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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 292 di martedì 2 marzo 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 10,10.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 25 febbraio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brancher, Brugger, Cirielli, Gibelli, Lo Monte, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Molgora, Nucara, Pescante, Sardelli, Scajola, Stucchi, Tabacci e Vegas sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantatre, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 3097-B) (ore 10,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3097-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni III (Affari esteri) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il vicepresidente della III Commissione, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario Mantica, Pag. 2rispetto alle considerazioni già svolte ieri in Commissione, mi limiterò ad esporre le novità introdotte nel testo del decreto-legge in oggetto nel corso dell'esame presso il Senato, relativamente alle parti di competenza della III Commissione (Affari esteri).
Tuttavia, prima di procedere nell'illustrazione del provvedimento e tenendo conto che le novità normative di cui darò conto riguardano la missione italiana in Afghanistan, mi preme, a nome dei colleghi della Commissione affari esteri e - così come è avvenuto ieri - di quelli della Commissione difesa, rinnovare il cordoglio per la morte del funzionario italiano Pietro Antonio Colazzo, ucciso a Kabul in un attentato suicida in cui hanno trovato la morte numerosi civili, per lo più di nazionalità indiana.
Al riguardo, gli organi di informazione hanno dato conto del fatto che il dottor Colazzo, in quelle terribili circostanze, sarebbe riuscito a salvare la vita di almeno quattro altri nostri connazionali presenti nell'edificio, più volte, colpito dalle granate degli attentatori.
Richiamando le parole del Capo dello Stato sulla necessità di un impegno risoluto per sconfiggere il terrorismo, mi sta a cuore sottolineare, in questa sede, il particolare valore del nostro connazionale che, mettendo a repentaglio la propria vita, ha contribuito con professionalità e senso dello Stato allo sforzo che accomuna sul terreno afgano, ognuno con il proprio imprescindibile apporto, militari, diplomatici, cooperanti e funzionari dei servizi, nell'obiettivo prioritario della lotta contro il terrorismo internazionale e per la nostra sicurezza.
Tuttavia, in ragione della rilevanza del tragico episodio e della circostanza che vede modificato lo stanziamento relativo alla missione italiana in Afghanistan, ribadisco l'auspicio, già espresso ieri in Commissione, che il rappresentante del Governo possa fornire, già in questa sede, ulteriori elementi in ordine alle circostanze di tale attentato ed indicare una chiave di lettura nel quadro del delicato contesto politico regionale.
Le mie ulteriori considerazioni servono a confermare che le missioni internazionali rappresentano oggi un fondamentale strumento di solidarietà internazionale, oltre che di politica estera, cui si ricorre anche nei casi in cui le situazioni di crisi non abbiano tra le proprie cause soltanto le colpe dell'uomo. Mi riferisco all'autorizzazione di spesa, disposta con il nuovo comma 15-bis dell'articolo 5 del decreto-legge, per l'invio fino al 30 giugno 2010 di personale dell'Arma dei carabinieri nell'ambito della missione delle Nazioni Unite in Haiti, denominata United Nations Stabilization Mission in Haiti (MINUSTAH), in relazione alla grave situazione interna determinatasi dopo il sisma del 12 gennaio scorso.
Ricordo che la missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti è una missione di peace-keeping stabilita dal Consiglio di sicurezza il 30 aprile 2004 con la risoluzione n. 1542. Operativa dal maggio 2004, la missione si è resa necessaria dopo la destituzione del Presidente Aristide da parte di truppe di ribelli, per garantire una transizione democratica del Paese.
Il mandato della MINUSTAH è di aiutare il Governo di transizione nazionale nel mantenere l'ordine e la legge nel Paese, garantire libere e democratiche elezioni, nonché proteggere il personale delle Nazioni Unite impegnato in progetti umanitari.
Segnalo che per l'invio del citato contingente è autorizzata la spesa di 2.679.906 euro, finanziata mediante corrispondente riduzione delle risorse stanziate dall'articolo 5, comma 17, per interventi urgenti o acquisti e lavori da eseguire in economia, disposti nei casi di necessità ed urgenza dai comandanti dei contingenti militari in Afghanistan. Al riguardo, ritengo opportuno che il Governo fornisca chiarimenti in ordine a come si intende fare fronte a tale significativa riduzione di risorse in un contesto ad impegno crescente - secondo quanto hanno confermato in questi giorni i Ministri degli esteri e della difesa - quale è l'Afghanistan.
Vorrei ricordare che ieri, nelle Commissioni riunite III e IV, è stata bocciata Pag. 3una proposta emendativa volta a ripristinare lo stanziamento in Afghanistan, relativamente agli interventi straordinari di emergenza. A quanto mi risulta, la proposta emendativa è stata già ripresentata in Aula ed io ritengo che, come sempre è avvenuto in termini di politica estera, tra maggioranza e opposizione si debba stabilire un filo, un colloquio, un dialogo, al fine di trovare la soluzione; a mio avviso, infatti, questo è un punto importante.
Prima di tornare alla situazione di Haiti, desidero esprimere grave preoccupazione per quanto sta attraversando in questi momenti il Cile, colpito anch'esso da un fortissimo terremoto in una sorta di crescente susseguirsi di calamità naturali, foriere di dolore e disperazione su scala enorme. Per inciso, colgo l'opportunità offerta dalla presenza del sottosegretario Mantica, il quale ha le deleghe per gli italiani all'estero, per ricordare anche che in quel Paese vive una numerosissima comunità italiana.
Tornando, quindi, alla situazione di Haiti, mi preme segnalare qual è la situazione del Paese dopo il sisma. L'estrema povertà di Haiti, il Paese più povero e più densamente popolato del continente americano e dell'intero emisfero occidentale, fa sì che quattro quinti della sua popolazione vivano sotto la soglia di povertà ed oltre la metà addirittura in condizioni di estrema indigenza. Considerato che circa il 45 per cento della popolazione è costituita da bambini e ragazzi, due terzi della popolazione rimane dipendente da un'agricoltura fondamentalmente di sussistenza, esposta ai danni causati da frequenti disastri naturali, che la cronica deforestazione del Paese non fa che aggravare. Il bilancio non ancora definitivo del sisma è di almeno 212 mila morti e 300 mila feriti. Oltre un milione i senzatetto. Sono circa 1,8 milioni i bambini nelle zone coinvolte dal disastro, numerosi quelli sopravvissuti ai propri genitori.
Dopo la fase dell'emergenza, focalizzata sul salvataggio dei superstiti e sull'allestimento delle infrastrutture di rifugio, la comunità internazionale sta fronteggiando la gestione degli enormi bisogni di un'immensa popolazione rimasta priva di tutto e completamente dipendente dagli aiuti internazionali. Non vi è dubbio che il presupposto affinché ad Haiti possa avere avvio la ricostruzione è garantire un flusso costante di risorse economiche e di aiuti dall'estero.
Ritengo doveroso, signor Presidente, sottolineare che sin dalle prime ore dopo il sisma la diplomazia italiana si è attivata per acquisire informazioni e organizzare le prime operazioni di soccorso, mantenendo uno stretto coordinamento con le Nazioni Unite e con le agenzie umanitarie dei principali Paesi occidentali, in particolare quelli dell'Unione europea, al fine di garantire una risposta coerente e unitaria.
Lo scorso 10 febbraio, presso la Commissione affari esteri, si è svolta l'audizione del sottosegretario Scotti - e, quindi, non mi soffermo sui contenuti - riguardante le iniziative di soccorso promosse dall'Italia. Mi preme segnalare, tuttavia, che il Governo ha annunciato di volere accelerare le procedure per azzerare il debito complessivo residuo di Haiti, pari a 40,43 milioni di euro. In particolare, è stata annunciata come imminente la sigla di un accordo bilaterale finalizzato in tal senso.
Auspicando che il rappresentante del Governo possa segnalare già in questa sede progressi concreti in tale direzione, desidero anche a nome dei colleghi esprimere la piena disponibilità della III Commissione ad un celere iter di esame del disegno di legge di ratifica dell'accordo non appena esso sarà trasmesso al Parlamento.
Nel ribadire la particolare urgenza e gravità della condizione dei bambini di Haiti, mi preme dare conto, infine, del lavoro svolto dalla Commissione italiana per le adozioni internazionali che ha programmato una serie d'interventi immediati, per un milione di euro, al fine di: agevolare i ricongiungimenti dei bambini con i familiari dispersi o feriti, finanziando il progetto di Save the children; assicurare assistenza sanitaria, igienica e di sopravvivenza per 20.000 famiglie con Pag. 4bambini, assistite dalla Caritas di Haiti, finanziando il progetto della Caritas italiana; assistere i bambini ospiti in orfanotrofi o in strutture temporanee allestite dall'UNICEF.
Alla luce di quanto finora illustrato, signor Presidente e signor rappresentante del Governo, e rinviando all'esposizione del relatore per la IV Commissione, onorevole De Angelis, per gli aspetti di competenza della Commissione difesa, auspico una considerazione favorevole del provvedimento da parte dei colleghi (Applausi).

PRESIDENTE. Il relatore per la Commissione difesa, onorevole De Angelis, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARCELLO DE ANGELIS, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, il disegno di legge n. 3097-B di conversione del decreto-legge n. 1 del 2010 torna all'esame della Camera in seconda lettura, pertanto anche l'esame della Commissione difesa si è limitato alle parti del testo modificate dal Senato.
La modifica più importante, come già sottolineato dal relatore per la III Commissione, riguarda l'invio di unità dell'Arma dei carabinieri nella missione MINUSTAH dell'ONU ad Haiti. In proposito, va aggiunto che si tratta di un contingente di 130 carabinieri, come precisato dal comunicato stampa del Consiglio dei ministri del 19 febbraio 2010, sebbene ieri (e di questo chiedo conferma al rappresentante del Governo) il rappresentante del Governo in Commissione, il sottosegretario Crosetto, parlasse di 120 unità.
L'Italia ha già preso parte alla missione MINUSTAH dal 15 marzo 2008 al 30 giugno 2009. Come ricordato dal relatore per la III Commissione, per l'invio del citato contingente è autorizzata la spesa di 2.679.906 euro, finanziata mediante corrispondente riduzione delle risorse stanziate dall'articolo 5, comma 17, per interventi urgenti o acquisti e lavori da eseguire in economia, disposti nei casi di necessità ed urgenza dai comandanti dei contingenti militari in Afghanistan.
A tale riguardo, come già menzionato, è stato presentato in Commissione difesa un emendamento volto al ripristino dei fondi stornati dalla missione in Afghanistan. In qualità di relatore, ho invitato i firmatari di quell'emendamento a ritirarlo e a trasformarlo in un ordine del giorno, perché ritengo che il contenuto sia assolutamente condivisibile e che quei fondi, che sono destinati prioritariamente a interventi di cooperazione civile e militare, siano in realtà uno degli strumenti più efficaci, efficienti e fondamentali delle nostre missioni all'estero. Infine, i firmatari hanno ritenuto opportuno votare quell'emendamento e, come ricordava il relatore per la Commissione Esteri, si è giunti ad un voto contrario, che è stato motivato - come sarebbe motivato in Aula - con la necessità di non dilungare ulteriormente i tempi di esame di questo decreto-legge che scadrà l'8 marzo. Si tratta di un provvedimento estremamente importante di interesse nazionale, nonché di interesse per i nostri cittadini in divisa impegnati nelle missioni all'estero, quindi non abbiamo ritenuto opportuno rischiare che si potessero dilungare ulteriormente i tempi.
Intendo ricordare che l'Italia è presente nell'area di Haiti anche con la missione umanitaria White Crane, che non è oggetto di autorizzazione legislativa, in quanto, come precisato dal rappresentante del Governo nella seduta della Commissione difesa della Camera dei deputati dello scorso 10 febbraio, in risposta al question time n. 5-02456 Fava, l'intervento della nave Cavour «si inserisce nell'ambito della tipologia degli interventi di soccorso umanitario per i quali è previsto, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2005, n. 90, l'esercizio del potere d'ordinanza da parte del Presidente del Consiglio dei ministri».
La missione consiste nell'invio di circa 900 unità imbarcate sulla portaerei Cavour, con lo scopo di concorrere alle attività di ricostruzione e di soccorso delle popolazioni colpite dal sisma. Nella missione sono coinvolte, oltre alla portaerei Cavour con l'equipaggio di circa 500 uomini, una task force di genio di livello compagnia, un plotone di force protection, un plotone trasmissioni, 15 mezzi ruotati Pag. 5e cingolati per il movimento terra, 20 autoribaltabili, 5 autogru, 6 elicotteri medi e personale sanitario.
Rammento, peraltro, che un riferimento indiretto alla missione White Crane è presente all'articolo 7, comma 1, del presente decreto-legge, laddove si prevede che le disposizioni in materia penale si applicano anche alle missioni militari per il sisma di Haiti del 12 gennaio 2010 e, quindi, alla missione White Crane.
Le ulteriori modifiche introdotte al Senato sono state inserite all'articolo 9. In particolare, si riferiscono alle disposizioni in materia di riserva dei posti a concorso per familiari di militari e di personale delle forze di polizia deceduti in servizio, nonché per gli allievi di alcune istituzioni di assistenza per i familiari degli orfani di appartenenti alle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri.
Le lettera b) del comma 1 del citato articolo è stata modificata prevedendo l'applicazione della riserva di posti non solo per il reclutamento degli ufficiali dei ruoli normali e speciali dell'Arma dei carabinieri, ma anche per quello degli ufficiali delle forze di polizia ad ordinamento militare e del corrispondente personale delle forze di polizia ad ordinamento civile. Per questi concorsi la riserva di posti riguarda: il coniuge e i figli superstiti, ovvero i parenti in linea collaterale di secondo grado, qualora unici superstiti, e il personale delle Forze armate, ivi compreso quello dell'Arma dei carabinieri e delle forze di polizia, deceduto in servizio e per causa di servizio, in possesso dei requisiti prescritti.
Il Senato ha poi modificato la lettera c), disponendo che la riserva di posti ivi prevista vale per il personale del ruolo degli ispettori di tutte le forze di polizia e non solo per il corrispondente ruolo dell'Arma dei carabinieri, come invece era previsto nel testo approvato dalla Camera.
Il Senato ha conseguentemente modificato il comma aggiuntivo 1-bis dell'articolo 9, disponendo che la sopraccitata riserva dei posti si applica a beneficio dei diplomati presso le scuole militari e degli assistiti dall'Opera nazionale di assistenza per gli orfani dei militari di carriera dell'Esercito italiano, dell'Istituto Andrea Doria per l'assistenza dei familiari e degli orfani del personale della Marina militare, dell'Opera nazionale figli degli aviatori in possesso dei requisiti prescritti e, come ha aggiunto la Camera, dell'Opera nazionale di assistenza per gli orfani dei militari dell'Arma dei carabinieri in possesso dei prescritti requisiti, soltanto limitatamente ai ruoli di sottufficiali delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri, come peraltro già previsto, sebbene con diversa formulazione, nel testo approvato dalla Camera.
Sempre in materia di riserva di posti è stato modificato l'articolo 9, comma 1-ter, estendendo la riserva dei posti messi a concorso per l'ammissione alla carriera di funzionario di pubblica sicurezza, di cui all'articolo 1, quinto comma, della legge 20 dicembre 1966, n. 1116, non solo al coniuge ovvero ai parenti in linea collaterale di secondo grado, qualora unici superstiti, del personale della pubblica sicurezza, dell'Arma dei carabinieri e della guardia di finanza deceduti in servizio e per causa di servizio, ma anche ai medesimi congiunti del corrispondente personale delle Forze armate.
Segnalo che il contenuto di tale disposizione, attraverso il richiamo all'articolo 1, quinto comma, della legge 20 dicembre 1966, n. 1116, già citato, facendo riferimento al ruolo della Polizia di Stato equiparabile a quello degli ufficiali delle Forze armate appare, in realtà, assorbito da quello di cui al comma 1, lettera b), del medesimo articolo.
Il Senato ha inoltre introdotto un nuovo comma 2-bis all'articolo 9. La disposizione consente agli istituti di formazione dipendenti dal Ministero della difesa di continuare ad avvalersi, con convenzioni annuali, di docenti civili, in considerazione delle esigenze connesse con la formazione e l'addestramento del personale impiegato nelle missioni internazionali.
Il Senato ha, infine, modificato l'articolo 9, comma 4, in materia penale, prevedendo che anche al personale delle forze di polizia si applichi la disposizione secondo Pag. 6cui, se da esso non poteva attendersi un comportamento diverso da quello tenuto, debba escludersi la sua punibilità a titolo di colpa per violazione di disposizioni in materia di tutela dell'ambiente e tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro. Nel testo originale la disposizione escludeva la punibilità solo per gli appartenenti alle Forze armate, dai quali non poteva attendersi un comportamento diverso.
Va menzionato, perché sicuramente riemergerà nel dibattito, che in Commissione alcuni colleghi dell'opposizione - ma era già avvenuto in precedenza - avevano ritenuto vago o non sufficientemente esplicito il testo del comma 4 in questione, laddove si riferisce a fatti commessi nell'espletamento del servizio connesso ad attività operative o addestrative svolte nel corso di missioni internazionali, ritenendo che questa non punibilità potesse anche estendersi a fatti commessi fuori dal teatro operativo, ma in servizi addestrativi connessi poi alla preparazione delle missioni.
Il Governo ha chiarito ulteriormente ieri nel dibattito in Commissione che il testo è assolutamente chiaro nel ricondurre queste attività solo e unicamente alle missioni internazionali e quindi a quelle svolte nel teatro operativo. Mi limito a ribadire, in conclusione, come già espresso ieri da tutti i membri della Commissione difesa, le dovute condoglianze ai familiari del nostro concittadino ucciso a Kabul in un grave atto terroristico, Pietro Antonio Colazzo, e mi associo anche alla richiesta, già formulata in Commissione esteri e in Commissione difesa al Governo, che vengano fornite all'Aula ulteriori informazioni sull'accaduto e sullo svolgimento dell'attentato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intervengo adesso se non vi sono iscritti. Intendo replicare e darò anche qualche informazione, come richiesto dai relatori, circa gli avvenimenti di Kabul.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, il Governo può intervenire, ma ci sono iscritti a parlare nella discussione sulle linee generali.

