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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 293 di mercoledì 3 marzo 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 9,40.

GIACOMO STUCCHI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Nirenstein e Palumbo sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 9,43).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 9,45, è ripresa alle 10,05.

Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 3244.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'assegnazione di una proposta di legge a Commissione in sede legislativa.
A norma del comma 1 dell'articolo 92 del Regolamento, propongo alla Camera che la seguente proposta di legge sia assegnata, in sede legislativa, alla IV Commissione (Difesa):
BOCCHINO ed altri: «Norme in materia di nomina del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza e di attività di concorso del medesimo Corpo alle operazioni militari in caso di guerra e alle missioni militari all'estero» (3244) - Parere delle Commissioni I, III, V, VI e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale).

Su tale proposta, a norma dell'articolo 41, comma 1, del Regolamento, darò la parola ad un deputato contro e a uno favore per non più di cinque ciascuno.
Ha chiesto di parlare contro l'onorevole Donadi. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, vorrei richiamare l'attenzione di quest'Assemblea sulla decisione di assegnare in sede legislativa la norma che tende a modificare i criteri di nomina del Comandante generale della Guardia di finanza, perché si tratta di una scelta estremamente delicata e sensibile dal punto di vista dei poteri riconosciuti dall'ordinamento a tale figura. Credo che questa decisione meriterebbe l'attenzione, oltre che della Commissione, anche di quest'Assemblea, sia per una più collettiva e globale Pag. 2assunzione di responsabilità, sia per un percorso legislativo più attento e compiuto.
Cercherò di dare una spiegazione e, pertanto, chiederei ai colleghi di prestare qualche minuto di attenzione, perché l'argomento lo merita. Vorrei richiamare l'attenzione di tutti su alcuni aspetti in particolare.
Da circa cento anni, lo statuto della Guardia di finanza prevede che il Comandante generale di quel Corpo venga scelto sì attraverso una nomina di carattere politico, perché proviene dal Governo, ma tra i generali di Corpo d'armata appartenenti ad un diverso Corpo e, cioè, al Corpo dell'Esercito.
La ragione di questa scelta risiede, da un lato, nell'ovvia e comprensibile ricerca di terzietà del comando, perché il Comandante della Guardia di finanza non possa rispondere a logiche altre rispetto a quelle di un equilibrato ed attento esercizio neutrale delle così delicate funzioni; dall'altro lato, risponde alla necessità che egli non sia condizionato dalla pressione... signor Presidente, se potesse cercare di garantire un po' più di silenzio in Aula, le sarei grato.

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia...

MASSIMO DONADI. ... come dicevo, risponde alla necessità che le funzioni del Comandante generale non siano condizionate da gruppi di pressione, fazioni o cordate provenienti dall'interno dello stesso Corpo.
Si dirà che, di recente, questo Parlamento ha, però, introdotto una modifica legislativa che, per un altro Corpo di polizia, ugualmente di natura militare, come i Carabinieri, ha consentito la scelta del Comandante generale dei carabinieri all'interno del Corpo stesso.
I poteri della Guardia di finanza, rispetto a quelli del Corpo dei carabinieri, sono ancora più delicati e ancora più sensibili. Infatti, i carabinieri possono svolgere attività di indagine soltanto a fronte di una notizia di reato e, quindi, a seguito di un'iniziativa proveniente dall'autorità giudiziaria. Al contrario, le indagini della Guardia di finanza, attenendo ad attività che non necessariamente configurano reato, ma anche semplice illecito fiscale, tributario o, comunque, alla necessità di appurare comportamenti che riguardano il profilo finanziario delle persone o delle società, rappresentano un potere svincolato da quello di un organo terzo come la magistratura. Inoltre, è un potere che la Guardia di finanza esercita autonomamente e senza il controllo, né l'ingerenza, di organi terzi.
Da questo punto di vista, secondo noi, unire le due cose - la nomina di provenienza politica da parte del Governo con la nomina di un esponente interno alla Guardia di finanza - crea un mix che rischia veramente di far perdere alla direzione, al Comando della guardia di finanza, anche solo astrattamente, quel carattere di terzietà e di esclusiva garanzia della funzione dell'interesse pubblico che, proprio per la natura e le caratteristiche del Corpo della guardia di finanza, costituisce, in caso di abuso, un rischio veramente di straordinaria gravità.
Altre ipotesi sarebbero possibili, altre soluzioni sarebbero prevedibili, come quella di un meccanismo automatico che, pur riconoscendo una scelta all'interno della Guardia di finanza, tolga tuttavia discrezionalità al Governo. Tutto questo, però, ci sembra un fatto di tale delicatezza e sensibilità, così come i rischi connessi ci sembrano rischi di tale gravità che, a nostro avviso, affidarne la decisione esclusivamente alle Commissioni, senza il passaggio in Aula e senza l'assunzione di responsabilità dell'intera Assemblea e dell'intero Parlamento, riteniamo sia una scelta grave, sbagliata e molto pericolosa e rischiosa.
Pertanto, voteremo contro la richiesta di assegnazione a Commissione in sede legislativa e speriamo che l'Assemblea la respinga (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Ascierto. Ne ha facoltà.

Pag. 3

FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, intervengo solo per dire al collega Donadi che è rimasto un po' indietro con la storia: è dal Duemila che, ad esempio, l'Arma dei carabinieri sceglie tra i generali di Corpo d'armata della stessa Arma dei carabinieri, oltre ai generali di Corpo d'armata dell'Esercito. Non capisco per quale motivo non lo possa fare anche la Guardia di finanza, visto e considerato che vi è un'omogeneità tra le forze dell'ordine, anche tra le Forze armate.

PRESIDENTE. Passiamo, dunque, ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 3244.
(È approvata).

La Camera approva per 381 voti di differenza.
Per consentire alla stessa Commissione di procedere all'abbinamento richiesto dall'articolo 77 del Regolamento: è assegnata alla IV Commissione, in sede legislativa, con il parere delle Commissioni I, V, VI e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), la proposta di legge Di Pietro ed altri: «Modifiche all'articolo 4 della legge 23 aprile 1959, n. 189, in materia di nomina del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza, e all'articolo 1 del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 69, concernente il Comandante in seconda del medesimo Corpo» (3254), che verte sulla stessa materia;
è trasferita, altresì, alla IV Commissione, in sede legislativa, con il parere delle Commissioni I e VI, la proposta di legge Vannucci e Zucchi: «Modifica all'articolo 4 della legge 23 aprile 1959, n. 189, in materia di nomina e revoca del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza» (864), attualmente assegnata alla medesima Commissione in sede referente e che verte sulla stessa materia.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 3097-B) (ore 10,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa.
Ricordo che nella seduta di ieri si sono svolti gli interventi sul complesso degli emendamenti e che i relatori e il rappresentante del Governo hanno espresso il parere sulle proposte emendative presentate.

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 3097-B)

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B),approvato dalla Camera (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B), nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B).Pag. 4
Passiamo all'emendamento Tempestini 5.1.
Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro formulato dal relatore.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, ritiriamo questo emendamento considerando che precedentemente si è raggiunta un'intesa per l'approvazione di un ordine del giorno, congiunto tra i vari gruppi presenti in Aula, che garantirà la copertura finanziaria della missione in Afghanistan e, allo stesso tempo l'espletamento della missione ad Haiti, trovando, quindi, le risorse necessarie per ripristinare i fondi destinati alla missione in Afghanistan. Pertanto, raggiunta questa intesa, ritiriamo l'emendamento.

PRESIDENTE. L'emendamento Tempestini 5.1 è quindi ritirato.
Passiamo all'emendamento Recchia 9.1. Chiedo al presentatore se acceda all'invito al ritiro formulato dal relatore.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, accolgo l'invito al ritiro anche perché il contenuto dell'emendamento è stato trasfuso in un ordine del giorno.

PRESIDENTE. Avverto che, consistendo il disegno di legge in un solo articolo, si procederà direttamente alla votazione finale, a norma dell'articolo 87, comma 5, del Regolamento.

(Esame degli ordini del giorno - A.C. 3097-B)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibile, ai sensi dell'articolo 89, comma 1, del Regolamento, l'ordine del giorno Vico n. 9/3097-B/3 riguardante il Piano pluriennale sugli alloggi della difesa, in quanto estraneo rispetto al contenuto del decreto-legge in esame.
Se nessuno chiede di intervenire per illustrare gli ordini del giorno, invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere.

GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, il Governo accetta gli ordini del giorno Rugghia n. 9/3097-B/1, Cirielli n. 9/3097-B/2, Di Stanislao n. 9/3097-B/4 ed Evangelisti n. 9/3097-B/5.
Circa l'ordine del giorno Leoluca Orlando n. 9/3097-B/6, il Governo riterrebbe utile, da un punto di vista formale, espungere dal dispositivo le parole: «prima della presentazione del prossimo decreto di proroga delle missioni internazionali», poiché esistono anche altre modalità di finanziamento delle missioni. Con tale riformulazione il parere del Governo è favorevole.
Il Governo accetta, altresì, l'ordine del giorno Tempestini n. 9/3097-B/7, purché il dispositivo sia riformulato nel senso di sostituire alle parole: «a ripristinare entro tempi certi», le seguenti: «a reperire», perché correttamente bisognerà anche reperire le risorse al fine di poter ripristinare i fondi. Con questa riformulazione l'ordine del giorno verrebbe accettato; con la formulazione attuale sarebbe comunque accolto come raccomandazione.
Infine, il Governo accetta l'ordine del giorno Cicu n. 9/3097-B/8.

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione degli ordini del giorno Rugghia n. 9/3097-B/1, Cirielli n. 9/3097-B/2, di Stanislao n. 9/3097-B/4 e Evangelisti n. 9/3097-B/5, accettati dal Governo.
Prendo atto che i presentatori accettano la riformulazione e non insistono per la votazione degli ordini del giorno Leoluca Orlando n. 9/3097-B/6 e Tempestini n. 9/3097-B/7, accettati dal Governo, purché riformulati.
Prendo atto, infine, che il presentatore non insiste per la votazione dell'ordine del giorno Cicu n. 9/3097-B/8, accettato dal Governo.
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.

Pag. 5

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3097-B)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di passare al merito dell'intervento vorrei ricordare il dirigente AISE, il dottor Pietro Antonio Colazzo, ed esprimere, insieme al mio gruppo, il cordoglio personale per una vita che è venuta meno nell'adempimento del proprio dovere. Mi unisco e ci uniamo insieme al dolore dei familiari. Questa è stata l'ennesima grave perdita per il prezioso e soprattutto silenzioso lavoro di intelligence, volto a dare maggiore sicurezza agli afgani, al nostro contingente militare e agli italiani per la difesa dal pericolo del terrorismo. Per questo invito il Governo a riferire quanto prima in Aula, perché non ci accontentiamo dell'intervento che si farà al Senato presso il Copasir.
Tornando alle missioni internazionali, voglio sgombrare il campo da un dato che riteniamo necessario e condiviso da tutti, vale a dire che le missioni internazionali sono uno strumento fondamentale e insostituibile di pace, di sicurezza e di libertà. A questo riguardo mi preme sottolineare un aspetto, ossia che la missione ISAF gioca su tre direttrici: la ricostruzione, la stabilizzazione e l'addestramento. Inoltre, essa si declina in due azioni principali e dirimenti: le azioni di peacekeeping e le azioni di peacebuilding, che dovremmo cercare di mantenere intatte, sempre e comunque.
A oggi credo che le missioni ISAF abbiano, come hanno, delle precise regole e, per volontà anche di questo Parlamento, anche dei precisi limiti. Questo voglio ricordarlo a tutti gli amici e a tutti i colleghi parlamentari presenti. Voglio anche ricordare che questa è, comunque e sempre, una missione di pace. Spiace dover ricordare che vi è il rischio di identificazione nella realtà tra ISAF e Enduring Freedom, con un altissimo e difficilmente controllabile grado di pericolosità che ci porterebbe a una deriva che non ci appartiene assolutamente. Pertanto, bisogna tenere distanti e distinte le due missioni per far sì che possano continuare a intraprendere il loro cammino e ad essere percepite come tali dall'intera nostra collettività e da questo Parlamento.
Peraltro, ritengo che non sia assolutamente giusto che all'interno dei provvedimenti relativi alle missioni, pur trattandosi ancora una volta di ennesime proroghe, si continui a mettere dentro delle norme intruse, che non aiutano a capire la portata e la profondità degli interventi che si mettono in atto in tutto il mondo. Credo che il paradosso che ci apprestiamo ancora una volta a disegnare e a contemplare all'interno delle nostre argomentazioni ci dice che queste missioni rappresentano, in un certo senso, un elemento che ci potrebbe portare lontano o, meglio, queste proroghe le consideriamo come se fossero quasi una sorta di automatismo, una formula routinaria.
Per noi non è assolutamente così, perché vi sono atti, fatti e comportamenti del Governo, sugli scenari nei quali siamo presenti, tendenti a modificare presenze, acquisizioni e talune certezze che spesso vengono sgretolate dai fatti. Dobbiamo tenere in considerazione in quanto tempo si possano dare risposte e, soprattutto, dobbiamo fare i conti con i lutti che si materializzano, purtroppo, costantemente.
Credo che questi dati ci debbano imporre assolutamente un'immediata riflessione che ci porti entro giugno, così come indicato dalle mozioni che abbiamo approvato qualche tempo fa in Parlamento e secondo le argomentazioni che abbiamo prodotto come maggioranza e opposizione, affinché si vada finalmente a definire una legge quadro sulle missioni internazionali che fissi, precisamente e definitivamente, compiti, funzioni e ruoli dei nostri operatori di pace negli scenari in cui sono impegnati. Credo che questo vada fatto, come forma di rispetto per quegli operatori Pag. 6e per le tante vite spezzate e, soprattutto, per la dignità e il profilo che davvero devono avere un Governo serio e un Parlamento all'altezza del proprio ruolo.
Credo che questi elementi ci debbano anche far considerare alcuni aspetti, i quali ci dicono che non dobbiamo ritirare immediatamente e subito le nostre forze, ma dobbiamo procedere nel solco delle argomentazioni che sono state addotte dal nuovo Segretario generale della NATO, dal nuovo Presidente degli Stati Uniti e da quanto ha detto il Ministro Frattini, ossia che non siamo consegnati a restare lì sempre e comunque, ma che entro un certo limite di tempo, già fissato, dovremmo organizzare tutti i presupposti affinché si dia finalmente il destino nelle mani degli afgani, in questo caso, e si chiami a responsabilità il Governo Karzai, affinché combatta definitivamente la corruzione e metta in atto una serie di meccanismi democratici.
Questo affinché si possa veramente portare avanti quell'attività di rilancio e di sviluppo socio-economico che attualmente la comunità, nonostante gli interventi e gli impegni assunti solennemente nella Conferenza di Londra, ancora non porta completamente a compimento.
Segnalo ai colleghi parlamentari che, peraltro, nella Conferenza di Londra la comunità internazionale si era impegnata a mettere in campo 500 milioni di dollari e che a tutt'oggi solo 140 milioni sono stati impegnati e non spesi per questa causa. Credo che uno degli elementi fondamentali sia l'aspetto che riguarda la missione in Afghanistan.
Inoltre, lo ricordo ai colleghi e a me stesso, spesso quando parliamo di missioni internazionali le facciamo coincidere con le missioni in Afghanistan e questo è un male, perché riusciamo a fare cose importanti e riconosciute a livello internazionale che passano attraverso le missioni e i nostri operatori di pace e ci caratterizziamo fortemente per quegli aspetti che riguardano la presenza dell'ISAF, come ricordavo prima.
Siamo bravi e riconosciuti per un modello che abbiamo esportato in tutto il mondo e che riguarda la ricostruzione, la stabilizzazione e l'addestramento. Dobbiamo rimanere dentro questo solco perché in questo modo viene percepita la nostra presenza a livello internazionale. Credo che su questo dovremmo lavorare tutti quanti insieme.
Ricordo, peraltro, un paradosso e una contraddizione. Mentre non abbiamo presentato emendamenti per, come dire, un'apertura di credito a questo Governo e a questo Parlamento, abbiamo a che fare con un paradosso ed una contraddizione. Il paradosso è che in questa Camera si definisce inammissibile un emendamento portato avanti dal collega Cicu per quanto riguarda la missione ad Haiti, mentre nell'altro ramo del Parlamento, al Senato, se ne dà il via libera.
Due sono le cose: o c'è pari dignità e all'intero di questo Parlamento si possono definire alcune scelte, oppure non c'è alcuna possibilità né di dialogo, né di conoscenza, né di comprensione e non ci potete chiedere la corresponsabilità e la collegialità rispetto ad alcune scelte.
Il secondo punto concerne la contraddizione consistente nel fatto che viene finanziata quella missione, peraltro meritoria, per andare in soccorso di quelle popolazioni, togliendo risorse alle missioni in Afghanistan dove ci siamo contraddistinti ed oggi più che mai - le ultime morti ce lo ricordano - viene fuori l'idea che abbiamo più bisogno di uomini e di risorse per mettere in campo una ricostruzione che venga percepita come tale. In questo modo il Parlamento viene espropriato di funzioni, ci sono meno risorse e non c'è possibilità di dare risposte concrete per la fase di avvio e di rilancio a livello sociale ed economico per portare la democrazia in quel Paese.
Credo che, in definitiva, dovremmo anche cercare di mettere in campo una collegialità e prendere un impegno solenne - lo dico agli amici della maggioranza - sul fatto che entro giugno finalmente si possa dare il via libera alla legge quadro sulle missioni internazionali, che non si continui a discutere di proroghe, numeri e quant'altro, perché vorremmo ragionare di strategie, Pag. 7di contenuti, di qualità e capire in che modo e in che misura siamo presenti nello scenario e all'interno della PESD per la difesa comune europea.
Credo che questo dibattito mancante oggi ci porterà, come gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori, verso un atteggiamento che in qualche modo ci fa tornare sui nostri passi, nonostante un'apertura rimanga. In definitiva, il nostro voto sarà di astensione, che annuncio, non deve essere inteso come un rifiuto di un dovere, bensì l'affermazione di un dovere.
Siamo qui a rappresentare la responsabilità intesa come valore inalienabile e irrinunciabile, a segnalare la distanza sempre più incolmabile tra Governo e Parlamento, a manifestare l'esigenza politica e istituzionale di un vero dibattito parlamentare sul tema delle missioni internazionali, dicendo un «no» forte e chiaro ad un ruolo di pura ratifica con un Parlamento pressato dall'urgenza dei decreti-legge e impedito ad esercitare funzioni e prerogative proprie.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AUGUSTO DI STANISLAO. Ho finito, signor Presidente.
Concludo dicendo che ci asterremo su questo provvedimento per quanto l'Italia ha fatto e sta facendo e perché riteniamo che il nostro Paese debba continuare a dare il proprio originale e unico contributo per la creazione delle condizioni di pace e di sviluppo, ma non sarà, come più volte detto in quest'Aula, un voto acritico, né definitivo, ma si legherà al vostro senso di responsabilità, allo sviluppo della situazione effettiva ed anche e soprattutto alla volontà concreta che manifesterete nell'approvazione, in tempi più che celeri, della legge quadro sulle missioni internazionali (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della classe II L della Scuola Media Statale Giovanni XXIII di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, pochi minuti per confermare il nostro voto favorevole a questa legge di conversione del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, ma anche per esprimere la mia amarezza riguardo al voto di astensione di una parte politica, che, invece, pone un neo sulla discussione che abbiamo avuto in questi anni sulla vicenda delle missioni all'estero e può preoccupare. È importante che il Parlamento tutto unito, come è stato in gran parte anche nelle scorse legislature, possa dare un consenso favorevole e forte alle missioni all'estero che vedono impegnati i nostri militari in operazioni di peacekeeping e di peacebuilding. La cooperazione internazionale è impegnata in molti teatri di guerra e prova a ricostruire quelle strutture, non solo fisiche, ma anche sociali e culturali, che sono la premessa fondamentale perché le democrazie, lo stato di diritto e i diritti umani vengano rispettati in quelle nazioni.
Con il nostro voto favorevole vogliamo assicurare la vicinanza nei confronti delle nostre truppe in tutti i paesi in cui sono impegnate e - anche e soprattutto - la vicinanza ai nostri militari che si trovano quotidianamente, in alcuni scenari di guerra come l'Afghanistan, impegnati in prima persona, non solo nel contrasto nei confronti del terrorismo, ma a favorire un clima di concordia e di recupero di quel senso di appartenenza alla Nazione che ci viene riconosciuto da tutti e che per gli italiani è un punto d'orgoglio fondamentale.
I nostri militari debbono assolutamente sapere che c'è un Parlamento unito al loro fianco mentre stanno compiendo non solo il loro dovere, ma orgogliosamente stanno tentando con fatica di esportare quei valori della sicurezza per tutti, dell'attenzione ai deboli e quel rispetto, come dicevo prima, dei diritti umani anche in quel teatro difficile di conflitto che è l'Afghanistan.
Siamo andati in Afghanistan per difendere quei diritti e quelle popolazioni, ma Pag. 8anche e soprattutto per difendere la nostra libertà e il futuro dei nostri figli, come ho detto ieri nella discussione sul complesso degli emendamenti e questo non possiamo dimenticarcelo. Possiamo chiedere al Governo italiano e agli altri alleati una riflessione ulteriore come è stato fatto in parte nell'incontro di Londra su come meglio riuscire a sconfiggere il terrorismo e a ricostruire quel tessuto di società civile che può consentire all'Afghanistan di valorizzare ancora di più la propria democrazia, ma non certo astenerci da una discussione, né tanto meno violare gli impegni internazionali che le nostre Forze armate hanno preso.
Non possiamo certo fare quello che è accaduto nel Parlamento olandese dove una coalizione è caduta proprio sulla proroga della missione in Afghanistan, in un momento nel quale, quello di questi mesi, le forze della NATO, dell'Alleanza e dall'altra parte del confine le forze pakistane stanno cercando, anche con gli strumenti militari, di giungere ad un significativo successo e ad una significativa sconfitta del terrorismo talebano.
Certamente, onorevole sottosegretario Cossiga, abbiamo affidato queste riflessioni alla discussione di qualche settimana fa alla Camera e oggi le affidiamo anche a lei. È indispensabile che, approvata questa ulteriore proroga delle missioni, il Governo si impegni a fare ciò che ci diciamo da molti anni: una legge quadro sulle missioni all'estero, una riforma del codice penale militare. Tutti strumenti che possono dare più efficacia ai lavori parlamentari, più apertura ad un dibattito di contenuto e di prospettiva durante le nostre discussioni e più certezza alle nostre Forze armate e alle nostre forze civili impegnate in queste missioni internazionali.
Non è più prorogabile l'andazzo che stiamo tenendo in questi anni, per cui ogni qualche mese ci si trova a discutere e non si arriva mai a una certezza del diritto, una certezza dell'impegno nei confronti delle nostre Forze armate e delle nostre forze della cooperazione impegnate in questi tanti Paesi. Le nostre Forze armate e le nostre forze di cooperazione sono impegnate non solo in Afghanistan - e concludo - ma in tantissimi luoghi per il paecekeeping, in tanti Paesi nei quali l'impegno dell'Italia è stato non solo significativo nei momenti più delicati dei conflitti, ma è tutt'oggi molto significativo e importante per la ricostruzione della democrazia, per il rispetto dei diritti, per lo Stato di diritto che in quelle nazioni l'Italia può portare avanti con orgoglio e con soddisfazione da parte di tutti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gidoni. Ne ha facoltà.

FRANCO GIDONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, volevo innanzitutto porgere anche a nome della Lega Nord le più sentite espressioni di cordoglio per la drammatica scomparsa del dottor Colazzo. Non sappiamo se il dottor Colazzo possa definirsi un eroe, di certo ci inchiniamo di fronte ad un fedele servitore di questo Stato che ha immolato la propria vita in difesa degli ideali di libertà e democrazia che cerchiamo di testimoniare quotidianamente anche al di fuori dei nostri confini (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).
Venendo al decreto, la Lega Nord conformerà il proprio voto favorevole alle correzioni apportate dal Senato, anche perché in alcuni punti il decreto originario è stato modificato esattamente lungo le linee raccomandate dal nostro movimento. È accaduto in particolare in relazione alla questione dello status giuridico gravante sui nostri militari schierati ad Haiti che è stato finalmente determinato stabilendo l'applicazione ai membri del nostro contingente interforze del codice penale militare di pace. Nel provvedimento ha trovato spazio anche l'autorizzazione di un nuovo intervento, questa volta dei carabinieri, nell'isola caraibica. L'operazione, che prevede un centinaio di carabinieri, forse non va nella direzione della semplificazione dell'impegno auspicato dalla Lega, ma non ce la sentiamo di criticare lo slancio dimostrato dal nostro Governo in Pag. 9questa circostanza. Non si possono infatti pretendere aiuti dall'estero in caso di calamità naturale se non si è dimostrata generosità in circostanze analoghe, come quelle prodottesi ad Haiti. Si tratta di contribuire ad alleviare le sofferenze di una popolazione che merita il nostro sostegno.
Come abbiamo avuto modo di rilevare già nella discussione generale, lascia invece perplessi la decisione di pagare la missione dei carabinieri ad Haiti sottraendo circa 2,7 milioni di euro al budget degli interventi di impatto immediato in Afghanistan, uno strumento molto prezioso per la conquista e il mantenimento del consenso delle popolazioni locali alla presenza dei nostri soldati. Sarebbe stato meglio reperire i fondi in altro modo, magari sfruttando parte dei soldi che erano stati accantonati per sostenere nei prossimi tre anni la continuazione dell'esperimento della mini-naia. A questo proposito rileviamo come quanto accaduto durante l'iter di questo provvedimento testimoni l'esistenza di dubbi rilevanti e condivisi circa l'opportunità di conferire carattere sistemico all'iniziativa assunta lo scorso anno. Il Ministro della difesa peraltro ha preannunciato la propria intenzione di riproporre la questione al primo provvedimento utile, anzi lo ha proposto ieri con decreto apposito, malgrado la dichiarazione di inammissibilità pronunciata dalla Presidenza della Camera pochi giorni or sono e le resistenze emerse a Palazzo Madama nei confronti dell'emendamento presentato dal Governo per destinare 21 milioni di euro alla prosecuzione su base triennale dell'esperimento della mini-naia. Suggeriamo invece al Governo di sfruttare la prima opportunità disponibile per integrare i fondi sottratti agli interventi di impatto immediato in Afghanistan.
Sono molte le modifiche apportate tra l'altro al Capo III del decreto, quello recante disposizioni per l'amministrazione della difesa. Alcuni sono dei veri e propri atti dovuti, come nel caso dell'equiparazione dei regimi previsti per i familiari superstiti del personale militare e delle forze di polizia deceduti in servizio e per causa di servizio. Sembravano invece un po' meno urgenti le norme relative al circolo nazionale delle Forze armate e l'apporto assicurato dai docenti civili agli enti di alta formazione del personale militare; nonché quelle introdotte per far fronte alle esigenze manifestate dal personale prossimo al congedo in materia di trasferimenti al domicilio eletto. Ad ogni buon conto le accettiamo, anche se riteniamo consigliabile una riflessione generale sull'opportunità di inserire in un provvedimento di elevato profilo, quale quello di proroga delle missioni, disposizioni settoriali volte a disciplinare situazioni così particolari.
Onorevoli colleghi, signor Presidente, come già alla Camera, anche a Palazzo Madama il provvedimento al nostro esame è stato approvato a larga maggioranza; nel confermare il voto favorevole della Lega Nord, vogliamo oggi esprimere l'auspicio che il grande consenso creatosi intorno alle missioni militari internazionali delle Forze armate ottenga un'ulteriore conferma (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, colleghi, il dibattito interessante che si è svolto ieri, al quale spiace che non abbiano partecipato la maggioranza ed il Governo, ha confermato, se ce ne fosse stato bisogno, che le missioni internazionali nelle quali è impegnato il nostro Paese, sono un utile strumento di politica internazionale e di costruzione di equilibri di pace.
Credo che, da questo punto di vista, tanto le missioni più importanti, quelle nei Balcani, quanto quella in Libano, per molti versi abbiano acquistato la caratteristica di supplenza di iniziative diplomatiche, che nel corso del tempo si sono magari rivelate carenti, insufficienti, e che quindi costituiscono una sorta di stabilizzazione della capacità di presenza e di intervento della comunità internazionale. Pag. 10
Penso alla missione in Libano, che è davvero l'unico elemento di certezza e di stabilizzazione delle condizioni di assoluta precarietà del Medio Oriente; quindi, è una missione di assoluta importanza alla quale dobbiamo guardare con grande attenzione e riconfermandone la validità. Penso anche ai Balcani, dove le missioni internazionali hanno una funzione di stabilizzazione; i fermenti che si stanno sviluppando in Bosnia pongono questioni alle quali sembra che la comunità internazionale in questo momento sia attenta, ma, al contempo, incapace di produrre quel di più necessario per affrontarle. Quindi, le missioni internazionali hanno anche in questo caso una funzione di stabilizzazione importante e da questo punto di vista dobbiamo, dunque, mantenerle nello spirito, credo, di quel multilateralismo che, anche per quel che riguarda il Kosovo, ci ha portato a predisporre un rientro di alcune centinaia di uomini, ma nel contesto multilaterale.
Colleghi, anche l'intervento in Afghanistan ha una funzione decisiva; la nostra missione internazionale ha saputo ritagliarsi nel suo spazio, forse minore, una funzione positiva, rientra in un ragionamento che potrei sintetizzare in poche parole, valide giornalisticamente: senza quella missione noi torneremmo ad un Afghanistan nelle mani dei talebani. Naturalmente, però, approfondisco per pochi minuti la questione afgana; questo non basta, perché abbiamo anche la sensazione che sia difficile realizzare la seconda parte di un ragionamento che abbiamo dato un po' per scontato, ossia che continuare porti sicuramente alla vittoria delle forze che si raggruppano intorno alla missione internazionale ISAF.
La linea è giusta, noi la dobbiamo difendere; oggi più di ieri ci troviamo nella prospettiva che la comunità internazionale e che l'alleanza che si raggruppa intorno all'ISAF ha ribadito, cioè una linea che prevede una presenza militare e per qualche verso, come accade oggi, una maggiore iniziativa militare, ma anche una maggiore garanzia che questa iniziativa conduca verso prospettive di trattativa e poi di pace.
Ebbene, questa linea mostra tutte le difficoltà. Non si tratta di prendere posizione in modo surrettizio a favore di altri ragionamenti, ma di dire la verità. La situazione dell'insorgenza in Afghanistan presenta caratteristiche di assoluta pericolosità perché noi siamo di fronte ad una frantumazione e ad un'iniziativa di terrorismo nella quale sono all'opera in tanti, forse più di quanti erano ieri. Mi riferisco all'attentato nel quale è morto il funzionario, dottor Colazzo, alla memoria del quale anche noi rivolgiamo parole di vera partecipazione e di conferma di un'azione importante che vede tutte le forze della intelligence italiana lavorare per costruire un'azione positiva ed importante. Quello è l'ennesimo attentato, l'ennesima vicenda di un Afghanistan nel quale molto probabilmente la linea di accompagnare la possibilità di una trattativa con un forte surge militare sta incontrando resistenze e determina una situazione molto difficile. Penso che questa iniziativa si pone all'interno di una linea giusta che condividiamo, ma che dobbiamo però guardare per quello che è: una linea piena di difficoltà che si può affrontare solo a condizione di avviare una riflessione seria sulla prospettiva.
Il nostro impegno non mancherà, dobbiamo essere (così come siamo) attenti a coniugare questa linea in modo preciso. Abbiamo manifestato qualche perplessità, ad esempio, sul fatto che un nostro diplomatico, di assoluta capacità e che si era particolarmente impegnato in Afghanistan sul versante di una doppia, inevitabile ed ineluttabile capacità di stare in quel teatro - faccio riferimento all'ambasciatore Sequi - sia stato sostituito. L'ambasciatore Sequi è stato sostituito da un rappresentante con un modo di concepire la presenza in Afghanistan che ci fa pensare alle stagioni passate e ad un certo modo di affrontare i problemi di questo teatro e penso che il Governo avrebbe dovuto dirci di più rispetto a questo aspetto. Non abbiamo, infatti, posto una questione di pennacchi, Pag. 11ma una questione politica, ovvero che vi sia una coerenza da parte non solo nostra, ma dell'alleanza a cui partecipiamo. Ciò affinché vi sia una linea univoca per accompagnare gli sforzi militari a serie iniziative che conducano ad una trattativa di pace (perché di questo si tratta), pagando il prezzo necessario, ma tentando di dare uno sbocco positivo alla vicenda.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 10,50)

FRANCESCO TEMPESTINI. La questione da me evocata e relativa ad un nostro funzionario si inserisce anche in un contesto più generale. Mi riferisco a come il Governo italiano intenda spendere le proprie carte e intenda porsi rispetto alla questione molto importante del servizio diplomatico europeo. Di ciò vi è una traccia in questo decreto-legge che stiamo per convertire, ma torneremo a parlarne nel prossimo futuro. Anche da questo punto di vista la sostituzione dell'ambasciatore Sequi in quei termini ci è parsa necessitante di una discussione in ordine alla quale, in altra sede, torneremo a chiedere al Governo di partecipare e di darci le proprie opinioni.
Noi siamo impegnati lealmente in questa fase difficile della guerra e della partecipazione alla missione ISAF, ma dobbiamo aprire - credo nell'interesse non nostro ma, più in generale, delle forze che sono impegnate e, soprattutto, delle popolazioni afgane - una riflessione sul futuro. Emerge in maniera molto evidente il fatto che solo una riflessione sul contesto regionale può aprirci qualche prospettiva per il futuro. Il contesto regionale non è buono: il grande Medio Oriente, oggi, si trova in condizioni di maggiore difficoltà rispetto a dieci anni fa. Dobbiamo partire da qui, dal fatto che l'area vasta e assai delicata che dal Maghreb arriva fino all'India è attraversata...

