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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 295 di lunedì 8 marzo 2010

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 14,35.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 1o marzo 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Bratti, Brunetta, Buonfiglio, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Graziano, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Leoluca Orlando, Pecorella, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione (ore 14,37).

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato ha chiamato a far parte del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, il senatore Carlo Pegorer, in sostituzione del senatore Mauro Del Vecchio, dimissionario.

Annunzio della nomina di sottosegretari Stato.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato, in data 4 marzo 2010, la seguente lettera:

«Onorevole Presidente,
informo la S.V. che il Presidente della Repubblica, con propri decreti in data odierna, adottati su mia proposta, sentito il Consiglio dei ministri, ha nominato sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri il senatore Andrea Augello, l'onorevole Laura Ravetto e la dottoressa Daniela Santanchè, e all'Istruzione, all'università e alla ricerca il senatore Guido Viceconte.
Cordialmente,
firmato: Silvio Berlusconi».

Rivolgiamo ai colleghi i nostri auguri.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 14,40).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, Pag. 2con lettera in data 6 marzo 2010, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla I Commissione (Affari costituzionali):
«Conversione in legge del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, recante interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione» (3273) - Parere della II Commissione e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, sarà altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Sull'ordine dei lavori (ore 14,45).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo con riferimento all'annuncio che ha testé riferito all'Assemblea, relativo alla presentazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri, recante l'interpretazione autentica delle norme elettorali riguardanti le elezioni regionali.
Riteniamo che questo decreto-legge, approvato dal Consiglio dei ministri e proposto dal Governo la settimana scorsa in materia elettorale, rappresenti un gravissimo precedente nella storia repubblicana. Riteniamo che sia conseguente ad un atteggiamento di questo Governo e di questa maggioranza e che rappresenti l'ennesimo atto di violazione sistematica delle regole.
Di fronte a ciò - lo abbiamo già comunicato ai Presidenti della Camera e del Senato, oltre che, ovviamente, alla stampa - si rende necessaria una mobilitazione ed una risposta da parte nostra. Tale mobilitazione non riguarda quest'Assemblea: si svolgerà sicuramente fuori da essa, ma inevitabilmente - così come annunciato anche dai capigruppo del Partito Democratico alla Camera e al Senato, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro - avrà conseguenze, anche all'interno dell'Aula di Montecitorio, rispetto alla nostra condotta nei riguardi dei lavori parlamentari.
Tutto ciò serve anche a me per spiegare le ragioni - che sono comprensibili a tutti - per le quali riteniamo che, di fronte alla gravità di quanto accaduto in Consiglio dei ministri e alla presentazione alla Camera del disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia elettorale, qualunque accordo raggiunto in sede di Conferenza dei capigruppo la scorsa settimana, concernente l'iter dei lavori in Assemblea, per questa settimana e per i giorni a seguire, non può che ritenersi superato.
Pertanto, signor Presidente, per quanto ci riguarda, ci comporteremo in modo che anche all'interno dell'Aula parlamentare sia il più possibile evidente quanto riteniamo grave la decisione del Governo, quanto riteniamo grave per la democrazia ciò che è accaduto e quanto riteniamo, in questa sede e al di fuori di essa, nostro dovere fare di tutto per manifestare - usando tutti gli strumenti del Regolamento anche rispetto ai lavori parlamentari - il nostro giudizio su quanto è avvenuto.
Ovviamente, i colleghi che interverranno nel corso della seduta di oggi e nei prossimi giorni, oltre a illustrare le loro valutazioni sui provvedimenti all'ordine del giorno, avranno modo di rimarcare, di volta in volta, che all'origine della decisione che stiamo prendendo vi è un fatto, a nostro avviso, davvero grave, non soltanto per quanto accade in quest'Aula, ma per il Paese e per la democrazia. È sicuramente un fatto che crea un precedente davvero molto preoccupante, rispetto al quale riteniamo che questo sia l'inizio di una risposta che non può che essere dura e decisa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, la Presidenza provvederà a far rispettare in modo rigoroso il diritto alla libertà di espressione di tutte le forze presenti nell'Assemblea, ovviamente nell'ambito dei limiti previsti dalla Costituzione e dal Regolamento.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, in ordine alle parole dell'onorevole Giachetti e all'annuncio circa l'atteggiamento dell'opposizione, desidero far presente che si tratta di una decisione intervenuta a fronte di un fatto politico, ossia l'emanazione da parte del Consiglio dei ministri di un decreto-legge interpretativo, il quale non incide sulla data delle elezioni, ma rispetta l'andamento naturale delle cose.
Si tratta di un decreto-legge interpretativo - tra l'altro controfirmato dal Capo dello Stato, il quale, evidentemente, non ha ravvisato vizi palesi di incostituzionalità - sul quale l'opposizione ha una posizione dura (questo è legittimo) e anche di critica.
È una responsabilità che il Governo si è assunta e che la maggioranza si assumerà anche in questa Assemblea. Tuttavia, l'atteggiamento dell'opposizione di dar luogo ad un ostruzionismo senza criterio e senza confini in questa fase evidentemente deve far riflettere; in questo modo, peraltro, si stravolgerà anche un provvedimento delicato, atteso da famiglie e da pazienti, come quello delle cure palliative, su cui sembrava anche che vi fosse la volontà da parte degli stessi componenti dell'opposizione, membri della Commissione affari sociali, di procedere ad un percorso più lineare.
Soprattutto, signor Presidente, questo atteggiamento, relativo ad un fatto politico in questo momento esterno ai lavori di questa Assemblea, fa «carta straccia» dell'accordo raggiunto nel corso dell'ultima Conferenza dei presidenti di gruppo, presieduta dal Presidente Fini. Si trattava di un accordo che, evidentemente, stabiliva un percorso. Pertanto, signor Presidente, riteniamo questo fatto assolutamente scorretto.
Di conseguenza, prendiamo atto di questo atteggiamento dell'opposizione: non possiamo non farlo, evidentemente, dal momento che le prerogative parlamentari e il Regolamento della Camera danno la possibilità ai colleghi dell'opposizione di seguire un certo percorso e di fare filibustering parlamentare. Prendiamo, altresì, atto (non è la prima volta) che si disattende un accordo sancito all'interno della Conferenza dei presidenti di gruppo. Immagino - ed evidentemente lo deduco dalle parole dell'onorevole Giachetti - che il percorso previsto sarà disatteso: ossia quello di concludere nella mattinata di domani l'esame del decreto-legge sugli enti locali ed entro la mattinata di mercoledì l'esame del decreto-legge concernente l'Autorità per la gestione dei beni confiscati alla mafia, per procedere poi secondo un calendario che prevedeva, nel pomeriggio di mercoledì, gli interventi sulle mozioni in materia di crisi economica.
Questo percorso è chiaramente messo a repentaglio da tale ostruzionismo e la considerazione amara su cui in questo momento intendo far riflettere l'Assemblea è la seguente: evidentemente, gli impegni assunti in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo valgono solo per la maggioranza e non per l'opposizione. Ritengo che questo sia un fatto grave: evidentemente la drammatizzazione del confronto risente anche del momento elettorale. Tuttavia, riteniamo che, da parte dell'opposizione, questo non sia un atteggiamento responsabile.
Ci si può confrontare nel merito dei provvedimenti e si può avere un'opinione diversa anche sul decreto-legge relativo alle liste elettorali; ciononostante, è corretto che si porti a termine, tutti insieme, un percorso stabilito nella Conferenza dei presidenti di gruppo, in quanto in tale sede erano seduti anche i rappresentanti dell'opposizione.

FRANCESCO BARBATO. Chiedo di parlare.

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PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, anche l'Italia dei Valori vuole stigmatizzare quanto accaduto con il decreto-legge cosiddetto salvaliste. Per la verità, non mi stupisce l'intervento dell'onorevole Baldelli, il quale ritiene scorretto il comportamento delle opposizioni in Parlamento in ordine a un accordo, chiamiamolo inter partes, che avrebbe dovuto regolare i lavori del Parlamento per i prossimi giorni. Ebbene, se egli ritiene scorretto tale comportamento e si meraviglia così tanto, cosa devono dire gli italiani che hanno viste modificate le regole del gioco in una partita in corso, con le elezioni alle porte, con le liste presentate e con la modifica delle regole che devono stabilire come giocare la partita delle elezioni regionali? Questa è la dimostrazione del golpe e della grave violazione della Costituzione che con il decreto-legge «salvaliste» il Governo Berlusconi ancora una volta ha voluto realizzare.
Oggi è in pericolo la democrazia di questo Paese, nel momento in cui in questo Stato non c'è più certezza del diritto e le regole non sono più rispettate. Le regole devono rispettarle i cittadini che, se partecipano ad un concorso, devono presentarsi alle ore 8 e se arrivano più tardi non possono più parteciparvi e vengono esclusi; oppure deve rispettarle il cittadino che si reca all'ASL per una visita e deve aspettare il suo turno. Certi partiti, invece - e in particolare il Popolo della Libertà - pensano di essere esonerati dal rispetto delle regole e delle leggi e di potere essere al di sopra delle leggi e della morale.
Insomma, si è manomesso il sistema delle convenzioni che regolano i rapporti civili tra gli uomini. Con il decreto-legge «salvaliste» è stato messo in ginocchio il sistema parlamentare e democratico. Per questa ragione, noi dell'Italia dei Valori continueremo, come sempre in modo energico e determinato, a rappresentare i diritti dei cittadini e a contrastare queste ingiustizie e soprattutto questa continua manomissione della Costituzione e della democrazia. Continueremo a farlo in Parlamento, in modo civile e non violento, e nelle piazze. Continueremo ad essere l'Italia dei Valori che nel palazzo e nelle piazze sta davvero al fianco dei cittadini per la difesa dei diritti e della democrazia.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, non ho presenziato ai lavori della Conferenza dei presidenti di gruppo, ma non è questa la questione posta dall'onorevole Giachetti. Egli ha invece evidenziato una situazione nuova rispetto a quella determinata dalla riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, che aveva stabilito un percorso e un programma per i nostri lavori di questa settimana.
Non starò a fare molte valutazioni. Il tema del disegno di legge di conversione del decreto-legge che va sotto il nome di «salvaliste» non riguarda - o non dovrebbe riguardare - semplicemente la minoranza e non dovrebbe essere un tema per indicare o sollecitare una polemica o un confronto tra maggioranza e minoranza.
Ritengo che questo tema riguardi tutta l'Assemblea e tutte le forze politiche e sociali all'interno di questo nostro Paese. Abbiamo già detto che questo provvedimento costituisce un vulnus e che certamente depaupera e dissipa i valori e, soprattutto, le energie e le risorse della democrazia all'interno del nostro Paese. Le regole devono essere rispettate e mantenute anche per mandare dei messaggi che devono essere recepiti dalla nostra società e, soprattutto, dalle nostre comunità regionali e nazionali.
Questo provvedimento certamente non ci aiuta a dare dignità e forza alle istituzioni e, quindi, dignità e forza alla politica in questo particolare momento. Nel momento in cui si dovevano salvaguardare «dei beni», ritengo che il bene della democrazia - ma soprattutto del rispetto delle regole - dovesse essere il bene supremo da salvaguardare e tutelare. Pag. 5
Non si tratta, quindi, di un confronto sull'iter legislativo, perché la minoranza e l'opposizione hanno il diritto di utilizzare gli strumenti regolamentari e non per questo si può gridare ad un attentato ai lavori parlamentari. Una minoranza può fare le mobilitazione che ritiene. Noi ovviamente guardiamo con perplessità alle mobilitazioni al di fuori di quest'Aula, ma certamente l'Aula è la sede legittima per discutere e approfondire questo tema e questo argomento. Pertanto, non vedo altri tipi di confronto e, soprattutto, di polemica. Ognuno certamente ha i suoi studi e le sue valutazioni su questo provvedimento. Ricordo, inoltre, che i riferimenti dottrinari possono essere variamente utilizzati e anche interpretati alla bisogna. Per mia esperienza so che vi era un avvocato, di grande grido, il quale riuscì, nella stessa giornata, a sostenere due tesi diverse, a seconda dell'occasione e della circostanza.
Il dato vero da recepire è quello di andare in giro e cogliere il sentimento della gente. Sono stato nella mia regione, in questo fine settimana, e vi è una mezza rivolta e c'è un risentimento. Questo è il dato che conta, in questo particolare momento. O il Parlamento è l'espressione dei territori in termini seri, oppure ci trinceriamo rispetto a una vicenda che è molto miseranda e rispetto ad una problematica vasta che certamente deve essere portata avanti.
Inoltre, cerchiamo anche di avere il pudore di non chiamare questo provvedimento decreto-legge interpretativo. Si devono avere dei limiti anche nel linguaggio. Questo non è un decreto-legge interpretativo. Ricordo che le liste venivano accettate o meno se uno era nella stanza e poi leggo che molte volte non vi è stata la possibilità di identificare, ma a questo punto entreremmo nell'argomento e preferisco non farlo. Questo è un decreto-legge che innova profondamente almeno nell'uso e nelle abitudini che hanno caratterizzato la presentazione delle liste da molti anni a questa parte. Ritengo che questo sia l'aspetto che dovrebbe essere valutato. Credo che tratteremo con dovizia di argomentazioni e con un confronto serio questo tema e questo argomento quando esso giungerà al nostro esame.

GIUSEPPE CALDERISI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, la vicenda delle liste elettorali è davvero preoccupante per lo stato della nostra democrazia. Un'informazione distorta è riuscita a ribaltare completamente la realtà dei fatti. Un'informazione distorta di cui ora è vittima la stessa opposizione, che ha annunciato i comportamenti ostruzionistici che abbiamo ascoltato poco fa.
Signor Presidente, sia a Milano sia a Roma, purtroppo, gli uffici elettorali hanno compiuto due distinte e diverse violazione della legge e delle regole elettorali, rispettivamente a danno della lista capeggiata da Formigoni e della lista del Popolo della Libertà. Il decreto-legge si è reso necessario proprio per ripristinare la legalità. Esso è volto a ribadire quello che già dicono le regole vigenti, non a mutarle. Pertanto, a mio avviso, esso è pienamente legittimo. Esattamente il contrario di quanto una certa propaganda e una certa stampa hanno rappresentato.
Signor Presidente, a Milano la lista Formigoni era stata già ammessa dall'ufficio elettorale, poi i radicali hanno presentato un ricorso contro la sua ammissione, laddove la legge prevede solo ricorsi contro l'esclusione di una lista o di un candidato.
Ammettendo il ricorso, l'ufficio elettorale ha pertanto violato la legge. Non solo: nel merito ha accolto alcune contestazioni attinenti ad elementi non essenziali per l'autenticazione delle firme, ad esempio la mancanza del luogo dell'autentica laddove non esiste limitazione di competenza territoriale per gli autenticatori.
Al riguardo, esistono le istruzioni degli uffici elettorali e la giurisprudenza (che è molto chiara), ma purtroppo l'applicazione non è uniforme da parte dei diversi Pag. 6uffici elettorali. Ecco la ragione e la legittimità di un decreto-legge interpretativo volto a dettare una volta per tutte criteri certi ed univoci.
Anche a Roma, voglio far presente, è stata compiuta una violazione delle regole vigenti ancora più grave, la mancata verbalizzazione della lista del PdL, laddove le istruzioni per la presentazione ed ammissione delle candidature prescrivono da sempre che «il cancelliere - cito testualmente - non può rifiutarsi di ricevere le liste dei candidati neppure se le ritenga irregolari o presentate tardivamente».
I delegati della lista del PdL erano entrati nel tribunale tempestivamente, erano giunti davanti alla stanza dove avveniva il deposito delle liste mezz'ora prima della scadenza. Solo la carenza di personale dell'ufficio elettorale li ha costretti a fare la fila, solo la grave e colpevole negligenza da parte dei responsabili dell'ufficio li ha lasciati fuori dalla stanza senza essere identificati come delegati e senza numero d'ordine, esponendoli al caos di un corridoio...

ROBERTO GIACHETTI. Ma di che stiamo parlando?

PRESIDENTE. Onorevole Calderisi, mi sfugge la connessione tra la sua argomentazione e l'ordine del giorno della Camera. Il suo è un intervento sull'ordine dei lavori, la invito ad attenersi all'ordine dei lavori.

GIUSEPPE CALDERISI. Il problema è che però vi è una distorsione della realtà dei fatti di cui, come ho già detto, è vittima la stessa opposizione che, in relazione a ciò, ha annunciato comportamenti gravissimi, dal mio punto di vista, e ostruzionistici che non hanno fondamento nella realtà dei fatti.
Per questo, stavo tentando in estrema sintesi, signor Presidente - perché non voglio farla lunga sulla ricostruzione dei fatti -, di rappresentare una situazione di alterazione della verità che porta a questi atteggiamenti parlamentari. È degli atteggiamenti parlamentari che mi preoccupo, però se non si va a chiarire quale è stata la situazione che si è determinata nella realtà dei fatti, è difficile riuscire a far comprendere e a far sì che questo dibattito serva a qualcosa, signor Presidente.
Mi preoccupo di questo, altrimenti è uno sterile dibattito sull'ordine dei lavori che non cerca di affrontare veramente la questione e risolvere i problemi. Quindi, dicevo, signor Presidente - impiego soltanto un altro minuto e non di più, se posso finire di ricostruire - che quei delegati, quando un componente dell'ufficio elettorale è uscito dalla stanza e ha chiesto quanti altri fossero i delegati che ancora dovevano depositare le liste, hanno alzato la mano insieme ad altri tre. Non può essere il fatto di essere qualche metro più avanti o più indietro a determinare, lo ripeto, non solo l'esclusione dalla lista, ma la mancata verbalizzazione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIUSEPPE CALDERISI. Quindi, signor Presidente, questa è la questione. Ritengo che la forma sia sostanza. Sbaglia chi nega che la forma non sia sostanza. Ma la forma non può diventare formalismo irragionevole che nega la sostanza e la finalità della legge. Meno che mai può divenire il cavillo o il pretesto per compiere operazioni di tutt'altra natura.

ROBERTO GIACHETTI. Ma di cosa stiamo parlando?

GIUSEPPE CALDERISI. Rispetto della legge e democrazia non sono in contrapposizione e sono purtroppo in gioco entrambi...

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Calderisi, per favore.

GIUSEPPE CALDERISI. Mi auguro che, alla luce di una ricostruzione esatta di quello che è accaduto e della realtà delle cose, l'opposizione possa ripensare al suo atteggiamento ostruzionistico, sia sul decreto-legge, sia sugli altri provvedimenti.

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MARIO TASSONE. Abbiamo anticipato la relazione al provvedimento, signor Presidente!

PRESIDENTE. Non intendo aprire adesso un dibattito su un tema estraneo all'ordine del giorno. Abbiamo consentito, come è prassi, a tutti i gruppi di esprimere il loro punto di vista. Forza Italia è intervenuta due volte...

SIMONE BALDELLI. Forza Italia non esiste più!

PRESIDENTE. Chiedo scusa per l'errore. Il Popolo della Libertà è intervenuto due volte. Darò l'opportunità di intervenire una seconda volta ai gruppi che lo chiederanno, dopodiché passeremo ai punti all'ordine del giorno.

SESA AMICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, il collega Calderisi con il suo intervento sull'ordine dei lavori ha cercato di anticipare la discussione sul decreto-legge. Si è sforzato dal suo punto di vista, che è esattamente il suo, di operare una ricostruzione relativa alle motivazioni del decreto-legge riguardante le questioni delle liste. Sarebbe troppo semplice dire all'onorevole Calderisi che gli atteggiamenti del gruppo del Partito Democratico e la natura della forma di ostruzionismo che sceglie sui provvedimenti appartengono alla nostra responsabilità politica e anche al nostro giudizio di merito su quello che avverrà nei prossimi giorni.
Ci divide profondamente dall'onorevole Calderisi una concezione della democrazia e anche del rispetto delle regole, soprattutto quando vengono cambiate in corso d'opera e lo si fa con un atto individuale e unilaterale da parte del Governo che interviene sulla vicenda elettorale, che, come ben sa il collega Calderisi, non può essere oggetto di decretazione d'urgenza. Ma le questioni di merito le affronteremo quando quel decreto-legge arriverà all'esame della Camera per la conversione.
Quello che è successo, caro onorevole Calderisi, è esattamente un'espropriazione dei tribunali, quelli ai quali andava lasciato il tempo di esprimersi, di intervenire e, sulla base di ciò, ipotizzare una soluzione diversa. Si è deciso ancora una volta, ma ci avete abituato a questo, a piegare agli interessi politici - e solo a questi - del Popolo della Libertà e del suo Governo le vicende che riguardano gli aspetti elettorali. Da questo punto di vista, onorevole Calderisi, non vogliamo prendere lezioni da nessuno.
Consiglierei ai colleghi di riflettere su un articolo pubblicato ieri, molto chiaro nella sua semplicità (ma è tipico dei grandi usare le parole semplici), dell'ex presidente della Corte costituzionale Zagrebelsky. Quello che è in discussione è il rispetto della legge. Voi avete cambiato addirittura la questione, dalla presentazione delle liste ad un tema che riguarda i presentatori, non la regola formale; vi è esattamente un mutamento delle questioni.
Per quanto riguarda gli altri aspetti, aspetto la discussione di merito. Noi non la vogliamo anticipare, ma sono intervenuta sull'ordine dei lavori perché vi è stata una relazione, un tentativo, anche di buon senso nelle intenzioni, di anticipare una discussione, cercando soprattutto di immettere un giudizio di valore, che è politico, circa l'ambito della scelta del maggior partito di opposizione di decidere i comportamenti in quest'Aula.
Questo è inaccettabile, non bastano le buone parole, perché a questo dovrebbero seguire comportamenti virtuosi e non sempre i comportamenti virtuosi di questa maggioranza depongono a favore di ciò. Pertanto, la ringraziamo per quel suo richiamo alla forma e alla sostanza, ma - lei lo sa bene onorevole Calderisi - mai quando si discute di legge la forma è sostanza. Se abbiamo deciso anche di cambiare le categorie della dialettica politica, ve ne assumete la responsabilità, ma non avrete la nostra complicità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (A.C. 3175) (ore 15,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3175)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
La relatrice per la I Commissione, onorevole Santelli, ha facoltà di svolgere la relazione.

JOLE SANTELLI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, innanzitutto chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione, affinché possa andare «a braccio», evitando di sottrarre tempo ai colleghi. Come evidenziato anche nella relazione illustrativa del provvedimento, la più efficace forma di aggressione alla mafia viene considerata l'aggressione ai patrimoni mafiosi, inteso questo come lo strumento più efficace in assoluto nella lotta alla criminalità organizzata. Unitamente a questo vi è però la necessità di rendere rapido ed effettivo l'utilizzo dei patrimoni per finalità istituzionali e sociali.
Il decreto-legge in questione si innesta su un percorso già segnato da leggi precedenti in materia di confisca e sequestro dei beni e recepisce un'istanza sollecitata già da numerose legislature da parte dei vari gruppi politici e soprattutto, mi permetto di segnalare, dalla Commissione parlamentare antimafia: la costituzione di una Agenzia autonoma al fine della gestione dei beni confiscati e sequestrati. L'esame dell'Assemblea è quindi finalizzato ad assicurare l'unitarietà degli interventi e soprattutto a programmare, già durante la fase dell'amministrazione giudiziaria, la destinazione finale dei beni sequestrati con immediatezza rispetto al provvedimento definitivo di confisca.
Nell'illustrazione del testo e dell'istruttoria legislativa mi soffermerò sulle disposizioni del provvedimento in esame che attengono più strettamente alle materie di competenza della Commissione affari costituzionali, vale a dire le disposizioni contenute negli articoli 1, 2, 3, 4 e 7, mentre dei restanti articoli parlerà il collega Contento in qualità di relatore per la Commissione giustizia.
L'articolo 1 istituisce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la riconosce quale personalità giuridica di diritto pubblico dotata di autonomia organizzativa e contabile e prevede che la sede principale è a Reggio Calabria. L'Agenzia è sotto la vigilanza del Ministro dell'interno. Lo stesso articolo 1 ne stabilisce le competenze.
L'articolo 2 prevede, quali organi dell'Agenzia, il Direttore, il Consiglio direttivo ed il Collegio dei revisori. Il Direttore è scelto tra i prefetti e viene nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e collocato in posizione di fuori ruolo. Il Consiglio direttivo è composto da cinque membri: il Direttore dell'Agenzia, che lo presiede; un rappresentante del Ministero dell'interno; un magistrato designato dal Pag. 9Ministro della giustizia; un magistrato designato dal Procuratore nazionale antimafia; il Direttore dell'Agenzia del demanio o un suo delegato. Il decreto di nomina dei componenti del Consiglio direttivo viene proposto dal Ministro dell'interno al Presidente del Consiglio dei ministri. Il collegio dei revisori è nominato con decreto del Ministro dell'interno fra gli iscritti all'albo ufficiale dei revisori dei conti ed è costituito da tre componenti effettivi e da due supplenti. Un componente effettivo e un componente supplente sono designati dal Ministro dell'economia e delle finanze.
L'articolo 3 definisce le attribuzioni degli organi dell'Agenzia. In particolare, il Direttore dell'Agenzia ha la rappresentanza legale dell'Agenzia e può nominare uno o più delegati. Sono indicate le attribuzioni del Consiglio direttivo; in particolare sottolineo che spetta al Direttore dell'Agenzia la presentazione al Parlamento di una relazione semestrale sull'attività svolta dall'Agenzia stessa, una relazione che non modifica in nulla quanto già previsto dalla legge n. 575 del 1965 per quanto riguarda invece la relazione trasmessa dal Governo ogni sei mesi al Parlamento riguardo ai dati relativi ai beni sequestrati e confiscati. L'articolo assegna inoltre all'Agenzia, in via generale, il compito di provvedere all'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati. L'Agenzia adotta altresì i provvedimenti di destinazione dei beni confiscati verso le primarie finalità istituzionali e sociali, secondo le modalità indicate dalla già citata legge n. 575 del 1965.
L'Agenzia è poi autorizzata a chiamare a partecipare alle riunioni del Consiglio direttivo rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, centrali e locali, dell'autorità giudiziaria, di enti ed associazioni di volta in volta interessati. Il collegio dei revisori, a sua volta, provvede al riscontro degli atti di gestione; alla verifica del bilancio di previsione e del conto consuntivo, redigendo apposite relazioni; alle verifiche di cassa con frequenza almeno trimestrale.
L'articolo 4 disciplina l'organizzazione dell'Agenzia e rimette a uno o più regolamenti da adottare entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia, dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, la disciplina sull'organizzazione e la dotazione delle risorse umane e strumentali per il funzionamento dell'Agenzia e sulla contabilità finanziaria ed economico-patrimoniale relativa alla gestione dell'Agenzia, nella quale deve essere assicurata la separazione finanziaria e contabile dalle attività di amministrazione e custodia dei beni sequestrati e confiscati.
I regolamenti devono intervenire inoltre in materia di comunicazioni, anche telematiche, fra l'Agenzia e l'autorità giudiziaria, nonché di flussi informativi necessari per l'esercizio dei compiti attribuiti all'Agenzia.
Quanto ai rapporti tra l'Agenzia che viene istituita e l'Agenzia del demanio in merito all'amministrazione della custodia dei beni confiscati, si prevede che questi siano regolati mediante un'apposita convenzione non onerosa.
È previsto, ancora, che l'Agenzia, in seguito all'entrata in vigore dei regolamenti anzidetti possa avvalersi, per l'assolvimento dei suoi compiti, anche di altre amministrazioni o di enti pubblici, ivi incluse le agenzie fiscali, stipulando apposite convenzioni non onerose.
L'articolo 7 detta disposizioni volte a garantire l'immediata operatività dell'Agenzia, che sostituisce il Commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali.
Le Commissioni riunite affari costituzionali e giustizia, nella seduta del 16 febbraio 2010, hanno avviato l'esame in sede referente del disegno di legge di conversione del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante appunto l'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, deliberando di conferire il mandato ai Pag. 10relatori a riferire in senso favorevole all'Assemblea nella seduta del 4 marzo scorso.
Nell'ambito dell'istruttoria legislativa sul provvedimento, le Commissioni I e II hanno convenuto sull'opportunità di svolgere una serie di audizioni informali. Sono state, in particolare, svolte le audizioni del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione per i beni confiscati ad organizzazioni criminali, prefetto Alberto Di Pace; del direttore dell'Agenzia del demanio, dottor Maurizio Prato; di rappresentanti di Libera-Associazione nomi e numeri contro le mafie; della dottoressa Silvana Saguto, giudice del tribunale di Palermo, in qualità di magistrato giudicante ed esperta della materia, avendo presieduto i collegi per l'applicazione delle misure antimafia in procedimenti di rilievo e del dottor Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria.
Nel corso dell'esame in sede referente si è deciso di non apportare modifiche al testo del decreto-legge, rinviando alla fase successiva della discussione in Assemblea la definizione delle proposte emendative da approvare. I relatori, d'intesa con il Governo, si sono infatti riservati di svolgere ulteriori approfondimenti, anche alla luce della complessità dei temi affrontati dal provvedimento, così da giungere all'elaborazione di alcune proposte di modifica che tengano conto di quanto emerso nel corso del dibattito e dalle audizioni svolte, con particolare riferimento all'esigenza di una netta separazione della gestione del bene nel corso del sequestro rispetto all'amministrazione del medesimo una volta confiscato.
Ricordo, infine, che sul testo del decreto-legge sono stati acquisiti i pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva. In particolare, è stato espresso parere favorevole con un'osservazione da parte della Commissione finanze e della Commissione ambiente, nonché parere favorevole dalla Commissione lavoro. La Commissione attività produttive e la Commissione parlamentare per le questioni regionali non hanno espresso parere, mentre la Commissione bilancio esprimerà il proprio parere direttamente all'Assemblea. Il Comitato per la legislazione, infine, ha espresso un parere con osservazioni.
Tutti i rilievi espressi dalle Commissioni in sede consultiva saranno quindi approfonditi e valutati nell'ambito del Comitato dei diciotto, affinché possano essere, per quanto possibile, recepiti. Al tempo stesso, come già anticipato, in tale sede sarà effettuato un attento confronto sugli emendamenti formulati dai vari gruppi, d'intesa con il Governo, al fine di apportare i necessari correttivi al provvedimento in esame. L'auspicio è quello di poter giungere ad un testo quanto più possibile condiviso su un tema di particolare rilievo e delicatezza quale quello della gestione e della destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Santelli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il relatore per la Commissione giustizia, onorevole Contento, ha facoltà di svolgere la relazione.

MANLIO CONTENTO, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, nonostante il clima sia cambiato rispetto alla collaborazione a cui era stata improntata l'attività delle Commissioni riunite su questo provvedimento, terrò fede all'impegno che i relatori avevano preso anche con le forze di opposizione di approfondire e verificare alcuni aspetti al fine di presentare delle proposte, anche sulla base di alcuni spunti che provenivano dagli emendamenti presentati dalle stesse forze di opposizione, raggiungendo così un obiettivo che a noi relatori sembrava quello più largamente condiviso.
Mi riferisco all'obiettivo di migliorare il testo perché da più parti è stato avvertito il bisogno di un'Agenzia come questa e, soprattutto, perché intervenendo in una Pag. 11materia delicata come quella relativa all'amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata abbiamo sempre ritenuto che lo sforzo di arrivare a soluzioni condivise fosse il punto di riferimento dell'attività e dell'operato dei relatori e, quindi, anche di chi parla. Anziché, quindi, illustrare il decreto-legge - per la qual cosa rinvio alla relazione svolta nelle Commissioni - mi soffermerò sulle intenzioni di modifica dello stesso affinché l'Assemblea possa essere meglio orientata nello svolgimento dei suoi compiti. Sarebbe del tutto fuorviante non tener conto di queste intenzioni e fossilizzare la discussione su un testo che da parte di tutti si ha l'intenzione di superare e, quindi, di modificare. L'intenzione non è certo quella di stravolgere il contenuto del decreto-legge, quanto quella di meglio tararlo sulle esigenze applicative dello stesso e alla luce delle considerazioni svolte durante i lavori delle Commissioni e in seguito anche alle audizioni. Nelle intenzioni del Governo l'immediata e diretta interlocuzione tra Agenzia e autorità giudiziaria preposta ai procedimenti penali e di prevenzione è destinata a ridurre drasticamente i tempi intercorrenti tra l'iniziale sequestro e la definitiva destinazione dei beni. A tutti è ben chiara, infatti, l'esigenza di ridurre ai minimi termini possibili il periodo intercorrente tra questi due momenti.
Se questo è il nucleo essenziale del decreto-legge, le modifiche che saranno apportate adesso dovranno essere considerate come una rimodulazione dello stesso. Più in particolare, non è parso conforme con le reali esigenze processuali prevedere che la gestione dei beni dovesse essere sin dall'origine rimessa alle agenzie (è uno dei punti più volte osservato). Dalle audizioni è emersa chiaramente l'impraticabilità di una soluzione che vedesse, comunque, il magistrato estromesso dalla fase del sequestro. Mi riferisco a quella fase iniziale molto delicata che vede il magistrato ancora all'interno o della fase di approfondimento degli aspetti indiziari, o addirittura, nel caso di un procedimento penale, nella fase in cui si svolgono le indagini stesse (fase delicata sulla quale abbiamo concentrato la nostra attenzione). È stata, quindi, prospettata l'esigenza di mantenere la gestione del bene sequestrato alla magistratura fino al momento del primo accertamento di responsabilità - almeno da parte di alcuni - dato dalla sentenza di condanna di primo grado, o dal provvedimento che avesse applicato la misura di prevenzione sia pure in maniera non definitiva. Questa soluzione è stata, quindi, approfondita e potrebbe, però, meglio essere accolta quella che rimette all'autorità giudiziaria la gestione del bene sequestrato fino al momento della conclusione dell'udienza preliminare. Si era discusso, infatti, se fermarsi alla richiesta di rinvio a giudizio per quanto concerne i processi penali, mantenendo, invece, come orientamento quello della pronuncia «di primo grado» in relazione all'applicazione delle misure di prevenzione. Siccome la differenza non è poi così importante, ma il fatto di spostare l'asticella a ricomprendere la conclusione dell'udienza preliminare potrebbe rafforzare quegli elementi alla base dei provvedimenti (e quindi degli interventi dell'Agenzia), si è ritenuto più interessante posizionare la questione in relazione alla conclusione dell'udienza preliminare. L'Agenzia, quindi, nel corso dei procedimenti penali e di prevenzione non amministrerebbe e custodirebbe i beni sequestrati, ma coadiuverebbe l'autorità giudiziaria nella loro amministrazione e custodia fino alla conclusione dell'udienza preliminare e all'emanazione del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione. Quindi, in questa prima fase rimarrebbe la rilevanza del ruolo operato dal magistrato inquirente - o, comunque, dal magistrato procedente - e l'Agenzia potrebbe essere il riferimento che coadiuva questa attività allorché il magistrato ritenesse opportuno che questa attività fosse esercitata tramite l'amministratore che ha nominato, ma certamente con questa collaborazione da parte dell'Agenzia. Successivamente a questi termini che ho richiamato, l'amministrazione spetterebbe all'Agenzia così come la destinazione dei beni confiscati. Pag. 12
Ciò significherebbe, quindi, una riscrittura dei rapporti tra autorità giudiziaria ed Agenzia rispetto a quanto attualmente previsto dal famoso articolo 5 del decreto-legge, che si occupa di questi aspetti. A tal fine, potrebbero ben essere ripresi degli emendamenti presentati nelle Commissioni, come gli emendamenti Andrea Orlando 5.1 e Garavini 5.5 e 5.6, pur con una diversa formulazione. Si tratta, per i colleghi che ascoltano, degli emendamenti presentati dall'opposizione, in particolare dal Partito Democratico, che hanno ripreso i temi che sono emersi dalle audizioni, cercando di dare loro una soluzione. L'auspicio dei relatori, che abbiamo già rivolto al Governo, è quello di lavorare su quegli emendamenti per recepire quelle indicazioni e riportarle quindi a quanto testé affermato. Anche per quanto attiene alla fase della destinazione, si potrebbe tener conto di emendamenti presentati nelle Commissioni, come gli ulteriori Ria 5.22 e Ferranti 5.16, anch'essi presentati dall'opposizione. Si prevede che i beni siano trasferiti per finalità istituzionali e sociali in via prioritaria al patrimonio del comune ove l'immobile sia sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione. Gli enti territoriali provvedono a formare un apposito elenco dei beni confiscati ad essi trasferiti, che viene periodicamente aggiornato. L'elenco, reso pubblico con adeguate forme in modo permanente, deve contenere i dati concernenti la consistenza, la destinazione e l'utilizzazione dei beni, nonché, in caso di assegnazioni a terzi, i dati identificativi del concessionario e gli estremi, l'oggetto e la durata dell'atto di concessione. Si tratta di riferimenti contenuti in particolare nell'emendamento Ria 5.22. Gli enti territoriali, anche corsorziandosi o attraverso associazioni, potrebbero amministrare direttamente il bene o, sulla base di apposita convenzione, assegnarlo in concessione, a titolo gratuito e nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità e parità di trattamento, a comunità, anche giovanili.
Quest'ultima considerazione riprende l'emendamento Lorenzin 5.18, che è stato presentato e che è conseguente ad una richiesta che anche il Ministero competente, che si occupa delle politiche giovanili, ha avanzato proprio con riferimento a quelle parti del territorio nazionale che sono più soggette a questo tipo di operazioni. Quindi, gli enti territoriali possono amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e successive modificazioni, a cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, e successive modificazioni, a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti o sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché alle associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e successive modificazioni.
La convenzione disciplina la durata, l'uso del bene, le modalità di controllo della sua utilizzazione, le cause di risoluzione del rapporto e le modalità dell'eventuale rinnovo. Il riferimento in questo caso è all'emendamento Ferranti 5.16. I beni non assegnati potranno essere utilizzati dagli enti territoriali anche per finalità di lucro, ma in tal caso i proventi dovranno essere reimpiegati esclusivamente per finalità sociali. Preciso che anche su questo aspetto intendiamo intervenire, perché in sede di discussione nelle Commissioni riunite è stata ribadita la preoccupazione per un'eccessiva facilità con cui i beni potessero essere destinati attraverso la vendita nuovamente al mercato, soprattutto in quei contesti dove, purtroppo, per l'inquinamento che caratterizza certe operazioni, gli stessi potrebbero finire per essere utilizzati nuovamente dalla criminalità o per essere acquistati con denaro proveniente da illeciti di carattere penale. Alla luce anche di queste osservazioni, come vedete, Pag. 13vi è una riscrittura di questo aspetto, che viene declinato come questione che può essere utilizzata in via eccezionale e, come vedremo più avanti, a determinate condizioni. Dicevo, quindi, che i proventi in questo caso dovranno, comunque, sempre essere reimpiegati esclusivamente per finalità sociali. Se entro un anno, però, l'ente territoriale non avrà provveduto alla destinazione del bene, l'Agenzia disporrà la revoca del trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostitutivi.
Si prevederebbe, poi, che, qualora alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto gli enti territoriali in cui ricadono i beni confiscati abbiano già presentato una manifestazione di interesse al prefetto per le finalità di cui all'articolo 2-undecies, comma 2, lettera b) della legge 31 maggio 1965, n. 575, l'Agenzia proceda alla definizione e al compimento del trasferimento di tali beni immobili a favore degli stessi enti richiedenti.
Qualora gli enti territoriali manifestino interesse nell'assegnazione dei soli beni immobili dell'azienda e ne facciano richiesta, l'Agenzia potrebbe procedere, valutati i profili di impatto occupazionale, alla liquidazione della stessa, prevedendo l'estromissione dei beni immobili a favore degli stessi enti richiedenti. Questa disposizione transitoria è stata, come ricorderanno anche i colleghi, paventata per cercare di anticipare il meccanismo che entrerebbe a regime diversamente, soprattutto per i beni che sono oggetto dei provvedimenti che arriveranno di qui in avanti.
Si tratta di una rivisitazione che coinvolge anche i beni immobili relativi alle aziende, perché, purtroppo, dal momento che non vi è mai stata una definizione specifica sul sequestro che colpisce le aziende, cosa che invece verrà introdotta con le modifiche che auspichiamo, vi sono dei contesti abbastanza particolari di aziende che sono, sostanzialmente, in fase di liquidazione, i cui beni potrebbero comunque essere utilizzati dagli enti locali, anche anticipando, a determinate condizioni, il procedimento di liquidazione, e quindi eventualmente con l'affidamento agli enti secondo le norme generali.
In merito alla questione della vendita dei beni oggetto dell'ultima legge finanziaria - è il punto a cui stavo accennando poco fa - si potrebbe prendere spunto dall'emendamento Ferranti 5.19 e trovare una soluzione che sia in linea con la ratio della legge finanziaria, ma che non determini il rischio, da tutti temuto, che il bene rientri alla criminalità organizzata.
Si potrebbe stabilire, quindi, che i beni per cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse siano destinati alla vendita con provvedimento dell'Agenzia, osservate, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura civile. L'avviso di vendita verrebbe pubblicato sul sito dell'Agenzia e dell'avvenuta pubblicazione verrebbe data, altresì, notizia sui siti dell'Agenzia del demanio e della prefettura della provincia interessata.
La vendita sarebbe effettuata per un corrispettivo non inferiore a quello determinato dalla stima formulata ai sensi di legge (articolo 2-decies, comma 1). Qualora entro 90 giorni dalla data di pubblicazione dell'avviso di vendita non pervenissero all'Agenzia proposte di acquisto per il corrispettivo sopra indicato, il prezzo minimo della vendita non dovrebbe comunque essere determinato in misura inferiore all'80 per cento del valore della suddetta stima.
Anche qui è stata posta una questione: se il bene viene posto all'asta, la preoccupazione era che il contesto di criminalità potesse far sì che chi è interessato non presentasse le relative offerte; quindi, il meccanismo che intendiamo proporre è proprio quello di stabilire un limite alle riduzioni di base d'asta, in modo tale da evitare che questo contesto possa condizionare la vendita ad un prezzo eccessivamente basso, che chiaramente porterebbe poi alle conseguenze cui ho fatto riferimento.
La vendita sarebbe effettuata agli enti pubblici aventi tra le finalità istituzionali anche quella dell'investimento nel settore Pag. 14immobiliare, alle associazioni di categoria che assicurano maggiori garanzie di utilità per il perseguimento dell'interesse pubblico e alle fondazioni bancarie. I beni immobili acquistati non potranno essere alienati, anche parzialmente, per cinque anni dalla data di trascrizione del contratto di vendita e potrebbero essere assoggettati alla stessa disciplina prevista per questi ultimi dall'articolo 12 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito dalla legge 18 maggio 1978, n. 191. È il decreto-legge che prevede, nel caso in cui gli immobili siano trasferiti o comunque occupati per un termine superiore ad un mese, di effettuare le dovute comunicazioni degli estremi del contratto all'autorità di pubblica sicurezza, che potrà, quindi, esercitare anche ulteriori controlli. L'Agenzia comunque richiederà al prefetto della provincia interessata un parere obbligatorio, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, e ogni informazione utile affinché i beni non siano acquistati, anche per interposta persona, dai soggetti ai quali furono confiscati, da soggetti altamente riconducibili alla criminalità organizzata ovvero utilizzando proventi di natura illecita.
Ho ancora, e concludo, signor Presidente, due risposte da fornire, che riguardano alcune questioni che erano state poste dai colleghi dell'UdC.
La prima è relativa al trasferimento di quest'Agenzia, per quanto riguarda il controllo, in capo alla Presidenza del Consiglio. Questa discussione è stata affrontata dai Ministeri competenti con la Presidenza del Consiglio e quest'ultima ha ritenuto che, trattandosi di questioni che attengono alla criminalità organizzata ed essendosi in fase di superamento del commissario che aveva queste funzioni di raccordo che dovrebbero essere esercitate direttamente dall'Agenzia, fosse più corretto mantenere in capo al Ministero dell'interno, rientrando quindi in una sorta di normalità, la competenza relativa alla sorveglianza. Pertanto, sotto questo profilo, credo che la risposta che do ai colleghi dell'UdC sia estremamente condivisibile proprio alla luce del fatto che il decreto-legge assorbe attraverso l'Agenzia anche i compiti del commissario istituito presso la Presidenza del Consiglio.
Per quanto concerne la seconda questione relativa agli aspetti di contenuto economico e patrimoniale e, quindi, agli interventi dei fondi, posso comunicare che le linee di intervento sono già operative attraverso i programmi operativi nazionali che attengono direttamente ai fondi comunitari. È ovvio che questo decreto-legge non può intervenire e interferire con quella normativa perché altrimenti riposizionerebbe l'intera questione, mentre è di interesse per chi vuole utilizzarli poter già accedere a breve attraverso i bandi. La mia risposta serve anche a garantire ai colleghi dell'UdC che, anche per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali, vi è la possibilità di intervento da parte degli assegnatari attraverso questi fondi che sono stati «utilizzati» attraverso l'Unione europea e messi a disposizione di questi interventi.
Alla luce di tali considerazioni, concludo auspicando che i colleghi dell'opposizione, che legittimamente stanno facendo una loro battaglia, possano riflettere sul fatto che questo provvedimento è il frutto di un lavoro che i relatori hanno svolto sulla base di indicazioni che vengono dalle forze di maggioranza e soprattutto dalle forze di opposizione. Non posso certamente non ritenere rilevante l'ostruzionismo che l'opposizione sta facendo per altre ragioni. Credo tuttavia superfluo un ulteriore approfondimento su quanto possa essere importante accelerare su un provvedimento che, credo di poter dire ormai alla luce di queste modifiche - questo è l'auspicio dei relatori -, vede una larga convergenza. Ritengo che lo stesso non possa essere sospeso o ritardato per ragioni che, per quanto legittime, non hanno attinenza diretta con un tema rilevante come quello relativo alla gestione dei beni sottratti alla criminalità organizzata.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