PRESIDENTE. Il Governo può intervenire adesso e anche in replica. Non sapevo se il rappresentante del Governo volesse intervenire anche in questa fase.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, vorrei intervenire adesso prima di tutto perché ci sono due argomenti che vanno precisati da parte del Governo e che riguardano l'articolato della legge, e poi perché mi sembrava opportuno svolgere adesso un'informativa sui fatti di Kabul, anche perché questo potrebbe eventualmente aprire un dibattito durante la discussione sulle linee generali con il Governo che eventualmente si riserva alla fine di fare le sue considerazioni.
Per quanto riguarda la missione ad Haiti, che mi pare quella politicamente più rilevante tra le modifiche apportate al testo da parte del Senato, sono 130 uomini quelli che inviamo ad Haiti. Vorrei ricordare che sono inquadrati in una missione di 500 uomini che fa parte comunque di MINUSTAH (quindi esattamente quanto è stato detto) di gendarmeria europea. Ricordo, cioè, che, assieme ai 130 carabinieri italiani, c'è un contingente più o meno analogo francese e altri contingenti di Paesi dell'Unione europea che partecipano a questa missione con i compiti che sono stati qui definiti.
Per quanto riguarda la copertura, vorrei innanzitutto fare un distinguo. Si parla, giustamente, di cooperazione, ma il relatore della Commissione difesa ha anche precisato che si tratta di cooperazione militare, ossia quella gestita dal CIMIC (tanto per intenderci), il che vuol dire che non tocca assolutamente fondi della cooperazione che possiamo chiamare «civile» o, meglio ancora, quella gestita dal Ministero degli affari esteri. Come è stato precisato dal sottosegretario Crosetto ieri nel corso del dibattito che si è svolto in Commissione, è stata trovata una copertura Pag. 7usando questi fondi che sono gestiti direttamente dai comandi militari sul campo in Afghanistan.
Ringrazio la sensibilità del presidente della Commissione difesa che ha chiesto di ritirare un emendamento che avrebbe causato solo un ritardo. Se qualcuno poi ritiene di presentare un ordine del giorno, il Governo a tal proposito già dichiara che lo accetterà, perché vi è un impegno del Governo a recuperare questi fondi insieme al Ministero dell'economia e delle finanze il più presto possibile, ma - torno a ribadirlo - per quanto riguarda la cooperazione CIMIC, cioè quella gestita direttamente dai militari sul posto.
Per quanto riguarda la vicenda di Kabul, che ovviamente si inserisce nel quadro e nel contesto del dibattito che stiamo svolgendo, il Governo ha qualche osservazione da aggiungere alle notizie. Ovviamente, si tratta di una questione che è ancora oggetto di indagine. Voglio ricordare che l'autopsia del nostro concittadino Colazzo è stata effettuata ieri e che, per esempio, le prime informative secondo le quali il nostro rappresentante dei servizi era stato colpito da granata si sono dimostrate non vere.
Quindi, la prima versione fornita sulla base delle informazioni acquisite in loco viene non dico smentita, ma aggiornata in seguito all'autopsia, secondo la quale sarebbe stato colpito da tre colpi di pistola.
Quindi, si tratta a questo punto di ricostruire esattamente, sulla base anche dell'autopsia, la vicenda. Non a caso, il Governo informa che, giovedì 4 marzo alle ore 8, presso il COPASIR il generale Adriano Santini, che è il direttore dell'AISE, riferirà molto più precisamente di quanto può fare il Governo in questo momento sulle vicende.
Credo che i fatti di Kabul e la morte di Colazzo debbano oggi fornire l'occasione per capire forse meglio quale situazione stiamo vivendo in questo momento in Afghanistan. Quello che è stato effettuato è un attacco in continuità con altri attentati. Ricordo quello del 18 gennaio nel centro di Kabul, quando vi era stato un attacco con modalità complesse, cioè con una articolata struttura, con impiego di autobomba, attentatori suicidi e uomini armati; alcuni uffici governativi non sono stati interessati dall'attacco di venerdì, ma questo dimostra che l'attacco al cuore della città di Kabul - e quindi ai centri del potere - è ormai una tecnica abbastanza consolidata.
Evidentemente, la risposta che viene portata dai talebani si sposta dal terreno militare vero e proprio, dove stanno operando le truppe ISAF, sopratutto nella regione di Helmand, ed è probabilmente - si tratta di una interpretazione - una risposta direttamente legata all'arresto di Abdul Ghani Baradar, ritenuto da molti il numero due del Mullah Omar; ciò, secondo le truppe ISAF e i nostri comandi militari, dimostra che, evidentemente, è in atto un forte sgretolamento delle organizzazioni talebane.
Pertanto, l'attacco di venerdì potrebbe dimostrare, da un lato, la continua capacità offensiva in termini terroristici, ma anche la loro debolezza di fronte agli attacchi militari che, in questo momento, stanno ottenendo risultati estremamente importanti nella zona di Helmand.
La seconda osservazione, citata dal relatore nel fare questa richiesta, è che molti dei caduti nell'attacco all'albergo sono indiani. Si rinnova la convinzione - peraltro il Governo italiano la esprime da tempo, che, all'interno della lotta al terrorismo che la comunità internazionale sta intraprendendo in Afghanistan, vi è una situazione di difficoltà e di complessità regionale che interviene e determina alcune situazioni.
Credo siano note a tutti le accuse che Pakistan e India si scambiano. L'India viene ritenuta dai pakistani lo sponsor per quanto riguarda l'alleanza del nord, cioè i tagiki. L'India, da parte sua, insieme a buona parte della comunità internazionale, ritiene che i pakistani legati da legami tribali, linguistici e di costume religioso con i pashtun, sia invece schierata dalla parte dei pashtun stessi. Quindi, direi che la complessità dell'attacco portato soprattutto laddove erano presenti indiani e rappresentanti dell'India anche Pag. 8operanti nella cooperazione civile, dimostra che questa vicenda è molto più complessa di quanto non appaia. Il Governo italiano ribadisce questo nella convinzione che in Afghanistan vi sia un problema anche regionale e non solo di lotta al terrorismo, come stiamo affermando da più tempo. Non a caso è stata organizzata una conferenza a Trieste nel quadro della presidenza del G8 del Governo italiano in cui erano stati invitati tutti i paesi confinanti con l'Afghanistan nella convinzione profonda che solo una forte determinazione e una alleanza tra la comunità internazionale e i paesi dell'area (il problema è anche regionale) può determinare un fenomeno di stabilità e di sicurezza in Afghanistan.
Questo lo ribadiamo perché è in questo spirito poi che si è svolta la conferenza di Londra. Sono state prese le decisioni che certamente tutti voi conoscete per quanto riguarda Londra. Un'ultima osservazione da parte del Governo che emerge da questo attentato a Kabul, costato un'altra vittima all'Italia, è che ancora una volta si dimostra che le forze militari e di polizia afgana - alle quali viene dedicato il massimo dell'attenzione da parte della comunità internazionale per la loro formazione, il loro inquadramento e il loro addestramento - hanno risposto al meglio.
Sono stati in grado di bloccare sia l'attacco che era stato portato il 18 gennaio nel centro di Kabul contro gli obiettivi governativi, sia ancora venerdì scorso l'attacco che è stato portato all'albergo dove risiedevano in gran parte i rappresentanti della comunità indiana.
Queste sono le osservazioni e le notizie. Nello specifico, lo ripeto, dall'autopsia di ieri sono emerse nuove valutazioni. Rimando a chi è più direttamente informato, come il generale Santini, nell'audizione che avverrà il 4 marzo al COPASIR perché il Parlamento e la pubblica opinione italiana siano informati in dettaglio sui fatti specifici che hanno visto la morte del dottor Colazzo.