PRESIDENTE. Deve concludere. Il tempo a sua disposizione è terminato.

FRANCESCO TEMPESTINI. Concludo, signor Presidente. Dicevo, quell'area è in condizioni di maggiore difficoltà rispetto a ieri. Penso che da un'ammissione onesta di questo dato dobbiamo partire per una riflessione di carattere generale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cirielli. Ne ha facoltà.

EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge in discussione arriva alla Camera in terza lettura e, quindi, intervengo soltanto per commentare brevemente alcune novità introdotte al Senato. Innanzitutto, mi riferisco all'importante missione internazionale che vedrà il dispiegamento di centoventi carabinieri ad Haiti per una missione di soccorso umanitario, che, peraltro, si aggiunge a quella già stabilita con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, «White crane», con la portaerei Cavour, che è una missione importante.
Tuttavia, voglio segnalare ancora una volta l'anomalia della copertura finanziaria a valere su fondi che sono destinati alla missione in Afghanistan, in maniera particolare per i comandanti militari. Accolgo con favore il fatto che il sottosegretario Cossiga abbia accettato un ordine del giorno che impegna appunto il Governo ad individuare altra fonte di finanziamento e di copertura. Non sta a me ricordare - è stato fatto già da molti - quanto la situazione in Afghanistan sia grave. Da ultimo, l'assassinio del nostro militare Pietro Antonio Colazzo rappresenta sicuramente l'ultimo episodio di una escalation che va valutata con la massima responsabilità: credo, quindi, che il Governo e il Parlamento debbano avere particolare sensibilità prima di toccare i fondi destinati a quella missione, con riferimento ai quali, anzi, a mio parere dovrebbe essere valutato un incremento.
Voglio ancora segnalare il fatto storico che complessivamente il decreto-legge in esame introduce all'articolo 9 in materia Pag. 12di riserve nei concorsi militari e delle forze di polizia per i superstiti dei caduti in servizio del comparto. Mi fa piacere che in Senato sia stato accolto con riformulazione un ordine del giorno che le Commissioni difesa ed esteri avevano presentato in materia di reciprocità di possibilità di accesso ai concorsi dei superstiti degli appartenenti alle forze di polizia e alle Forze armate.
Per ultimo, ritengo assolutamente doverosa l'estensione della non punibilità, come previsto da parte del provvedimento approvato alla Camera relativamente agli appartenenti alle Forze armate per reati colposi di tipo ambientale connessi alle missioni, anche gli appartenenti alle forze di polizia (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, mi sembra di essere in una tragedia di Ionesco, perché c'è un'unica voce in questo Parlamento che si schiera, senza se e senza ma, a favore della pace.
Intanto, esprimo solidarietà e vicinanza a tutti i nostri militari impegnati nelle missioni all'estero.
Però, non posso dire che ciò non sarebbe opportuno, non solo per la spesa che grava su tutti gli italiani, non solo per i nostri figli che vanno a morire lì, ma soprattutto per il dettato costituzionale, secondo cui l'Italia ripudia la guerra (certamente le missioni di pace sono in armi), e, pertanto, preannunzio il mio voto contrario, in dissenso dal gruppo, sperando di non essere come il rinoceronte che esce e diventa rinoceronte come tutti gli altri.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Ascierto. Ne ha facoltà.

FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, intervengo per porre l'accento su un fatto molto importante all'interno di questo provvedimento, l'articolo 9. Chi serve la patria, soprattutto in armi e indossando una divisa, è sottoposto ad una serie di rischi e di pericoli. Il recente fatto del dottor Colazzo è una dimostrazione di come i rischi siano sempre dietro l'angolo. Quando muore un appartenente alle forze dell'ordine, cadendo nell'adempimento del proprio dovere, noi tutti diciamo che non dimenticheremo mai il sacrificio di queste persone. All'interno di questo testo c'è un atto concreto da parte del Parlamento - e ringrazio tutta la Commissione difesa per la sensibilità - perché il 25 per cento dei posti nei concorsi nelle forze dell'ordine e nelle Forze armate, a tutti i livelli, vengono riservati ai figli di coloro che hanno dato la vita per la patria e per i cittadini, che sono deceduti per causa di servizio. È una conquista importante e soprattutto un modo per dire: non vi dimenticheremo!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mussolini. Ne ha facoltà.

ALESSANDRA MUSSOLINI. Signor Presidente, anche io esprimo un voto favorevole su questo decreto-legge per i nostri soldati e per le tante vittime, ma devo fare anche un altro tipo di intervento. Oggi leggo su tutti i giornali che si dà il via libera ad una super patata OGM, geneticamente modificata. A chi ci riferiamo? Ad un sottosegretario che ha fatto un programma di Governo contro il Presidente Berlusconi...

PRESIDENTE. Onorevole Mussolini, è evidente la totale estraneità al tema che si sta trattando. La ringrazio.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Lisi. Ne ha facoltà.

UGO LISI. Signor Presidente, chiedo scusa ai colleghi, al di là della patata OGM, ritorno a ciò che gli altri colleghi hanno ricordato. Non avrei mai voluto prendere la parola per ricordare Pietro Antonio Colazzo, un ragazzo di Galatina, in provincia di Lecce, di un liceo classico, della sezione C, dove anche io ho sostenuto Pag. 13i miei studi. Era un mio compagno di liceo e riposa nella mia città, che è Galatina. A lui oggi diciamo ancora grazie, perché è stato un eroe. Siamo vicini alla sua famiglia, a sua sorella Stefania e a suo zio, docente di educazione fisica del nostro amato liceo classico Pietro Colonna (Applausi).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

MARCELLO DE ANGELIS, Relatore per la IV Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCELLO DE ANGELIS, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, fare il relatore di provvedimenti che riguardano l'interesse nazionale e il benessere dei nostri soldati è un lavoro relativamente facile, perché il senso di responsabilità porta sempre tutti i gruppi, tutti gli esponenti della maggioranza e della minoranza, a dare una valida collaborazione nel lavoro di Commissione e in Assemblea. Ciò nondimeno, vorrei ringraziare in particolare i colleghi di tutti gli schieramenti della Commissione difesa per il lavoro svolto. L'onorevole Tempestini prima nel suo intervento ha espresso una soddisfazione per il dibattito ampio e lungo che si è svolto ieri su questo provvedimento ed ha espresso un rammarico per il fatto che la maggioranza non abbia partecipato a questo dibattito. Vorrei esprimere un rammarico, invece, per il fatto che questo lungo e approfondito dibattito si sia svolto alla fine di un percorso anziché all'inizio, visto che alcune delle perplessità manifestate anche da rappresentanti dell'opposizione sono state fatte proprie, anzi portate avanti sia in Assemblea sia in Commissione, anche da membri della maggioranza ed anche dal presidente Cirielli nel suo intervento.
Vorrei comunque concludere con una nota assolutamente favorevole, aggiungendo anch'io un ricordo di Pietro Antonio Colazzo, ma esprimendo anche in questo caso un piccolo rammarico, perché se è vero - come è assolutamente vero - che in Aula il riconoscimento del valore di Colazzo è stato assolutamente unanime, tuttavia su alcuni mezzi di informazione abbiamo dovuto leggere frasi strane, che definivano il ruolo di Colazzo come oscuro o quanto meno non chiaro. Vorrei semplicemente dire - come sanno tutti quelli che conoscono un minimo il mondo militare - che un soldato è un soldato, sia che indossi la divisa sia che non la indossi, ha lo stesso dovere (che è un dovere scelto), quello di mettere la propria vita al servizio della patria, e ha anche lo stesso diritto, che è quello che gli vengano riconosciuti senza equivoci l'onore di aver dato la vita, che sia caduto in divisa o che sia caduto senza l'uniforme (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

In ricordo degli onorevoli Enzo Fragalà e Pietro Mitolo.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui l'intera Assemblea e i membri del Governo). Onorevoli colleghi, prima di passare alla votazione finale ho il dovere di adempiere ad una, ahimè, triste ma doverosa incombenza.
Come sapete, lo scorso 26 febbraio, a seguito di una barbara e vile aggressione che ha colpito di sdegno tutti i nostri connazionali, aggressione perpetrata a Palermo dinanzi al suo studio professionale, è scomparso Enzo Fragalà, nostro collega nella XII, XIII e XIV legislatura (Generali applausi cui si associano i membri del Governo). Noto avvocato, apprezzato giurista, politico attivo e generoso fin dagli anni dell'università, Enzo Fragalà portò in Parlamento la sua grande passione civile da tutti riconosciuta e sempre sostenuta da una sincera e incondizionata adesione ai principi costituzionali. Fu soprattutto l'impegno per il rispetto pieno e incondizionato della legalità a caratterizzare la sua costante azione politica al servizio della nostra Istituzione e della sua comunità cittadina e isolana. Per l'affermazione di questo valore, Fragalà ha speso tutta la sua appassionata esistenza fino all'estremo sacrificio, Pag. 14dimostrando di credere senza infingimenti e pregiudizi al primato della legge come presupposto della libertà, libertà contro ogni forma di mafia, di criminalità, di arbitrio. È stato un impegno, quello di Fragalà, del quale sentiremo la mancanza, e che è stato e sarà sempre un fulgido esempio, come unanimemente ricordato dai vertici dell'avvocatura italiana, in particolar modo per i giovani e per i più giovani tra i suoi colleghi.
Sempre in questi giorni, lo scorso 24 febbraio, è venuto a mancare Pietro Mitolo, deputato europeo dal 1992 al 1994, e nostro collega in Parlamento nella XII e nella XIII legislatura. Con lui scompare una delle più autorevoli figure della destra politica italiana, che dedicò tutta la sua lunga vita per garantire la piena affermazione di quei principi e di quei valori che costituiscono il fondamento della nostra identità nazionale. Fu attivo e presente nel seguire in primo luogo i complessi problemi legati al suo territorio, l'Alto Adige, e si prodigò per garantire la loro piena soluzione con quella generosità e con quell'entusiasmo che tutti gli hanno sempre riconosciuto e che noi colleghi abbiamo potuto verificare durante gli anni della sua attività parlamentare. Di Mitolo credo che ricorderemo, in particolar modo, la signorilità del tratto umano, il suo essere un gentiluomo all'antica, l'alta statura morale e il senso dello Stato, severo e intransigente, doti che testimoniano un'attività politica lunga, disinteressata, intesa realmente come servizio alla comunità nazionale.
Nel ricordo di queste due figure, diverse ma entrambe nobili, nobili perché testimonianza di coerenza e d'integrità, e nel rinnovare ai loro familiari l'espressione del più profondo cordoglio della Camera dei deputati, invito l'Assemblea a osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio - Generali applausi cui si associano i membri del Governo).

ANTONINO LO PRESTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, spero che l'emozione non abbia su di me il sopravvento, nello svolgere un compito che non avrei mai voluto assolvere, come quello di parlare in memoria di Enzo Fragalà che, come ricordato, è stato un intelligente e appassionato parlamentare della Repubblica per tre legislature, avvocato principe e docente universitario.
Sono troppi i ricordi che mi legano a lui, quando con tanti altri giovani rivendicavamo in solitudine la libertà di espressione, l'orgoglio di credere nei valori della tradizione e della pacificazione nazionale, valori tanto cari a lei, signor Presidente. In quell'epoca occorreva coraggio per manifestare le proprie idee nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche e perfino in Parlamento. Il coraggio è stato la costante della vita di Enzo Fragalà e per il suo coraggio professionale ha pagato con la vita. Una vile mano assassina ha messo a tacere per sempre un grande italiano.
Sono qui, cari colleghi, a testimoniare lo sgomento che ha pervaso un'intera città, la comune speranza durante la breve agonia, l'unanime riconoscimento nel ricordo postumo, lo strazio e il dolore profondo che la sua uccisione ha determinato nei cuori di tutti i palermitani onesti. È una ferita, signor Presidente, illustri colleghi, che scava in modo profondo ed irreversibile un solco di orrore e di disgusto nel tessuto sociale di Palermo. Palermo non sarà più la città che era prima.
Enzo Fragalà con violenza selvaggia è stato strappato all'affetto dei suoi cari, dei suoi amici, per l'onestà e la coerenza nelle idee che ha profuso nella professione di avvocato, dove ha primeggiato, esercitando in un'isola che non è soltanto serbatoio di voti, a volte decisivi per gli equilibri politici, ma terra di persone oneste, mortificate e consapevoli della deriva alla quale sono condannate dall'isolamento nazionale.
Il sorriso, la generosità, l'onestà e il coraggio di Enzo Fragalà non sono certo scomparsi con lui, signor Presidente, ma restano e resteranno dentro di noi come stimolo all'impegno politico e sociale come Pag. 15un grande esempio professionale di un'avvocatura fiera e libera. Con la pietà, Signor Presidente, per un uomo così brutalmente violato, coesiste la rabbia per l'accaduto, che è anche preghiera e tensione profonda. Una rabbia che quanto più è forte, tanto più avvicina a Dio, come ha insegnato un padre fondatore della Chiesa. Oggi, signor Presidente, illustri colleghi, mi sento molto vicino a Dio e sono certo anche voi con me (Applausi).

PAOLO CORSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO CORSINI. Signor Presidente, se mi è consentito vorrei riportare una brevissima testimonianza personale che mi sento in dovere di rendere ad un collega e ad un amico.
Ho conosciuto Enzo Fragalà nel corso dei lavori della Commissione sulle stragi nell'ambito della XIII legislatura, e sento di dover rendere una pubblica testimonianza per un episodio che, forse, a qualcuno sembrerà minore nell'ambito della sua biografia politica e della sua vicenda culturale e intellettuale, ma tale a me non appare.
Nel 2004, in occasione della ricorrenza del trentennale della strage di Piazza della Loggia, Enzo Fragalà sentì il dovere di partecipare alle manifestazioni commemorative e fu il primo esponente nazionale del suo partito che sentì l'esigenza di una riflessione e di un intervento pubblico sulla vicenda drammatica e tragica della strage che si consumò a Brescia il 28 maggio del 1974.
Il suo fu un intervento assolutamente onesto e lucido, nel segno di quella coerenza e di quella fedeltà che Enzo Fragalà ha sempre dimostrato alle proprie convinzioni, alla propria storia e ai propri valori. Anche di questo oggi gli sono grato (Applausi).

GIORGIO HOLZMANN. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, la ringrazio per avermi concesso brevemente la parola per ricordare la figura di Pietro Mitolo, che ci ha lasciati la scorsa settimana. Le sue parole sono state molto toccanti ed esplicative. Vorrei aggiungere qualche nota di carattere personale. Infatti, con lui scompare lentamente quella generazione di uomini che si è formata negli anni giovanili a cavallo del secondo conflitto mondiale, una generazione che ha avuto grandi ideali e che ha saputo comunque portarli avanti anche nell'ambito politico con il motto di non rinnegare ma non restaurare. Pietro Mitolo fu uomo che non rinnegò mai il suo passato, ma che seppe accettare i cambiamenti e le evoluzioni che la politica imponeva. Fu accanto a me durante la svolta di Fiuggi ed anche egli riconobbe che la Resistenza portò in Italia la libertà e la democrazia come venne detto in quella occasione.
Furono certamente passaggi delicati sul piano emotivo per l'onorevole Mitolo, che però seppe essere un esempio di rettitudine morale, di intransigenza, un uomo di grande carattere, ma anche un uomo di grandi ideali e di grandi idee. Interpretò le istanze soprattutto della comunità di lingua italiana della provincia di Bolzano, ma la sua figura andò ben oltre l'appartenenza ad uno schieramento politico. Lo testimonia il fatto che quando il consiglio comunale gli ha reso omaggio i commenti più commossi sono pervenuti dai banchi della sinistra e dalla Südtiroler Volkspartei: parole che lasciano il segno di un uomo che ha attraversato questi decenni lasciando una traccia riconoscibile di integrità, di rettitudine e di alti valori. È per noi tutti, non soltanto uomini della destra, per la politica in generale una perdita incalcolabile (Applausi).

Si riprende la discussione del disegno di legge di conversione n. 3097-B (ore 11,15).

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 3097-B)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale. Pag. 16
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di conversione n. 3097-B, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Traversa...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
«Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa» (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (3097-B):

Presenti 492
Votanti 462
Astenuti 30
Maggioranza 232
Hanno votato 460
Hanno votato no 2.
(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Prendo atto che i deputati Di Girolamo e Vessa hanno segnalato che non sono riusciti a esprimere voto favorevole e che il deputato Gasbarra ha segnalato che avrebbe voluto astenersi.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (3146-A) (ore 11,16).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3146-A: Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni.
Ricordo che nella seduta del 1o marzo 2010 si è conclusa la discussione sulle linee generali e che sono intervenuti in sede di replica i rappresentanti del Governo, mentre i relatori vi hanno rinunziato.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 3146-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 3146-A), nel testo recante le modificazioni apportate dalla Commissione (Vedi l'allegato A - A.C. 3146-A).
Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge nel testo recante le modificazioni apportate dalla Commissione (Vedi l'allegato A - A.C. 3146-A).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, le seguenti proposte emendative, in quanto non strettamente attinenti alla materia del decreto-legge e già dichiarate inammissibili in sede referente: Galletti 1.7 e 1.175, Vassallo 1.01 e Tassone 1.03, recanti disposizioni in materia elettorale per il rinnovo dei consigli comunali e provinciali al seguito del verificarsi di eventi diversi dalla scadenza del mandato; Vannucci 3.4, recante disposizioni in materia previdenziale riguardante consiglieri e assessori regionali; Cicu 3.42, recante proroga di termini in materia di ristrutturazione dei debiti degli imprenditori agricoli della regione Sardegna verso gli istituti finanziari; Tassone 4.105, volto a prevedere che le spese in conto capitale degli enti locali che eccedono i limiti del Patto di stabilità interno possano essere anticipate a carico di un apposito fondo istituito presso la cassa depositi e prestiti; Tassone 4.120 e 4.123, in materia di disposizioni sanzionatorie relative agli enti che non abbiano rispettato il Patto di stabilità; Tassone 4.2, in materia di pubblicità dello schema di programma triennale dei lavori pubblici; Tassone 4.1, che introduce modifiche alla disciplina di cui al decreto-legge n. 112 del 2008, Pag. 17in materia di ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali; Codurelli 4.87, 4.88, 4.89 e 4.90, che recano disposizioni inerenti ai trasferimenti e alle entrate del comune di Campione d'Italia; Tassone 4.042 e Ciccanti 4.04, che introducono modifiche alla disciplina prevista dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2009, in materia di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni; Ciccanti 4.07, che esenta gli enti locali dalla tassa di concessione governativa sugli apparecchi radiomobili; Tassone 4.043, relativo alla destinazione, per il finanziamento di spese di investimento, delle somme derivanti dai contributi per danni subiti dai privati per l'alluvione del novembre 1994; Tassone 4.037, recante disposizioni in materia di base imponibile ICI per gli immobili non iscritti in catasto; Osvaldo Napoli 4.01, volto a consentire il pagamento degli importi dovuti all'ANCI ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 504 del 1992 a valere sui trasferimenti ai comuni; Tassone 4.036, in materia di credito di imposta per l'IVA corrisposta dagli utenti domestici sulla tariffa rifiuti; gli identici Tassone 4.038, Graziano 4.061 e Leo 4.0150, che recano modifiche al regime impositivo sui rifiuti; Tassone 4.035, relativo al regime delle sanzioni in materia di tributi locali; Tassone 4.08, che modifica le fattispecie nelle quali è consentita la sanatoria di opere edilizie abusive; Ciccanti 4.010, 4.011 e 4.012, in materia di trasferimento ai comuni dei beni immobili dello Stato su cui i comuni hanno realizzato opere di urbanizzazione; Marinello 4.055 e 4.054, in materia di accesso alla carriera dei segretari comunali e provinciali; Tassone 4.051, che esclude i comuni e i loro consorzi o associazioni dalle disposizioni in materia di incarichi dirigenziali contenute nell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001; Marinello 4.056, che prevede un differimento di termini per gli interventi nelle zone del Belice.
Alla luce delle modifiche apportate al testo dalle Commissioni, la Presidenza ritiene invece ammissibili le proposte emendative in materia di esclusione di determinate spese dal calcolo del saldo utile ai fini del rispetto del Patto di stabilità, già dichiarate inammissibili in sede referente.
La Presidenza non ritiene altresì ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 96-bis, comma 7, del Regolamento le seguenti ulteriori proposte emendative, in quanto non strettamente attinenti alla materia del decreto-legge e non previamente presentate nelle Commissioni: Borghesi 1.166, volto ad introdurre per i comuni con popolazione inferiore ai 20.000 abitanti l'obbligo di costituire un'unione con altri comuni; Fallica 3.0150, in materia di regime transitorio dell'autorizzazione paesaggistica; Di Biagio 4.183, in materia di esenzione ICI relativa alle abitazioni non locate dei cittadini italiani iscritti all'anagrafe degli italiani residenti all'estero; Gioacchino Alfano 4.188, limitatamente alla parte consequenziale, relativo alla destinazione dei proventi derivanti dall'alienazione di immobili militari; Velo 4.207, che abroga l'articolo 7 della legge 23 luglio 2009, n. 99, in materia di semplificazione e razionalizzazione della riscossione della tassa automobilistica per le singole regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; Rubinato 4.211, in materia di sanzioni per le affissioni di manifesti politici; Boccia 4.214, volto a disciplinare le modalità di iscrizione a bilancio dei valori di chiusura dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati; Bernardo 4.0151, in materia di definizione e recupero della tariffa di igiene ambientale; Fallica 4.0152, in materia di modello unico di dichiarazione ambientale.
Avverto che le Commissioni hanno presentato anche l'emendamento 1.503 (Vedi l'allegato A - A.C. 3146-A).
Avverto altresì che il Comitato per la legislazione ha espresso il parere - che è in distribuzione - sul testo del disegno di legge di conversione e del relativo decreto-legge risultante dall'approvazione degli emendamenti in sede referente.
Comunico che il Governo, con lettera in data odierna, ha presentato l'emendamento Dis. 1.1, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di Pag. 18conversione del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, preannunciando l'intenzione di porvi la questione di fiducia.
La Presidenza ne effettuerà il vaglio di ammissibilità, trasmettendolo, quindi, alle Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio), affinché possano prenderne visione.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo per un richiamo al Regolamento. Forse, per mia disattenzione, non ho compreso bene quanto lei ha appena letto, e penso che quanto sto per dire sia importante anche per la valutazione che la Presidenza si accinge a fare riguardo all'ammissibilità dell'emendamento presentato dal Governo.
Non ho compreso bene se il Governo, nel presentare il proprio maxiemendamento, faccia riferimento all'accoglimento del testo approvato dalle Commissioni, o se si preveda già che il testo sia più «largo» e che, quindi, siano inseriti argomenti che non erano stati approvati dalle Commissioni. Inoltre, se non ho capito male, vi sarà anche un problema in relazione al fatto che le Commissioni hanno predisposto un emendamento per l'Assemblea. Pertanto, vorremmo capire se tale emendamento verrà inserito nel testo del Governo.
Il mio invito è semplicemente volto ad avere nozione se con la questione di fiducia - sul merito della quale non interverrò io, ma interverranno i miei colleghi - siamo nell'ambito di un testo che è stato esaminato dalle Commissioni, ovvero se sta accadendo qualcosa di diverso che, ovviamente, avrebbe anche un'incidenza diversa nelle valutazioni.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, le leggo quanto trasmessomi dal Governo: «le trasmetto l'emendamento interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, sul quale il Governo intende porre la questione di fiducia, corredato di relativa relazione tecnica».
La ragione per la quale verrà sospesa la seduta per trenta minuti è di consentirne il vaglio da parte della Presidenza e di trasmetterlo alle Commissioni affari costituzionali e bilancio, affinché possano prenderne visione.

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, il preannuncio della posizione della questione di fiducia mi sconcerta in modo estremo, perché appare assolutamente incomprensibile. Infatti, erano stati presentati pochi emendamenti e non è mai stata immaginata da parte dell'opposizione una qualche forma di ostruzionismo; inoltre, vi è una differenza con quanto avvenuto con riferimento ad un provvedimento come il «milleproroghe» - in relazione al quale si era evitata la questione di fiducia - che aveva avuto un iter inaccettabile in Commissione (dove la discussione era stata aperta e chiusa nel giro di un minuto).
Siamo costernati per questa volontà del Governo di impedire, ancora una volta, a questo Parlamento di discutere un tema importante come quello degli enti locali. Il fatto che il Governo abbia preso una decisione di questo genere, non può che essere determinato dalla consapevolezza che alcuni degli emendamenti proposti dall'opposizione potessero essere accolti dalla sua maggioranza. Ciò porta a dire che questa maggioranza - come denotano anche i fatti legati alla questione delle liste elettorali - è in una fase di fibrillazione, ma peggio, è in una fase di decadenza. Se non sono capaci neppure di portare in porto l'approvazione di un decreto-legge come quello in oggetto, vadano a casa, che forse Pag. 19è ora, facendo così bene al popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, in attesa di conoscere il contenuto del maxiemendamento interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge al nostro esame, anche a nome del gruppo UdC esprimo tutta l'amarezza nel constatare l'ennesima richiesta di voto di fiducia.
Anche noi siamo convinti che le motivazioni per le quali è stato richiesto il voto di fiducia non siano giustificate. Non vi sono elementi - né politici, né di comportamento - che giustifichino l'ennesima fiducia. Lo abbiamo detto più volte in quest'Aula, lo abbiamo sottolineato e continuiamo a dirlo: non è questo il modo per approfondire gli argomenti di interesse generale e non è questa la strada per affrontare, nell'interesse del Paese, i problemi che lo riguardano. Quella degli enti locali è una tematica delicata, che richiede - o meglio, a questo punto possiamo dire avrebbe richiesto - più che mai un approfondimento in quest'Aula.
Volevo dire questo per stigmatizzare una volta di più il comportamento di questo Governo e di questa maggioranza nei confronti prima di quest'Aula, quindi del Parlamento e del Paese. Mi riservo e con i colleghi ci riserviamo, eventualmente, anche di intervenire in seguito. Prenderemo tutte le decisioni necessarie conseguenti, in merito al contenuto di questo maxiemendamento, il quale mi auguro e ci auguriamo non stravolga quanto è già stato fatto dalle Commissioni e non porti in quest'Aula, per l'ennesima volta, un colpo di spugna ad uso e consumo del Governo, a chiusura delle grandi contraddizioni politiche presenti all'interno di questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Sospendo, quindi, la seduta che riprenderà alle ore 12. Convoco la Conferenza dei presidenti di gruppo per le ore 11,30 - ossia, immediatamente - al piano Aula.

La seduta, sospesa alle 11,30 è ripresa alle 12,10.

PRESIDENTE. Avverto che la Presidenza, all'esito del prescritto vaglio di ammissibilità, ritiene ammissibile l'emendamento del Governo Dis. 1.1 (Vedi l'allegato A - A.C. 3146-A), che è in distribuzione e che è stato già esaminato dalle Commissioni I (affari costituzionali) e V (bilancio).

