464 1 233 464 55 Appr.
15 Nom. articolo 2 466 464 2 233 464 55 Appr.
16 Nom. articolo 3 467 465 2 233 465 55 Appr.
17 Nom. ddl 3082 - voto finale 469 467 2 234 467 55 Appr.
18 Nom. ddl 3083 - articolo 1 461 461 231 461 53 Appr.
19 Nom. articolo 2 460 459 1 230 459 53 Appr.
20 Nom. articolo 3 453 452 1 227 452 53 Appr.
21 Nom. articolo 4 444 443 1 222 443 53 Appr.
22 Nom. articolo 5 439 438 1 220 438 53 Appr.
23 Nom. ddl 3083 - voto finale 443 442 1 222 442 53 Appr.