PRESIDENTE. Desidero chiarire che le notizie che ha fornito il sottosegretario, su sollecitazione tra l'altro dei relatori, tecnicamente non si possono ritenere un'informativa. È chiaro che i gruppi, nel momento in cui avranno intenzione di approfondire, avranno a disposizione le normali forme regolamentari per poter accedere ad eventuali ulteriori approfondimenti o ad altri interventi da parte del Governo. In ogni caso siamo sempre nella fase della discussione sulle linee generali per cui è possibile riprendere le notizie che egli ha fornito.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, mi preme innanzitutto manifestare il cordoglio per la morte del dottor Pietro Antonio Colazzo, definito dalla stampa come un nostro 007; a me piace e ritengo sia giusto ritenerlo un operatore di pace che ha sacrificato la propria vita per la sicurezza e la pace. Credo che in questa dimensione sia meglio definita la posizione e la presenza di questo nostro operatore di pace, anche perché coglie meglio lo spirito delle nostre missioni e della nostra presenza a livello internazionale. Giungano ai familiari le condoglianze più vive mie e del mio gruppo.
Evidentemente quanto detto dal sottosegretario Mantica introduce il tema, ma credo che non basti che si vada al COPASIR per chiarire e ricostruire; è necessario che si venga anche in Aula a chiarire e riferire interamente e compiutamente all'intero Parlamento o almeno a questo ramo. Detto questo credo che, sul tema delle missioni, ormai siamo tutti convinti che siano uno strumento fondamentale e insostituibile di pace, di sicurezza, di libertà ma anche di emancipazione per le popolazioni presso le quali siamo impegnati. Credo che sia un elemento fondamentale e dirimente della nostra presenza e anche del nostro dibattito in quest'Aula, anche se siamo costretti a più riprese a riprendere un tema che dovrebbe avere una sua logica conclusione a breve termine. Credo che il tema delle missioni internazionali meriti una propria dimensione Pag. 9autonoma, in termini sia politici che istituzionali. Al contrario, si propongono deroghe e proroghe delle stesse e molto spesso, anzi quasi sempre per quello che mi ricordo in quest'Aula e nelle Commissioni, ciò avviene attraverso la presenza di norme intruse che spesso impoverisce i contenuti e soprattutto impoverisce il dibattito.
Il Governo, più volte sollecitato da noi a riferire e soprattutto a confrontarsi in Parlamento, fa orecchie da mercante e questo è triste, perché vi è una sottovalutazione dell'Aula e dei parlamentari, di maggioranza ed opposizione, spesso destinati ad un ruolo residuale di mera ratifica; il che non è proprio il compito e il ruolo che ci hanno assegnato coloro i quali ci hanno eletti in Parlamento. Rispetto a questo tema dovremmo avere un atteggiamento anche più coraggioso, come parlamentari singolarmente considerati e come rappresentanti dei singoli partiti, al di là delle presenze in Aula.
Eppure - lo voglio ricordare - dopo la Conferenza di Londra il Governo avrebbe dovuto sentire forte il dovere istituzionale di venire in Parlamento non solo e non tanto a riferire, quanto a definire un proprio profilo nella prospettiva di medio termine, negli scenari in cui siamo concretamente impegnati. Tuttavia, ancora una volta, come dicevo poc'anzi, il Parlamento e le opposizioni vengono mortificati, perché sono svuotati di ruolo e funzioni dal momento che il dibattito e le comunicazioni avvengono ancor prima sui mass media, che spesso definiscono anche la linea che il Governo deve portare avanti.
A cosa servono, allora, la collegialità e il senso di responsabilità che noi opposizioni mostriamo e che ci vengono chiesti e riconosciuti dal Governo? A passare la nottata, come diceva Eduardo De Filippo, ossia a superare lo scoglio dell'ennesima proroga? Credo che se è questo ciò che ci chiedete, è ben poca cosa e non meritiamo questo atteggiamento e questa presa in carico di pseudo-responsabilità. Ritengo, invece, che sia importante alimentarsi della presenza delle opposizioni, perché è utile poi far sentire complessivamente la presenza dello Stato attraverso l'intero Parlamento e non solo una parte di esso, pur essendo la stessa maggioritaria. Credo che non possa e non debba essere questa la cifra di un vero e qualitativo rapporto parlamentare.
In questo momento, con riferimento alle situazioni delle missioni internazionali, due appuntamenti politici, due passaggi parlamentari sono urgenti e non più rinviabili. Il primo è un dibattito in Aula, con diretta televisiva, sullo stato dell'arte delle missioni e sulle loro prospettive, proprio in virtù di quanto è accaduto a Londra e delle decisioni che sono state assunte in quel contesto, nonché sulle indicazioni emerse soprattutto dai percorsi e dalle traiettorie tracciate e condivise, Italia compresa, dal segretario della NATO, Rasmussen, che ha detto che è ora di riconsegnare agli afgani il proprio destino, di incalzare il Governo Karzai nell'assumersi la responsabilità nella lotta al malaffare, alla corruzione e di cominciare ad immettere delle pillole di democrazia in quel contesto.
Il secondo passaggio, che chiediamo da tempo e penso che questa sia l'ultima occasione nella quale lo sollecitiamo, è quello dell'approvazione, entro giugno 2010, della legge quadro sulle missioni internazionali. Su questo tema abbiamo dimostrato tutti la stessa convergenza, abbiamo detto tutti quanti che non possiamo più aspettare. Sono state portate a termine le audizioni, le inchieste, le indagini conoscitive; maggioranza ed opposizione hanno fornito importanti contributi in termini propositivi. Sono state presentate tre proposte di legge che si possono unificare con la volontà di chiudere il cerchio ed approvare immediatamente, dopo le elezioni regionali, un testo che ci ricomprenda tutti e che finalmente ci faccia ritrovare insieme, piuttosto che farci trovare a posteriori, a cose fatte sulle scelte così importanti che riguardano la cifra e la cultura della nostra Nazione e del nostro Stato.
Sulle modifiche apportate al testo non mi soffermo, se non per segnalare un Pag. 10paradosso ed una contraddizione. Il paradosso è che l'emendamento a firma del collega Cicu che riguardava il sostegno agli interventi per Haiti è stato ritenuto inammissibile in questo ramo del Parlamento per poi trovare accoglienza, invece, al Senato, ma questi sono i misteri delle istituzioni, non sarà un mistero glorioso, ma sicuramente un mistero di queste istituzioni!
Il secondo elemento che voglio segnalare è una contraddizione, veramente madornale, di cui non si vuole prendere atto, che si vuole tacere e far passare in sordina. Si dice di voler rafforzare presenze e risorse in Afghanistan e poi a questa missione si tolgono oltre due milioni e mezzo di euro. Credo che non sia serio, anche se ciò accade per un'altra causa, altrettanto giusta e altrettanto urgente, qual è il sostegno ad Haiti dopo il terremoto.
Penso che queste missioni non debbano rappresentare, secondo alcuni o secondo una parte della maggioranza, un atto dovuto, perché non sono un atto scontato. Tutto va letto e rivisto nel suo divenire, collocando la nostra presenza e quella dei nostri operatori di pace impegnati nelle missioni all'interno di una strategia chiara, intelligibile, che in tempi certi ci consenta, come in Afghanistan, di riconsegnare agli afgani e al loro Governo il proprio destino.
Per questo motivo voglio anche ricordare che ogni qual volta succede qualcosa negli scenari in cui siamo impegnati (e ultimamente riguardano quasi sempre l'Afghanistan) e quando parliamo di missioni internazionali pensiamo esclusivamente all'Afghanistan. Tuttavia, voglio invitare i colleghi a pensare che all'interno di questo scenario facciamo cose importanti in ogni parte del mondo, laddove ci sono situazioni per le quali bisogna impegnarsi per la stabilizzazione, la ricostruzione e gli sforzi umanitari, come facciamo egregiamente in Afghanistan. I nostri sforzi, peraltro, sono riconosciuti a livello internazionale e lì diamo la cifra della nostra presenza, della nostra cultura e del nostro senso dello Stato. Credo che su questo aspetto dovremmo impegnarci maggiormente e meglio.
Chiedo al Governo di metterci in condizione di essere conseguenti rispetto alle scelte fatte. In quest'ultimo periodo abbiamo operato da una posizione di attenzione importante e non scontata rispetto alle missioni internazionali, le quali ci hanno portato anche a definire una posizione di disponibilità e di apertura. Credo, quindi, che bisogna prendere atto di questo aspetto. Tuttavia, ci troviamo di fronte ad alcune indisponibilità del Governo e del Ministro, in quanto aspetto da sette, otto mesi delle risposte importanti ad una mia interrogazione relativa alla missione ISAF in Afghanistan. Crediamo, dunque, che non ci sia un atteggiamento serio e responsabile, ma preclusivo.
Si chiedeva - e si continua a chiedere perché non ho ricevuto risposta - se la missione italiana corrisponda ancora a quella originaria che opera su tre direttrici: ricostruzione, stabilizzazione e addestramento. Si chiede, inoltre, al Governo, in riferimento agli ultimi eventi tragici dell'agosto 2009, di definire la linea di demarcazione e se la mission della nostra presenza sia ancora quella originaria voluta dal Parlamento, percepita e condivisa dall'opinione pubblica italiana, ossia un mandato teso al mantenimento della sicurezza nell'interesse della ricostruzione e degli sforzi umanitari. Questo è il senso delle nostre richieste che attendono ancora risposta.
Nonostante la risposta ancora non giunga, all'interno di quest'Aula come gruppo abbiamo dato segnali di apertura importanti con un'astensione che ho definito qualche tempo fa positiva. In seguito, si è arrivati alla mozione presentata da noi e che è stata accettata all'unanimità da questo Parlamento, nella quale si definivano alcuni elementi importanti per l'intero scenario afgano. Nella mozione si teneva conto di quanto detto dal neo Segretario generale della NATO, Rasmussen, in quanto un mese fa soltanto (e non un anno fa) si parlava di un necessario contratto tra l'Afghanistan e la comunità Pag. 11internazionale. All'interno di questa dimensione è previsto un impegno per lanciare un messaggio forte e chiaro di richiesta di presenza per quanto riguarda il Governo di Karzai. Credo che su questo aspetto ci siamo misurati in una dimensione di ulteriore disponibilità votando a favore delle missioni internazionali.
Nella mozione chiedevamo al Governo un impegno a porre, senza indugi, nelle sedi internazionali l'esigenza di un riesame e di una modifica dei tempi e della strategia di intervento e di ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan; ciò con l'avvio di un percorso non solo di exit strategy, fermo restando il nostro impegno per la ricostruzione dell'Afghanistan. Inoltre, chiedevamo al Governo un impegno a compiere tutti i passi necessari in occasione della partecipazione alla citata Conferenza di Londra, per tradurre in azioni concrete ed efficaci gli intenti della nostra diplomazia circa la maggiore responsabilizzazione del Governo Karzai sulle varie questioni relative al futuro dell'Afghanistan, ad esempio la lotta alla corruzione e al crimine organizzato, la stabilizzazione politica, la riconciliazione nazionale. Noi ci siamo mossi all'interno di un percorso molto sofferto e lo ricordo al Governo e ai colleghi della maggioranza e dell'opposizione.
Ci siamo fatti carico di responsabilità, anche nella collegialità che a più riprese ci veniva richiesta dal Ministro La Russa. Abbiamo fatto in modo che si conciliassero alcuni elementi che riguardano l'azione di Governo con gli elementi che riguardano la presenza e la determinazione dell'opposizione a stimolare e a portare avanti il dibattito parlamentare sulle missioni internazionali. Evidentemente, la nostra parte l'abbiamo fatta interamente. Aspettiamo ancora che il Governo faccia la propria, perché ritengo che non si possa pensare alle missioni internazionali e alle proroghe come a un automatismo e come a un atto dovuto e scontato, al quale l'opposizione o il Parlamento si debbano sottomettere. Mi auguro che oggi finisca questo aspetto, perché abbiamo dato un'ulteriore dimostrazione di disponibilità, come affermavo prima: non abbiamo presentato alcun tipo di emendamento al provvedimento in esame, riservandoci - come dicevo ieri in Commissione - di presentare due o tre ordini del giorno che vanno nel senso di fornire un ulteriore stimolo al Governo e alla maggioranza di questo Parlamento, affinché si crei finalmente un duplice aspetto, che ricordavo e che segnalo, per concludere il mio intervento.
In primo luogo, riguardo alle missioni internazionali, ritengo non più rinviabile un dibattito parlamentare, come affermavo anche prima, prevedendo una diretta televisiva che consenta di far capire agli italiani la situazione completa da parte del Parlamento, dell'opposizione, della maggioranza e, soprattutto, del Governo, che non riferisce e non si confronta mai con l'Aula. In secondo luogo, auspico la possibilità di ottenere, finalmente, con riferimento alle missioni internazionali, una legge quadro che entro giugno 2010 possa definire un percorso condiviso unanimemente dall'intero Parlamento, che non ci faccia tornare di volta in volta a parlare di proroghe e di deroghe e, soprattutto, non ce le faccia sminuire all'interno di provvedimenti che spesso diluiscono la portata, il contenuto e la profondità di questi aspetti: vi sono, infatti, tante e tali norme intruse, che queste risultano molto più importanti rispetto all'oggetto vero e proprio dell'interesse del provvedimento.
Mi auguro che con tali auspici si possa ottenere, da parte del Governo e della maggioranza, un'ulteriore e completa disponibilità in merito ai due aspetti citati, il che ci consentirebbe di continuare in questa ulteriore disponibilità a votare il provvedimento e ad andare avanti in questa strada, che deve essere una cifra non solo della maggioranza e del Governo, ma dell'intero Parlamento e dell'intera nazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, anch'io sento il dovere di iniziare il mio Pag. 12intervento nella discussione sulle linee generali sulla conversione del decreto-legge sulle missioni con l'espressione del più profondo cordoglio mio e del mio gruppo per la perdita di un'altra vita umana, quella del dottor Pietro Antonio Colazzo, funzionario dell'intelligence italiana, da due anni in Afghanistan a servizio dell'Agenzia di informazioni e sicurezza esterna, l'AISE.
Come abbiamo avuto modo di apprendere da fonti giornalistiche, con un'azione fulminea e brutale un comando di talebani ha sconvolto il centro di Kabul, attaccando con una grande quantità di esplosivi e di armi automatiche tre hotel, provocando la morte di sedici persone. Il nostro funzionario, nel pieno dell'operazione terroristica, si è distinto con grande coraggio e ha permesso, attraverso le sue informazioni alla polizia locale, di mettere in salvo altri quattro italiani che si trovavano in un hotel, prima che un kamikaze vi si facesse esplodere.
Esprimiamo il nostro cordoglio e la nostra totale vicinanza alla famiglia di Pietro Antonio Colazzo, ma allo sesso tempo non possiamo non prendere atto di una situazione che si fa, in Afghanistan, sempre più drammatica. Anche quella di ieri è stata una giornata dura per l'ISAF, la forza internazionale di assistenza e sicurezza che ha perso sei soldati nelle diverse regioni dell'Afghanistan: quattro militari nel sud e nell'ovest, un quinto soldato colpito da un rudimentale esplosivo nel sud, il sesto colpito da proiettili nell'Afghanistan orientale. Da gennaio, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, sono centosette i morti tra i militari dell'ISAF in Afghanistan.
Come abbiamo detto troppe volte, questo è il momento del dolore e del cordoglio e non della discussione approfondita sulle prospettive della nostra presenza in Afghanistan, anche se sul nostro dibattito parlamentare in occasione della conversione del decreto-legge sulle missioni, naturalmente, pesano l'attentato di venerdì scorso e la perdita di un'altra vita umana.
È chiaro, come ha dichiarato Pierluigi Bersani, il nostro segretario, che una presenza di pace e di lotta al terrorismo può comportare dei sacrifici. Allo stesso tempo, questa deve avere un senso di prospettiva. Su questo bisognerà assumere iniziative ed è il caso che la riflessione strategica della presenza nostra in Afghanistan venga approfondita, per vedere in che misura otteniamo dei risultati e quanto l'azione militare riesca ad innescare un'azione politica in grado di coinvolgere tutti i Paesi confinanti, per dare una prospettiva di stabilizzazione dell'Afghanistan e di tutta la regione. Di questo saremo chiamati a discutere prossimamente.
Oggi, in terza lettura, affrontiamo il decreto-legge sulle missioni, che ha subito via via modifiche, le ultime delle quali sono state apportate dal Senato dopo l'approvazione della Camera dei deputati. La modifica principale riguarda la norma con cui si è sanata la decisione di inviare la missione di soccorso ad Haiti dopo il tragico terremoto, un pasticcio che si è intrecciato con la conversione di questo decreto-legge.
Vale la pena di riflettere su come si è sviluppata la missione di soccorso ad Haiti. La storia della missione destinata alle popolazioni colpite dal sisma del 12 gennaio del 2010 inizia il 29 gennaio, quando la Presidenza del Consiglio dei ministri, su proposta del Capo del Dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, dispone con l'ordinanza n. 3844 l'invio della portaerei Cavour con 530 militari a bordo, più altro personale civile. L'ordinanza si preoccupa pure di derogare ad alcune norme generali in materia di contabilità e dispone i criteri di trattamento del personale. In sostanza, l'intera missione è stata posta alle dipendenze del Capo della Protezione civile e le cronache dei giorni successivi hanno dato ampiamente conto anche della gaffe internazionale che è derivata da alcune incaute affermazioni del Capo della Protezione civile, dottor Bertolaso, quando si è recato ad Haiti.
In realtà, la missione militare non poteva essere attuata sulla base di un atto amministrativo, quale appunto l'ordinanza Pag. 13n. 3844, in quanto la legge n. 25 del 1997, articolo 1, comma 1, che disciplina l'impiego delle forze militari in Italia e all'estero, individua nel Ministero della difesa l'autorità competente e prevede tassativamente l'approvazione parlamentare della decisione. Tant'è che all'articolo 1 è disposto che il Ministro della difesa, preposto all'amministrazione militare e civile della difesa, è il massimo organo gerarchico e disciplinare. Sempre l'articolo 1 prevede che è il Ministro della difesa che attua le deliberazioni in materia di difesa e sicurezza adottate dal Governo, sottoposte all'esame del Consiglio supremo di difesa e approvate dal Parlamento.
Questa è la situazione. Noi abbiamo preso atto in qualche modo delle osservazioni che il sottosegretario Mantica ha fatto rispetto alla nostra richiesta di recuperare il finanziamento per la missione in Afghanistan. Il sottosegretario ci ha spiegato che quelli sono fondi della cooperazione militare e non della cooperazione civile. Però, dopo quello che il Governo ha fatto, cioè il pasticcio commesso con la decisione di inviare con un'ordinanza di protezione civile i militari ad Haiti, non credo che il Governo sia in grado di dare lezioni a nessuno. Naturalmente, comprendiamo la differenza tra cooperazione militare, fondi a disposizione della cooperazione militare e quelli per la cooperazione civile, ma sappiamo anche, riferendomi all'esigenza di mettere a disposizione quei fondi sottratti alla missione in Afghanistan, che i fondi a disposizione della cooperazione militare sono la carta migliore che possiamo giocarci in un rapporto con le popolazioni, perché sappiamo che quei fondi alla fine sono destinati alla popolazione civile.
Comunque, ad aggravare la situazione, dopo la decisione del Governo di adottare in questo modo la decisione di inviare ad Haiti gli aiuti necessari, ha concorso il fatto che, in assenza di norme specifiche su quale disciplina penale applicare ai militari inviati in missione all'estero, entravano in vigore automaticamente le norme del codice penale militare di guerra.
Con l'emendamento approvato dal Senato, che prevede l'invio di ulteriori forze militari, e precisamente di 130 carabinieri, come qui è stato ricordato, la missione rientra nella piena legittimità e diventa, a tutto titolo, una delle missioni militari italiane inserite nel decreto-legge. La spesa, 2 milioni 654 mila euro, come dicevo, viene coperta sottraendo questa somma alle già insufficienti risorse per le attività di cooperazione in Afghanistan, e questo ci sembra inaccettabile. Tra l'altro, il regime penale che viene esteso alla missione di Haiti è lo stesso dell'Afghanistan, compresa la discussa norma sulla non punibilità nell'uso della forza militare quando attuata in base a direttive, regole di ingaggio o ordini ricevuti.
È una situazione che, francamente, ci sembra motivata da un eccesso di preoccupazione. È assolutamente indispensabile iniziare la discussione del nuovo codice penale militare, per evitare di procedere per parti separate, creando situazioni di giurisdizione speciale, che non si conciliano affatto con l'architettura generale del nostro sistema penale.
Il Governo, insomma, ha già pasticciato abbastanza su questa storia e dovrebbe modificare, lo ribadisco, la copertura e trovare il sistema di restituire alla missione in Afghanistan queste risorse. Abbiamo presentato un emendamento in Commissione difesa e prendiamo atto della disponibilità del Governo; vedremo se esso verrà ripresentato in Aula, anche sulla base delle decisioni che il Governo dovrà assumere per garantire il rifinanziamento della missione in Afghanistan.
Abbiamo, però, provato a trovare per la missione ad Haiti una copertura diversa da quella prevista dal Governo. Per la verità, ci è venuto naturale trovare questa copertura in quella che il Governo ha individuato quando ha proposto al Senato l'emendamento sulla cosiddetta mini-naja. Abbiamo pensato che fosse più utile - è più utile - prevedere quella copertura per la missione ad Haiti, senza sottrarre risorse alla missione in Afghanistan.
Signor Presidente, signori del Governo, la mini-naja sta diventando un vero tormentone: Pag. 14più volte abbiamo contestato questa scelta e l'abbiamo fatto, finora, per ragioni di metodo, perché diventa difficile intervenire nel merito. L'abbiamo contestata, intanto, perché non ci sembrava assolutamente una materia da poter inserire nel decreto-legge sulle missioni alla Camera dei deputati, tant'è che questa nostra stessa valutazione è stata fatta propria dal Presidente della Camera, che ha dichiarato questa norma inammissibile, perché non organica rispetto al tema delle missioni internazionali. La seconda volta abbiamo contestato sempre questa scelta di metodo al Senato, con una dura opposizione.
Da parte del Governo e da parte delle forze di centrodestra è stato detto che noi saremmo animati da una sorta di furore ideologico, perché, gratta gratta, quando si parla di militari e di giovani, noi avremmo un atteggiamento di prevenzione; saremmo un po' prevenuti. Ora vorremmo entrare un po' più nel merito e lo facciamo proprio perché si è cercato di introdurre questa misura nel decreto-legge sulle missioni. Pensiamo che questa forzatura verrà riproposta sulla base di quello che ha affermato il Governo, e cioè che a luglio partirà la mini-naja, senza ancora che vi sia una discussione parlamentare che abbia introdotto questo nuovo istituto del soldato breve.
Si dice che bisogna dare l'opportunità ai ragazzi tra i 18 e i 30 anni di avvicinarsi ai valori e allo spirito delle forze armate attraverso uno stage di tre settimane, per respirare il clima delle caserme e apprezzare l'attività dell'Esercito e delle nostre Forze armate. Per questo, per 15 mila di questi ragazzi e ragazze che verranno selezionati vengono stanziati 21 milioni di euro in tre anni, per dare l'opportunità di svolgere questi stage per 20 o 15 giorni (non ho capito quanto).
Non capiamo quale sia l'utilità di tutto questo, però, se proprio dobbiamo avvicinare i giovani allo spirito delle Forze armate, ce ne sono tantissimi di giovani che il Governo dice che difficilmente potranno trovare impiego nelle Forze armate - La Russa ha detto che soltanto uno su cinque lo potrà fare - che sono i giovani in ferma breve, in ferma prefissata, che hanno svolto l'attività in delicate missioni internazionali e che non hanno la possibilità di essere confermati. Venti milioni di euro permetterebbero a ottocento, mille di questi giovani di avere una prospettiva di lavoro altamente professionalizzato, che essi hanno svolto con grandi capacità in situazioni delicate in tutto il mondo, nelle oltre trenta missioni che coinvolgono il nostro Paese. Quindi, o diamo loro questi soldi o li stanziamo per la missione in Afghanistan; non utiliziamoli per uno spot senza senso.
Ma nel decreto-legge sulle missioni in esame è entrato un po' di tutto, anche questa volta, signor Presidente; e mi avvio alla conclusione. Il decreto-legge sulle missioni è sempre di più un treno che strada facendo, man mano che avvicina la stazione di arrivo, vede aggiungersi un nuovo vagone. Siamo stati per molto tempo in Commissione, per alcuni mesi a discutere di questioni che poi non sono state neanche dichiarate ammissibili, per la verità: abbiamo discusso di promozione degli ufficiali e dei sottufficiali, dell'esigenza di mettere in linea le condizioni di trattamento per le Forze armate con quelle delle forze di polizia; abbiamo discusso addirittura degli ordinamenti penali che riguardano i nostri militari, della modifica dei codici; abbiamo discusso di questioni che riguardano l'amministrazione della difesa.
Lo dico in questo contesto: ormai abbiamo l'esigenza di trattare le materie in maniera organica, senza affidare questo o quell'argomento a decreti-legge onnicomprensivi. Vi è ad esempio la riforma dei Codici, che è pronta per l'esame del Parlamento: discutiamo della riforma dei Codici! Vi è ad esempio la riforma sul trattamento delle carriere, che è pronta per l'esame del Parlamento: parliamo di riordino delle carriere! Vi è soprattutto la questione delle questioni, quella del modello di difesa che va assolutamente discusso in Parlamento, perché non è soltanto un tema da specialisti, come il Governo ha cercato di considerare attraverso Pag. 15la commissione di alto profilo: ne deve discutere il Parlamento, perché da lì discendono tutte le scelte che dovremmo compiere.
È necessaria insomma una legge quadro: tale esigenza è stata posta da tutti. Ormai stiamo prorogando più di 30 missioni; la maggior parte di esse è in atto da molti anni, e questi sono elementi sufficienti per comprendere quanto siamo distanti dall'intervento straordinario ed urgente, tale quindi da giustificare il ricorso al decreto-legge. È evidente che ormai è indispensabile una legge quadro, che renda permanenti tutte le norme necessarie per realizzare gli interventi al di fuori dei confini nazionali e per restituire al Parlamento l'opportunità di discutere di quanto all'estero stiamo facendo con i nostri contingenti militari, con le organizzazioni non governative, con le nostre iniziative diplomatiche: discutere nel merito, missione per missione, in termini di obiettivi, di risultati conseguiti, di strategie adottate o da adottare, sia a livello nazionale che nell'ambito delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia fa parte. Di ciò abbiamo bisogno; e comunque ribadisco il nostro voto favorevole, per senso di responsabilità, e per la responsabilità che avvertiamo nei confronti dei soldati italiani che sono impegnati in missioni, che sono state decise dal Parlamento e dal Governo del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prima di proseguire, salutiamo i docenti e gli allievi della scuola media «San Giovanni Bosco» di Castignano, Ascoli Piceno (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Chiappori. Ne ha facoltà.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per le ulteriori considerazioni, e non un'informativa del Governo, come ha detto lei, signor Presidente, sugli scenari afgani. Mi unisco anch'io al cordoglio ed al dolore della famiglia del dottor Antonio Colazzo, e sottopongo una riflessione al collega Di Stanislao, ma anche al collega del PD, che si richiama sempre al fatto di discutere in Aula, sapere prima, conoscere, fare, eventualmente programmare assieme; gli sottopongo all'attenzione il ricordo di una guerra nei Balcani: quando si tiravano le bombe, in Aula non se ne sapeva niente. Lo si sapeva solo attraverso i mass media, ma in Aula nessuno venne a dire che si iniziò una guerra nel Kosovo.
Per tornare a quanto è alla nostra attenzione, quindi all'Atto Camera n. 3097-B, che ritorna dal Senato, direi che non stiamo a dilungarci sugli aspetti trattati nel provvedimento che è già stato esaminato dalla Camera, ma andiamo a discutere (e sarà il mio intervento) delle modifiche che sono state apportate al provvedimento in esame.
Una prima modifica di rilievo concerne lo stanziamento di 10 milioni di euro per la sicurezza delle rappresentanze diplomatiche e consolari. Noi riteniamo che sia una scelta importante, alla luce di alcune situazioni di crisi che si sono prodotte in taluni Stati. Ciò perché proprio i presidi come il nostro, di un Paese libero, democratico, certe volte vengono minacciati, o comunque intimiditi, come abbiamo visto ultimamente.
Ma le novità più interessanti sono intervenute nella parte del provvedimento strettamente dedicata alle missioni delle Forze armate all'estero, intanto perché il Governo ha provveduto ad inserire nel testo del decreto-legge un comma, approvato dal Senato, nel quale si autorizza la partenza dei carabinieri per l'isola caraibica di Haiti, dove rimarranno fino al 30 giugno. Il nuovo intervento, che era peraltro già stato annunciato, non va certamente nella direzione della semplificazione dei nostri impegni militari come da noi auspicato, ma la finalità perseguita è certamente nobile (saranno destinati quindi a tale operazione 2 milioni e 700 mila euro).
Un problema sul quale occorrerebbe un minimo di riflessione supplementare è invece quello rappresentato dalle coperture, posto che per finanziare la missione dei carabinieri ad Haiti sono state ridotte esattamente nella stessa misura le risorse stanziate Pag. 16per il quick impact project dell'Afghanistan (uno di quei piccoli interventi di impatto immediato che servono molto ai nostri soldati per acquisire benevolenza presso le popolazioni da cui siamo ospitati).
Riconosciamo al Governo soprattutto il merito dell'intervento compiuto all'articolo 7 del decreto-legge, laddove si specifica chiaramente che a tutte le missioni militari deliberate a seguito del sisma di Haiti sarà applicato il codice penale militare di pace che eravamo stati proprio noi a proporre in quest'Aula.
Numerosi sono anche gli interventi al capo III del decreto-legge, quello recante disposizioni per l'amministrazione della difesa: è stato in particolare introdotto un regime parallelo per i familiari superstiti del personale militare delle Forze armate e di polizia deceduto in servizio o per causa di servizio.
Con un'altra norma si è intervenuti sul circolo delle Forze armate e sull'apporto assicurato dai docenti civili agli enti di alta formazione del personale, mentre con ulteriori disposizioni si è cercato di far fronte alle esigenze manifestate dal personale prossimo al congedo in materia di trasferimenti al domicilio eletto.
Peraltro, un discorso potrebbe essere fatto a proposito dell'opportunità di inserire in un provvedimento di così elevato profilo - quello sulla proroga delle missioni - norme settoriali volte a disciplinare situazioni così particolari.
Questo problema conduce alle ultime considerazioni che intendo proporre. Neanche al Senato è stata accolta favorevolmente l'idea del Ministro della difesa di stanziare circa 21 milioni di euro in tre anni per finanziare la prosecuzione dell'esperimento della mini-naja; molti senatori la hanno infatti contestata sotto il profilo sia della pertinenza alla materia del decreto-legge sia nel merito, convincendo infine il Governo a ritirare la proposta. Il Ministro ha promesso a Palazzo Madama che tornerà sul punto o comunque ripresenterà questa importante proposta, ma spero fermamente che ci possa ripensare: ci chiediamo infatti a questo punto se non sia invece più interessante dirottare i 21 milioni di euro che oggi si vorrebbero impiegare per la mini-naja verso l'Afghanistan, per permettere lo svolgimento dell'intervento dei carabinieri, o anche verso Haiti.
Da ultimo sottoponiamo all'attenzione del Governo nulla più che una riflessione, attesa l'estrema delicatezza della situazione sul suolo afgano.
Vorrei infine sottolineare come anche a Palazzo Madama il provvedimento sia stato approvato con il conforto di una maggioranza naturalmente ampia, superiore a quella che sostiene l'attuale Governo: questo è un dato positivo, e per quanto ci riguarda speriamo possa ottenersi lo stesso risultato anche in questo ramo del Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cirielli. Ne ha facoltà.

EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, innanzitutto, vorrei segnalare alcune novità. Sono contento che, alla fine, il Governo - come, da oltre un mese, segnalavo - abbia deciso di inserire, ancorché tardivamente, nel decreto-legge in oggetto, la missione ad Haiti; tuttavia, vorrei sottolineare che ritengo molto grave la scelta della copertura finanziaria adottata dal Ministero dell'economia e delle finanze. Ciò proprio in contemporanea con i tragici ed ulteriori eventi che si sono verificati a Kabul e che hanno visto l'uccisione di un nostro militare. Sebbene intervenisse in una missione di pace e di stabilizzazione della società civile in quel martoriato Paese, quel militare aveva ed ha, come tanti altri, una grande formazione professionale, che lo ha esposto non casualmente, ma specificamente, all'episodio che ne ha determinato l'uccisione.
Come accennavo, ritengo assolutamente incomprensibile che, sebbene ciò - come ha illustrato il sottosegretario Crosetto in Commissione - sia frutto di una copertura dell'ultimo momento, vi sia ancora l'idea che si possano sottrarre fondi e risorse per l'Afghanistan. Anzi, credo che, probabilmente, Pag. 17in vista della stagione primaverile e con l'acuirsi dei rischi che correranno i nostri militari, il Governo dovrebbe fare un ulteriore sforzo finanziario per garantire il massimo della sicurezza e dell'efficienza. Conosco bene la sensibilità specifica del sottosegretario Mantica e, affinché resti agli atti, gli chiedo di dare una spiegazione e di far intervenire anche il Ministro degli affari esteri per segnalare al Ministro dell'economia e delle finanze quanto questa missione sia delicata.
Colgo anche l'occasione per sottolineare, come ho già fatto in Commissione, che la missione umanitaria White Crane, nonostante sia coperta da un potere di ordinanza da parte del Governo, nello specifico, del Presidente del Consiglio dei ministri, presenti tutti gli aspetti di una missione internazionale, peraltro, con un impiego consistente di militari (oltre 900 unità). So che i colleghi della Lega hanno già presentato un atto di sindacato ispettivo in tal senso e che il Governo ha dato una risposta formale. Tuttavia, credo che anche quella missione, per le sue possibili evoluzioni, debba essere prevista da un provvedimento che, a mio avviso, il Governo deve prendere seriamente in considerazione: infatti, anche quella missione erode i fondi ordinari della Difesa. Pertanto, ritengo che sia necessario trovare nuove risorse.
Desidero sottolineare quanto sono contento che il Senato abbia accolto le sollecitazioni e le preoccupazioni che la Camera aveva espresso con un ordine del giorno, relativamente alla reciprocità della possibilità di accesso alle riserve dei posti, da parte dei superstiti dei militari caduti delle Forze armate, anche nei concorsi per ispettore di polizia, così come era stato concesso nell'ambito di una proposta emendativa giustamente presentata dai colleghi, la quale consentiva anche ai figli dei superstiti delle forze di polizia vittime del dovere, di poter accedere ai concorsi per i sottufficiali delle Forze armate.
Ritengo, peraltro, positivo nel complesso - anche se si tratta di una materia non proprio connessa - che vi sia stata la possibilità di allargare le riserve dei posti per i sottufficiali delle Forze armate anche agli appartenenti alle scuole militari, così come già era avvenuto alla Camera dei deputati. Ritengo, infine, che sia logica conseguenza sul piano giuridico, l'estensione della non punibilità per i reati colposi ambientali agli appartenenti alle Forze di polizia.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti della scuola media statale «Giovanni Pascoli» di Santo Stefano Zimella, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3097-B)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione del relatore per la Commissione Affari esteri, il vicepresidente di tale Commissione, onorevole Narducci.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, rinunzio alla replica e mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Sta bene.
Prendo, altresì, atto che l'onorevole De Angelis, relatore per la IV Commissione rinunzia alla replica.
Prendo, infine, atto che anche il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta, alle ore 15. Sospendo, pertanto, la seduta fino a tale ora.