(Posizione della questione di fiducia - Emendamento Dis. 1.1 del Governo - A.C. 3146-A)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro per i rapporti con il Parlamento, onorevole Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, come preannunciato, a nome del Governo, autorizzato dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza subemendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'emendamento Dis. 1.1 del Governo, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni.

PIER PAOLO BARETTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, onorevole Vito, alla buona ora! Erano passate ormai ben due o tre settimane, forse addirittura quattro, da quando non ponevate la questione di fiducia e già ci stavamo abituando ad una Pag. 20quasi normale vita parlamentare con le discussioni, gli emendamenti da votare, i confronti salutari tra maggioranza e opposizione e persino, in taluni casi, qualche accenno di intesa, che ha reso addirittura più spediti ed agili i lavori dell'Assemblea. Forse avevamo osato sperare troppo. Con la cruda realtà del caos politico che ci circonda ci avete voluto ricordare - ma non soltanto a noi dell'opposizione, bensì a tutto il Parlamento, forse soprattutto alla vostra parte - che la vostra barca sta già ballando troppo e non è il caso di scherzare oltre.
Questa di oggi è, signor Presidente, più che mai una fiducia tutta politica, per nulla tecnica e per nulla necessaria ed obbligata. Avete sbagliato tecnicamente, perché questo decreto-legge non è in scadenza urgente; infatti, ci sono ancora un po' di settimane che, nonostante la prossima scadenza elettorale, non impedivano una gestione tranquilla dei tempi. Ma avete sbagliato soprattutto politicamente. In questo provvedimento, infatti, la discussione nelle Commissioni è stata, come è ovvio, intensa ma piana e le normali differenze di opinioni e di valutazione non hanno impedito, come ben sanno i relatori, i presidenti di Commissione e lo stesso Governo, di trovare addirittura una qualche via di uscita su alcuni punti specifici.
Cosa resta, dunque, di così pericoloso da giustificare il ricorso alla fiducia? Forse il fatto che il provvedimento in sé è fuori luogo, più materia da Carta delle autonomie che da decreto di urgenza, nel quale, peraltro, non avete nemmeno avuto il coraggio di affrontare la spinosa questione dell'ormai insostenibile Patto di stabilità interno che rende instabili e vessati i comuni italiani.
Comunque, le minacce all'esito del provvedimento e al suo decorso normale non venivano certo da noi. Non abbiamo pensato ad alcun allungamento anomalo del «brodo», né ad ostruzionismi, anzi, al contrario, avevamo assicurato e garantito un rapido svolgimento del voto degli emendamenti.
Ecco il punto paradossale al quale stiamo arrivando. La fiducia non è solo fastidiosa in sé, massimamente quando se ne abusa come avete fatto voi in questi quasi due anni di legislatura, perché è un atto di sfiducia nei confronti del Parlamento, ma - riflettete - sta ottenendo il risultato contrario a quello per il quale viene invocata. Riflettete: anziché accelerare i tempi, li allunga. Senza la questione di fiducia avremmo concluso tutto in poche ore; con la fiducia ci vorrà un giorno e mezzo, forse due, in più. Già per decidere di metterla, pur non avendo bisogno di raccogliere alcuna firma, ci mettete delle ore durante le quali si alleggeriscono i nostri lavori con estenuanti vuoti produttivi. Insomma, fatevene una ragione: sono troppi ormai i motivi che rendono logoro, sbagliato e controproducente questo modo di gestire le contraddizioni - le vostre - e di scaricarle nel Parlamento. Fatevene una ragione e provate ad agire con criterio, intelligenza politica e buonsenso, quel buonsenso e rispetto del Parlamento che non può e non deve mancare a chi ha la responsabilità di governare l'Italia e che se invece, come succede, continua a mancare, lo capite anche voi, è un bel problema per il Paese e per tutti noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, con la richiesta del Ministro Vito si è materializzata l'ennesima questione di fiducia posta in quest'Aula; l'ennesima fiducia su un provvedimento in scadenza fra molte settimane. Quando la questione di fiducia viene posta, la prima motivazione dovrebbe essere quella della imminente o immediata scadenza del decreto-legge in discussione. Non ci sono, quindi, giustificazioni tempistiche.
La seconda valutazione per la quale si può porre la fiducia è l'atteggiamento ostruzionistico dell'opposizione. Mi pare Pag. 21che in questo caso, come in altri, non vi sia nessun atteggiamento ostruzionistico da parte di nessuna delle opposizioni. Il numero degli emendamenti dichiarati ammissibili era contenuto e, dunque, diventa veramente difficile capire le motivazioni politiche per le quali viene posta la questione di fiducia. Poi, se andiamo a scavare e a guardare un attimo il percorso di questo Governo e di questa maggioranza e dell'assoluta mancanza di dibattito in quest'Aula, evidentemente le motivazioni emergono e non sono né di contenuto né di contrapposizione o di posizione ostruzionistica, ma sono relative a una contraddizione, palese e chiara, all'interno della maggioranza.
Questa questione di fiducia, come ha già detto il collega che mi ha preceduto, prolunga i tempi della discussione, perché tutta l'opposizione aveva dichiarato la propria disponibilità ad effettuare entro domani, a mezzogiorno, il voto finale su questo provvedimento. L'unica richiesta era quella di poter discutere in quest'Aula gli emendamenti presentati dalle opposizioni e non vi era la richiesta che alcuni di questi fossero approvati dalla maggioranza. Avevamo chiesto solo la possibilità di discuterli e, quindi, di chiarire in quest'Aula le motivazioni di un'opposizione costruttiva rispetto ad un provvedimento delicato.
Ecco allora, al di là delle cose che accadono in questi giorni, alla vigilia del voto per le elezioni regionali, che emerge - e dovreste avere il coraggio di dirlo e di ammetterlo - che la questione sta tutta all'interno di questa maggioranza. Non vi sono più, in questa maggioranza, le condizioni per reggere il Governo che sta governando. Queste contraddizioni sono l'unica giustificazione delle reiterate questioni di fiducia che in quest'Aula vengono poste su tutti i provvedimenti, più o meno importanti e al di là dei tempi di scadenza dei decreti-legge.
Signor Presidente, al di là della legittimità di porre la fiducia - legittima e posta a termini di Regolamento - mi rivolgo non tanto al Presidente della Camera, che con il suo comportamento ha, per quanto in sua possibilità, tutelato quest'Assemblea, ma alla sensibilità di questo Governo e di questa maggioranza e, soprattutto, dei colleghi che in silenzio subiscono, anche loro, le richieste di fiducia del loro Governo. Chiedo, dunque, che si ritorni ad un confronto più serio e veramente aperto, al solo fine di poter portare un contributo migliorativo alle proposte di questo Governo e di questa maggioranza per un solo ed unico interesse che come gruppo dell'Unione di Centro abbiamo, ossia quello di poter fare qui dentro al meglio gli interessi del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione le motivazioni dell'onorevole Baretta e anche quelle dell'onorevole Compagnon. Su quelle dell'onorevole Barletta ho registrato quasi una nostalgia rispetto alla posizione della questione di fiducia e, quindi, in qualche modo, per fare una battuta, sembra quasi che l'onorevole Baretta sia stato soddisfatto in questa sua nostalgia.
Evidentemente, si è svolto un confronto approfondito nelle ultime settimane sui decreti-legge che sono stati affrontati senza la posizione della questione di fiducia e con tempi certi. In questo caso - e vorrei replicare a quanto detto dall'onorevole Compagnon - le motivazioni che possono indurre il Governo ad apporre la questione di fiducia non sono necessariamente ed esclusivamente legate ai tempi di conversione del provvedimento o all'eventuale ostruzionismo dell'opposizione o al numero degli emendamenti che pure, ci tengo a sottolinearlo in questa sede, è in qualche modo rilevante.
Attualmente, nel momento in cui è stata posta la questione di fiducia, sono comunque presenti oltre 150 emendamenti, nessuno dei quali è stato peraltro ritirato. Pag. 22
Inoltre, c'è anche una questione relativa all'importanza del provvedimento stesso, alla sua delicatezza, alla rilevanza degli emendamenti presentati ed è evidente la delicatezza del provvedimento in ordine alla celebrazione delle elezioni amministrative proprio per l'incidenza che esso ha nel rinvio del taglio previsto dalla legge finanziaria 2010 a molti enti locali.
Quindi è lì che evidentemente è da ricercare la motivazione della posizione della questione di fiducia e non in un ostruzionismo che, peraltro, il Governo non ha dichiarato esserci. Si tratta di un argomento che la maggioranza non ha gettato sul tavolo del confronto politico con l'opposizione relativamente al dibattito circa la posizione o meno della questione di fiducia.
È prerogativa del Governo quella di porre la questione di fiducia su un testo che ritiene di privilegiare e che, peraltro, rispetta il lavoro svolto dalle Commissioni e che evidentemente fa tesoro anche di alcune scelte delle Commissioni e del Comitato dei diciotto.
Ritengo che questa sia una prerogativa prevista dalla Costituzione e dai nostri Regolamenti e che quindi, di fronte ad essa, sia necessario affrontare tale scelta del Governo con il rispetto dovuto sapendo che, come maggioranza, la sosteniamo.

PRESIDENTE. Saluto i docenti e gli studenti della IV e V liceo scientifico Avogadro di Vercelli, del liceo classico e scientifico Don Bosco di Pordenone e dell'istituto comprensivo di Lucignano in provincia di Arezzo, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Sul calendario dei lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Comunico che la Conferenza dei presidenti di gruppo si è riunita per definire l'organizzazione del dibattito conseguente alla posizione della questione di fiducia sull'approvazione, senza subemendamenti e articoli aggiuntivi, dell'emendamento del Governo Dis. 1.1, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge n. 3146 - Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (da inviare al Senato - scadenza: 27 marzo 2010).
Nella seduta odierna, a partire dalle ore 15, avranno luogo gli interventi per l'illustrazione degli emendamenti, con prosecuzione notturna ed eventualmente nella mattinata di domani.
Poiché la questione di fiducia è stata posta alle ore 12,10 di oggi, la votazione per appello nominale avrà inizio alla stessa ora di domani, giovedì 4 marzo. Le dichiarazioni di voto, a norma dell'articolo 116, comma 3, del Regolamento, avranno inizio domani, alle ore 11, con ripresa televisiva diretta degli interventi dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto. Domani, dopo il voto di fiducia, si passerà all'esame degli ordini del giorno e, quindi, alle successive fasi dell'esame del provvedimento.
Il termine per la presentazione degli ordini del giorno è stabilito alle ore 9,30 di domani.
Lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (question time), già previsto per oggi, alle ore 15, non avrà luogo.
Nel corso della Conferenza dei presidenti di gruppo si è, inoltre, definita l'articolazione dei lavori relativa alla prossima settimana.
Martedì 9 marzo (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna), le votazioni avranno inizio a partire dalle ore 11,30; entro mercoledì 10 marzo (antimeridiana, sino al question time) (con votazioni) è prevista la conclusione dell'esame del disegno di legge n. 3175 - Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (da inviare al Senato - scadenza: 5 aprile 2010).
Mercoledì 10 marzo (pomeridiana, con votazioni), dopo il question time, avrà luogo il dibattito sulle mozioni Bersani ed Pag. 23altri n. 1-00333 e Di Pietro ed altri, concernenti misure urgenti per contrastare la crisi economica in atto, secondo il seguente schema:
dalle ore 16 alle ore 18: illustrazione delle mozioni ed interventi in discussione generale;
dalle ore 18: intervento in replica del Ministro dell'economia e delle finanze (per una durata di 15/20 minuti circa) e dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei gruppi, con ripresa televisiva diretta, con voto finale attorno alle ore 19,30/20.

Giovedì 11 marzo (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di venerdì 12 marzo) (con votazioni) i lavori si svolgeranno secondo quanto già previsto dal calendario.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 12,23).

ALESSANDRO BRATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori per chiedere se è possibile interessare il Governo al fine di intervenire rispetto ad una vicenda che riguarda purtroppo una delle tante cessioni di attività di azienda che è in Italia, ma che presenta alcune caratteristiche specifiche che adesso brevemente vorrei ricordare.
Mi riferisco alla IGS di Ruina in provincia di Ferrara, che produce cerchioni per auto e che oggi si trova in uno stato di liquidazione, ma mantiene una possibilità contrattuale di produrre circa 10 milioni di euro di fatturato per il 2010 e circa una produzione di 2 mila cerchioni in lega per committenti nord-europei. Questa vicenda riguarda circa 250-300 persone, che rischiano di essere immediatamente mandati a casa. È successo che, a causa di un non pagamento delle utenze, soprattutto del gas, queste sono state interrotte, ma grazie ad un intervento degli enti locali nell'arco di un paio di giorni sono state ripristinate.
Durante questi giorni è successo che il gruppo Volkswagen, che era il committente principale per circa 12 mila cerchioni all'anno per autovetture Kia, ha mandato in fabbrica a Ruina i propri tecnici per ritirare gli stampi di produzione, proprio a causa della inaffidabilità (questa è l'argomentazione posta dalla Volkswagen), e ha dato ad un suo fornitore le commesse. Ora si stanno verificando anche ovviamente delle situazioni di tensione sociale in questo paese.
Quindi, quello che le chiedo, signor Presidente, è che si possa interessare il Governo al fine di intervenire in qualche modo su questa vicenda che, purtroppo, porterà - ne siamo tutti consapevoli - alla chiusura di questa fabbrica in un prossimo futuro. Di contro, attraverso un intervento dell'Esecutivo si potrebbe giungere ad una chiusura controllata nel tempo senza che si verifichino condizioni di tensione sociale che, invece, se questo provvedimento forzato da parte della Volkswagen verrà portato avanti, potrebbero verificarsi.

PRESIDENTE. Vorrei rivolgere gli auguri all'onorevole Caparini, che pare oggi compia gli anni (Applausi). Si tratta di una notizia giunta alla Presidenza dall'onorevole Stucchi, al quale ovviamente diamo fiducia essendo membro dell'Ufficio di presidenza. Auguri!

MARCO RONDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO RONDINI. Signor Presidente, a seguito di una interrogazione in Commissione ambiente sull'inquinamento dei fiumi Lambro e Po per fuoriuscita di materiale inquinante dalla Lombarda Petroli, apprendiamo che il Consiglio dei Ministri, il 1o marzo 2010 ha dichiarato lo stato di emergenza, come richiesto dalle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 12,26)

MARCO RONDINI. Risultano, quindi, già disponibili i fondi per le operazioni di bonifica. Non possiamo che dirci soddisfatti anche se la soddisfazione sarà accompagnata da uno stato di allerta e controllo di quanto verrà fatto per assicurare una bonifica e una riqualificazione sia del fiume Lambro che del fiume Po, colpiti da un evento che si poteva trasformare in un disastro ecologico di portata di gran lunga superiore se non si fosse intervenuti tempestivamente. Ancora, siamo soddisfatti che sia stato dichiarato lo stato di emergenza per affrontare la situazione, ma chiediamo l'impegno del Governo per rintracciare eventuali responsabilità e perché queste non rimangano impunite.

MARCO DESIDERATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO DESIDERATI. Signor Presidente, intervengo sempre sullo stesso tema. Il versamento di petrolio da parte della Lombarda Petroli è stato un danno gravissimo per un territorio, in particolare quello della Brianza, che - dal dopoguerra ad oggi - ha vissuto e pagato un tributo importante, anche dal punto di vista della salute, a partire dal disastro tragicamente famoso di Seveso a mille altri problemi. I fiumi Lambro, Seveso e Olona sono stati famosi per essere i più inquinati d'Italia.
La Brianza e i brianzoli si sono rimboccati le maniche e hanno lavorato, investendo ingenti risorse umane ed economiche per risanare il loro territorio, che oggi è stato vilmente sfregiato da qualcuno che non ha il diritto di rubare la salute dei brianzoli e della loro terra.
Signor Presidente, chiedo a lei e al Governo non solo di stanziare i fondi necessari ma anche di farlo celermente. Non possiamo consegnare una terra inquinata e pericolosa ai nostri figli.

MASSIMO POLLEDRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, faccio un appello e una denuncia. L'appello è al Governo italiano e al Governo amico del Pakistan, la denuncia riguarda una situazione di ingiustizia e, a nostro giudizio, di grave violazione dei diritti umani.
Presidente, c'è una lunga catena insanguinata di ingiustizia attorno al mondo che colpisce le vittime della libertà religiosa, in particolare i cristiani nel mondo. L'episodio che vogliamo denunciare pubblicamente attiene a due cittadini pakistani, ripeto si tratta di un Governo amico che sta pagando in qualche modo un prezzo importante nella lotta contro il terrorismo. C'è una lunga catena di persecuzioni in quel Paese, già nell'appello dei vescovi pakistani pubblicato il 27 febbraio sono denunciate ripetute violenze contro le minoranze senza che nessuno intervenga.
Oggi denunciamo la condanna all'ergastolo di due cittadini pakistani, Qamar David e Imran Masih: sono stati condannati per una legge antiblasfemia per presunte violazioni che sono state classificate dall'agenzia Fides come ingiuste, strumentali e non provate. Il primo, Qamar David, è stato accusato per una testimonianza di aver mandato messaggi ingiuriosi verso Maometto; l'altro invece, Imran Masih, ventiseienne di Faisalabad, è stato condannato all'ergastolo perché il vicino di casa, dopo avergli consegnato alcuni libri dicendogli che non erano di carattere religioso, lo ha indotto a bruciarli.
Presidente, credo che possa arrivare una richiesta dal Parlamento e dal Governo al Governo pakistano per intervenire e spezzare questa catena di ingiustizia e di persecuzione che tanto farebbe bene alla libertà religiosa e tanto farebbe bene, credo, alla pace del mondo e a un clima più disteso all'interno delle minoranze in Pakistan (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania e del deputato Renato Farina).

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LUIGI BOBBA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUIGI BOBBA. Signor Presidente, intervengo per associarmi all'appello e alla denuncia fatta adesso dal collega Polledri circa questa situazione particolare che peraltro perdura, non sono fatti isolati. C'è una minoranza, in questo caso una minoranza cattolica, di fatto compressa da una situazione dove la legge viene utilizzata per colpire alcuni diritti fondamentali della persona, tra cui quello a professare la propria religione.
Credo che sia un fatto da sottolineare. Queste continue violazioni dei diritti umani che avvengono in Paesi, in questo caso nel Pakistan, dove le minoranze, non solo quella cattolica, subiscono una situazione pesante di condizionamento, quando non di utilizzo della legge al fine di provocare delle vere e proprie discriminazioni (come i casi ricordati prima da Polledri), devono riguardare anche questo nostro Parlamento e allo stesso tempo sollecitare il nostro Governo ad un interessamento perché la situazione in quel Paese non produca delle violazioni palesi ed evidenti dei diritti umani. È un fatto grave che in qualche modo rappresenta la punta di un iceberg che non possiamo assolutamente ignorare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e del deputato Polledri).

PRESIDENTE. Saluto i docenti e gli studenti della scuola media «Massimo D'Azeglio» di Marano (Napoli), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, anch'io vorrei unirmi ai colleghi perché vorremmo proprio dare un segnale di un'attenzione particolare su questo tema trasversale in Parlamento, quindi di una sensibilità diffusa in tutti i gruppi presenti in quest'Aula.
Sappiamo bene che la situazione è esplosiva in tutto il mondo, è stato ricordato che sicuramente i cristiani sono i più colpiti nel mondo da una persecuzione veramente sempre più sconcertante; allora, con questa iniziativa vorremmo sostenere il Ministro Frattini, che sappiamo essere attivo su questo fronte e una persona sensibile ed attenta, però vorremmo veramente invitarlo a passare ai fatti concreti, perché stanno diventando davvero improcrastinabili.
In particolare, ricordo a me stessa, che il Parlamento europeo già nel 2007 ha condannato ogni tipo di discriminazione e intolleranza fondata sulla religione, con esplicito riferimento agli atti di violenza contro le comunità cristiane. Il 16 novembre scorso, sempre su iniziativa italiana, il Consiglio dei Ministri degli esteri dell'Unione europea ha deplorato il fatto che la discriminazione basata sulla religione esista ancora in tante regioni del mondo e che a persone appartenenti a minoranze religiose continuino ad essere negati i diritti umani. Infine, il Parlamento europeo, il 21 gennaio scorso, ha condannato l'uccisione di sei cristiani in Egitto.
Ebbene, qui si tratta di muoversi non solo quando ci sono dei morti, ma di attivarsi, come il Ministro aveva promesso di fare, con una Conferenza internazionale sulla libertà religiosa da tenersi in Italia il prima possibile, entro l'anno. Il problema è di intervenire, lo ripeto, prima che ci siano i morti e questa vicenda della blasfemia in Pakistan è particolarmente grave, perché si presta a qualsiasi abuso, qualsiasi tranello, qualsiasi tradimento, qualsiasi condanna non basata sui fatti, ma su semplici opinioni o su delazioni molto discutibili.
Pertanto, qui si tratta di realizzare un intervento, insisto, serio e in linea anche con gli appelli del Papa che in continuazione denuncia queste persecuzioni e di far vedere che noi siamo davvero attenti a queste minoranze, a questo diritto dei popoli alla libertà religiosa. Sono sicura Pag. 26che il Governo del Pakistan non è d'accordo con questi atteggiamenti violenti, però anche tale Governo deve trovare le risorse e il modo più efficaci per intervenire. Noi siamo pronti in qualche modo a collaborare e a fare tutto il possibile affinché questi episodi non entrino più a far parte della cronaca, ma rimangano solamente dei brutti ricordi (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Saluto i docenti e gli studenti del liceo scientifico Antonio Vallisneri, di Lucca, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

RENATO FARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, mi associo ai colleghi che hanno denunciato prima di me con parole accorate quello che sta accadendo in Pakistan nella sostanziale indifferenza della comunità internazionale, tranne la Santa sede e, devo dire per fortuna, il nostro Governo, che si sta adoperando molto, specialmente in Europa e presso l'ONU, perché la libertà religiosa diventi tema programmatico non solo e non tanto nelle dichiarazioni formali, quanto nel piano di azione dei rapporti reciproci.
Ci sono due iniziative importanti: una è che nel piano di azione Europa-Pakistan ci sarà probabilmente un paragrafo dedicato a questo come Europa, e ciò su pressione del Governo italiano.
Inoltre, si sta approntando un manuale ad uso delle ambasciate europee nei Paesi a rischio di persecuzione, dove la persecuzione è già praticata, mettendo a frutto l'importante esperienza maturata in questi mesi a proposito della sentenza riguardante il crocifisso in Aula. Il Governo italiano si è attivato e ha trovato quindici, sedici Paesi di identica sensibilità che si sono messi intorno all'Italia a difendere il diritto a manifestare in pubblico la fede ed i simboli culturali della stessa.
Sulla base di questo, nasce una serie di iniziative che non vedono solo l'Italia isolatamente attiva (come se fosse una sensibilità solo nostra, perché c'è il Papato), ma che vedono ciò come un'esigenza dell'umanità in quanto tale. In questo senso, concordo con l'onorevole Santolini sul fatto che occorre al più presto premere perché si celebri in Italia la Conferenza sulla libertà religiosa entro l'anno sotto l'egida dell'ONU. Chiedo che anche la Presidenza della Camera possa in qualche modo far sua questa iniziativa, notando come su questi temi oggi una sensibilità sia stata espressa in modo così forte da tutti i gruppi.
Per parte mia vorrei segnalare, oltre al tema del Pakistan e della blasfemia, quello della persecuzione delle donne in quel medesimo Paese. Stiamo assistendo, infatti, ad un fenomeno spaventoso, cioè alla schiavitù di piccole ragazze in famiglie ricche dove sono vessate, come è accaduto alla ragazzina cristiana Shazia Bashir che è stata uccisa e oggi, proprio perché cristiana, non si trova un avvocato che possa accedere all'aula a costituirsi parte civile per questa famiglia. Segnalo anche la vicenda della persecuzione massiccia dei cristiani in Iraq, con il tentativo o di ghettizzarli, o di farli espatriare. In un'importante intervista al quotidiano Avvenire, il Ministro Frattini ha fatto un elenco dei Paesi dove è più forte la persecuzione o il rischio di persecuzione nel mondo. Leggo questo elenco perché sia messo agli atti, non perché si costituisca una lista nera di Paesi da mettere al bando - questo infatti, diventerebbe anche più nocivo per i cristiani di lì, come sappiamo bene per esperienza - ma perché si possa essere attenti anche quando si tratta di affari o di altre cose. La graduatoria stabilita da una ONG molto seria vede al primo posto la Corea del Nord; staccata di molto ma al secondo posto l'Iran; poi la Somalia; quindi l'Arabia saudita; il Pakistan di cui abbiamo parlato oggi; l'Iraq; l'India e il Sudan. Questi sono Paesi molto importanti e credo che debba essere compito dell'Europa, oltre che specificatamente dell'Italia, quello di far valere un diritto Pag. 27umano senza il quale tutti gli altri crollano (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

IVANO STRIZZOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, vorrei chiederle di sollecitare il Governo a fornire una risposta ad una mia interrogazione concernente i problemi che si sono determinati nella mia regione, ma in particolare nelle zone dell'alto Friuli, con riferimento al servizio postale.
Sappiamo che le Poste italiane, in questi anni, hanno avviato un processo di razionalizzazione del servizio ed in alcune aree (non credo solo in Friuli, ma forse anche in altre parti del nostro Paese) l'ufficio postale, dopo la chiusura di scuole e la riduzione di altri servizi, rappresenta l'unico presidio del territorio (soprattutto al servizio di persone anziane); pertanto, con la paventata chiusura di ulteriori uffici postali si ridurrà ancora il servizio, che ha una funzione anche sociale.
Sappiamo, ovviamente, che la redditività degli uffici di montagna è diversa rispetto a quella degli uffici postali della città, ma, proprio perché le Poste italiane sono ancora oggi a intera partecipazione di capitale pubblico, sarebbe importante che, soprattutto in alcune aree del Paese, come nel caso dell'alto Friuli, dove in questi giorni c'è stata anche una raccolta di firme avviata dalla Cisl, con la quale, appunto, si rappresenta questa difficoltà, la missione complessiva di Poste italiane, giustamente, fosse tesa oltre al dato di bilancio, anche alla sua funzione sociale, che non può venir meno.

ELENA CENTEMERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, intervengo associandomi a quanto affermato in precedenza dall'onorevole Desiderati sul tema della Brianza. Provengo da questo territorio, che la settimana scorsa, nella notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio, è stato gravemente colpito e ferito nel suo - mi permetta - cuore.
Venerdì ho visitato personalmente gli stabilimenti della Lombarda Petroli di Villasanta. Dal sopralluogo effettuato risulta evidente che quanto avvenuto è un atto di grave «ecoterrorismo», come lo ha definito anche il Presidente Formigoni, alle cui parole mi associo.
Per questo motivo, chiedo al Governo che, dopo aver decretato lo stato di emergenza per la situazione del Lambro, faccia con decisione chiarezza su quanto avvenuto in questo piccolo paese della Brianza, proprio perché tale ferita non dilaghi ulteriormente nella nostra comunità (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Sospendo ora la seduta, che riprenderà alle 15, con lo svolgimento di interventi per l'illustrazione degli emendamenti, che avranno luogo a norma dell'articolo 116 del Regolamento, così come costantemente interpretato su conforme parere della Giunta per il Regolamento.

La seduta, sospesa alle 12,45, è ripresa alle 15,10.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Brancher, Brugger, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Cota, D'Alema, Donadi, Gregorio Fontana, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Lo Monte, Martini, Pescante, Sardelli, Stucchi, Tabacci, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantacinque, come risulta Pag. 28dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Essendo stata posta dal Governo la questione di fiducia sull'approvazione dell'emendamento Dis. 1.1, il dibattito proseguirà a norma dell'articolo 116 del Regolamento, così come costantemente interpretato su conforme parere della Giunta per il Regolamento.
Potranno, pertanto, intervenire i presentatori degli emendamenti che non siano stati già illustrati, per non più di trenta minuti ciascuno.

(Illustrazione delle proposte emendative - A.C. 3146-A)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, mi riferisco all'emendamento 2.167, che intendeva affrontare una questione particolarmente delicata anche in tema di rappresentanza politica. Il tema riguarda le province. Mi piacerebbe dire, rispondendo alla replica del Ministro Calderoli, che nel nostro programma avevamo l'idea che le province dovessero essere un'entità abbandonata e quindi abolita. Mi pareva che questo fosse anche nel programma del Popolo della Libertà. Ieri, il Ministro Calderoli ha fatto un'aggiunta e ha detto che si parlava solo di province inutili. Io ho sempre sentito il Presidente del Consiglio Berlusconi, per primo, fare la campagna elettorale dicendo che le province dovevano essere abolite, punto e basta. Adesso si vede che evidentemente non aveva letto bene il suo programma, dato che il Ministro Calderoli ha precisato che si parlava soltanto di province inutili.
Noi abbiamo anche portato in Aula la nostra proposta, poi si è visto come è finita. Quindi, è chiaro che non c'è alcuna volontà politica di abolire le province, ma qui discutiamo comunque di province e lo facciamo perché almeno si dovrebbe avere il coraggio di fare le cose fatte bene. Il decreto-legge, da un lato, come è noto, stabilisce che cambia il numero dei consiglieri provinciali. Lo fa in un modo diverso rispetto alla legge finanziaria, per cui abbiamo addirittura tre diverse idee sul numero dei consiglieri provinciali. Comunque, prendiamo l'ultimo quello valido. Voglio far riferimento, così per me è anche più facile, alla mia provincia, che è anche la provincia del sottosegretario che in questo momento è al banco del Governo: la provincia di Verona aveva trentasei consiglieri che, per effetto della norma sulla quale il Governo ha posto la questione di fiducia, diventeranno ventinove a partire dalle prossime elezioni provinciali.
È evidente che, dato il sistema elettorale vigente per le elezioni provinciali, il territorio della provincia è diviso in tante circoscrizioni quanti sono i consiglieri da eleggere. Quindi, attualmente per la provincia di Verona le circoscrizioni sono trentasei ed in teoria, a parità di legge elettorale, dovrebbero diventare ventinove alle prossime elezioni. C'è un però che non convince affatto all'interno di questo provvedimento ed è che esso disciplina il caso in cui non si arrivi, con un procedimento che comunque deve coinvolgere la stessa provincia, alla ridefinizione delle circoscrizioni provinciali.
Si dice che, nel caso in cui non si addivenisse per tempo alla suddivisione secondo il nuovo numero dei consiglieri, le elezioni si terranno lo stesso e chi si presenterà alle elezioni dovrà indicare comunque un numero di consiglieri inferiore a quello delle circoscrizioni esistenti.
In altri termini, se per ipotesi non si riuscissero a ridefinire le circoscrizioni della provincia di Verona, trasformandole da 36 a 29, il partito dell'Italia dei Valori, che intende presentarsi a quelle elezioni, dovrebbe indicare 29 candidati su 29 circoscrizioni e non presentarsi in 7 circoscrizioni.
Credo che un meccanismo di questo genere sia leggermente folle, perché questo vorrebbe dire che il simbolo di un partito, Pag. 29che, a differenza di quanto è capitato in qualche caso al PdL in questo frangente delle elezioni regionali, avesse raccolto regolarmente le firme per potersi presentare alle elezioni, dovrebbe omettere di essere presente in 6 circoscrizioni.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore per la I Commissione. Non è così!