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GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione quanto ci hanno detto i due relatori, sia l'onorevole Santelli sia l'onorevole Contento. Senza alcun infingimento, debbo dire ai relatori che hanno fatto e stanno facendo un lavoro apprezzabile, con uno sforzo che va indicato come un impegno serio e questo sforzo per un impegno serio significa anche migliorare i provvedimenti. L'ha detto poc'anzi anche il relatore per la II Commissione che ha indicato alcuni passaggi, su cui in parte ritornerò, che sono migliorativi e ovviamente lui ha avuto questo intendimento quando ha esposto alcune modifiche del testo così come è stato licenziato dal Consiglio dei Ministri. Signor Presidente, certo se qualche cittadino o molti cittadini dovessero chiedere cosa io pensi del provvedimento, direi che forse il rischio è che quest'articolazione e soprattutto questo congegno contenuto nel provvedimento stesso faccia perdere un'occasione importante nella lotta alla criminalità organizzata.
Allora l'interrogativo che ci poniamo è questo: questa Agenzia funzionerà, così come è stata concepita? Io ho qualche dubbio, e qualche perplessità. Certamente mi auguro che l'Agenzia possa funzionare. Non sono per la cultura del «tanto peggio, tanto meglio»: la criminalità organizzata è un tarlo, un cancro che sta sempre più affogando e soffocando interi territori all'interno del nostro Paese con delle traiettorie ma, soprattutto, con delle appendici, con dei collegamenti non soltanto nelle altre regioni del nostro Paese, ma anche in altri Paesi europei ed extraeuropei.
È stato sempre un intendimento emerso in tutti questi anni, e soprattutto nell'altra legislatura, all'interno della Commissione parlamentare antimafia, quello di colpire la criminalità organizzata nell'arricchimento. La cosa più avvertita e «sofferta» dalla criminalità organizzata è quando si rompe questo circuito, quando si colpisce questo illecito arricchimento, perché quello è potere, è dominio; se si toglie il potere del dominio, del denaro, delle risorse nell'economia, non c'è dubbio che si crea una situazione di «compressione» e, quindi, si riescono a raggiungere alcuni obiettivi di contrasto efficace, di controspinta adeguata alla criminalità organizzata. Ma noi abbiamo rilevato in tutti questi anni che il sequestro e la confisca, così come erano congegnati - quindi con la presenza dell'Agenzia del demanio - non funzionavano.
Abbiamo sempre dato due indicatori e indicato due situazioni estremamente gravi. In primo luogo, per arrivare dal sequestro alla confisca e quindi all'attribuzione vi è una procedura lunga, di 12-13 anni, lunghissima, molto lunga. E poi, l'altro indicatore, l'altro dato che noi abbiamo portato all'attenzione del Paese e del Parlamento - e mi riferisco ovviamente all'attività della Commissione parlamentare antimafia, ma anche delle Commissioni di merito che hanno affrontato questi temi e questi argomenti - è che la percentuale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata è molto limitata, molto contenuta e molto ristretta.
Certo, vi sono state in questo periodo di tempo operazioni che hanno scardinato, che hanno dato vita a una lotta più appropriata all'arricchimento della criminalità organizzata, ma per una percentuale molto bassa, soprattutto se confrontiamo il volume degli affari della criminalità organizzata a livello nazionale ed internazionale, con gli investimenti che si fanno, con la partecipazione anche a società, alcune società quotate in borsa, che noi non conosciamo. Tanto è vero che l'altro giorno, quando è venuto in Commissione affari costituzionali il presidente dell'Autorità garante della concorrenza, dottor Catricalà, il bravo presidente di questa Autorità, qualcuno di noi ha chiesto: ma sul mercato, di queste vicende c'è Pag. 16conoscenza e contezza? E quali sono i poteri dell'Autorità per contrastare efficacemente la criminalità organizzata?
Anche per quanto riguarda il giro degli affari non vi è dubbio che gli affari e l'economia sono alterati dall'immissione di denaro sporco, soprattutto nelle grandi operazioni finanziarie ed economiche all'interno del nostro Paese. Aggiungiamo a ciò anche la corruzione, che non è una cosa diversa, perché tra la corruzione dei colletti bianchi e la criminalità organizzata non esiste uno spartiacque forte, vi è piuttosto un collegamento, come sempre esiste un collegamento tra la microcriminalità e la grande criminalità o la criminalità organizzata.
Allora non vi è dubbio che l'Agenzia dovrebbe entrare in funzione al più presto. Esiste una relazione molto ampia, onorevole Contento, della Commissione antimafia e mi dispiace che alcune indicazioni non siano state seguite; certamente ci fa piacere che l'Agenzia abbia sede a Reggio Calabria, ma tutto questo congegno rischia di non funzionare, anche se ho compreso il suo sforzo (sull'articolo 5, ad esempio, abbiamo detto anche noi alcune cose e ricordato talune vicende, anche se lei ha citato soltanto la nostra posizione sui fondi e sulla Presidenza del Consiglio dei ministri, su cui tornerò fra qualche momento).
Signor Presidente, senza dubbio non credo che tutto ciò possa portarci - perlomeno a mio avviso - ad un'accelerazione delle procedure, anche perché manca una misura fondamentale. Quando infatti si parla di collegamento tra l'Agenzia e i vari soggetti, in particolare gli enti locali, teniamo presente che molti enti locali non utilizzeranno mai i beni che sono stati sequestrati alla criminalità organizzata: con quali fondi un comune può adeguare per fini sociali, per scopi o obiettivi determinati i beni che gli vengono consegnati dall'Agenzia stessa?
Il problema è questo, ma viene lasciato come in ombra: ciò che qui prevale è tutto un discorso burocratico, mentre sull'accelerazione delle procedure non vedo innovazioni. Colleghi, per cortesia vi chiedo un minimo di attenzione e silenzio. Chiedo scusa se vi ho disturbato, ma io sono cortese e quando ci sono dei colleghi che devono dire cose importanti chi si sforza di parlare anche a braccio conta davvero poco o niente, d'altronde è la situazione che vediamo continuamente.
Intendo richiamare l'attenzione dell'onorevole Contento: il problema, onorevole Contento, non è quello dell'esclusione del magistrato rispetto ad alcune operazioni, come lei ha rilevato anche nella relazione che ha presentato alla Commissione affari costituzionali e che ha ripetuto oggi in questa sede: vi è infatti un tentativo di recupero del ruolo della magistratura per quanto riguarda le fasi del procedimento e del sequestro, così come ha detto il procuratore Pignatone, ma il problema che emerge è che non capisco se esistono e quali siano le accelerazioni, le procedure, le facilitazioni.
Come dicevo poc'anzi - lo ripeto, così forse c'è maggiore attenzione - non ci sono i fondi per una destinazione forte dei beni assegnati ai comuni ed alle autonomie locali. Quali sono i fondi? Esiste il fondo per le attività economiche, commerciali e così via ed è poi previsto un amministratore, ma ritengo che questo è il passaggio su cui dovremmo riflettere se vogliamo approvare uno strumento che non sia uno spot di facciata o che rischi di lasciare le cose così come sono, rinviando poi il provvedimento stesso ad un'autoregolamentazione attraverso le deleghe.
Per l'Agenzia è previsto un organico di trenta unità tra dirigenti ed altro personale di vario titolo e varie qualifiche, ma tutto ciò rischia di non funzionare. Ho apprezzato quando si è parlato della vendita e lo sforzo che a tale riguardo è stato compiuto, ma abbiamo detto subito che vendere i beni all'incanto o all'asta rappresenta, come è stato rilevato, un fatto pericoloso.
Il modo con cui si cerca una soluzione di mediazione è uno sforzo che apprezzo, ma non è esaustivo. Infatti, abbiamo a che fare con una criminalità molto forte sul piano delle grandi intuizioni e della grande creatività, perché è presente con Pag. 17forza sul mercato e perché ha addentellati e coperture all'interno delle istituzioni del nostro Paese. Se non riusciamo a cogliere questo, non vi è dubbio, che tutto diventa difficile e problematico.
Con riferimento alla nostra proposta emendativa, relativa alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ho svolto un ragionamento: l'Agenzia in oggetto deve avere anche la forza di un'authority? Sono contrario all'Autorità, per principio: tuttavia, abbiamo creato authority per le emergenze (ad esempio per l'emergenza dei rifiuti) dotate di grandi poteri. Al contrario, l'Agenzia in discussione diventa, sempre di più, un segmento dipendente dal Ministero dell'interno. Essa dovrebbe, invece, articolarsi ed interfacciarsi con altri strumenti e con altri ministeri (come quello dell'economia e delle finanze o quello dello sviluppo economico); dovrebbe avere un'autorevolezza forte, perché la sua attività concerne vicende legate alla criminalità, che provocano effetti devastanti sull'economia e sull'identità del nostro Paese.
Per questo motivo, avevamo proposto che fosse riferita alla Presidenza del Consiglio dei ministri: non perché abbiamo più rispetto e più fiducia nella Presidenza del Consiglio piuttosto che nel Ministero dell'interno (che era nella direzione dell'Agenzia). Abbiamo nominato un prefetto - il dottor Di Pace è una persona bravissima professionalmente e molto competente -, e la rappresentanza del Ministero della giustizia, di magistrati, e così via. Tuttavia, ritengo che tutto ciò debba portarci a svolgere un'ulteriore riflessione, se vi saranno il tempo e gli spazi per un confronto molto più serio e molto più sereno.
Non è possibile parlare di Presidenza del Consiglio? Ebbene, non ho capito le spiegazioni date dal relatore. L'unica novità - che era stata anticipata dalla mia collega e amica, Jole Santelli - è che si è discusso sulla possibilità e sull'opportunità di attribuire l'attività alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Poteva anche essere nominato un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, visto e considerato che sono stati nominati sottosegretari, certamente dotati di compiti importanti e fondamentali, come quelli per l'attuazione del programma di Governo o per i rapporti con il Parlamento. Pertanto, poteva anche essere previsto che tali sottosegretari - che, comunque, si riferiscono alla Presidenza del Consiglio dei ministri - svolgessero un coordinamento molto ampio. Infatti, molte volte, le vicende relative a coloro che rappresentano i vari Ministeri, a causa di gelosie e concorrenza, bloccano alcuni organismi, impedendo di funzionare. Allo stesso modo, rischia di non funzionare l'Agenzia in oggetto.
Per questo motivo, all'interno dei citati organismi, abbiamo chiesto la presenza di magistrati competenti, non di magistrati qualsiasi: per quanto riguarda la DNA, è stato proposto un magistrato attrezzato. Tuttavia, su un provvedimento di questo genere, non vi può essere solo una rappresentanza del Ministero della giustizia, ma si deve avere anche contezza e capire ciò di cui si parla e come vogliamo impostare il nostro percorso.
Non c'è dubbio, signor Presidente, che oggi la lotta alla criminalità organizzata si fa anche con questo strumento. Non lo sappiamo, molte volte vi sono cifre che balzano agli occhi.
Vi è, poi, anche un discorso che è venuto fuori in questi giorni. Come sapete, vi sono state minacce ad alti magistrati: al procuratore della DDA di Reggio Calabria, De Bernardo, così come al procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Spagnuolo, i quali seguono le vicende della bomba che ha danneggiato l'entrata della procura generale presso la Corte d'appello di Reggio Calabria, nonché la vicenda della macchina piena di esplosivo e di armi, individuata proprio nel giorno in cui si trovava a Reggio Calabria il Presidente della Repubblica. Vi sono state, poi, le minacce rivolte ad una nostra collega, l'onorevole Napoli, alla quale noi facciamo pervenire la nostra espressione di solidarietà.
Ma è sufficiente un'espressione di solidarietà nei messaggi che appaiono sulla stampa o in quello che noi facciamo? La Pag. 18nostra solidarietà ovviamente va anche ai magistrati, a De Bernardo, al procuratore della Repubblica Spagnuolo. Inoltre, vi è stata anche la vicenda di Lombardo.
Tante cose dovrebbero essere chiarite, di cui noi non abbiamo contezza. L'esplosione della bomba presso la Corte d'appello di Reggio Calabria mi sembra sia avvenuta il 3 gennaio del 2010: fino ad ora, signor Presidente, non ne abbiamo contezza, come, ovviamente, non abbiamo contezza dei mandanti degli atti criminosi nel nostro Paese. Molte volte prendiamo i latitanti e molte volte essi ci vengono consegnati dalla stessa criminalità organizzata. Quando un latitante che fa il capo perde la sua maggioranza, viene consegnato. Dobbiamo essere molto chiari e veritieri tra di noi, altrimenti ci prendiamo in giro: noi non abbiamo mai contezza di chi siano i mandanti o di quali siano le connessioni.
Esprimiamo la nostra solidarietà - come dobbiamo fare - nei confronti di molti sindaci che sono minacciati, di molti amministratori che svolgono il loro dovere e sono minacciati, di moltissimi che fanno politica e sono minacciati. Infatti, non tutto è da criminalizzare: farlo è un'ossessione. Non c'è dubbio: se tutto è criminalizzato, c'è sempre uno spazio che viene riservato ad interventi di attenzione, perché si è tutti in questo spazio, e uno spazio criminoso continua a vivere, a espandersi e ad affermarsi. Questo è il dato su cui, signor Presidente, desidero richiamare l'attenzione dei colleghi.
Pertanto, io non avrei fatto un decreto-legge, non lo avrei fatto. Lo so che vi erano state le vicende di Reggio Calabria, non c'è dubbio. Era stato promesso anche personale amministrativo presso le sedi giudiziarie di Reggio Calabria ai magistrati, e ancora non si è visto nulla. Così come non so se si sia visto qualcosa presso la procura della Repubblica; mi sembra che abbiano mandato due persone, di cui, mi dicono, una va a sostituire un'altra già trasferita (queste sono veramente le incongruenze). Allo stesso modo, vi è la situazione della procura di Vibo Valentia, che rischia di rimanere quasi con il solo procuratore della Repubblica, il bravo dottor Spagnuolo, il quale, appunto, è stato minacciato.
Signor Presidente, la mia riflessione è la seguente (e non so se i relatori siano disponibili a condividerla): noi non possiamo dire di essere contrari, vogliamo valutare; le nostre proposte emendative sono state tutte respinte e non vi è stata alcuna attenzione; se fossi stato relatore, avrei portato avanti la battaglia per la Presidenza del Consiglio dei ministri, perché non c'è dubbio che avrebbe dato più forza e, soprattutto, si sarebbe anche dovuto rivedere il meccanismo su cui poggia questo provvedimento.
Fa paura questo provvedimento? Non lo so, perché, accanto all'Agenzia, quali sono gli strumenti per rintracciare altri tipi di arricchimento e, soprattutto, gli elementi importanti per scardinare l'arricchimento illecito? A questo fine non basta soltanto l'Agenzia, che sembra una sostituzione, una soluzione tecnico-burocratica-gestionale e amministrativa: sostituiamo Prato, che è il direttore generale dell'Agenzia del demanio, con Di Pace. Questo è il limite; per carità, lo si approverà, ma questo è il limite.
Mi dispiace, signor Presidente, che su questo provvedimento si inserisca anche una posizione che è emersa all'inizio dei nostri lavori su un altro provvedimento, ma le due vicende non sono dissimili. L'Agenzia, che dovrebbe essere ed è uno strumento efficace per la lotta alla criminalità organizzata, sta ad indicare nello sfondo un dato culturale che è un'invocazione delle regole e delle norme, senza gradazioni e senza aritmie, ma attraverso l'uniformità, l'autorità e la dignità delle regole - anche di quelle di secondo grado e dei regolamenti - e delle leggi.
Non c'è dubbio che anche il provvedimento sulle liste elettorali di cui si è parlato all'inizio crea perplessità e trasmette un sentimento di frustrazione e di sfiducia nei confronti delle istituzioni. Le norme come quelle relative alle agenzie e alla lotta alla criminalità non avrebbero significato e forza se non ci fosse un arretrato sul piano culturale, se non ci Pag. 19fosse un retroterra sul piano della sensibilità e del sentimento e se non ci fosse uno slancio di impegno e soprattutto di coraggio sul piano dell'azione contro la criminalità organizzata.
L'Agenzia si deve formare su tutti i temi, perché non è soltanto un momento di ricezione, ma anche un momento di azione attiva e, quindi, di collegamento con chi opera in questo settore: i testimoni, i collaboratori di giustizia e coloro che sono vittime dell'estorsione e dell'usura.
L'Agenzia non può gestire e basta, anche perché, stiamo attenti - mi rivolgo ad alcuni colleghi - ci sono strutture e società che devono essere certamente considerate e che sono benemerite, ma ci sono anche strutture e società che non possono racchiudere tutto e non possono avere il monopolio nella gestione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata.
Ecco perché dobbiamo incoraggiare l'associazionismo e il volontariato, ma poi chi segue il modo in cui il tutto si sviluppa? Non l'Agenzia, ma chi lo segue? Quando mi si dice che, se dopo un anno un bene non è stato utilizzato, esso verrà fatto rientrare e si attribuirà ad un commissario la responsabilità di gestirlo, mi chiedo se davvero abbiamo preso delle contromisure. Questa era l'occasione per stabilire cosa dovesse essere l'Agenzia, vale a dire un elemento di propulsione e non di pura gestione, lo ripeto per la quinta volta. Essa rappresenta una pura gestione del presente, tanto è vero che non so cosa riusciranno a fare trenta persone: il direttore può essere bravissimo, ma non so cosa potrà riuscire a fare con trenta persone.
Come si vede, l'orizzonte su cui si muove questa Agenzia è di arretramento e soprattutto di pura organizzazione, certamente non di iniziative che dovrebbero tenere in piedi un'attività di sollecitazione e di indicazione sul piano economico e quant'altro. Avrebbe dovuto essere rivista e corretta forse come una specie di GEPI, anche se poi la GEPI non ha avuto grande successo nel nostro Paese, ma così com'è non funziona, nella maniera più assoluta.
Non funzioneranno le attività. Ovviamente vi sono delle aziende che saranno sequestrate, ma molti di questi beni - anche per interposta persona e, soprattutto, con altra caratterizzazione - rischiano di ritornare tranquillamente alla criminalità organizzata. Oppure vi sarà una dimenticanza e una desuetudine anche ad interessarsi della destinazione di questi beni.
Per queste ragioni non mi sento, in questo momento, di preannunziare il nostro voto contrario. Vedremo poi il seguito del dibattito.
Abbiamo valutato anche gli altri elementi di novità che i due relatori hanno introdotto e che ho apprezzato poco prima. Lo faccio anche adesso, perché i relatori sono entrambi presenti e, dunque, ricevono anche questa mia valutazione indiretta.
Loro sono abituati ai complimenti, ma io non sono molto aduso a complimentarmi e, perciò, vi è qualcosa che non funziona anche sul piano della sintonizzazione. Non sono molto aduso a complimentarmi e, se lo faccio, lo faccio con molta sincerità, perché sono davanti ad un documento che nasceva da uno spot. Mi dispiace dirlo. A Reggio Calabria vi è stato uno spot durante queste vicende, un vero e proprio spot.
Poi vi è sempre una cultura in cui ci si consegna al tempo, signor Presidente. Il tempo fa giustizia e fa dimenticare. Ci saranno certamente le elezioni regionali, che saranno una grande occasione per confrontarsi e per discutere. Comunque, domani è un altro giorno.
Ritengo che oggi vi sia un motivo per riflettere, capire e comprendere quello che dobbiamo e vogliamo fare. Vi è una grande rassegnazione, un grande sentimento e una diffusa sensazione di ingiustizia che predomina su ogni cosa. Ecco perché il decreto-legge salva liste non ci aiuta, anche in questa direzione. Vi è un sentimento e una sensazione di ingiustizia. Pertanto, se i relatori lo vogliono per quanto concerne il mio gruppo parlamentare - e qui è presente anche l'onorevole Pag. 20Ria che ci sta seguendo in diretta, diciamo così - noi siamo d'accordo, anche per capire perché l'Agenzia o è a metà strada ...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Sto per terminare e la ringrazio per la sua sollecitazione, Signor Presidente. Mi riferisco a un'Agenzia a metà strada, cioè a un'Agenzia intesa come un organismo più rafforzato, vale a dire un'Agenzia rafforzata, che sia a metà strada rispetto a un organismo rafforzato in grado di avere, quindi, un'autorevolezza che non sia quella di un'Autorità, una maggiore autorevolezza e una maggiore possibilità di espandersi e di muoversi. Non il sequestro, con il controllo del magistrato - questa è l'innovazione - con la successiva confisca, l'impiego e nient'altro. Ritengo che tale meccanismo così non possa funzionare. Lo ripeto, non funziona e rischia di non funzionare, possiamo dirlo. Quindi, ognuno si assuma le proprie responsabilità.
In coscienza, diciamo quello che pensiamo ed esterniamo le nostre preoccupazioni. Tuttavia, poiché non siamo né maggioranza né Governo, al Governo spetta questa assunzione di responsabilità e, ovviamente, alla maggioranza parlamentare spetta essere sempre più maggioranza parlamentare, con una sua capacità e autonomia di elaborazione, di indicazione e soprattutto di contrasto - usando pure e mutando questa parola - rispetto alle visioni molte volte fideistiche di un Governo che si sta sempre di più scollegando con il territorio e con la gente di questo nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, sono un deputato che in questi quasi due anni di attività parlamentare si è dato una mission, per seguire, soprattutto, due temi che in questo momento ritengo fondamentali: il lavoro e la legalità, dove il lavoro aiuta la legalità, ma dove vale anche l'inverso, ossia la legalità aiuta il lavoro.
Una giornata come questa, nella quale all'ordine del giorno in Parlamento vi è un tema che ha grande pertinenza con i temi della legalità, perché si parla della istituzione di un'Agenzia nazionale per l'amministrazione e per la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (alle mafie), dovrebbe essere per noi un grande giorno.
Infatti, significa che oggi si vuole continuare con una politica antimafia che cerca di affinare, soprattutto dal punto di vista legislativo, temi sui quali si gioca il futuro del nostro Paese, atteso che su questa materia già dal 1965 (con la legge n. 575) venivano previste le prime disposizioni contro le organizzazioni criminali; successivamente vi è stata la legge n. 646 del 1982 (la cosiddetta legge Rognoni-La Torre) e così via fino alla legge n. 109 del 1996 che serviva soprattutto per dare una più razionale amministrazione dei beni confiscati ed una più puntuale destinazione degli stessi a fini istituzionali e sociali per arrivare poi, al decreto-legge n. 92 del 2008 ed infine al cosiddetto «pacchetto sicurezza» (decreto-legge n. 94 del 2009).
Vi è stato insomma un crescendo di attività e di interesse nel contrasto alla mafia. Dunque, dovrei essere molto felice per il tema che oggi è all'ordine del giorno perché significa fare un ulteriore passo avanti per contrastare la mafia e cacciarla dallo Stato e dalle istituzioni. Invece, signor Presidente, così non è.
Signor Presidente, così non è perché il provvedimento oggi in discussione cade in un contesto nel quale ci sono soprattutto due fattori che lo debilitano e lo svuotano. Un primo fattore è che l'impianto sta crollando. La Repubblica democratica, con una Costituzione che regola soprattutto i rapporti tra gli uomini e che fissa le convenzioni che devono permettere la convivenza civile e democratica tra gli uomini e le donne di questo Paese, è crollata o, meglio, è stata cancellata e sfregiata. Pag. 21
Con il cosiddetto decreto salva liste si ha il colpo finale, che fa venir fuori in modo naturale il modello berlusconiano e il danno che sta facendo alla Costituzione, al diritto, alla certezza dei diritti dei cittadini. Siamo in un Paese dove ormai non c'è più certezza del diritto, non c'è più certezza delle regole, non c'è più certezza della pena, per cui chi sbaglia va incontro ad una sanzione.
Questo forse vale per i cittadini normali, per un giovane che partecipa ad un concorso, che la mattina, se non si presenta alle ore 8 per il concorso e arriva alle 10, viene escluso, perché non ha rispettato le regole, oppure per l'anziano che va alla ASL per una visita e deve rispettare i turni, la graduatoria e non può scavalcare gli altri.
Invece, con il Governo Berlusconi e la maggioranza di centrodestra, abbiamo un partito che fa il prepotente perché ritiene di poter stare al di sopra delle regole e della legge. È quanto è successo con il «decreto salva liste», in cui si è sfasciato lo Stato di diritto, lo Stato nel quale la certezza del diritto dava sicurezza ai cittadini.
Oggi davvero la democrazia in questo Paese è in pericolo. Questo è un primo aspetto, poi ce ne sarebbe un altro, perché da un lato ci sono il diritto, le convenzioni e le leggi che debbono stare a monte di una convivenza civile e poi dall'altra parte ci sono gli uomini, che oggi nelle istituzioni garantiscono la correttezza amministrativa e l'evolversi democratico.
Oggi specialmente in un momento nel quale non c'è più differenza ideologica, conta sempre di meno la differenza tra destra e sinistra, non ci sono più i due blocchi dell'Unione Sovietica, da una parte, e degli Stati Uniti d'America, dall'altra, non ci sono più queste contrapposizioni ideologiche, la differenza nelle istituzioni e nella politica la fanno gli uomini, la faccia pulita degli uomini e delle donne nelle istituzioni.
Sotto questo altro punto di vista - il secondo fondamentale - oggi registriamo il fallimento del centrodestra e del modello berlusconiano. Noi parliamo sempre con cognizione di causa, con fatti e atti, perché una politica, un partito, un Governo, una maggioranza si giudicano per gli atti e i fatti che compiono, non sulla base delle chiacchiere, della propaganda, degli spot. Il momento cruciale in cui si debbono verificare le questioni è la presentazione delle liste.
Oggi abbiamo visto che cosa succede con le liste per le elezioni regionali e gli uomini che sono stati presentati alle prossime elezioni regionali. Due giovedì fa, nel carcere di Regina Coeli, ebbi ad ascoltare tale Gennaro Mokbel, l'uomo chiave dell'inchiesta Fastweb-'ndrangheta. Già allora, ove mai ve ne fosse ancora bisogno, ebbi un'idea di come è ridotta male la politica, perché mi parlava dei rapporti che lui aveva con i politici, di come lui schifasse i politici. Addirittura mi diceva che li prendeva a calci e a schiaffi. Lo faceva con Alemanno, il sindaco di Roma, e con tanti altri personaggi. Succedeva tutto questo e lui mi ha detto: «Schifo la politica, ma io li tratto così e anche peggio. Ci sono alcuni che tratto anche peggio».
Debbo affermare con grande onestà, perché a me piace sempre dire la verità, che mi disse che lui non aveva mai visto il Presidente Fini, non sapeva neanche chi fosse e non ho difficoltà a dire la verità, perché bisogna sempre dire la verità. In questo contesto, nel quale lui attaccava soprattutto gli uomini del centrodestra e parlava di questi suoi rapporti con il centrodestra, lui mi ha detto anche questo, e questo vi riferisco.
Parlando di uomini e di liste, gli esempi più evidenti ormai di questo inquinamento della politica che il centrodestra, il Popolo della Libertà e il modello berlusconiano hanno determinato in questo Paese li abbiamo soprattutto nelle liste regionali che hanno presentato per la prossima tornata elettorale.
In Campania presentano per le regionali un signore, un consigliere regionale uscente, che si chiama Roberto Conte. Lo presenta un ex euro-parlamentare, il quale dice: «L'ho voluto candidare, perché Conte rappresenta il simbolo di una battaglia giusta di civiltà e di innocenza». Signori, Pag. 22questo Roberto Conte, consigliere regionale, è stato arrestato l'anno scorso perché si recava a casa del boss più potente di Napoli, del clan Misso, che è il clan della Sanità di Napoli, è il più potente di Napoli!
Ebbene, lui andava a prendere gli ordini che Misso gli indicava: gli amici che doveva aiutare in regione; la ditta di pulizia che doveva fare i lavori alla regione; l'istituto di vigilanza che doveva garantire la vigilanza della regione; gli appalti che doveva pilotare in regione. Questo signore viene candidato con il centrodestra, con Caldoro presidente in Campania: questo è il modello che si sta portando avanti!
Ma non è ancora nulla. Ieri sera sono stato ad un convegno organizzato dall'Italia dei Valori a Battipaglia, in provincia di Salerno, prima ero andato ad un altro convegno a Vietri sul Mare e per strada ho visto dei manifesti in cui c'era un altro candidato per il centrodestra, un certo Gambino, sindaco di Pagani. Alberico Gambino, 15 giorni fa, è stato condannato in secondo grado, per la seconda volta in appello, a 17 mesi e dieci giorni di carcere per peculato al comune di Pagani. È uno che ha svaligiato il comune di Pagani, è stato condannato in primo e secondo grado, e la ricompensa qual è? Se vieni condannato, vieni candidato nel Popolo della Libertà: ed è stato candidato. La differenza qual è? In quella città, a Pagani, il centrosinistra invece ha candidato la figlia di Marcello Torre, l'avvocato ammazzato dalla camorra, Annamaria Torre. Questa è la differenza tra il centrodestra e il centrosinistra oggi.
Ma non finisce qui. Arrivando a Battipaglia ieri sera ho visto dei manifesti di un certo Zara, era il sindaco di Battipaglia, candidato anche lui per il centrodestra alle regionali prossime. Mi sono chiesto: ma questo non è quello che è stato arrestato, plurinquisito da sindaco del comune di Battipaglia? Ebbene, anche lui è candidato con il centrodestra. E la lista non finisce, perché in questo valzer di candidature che abbiamo avuto c'è poi la più singolare di tutte che dà un po' la chiave di come il modello berlusconiano si vuole presentare ai cittadini e agli elettori. Si candida un certo Giovanni Mensorio, il figlio del senatore Mensorio, il senatore della camorra che era inseguito dalla Direzione antimafia di Napoli. Questo senatore era latitante e allora il Mensorio dice: io mi candido perché voglio seguire l'esempio di papà...

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, la storia della camorra e dei suoi rapporti con la politica è interessantissima, ma se lei tornasse al tema all'ordine del giorno gliene saremmo grati.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, poiché oggi devo decidere su un provvedimento che riguarda la criminalità organizzata, qui non devo parlare delle carote che si coltivano o delle quote latte; devo parlare dei provvedimenti legislativi che il Parlamento deve approntare rispetto ad un fenomeno italiano che si chiama mafia, che si chiama criminalità organizzata. Allora, permette, ai sensi dell'articolo 68 della Costituzione, che un deputato possa parlare del tema all'ordine del giorno, ovvero della criminalità organizzata? Se parlo di questioni di camorra e politica parlo di temi attinenti all'argomento che stiamo trattando oggi. Non sto parlando del sesso degli angeli, sto parlando e voglio continuare a parlare della questione dell'Agenzia nazionale che dobbiamo istituire per gestire e destinare i beni confiscati alla mafia.

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, lei ha piena libertà di parola, però non cominci da Adamo ed Eva, arrivi al punto.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, secondo me, per parlare di camorra, di 'ndrangheta, di mafia è giusto che si conoscano i fatti e che si parta da Adamo ed Eva, o ancora da più in là, perché questi sono concetti che vanno sviscerati e bisogna conoscerli. Invece, è in atto il tentativo di coprirli, di sopprimerli e di creare oggi uno spot perché il provvedimento che stiamo discutendo è un ulteriore spot. Pag. 23
L'istituzione di un'Agenzia nazionale per i beni confiscati a Reggio Calabria è uno spot perché a Reggio Calabria non si doveva istituire tale Agenzia; un Governo vero, serio, che fa davvero la lotta alla criminalità organizzata avrebbe dovuto fare ben altro, considerato che a Reggio Calabria e provincia sono stati registrati centosessanta atti intimidatori solo nel 2009, tra attentati al tritolo, colpi di pistola alle saracinesche e incendi ad autovetture.
Nel mese scorso è stata bruciata l'auto di un giovane e coraggioso giornalista calabrese di Reggio Calabria proprio sotto la sua abitazione. Di quanto è accaduto, Presidente, non ne parla nessuno; invece, proprio di queste cose si deve parlare, perché questo giornalista coraggioso, con il suo giornalismo di inchiesta stava veramente facendo emergere delle cose gravissime, ma glielo hanno subito impedito, incendiando la sua auto sotto casa. Questo giornalista ne ha potuto parlare solo al congresso dell'Italia dei Valori che si è svolto il mese scorso.
Dobbiamo parlare di queste cose, così come dell'indagine «testamento» che, sempre a Reggio Calabria, svela gli affari delle potente cosche dei Libri e dei Condello, che sono due potenti 'ndrine calabresi, e mette in luce la commistione della criminalità organizzata con imprenditori e amministratori comunali di Reggio Calabria. Di queste cose dovevamo parlare a proposito di Reggio Calabria, e non dello spot di andare lì a fare la solita passerella e a dire che istituiamo lì l'Agenzia.