La seduta, sospesa alle 11,25, è ripresa alle 15,05.

Pag. 18

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Boniver, Buttiglione, Caparini, Gregorio Fontana, Lucà, Mura e Vietti sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 3097-B).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali e che i relatori ed il rappresentante del Governo hanno rinunciato ad intervenire in sede di replica.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 3097-B)

Testo sostituito con errata corrige volante PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B), approvato dalla Camera (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B), nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B).
Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B).
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B), approvato dalla Camera (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B), nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B).
Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B), per le proposte emendative (Vedi l'allegato A - A.C. 3097-B).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,07).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame articolo unico - A.C. 3097-B)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti l'onorevole Mogherini Rebesani. Ne ha facoltà.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, stiamo parlando oggi - e non soltanto durante la discussione sulle linee generali, ma anche adesso esaminando gli emendamenti che ci accingiamo a discutere e poi a votare - di alcuni aspetti piuttosto bizzarri che riguardano la conversione del decreto-legge relativo al rifinanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali. Pag. 19
Da una parte, infatti, si assiste a una frammentazione delle decisioni e delle discussioni. Siamo passati dalla prassi di votare ogni anno il rifinanziamento a quella di votarlo per sei mesi, per quattro e, infine, per due mesi. Siamo dinanzi, insomma, a una sorta di precarizzazione della nostra partecipazione alle missioni internazionali, che fa poco onore alla nostra storia e anche, soprattutto, agli italiani impegnati in difficili teatri di conflitto o di costruzione della pace e della stabilità.
In secondo luogo - ed è quello che forse più riguarda gli emendamenti che discutiamo oggi - assistiamo alla trasformazione di questi decreti-legge in decreti-legge omnibus, nei quali compaiono, di volta in volta, di due mesi in due mesi, di quattro mesi in quattro mesi, di sei mesi in sei mesi, delle norme e delle indicazioni che tutto riguardano tranne che effettivamente la nostra partecipazione alle missioni internazionali. Si tratta, di volta in volta, della riforma dei codici militari, pure oggetto di un'apposita iniziativa legislativa in cui la discussione sta iniziando faticosamente, del riordino delle carriere - anche questo oggetto di un lungo periodo di lavoro da parte delle Camere -, del modello di difesa, in realtà liquidato dal Ministro La Russa in modo molto approssimativo qualche settimana fa, dell'amministrazione ordinaria della difesa. Insomma, all'interno dei decreti-legge di rifinanziamento delle missioni internazionali compaiono, di volta in volta e in modo sempre più frammentato e frammentario e senza una visione d'insieme, norme e provvedimenti che nulla hanno a che fare con il merito reale delle scelte che ci troviamo ad operare come Paese in teatri molto complicati e difficili.
Parallelamente a questo non va avanti, invece, nei lavori parlamentari la discussione sulla legge quadro sulle missioni internazionali che, invece, ci consentirebbe di avere uno sguardo d'insieme sulle trenta missioni e più in cui l'Italia è impegnata e, soprattutto, di prendere delle decisioni o di compiere delle scelte nel merito delle questioni fondamentali che riguardano le missioni internazionali sulle quali effettivamente come Parlamento dovremmo avere il modo di influire più direttamente. Quindi, si assiste a uno svuotamento progressivo dei decreti-legge di rifinanziamento e alla trasformazione dei decreti-legge di rifinanziamento delle missioni in decreti-legge omnibus.
Contestualmente non si affronta da nessuna parte, in nessun momento e in nessuna sede parlamentare il tema reale di cosa fanno i nostri militari, di come lo fanno, di dove lo fanno e si discute invece soltanto di dettagli, di contorni, oppure di rifinanziamento. Si rischia, cioè, di parlare di tutto, tranne che delle questioni realmente di merito e rilevanti.
Ora, in particolare il motivo per cui stiamo analizzando in terza lettura alla Camera questo decreto-legge è che al Senato è stato inserito il finanziamento della nostra missione ad Haiti e questa è un'altra cosa bizzarra. Infatti, su Haiti il Governo ha avuto fin dall'inizio un atteggiamento contraddittorio e molto confuso, innanzitutto per il fatto che questa materia è stata immediatamente oggetto di un'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri che ha fatto ricadere la piena responsabilità di tutto ciò che abbiamo fatto ad Haiti sotto la Protezione civile.
Questa è un'operazione piuttosto anomala, i cui limiti si sono evidentemente manifestati immediatamente dopo tale decisione, tant'è che oggi sostanzialmente saniamo una situazione pasticciata, molto difficile da spiegare razionalmente ai cittadini italiani, e che ha visto l'Italia delegare, non al Ministro degli affari esteri, non al Ministero della difesa, ma alla Protezione civile, i propri aiuti per la ricostruzione in un Paese martoriato da un gravissimo terremoto.
Oggi in qualche modo il nostro intervento ad Haiti viene ricondotto nell'ambito delle missioni internazionali. I nostri carabinieri operano in una missione delle Nazioni Unite. Questo va bene, però un elemento da sottolineare - che è oggetto di un nostro emendamento e che costituisce probabilmente l'elemento di criticità più Pag. 20forte che abbiamo oggi - è il fatto che la copertura finanziaria per la nostra missione ad Haiti viene trovata togliendo soldi alle attività di ricostruzione che i nostri militari compiono in Afghanistan.
Viene svuotato, cioè, un capitolo fondamentale della nostra presenza in Afghanistan di risorse che sono cruciali non solo per la nostra presenza in quel territorio e per il successo della nostra operazione, ma anche per la vita della popolazione civile in quel Paese. Questo contraddice in modo esplicito ed evidente quello che lo stesso Governo afferma.
Infatti, soltanto qualche mese fa, abbiamo sentito in audizione congiuntamente i Ministri Frattini e La Russa spiegarci che la posizione italiana è sempre stata quella di dire che in Afghanistan al contrasto attivo e militare contro i talebani si doveva affiancare la ricostruzione del Paese, la costruzione di opportunità civili, economiche e sociali per la popolazione afgana e che questo andava fatto contestualmente e non successivamente, ovvero che bisognava tenere insieme azione militare e azione civile.
È difficile capire come si possa fare questo se, mentre si potenzia la spesa per la nostra presenza militare in Afghanistan, si diminuisce - seppure per una nobile causa come quella di aiutare la popolazione di Haiti colpita duramente da un terremoto - la disponibilità di spesa che gli stessi militari hanno per la ricostruzione delle infrastrutture, dei ponti, delle scuole e di tutto ciò che serve all'Afghanistan per diventare un Paese un po' più normale di quello che è adesso.
Questo va nel senso anche, temiamo, di uno svuotamento progressivo del ruolo della cooperazione. Infatti, è vero che il fondo che viene intaccato con questa copertura è un fondo che fa capo al settore militare (sono spese che i militari possono destinare alla ricostruzione civile), ma è anche vero, però, che c'è una tendenza generale e diffusa, purtroppo, ad utilizzare in modo distorto e improprio fondi che invece sarebbero giustamente e più proficuamente utilizzati unicamente nel settore civile. C'è la tendenza, temiamo, anche rispetto a questo caso della partecipazione della missione ad Haiti, di interpretare in modo distorto il ruolo dei militari. In Italia abbiamo assistito a questa sorta di utilizzo dei militari un po' per tutto.
Li abbiamo mandati a Napoli per i rifiuti, a L'Aquila per il terremoto, se non ricordo male a Milano a spalare la neve e non vorrei che, anche sul versante dell'aiuto internazionale, pensassimo che questa sia la strada giusta da percorrere, laddove invece ci sono competenze specifiche. Pensiamo alle associazioni operative nella cooperazione internazionale, alle organizzazioni non governative, alla stessa Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo che hanno competenze specifiche, un know-how molto solido e forte. Ci ritroviamo, invece, certe volte nelle condizioni di sentire militari molto alti in grado lamentarsi del fatto che i nostri militari debbano fare il lavoro che dovrebbero fare i cooperanti civili, sapendo benissimo però che i soldi per i cooperanti civili e per la cooperazione allo sviluppo, in realtà, per una stessa decisione del Governo, vengono sottratti.
Siamo, quindi, in una situazione un po' paradossale. È come se ci fosse una sorta di schizofrenia da parte del Governo, una confusione generale che chiaramente non mette in discussione e non inficia la nostra convinzione sul fatto che - lo abbiamo ribadito soltanto poche settimane fa in questa stessa Aula - questo decreto-legge vada sostenuto e convertito, perché è necessario garantire continuità e stabilità alla nostra presenza nelle missioni internazionali in aree di conflitto molto difficili, innanzitutto per le popolazioni di cui dobbiamo prenderci cura nel migliore dei modi.
C'è però una confusione totale sulla gestione di queste missioni. C'è spesso una contraddizione tra fini dichiarati e scelte concrete che si compiono per realizzare quegli stessi fini. C'è, a volte, una certa facilità e confusione nel determinare a chi fa capo quale decisione. L'esempio di Haiti - lo ripeto - è emblematico, missione inizialmente affidata alla Protezione civile, adesso assegnata al Ministero della difesa, con Pag. 21il Ministero degli affari esteri che continua a restarne fuori, mentre sostanzialmente avremmo dovuto vedere un coordinamento molto più efficace ed efficiente, una trasparenza chiaramente più accentuata. Infatti, non si capisce per quale motivo - o, meglio, forse si capisce molto bene - gli aiuti siano stati mandati attraverso una portaerei che ha fatto il giro per il Brasile prima di arrivare ad Haiti, quando lo stesso Ministro aveva negato che fosse necessario l'invio di una portaerei e più funzionale l'invio di mezzi aerei.
In altre parole, c'è una improvvisazione, una mancanza di professionalità nella gestione dei fondi e del coordinamento delle decisioni politiche che riguardano la nostra partecipazione alle missioni internazionali, che davvero non fa onore a quei tanti italiani (militari, ma non solo: diplomatici, civili, cooperanti) impegnati sul terreno da anni per aiutare situazioni di conflitto ad evolvere verso situazioni di pace e stabilità in condizioni ambientali e di vita difficilissime e a fare in modo che le popolazioni civili dei luoghi in cui loro operano riescano sempre di più a prendere in mano il governo delle loro comunità e dei loro paesi.
Di fronte a queste competenze, a questo coraggio, a questa tenacia nel perseguire obiettivi nobili e alti che richiederebbero maggiore coordinamento e investimenti sul versante della cooperazione civile e maggiore senso di responsabilità istituzionale vi è una confusione che sconfina veramente nell'incapacità gestionale.
Il fatto che un decreto-legge che rifinanzia la nostra partecipazione alle missioni internazionali torni in terza lettura penso che sia un chiarissimo segno di ciò. Ci si era dimenticati una missione: è una cosa inammissibile - scusate il gioco di parole - per un Paese come il nostro che vuole esprimere una grande potenzialità. Per questo penso che sarebbe importante non solo che il Governo risponda in tempi rapidi alle interrogazioni, che pure alcuni del nostro gruppo - me per prima - abbiamo presentato relativamente alla vicenda dell'invio degli aiuti ad Haiti, per fare chiarezza e trasparenza e per dare una risposta ai tanti italiani che hanno anche contribuito agli aiuti che l'Italia ha inviato ad Haiti. Ma sarebbe soprattutto importante che il Governo riveda la sua posizione sulla copertura finanziaria che fornisce alla partecipazione di questa missione. Non si può finanziare la partecipazione ad una missione internazionale per la ricostruzione post terremoto togliendo soldi alla ricostruzione in Afghanistan. Questo è davvero un atto di irresponsabilità di cui porterete il peso.
Noi abbiamo indicato una copertura differente, quella che il Governo aveva individuato per la mini-naja. Quindi la copertura c'era, l'avete indicata voi per primi. Ora spiegare che si possono spendere quei soldi per far fare degli stage ai ragazzi nelle caserme e che non si possono spendere quegli stessi soldi per ricostruire ad Haiti gli ospedali, gli edifici pubblici, gli edifici istituzionali, le case, le reti elettriche, le reti fognarie di una città in un'isola colpita da una grandissima disgrazia è davvero un atto di irresponsabilità.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo per un richiamo a proposito dell'ordine dei nostri lavori. Ovviamente conosciamo bene qual è la prassi: non sono ancora le 15,30, «tagliola» in ragione della quale devono chiudersi i lavori in Commissione perché in Aula inizia la fase relativa alle votazioni, anche se lei converrà con me che convocare una Commissione alle 15,15 sapendo che alle 15,30 dovrà terminare i propri lavori può essere una esigenza relativa allo svolgimento dei lavori, ma ci pone davanti un tema che non abbiamo risolto neanche con il Presidente Fini: il lavoro delle Commissioni si svolge sempre di più nei ritagli di tempo e probabilmente in condizioni davvero difficili.
Questo è un dibattito particolarmente importante, riguarda le missioni internazionali Pag. 22e i nostri militari all'estero. Probabilmente molti di coloro che sono nelle Commissioni potrebbero essere interessati ad ascoltare quello che si dice in Aula. Signor Presidente, mi è arrivata alle 15,14 la convocazione di un Comitato dei nove che, presumo, prima delle 15,20 non inizierà. L'unica cosa che le chiedo, senza la necessità che intervenga nuovamente, è che tutte le Commissioni, Comitati dei nove, comitati ristretti e via dicendo, sappiano che tra sei minuti dovranno interrompere i loro lavori perché a motivo dell'inizio delle fase delle votazioni in Aula.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, formalmente il Comitato dei nove era convocabile, sostanzialmente ha ragione lei. Formalmente e sostanzialmente alle 15,30 le Commissioni saranno sconvocate. La ringrazio per averci richiamato al corretto rispetto del Regolamento.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, esaminiamo questo provvedimento in terza lettura e ritengo che sia più un rituale quello che facciamo quando ci troviamo di fronte a provvedimenti di questo genere, di rifinanziamento delle missioni all'estero, piuttosto che un momento forte di riflessione rispetto alla politica internazionale del nostro Paese.
Noi come gruppo non abbiamo problemi da eccepire, non credo che nessuno di noi in questo particolare momento abbia una posizione di negatività rispetto ad un provvedimento di questo genere. Tuttavia ci sono dei dati che bisogna evidenziare. Nel caso di provvedimenti di rifinanziamento delle missioni non si può partire dal presupposto che, siccome nessuno pone eccezioni e quindi mette in discussione un atteggiamento favorevole, si possa procedere liturgicamente senza affrontare sostanzialmente le situazioni a livello internazionale che si presentano giorno per giorno alla nostra attenzione e alla nostra valutazione.
Come ha fatto il vicepresidente della III Commissione, onorevole Narducci, anch'io debbo esprimere a nome del mio gruppo le condoglianze alla famiglia del funzionario italiano Colazzo che è morto a Kabul.
Lo faccio con sentimenti di grande solidarietà e di grande partecipazione, anche se devo rilevare che sulla vicenda del funzionario Colazzo i mass media hanno diffuso delle notizie un po' «attutite»; non so se i colleghi si sono accorti del fatto che le notizie su quanto è accaduto sono state date un po' a margine, soltanto dopo cinque o sei notizie riferite dai telegiornali. Ritengo, invece, che quanto accaduto possa essere assunto emblematicamente come impegno dei nostri militari e dei nostri funzionari nelle aree di crisi e di difficoltà. A Kabul questo nostro funzionario ha salvato quattro vite umane: ciò va rilevato e valutato insieme alle considerazioni di politica estera sulla nostra missione a Kabul, e quindi sulla nostra presenza in Afghanistan.
Avremmo preferito che in questa sede si fosse svolto un dibattito intenso sul processo di maturazione della nostra presenza in Afghanistan, su quali ci sono ancora nodi da scegliere, qual è il percorso che ancora separa quel Paese dalla normalizzazione, qual è la situazione del terrorismo e della forza dei talebani, i quali so che occupano gran parte di quel Paese. Tuttavia, occorre svolgere una considerazione di fatto, e mi rivolgo anche al Governo, signor Presidente: non è da ora che quando ci troviamo a discutere di missioni qualcuno chiede una legge quadro, anche per evitare i rifinanziamenti continui e costanti. Il riferimento certamente è anche allo status del personale, rispetto al quale vedo che qui ci sono alcuni provvedimenti che riguardano i militari, le loro famiglie, i figli dei militari che sono caduti in servizio, ma ritengo che ci dovrebbe essere un riferimento serio anche negli stanziamenti di bilancio per quanto riguarda le risorse finanziarie da assicurare a queste nostre missioni.
Abbiamo missioni dislocate in giro per il mondo, forse alcune di esse sono dimenticate, mentre da parte nostra richiederebbero, invece, una diversa attenzione Pag. 23e riflessione per capire dove è importante e necessario intervenire per far sì che queste missioni continuino o dove, invece, è necessario ripensare a tali missioni.
Accanto alla problematica delle missioni, il mio pensiero ritorna agli organismi internazionali, al ruolo dell'ONU, ad esempio. Ritengo che occorra proseguire fortemente su questa azione e questo intendimento di operare nella direzione di una rivisitazione della posizione dell'ONU all'interno dello scacchiere internazionale, del ruolo che questo organismo deve avere a livello internazionale. L'ONU a volte è un gigante d'argilla, è inane rispetto alle vicende e ai focolai che si alimentano giorno per giorno a livello internazionale.
Le discussioni come quella odierna dovrebbero rappresentare le occasioni per svolgere questa riflessione e quindi per operare sul piano politico; altrimenti, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, questa è più che altro una manovra economica, è un puro rifinanziamento, un elenco di finanziamenti con l'aggiunta dell'intervento ad Haiti, in una realtà dove nel 2004 si avviò una missione a seguito della situazione di difficoltà emersa dopo la presidenza del Presidente Aristide.
Nel provvedimento in esame c'è questa caratterizzazione che certamente è minimale, marginale, asfittica; noi rifinanziamo con un intervento che ha come elemento principale lo stanziamento, la copertura di bilancio, ma non c'è alcuna spiegazione, non si coglie una grande occasione per capire verso quali linee e verso quali direttrici si muove il nostro Paese in sede di politica internazionale e quali sono le difficoltà connesse.
Non si capisce, inoltre, quali sono le azioni che bisogna compiere nel consesso internazionale; quali sono le sensibilità che sono venute meno e le nuove sensibilità; qual è l'organizzazione capillare che viene fuori anche a livello di organismi di volontariato e di organizzazioni non governative. Non si comprende qual è l'elemento importante della sussidiarietà che introduciamo in questo provvedimento; qual è ovviamente il compito della cooperazione e cosa si fa in termini organici; dove ci sono forze mobilitate e impegnate. Tuttavia, bisogna capire fino in fondo quali sono gli obiettivi per evitare che ci sia una situazione quasi di assuefazione e di abitudine, dove il finanziamento è quasi un fatto scontato e dove le nostre azioni di peacekeeping sono un fatto importante e serio. Tutto ciò, pertanto, deve avere uno sbocco e una sua compiutezza.
Signor Presidente, ritengo che anche la vicenda di Haiti pone delle questioni, visto e considerato che in questo provvedimento c'è un'ulteriore spesa per la partecipazione del personale dell'Arma dei carabinieri alla missione nazionale in Haiti, territorio poverissimo. Lasciamo stare il terremoto che ha messo in evidenza la drammaticità della situazione economica e sociale di quel Paese, in quanto ci sono problemi che non possono essere semplicemente affrontati con le missioni militari, ma devono essere affrontati anche con una consapevolezza diversa. In ordine a questo aspetto c'è una divisione in termini di povertà tra il nord e il sud del nostro emisfero e ci sono delle realtà poverissime dove certamente le responsabilità dei Paesi meno poveri devono essere un po' diverse rispetto a una missione nazionale militare. Bisogna intervenire dando forza alla cooperazione, ma anche alle politiche più appropriate in una visione certo di globalizzazione nell'economia, ma anche di intervento serio e mirato per sottrarre i popoli indigenti alla povertà e alla marginalità.
Non c'è dubbio che questo è uno sforzo che dobbiamo compiere tutti quanti. Il mio pensiero va certamente a livello internazionale, quindi all'ONU e all'Europa che rimane sempre inane rispetto alle grandi sfide di politica internazionale. Non siamo qui per dire di «no» a questo provvedimento, non è diciamo «no» alla conversione di questo decreto-legge. Ci sono però momenti in cui bisogna anche avere la forza e la consapevolezza di dare un'indicazione, una prospettiva e una proiezione al nostro impegno di politica estera e di difesa in termini di mantenimento, di sviluppo e di perseguimento Pag. 24della pace in quelle zone. La pace si persegue anche, come dicevo poc'anzi signor Presidente e signori rappresentanti del Governo, con l'azione di carattere di solidarietà economica e di sostegno a questi Paesi. Dove ci sono dei limiti, bisogna pur individuarli. Noi non conosciamo questi limiti, non vengono fuori dal dibattito, né dalla prima lettura, né nella seconda lettura e non vengono fuori nemmeno nella terza lettura. Non c'è dubbio che non basta un voto scontato del Parlamento per dire che tutto può andare avanti in questa maniera laddove ci sono delle difficoltà. Inoltre, questi Paesi e queste situazioni balzano all'attenzione dell'opinione pubblica con i morti che ho poc'anzi ricordato come il funzionario Colazzo. Non c'è dubbio che oggi c'è e ci deve essere una presa di coscienza diversa, mandando avanti certamente la legge-quadro a cui la collega che mi ha preceduto faceva riferimento, e mandando avanti, però, un'azione seria. Sembra che a volte la politica estera sia qualcosa di nascosto e di chiuso e noi dobbiamo andarla a inseguire dalle notizie dei giornali: non è giusto. Discutiamo di economia e di problemi del nostro territorio, ma l'interconnessione di questi Paesi in una missione internazionale non ci può esimere dall'avere un quadro complessivo e diverso.
Ciò per capire se questo nostro Paese, invece di inviare i militari, oppure accanto all'invio dei militari, possa portare avanti anche un'azione forte di politica estera e di sensibilizzazione, facendo fare anche agli altri cose che noi facciamo, e molte le abbiamo fatte egregiamente, con le nostre Forze armate e il mondo del volontariato. Ma vorrei richiamare l'attenzione sui grandi temi e sulle grandi questioni: il Nord e il Sud, i focolai, le povertà che portano gli squilibri, il terrorismo, l'estremismo e il fondamentalismo. Sono i grandi temi dell'oggi, del 2010 e dei mesi futuri. Ecco perché, signor Presidente, abbiamo una valutazione d'insieme da fare e che in questa occasione non possiamo che sollecitare. Più di questo non possiamo fare, ma sarebbe veramente un fatto increscioso se questo nostro voto dovesse essere colto come una posizione scontata. Siccome nessuno può votare contro le missioni, andiamo avanti comunque senza chiarimenti. Questo non è un atto di responsabilità né di serietà e serenità nei confronti del Parlamento e del Paese. Facciamo queste valutazioni raccogliendo certamente l'interesse per gli emendamenti che sono stati presentati, alcuni dei quali probabilmente meritevoli di attenzione. Non so fino a quando e come i tempi ci consentiranno una valutazione serena e di avvalerci anche del contributo emendativo che alcuni colleghi hanno dato su questo provvedimento.
Detto ciò, signor Presidente, nell'esprimere questa nostra posizione, certamente di interesse, ritengo che tutto questo sia gracile ed esprima una difficoltà, perché ogni volta siamo costretti a rifinanziare ed a rideterminare. Vi è un grande tema, quello del nostro modello di difesa, del ruolo delle nostre Forze armate, dei reparti che inviamo, delle attrezzature e della qualificazione che le nostre Forze armate hanno sul piano professionale. Tant'è vero che se oggi esiste un esercito è perché siamo impegnati sullo scacchiere internazionale. Anche questo è un bel tema: forse il Ministro della difesa dovrebbe affrontare anche il tema del nostro modello di difesa, dello status delle nostre Forze armate, del nostro ruolo sullo scacchiere internazionale.
Signor Presidente, raccogliendo la sua sollecitazione, concludo questo mio intervento, questa mia valutazione, con la speranza che ci possa essere una grande occasione per esprimere chiaramente una forte tensione rispetto a questi temi, che saranno importanti e fondamentali, come quello della sicurezza. Sono fondamentali e importanti perché la sicurezza non è solo quella interna, ma anche quella esterna. Deve essere, però, una sicurezza vera e forte, che nasce dalla cultura e dai processi storici e culturali che bisogna raccogliere, valorizzare e approfondire (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