ANTONIO BORGHESI. È così! Mi dispiace, ma il Ministro ieri non ha negato che sia così. Prendo atto che il relatore fa segno di no, ma questo è quanto si ricaverebbe da quella indicazione e sembrerebbe essere stato confermato dal Ministro; poi, se non è vero, chiariremo in altra sede.
In ogni caso, se così fosse, è evidente che un partito dovrebbe scegliere un numero di circoscrizioni nelle quali non essere presente, e quindi non dare modo ai propri elettori di votarlo. Credo che questo aprirebbe un tema, a mio giudizio, molto grave, perché mi parrebbe che questo sia davvero un caso in cui gli elettori sarebbero privati della possibilità di votare per il partito al quale ritengono di dare la propria preferenza.
Ieri il Ministro Calderoli ha detto che non c'è problema perché...

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore per la I Commissione. Leggilo!

ANTONIO BORGHESI. Permetti? Forse il Ministro Calderoli non conosce bene il disegno di legge che ha presentato, altrimenti ieri avrebbe dovuto dare una risposta adeguata su questo punto; invece, si è limitato a dire che il problema non sussiste, perché sicuramente è intendimento del Governo intervenire e riuscire a ridefinire le circoscrizioni in tempo utile.
A questo punto, però, si poteva comunque introdurre una salvaguardia di tipo diverso, prevedendo che, nel caso non si fosse comunque addivenuti entro un tempo antecedente all'avvio del procedimento elettorale in quella provincia, il Governo era autorizzato in via provvisoria a ridefinirle, salvo poi una successiva ridefinizione in un tempo successivo.
Comunque, a mio giudizio, tale fatto non può stare in piedi, essendo evidente che non possiamo sicuramente pensare di candidare un numero di consiglieri superiore al numero dei consiglieri provinciali. Credo che questo sia comunque un procedimento non possibile; allora, qualcosa che non va nel meccanismo c'è.
Ripeto, un meccanismo diverso di salvaguardia avrebbe permesso di ovviare in modo coerente ad un errore di questo tipo.
Approfitto anche dell'intervento per rispondere ad un altro rilievo che è stato avanzato ieri dal Ministro Calderoli in sede di replica, accusando in qualche modo noi dell'opposizione, forse in particolare l'Italia dei Valori, e affermando: ma come, voi dite che non si deve partire dalla coda, che bisogna partire dalla testa, e che quindi i costi della politica, prima di tagliarli nei consigli comunali e provinciali, bisogna tagliarli in Parlamento; è colpa vostra, perché noi l'avevamo fatto, avevamo presentato una riforma costituzionale che prevedeva la riduzione del numero dei parlamentari, è stata colpa vostra perché avete favorito un voto popolare che ha impedito l'entrata in vigore di quei provvedimenti.
Vorrei rispondere al Ministro che bisogna che sia completo nelle sue affermazioni: è ben noto che il mio partito, ma credo non solo il mio partito, abbia contrastato quella riforma costituzionale non certo nella parte dove prevedeva la riduzione del numero dei parlamentari, ma nel resto, dove prevedeva una totale alterazione dei contrappesi costituzionali. Si trattava infatti di una riforma che riduceva il Capo dello Stato ad una sorta di icona, priva di qualunque contrappeso dal punto di vista costituzionale; e proprio le vicende di questi due anni di Governo Berlusconi ci dicono quanto rilevante sia invece che quel contrappeso resti. Dico allora al Ministro Calderoli, anche se non è qui oggi: facciamo immediatamente una riforma che riduca il numero dei parlamentari; anzi, vi sono già delle proposte, ve n'è una anche a mia prima firma, e credo che se la portasse all'esame del Pag. 30Parlamento dopodomani, o se accettasse di portarla dopodomani in Aula, vedrebbe sicuramente il mio partito pronto a sottoscriverla, in tempi brevi e senza molte discussioni o lungaggini. La verità è che si vuole agganciare questo problema ad altre tematiche, che sono molto più complesse; sarebbe stato sufficiente stralciare tale riforma relativa ai parlamentari, e credo che avremmo dato tutti un buon esempio al Paese, quando poi al Paese si chiedono sacrifici.
Ciò detto, giudico (e concludo anche così il mio intervento) molto grave la posizione della questione di fiducia su un decreto-legge come questo, dove non vi erano particolari tensioni: il nostro partito aveva già persino detto che quasi sicuramente nel voto finale avrebbe assunto un atteggiamento di astensione, e non di diniego, in relazione al fatto che comunque noi riteniamo che i costi della politica siano un elemento sul quale bisogna lavorare, e tutto ciò che va nel senso di una riduzione dei costi della politica è comunque in qualche modo apprezzabile. Poi è chiaro che vi è una parte del decreto-legge, in particolare quella che riguarda il Patto di stabilità dei comuni, che non ci convince. Vi sono all'interno dei provvedimenti, come quelli ad municipalitatem, ad urbem, che interessano solo Brescia, chissà perché, come se altri comuni non avessero lo stesso problema di Brescia: a differenza di Brescia forse non hanno un Governo amico, e quindi allora il provvedimento non si fa per loro e si fa solo per Brescia, oppure solo per Roma, come in realtà è contenuto nel decreto-legge in esame.
Invitiamo ancora una volta il Governo a riflettere sul «buco» che vi è a nostro avviso nelle elezioni provinciali, e a porvi rimedio per tempo. Chiederemo con un ordine del giorno che il Governo si impegni ad affrontarlo anche in altro modo, anche in termini normativi diversi nel futuro provvedimento: in modo da non lasciare spazio a possibili situazioni che siano di negazione della rappresentanza politica ad una parte della popolazione che dovesse eventualmente non poter votare per il proprio partito o per il proprio movimento, nelle elezioni provinciali a partire da quelle del prossimo anno.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, come spesso avviene in queste occasioni vi è un certo disagio, qualche elemento di frustrazione, un certo disincanto in più, qualche elemento ulteriore di sfiducia nei confronti anche del nostro essere e del nostro impegno parlamentare. Dico ciò non per riproporre vecchie lamentele ma - come ha fatto questa mattina l'onorevole Compagnon - per evidenziare qual è il rammarico di un gruppo parlamentare che si richiama ad una storia democratica vera e sostanziale all'interno del nostro Paese; e questo rammarico si stringe di più, si espande di più rispetto alla cosiddetta «velocità» dei tempi imposta da una legislazione da parte del Governo che non lascia spazio a seri approfondimenti e a serie considerazioni.
È una legislazione per alcuni versi anche un po' schizofrenica, visto e considerato che, anche per chi ha dimestichezza con le Aule parlamentari, non trova spesso una ratio, un filo logico o una evoluzione corretta rispetto al modo di legiferare e quindi di affrontare norme che si accavallano l'un l'altra.
Signor Presidente, quando parliamo di autonomie locali occorre ricordare che in tale materia è stata adottata una serie di provvedimenti: mi riferisco cioè a talune norme della legge finanziaria, ma vi sono poi stati altri provvedimenti, compreso quello ora al nostro esame, mentre tutto viene rinviato, a volte, al codice delle autonomie. Sono stati presentati anche provvedimenti di cui risultavo primo firmatario e che, per sollecitazione del relatore, ho ritirato al fine di recuperare poi l'argomento e il tema che ponevo nel cosiddetto codice delle autonomie.
Ma anche nel provvedimento in esame compaiono delle anticipazioni rispetto a quella che dovrà essere la materia normata e regolata dal codice delle autonomie. Pag. 31Non abbiamo allora ben capito se questo provvedimento ripropone e disciplina temi e fatti che erano già disciplinati e normati nella legge finanziaria: perché riproporli e perché porli anche nella legge finanziaria se poi si intende adottare un codice delle autonomie che dovrebbe dare un impianto più lucido e più organico - così si dice - a tutta una serie e a una selva di argomenti, di temi e di problemi che riguardano certamente le province così come i comuni, le comunità montane, gli ATO.
A proposito delle province, signor Presidente, affrontammo anche questo tema e questo argomento nel corso dell'esame - mi pare - del disegno di legge sul federalismo fiscale, quando sostenemmo chiaramente che bisognava eliminare le province proprio per dare il senso di una razionalizzazione e del nostro impegno anche sul piano politico, e quindi per regolare anche le istituzioni rappresentative della democrazia di base, delle autonomie locali o delle autonomie territoriali che dir si voglia.
Vedevamo quindi le province come un surplus, un elemento un po' sovrastante e, per alcuni versi, non sostanziale né utile (e raccogliemmo in quel momento anche le posizioni espresse dalla maggioranza che poi ha dato vita a questo Governo).
Ricordiamo chiaramente quello che disse allora la maggioranza: via le province, bisogna risparmiare ed eliminare le spese inutili, la politica costa troppo; e a tutto ciò faceva eco anche il Partito Democratico. Guarda caso, poi ci siamo ritrovati in Commissione affari costituzionali, e, per dire la verità, anche in Aula, un'alleanza sull'abolizione delle province. Questo non mi scandalizza, signor Presidente, perché successivamente vi è stata anche un'alleanza sul federalismo fiscale tra la maggioranza e il partito più grande dell'opposizione (grande sul piano della quantità, perché ognuno di noi svolge il proprio ruolo).
Certamente il senso e il significato dell'opposizione si misura anche sulla sua qualità e sulla coerenza. Noi abbiamo votato contro la legge sul federalismo fiscale, abbiamo mantenuto una posizione ferma per quanto riguarda l'abolizione delle province e siamo rimasti da soli, insieme all'Italia dei Valori, a svolgere una battaglia che, seppure non ha avuto successo, certamente ha lasciato una traccia profonda e indelebile nell'opinione pubblica.
Ma vi è un'altra questione ed è quella di voler abbassare i costi della politica attraverso un infingimento, una valutazione semplicemente pubblicitaria di una problematica che dovrebbe essere presa e manovrata con maggiore senso di responsabilità e delle istituzioni. Questo provvedimento nasce per regolamentare e migliorare le situazioni economiche e finanziarie delle autonomie locali. Si tratta quindi, di norme urgenti che riguardano la sistemazione della finanza locale, e vi è anche un richiamo alla legge finanziaria, a cui facevo riferimento prima, sui costi della politica. E come risolviamo il problema dei costi della politica? Lo risolviamo, signor Presidente, attraverso la riduzione dei consigli comunali e provinciali.
Non vedo presente al banco del Comitato dei diciotto il relatore per la I Commissione, Giuseppe Calderisi, che è un membro di questo Parlamento (anche se siamo quattro persone, non ci dobbiamo mettere a fare capannello). Lo dico perché tengo moltissimo all'attenzione e alla benevolenza dell'onorevole Calderisi, che è stato relatore in Commissione e che spero abbia almeno l'amabilità di ascoltare chi in questo momento, anche su sollecitazione del suo gruppo, prende la parola, non per scherzo, ma per esprimere una posizione politica, che certamente dovrà essere considerata.
L'onorevole Calderisi parla dei consigli comunali, sottolineando il taglio di più di 120 mila consiglieri comunali e di 35 mila assessori e la riduzione dei consiglieri provinciali, e così via. Spero che il relatore torni, visto che ha consegnato questa relazione all'attenzione dell'Aula il 1o marzo, e che ci dica qual è la sua concezione della democrazia e se la presenza di tanti consiglieri comunali e provinciali sia un ostacolo, Pag. 32un appesantimento o un incidente. Siamo stati abituati, anche in questa legislatura, ad ascoltare questo tipo di considerazioni. Pensavamo che si guardasse più alla quantità, invece ritengo che, se anche il Parlamento fosse composto di 200 o 100 membri, sarebbe visto e valutato come un'istituzione che rappresenta un condizionamento, un peso alla libertà di movimento e di conduzione del Governo della Repubblica.
Io ritengo che qui ci sia un errore di fondo. Vogliamo sistemare i problemi finanziari dei comuni, per quanto riguarda le rimesse ai comuni e la relativa riduzione, secondo i parametri - previsti dal maxiemendamento - di rivalutazione, aggiornamento e puntualizzazione, considerato che tale maxiemendamento non fa che razionalizzare alcuni conti? Ritengo che sia un errore. Lo ripeto: è un errore. Potevamo anche capire che forse si doveva eliminare qualche assessore, ma ridimensionare la rappresentanza istituzionale locale, a mio avviso, è un nocumento, un vulnus alla democrazia rappresentativa a livello locale.
E poi si vuole l'eliminazione delle circoscrizioni nei comuni al di sotto di 250 mila abitanti. Perché non si dà la possibilità anche ai giovani di fare l'esperienza di consigliere circoscrizionale in un comune, per esempio, di 248 mila abitanti? Perché no? Eliminiamo anche il gettone di presenza laddove esiste. Riduciamo i gettoni di presenza nei consigli comunali e provinciali. Vediamo quali sono le spese inutili! Vediamo qual è la situazione degli appalti! Vediamo quali sono le connessioni nelle istituzioni con gli ambienti criminosi, che pure esistono non soltanto nelle regioni monitorate come aree interessate dalla criminalità interna (questo è vero, ma ci sono anche altre regioni). Perché non abbiamo fatto questa valutazione? Possiamo fare politica nell'ambito delle autonomie locali attraverso riduzioni ed eliminazioni? Ritengo che questo sia stato, e sia tutt'ora, un grande errore.
Se in questo modo si intende andare nella direzione di una sanatoria di una situazione economicamente ingovernabile, ritengo che sia il tragitto e il percorso più impervio e che ponga dei problemi seri sul piano della rappresentazione democratica.
Ma c'è un altro elemento. Signora Presidente, considerato che ho soltanto la sua cortese attenzione...

PRESIDENTE. Non è poco.

MARIO TASSONE. Per questo sono lusingato e mi sento arricchito, signora Presidente. Per me è un privilegio la sua cortesia.
Questa mattina nelle Commissioni riunite I e V ho sollevato qualche eccezione e ho fatto una battuta, come spesso mi accade (anche improvvidamente). Ho detto che questo maxiemendamento trancia un po' il dibattito. Qualcuno allora ha replicato che erano state accolte tutte le proposte. L'hanno detto due colleghi che fanno parte del Governo, colleghi che tra le altre cose io stimo; ma lo hanno detto anche dei colleghi della maggioranza.
Ebbene, signora Presidente, le debbo dire che noi avevamo ritirato tutti gli emendamenti a seguito della sollecitazione ad accelerare i lavori. Ci è stato detto: ritirate gli emendamenti perché poi andremo in Aula per discutere. Poi, però, mi si viene a dire che sono stati accolti gli emendamenti? Forse si riferivano alle proposte della maggioranza, che hanno trovato l'accordo con il Governo, ma certamente non è stato considerato l'apporto di contributi di un'altra parte del Parlamento, quelli dell'opposizione che, in quanto tale, non è che per presunzione iuris et de iure deve sempre dire delle cretinate, oppure portare avanti delle proposte inopportune. Tali proposte non sono state tenute in considerazione. Eppure qui c'è un'altra filosofia! La filosofia alternativa alla nostra si estrinseca attraverso quell'emendamento, condiviso anche dall'ANCI, che riguarda il ruolo dei segretari comunali. Qual è questa filosofia? Parliamo anche di finanza, di economia e di risparmi e in questo provvedimento si elimina il direttore generale. Come nasceva questa figura? Nasceva sulla base di una volontà e di una cultura economicistica Pag. 33nuova, in cui si poneva al centro dell'attenzione di tutto un movimento economico all'interno del nostro Paese il management, il manager.
Con i direttori generali i comuni facevano un passo avanti verso una loro privatizzazione, verso una concezione quasi privatistica, tant'è vero che questo processo era partito da lontano, da quando avevamo eliminato i controlli sui comuni. Ciò crea anche una dispersione delle risorse.
Ieri, in Commissione, ho detto che guardo sempre con grande attenzione e soprattutto con grande «nostalgia» ai comitati di controllo, che davano certezza. Oggi - lo dico tra parentesi - alcuni comuni hanno adottato i loro controlli, perché se qualche sindaco ha paura su una delibera delicata, si reca preventivamente in cerca di consigli dal procuratore della Repubblica, per chiedere se quella delibera sia legale e legittima, se può dargli fastidio o violare alcune norme o alcune leggi, e così via.
Avevamo detto che il direttore generale è una figura che rispecchiava questo tipo di filosofia, invece non c'è più il direttore generale, ma chi comanda gli uffici? Abbiamo sempre più mortificato il ruolo del segretario comunale. Per tale ragione, avevamo presentato un emendamento riguardante le fasce uno, due, tre e quattro, con riferimento al momento apicale del ruolo del segretario comunale, sino a definire anche la fascia, per così dire, meno forte dei segretari comunali, a cui era attribuita la gestione e, quindi, l'impiego professionale per un'unione di tre o quattro comuni. Questo, signor Presidente, era un emendamento che avevamo confezionato con grande intelligenza, visto e considerato che quasi tutti gli emendamenti che abbiamo presentato, come il Presidente della Camera Fini ci ha detto questa mattina, sono stati dichiarati inammissibili. Qualche emendamento, tuttavia, si è salvato, perché c'era stata una strutturazione e un'articolazione puntuali.
Dunque, si sceglie un'altra filosofia: manteniamo i comuni senza controllo. Il problema del controllo va posto per evitare che delibere e decisioni adottate secondo la concezione dell'autocontrollo si espandano, straripino e soprattutto creino disfunzioni sul piano economico e finanziario. Non c'è dubbio che questo sia un tema che noi riproporremo quando discuteremo del codice delle autonomie, considerato che ne hanno discusso moltissimo nella Conferenza Stato-regioni e autonomie locali, ne hanno discusso ovunque e dappertutto, e a noi come Parlamento perverrà questo provvedimento confezionato al quale certamente forniremo il nostro contributo.
Per tale ragione, signor Presidente, dicevo che si tratta di due concezioni diverse, due filosofie diverse perché, altrimenti, questi aggiustamenti sui trasferimenti erariali ai comuni e agli altri enti potevano certamente avere una loro dignità e una loro forza, una loro capacità. Ma noi dobbiamo inserire tutto questo nell'ambito di una riforma organica e soprattutto in un processo più razionale che adegui i comuni alla loro funzione e al loro ruolo primario, non vi è dubbio che questo sia importante; come certamente è importante collegare i comuni alle regioni.
Alle regioni adesso si attribuiscono più poteri, perché le comunità montane non vengono più rifinanziate. Anzi, si parla semplicemente di contributi per i comuni montani, tuttavia tutta la problematica della montagna e dei comuni montani di certo non viene risolta e non vi è dubbio che vi sia tutta una materia in fieri che non è affrontata da questo provvedimento. Se il provvedimento non la affronta seriamente, non la può risolvere, e la mancata risoluzione non vi è dubbio che determinerà delle situazioni di maggior aggravio, di maggiore spesa e di spese inutili.
Inoltre c'è il problema degli ATO.
Qui si dovrebbe fare anche un lungo discorso sugli ATO: non li hanno più le province - le aboliamo - quindi si passa alle regioni. Riguardo alle competenze delle regioni, vogliamo affrontare la problematica delle regioni, perché quando noi parliamo di finanza pubblica, signor Presidente, le regioni vivono quasi in una zona Pag. 34di extraterritorialità. Sappiamo che molti aggravi e molte situazioni disfunzionali di carattere economico vengono proprio dalle regioni stesse, però delle regioni non si può parlare: «giochiamo» fra regioni, province, comuni, ATO, comunità montane e delle regioni non si parla.
Poi vi è il problema che oggi si crea per quanto riguarda il compito delle regioni relativo alla diminuzione dei consiglieri delle province e soprattutto dei comuni. Mentre in Friuli-Venezia Giulia il presidente ed il sindaco non vengono computati fra i consiglieri da ridurre, nei comuni e province delle altre regioni sì, e questo lo capiamo a fronte della diversità degli statuti, soprattutto degli statuti speciali, come quello che presiede le attività ed il territorio del Friuli-Venezia Giulia.
Signor Presidente, credo di avere concluso questo mio speach, questo mio intervento. Che cosa rimane di questo mio intervento? Poco o nulla: si va al voto di fiducia, vi è il maxiemendamento. Si va avanti. Ma noi siamo arrivati, signor Presidente, ai tempi di oggi e se ci rapportiamo ai vecchi tempi o ai vecchi documenti e rileggiamo molti documenti anche politici, spesso ci troviamo a dover dare ragione a chi ci indicava un percorso, mentre noi ci siamo assunti la responsabilità di seguirne un altro. I tempi di oggi sono drammatici, lo sono sul piano politico perché, quando noi manovriamo sulla rappresentanza nelle istituzioni democratiche, ci troviamo di fronte ad un sistema bipolare che restringe l'area della democrazia. Voglio dire che questo provvedimento e, prima, la finanziaria sono funzionali alla visione della società, delle istituzioni e dell'ordinamento.
La democrazia reale si realizza dalla base, sul territorio, nei comuni: lì si esalta la democrazia, lì si coinvolgono le persone, lì si costruisce la classe dirigente, lì si costruiscono le persone che si confrontano giorno per giorno con i problemi del proprio territorio. Ma noi abbiamo una visione ormai quasi carismatica e personale dei vertici e non sappiamo quali sono i vertici. Oggi ci troviamo di fronte uno scenario politico estremamente preoccupante, che dissolve le energie, e tutto il mio discorso iniziale puntava sulle energie e soprattutto sull'uomo, sulla sua capacità di costruirsi e di costruire.
Quando noi parliamo, ad esempio, di legalità e di criminalità, ma chi crede alle norme, soltanto alle norme, se non vi è un dato culturale forte ed un'assunzione forte di responsabilità rispetto ad una formazione e ad un'educazione? Certo uno si forma sui problemi della propria terra, stando nei consigli comunali, nei consigli provinciali. Ecco perché, signor Presidente, avevo proposto la sfiducia costruttiva per quanto riguarda il sindaco ed il presidente, per evitare che i consigli comunali e i consigli provinciali decadessero, proprio per salvare quello che era un patrimonio umano che noi dobbiamo certamente rispettare. Questi provvedimenti non lo rispettano. Non mi illudo che faccia una cosa diversa il codice delle autonomie, non credo che innoverà: nasce attraverso una griglia di trattative e soprattutto di impegni che si sono assunti fuori dalle istituzioni e fuori dall'aula.
Ecco perché avremmo preferito, certamente, un rigurgito forte di amore e di amor proprio verso noi e verso le istituzioni.
Come dicevo all'inizio del mio intervento - e concludo - andiamo verso la fiducia in modo scontato, perché ci siamo abituati a tutto. In questo Paese, ci siamo abituati agli incidenti stradali, alle truffe ed anche a questo: viene posta la questione di fiducia e facciamo i «siparietti» con il Ministro per i rapporti con il Parlamento che, oggi, ha affidato al Presidente della Camera l'intenzione di porre la questione di fiducia...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIO TASSONE. Concludo, signor Presidente, vi è un problema serio. Abbiamo presentato emendamenti con cui abbiamo anche proposto di dare alcuni milioni di euro in più ai comuni e alle province, ma vi è un dato vero ed importante: un impoverimento delle istituzioni di base, dove vi è la democrazia e si gioca il suo destino. Pag. 35
Di questo sono molto preoccupato e la preoccupazione di oggi si unisce alla speranza che, domani, vi saranno forze che avranno maggiore sensibilità, che svolgeranno un'azione diversa verso la democrazia e sapranno dare la giusta misura, il giusto contributo e la giusta dimensione di ciò che può fare chi opera e chi deve operare in libertà, senza alcun condizionamento a livello di periferia e di territorio (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti dell'istituto comprensivo «Amedeo D'Aosta» di Ottaviano, in provincia di Napoli, e del liceo sociopsicopedagogico «Scipione Staffa» di Trinitapoli, in provincia di Barletta-Andria-Trani, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Miglioli. Ne ha facoltà.