RAFFAELE VOLPI. Con De Luca ne hai parlato?

FRANCESCO BARBATO. Che senso ha istituire l'Agenzia mentre a Reggio Calabria continua a comandare la 'ndrangheta? Le famiglie della 'ndrangheta hanno un presidio permanente, capillare di un territorio dove non sfugge niente; sono loro che decidono chi fare eleggere e a chi dare gli appalti non solo sul territorio, ma anche all'estero, visto che la 'ndrangheta calabrese riesce anche a fare eleggere il senatore Di Girolamo nella circoscrizione estero. Queste sono le cose di cui dobbiamo parlare, altro che dell'Agenzia per i beni confiscati alla mafia che deve essere istituita a Reggio Calabria: questo è il grande atto che ha fatto questo Governo!
Invece, bisogna contrastare realmente quello che accade e che non si dice perché non si vuol far sapere la gravità di questa situazione. Ecco perché, Presidente, parlavo di questa lista di galeotti che il centrodestra presenta per le prossime elezioni regionali, ecco perché le sto parlando di queste vicende che sono fatti veri. Perché non mi denunciano se dico delle bugie? Questo è il vero rapporto tra la criminalità organizzata e la politica, questo è quello che succede nel Mezzogiorno d'Italia, questo è il centrodestra galeotto che sta operando al sud, in Campania, in Calabria, questo è quello che sta succedendo.
La cosa più bella è che tutti i consiglieri regionali arrestati, imputati, inquisiti, anche del PD, hanno trovato ospitalità nel PdL, perché il PD ha fatto pulizia, nella sua lista non ce ne sono più. Mi riferisco a Conte, a Brancaccio, un altro consigliere regionale che si è candidato per le elezioni provinciali di Caserta e al suo comune con il centrodestra, per non dimenticare, invece, la testa di lista di un'altra lista a sostegno, sempre per parlare di uomini che hanno rapporti con la criminalità e la delinquenza. Per non parlare, ancora, di un'altra persona, la signora Mastella, che ha un provvedimento cautelare restrittivo a carico, e ha fatto la testa di una lista in cui ci sono due capolista: la signora Mastella come numero uno e come numero due un magistrato del TAR. È il massimo che si poteva fare: hanno messo insieme guardie e ladri!
Hanno fatto il massimo che si potesse fare e questo è il modello che stanno cercando di farci metabolizzare: quello di creare un condominio in cui la criminalità organizzata possa convivere con la società civile e con le persone per bene. Questo è il modello che stanno cercando di far digerire a questo Paese, dove i delinquenti devono poter convivere con le persone per Pag. 24bene e le imprese pulite devono convivere con quelle sporche e con il denaro sporco. Siamo veramente molto preoccupati per questo andazzo che ormai va avanti in modo sempre più arrogante e prepotente, senza limiti.
Per questa ragione, caro Presidente, lo scorso anno ho costituito un osservatorio per il voto pulito, proprio per verificare tutti i condizionamenti del voto: lo scambio di voto; i voti comprati; i voti che la camorra organizza ed indirizza. Ho realizzato questo osservatorio insieme al presidente Amato Lamberti che aveva già costituito l'osservatorio anticamorra in Campania. È per questa ragione che abbiamo chiesto alle due direzioni distrettuali antimafia di Napoli e di Salerno un incontro e giovedì prossimo ci incontrerà il procuratore di Salerno, il dottor Franco Roberti. È un coraggiosissimo magistrato che ha denunciato proprio l'altro giorno cosa successe alla camorra negli anni Ottanta e al capo della camorra, Raffaele Cutolo, capo della Nco, che addirittura stava per pentirsi. Ebbene, avevano già predisposto un piano per Raffaele Cutolo, ma intervennero i servizi segreti per farlo desistere dal pentimento e lo convinsero a non pentirsi più. Probabilmente Cutolo avrebbe tirato fuori troppi rapporti tra la politica, la camorra e l'intervento dei servizi segreti per la liberazione dell'assessore regionale Cirillo; in particolare, intervennero parecchi parlamentari e forse anche un sottosegretario dell'attuale Governo che si recò al carcere di Ascoli Piceno per incontrare Raffaele Cutolo, il capo della camorra. Ebbene, per questa ragione abbiamo costituito questo osservatorio e incontreremo le DDA di Napoli e di Salerno. Con questo osservatorio, infatti, i cittadini possono segnalarci tutti i condizionamenti e i voti che si comprano e che la camorra orienta. Mi mandano, inoltre, comunicazioni - questa mi è arrivata sabato - in cui mi parlano di alcuni politici, di quello che fanno, dei rapporti con le imprese, con gli appalti e con la pubblica amministrazione. Ho detto, infatti, di comunicarmi anche in modo anonimo le porcherie che avvengono in Campania e nel Mezzogiorno sul voto di scambio, sul mercimonio dei voti, sulla camorra che indirizza i voti. Per la verità, caro Presidente, dieci giorni fa circa ho strabuzzato gli occhi quando ho letto sul Giornale, quotidiano che fa capo alla famiglia Berlusconi, che in Campania la Ministra Carfagna, candidata alle regionali, avrebbe preso precisamente 40 mila voti. Per la verità, sono rimasto molto meravigliato da questa affermazione letta sul Giornale. Come fa il Giornale a sapere che una candidata prenderà precisamente quel numero di voti? Allora significa che in Campania ci sono dei voti che si controllano, che in Campania la camorra indirizza pacchetti di voti e che c'è un voto di scambio per cui si riesce a sapere con precisione che una candidata - mai candidata in Campania e che non ha alcun precedente elettorale per cui può dire che ha preso tanti voti nella precedente candidatura - prenderà puntualmente e precisamente 40 mila voti. Ma come si fa a sapere ciò? Insomma, questa è tutta una brutta storia. Allora, la criminalità organizzata e la politica sono il vero problema di questo Paese, ovvero questo intreccio perverso.
Purtroppo, con questa maggioranza e con il Governo Berlusconi, abbiamo uno Stato che, con una mano, fa una legge, come quella di oggi, che teoricamente dovrebbe essere di contrasto alla criminalità organizzata per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle mafie, mentre, con l'altra, mette nelle istituzioni tutti i galeotti di cui vi ho parlato. Si affida a criminali e delinquenti, a persone che hanno dovuto fare un passaggio per le patrie galere prima di trovare un posto al sole nelle istituzioni, nei consigli regionali e in Parlamento. Ebbene, questo è il problema di fondo di questo Paese: avere un modello berlusconiano che ci sta propinando questo sistema, in cui si vede ormai evidente l'intreccio tra la politica e il malaffare, tra la politica e la criminalità organizzata. Termino qui gli esempi che vi ho fatto per economia di tempo, ma vi darò l'elenco preciso di tutto ciò che è successo in Campania e in Calabria, di tutti i nomi che sono stati proposti dal Pag. 25centrodestra e dal Popolo della Libertà, di soggetti che la mattina sono nella società civile e la sera armeggiano con la 'ndrangheta e con la camorra, con cui stipulano rapporti, e che sono i registi di questa convivenza tra la criminalità organizzata, gli affari, il denaro e la pubblica amministrazione. È questa la ragione vera per la quale, come ha sottolineato la Corte dei conti, abbiamo avuto un incremento della corruzione nella pubblica amministrazione nella misura del 229 per cento.
Con la tangentopoli di oggi la corruzione è aumentata e la spiegazione è molto semplice: nella tangentopoli scoppiata negli anni Novanta rubavano e saccheggiavano la pubblica amministrazione politici e partiti; invece, con la tangentopoli di oggi, del Berlusconi imperante, c'è un nuovo convitato a tavola, una nuova bocca da sfamare, la criminalità organizzata, la mafia, la 'ndrangheta, la camorra: ormai, in prima persona vogliono essere al tavolo per spartire gli appalti e il denaro pubblico ed essere presenti nella pubblica amministrazione, mettendo i loro «cavallucci», così sono chiamati, nelle liste per le prossime elezioni regionali in Campania e in Calabria.
Questo è ciò che sta succedendo davvero nel Mezzogiorno d'Italia. Questo è il problema vero della criminalità organizzata ed è lì che bisogna puntare i riflettori. Era questo il codice etico che il Popolo della Libertà un giorno ha detto che avrebbe applicato, mentre il giorno dopo ha fatto solo liste di galeotti. Questo è il codice etico del Popolo della Libertà.

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, la prego di concludere.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Noi dell'Italia dei Valori continueremo a batterci per i diritti. Questa mattina sono stato con i lavoratori di Eutelia a Napoli: mi hanno fatto vedere come è stato cancellato un diritto, quello sancito dall'articolo 18, uno dei pilastri dei diritti dei lavoratori, cancellato dal Governo Berlusconi e dalla maggioranza di centrodestra. Ebbene, noi per questa ragione continueremo a batterci nel Palazzo e nelle piazze. È venuto il momento in cui davvero bisogna resistere: dobbiamo diventare tutti partigiani per cercare di fare muro contro questo golpe in atto nel nostro Paese, contro questa dittatura berlusconiana strisciante.
L'Italia dei Valori, altro che antisistema e antipolitica, è l'antibiotico, la medicina, della politica italiana. Signor Presidente, concludo dicendo che noi continueremo ad essere il punto di riferimento di tutti i cittadini onesti e, soprattutto, cercheremo di difendere questa Italia, questa Costituzione e questi cittadini che oggi sono stati sfregiati. Noi dell'Italia dei Valori, la legione dei cittadini, saremo vicini a questa Repubblica ed a questa Costituzione sfregiate.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Molteni. Ne ha facoltà.

NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, farò a nome del gruppo della Lega alcune riflessioni in merito a questo provvedimento e chiedo sin da subito l'autorizzazione al deposito integrale del mio intervento. Faremo alcune considerazioni perché riteniamo questo decreto-legge un provvedimento importante.
Non partirò né da Adamo ed Eva, né tanto meno farò una lista delle persone candidate condannate, né tanto meno ancora farò la lista delle persone che sono state magari arrestate o sottoposte a misure cautelari da un ex PM di Milano, ora a capo di un partito, che poi, magari, sono state liberate e ritenute innocenti. Però, magari, farò l'elenco delle cose positive e meritorie che questo Governo, in modo particolare grazie all'azione importante del Ministro Maroni e anche del Ministro Alfano, ha fatto in tema di lotta alla criminalità organizzata.
Riteniamo questo provvedimento importante, un provvedimento che rappresenta l'ennesimo tassello; un tassello incisivo azionato in questi 18-20 mesi dal Governo per poter fronteggiare un problema e una piaga grave e importante del nostro Paese come la criminalità organizzata Pag. 26e le mafie in generale. Queste ultime, tra l'altro, sono presenti non solo nel sud del Paese, ma sono presenti oggi in maniera consistente e grave anche nel nord del Paese. Detto questo, signor Presidente, riteniamo che questo decreto-legge n. 4 del 2010 rappresenti l'ennesimo importante provvedimento del Governo, voluto fortemente dal Ministro Maroni, per completare un'azione complessiva dell'Esecutivo mirata a fronteggiare e contrastare efficacemente il problema della criminalità organizzata e delle mafie nel nostro Paese, in particolare con riferimento alla fase della gestione, dell'amministrazione e della destinazione del vasto patrimonio di beni mobili, immobili ed aziende sottratte alla criminalità organizzata grazie agli interventi effettuati dal Governo unitamente - è giusto anche ricordarlo - all'importante lavoro e alla collaborazione fondamentale delle forze dell'ordine e della magistratura.
Questo provvedimento, e quindi l'istituzione dell'Agenzia nazionale, non è quindi un provvedimento isolato, né tanto meno è un provvedimento sganciato rispetto ad una strategia complessiva del Governo, mirata ad affinare e a migliorare, soprattutto, gli strumenti di contrasto alle mafie, bensì è un provvedimento che si inserisce in un quadro molto più ampio, generale e organico, approvato il 28 gennaio 2010 dal Consiglio dei ministri attraverso un piano straordinario contro le mafie.
È quindi un piano strutturato e complesso, un piano sistemico che va ad aggiungersi e a sommarsi alle altre disposizioni normative che in questi 18 mesi il Governo e il Ministro Maroni hanno posto in essere, da un lato, per poter reprimere il fenomeno della mafia, dall'altro, andando ad intervenire su un altro tema particolarmente delicato, che è quello dell'aggressione dei patrimoni dei mafiosi e dei loro beni.
Infatti, la sottrazione dei beni alla mafia, come spesso ricorda il Ministro Maroni, ha un duplice significato e valore: ha un valore simbolico, perché dà ai cittadini il segnale che lo Stato c'è, che lo Stato esiste e persegue fino in fondo i criminali, non solo catturandoli, ma anche sottraendo loro e ai loro familiari quanto illecitamente guadagnato, ma ha anche un valore concreto, materiale e sostanziale, perché sottrae alla mafia risorse economiche fondamentali per poter governare l'anti-Stato.
Voglio quindi ricordare che questo provvedimento si inserisce in tutta una serie di altri provvedimenti di lotta e di contrasto alla criminalità organizzata, voluti, varati e approvati dal Governo e da questa maggioranza all'interno del pacchetto sicurezza. Tra l'altro, sono provvedimenti - questo è assolutamente meritorio ed è giusto ricordarlo - approvati anche dalla stessa opposizione. Mai nessun Governo e mai nessun Ministro hanno fatto tanto, e bene per contrastare la proliferazione delle mafie nel nostro Paese; proliferazione, vorrei ricordare, non più solo nel sud del Paese, ma anche nel nord, nel ricco nord, nel nord produttivo, dove le infiltrazioni mafiose, soprattutto nel tessuto economico (appalti pubblici, società finanziarie, società di servizi), stanno assumendo connotazioni gravi e persistenti.
Direi che la mafia nasce al sud, ma oggi si alimenta e si nutre anche al nord: una mafia, quella del nord, quella lombarda, brianzola, comasca, terra da cui provengo, in giacca e cravatta, una mafia dal taglio imprenditoriale, che non si manifesta con sparatorie, omicidi, o atti particolarmente cruenti, o quanto meno non solo con questi tipi di atteggiamenti, ma che opera in modo invisibile, in modo camaleontico; una mafia che si è saldata con i colletti bianchi, con uomini della finanza, delle banche, delle professioni; una mafia che non si vede, invisibile, ma che c'è, e opera con sempre maggiore assiduità.
I risultati - ed è questo l'elenco che faccio - conseguiti nella lotta alla mafia dal Ministro Maroni insieme al lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura, ottenuti in questi 18-20 mesi di Pag. 27Governo Berlusconi, sono assolutamente pregevoli, e quindi doverosi di menzione: 448 operazioni di polizia giudiziaria, 4.600 arresti, 324 latitanti tratti in arresto (più 82 per cento rispetto al periodo precedente), 22 dei 30 più pericolosi latitanti assicurati alla giustizia, 43 dei 100 più pericolosi latitanti, 12 mila beni sequestrati per un valore di 7 miliardi e mezzo di euro, 3 mila beni confiscati per un valore di quasi due miliardi di euro, 14 consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa, 1.600 milioni di euro recuperati sul Fondo unico giustizia. Numeri, questi, inconfutabili, che pur nella consapevolezza di non dover e di non poter abbassare la guardia contro il fenomeno della criminalità organizzata, ci portano oggi ad esprimere un convinto plauso al Ministro, alle forze di polizia e alla magistratura.
In questo contesto quindi, caratterizzato da un lato da tutta una serie di politiche di repressione del fenomeno mafioso, con l'inasprimento delle sanzioni, con l'inasprimento del 41-bis, con gli arresti eccellenti di pericolosi latitanti, e dall'altro da politiche di aggressione e di spoliazione dei patrimoni delle cosche, con la conseguente restituzione dei beni alla collettività, operazione in cui lo Stato dimostra che legalità e sviluppo economico possono camminare di pari passo, risulta determinante l'inevitabile individuazione di migliori strumenti giuridico-amministrativi volti ad una gestione ottimale, più rapida, celere e finalizzata ad un immediato riutilizzo sociale ed istituzionale dei beni confiscati e sottratti alla criminalità organizzata, rimettendoli a disposizione della comunità. In tale ottica quindi, di completamento della legge cosiddetta Rognoni-La Torre e della legge n. 109 del 1996, si istituisce l'Agenzia nazionale, la quale deve, nell'intenzione politica del Governo, più volte ribadita dal Ministro Maroni, e nell'intenzione politica del gruppo della Lega Nord, indirizzarsi verso una migliore e più efficiente razionalizzazione della gestione dei beni definitivamente confiscati ed una maggiore velocizzazione della destinazione, al fine di poter mettere i beni spogliati alla mafia nell'immediata disponibilità degli enti locali e delle associazioni senza scopo di lucro cui essi sono destinati in via prevalente e prioritaria. Vorrei ricordare che più del 70 per cento, quasi l'80 per cento dei beni destinati agli enti locali sono destinati a scopi sociali.
La necessità della costituzione di un organismo come l'Agenzia nazionale, a struttura leggera e snella, di una cabina di regia sì nazionale, ma comunque fortemente legata ai territori attraverso la collaborazione delle prefetture territorialmente competenti e degli enti locali, appariva indispensabile e assolutamente necessaria, come ci è stato detto e ribadito anche nella sede delle Commissioni I e II dallo stesso direttore dell'Agenzia del Demanio, che abbiamo audito. Tale richiesta, ovvero la costituzione di un organo unitario, centrale, come può essere l'Agenzia, venne anche sollecitata, come il relatore ha poc'anzi sottolineato, dalla stessa Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia attraverso una relazione approvata il 27 novembre 2007, nel corso della precedente legislatura, nonché dallo stesso Commissario straordinario del Governo, nel 2007.
L'Agenzia nazionale, che si rende oggi necessaria a fronte della straordinaria e meritoria azione di contrasto alle mafie sostenuta dal Governo, che ha portato alla sottrazione di ingenti beni ed enormi patrimoni alle stesse, è finalizzata a semplificare le procedure, ad accorciare e ridurre i tempi di destinazione del bene, e quindi di riutilizzo del bene medesimo, in particolar modo se trattasi di aziende con occupazione, con lavoratori che fanno produzione, e a risolvere le molteplici problematiche sottese alla gestione, alla destinazione e all'utilizzo dei beni confiscati alle mafie.
I problemi che sono stati rilevati sono problemi di cui conosciamo l'esistenza: l'estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva e il provvedimento di assegnazione del bene; il degrado dei patrimoni; la perdita di competitività e il frequente rischio di fallimento delle imprese sottoposte a sequestro, con evidenti ricadute negative in Pag. 28termini occupazionali. Presidente, mi avvio alla conclusione e lascio poi il mio intervento agli atti; concludo dicendo che il lavoro delle Commissioni, il lavoro dei relatori, le osservazioni importanti che sono emerse nel corso delle numerose e assolutamente necessarie audizioni svoltesi nelle Commissioni, il lavoro che verrà fatto all'interno del Comitato dei 18 - ovviamente con la piena e totale condivisione del Governo e del ministro Maroni in particolare; il ministro Maroni che ha voluto questa Agenzia e che ha avuto il coraggio di istituirla - porterà sicuramente a migliorare il decreto. Mi auguro anche che ciò avvenga con un orientamento positivo e con la collaborazione, come spesso abbiamo avuto su questi temi, da parte dell'opposizione. Noi siamo sicuri che tutto questo lavoro porterà ad un miglioramento del decreto, a determinare il giusto momento di intervento dell'Agenzia anche durante la fase del sequestro, ad ottimizzare e velocizzare la fase della confisca e della destinazione dei beni, preservando gli adempimenti di competenza giudiziaria e stabilendo un rapporto tra Agenzia e amministrazione giudiziaria; a fissare equilibrati rapporti tra l'Agenzia e le strutture territoriali competenti, in particolar modo gli enti locali. Noi, quindi, riteniamo che questo provvedimento sia importante e necessario, che si inserisce all'interno di un percorso meritorio di contrasto alla mafia portato avanti dal Governo in questi 18 mesi. Pertanto, il gruppo della Lega Nord Padania lavorerà - come sempre ha fatto - per dare il proprio contributo serio e costruttivo per migliorare il decreto, in quanto rappresenta sicuramente un tassello importante nella lotta alla mafia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Nicola Molteni, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo decreto-legge del 4 febbraio 2010 è intervenuto su una materia delicatissima, ovvero l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati; esso ha, senza dubbio, un ruolo determinante per realizzare il fine ultimo della normativa sulle misure patrimoniali antimafia, perché mira a sottrarre definitivamente i beni di provenienza illecita al circuito economico di origine per inserirli in un altro, esente da condizionamenti criminali. Ecco, forse - e ne abbiamo avuto contezza qui anche dalla sicuramente apprezzabile relazione dei relatori - questo provvedimento, come tanti altri, non doveva essere adottato con un decreto-legge. Ciò infatti ha fatto sì che noi oggi stiamo discutendo su un testo il quale verosimilmente non sarà quello su cui in realtà si dovrà poi votare in Assemblea. Perché? Perché questi provvedimenti, che non nascono come funghi, ma nascono da elaborazioni portate avanti per anni da associazioni, da proposte di legge della sinistra e del Partito Democratico, che le ha depositate sia alla Camera che al Senato, hanno bisogno di maturazione, di approfondimenti, di limature, per evitare che si crei una struttura, una scatola vuota, che magari serve solo a poter dire: abbiamo costituito l'Agenzia dei beni confiscati, senza preoccuparsi se funzionerà o no.
Stiamo parlando cioè di qualcosa che è già operativo, in forza dell'efficacia del decreto-legge, ma che in realtà non lo è perché questa struttura, così com'è, non è in grado di funzionare e, soprattutto, di risolvere quei problemi a cui hanno fatto riferimento i relatori e a cui ho sentito fare riferimento pure dai rappresentanti della maggioranza, da ultimo anche l'esponente della Lega. Siamo qui in un momento istituzionale delicatissimo per dare anche questa volta - come abbiamo già fatto nelle Commissioni e come faremo presso il Comitato dei diciotto e in Assemblea - il nostro apporto costruttivo nel merito, tenendo però presente che questi Pag. 29provvedimenti devono avere un contesto adeguato e non possono servire soltanto per mettere una medaglietta sulla giacca: devono cioè riuscire a funzionare e tanto ne siamo convinti che i nostri emendamenti, la nostra attività nelle Commissioni e la richiesta puntuale e determinata di audizioni hanno fatto sì che vi sia da parte della maggioranza e dei relatori (il Governo sul punto non lo abbiamo ancora sentito pronunciarsi), la volontà di tener conto di alcuni suggerimenti che proprio quel confronto nelle Commissioni ha portato.
Dobbiamo infatti fare in modo di sapere dove si colloca questo provvedimento, in quale contesto. Nel campo dei provvedimenti che qualificano la lotta alla mafia sicuramente è stata fondamentale la legge n. 109 del 1996 che fu introdotta come normativa unica nel suo genere nel panorama internazionale, finalizzata alla restituzione alla collettività di patrimoni delle organizzazioni criminali attraverso il loro riutilizzo sociale, produttivo e pubblico. Si è trattato di una scelta di fondamentale importanza, non solo sul piano dell'azione di contrasto del sistema di potere e degli strumenti di condizionamento propri delle organizzazioni criminali, ma anche dello sviluppo dell'economia di vaste zone del territorio nazionale.
Tuttavia, nella fase applicativa quella legge non è apparsa sufficiente a risolvere le molteplici problematiche sottese alla gestione, alla destinazione, all'utilizzo dei beni confiscati alla mafia. Tra i fattori di crisi ricordo: l'estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva e il provvedimento di destinazione, il degrado dei patrimoni, la perdita di competitività e il rischio di fallimento di imprese sottoposte a sequestro, il diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari; da più parti si è quindi segnalata da tempo la necessità di una «cabina di regia nazionale» che orientasse l'azione delle istituzioni verso un utilizzo effettivo dei beni.
La verifica delle criticità è importante per appurare poi se questo decreto-legge, nel testo che oggi è all'esame dell'Assemblea, sia idoneo a risolverle. Le criticità maggiori sono state rappresentate sicuramente dal coinvolgimento di vari soggetti pubblici (Agenzia del demanio, prefetture, amministrazioni statali, enti pubblici e territoriali, soggetti privati, amministrazione giudiziaria) e da una serie di questioni non definite legislativamente quali, ad esempio, la sorte delle ipoteche iscritte sui beni immobili in epoca precedente al sequestro o le mancate risorse finanziarie necessarie per finanziare alcuni progetti.
Tutto ciò a fronte di un impegno enorme delle forze di polizia e della magistratura che risulta dai dati: di 8.933 beni immobili confiscati solo 5.400 sono stati destinati e 4.738 effettivamente consegnati (l'86 per cento è stato destinato agli enti locali per finalità sociali, il restante 14 per cento allo Stato per fini istituzionali), per non parlare poi delle aziende di cui solo l'11 per cento è stato destinato alla vendita e all'affitto, mentre il restante 89 per cento è andato in liquidazione. Sono stati destinati comunque a 480 comuni un numero di 3.796 beni immobili, di cui il 47 per cento utilizzati.
Sono dati importanti perché testimoniano l'impegno, pur nella farraginosità delle procedure, pur nella difficoltà di acquisire effettivamente la prova che quei beni sono lo strumento o comunque il provento o comunque sono destinati nell'ambito della criminalità organizzata. Senza niente togliere al Ministro Maroni e a chi ha voluto dire che soltanto il Ministro Maroni è riuscito in questa impresa, non ci dobbiamo dimenticare che la proposta di istituire l'Agenzia è stata avanzata dall'associazione «Libera nomi e numeri contro le mafie» dal 2006. La proposta è stata oggetto di dibattito e di specifiche proposte di legge del Partito Democratico alla Camera e al Senato. L'istituzione di tale Agenzia risulta, inoltre, dai lavori della Commissione parlamentare approvati all'unanimità il 27 novembre 2007 e nella relazione del 2009 del commissario straordinario per i beni confiscati, Antonio Maruccia. Tutte le proposte delineano l'Agenzia quale soggetto che si occupa della gestione durante tutto l'iter della vicenda del bene, ma che nella fase del Pag. 30sequestro giudiziario si pone al servizio dell'autorità giudiziaria per l'amministrazione e la proficua gestione, mentre nella fase della confisca definitiva gestisce il bene sino all'adozione del provvedimento di destinazione.
Dunque ho identificato adesso i punti critici che non hanno permesso la destinazione totale di tutti quei beni confiscati, di tutti gli immobili e delle aziende frutto del grande impegno e sacrificio di tutto un gruppo di azione che è dato dalle forze dell'ordine e dalla magistratura. Bisogna fare in modo, però, che dall'esperienza applicativa si giunga a un provvedimento che sia veramente funzionale alla lotta alla criminalità organizzata e non sia soltanto una medaglia. Vorremmo che i provvedimenti che escono da questo Parlamento servano a fare un passo avanti e non a dire di aver combattuto la lotta alla criminalità organizzata e magari poi di fatto ci troviamo di fronte a strumenti ancora più farraginosi di prima.
Guardiamo, quindi, all'esperienza positiva applicativa, cioè ai casi in cui il giudice della prevenzione ha potuto giovarsi di quel patrimonio di informazioni e conoscitivo che scaturisce da quel rapporto fiduciario e continuativo con l'amministratore giudiziario. In molti casi lo scambio costante di informazioni, l'efficace interazione tra l'organo giurisdizionale e l'amministratore, che invece con questo decreto-legge viene spezzato, hanno rappresentato una vera e propria carta vincente non solo per sottrarre realmente il patrimonio alla disponibilità del soggetto preposto o delle persone a lui legate, ma per estendere le misure di prevenzione ad ulteriori beni prima ignoti.
Infatti per comprendere effettivamente le dinamiche economiche relazionali presenti nelle imprese in sequestro, per evidenziare i collegamenti operativi in ambienti mafiosi, per costruire una solida piattaforma probatoria che regga anche in relazione alla decisione sulla confisca, non possiamo addivenire ad un progetto, quale quello delineato in questo decreto-legge forse troppo. Non bisogna dimenticare quali erano gli effetti positivi dell'instaurazione di un dialogo diretto, continuo, anche informale in queste zone particolari. Ma che cosa ci aspettiamo da una relazione dell'amministratore giudiziario che secondo questo testo dovrebbe passare tramite l'Agenzia e poi essere trasmessa trimestralmente al giudice? Che cosa ci aspettiamo soprattutto nelle prime fasi così delicate affinché quel procedimento di prevenzione o quel sequestro penale vada a buon fine?
Siamo riusciti, anche grazie alla sensibilità dei relatori, a far permeare questi elementi e questo patrimonio conoscitivo attraverso audizioni svoltesi con velocità, con una presa di coscienza da parte di tutti noi di quanto fosse importante far in modo che fosse emanato un provvedimento funzionale allo scopo e non soltanto uno slogan: abbiamo dato vita all'Agenzia per i beni confiscati alla mafia.
Quindi, come si legge nella relazione, tra le finalità del decreto-legge in oggetto vi è il tentativo di accorpare in un unico organo tutte le fasi, si pecca, tra virgolette, di superbia, perché non si tiene conto delle esperienze positive che si sono verificate. Solo con il confronto parlamentare - con l'apertura che, in questo senso, mi auguro vi sarà da parte di tutta la maggioranza e con l'impegno costante e continuo, comunque, e ad ogni costo, dell'opposizione - forse potrà uscire da questo Parlamento un provvedimento che costituisce l'Agenzia per i beni confiscati alla mafia, che non sia soltanto un modo per fregiarsi di un titolo di merito.
Sicuramente è positiva la parte del provvedimento in cui si prevede il trasferimento all'Agenzia delle competenze del prefetto in materia di destinazione dei beni confiscati, nonché la regolazione dei rapporti tra l'Agenzia del demanio per l'amministrazione e la custodia dei beni. Infatti, si cerca di accorciare le distanze e di evitare la burocratizzazione delle procedure, che hanno portato ad un rallentamento dell'ultima fase, che arriva fino alla programmazione della destinazione del bene.
Vediamo come viene composta l'Agenzia. Si tratta di un ente pubblico, posto Pag. 31sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, che avrà la propria sede a Reggio Calabria. Anche con riferimento a questo aspetto, non abbiamo presentato proposte emendative specifiche, tuttavia teniamo presente che nel decreto-legge in oggetto è prevista anche la possibilità di istituire delle sedi secondarie, perché, in ogni caso, il raccordo dovrà essere su tutto il territorio.
L'ente si avvale di alcuni organi: il consiglio direttivo e il collegio dei revisori. Riteniamo che nel consiglio direttivo possano esservi anche altre rappresentanze, proprio perché l'Agenzia ha scopi che riguardano sia l'autorità giudiziaria e, quindi, la fase prettamente giudiziaria, sia la fase susseguente e, quindi, il rapporto specifico che vi è anche con gli enti territoriali. Sicuramente sarà importante che l'Agenzia in discussione raccolga tutti gli elementi informativi sullo stato dei procedimenti di prevenzione penale e i dati di interesse relativi ai beni confiscati e sequestrati, insieme all'analisi finalizzata alla progressiva programmazione dell'assegnazione e della destinazione dei beni in vista della confisca.
Con riguardo, ad esempio, alla modalità di svolgimento dei compiti affidati al nuovo organismo, l'articolo 3, comma 2, del decreto-legge in discussione stabilisce che «l'Agenzia provvede all'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati e addotta i provvedimenti di destinazione dei beni confiscati per le prioritarie finalità istituzionali e sociali, secondo le modalità indicate dalla legge 31 maggio 1965 n. 575».
Tanti e molteplici sono i compiti dell'Agenzia, che potrà avvalersi di soggetti esterni, e potrà e dovrà avere rapporti con l'autorità amministrativa. Ciò, da un lato, lascia un po' perplessi, dall'altro lato, ci costringe a verificare soluzioni che non facciano divenire questa Agenzia soltanto un punto di riferimento di raccolta delle informazioni, e conferimenti di incarichi, essendo un ente «a struttura leggera». In realtà, per il collegamento con l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, essa si avvale, e dovrà avvalersi, delle prefetture territorialmente competenti; si avvarrà anche dell'Agenzia del demanio per l'amministrazione e la custodia dei beni.
Ma qual'è il punto debole, il punto di mera apparenza di questa costruzione: l'Agenzia - che alla fine, consta soltanto di trenta persone perché è stata congegnata come un ente a struttura leggera - in realtà potrà anzi dovrà farsi coadiuvare, per le amministrazioni dei beni confiscati, da tecnici o altre persone retribuite. Dunque, che facciamo? L'enorme mole dei compiti affidati all'Agenzia potrà essere espletata soltanto con il ricorso ad altra autorità amministrativa o tecnici esterni.
Se dovessimo rimanere fermi all'attuale formulazione del testo, che cosa avremmo? Avremmo il sequestro, l'intervento dell'autorità giudiziaria e la subitanea immissione in possesso da parte dell'Agenzia, la quale, però, non sarebbe in grado di gestire direttamente e, quindi, non vi sarebbe quel risparmio di tempo e di denaro che viene palesato come la finalità, come l'uovo di Colombo del provvedimento legislativo. In realtà, vi è un ulteriore passaggio: vi è un'Agenzia che deve nominare l'amministratore giudiziario.
Si dice che bisogna creare un unico centro decisionale, che bisogna sollevare la magistratura da una serie di incombenze essenzialmente amministrative, che bisogna fare in modo che si esca da un'emergenza gestionale dei beni sequestrati e che, tra l'altro, si vogliono effettuare risparmi in termini di costi e di tempo: in realtà, questa struttura, così come è stata congegnata, non è in grado di funzionare e di risolvere quei problemi, di cui ho parlato nella prima parte del mio intervento, che hanno consentito la completa efficacia, di quell'intuizione geniale e grandiosa - introdotta con la legge n. 109 del 1996 - consistente nell'aggressione della criminalità organizzata nel suo punto più vivo, ossia la parte economica dei patrimoni.
Pertanto, il nuovo intervento legislativo così com'è, è destinato a non funzionare, se non addiverrà a quelle correzioni - da noi proposte negli emendamenti e che Pag. 32verificheremo nel Comitato dei diciotto - finalizzate ripristinare quel rapporto diretto, imprescindibile e necessario dell'amministratore con l'autorità giudiziaria, e con l'Agenzia: questi tre organi, infatti, devono cooperare, ognuno nei propri ruoli, per poter fruire al meglio ognuno delle rispettive competenze e del proprio patrimonio di conoscenza.
Solo così questo testo potrà funzionare: e ciò sarà possibile solo grazie all'apporto dell'opposizione, oltre che all'intelligenza dei relatori e, speriamo, del Governo. Infatti, la scelta di realizzare questo provvedimento mediante un decreto-legge, se non vi fosse stata la nostra tenacia, la nostra volontà di non far comunque uscire dal Parlamento (anche se non siamo noi al Governo) un testo che non funziona, avrebbe portato ad istituire un'altra scatola vuota. Questo era il rischio principale: speriamo di riuscire ad evitarlo veramente. Su questa linea, si orienta ed è condizionato anche il nostro voto, la condivisione da parte nostra del provvedimento, che ovviamente sosteniamo nella sua idea di fondo, l'Agenzia, trattandosi di un istituto per cui ci siamo battuti da tempo.
Non sono stati il Ministro Maroni o il Ministero dell'interno a coniarlo, ma hanno tenuto conto di una serie di elaborazioni e hanno fatto bene, ma nella fretta di mettersi una medaglia al petto hanno costruito qualcosa che è rischiosissimo. Si pensi al fatto che un amministratore giudiziario rimarrebbe solo di fronte ad alcuni rapporti e alcune pressioni che può subire durante il suo intervento - soprattutto nella prima fase, quando il provvedimento non è definitivo o comunque non si trova già in una fase avanzata - con una serie di rapporti scritti e cartacei che non risolvono le problematiche, soprattutto di quel tipo e in quei contesti.
L'altro punto importante è quello che riguarda la procedura di vendita degli immobili e dei beni confiscati oggetto di un ulteriore recente intervento legislativo. Ho sentito le indicazioni che vengono dal relatore, l'onorevole Contento, e mi sembra che, sostanzialmente, il testo delle sue proposte tenga conto delle nostre indicazioni, sebbene saremo in grado di capirlo meglio solo quando potremo leggere le modifiche.
A tale riguardo, devo avanzare anche un'altra nota critica. La norma ora in vigore, l'articolo 2-decies della legge 31 maggio 1965, n. 575, afferma che la destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali è effettuata con provvedimento del direttore dell'Agenzia, previa delibera del consiglio direttivo, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo, prorogabile di ulteriori novanta giorni in caso di relazioni particolarmente complesse. Ove non sia possibile effettuare la destinazione al trasferimento entro i termini previsti, fermo restando il parere del prefetto e della provincia interessati, si può andare alla vendita. Se il divieto di vendita era l'elemento qualificante della disciplina del 1996, quello più innovativo che, oltre ad una efficacia diretta nell'acquisizione del patrimonio, aveva anche un significato dimostrativo rispetto alla società civile, certamente questa norma, che abbiamo già criticato perché contrastante con lo spirito della lotta alla criminalità organizzata, in questo testo non ha più ragione di essere così com'è.
Se andiamo a «coniare» un'agenzia che attraverso la contrazione dei tempi entra immediatamente nel possesso dei beni sequestrati, come possiamo pensare e giustificare che per lungaggini burocratiche, cioè per effetto del passaggio di centottanta giorni possa poi addivenire alla vendita? Si tratta di un'altra delle superficialità di chi, nella fretta di propinare con un decreto-legge un testo che andava adeguatamente approfondito, ha fatto in modo che non ci fosse questo raccordo. Al contrario, questo raccordo dobbiamo volerlo con tutte le nostre forze; dobbiamo volere un organismo, l'Agenzia, che, in quanto tale, in quanto collabora con il giudice sin dall'inizio affiancandolo e in quanto già inizia a predisporre e a proporre programmi di utilizzo del bene, Pag. 33non avrà alcuna necessità di far decorrere centottanta giorni per giustificare la vendita all'asta dei beni confiscati.
Pertanto, quello che è anche stato evidenziato in sede di audizioni, ma su cui ci siamo battuti da mesi, è di prevedere la vendita solo in casi oggettivamente eccezionali, laddove in maniera documentata l'Agenzia - e questa volta effettivamente, individuando un soggetto responsabile - possa documentare che si sia dinanzi a un bene che non può essere utilizzato in termini di destinazione sociale e pubblica. In questi casi si deve poi intervenire in modo tale che vi sia anche il parere vincolante del prefetto.
Su questo punto mi rivolgo all'onorevole Contento, auspicando che il parere del prefetto sia vincolante e che non si stabilisca solo di sentire il prefetto obbligatoriamente. Insomma, si deve fare in modo che il parere del prefetto sia vincolante sulla decisione finale. Il prefetto, come oggi ho sentito con piacere dalle parole dell'onorevole Contento, deve avere come riferimento non solo la ricerca di tutti i legami che possono essere ostativi alla vendita di quel bene o, comunque, alla sua assegnazione a chi si manifesta come acquirente, ma deve anche svolgere, dato che ne ha i poteri, delle indagini in ordine all'impiego dei capitali per l'acquisto.
Proprio chi ha operato per anni nell'ambito dei procedimenti di prevenzione ha sottolineato in sede di audizioni quanto sia importante che questi beni non siano venduti all'asta, perché l'asta, con il ribasso, può provocare il reinserimento di quei beni tramite soggetti nella disponibilità della criminalità organizzata. Se ciò accadesse diverrebbe poi tutto difficilissimo e sarebbe una sconfitta enorme nei confronti del contesto sociale, economico e politico e, quindi, sarebbe una vittoria della mafia.
Mi sembra di aver capito dalla relazione dei relatori che il Governo sembra ben disposto ad accogliere le nostre proposte e emendative e che si intende riferirsi a una vendita a prezzo di mercato o, comunque, a delle modalità di vendita che possano garantire concretamente che non vi sia il reimpiego di denaro sporco. Non dobbiamo avallare alcun modo subdolo, che agevoli la criminalità a rientrare in possesso di quel patrimonio confiscato che è il frutto che tanto lavoro, tante energie, tanto denaro pubblico e tante aspettative.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI. Sto per terminare, signor Presidente. Infatti, ogni procedimento di sequestro e di confisca vi sono delle persone che hanno investito la loro vita, anche mettendola a rischio nella lotta alla criminalità.
Credo, quindi, che tutti i nostri sforzi debbano cercare di fare in modo che questo provvedimento sia un passo ulteriore, definitivo, concreto e funzionale per arrivare a un risultato che possa garantire che effettivamente tutto il Parlamento, senza distinzioni, voglia veramente realizzare uno strumento efficace all'apprensione dei beni e che possa contribuire alla sconfitta definitiva della criminalità organizzata.
Questo può essere uno dei modi. Ve ne sono altri, che conosciamo tutti, ma sicuramente questo, ossia quello dei patrimoni e dei beni confiscati alla mafia, è sicuramente uno degli strumenti più importanti e più incisivi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Sull'ordine dei lavori (ore 16,25).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, apprendo dalle agenzie di stampa - e non so se ciò corrisponda al vero, ma poi lo vedremo - che il Ministro Maroni avrebbe testé dichiarato che i giudici devono sbrigarsi per evitare di annullare le elezioni. Parlo dello stesso Ministro dell'interno Maroni che, soltanto qualche Pag. 34giorno fa, aveva annunciato che non vi sarebbe mai stato un decreto-legge in materia elettorale.
Non so se adesso il Ministro Maroni o magari qualche altro rappresentante del Governo - e approfittiamo della presenza del sottosegretario Pizza - voglia anche dire ai giudici, se non è sufficiente il decreto-legge interpretativo, come devono decidere su questa materia.
Forse sarebbe il caso che in queste ore i giudici fossero lasciati in pace a decidere serenamente e secondo la legge, invece di essere bombardati con inviti ad accelerazioni e con pressioni. Sembra quasi che questo decreto interpretativo in qualche modo, nel cuore di chi l'ha fatto, non sia sufficiente a dare le garanzie che si vorrebbero avere.
Trasmetto semplicemente questo pensiero, perché il fatto che il Ministro dell'interno pressi i giudici perché decidano in fretta, minacciando il rinvio delle elezioni, è qualcosa che aggiunge singolarità alle singolari cose che sono accadute fino ad oggi.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3175)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Stasi. Ne ha facoltà.