Pag. 25

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, colleghi, siamo alla terza lettura di questo provvedimento. Come sapete, l'Italia dei Valori già precedentemente votò a favore della conversione in legge del decreto, però in quella sede espresse una serie di perplessità e pose una serie di domande al Presidente del Consiglio. Tuttavia, nei mesi e nelle settimane che sono trascorsi nel frattempo, nessuna risposta è arrivata. Stiamo discutendo delle missioni all'estero dei nostri soldati. Di fatto, credo che, dopo l'approvazione del bilancio dello Stato italiano, sia il provvedimento più importante che dovremo affrontare. Stiamo discutendo di politica internazionale, di lotta al terrorismo internazionale, ma di fatto affrontiamo questi argomenti con provvedimenti a termine, a scadenza, come se fosse solo un problema che ha un respiro di pochi mesi. Bisogna trovare le risorse, mentre il resto non esiste e non va discusso.
Dovremmo avere un quadro strategico concorde naturalmente con quanto si fa in Europa e nelle sedi internazionali, nell'ONU.
Non riusciamo, invece, a produrre dei piani strategici: pensate quanto ho sofferto, io che vivo in Lombardia, nel vedere i nostri militari, dopo che li prepariamo giorno dopo giorno per le missioni all'estero in relazione a tecnologie e ad azioni congiunte con altre forze straniere, affrontare con il badile una nevicata a Milano.
È una cosa talmente naturale, che da secoli, tutti gli anni, arriva puntualmente nelle città del nord, e la si deve affrontare con personale così specializzato. In Italia, come sappiamo, rivendichiamo a Milano di essere la sede dell'associazionismo e del volontariato; eppure non siamo neanche più in grado di affrontare la spalatura della neve sui marciapiedi e utilizziamo queste risorse.
Credo che questo sia assolutamente offensivo nei confronti di questi lavoratori altamente specializzati, che dovrebbero avere il cuore e la mente concentrati su quello che fanno per rappresentare l'Italia all'estero. Insieme a loro, naturalmente, dovremmo discutere di quello che dovremmo fare con la cooperazione internazionale: non vi è solo l'azione militare, ma vi è un'azione molto più complessa per risolvere queste questioni internazionali.
In questi settori della cooperazione internazionale noi ce ne dimentichiamo: prendiamo dei solenni impegni, ma lì non si va ogni sei mesi a dire che bisogna cacciare l'euro; no, non lo facciamo. In quel caso ce ne dimentichiamo: sottoscriviamo questi grandi impegni in modo solenne, ma poi li lasciamo da soli; i soldi non ce li mettiamo e la cooperazione italiana all'estero va da sola o con le proprie risorse e le proprie forze, spesso neanche con la copertura diplomatica, con la copertura di orgoglio che dovrebbe avere rappresentando l'Italia all'estero.
L'Italia dei Valori è una forza politica che punta con decisione nel prossimo futuro a ricostruire insieme al Partito Democratico una forza di coalizione in grado di passare dall'opposizione all'esercizio dell'arte del governo; intende, quindi, farlo con la massima convinzione e fermezza possibile.
È per questo che prendiamo sul serio, molto sul serio, tutti gli aspetti riguardanti la presenza delle forze militari e di pace del Paese nei teatri problematici della scena internazionale. Lo facciamo con estrema serietà ed è per questo che esponiamo alcune perplessità.
Vi è totale incertezza, come dicevo prima, sulla strategia di uscita. Affrontiamo ogni sei o due mesi solo il problema del finanziamento, anziché capire dove vogliamo arrivare e attraverso quali strumenti. Noi del centrosinistra siamo molto soddisfatti del fatto che negli Stati Uniti abbia vinto il presidente Obama, però non abbiamo perso il senso alla critica.
Non ci dobbiamo assoggettare alle politiche, a volte di comodo, che può assumere anche il Presidente degli Stati Uniti. Ci rendiamo conto che, anche con questa vittoria, gli Stati Uniti non hanno scelto Pag. 26una linea chiarissima nella risoluzione dei problemi internazionali, soprattutto in Iraq e in Afghanistan.
L'incertezza sulla strategia di uscita è rappresentata in modo emblematico dalla decisione della Conferenza di Londra che ha istituito un fondo fiduciario per la pace e la reintegrazione. L'obiettivo che ci si era prefissati era di 500 milioni di dollari, ma ad oggi ne sono stati raccolti soltanto 140.
È una cifra che, in un certo senso, svela involontariamente come i Paesi presenti in Afghanistan credano poco alla strategia del ritiro. Siamo lì non si sa per quanto tempo, non si sa per far bene che cosa dal punto di vista analitico, né sappiamo quando ne usciremo.
La situazione della politica e della società civile in Afghanistan è dubbia ed è difficile anche decidere di andarsene, perché non sappiamo in quali mani lasciamo una situazione ricca di moltissime incertezze.
Vi è anche un'incertezza riguardante il carattere pervasivo, ma poco sostenuto della presenza delle nostre Forze all'estero: in alcuni casi - spero di non apparire irriverente, naturalmente - si può parlare di una presenza che è quasi di rango simbolico; rango che dovrebbe essere delegato eventualmente ad ambasciate od altre forme diplomatiche. A Cipro abbiamo quattro uomini, in Sudan tre, a Gaza nove, in Marocco cinque, altrettanti in Congo e in Israele otto: si tratta di una presenza all'estero che ha più il senso di una rappresentazione simbolica della presenza dell'Italia sui vari teatri (sembra quasi che dobbiamo metterci a tutti i costi la bandierina), che non quella della capacità di determinare degli effetti incisivi.
Su questa presenza grava naturalmente anche la diminuzione delle unità di personale: penso per esempio alla riduzione di 180 unità del contingente impegnato nelle missioni UNIFIL dell'ONU in Libano. Si tratta di riduzioni che sono determinate sia da una valutazione sulla natura delle cose che avvengono nel luogo, sia dalla difficoltà effettiva di finanziamento, che purtuttavia ci riguarda anche in tanti altri campi dell'iniziativa politica: operiamo infatti con scarsi finanziamenti su tutto, e ciò si verifica anche nel campo delle spese per i militari all'estero. È vero che le risorse sono quelle che sono, ma è assolutamente necessario renderle efficaci, sapere perché stiamo spendendo risorse umane, risorse economiche e tempo in questi Stati: dove vogliamo arrivare.
Vi è però un punto che si aggiunge a tutte queste varie incertezze, e che rappresenta l'incertezza maggiore, che una forza politica e una coalizione non possono non porsi: mi riferisco alla questione se davvero si tratti di missioni di pace. Mandare uomini e donne in teatri difficili ha un senso profondo, se si ha la possibilità di attingere, anche giorno per giorno, alla testimonianza di una presenza risolutiva. Quanto vediamo accadere in Afghanistan, spesso e purtroppo in modo ritmico ed inevitabile, è il disastro prodotto dai cosiddetti «missili intelligenti», che sbriciolano comunità civili e ammazzano bambini; uomini e donne che non stanno facendo assolutamente nulla di militare o eversivo o terroristico. Dopodiché, siamo costretti a leggere giorno per giorno che le gerarchie militari operanti sul teatro si profondono in scuse per il massacro di 20 civili o di 20 bambini, per una festa di nozze sbriciolata oppure per cortei religiosi massacrati. Questo è un elemento che è difficile togliersi dalla mente: è difficile ragionare su una missione di pace che incide su una comunità civile dai connotati difficilissimi in una maniera così offensiva, tanto da creare costantemente delle tensioni nei confronti delle forze cosiddette di pace. Guai se passa solo questo segnale! Ecco perché bisogna assolutamente pensare a queste missioni all'estero in simbiosi con quanto fa e deve fare la cooperazione internazionale. Siamo assolutamente assenti su questo quadro!
Manca infine una legge quadro che dia una disciplina unitaria alla presenza delle Forze italiane all'estero: di volta in volta si tratta infatti di proroghe, deroghe, di iniziative episodiche; non abbiamo di fronte un quadro legislativo certo, che ci dia un'indicazione precisa, determinata. A noi sta molto a cuore la presenza dei soldati Pag. 27all'estero, e anche la loro vita e la loro salute, la salute delle loro famiglie, che stanno a chilometri di distanza. Quando si sollevano dei dubbi sull'argomento del rifinanziamento delle missioni all'estero, si corre costantemente il rischio di venire accusati di non curarci del destino delle Forze armate laggiù esposte.
Cari colleghi, è proprio il contrario; e proprio perché noi ci preoccupiamo davvero della vita e della salute, della possibilità di ritorno degli uomini e delle donne con le «stellette», così come li ha voluti chiamare il Ministro; noi abbiamo davvero a cuore la loro sorte, e non possiamo nascondere i dubbi che nascono quando vediamo, come abbiamo visto implacabilmente negli ultimi anni, un atteggiamento bifronte dell'autorità politica, del Governo e della maggioranza nei confronti di tali cose.
Vediamo incessantemente posizioni di tipo vagamente retorico, che inneggiano alla presenza dei soldati all'estero colmando di lodi coloro che vanno a compiere il dovere su fronti difficili; poi, quando le persone ritornano offese fisicamente e nel morale, siamo costretti ad assistere, cari colleghi, all'indifferenza, alla cecità, al silenzio che accolgono i nostri soldati che tornano da questi fronti.
Ricevo, riceviamo, anche nel mio ufficio, nei nostri uffici, testimoni diretti: sono pochi rispetto al totale, ma i casi tutti insieme rappresentano qualcosa di più di un migliaio di soldati e soldatesse che tornano offesi dall'amianto nelle navi e dall'uranio impoverito da cui sono stati contaminati nei teatri esteri.
Che cosa fa l'Italia per queste persone che hanno messo a repentaglio la loro salute e la loro vita proprio per la patria? Fa pochissimo, anzi molto spesso si costituisce in giudizio contro i processi che devono fare per avere il loro giusto riconoscimento! Famiglia per famiglia, individuo per individuo, devono procedere a fare causa allo Stato per ottenere il loro legittimo riconoscimento: ma è legittimo tale atteggiamento, è razionale? Penso che sia perfino lesivo dell'interesse nazionale trattare da orfani senza nome e senza famiglia chi è andato a lavorare all'estero per la patria e che, quando torna, non riceve nemmeno l'aiuto necessario per fronteggiare delle malattie insidiose e spesso, purtroppo, mortali.
Non capiamo - e siamo contenti che l'emendamento sulla cosiddetta mini-naja sia stato ritirato al Senato proprio dal Ministro La Russa - come si possa immaginare di destinare cifre, seppur di poco significative, per fini così irrilevanti come quello della cosiddetta mini-naja e non si abbia invece la prontezza d'animo, una volta deciso che quelle cifre possono essere rese disponibili, di utilizzarle, ad esempio, per dare un risarcimento a chi ne ha diritto, a chi lo ha conquistato con il sangue e la salute! Questa è la sfida: anziché spendere soldi per riproporre la mini-naja, credo che basterebbe comprare dei badili e fare dei corsi da badilografi per quando dobbiamo spostare la neve nelle nostre città, senza complicare le cose come già prima avevo detto.
Signor Presidente, l'Italia dei Valori è una forza che assume con impegno tale questione, ma ribadiamo che i nostri dubbi vengono dopo che per mesi abbiamo posto queste domande. Abbiamo votato a favore di atti di indirizzo su tali questioni, ma da parte del Governo non ci è arrivata nessuna risposta in tal senso: dobbiamo assolutamente costruire una strategia completa, capace di dire dove vogliamo arrivare e quando arrivarci (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Porta. Ne ha facoltà.