IVANO MIGLIOLI. Signor Presidente, rappresentante del Governo (non posso dire certo onorevoli colleghi, vista la presenza), siamo di fronte all'ennesimo decreto-legge (non ricordo il numero: in questi due anni, ve ne sono stati quaranta o quarantacinque) e all'ennesima questione di fiducia che il Governo ha posto poche ore fa (mi sembra che, in questi due anni, sia la ventottesima).
Decreti-legge e questioni di fiducia: ancora una volta, si umiliano e si ledono il ruolo e la funzione di quest'Assemblea e, in generale, della democrazia di questo Paese. Si pone la questione di fiducia e si convertono in legge decreti-legge per evitare di discutere nel merito i problemi. Con riferimento al provvedimento in oggetto, sembra che la questione di fiducia sia stata posta dal Governo anche per risolvere i problemi della maggioranza. Infatti, è evidente che, se fossimo venuti in Aula, se avessimo esaminato le proposte emendative e se avessimo discusso nel merito il provvedimento, probabilmente, avremmo trovato, anche fra i colleghi della maggioranza, opinioni diverse.
Pertanto, è stata posta un'altra questione di fiducia su un ulteriore decreto-legge concernente le autonomie locali, i comuni e gli enti locali. Ricordo che il provvedimento in oggetto fu, in parte, inserito nella legge finanziaria per il 2010: non si discusse in quest'Aula, ma si discusse parzialmente in Commissione e anche in quel caso venne posta la questione di fiducia. Ricordo, inoltre, che il decreto-legge in oggetto è figlio del fatto che, dodici giorni dopo quel provvedimento che regolava questa parte di materia nella legge finanziaria, si è ritenuto di realizzare un decreto-legge correttivo - quello che stiamo esaminando oggi - che apporta alcune modifiche a quanto era già previsto nella legge finanziaria. E ora siamo qui.
Affronterò solo una parte del provvedimento: mi riferisco a quella che riguarda le scelte operate nei confronti della montagna e degli istituti che vi operano, come le comunità montane e, quindi, di chi vive e opera in montagna.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, la legge finanziaria per il 2010, con le scelte operate dalla coppia composta, da una parte, dal Ministro Tremonti e, dall'altra parte, dal Ministro Calderoli, ha inferto un duro colpo a chi vive e lavora in montagna.
Ricordo che quando parliamo di montagna ci riferiamo ad oltre un terzo del nostro territorio, dove vive il 20 per cento della popolazione, la quale, come dicevo prima, vive e opera spesso in condizioni svantaggiate. Sappiamo come la nostra montagna sia soggetta ad un progressivo e, per alcuni versi, purtroppo inevitabile spopolamento.
Il «tandem» Tremonti-Calderoli dovrebbe conoscere la montagna: al Ministro dell'economia recentemente è stato assegnato (mi si dice, con merito) anche il diploma ad honorem di maestro di sci; quindi egli conosce la montagna. Tuttavia, come dicevo, il «tandem» ha inferto non uno, non due, ma tre colpi alla montagna, tre colpi duri.
Il primo colpo riguarda le risorse finanziarie. Nel 2009 le misure a sostegno della montagna prevedevano risorse complessive per 151 milioni di euro, di cui posso fornire i dettagli: 74 milioni di euro Pag. 36per contributi ordinari, 3 milioni di euro per il contributo della legge n. 296 del 2006, 20 milioni di euro di contributi consolidati, 37 milioni di euro per lo sviluppo di investimenti, e così via. Nel 2010 le risorse saranno pari a 88 milioni di euro. Nello specifico, il contributo ordinario passa da 75 a 11 milioni di euro. Sto citando - mi rivolgo al rappresentante del Governo e anche al relatore, che non mi ascolta - dati della Conferenza Stato-regioni, i quali sono stati resi pubblici con un comunicato della Conferenza stessa su questi temi il 25 febbraio: si tratta, dunque, di dati molto recenti.
Assistiamo, pertanto, ad un taglio netto delle risorse, pari a quasi il 50 per cento. E si tratta di un taglio, signor Presidente, che non colpisce gli amministratori o gli enti che operano in montagna. Mi permetto a questo proposito di svolgere una considerazione: pensiamo di affrontare il tema dei costi della politica - tema che pure è presente in questo Paese - e pensiamo di risolverlo cercando di diminuire gli spazi e le risorse per quanto riguarda i sindaci, i consiglieri comunali e le comunità montane dei piccoli comuni di questo nostro Paese.
Sa tanto di demagogico scaricare forse sull'anello più debole - appunto, le comunità montane - il tema dei costi della politica. Esiste un motto che dice: per colpa di qualcuno, non si fa credito a nessuno. Questo sembra il motto che ha adottato il Governo: via tutte le comunità montane, non solo quelle marine, o quelle inventate, che era e che è giusto cancellare, ma anche quelle vere, quelle che danno un po' di ossigeno ai piccoli comuni montani. Questi comuni, come dicevo all'inizio, spesso sono svuotati degli abitanti e rischiano di diventare, qualche volta, presepi sgretolati dal tempo. La scelta di spazzare via questi enti sembra un boccone di demagogia dato in pasto a chi cerca atti simbolici: il simbolo da colpire, per dare un segnale, mentre in realtà stiamo riducendo gli spazi di democrazia in questo Paese.
Il taglio delle risorse non opera soltanto sugli enti e sugli istituti che operano in montagna, ma - e questo è un dato vero - colpisce le famiglie e le imprese che operano in montagna. Per fare un esempio, la scorsa settimana, in occasione dell'esame del decreto-legge milleproroghe, abbiamo parlato delle accise per il GPL e il gasolio per le aree montane non metanizzate, quelle classificate nella cosiddetta zona climatica «E». Sapete cosa determina quel provvedimento, che non rinnova quell'agevolazione, quell'accisa, così come abbiamo fatto negli ultimi dieci anni? Determina un caro-bolletta pari a 150-200 euro l'anno per ogni famiglia e per ogni impresa agricola, la quale, in quella condizione, è già segnata.
Il secondo colpo inferto alla montagna è il «pasticcio» - lo chiamo così, ma forse dovrei usare un'altra parola - della definizione di «montanità» che era compresa nella legge finanziaria. Come dicevo, ho parlato di «pasticcio», ma essendo riferito alla parte di norma inclusa nel disegno di legge cosiddetto Calderoli è forse più opportuno parlare (prendendo a prestito una definizione coniata dallo stesso Calderoli) di qualcos'altro (la memoria va ad altre affermazioni date dallo stesso Calderoli dei suoi provvedimenti).
Come dicevo, mi riferisco a quella definizione di «montanità» inserita all'ultimo momento nella legge finanziaria e di cui non abbiamo mai potuto discutere in quest'Aula perché anche su quel provvedimento fu posta la questione di fiducia. Quella norma prevede che siano considerati montani i comuni in cui l'altezza del proprio territorio superi per almeno il 75 per cento i seicento metri. Di fatto, con questo principio il Governo ha compiuto un miracolo. Signor Presidente, relatore, rappresentante del Governo, comuni come Sestola (parlo della mia provincia), improvvisamente, grazie al duo Calderoli-Tremonti, diventavano pianeggianti e il monte Cimone e i suoi duemila metri non si trovavano più in montagna, ma in pianura. Ho parlato di Modena, ma in tutta l'Emilia dei 125 comuni montani ne rimanevano, a seguito di quella definizione, trentuno; in Toscana ne rimanevano 160 Pag. 37su 291, in Liguria nove su dieci e via discorrendo per il Lazio e le altre regioni.
Per settimane abbiamo denunciato, come Partito Democratico, il vostro «miracolo» e la nostra denuncia ha prodotto un effetto, un nuovo miracolo per effetto del quale, accogliendo parzialmente un emendamento in Commissione, è stato eliminato il criterio: il neomaestro di sci ha fatto uno slalom, un'inversione di pendio e via, il «miracolo» è stato cancellato e Sestola e Cimone sono tornati ad essere montagna. Tuttavia - va detto con chiarezza - ci sono tornati un po' più poveri dello scorso anno, perché è rimasto inalterato il taglio dei fondi. Mi spiego meglio: dall'anno scorso a quello attuale le risorse sono passate da 60 a 20 milioni. Con la prima versione del testo i 20 milioni venivano ripartiti su un numero ristretto di comuni - quelli, appunto, il cui territorio è per oltre il 75 per cento sopra i seicento metri - mentre adesso, grazie alla nostra battaglia e al nostro impegno, quel criterio è stato abbandonato, ma rimane il taglio delle risorse e quindi - faccio un esempio - i comuni della mia regione passano da 22 mila euro per comune all'anno a 6 mila. Eppure segniamo questo come un risultato positivo.
Il terzo e ultimo colpo della coppia Tremonti-Calderoli, questi sostenitori teorici del federalismo, è quello che hanno impresso all'autonomia dei comuni e delle regioni. Leggo, a questo proposito, quello che scrivono le regioni, tutte le regioni, nel documento che ho già citato del 25 febbraio: «Le regioni e le province autonome valutano non congrua la proposta emersa dalla Commissione e chiedono un incontro urgente con il Governo volto a fare chiarezza su iniziative che continuano a non tenere conto del sistema costituzionale delle competenze sull'istituzione di fondi con stanziamenti minimali e gestiti a livello centrale in modo del tutto anticostituzionale». Le stesse regioni ritengono necessario ribadire l'assoluta necessità di procedere ad una modernizzazione e revisione dell'attuale legislazione a favore dei territori di montagna, chiedendo un intervento volto a creare una normativa unica ed organica in materia che tenga anche conto della ripartizione delle competenze fra Stato, regioni e province autonome, alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione. Il non accoglimento di queste richieste determinerà, come è noto, dei ricorsi e ci sono regioni che lo hanno già anticipato.
Mi rivolgo al rappresentante del Governo e ai pochi colleghi presenti e vi chiedo se, come dichiarate in Commissione, nei territori e nelle repliche che pure vengono fatte in quest'Aula, avete a cuore la montagna e se pensate che chi vive in quei territori abbia bisogno non di assistenza, ma di un sostegno. Il giornalista Corona - che è un giornalista, ma fa anche altre cose - scrive in uno dei suoi libri che Venezia era una grande potenza di mare perché sapeva che la sua sopravvivenza dipendeva dalle acque che scendevano dalla montagna e per questo trattava la montagna con rispetto.
Paolo Rumiz in più occasioni ci ha ricordato che la montagna regola la pianura e che, se abbandonata o sfruttata male, alla fine a soffrire saranno tutti.
Signor Presidente, lo Stato ha il dovere di investire in un patrimonio quale quello della montagna e se investe 150 milioni per pagare i debiti di Catania o una parte del suo patrimonio per fare un prestito all'Alitalia, forse la montagna italiana con le sue storie e il suo vissuto, quello che ci hanno raccontato Mario Rigoni Stern, Corona (che ricordavo), Umberto Zanotti, merita qualcosa di più.
Il bosco, in un'area molto curata quale quella del Trentino, si è ripreso dal 1973 ad oggi 182 chilometri quadrati di pascoli, creati con fatica (perché in montagna si fa fatica) dai nostri nonni. Nelle altre parti del Paese non va meno peggio, anzi va molto peggio. È questo il destino che vogliamo determinare per la montagna? Ecco perché, pure non consentendoci di votare nel merito del provvedimento e potendo illustrare solo degli ordini del giorno o degli emendamenti, vi chiediamo di approvare almeno gli ordini del giorno.
Altrimenti, colleghi rappresentanti della maggioranza, non solo diremo - Pag. 38come abbiamo fatto la scorsa settimana a proposito del metano - che il Governo non ti dà una mano, ma diremo la verità, e cioè che il Governo non fa nulla per la montagna. Diremo, dunque, basta ai tagli e che c'è bisogno anche per la montagna di un vero federalismo che questo provvedimento non contiene (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, signori relatori, ci troviamo alla ventesima questione di fiducia. Altre sette volte ciò è accaduto al Senato: complessivamente tra i due rami del Parlamento la questione di fiducia è stata posta 27 volte. Questo pone due domande, una di carattere istituzionale e un'altra di carattere politico. La prima è: perché questo ricorso così sovente alla posizione della questione di fiducia? Probabilmente si è alterato il rapporto tra Governo e Parlamento rispetto ai dettami della Carta costituzionale.
Se questa osservazione fosse soltanto un punto di vista dell'opposizione, noi potremmo anche sorvolare. Ma quando ci troviamo di fronte a 20 questioni di fiducia in questa Camera, dove la maggioranza dispone di un margine di 70 deputati in più dell'opposizione, quindi con una maggioranza più che solida, allora non è un'opinione o una posizione politica strumentale dell'opposizione, ma si tratta di un dato di fatto.
Su questo si dovrebbe riflettere, ma certamente non può riflettere chi è convinto che il potere del Governo, a partire dal suo capo, derivi direttamente dal popolo. Infatti, avendo il popolo votato sulla scheda elettorale oltre al simbolo anche il Presidente del Consiglio indicato, è chiaro che non può avere che questa concezione di predominanza del Governo in quanto direttamente votato dal popolo rispetto al Parlamento che, pur essendo votato dal popolo, ha un rango inferiore.
Ciò è tanto vero che se oggi c'è un rapporto altrettanto deteriorato e deformato tra politica e giustizia, quindi tra il rappresentante del popolo, che è il Parlamento, e la giustizia, questo è dovuto al fatto che vi è una maggioranza, che incarna in qualche modo l'orientamento del Parlamento, la quale si ritiene, appunto, investita di un potere superiore rispetto alla tripartizione dei poteri previsti dalle democrazie liberali secondo la dottrina di Montesquieu.
Se c'è questo fondamentalismo istituzionale, quello che noi chiamiamo populismo, è chiaro che ogni discorso sul rispetto della Carta costituzionale diventa mera esercitazione accademica, non è più vissuto come un ideale, come un modo di concepire la nostra democrazia liberale, ma è soprattutto l'espressione di una concezione della democrazia, direi, illuministica, di tipo sudamericano, certamente non rientrante nella cultura, nella storia, nella tradizione delle democrazie europee, soprattutto dei Paesi neolatini.
Vi è poi un problema politico di maggioranza. Signor Presidente, erano stati presentati soltanto 137 emendamenti con riferimento a questo provvedimento; nella Conferenza dei presidenti di gruppo l'opposizione aveva assunto l'impegno a terminare i lavori entro domani a mezzogiorno, quindi non avrebbe alterato il calendario del percorso legislativo di questo provvedimento che stava a cuore al Governo. Anzi, c'era anche la volontà di ritirare, di ridimensionare gli emendamenti, qualora questo impegno fiduciario non avesse soddisfatto il Governo. Invece, è stata posta la questione di fiducia sulla conversione di questo decreto-legge n. 2 del 2010, che è il primo di quest'anno.
Perché? La domanda mi sembra abbastanza retorica: la maggioranza non avrebbe potuto garantire nemmeno sulla metà degli emendamenti un voto coerente con le aspettative del Governo.
Ciò significa che, a distanza di appena venti mesi, questa maggioranza sta andando in crisi e tale riflessione non deriva soltanto dalla lettura giornalistica che ogni giorno ci mostra divisioni all'interno della maggioranza, ma è anche una constatazione, oggi quasi una certificazione, per il Pag. 39fatto che la maggioranza è costretta a chiedere il voto di fiducia proprio per non dimostrare questa debolezza di compattezza. Anche qui non vi è soltanto un'opinione o una posizione strumentale dell'opposizione, ma è una descrizione dei fatti che non si può confondere, certamente, con l'opinione dell'opposizione.
Questo decreto-legge, che è stato approvato il 25 gennaio, scade il 27 marzo. I suoi obiettivi sono quelli una straordinaria necessità ed urgenza per trovare un assetto organizzativo degli enti locali, anzi direi degli enti territoriali, perché riguarda anche le regioni, quindi province e comuni, prima delle elezioni regionali del 2010, che si terranno il 28 e 29 marzo. Questi sono gli obiettivi, questa è la natura del provvedimento in esame.
Ebbene, io intendo stigmatizzare come tali obiettivi, in realtà, non esistano.
Ci troviamo, ad esempio, di fronte alla ridefinizione degli emolumenti dei consiglieri regionali prevista dall'articolo 3, ma con questa norma di dettaglio bisogna poi fare i conti con l'articolo 123 della Costituzione. In tale articolo si prevede l'autonomia regionale per l'organizzazione ed il funzionamento attraverso gli statuti, che rimettono, a loro volta, alle leggi regionali la determinazione delle indennità, ovvero degli emolumenti come descritti in questo decreto-legge.
Ci troviamo di fronte ad una ripetizione di straripamento dei poteri che aprirà un conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale e, tra qualche tempo, torneremo a discutere qui in Aula di questo intendimento del Governo.
Tra le altre cose, si sarebbe potuto ottenere ciò comunque, ma attraverso un'altra via, ovvero la classica via con la quale, in questo Parlamento e per giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, ormai ci mettiamo al riparo da ogni conflitto con il sistema regionale.
L'obiettivo di ridefinizione e in qualche modo di contenimento degli oneri di funzionamento relativamente ai consiglieri regionali è perseguibile attraverso l'articolo 119, secondo comma, che richiama i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario in capo allo Stato (quindi al Parlamento) e che vincola successivamente in rapporto agli obiettivi di finanza pubblica il comportamento e le decisioni del sistema regionale.
Invece si è voluta prendere una scorciatoia che non produrrà nessun effetto perché, in coincidenza con le elezioni regionali, questo Governo aveva bisogno di un po' di propaganda e di far vedere che i costi della politica vengono tagliati.
Inoltre, per far fronte a questo clima di incertezze da parte del popolo italiano sotto il profilo morale e nei confronti della classe governante - soprattutto di questo Governo per essere stato investito da più scandali con una cadenza impressionante in questi ultimi mesi - si aveva bisogno di mandare un messaggio di autocensura.
Per questa ragione relativa alle regioni l'urgenza non c'è, e non c'è nemmeno per gli enti locali. Il 28 e il 29 marzo votano 388 comuni sotto i 15 mila abitanti, 75 comuni al di sopra dei 15 mila abitanti di cui nove capoluoghi e quattro province. Votano, quindi, 463 enti locali.
Per questi enti locali che si rinnovano l'urgenza non vi era, perché il contenimento della spesa (uno degli obiettivi di questo decreto-legge) era già stato definito in sede di legge finanziaria per l'anno 2010 dai commi dal 182 al 186. Solo che la legge finanziaria limitava al triennio 2010-2012 il taglio della spesa pubblica, ovvero dei trasferimenti agli enti locali che, quindi, si sarebbero declinati con il rinnovo degli enti locali. Bisogna fare attenzione, in quanto stiamo parlando di 468 enti locali che si rinnovano su un totale di 8.200 enti locali, di cui 8.104 sono comuni. Quindi, ciò si sarebbe declinato soltanto per il rinnovo degli enti locali in cui si voterà il 28 e il 29 marzo e nell'arco di un triennio. Al contrario, che fa questo decreto-legge? Come vedremo meglio, applica le norme in modo permanente per il 2010 e gli anni seguenti. Quindi, questo decreto-legge sostanzialmente peggiora il quadro finanziario previsto dalla legge finanziaria 2010, però invoca l'urgenza, un'urgenza che quindi non esiste, perché gli effetti finanziari li avremmo conosciuti per tutti gli Pag. 40altri enti locali che non votano nel 2011 e nel 2012. Quindi, c'era tutto il tempo per un percorso legislativo ordinario.
Si dice che, però, per questi enti che si rinnovano, quindi molto limitati nel numero, nel 2010 bisognava mandare un messaggio, perché ci si trova nella stagione di approvazione dei bilanci. Chi fa l'amministratore sa bene che, proprio perché è stato prorogato tardivamente il termine di scadenza dei bilanci, entro il quale i comuni e gli enti locali avrebbero dovuto deliberare, molti enti locali hanno deliberato già prima del 31 dicembre 2009. Ma chi fa l'amministratore sa che, per qualunque variazione di carattere finanziario relativa ai trasferimenti o al contenimento della spesa pubblica, poiché nel ciclo economico così poco controllabile è possibile che anche in corso d'anno vi siano manovre correttive, l'ente effettua delle variazioni di bilancio. Le variazioni di bilancio in corso d'anno sono sempre possibili. Quindi, se ci fosse stata qualche discrasia tra le previsioni fatte con la legge finanziaria e i tagli reali di risparmio di spesa pubblica degli enti locali, si sarebbe potuto seguire un percorso legislativo tranquillo e sereno per ottenere lo stesso risultato.
Infatti, la legge finanziaria 2010 taglia pochissimo sul 2010, solo 13 milioni di euro, perché i tagli maggiori sono previsti nel 2011, con 91 milioni, e nel 2012, con 125 milioni, su un totale di 239 milioni nel triennio.
Ebbene, con questo decreto-legge, in cui si invoca l'urgenza, teoricamente andiamo ad incidere soltanto per 13 milioni di euro, come dire una manciata di soldi. Abbiamo messo in piedi tutto questo percorso, da fare velocemente, come se ci fossero destini di carattere finanziario insuperabili o molto devastanti se non si fosse approvato, quando invece la modestia delle cifre ridimensiona molto di più il problema.
L'unica variabile presente, che deriva dagli emendamenti dei relatori, è che vengono restituiti i 45 milioni per aumentare del 30 per cento le dotazioni dei comuni fino a cinquemila abitanti che abbiano un tasso di popolazione anziana superiore al 25 per cento e del 30 per cento, pari a 81 milioni, quelle dei comuni fino a cinquemila abitanti che abbiano un tasso di popolazione infantile sotto il 4,5 per cento della popolazione. Poi si dà una mancia di 42 milioni ai comuni al di sotto dei tremila abitanti.
Questo in qualche modo determina l'urgenza, ma se si tratta di un aumento dei trasferimenti, certamente non si sarebbe fatto alcun danno ai comuni se fosse stato seguito un percorso ordinario.
Sul Patto di stabilità interno, che era la vera questione che doveva essere affrontata in questo decreto-legge, perché c'è un'indagine conoscitiva da parte della V Commissione bilancio della Camera che sta facendo veramente venir fuori uno spaccato del sistema di sofferenza della finanza locale, che avrebbe meritato una maggiore attenzione, si interviene soltanto per escludere i finanziamenti dell'Unione europea.
Questo quando è aperto tutto un discorso che veramente dovrebbe far riflettere il Governo sulla rottura che si verifica; un Governo, attenzione, a trazione leghista, che degli enti locali e delle autonomie locali ha fatto una bandiera, tanto che si vanta di aver fatto il federalismo fiscale proprio per esaltare l'autonomia finanziaria degli enti locali. Poi la stessa Lega e gli stessi autonomisti con cui faranno la campagna elettorale sono quelli che intervengono con norme di dettaglio non soltanto su comuni e province, ma direttamente sulle regioni, che rappresentano un po' l'emblema di questa autonomia. Il comma 183 della legge finanziaria per il 2010 prevedeva la riduzione annuale nel triennio, in proporzione alla popolazione residente, del contributo ordinario in caso di rinnovo dei consigli. La modifica apportata con questo decreto-legge, invece, prevede che la riduzione si effettui a prescindere dal rinnovo e decorra dal 2010 per tutti gli anni futuri; quindi, una soluzione peggiorativa, che mortifica proprio l'autonomia degli enti locali.
Attenzione, per il 2011 e il 2012 la riduzione del contributo ordinario si ha Pag. 41solo in corso di rinnovo del consiglio. Qual è la conseguenza? Nei comuni che si rinnovano la riduzione sarà quella del 2010 più quella prevista per il 2011 e il 2012 e sarà addirittura permanente, a differenza dei tagli della legge finanziaria per il 2010, che, ripeto, erano solo triennali. Si nota inoltre una differenza - lo ha ricordato prima di me l'onorevole Tassone - tra la legge finanziaria per il 2010, il decreto-legge in discussione, il n. 2 del 2010 sugli enti locali, e l'atto Camera n. 3118 relativo alla Carta delle autonomie, approvata dal Consiglio dei ministri il 13 gennaio 2010, soltanto poco più di un mese fa.
Ebbene, ci siamo trovati di fronte ad una congerie di norme che modificava il numero dei consiglieri comunali, degli assessori e dei consiglieri provinciali e relativi assessori, con differenze tra quanto era previsto nel taglio della legge finanziaria per il 2010, quanto è previsto in questo decreto-legge e quello che il Governo ha approvato con la Carta delle autonomie, smentendo se stesso, perché il decreto-legge è stato approvato una settimana dopo che lo stesso Governo ha approvato la Carta delle autonomie. Una settimana prima, con la Carta delle autonomie, il Governo aveva detto che avrebbe tagliato un certo numero di consiglieri comunali, di assessori, di consiglieri provinciali e di assessori provinciali; poi, una settimana dopo, cambia idea e approva questo decreto-legge.
C'è una schizofrenia - tra l'altro, il decreto-legge è immediatamente applicabile - che ha messo in grande difficoltà il sistema delle autonomie. Attenzione, mentre il decreto-legge è immediatamente applicabile, la norma nella Carta delle autonomie sta seguendo tutto un percorso di concertazione con il sistema delle autonomie attraverso la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza unificata. Lì è aperto un dibattito che produrrà sicuramente significativi risultati, in attesa che poi vi sia il vaglio del Parlamento, che potrebbe addirittura rivedere, se si avesse la volontà politica da parte della maggioranza di adeguarsi a questa consultazione e a questo confronto, quello che oggi stiamo approvando.
Attenzione, quello che stiamo approvando, fra le altre cose, non ha il carattere dell'urgenza di cui si fregia questo provvedimento, perché gli effetti decorrono dal 2011, cioè dal prossimo anno, e non da questo rinnovo, per quanto riguarda, ripeto, la limitazione del numero; quindi, sostanzialmente, è una grida manzoniana, un atto di propaganda privo di costrutto. La riduzione del contributo ordinario si ottiene anche con il 20 per cento di riduzione dei consiglieri e il decreto-legge estende tale riduzione alle province, cosa che costituisce una novità. Le province sono state inserite successivamente, perché nella legge finanziaria per il 2010 le province non erano computate.
Vi è poi la riduzione degli assessori di un quarto, rispetto ai consiglieri comunali, e di un quinto, rispetto ai consiglieri provinciali, la soppressione del difensore civico, la soppressione delle circoscrizioni comunali, la soppressione del direttore generale: attenzione, qui addirittura lo si sopprime tout court, quando invece la Carta delle autonomie prevedeva che si sopprimesse soltanto per i comuni sotto i 65 mila abitanti.
Ma l'aberrazione del decreto-legge in esame, che segna appunto la dannosità dell'urgenza, è l'articolo 2, che prevede la ridefinizione entro il 30 novembre 2010 dei collegi provinciali a seguito della riduzione del 20 per cento dei consiglieri. Perché parlo di aberrazione? Attenzione, questa norma prevede che se le prefetture non adempiono a tale ridefinizione - perché scendendo del 20 per cento i consiglieri regionali, bisogna che scendano del 20 per cento anche i collegi -, il 20 per cento dei seggi che sono in più (perché se non si adempie, rimane inalterato l'attuale numero) non saranno assegnati, in base appunto al numero limitato che si introduce con questa norma. Avremmo quindi che i partiti, le forze politiche che si candideranno, potranno presentare candidati nel limite massimo di questa norma rispetto alle fasce di popolazione, ma i Pag. 42collegi su cui si voterà saranno il 20 per cento in più: molti cittadini non vedranno il proprio simbolo di riferimento per questa anomalia. Si tratta di un'aberrazione, per fare una cosa che non ha nessun senso, non ha nessuna incidenza sul rinnovo delle quattro province, che si terrà il 27 e il 28.
Tornando un momento sugli emolumenti ai consiglieri regionali, l'articolo 3 stabilisce che il complesso degli emolumenti - quindi, indennità di funzione, indennità di carica, la diaria e quant'altro - non può superare l'indennità parlamentare. È detto così, tecnicamente: non si precisa l'indennità del deputato o del senatore, che si sa, sono diverse. Quando si va ad applicare questa norma, qual è l'indennità di riferimento? Tutte le regioni, chiaramente, si metteranno certamente al passo dell'indennità di riferimento più favorevole. Ma attenzione: la legge Scelba n. 62 del 1953 demanda la fissazione delle indennità spettanti ai consiglieri regionali alle leggi regionali e ai rispettivi statuti, e la stessa Costituzione - ricordavo l'articolo 123 - prevede la stessa cosa!
La sentenza n. 157 del 2007 della Corte costituzionale ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge finanziaria per il 2006, che prevedeva la riduzione del 10 per cento delle indennità regionali in conseguenza dell'autoriduzione che avevano deciso Camera e Senato. Se la norma di dettaglio aveva vincolato le regioni e la Corte costituzionale ha rimosso tale vincolo, a maggior ragione quando adesso andremo a definire quest'altra norma di dettaglio vi sarà una coerenza della giurisprudenza costituzionale, che disapplicherà la nostra norma!
Ma vediamo i profili finanziari dell'articolo 4. La relazione tecnica afferma che non vi sono nuovi e maggiori oneri a carico del bilancio per l'attuazione del decreto-legge n. 2 del 2010. Noi in Commissione bilancio - lo ricorderà il collega Vannucci - non siamo riusciti a sapere qual è la «massa finanziaria» che si riduce con l'attuazione di tali provvedimenti; cioè noi finalizziamo il provvedimento al risparmio del costo della politica, ma non siamo riusciti a quantificare quanta parte di questo risparmio si realizzi.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

AMEDEO CICCANTI. Sostanzialmente, è un provvedimento al buio: lo approviamo con decreto-legge per favorire gli effetti finanziari, ma gli effetti finanziari non si conoscono; anzi, si conoscono quelli della legge finanziaria per il 2010, che noi abbiamo rivisto con il decreto-legge in esame, ma non abbiamo una relazione che ci dica nel dettaglio a quanto ammontano gli effetti finanziari.
Voglio soltanto dire che la vera questione è il contributo al comune di Roma. La Lega non ha voluto rischiare di misurarsi su questo terreno ricorrendo al voto di fiducia, e la norma è stata modificata più volte. La critica che io rivolgo, come membro del gruppo UdC, chiaramente per la mia parte, è relativa a questa schizofrenia legislativa. Manca una consultazione delle regioni e degli enti locali in sede di conferenza; sono state svolte audizioni, ma non c'è stata consultazione. Si confermano tutte le critiche che noi dell'UdC avevamo evidenziato già in sede di esame della legge finanziaria per l'estemporaneità di queste norme: attenzione, un conto è il costo della politica, un conto è il costo della democrazia e qui si taglia il costo della democrazia.
C'è una indeterminatezza nella revisione delle circoscrizioni elettorali, c'è una indeterminatezza sulla validità della norma che rivede le indennità dei consiglieri regionali, sulla disparità di trattamento degli enti locali per quanto riguarda la decorrenza dei tagli del contributo ordinario e tutte queste norme vanno in senso opposto rispetto al federalismo fiscale. La struttura delle entrate delle province non è manovrabile, manca una relazione tecnica che dimostri la riduzione di questo fondo ordinario. Non c'è un disegno logico nella modifica del Patto di stabilità interno, si taglia la rappresentanza democratica. Non c'è la norma sul Pag. 43comune di Bologna per il rinnovo delle elezioni. Per queste ragioni, Signor Presidente, noi esprimeremo in sede di voto di fiducia, come UdC chiaramente, un forte e ragionato dissenso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, francamente anche noi non ci aspettavamo la posizione della questione di fiducia su questo provvedimento, non ce la aspettavamo per la portata stessa del provvedimento e per il fatto che c'era tutta la possibilità di poterlo fare in tempi e in modi corretti. La posizione della questione di fiducia è fatta in momento storico e politico del tutto particolare che vede le forti frizioni all'interno della maggioranza e quindi la questione di fiducia è posta esclusivamente perché la maggioranza non abbia problemi, perché non si riflettano su questo emendamento le divisioni che invece riscontriamo forti nella maggioranza; questo va detto con forza, questa è una parola di verità. Siamo alla ventottesima fiducia, Presidente Bindi; in questo Parlamento il dibattito politico si è impegnato e continua ad impegnarsi costantemente su un presunto squilibrio fra i tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario e soprattutto tra quello politico e quello giudiziario, e non si preoccupa, invece, dello squilibrio vero e reale che c'è, tra il potere legislativo e il potere esecutivo. Questo è il tema principale ed il problema di questo Paese, che non permette una legislazione corretta. Noi ne abbiamo un esempio anche in questo provvedimento. Qual è la finalità o, quantomeno, quale era la finalità originaria di questo decreto-legge? Era quella di sistemare delle norme contenute nella finanziaria che facevano acqua da ogni parte. Mi riferisco all'articolo 1, cioè alle norme sulla riduzione degli eletti nei comuni, nelle province e adesso anche nelle regioni. Voglio riportare indietro nel tempo la memoria di quelle norme di quella finanziaria. I colleghi si ricorderanno cosa è successo, però è sempre bene ricordarle.
In questo Parlamento venne presentato un disegno di legge finanziaria assolutamente vuoto di contenuti, che arrivò dopo un forte dibattito al Senato e con grandi aspettative. Come ricorderete, al Senato era stata proposta addirittura, dall'interno della maggioranza, una finanziaria alternativa di 35 miliardi. Il senatore Baldassarri proponeva riduzioni dell'IRAP - tra l'altro confermate dal Presidente del Consiglio in un famoso intervento ad un congresso della CNA - e cedolari secche, il sottosegretario Vegas obiettava che invece occorreva agire sull'IRPEF per sgravare le famiglie: insomma, grandi attese, ma poi in questo ramo del Parlamento vinse la teoria del Ministro Tremonti, in base alla quale rispetto a questa crisi non possiamo fare niente, non dobbiamo muoverci, la linea dell'inazione per cui non dobbiamo assolutamente agire!
Di cosa aveva allora bisogno il Governo per uscire da quell'impasse? Aveva bisogno di una grande operazione propagandistica, di una grande operazione mediatica. E chi l'ha trovata? L'ha trovata, in una notte, il Ministro Calderoli che ha detto: ma in questa finanziaria non c'è niente, cosa ci possiamo mettere? Facciamo un po' di propaganda, mettiamoci dentro queste misure, così il Corriere della Sera ed altri giornali titoleranno che il Governo taglia 35 mila poltrone (non so quante fossero o in quanto saranno stimate).
Si parlò così di tagli dei consiglieri comunali, delle poltrone, ma in realtà si trattava, signor Presidente, di tagli di sgabelli, non esattamente di poltrone, e in una logica del tutto sbagliata perché nel momento in cui - lo hanno ricordato i colleghi - avevamo già approvato la legge n. 42 del 2009 in materia di federalismo fiscale e ci accingevamo a discutere il codice delle autonomie locali, intervenire così pesantemente su compiti e funzioni degli enti locali era, è e rimane, dal punto di vista del metodo, assolutamente sbagliato.
Nel merito si può discutere e potremmo ragionare. Ad esempio, noi privilegiamo ed avremmo privilegiato una via maestra, Pag. 44quella cioè dei vincoli di bilancio. Avremmo preferito dire ai comuni, alle province ed alle regioni: voi per le spese del funzionamento istituzionale non potete superare più di una determinata percentuale del vostro bilancio (l'1, l'1,5 o il 2 per cento), ma poi potete autodeterminare voi gli organi, le istituzioni, le gestioni. Ma, signor Presidente, che senso ha dire ad un piccolo comune di 2-3 mila abitanti che il suo consiglio non può superare i nove consiglieri o la sua giunta non può essere composta da più di tre assessori? Se avessimo detto a quel comune che non poteva spendere più di 3 o 5 mila euro l'anno per le sue funzioni istituzionali, può darsi che quel comune si sarebbe organizzato con un consiglio di quindici persone e una giunta di cinque persone, e magari avrebbe potuto prevedere anche incarichi senza alcun compenso.
Così facendo invece, mortifichiamo la volontà di partecipazione dei cittadini e la possibilità di far crescere il senso civico: compiamo cioè un'operazione sbagliata nel momento in cui, rispetto alla politica, si registra una grande diffidenza. Perché dover disciplinare per forza tutto da qui? Noi dobbiamo stabilire indirizzi, limiti e confini dentro i quali gli enti locali si debbono mantenere: questo è il vero principio federale!
Voi però avevate bisogno di questa grande operazione mediatica e l'avete individuata in questo modo, ma - ripeto - avete intaccato degli sgabelli perché nel momento stesso in cui lo facevate eliminavate, ad esempio, le norme che noi avevamo introdotto per fissare i tetti agli stipendi dei manager, e nel «milleproroghe» siete tornati anche sulle direzioni generali, sulla cura Brunetta!
Dobbiamo andare piuttosto a vedere dove si trovano gli sprechi e gli eccessi, dove stanno le caste e le corporazioni! Giorni fa ho letto su un giornale l'intervista ad un servitore dello Stato sotto inchiesta, un dipendente dello Stato, che affermava candidamente al giornale o nei suoi interrogatori: ma che bisogno avevo di farmi corrompere o di rubare, io che ho un reddito di 2 milioni e mezzo di euro l'anno?
Sono 5 miliardi delle vecchie lire ogni anno! Questo è stato candidamente dichiarato da un dipendente, un funzionario. Allora, con 2,5 miliardi l'anno, rispetto alle poltrone dei consiglieri comunali, che prendono 20 euro a seduta (sedute che si tengono circa 10 volte l'anno, non so quante siano), potremmo estendere la partecipazione in maniera vastissima. Questa è la filosofia di fondo. Voi dovete correggere norme scritte in una notte, sbagliando, solo per fare un'operazione propagandistica. Oggi capite che sono sbagliate, che è stato sbagliato il senso, il modo, i termini, e non potendo tornare indietro, le correggete e le modificate. Sarebbe stato meglio discuterne all'interno del quadro più generale del Codice delle autonomie.
Signor Presidente, su questo provvedimento, mi sono impegnato soprattutto sull'argomento delle comunità montane e dei piccoli comuni. Su questo tema voglio fare una premessa: la mia convinzione personale è che l'Italia sia percepita dai cittadini come l'Italia dei comuni. Storicamente i cittadini si sentono legati, prima che alla loro provincia e alla loro regione, al loro comune, alla loro regione storica, alla loro vallata. Questa è l'ossatura di questo Paese, degli 8 mila comuni italiani, che non possiamo mettere in discussione. Questo è il vero collante che tiene insieme questo Paese, è il punto di riferimento dei cittadini, e lo dicono tutti i sondaggi e le indagini che possiamo realizzare.
Partendo da questo presupposto, possiamo e dobbiamo riordinare il nostro Paese. Bene fa il Codice delle autonomie a prevedere di ripartire i compiti tra comuni, province e regioni e a stabilire che i piccoli comuni, obbligatoriamente, debbano esercitare insieme oltre i due terzi delle ventuno funzioni dei comuni, lasciando ai piccoli comuni il municipio, il gonfalone e la rappresentanza. Obbligarli a lavorare insieme su tutta l'attività amministrativa, dall'anagrafe all'ufficio tecnico, è giusto. Pag. 45
Il Codice della autonomie, quindi, disegna una nuova mappa, un nuovo modo di essere degli enti locali. Però, nel momento in cui lo facciamo, sottosegretario Brancher, lei che segue direttamente le riforme, dobbiamo essere molto attenti. Anche questo intervento non dovrà essere basato solo sulla spontaneità o sui rapporti di simpatia tra i comuni. Credo che le regioni debbano essere delegate a realizzare una mappa delle aree ottimali in cui i comuni possano aggregarsi affinché i cittadini abbiano una risposta. Nel momento in cui le regioni faranno questa mappa, decideranno anche se quei comuni debbano organizzarsi in unione dei comuni o, ad esempio, in comunità montane, dato che queste esistono e sono istituite da una legge dello Stato che non è stata abrogata; è un modo di organizzazione.
Con la legge finanziaria abbiamo semplicemente previsto che delle comunità montane non se ne occupa lo Stato, ma le regioni. Nel momento in cui le regioni articoleranno la propria rappresentanza degli enti locali, decideranno, laddove vi siano le caratteristiche, che lo strumento più giusto sia la comunità montana, e negli altri luoghi che siano l'unione dei comuni o i consorzi, ossia i vari strumenti previsti dalla nostra legislazione.
Partendo da questa premessa, voglio fortemente criticare questo provvedimento, con il quale non siamo riusciti a modificare questa norma sbagliata della legge finanziaria. Con la legge finanzia avevamo detto: lo Stato smette, da questo momento, di occuparsi delle comunità montane.
Si è stimata la cifra e si è anche scontata: da questo punto di vista lo Stato risparmierà 50 milioni di euro; di questi, il 30 per cento sarà versato ai comuni con un indice di montanità «x» (come è stato ricordato qui dall'onorevole Miglioli) in questo provvedimento e grazie alla nostra azione ora si dice semplicemente che il 30 per cento verrà distribuito ai comuni facenti parte delle comunità montane.
Non dimentichiamo che dopo la forte azione del Governo Prodi, le regioni hanno ridisegnato in Italia (l'onorevole Agostini lo sa benissimo, perché la regione Marche è una delle prime regioni ad avere fatto tale operazione) le comunità montane. Quindi il 30 per cento dei 50 milioni andrà ai comuni dopo questo provvedimento.
Rimane un fatto, sottosegretario Brancher: noi abbiamo istituito le comunità montane negli anni Settanta con una legge dello Stato, non dicendo ai comuni che avevano facoltà di associarsi nelle comunità montane, ma istituendo le comunità montane come enti sovracomunali obbligatori (un comune non può dire: non partecipo alla comunità montana).
Dopodiché, presidente Marinello, se ha la cortesia non di ascoltarmi ma di non disturbarmi...