MARIA ELENA STASI. Signor Presidente, le finalità e l'articolazione del provvedimento in esame sono state già sviscerate abbondantemente. Sicuramente, mi ripeto, è un tassello della lotta alla criminalità organizzata che questo Governo ha posto tra le sue priorità. Si tratta di un obiettivo prioritario per il Governo ma, grazie al cielo, anche per tutte le forze politiche presenti in questo emiciclo.
L'istituzione dell'Agenzia nasce da una esigenza avvertita da tempo. Per questo probabilmente il Governo ha fatto ricorso al decreto-legge, ossia proprio perché non c'era più tempo da perdere. Avevamo avuto tutti i suggerimenti, conoscevamo tutte le disfunzioni e tutte le discrasie che si erano verificate con la vecchia gestione e bisognava porre riparo. Siamo qui per convertirlo e quindi farlo diventare una legge efficace a tutti gli effetti con il confronto che l'opposizione chiede.
Quali sono le finalità del provvedimento e l'esempio che si dà aggredendo i patrimoni della criminalità organizzata? La criminalità organizzata viene combattuta secondo alcune direttrici, coma la cattura dei capi e l'aggressione del loro patrimonio (cosa a cui tengono di più, poiché è l'elemento da cui traggono forza e il cosiddetto rispetto). Ma oltre all'utilizzo immediato dei beni confiscati e a rispondere a quei criteri di efficienza e di buona amministrazione per qualunque bene demaniale, nel caso specifico il provvedimento ha la finalità sociale di riutilizzare quei beni sottratti alla collettività mediante delitti.
Non solo: assume anche un valore simbolico, poiché è un messaggio che viene dato a quei giovani che dovrebbero scegliere di non avvicinarsi ai sodalizi criminali per motivi etici. Finché non saremo in grado di far operare simili scelte per motivi etici o perché gli offriamo dei lavori alternativi altrettanto allettanti, dobbiamo dire che avvicinarsi ai sodalizi criminosi non conviene.
Infatti, è vero che ci si arricchisce facilmente, ma prima o poi lo Stato quelle ricchezze le sottrae e se ne reimpossessa. Questo è un messaggio molto importante da dare ai giovani. È lo stesso messaggio che credo il Governo abbia voluto dare istituendo l'Agenzia a Reggio Calabria e volendo includere nelle norme che prevedono i vari sodalizi criminali la parola 'ndrangheta, proprio per mandare un messaggio ai giovani di quelle terre e per dire che non si tratta di miti cui si devono ispirare. Infatti, molto spesso sappiamo che vengono visti come eroi, ma sono dei semplici criminali che lo Stato prima o poi riesce ad acciuffare e a spogliare dei beni sottratti illecitamente.
Inoltre, ci sono delle perplessità in ordine alla previsione della possibilità di Pag. 35alienare i beni confiscati. Credo che questa sia una delle novità qualificanti di questo provvedimento, perché chi concretamente ha agito per cercare il riutilizzo dei beni confiscati sa quante volte ci si trova nell'impossibilità di agire.
Infatti, si tratta di decidere di decine di immobili confiscati nello stesso piccolo comune con pochi abitanti, già destinatario di una quantità enorme di immobili, per cui chiaramente non ha le risorse per poterli attrezzare tutti. Inoltre, la cosiddetta «villa» confiscata al mafioso di turno, o al camorrista o allo 'ndranghetista, molto spesso ha l'unico pregio di contenere un bunker che assicuri la latitanza al suo proprietario. Quindi, secondo me, in quel caso, bene si è fatto a prevedere la possibilità di alienarlo o addirittura di demolirlo.
Infatti, l'impiego ottimale è di utilizzarlo o di trarne dei profitti, di destinarlo alla collettività come forma di risarcimento, ma se questo non è possibile - come extrema ratio - occorre arrivare all'alienazione, sia pure con quelle garanzie necessarie perché si eviti che sia la criminalità a reimpossessarsi del suo bene. È senz'altro una delle norme che credo sia stata prevista dopo aver ascoltato e letto le varie relazioni di chi in questi anni ha operato. Si tratta di anni che non sono stati certamente brillanti per quel che riguarda l'effettivo riutilizzo dei beni confiscati.
Infine, avevo segnalato ancora un altro aspetto. Non è stato detto proprio in questi termini, ma ci si è interrogati se il direttore dell'Agenzia avrà o meno poi la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi. Sicuramente il direttore non avrà la bacchetta magica, ma noi sappiamo e abbiamo letto che è tenuto a produrre una relazione semestrale, che sicuramente non sarà un semplice adempimento burocratico, ma qualcosa sulla quale questo Parlamento potrà riflettere per vedere se occorrono degli aggiustamenti in corso d'opera.
Quindi, credo che con questo provvedimento effettivamente il Governo ha posto un altro tassello importantissimo per la lotta contro la criminalità. Si può senz'altro migliorare e aggiustare, però è stato finalmente posto un caposaldo in quello che era uno dei temi centrali per riaffermare la supremazia dello Stato nella lotta alla mafia (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bossa. Ne ha facoltà.

LUISA BOSSA. Signor Presidente, colleghi deputati, quando non era ancora uno scrittore noto in tutto il mondo, quando a conoscerlo eravamo in pochi a Napoli e lavoravamo sui temi dell'antimafia in quello scavo quotidiano di trincee etiche che in alcune zone del paese occorre fare, Roberto Saviano sul Corriere del Mezzogiorno scrisse - lo leggo testualmente - che il «riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati è davvero l'unica possibilità di scardinare la potenza spettacolare e pubblicitaria dei boss e delle dirigenze politico-imprenditoriali dei clan». Voglio partire da qui oggi, da questa frase per rendere l'idea della serietà e del rigore con il quale oggi noi dell'opposizione ci apprestiamo a valutare un provvedimento così importante.
Si tratta di una frase che contiene tutto ed esaurisce in poche parole il senso del lavoro che bisogna fare sui beni delle mafie. Per i sodalizi criminali le ville, le masserie, le aziende spesso rappresentano molto di più di mere proprietà, strumenti di profitto, beni a loro disposizione. Esse sono simboli e immagini che testimoniano il potere. Per le mafie il lusso è una bandiera di potenza, una dimostrazione di forza e di successo: il segno evidente di un percorso vincente. Ecco perché la criminalità ama lo sfarzo: ama mostrare quello di cui è capace. Ville, castelli, parchi, gioielli, macchine di lusso, beni mobili e immobili, soprattutto se si trovano nel territorio di origine del gruppo criminale, sono i segni esterni che palesano il controllo militare, economico e culturale.
Questo lo aveva capito prima di tutti Pio La Torre, a cui consentitemi di dedicare - oggi che nell'Aula di Montecitorio Pag. 36discutiamo di questo tema - un pensiero e un ricordo. È a Pio La Torre che si deve il sussulto di attenzione che questo Parlamento ha cominciato ad avere verso le mafie: fu lui che, appena eletto in Parlamento nel maggio 1972, entrando a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, insieme al giudice Cesare Terranova, scrivendo e firmando la relazione di minoranza, mise in luce per primo i legami tra la mafia, importanti uomini politici e ambienti imprenditoriali.
Intuì, fin d'allora, che la mafia non era più solo un fenomeno localistico di prepotenza e di delinquenza, ma si apprestava a diventare sistema complesso di potere che si insinuava nella vita economica, politica e civile corrodendo alle radici la società.
Grazie a La Torre nacque il 416-bis, una proposta che segna una svolta radicale nella lotta contro la criminalità mafiosa. Fino ad allora il fenomeno mafioso non era riconosciuto come passibile di condanna penale; la proposta di legge La Torre prevedeva l'introduzione nel codice penale di un nuovo articolo, il 416-bis appunto, che individuava il reato di associazione mafiosa e stabiliva l'obbligatoria confisca dei beni direttamente riconducibili alle attività criminali perpetrate dagli arrestati, tema poi perfezionato con altri interventi normativi tra cui la cosiddetta legge Rognoni-La Torre.
Un colpo al cuore della mafia, laddove il cuore della mafia, come La Torre ben sapeva, era il posto del danaro, della ricchezza, del lusso, che significava potere, controllo, ragione di vita. Colpiti nel patrimonio, denudati dei beni, i mafiosi tornavano al nulla che erano e per questo perdevano potere e carisma.
La Torre tutto questo lo aveva appreso conoscendo la Sicilia come pochi e partendo non a caso dalla grande questione agraria del Mezzogiorno, dalle lotte che lui stesso aveva condotto con la CGIL e con il PCI per la terra a tutti i braccianti.
Lì, in quella lotta, aveva imparato a conoscere la mafia, la prepotenza e la durezza di uno stato parallelo che per denaro colpiva a morte, per avidità costruiva un sistema di potere. Quanto fastidio abbiano dato alla mafia le intuizioni e la lotta di La Torre lo testimonia il suo omicidio, compiuto nell'82 per ordine di Cosa Nostra.
Se oggi noi discutiamo qui in quest'Aula dei beni confiscati e dell'importanza che questi hanno nella strategia di lotta alla criminalità organizzata è anche e soprattutto perché un uomo come Pio La Torre ha visto lontano, ha lanciato lo sguardo, ha avuto coraggio quando tutti invece gli occhi li abbassavano.
Il rapporto «Sos impresa», presentato alla fine del mese di gennaio, ha stimato il fatturato delle mafie in 135 miliardi di euro l'anno; vale a dire che la Mafia Spa, così com'è stata battezzata, anche quest'anno si attesta quale azienda leader nazionale e nessuno dei suoi comparti di investimento ha risentito della crisi di cui, ahimè, risente invece la povera gente.
Togliergli i soldi, togliergli i patrimoni: questa è la vera azione di lotta; ma togliergli e poi riutilizzare quei beni in chiave sociale ha un significato ancora maggiore. Tento di spiegarlo: raddoppia la potenza del messaggio; lo Stato arriva e toglie il bene al mafioso, lo sfratta e dentro quell'immobile ci mette un'attività sociale che simboleggia l'antimafia, un messaggio doppio. Tu ti senti qualcuno per i soldi che hai? Io te li tolgo e tu di colpo non sei più nessuno. Ma io faccio di più, ti tolgo i beni e li do ai tuoi nemici, a quel reticolo di associazioni di volontari e di militanti che lavorano contro le mafie, contro la mentalità criminale, contro i comportamenti, i linguaggi, gli stili mafiosi. Uno sfregio la confisca, un doppio sfregio la destinazione sociale.
È un meccanismo straordinario che, però, troppo spesso si è inceppato. La cronaca ci ha segnalato tante falle, tanti punti deboli nelle procedure e nei percorsi. Troppi i beni confiscati e non utilizzati per cause burocratiche o per intimidazioni. Secondo i dati forniti dall'Osservatorio nazionale dell'economia e del lavoro al sud il 57 per cento dei beni Pag. 37sottratti è ancora libero e soltanto formalmente risulta nelle mani dello Stato e delle associazioni.
Per un'effettiva trasformazione del bene confiscato ed un suo riutilizzo sociale trascorrono mediamente dai cinque ai dieci anni, chi come me ha fatto il sindaco lo sa, e lo sa bene. Sono tempi geologici che rischiano di rendere quasi innocua per i clan la cosiddetta legge Rognoni-La Torre. Tra la fase della confisca e quella dell'assegnazione del bene all'ente destinatario intercorrono tempi anche dieci volte superiori a quelli che sarebbero necessari.
I beni immobili, una volta confiscati ed assegnati spesso risultano, per le associazioni affidatarie e per i comuni che devono gestirne il recupero e la riconversione, un grave impegno economico. Le ville, le masserie sono sovente martoriate dagli uomini dei clan appena subentra la confisca: vengono portati via mobili e suppellettili, vengono distrutti marmi, divelti infissi, bruciata ogni cosa. Il bene, quindi, diviene immediatamente un peso morto, difficile da riutilizzare senza spese aggiuntive, intoppi che non devono verificarsi perché ognuno di questi inciampi riconferma il potere del gruppo criminale sulla proprietà.
Questa lentezza di assegnazione e di riutilizzo risulta essere una grave impasse nella prospettiva di contrasto all'economia criminale, perché, se è vero che il patrimonio mafioso è simbolo di potere, se è vero che confiscarlo è uno sfregio, se è vero che destinarlo ad uso sociale è un doppio sfregio, è ancor più vero che ritardare, andare lentamente, gestire male, perdere passaggi, far deperire il bene, non saperlo amministrare è una sconfitta totale dello Stato, proprio sul terreno simbolico. Se la villa del boss era lussuosa e funzionante con lui e diventa un relitto abbandonato quando passa nelle mani dello Stato, il messaggio è che, anche senza il possesso del bene, quel boss afferma il suo potere: con lui lo sfarzo, senza di lui la distruzione. Non possiamo più permetterlo.
L'approvazione della legge n. 109 del 1996 ha rappresentato un passaggio fondamentale che ha finalmente sbloccato i meccanismi che fino ad allora impedivano l'uso sociale dei beni confiscati; la necessità di assicurare un coordinamento centrale delle molteplici attività previste dalla legge in capo a diversi organi pubblici determinò dapprima la costituzione di un osservatorio permanente sui beni confiscati, e successivamente, nel 1999, l'istituzione dell'ufficio del commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati.
L'esperienza del commissario straordinario fu molto positiva, ma purtroppo fu bruscamente interrotta dal Governo Berlusconi con la soppressione di quell'ufficio deliberata con decreto del 23 dicembre 2003. L'eliminazione dell'ufficio del commissario straordinario - lasciatemelo dire - è stata assolutamente negativa. Quella del commissario straordinario è, infatti, una struttura utile al coordinamento e alla sollecitazione della procedura per la destinazione e l'assegnazione dei beni. Si è deciso di cancellarla senza prevedere alcuna altra struttura che in qualche modo si facesse carico delle sue funzioni.
Con il decreto di scioglimento il Governo ha deciso di affidare i compiti dapprima all'Agenzia del demanio con il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri; oggi, è dunque l'Agenzia del demanio ad occuparsi dei beni confiscati. Tuttavia, l'inadeguatezza di questa amministrazione è stata denunciata da tutti: la stessa non è in grado di reggere il ruolo che non poteva essere interpretato in modo burocratico per la complessità delle sue caratteristiche. La relazione della Corte dei conti del luglio 2005 relativa all'attuazione delle disposizioni sulla riutilizzazione dei beni confiscati costituisce la migliore conferma dei guasti provocati da quella scelta del Governo e ne indica, con molta compiutezza di dati, i gravissimi limiti.
Oggi, un Governo dello stesso politico di quello del 2003 propone una strada diversa. Si tratta di un ripensamento? Meglio tardi che mai. Tuttavia, bisogna Pag. 38dire che è di diversi anni fa la proposta di legge Lumia del centrosinistra che voleva una struttura diversa dall'Agenzia del demanio, dedicata in via esclusiva ai beni sequestrati e confiscati e articolata a livello centrale e periferico. È, dunque, con una naturale attenzione positiva che guardiamo alla proposta che oggi in Aula ci arriva dal Governo. Si tratta di un'attenzione che, però, non è priva di rilievi critici e di suggerimenti, come nel resto della discussione sarà evidenziato con tutti gli emendamenti che il mio partito ha inteso portare in quest'Aula.
In conclusione, in questa sede voglio richiamare due grandi questioni politiche. La prima è che sembra ormai chiara la necessità che si dia luogo, accanto all'Agenzia, anche ad una revisione normativa delle disposizioni sul contrasto patrimoniale alle mafie. Mi riferisco a una nuova normativa che metta al centro alcuni principi inderogabili: l'assoluto divieto di vendita a qualunque titolo e in qualunque modo dei beni confiscati; la priorità (se non l'esclusività) dell'assegnazione della destinazione sociale dei beni confiscati; una maggiore tutela dei provvedimenti di confisca definitiva, individuando tassativamente i casi specifici e i soggetti legittimati a proporre istanza di revisione e stabilendo appropriate garanzie laddove il bene sia già stato assegnato e destinato ad usi sociali.
La seconda questione è quella della lotta complessiva alle mafie. Questo Governo ama fare l'elenco dei latitanti arrestati, utilizzandoli per rappresentare il suo impegno antimafia: adesso immagino vorrà usare, come già sta facendo, anche l'istituzione dell'Agenzia come vessillo. Ma la lotta alle mafie è una cosa seria e non si fa per slogan ma per atti concreti. Bene gli arresti, bene se corretta l'Agenzia, ma il resto? La nuova legge sulle intercettazioni è vista con grande preoccupazione da tutti gli esperti di lotta alla criminalità organizzata. Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, ha chiesto e si è chiesto: «lo avremmo preso Provenzano se fossero state in vigore norme come quelle previste dall'attuale disegno di legge sulle intercettazioni?» Secondo Grasso il disegno di legge sulle intercettazioni avrà un'influenza sui reati di mafia e terrorismo. Bisogna cancellarlo dall'agenda politica se si vuole essere credibili nella lotta alla mafia. Un discorso analogo si può fare rispetto a quanto previsto in un articolo della legge finanziaria per l'anno 2010, che consente la vendita all'asta dei beni confiscati alla mafia, consentendo di fatto alla criminalità di ricomprarseli: è un articolo dannosissimo che vanifica anni di sforzi. Quella norma va cancellata subito se si vuole essere credibili nella lotta alla mafia. Non parlo poi dello scudo fiscale che ha consentito il rientro di capitali condotti illecitamente all'estero: mai più condoni alle mafie se si vuole essere credibili. Ci sono, inoltre, i tagli sistematici e continui alle risorse finanziarie per le forze dell'ordine e per il finanziamento degli uffici giudiziari. Bisogna dare risorse e mezzi alle articolazioni dello Stato se si vuole essere credibili nella lotta alla mafia. Con questi provvedimenti il Governo Berlusconi in meno di due anni di attività ha fatto, invece, regali alla criminalità organizzata. Non può pensare di arrivare qui con provvedimenti di facciata e accreditare così le sue politiche come di severo contrasto alla mafia. La lotta si fa sul serio e per davvero con provvedimenti coerenti, univoci, conseguenziali e che facciano corpo unico e compatto contro la criminalità. In mancanza di un disegno organico non c'è credibilità e nella lotta alle mafie, come sempre ci ha ricordato Pio La Torre, la credibilità è tutto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Naccarato. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO NACCARATO. Signor Presidente, l'aggressione ai patrimoni mafiosi è lo strumento più efficace di lotta alle mafie insieme all'esigenza di rendere veloce ed effettivo l'utilizzo dei patrimoni. Il decreto-legge cerca di rispondere bene a questo obiettivo e per questo istituisce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e Pag. 39confiscati alla criminalità organizzata, per assicurare l'unitarietà degli interventi e per programmare, già nella fase dell'amministrazione giudiziaria, la destinazione finale dei beni sequestrati, con immediatezza rispetto al provvedimento definitivo. Nelle scelte adottate dal decreto-legge, però, sono presenti esigenze che considererei più di immagine che non di sostanza, causate dall'onnipresente decisionismo governativo, che rischia di creare confusione, con effetti negativi rispetto agli obiettivi proposti. Inoltre, emerge un accentramento con il pericolo della creazione di una struttura dotata di amplissimi poteri in materia di amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati. A ciò si aggiunge una inammissibile esautorazione dell'autorità giudiziaria nell'attività di amministrazione dei beni sequestrati. Credo che su questi aspetti, su cui ritornerò nel corso dell'intervento, sia utile riflettere, soprattutto in questa fase, per provare, con gli emendamenti che il gruppo del Partito Democratico ha proposto, a correggere alcuni vizi ed errori presenti nel decreto-legge.
Il decreto-legge modifica le parti della legge n. 575 del 1965 sul sequestro e la confisca antimafia e le parti del decreto-legge n. 306 del 1992 sulle confische penali obbligatorie. In particolare, all'Agenzia sono attribuiti i compiti di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati e sono attribuite anche le funzioni attualmente assegnate all'amministratore nel caso delle aziende. All'Agenzia, inoltre, spetta il compito di prendere tutte le decisioni ed i conseguenti atti per destinare in fretta i beni confiscati. Viene modificato il procedimento di adozione del provvedimento sulla destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali confiscati e gestiti dall'Agenzia che adotta - prima lo faceva il prefetto - il provvedimento di destinazione. Per la stima del valore dei beni, si considera in primo luogo la relazione particolareggiata presentata dall'Agenzia al giudice delegato. La disciplina per i beni mobili registrati viene estesa anche ai beni mobili. I beni possono essere affidati direttamente all'Agenzia oppure l'autorità giudiziaria li affida in custodia giudiziale agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di polizia. L'affidamento può avvenire anche ad altri organi dello Stato per finalità di giustizia, di tutela ambientale o di protezione civile. Per i beni aziendali e per i beni immobili di cui non sia possibile effettuare la destinazione per finalità di pubblico interesse viene modificata la procedura. L'Agenzia, prima di procedere, chiederà al prefetto della provincia coinvolto un parere obbligatorio, che sarà reso sentendo il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, per impedire che i beni siano acquistati, magari per interposta persona, dagli stessi soggetti ai quali furono confiscati o comunque dai soggetti collegati alla criminalità organizzata. Su questo punto, anche in occasione dell'approvazione della legge finanziaria, abbiamo provato con diversi emendamenti a cambiare il testo che la maggioranza e il Governo avevano predisposto. Proprio questi rischi noi temiamo siano presenti in parte anche nel testo del decreto-legge che oggi affrontiamo.
Il decreto-legge, infine, modifica in modo sostanziale anche un'altra parte della legge n. 575 del 1965 e l'articolo 416-bis del codice penale, per adeguare il contenuto della legislazione antimafia alle diverse forme di criminalità organizzata esistenti nel Paese. Questo è un punto su cui siamo particolarmente d'accordo e che abbiamo più volte sollecitato. Infatti, l'articolo 6 del decreto-legge in discussione, nel definire l'ambito di applicazione della legge, esplicita che la norma si applica agli indiziati di appartenere, oltre che alla mafia e alla camorra, anche alla 'ndrangheta, riprendendo su questo punto una proposta avanzata proprio dal gruppo del Partito Democratico. L'istituzione dell'Agenzia risponde dunque in parte ad esigenze poste da tempo all'attenzione del Parlamento. Sui beni sequestrati alla criminalità organizzata, bisogna ricordare che in passato il centrodestra ha avuto un atteggiamento contraddittorio e altalenante. Pag. 40
Nel 1999, quando al Governo c'era una coalizione di centrosinistra, la Presidenza del Consiglio, per rendere più efficaci le disposizioni introdotte dalla legge n. 109 del 1996 che, come è stato ricordato anche prima, è una delle leggi fondamentali sulla materia che stiamo affrontando oggi, istituì l'ufficio del commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali.
Bene, il 23 dicembre 2003, con una decisione a sorpresa, l'ufficio del commissario venne soppresso con un decreto del Governo Berlusconi, che nel frattempo era tornato al Governo con la coalizione di centrodestra.
Lo ricordo non per polemica, ma perché questa decisione ha prodotto una serie di danni e un arretramento sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista sostanziale nella lotta alla mafia, tant'è vero che oggi si torna ad affrontare la questione e per fortuna, mi sento di aggiungere, l'orientamento del centrodestra si è al riguardo modificato; infatti, si torna a parlare di un'agenzia che, di fatto, ricalca le funzioni e i poteri che l'ufficio del commissario straordinario aveva ricoperto nella fase precedente.
Da allora, in diverse occasioni, è stata evidenziata la necessità di ripristinare un soggetto istituzionale in grado di migliorare la lotta alla criminalità organizzata attraverso un'aggressione ai patrimoni mafiosi. Questo nasce soprattutto dal fatto che il crimine organizzato non si dedica solo ad attività illegali convenzionali, che rappresentano proventi per opportunità di investimento, e la sua principale capacità risiede nello stabilire connessioni con burocrati, imprenditori e politici.
Basta pensare alle recenti vicende relative al senatore Di Girolamo e a tutto quello che attorno a quella vicenda è in qualche modo emerso nel dibattito politico. Ho anche presente la discussione che al Senato si è svolta su questo punto e temo alcuni atteggiamenti giustificatori del comportamento del senatore Di Girolamo, perché solo così si possono leggere gli applausi che egli ha ricevuto nel suo discorso di dimissioni (dimissioni, ricordiamolo, imposte sostanzialmente dalla situazione imbarazzante ed indifendibile che era emersa).
Tornando al punto che stavo sviluppando, questa vicenda ricorda da vicino quali rischi le infiltrazioni criminali pongono anche rispetto al mondo della politica. Nascono e crescono imprese quasi perfette, con affiliati professionisti, tutte caratterizzate dalla capacità di offrire beni e servizi e di creare opportunità occupazionali. Vi è un'economia del crimine, insomma, alla base della criminalità organizzata, ispirata dalle stesse motivazioni del sistema della libera impresa; un sistema di impresa capace di superare tutte le barriere normative ed arrivare, attraverso la formazione di cartelli ed alleanze, a controllare e monopolizzare il mercato.
Dobbiamo sapere che con questo ci si confronta e a questi temi deve rispondere la normativa sulla confisca e il sequestro dei beni alle mafie. Di recente, Francesco Inzerillo, che è un noto esponente di uno dei clan mafiosi più importanti di Palermo, intercettato (anche su questo credo vada aperta una riflessione, perché evidentemente lo strumento delle intercettazioni non può essere utilizzato in modo ondivago; se è uno strumento che serve, e noi crediamo che esso serva e sia, anzi, fondamentale, soprattutto per la lotta alla criminalità organizzata, è bene ritirare alcune proposte di legge che invece il centrodestra ha presentato in Parlamento, che depotenziano questo strumento) nel corso dell'operazione Old Bridge, che si è conclusa nel febbraio di due anni fa ed è stata condotta dalla polizia di Stato italiana insieme alla FBI americana, così si esprimeva rispetto alla confisca dei beni: basta essere incriminati per il 416-bis ed automaticamente scatta il sequestro dei beni. Cosa più brutta della confisca dei beni non c'è; quindi, la cosa migliore è quella di andarsene.
Queste sono parole di un importante mafioso, che, in qualche modo, evidenziano l'efficacia di alcune norme, se queste riescono a colpire davvero i patrimoni. Del resto, l'adeguamento della legislazione sul Pag. 41contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso è reso necessario anche dalle recenti acquisizioni investigative contenute nella relazione al Parlamento sulla politica dell'informazione per la sicurezza per il 2009.
È un documento che è stato trasmesso di recente al Parlamento e che credo sia, anche in questo caso, uno strumento molto utile per capire l'oggetto della discussione di oggi. In questa relazione si dice che il livello di minaccia espresso dal fenomeno mafioso resta elevato, soprattutto per la capacità dei sodalizi di inquinare e condizionare l'economia non soltanto a livello locale, ma anche a livello nazionale.
Per quel che concerne la geografia criminale, a conferma di un trend in progressione, si è rilevato il sempre più diffuso radicamento delle organizzazioni mafiose in molte regioni centro-settentrionali, ove hanno sviluppato modalità e strategie di infiltrazione tipiche dell'area di origine.
Soprattutto in Lombardia il fenomeno ha assunto proporzioni e profili a rischio affatto distinti dai contesti di provenienza, con la riproposizione di logiche di potere e conflittualità particolarmente cruente; criticità sono emerse anche in Piemonte, Liguria, Lazio ed Umbria.
Il profilo economico delle organizzazioni mafiose si è ulteriormente consolidato, forte di un costante esercizio intimidatorio e della disponibilità di ingenti capitali illeciti da reimpiegare, nel rilevamento di aziende in sofferenza, nonché nella gestione diretta di impresa. Parallelamente, il coinvolgimento in termini collusivi di circuiti professionali, tecnico-amministrativi e imprenditoriali si è tradotto in veri e propri comitati affaristici, finalizzati a veicolare gli interessi mafiosi verso i settori di intervento più remunerativi: significative, al riguardo, le acquisizioni di intelligence relative all'attenzione predatoria delle cosche verso i grandi progetti riqualificativi e ricostruttivi in ambito nazionale, dall'Expo 2015 alla TAV, dai lavori stradali ed autostradali alla ricostruzione post-terremoto in Abruzzo, dal settore energetico al Ponte sullo Stretto. E da questo punto di vista, aggiungo che anche in Veneto (prima l'onorevole Molteni parlava della Lombardia), la regione da cui provengo, sono presenti infiltrazioni delle organizzazioni mafiose, che si evidenziano in particolare in questo momento di crisi attraverso l'acquisto di ingenti patrimoni. Di recente, alla fine del 2008, la procura distrettuale antimafia di Palermo, durante un'operazione che ha portato all'arresto di alcuni esponenti della famiglia mafiosa dei Lo Piccolo di Palermo, ha evidenziato come questa organizzazione mafiosa stava progettando di investire un'ingente somma di denaro, circa 8 milioni di euro, nella costruzione di complessi edilizi intervenendo nel piano di riqualificazione urbanistica ed ambientale denominato ex Area Adria Docks a Chioggia, in provincia di Venezia, nella costruzione di appartamenti a Cantarana di Cona, sempre in provincia di Venezia, e ad Abano Terme in provincia di Padova, una delle località più note per le cure termali di tutto il Paese. Lo ricordo perché a tali vicende alle volte si guarda quando c'è la notizia, c'è l'attenzione dell'opinione pubblica, poi ci si dimentica di ciò e non si tiene conto di come i rischi di questo tipo invece portano all'inquinamento effettivo della nostra economia; e su ciò la possibilità di sequestrare in modo efficace, confiscare, riutilizzare i beni mafiosi è il deterrente più forte che si può mettere in moto.
Alla luce di questa situazione, si tratta di proseguire e di aggiornare il lavoro intrapreso tanti anni fa da uno dei protagonisti della lotta contro la mafia, Pio La Torre (è stato ricordato prima di me da altri colleghi), la cui attività viene tradotta nella legge cosiddetta Rognoni-La Torre, che ha introdotto la confisca dei beni per coloro che sono riconosciuti mafiosi. Il settimo comma dell'articolo 416-bis prevede che nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto, o che ne costituiscono l'impiego. La direzione da Pag. 42intraprendere è proprio questa: colpire la mafia non soltanto perseguendo i singoli reati, bensì nella fase di accumulazione di quegli ingenti capitali che sono il valore aggiunto dell'organizzazione, che riesce sempre a ricostruire le fila del proprio esercito grazie alla grande disponibilità di denaro, elemento inquinante dell'economia e della società, così come ho provato ad illustrare con alcuni esempi prima.
All'Agenzia è conferita, per come è strutturata dal decreto-legge, la duplice qualità di amministratore giudiziario e di soggetto titolare del potere di destinazione dei beni. In questo modo, in teoria, si superano le attuali due distinte fasi di amministrazione dei beni che non consentono né una gestione rapida e ottimale, né una destinazione rapida ed efficace dei beni sottoposti al sequestro e devoluti al patrimonio dello Stato. Oggi la prima fase è affidata all'autorità giudiziaria, che governa i beni fino alla confisca; la seconda fase compete all'Agenzia del Demanio, che si occupa della destinazione del bene per raggiungere obiettivi di utilità sociale. Le due fasi, nel corso del tempo, si sono rivelate inadatte ad amministrare e destinare i beni sottratti alla disponibilità dell'organizzazione criminale di stampo mafioso: infatti, mentre la normativa contro i patrimoni della criminalità organizzata afferma principi e stabilisce misure che colpiscono la mafia, la camorra e la 'ndrangheta, le organizzazioni criminali hanno imparato a difendersi, mettendo al riparo beni, imprese ed affari con strumenti e tecniche sempre più sofisticati. Anche per queste ragioni, lo strumento normativo attualmente a disposizione della fase successiva alla confisca dei beni mafiosi, quella che va dalla sentenza di confisca all'assegnazione agli enti pubblici, risulta complesso ed inadeguato: solo il 10 per cento dei beni conferiti viene con difficoltà realmente utilizzato.
I tempi per arrivare ad una confisca definitiva sono troppo lunghi, e ciò incide modo decisivo su tutti i beni: sia su quelli non produttivi che spesso, potendo essere rapidamente utilizzati, subiscono un depauperamento e un danneggiamento a volte doloso, sia sui beni produttivi come le quote sociali che, affidate a professionisti non sempre dotati di doti manageriali adeguate, non riescono a partecipare al mercato in modo concorrenziale e, quando vengono confiscati, spesso hanno perso parte del loro valore. Appare quindi necessaria una gestione dei beni con criteri diversi già nella fase del sequestro; inoltre, dopo la confisca, è necessario un rapido affidamento ad un ente capace di gestirli e di destinarli al riutilizzo in termini imprenditoriali e sociali. La confisca ed il riutilizzo di un bene sottratto con difficoltà alla criminalità è un impegno etico: non può essere ridotto a una semplice procedura burocratica. L'istituzione dell'Agenzia si propone la finalità di superare tutte queste difficoltà e di migliorare la gestione e l'allocazione dei beni sequestrati attraverso l'unitarietà degli interventi e la programmazione, a partire dalla fase dell'amministrazione giudiziaria della destinazione finale dei beni. Appare necessario, da questo punto di vista, per rendere più incisiva la lotta alla criminalità, ridurre al minimo il periodo intercorrente tra il sequestro e la destinazione definitiva dei beni. Per questo il decreto, con l'istituzione dell'Agenzia, prova a determinare un rapporto immediato e indiretto tra Agenzia stessa e autorità giudiziaria che ha competenza sui procedimenti penali e di prevenzione. Inoltre, l'istituzione dell'Agenzia e i compiti che il decreto le assegna avrebbero l'obiettivo di liberare l'autorità giudiziaria da una serie di incombenze burocratiche, per assicurare maggiore funzionalità agli uffici giudiziari. Queste sono le intenzioni, che troviamo anche nella relazione del Governo al decreto. La realtà e le caratteristiche dell'Agenzia però rischiano di non essere idonee a raggiungere gli obiettivi delineati, e questo è il motivo per cui abbiamo presentato - non tanti, a dire la verità - emendamenti precisi nel tentativo di correggere alcuni punti del provvedimento che non ci convincono; in particolare, per la complessità della materia, per alcune difficoltà operative e organizzative valutate in modo un po' sbrigativo, come il rile Pag. 43vante numero dei beni sequestrati e le esigenze proprie della fase giudiziaria, oltre che per l'eccessiva concentrazione delle competenze, non accompagnata da adeguate misure organizzative e finanziarie. In particolare, l'accentramento dei compiti di amministrazione nella sola Agenzia rischia di disperdere il contatto diretto tra giudice e amministratore e non tiene conto delle difficoltà operative derivanti dal consistente numero di sequestri emessi in sede penale e di prevenzione.
L'attribuzione all'Agenzia dell'amministrazione dei beni sequestrati e la conseguente riduzione dei poteri del giudice rischia di creare criticità sia nella fase dell'esecuzione del sequestro che in quella dell'amministrazione, con il rischio che i beni vengano dispersi e che sorgano difficoltà operative e costi maggiori. Gli emendamenti presentati dal gruppo del Partito Democratico portano a superare i limiti appena evidenziati, attraverso l'attribuzione all'Agenzia di funzioni di supporto all'Agenzia stessa nella fase successiva al sequestro. I miglioramenti proposti con gli emendamenti consentono all'Agenzia di ricevere l'immediata comunicazione dei provvedimenti di sequestro - al fine di monitorare i beni oggetto del provvedimento -, di avanzare alla magistratura proposte sull'utilizzo del bene in vista della destinazione finale, di fornire un opportuno aiuto all'autorità giudiziaria e all'amministratore, affiancandoli nella gestione con peculiari competenze tecniche, di proporre all'autorità giudiziaria gli interventi e i provvedimenti utili ad una migliore funzionalità dell'amministrazione.
Infine, e concludo, Presidente, l'attività dell'Agenzia può essere migliorata e resa più efficace con alcune modifiche dei compiti e delle modalità di funzionamento proposti che, in estrema sintesi, consistono: nell'istituzione di articolazioni territoriali su base regionale - e anche qui un elemento di curiosità: quando si dice rischio di accentramento, fa un po' sorridere che da una parte ci venga spiegata l'importanza del decentramento, di una gestione federale in qualche modo dello Stato e di tutto quello che è connesso all'organizzazione dello Stato e, poi, quando si arriva a individuare l'Agenzia, in tutto questo si perde qualsiasi traccia, rischiando, secondo noi, di disperdere patrimoni importanti acquisiti dalle competenti autorità giudiziarie anche a livello periferico e dalle prefetture nel potenziamento della dotazione organica di personale - altro elemento molto delicato -, nell'istituzione di un Fondo apposito per la gestione dei beni e, infine, nell'attribuzione di un maggior ruolo agli enti locali interessati. Questo punto è di particolare importanza proprio per collaborare con l'autorità giudiziaria, con l'istituenda Agenzia e con le prefetture, per evitare che i beni sequestrati rischino di rientrare in qualche modo in possesso della criminalità organizzata.
Per tutte queste ragioni abbiamo presentato degli emendamenti che mi auguro vengano valutati con la dovuta attenzione, proprio nel tentativo di migliorare il provvedimento in discussione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.