FABIO PORTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio anch'io iniziare il mio intervento esprimendo tutto il cordoglio, mio personale e del gruppo, per la morte del dottor Pietro Antonio Colazzo, il funzionario dell'intelligence italiana morto a seguito del tragico episodio che tutti conosciamo in Afghanistan nell'espletamento del suo servizio e - aggiungo - anche nel compimento di un atto eroico, avendo contribuito a salvare la vita di altri quattro nostri connazionali prima che il kamikazePag. 28che lo ha ucciso si facesse esplodere.
Esprimo ovviamente il cordoglio ed anche la vicinanza nostra e di tutti i parlamentari - credo non soltanto di quelli del nostro gruppo - alla famiglia del dottor Colazzo, ma allo stesso tempo - e veniamo al merito del provvedimento che stiamo discutendo - non possiamo non prendere atto del fatto che in Afghanistan la situazione si fa sempre più drammatica.
È chiaro ed evidente - lo ha dichiarato anche il segretario del nostro partito, Pierluigi Bersani - che una missione di pace, una presenza di pace, un impegno di lotta al terrorismo internazionale può comportare ed esigere dei sacrifici; allo stesso tempo, però, questi sacrifici esigono e richiedono una chiara prospettiva nell'arco temporale ed anche sul piano strategico.
Su questo credo che occorrerà assumere presto delle iniziative ben precise. Inoltre, è anche il caso che la riflessione sulla nostra presenza in Afghanistan venga approfondita per vedere in che misura otteniamo davvero dei risultati tangibili e quanto l'azione militare riesca ad innescare un'azione anche politica in grado di coinvolgere tutti i Paesi dell'area, tutti i Paesi confinanti, per dare una prospettiva di stabilizzazione non solo all'Afghanistan, ma a tutta la regione interessata dal conflitto. Sono aspetti sui quali saremo chiamati a rispondere prossimamente.
Venendo un po' più sul merito di questo decreto-legge, che è in terza lettura alla Camera, vi è da dire che il Senato ha apportato delle modifiche significative, tra le quali, la più significativa riguarda proprio la norma con cui, in maniera abbastanza contraddittoria (come ha detto qualche mio collega: un po' pasticciata, se non bizzarra) è stata sanata la decisione di inviare la missione in soccorso ad Haiti, a seguito del tragico terremoto che ha sconvolto quella regione.
Ad Haiti, come sapete, da qualche tempo è in atto una missione internazionale delle Nazioni Unite che, tra l'altro, ha una prevalente presenza di militari di un Paese amico come il Brasile (missione che ho potuto seguire da vicino grazie ai rapporti con il Governo brasiliano che mi derivano dall'essere residente in quel Paese). Ebbene l'autorizzazione di spesa disposta con il comma 15-bis dell'articolo 5 del decreto-legge rinnova fino al 30 giugno del 2010 l'invio di personale dell'Arma dei carabinieri nell'ambito di questa missione umanitaria denominata United Nations Stabilization Mission in Haiti.
Si tratta di una missione già esistente che ovviamente è stata rafforzata, e non solo dal nostro Paese, a seguito del grave terremoto del 12 gennaio scorso. Voglio ricordare che la missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti è una missione di pace, di peacekeeping, stabilita dal Consiglio di sicurezza dell'ONU già nel 2004, con la risoluzione n. 1542, ed è operativa dal maggio di quello stesso anno. La missione si è resa necessaria dopo la destituzione del Presidente Aristide da parte di truppe di ribelli per garantire la transizione democratica del Paese. Il mandato di questa missione delle Nazioni Unite è quello di aiutare il Governo di transizione nazionale a mantenere l'ordine e la legge nel Paese, garantendo le libertà democratiche, le elezioni, ma è anche quello di proteggere le Nazioni Unite impegnate in questo, come in altri progetti umanitari, nella regione interessata.
Per l'invio del nostro contingente è autorizzata una spesa di 2.679.906 euro finanziata mediante una corrispondente riduzione - qui si innesca un altro dei pasticci e delle confusioni a cui speriamo il Governo possa porre rimedio, anche con l'aiuto di questa discussione e di questo voto - delle risorse stanziate dall'articolo 5, comma 17, per gli interventi urgenti relativi al nostro contingente militare in Afghanistan. Credo sia estremamente opportuno che il Governo fornisca dei precisi chiarimenti su come intenda fare fronte a questa riduzione di spesa significativa riguardo ad una missione fondamentale, delicata ed importante come quella che stiamo organizzando in Afghanistan.
Tornando alla situazione di Haiti permettetemi di riferirmi non solo alla popolazione di Haiti, ma anche a quella di Pag. 29un altro Paese del continente latino-americano, il Cile, anch'esso scosso in queste ore da un terremoto altrettanto drammatico e distruttivo in termini di risorse materiali e umane. Ad Haiti si somma adesso la situazione cilena.
A questo proposito faccio due osservazioni a latere delle considerazioni sul provvedimento. Una riguarda Haiti, riguarda l'intenzione già manifestata dal Governo - anche su nostra richiesta - di accelerare le procedure per azzerare il debito complessivo residuo di Haiti, un debito pari a 40,43 milioni di euro. Credo che l'annunciata imminente - speriamo - sigla di un accordo bilaterale che possa porre fine a tale situazione di indebitamento internazionale sia da auspicare e anche da agevolare. Per quanto riguarda la III Commissione (Affari esteri) e i lavori parlamentari in genere, credo che non soltanto il nostro gruppo farà di tutto per agevolare l'iter di tale provvedimento.
La seconda osservazione, che mi premeva svolgere con riferimento al terremoto e all'emergenza ad Haiti, è quella che abbiamo posto anche all'attenzione dell'Assemblea con la mozione firmata dai colleghi del PD, Bucchino e Sbrollini, sulla drammatica situazione dei bambini che si trovano nella condizione di essere adottati.
A questo proposito ricordo il lavoro svolto dalla Commissione italiana per le adozioni internazionali la quale ha programmato una serie di interventi immediati al fine di agevolare i ricongiungimenti dei bambini con i familiari dispersi o feriti, finanziando il progetto Save the children; questo lavoro, che prevede anche la garanzia di assistenza igienico-sanitaria e che consentirà anche la sopravvivenza e un futuro a 20 mila famiglie con bambini assistiti dalla Caritas di Haiti, deve essere sostenuto e favorito con tutti i mezzi a nostra disposizione.
Riguardo a questa materia, cioè all'intervento coordinato di tipo umanitario in situazioni come quella di Haiti, che conferma e dimostra come tra intervento militare e intervento umanitario sempre più spesso siamo chiamati a interagire, voglio anche soffermarmi sul grave rischio che, anche a seguito di quanto sta succedendo in queste ore in Cile, si verifica rispetto alla presenza di organizzazioni umanitarie internazionali.
La tragedia di Haiti e, oggi, la tragedia e il terremoto in Cile stanno quasi portando al collasso di organizzazioni che, anche a causa del taglio sistematico di fondi e di finanziamenti, rischiano di non riuscire più a prestare la dovuta assistenza in condizioni di questo genere.
Il nostro Paese si è sempre distinto per la propria cooperazione internazionale allo sviluppo, per i propri interventi di carattere umanitario, a fronte del moltiplicarsi delle emergenze internazionali. Ripeto che i casi di Haiti e del Cile sono soltanto gli ultimi in ordine di tempo. Peraltro in Cile, come il Governo sa bene, esiste un significativo contingente di italiani, di connazionali e anche di discendenti di italiani che sicuramente ancora una volta avrà bisogno di sostegno come in passato, quando il nostro Paese, anche per ragioni di carattere politico, è stato a fianco di quel popolo e della lotta di quel popolo contro la dittatura. Anche oggi dobbiamo dimostrare di essere vicini al popolo cileno, moltiplicando i nostri sforzi dal punto di vista della cooperazione internazionale.
In conclusione del mio intervento, tornando al testo che stiamo discutendo, ribadisco che l'emendamento appena approvato dal Senato prevede anche l'invio di un cospicuo numero di carabinieri: 130, che si recheranno ad Haiti nell'ambito della missione umanitaria. Tale missione, nonostante tutte le alterne vicende che l'hanno contraddistinta, con l'apertura di una missione da parte della Protezione civile e una chiusura dal punto di vista legislativo con il Ministero della difesa, saltando a piè pari il Ministero degli affari esteri, diviene a pieno titolo una missione di carattere militare. Credo che dobbiamo chiedere al Governo due chiarimenti: il primo affinché chiarisca in quale modo verranno coperte le voci di spesa, i capitoli, le risorse tolte alla missione in Afghanistan.

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PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Porta.

FABIO PORTA. L'ultima richiesta - concludo, signor Presidente - consiste nel ribadire la necessità di una legge-quadro sulle missioni internazionali, ormai non più rimandabile che ponga fine a questa confusione, a questa improvvisazione e che faccia onore a quanti militari, cooperanti, volontari, servitori dello Stato, come il dottor Colazzo, hanno sempre onorato il nostro Paese e che meritano anche un Paese più attento anche dal punto di vista legislativo alla propria azione a livello internazionale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, vorrei cogliere l'occasione per ribadire il nostro impegno: da sempre la Camera dei deputati, come il Senato della Repubblica, in diverse circostanze e nella alterne vicende di maggioranze e opposizioni che si sono scambiate i ruoli, ci hanno visti favorevoli al rifinanziamento delle missioni delle nostre Forze di pace all'estero. Perché lo abbiamo fatto in questi anni? Perché abbiamo sempre ritenuto che questo sia un terreno non solo di orgoglio nazionale ma che fosse anche e soprattutto importante dare la certezza ai nostri militari, che si impegnano quotidianamente all'estero, di un consenso ampio, di un consenso politico, di quell'unità di intenti che deve caratterizzare e sempre dovrebbe caratterizzare una parte di quei provvedimenti che sono componenti del bene comune del Paese.
Tra questi, all'interno della politica estera - che non dovrebbe mai vedere ad ogni cambio di Ministero o ad ogni cambio di Governo una linea politica altalenante - dovrebbe esservi l'assunzione e la conferma degli impegni a carattere internazionale. Tra questi impegni - oggi ci ritroviamo a confermarli per l'ennesima volta alla Camera - non vi è solo il tema dell'Afghanistan, a cui se mi consente arriverò fra qualche minuto, ma vi sono decine di missioni che vedono in prima persona le nostre forze armate in azioni di peace-keeping, ma anche moltissime organizzazioni non governative che vengono supportate dal Ministero degli affari esteri e dalla cooperazione internazionale. Dobbiamo essere consapevoli che al di là delle critiche politiche del momento e delle campagne elettorali che purtroppo costellano troppo facilmente il nostro anno solare e ogni anno si susseguono, vi sono impegni che la comunità internazionale vuole che l'Italia mantenga e che noi siamo orgogliosi di volere e di potere mantenere, agli occhi non solo della diplomazia internazionale, ma anche per il bene di quelle singole popolazioni. Pensiamo insieme a cosa sarebbe oggi il Libano ed a che cos'era il Libano qualche decennio fa senza l'intervento delle forze di pace italiane. Pensiamo a quante azioni molto positive sono state svolte e all'apprezzamento che le nostre Forze armate hanno nello scacchiere africano, per esempio; a come si fanno apprezzare per la loro professionalità, ma anche per quel tratto umano che da sempre le caratterizza, nel Corno d'Africa; a come - lo abbiamo visto in questi anni di impegno prima in Iraq e poi in Afghanistan - le nostre Forze armate sono perno nei rapporti tra le autorità locali, nel contrasto al terrorismo, ma anche nella ripresa di dialogo nei confronti delle popolazioni.
Veniamo all'Afghanistan, perché mi pare di aver capito che molte critiche si levano per la nostra azione in Afghanistan e per come si sta svolgendo. Leggiamo il contesto in cui questa discussione avviene ed il contesto è molto semplice: uno shock internazionale dovuto al disimpegno ed alla caduta del Governo olandese una settimana fa. Proprio su questo tema, dopo una maratona di 16 ore di discussione, la coalizione che governava l'Olanda - una coalizione composta dal Partito Cristiano Democratico e dal Partito Socialista - non ha trovato di meglio da fare che rompersi sul rifinanziamento e sul prolungamento della missione - così come richiesto dalla NATO - di contrasto al terrorismo in Afghanistan. Certo, il nostro Pag. 31atteggiamento deve leggere questa situazione, lo sconcerto in molte capitali europee, lo sconcerto di alcuni esponenti di quelle forze politiche davanti al voto, che ha iniziato una nuova fase politica ed elettorale in Olanda, ma deve leggersi anche all'interno di ciò che la NATO e noi, protagonisti di questa azione delle forze alleate, abbiamo condiviso ed abbiamo scelto di voler fare in questi e nei prossimi mesi: un'azione cioè penetrante e il più possibile efficace certo sul piano militare innanzitutto, ma non solo, anche su quello della ripresa del dialogo con i capi tribali e la ricostruzione ancora più forte degli investimenti, non solo nelle strutture giuridiche, ma anche in quelle sociali ed economiche di quel Paese. All'interno di questo contesto ed all'interno di questi sforzi, come dicevo prima, vi è anche uno sforzo molto importante da parte di tutta la coalizione e da parte di tutta l'alleanza per tentare di sfondare alcuni capisaldi nemici che sono da troppo tempo e da troppi anni rimasti nelle mani dei capi talebani.
Non possiamo guardare alla situazione afgana senza guardarla con una duplice lente di ingrandimento. La prima: certamente il popolo afgano è costituito appunto da popolazioni tribali e nomadi per di più, che non hanno mai avuto nella loro storia un reale senso di appartenenza comunitaria e unitaria; nello stesso tempo, tuttavia, all'interno di questi clan tribali via via negli ultimi decenni si sono fatti strada idee e propositi di azioni terroristiche nei confronti del mondo occidentale. Siamo andati in Afghanistan anche e soprattutto per difendere la nostra libertà, per difendere la nostra sicurezza, per difendere il futuro delle nostre nazioni.
Dunque, quando ascolto discorsi titubanti, incerti e pieni di volontà per consentire il ritorno a casa dei militari della NATO e di quelli italiani, mi chiedo, innanzitutto, se i nostri militari - a me sembra di no - vogliano contribuire al rientro nelle proprie case. Sono certo che loro, come noi, dimostrino di essere molto più consapevoli della missione che stanno svolgendo in quel territorio, che interessa loro, in quanto interessa il futuro delle loro famiglie; che interessa loro ed interessa noi, in quanto interessa a noi tutti il futuro della sicurezza e della libertà in tutto il mondo ed anche nel nostro mondo occidentale.
Quindi, inviterei tutti, al di là delle polemiche di questi giorni, ad aspettare a formulare giudizi definitivi sulla nostra azione in Afghanistan che, al momento, non solo prosegue nella giusta direzione, ma deve continuare, se è possibile, con maggiori sforzi, proprio nella direzione di arrivare, al più presto, alla normalizzazione della situazione e della lotta al terrorismo, almeno in quell'area del Paese. Tale area è, contemporaneamente, interessata da un'azione collaterale, altrettanto vigorosa e forte, da parte delle armate pakistane, per riconquistare e mettere in sicurezza quella parte del territorio di confine con l'Afghanistan che era stata conquistata dalle armate di Al Qaeda. Ritirarsi oggi non solo sarebbe uno smacco rispetto alla coerenza del passato e alla sicurezza del futuro in questi luoghi, ma significherebbe anche dare un contributo indiretto alla destabilizzazione di tutto il contesto regionale in cui ci troviamo oggi ad operare.
È evidente che il rifinanziamento delle missioni in oggetto non riguarda esclusivamente lo sforzo militare: esso riguarda anche - come hanno dimostrato questo Governo e, diciamolo con sincerità, anche il Governo precedente - un'implementazione forte dei sistemi giuridici, della democrazia e del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto in quella nazione. Forse, sotto questo aspetto - non fa parte del provvedimento in oggetto, ma vale la pena accennarvi - devono essere compiuti sforzi ancora maggiori da parte di tutta la diplomazia - dalla nostra italiana, ma ancor più da quella europea - per giungere, al più presto, ad un reale e concreto coinvolgimento del Presidente Karzai e del suo Governo, affinché vengano recisi quei legami nei confronti di ampi spazi di corruzione, che ancora persistono in quel Paese. Pag. 32
È impensabile immaginare che l'Occidente e l'Alleanza compiano questi grandi sforzi e, contemporaneamente, il Governo legittimo e democratico afgano non recida questi legami che tengono ancora troppo avvinghiate le strutture e le istituzioni democratiche ad ambienti poco trasparenti di finanziamento interno. Questo perché, con tutti gli sforzi che potrà fare l'Alleanza, senza la rottura di questi legami, senza la lotta alla corruzione ed una maggiore trasparenza, la popolazione afgana guarderà, non solo all'intervento militare, ma anche alle strutture democratiche, con una grande diffidenza, senza capire realmente quale sia la differenza tra il governo dei talebani ed il Governo democratico. Dobbiamo rendere più percepibile, più positivamente di impatto, il rafforzamento della democrazia e delle sue istituzioni in Afghanistan e gli sforzi umanitari e militari che stiamo facendo in Occidente.
In conclusione, il nostro parere ed il nostro voto positivo saranno confermati anche alla fine di questa discussione, quando si giungerà al voto finale: forse, è stato fatto ciò che chiedeva questo ramo del Parlamento durante la discussione al Senato, quando il provvedimento è stato sfrondato di alcune norme, che già venti giorni fa, durante la nostra discussione, apparivano eccessivamente ampie ed estranee rispetto al provvedimento in oggetto. Il provvedimento è stato ripulito e ciò consentirà, ancora di più, a ciascuno di noi, con maggiore consapevolezza, di esprimere un parere favorevole - lo ripeto ancora una volta - a conferma dell'impegno e degli sforzi compiuti dalla politica estera di questo e dei precedenti Governi. Ciò nella duplice direzione, assolutamente e concretamente importante, di dare un supporto, attraverso la cooperazione internazionale, lo sviluppo delle democrazie, del benessere e dei diritti umani in molti Paesi del mondo, e le azioni di peace-keeping per sostenere e favorire gli sviluppi democratici ed istituzionali in altrettanti Paesi.
È un ruolo importante e che vede da sempre il nostro Governo tra i più impegnati in tutto il mondo. Si tratta di un elemento che ci deve rendere tutti orgogliosi e consapevoli di questa grande missione che anche l'Italia ha nello scacchiere internazionale. Da questo punto di vista, a conferma dell'impegno che abbiamo sempre voluto in questa direzione negli ultimi anni, esprimeremo voto favorevole su questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Scilipoti. Ne ha facoltà.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi è un momento importantissimo, come tanti altri, per la vita politica di questo Parlamento, perché discutiamo di argomenti importantissimi, come tutti i giorni. In modo particolare, oggi siamo chiamati a discutere di un decreto-legge che parla e che autorizza - ma più che parlare, autorizza - quello che da tanto tempo viene discusso all'interno di quest'Aula e anche al di fuori di essa, cioè la nostra presenza, con i nostri militari, in Paesi stranieri.
Guardando attentamente al testo di questo decreto-legge vediamo che all'articolo 1, comma 2, vi è un passaggio importantissimo che così recita: «È autorizzata, a decorrere dal 1o gennaio 2010 e fino al 30 giugno 2010, la partecipazione dell'Italia ad una missione di stabilizzazione economica, sociale e umanitaria in Afghanistan e Pakistan al fine di fornire sostegno al Governo afgano e al Governo pakistano nello svolgimento delle attività prioritarie nell'ambito del processo di sviluppo e consolidamento delle istituzioni locali e nell'assistenza alla popolazione».
Scorrendo ancora nella lettura del provvedimento vediamo che l'articolo 1, comma 3, così recita: «a) al sostegno al settore sanitario; b) al sostegno istituzionale e tecnico; c) al sostegno della piccola e media impresa, con particolare riguardo all'area di frontiera tra il Pakistan e l'Afghanistan; d) al sostegno dei mezzi di comunicazione locali».
Qui nasce, dunque, la grande riflessione e sarebbe stato opportuno, come già Pag. 33hanno detto tanti altri colleghi all'interno di quest'Aula, un dialogo, un dibattito all'interno di questo Parlamento per capire meglio di che cosa stavamo parlando e cosa intendevamo dare in termini di contributi e sostegno e cosa significano chiaramente le missioni all'estero dei nostri militari.
Se dovessimo parlare effettivamente questo linguaggio, cioè il linguaggio che è all'interno di questo decreto-legge, perché i nostri militari dovrebbero essere presenti, quando parliamo di sostegno al settore sanitario? Perché dobbiamo parlare di militari presenti con alta tecnologia nel campo militare, quando parliamo di sostegno istituzionale e tecnico? Perché dobbiamo parlare di militari altamente attrezzati e professionalmente in grado di sostenere momenti di grande confusione all'interno di questi Paesi, quando all'articolo 1, comma 3, lettera d) si parla di sostegno dei mezzi di comunicazione locali? La nostra riflessione all'interno di questo Parlamento e tra noi parlamentari ci porta a riflettere, con tranquillità e serenità, che molte volte quello che diciamo non corrisponde alla realtà. Dunque, non si fanno delle scelte per dare sostegno o per cercare di dare aiuto a questi popoli in grande difficoltà, ma molte volte si inviano dei militari per altri motivi o per altri pensieri reconditi.
Ritengo che i nostri militari che vanno dall'altra parte del mondo e che dovrebbero sostenere tali Paesi dovrebbero essere garantiti sotto tutti i profili e, prima di tutto, dovrebbe essere garantita la loro incolumità. Ma questo spesso non accade perché dall'altra parte, molte volte, non vi è la stessa nostra disponibilità, né vi è la stessa nostra disponibilità di pensiero.
Questa conflittualità ed un modo di pensare diverso dal nostro porta loro ad avere atteggiamenti molte volte di rivolta nei confronti dei nostri militari e molte volte questi ultimi ci rimettono la vita.
Perché faccio questa riflessione, signor Presidente e signor rappresentante del Governo? Perché è arrivato il momento di svolgere una riflessione più profonda. È arrivato il momento di fare una riflessione più profonda che non è e non si limita solo ed esclusivamente al pensiero dei nostri militari che dovrebbero andare dall'altra parte del mondo per garantire determinate situazioni che chiamiamo «scopi umanitari».
Dobbiamo cominciare a parlare un linguaggio diverso, dicendo che la presenza dei militari fuori dalla nostra Italia non sarebbe corretta. Infatti, la presenza di militari al di fuori del nostro Stato sicuramente non giova né al Paese che ci ospita, né tanto meno alla nostra nazione.
Se effettivamente parliamo il linguaggio dello scopo umanitario e del sostegno sanitario, dovremmo mandare del personale altamente specializzato in determinati settori, ossia medici e persone effettivamente preparate per insegnare come rielaborare un'economia all'interno di quel Paese.
Non dovremmo mandare militari e stanziare dei soldi. Un simile stanziamento deve servire a formare i militari per scopi cui non sono preparati. Ciò vuol dire che stanziamo del denaro per far sì che alcuni militari incomincino ad avere le basi più elementari di alcune conoscenze nel campo della medicina, nel campo dell'agricoltura o nel campo della comunicazione.
Quando diciamo che all'interno del Parlamento, signor rappresentante del Governo, è arrivato il momento di fare una riflessione più tranquilla, più serena e che dovrebbe portare tutti i parlamentari a svolgere un dibattito politico sereno e concreto e ad esprimersi liberamente all'interno di quest'Aula, dobbiamo constatare che molte volte ciò non è possibile.
Questo non perché c'è qualcuno con il fucile puntato che non ci permette di dialogare e di esprimere le proprie idee, ma perché l'attuale sistema elettorale ha permesso che all'interno di questo Parlamento il 60 per cento dei parlamentari di destra e di sinistra non sono rappresentanti del popolo, non possono parlare liberamente, né dire liberamente ciò che pensano. È qui il problema!
Il problema si presenta oggi discutendo di un argomento che riguarda la politica internazionale, ma si è presentato ieri e si Pag. 34presenterà domani, perché è sempre lo stesso. Il punto di partenza, signor rappresentante del Governo, è solo uno: che molte volte all'interno del Parlamento non c'è la disponibilità, né la possibilità, di esprimere ciò che si pensa e lo dimostra in questo momento il dibattito politico su un argomento così delicato, sul quale ognuno di noi ha posizioni diverse, e sul quale ciascuno vorrebbe esprimere delle posizioni di contrasto, ma molte volte non lo fa!
Questo avviene sempre per la solita motivazione, che tutti noi conosciamo, ossia che la maggior parte dei politici all'interno di questo Parlamento delle massime espressioni politiche ha cercato di dirci: non legittimare un Parlamento a funzionare in modo concreto, corretto e in modo che possa prendere delle decisioni serene e libere.
Allora, quando si parla di parlamentari, si deve dare la possibilità di compiere all'esterno una riflessione. Oggi è diffusissimo dire che il Parlamento ormai non funziona perché ci sono molti parlamentari, che conseguentemente non esercitano il ruolo che dovrebbero e che tutte le spese di questo Stato sono dovute al numero eccessivo dei parlamentari.
Signor rappresentante del Governo, guardi le cifre che avete stabilito nel finanziare queste missioni, dai 308 milioni di euro per la missione in Afghanistan, alla spesa in Libano (oltre 140 milioni di euro), ai 70 milioni di euro per i Balcani, alla spesa per il Kosovo, alla spesa per la Bosnia, a quella per la sicurezza del Mediterraneo e così via.
Si tratta di spese enormi che non hanno nulla a che vedere con quello che voi definite, cioè a dire la spesa pubblica che grava all'interno di questo Parlamento perché esistono oltre 600 parlamentari, come se i malanni di questo Paese fossero solo ed esclusivamente dei parlamentari che parlano all'interno di questo Parlamento ed aprono un dibattito politico nell'interesse della collettività.
Ve lo dico io, signor rappresentante del Governo, signori e colleghi presenti (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)! All'interno di quest'Aula si vogliono istituire e istituzionalizzare dei parlamentari non eletti dal popolo perché debbono essere eletti solo ed esclusivamente da alcuni leader di partito che molte volte (nel 70 per cento dei casi) non scelgono in base alla riflessione e al lavoro fatto dai parlamentari, ma solo esclusivamente in base all'affidabilità e alla fedeltà. Questo è il primo passaggio!
Il secondo passaggio è l'eliminazione dei parlamentari. Infatti, riducendo i parlamentari da 630 del 50 per cento si permetterà ancora meglio il controllo dell'Aula parlamentare e, conseguenzialmente, la difficoltà di legiferare nell'interesse della collettività.
Per concludere il ragionamento, c'è la terza fase, quella di prevedere uno sbarramento al 10 per cento, così non ci sarà più possibilità per il cittadino di essere rappresentato all'interno del Parlamento (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Ecco tre suggerimenti importanti che sembrano non avere nessun nesso con la discussione di oggi, ma che hanno un nesso fondamentale ed importantissimo con le scelte che vengono fatte giornalmente, quando parliamo di pace, di costituire dei gruppi, di compiere queste missioni umanitarie. Ma che significa missione umanitaria? Significa inviare nei Paesi in difficoltà attrezzature sanitarie che all'interno della Comunità europea non vengono più utilizzate (non sanno a chi le debbono dare e, conseguenzialmente, le vanno a smerciare nei Paesi che hanno difficoltà). Scopo umanitario significa andare ad utilizzare dei vaccini che a casa nostra non utilizziamo più. Scopo umanitario significa andare ad utilizzare dei prodotti che dalle nostre parti non vengono più commercializzati per una serie di motivazioni. È questo lo scopo umanitario che noi ci prefiggiamo, non dico come parlamentari, ma come nazione italiana e come coordinamento delle nazioni europee? È questa la riflessione che noi facciamo?
Allora, colleghi parlamentari, signor rappresentante del Governo, oggi è arrivato Pag. 35veramente il momento di cambiare la logica della nostra visione su alcuni argomenti fondamentali. Oggi è arrivato il momento di cambiare il nostro paradigma della visione complessiva della gestione del sociale e della politica. Questo è fondamentale: cercare di capire e di far capire che esistono delle realtà completamente diverse da quelle che noi sosteniamo e professiamo.