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. La sto ascoltando.

MASSIMO VANNUCCI. Noi istituiamo come obbligatorio l'ente sovracomunale e poi quest'anno, con la vostra norma, diciamo che lo Stato non se ne occupa più. Cosa succede? Le comunità montane vivono di finanza derivata, cioè non hanno tributi propri, non possono sviluppare azioni proprie. Possiamo commissariarle, ma le stesse non possono dichiarare il dissesto finanziario ed applicare le norme previste per i comuni in dissesto finanziario. Noi decretiamo il fallimento tout court delle comunità montane. Sottosegretario Brancher, le ricordo che le comunità montane in Italia hanno 5 mila dipendenti che noi abbiamo autorizzato ad assumere, e le ricordo anche che le comunità montane negli anni hanno contratto mutui che devono continuare a pagare.
Allora, perché è sbagliato? Non è sbagliato il fatto che siano le regioni ad occuparsi di tali enti. È sbagliato il fatto di non prevedere una fase transitoria in cui Stato, regioni e comuni si fanno carico di superare tale fase, perché altrimenti noi creiamo contenzioso, dovremo tornarci sopra, prevedere dei finanziamenti, intraprendere delle azioni, e nel frattempo le comunità montane non produrranno, perché cercheranno solo di chiudere, di tappare i buchi, quindi non risponderanno alle esigenze del loro territorio. Pag. 46
Su questo aspetto, signor Presidente, ho proposto un ordine del giorno specifico che riprende i temi che la Conferenza delle regioni e delle province autonome ci ha proposto. Le regioni sono venute in audizione su questo provvedimento ponendoci solo un tema, esattamente quello che io le ho proposto. Nell'ordine del giorno che ho già presentato non chiedo altro se non che ci si faccia carico di questo, che sia convocato subito un incontro, un tavolo istituzionale tra Governo, regioni ed enti locali, per dare una corretta interpretazione delle norme. Nei 50 milioni di euro che cosa è ricompreso? Solo il fondo ordinario o anche il fondo investimenti? Sarebbe assurdo che ci fosse il fondo investimenti, perché ci sono impegni pregressi, mutui ventennali o trentennali che sono stati assunti.
Chi si occupa della tutela dei dipendenti? Vuol dire dividere tra i soggetti Stato, regione ed enti locali gli oneri finanziari che derivano da questa materia. Chiedo anche che una buona volta Stato, regioni ed enti locali definiscano insieme una politica a favore della montagna e dei territori montani.
So che con un ordine del giorno non risolviamo tutti i problemi, ma credo che già la volontà di mettersi attorno ad un tavolo possa essere importante.
Assieme al mio gruppo, con qualche soddisfazione (e sono voluto intervenire nel dibattito), siamo riusciti a scongiurare, relatore Calderisi, una scelta pericolosissima.
Ci sono stati proposti in questo provvedimento, nel corso della conversione, non all'inizio al momento dell'emanazione del provvedimento, casi specifici di comuni italiani. Siete specializzati nel risolvere i casi specifici. In questi due anni abbiamo sempre parlato di Roma capitale e non riuscite a venirne fuori e a trovare una soluzione nemmeno con questo provvedimento. Poi abbiamo parlato di Catania - giusto, onorevole Tassone? - e poi di Palermo e di qualcun altro comune. Questa è la volta di Brescia e di altri comuni.
Ebbene, per intervenire su questo comune in modo opportuno, perché era corretto intervenire e dargli la possibilità che chiedevano di usare per la loro politica amministrativa le risorse che avevano derivanti dall'alienazione di azioni, cosa si faceva per coprire queste risorse? Si tagliava, Presidente Bindi, di 42 milioni un fondo a favore dei comuni al di sotto dei 3 mila abitanti. C'è un bigliettino di una vecchia calcolatrice: 42 milioni che vengono divisi tra i comuni al di sotto dei 3 mila abitanti non in proporzione agli abitanti, ma in quote eguali tra tutti.
Il Ministero dell'interno aveva già comunicato l'assegnazione di questo fondo ai comuni che stanno redigendo e approvando i propri bilanci. È l'unico fondo che gli rimane per poter fare qualche investimento! Parliamo di comuni sotto i 3 mila abitanti: 42 milioni, ossia 22.532 euro a comune; la ripartizione interessa 1.864 comuni. Per risolvere il problema di un comune si tagliavano fondi a 1.864 comuni: fondi vitali!
Vi parlo di cifre che qui in quest'Aula possono essere ridicole: 22.532 euro. Ma vi garantisco che per un piccolo comune sono essenziali per fare un minimo di manutenzione, per portare qualche camion di ghiaia nelle strade comunali. Siamo riusciti a togliere questa previsione, ma non siamo riusciti a togliere tutto e per questo sono molto preoccupato da questo provvedimento.
Quella misura di cui vi ho parlato (e che riguarda uno, due o tre comuni) è esattamente il comma 4-septies, lettera a), che è stimato nella relazione tecnica che la Ragioneria ci ha inviato per 50 milioni. Tale norma fa riferimento al Fondo ordinario di cui all'articolo 34, riguardante l'IRPEF, che avevamo previsto al comma 703 della legge finanziaria 2007. Che cosa disponevamo con questa norma? Con questa norma destinavamo fondi per 45 milioni ai comuni al di sotto dei 5 mila abitanti nei quali vi fosse un rapporto tra la popolazione complessiva e la popolazione anziana ultrasessantacinquenne superiore al 25 per cento; 81 milioni ai comuni che invece avevano bambini in una percentuale superiore al 4,5 per cento Pag. 47- abbiamo modificato queste percentuali in corso d'opera - e l'altro di cui vi ho parlato.
Con le modifiche apportate nel corso degli anni beneficiano di tali fondi 3.700 comuni sugli oltre 5 mila comuni italiani. Quindi, è una norma che si spalma benissimo. Tra i comuni al di sotto dei 5 mila abitanti vi sono anche comuni ricchi. Non so se può esserci anche un comune montano o turistico. Questa misura andava, invece, ai comuni con un indice di invecchiamento alto e laddove il comune doveva rispondere ad una domanda che, al contrario, veniva dalla giovane popolazione.
Ebbene, questa norma di 51 milioni incide su questo Fondo. Sono convinto che non basterà questo fondo per corrispondere i 45 milioni per gli anziani, gli 81 milioni per i bambini e ancora i 42 milioni per i comuni. Ma c'è una furbizia. Ci torneremo sopra, ma io ho in atto un confronto con il Ministro Calderoli: mi dispiace che non sia presente, ma abbiamo fatto su questo una scommessa. Quest'anno infatti abbiamo novellato con la legge finanziaria il citato comma 703: nel momento in cui con un comma dicevamo che lo Stato non pensa più alle comunità montane, con un altro comma, il comma 23 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 modifichiamo quanto previsto dal comma 703 della legge finanziaria 2007.
Quindi tornano i 45, gli 81, i 42 ed i 20 milioni che in questo comma erano previsti per le comunità montane. Quindi c'erano, onorevole Calderisi. L'onorevole Calderoli dice che questi non c'erano più e che non abbiamo tolto niente: no! La furbizia è stata fatta nell'inserire i 50 milioni in questo fondo, nel non prevedere alla lettera d) i 20 milioni alle comunità montane e quindi nell'intaccare sostanzialmente il fondo per i piccoli comuni. Abbiamo escluso l'attacco diretto ai 42 milioni, ma non siamo convinti di avere escluso questo.
Allora, mi rivolgo ai colleghi della Lega che non ci sono: cosa andranno a dire nelle loro valli a questi piccoli comuni che vengono taglieggiati? Cosa andranno a dire per la soluzione data alle comunità montane, senza prevederne i tempi e i modi di una corretta transizione?
Questi sono i temi sui quali sono intervenuto con i miei emendamenti e sui quali ancora attraverso gli ordini del giorno cercheremo di indirizzare le politiche e le azioni del Governo. Tuttavia, signor Presidente, il provvedimento in esame ci consegna anche un tema più generale, che è quello che noi, sottosegretario Brancher, dobbiamo mettere al centro delle azioni del nostro Paese, non dico del nostro Governo: è tempo che il nostro Paese pensi a rivedere e a ridisegnare un po' lo sviluppo.
Come tanti altri Paesi europei, l'Italia è cresciuta prima nell'Ottocento lungo gli assi ferroviari e poi lungo gli assi autostradali. Ciò ha prodotto, presidente Marinello, una notevole antropizzazione delle nostre città: gli abitanti si sono concentrati nelle grandi città. Ciò crea scompensi sulla qualità della vita, crea anche costi di spostamenti e di trasporti. Nello stesso tempo molte aree interne si sono spopolate. Dopodiché, quando legiferiamo, parametriamo le disposizioni al numero di abitanti. Allora, molto spesso ci troviamo a non giustificare la presenza di servizi in queste aree perché non vi è sufficiente popolazione, dal momento che stabiliamo parametri uguali dalla Lombardia fino a Sciacca. Così facendo, inneschiamo un circolo vizioso per il quale non possiamo garantire i servizi perché non vi è popolazione e la popolazione non vi è perché non vi sono servizi.
Questo circolo vizioso, questo gatto che si morde la coda noi dobbiamo affrontarlo. Lo stanno facendo, sottosegretario Brancher, molti Paesi europei. Adesso le dico una cosa che forse la impaurirà: bisognerebbe affrontare il tema della corretta distribuzione della popolazione nel territorio. Lei mi dirà che penso a Pol-Pot, che voleva portare via la gente dalle città e portarla in campagna. No: è la corretta distribuzione della popolazione nel territorio, perché serve a salvaguardare il territorio e ad incentivare la residenza nelle Pag. 48aree marginali e spopolate. Se vi era gente prima, vi può stare gente anche adesso, però dobbiamo far sì che le nuove autostrade non passino sempre lungo quelle linee. Mi riferisco alla banda larga, per le quali siete ancora una volta bloccati. E dobbiamo incentivare in qualche modo la residenzialità, l'apertura di attività, il fatto di poter vivere in questi territori. Spenderemo meno nel momento in cui dovremo discutere, purtroppo, delle catastrofi che derivano da una mancata salvaguardia e presidio del territorio.
Allora, le voglio proporre una cosa, perché lei è il sottosegretario alle riforme: noi abbiamo in questi giorni la discussione sulla strategia europea 2010-2020. Credo che l'Italia debba porre con forza questo tema - lo ha già fatto la Francia, lo ha già fatto la Spagna e lo ha già fatto la Danimarca - perché incide sulla qualità della vita, incide anche sui nostri bilanci, perché vi siano politiche europee, politiche di bilancio e scelte legislative che vadano in questa direzione, affinché il 2010-2020 possa essere il decennio dell'equilibrio, di una ricerca dell'equilibrio, di una controtendenza rispetto allo sviluppo che in questi anni si è registrato.
Purtroppo, però, questa possibilità di discutere, anche approfonditamente, degli indirizzi da dare al nostro Paese e alle politiche, in quest'Aula, non esiste.
Ci auguriamo che, a seguito del dibattito che svolgeremo sulla crisi economica, vi rendiate conto che ciò che è stato fatto e che state facendo ci porta sempre più lontano. Abbiamo dati sconvolgenti sulla crisi economica.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, il potere d'acquisto delle nostre famiglie - ho concluso - è al ventisettesimo posto nel mondo. Le ricordo che l'Italia ancora siede nel G8 e che, quindi, il potere d'acquisto delle nostre famiglie dovrebbe essere ben più alto. Purtroppo, non si riesce ad affrontare questi temi ed anche i provvedimenti che approviamo, anziché andare in questa direzione, vanno in senso contrario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, il decreto-legge al nostro esame, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, ripropone al nostro interesse il tema delle innovazioni istituzionali. Si tratta di un tema importante che dovrebbe, o avrebbe dovuto, appassionare quest'Assemblea, così come dovrebbero interessare a quest'Assemblea i temi del decentramento autonomista, del federalismo, della stabilità, della governabilità, della rappresentanza e della decisione politica. Questi temi, in effetti, negli ultimi venticinque anni, hanno appassionato schiere di costituzionalisti e dato vita anche ad un intenso dibattito politico e dottrinario nel nostro Paese. Eppure, l'argomento in oggetto, riproposto sia pure in pillole dal Governo e dalla maggioranza, non appassiona noi, che rappresentiamo il Paese.
Perché questi temi, che sono importanti, non ci appassionano? Evidentemente, perché sono posti male alla nostra attenzione e il Governo ci costringe ad affrontarli nel modo sbagliato. Si tenta, infatti, di intervenire sull'assetto amministrativo ed organizzativo delle amministrazioni locali, ma lo si fa, esclusivamente, nella logica del contenimento delle spese connesse al funzionamento delle amministrazioni locali.
Nonostante il tentativo dei relatori, del Governo e dei colleghi della maggioranza di mettere in luce gli aspetti costruttivi delle proposte, che sono state oggetto anche di profonde discussioni nelle Commissioni di merito, quest'oggi, ancora un volta, siamo costretti a cogliere e ad evidenziare uno degli aspetti maggiormente controversi che il nostro gruppo e le opposizioni - un po' tutta l'opposizione - hanno messo in risalto in questi mesi e in questi giorni. Mi riferisco, innanzitutto, all'aspetto più contraddittorio, che consiste nella non urgenza di alcuni provvedimenti. Pag. 49Si tratta, cioè, di questioni che non dovrebbero essere affrontate con l'urgenza di dover approvare il provvedimento in pochi giorni, perché deve essere convertito in legge dai due rami del Parlamento nei sessanta giorni previsti.
Avremmo sostenuto molto volentieri interventi per gli enti locali e per le regioni, ma avremmo voluto farlo all'interno di un quadro generale che consentisse a noi tutti di condividere un percorso comprensibile. Ma così, ancora una volta, non è stato.
Ormai in questi due anni di legislatura ci siamo trovati più volte - almeno per quanto riguarda le occasioni in cui abbiamo approvato provvedimenti con il ricorso alla posizione della questione di fiducia - di fronte al fatto che una Camera ha discusso il provvedimento e l'altra lo ha soltanto ratificato. Ancora una volta il copione si ripete: ci troviamo, infatti, dinanzi non soltanto all'ennesimo decreto-legge (siamo al cinquantaseiesimo decreto-legge in questa legislatura), ma all'ennesima fiducia a cui questo Governo ricorre, finendo per azzerare il ruolo del Parlamento, depotenziandolo e impedendogli di svolgere con responsabilità e coerenza i propri compiti e le proprie funzioni.
È chiara ormai a tutti l'arrogante forzatura delle regole fondamentali della democrazia operata da questa maggioranza, la quale si muove come se non dovesse rendere conto a nessuno. Vorrei, inoltre, ricordare - come hanno fatto i miei colleghi dell'Unione di Centro - che negli ultimi mesi il Governo ha affrontato la questione dell'ordinamento degli enti locali in quattro modi, uno diverso dall'altro: con alcune norme della legge finanziaria, con altre disposizioni (quelle contenute nella proposta sulla Carta delle autonomie) e con altre norme previste nella versione originale di questo provvedimento urgente. Pertanto, nell'arco di pochi mesi, vi sono stati - considerando naturalmente anche la proposta oggi al nostro esame - quattro diversi pacchetti di intervento, che si sono sovrapposti tra loro, che sono proceduti a strappi, a singhiozzo, qualche volta davvero in modo schizofrenico.
Qualsiasi ragionamento, signor Presidente, sul complessivo riassetto del sistema degli enti locali, non può prescindere da una considerazione che a me sembra preliminare e ovvia: da un lato, occorre intervenire per la necessità di procedere ad un adeguamento al nuovo Titolo V, parte seconda, della Costituzione, nonché ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, affinché sia consentito attrarre ai livelli superiori dell'amministrazione principalmente quelle funzioni che presentino esigenze di esercizio unitario; dall'altro lato, però, bisogna fare tutto questo in maniera organica, puntuale e attenta, in virtù della presenza di molti fattori tra loro intimamente connessi.
Tra questi fattori, va indubbiamente menzionata l'ormai consolidata tendenza dei Governi centrali a recuperare risorse finanziarie attraverso la razionalizzazione del sistema dei soggetti che costituiscono il governo locale, nonché la riorganizzazione e l'evoluzione del regime di reperimento e ripartizione delle risorse, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e soprattutto alla luce della legge n. 42 del 2009, recante la delega al Governo in materia di federalismo fiscale, che ha richiamato la necessità di procedere contestualmente anche all'adozione di profonde ed efficaci riforme istituzionali.
Signor Presidente, in quell'occasione - lo voglio ricordare - il nostro gruppo, ma anche tutte le opposizioni, ribadirono con convinzione e anche con responsabilità che non si poteva approvare il provvedimento sul federalismo fiscale senza porre in essere e approvare contemporaneamente il Codice delle autonomie (codice che il Governo, se pure in ritardo, ha presentato in questi giorni). Ebbene, nonostante ciò, ci troviamo oggi dinanzi ad una serie di provvedimenti riguardanti la medesima materia, ma che recano contestualmente disposizioni tra loro in gran parte disomogenee e divergenti.
Ritengo che sia da stigmatizzare la metodologia di intervento utilizzata di nuovo dal Governo che, per l'ennesima volta, si concretizza in una disciplina Pag. 50frammentata e in una procedura priva di un confronto preliminare con le autonomie locali, soprattutto per orientare le scelte e per non avanzare sempre ulteriori recriminazioni lungo il percorso successivo alle leggi approvate. Oggi ci stiamo occupando di modifiche che devono intervenire sulla legge finanziaria approvata da questo Parlamento appena due mesi fa.
Siamo in presenza, dunque, di una legislazione occasionale, casuale per così dire, e scoordinata. In questo provvedimento manca una serie di indicazioni concrete e di sistema per affrontare in modo coerente i temi degli enti locali al fine di ridisegnare anche una proposta diversa di Paese, a partire dagli enti locali e dai comuni minori. Tutto ciò evidenzia che sarebbe opportuno, al contrario, definire una disciplina organica e coerente della materia. Avremmo dovuto esaminare, in primo luogo, il Codice delle autonomie, l'atto Camera n. 3118, che reca disposizioni analoghe, ma in una cornice complessiva e in un quadro di sistema.
Sul merito del provvedimento, occorre rilevare come le disposizioni recate dai commi che vanno dal 183 al 186 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2010, che erano state accompagnate allora da una dichiarazione di particolare urgenza da parte della maggioranza, si siano poi rivelate incomplete e indeterminate, a dimostrazione della estemporaneità e della demagogia con cui troppo spesso si procede. Sarebbe stato in ogni caso necessario programmare in maniera organica le diminuzioni di spesa da prevedere.
Inoltre, la riduzione del numero dei componenti degli organi di rappresentanza locale è stata una delle ragioni per cui si è deciso di ridurre l'entità dei trasferimenti in favore degli enti locali e tuttavia, mentre la riduzione della spesa si applica solo al triennio di riferimento, il decremento del numero dei componenti dei suddetti organi costituisce una misura a carattere permanente. Dunque, il decreto-legge in esame stabilisce una riduzione delle risorse per il 2010 a prescindere dal decremento del numero dei componenti degli organi in questione, aggiungendo un'ulteriore riduzione per i comuni e le province in cui sono previste elezioni negli anni 2011 e 2012, dando luogo ad una evidente disparità di trattamento tra enti locali.
Il gruppo dell'Unione di Centro in diverse sedi, ma soprattutto nelle Commissioni di merito, ha assunto una posizione trasparente dando dimostrazione, ancora una volta, di grande responsabilità, evidenziando fin da subito gli aspetti di maggiore criticità presenti nel provvedimento al nostro esame e formulando proposte emendative dirette a correggerlo, proposte che purtroppo non verranno discusse da quest'Assemblea e dal Parlamento, avendo il Governo deciso di porre ancora una volta la questione di fiducia.
In primo luogo, gli emendamenti riguardavano le soluzioni a sostegno dei comuni. Al momento, infatti, restano senza soluzione i problemi legati al Patto di stabilità interno. Credo che l'ANCI e l'UPI ve lo abbiano segnalato più volte, chiedendo una revisione affinché vi fosse un allentamento dei vincoli ormai insopportabili per i comuni, soprattutto per quelli più vistosi.
Va sottolineato un aspetto: in questi anni si è prodotta una progressiva e costante riduzione dell'autonomia finanziaria degli enti locali. Insistono ancora alcune criticità sul fronte di alcune compensazioni, come nel caso dell'ICI o del reintegro del taglio di una serie di trasferimenti erariali.
In riferimento al Patto di stabilità, oltre all'auspicabile riduzione dell'obiettivo assegnato ai comuni, abbiamo chiesto lo sblocco limitato dell'utilizzo dei residui passivi per consentire ai comuni di fare almeno qualche investimento importante e mirato all'interno delle proprie realtà. Nello specifico i nostri emendamenti erano finalizzati a prevedere di ampliare le entrate straordinarie da escludere dal saldo con tutte le fattispecie stabilite dall'abrogato comma 8 dell'articolo 77-bis del decreto-legge n. 112 del 2008.
La norma, così come posta, fa sì che la riduzione interessi pochissimi enti, perché le condizioni di applicazione delle disposizioni Pag. 51in questione rappresentano comportamenti residuali per gli enti soggetti a patto di stabilità. Inoltre, la retroattività della norma cambia l'obiettivo programmatico e, quindi, riduce la manovra anche per il passato consentendo a posteriori il rispetto del Patto di stabilità interno per il 2009. Poiché i limiti imposti dal Patto di stabilità interno non consentono il pagamento da parte dei comuni delle opere infrastrutturali già avviate sul territorio, al fine di consentire lo sviluppo del territorio e il completamento delle opere, si è resa necessaria la predisposizione di una proposta emendativa che escludesse dal saldo rilevante ai fini del rispetto del Patto di stabilità un importo fino al 15 per cento dell'ammontare del fondo di cassa oppure del 4 per cento dei residui passivi in conto capitale risultante al 31 dicembre 2008.
Un ulteriore pacchetto di emendamenti da me presentati è stato poi diretto a migliorare il testo del decreto-legge tentando di incidere significativamente all'articolo 1. Nello specifico, operando attraverso la soppressione dei commi 184, 185, 186 introdotti nella scorsa legge finanziaria e al contempo prevedendo la soppressione dell'articolo 1 si voleva contribuire ad eliminare le diverse discrasie che questo sistema frenetico e irrazionale di operare ha introdotto.
Non si capisce, infatti, per quale motivo il testo prevede la riduzione del numero dei componenti delle giunte a partire dall'anno 2010 non contestualmente alla riduzione dei componenti di organi consiliari e non rinvii, senza distinzioni cronologiche tra i differenti organi citati, al 2011 il parallelo snellimento degli organi di rappresentanza politica. La verità è che ancora una volta questo Governo e questa maggioranza invece di - come si dice - «prendere il toro per le corna» persevera nella sua opera di retorica. Il provvedimento all'esame del Parlamento, infatti, si presenta e viene percepito come una norma che taglia, o semplicemente dimezza, la rappresentanza politica tanto all'interno degli esecutivi quanto dei consigli comunali e provinciali.
Al contrario, noi abbiamo bisogno di dare risposte concrete ai servizi pubblici locali. Abbiamo la necessità di dare una risposta concreta alla sopravvivenza di molti comuni che sono il cuore e il motore dell'economia nazionale. Abbiamo bisogno in sostanza di una riforma organica che risponda all'esigenza di autonomia degli enti locali e che dia forza all'associazionismo attraverso le unioni di comuni e che soprattutto risponda seriamente alle esigenze dei cittadini e della nostra comunità.
La nostra proposta è molto chiara. Lo vogliamo dire ancora una volta: concentriamoci sull'esame del Codice delle autonomie, non ci affanniamo a inseguire provvedimenti spot spesso utili solo alla propaganda e al contempo portatori di uno spirito neo-centralistico contrario a quello della riforma costituzionale del 2001.
Non vi è dubbio che bisogna razionalizzare e ridurre i costi di autoamministrazione, quelli degli apparati di indirizzo politico degli enti locali e regionali, e limitare, conseguentemente, le spese degli apparati amministrativi a quelle strettamente necessarie, accrescendo, al contempo, la trasparenza e la responsabilità dell'agire amministrativo con la finalità ultima di rafforzare il rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni. Ma facciamolo in maniera efficace, tenendo a mente la necessità che la riforma generalmente invocata assuma, finalmente, carattere organico investendo il sistema nel suo complesso e in ogni suo singolo componente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Graziano. Ne ha facoltà.