GUIDO MELIS. Signor Presidente, come è noto e come è stato ribadito ormai da diversi interventi di colleghi del mio gruppo, il Partito Democratico condivide e sostiene la creazione di un'Agenzia nazionale preposta all'amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Non è quindi questo il punto in discussione: questa proposta è stata infatti per anni la nostra proposta, portata avanti sia in Commissione antimafia sia in Parlamento attraverso vari atti che sono agli atti parlamentari e sistematicamente avversata, per la verità, da molti di coloro che costituiscono l'attuale maggioranza.
Denunciamo da tempo - lo abbiamo sempre detto con chiarezza - l'inadeguatezza della normativa in materia, risalente nel suo primo nucleo al 1965, il macchinoso iter secondo il quale i beni confiscati erano trasferiti al demanio dello Stato e Pag. 44poi solo successivamente, sentiti il parere dei prefetti e quello dei sindaci dei comuni interessati, destinati all'attività socialmente utile. Questo iter ci è sempre apparso lento, burocratico, suscettibile di troppi ritardi e di troppe lungaggini, quando è evidente a tutti che la stessa natura dei beni - si tratta spesso di attività economiche, di attività industriali da sottrarre al circuito mafioso che assicurava loro indebiti vantaggi e protezioni, che devono essere inserite senza interromperne il corso nella libera gara della concorrenza, è quindi un'operazione molto complessa, difficile, difficoltosa - richiede adempimenti rapidi, decisioni pronte, una gestione - come si usa dire oggi - manageriale.
Rispetto a questo problema, neppure l'istituzione, con il decreto del Presidente della Repubblica 19 gennaio 2001, del commissario straordinario del Governo per la gestione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali valse a snellire a sufficienza il percorso successivo alla confisca definitiva dei beni. Ricordo per sommi capi gli intenti che presiedettero all'istituzione del commissario, così come all'epoca venivano riassunti dal Governo di allora: realizzare - si diceva - la massima collaborazione tra tutti i soggetti impegnati in questa attività; mettere in rete le risorse dell'Agenzia del demanio, delle prefetture, delle regioni e degli enti locali e collegarle alle associazioni e alle cooperative, protagoniste principali della funzione sociale del bene confiscato; raccordare la fase del sequestro giudiziario alla fase della destinazione e dell'utilizzo; individuare i modelli di intervento condivisi da praticare sui territori con continuità amministrativa.
Come si vede, tali intenti ed obiettivi non sono troppo dissimili da quelli che oggi vengono evocati come ispiratori dell'attuale provvedimento. Anche allora, come oggi, si dichiarava - cito ancora testualmente - di voler dirigere l'azione all'utilizzo effettivo dei beni, a promuovere pubblicità e trasparenza nelle assegnazioni, a sostenere gli enti locali, le associazioni e le cooperative nella proposta di progetti sostenibili e nella ricerca delle risorse finanziarie al fine di assicurare l'utilizzo effettivo e lo sviluppo dei beni e delle aziende confiscate.
Ma perché allora l'istituto del commissario non ha funzionato? A me sembra, signor Presidente, che non possiamo non porci questa domanda: dobbiamo porcela, se non vogliamo incorrere negli stessi difetti e negli stessi errori che hanno impedito, dopo il 2001, il raggiungimento dei nobili obiettivi alla base di quel provvedimento.
A me sembra che il commissario non abbia funzionato per due fondamentali ragioni. La prima è che la sua azione pur concentrata e autonoma, così come era delineata nel provvedimento, non ha di fatto sufficientemente interloquito nella pratica con le funzioni di altri due soggetti istituzionali ineliminabili nella fase del sequestro e anche nella successiva fase dell'utilizzazione e assegnazione dei beni, e cioè la magistratura, da una parte, e il prefetto, dall'altra. Vi è stata, come spesso accade nella nostra ingegneria istituzionale, che spesso è molto astratta (ed è un suo difetto cronico), una sovrapposizione di organi e non già la loro armonizzazione in un'unica scala.
Le diverse amministrazioni sono andate ognuna per conto proprio, gelose come sono in genere le amministrazioni delle proprie prerogative e, se possibile, anche sorde a qualunque forma di collaborazione. Il risultato è stato quello, constatato tante altre volte nella nostra storia amministrativa, che i buoni propositi sono rimasti sulla carta della legge.
La seconda ragione è di ordine finanziario: non sono state sufficientemente previste adeguate risorse finanziarie da destinare al recupero funzionale dei beni confiscati, beni troppo spesso ridotti in stato di abbandono e di inefficienza dalla lunga fase del sequestro giudiziario su cui ritornerò subito. Di conseguenza le imprese mafiose risanate e restituite in fine all'attività di mercato ma senza più la rete protettiva delle cosche sono in genere fallite o si sono trovate in gravissima Pag. 45difficoltà. Più in generale, i beni nella lunga attesa di essere ridestinati sono deperiti perdendo il loro valore.
Ho parlato prima di sequestro giudiziario. Vorrei per un momento attirare l'attenzione su questa prima, delicatissima fase della procedura della quale stiamo parlando, fase nel corso della quale i beni, almeno sino ad oggi, erano assoggettati esclusivamente all'amministrazione giudiziaria. È vero che i beni restavano per così dire inerti in questa fase, privi, nell'attesa necessaria del pieno espletamento delle indagini, di una loro possibile attivazione economica e sociale. Questa inerzia - ne convengo volentieri - è stata spesso un fattore di negatività.
Signor Presidente, se mi consente traggo da una vicenda recente della quale mi è capitato di occuparmi anche con un'interrogazione al Ministro dell'interno qualche ulteriore argomento per illustrare i limiti e la gestione dei beni nella fase del sequestro giudiziario. Nel comune di Monterotondo la comunità religiosa romena che fa capo alla Chiesa greco-ortodossa, già da tempo, dall'anno 2005 per l'esattezza, ha richiesto l'assegnazione temporanea a scopo di esercizio del culto di un edificio facente parte di un patrimonio sottoposto appunto a sequestro giudiziario. Sono beni ex mafiosi, per dir così. I beni dei quali sto parlando, pure individuati da tempo dalle autorità cittadine e specificamente dal comune di Monterotondo per essere destinati anche a tale scopo e come tali sottoposti all'attenzione del tavolo istituzionale permanente per la destinazione e l'utilizzo dei beni confiscati alla criminalità presso la prefettura di Roma, non sono stati e non sono tuttora disponibili per l'insistere su di essi di due distinti procedimenti penali ancora non definitivamente risolti. Il 2 febbraio 2009 il prefetto di Roma, dopo una serie di attività paraistituzionali per accelerare le pratiche, ha esortato il commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali affinché venisse richiesto nuovamente alla Corte d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, presso la quale - insisto - il procedimento penale non è ancora concluso, di ottenere il dissequestro dei locali. Ad oggi, siamo nel marzo 2010, nessuna risposta è stata data a questa istanza, nonostante il Ministro si fosse impegnato nella risposta alla mia interrogazione a facilitarne l'iter. È una piccola vicenda locale che forse potrebbe anche apparire irrilevante, ma non lo è affatto in realtà perché a nessuno può sfuggire l'importanza di consentire ad una comunità di quasi mille fedeli, tanti ne gravitano intorno alla chiesa greco-ortodossa di Monterotondo, di praticare serenamente il proprio credo religioso. Vi si sommano però una serie di problemi aperti, più generali che mi auguro il provvedimento oggi in discussione potrà affrontare e risolvere.
Ci troviamo di fronte a due concomitanti esigenze infatti, che riassumerei in questi termini. Da un lato dobbiamo garantire una più efficiente gestione dei beni sin dalla fase del sequestro giudiziario privilegiando, come ci chiede espressamente la legge, una destinazione a scopi sociali che al tempo stesso si mantenga nei confini di un'accettabile utilizzazione economica. Cito a proposito una bella frase del collega senatore Lumia, il quale ebbe a dichiarare tempo fa - condivido pienamente questa sua affermazione - che bisogna dimostrare che lo Stato è più bravo della mafia, che lo Stato promuove concretamente i diritti dei cittadini, mentre la mafia li nega e li mortifica. Dunque, per concludere su questo primo punto, occorre che l'Agenzia gestisca i beni con una logica che - mi si consenta - non può essere puramente economicistica: non basta farli fruttare questi beni in una logica di puro mercato, ma occorre che si segua l'intento di farli fruttare, realizzando scopi sociali utili, direi scopi economici eticamente validi. E questo è molto più difficile, naturalmente.
Dall'altro lato, però, dobbiamo valutare con estrema attenzione quale sarà il rapporto tra la nuova Agenzia e gli altri due soggetti in campo che ho citato in precedenza: la magistratura a monte, nella fase delicata del sequestro giudiziario, quando Pag. 46ancora insistono sui beni - o possono insistere - indagini in corso, e la rete dei prefetti sul territorio a valle, quando si tratta di reinserire i beni nel mercato, di rimetterli in funzione con le proprie gambe, eventualmente, affidandoli ad associazioni o anche a singoli privati, affinché tali beni riassumano il loro ruolo naturale nell'economia dei territori ove sono inseriti. Solo il prefetto può conoscere il territorio ed essere in grado di operare, in questa fase, con cautela, discrezione, intelligenza ed acume.
Nella prima fase, in particolare - fase delicatissima, perché il bene sequestrato ancora non ha cessato di essere oggetto di indagini - credo, invece, che il dominus non possa essere l'Agenzia, come prevedeva il provvedimento in questione (accolgo con favore ed uso questo verbo al passato, visti i segnali di ravvedimento che mi sembra vengano dalle parole del relatore; vedremo). Ritengo che, in questa prima fase, il dominus non possa essere l'Agenzia, ma debba essere, anzi, non possa non essere, il giudice preposto al sequestro.
Nel fare questa affermazione, mi rendo perfettamente conto di quali sono le possibili obiezioni: se si lasciano le cose come sono, inevitabilmente, il bene sarà ancora amministrato burocraticamente, e quindi, a rischio di danneggiarsi o di estinguersi. Penso che a questa obiezione si possa e si debba rispondere non spostando la titolarità del controllo del bene dal giudice all'Agenzia, ma introducendo, già in questa prima specifica fase, quella del sequestro, una gestione del giudice assistita dall'azione intelligente dell'Agenzia. Dovremmo, cioè, immaginare la fase del sequestro come strettamente connessa a quella successiva della destinazione, con una specie di «scivolo» che, pur essendo strutturalmente distinte le due fasi, e non possono non esserlo, costituisca un unico percorso, senza soluzione di continuità.
Occorre, dunque, che in questa sorta di fase preparatoria, Agenzia e magistrato collaborino, come oggi non avviene con il commissario, bisogna dirlo con franchezza. Cooperino - abbiamo usato questo verbo in uno dei nostri emendamenti - e si crei una felice sinergia tra le istituzioni, in modo da gestire il bene sin da questa prima fase (non come oggi che, in pratica, se ne fa un'amministrazione puramente burocratica), anche prevedendo, a somme linee, quale potrà essere la sua sorte futura, al fine di programmare l'assegnazione e la destinazione dei beni.
Da questa sinergia, che andrebbe meglio specificata e stabilita nelle norme, può venire un continuum virtuoso nel quale il bene potrà trovare, già in questa fase, una sua utilizzazione ed attivazione socialmente utile. Per fare un esempio che mi viene facile, ciò è accaduto nel caso di Monterotondo, che ho citato in precedenza, quando il bene è stato affidato temporaneamente all'uso della chiesa greco-ortodossa. Ciò in contrasto con una semplice custodia passiva: penso alle imprese ex mafiose e gli altri casi che si possono immaginare.
Il provvedimento che stiamo discutendo mi lascia, sotto questo specifico profilo, alquanto perplesso. La relazione che ho letto con attenzione spiega che attribuendo alla sola Agenzia un unico soggetto - si insiste molto sull'unicità del soggetto: la qualità di amministratore dei beni sequestrati e confiscati e quella di soggetto titolare della potestà di destinazione dei beni - si compie una semplificazione, che di per sé sembra virtuosa, perché si libera il giudice da una serie di incombenze con effetti positivi anche sulla funzionalità degli uffici giudiziari.
Ripeto: capisco questa logica e ne comprendo anche i fini ma, nella fase del sequestro, il bene è come se fosse «in mezzo al guado», non potendo essere definitivamente assegnato al suo definitivo destinatario e, al tempo stesso, essendo ancora concretamente oggetto di indagine. Possiamo immaginare, in questa fase, di escludere il giudice responsabile?
Vorrei spingermi oltre. Infatti, mi domando e vi domando: è bene che anche la delicatissima funzione successiva - quella della destinazione del bene - sia concentrata in capo alla sola Agenzia? Pag. 47
Siamo in presenza di interessi molto robusti, plausibilmente soggetti ad appetiti voraci: vi è tutto il capitolo, molto preoccupante, delle infiltrazioni mafiose per ricomprare i beni; sento che ora si vogliono trovare rimedi a questo rischio, e me ne compiaccio, ma comunque il rischio resta. In casi come questi, non dovremmo immaginare un temperamento dei poteri assoluti e discrezionali posti in capo a un solo soggetto decidente? Non dovremmo, proprio al fine di evitare che si ripetano prassi deprecabili oggi rimbalzate sulle prime pagine dei giornali, fare in modo che le decisioni rilevanti siano concertate, chiamando a parteciparvi più soggetti istituzionali?
Signor Presidente, io penso ad un'Agenzia che non sia concepita come un super potere a sé stante (come, ahimé, in tanti casi recenti, abbiamo dovuto denunciare), come un potere esterno all'amministrazione, che si sovrappone ai poteri dell'amministrazione civile e giudiziaria, schiacciandoli ed emarginandoli.
Penso ad un soggetto che unisca l'agilità esecutiva e la rapidità di decisione: il che comporta, naturalmente, l'esercizio di poteri autonomi, ma che siano ben delineati e non discrezionali, non generici; penso ad un soggetto che, poi, unisca questa rapidità di decisione con la capacità di fare rete, dialogando tra istituzioni, senza nulla togliere alle competenze costituzionalmente e legislativamente garantite ad altri soggetti.
Su questo specifico punto, mi si consenta una digressione. Corre una linea di divisione profonda tra noi e i colleghi della maggioranza: voi, colleghi della maggioranza, in questo come in altri provvedimenti vi ostinate a vedere nella sola concentrazione dei poteri e nella creazione di organismi eccezionali, svincolati dalle regole che reggono l'amministrazione nel suo complesso, la soluzione di ogni problema, la panacea di tutti i mali presenti. Noi, al contrario, pensiamo che sull'amministrazione si debba lavorare per migliorarne gli standard, certamente insufficienti, e affrettarne i tempi di realizzazione delle politiche pubbliche, certamente troppo ritardate, soprattutto curando, però, che i veri soggetti che compongono l'apparato amministrativo siano tra loro in sintonia, agiscano all'unisono e funzionino come un'unica rete, un'unica sequenza, ognuno con la propria competenza e la propria missione, ognuno con la propria responsabilità, ma retti da una strategia e da un disegno comune. In questo modo concepiamo la pubblica amministrazione e la riforma della pubblica amministrazione in Italia, non attraverso una fuga dalla pubblica amministrazione verso altri lidi che non si sa quali debbano essere: i lidi dell'eccezione, dell'eccezionalità.
Aggiungo un ulteriore motivo di perplessità: un'Agenzia come quella prefigurata dovrebbe poter anche contare su assetti organizzativi adeguati e qui si pone un altro punto critico dell'attuale provvedimento. Leggendo l'articolato mi ha colpito a prima vista la sproporzione tra i compiti affidati all'Agenzia - che sono ingenti, concentrati, da espletarsi rapidamente e con efficacia - e l'organico, i mezzi materiali e le stesse regole funzionali che si prevedono per espletare tali compiti.
Non vorrei essere frainteso. Nessuno propone di creare strutture burocratiche ipertrofiche come troppe volte si è fatto in passato nelle pubbliche amministrazioni: ben vengano, specie se si tratta di agire sul terreno dell'economia (e una parte delle funzioni che, immaginiamo, appartengono certamente a questo terreno). Ben vengano le équipe di pochi e competenti, con pochi livelli intermedi di comando e capacità di mobilitazione in tempi brevi.
Tuttavia, non vorrei che, al tempo stesso, rarefacendo risorse umane e mezzi organizzativi, si preludesse - come diceva in precedenza l'onorevole Ferranti - ad un uso dell'Agenzia come «ente passacarte», il quale poi deve necessariamente, se vuole raggiungere i suoi scopi pratici, ricorrere a soggetti esterni, magari non pubblici, magari ingaggiati attraverso atti che non sono assistiti dai controlli e dalle garanzie rituali che sarebbero necessarie. Non vorrei, insomma - e scusate se dopo la brutta vicenda relativa alla Protezione Pag. 48civile Spa siamo diventati tutti più diffidenti - che ci ritrovassimo con un'Agenzia che compra fuori dallo Stato le consulenze, le professionalità e le competenze pratiche delle quali non dispone in casa propria.
Vi è infine un ulteriore punto che vorrei toccare, relativo alla sorte dei beni che non siano, per cause varie, destinati a finalità di pubblico interesse e che debbono, dunque, essere rimessi sul libero mercato. Si tratta di un passaggio molto delicato e noi domandiamo, con una specifica proposta emendativa, che questa delicatissima operazione sia assistita da speciali garanzie; essa, infatti, implica il contatto diretto con una platea di interessi non definibili dalla loro finalità sociale, ma indistinti e naturalmente legittimi; non voglio con questo dire che debbano essere per forza criminosi, ma è evidente che, quando non vi è una finalità sociale, bisogna essere più cauti e più attenti.
Vorremmo, appunto, che questa delicatissima operazione fosse assistita da speciali garanzie: che le cause della mancata finalizzazione sociale dei beni, quando ci si arriva, siano sempre adeguatamente documentate - deve costituire un'eccezione, non una prassi, la rinuncia alla finalizzazione sociale - e che comunque la vendita del bene avvenga vigorosamente al prezzo di mercato, con un riflettore acceso da parte dell'amministrazione su questo particolare e delicatissimo momento.
Aggiungo a questa richiesta un ulteriore suggerimento, contenuto in un altro emendamento: che l'Agenzia riferisca periodicamente della sua attività non ai Ministri dell'interno e della giustizia, come prevede l'attuale testo, bensì al Parlamento, con una relazione dettagliata sulla consistenza dello stato dei beni e sulle problematiche insorte in relazione alla loro gestione. Naturalmente, la ratio di questo emendamento è comprensibile a tutti: si tratta di rendere il più possibile trasparente la gestione di questa particolare e delicatissima fase di restituzione al mercato dei beni confiscati, impedendo che essi abbiano una destinazione diversa da quella che tutti auspichiamo.
Intendiamo, con questi emendamenti e con altri che qui non richiamo, sottolineare quella che dovrebbe essere e restare l'ispirazione fondamentale della legge in discussione, cioè che i beni frutto dell'attività criminosa siano riqualificati e riutilizzati nel nome di quegli stessi interessi sociali che la mafia ha offeso, ha inteso colpire, mortificare ed emarginare. Qui sta la ratio del provvedimento, qui dobbiamo individuare la vera ratio del provvedimento, in questo colpiamo davvero le organizzazioni criminose e in questo il provvedimento può diventare parte di una strategia più complessiva di opposizione alle forme di criminalizzazione in atto nel nostro Paese.
Lo scopo della legge è e dovrebbe restare quello di attivare nella società civile, attraverso queste risorse strappate alle organizzazioni criminali, una reazione etica alle stesse organizzazioni criminali, nella consapevolezza che la delinquenza si combatte, oltre che con opportune politiche di polizia, con la ricomposizione e la rivalorizzazione di quegli assetti sociali disgregati sui quali la mafia ha potuto alimentare il proprio potere.
Vorrei aggiungere che quando questi beni fossero restituiti all'uso della società civile occorrerebbe una fase successiva di assistenza, di controllo, di tutela, quasi di tutoraggio nei confronti di coloro che ne vengono in possesso, ad impedire quello che spesso avviene, cioè che essendo stati restituiti beni privati, queste imprese e questi patrimoni vadano incontro a delle difficoltà enormi.
Se si perdono di vista questi obiettivi e se ci si riduce a mere riconversioni economiche in una logica meramente produttivistica, può facilmente accadere quello che temiamo e denunciamo con forza, cioè che l'intera gestione e restituzione al mercato dei beni confiscati possa andare a vantaggio proprio di quei grandi potentati economici, mafiosi, camorristici e via discorrendo, che avremmo dovuto colpire con questa operazione. Credo che nella fase di discussione degli emendamenti dovremmo tenere presente questo rischio che Pag. 49non è soltanto virtuale (purtroppo è reale, sta nella realtà dei fatti) e che dovremmo correggere il provvedimento.
Mi pare di cogliere nelle parole che ha pronunciato il relatore, in particolare l'onorevole Contento, all'inizio del pomeriggio, segnali positivi in questa direzione; me ne compiaccio molto e penso che su quei segnali si possa lavorare. Mi auguro che non restino solo dei segnali, che il provvedimento esca da questa discussione profondamente corretto nei punti che ho indicato e in altri che hanno indicato i miei colleghi e che si evitino nefasti e paradossali esiti finali, che forse nessuno di noi, indipendentemente dal posto in cui siede al Parlamento, si augura (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, nel mio intervento cercherò di essere puntuale e di andare al senso della questione, perché credo che, rispetto ad alcuni argomenti così importanti e anche sensibili che riguardano la storia, il presente e anche la prospettiva della cifra di dignità che il Governo e il Parlamento si vogliono dare, bisogna trovare il coraggio, tra maggioranza e opposizione, di mettere in campo argomentazioni che vadano al senso concreto delle questioni.
Credo che uno degli elementi fondanti, in questo caso e in questo provvedimento, sia costituito dal fatto che nella storia di una serie di atti legislativi, importanti e significativi, che ci hanno condotto fino ad oggi si debba poi mettere in campo qualche altra opzione che, a mio avviso, si è colmata con questo provvedimento. Mi riferisco alla gestione commissariale, per la quale ritengo che la proposta dell'istituzione dell'Agenzia possa e debba rappresentare proprio il suo superamento in termini strategici e organizzativi attraverso poi una declinazione importante, seria e concreta di una serie di reti e di responsabilità, senza confusione di ruoli e invasioni di campo.
Dico questo come premessa perché penso che poi si rischia, da più parti, di essere ultronei piuttosto che contribuire magari a migliorare, a ottimizzare e a concretizzare, di più e meglio, una proposta che giudico, in questo momento, oltremodo significativa. Dobbiamo avere anche, in un certo senso, il coraggio culturale e politico e, al di là delle parti, dire che vi sono degli elementi di innovazione estremamente importanti, che pure vanno colti. Evidentemente, si deve anche avere la cognizione del proprio ruolo all'interno del quale bisogna mettere degli elementi importanti e di significato, che appartengono alla storia e alla cultura personale e politica di chi, magari, in questa occasione e in questo momento storico è stato consegnato all'opposizione.
Credo che vi siano tutti questi elementi e ritengo che questa sia la parte più importante e significativa che fuoriesce ed è fuoriuscita all'interno del dibattito nelle Commissioni. Anche il nostro gruppo ha partecipato in maniera significativa, con una serie di emendamenti che sono aumentati nel numero e che nella sostanza, nella qualità e nel merito hanno dato, in un certo senso, un contributo importante. Mi auguro che questi servano a portare avanti, di più e meglio, questo provvedimento, affinché colpisca direttamente quelle tematiche, anche non in termini risolutivi, che da più parti sono state richiamate.
Ritengo che l'istituzione dell'Agenzia nazionale sui beni confiscati per rendere più efficace, veloce e incisiva la legge sulla confisca dei beni, dalla fase del sequestro a quella della destinazione d'uso, vada nella direzione da più parti auspicata e richiesta in questi anni e che, a mio avviso, tutti si aspettavano. Si tratta di un'Agenzia che deve abbreviare i tempi e ridare ordine a tutta questa materia. Tuttavia, l'Agenzia deve essere accompagnata da ulteriori provvedimenti, quali un testo unico in materia di confisca dei beni, il rafforzamento degli strumenti per le indagini patrimoniali e, non ultimo, la concreta attuazione di quella norma, approvata con la legge finanziaria del 2006, che Pag. 50prevede la confisca dei beni ai corrotti e il loro riutilizzo a fini sociali di cui, però, non sappiamo, in questo momento, più nulla.
Vi sono, tuttavia, ancora tante criticità e interrogativi che aspettano delle risposte. Ad esempio, il 36 per cento dei beni confiscati alla criminalità organizzata è sotto l'ipoteca delle banche e il 30 per cento è occupato dagli stessi mafiosi. Allo stesso modo, ricordo la difficoltà di restare sul mercato da parte delle aziende confiscate, la maggior parte delle quali sono rimaste chiuse e poi fallite. Speriamo che l'Agenzia sia capace di dare risposte a questi interrogativi. Valuteremo nel dettaglio e nel merito l'operatività dell'Agenzia, anche se riteniamo che la possibilità di vendere i beni confiscati abbia rappresentato per il Governo, a mio avviso, un atto di debolezza. Penso che da più parti vi sia tale valutazione in termini di debolezza, sia nell'analisi fatta da più associazioni sia da più persone legate a questo tema e a questo problema.
Voglio, a questo punto, dare un contributo in termini di osservazioni e di proposte perché, come sottolinea il Governo nella relazione al provvedimento, negli ultimi venti mesi è cresciuto, in maniera estremamente significativa, il numero dei beni sequestrati e di quelli giunti a confisca definitiva.
Questi beni vanno a sommarsi a quelli sequestrati negli anni precedenti e non ancora confiscati: 3096 beni immobili confiscati, ma ancora da destinare, secondo i dati aggiornati al 31 dicembre 2009.
Si tratta di un patrimonio di straordinario valore per il quale è necessaria un'efficiente struttura di gestione finalizzata all'effettivo riutilizzo sociale dei beni che rappresenta la priorità della legge n. 109 del 1996, come espressamente previsto dall'articolo 3, comma 2, del decreto-legge quando prevede che l'Agenzia provvede all'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati e adotta i provvedimenti di destinazione dei beni confiscati per le priorità e le finalità legate alle istituzioni sociali e all'attività sociale.
L'Agenzia nazionale rappresenta la giusta risposta ai problemi emersi finora nelle procedure di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, ma deve essere rafforzata anche in considerazione della complessità dei compiti attribuiti dal decreto. L'Agenzia, infatti, si occuperà dell'amministrazione dei beni nella fase del sequestro, sostituirà l'Agenzia del demanio e le prefetture nella fase che va dalla confisca definitiva fino al decreto di destinazione.
Inoltre, il comma 4 dell'articolo 3 elenca tutta un'altra serie di funzioni sicuramente importanti (che definirei fondamentali) di indirizzo e linee guida in materia di amministrazione, destinazione dei beni, programmazione del riutilizzo sociale dei beni, verifica delle destinazioni effettuate e collaborazione con altri soggetti istituzionali e associativi. Si tratta di un insieme di attività che sicuramente non è compatibile con le risorse umane ed economiche attribuite all'Agenzia.
Questo penso sia un punto assolutamente nevralgico dell'intero provvedimento. Tuttavia, credo che il rafforzamento possa e debba essere perseguito nelle seguenti direzioni: con l'aumento della dotazione organica del personale contrattualizzato (attualmente è prevista una trentina di unità sia in fase transitoria, sia a regime, come è scritto nella relazione tecnica) e con l'inserimento nel consiglio direttivo (articolo 2, comma 3) di un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dello sviluppo economico e di un rappresentante delle ONLUS per contribuire all'espletamento dei compiti rilevanti e complessi affidati al consiglio direttivo e assicurare una visione d'insieme delle diverse procedure.
Mi riferisco al sequestro, alla confisca, alla destinazione, all'assegnazione finalizzate al riutilizzo sociale dei beni.
Inoltre, è necessaria una dotazione di tre sedi secondarie, poiché si dice - così come riportato anche nella relazione - che nel 2007 sono stati avviati quattro progetti territoriali che hanno portato alla firma di altrettanti Protocolli di intesa, ad Pag. 51esempio, con il comune di Roma (2 febbraio 2007 per 57 unità immobiliari), con il comune di Reggio Calabria (19 febbraio 2007 per 48 unità immobiliari), con il comune di Palermo (5 settembre 2007 per 258 unità immobiliari) e con il comune di Bari (26 settembre per 56 unità immobiliari).
Se si parla di questo, evidentemente bisogna pensare anche alla dotazione di sedi secondarie. Attualmente sono previste soltanto come possibilità all'articolo 3, comma 4, lettera i), a Roma, Palermo - ricordo che la Sicilia da sola rappresenta quasi la metà dei beni immobili confiscati in Italia - e Milano (la Lombardia è la quinta regione per beni confiscati).
Più in generale, sta crescendo il numero dei beni sequestrati e confiscati nelle regioni del nord per un totale di poco più di mille beni immobili confiscati.
Inoltre, e non da ultimo, è necessaria la creazione di strutture stabili di collaborazione nelle prefetture dei capoluoghi di regione dove si concentra il maggior numero di beni (Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, Lombardia e Lazio), attualmente prevista solo come eventualità all'articolo 3, comma 3.
Dovrebbe essere prevista in maniera esplicita anche la possibilità da parte dell'Agenzia di avvalersi dei nuclei istituiti presso le prefetture anche nei rapporti con l'autorità giudiziaria e gli amministratori dei beni. In quest'ottica è importante non disperdere tutte le competenze e le professionalità che si sono formate sul tema, riguardanti molti dirigenti, funzionari e tecnici delle prefetture e dell'Agenzia del demanio.
Molto spesso le difficoltà incontrate nella destinazione dei beni hanno riguardato questioni che non sembrano essere risolte dal provvedimento che istituisce l'Agenzia: i problemi relativi alle ipoteche, alle occupazioni abusive, alla tutela dei diritti dei terzi, alle istanze di revoca delle confische, ai sequestri e alle confische pro quota, ai rapporti con le procedure fallimentari ed esecutive. Queste criticità dovranno essere risolte nella conversione di questo decreto-legge, nei regolamenti previsti e nel disegno di legge sul testo unico antimafia.
Occorre anche un coordinamento maggiore rispetto alla normativa disciplinante il Fondo unico giustizia, in quanto nella legge n. 575 del 1965 si parla ancora del Fondo prefettizio e diverse sono ancora le destinazioni delle risorse previste quali l'edilizia scolastica e l'informatizzazione del processo.
Ritengo che un ulteriore elemento da rafforzare sia la collaborazione con le regioni e gli enti locali. Molto importante si è rivelato il ruolo svolto dalle regioni e dagli altri enti locali (province e consorzi di comuni) per le attività di promozione della legge n. 109 del 1996 e l'adozione di leggi regionali e provvedimenti per il finanziamento dei progetti di riutilizzo dei beni confiscati, a valere soprattutto sulle risorse comunitarie a titolarità regionale (i POR). In particolare, la regione Lazio ha istituito l'Agenzia regionale per i beni confiscati alla criminalità organizzata. Questo, in qualche modo, è uno di quegli esempi virtuosi.
Per questo motivo, sarebbe opportuno prevedere una programmazione da parte dell'Agenzia nazionale che tenga conto delle previsioni contenute nei piani regionali di sviluppo economico e sociale. La nascita di consorzi di comuni per l'assegnazione dei beni confiscati ha avviato anche un percorso di trasparenza e adeguata informazione sui beni ubicati nei comuni.
Tutto ciò per dire che vi è da parte del territorio una presenza forte e importante e anche una grande competenza ed esperienza sulla gestione di questo processo estremamente sensibile e difficile nella sua declinazione ed applicazione.
Ricordo, non da ultimo per non fermarmi alle teorizzazioni, che rispetto a questi dati e a queste osservazioni e ad alcune proposte entrate direttamente nel merito, il nostro gruppo ha presentato qualche tempo fa un ordine del giorno, peraltro accettato dal Governo, in cui si mette in campo una serie di riflessioni importanti per capire lo stato dell'arte e la Pag. 52difficoltà nell'applicazione, soprattutto quando bisogna destinare i beni all'uso sociale. Ciò rappresenta la grande innovazione e la grande capacità di rimettere dentro al flusso vitale e alle esigenze delle comunità e delle collettività una serie di beni che la collettività e il singolo cittadino sentono profondamente propri, ritenendo che il Governo, lo Stato e il Parlamento debbano assegnare questo elemento non solo come dato culturale, ma come cifra di dignità, di capacità e di maturità di un Governo e di un intero Parlamento di stare dentro alle questioni vere e vive della quotidianità. Si tratta di un segnale di presenza e di stare al fianco delle questioni vere, che fa sentire sicuramente meno sole le comunità, ma anche più forti e puntuali gli enti locali.
Ricordo che il valore dei beni immobili delle aziende sequestrate negli ultimi 13 anni alle mafie, peraltro contenuto anche nella relazione del commissario straordinario per la gestione dei beni sottratti alla criminalità organizzata, è ampiamente sottostimato. Ecco alcune cifre: a fine giugno 2009 il valore era di 1,3 miliardi, ma soltanto negli ultimi 19 mesi, in cui i beni confiscati sono stati 2.842, il valore risulta salito a oltre 1,8 miliardi.
Ciò che bisogna veramente considerare non è solo il numero in crescente aumento o la dislocazione (in gran parte nelle regioni meridionali, dove la pervasività della mafia è storica), ma il valore e la qualità dei beni definitivamente acquisiti dallo Stato, anche nelle regioni centro-settentrionali. Al nord i beni immobili gestiti dal demanio, quelli destinati e quelli già consegnati, sono complessivamente 881 e il valore supera i 150 milioni.
Nella sola provincia di Milano sono state confiscate centinaia di case, alcune di grande pregio e in pieno centro storico. Il valore degli immobili confiscati nel centro Italia sfiora, invece, i 140 milioni.
Inoltre, negli ultimi 13 anni le aziende definitivamente sottratte alle mafie sono state 10.185, la gran parte nelle regioni meridionali e, in particolar modo, le imprese edili siciliane.
Il commissario straordinario per la gestione dei beni sottratti alla criminalità organizzata afferma nella sua relazione che, per capire veramente l'importanza degli immobili che potrebbero essere immessi nel mercato con nuove regole varate in questa legge finanziaria e anche in questo provvedimento, occorre sottolineare il passaggio delle migliaia di beni gestiti dall'Agenzia del demanio e che attendono di essere stimati, anche perché ipoteche, diritti di terzi, occupazioni abusive e interferenze giudiziarie ancora oggi incagliano tremila beni in gestione all'Agenzia del demanio, impedendone la destinazione e l'effettivo utilizzo.
Questa norma, tra l'altro inserita nella legge finanziaria, è una misura che riconsegnerà - è questo il rischio concreto - alla mafia ciò che è stato sottratto grazie alla legge Rognoni-La Torre.
L'approvazione della legge n. 109 del 1996 sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie aveva infatti previsto, con il divieto assoluto di vendita del bene confiscato, la confisca del patrimonio dei mafiosi e la destinazione all'uso sociale dei beni confiscati. Da allora la confisca e l'utilizzo a fini sociali del patrimonio dei mafiosi ha assunto nel nostro Paese un valore simbolico irrinunciabile per la lotta alle mafie. Quella legge ha fatto in modo che i beni confiscati ai Riina, ai Provenzano e agli altri criminali potessero essere assegnati a cooperative di lavoro che, tra mille difficoltà e continue intimidazioni, li hanno trasformati in segni di efficacia e di legalità.
Il 7 maggio del 2009 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza la risoluzione sul programma di Stoccolma che prevede di destinare a fini sociali i beni confiscati alla criminalità organizzata e alle mafie, in cui si prende atto che le mafie e il crimine organizzato in generale sono diventati un fenomeno transnazionale e rappresentano una drammatica urgenza in tutti gli Stati membri. Nella risoluzione si considera l'impatto sociale, culturale, economico e politico delle organizzazioni criminali sugli Stati membri e su quelli confinanti e si ribadisce che la Pag. 53lotta alla criminalità organizzata deve essere condotta anche a livello sociale per poter essere realmente efficace nel quadro di una collaborazione fra la società civile e le istituzioni democratiche, considerando che in alcuni Stati membri sono nate importanti esperienze di coordinamento fra la società civile e le istituzioni democratiche che hanno prodotto innovative prassi legislative, specialmente per quanto attiene alla confisca delle proprietà della criminalità organizzata e al loro uso sociale, e che queste agiscono sempre più anche nei Paesi confinanti con la stessa Unione.
L'Italia rischia di fare dei passi indietro soprattutto sul piano culturale, sul piano dei segnali e dei principi, perché non bisogna mandare messaggi ambigui rispetto alla lotta alle mafie.
L'impegno deve essere quello di creare le condizioni affinché si considerino i beni confiscati come una risorsa per lo sviluppo ordinario, economico e sociale del territorio. Per questo i beni devono essere assegnati a obiettivi importanti perché essi devono riconoscere il ruolo antimafia che la società civile e il mondo delle associazioni e della cooperazione sociale hanno nel nostro Paese, per quello che hanno svolto e per quello che hanno fatto in questi anni anche a livello educativo e per la promozione sociale.
Per questo motivo noi qualche tempo fa, in occasione della finanziaria, abbiamo presentato un ordine del giorno, che ricordavo poc'anzi, approvato dal Governo, che impegnava il medesimo a valutare la possibilità di prevedere per gli enti locali (e questa è la seconda parte del ragionamento che ho sviluppato quando parlavo di rafforzare la cooperazione con regioni ed enti locali) nel cui territorio sono ubicati i beni confiscati e che con delibere delle giunte si impegnino ad assegnare i beni in concessione a titolo gratuito alle associazioni di volontariato iscritte nel relativo registro regionale, alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, alle cooperative sociali, a comunità, ad enti e organizzazioni di volontariato o comunità terapeutiche, a centri di recupero e cura di tossicodipendenti, prevenzione cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, l'acquisto con prelazione ad un prezzo fortemente ridotto rispetto al valore catastale da determinarsi da parte dell'Agenzia del demanio.
L'Agenzia che andremo, da qui a breve, a istituire penso che debba avere eminentemente queste caratteristiche se vuole veramente cogliere il senso di quella che è stata la storia recente del nostro Paese, di quella che è la realtà attuale e di quale può essere la prospettiva se la riempiamo di significati e non la facciamo diventare invece un organismo pletorico, fatto di troppa gente che spesso magari viene messa lì solo per gestire alcune situazioni che non hanno niente a che fare con la volontà di cambiamento che c'è in atto e viene richiesta dal basso nel nostro Paese.
Mi auguro che vengano anche accolti alcuni significativi emendamenti proposti dall'opposizione e anche quelle argomentazioni che ho messo in campo in maniera molto sintetica e anche serena e tranquilla, perché credo che rispetto a questo dato si debba veramente stare tutti insieme, non per dire tutti la stessa cosa in maniera indistinta, ma per portare all'interno di questo dibattito le parti migliori, gli interessi migliori, le esperienze migliori che si sono manifestate in questi anni.
Le parti politiche e il Parlamento devono consegnare al Governo una serie di indicazioni in modo tale da mettere in campo un prodotto che è di tutto il Parlamento e che raccoglie la cifra culturale, la maturità, la consapevolezza di un intero Stato che finalmente unito combatte decisamente tutte le mafie e la criminalità organizzata, ridando agli enti locali, alle istituzioni e ai cittadini quella credibilità e quel sostegno che sono venuti a mancare negli ultimi tempi fino a tutt'oggi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, il provvedimento al nostro esame è importante Pag. 54e di indubbio rilievo. Per la verità, tuttavia, sull'opportunità di adottare un provvedimento d'urgenza in una materia come questa, vorrei esprimere, già in premessa, più di un dubbio, perché il contrasto alla criminalità organizzata non è una priorità di oggi, non è una priorità da oggi; si può dire purtroppo, ma è così: lo era ieri e lo era anche l'altro ieri.
Purtroppo la lotta alle mafie va molto indietro nel tempo, risale ai primi decenni dello Stato unitario. Un opuscolo del servizio centrale operativo della Polizia di Stato, a cui ho dato un'occhiata oggi, ci ricorda in poche pagine che questa epopea della lotta delle forze dell'ordine, potremmo dire delle forze della legalità, contro le forze del crimine e dell'illegalità, va indietro nel tempo, risale, appunto, all'Ottocento e al primo Novecento, e ricostruisce vicende di mafia, camorra, 'ndrangheta, di altre organizzazioni minori e dei relativi processi.
Il contrasto alla criminalità organizzata è poi un tratto costante della storia repubblicana, è un campo di crimini, di violenze in cui lo Stato democratico ha dovuto difendersi impegnando i suoi uomini migliori, che si sono sacrificati per le nostre istituzioni, per la nostra libertà e anche per la nostra dignità; mi riferisco a uomini, quali magistrati, poliziotti, carabinieri, esponenti politici, che hanno ostacolato le infiltrazioni dei criminali nelle istituzioni e nel processo democratico. Però sappiamo fin troppo bene che soltanto un'azione di profonda educazione civile e di resistenza individuale di ciascuno di coloro che hanno responsabilità nello Stato e nella sfera politica determinerà le condizioni del successo della legalità contro l'illegalità, riducendo l'illegalità ad un fatto marginale, fisiologico e minore.
Sappiamo anche che non c'è un momento, non ci sarà un'ora «x» in cui si potrà dichiarare la sconfitta definitiva delle mafie. Occorre portare avanti un'azione convergente, di contrasto della criminalità organizzata ad ogni livello con gli strumenti investigativi della polizia, con le azioni penali della magistratura, con la trasparenza dei comportamenti degli amministratori e dei politici che rivestono cariche elettive. Ed è chiaro che nella strategia di contrasto delle mafie la confisca dei beni accumulati illegalmente è uno degli strumenti più utili e promettenti, lo abbiamo visto nel corso dei decenni, lo stiamo vedendo in questi anni, perché colpisce il frutto dell'azione criminale e ne vanifica il risultato. È altrettanto chiaro, almeno a mio avviso, che il buon esempio nel rispettare i principi della legalità e nell'osservare le regole ci viene richiesto dai nostri cittadini e dai nostri elettori come condizione per essere credibili e perché la nostra azione sia credibile.
Ecco allora che, anche in ragione di questa premessa, devo ammettere che mi sfugge quale sia il motivo specifico dell'urgenza di questo provvedimento. Lo dicevo già in precedenza: in questo campo l'urgenza c'è e c'è sempre stata, e ciò vale in modo specifico anche per la strategia di sequestro e di confisca dei beni appartenuti alla criminalità organizzata, ossia per il modo in cui, in tale contesto, si gestisce questa materia delicata e assai complicata, e quindi anche con riferimento allo strumento e alle procedure più appropriate per farvi fronte.
Tuttavia, per istituire l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata si poteva procedere con uno strumento legislativo ordinario, anziché con un decreto-legge che è stato, per forza di cose, esaminato a tappe forzate nelle Commissioni e che viene ora portato in Aula, a valle di una procedura contratta, per quanto riguarda sia la discussione, sia l'esame delle proposte emendative avanzate dall'opposizione.
C'è da dire che ora qui abbiamo occasione di approfondire e che questa discussione sulle linee generali e il successivo esame ci consentiranno forse di recuperare quanto non si è potuto fare in sede referente. Consentitemi anche di dire che forse non erano, però, queste le circostanze in cui avremmo voluto recuperare quell'insufficienza di esame. Ci saremmo augurati, infatti, di non essere obbligati a Pag. 55reagire in questo modo ad atti di palese forzatura delle norme e delle proprie attribuzioni da parte del Governo. Noi rispettiamo le regole e le procedure, lo facciamo anche ora e cerchiamo di attenerci al principio del buon esempio.
Vediamo nel dettaglio l'istituzione dell'Agenzia per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al di là delle polemiche dell'oggi. Non vi è dubbio che l'idea di affidare ad un unico strumento il compito di occuparsi dei beni della criminalità organizzata sottoposti a sequestro e poi a confisca è in sé buona. È un'idea, infatti, che risponde alle esigenze riscontrate nelle esperienze fin qui effettuate che hanno visto agire ed operare per l'amministrazione dei beni sequestrati e poi per la loro destinazione vari soggetti e vari livelli istituzionali con effetti non sempre soddisfacenti in termini di chiarezza delle competenze, efficienza delle procedure, velocità delle decisioni e verifica dei risultati: troppa frammentazione, troppa sovrapposizione e coordinamento insufficiente. Quanto ci sia da fare in questo campo può forse ricordarcelo, come ordine di grandezza, uno studio che cito per avere un riferimento quantitativo. Si tratta di uno studio di un paio di anni fa della Confesercenti, riferito in particolare a coloro che operano nel commercio, secondo la quale la criminalità organizzata vanta un fatturato: «di 90 miliardi e mezzo di euro l'anno, pari al 7 per cento del prodotto interno lordo». È vero che sono stime che valgono quello che valgono, tuttavia il solo fatto che studi del genere, come questo della Confesercenti realizzato da SOS Impresa, vengano realizzati è, di per sé, significativo. L'Agenzia nazionale nella sua idea di fondo, che anche il Partito Democratico condivide come testimoniano numerose proposte legislative in proposito, è immaginata come lo strumento che dovrebbe assicurare coordinamento, coerenza, celerità e verifica dei vari passaggi e delle varie fasi del sequestro e della confisca dei beni. Tra le finalità dichiarate vi è quella che si possono ipotizzare e vengono raggiunti questi risultati. Tuttavia, va individuata una serie di zone critiche che fanno dubitare del fatto che le finalità dichiarate possano essere raggiunte senza chiarimenti, miglioramenti e modifiche.
Per questo motivo chiediamo che la normativa proposta venga sottoposta al vaglio sotto alcuni aspetti rilevanti e, di conseguenza, venga modificata. Elencando questi punti sommariamente, vi sono intanto le funzioni di amministrazione dei beni oggetto di sequestro attribuiti all'Agenzia nella fase antecedente la confisca, vale a dire nella fase che precede il chiarimento, se tali beni saranno confiscati effettivamente oppure no. Ciò rappresenta una delle questione centrali su cui tutti gli esperti sentiti in audizione, nell'ambito dell'esame in sede referente, hanno espresso dubbi rilevanti. Un secondo aspetto riguarda il coinvolgimento, da più parti ritenuto insufficiente, di soggetti interessati alla destinazione dei beni confiscati, a partire dai comuni e dagli enti locali fino alle associazioni della società civile impegnate nella lotta alle mafie. Un altro aspetto è quello relativo alle risorse assegnate all'Agenzia che, in relazione ai compiti ad essa attribuiti, appaiono a dir poco esigue o sottodimensionate con il rischio di sovraccaricarla, o di trasformarla in un carrozzone burocratico.
In questo contesto, vi è un punto specifico, che riguarda la sede principale dell'Agenzia a Reggio Calabria, il che ha un senso dal punto di vista del luogo scelto come particolarmente colpito dal fenomeno della criminalità organizzata e, quindi, particolarmente attento al suo contrasto. Sennonché, da ciò che risulta negli atti e dall'esame che è stato fatto, pare che il personale più preparato risieda a Roma e non intenda trasferirsi nella sede principale dell'Agenzia. Faccio una nota a margine: in questo modo non si partirebbe benissimo. Mi permetto anche di fare una divagazione che attinge all'esperienza personale: non vorrei che si ripetesse quanto è successo, per esempio, con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che il Governo, dopo che venne istituita, decise di ubicare a Napoli e che Pag. 56poi ha finito per avere inizialmente una doppia sede, Napoli e Roma, con un progressivo spostamento del baricentro da Napoli a Roma, in conseguenza di un contenzioso con buona parte del personale di provenienza ministeriale, che andò di pari passo con la preferenza per Roma degli stessi componenti degli organi collegiali di quella autorità. Il risultato di questa situazione, che si è protratta per anni, non è stato - non è neanche il caso di dirlo - ottimale dal punto di vista dell'impiego efficiente e razionale delle risorse e neanche dal punto di vista della funzionalità dell'insieme. Mi auguro che la cosa non si ripeta per quanto riguarda l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Riassumendone i tratti, c'è da ricordare che l'Agenzia opera sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, che tra le sue amplissime competenze è previsto che l'Agenzia provveda all'acquisizione dei dati relativi ai beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nonché all'acquisizione delle informazioni sui relativi procedimenti, alla verifica dello stato dei beni, all'accertamento della consistenza, destinazione e utilizzo degli stessi, provvedendo alla programmazione dell'assegnazione e destinazione dei beni confiscati. L'Agenzia, inoltre, provvede all'amministrazione e alla custodia dei beni sequestrati e confiscati nel corso del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali antimafia di cui alla legge n. 575 del 1965, la cui disciplina viene modificata nel contesto del provvedimento.
Il punto particolarmente rilevante, come è stato sottolineato nell'esame congiunto in Commissione affari costituzionali e giustizia, è che il provvedimento in esame conferisce alla sola Agenzia la duplice qualità di amministratore giudiziario e di soggetto titolare della potestà di destinazione dei beni. Nell'intenzione del Governo l'immediata e diretta interlocuzione tra l'Agenzia e l'autorità giudiziaria preposta ai procedimenti penali e di prevenzione ridurrebbe drasticamente i tempi intercorrenti tra l'iniziale sequestro e la definitiva destinazione dei beni, il che sarebbe un bene anche perché si dice che si libererebbe così il giudice delegato da una serie di incombenze, con effetti positivi anche sulla funzionalità degli uffici giudiziari. In realtà, questa duplice qualità va approfondita e i soggetti auditi nel corso dell'esame non sembrano confermare queste opinioni e questi giudizi del Governo. Sembrano dire che le cose non andranno così. Qui vorrei ricordare quanto dichiarato dal procuratore della Repubblica del tribunale di Reggio Calabria, il quale, nella sua audizione, ha sottolineato la preoccupazione per la disciplina del rapporto tra l'Agenzia e l'autorità giudiziaria, che a suo dire comporterebbe il rischio di sminuire l'efficacia del sistema complessivo delle misure patrimoniali antimafia di cui dicevo prima, in quanto - cito il procuratore - si frappone un netto diaframma fra il giudice e l'amministrazione dei patrimoni sequestrati, tanto che il procuratore di Reggio Calabria è arrivato a suggerire che la competenza dell'Agenzia scatti a fare data - cito di nuovo - non dal sequestro dei beni, ma solo da un momento successivo, cioè dal decreto di confisca emesso in primo grado dal tribunale.
Non molto diversa, se ho capito bene, è l'opinione del commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali. Il commissario, nella sua audizione in Commissione, ha peraltro osservato - questo è un altro punto - che l'Agenzia rischia di rimanere schiacciata proprio dai compiti connessi all'amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati, cioè la fase precedente alla confisca, per la quantità che essi rappresentano e anche per il fatto che vi è una discreta discrasia e sproporzione tra i beni oggetto di sequestro e quelli che poi, alla fine, risultano essere i beni confiscati effettivamente dopo la prima fase, che, a conti fatti, risultano essere intorno al 20 per cento del totale.
Forse, per farsi un'idea, vale la pena anche ricordare i dati relativi ai beni sequestrati riportati in proposito dal commissario. Facendo riferimento alla banca Pag. 57dati del Ministero della giustizia, egli ha detto che essi sono 58 mila e 863 e, limitandosi agli ultimi cinque anni, 34 mila e 529. Parliamo, quindi, di un'entità cospicua: pensiamo ad un'Agenzia che si occupa dell'amministrazione di questa quantità di beni sequestrati (non tutti, poi, verranno confiscati e destinati ad altro uso).
Dal punto di vista della confisca, altri dati ce li ha forniti l'Agenzia del demanio che ha svolto alcuni dei compiti affidati dal decreto-legge, già operante, all'Agenzia. Secondo la medesima, gli immobili confiscati risultano essere più di 9 mila, di cui 478 nel solo 2009.
Un terzo di essi è però ancora in attesa di destinazione. Tra i beni vi sono gli immobili, che sono la maggior parte, ma vi sono anche aziende: le aziende confiscate sono complessivamente 1.223, 201 da destinare. È interessante anche un'osservazione sulla curva temporale delle confische di quei 9 mila e 198 immobili. Parliamo degli ultimi 30 anni: vediamo un andamento più o meno costante, sotto le 100 unità, nel primo decennio di applicazione della legge, dal 1983 al 1993, e poi un'impennata sopra le 300 unità all'anno a partire dal 1994, con un picco di 976 unità intorno al 2000, fino a 760 e 478 negli ultimi due anni.
Si tratta di valori importanti, che testimoniano, in qualche modo, un esito incoraggiante, per usare un termine da understatement, della cosiddetta legge Rognoni-La Torre del 1982, il cui obiettivo era quello di contrastare le organizzazioni criminali di tipo mafioso attraverso l'aggressione ai loro patrimoni e che ha introdotto l'istituto delle misure di prevenzione patrimoniale di sequestro e di confisca, dirette a sottrarre i beni, illecitamente acquisiti, dalla disponibilità diretta o indiretta delle persone che si rendevano colpevoli di reati connessi alle attività di criminalità organizzata ai sensi della legge n. 575 del 1965 già citata.
Anche qui, sempre facendo riferimento alle informazioni fornite dall'Agenzia del demanio, si può constatare che, per quello che riguarda le destinazioni, sono gli enti territoriali, e in primo luogo, di gran lunga, i comuni, i principali beneficiari degli immobili confiscati e trasferiti ad altra disponibilità.
La maggior parte dei beni immobili trasferiti agli enti territoriali, pari al 76 per cento, è stata destinata a finalità sociali, progetti speciali contro la criminalità, alloggi per indigenti, aree per utilità sociale, sedi di associazioni e centri per attività sociali. Il resto dei beni immobili trasferiti, invece, cioè il 24 per cento, è stato destinato a finalità istituzionali, e cioè uffici, strutture socio-sanitarie, depositi, scuole e uffici giudiziari.
Pur a fronte dei risultati indicati e di tutto rispetto, è opinione concorde di tutte le figure istituzionali coinvolte in tale complicato processo che la situazione, anche guardando indietro, guardando il bilancio da non buttare via, non è soddisfacente per la lentezza dell'iter e per la macchinosità di una serie di passaggi. È quindi opinione condivisa - e riprendo qui il discorso iniziale - che l'istituzione di una cabina di regia centrale, l'Agenzia, sia utile e necessaria; è opinione anche di associazioni della società civile, come l'associazione «Libera», che pure chiede un maggiore coinvolgimento degli enti locali e delle realtà associate nelle attività dell'Agenzia. C'è da chiedersi se tale funzione di cabina di regia possa essere assicurata, come ci si augura, dall'organismo di cui il decreto-legge prevede l'istituzione; e questo è il problema davvero cruciale, nel senso che l'idea è buona, ma la sua attuazione, come si capirà dall'intervento che sto svolgendo, non è priva di difetti e va corretta, nel senso che più volte è stato ricordato dai colleghi delle opposizioni, e in particolare del Partito Democratico, che stanno intervenendo, che sono intervenuti in questo dibattito.
Vi è anche un problema di organico, e di modalità di funzionamento del rapporto tra questa Agenzia ed il resto del sistema istituzionale: 30 unità circa, compreso il direttore, non sono un organico molto numeroso. Certo, poi vi sono gli organi collegiali, il consiglio direttivo, il collegio dei revisori, tutti organi peraltro già operanti; Pag. 58però, visti i compiti enormi che indicavo appena poc'anzi, c'è da chiedersi come potranno farvi fronte. Le attribuzioni degli organi dell'Agenzia sono davvero immense: vorrei ricordare che il direttore provvede all'attuazione degli indirizzi delle linee guida fissate dal consiglio direttivo in materia di amministrazione, assegnazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, e riferisce poi periodicamente ai ministri con relazioni apposite, e anche il Governo riferisce periodicamente al Parlamento su tali attività. C'è da chiedersi come possa fare fronte a compiti di questa ampiezza, è da riconoscere che neanche il decreto-legge immagina che essa possa farlo da sola: è infatti previsto dal sistema di norme che l'Agenzia si avvalga, o continui ad avvalersi delle prefetture, che possa chiamare a partecipare alle riunioni del consiglio direttivo rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali, locali, dell'autorità giudiziaria, di enti ed associazioni di volta in volta interessati; che stipuli con l'Agenzia del demanio una convenzione che consenta il proseguimento di una collaborazione che è indispensabile. Molto quindi dipenderà dalla capacità di questa struttura, piccola per come ci viene descritta, di fare rete con un'altra serie di soggetti, di svolgere effettivamente le funzioni di coordinamento e di direzione che le sono affidate, e di costruire una rete ed un centro, un impulso di cui finora si è sentita la mancanza.
Veniamo alle questioni sospese, una volta operata la descrizione dello strumento, delle sue attribuzioni, della condizione del suo funzionamento legata alla collaborazione con una serie di altri soggetti. Quali sono le questioni principali che restano da risolvere nel corso dell'esame?
La principale delle questioni, tra quelle emerse nel corso della discussione anche nelle Commissioni, è la modalità di disciplina della fase iniziale dell'aggressione dei beni, nell'ambito del procedimento penale. Secondo noi, secondo quanto è possibile riconoscere come patrimonio della discussione che si è svolta - credo che sia in qualche modo anche condiviso dalla maggioranza, da quello che hanno detto i relatori all'inizio della discussione generale - che occorre prevedere le modalità di coinvolgimento della magistratura in quella prima fase, individuando forme di coordinamento tra il magistrato responsabile e l'Agenzia. Si dovrebbero prevedere modalità di coinvolgimento della magistratura in questa prima fase, in cui è più evidente il rapporto tra magistrati ed Agenzia, trasferendo in capo a quest'ultima, in una seconda fase - che potrebbe essere individuata nel momento successivo alla decisione di primo grado - tutte le funzioni di gestione dei beni. Gli emendamenti presentati dal Partito Democratico tendono nella sostanza, anche alla luce di quanto emerso nelle audizioni informali, a scongiurare il rischio che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata finisca per diventare un carrozzone burocratico, e che si disperda il patrimonio di professionalità ed esperienze accumulate negli anni in questo campo, pur con tutti i limiti che sono stati ricordati. L'obiettivo dovrebbe essere quello di mettere in piedi un sistema il più possibile efficace nella gestione e destinazione dei beni sottratti alla criminalità organizzata, privilegiando nel contempo la destinazione sociale degli stessi. Il riutilizzo per finalità sociali dei beni confiscati deve essere considerato, secondo noi, un principio cardine da mantenere nella lotta alla mafia, tentando peraltro di coordinare il provvedimento in esame con la disposizione che non abbiamo visto con favore, introdotta dall'articolo 2, comma 52, della legge finanziaria per il 2010, la quale ha previsto la vendita dei beni confiscati alla criminalità organizzata - dei quali non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per finalità di pubblico interesse - entro il termine di 90 giorni, prorogabili in determinati casi di altri 90 giorni. Gli emendamenti prevedono che il bene non sia posto comunque all'asta, ma venduto al prezzo di mercato, e che siano svolti accertamenti sulla provenienza del denaro impiegato per l'acquisto, onde evitare che Pag. 59il bene stesso torni in possesso della mafia. Serve dunque una disciplina anche per le richieste di assegnazione degli enti locali - e in ogni caso va salvaguardato il principio della destinazione sociale dei beni lasciando, come dicevo, come extrema ratio davvero la vendita del bene ai privati, con tutte le cautele già esposte per evitare che esso torni poi in mano alla criminalità organizzata. Occorrerebbe poi prevedere una collaborazione più strutturata dell'Agenzia con rappresentanze, rispettivamente, delle associazioni che lottano contro la mafia e con le autorità, gli enti locali, i poteri locali.
Riassumendo, e avviandomi a concludere, si può dire che - pur condividendo l'utilità dello strumento e delle finalità dichiarate - a nostro avviso, purtroppo, emerge in modo altrettanto evidente che il Governo, con la scelta del decreto-legge (anziché di uno strumento ordinario, che avrebbe consentito una discussione più approfondita ed un esame che avrebbe permesso di arrivare a costruire un testo condiviso; non così, a tappe forzate, ma con una discussione non contratta nei tempi dell'esame in sede referente), abbia scelto di dare la preferenza alle esigenze di immagine, alle sue esigenze politiche di immagine, per accreditare l'idea di una capacità di decidere, di una capacità di decisione che in realtà, come stiamo vedendo dall'esame dettagliato del provvedimento, ci ha portato un testo con elementi di non chiarezza assai rilevanti e assai confusi, con effetti deleteri, Presidente, mi avvio a concludere, rispetto agli obiettivi dichiarati che tutti noi ci proponiamo di raggiungere.
Se queste modifiche verranno accolte e se la maggioranza si mostrerà sensibile nella direzione che abbiamo indicato, credo che il provvedimento ne uscirà molto migliorato e che l'Agenzia che prenderà forma potrà meglio corrispondere alle finalità condivisibili e dichiarate che vengono indicate nel testo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, la legge finanziaria per il 2010 ha specificamente previsto la destinazione delle somme ricavate dalla vendita dei beni immobili confiscati, al netto delle spese per la gestione e la vendita, all'entrata del bilancio dello Stato, prevedendone l'afflusso al Fondo unico giustizia e la successiva riassegnazione per il 50 per cento al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, per il restante 50 per cento al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali.
La stessa legge finanziaria ha inoltre previsto che alle operazioni di destinazione dei beni aziendali nonché alla vendita dei beni di cui al comma 2-bis provveda il dirigente competente dell'ufficio territoriale dell'Agenzia del demanio, con il parere del commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati (la disposizione ha confermato inoltre la possibilità di affidamento ad un amministratore nominato dal giudice e il termine per procedere a tale operazione). Il dirigente competente dell'ufficio dell'Agenzia del demanio deve chiedere al prefetto della provincia interessata le informazioni utili affinché i beni non siano acquistati anche per interposta persona dai soggetti cui furono confiscati o da soggetti comunque riconducibili alla criminalità organizzata.
L'articolo 6, recante modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e al codice penale, novella rispettivamente la sopra richiamata legge n. 575 del 1965 e l'articolo 416-bis (associazione di tipo mafioso, anche straniera) con la finalità di adeguarne il contenuto alle differenti forme di criminalità organizzata esistenti nel Mezzogiorno d'Italia, con particolare riferimento a quelle della regione Calabria. In particolare vengono modificati l'articolo 1 della legge n. 575 del 1965, che definisce l'ambito di applicazione della medesima legge con l'esplicitazione della sua applicabilità agli indiziati di appartenenza, oltre che alla mafia e alla camorra, anche alla 'ndrangheta e l'articolo 416-bis, Pag. 60comma 8, con la precisazione dell'applicazione del medesimo articolo anche alla 'ndrangheta.
Come sappiamo, le misure patrimoniali antimafia mirano a sottrarre definitivamente i beni di provenienza illecita al circuito economico di origine per inserirli in un altro assente da condizionamenti criminali. La materia dell'amministrazione e della destinazione dei beni sequestrati e confiscati riveste pertanto un ruolo determinante per realizzare tale risultato. La normativa attuale non è apparsa idonea a risolvere le molteplici problematiche sottese alla gestione, alla destinazione e all'utilizzo dei beni confiscati alle mafie.
I punti di crisi sono noti: l'estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra le confische definitive e i provvedimenti di destinazione, il conseguente degrado dei patrimoni, la perdita di competitività ed il frequente rischio di fallimento delle imprese sottoposte a sequestro, con le evidenti ricadute sui livelli occupazionali e sulla legittimazione sociale dell'intervento giudiziario, il diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari operanti nei diversi distretti. È stata, inoltre, segnalata l'opportunità di una cabina di regia nazionale che orienti l'azione dell'istituzione verso l'utilizzo effettivo del bene.
Le linee guida del decreto-legge in oggetto sono due. Da un lato, si prevede l'istituzione di un nuovo organismo - l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata - che diventa unico titolare dell'amministrazione e della destinazione di beni; dall'altro lato, si tende ad assicurare l'unitarietà degli interventi e a programmarne, già durante la fase del procedimento giudiziario, la destinazione finale dei beni sequestrati, affinché questa possa aver luogo con l'immediato rispetto del provvedimento definitivo di confisca.
Il punto cruciale è la scelta di accentrare nel nuovo ente pubblico una serie di funzioni attinenti all'amministrazione dei beni in sequestro che, in precedenza, erano attribuite alla competenza dell'autorità giudiziaria e dei suoi ausiliari. A tale scopo, con l'articolo 5 del provvedimento in oggetto, sono state modificate diverse disposizioni. Le innovazioni introdotte sono le seguenti. In primo luogo, con il provvedimento con il quale dispone il sequestro di prevenzione, il tribunale, invece di nominare un amministratore, affida l'amministrazione giudiziaria all'Agenzia, che viene, quindi, immessa nel possesso dei beni sequestrati. A questo proposito, si segnala che l'operazione di immissione in possesso rappresenta il punto cruciale per riuscire a sottrarre tempestivamente al proposto e, a maggior ragione, all'indagato, quei beni individuati nel provvedimento del tribunale, spesso, assai consistenti quanto a numero e dislocati in vari siti. Per evitare che i soggetti destinatari del provvedimento riescano a sottrarre i beni da sottoporre al sequestro, è necessaria una coordinazione tra autorità giudiziaria, organi e amministratore, che diventa impossibile se quest'ultimo è nominato dall'Agenzia, a cui non potrà essere certo comunicato preventivamente il provvedimento da eseguire. Ciò, soprattutto, quando lo stesso sia contestuale, come nel sequestro penale, alle misure cautelari, poiché la devoluzione del provvedimento porrebbe in pericolo i provvedimenti cautelari.
In secondo luogo, una particolare regolamentazione è dettata nel caso in cui il comma 4-ter prevede che l'Agenzia debba essere autorizzata dal tribunale al compimento degli atti di ordinaria amministrazione funzionali all'attività economica dell'azienda. Questa norma è tra quelle che desta maggiori perplessità, in quanto non si capisce su quali basi il tribunale deve autorizzare l'Agenzia al compimento degli atti di ordinaria amministrazione, posto che la stessa è stata istituita per l'amministrazione e, dunque, certamente, non è necessaria alcuna autorizzazione.
Si sottolinea, inoltre, l'anomalia per cui gli atti di ordinaria amministrazione dovrebbero essere, - sembrerebbe - di volta in volta, autorizzati dal tribunale, mentre quelli di straordinaria amministrazione dovrebbero essere autorizzati solo dal giudice Pag. 61delegato. Quel che conta di più sottolineare è che la qualificazione degli atti di amministrazione come «ordinari» o «straordinari» è demandata al giudice delegato sulla base di dati da ricavare dalla realizzazione dell'azienda in cui non può esercitare nessun effettivo controllo, rendendo così del tutto formale l'autorizzazione. Questa scelta porterebbe i tempi necessari al giudice per prendere una decisione ponderata ad una sostanziale paralisi dell'attività, fino al compimento dell'esame degli atti acquisiti alla procedura dell'Agenzia attraverso l'opera di amministrazione.
Un importante obiettivo perseguito dal disegno di legge è quello della realizzazione della nuova disciplina della destinazione dei beni confiscati, che viene inserita in una dimensione nazionale per valorizzarne pienamente la potenzialità. A tal fine, il potere decisionale sulla destinazione, prima spettante ai prefetti, viene adesso attribuito alla nuova Agenzia, cui è conferita anche la competenza per l'amministrazione dei beni confiscati.
Questa innovazione passa attraverso la modifica, ad opera dell'articolo 5 del decreto-legge, di alcune norme contenute nella normativa sulle misure di prevenzione patrimoniale. In particolare, l'articolo 2-nonies della legge n. 575 del 1965, che disciplina in fase successiva la confisca definitiva del procedimento di prevenzione, è stato modificato con la soppressione della previsione secondo la quale, dopo la confisca, l'amministratore continua a svolgere le proprie funzioni sotto il controllo del competente ufficio del territorio del Ministero dell'economia e delle finanze. L'amministrazione dei beni confiscati è ora attribuita all'Agenzia, ma è ben noto che chi ha proceduto alla gestione e all'assegnazione dei beni non può cessare drasticamente, ma deve protrarsi necessariamente fino alla definitiva assegnazione al destinatario.
Inoltre, il nuovo testo stabilisce che la destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali è effettuata con provvedimento del direttore dell'Agenzia, previa delibera del consiglio direttivo entro il termine perentorio di novanta giorni, suscettibile di raddoppio nei casi particolari e complessi, ma non si capisce perché le previsioni di un termine perentorio non dovrebbero accelerare le procedure di destinazione, le quali, fino ad ora, hanno rischiato tempi lunghissimi non certo per la mancanza di un termine, essendo il ritardo dovuto all'effettiva difficoltà di assegnazione di beni che i destinatari non vogliono, per la difficoltà di utilizzo o per i costi che questi richiedono per la loro necessaria trasformazione, per l'utilizzo pubblico e, comunque, nell'interesse della collettività, dal momento che si tratta di beni nati per l'utilizzo da parte dei privati.
Inoltre, nel nuovo testo viene attribuito all'Agenzia il compito di provvedere alla vendita dei beni immobili di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per la finalità di pubblico interesse, entro i termini previsti dall'articolo 2-decies, e alle operazioni di affitto, vendita e liquidazione dei beni aziendali, mantenuti al patrimonio dello Stato, richiedendo al prefetto della provincia interessata un parere obbligatorio e ogni informazione utile affinché i beni non siano acquistati, anche per interposta persona, da soggetti riconducibili alla criminalità organizzata.
Forse, come è emerso nelle audizioni, sarebbe essenziale che i beni vengano venduti a prezzo di mercato e non all'asta, dove le procedure prevedono ribassi successivi in caso di mancanza di offerte; tali procedure, infatti, sono pesantemente condizionabili dalle organizzazioni criminali, le quali avrebbero tutta la convenienza a riacquistare i beni a prezzi sostanzialmente fallimentari. Il modo per rendere più difficile l'acquisto da parte di prestanomi potrebbe essere quello di imporre ai futuri acquirenti di chiarire la provenienza del denaro con cui si intende effettuare l'acquisto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Samperi. Ne ha facoltà.