PRESIDENTE. Onorevole Scilipoti, la prego di concludere.

DOMENICO SCILIPOTI. Però, signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, molti hanno capito che si sta avviando il momento della riflessione e del cambiamento, ma qualcuno furbescamente fa finta di non capire. Qualcun altro, invece, lo capisce, ma cerca in tutti i modi di contrastarlo dicendo e sostenendo tutt'altri argomenti rispetto a quelli che sto sostenendo io all'interno di quest'Aula.
Allora, sarebbe stato opportuno, signor Presidente, che da parte della maggioranza non si arrivasse sempre all'ultimo minuto per chiedere delle proroghe, ma ci fosse effettivamente un dibattito sereno e un progetto, cioè a dire capire quello che effettivamente questo Parlamento vorrebbe fare, non soltanto per l'attuale, ma anche per quello che dovrebbe essere da qui a cinque anni il nostro impegno sul territorio fuori dalla nostra nazione.
Signor Presidente, mi auguro che il dibattito su questo argomento possa costituire un elemento in più di riflessione e che nel prossimo futuro questo Parlamento si veda impegnato per risolvere non solo i problemi dell'argomento specifico, ma i problemi più complessivi che potrebbero dare, nella giusta maniera e nella giusta interpretazione, tranquillità e serenità al Parlamento e ai cittadini italiani, affinché abbiano la garanzia di un Parlamento che legifera nei loro interessi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pistelli. Ne ha facoltà.