STEFANO GRAZIANO. Signor Presidente, come è stato più volte ribadito, ma voglio sottolinearlo anch'io, questa è la ventottesima questione di fiducia posta dal Governo. Con onestà diciamo che non ci aspettavamo che anche questa volta fosse posta la fiducia e il voler rifuggire da una logica di dialogo è emblematico del fatto che questa è una fiducia tutta politica, tutta interna ad un'esplosione della maggioranza Pag. 52che crea e che ha continue fibrillazioni, e che dimostra di non tenere il punto su alcune questioni fondamentali. Quindi, vi è grande delusione e grande amarezza.
Questa nevrosi (io la chiamo così) che accompagna di consueto la stesura di provvedimenti come quelli esaminati nei giorni scorsi, non è stata rivissuta nei giorni precedenti in Commissione.
In simili casi sarebbe utile osservare come il difficile rapporto tra il Governo e il Parlamento segua un procedimento le cui fasi si susseguono replicandosi, a mio avviso, con notevole gravità. Si inizia con un disegno di legge parziale, che il tempo farà poi diventare più corposo. La scure della decadenza e la presentazione di un maxiemendamento con la posizione della questione di fiducia completano, ancora una volta, un iter legislativo purtroppo compromesso dal punto di vista della qualità della legislazione condizionandone anche i contenuti. In questi casi il dibattito parlamentare si arricchisce di gravi fatti come la mancanza, in sede di Commissione, di discussione del decreto-legge o dell'esame dedicato agli emendamenti.
Nel caso del provvedimento in discussione non è accaduto nulla di tutto questo. L'esame del provvedimento, il voto sugli emendamenti, il confronto politico sul testo hanno caratterizzato l'iter in Commissione; tuttavia, l'atteggiamento, a mio avviso, di chiusura del Governo e la lesione delle prerogative parlamentari che da tempo viene denunciata con fermezza e senza alcun piglio polemico, non hanno motivo di essere smentiti perché ormai sono fatti.
La questione di fiducia che è stata posta oggi, come ho detto, oltre ad essere di natura politica, a mio avviso, è irragionevole e irrazionale. Non ci sono, infatti, ragioni di tempo, perché è indubbio che non sussistono, ma forse non ricorrono neanche ragioni più importanti, ossia quelle sostanziali, contenutistiche e vorrei affrontarne alcune. Faccio un esempio: la soppressione delle ATO. Colleghi, penso che la soppressione delle ATO, che hanno una funzione organizzativa di predisposizione degli investimenti, ma soprattutto di regolazione tariffaria, lasciando totalmente mano libera alle regioni, costituisca un danno serio al cittadino.
Penso che fosse giusto cercare la razionalizzazione di questi enti; al contrario, non è giusto immaginare che ci sia una differenza tra territori e territori e, senza una regolamentazione seria attraverso dei parametri concreti, ritengo che si aggravi ancora di più il costo.
Bisogna fare attenzione, in quanto anche l'ANCI ha sempre avanzato proposte per ridurre i soggetti di gestione, per razionalizzare i livelli istituzionali e per ridurre i costi dell'amministrazione pubblica e questa è stata una nostra proposta contenuta in vari emendamenti da noi presentati. Tuttavia, si ritiene che la norma contenuta nel decreto-legge lascia di fatto carta bianca alle regioni, di nuovo.
A questo punto sarebbe necessario introdurre parametri chiari, semplici e che danno la possibilità di evitare questo divario tra i territori, anche nella prospettiva indicata dalla Carta delle autonomie. Questa è, infatti, anche l'altra differenza. Come ha detto prima l'onorevole Ciccanti, mentre in un decreto-legge di pochi giorni prima si indica una cosa, il decreto-legge successivo indica esattamente l'opposto. Allora, c'è una logica ancora una volta schizofrenica e folle dal punto di vista procedurale, anche dell'ordinamento della Carta costituzionale.
Con gli emendamenti presentati penso che si sarebbe voluto affrontare anche lo sblocco dei residui passivi, che è l'altro tema. Se noi, infatti, avessimo dato la possibilità di discutere e di parlare, si sarebbe capito che lo sblocco dei residui passivi per i comuni è un fatto importantissimo perché permette ai bilanci dei comuni (quindi, di conseguenza, ai comuni) di pagare le opere già avviate sul territorio; cosa che, a causa del Patto di stabilità, molto spesso non è possibile realizzare. Anche nei comuni più virtuosi ci sono dei vincoli insopportabili. Come si fa a non leggere che lì dove ci sono i comuni più virtuosi c'è, al loro interno, una quantità di soldi che può essere liberata Pag. 53e, invece, è bloccata? Non c'è un problema di debito, ma una possibilità di sbloccare risorse nuove dentro la società.
Quindi, si possono destinare queste risorse per pagare i debiti commerciali e non, invece, per creare la condizione che impone il decreto-legge dei vincoli imposti dal Patto di stabilità interno. Tali vincoli non consentono nemmeno le politiche sociali, perché non solo non consentono le opere infrastrutturali già avviate sul territorio, ma nemmeno l'avvio e il pagamento di politiche sociali molto importanti nei comuni. Come voi sapete meglio di me, i comuni sono il primo terminale del cittadino e fanno la politica più vicina al cittadino stesso da questo punto di vista.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,35)

STEFANO GRAZIANO. Così permane e si tiene ferma ancora una volta una situazione di difficoltà enorme, di sofferenza dei fornitori e delle imprese che quindi, continua a creare una condizione di crisi latente da questo punto di vista.
A tal proposito, noi avevamo presentato una mozione e, prima ancora, avevamo presentato un'interrogazione al Ministro Tremonti sulla vicenda dei residui passivi e sullo sblocco del vincolo del Patto di stabilità interno per il pagamento delle opere. Ciò sarebbe importante, e sarebbe utile che questi temi si affrontassero nell'Aula del Parlamento, perché davanti a queste cose ci può essere una possibilità di aiuto con le cosiddette misure anticrisi che danno l'opportunità di andare in una certa direzione.
Un'altra questione è quella del prelievo sui rifiuti che è, a mio avviso, cruciale.
In primo luogo, dobbiamo tener presente che c'è la sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2009, secondo la quale, indipendentemente dal nomen iuris attribuito ad un prelievo coattivo, cui in ogni caso non ci si può sottrarre, il relativo prelievo si configura necessariamente come un tributo.
Conseguentemente, sulla base dei principi sottolineati dalla sentenza e al fine di rimuovere le possibili conseguenze negative di vuoti normativi e di incertezze interpretative dell'insieme di norme emanate negli anni scorsi su una materia di estrema delicatezza, quale quella della gestione dei rifiuti, si sarebbe reso indispensabile un intervento che chiarisse per comuni, enti gestori e contribuenti quali norme siano applicabili al prelievo dei rifiuti.
Un intervento è altresì necessario in considerazione delle previsioni di ulteriore revisione della materia, per effetto delle disposizioni tuttora inattuate del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché del percorso di attuazione della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.
Appare di tutta evidenza che, ove non si provvedesse a chiarire non solo la natura tributaria del prelievo, recependo così il pronunciamento della Corte costituzionale, ma anche quali siano le norme applicabili in concreto, si determinerebbe una grave situazione di rischio per la stabilità dei bilanci dei comuni e degli enti gestori, cui con le modifiche proposte si intende porre rimedio.
Quindi, erano tutti interventi migliorativi, emendamenti volti a migliorare la condizione delineata dal decreto precedente. Pertanto, ancora una volta, anche su questa materia, non si riesce a spiegare la motivazione per cui viene posta la questione di fiducia.
A questo proposito, voglio sottolineare e ribadire l'atteggiamento schizofrenico del Governo, soprattutto in una materia come quella degli enti locali. La mancanza di una visione organicamente compiuta sulla materia è tale da non poter smentire giudizi e critiche, a mio avviso severe, poiché la stessa materia è stata affrontata prima nella legge finanziaria e poi nel decreto-legge in esame, con misure, come ho detto prima, di contenuto completamente diverso, per poi essere contraddetta ancora una volta in parte da quanto disciplinato nel codice delle autonomie, ancora purtroppo in stand-by.
Non capiamo ancora perché il codice delle autonomie locali sia bloccato, fermo. Anche su ciò chiedo una risposta al Governo. Pag. 54L'ordinamento delle autonomie locali non era propedeutico al federalismo fiscale? Perché questo è il punto politico che dovremmo discutere tra noi.
A tutto questo mi pare che la risposta sia la posizione della questione di fiducia sul provvedimento. Gli emendamenti hanno provato a rivestire di forma giuridica la sostanza di istanze che erano socialmente avvertite e richieste. Del vostro secco «no», con la vostra fuga dal dialogo e dal confronto, con la vostra mancanza di progettualità, con la prova provata di un problema di tenuta politica della maggioranza, penso che vi assumete fin d'ora la responsabilità dinanzi al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, quanti minuti ho a disposizione?

PRESIDENTE. Onorevole Nannicini, lei ha a disposizione trenta minuti.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, il decreto-legge recante misure urgenti per gli enti locali, all'articolo 1, tenta di rimettere a posto alcuni elementi relativi alla riduzione del numero dei consiglieri e dei membri delle giunte. Tenta, perché non risolve. Addirittura, in base all'articolo 2, se non si fa in tempo a rifare le circoscrizioni provinciali, si può andare alle elezioni presentando i consiglieri nei vecchi collegi, con un'autoriduzione successiva al numero di venti. È un pasticcio!
Abbiamo tentato di portare nella discussione del provvedimento, collegato anche al provvedimento che è già all'esame della I Commissione di questo ramo del Parlamento, il codice delle autonomie, un'attenzione ulteriore al problema degli enti locali, perché oramai è chiaro il disegno di una parte delle forze politiche che compongono questo Parlamento di modificare, e non correggere, eventuali storture istituzionali nel rapporto tra comuni, province, regioni e Stato centrale e di indebolire le stesse istituzioni territoriali.
Mi spiego: qual è il disegno? Il disegno è quello di introdurre all'interno dello Stato strumenti molto più veloci. Abbiamo discusso e finalmente abbiamo anche ottenuto, in occasione dell'esame del decreto-legge per le emergenze e le calamità naturali, che non avvenisse la trasformazione della Protezione civile in agenzia, ma tutto ciò fa parte di un disegno di questo Governo e delle forze politiche di centrodestra che lo appoggiano. Si tratta di indebolire, attraverso il Patto di stabilità e attraverso misure che passano nel nome della riduzione del costo della politica, il lavoro delle autonomie locali e degli enti locali e di rafforzare strumenti che sono a disposizione diretta del Governo e che permettono, fuori del Patto di stabilità, sia per i grandi eventi sia per le calamità, di spendere i denari pubblici senza controllo e con i risultati che abbiamo visto anche dalle ultime inchieste della magistratura. Anche questo decreto-legge è su questa linea, perché, se andiamo a rivedere la modifica apportata al decreto-legge originario, e mi riferisco al comma 4-novies dell'articolo 4, gli interventi realizzati direttamente dagli enti locali in relazione allo svolgimento delle iniziative di cui all'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge n. 343 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 401 del 2001, e cioè i grandi eventi (Expo 2015, Luis Vuitton Cup, La Maddalena e altri ancora), stanno fuori dal Patto di stabilità, con un comma aggiunto nelle Commissioni - prendo atto che il Governo ha ricopiato testualmente nel maxiemendamento ciò che aveva presentato in sede di Commissioni riunite - senza copertura.
Invece, ho in mano un emendamento al disegno di legge finanziaria sottoscritto da tre colleghi lombardi: Vinicio Peluffo, Antonio Misiani ed Emanuele Fiano. Essi rivendicavano che per l'Expo 2015 le opere necessarie degli enti locali (metropolitana, strade, elementi di competenza del comune di Milano) fossero fuori dal Patto di stabilità. Pag. 55
Ma, membri del Governo, i colleghi si erano sforzati di dire che si trattava di 100 milioni per l'anno 2010 e 2011 e avevano relativamente trovato la copertura per il bilancio consolidato dello Stato.
Sappiamo benissimo cosa vuole dire questo comma 4-novies: ci dovrà essere un decreto o un'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri; di nuovo il signor Bertolaso, che farà l'ennesimo decreto sui grandi eventi e allora scatterà la possibilità, non si sa per quale cifra, di uscire dal Patto di stabilità.
Il modello è chiaro: siamo contrari al modello costituzionale di comuni, province, regioni, Stato, Governo e Parlamento (quindi, non si mortificano solo queste stanze); siamo nel modello dell'emergenza, che dal 2002 al 2010 ha avuto la possibilità di spendere 86 miliardi di euro, pari a 175 mila miliardi di vecchie lire, in barba ai controlli, agli appalti e alle delibere.
È chiaro che in Italia si può fare anche politica urgente attraverso l'intervento degli enti locali, ma questi ultimi, dissanguati e posti in questa condizione, davanti all'opinione pubblica affermano che ci vuole San Bertolaso che risolva i loro problemi.
Si tratta di un'inversione di tendenza, che noi vogliamo inserire in questi giorni nel nostro dibattito parlamentare e nella nostra possibilità di intervento, di un modello alternativo al centrodestra, perché noi lanciamo fortemente l'appello che uno Stato organizzato in termini costituzionali ed elettivi è lo Stato migliore che possiamo apprezzare, rispetto agli eventi e rispetto alle condizioni del Paese. Invece sempre si modifica ciò!
Ritrovo poi anche questo modello, e l'interesse su di esso, sempre nel decreto-legge in esame, in un emendamento per cui ringrazio seriamente il Ministro Calderoli: vi erano 8 milioni di euro a finanziare, con i soldi relativi al trasferimento ordinario agli enti locali (i famosi 7.504 miliardi, che tutti gli anni diminuiscono, del Fondo ordinario di trasferimento agli enti locali), direttamente l'ISFEL, strumento di indagine per la finanza locale dell'ANCI. 8 milioni, 16 miliardi di vecchie lire! E non sappiamo quanto sarà il conto che verrà dalla riduzione che abbiamo dall'articolo 1.
Altro modello interessante: interessa la montagna, è bellissima la montagna, però ai comuni montani e alle comunità montane si sottraggono risorse, e si aggiungono a quel famigerato articolo 1 della legge n. 191 del 2009, dell'ultima legge finanziaria. Elenco dove c'è tutto, giustamente: problemi, associazioni, musei, il Politecnico di Pavia, vi è un elenco bellissimo di 24 voci. Si aggiunge oggi quanto previsto nell'articolo 1, comma 1279, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, cioè l'EIM, Ente italiano montagna: ente bellissimo, ente interessante, però ente e non territorio; sempre lo strumento della straordinarietà verso organismi straordinari e diversi da quelli che agiscono sul territorio.
Su ciò quindi il modello dell'azione delle opposizioni, e in particolare di noi del PD, è quello di richiamare attentamente che il Parlamento deve necessariamente affrontare il Codice delle autonomie con altro cipiglio e con un altro taglio nei confronti del funzionamento dello Stato. Non possiamo sempre indebolire, e portare gli enti locali nelle condizioni di non poter agire sulle domande della popolazione italiana.
Fra l'altro, vorrei anche citare un altro elemento importante sul decreto-legge in esame (e mi scuso con i colleghi e con il Presidente se cerco la documentazione, perché avevo altri impegni e sono arrivato velocemente pensando di non intervenire adesso), sul tema del comune di Roma. Noi abbiamo avuto dai relatori un emendamento all'articolo 4, comma 8, che ci ha scandalizzato non poco, e riteniamo che la nuova stesura sia anche merito del nostro intervento in Commissione. Esso riportava - sempre nella posizione di attribuire le responsabilità a chi governava prima, senza una ricerca reale di cosa è stato il bilancio del comune di Roma: ad esempio la regione Lazio deve dare ancora al comune di Roma dal Fondo trasporti 1.260 milioni, e scusatemi se sono pochi - la gestione commissariale introdotta dal decreto-legge n. 112 del 2008; e si diceva Pag. 56che si rendeva inapplicabile alla predetta gestione commissariale, assicurando in ogni caso la piena separazione patrimoniale della stessa rispetto alla gestione ordinaria. Quindi dal comune di Roma, dai bilanci, dalle delegazioni di pagamento e dall'azione ordinaria del comune di Roma si sottraevano le delegazioni e il patrimonio; per fortuna, nel nuovo emendamento non troviamo questo.
È però chiaro che il centrodestra su questo mostra sempre di non voler discutere e di non presentare al Parlamento, quando si presentano questi emendamenti, cosa stanno facendo il sindaco di Roma e cosa sta facendo il commissario straordinario di Governo, cioè una rendicontazione, un piano di risanamento. Questo Parlamento, che ha già destinato 600 milioni di euro, ed altri 300 milioni di euro con l'intervento del «milleproroghe» e con la proroga di questi interventi attraverso le misure urgenti, questo Parlamento lo conosciamo, leggiamo, sappiamo interpretare i bilanci e quindi lo scopriremo, ma credo che questo Parlamento merita l'informazione senza la polemica politica, ma con l'intervento serio ed istituzionale nei confronti della capitale. Invece, si continua sempre a fare polemiche e ad ammettere risorse senza capire se queste risorse erano a disposizione; ricordo anzi che all'inizio si prevedeva la garanzia degli immobili militari per l'intervento sul comune di Roma, poi tutti elementi successivamente modificati.
Quindi, si tratta di un nuovo modo di lavorare, con la filosofia di avere sempre strumenti straordinari a disposizione delle forze politiche del centrodestra e del Governo, dei comuni in alcuni casi guidati dal centrodestra, come a Brescia ed anche di altri comuni. Ma era necessario discutere questo elemento dei proventi che venivano dalla alienazione o dalla vendita di immobilizzazioni di partecipazioni rispetto a società partecipate; quindi anche quella norma può essere giusta, se collocata, come era inizialmente nel decreto, nel quadro di dare la facoltà ai comuni di utilizzare l'avanzo per ridurre la contrattazione dei mutui, e una partecipazione dello Stato aveva previsto 30 milioni per la riduzione delle penali, anche questo scomparso perché per la totalità dei comuni e per tutti i comuni si devono sempre fare delle cose particolari per qualcuno che ha nome e cognome e, allora va cambiata la filosofia.
Ultimi elementi di riflessione sul tema dei comuni italiani. È scorretto polemizzare sempre sul piccolo, ma non sempre il piccolo è bello. Io vengo da una regione, la Toscana che ha 3 milioni e 700 mila abitanti e 267 comuni, quindi ha una media di 12.919 abitanti per ogni comune della Toscana, che ha questa media, avendo il capoluogo grande. La Lombardia, che ha una delle più grandi metropoli, ossia Milano, ha 1.546 comuni: la sua media è di 6.300 abitanti per comune. Il Piemonte ha 1.206 comuni, con una media di 3.675 abitanti per comune.
Capisco quindi perché anche la Lega che è attenta a questi temi - e parte bene la proposta un po' propagandistica di avere 35 mila sgabellini ridotti e non poltrone perché ha questo territorio da rappresentare e quindi comprendo che rappresenti il territorio - ma la parola accorpamento dei comuni è scomparsa dal dibattito parlamentare, ma si ritrova molte volte se si va in qualche convegno, in qualche trasmissione televisiva: come sono belli certi esponenti del centrodestra che sanno fare delle bellissime proposte sul futuro del paese davanti alla televisione, ma mai in questo Parlamento. Allora, mi pongo una domanda: ma è proprio utile che in Italia il numero dei comuni sotto i 3 mila abitanti sia 4.481? Mi rincresce di smentire il collega Vannucci, che diceva 1.600, ma sono 4.481 i comuni sotto i 3 mila abitanti. Perché allora non conservare a questi comuni il loro municipio, la presenza degli uffici dello Stato, ma lavorare sull'accorpamento di questi comuni perché anche il codice delle autonomie non risolve il problema poiché istituisce a organismi di secondo grado: allora, se i comuni fanno 19 cose, quelli più piccoli ne fanno da soli solo 6, mentre per le altre 13 cose sono associati. Pag. 57
Così creeremo di nuovo altri organismi di secondo grado che non offrono una risposta diretta al cittadino. Credo quindi che da parte nostra dobbiamo essere attenti a come trattiamo il nostro territorio e le articolazioni su di esso presenti (comuni, province, regioni, il Parlamento, il Governo e lo Stato), e non tenere sempre gli enti locali in condizioni di disagio creando sempre agenzie per i grandi eventi, agenzie per le calamità, insomma agenzie su agenzie ed enti che rispondono sempre al Governo e al centrodestra. Noi faremo dura opposizione a questa vostra filosofia e a questa vostra impostazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rubinato. Ne ha facoltà.

SIMONETTA RUBINATO. Signor Presidente, il collega che mi ha preceduto ha fatto un riferimento al tentativo di superare l'attuale ordinamento costituzionale e vorrei cominciare il mio intervento proprio dalla lettura - anche se l'Aula oggi non è molto affollata - dell'articolo 5 della nostra Costituzione che, come tutti sappiamo, appartiene ai principi fondamentali, intoccabili e immodificabili della nostra Carta costituzionale. L'articolo 5, scritto dai magistrali costituenti, ci lascia la seguente norma, che è sia programmatica sia, a mio giudizio, già vincolante per il legislatore ordinario: «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali (...) adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».
La Repubblica «riconosce», nel senso che i comuni e le autonomie locali vengono prima dello Stato, prima della Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), e «promuove» la Repubblica a questo compito, quello delle autonomie locali, non perché siano degli staterelli feudali dotati di privilegi particolari, ma perché stanno in mezzo alle comunità locali, stanno di fronte ai cittadini. La mattina i sindaci ricevono persone in carne ed ossa, che hanno un nome ed un cognome e che portano problemi concreti, e non si possono limitare a queste sedute di discussione che resteranno negli annali del Parlamento, nei verbali e nei resoconti, ma che il più delle volte sono, purtroppo per noi, inconcludenti e improduttive per risolvere i problemi del Paese.
La Costituzione questo impone al Parlamento ed al Governo e il Governo, nonostante la grancassa della propaganda su una legge delega di attuazione del federalismo fiscale, è il Governo più centralista della Repubblica: credo che neanche Napoleone Bonaparte quando è venuto in Italia abbia posto i nostri enti locali nelle condizioni in cui sono posti oggi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
Credo che questo provvedimento sia l'ennesima dimostrazione dell'incapacità di questo Governo di riformare la struttura istituzionale di questo Paese. Come spiegava adesso anche il collega Nannicini, noi abbassiamo le braccia, ci arrendiamo di fronte alla necessità di passare da circa 8.100 comuni (a volte piccoli e piccolissimi), cercando piuttosto di incentivarli con percorsi virtuosi, verso accorpamenti che portino i nostri enti locali ad essere al livello di quelli della Germana e della Francia (in pratica, la metà). C'è una parte del Paese in cui ciò accade (non è quindi impossibile), il Trentino-Alto Adige: evidentemente lì hanno le risorse per farlo, infatti lo scorso anno, mentre qui si decideva la nascita di ulteriori province, in Trentino-Alto Adige nove comuni sono stati accorpati. E come lo hanno fatto? Nel rispetto dell'autonomia e di strade che conferiscono a chi intraprende determinati percorsi di accorpamento la possibilità di offrire migliori servizi ai cittadini, tutto quello che qui non si fa e che si dovrebbe fare.
Invece, questo provvedimento che reca un titolo così promettente circa la volontà di offrire risposte ai problemi della funzionalità e della programmazione dei nostri enti locali che cosa fa, in spiccioli? Da una parte, fa un po' di cassa e, dall'altra, un po' di tagli a queste benedette poltrone e ai costi della politica (e adesso vediamo Pag. 58quali), per racimolare qualche quattrino: questo è ciò che stabilisce questo provvedimento sul fronte istituzionale, abolendo d'imperio una figura, quella del difensore civico, per enti che hanno una certa dimensione, nonché quella del direttore generale.
Ma dico: ma li viviamo i nostri enti locali? Siamo mai entrati a vedere come funzionano? Penso di sì, perché ci sono tanti colleghi del mio colore politico. Ma, allora, non mi spiego perché quando siamo qui facciamo, diciamo, ed evochiamo cose diverse da quelle per le quali prendiamo i voti sul territorio. Se proprio vogliamo ridurre i costi della politica (non vi sono solo questi, dovremo cominciare da noi), il tema non è incidere sul numero dei consiglieri comunali e provinciali, sugli assessori comunali e provinciali, ma sulle indennità che percepiscono, sulle modalità di funzionamento di questi consigli comunali e provinciali. Nella maggior parte dei nostri enti locali, un consigliere comunale percepisce qualcosa che va dai 14 ai 24, 30 euro di indennità lorde a seduta, per 10, 11, o 12 sedute all'anno. Allora, in un comune, mettiamo di 14 mila abitanti, ridurre i consiglieri comunali da 20 a 15, significa togliere spazio alla partecipazione, alla rappresentanza, non è risparmiare. Questa è una follia fatta da un Governo che dice che si sta apprestando ad attuare il federalismo fiscale; ma qui sta sparendo il federalismo istituzionale. Questi sono pochi spiccioli di migliaia di euro per quel comune. Tanto più poi che la maggior parte dei comuni, quelli sopra 5 mila abitanti, hanno già il Patto di stabilità che li deve portare al contenimento della spesa pubblica. Quindi, queste norme, soprattutto per questi enti che già contribuiscono in modo rilevante al contenimento della spesa pubblica, sono puramente vessatorie, mentre continueremo ad avere consiglieri comunali e provinciali che, in alcune parti di questo Paese, si riuniranno due volte la settimana con indennità molto sostenute e continueranno a percepire molti emolumenti. Anche su ciò accettiamo il vostro ragionamento, ma se dobbiamo diminuire i costi, non si può fare un taglio che riduce i trasferimenti a questi enti, a prescindere dall'effettiva riduzione della spesa che avranno in funzione della riduzione dei consiglieri e degli assessori, perché ci sono enti che hanno una spesa molto alta e altri che la hanno molto contenuta. Però voi prevedete in questo provvedimento che il taglio va realizzato in proporzione alla popolazione residente: è illogico e contro il buonsenso. Anche il precedente Governo aveva fatto un taglio sulla base della riduzione dei costi della politica, ma almeno aveva avuto la decenza di prevedere la possibilità di una certificazione successiva che poi consentiva, evidentemente, di pareggiare i conti se non tornavano. Qui ci sono enti che avranno dei tagli nei trasferimenti, che servono solo al fatto che quelle risorse devono rimanere qui, alla faccia del federalismo fiscale, che non avranno le corrispondenti riduzioni di spesa, e a cui ci guardiamo bene dal chiedere di certificare questa riduzione di spesa, perché altrimenti dovremmo restituirgli il maltolto, perché questo non è scritto nel provvedimento. Si prevede solo di fare un po' di cassa, alla faccia della partecipazione, del realismo nell'affrontare i problemi, e del buon senso. Sono convinta che di questi argomenti ci ritroveremo qui a discutere, perché a dicembre si era votato affinché questi tagli partissero già da quest'anno, ma avete già dovuto posticiparli e credo li vedremo posticipare ancora, perché qui non vi è alcuna ambizione riformista e di risanamento dello spreco in questo Paese, vi è soltanto il pressappochismo di chi non sa come far quadrare i conti alla fine della giornata.
Alla faccia dell'autonomia che dovremmo attuare per Costituzione e del federalismo (vediamo cosa porterete all'esame in Parlamento), un comune oggi non può più decidere di dare ai propri cittadini un difensore civico. Anche su questa misura: sopra i 5 mila abitanti vi è il Patto di stabilità, quando il comune vi garantisce il conseguimento dell'obiettivo, cosa interessa allo Stato centrale se il comune garantisce questa funzione ai suoi cittadini perché possano avere un interlocutore Pag. 59tra loro e la pubblica amministrazione? Sarà un problema del comune tagliare da una parte piuttosto che da un'altra. Invece, togliete il difensore civico comunale al cittadino, che non lo troverà più nel suo comune, e dovrà fare la processione e la fila presso la provincia, dove vi sarà il difensore civico del territorio. Anche questo alla faccia dell'autonomia e del rispetto dell'articolo 5 della Costituzione!
Il direttore generale: voi parlate di soppressione della figura del direttore generale. Il direttore generale, al di là degli enti che nominano direttori generali e li strapagano (ma allora lì si agisce in un altro modo), è una figura importante per dare attuazione ad un principio fondamentale del nostro ordinamento (introdotto nel Testo unico degli enti locali, che - lo so - non piace a questo Governo, lo abbiamo appena visto nel caso della Protezione civile). Tale principio è previsto dall'articolo 107 del Testo unico degli enti locali: ci sono i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo che spettano agli organi di governo e c'è la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica che è attribuita ai dirigenti!
In molti comuni (nella gran parte) i dirigenti non ci sono, ci sono i responsabili di servizio, perché siamo già abituati a risparmiare di nostro, e l'unica figura che resterebbe in questi comuni è quella del segretario, che però ha compiti diversi da quelli del direttore generale. Possiamo anche sommare nella figura del segretario la figura del direttore generale, ma deve essere prevista questa figura, perché altrimenti nei nostri enti daremo al sindaco anche la funzione (che oggi ha il direttore generale) di organizzazione degli uffici e dei servizi per attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di Governo. Va a farsi friggere la distinzione tra organi di indirizzo politico e amministrativo e organi di governo. Chi risponde se i responsabili di servizio attuano o meno gli obiettivi che l'ente si è dato e che gli organi di governo si sono dati?
Allora, anche in questo caso se ne può discutere. C'è chi di questa figura fa un utilizzo indebito? Ci sono direttori generali strapagati in qualche ente? Andiamo a fare delle verifiche. Andiamo ad incidere sulle norme corrette, non andiamo a sopprimere una figura innovativa e importante per garantire il conseguimento degli obiettivi che gli organi di governo di un ente si danno nel corso del mandato e di cui devono rispondere nei confronti dei cittadini.
Questo lo dico per parlare di come si stanno facendo le cose, distruggendo, oppure non riformando, ma peggiorando il sistema che abbiamo ereditato, quello vigente oggi in questo Paese. Gli emendamenti andavano tutti nella direzione di cercare di mettere una pezza a tutto questo, ma sono stati tutti brutalmente respinti. Erano tutti emendamenti senza necessità di copertura, perché prevedere il taglio in modo diverso rispetto al criterio della popolazione residente era possibile. Bastava stabilire in proporzione la spesa effettiva dell'ente e poi prevedere una certificazione per l'eventuale compensazione.
Si poteva prevedere che la funzione del direttore generale nei comuni sotto i 100 mila abitanti rimanesse al segretario, ma non si è voluto prevedere una misura di questo genere, e avanti di questo passo.
Passo dall'ordinamento istituzionale, dove si vede con quale pressappochismo e cialtroneria si agisce su un sistema che c'è e che funziona (perché forse l'unica cosa che funziona ancora in questo Paese è l'ordinamento degli enti locali, così come era uscito dalle importanti riforme degli anni Novanta), alla partita più strettamente finanziaria degli enti locali.
Parto dall'illustrazione della norma che riguarda il comune di Roma per poi vedere che cosa succede negli altri comuni d'Italia. Questo provvedimento si caratterizza pure - come al solito - per norme che non sono questa volta ad personam ma sono «ad entem» (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Quindi ogni comma ha un nome ed un cognome, che sia Brescia, che sia Reggio Emilia, che sia Roma. Ma voi non sapete far altro che legiferare così, che è il contrario della Pag. 60legge, perché la legge dovrebbe avere una portata generale, e questo la dice lunga su come si fanno in questo momento gli interessi generali in questo Paese.