MARILENA SAMPERI. Signor Presidente, con la legge n. 575 del 1965, come Pag. 62modificata dalla legge cosiddetta Rognoni-La Torre, le organizzazioni criminali di stampo mafioso vengono colpite nel loro punto più sensibile, quello patrimoniale. Le misure di prevenzione, così come è stato ricordato da tanti miei colleghi, sottraggono, infatti, i beni di provenienza illecita dal circuito economico illegale per immetterli in un circuito legale o, ancora meglio, per restituirli alla collettività sotto forma di beni utili socialmente: diventano caserme, luoghi di aggregazione e luoghi in cui esercitare la democrazia.
Ma il sequestro, la confisca, l'amministrazione e la destinazione di beni, se teoricamente sono strumenti efficaci, nell'applicazione pratica hanno dato risultati deludenti. I punti di maggiore criticità sono individuati nella lunghezza dei tempi del procedimento, tra il sequestro, la confisca e poi la destinazione, nell'abbandono e nel degrado dei patrimoni, nella mancanza di manifestazioni di interesse (soprattutto per le aziende che dopo questa lunga procedura arrivano decotte alla fase in cui dovrebbero essere destinate) e spesso nella mancanza di professionalità da parte degli amministratori giudiziari.
L'esigenza, quindi, di razionalizzare la gestione dei beni e di renderne veloce la destinazione è comunemente avvertita e condivisa. Era da tempo auspicata da più parti la creazione di un'unica cabina di regia, dotata di appropriate competenze professionali e manageriali e titolare dell'amministrazione e della destinazione dei beni sottratti alla criminalità organizzata. Perché unica titolare? Perché si conveniva da parte dei più che l'unitarietà degli interventi avrebbe consentito di programmare, sin dalla fase dell'amministrazione giudiziaria, la destinazione dei beni.
Se questi sono gli obiettivi da tutti condivisi, alcuni punti del decreto-legge che istituisce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata rischiano di vanificare gli obiettivi e pertanto questi punti vanno modificati.
I soggetti auditi che hanno maturato tutti qualificate esperienze nella gestione dei beni sequestrati e confiscati sono stati di grande aiuto per rilevare nel provvedimento oggi in discussione criticità che potrebbero portare ad un suo sostanziale fallimento e questo non lo vogliamo, perché è necessario superare i punti di criticità in modo che i beni sottratti alla criminalità vengano poi destinati a fini di utilità sociale.
Innanzitutto, non comprendiamo perché il trasferimento delle competenze all'Agenzia venga limitato ai soli beni confiscati alla criminalità organizzata e non anche, ad esempio, ai beni congelati nelle misure di contrasto al terrorismo internazionale che oggi fanno capo all'Agenzia del demanio. In secondo luogo, nel decreto-legge così com'è stato approvato dal Governo l'Agenzia del demanio sembra mantenere un ruolo attivo nell'amministrazione e nella gestione dei beni, con la conseguenza di riprodurre, a causa della partecipazione di più progetti allo stesso processo, situazioni di poca chiarezza, di diversificate responsabilità e di complessità operative che riproporrebbero i vizi denunciati e che sono propri della normativa vigente.
Rimane, tra l'altro, ancora in vigore l'articolo 65 del decreto legislativo n. 300 del 1999 che non viene abrogato da nessun punto né da nessun articolo di questo decreto-legge, che prevede i compiti di gestione dei beni confiscati da parte dell'Agenzia del demanio.
Dalla relazione al Parlamento del Ministro della giustizia sulla consistenza, destinazione e utilizzo dei beni sequestrati e confiscati e, contemporaneamente, sullo stato dei procedimenti di sequestro e confisca, risulta che alla data del 30 novembre 2009 i procedimenti riguardanti beni sequestrati e confiscati erano 4.334, con un aumento e con una tendenza all'aumento delle sopravvenienze.
Secondo le rilevazioni dell'Agenzia del demanio, gli immobili confiscati risultano 9.198 e quelli ancora da destinare 3.096. Rispetto a questi, nell'8 per cento dei casi il procedimento di destinazione risulta sospeso per la pendenza di sequestri penali, mentre il 69 per cento registra criticità Pag. 63e difficoltà costituite da ostacoli quali ipoteche, comproprietà di quote indivise, azioni giudiziarie pendenti e solo il 23 per cento non manifesta criticità. Le aziende confiscate risultano 1.223 e quelle da destinare solamente 201, per lo più inattive. Solo 31 risultano in bonis, attive sul mercato e con dipendenti.
Dei 58.863 beni sequestrati, quindi, solo 3.992 sono oggetto di confisca definitiva e 10.445 hanno un provvedimento ancora non definitivo. La forbice è molto ampia. Abbiamo 58.863 beni sequestrati e appena 13 mila - quasi 14 mila - beni che sono oggetto di confisca definitiva o provvisoria. I beni confiscati definitivamente costituiscono, quindi, circa il 20 per cento dei beni sequestrati. Se questo è il quadro e questi i numeri - che poi ci possono aiutare -, dobbiamo verificare se le misure introdotte dal decreto-legge siano adeguate per affrontare situazioni così complesse e spesso così critiche. Mi soffermerò su questi aspetti soprattutto per le parti del decreto-legge che riguardano la Commissione giustizia.
Uno dei punti critici è il rapporto tra l'Agenzia e l'autorità giudiziaria. Come si rileva dai dati, che ho appena riferito, la fase iniziale del procedimento, quella immediatamente successiva al sequestro, è caratterizzata da una fortissima dinamicità, con mutamenti molteplici della situazione di fatto. Si pensi al dissequestro di beni per opposizione di terzo, al sequestro di altri beni prima non individuati, al pagamento dei creditori e all'esecuzione di contratti preliminari. L'80 per cento dei beni sequestrati, trasferiti per la loro amministrazione all'Agenzia o, meglio, che dovrebbero essere trasferiti per la loro amministrazione all'Agenzia, non sarà quindi destinabile a fini sociali, ma dovrà essere restituito al soggetto proposto o a terzi.
D'altronde, in questa fase così fluida e mutevole, l'autorità giudiziaria non avrebbe compiti minori, ma continuerebbe ad essere l'unico soggetto titolato a svolgere funzioni e attività di natura squisitamente giurisdizionale.
L'Agenzia avrebbe così l'onere di amministrare beni che in massima parte non potranno essere destinati ad altri e per i quali, invece, per la finalità della sua istituzione, dovrebbe iniziare a programmarne la destinazione.
Questo è contraddittorio con tutta l'impostazione del provvedimento perché, da una parte, si dice che l'Agenzia è uno strumento agile e deve essere costituita per rendere più efficace il procedimento, per snellire i tempi, per potere procedere alla fase dell'amministrazione e poi alla fase della destinazione con più cognizione di causa e quindi in modo più appropriato e, dall'altra, invece si prevede un onere a carico dell'Agenzia completamente superfluo, se è vero che l'80 per cento dei beni non giungeranno a confisca.
Un simile lavoro dell'Agenzia in questa fase, assolutamente improduttivo e defatigante, non porterà nessun risultato. Ecco perché abbiamo insistito - lo abbiamo fatto con gli emendamenti - e riteniamo che l'Agenzia debba intervenire nell'amministrazione dei beni solo per quelli che hanno superato un grado di giudizio e sono, quindi, avviati con buona probabilità alla confisca definitiva.
Apprezzo l'apertura che i relatori hanno fatto, anticipando già di voler accogliere alcuni emendamenti che possano superare questa difficoltà e rendere questo intervento normativo più razionale e più adeguato ad obiettivi e allo scopo che lo stesso provvedimento si prefigge, ma c'è un altro punto cruciale e critico nel decreto-legge ed è proprio il sistema di relazioni che si viene a creare, ossia la rottura del rapporto fiduciario continuo tra il giudice e l'amministratore.
Il giudice ha potuto avvalersi del patrimonio conoscitivo grazie a un produttivo e continuo scambio di informazioni dirette e immediate con l'amministratore, indispensabile per comprendere le dinamiche economiche e relazionali soprattutto delle imprese soggette a sequestro, per capire quali meccanismi e nodi fondamentali legavano l'impresa ai circuiti illegali e per ricostruire collegamenti finanziari con ambienti criminali. Pag. 64
Questo non solo per individuare anche altri beni, che all'inizio potrebbero essere sfuggiti alla fase iniziale del sequestro, ma anche per predisporre la piattaforma probatoria che possa arrivare alla confisca. Le audizioni hanno confermato che spesso fatti conosciuti e riferiti dagli amministratori sono serviti all'accertamento della pericolosità del soggetto proposto e quindi hanno reso possibile (come condizione per poi procedere) la confisca del bene.
Poi c'è un'altra deroga che ci appare strana e grave.
È la deroga che viene introdotta nel decreto-legge, rispetto al criterio rigoroso fissato invece nella legislazione vigente, laddove si prevede che la scelta degli amministratori che debbono occuparsi delle imprese e delle aziende deve cadere esclusivamente tra gli amministratori iscritti nella sezione di esperti in gestione aziendale dell'albo nazionale degli amministratori giudiziari. Viceversa, la parola «esclusivamente» viene soppressa nel testo del decreto-legge del Governo e viene sostituito con la parola «preferibilmente». Si trattava di un dato estremamente rigoroso, che era tale perché era necessaria competenza e specifica professionalità degli esperti o dei coadiutori. Tale professionalità diventa strategica per la gestione delle imprese. Infatti, se uno dei punti di criticità lo abbiamo trovato proprio nella cattiva gestione delle imprese, nel fatto che arrivano decotte e non riescono ad essere destinate, proprio perché spesso la maggior parte di esse viene posta in liquidazione, la competenza e la professionalità in gestione aziendale diventa assolutamente fondamentale e indispensabile.
C'è un altro rischio, forse non valutato sufficientemente nell'interruzione di un rapporto proficuo tra amministratore e giudice ed è quello, forse più grave, della permeabilità della gestione rispetto a pressioni illecite. Nelle audizioni, infatti, è stato rilevato che non sono stati rari i casi di minacce ad amministratori giudiziari, che solo l'intervento immediato del giudice ha vanificato.
Poi c'è tutto il capitolo che riguarda i tempi. La previsione della presentazione da parte dell'Agenzia al giudice della relazione sullo stato, sul valore e sulla consistenza dei beni sequestrati dopo tre mesi dal sequestro, al posto dell'attuale previsione di un mese, e l'invio della relazione sulla consistenza dei beni aziendali dopo ben sei mesi rischiano di compromettere l'esito della procedura. Si sostiene poi nella relazione che, con queste modifiche, il giudice delegato sarà liberato da una serie di incombenze con effetti positivi sulla funzionalità degli uffici giudiziari.
Il tribunale continua, come faceva con l'amministratore giudiziario, ad autorizzare l'Agenzia al compimento di atti di ordinaria amministrazione. Il giudice delegato continua ad esercitare lo stesso controllo che prima esercitava nei confronti dell'amministratore giudiziario per tutti gli atti di straordinaria amministrazione consentiti all'Agenzia, dovendo concedere, tra le altre cose, il nulla osta. Quindi, quale sarebbe questo alleggerimento nel lavoro degli uffici giudiziari se la responsabilità e i controlli del giudice debbono esattamente continuare nei confronti di questo nuovo soggetto che subentra esattamente così come era previsto che si facesse nei confronti dell'amministratore?
Per di più, però, avendo il giudice perduto il contatto diretto con l'amministratore e dovendosi basare su relazioni burocratiche sarà costretto ad acquisire atti e documentazione, ricostruire situazioni che non sono più sotto la sua diretta conoscenza e sotto il suo diretto controllo.
Lo stesso varrà in tema di rimborso delle spese, di liquidazione dei compensi, di erogazione di acconti, perché per potere fare questo, non avendo il continuo e quotidiano controllo, come nella legislazione vigente nei confronti dell'amministratore, naturalmente dovrà compiere questa attività in modo indiretto traendo dalle relazioni, dalle carte, dai documenti, dagli atti che dovrà studiare e verificare, gli elementi per poter adempiere a questo suo altro impegno.
C'è poi un altro fatto. In caso di impugnazione del decreto di liquidazione le controparti sono da una parte il giudice, Pag. 65che dipendendo dal Ministero della giustizia è difeso dall'Avvocatura dello Stato, e dall'altra l'Agenzia, anch'essa difesa dall'Avvocatura dello Stato. In caso di impugnazione ambedue le controparti dovrebbero essere difese dall'Avvocatura dello Stato. Anche questo è un controsenso ed un aspetto di disfunzione di questo provvedimento.
A fronte di questa pretesa volontà di alleggerire gli uffici giudiziari da ulteriori pesi e da ulteriori aggravi, al contrario è previsto un aggravio inutile della procedura, questo sì, rappresentato dalla preventiva comunicazione della destinazione dei beni confiscati al giudice in una fase in cui l'autorità giudiziaria, dopo la confisca, non ha più nessuna competenza.
Ci sono poi una serie di preoccupazioni per le risorse inadeguate, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a fronte di compiti molto gravosi affidati all'Agenzia. Una struttura leggera, di 30 persone appena, dovrebbe far fronte a compiti che in questo momento vengono espletati da tanti tribunali di tutte le regioni. Spesso poi, vedete, non basta trovare una soluzione, sperimentare un marchingegno normativo, per accelerare i tempi e per risolvere i problemi. Fissare dei tempi - lo abbiamo detto tante volte, anche a proposito del processo breve - entro cui assolutamente bisogna fare le cose non significa poi che le cose si facciano bene e che gli obiettivi per cui quel termine è fissato vengano raggiunti.
Vi faccio un esempio che ho tratto dal rapporto sui beni confiscati alla criminalità organizzata. Con la legge n. 94 che abbiamo approvato recentemente nel luglio del 2009 si impone la formulazione delle proposte di destinazione entro 90 giorni dalla confisca. Nel rapporto sui beni confiscati si evidenzia che l'Agenzia del demanio ha destinato tra gennaio e agosto, quindi prima dell'entrata in vigore di questa legge, ben 567 beni.
L'introduzione della nuova procedura di assegnazione degli immobili ha comportato, invece, una riduzione dei beni destinati, perché nella restante parte dell'anno, quella in cui la legge ha trovato applicazione, sono stati destinati pochi immobili in quanto l'Agenzia, avendo un termine perentorio di novanta giorni per formulare le proposte, si è dedicata completamente alla formulazione delle stesse, piuttosto che a destinare i beni, come aveva fatto nella prima parte dell'anno.
Quindi, un provvedimento che era teso ad abbreviare i tempi, ad accelerare le procedure, a rendere più efficace l'azione dell'Agenzia del demanio, si è risolto in un rallentamento assurdo della destinazione degli immobili perché l'Agenzia, preoccupata di dover formulare esattamente 2.360 proposte di destinazione, si è dedicata completamente a questa attività al fine di evitare che scadessero i termini fissati dalla legge.
Quindi, è vero che l'Agenzia ha formulato le proposte, ma a causa delle molteplici criticità derivanti dal fatto che l'iter di destinazione di alcune confische era sospeso ex lege per procedimenti penali in corso e nessuno aveva formulato proposte interessanti, tanto che non vi erano soggetti che avessero chiesto l'assegnazione dei beni, ciò è stato assolutamente inutile, perché non sono state proposte che hanno portato a una destinazione dei beni produttiva o ad una destinazione dei beni funzionale e utile per la collettività o per le comunità. Dunque, stiamo attenti a trovare delle soluzioni, perché non sempre l'accelerazione dei tempi, e in generale le soluzioni che si propongono, poi rispondono allo scopo.
Per tale ragione dobbiamo ponderare questo provvedimento, perché la funzione del legislatore è quella di redigere norme, così almeno ci insegnavano quando frequentavamo la facoltà di giurisprudenza, generali ed astratte. Adesso non so se questo insegnamento potrà ancora essere reso nelle facoltà di giurisprudenza, forse devono modificare un po' questo andazzo, forse devono provvedere a mutare questi caratteri, che ci insegnavano come i fondamentali della legge, per non cadere in contraddizione con una legislazione che, più che avere i requisiti dell'astrattezza e della generalità, sembra proprio avere requisiti che sono il loro contrario. Pag. 66
Quindi, secondo noi le soluzioni individuate dal decreto-legge, anziché migliorare la gestione dei patrimoni e la loro rapida restituzione alla collettività, rischiano di ingessare e complicare il procedimento sino a vanificarlo.