ALDO BRANCHER, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Roma!

SIMONETTA RUBINATO. Oggi su Il Messaggero è spiegata benissimo la norma su Roma, perché la legge può essere un po' criptica, però se si leggono i giornali si trova quello che dice l'assessore al bilancio del comune di Roma, il quale spiega a cosa serve la norma che stiamo per approvare oggi qui in Parlamento. Ci spiega che si tratta di una misura molto importante per noi, perché separa nettamente la gestione commissariale, che riguarda il ripianamento del debito accumulato al 28 aprile 2008, da quella ordinaria attuale; questo farà sì che, mentre attualmente chi vanta crediti dal comune, ereditati dalla vecchia gestione, aggredisce le casse capitoline lasciandoci problemi di bilancio, da qui in avanti i creditori si rivolgeranno al commissario, mentre noi potremo utilizzare appieno le risorse a disposizione per gli investimenti e la spesa corrente.
Insomma una sorta di divisione tra una bad company ed una nuova gestione, vagamente simile al modello utilizzato per il salvataggio di Alitalia. Roma è la capitale, si vuole dare un trattamento particolare alla città capitale? Siete padroni di farlo, ma non potete arrivare all'indecenza che si fa una norma così per Roma capitale e quest'anno, per la prima volta da quando in questo Paese si è normato il Patto di stabilità, sono applicate ai comuni che hanno sforato il patto le sanzioni che ogni anno sono state bellamente cancellate. Invece quest'anno - siccome adesso siamo diventati rigorosi, riformisti ed efficienti nella spesa pubblica - mentre facciamo questo, abbiamo deciso che oltre 200 comuni virtuosi - e li ho qua - che hanno sforato il Patto per pagare gli investimenti e le opere pubbliche fatte, adesso hanno i bilanci ingessati e sono assolutamente messi sotto tutela nella condizione di non poter erogare servizi essenziali e mettere in sicurezza una scuola piuttosto che ampliare un cimitero piuttosto che mettere in sicurezza una strada.
Quello che è meraviglioso - non so se c'è qualcuno dei miei colleghi della Lega che mi ascolta - è che quest'anno 131 dei circa 200 comuni non rispettosi del Patto 2009 sono al Nord. Vi sarà una spiegazione del perché si sfora al Nord a e non al Sud con questo Patto? Al nord ci sono residui passivi per 11 miliardi e mezzo di euro. Non sono residui passivi dovuti ad una cattiva gestione. Sono investimenti, opere pubbliche fatte che non possono essere pagate in un momento di crisi economica in cui le aziende vanno in banca - perché ci siamo inventati questo per fare un altro regalo alle banche - ad aprire fidi perché i comuni non li pagano per imperio di questo Stato centrale e pagano gli interessi su questi fidi cioè sui loro crediti che non vengono pagati per rispettare uno stupido, iniquo e vessatorio Patto di stabilità. Di questi enti che non hanno rispettato il patto 61 sono in Lombardia, 44 sono in Veneto che è la percentuale più alta - il 17 per cento degli enti sottoposti al patto di stabilità in Veneto non sono riusciti a rispettarlo - e 14 in Piemonte. Peraltro sono per lo più enti sottodotati - questo è riconosciuto anche dalla Corte dei conti - cioè hanno difficoltà sul fronte delle entrate perché appunto sono sottodotati e i tagli colpiscono sempre i sottodotati nei trasferimenti.
Dunque questo dice che a fronte di provvedimenti ad entem, a Roma facciamo il regalo che state facendo. Peraltro ho visto che l'ultimo emendamento delle Commissioni è ulteriormente generoso nei confronti di Roma capitale perché vengono soppressi due piccoli importanti incisi in base ai quali il commissario che sarà nominato dal Governo non è più tenuto ad operare senza ulteriori o nuovi oneri per la finanza pubblica. Se è stato soppresso vuol dire che si può sforare.
Vi è un'altra partita ancora. Nell'interpretazione autentica del comma 3 dell'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, Pag. 61che ha istituito questa cosa balzana di un nuovo ente Roma capitale mentre la bad company deve andare in liquidazione, si prevista in questa nuova formulazione delle Commissioni una norma interpretativa che bisogna leggere perché francamente è una norma interpretativa che interpreta assai. Nella versione originale dell'articolo 78, comma 3, si dice che la gestione commissariale ha un bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria dentro al quale sono comprese tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere sino alla data del 28 aprile 2008. Nell'interpretazione autentica che si approverà sono sparite le entrate di competenza e la gestione commissariale ha solamente le obbligazioni. Uniamo questo al «senza nuovi o maggiori oneri». Questa è una cambiale in bianco firmata dallo Stato. Volete farlo, fatelo. Ma è indecente che 200 enti che hanno pagato le imprese siano nella condizione in cui oggi voi le assoggettate.
Siccome di questi enti - che hanno un nome ed un cognome - in questo Parlamento non si parla mai, mi sono presa i loro nomi. Qui si parla di Roma, di Brescia e di altri: per carità, va bene, sistemiamo i problemi di questi enti, io sono per farlo.
Però, qui, adesso, vorrei leggervi solo i nomi dei comuni del Veneto, almeno qualcuno di noi qui se li è ricordati: Belluno, Noale, Castelfranco Veneto, Scorzè, Roncade, Selvazzano Dentro, San Stino di Livenza, Casale sul Sile, Trebaseleghe, Pieve di Soligo, Camposampiero, Isola della Scala, Spresiano, Piazzola sul Brenta, Monticello Conte Otto, Piombino Dese, Maserada sul Piave, Asolo, Resana, Istrana, Loria, Santa Lucia di Piave, Nogara, Borgoricco, Tombolo, Fontaniva, Caerano di San Marco, Carmignano di Brenta, Pederobba, Lavagno, Santa Giustina in Colle, Nervesa della Battaglia, Curtarolo, Altivole, Salgareda, Gaiarine, Sarego, Castelgomberto, Fonte, Villa Bartolomea, Campo San Martino, Illasi e Cavaion Veronese. Sono solo 44 dei 200 comuni che potrei menzionare.
Mi sono accorta che la gran parte di questi enti non solo è del Veneto, ma è nella provincia di Treviso, da cui provengo. Ho cercato di darmi una spiegazione e l'ho trovata in alcune tabelle che ci ha illustrato in Commissione bilancio il dottor Giancarlo Verde, che è il direttore centrale della finanza locale del Ministero dell'interno.
In questo Paese la media nazionale dei contributi pro capite ai comuni nel 2009 è stata di oltre 240 euro. Il Veneto ha una media di 195 euro, che vuol dire meno 18,7 per cento di trasferimenti. Ma Treviso - e qui mi spiego perché la maggior parte poi anche di questi comuni sfora, perché ha un problema sul fronte entrate - ha 162 euro pro capite, cioè meno 33 per cento, un terzo netto di meno della media nazionale dei trasferimenti, nonostante mi si insegni che vi è un residuo fiscale molto alto da quelle parti del mondo.
Questi comuni, per la maggior parte in provincia di Treviso, sono quelli che si fanno le opere pubbliche con le tasse che i cittadini pagano sul territorio: alla faccia dell'autonomia e del federalismo hanno realizzato le opere pubbliche e hanno deciso anche di pagare le imprese. Oggi sono quelli da voi vessati, a fronte invece di Roma capitale e di pochi altri privilegiati. Dunque, vi chiedo di fare un provvedimento «ad entem» anche per questi.
Nei miei emendamenti non chiedevo di togliere le sanzioni tout court: chiedevo di selezionare fra questi 200 enti i meritevoli di non essere sanzionati, perché la Corte dei conti ha detto che il Patto non funziona, ha detto che addirittura siamo arrivati al paradosso per cui nel decreto di premialità di fine anno i Ministri dell'economia e dell'interno hanno inserito nella lista dei comuni che sono stati premiati con una maggiore possibilità di spesa Catania e Palermo, enti in dissesto, mentre questi enti sono non virtuosi.
Allora, io vi chiedo di fare provvedimenti «ad entem», però di farli un po' meglio, premiando chi si merita davvero il premio e non chi non se lo merita, tanto che di questi principi ci siamo riempiti la bocca nella legge delega sul federalismo Pag. 62fiscale, dove c'è scritto che dobbiamo superare la spesa storica, dove c'è scritto che dobbiamo premiare gli enti virtuosi sul serio e non gli altri, dove c'è scritto che nella fase transitoria dobbiamo tener conto degli enti sottodotati.
Ebbene voi, con questo ennesimo provvedimento, tagliate ulteriormente a tutti in parti uguali. Io avevo presentato un emendamento che chiedeva di non fare questi tagli indiscriminati agli enti sottodotati: sono - qui dovrei usare una brutta parola - gli sfortunati dei cosiddetti decreti Stammati, ma li vogliamo penalizzare ancora?
Dal 2003 ad oggi in Veneto il taglio agli enti locali nei trasferimenti è stato di 200 milioni di euro: devono ancora essere loro a pagare, mentre facciamo questi regali a Roma capitale? Questa è un'indecenza a cui dovete porre rimedio, e se non ponete rimedio voi ve ne sarà chiesto conto prima o dopo da qualcuno.
Vorrei concludere leggendo una lettera. Pensate che si stanno facendo follie sul territorio per poter usare i fondi che la regione dà per il progetto sicurezza durante l'estate.
Ci sono comuni che chiedono a quelli vicini di assumere i loro vigili a tempo determinato, provvedendo poi loro a pagarli. Facciamo funzionare in questo modo il Paese e poi, in questa sede, ci riempiamo la bocca di sicurezza e di altri temi?
La lettera è di un comune della provincia di Treviso - mi è stata data in copia e sarà inviata a tutte le massime cariche istituzionali - che ha una particolarità (ogni comune potrebbe raccontarne una, prendo questo come esempio): «Siamo la giunta comunale di Caerano San Marco di Treviso, un comune di ottomila abitanti situato a nord-ovest della provincia di Treviso, un tempo sede di prestigiose industrie manifatturiere dedite anche alla calzatura sportiva, e facente parte del distretto calzaturiero del Montebellunese. La struttura operativa del comune è composta di venti unità, con un dipendente ogni 364 abitanti». Il Ministro dell'interno, con l'ultimo provvedimento, ha stabilito che gli enti in condizione di dissesto possono avere un dipendente ogni 155 abitanti, non dico altro: qui se ne prevede uno ogni 364. E si prosegue: «molto al di sotto della media provinciale e regionale, per non parlare di quella nazionale. Entro l'anno andranno in quiescenza due unità, che non potranno essere rimpiazzate», perché sono sotto sanzione del Patto di stabilità.
Ancora: «Nel 2007, un gesto nobile e generoso di un cittadino, fece incamerare al comune una dotazione di un milione 500 mila euro, vincolati all'ampliamento della locale scuola elementare, ma inadatta a contenere l'aumento demografico degli alunni». Infatti, in provincia di Treviso l'aumento della popolazione, negli ultimi cinque anni, è pari al 10 per cento, a causa anche dell'immigrazione e, quindi, le scuole vanno costruite.
La lettera continua: «Tale dotazione deve essere utilizzata dall'amministrazione entro sette anni, pena la restituzione della donazione gravata naturalmente dagli interessi passivi. Tale donazione contribuì, nel 2007, ad aumentare il saldo misto previsto dal Patto di stabilità, che, aggiunto al saldo contabile di bilancio, portò l'importo a 2 milioni 200 mila euro. Si precisa che tale saldo corrisponde all'80 per cento delle spese correnti, per cui, al fine di raggiungere e mantenere tale saldo» - come viene imposto dalla finanziaria - «paradossalmente, dovrebbero essere eliminate, oltre ai pagamenti relativi agli investimenti, anche spese obbligatorie fisse, quali il personale, le utenze, gli interessi passivi e le assicurazioni. L'aumento consistente del saldo misto di riferimento ha causato il non rispetto delle norme stabilite dal Patto nel bilancio di previsione 2009 e 2010, e la conseguente applicazione delle sanzioni». Vorrei citare un altro paradosso: un'amministrazione di centrodestra ha sforato nel 2009 e la nuova amministrazione di centrosinistra eredita la situazione.
E ancora: «Questo comune ha avuto, nel tempo, amministrazioni che hanno alimentato quasi sempre l'autofinanziamento» - come si vede, gli appartenenti ad un colore politico parlano bene di Pag. 63coloro che sono venuti prima di loro, senza fare il giochino di dire che alcuni hanno lasciato «il buco» - «tramite gli avanzi di amministrazione: per il 2009, l'avanzo si assesterà sui 900 mila euro. Bilanci, quindi, mai in sofferenza e sempre provvisti di solidi avanzi» (lo dicono i membri della nuova amministrazione).
La lettera prosegue: «Ora, questa amministrazione è alle prese con problemi urgenti e indifferibili rivolti, in gran parte, alla pubblica incolumità: manutenzioni straordinarie di scuole, strade ed edifici vetusti. Da ultimo, l'estrema necessità» - pensate, in questo paese hanno anche il «coraggio» di morire - «di ampliare il cimitero» - ma basterà un'ordinanza di Bertolaso per non farli più morire - «in quanto la cessazione delle concessioni trentennali dei loculi ha fatto constatare che le salme risultano saponificate e, quindi, indecomposte. Urge ampliare e dedicare del terreno per l'inumazione di tali salme. In tali condizioni, non siamo in grado di spendere un euro (ne abbiamo depositati 4 milioni in tesoreria), vincolati, come siamo, dai parametri del Patto».
«Non meno importante dei problemi evidenziati, è la questione della responsabilità degli amministratori, che si trovano sotto una doppia scure: da un lato, l'esigenza di garantire istituzionalmente la pubblica incolumità che, se non alimentata da investimenti, rischia di aumentare le spese legali e il deferimento all'autorità giudiziaria, all'altro, il rischio di incorrere in sanzioni per lo sfondamento del Patto».
«A questo proposito, mancano tre anni per l'utilizzo del lascito (cioè, del milione e mezzo di euro che è stato donato): non potendo spendere saremo costretti a restituirlo gravato degli interessi passivi. Questi interessi si possono configurare come danno erariale. La responsabilità di tale danno è da addebitarsi agli amministratori che non hanno speso o alle leggi che ce lo hanno impedito? La sezione regionale della Corte dei conti, da noi interpellata formalmente, non ci ha dato risposta». Voglio ben vedere come può rispondere la Corte dei conti, che ha lasciato, quindi, gli amministratori in balia di questo ordinamento! Essi proseguono, chiedendosi: «Cosa facciamo?».
La lettera si conclude con un'ultima considerazione. Vorrei che il Ministro dell'economia e delle finanze gestisca questi bilanci e, pertanto, farò una proposta: i 200 che hanno sforato spediscano al Ministro dell'economia i loro bilanci e il Ministro dell'economia, gratis, dia una consulenza a questi enti per vedere come si può, per magia, risolvere i problemi ed amministrare meglio questi comuni.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SIMONETTA RUBINATO. Concludo, signor Presidente, riportando l'ultima considerazione svolta da parte di questi amministratori locali, e in questa sede possiamo anche sorriderci sopra, ma lì si tratta di rispondere a chi bussa alla tua porta e di avere responsabilità: infatti, gli amministratori degli enti locali, davanti ai giudici, vanno per davvero.
Essi così proseguono: «Un'ultima considerazione: consideriamo sacrosanto che i comuni partecipino al contenimento del fabbisogno statale ma, tempo addietro, quando non si parlava di federalismo, i comuni avevano molte possibilità di programmazione e di azione; da quando si parla di federalismo e si promulgano le leggi in proposito, non ci sono risorse e le pingui casse dei comuni del nord vengono utilizzate per le esigenze dello Stato. C'è qualcosa che ci sfugge.»
Probabilmente sfugge anche a questo Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lovelli. Ne ha facoltà.

MARIO LOVELLI. Signor Presidente, mi rivolgo al signor rappresentante del Governo: penso che le sia ben chiaro, dall'analisi che, nei suoi interventi, ha fatto il gruppo parlamentare del Partito Democratico, quali siano i limiti di questo decreto-legge e di una politica che - nel Pag. 64campo degli enti locali, ma in generale nel campo di una politica a favore dei cittadini italiani, al fine di superare la crisi economica e sociale che stiamo affrontando - questo Governo sta continuamente dimostrando.
Dico ciò non solo perché siamo di fronte all'ennesimo decreto-legge e alla ventottesima questione di fiducia, né solo perché è evidente che siamo di fronte ad un ridimensionamento del ruolo del Parlamento - uno svuotamento di ruolo - che viene evidenziato anche in questa occasione con il voto di fiducia e che è emerso, in particolare, nel passaggio parlamentare delle scorse settimane, con la discussione del decreto-legge sulla Protezione civile.
Si tratta di una scelta chiara, che va nella direzione dell'utilizzo dei decreti-legge per superare passaggi parlamentari essenziali, affiancata ed abbinata all'utilizzo di decreti presidenziali e ordinanze che, a loro volta, «bypassano» anche i controlli della Corte dei conti, i controlli sulla regolarità degli iter amministrativi per realizzare appalti, lavori e forniture, con l'idea che, in questo modo, si possa dare più efficienza allo Stato, uno Stato aziendalizzato e centralizzato, il quale, invece, finisce semplicemente con il contrastare con le idee normalmente proclamate dalle forze della maggioranza e con l'intenzione delle leggi approvate (la prima tra tutte è quella sul federalismo fiscale).
In realtà, questo Governo si trova oggi, come si è trovato in occasione dell'approvazione della legge finanziaria, a fare i conti con un'impostazione di politica di tagli al bilancio, avviata con il decreto-legge n. 112 del 2008, che lo porta in continuazione, nei vari settori di intervento dello Stato, a fare una politica di tamponamento, di misure tampone, di misure di emergenza.
Come si è detto in precedenza, in questo campo si attua una politica che non è ad personam, ma è ad entem, in questo caso è ad comunem: insomma, una politica che pensa di usare il commissariamento quale strumento per affrontare più velocemente i problemi.
In sostanza non solo ricordo che lo schema Alitalia, evocato poco fa, ha dato risultati negativi in quel caso specifico e sta dando ancora risultati negativi, ma voglio anche dire che il tentativo di superare le strettoie del Patto di stabilità a livello centrale con strumenti eccezionali ormai ha già dei riferimenti storici: penso alle vicende di Infrastrutture Spa, concepita per le grandi opere, e di Patrimonio Spa, tutte vicende finite male che hanno portato ad una retromarcia e all'accollamento da parte dello Stato degli oneri conseguenti.
C'è una lettura politica molto chiara in tutto questo, che fa emergere un'idea di riforma di fatto dello Stato che è divergente rispetto alle proclamazioni di principio e che porta come conseguenza più centralismo, più verticismo e meno partecipazione. Vorrei citare, ad esempio, il fatto che mentre qualche mese fa, con un provvedimento alla nostra attenzione, si è avviata la strada verso la privatizzazione dei servizi pubblici locali, nello stesso tempo, con un provvedimento che poi è stato ritirato all'ultimo momento, si è lavorato per costituire una specie di società in house del Dipartimento della protezione civile per svolgere attività di tipo imprenditoriale, che è poi quello che si fa con la Difesa Spa e quello che si fa al Ministero per i beni e le attività culturali con Arcus Spa.
Questo è il quadro che porta a far sì che poi, come nel caso degli enti locali, per poter affrontare i problemi ci si trova in un ingorgo legislativo, in quella che abbiamo definito una «schizofrenia legislativa» che ha consentito che con la legge finanziaria per il 2010, all'articolo 2, commi dal 183 al 186, si prevedesse una riduzione del contributo ordinario agli enti locali e, in relazione ad essa, una serie di misure per farvi fronte, tra cui quelle che riguardano la diminuzione del numero dei consiglieri comunali, degli assessori comunali e provinciali e la soppressione del difensore civico, del direttore generale e dei consorzi di funzione fra gli enti locali. Sennonché, dopo l'approvazione della legge finanziaria il Governo ha finalmente Pag. 65portato all'attenzione del Parlamento il codice delle autonomie locali, l'atto Camera 3118, che peraltro conteneva e contiene norme differenti da quelle introdotte dalla legge finanziaria, per arrivare poi a questo decreto-legge che interviene di nuovo sulle medesime questioni con previsioni ancora una volta differenti. Si tratta, quindi, di una disciplina frammentata, disomogenea ed elaborata oltretutto senza una preventiva consultazione delle regioni e degli enti locali.
Questo è il quadro in cui ci troviamo ad esaminare questo provvedimento, che, fra l'altro, in materia di rappresentanza democratica dei cittadini italiani porta ad un risultato assolutamente negativo. Quando si imposta un disegno di risparmio semplicemente evocando i tagli dei costi della politica che poi si attuano in questo modo si hanno dei risultati paradossali.
Infatti, si vanno a ridimensionare i costi di una rappresentanza a livello locale dall'onere molto contenuto, con il risultato di ridimensionare veramente la possibilità per le comunità locali di avere un loro consiglio comunale sufficientemente rappresentativo, una giunta comunale sufficientemente adeguata per i problemi da affrontare, in sostanza una capacità sufficiente per autonomie locali di esprimere le loro potenzialità che vengono compresse sia in termini di rappresentanza che di risorse disponibili.
Questo naturalmente è ancora più deleterio se noi lo abbiniamo al fatto che la legge sul federalismo fiscale, approvata ormai più di un anno fa, doveva impostare un percorso ben diverso, ovvero un discorso di evoluzione dell'ordinamento verso una maggiore autonomia degli enti locali, una maggiore responsabilizzazione, ma soprattutto una definizione di risorse abbinate a funzioni da svolgere. Questo era il percorso parallelo che la legge sul federalismo fiscale, insieme al Codice delle autonomie locali, doveva mettere in movimento per arrivare ad un risultato che fosse coerente, logico ed utile alle istituzioni ed ai cittadini italiani.
Si fa esattamente il contrario, che porta poi ad un risultato paradossale. Intanto, con il percorso che si è avviato si ledono dei principi fondamentali in materia di enti locali: quello della leale collaborazione tra lo Stato e gli enti locali, quello dell'autonomia statutaria degli enti locali e quello dell'autonomia organizzativa. Il principio di leale collaborazione è stato leso perché, mentre ancora si discuteva in sede di Conferenza unificata di un insieme di interventi, il Governo ha stralciato il pacchetto delle misure di razionalizzazione e lo ha inserito nella legge finanziaria. Il principio dell'autonomia statutaria, che è un caposaldo dell'ordinamento della Repubblica, e quello dell'autonomia organizzativa degli enti locali sono stati lesi da interventi come quelli sulle circoscrizioni e sul direttore generale che sono poco comprensibili, anche alla luce del testo nuovo che viene adesso sottoposto alla nostra attenzione.
Come ho fatto rilevare prima, è veramente paradossale che, mentre si è annunciato all'epoca della legge finanziaria che si tagliavano cinquantamila poltrone negli enti locali, poi si rileva nei fatti che, nella maggior parte dei comuni piccoli e medi (ovvero la sostanza del nostro Paese), un consigliere comunale riceve un'indennità di 25-30 euro a seduta e si tengono in media una decina di sedute all'anno.
Quindi, il risparmio è veramente poca cosa e non è sufficientemente motivato rispetto agli obiettivi che si vogliono perseguire, senza dimenticare il fatto che gli enti locali, sia i comuni che le province, hanno in questi anni dato un contributo rilevante per il risanamento della finanza pubblica con dei risultati che parlano da soli. Nel 2008, infatti, hanno ridotto il loro indebitamento netto di 1 miliardo 200 milioni di euro e nel 2009 di ulteriori 300 milioni.
L'operazione decisa dal Governo sull'ICI, nello stesso tempo, in termini di spesa pubblica e di finanza pubblica ha avuto un effetto paradossale, perché per questo motivo ha dovuto aumentare i trasferimenti dello Stato a favore degli enti locali, che sono passati da 4,7 miliardi nel 2008 a 8 miliardi nel 2009, mentre c'è stato, ovviamente e di conseguenza, un taglio Pag. 66ai contributi per gli investimenti, che sono stati ridotti dai 3,3 miliardi del 2008 a 1,7 nell'assestato 2009 e, infine, a 1,5 nel bilancio 2010.
Quindi, l'effetto è veramente paradossale perché gli enti locali, che potrebbero essere quelli che in termini di iniziativa anticrisi, di contributo anticiclico potrebbero mettere in moto risorse, interventi e operatività più ravvicinate e immediate, vengono messi nelle condizioni di non operare per insufficienza dei trasferimenti che ricevono, ma soprattutto, per i motivi che abbiamo ampiamente spiegato, a causa delle norme sul Patto di stabilità che nella maggior parte dei casi costituiscono un laccio, una costrizione che non consente di intervenire con tutte le risorse che i comuni hanno effettivamente a disposizione. Basta pensare al problema dei residui passivi: parliamo di interventi e di disponibilità quantificati dall'ANCI nell'ordine di più di 40 miliardi di euro, la collega prima di me ricordava la questione del Nord e dei residui passivi dei comuni di quella parte del Paese. Quindi, questo è il quadro.
Penso che giustamente noi abbiamo contrastato il provvedimento che avete portato alla nostra attenzione, anche laddove siamo riusciti ad intervenire, come su alcuni aspetti, tra i quali, ad esempio, quello che riguarda il Patto di stabilità delle regioni, per migliorare il provvedimento, renderlo più efficiente, più adeguato, più utile alla fine di questo percorso. Tuttavia, vorrei svolgere un'altra considerazione, perché avendo presentato un emendamento specifico e poi sottoscritto altri emendamenti sulle questioni che sto per affrontare, credo sia utile argomentare in qualche modo le proposte emendative e sottoporle all'attenzione dell'Aula. Mi riferisco al tema dei consorzi e a quello della montagna. Su quest'ultimo non mi soffermo molto perché è stato ampiamente approfondito, ma parto da una considerazione che riguarda la regione dalla quale provengo, il Piemonte. Questa regione ha 1.206 comuni, 4 milioni 400 mila abitanti, due terzi del territorio sono o collinari o di montagna, tant'è vero che ci sono 22 comunità montane - attenzione, sono 22, perché sono state dimezzate dopo le previsioni dell'ultima legge finanziaria del centrosinistra, fra l'altro - quindi abbiamo 22 comunità montane per 533 comuni, 27 comunità collinari, qualche decina di unioni di comuni. Questo per dire che in una regione come il Piemonte, che ha queste caratteristiche territoriali, è fondamentale che gli strumenti di collaborazione fra i comuni, di associazione e di consorziamento per far fronte alle funzioni che devono essere affrontate, non siano limitati, ma semmai rafforzati. Bisognerebbe che la legislazione statale evitasse di intervenire in modo generalizzato, ma si ponesse il problema di esaminare le situazioni dei territori e, semmai, incentivasse i territori che fanno meglio. A questo proposito, sempre per citare la mia regione, voglio sottolineare il fatto che in Piemonte esistono i consorzi per la gestione dei servizi socio-assistenziali.
È un'esperienza di grande importanza che, abbinata al fatto che la regione negli ultimi due anni ha ridimensionato il numero delle ASL, consente una collaborazione tra il settore socio-assistenziale e quello sanitario in modo utile per utilizzare al meglio le risorse a favore dei cittadini. Nella mia regione esiste una legge regionale relativa alla gestione del ciclo dei rifiuti con il consorzio obbligatorio tra i comuni, con i consorzi di bacino, con le autorità territoriali ottimali che stanno funzionando per far fronte ad una problematica importante come questa. Tale problematica richiede collaborazione tra gli enti, strategie di intervento sovracomunali, programmazioni adeguate e risorse necessarie. Sul consorziamento dei comuni si interviene in modo grezzo, come fa questo decreto-legge e come, d'altronde, era già stato fatto con i provvedimenti precedenti. A tal proposito non vorrei sbagliarmi perché poi i maxiemendamenti dell'ultimo momento magari possono anche richiedere una lettura più approfondita, ma mi pare che l'unica eccezione inserita nel testo conclusivo sia quella dei bacini imbriferi montani. Pag. 67Quindi, il problema dei consorzi di funzioni c'è, rimane aperto e va affrontato e risolto certamente con il codice delle autonomie (cioè nella sede giusta), attraverso cui questa materia potrà essere affrontata in modo meditato.
In conclusione, penso che non ci sia un vantaggio reale in questa materia dal provvedimento proposto alla nostra attenzione. Non c'è un vantaggio certamente in termini di risparmio perché non si capisce il personale che oggi è addetto a queste strutture come possa essere riutilizzato in modo efficace. Vi è, inoltre, uno svantaggio per i piccoli comuni, che non sarebbero in grado di far fronte alle esigenze che hanno davanti e non è affrontato in modo giusto il tema dei costi della politica, che rappresenta un problema reale e vero. Penso che questo problema si debba affrontare certamente con la collaborazione del sistema degli enti locali, delle regioni e, fra l'altro, ricordo che nel 2007 ci fu un patto con le regioni e il Governo per andare in quella direzione. Certamente lo si potrebbe affrontare meglio con il consenso più ampio di tutti i livelli istituzionali nel momento in cui terminassero gli sprechi della legislazione emergenziale e gli sprechi di certe consulenze ministeriali. Tali sprechi ci fanno pensare che, a fronte di quello che si risparmia con qualche misura di corto respiro inserita nel decreto-legge, ben altri sarebbero i risultati possibili. Mi riferisco, soprattutto, ai risultati che darebbero al Paese il senso che si affrontano in modo serio il tema dei costi della politica e la seria questione di una riforma istituzionale complessiva. Penso che le sedi per fare ciò debbano essere il codice delle autonomie; il confronto che si deve aprire sui decreti legislativi di attuazione del federalismo fiscale; un tavolo possibile e concreto sulle riforme istituzionali che servono al Paese.
In questo provvedimento, come in altri, non vediamo logicamente e ovviamente niente di tutto questo, ma molta propaganda in vista delle elezioni. Ci auguriamo che veramente queste elezioni possano dare anche le sorprese utili per fare in modo che si cambi finalmente rotta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi per l'illustrazione degli emendamenti. Il seguito dell'esame del provvedimento è rinviato alla seduta di domani, con lo svolgimento, a partire dalle ore 11, delle dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia, con ripresa televisiva diretta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 4 marzo 2010, alle 10,45:

Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (3146-A).
- Relatori: Calderisi, per la I Commissione; Bitonci, per la V Commissione.

La seduta termina alle 18,50.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 3097-B - voto finale 492 462 30 232 460 2 52 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.