PRESIDENTE. Onorevole Samperi, la invito a concludere.

MARILENA SAMPERI. Mi avvio alla conclusione, Presidente. Questo, ovviamente, a nostro avviso, non può essere l'obiettivo del Governo.
Noi siamo lieti, quindi, che anche a proposito della vendita i relatori abbiano proposto di utilizzare la stima del bene come valore, evitando l'asta che potrebbe portare veramente alla restituzione di questi beni alla criminalità organizzata, anche se per interposta persona.
Certo, avremmo voluto che questi emendamenti fossero già tali, ovvero fossero già stati assunti dalle Commissioni e dal Comitato dei diciotto; così oggi avremmo potuto parlare di un provvedimento già modificato e già migliorato in queste sue criticità. Speriamo, tuttavia, che in sede di Comitato dei diciotto di domani questi aspetti negativi del provvedimento verranno superati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossomando. Ne ha facoltà.

ANNA ROSSOMANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, come è stato già ampiamente ricordato anche dagli interventi che mi hanno preceduto, il problema di cui ci occupiamo nasce dalla constatazione che l'investimento economico e finanziario da parte delle organizzazioni mafiose ha dimensioni molto considerevoli.
Basti pensare che si stima che il fatturato complessivo delle organizzazioni mafiose abbia raggiunto ormai i 135 miliardi di euro e un utile che sfiora i 70 miliardi di euro al netto di investimenti e accantonamenti. Quindi, ormai si parla di questo tipo di organizzazioni come una vera e propria azienda, con ramificazioni tra l'altro anche transnazionali.
Pertanto, il testo di cui oggi discutiamo e che istituisce l'Agenzia nazionale a regia delle procedure di sequestro, confisca e assegnazione dei beni sottratti alla mafia è senz'altro e senza dubbio un'importante occasione per affrontare la lotta alla criminalità organizzata.
Il provvedimento si pone nella scia di una serie di interventi che guardano alla complessità della situazione, all'aspetto della finanziarizzazione della criminalità organizzata e fanno, comunque, il punto su un'esperienza su cui possiamo svolgere alcune valutazioni in ordine all'uso del sequestro e della confisca dei beni alle organizzazioni criminali mafiose. Il provvedimento, dunque, fa il punto su quello che più volte abbiamo sottolineato, ovvero l'importanza di colpire le organizzazioni criminali dove più tengono e dove c'è il simbolo della loro potenza verso l'esterno. Si tratta di capire ad oggi e nell'esperienza avuta quali sono le criticità e le finalità che vogliamo raggiungere.
È necessario ricordare alcuni dati per andare alla concretezza del problema. Nella relazione di monitoraggio del commissario straordinario, dottor Maruccia, dal 1982 ad oggi sono stati confiscati 8.993 beni, di cui 5.407 destinati, consegnati alle forze di polizia, gestiti dai comuni o associazioni e 3.213 attualmente bloccati all'Agenzia del demanio. Ciò accade perché sono beni gravati da ipoteche bancarie, occupati abusivamente, o perché si tratta di beni indivisibili.
Il recupero di questi beni è stata la strategia e la missione di persone che si sono anche immolate. Ricordiamo per tutti Pio La Torre ucciso dalla mafia, al quale si deve l'approvazione della legge Rognoni-La Torre che ha introdotto l'articolo 416-bis che, come è noto, riguarda il reato di associazione mafiosa.
Quattordici anni dopo, nel 1996, Libera raccolse un milione di firme per la legge n. 109 del 1996 che finalizzava la confisca al riutilizzo sociale dei beni appartenuti alle mafie, legando così l'attività giudiziaria Pag. 67di repressione del crimine organizzato a un'attività educativa e sociale e ripristinando così un diritto sottratto alla cittadinanza.
Ora, quindi vorrei soffermarmi brevemente su un punto, prima di entrare in una serie di questioni più tecniche. Oggi stiamo valutando le criticità del procedimento di acquisizione dei beni e del loro riutilizzo. Anche i dati che sono stati esposti ci evidenziano alcune difficoltà nell'utilizzo, pertanto si parla anche di costi per il non riutilizzo di questi beni. Però, credo che dobbiamo partire da una questione che non può che essere condivisa, ossia il fatto di considerare i beni espropriati alle organizzazioni mafiose, quindi sequestrati e confiscati (con ciò, colpendo l'organizzazione criminale organizzata, che ha anche dimensioni transnazionali e ramificazioni nell'economia) e destinati a fini sociali, con l'altissimo valore simbolico che questa azione ha, beni in sé, non solo giuridici, ma suscettibili anche di un investimento in termini di risorse umane ed economiche.
Infatti, se ragioniamo soltanto in termini di costi, naturalmente anche l'impianto del nostro intervento ha un altro significato. Se, invece, consideriamo questi due elementi come beni in sé, che il legislatore deve tutelare ed assicurare, anche il ruolo dell'Agenzia e l'intervento che ci apprestiamo a delineare può e deve avere un diverso significato. Si tratta, quindi, di affrontare alcune criticità, ma certamente non di ragionare in termini strettamente economicistici, perché questi due beni hanno un valore per la società e per la cittadinanza.
Tornando alle criticità, queste sono state ravvisate in particolar modo quando si interviene nel sequestro di aziende, perché il tempo che intercorre dal sequestro all'attribuzione definitiva causa un depauperamento sicuramente incommensurabilmente maggiore rispetto ai beni immobili in sé. C'è una lunghezza dei tempi che intercorrono tra la confisca definitiva e il provvedimento di destinazione e, quindi, un degrado dei patrimoni, con la perdita di competitività, nonché il rischio di fallimento delle imprese che sono sottoposte a sequestro. Ci sono anche questioni sociali che interessano e ricadute sui livelli occupazionali. A questo punto, viene messa anche in crisi la stessa legittimazione sociale dell'intervento di sequestro e di confisca. D'altra parte, vi è anche il problema del diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari che operano nei diversi distretti e anche la difficoltà di elaborare stime e mappature dettagliate rispetto ai siti oggetto di confisca, nonché la mancanza di monitoraggi specifici. In effetti, spesso il demanio ha destinato beni alle amministrazioni senza prima averli svincolati oppure, come è stato detto, vi è stata una perdita di valore del bene dovuta ai danni del sequestro. Quindi, a quel punto, l'assegnazione ad uso collettivo diventa una spesa veramente eccessiva, perché per poterne poi effettivamente fruire vi è la necessità di impiegare ingentissimi fondi.
Tornando ad alcune cifre: l'83 per cento dei beni immobili confiscati, se prendiamo come riferimento il 30 giugno del 2009, si trova nelle quattro regioni meridionali, con una netta prevalenza della Sicilia, con il 46 per cento, mentre Campania e Calabria si attestano intorno al 14 o al 15 per cento, e la Puglia intorno all'8 per cento.
Il restante 17 per cento è concentrato prevalentemente in Lombardia e nel Lazio; tuttavia, a tale riguardo preme sottolineare che proprio questo carattere di organizzazione, ormai economica e di investimento, vede una presenza sicuramente importante anche nei cosiddetti territori del nord e ciò ci fa capire quanto sia altrettanto importante intervenire, colpendo i luoghi e i posti dove questa ricchezza si forma e viene reinvestita.
Per quanto riguarda, invece, le destinazioni, sappiamo che su 8 mila e 933 beni immobili confiscati, 5 mila e 407, ovvero circa il 60 per cento, sono stati destinati, e la maggior parte dei beni destinati è stata consegnata ad enti locali per finalità sociali, mentre il 14 per cento è stato mantenuto allo Stato per fini istituzionali. Pag. 68
Invece, per quanto riguarda le aziende, 1.185, pari al 32,7 per cento, sono state destinate. Quindi, soltanto l'11 per cento delle aziende è stato destinato alla vendita o all'affitto, mentre l'89 per cento è andata in liquidazione. Questo perché, prima che arrivi il provvedimento definitivo, un'azienda su tre è già arrivata allo stato di liquidazione o a ciò che tecnicamente si chiama decozione; vale a dire, è tecnicamente fallita, prima che possa essere presa in consegna dall'Agenzia del demanio per la destinazione definitiva.
I problemi che si incontrano con riferimento alle aziende confiscate hanno una loro complessità, che fa anche riferimento ad un problema di mancanza di liquidità, perché creditori e istituti bancari riducono o eliminano linee di credito. Vi sarebbe la necessità di un impiego di esperti del settore, che possano intervenire per garantire e sostenere la redditività delle imprese, anche in considerazione della destinazione finale.
Sarebbe necessario un vero e proprio piano economico, che richiede un impiego di risorse assolutamente maggiori di quelle attualmente impiegate. Da questo punto di vista, alcuni tribunali hanno adottato dei protocolli, anche in accordo con il commissario straordinario per i beni confiscati, proprio per la valorizzazione delle aziende in sequestro.
Se questi sono alcuni dei problemi che effettivamente sono sul campo, è indubbio che vi sia bisogno di tempo e che si avverta la necessità di un intervento che possa correggere queste criticità.
Qual è il problema e la questione che noi solleviamo? È evidente che le criticità che abbiamo evidenziato fanno capire che quello di cui vi è la necessità è un intervento a sostegno per colmare quelle parti che rendono difficile il reimpiego di queste risorse o un intervento che possa aiutare ad accorciare i tempi per il reimpiego dei beni medesimi e individuare le modalità migliori di reimpiego.
Se questa può e deve essere la finalità dell'Agenzia, ci sembra che nel provvedimento in esame vi siano degli aspetti che vanno in senso opposto e contrario. Innanzitutto, quello che rileviamo, come è già stato detto, è che si tratta di una struttura fortemente centralizzata. Naturalmente, bisogna discutere se, in situazioni da esaminare in concreto, la centralizzazione molto forte sia un elemento che semplifica e accelera le procedure o, a seconda delle situazioni, avvenga esattamente il contrario.
Noi pensiamo che in una situazione come questa avvenga il contrario, nel senso che sia i beni che i procedimenti a cui necessariamente sono strettamente collegate tali procedure, direi indissolubilmente collegate, sono distribuiti sul territorio, con problemi di coordinamento, anche di collegamento con la fase investigativa di cui dirò più innanzi; l'eccessiva centralizzazione diventa quindi un fattore di rallentamento, e non di semplificazione e di velocizzazione.
L'intento era, stando alla relazione, di unificare in un'unica fase i due momenti dell'amministrazione, fin qui di competenza dell'autorità giudiziaria e dell'Agenzia del demanio; in questo modo, nell'intento del provvedimento in esame, si sarebbe dovuta avere già nella fase iniziale una programmazione della destinazione finale. In questo senso vi è una contestualità, nel provvedimento con cui viene disposto il sequestro, di affidare all'Agenzia anche l'amministrazione giudiziaria dei beni. Si è detto qui, e io ovviamente condivido tale osservazione, che sostanzialmente si depotenzia molto tutto quello che stava attorno alla nomina del giudice delegato e alla nomina dell'amministratore, nonché tutto il collegamento, che è da ritenersi importante e fondamentale, nell'opera e le potestà attribuite all'autorità giudiziaria e a chi in questo caso dovrebbe amministrare.
Da questo punto di vista, infatti, all'Agenzia vengono attribuiti compiti che attualmente spettano all'amministratore, cioè di provvedere alla custodia, alla conservazione, all'amministrazione dei beni sequestrati, nonché a funzioni che attualmente sono assegnate nel caso di aziende all'amministratore; tanto è vero che si attribuisce all'Agenzia il compito di adottare Pag. 69tutte le determinazioni necessarie al fine di assicurare la tempestiva destinazione dei beni confiscati e il potere, a tal fine, di richiedere alle competenti amministrazioni tutti i provvedimenti che si rendano necessari previa comunicazione al giudice delegato.
In sostanza, quindi, quella che doveva essere la ratio del provvedimento, cioè un intervento che potesse meglio aiutare a coordinare e coadiuvare l'autorità giudiziaria, rischia in realtà di diventare una struttura parallela a quella dell'autorità giudiziaria, molto burocratizzata e che sminuisce la funzione dell'autorità giudiziaria medesima: in questo modo non è più una struttura di supporto che interviene sulle criticità di cui abbiamo detto, ma assume una competenza pressoché esclusiva e generale su tale materia; tanto è vero che per espletare tali compiti vi è poi la previsione di un personale di esclusiva competenza dell'Agenzia, cioè tecnici, altre persone retribuite, coadiutori scelti nell'ambito degli amministratori giudiziari e, nel caso di aziende, di persone iscritte nell'apposita sezione dell'albo degli amministratori giudiziari.
È stato giustamente osservato che ciò comporterebbe invece un incremento dei costi derivanti dal necessario utilizzo da parte dell'Agenzia di coadiutori e dall'intervento del personale di raccordo dell'Agenzia stessa. Tra l'altro preme sottolineare che in questo modo l'Agenzia ha il potere di nominare il soggetto che effettivamente è incaricato della gestione, al di fuori di ogni controllo da parte dell'autorità giudiziaria; e quindi, in questo senso, vi è poi uno scollamento totale tra autorità giudiziaria e l'amministrazione del bene sequestrato, collegamento che invece oggi è assicurato nel rapporto tra l'amministratore e il giudice delegato.
Una prima notazione, quindi, riguarda l'eccessiva centralizzazione, che comporta, per le modalità concrete con cui bisogna approcciare la questione, una burocratizzazione eccessiva, una lievitazione dei costi, perché evidentemente con questo sdoppiamento e sovrapposizione e sostituzione, c'è bisogno di ulteriore personale che si viene a sovrapporre, e quindi in realtà vengono tradite e disattese le finalità per cui il programma dell'Agenzia era stato posto ormai da diverso tempo.
Le finalità, come leggiamo nella relazione, sono quelle di liberare il giudice delegato da una serie di incombenze, con effetti positivi anche sulla funzionalità degli uffici giudiziari, e di determinare consistenti risparmi nelle spese di gestione e di amministrazione sinora sostenute. Il punto è, come si è detto, che l'Agenzia di fatto sostituisce l'amministratore giudiziario ma, a differenza di ciò che avviene a regime vigente (l'amministratore giudiziario comunque opera sotto la direzione del giudice delegato), essa non ha alcun obbligo di rendicontazione e verifica, a parte la periodica trasmissione delle relazioni sull'andamento del procedimento gestionale. Quindi, proprio partendo dal punto di vista dell'efficienza di tutto questo sistema, nelle audizioni svolte in Commissione è stato evidenziato come i risultati positivi raggiunti sinora siano frutto dell'esperienza del giudice delegato, il quale svolge questa funzione specializzata per tutta la durata del processo, offrendo una garanzia di competenza e professionalità; tutto questo patrimonio verrebbe perso, con grave nocumento all'efficacia e all'efficienza della procedura. Tra l'altro, anche in questo caso, utilizzando il personale parallelo, vi sarebbe un'ulteriore previsione di spesa e, quindi, un ulteriore accrescimento dei costi.
Per quanto poi riguarda il recupero dei beni sottratti alla mafia, vi è una serie di questioni critiche, tutte esposte nel corso delle audizioni. Sul ridimensionamento delle funzioni dell'Autorità giudiziaria, ricordo che il dottor Pignatone ha osservato che il principale rischio della nuova disciplina è quello di sminuire l'efficacia del sistema delle misure patrimoniali antimafia, in quanto verrebbe sottratto al giudice quel patrimonio informativo che scaturisce dal rapporto fiduciario e continuativo con l'amministratore giudiziario, che assumeva un'importanza determinante sotto diversi aspetti: in primo luogo, per conferire piena effettività allo spossessamento Pag. 70del proposto; in secondo luogo, per estendere la misura patrimoniale ad ulteriori beni individuati e, infine, per acquisire nuovi elementi di valutazione ai fini della decisione sulla confisca.
Analoghe perplessità si trovano nella documentazione depositata dall'associazione «Libera», allorquando si sottolinea che vi è il rischio di disperdere il contatto tra il giudice e l'amministratore; contatto, invece, che risulta importante perché, da un lato, consente la proficua gestione del procedimento di confisca attraverso le informazioni acquisite dal giudice, e, dall'altro, una più spedita individuazione degli ulteriori beni da sequestrare.
È forse già stata menzionata, ma merita un'ulteriore sottolineatura (mi sembra, peraltro, un convincimento maturato comunque da tutti i componenti della Commissione, e mi sembra anche di averlo ravvisato nella relazione al provvedimento) la necessità di distinguere in qualche modo la fase investigativa dalla fase della decisione sul merito. Ciò in quanto, nella fase investigativa, la necessità di acquisizione del bene e della sua conservazione è fortemente collegata e non distinguibile dalla funzione di mezzo di prova del bene stesso, nonché di mezzo di ricerca della prova del bene medesimo. Da questo punto di vista, potremmo dire che è un bene assolutamente strumentale in tale fase processuale, sia in tema di misure di prevenzione, sia nella fase investigativa più propriamente detta, ovvero quella delle indagini preliminari.
In questo senso, il bene è strumento di intervento nella fase dell'attività criminale ma soprattutto di acquisizione di ulteriori informazioni, configurandosi quindi come uno strumento delicatissimo che deve poter rimanere nella potestà dell'autorità procedente.
Tra l'altro, il bene medesimo in questa fase è ancora caratterizzato dal fatto che può prevedersi che sarà destinato alla confisca ma che - come ho ricordato nella prima parte citando i numeri e i dati - da questo punto di vista ha ancora una sua neutralità: esso magari poi non verrà destinato alla confisca, tuttavia sarà importantissimo per poter acquisire e confiscare altri beni (proprio perché in questa struttura, che ha un carattere economico molto forte, esiste tutta una serie di concatenazioni che possono essere intellegibili soltanto grazie ad una piena acquisizione nonché ad una lettura molto caratterizzata da conoscenze, tra le quali rientra tipicamente il patrimonio finanziario-economico).
Tra gli altri rischi che sono stati sottolineati vi è, come dicevo, l'eccessiva centralizzazione, in quanto nella fase penale sono moltissime le questioni operative e concrete che si presentano anche in termini di difficoltà, dovute al numero dei sequestri presenti sia nel procedimento penale sia in sede di prevenzione. Pur essendo infatti la gran parte di essi concentrata in un'area territoriale che potremmo definire quella del Meridione, comunque presentano una serie di questioni che ci fanno sostenere che la centralizzazione in un solo luogo diventa assolutamente antieconomica sotto il profilo procedimentale.
Tra l'altro, così non sarebbe consentita una rapida esecuzione dei provvedimenti cautelari proprio perché concentrati in un unico soggetto che dovrà curare l'esecuzione del sequestro, e soprattutto verrebbe a mancare - ne facevo cenno in precedenza - il cosiddetto fattore sorpresa o comunque quella dinamicità e quell'agire tipico che caratterizza la fase delle indagini che precede il giudizio.
Da questo punto di vista, è stata infatti suggerita una modifica che in qualche modo mi sembra possa costituire un elemento di riflessione, nel senso cioè di distinguere la competenza dell'Agenzia tra il primo momento, quello di tipo più investigativo o comunque genericamente cautelare, e il momento successivo al sequestro dei beni, a partire dal decreto emesso dall'autorità giudicante che potremmo individuare già nel tribunale e in un'altra autorità che fa più da filtro, come ad esempio il giudice per l'udienza preliminare.
Da questo punto di vista, la necessità di non disperdere professionalità importanti Pag. 71nella fase del procedimento in cui è necessario sia presente questo tipo di specificità ci fa dire che l'Agenzia deve avere un compito altro che non sia quello di sostituirsi all'autorità giudiziaria; piuttosto un compito di cui invece si sente la necessità è quello di garantire una proficua gestione del bene ed il mantenimento della redditività gestionale delle imprese, delle società o comunque del bene in questione.
Occorrerebbe quindi recuperare quel ruolo originario di raccordo e di cabina di regia che ci viene suggerito anche dagli elementi che il commissario straordinario ci ha sottoposto, dovendo essere proprio questo il fine primario senza correre il rischio di burocratizzare ulteriormente i procedimenti.

PRESIDENTE. Onorevole Rossomando, deve concludere.

ANNA ROSSOMANDO. Da questo punto di vista, ci sembra che il modello su cui ci stiamo incamminando non rappresenti un incentivo alla velocizzazione delle pratiche e quindi auspichiamo che si possa giungere ad un provvedimento (per il raggiungimento del quale crediamo sussistano tutte le condizioni) il più possibile condiviso, tenendo in considerazione anche gli emendamenti che il Partito Democratico ha promosso e presentato.
Signor Presidente - e concludo - credo che questo sia, di nuovo, uno di quei casi in cui la discussione ed il confronto ci consentono, guardando al cuore del problema, di licenziare un provvedimento che riguarda una questione molto sentita, che consiste nel ribadire un diritto di cittadinanza, di presenza dello Stato e di senso della collettività, che non può che essere patrimonio di tutto il Parlamento, di maggioranza ed opposizione compresa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, il titolo del provvedimento in oggetto recita: «Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata».
Si tratta di un tema di grande importanza per l'Italia, innanzitutto, per la sua affidabilità e per il suo buon nome nel mondo, ma anche decisivo al fine degli equilibri sociali e civili della nostra Italia e del nostro vivere civile. È un tema nel quale la prevenzione e la repressione dei fenomeni mafiosi e di criminalità organizzata si intrecciano con l'attuale pervasività, di cui abbiamo notizia, della mafia nell'economia.
Signor Presidente, come si è potuto constatare - ed io stesso lo farò - gli interventi dei colleghi sono stati svolti sul merito di un provvedimento importante, finora sottovalutato e poco posto all'attenzione non solo della pubblica opinione, ma anche del Parlamento. È bene che ci soffermiamo sulla discussione in Assemblea, recuperando momenti di discussione limitati all'interno delle Commissioni. Per questo motivo, insistiamo sulla necessità di discutere, lo facciamo, e proponiamo un'adeguata azione emendativa del testo che ora è alla nostra attenzione, affinché sia modificato nelle parti più controverse, di cui cercherò di dire, e su cui più di un collega si è soffermato.
In particolare, il testo che è all'attenzione dell'Assemblea, come ho detto, è uno dei più delicati ed importanti nell'ottica di una strategia più efficace e risolutiva nella lotta alla criminalità organizzata. È notorio e universalmente riconosciuto che, dal punto di vista delle tematiche che affronta, esso è uno dei più temuti dalle organizzazioni criminali. È riconosciuto, infatti, che la mafia rappresenta, in termini di fatturato e di infiltrazione capillare su base territoriale, la prima «azienda» del Paese, come testimoniano numerosi dossier, rapporti di organismi istituzionali di livello locale e nazionale, di associazioni di categoria e di volontariato, impegnati in Pag. 72prima linea nella battaglia contro le mafie nel nostro Paese (contro Cosa nostra, contro la 'ndrangheta, eccetera).
In modo particolare, la pervasività del sistema criminale nell'ambito del settore edilizio in tutte le sue fasi costituisce uno dei baluardi del progressivo e costante arricchimento delle associazioni mafiose, con una profonda infiltrazione nel tessuto sociale ed economico del Paese. Sappiamo che le forme attraverso cui ciò avviene vanno dal controllo degli appalti - su cui il Partito Democratico è più volte intervenuto presentando diversi provvedimenti - a quello delle opere pubbliche, dalla richiesta del «pizzo» al ricorso all'usura.
Parallelamente, va sottolineato il salto di qualità nei rapporti tra le mafie, che operano e sono nate storicamente nel nostro Paese, e le numerose organizzazioni criminali internazionali e transnazionali, al punto che gli organismi internazionali e la stessa Unione europea stanno pensando di adottare provvedimenti ricalcanti l'impianto normativo italiano, proprio per fare fronte alla facilità di comunicazione e contatti derivante dalla globalizzazione e, in ambito europeo, dall'apertura delle frontiere. Sono tutte questioni sulle quali, evidentemente, dobbiamo avere una grande capacità di intervento dello Stato e delle sue istituzioni.
In questo scenario, l'attività di recupero da parte dello Stato dei beni immobili e delle aziende che possono essere ricondotti ad elementi o associazioni di stampo mafioso, appare strategica e decisiva nell'attività di repressione del fenomeno. Se è vero che da decenni la trasformazione, il passaggio fondamentale che ha visto protagoniste le mafie italiane coincide sostanzialmente con una scalata orizzontale al controllo dei gangli dello sviluppo economico del Paese, è altrettanto evidente che è proprio su questo terreno che lo Stato si gioca la sua battaglia e, con lo Stato, noi giochiamo l'effettiva capacità di vincere la battaglia per la legalità.
Da questo punto di vista, negli ultimi anni è stato portato avanti un consistente lavoro che ha visto impegnati tanto le autorità giudiziarie, che l'Agenzia del demanio, fino ad oggi unici soggetti titolati ad occuparsi dell'amministrazione, della gestione, della confisca e della destinazione dei beni di cui stiamo discutendo in questo provvedimento, i quali fanno riferimento alla mafia.
Il riferimento legislativo che richiama questo processo è la legge n. 109 del 1996: una normativa unica nel suo genere, ancora oggi, nel panorama internazionale, in quanto mirata a restituire alla collettività i patrimoni delle organizzazioni criminali attraverso il loro riutilizzo sociale, il loro riutilizzo produttivo e pubblico. Dobbiamo al compianto Pio La Torre, storico dirigente del PCI siciliano, la grande intuizione che il sequestro delle attività illecite e criminose della mafia costituisse uno dei rimedi più efficaci, se non per debellare il fenomeno, certamente per disinnescarne la propagazione dal punto di vista operativo e della penetrazione nell'economia e nella società.
Dunque, la restituzione alla società civile di ciò che la mafia ha acquisito illegalmente è e deve restare un principio cardine su cui si fonda la lotta alla criminalità organizzata nel nostro Paese e lo dovrebbe essere per quanto attiene la lotta alla criminalità organizzata e mafiosa in Europa e nel mondo: diciamo questo anche affrontando il provvedimento in esame, in quanto il testo in oggetto, su questo punto, non è, né ci sembra completamente adeguato.
Malgrado la ratio della legge n. 109 del 1996, da me richiamata in precedenza, mantenga tutta la sua validità e la sua importanza, secondo molti osservatori sul piano della sua applicazione non è apparsa sufficiente a risolvere le tante problematiche che sono apparse nel tempo, rispetto alla gestione, alla destinazione e all'utilizzo dei beni confiscati alle mafie. In buona sostanza, la norma non ha avuto un facile decollo, anche perché la stessa percezione per cui la consegna alla comunità di beni sottratti ai patrimoni mafiosi ripristini, in qualche modo, una condizione di Stato di diritto, non è stata sufficientemente alimentata. Il Governo, peraltro, ha inserito nella scorsa finanziaria Pag. 73una misura in questa direzione di ritorno dei beni controllati dalla mafia alle comunità locali.
Tornando alla legge n. 109 del 1996, che mostra qualche crepa, le ragioni del suo non pieno funzionamento sono diverse; in primo luogo, per una certa farraginosità nella procedura e una dispersione generale dovuta a tanti fattori: dall'estrema lunghezza dei tempi che intercorrono tra la confisca definitiva e il provvedimento di destinazione, al conseguente degrado dei patrimoni, alla perdita di competitività e al frequente rischio di fallimento delle imprese sottoposte a sequestro e al diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari che operano nei diversi distretti.
È proprio per queste difficoltà di gestione (almeno così si è detto) che il Governo e nello specifico il Ministro Maroni hanno avvertito l'esigenza - a nostro modo di vedere tardiva, vista la delicatezza e l'entità della questione - di dare vita ad una sorta di cabina di regia unitaria e di ambito nazionale che faccia da raccordo tra tutti gli organismi coinvolti nel procedimento di recupero dei beni.
In realtà, va detto che in questo testo c'è molto di più, perché, tra l'altro, l'attività di coordinamento dell'Agenzia, in virtù di competenze e di poteri amplissimi che la legge le attribuisce, finisce per ridimensionare notevolmente la funzione e la professionalità che è stata acquisita in materia da anni da parte di alcuni organi giudiziari rivelatasi assai preziosa per esperienza nei passaggi nevralgici della gestione amministrativa.
In ogni caso, come Partito Democratico manifestiamo il nostro interesse per questo testo che ribadiamo essere tardivo; tuttavia, va comunque evidenziato il fatto che debba essere soggetto ad una azione emendativa e di miglioramento.
Entrando nello specifico del provvedimento, come hanno detto altri colleghi, non possiamo non prendere le mosse da alcuni dati e da alcune cifre che ci rendono l'ordine di grandezza della situazione. Ad esempio, per quanto riguarda i beni immobili confiscati al 30 giugno 2009, questi sono 8.933, per lo più collocati nelle regioni meridionali, il 17 per cento prevalentemente in Lombardia e nel Lazio. Sempre per quanto riguarda quella data di riferimento, le aziende confiscate alla criminalità sono state 1.185, il 38 per cento in Sicilia, mentre la Campania e la Lombardia avevano il 19 e il 14 per cento e il Lazio l'8 per cento.
Circa le destinazioni, su 8.933 beni immobili confiscati, 5.407 sono stati destinati; la maggior parte dei beni destinati è stata consegnata agli enti locali per finalità sociali. Il restante 14 per cento è stato mantenuto allo Stato per fini istituzionali.
Per le aziende - che erano 1.185 - 338 sono quelle giunte a destinazione; solo l'11 per cento delle aziende è stato destinato alla vendita o all'affitto, il restante 89 per cento è andato in liquidazione. Infatti, un'azienda su tre risulta già in liquidazione o tecnicamente fallita prima della confisca definitiva e, quindi, precedentemente alla presa in consegna da parte dell'Agenzia del demanio.
Come si vede, stando alle percentuali, la destinazione delle aziende confiscate risulta molto difficile da gestire e questo per una serie di problematiche: in primo luogo, per un discorso di mancanza di liquidità, perché i creditori e gli istituti bancari, a seguito del provvedimento di sequestro, tendono a ridurre o a eliminare le linee di credito; in secondo luogo, per una carenza di esperti del settore che possano garantire e sostenere la redditività dell'impresa anche in vista della destinazione finale.
Per sopperire a queste esigenze alcuni tribunali hanno adottato dei protocolli, anche in accordo con il commissario straordinario per i beni confiscati, proprio per la valorizzazione delle aziende di sequestro.
La nascita dell'Agenzia nazionale che gestisca quella che appare come una sorta di filiera, cioè confisca, destinazione, assegnazione monitorata dalle prefetture con l'annessa riutilizzazione sociale, dovrebbe dunque correggere tutta una serie di errori e di ritardi nella procedura. Pag. 74
Essi vanno dalla difficoltà nell'elaborazione di stime e di mappature dettagliate dei siti oggetto di confisca, alla mancanza di monitoraggi specifici, stante il fatto che molto spesso l'Agenzia del demanio ha destinato beni alle amministrazioni senza prima averli svincolati. Inoltre, dovrebbe fronteggiare la perdita di valore del bene dovuta ad anni di sequestro, tanto che nell'assegnazione alla collettività per essere agibili questi beni necessiterebbero di un impiego ingente di fondi.
Quali sono le principali novità del testo che vanno a incidere tanto sulla precedente normativa quanto sul codice di procedura penale? A nostro avviso l'articolo 1, comma 1, istituisce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, mentre l'articolo 1, comma 2, ne riconosce la personalità giuridica di diritto pubblico, la dota di autonomia organizzativa e contabile e ne stabilisce la sede principale a Reggio Calabria, con una certa attenzione ad un fenomeno che sino ad oggi nella legislazione non era attentamente considerato, cioè il fenomeno 'ndranghetista.
L'Agenzia è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno. Organo apicale di questa Agenzia è il direttore, che viene scelto esclusivamente tra i prefetti e che è coadiuvato dal consiglio direttivo, composto da quattro membri. L'Agenzia è istituita con effetto immediato.
Tuttavia, le norme previgenti in materia di amministrazione dei beni sequestrati continuano ad applicarsi fino all'emanazione dei regolamenti. Sembra che, dopo l'emanazione dei regolamenti, l'Agenzia assumerà i propri compiti anche con riferimento ai beni già sequestrati. Questi sono, comunque, alcuni problemi.
Inoltre, il ruolo del Ministero dell'interno, che ha compiti di vigilanza e che propone la nomina del direttore, risulta preponderante, sia sul piano della definizione strutturale, sia nella vocazione - direi in qualche modo eccessivamente centralistica - che l'Agenzia finisce così per avere.
Temo che l'esigenza di uno snellimento delle procedure che il Governo intende risolvere instaurando un elefante burocratico di queste dimensioni possa, invece, creare una confusione tale da rendere inefficaci gli stessi obiettivi che, invece, molto positivamente si dice di volere perseguire.
Nella rincorsa costante a un decisionismo di facciata, cui ormai siamo abituati da molti provvedimenti del Governo, e che si traduce spesso in slogan facili e dal forte impatto mediatico, si perdono, però, poi di vista le conseguenze che questi provvedimenti potrebbero comportare. Da qui nascono le nostre critiche al testo, pur nell'apprezzamento degli intenti.
Infatti, il decreto-legge, mirando a velocizzare il passaggio che va dall'amministrazione giudiziaria alla confisca definitiva del bene, programmando già nella prima fase la sua destinazione finale, unifica i due momenti dell'amministrazione, quelli che in prima battuta erano di competenza dell'autorità giudiziaria e in seconda dell'Agenzia del demanio.
L'Agenzia si sostituisce integralmente all'amministratore, nominato oggi dal tribunale o dall'autorità giudiziaria, provvede alla custodia, gestione e amministrazione dei beni, presenta al giudice delegato o all'autorità giudiziaria una relazione entro tre mesi dall'esecuzione del sequestro e in seguito periodicamente, indicando anche eventuali ulteriori beni da sequestrare.
Cambia, inoltre, il quadro giuridico nel quale si colloca l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, assumendo competenza esclusiva e generale in materia.
All'articolo 5 si prevede che per l'espletamento dei propri compiti l'Agenzia si avvalga di proprio personale, vale a dire tecnici, coadiutori scelti nell'ambito dell'amministrazione giudiziaria e, nel caso di aziende, di persone iscritte nell'apposito albo.
Premesso che ciò comporterebbe un incremento di costi, che derivano dal necessario utilizzo da parte dell'Agenzia di coadiutori e dall'intervento del personale Pag. 75di raccordo della stessa Agenzia, quello che va sottolineato è che in questo modo viene attribuito all'Agenzia il potere di nomina del soggetto effettivamente incaricato della gestione, al di fuori di ogni controllo da parte dell'autorità giudiziaria. Emerge con evidenza, dunque, lo scollamento tra autorità giudiziaria e amministrazione del bene sequestrato, oggi assicurato dal rapporto tra amministratore e giudice delegato. È proprio questo ruolo che subisce un significativo ridimensionamento.
Inoltre, nel caso di compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte dell'Agenzia, all'autorizzazione scritta del giudice delegato si sostituisce il nulla osta dello stesso e viene meno, a seguito della sostituzione integrale del comma 3, dell'articolo 2-septies, il potere di proporre al tribunale la revoca dell'amministratore attualmente prevista nel caso di inosservanza dei doveri o di incapacità dell'amministratore.
Nella relazione illustrativa del decreto-legge viene appunto evidenziata la necessità di liberare il giudice delegato da una serie di incombenze. Il punto è che l'Agenzia si sostituisce di fatto all'amministratore giudiziario, ma a differenza di quest'ultimo, che comunque operava sotto la direzione del giudice delegato, non ha alcun obbligo di rendicontazione e verifica che non sia la periodica trasmissione di relazioni sull'andamento del procedimento gestionale.
Diverse osservazioni sugli aspetti critici del provvedimento sono state espresse da più parti (alcune le condividiamo). Sul netto ridimensionamento delle funzioni dell'autorità giudiziaria, ad esempio, è stata espressa la preoccupazione per una nuova disciplina che potrebbe svilire l'efficacia del sistema delle misure patrimoniali antimafia, sottraendo al giudice quel patrimonio informativo che scaturisce dal rapporto fiduciario con l'amministratore giudiziario che assumeva un'importanza determinante sotto diversi profili.
Altri osservatori stigmatizzano il rischio di disperdere il contatto diretto tra giudice e amministratore che consente una proficua gestione del procedimento di confisca attraverso le informazioni acquisite dal giudice. Istituire dunque un'Agenzia che coordini tutto il procedimento - sulla cui necessità il Partito Democratico da tempo aveva avanzato proposte - non significa però attribuire le funzioni sostitutive dell'autorità giudiziaria, ma proprio per garantire una proficua gestione dei beni e il mantenimento della redditività gestionale delle imprese e delle società, l'Agenzia dovrebbe lavorare a supporto della stessa autorità giudiziaria. Un lavoro dunque di raccordo, una cabina di regia, come suggerito dal commissario straordinario che, relativamente alle confische, non finisca poi per burocratizzare ulteriormente i procedimenti, come ad esempio potrebbe rivelarsi il complesso scambio di comunicazioni ufficiali tra esperto, coadiutore, Agenzia e organo giurisdizionale.
Non ci pare questo sostanzialmente un incentivo alla velocizzazione e su questo punto ci auguriamo che il Governo sia disponibile a licenziare un testo modificato, tenendo in debita considerazione gli emendamenti proposti dal nostro gruppo.
Infine, un ultimo spunto sull'importanza del meccanismo delle finalità sociali del sequestro e confisca con destinazione alla collettività dei beni sottratti alle organizzazioni criminali viene dall'Europa e dovrebbe richiamare il Governo a sanare il paradosso della vendita all'asta dei beni confiscati che entro novanta giorni non possono essere destinati o trasferiti per finalità sociali. Riprendendo quanto accennato all'inizio, ricordo che di recente nel corso di un'audizione il Commissario europeo per gli affari interni, Cecilia Malmstrom, ha dichiarato la propria intenzione di arrivare ad una normativa comunitaria che estenda a tutti i Paesi membri il riuso sociale dei beni confiscati sul modello della legge di iniziativa popolare Rognoni-La Torre.
Quindi, diventa ancor più cogente ripensare alla possibilità che il bene venga venduto a prezzo di mercato e che siano fatte le opportune verifiche sulla provenienza Pag. 76del denaro per evitare che questo torni ad elementi legati alla criminalità, magari sotto forma di prestanome.
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Su questa necessità di armonizzare il decreto-legge di cui stiamo discutendo con quella disposizione contenuta nella legge finanziaria, il gruppo del Partito Democratico ha presentato alcuni emendamenti.
Credo che a suffragio della bontà di questi emendamenti potremo far parlare direttamente il commissario straordinario, il quale dice che «il tema della vendita nei decreti attuativi dovrà essere circondato da specifiche cautele per renderla possibile solo in casi eccezionali e in condizione di sicura affidabilità quanto agli acquirenti. Dovrà trattarsi dunque di un'ipotesi residuale nei casi di assoluta impossibilità di destinazione sociale o pubblica di beni non significativi da attuarsi caso per caso e attraverso procedure garantite che stabiliscano obblighi puntuali della pubblica amministrazione in ordine alla praticabilità della destinazione sociale pubblica, che resta l'obiettivo principale».
Non vorrei che la necessità di istituire un organismo certamente utile per le sue funzioni di collegamento e di raccordo tra i soggetti coinvolti nel procedimento amministrativo e giudiziario, pur tuttavia, a causa di procedure errate, si traducesse di fatto in una rapida messa all'asta dei patrimoni dei mafiosi pronti ad essere ricomprati dai boss. Lo Stato sempre più deve dimostrarsi all'altezza del compito che gli è proprio e, quindi, anche la norma ha bisogno di essere una buona norma, applicabile da subito ed efficace.
Sconfiggere le mafie attraverso forme di controllo e di prevenzione e tramite l'accertamento dei reati, secondo procedure consone con il consenso sociale e con il consenso vasto della politica: questo è il nostro obiettivo per il decreto-legge in esame (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Secondo gli accordi, questo è l'ultimo intervento della seduta odierna. Il seguito della discussione sulle linee generali è rinviato ad altra seduta.
Si intende ovviamente rinviato ad altra seduta anche lo svolgimento delle altre discussioni sulle linee generali previste dall'ordine del giorno.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 9 marzo 2010, alle 11:
1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (3146-A).
- Relatori: Calderisi, per la I Commissione; Bitonci, per la V Commissione.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (3175).
- Relatori: Santelli, per la I Commissione; Contento, per la II Commissione.

3. - Discussione della proposta di legge:
BINETTI ed altri; POLLEDRI ed altri; LIVIA TURCO ed altri; FARINA COSCIONI ed altri; BERTOLINI ed altri; COTA ed altri; DI VIRGILIO ed altri; SALTAMARTINI ed altri: Disposizioni per Pag. 77garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (624-635-1141-1312-1738-1764-ter-1830-1968-ter-B).
- Relatore: Palumbo.

4. - Discussione dei disegni di legge:
Ratifica ed esecuzione del Memorandum d'Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica indonesiana concernente l'apertura dell'Ufficio «Indonesian Trade Promotion Center» (ITPC), fatto a Jakarta il 10 marzo 2008 (3082).
- Relatore: Stefani.
Ratifica ed esecuzione della Dichiarazione di intenti tra i Ministri della difesa di Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna relativa alla creazione di una Forza di gendarmeria europea, con Allegati, firmata a Noordwijk il 17 settembre 2004, e del Trattato tra il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica portoghese per l'istituzione della Forza di gendarmeria europea, EUROGENDFOR, firmato a Velsen il 18 ottobre 2007 (3083).
- Relatori: Malgieri, per la III Commissione; Ascierto, per la IV Commissione.

La seduta termina alle 21,10.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO JOLE SANTELLI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3175

JOLE SANTELLI, Relatore per la I Commissione. Onorevoli colleghi, come evidenziato anche nella relazione illustrativa del provvedimento, l'aggressione ai patrimoni mafiosi è diventata lo strumento più efficace di lotta alle mafie, unicamente alla prioritaria esigenza di rendere rapido ed effettivo l'utilizzo dei patrimoni per finalità istituzionali e sociali.
Il testo all'esame dell'Assemblea, dunque, è finalizzato ad assicurare l'unitarietà degli interventi e, soprattutto, a programmare, già durante la fase dell'amministrazione giudiziaria, la destinazione finale dei beni sequestrati, con immediatezza rispetto al provvedimento definitivo di confisca.
Contenuto del provvedimento. Nell'illustrazione del testo e dell'istruttoria legislativa svolta mi soffermerò sulle disposizioni del provvedimento in esame che attengono più strettamente alle materie di competenza della Commissione affari costituzionali, vale a dire le disposizioni contenute negli articoli 1, 2, 3, 4 e 7, mentre dei restanti articoli parlerà il collega Contento in qualità di relatore per la Commissione giustizia.
L'articolo 1 istituisce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la riconosce quale personalità giuridica di diritto pubblico dotata di autonomia organizzativa e contabile e ne pone la sede principale in Reggio Calabria.
L'Agenzia è sotto la vigilanza del Ministro dell'interno.
Per quanto riguarda le competenze, l'Agenzia provvede alla acquisizione dei dati relativi ai beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; alla acquisizione delle informazioni relative allo stato dei procedimenti di sequestro e confisca; alla verifica dello stato dei beni nei medesimi procedimenti; all'accertamento della consistenza, della destinazione e dell'utilizzo dei beni; alla programmazione dell'assegnazione e destinazione dei beni confiscati; all'analisi dei dati acquisiti, nonché delle criticità relative alla fase di assegnazione e destinazione.
L'Agenzia, ancora, provvede alla amministrazione e alla custodia dei beni sequestrati e all'amministrazione e destinazione dei beni confiscati nel corso del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali antimafia di cui alla legge n. 575 del 1965, la cui disciplina viene Pag. 78contestualmente modificata dall'articolo 5 del provvedimento in esame, del quale riferirà il collega Contento.
L'Agenzia provvede altresì all'amministrazione e alla custodia dei beni sequestrati e all'amministrazione e destinazione dei beni confiscati in caso di condanna per determinati gravi delitti per i quali è prevista una disciplina particolare in ordine al sequestro e alla confisca ai sensi dell'articolo 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, la cui disciplina è anch'essa modificata dall'articolo 5 del provvedimento in esame.
L'Agenzia provvede poi all'adozione delle iniziative e dei provvedimenti necessari per la tempestiva assegnazione e destinazione dei beni confiscati, anche attraverso la nomina, ove necessario, di commissari ad acta.
L'articolo 2 prevede, quali organi dell'Agenzia, il Direttore, il Consiglio direttivo ed il Collegio dei revisori.
Il Direttore è scelto tra i prefetti e viene nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e collocato in posizione di fuori ruolo. Il posto corrispondente nella dotazione organica dell'amministrazione di appartenenza è reso indisponibile per tutta la durata del collocamento fuori ruolo.
Il Consiglio direttivo è composto di cinque membri: il Direttore dell'Agenzia, che lo presiede; un rappresentante del Ministero dell'interno, un magistrato designato dal Ministro della giustizia; un magistrato designato dal Procuratore nazionale antimafia; il Direttore dell'Agenzia del demanio o un suo delegato.
Il decreto di nomina dei componenti del Consiglio direttivo viene proposto dal Ministro dell'interno al Presidente del Consiglio dei ministri.
Il collegio dei revisori è nominato con decreto del Ministro dell'interno fra gli iscritti all'albo ufficiale dei revisori dei conti ed è costituito dà tre componenti effettivi e da due supplenti. Un componente effettivo e un componenti supplente sono designati dal Ministro dell'economia e delle finanze.
Non è invece previsto un controllo specifico sull'Agenzia da parte della Corte dei conti.
Essa è comunque soggetta al controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio operato dalla Corte dei conti in via generale nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994.
Il comma 6, infine, stabilisce che i compensi degli organi sono stabiliti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e posti a carico del bilancio dell'Agenzia.
L'articolo 3 definisce le attribuzioni degli organi dell'Agenzia.
In particolare il Direttore dell'Agenzia ha la rappresentanza legale dell'Agenzia; può nominare uno o più delegati; convoca il Consiglio direttivo e stabilisce l'ordine del giorno delle sedute; provvede all'attuazione degli indirizzi e delle linee guida fissate dal Consiglio direttivo in materia di amministrazione, assegnazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati; presenta al Consiglio direttivo il bilancio preventivo e il conto consuntivo; riferisce periodicamente ai Ministri dell'interno e della giustizia e presenta una relazione semestrale sull'attività svolta dall'Agenzia, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 2-duodecies, comma 4, ultimo periodo, della legge n. 575 del 1965, che prevede che il Governo trasmetta ogni sei mesi al Parlamento una relazione riguardo ai dati relativi ai beni sequestrati o confiscati, i dati concernenti lo stato dei procedimenti per il sequestro o la confisca e i dati concernenti la consistenza, la destinazione e la utilizzazione dei beni sequestrati e confiscati.
L'articolo assegna inoltre all'Agenzia, in via generale, il compito di provvedere all'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati.
L'Agenzia adotta altresì i provvedimenti di destinazione dei beni confiscati verso le primarie finalità istituzionali e sociali, secondo le modalità indicate dalla già citata legge n. 575 del 1965.
Sempre secondo le modalità indicate dalla predetta legge, l'Agenzia, con delibera del Consiglio direttivo, adotta, in casi eccezionali Pag. 79previsti dalle norme in materia di tutela ambientale e di sicurezza ovvero qualora un bene confiscato sia improduttivo, oggettivamente inutilizzabile, non destinabile o non alienabile, provvedimenti di vendita, distruzione o demolizione del medesimo bene.
Si prevede che l'Agenzia, in merito alle attività connesse all'amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati, possa avvalersi delle prefetture territorialmente competenti, senza oneri per la finanza pubblica. In tali casi i prefetti costituiscono, sempre senza oneri per la finanza pubblica, un nucleo di supporto cui possono partecipare anche rappresentanti di altre amministrazioni, enti o associazioni.
Spetta, ancora, all'Agenzia, con delibera del Consiglio direttivo, adottare gli atti di indirizzo e le linee guida in materia di amministrazione, assegnazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati; programmare l'assegnazione e la destinazione dei beni in previsione della confisca; approvare piani generali di destinazione dei beni confiscati; richiedere la modifica della destinazione d'uso del bene confiscato, in funzione della valorizzazione dello stesso o del suo utilizzo per finalità istituzionali o sociali, anche in deroga agli strumenti urbanistici; approvare il bilancio preventivo ed il conto consuntivo; verificare l'utilizzo dei beni, da parte dei privati e degli enti pubblici, conformemente ai provvedimenti di assegnazione e di destinazione; revocare il provvedimento di assegnazione e destinazione nel caso di mancato o difforme utilizzo del bene rispetto alle finalità indicate; sottoscrivere convenzioni e protocolli con pubbliche amministrazioni, regioni, enti locali, ordini professionali, enti ed associazioni per le finalità del presente decreto; provvedere all'eventuale istituzione, in relazione a particolari esigenze, di sedi secondarie; adottare un regolamento di organizzazione interna.
L'Agenzia è poi autorizzata a chiamare a partecipare alle riunioni del consiglio direttivo rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, centrali e locali dell'autorità giudiziaria: di enti ed associazioni di volta in volta interessati.
Il collegio dei revisori, a sua volta provvede al riscontro degli atti di gestione; alla verifica del bilancio di previsione e del conto consuntivo, redigendo apposite relazioni; alle verifiche di cassa con frequenza almeno trimestrale.
L'articolo 4 disciplina l'organizzazione dell'Agenzia.
L'articolo rimette a uno o più regolamenti da adottare entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia, dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, la disciplina sull'organizzazione e la dotazione delle risorse umane e strumentali per il funzionamento dell'Agenzia e sulla contabilità finanziaria ed economico patrimoniale relativa alla gestione dell'Agenzia, nella quale deve essere assicurata la separazione finanziaria e contabile dalle attività di amministrazione e custodia dei beni sequestrati e confiscati. I regolamenti devono intervenire inoltre in materia di comunicazioni, anche telematiche, tra l'Agenzia e l'Autorità giudiziaria, nonché di flussi informativi necessari per l'esercizio dei compiti attribuiti all'Agenzia.
Quanto ai rapporti tra l'Agenzia che viene istituita e l'Agenzia del demanio in merito, all'amministrazione ed alla custodia dei beni confiscati, si prevede che questi siano regolati mediante una apposita Convenzione non onerosa.
È previsto, ancora, che l'Agenzia, in seguito all'entrata in vigore dei regolamenti anzidetti possa avvalersi, per l'assolvimento dei suoi compiti anche di altre amministrazioni ovvero di enti pubblici, ivi incluse le Agenzie fiscali, stipulando apposite convenzioni non onerose.
L'Agenzia viene ricompresa tra gli organismi pubblici ai quali si applica il sistema di tesoreria unica.
L'articolo 7 detta disposizioni volte a garantire l'immediata operatività dell'Agenzia, che sostituisce il Commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali.
Giova ricordare che, proprio nei giorni scorsi, il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha comunicato la nomina del prefetto Pag. 80dottor Alberto Di Pace a Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali.
Si stabilisce, in primo luogo, che, nella fase di prima applicazione delle disposizioni del presente decreto, la dotazione organica dell'Agenzia sia determinata, con provvedimento del Direttore, in trenta unità, ripartite tra le varie qualifiche, ivi comprese quelle dirigenziali. Il personale proveniente dalle pubbliche amministrazioni, dalle Agenzie, dagli enti territoriali, una volta assegnato all'Agenzia, anche in posizione di comando o di distacco, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, conserva lo stato giuridico e il trattamento economico in godimento con oneri a carico dell'amministrazione di appartenenza.
È previsto inoltre che il Direttore dell'Agenzia, nei limiti della dotazione organica, possa stipulare contratti a tempo determinato, al fine di assicurare la piena operatività dell'Agenzia.
Una volta nominato il Direttore, cessa l'attività del Commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali e, contestualmente, sono trasferite all'Agenzia le relative funzioni e risorse strumentali e finanziarie nonché le risorse umane, nei limiti delle suddette trenta unità, che mantengono la medesima posizione già occupata presso il Commissario.
Si prevede che l'Agenzia subentri, poi, nelle convenzioni, nei protocolli e nei contratti di collaborazione stipulati dal Commissario straordinario, avvalendosi, nei limiti degli stanziamenti di cui all'articolo 10, di esperti e collaboratori esterni.
Istruttoria legislativa svolta. Le Commissioni riunite affari costituzionali e giustizia, nella seduta del 16 febbraio 2010, hanno avviato l'esame in sede referente del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (A.C. 3175), deliberando di conferire il mandato ai relatori a riferire in senso favorevole all'Assemblea nella seduta del 4 marzo scorso.
Nell'ambito dell'istruttoria legislativa sul provvedimento, le Commissioni I e II hanno convenuto sull'opportunità di svolgere una serie di audizioni informali.
Sono state, in particolare, svolte le audizioni del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione per i beni confiscati ad organizzazioni criminali, prefetto Alberto Di Pace; del direttore dell'Agenzia del demanio, dottor Maurizio Prato; di rappresentanti di Libera-Associazione nomi e numeri contro le mafie; della dottoressa Silvana Saguto, giudice del tribunale di Palermo, in qualità di magistrato giudicante ed esperta della materia avendo presieduto i collegi per l'applicazione delle misure antimafia in procedimenti di rilievo e del dottor Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria.
Nel corso dell'esame in sede referente si è deciso di non apportare modifiche al testo del decreto-legge rinviando alla fase successiva, della discussione in Assemblea, la definizione delle proposte emendative da approvare. I relatori, d'intesa con il Governo, si sono infatti riservati di svolgere ulteriori approfondimenti - anche alla luce della complessità dei temi affrontati dal provvedimento - così da giungere all'elaborazione di alcune proposte di modifica, che tengano conto di quanto emerso nel corso del dibattito e dalle audizioni svolte, con particolare riferimento all'esigenza di una netta separazione della gestione del bene nel corso del sequestro rispetto all'amministrazione del medesimo una volta confiscato.
Pareri delle Commissioni in sede consultiva. Ricordo, infine, che sul testo del decreto-legge sono stati acquisiti i pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva. In particolare è stato espresso parere favorevole con un'osservazione da parte della Commissione finanze e della Commissione Ambiente, nonché parere favorevole dalla Commissione lavoro. La Commissione attività produttive e la Commissione parlamentare per le questioni regionali non hanno espresso il parere, mentre la Commissione Pag. 81bilancio esprimerà il proprio parere direttamente all'Assemblea. Il Comitato per la legislazione, infine, ha espresso un parere con osservazioni.
Tutti i rilievi espressi dalle Commissioni in sede consultiva saranno quindi approfonditi e valutati nell'ambito del Comitato dei nove, affinché possano essere, per quanto possibile, recepiti.
Al tempo stesso, come già anticipato, in tale sede sarà effettuato un attento confronto sugli emendamenti formulati dai vari gruppi, d'intesa con il Governo, al fine di apportare i necessari correttivi al provvedimento in esame.
L'auspicio è quello di poter giungere ad un testo quanto più possibile condiviso su un tema di particolare rilievo e delicatezza qual è quello della gestione e della destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO NICOLA MOLTENI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3175

NICOLA MOLTENI. Il decreto-legge n. 4 del 2010 istitutivo dell'agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata rappresenta l'ennesimo incisivo provvedimento del Governo voluto fortemente dal Ministro Maroni per completare l'azione complessiva dell'esecutivo mirata a fronteggiare e contrastare efficacemente il problema e il fenomeno della criminalità organizzata e delle mafie nel nostro paese in particolare con riferimento alla fase della gestione, dell'amministrazione e della destinazione del vasto patrimonio di beni mobili, immobili ed aziende sottratte alla criminalità grazie ai numerosi interventi di spoliazione dei patrimoni dei mafiosi effettuati in questi ultimi venti mesi dall'azione congiunta di Governo, forze dell'ordine e magistratura.
L'istituzione dell'agenzia nazionale non è quindi un provvedimento isolato né tanto meno sganciato rispetto ad una strategia complessiva del Governo mirata ad affinare, migliorare e soprattutto potenziare gli strumenti di contrasto alle mafie bensì è un provvedimento che si inserisce in un più ampio, generale e organico Piano Straordinario contro le mafie approvato dal Consiglio dei ministri il 28 gennaio 2010 che prevede oltre all'agenzia stessa la stesura di un codice delle leggi antimafia, nuove misure di contrasto all'ecomafia, nuove misure di aggressione dei patrimoni dei mafiosi, nuove misure a sostegno delle vittime del racket e dell'usura, il potenziamento del'azione antimafia nel settore degli appalti, il contrasto alla criminalità transnazionale.
Quindi un piano strutturato, complesso, sistemico che va ad aggiungersi e a sommarsi alle altre disposizioni normative di contrasto alle mafie approvate da questa maggioranza e da questo Governo nel corso dell'attuale legislatura, provvedimenti indirizzati in particolare ad attaccare e ad aggredire quanto di più caro hanno i mafiosi e le cosche ovvero i loro patrimoni e i loro beni.
La sottrazione dei beni alla mafia ha infatti, come più volte ricordato dal Ministro Maroni, un duplice valore: un valore simbolico, perché dà ai cittadini il segnale che lo Stato c'è e va fino in fondo nella propria azione di contrasto non solo catturando i mafiosi ma anche sottraendo loro e ai loro famigliari quanto illecitamente guadagnato e ha anche un valore in concreto direi materiale e sostanziale, perché sottrae risorse economiche ai clan che hanno bisogno di denaro per governare l'Antistato".
Giova infatti ricordare le norme introdotte nel pacchetto sicurezza in tema di lotta e prevenzione alla criminalità organizzata.
Nel Pacchetto Sicurezza abbiamo inserito norme che consentono di colpire la mafia nei soldi, separando il destino del mafioso dal destino del suo patrimonio. Una volta, prima dell'intervento normativo, se il mafioso arrestato moriva il patrimonio andava agli eredi. Adesso resta sequestrato e resta parte del patrimonio pubblico.
Ricordiamo il decreto-legge n. 92 del 2008 che ha sganciato l'applicazione del Pag. 82sequestro e della confisca, misure di prevenzione patrimoniali antimafia, dall'esistenza di un procedimento di applicazione di una misura di prevenzione personale e ha esteso l'attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia anche ai procedimenti di prevenzione antimafia.
La legge n. 94 del 2009 ha previsto l'applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali (sequestro e confisca) indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto preposto per la loro applicazione e ha introdotto modalità di gestione dei beni aziendali ispirate ad una esigenza di conservazione dei valori produttivi e della reale ed effettiva capacità produttiva dell'azienda.
O ancora la legge n. 191 del 2009 - legge finanziaria - che ha previsto, in via residuale ed eccezionale, la vendita - tra l'altro ricordiamo che già la legislazione del nostro paese del 1996 e la legge finanziaria del 2000 prevede la vendita dei beni sequestrati - dei beni immobili confiscati di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse, finalità di pubblico interesse istituzionale e sociale che è bene ricordarlo rimane la destinazione prioritaria.
Ancora l'inasprimento delle sanzioni per il reato di associazione di tipo mafioso, nuove sanzioni pecuniarie e interdittive a carico dell'ente in relazione alla commissione di delitti di criminalità organizzata, l'inasprimento del regime carcerario speciale del 41-bis (il carcere duro per i mafiosi) rendendo tra l'altro ancora più difficile le comunicazione all' esterno del carcere proprio per impedire che dal carcere potesse continuare a emanare direttive e a coordinare le attività illecite.
I provvedimenti appena menzionati, tra l'altro molti di questi provvedimenti sono stati condivisi e sostenuti anche dalle opposizioni, dimostrano inconfutabilmente che la lotta alle mafie (comprese le mafie straniere), la lotta alla criminalità organizzata rappresenta uno dei fiori all'occhiello dell'azione amministrativa e politica di questo Governo e del Ministro Maroni, ma soprattutto il più serio e incisivo intervento dello Stato degli ultimi cinquant'anni.
Mai nessun Governo e mai nessun Ministro hanno fatto tanto e bene per contrastare la proliferazione delle mafie nel nostro paese. Proliferazione vorrei ricordare non solo, o meglio non più solo nel sud nel paese ma anche al Nord, nel ricco nord, nel nord produttivo dove le infiltrazioni mafiose soprattutto nel tessuto economico- appalti pubblici, società finanziarie, società di servizi - stanno assumendo connotazioni gravi e persistenti.
Una mafia che nasce al sud ma che si alimenta e si nutre al Nord.
In particolar modo vorrei ricordare la terra da dove io provengo ovvero la ricca Brianza, il territorio di Como e provincia, zona di confine e di transito verso la Svizzera e quindi più facilmente permeabile dove l'infiltrazione mafiosa, come emerso ancora recentemente durante un convegno partecipato dal prefetto e dalle forze di polizia, è una realtà sempre più triste e sempre più grave.
Una mafia quella del Nord e quella comasca in particolare in giacca e cravatta, una mafia dal taglio imprenditoriale, che non si manifesta con sparatorie, omicidi o atti cruenti, ma che opera in modo invisibile, in modo camaleontico.
Una mafia che si è saldata con i colletti bianchi, con uomini della finanza, delle banche, delle professioni.
Una mafia che non si vede, invisibile, ma che c è e opera con sempre maggiore assiduità.
E quindi l'occasione mi porta a chiedere, vista la presenza del Governo in aula, che il territorio del Nord e di Como in particolare venga attenzionato anche sotto il profilo dell'infiltrazione mafiosa attraverso una rapida convocazione di un tavolo di confronto convocato presso la sede della prefettura di Como con i componenti della Commissione antimafia, con i parlamentari comaschi, con le forze dell'ordine, richiesta già peraltro sollecitata dal senatore comasco Armando Valli, componente della Commissione antimafia al fine di tenere il territorio di Como costantemente monitorato dalle infiltrazioni mafiose e addivenire alla stesura Pag. 83dettagliata di un vero e proprio dossier antimafia circa le criticità del territorio comasco.
I risultati conseguiti nella lotta alla mafia dal Ministro dell'interno assieme allo straordinario lavoro effettuato dalle forze dell'ordine e dalla magistratura sono doverosi di menzione: 448 operazioni di polizia giudiziaria, 4590 arresti, 324 latitanti tratti in arresto, + 82 per cento rispetto al periodo precedente, 8 al giorno (di cui 22 dei 30 più pericolosi, 43 dei 100 più pericolosi, e altri 259 pericolosi latitanti assicurati alla giustizia), 12 mila beni sequestrati per un valore di 7 miliardi e mezzo di euro, 3 mila beni confiscati per un valore di quasi due miliardi di euro, 14 consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa, 1600 milioni di curo recuperati sul fondo unico giustizia.
Numeri questi inconfutabili che pur nella consapevolezza di non dover e di non poter abbassare la guardia contro il fenomeno della criminalità organizzata ci portano oggi ad esprimere un convinto plauso al Ministro, alle forze di polizia e alla magistratura.
E quindi in questo contesto caratterizzato da un lato da politiche di repressione del fenomeno mafioso con l'inasprimento delle sanzioni, del carcere duro e con gli arresti eccellenti di pericolosi latitanti e dall'altro lato con politiche di aggressione e di spoliazione dei patrimoni delle cosche con la conseguente restituzione dei beni alla collettività, operazione in cui lo Stato dimostra che legalità e sviluppo camminano di pari passo, risulta determinante l'inevitabile individuazione di migliori strumenti giuridico - amministrativi volti ad una gestione ottimale, più rapida, celere e finalizzata ad un immediato riutilizzo sociale ed istituzionale dei beni confiscati e sottratti alla criminalità organizzata, rimettendoli a disposizione della comunità.
In quest'ottica quindi di completamento della legge Rognoni-La Torre del 1982 (che fu la prima norma ad occuparsi di destinazione dei beni confiscati) e della legge n. 109 del 1996 si inserisce l'istituzione dell'agenzia nazionale la quale deve nell'intenzione politica del Governo, più volte ribadita dal Ministro Maroni e condivisa dal gruppo della Lega Nord, e credo anche dalle opposizioni, indirizzarsi verso una migliore e più efficiente razionalizzazione della gestione dei beni definitivamente confiscati e una maggiore velocizzazione della destinazione al fine di poter mettere i beni spogliati alla mafia nell'immediata disponibilità degli enti locali e delle associazioni senza scopo di lucro cui sono destinati in via prevalente e principale i beni confiscati (vorrei ricordare che più del 76 per cento dei beni destinati agli enti locali sono destinati a scopi sociali).
La necessità della costituzioni di un organismo, come l'agenzia nazionale, a struttura leggera e snella, di una cabina di regia nazionale, ma comunque fortemente legata ai territori attraverso la collaborazione delle prefetture territorialmente competenti e degli enti locali appariva indispensabile e assolutamente necessaria, ad esempio, allo stesso direttore dell'agenzia del demanio che abbiamo audito in Commissione; fu sollecitata anche dalla Commissione nazionale antimafia attraverso una relazione approvata il 27 novembre 20007 nel corso della precedente legislatura, e la sua istituzione fu anche sollecitata dallo stesso commissario straordinario del Governo istituito nel 2007.
Pertanto la richiesta di una struttura che assicurasse l'unitarietà degli interventi dal sequestro alla confisca alla destinazione, o almeno una continuità permanente, dalla fase dell'amministrazione fino a quella della destinazione e quindi un soggetto unico a livello nazionale, con competenza esclusiva e generale nella materia dei beni confiscati ma nel rispetto delle prerogative dell'autorità giudiziaria.
L'agenzia nazionale che si rende necessaria, oggi, a fronte della straordinaria e meritoria azione di contrasto alle mafie sostenuta dal Governo che ha portato alla sottrazione di ingenti beni ed enormi patrimoni alle stesse, è finalizzata a semplificare le procedure, ad accorciare e ridurre i tempi di destinazione del bene e quindi di riutilizzo del bene medesimo in particolar modo se trattasi di aziende con occupazione, lavoratori e produzione, a risolvere le molteplici problematiche sottese alla gestione, Pag. 84alla destinazione e all'utilizzo dei beni confiscati alle mafie (quali sono i problemi prevalenti - l'estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva e il provvedimento di destinazione, il degrado dei patrimoni, la perdita di competitività ed il frequente rischio di fallimento delle imprese sottoposte a sequestro con evidenti ricadute negative in termini occupazionali), problematiche che l'agenzia del demanio non ha risolto, non ha saputo risolvere soprattutto per mancanza di strumenti giuridici e amministrativi adeguati.
I numeri anche qui sono emblematici: dalla relazione dell'agenzia del demanio del 2009 emerge che su 9198 beni confiscati, di cui quasi 500 solo nel 2009, gli immobili destinati a riutilizzo sono circa 5700, gli immobili ancora da destinare sono più di 3000 e per il 77 per cento di questi sussistono gravi ostacoli di natura giuridica circa la loro destinazione (gravami ipotecari, procedure giudiziarie pendenti, sequestri penali concomitanti) tutte situazioni che rendono l'iter di destinazione molto più lento e gravoso.
O ancora su 201 aziende da destinare solamente 31 risultano in bonis, ovvero attive sul mercato e con dipendenti. Infatti quando le aziende pervengono allo Stato con il provvedimento di confisca versano nella quasi totalità in condizioni di decozione avanzata, risultando depotenziate sotto il profilo della loro capacità operativa ed in gravosa situazione economica finanziaria, il che rende pressoché impossibile garantire i livelli occupazionali esistenti nonché recuperare adeguati livelli di efficienza, competitività e produttività.
L'agenzia nelle intenzioni del Governo deve garantire tempi rapidi, procedure snelle, meccanismi unitari per meglio conservare, custodire e destinare i patrimoni, aziende comprese.
Io credo, e concludo, che il lavoro della Commissione, il lavoro dei relatori, le osservazioni emerse nel corso delle audizioni e il lavoro futuro che verrà svolto in sede di Comitato dei 18, ovviamente con la piena e totale condivisione del Governo, e del Ministro Maroni in particolare, Ministro Maroni che ripeto ha voluto questa agenzia e ha avuto il coraggio di istituirla, porterà a migliorare il decreto, a determinare il giusto momento di intervento dell'agenzia anche durante la fase del sequestro, ad ottimizzare e velocizzare la fase della confisca e della destinazione, preservando gli adempimenti di competenza giudiziaria, a stabilire un corretto rapporto tra agenzia e amministrazione giudiziaria, a fissare equilibrati rapporti tra l'agenzia e strutture territoriali competenti, in particolar modo gli enti locali.
Il gruppo della Lega Nord quindi lavorerà e darà il proprio contributo per migliorare il provvedimento in quanto questo decreto rappresenta sicuramente un ulteriore importante tassello nella lotta alla mafia.