LAPO PISTELLI. Signor Presidente, colleghi, avendo ascoltato stamattina la discussione sulle linee generali e questo pomeriggio la discussione avviata sugli emendamenti, vorrei cominciare questo intervento notando con qualche dispiacere il contrasto fra la retorica che tutti noi utilizziamo quando parliamo delle missioni italiane all'estero ai nostri elettori sui nostri territori e la sciatteria con la quale stiamo conducendo questo dibattito.
C'è un contrasto ulteriore fra l'importanza e il valore delle missioni italiane all'estero e la povertà dello strumento istituzionale che stiamo utilizzando, un decreto rinnovato a scadenza che, come hanno già notato i miei colleghi del Partito Democratico, gli onorevoli Narducci e Mogherini Rebesani, assume sempre più le caratteristiche di un decreto omnibus sul quale caricare, oltre alla riconferma degli impegni internazionali, anche materie ed impegni estranei all'oggetto della nostra discussione.
Questo accade da qualche anno in virtù di alcune caratteristiche. Il primo fatto, sul quale ritornerò a conclusione dell'intervento, è che non è facile tracciare quadri strategici dell'impegno italiano all'estero quando ogni paio di mesi si è costretti a ripetere il dibattito. C'è il rischio evidente, che stiamo correndo anche oggi, che il dibattito diventi una forma di routine; non è un caso che molte delle cose dette stamattina e oggi pomeriggio siano assolutamente identiche a quelle che abbiamo detto non più tardi di due mesi fa, a fine dicembre.
Vi è, però, una differenza sostanziale che vorrei far notare ai colleghi dell'Aula, almeno a quelli che ascoltano. Quando abbiamo iniziato a discutere le missioni italiane sullo scacchiere europeo ed est europeo qualche anno fa, la rappresentanza politica in questo Parlamento era assai più polarizzata e questo spingeva coloro che intervenivano e le posizioni che erano qui rappresentate ad oscillare su uno spettro ideologico, fatemi dire, molto più ampio fra coloro che erano ideologicamente contrari a qualsiasi presenza e proiezione internazionale dell'Italia, qualsiasi Pag. 36ne fossero le condizioni, e coloro che dovevano contrapporsi a questa posizione rimarcando retoricamente il valore della bandiera, dei ragazzi italiani, dei nostri militari, quasi al di là di ogni considerazione geostrategica.
Questo Parlamento non è più quello di una volta e dunque queste posizioni, fatemi dire, estreme sono state entrambe tagliate nell'ultima elezione del 2008. Ciò dovrebbe permetterci di fare un dibattito un po' diverso, dove si può uscire dalla retorica, sia quella dei bravi ragazzi, avendo a che fare ormai con militari professionisti impegnati da molti anni su vari scacchieri, sia di quelli che devono affermare che la pace è un valore in assoluto che non contempla l'impegno né in forma bilaterale né multilaterale all'interno delle organizzazioni di cui siamo parte. È un dibattito cioè più maturo, all'altezza del Paese che siamo o che desidereremo di essere.
Aggiungo che il dibattito in Italia è ancora più complicato dal fatto che il pregevole articolo 11 della nostra Costituzione obbliga i Governi che si sono succeduti a definire con particolare cautela gli ambiti, i limiti e i confini del nostro agire all'estero.
Fatte queste premesse, il decreto-legge, oltre alle varie ed eventuali su cui si è già soffermata con arguzia la collega Mogherini all'inizio di questo pomeriggio, cioè le confusioni su Haiti fra la Presidenza del Consiglio, il Ministero della difesa e il Ministero degli affari esteri, riconferma il quadro dei nostri impegni internazionali in quattro fattispecie molto diverse tra di loro: le code di una serie di missioni di lunghissima data a partire dagli anni Sessanta, le prime missioni cui l'Italia partecipa talvolta ancora con una, due, quattro, cinque presenze residue, e tre scacchieri importanti che hanno coinvolto la comunità occidentale negli ultimi quindici anni: i Balcani, il Medio Oriente e l'Afghanistan.
Vorrei svolgere un paio di considerazioni per ciascuno di questi scacchieri in forma molto breve. Per quanto riguarda i Balcani, mi rendo conto che quanto sto per dire potrebbe essere considerato estraneo per materia, ma vorrei approfittare del dibattito che ritualmente svolgiamo ogni paio di mesi per porre la questione nei seguenti termini: i Balcani sono la testimonianza di quanto la comunità internazionale, a partire dai primi anni Novanta, sia stata efficace nella sua capacità di entrare in aree di crisi, magari svegliandosi tardivamente quando il conflitto era già scoppiato, ma assolutamente incapace nel programmare la propria capacità di uscita.
Parliamo di aree di crisi che sono a poche centinaia di chilometri di distanza da casa nostra, da questa capitale, ma nelle quali, ormai, da più di dieci anni, nutriti, corposi contingenti internazionali - voglio far notare che il principale tra questi contingenti batte ormai bandiera europea, non batte né bandiera ONU, né bandiera NATO, ma bandiera dell'Unione europea - gestiscono la faticosa realizzazione di accordi di pace provvisori siglati quindici anni fa, ma non riescono a trovare davvero una exit strategy.
Allora, mi permetto di far notare che non in via militare, ma in via politica è il caso che questo Parlamento, che l'Italia nelle sedi proprie riprenda il tema dell'integrazione europea dei Balcani occidentali.
È inutile che continuiamo ogni sei mesi a prorogare la presenza di una missione costosa e numerosa nei Balcani occidentali, avendo rinviato sine die con la mano sinistra il tema dell'integrazione di questi cinque Paesi all'interno del club europeo. Per dimostrarlo basterebbe addirittura una valutazione di ordine pratico: quanto costa la presenza militare e quanto costa la non integrazione dei Balcani occidentali all'interno dell'Unione europea, quasi che il club principale di questo pianeta con oltre 500 milioni di abitanti, la principale potenza commerciale e produttiva del pianeta, avesse paura di integrare al suo interno un'entità la cui popolazione è lo 0,4 per cento della popolazione europea e il cui prodotto interno lordo aggregato è poco più dell'1 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione europea.
Eppure noi preferiamo nasconderci davanti a questa evidenza, a questa verità Pag. 37rinviando la questione, perché non sappiamo come porgere il tema all'opinione pubblica interna, tenendo fuori i Balcani dall'Europa, avendo questo buco nero all'interno della carta geografica europea, ma pagando centinaia di milioni di euro ogni anno - mi riferisco soltanto agli italiani, per non pensare a quanto pagano gli altri nostri partner europei - per mantenere una costosa presenza militare che è l'alibi della nostra incapacità di decidere in altre sedi e in altri livelli ciò che sarebbe giusto per quella parte d'Europa.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, lascio agli atti, come avevo già fatto a dicembre, un mio, spero non personale, dissenso rispetto al fatto che l'aumento dei nostri impegni in Afghanistan viene pagato con un alleggerimento del nostro impegno in Medio Oriente. Lo ritengo un errore politico, un errore geostrategico, sia su base bilaterale, sia su base multilaterale.
È giusto che ogni Paese conduca, sia nelle sedi proprie che nelle sedi multilaterali, la politica che è capace di fare e che la geografia gli impone di fare e se esiste un'area, oltre a quella dei Balcani, nella quale l'Italia ha un suo specifico personale, anche nell'ambito del dibattito che noi portiamo in dote alle alleanze di cui siamo parte, ebbene, quest'area è rappresentata dal Medio Oriente. Tutti noi sappiamo, qualsiasi sia la parte politica dalla quale proveniamo con riferimento alla precedente Repubblica, o nella quale siamo oggi, dopo il mutamento delle forme politiche degli anni Novanta, che il Medio Oriente è il luogo in cui l'Italia è stata bilateralmente e multilateralmente capace di dare il proprio maggior contributo.
Allora, davanti ad una missione come quella in Libano, che abbiamo fortemente voluto, che non ci siamo limitati a gestire su base personale, ma sulla quale abbiamo coinvolto l'insieme dei partner europei, sulla quale ci siamo guadagnati la stima dei contendenti sul campo e la stima dell'alleato americano che ha capito come questo modo di fare sia stato utile anche alla causa comune, l'idea che, oggi e domani, noi possiamo alleggerire il nostro contributo mi pare un errore su cui riflettere.
È un errore rispetto al quale questo dibattito, come più volte preannunciato sia dal Ministro degli esteri che da quello della difesa, poteva costituire occasione per dire una parola chiara, netta e ragionata da parte di questo Parlamento. Ripeto che, invece, sciattamente noi proroghiamo gli impegni come se fosse un normale decreto sugli sfratti, ma poi nei talk show della sera ci mettiamo la mano sul cuore e facciamo la retorica sulla bandiera nazionale.
Infine in ordine all'Afghanistan, voglio ripetere alcune considerazioni già svolte due mesi fa alla luce anche dei fatti che in questi due mesi hanno arricchito, purtroppo peggiorandolo, il quadro geostrategico di cui oggi siamo consapevoli. Cari colleghi, l'Afghanistan è uno di quei teatri nei quali ormai otto anni e mezzo fa la comunità internazionale ha deciso di andare convinta sia della giustezza del metodo che avevamo scelto, sia della giustezza del merito del nostro impegno. Se mi si consente un richiamo a categorie del diritto internazionale ottocentesche, quell'intervento era una guerra giusta sia per il diritto che per la sostanza. Si trattava di sanare la gravissima offesa dell'11 settembre e le gravi complicità del regime talebano rispetto alla novità di Al Qaeda. Si trattava di un intervento compiuto alla luce del diritto internazionale e ai sensi della Carta delle Nazione Unite. È evidente, tuttavia, che se tutti abbiamo condiviso quell'intervento otto anni e mezzo fa, sarà anche il caso che, otto anni e mezzo dopo, una riflessione geostrategica su quanto è avvenuto avvenga senza reticenze. Ciò con la verità di chi sa che, votando oggi quel decreto-legge, vota sulla presenza di persone in carne ed ossa che sono impegnate in quel teatro da molto tempo. Allora, dopo otto anni e mezzo (un tempo di due anni e mezzo più lungo dell'intera durata della seconda guerra mondiale), rispetto al quadro degli impegni che ci siamo posti nel 2001, è giusto capire cosa resta e cosa ancora oggi possiamo Pag. 38fare. È pacifico che rispetto all'intenzione di catturare i responsabili di quel gravissimo attacco (Osama Bin Laden e il mullah Omar), l'obiettivo non è stato centrato. Entrambi ci sono, non si sa dove; entrambi sono sicuramente nella capacità di non nuocere, ma certo quell'obiettivo non è stato raggiunto. Così come nel corso degli anni è sfumata, anche se abbiamo gestito la comunicazione con molta delicatezza, ogni possibilità di trasformare l'Afghanistan in una sorta di democrazia all'inglese del XXI secolo: non ci sono le condizioni per fare questo. Sicuramente si è attenuata la capacità di Al Qaeda di colpire sia là che in Occidente. Sono emersi fatti nuovi come, ad esempio, la necessità di guardare all'Afghanistan in una chiave sempre più regionale, come ha sottolineato il sottosegretario Mantica stamani. Anche il fatto che gli ultimi attentati tendono a colpire funzionari della intelligence pakistani e indiani (come è successo pochi giorni fa), o il fatto che non esiste frontiera di fatto tra Pakistan e Afghanistan, fanno sì che lì vada spostata l'attenzione. Così come credo che la missione internazionale in termini realistici debba avviare una transizione (così com'è successo nel caso iracheno) che riconsegni ai vari signori territoriali, nella funzione della Loya Jirga, la sovranità sull'Afghanistan. Se noi non facciamo questo, noi assecondiamo semplicemente la ritualità di questo dibattito che, però, io temo, se non emergeranno fatti nuovi, si ripeterà negli stessi identici termini anche nella prossima legislatura.
Prendo un ultimo minuto per dire una sola cosa che consegno al Governo nella persona della sottosegretaria, ma anche alla Presidenza di quest'Assemblea. Il Partito Democratico si è reso disponibile fin dall'inizio di questa legislatura a discutere - per evitare i rischi di questo dibattito che abbiamo appena sottolineato - alcuni strumenti quadro che ci permettano di programmare la nostra iniziativa internazionale senza questa ritualità di cui siamo tutti oggi vittime e, al tempo stesso, complici. Sottolineo davanti alla Presidenza della Camera che abbiamo chiesto che il Parlamento sia messo in condizione di sapere dal Governo qual è il quadro degli impegni bilaterali e dei trattati pendenti, senza ricevere notizie con il contagocce e sembra sempre con la necessità di riempire il calendario della Camera e l'ordine del giorno. Il Parlamento vuole essere protagonista nel decidere quali sono i trattati che meritano la ratifica, in quali tempi e con quali scadenze; e non di ricevere quando capita un'informazione dal Governo perché serve a riempire il calendario di una settimana.
Così come chiediamo la discussione di una legge quadro, che permetta di evitare che ogni sei mesi ripetiamo questo dibattito, facendo semplicemente il resoconto della cronaca delle notizie delle ultime settimane, ma senza una riflessione strategica. Infine, signor Presidente e colleghi, negli ultimi dieci anni, la politica estera è cambiata anche su un punto fondamentale, ovvero dove si pensa e si fa la politica estera. Tutti noi diremmo naturalmente la Farnesina, il Ministero degli affari esteri, ma è del tutto ovvio che da dieci anni a questa parte il baricentro si è sempre più spostato verso Palazzo Chigi, perché sono i Presidenti del Consiglio, con la loro diretta partecipazione ai vertici internazionali, che fanno la politica estera. Allora, non sarebbe sbagliato se questo Parlamento, invece di pensare ad un dibattito in diretta televisiva che dura lo spazio di un mattino, discutesse di quali strumenti servono ad un grande Paese per pensare la politica estera e di quali sono le sedi per farlo.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Quindici anni fa questo Paese pensava di essere un grande Paese in un mondo piccolo. Era un mondo diviso, era il mondo della guerra fredda. Oggi ci siamo svegliati come il protagonista dei viaggi di Gulliver ed abbiamo scoperto di essere diventati un Paese medio in un mondo grande. Allora, chi scopre di essere non più un Paese grande in un mondo piccolo, ma un Paese medio in un mondo grande, ha la necessità, se non vuole perdere risorse e intelligenze, di fare sistema, per fare in modo che la propria Pag. 39politica estera possa pesare il più possibile sia nei rapporti bilaterali che in quelli multilaterali. Da questo punto di vista, un dibattito fatto in queste condizioni - ahimè mi tocca sottolinearlo - è ancora una volta un'occasione persa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è da tempo che si pone la questione del senso della nostra partecipazione alle missioni che si svolgono in teatri di guerra come, ma non solo, l'Afghanistan. I nostri soldati che partecipano a queste missioni rischiano la vita e noi non ci possiamo esimere dall'esaminare questo argomento, sapendo che stiamo parlando di vite umane e che a noi compete rispettare il precetto della nostra Costituzione, di essere sostanzialmente degli operatori di pace.
Come Italia dei Valori, ci aspettiamo che già dal prossimo decreto-legge, in attesa che la legge quadro sulla partecipazione del nostro Paese alle missioni all'estero venga al più presto approvata, contenga solo ed esclusivamente impegni e determinazioni legate alle missioni internazionali.
Dico questo perché ancora una volta, sia nel primo passaggio alla Camera che in quello successivo al Senato, si è tentato vanamente, anche grazie alle forze di opposizione, di inserire disposizioni normative che non hanno nulla a che fare con le missioni internazionali e che sono state surrettiziamente agganciate come anelli di una catena estensibile, confidando in una sonnacchiosa loro approvazione da parte delle Camere.
Mi riferisco, in particolare, al tentativo di far passare la cosiddetta mini-naja con un emendamento, poi ritirato al Senato proprio dal Ministro proponente La Russa. Credo che il Governo debba impegnarsi ad evitare l'uso di queste scorciatoie e cessare questa brutta abitudine di mettere insieme cose che insieme non possono stare. Nel merito di questo provvedimento, voglio sottolineare, semmai stigmatizzare, che oltre agli interventi già autorizzati nel testo originario del decreto-legge, che su questo punto non è stato modificato dalla Camera dei deputati, con una modifica introdotta al Senato è stata inserita un'autorizzazione di spesa relativa alla partecipazione di personale dell'Arma dei carabinieri alla missione ONU denominata United Nations stabilization mission in Haiti, partecipazione decisa in seguito al terremoto dello scorso gennaio, che prevede un impegno di spesa fino al 30 giugno 2010 di 2 milioni 679 mila euro. Sono euro sottratti per compensazione al capitolo di spesa per l'impegno civile in Afghanistan, che è passato così da 6 milioni 900 mila euro a 4 milioni 220 mila euro, con l'abbattimento quindi di un terzo della dotazione prevista per le esigenze di prima necessità della popolazione locale afgana.
Questo, colleghi, rivela una palese contraddizione con quanto viene sbandierato a proposito dell'importanza degli aiuti alla popolazione afgana, se poi se ne sacrificano i fondi in nome di un'altra, pur drammatica, circostanza, come quella occorsa ad Haiti.
Vorrei poi richiamare l'attenzione su alcuni elementi che ci sottraggono dal provincialismo del confronto, per far capire che le missioni che ci riguardano rientrano in un'ottica di carattere internazionale ed europeo. Vanno sviluppate tutte le nostre capacità e le nostre azioni a questo fine, piuttosto che indulgere ad una chiusura in una nicchia tutta italiana, nell'ambizione di rivendicare dei primati, presunti o reali, che, se pure abbiamo, dobbiamo a tanti uomini e donne coraggiosi, che sono in missione a livello internazionale.
Voglio ricordare alcuni aspetti: negli ultimi dieci anni l'Unione europea si è affermata come protagonista politica su scala mondiale e si è assunta crescenti responsabilità, come attestano le operazione civili e militari sempre più ambiziose e diversificate al servizio di un multilateralismo efficace che sia sempre orientato alla pace. Pag. 40
Il documento sottoscritto dal Consiglio europeo con il Segretario generale e sotto la responsabilità dell'Alto rappresentante in concertazione con la Commissione europea dimostra il persistere delle minacce individuate nel 2003, ma anche l'emergere di nuovi rischi, che potrebbero minacciare direttamente o indirettamente la sicurezza dell'Unione europea e dell'Italia. In questa logica, dobbiamo affrontare globalmente, insieme a tutti i Paesi partner, questa emergenza.
Il Parlamento europeo ci dice che l'Unione europea ha bisogno di sviluppare la propria autonomia strategica mediante una politica estera di sicurezza e di difesa forte ed efficace per difendere i propri interessi nel mondo, proteggere la sicurezza dei propri cittadini, contribuire ad un multilateralismo evoluto e promuovere il rispetto dei diritti dell'uomo e dei valori democratici in tutto il mondo, salvaguardando la pace del pianeta.
Il Parlamento europeo sottolinea, inoltre, che la trasparenza, l'efficacia e l'efficienza in rapporto ai costi, come pure la responsabilità nei confronti delle istituzioni parlamentari e il rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, sono di importanza cruciale per garantire il pubblico consenso all'azione di difesa europea.
A questo proposito, rileva la particolare importanza di un efficace controllo parlamentare, che qui forse non siamo abituati a fare o, se facciamo, facciamo in maniera timida, sulla politica europea di sicurezza e di difesa sotto forma di una stretta cooperazione tra il Parlamento europeo e i Parlamenti degli Stati membri, di cui questa Camera dei deputati fa parte, anche se a volte sembra che questo profilo non ci appassioni molto.
Il Consiglio del 17 novembre 2009, in occasione del decimo anniversario della politica europea in materia di sicurezza e di difesa, ha segnalato il successo di queste azioni, che hanno dispiegato personale per circa 70 mila unità in 22 missioni ed operazioni, di cui 12 attualmente in corso a sostegno della pace e della sicurezza internazionale.
Questa politica ci dice di operare per assicurare al titolare della carica di Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza un ruolo dotato di forza, di efficacia e di visibilità, adottando, se necessario, misure per applicare le disposizioni di settore previste dal Trattato di Lisbona: perfezionare la coerenza delle attività esterne, rafforzando la capacità di allarme rapido e la capacità di programmare e svolgere politiche coerenti, globali e mirate di intervento rapido e di gestione della crisi e di sviluppo postbellico in regioni già dilaniate dai conflitti; migliorare la capacità di intraprendere missioni e operazioni efficaci nell'intera gamma di compiti attinenti alla prevenzione dei conflitti e alla gestione delle crisi, per consentire così all'Unione europea di svolgere missioni operative più flessibili, più complesse e consistenti; estendere il margine di impiego e la flessibilità dei gruppi tattici; migliorare lo spiegamento delle equipe di risposta civile e il sostegno logistico.
Ancora, garantire maggiore disponibilità di personale civile e militare e di attrezzature, sondando ulteriori possibilità di mutualizzazione e di condivisione delle risorse; intensificare il coordinamento civile e militare, come precisa la Dichiarazione, che deve consistere in un potenziamento degli aspetti civili e militari della pianificazione delle operazioni PESD, nella promozione delle sinergie tra civili e militari e i mezzi a doppio uso.
La Dichiarazione riconosce anche l'importanza di un mercato delle attrezzature di difesa fondato sulla concorrenza, sull'uguaglianza delle condizioni e sulla sicurezza di approvvigionamenti. La Dichiarazione raccomanda inoltre di sondare la possibilità di utilizzo della cooperazione strutturata e permanente, che troviamo iscritta nel Trattato di Lisbona, e che ci autorizza ad uno sviluppo della cooperazione in materia di difesa e di sicurezza tra gruppi ristretti di Stati membri.
Questa Dichiarazione perora anche lo sviluppo di legami più stretti tra la PESD e la politica in materia di libertà, sicurezza e giustizia; la promozione del ruolo dell'Unione Pag. 41europea a sostegno dei processi di mediazione e di dialogo in situazioni di instabilità e di conflitto, proprio in quelle aree come l'Afghanistan; il rafforzamento dell'ottica dei diritti umani in ambito PESD, ponendo l'accento sia su tematiche quali le donne e i principi di pace e di sicurezza, sia sul ruolo delle donne, che possono essere attrici dell'agenda in materia di sicurezza internazionale. E ancora, l'intensificazione della cooperazione con i partner principali, la NATO, le Nazioni Unite, l'Unione Africana e altri consessi regionali; il rafforzamento dei contatti con i soggetti non governativi. I ministri, in questa Dichiarazione, riconoscono anche che il bilancio della politica estera e di sicurezza dovrebbe essere adeguato per rispondere ai problemi attuali e futuri.
Vorrei ricordare che il gruppo Italia dei Valori, ogni qual volta si è dovuto confrontare e ha dovuto affrontare il voto sulla proroga delle missioni internazionali, si è sempre responsabilmente assunto l'impegno di sostenerle, votando a favore della conversione in legge dei relativi decreti-legge di volta in volta presentati dal Governo, a sostegno dell'operato della nostre Forze armate e dei tanti civili impegnati nei diversi scenari internazionali, al fianco dei nostri militari e dei nostri civili.
Concludendo, vorrei ricordare anche un aspetto importante sulla frammentarietà del provvedimento in esame, che non ci aiuta ad avere un quadro unitario, così come ci ha ricordato anche il Comitato per la legislazione; e credo che questo sia un grave punto di debolezza, di criticità, perché qualche settimana fa abbiamo approvato unanimemente in Parlamento le mozioni in cui si parlava di contenuti, di tempi, di procedure, che nel provvedimento vengono totalmente disattese e svuotate.
Vorrei rimarcare un'ultima cosa ai colleghi della maggioranza, con i quali in verità stiamo lavorando con concretezza e con convinzione al solo fine di elaborare una legge quadro, che assicuri finalmente la strutturazione definitiva delle missioni internazionali: evitiamo, colleghi, le aleatorie previsioni, che di volta in volta si presentano con norme giustapposte in altri provvedimenti, e generano norme «intruse» o provvedimenti incoerenti. Vorrei dire che non è più ammissibile legiferare con stravaganti disposizioni, inserite di volta in volta nell'ambito dei provvedimenti legislativi con cui andiamo a disporre il finanziamento delle missioni internazionali. È necessaria una legge di riferimento sul trattamento economico e normativo del personale militare, tenendo conto dei molteplici e peculiari profili amministrativi che caratterizzano le missioni stesse. Noi dell'Italia dei Valori abbiamo dato il nostro contributo per una legge quadro che dia la possibilità di avere certezza di risorse, certezza di contenuti e certezza di opportunità nella costruzione di un percorso, che non può vedere l'Italia isolata in una splendida quanto anomala solitudine nel contesto internazionale, ma che deve inserirsi a pieno titolo in un'ottica di livello e di sistema europei. Credo infatti che la lente di ingrandimento sul dato regionale e nazionale possa essere utile, ma se noi non condividiamo un orizzonte europeo all'interno della PESD siamo perdenti, e alla lunga non riusciremo a dare quel contributo che, per qualità e sostanza, ci ha caratterizzato attraverso i nostri operatori di pace in tutto il pianeta. Ciò è avvenuto soprattutto nelle situazioni di conflitto, dove abbiamo dimostrato che gli italiani sono in grado di costruire e di realizzare un contributo fondamentale per la ricostruzione e il rilancio di quelle comunità neglette, che hanno bisogno di pace, di slancio economico, e soprattutto di sicurezza e di affermazione di quei diritti civili fondamentali dell'uomo, nel rispetto delle diverse peculiarità culturali del pianeta e nella ricerca condivisa di quel delicato equilibrio tra l'individuo e le comunità nazionali o etniche di appartenenza.
Con questi auspici, spero in un contributo, che confido possa avvenire ancora in quest'Aula, attraverso le modifiche che abbiamo proposto con i nostri emendamenti (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, come è stato ricordato da diversi colleghi che mi hanno preceduto questa nostra discussione per la conversione in legge del decreto-legge sulle missioni internazionali avviene in un momento molto difficile, nel quale la situazione in Afghanistan si fa particolarmente drammatica. Vi è stato il tragico fatto di venerdì scorso che ha portato alla perdita di un altro servitore dello Stato, un nostro funzionario dell'intelligence, Pietro Antonio Colazzo; alla famiglia vogliamo rinnovare il cordoglio e testimoniare tutta la nostra vicinanza. Ma insieme a ciò abbiamo verificato come la situazione sia diventata più difficile: sei soldati della missione ISAF, la forza internazionale di assistenza e sicurezza, hanno perduto la vita in queste ultime quarantotto ore (quattro a sud e ad ovest della regione, due nella parte orientale dell'Afghanistan), colpiti dagli attacchi e dalle operazioni messe in campo dalle forze talebane.
Dobbiamo ricordare, purtroppo, che da gennaio di questo nuovo anno sono ormai 107 i morti tra i militari della missione ISAF. Come abbiamo visto, la situazione si fa particolarmente difficile, gli attacchi vengono portati avanti con grande determinazione (lo abbiamo potuto notare a Kabul nel caso degli attacchi portati al centro della città contro gli alberghi); a questo riguardo dovremo portare avanti una discussione sulla missione che stiamo svolgendo in Afghanistan.
Non è questo il momento, oggi stiamo infatti per approvare il provvedimento sulla proroga delle missioni internazionali (l'ultimo, l'ennesimo), eppure una discussione approfondita dovremo pur farla. Vi è la necessità di una riflessione strategica in Parlamento sulla nostra presenza in Afghanistan e la necessità di comprendere in quale misura riusciamo ad ottenere dei risultati in questa vicenda; vi è infine da comprendere quanto l'azione militare riesca ad innescare un'azione politica in grado di coinvolgere tutti i Paesi confinanti e di offrire una prospettiva per la stabilizzazione e per la pacificazione dell'area. Ma di tutto questo avremo modo di discutere ancora; è doveroso affrontare la situazione per come si sta determinando e per come si è determinata.
Con la discussione di oggi, però, siamo alle prese con la terza lettura del decreto-legge sulle missioni internazionali (dopo la prima approvazione da parte della Camera e le modifiche introdotte dal Senato); ciò è avvenuto perché vi è stata la necessità di correggere gli errori del Governo e, soprattutto, quella di sanare la procedura che lo stesso ha adottato per la missione di soccorso ad Haiti, che si è intrecciata con la conversione in legge del presente decreto-legge.
La storia della missione di soccorso alle popolazioni della Repubblica di Haiti colpite dal sisma del 12 gennaio inizia il 29 gennaio del 2010, quando la Presidenza del Consiglio dei ministri, su proposta del capo del Dipartimento della protezione civile, dispone, con l'ordinanza n. 3844, l'invio della portaerei Cavour con 530 militari a bordo, più altro personale civile.
Attraverso l'ordinanza viene anche decisa la deroga di alcune norme generali in materia di contabilità e si dispongono criteri diversi di trattamento del personale. In sostanza, l'intera missione è messa alle dipendenze del capo della Protezione civile.
Le cronache dei giorni successivi hanno dato ampiamente conto della gaffe internazionale derivata da alcune incaute affermazioni del capo della Protezione civile quando si è recato ad Haiti. In realtà, la missione militare non poteva essere attuata sulla base di un atto amministrativo quale appunto è l'ordinanza n. 3844, in quanto la legge n. 25 del 1997, all'articolo 1, comma 1, che disciplina l'impiego delle forze militari in Italia e all'estero individua nel Ministro della difesa l'autorità competente e prevede tassativamente l'approvazione parlamentare della decisione. Ai sensi dell'articolo 1 di quella legge, il Ministro della difesa, preposto all'amministrazione militare e civile della difesa e massimo organo gerarchico e disciplinare, attua Pag. 43le deliberazioni in materia di difesa e sicurezza adottate dal Governo, sottoposte all'esame del Consiglio supremo di difesa e approvate dal Parlamento. Ad aggravare la situazione concorreva il fatto che, in assenza di norme specifiche su quale disciplina penale applicare ai militari inviati in missione all'estero, entravano in vigore automaticamente le norme del codice penale militare di guerra.
Con l'emendamento approvato al Senato, che prevede l'invio di ulteriori forze militari, precisamente di 130 carabinieri, la missione rientra nella piena legittimità e diventa, a tutti gli effetti, una delle missioni militari inserite nel decreto-legge. La spesa di tale missione, pari a 2.679.906 euro, viene coperta finanziariamente sottraendo, incomprensibilmente e ingiustificatamente, questa somma alle già insufficienti risorse assegnate all'attività di cooperazione in Afghanistan; questo francamente ci sembra inaccettabile.
Inoltre, il regime penale che viene esteso alla missione Haiti è lo stesso dell'Afghanistan, compresa la discussa norma sulla non punibilità dell'uso della forza militare quando attuata sulla base delle direttive, delle regole di ingaggio o degli ordini ricevuti. Insomma, è una soluzione che francamente ci sembra motivata da un eccesso di preoccupazione, ed è assolutamente indispensabile iniziare la discussione sul nuovo codice penale militare per evitare di procedere per parti separate, creando situazioni, come questa, di giurisdizione speciale che non è possibile conciliare con l'architettura generale del nostro sistema penale.
Per la copertura finanziaria della missione ad Haiti, come dicevo, si sono sottratti circa 2 milioni 700 mila euro alla missione in Afghanistan. A noi questo sembra del tutto inaccettabile. Abbiamo presentato un emendamento in Assemblea alla Camera, e ancora prima in Commissione difesa, che prevedeva di modificare la copertura finanziaria per la missione di Haiti, prevedendo la stessa copertura che il Governo ha trovato al Senato per giustificare l'istituzione della mini-naja. Sappiamo che la mini-naja non è stata approvata, anche per la nostra decisa battaglia parlamentare condotta al Senato, ma la copertura che è stata scelta dal Governo è la stessa che noi, con un emendamento, abbiamo proposto per finanziare la missione ad Haiti, senza sottrarre risorse a quella in Afghanistan.
Signor Presidente, quello della mini-naja sta diventando veramente un «tormentone». Più volte ci siamo dichiarati contrari nel metodo all'introduzione della mini-naja.
La nostra stessa valutazione è stata fatta dal Presidente della Camera, che ha ritenuto inammissibile il provvedimento, tant'è che non ha permesso che esso venisse inserito nel decreto-legge in materia di missioni internazionali in prima lettura qui alla Camera dei deputati; si è poi provato successivamente ad inserirlo durante la discussione al Senato. Si dice che entro il mese di luglio di quest'anno partirà questa nuova realtà della mini-naja che vedrà i ragazzi, di età compresa tra i diciotto e i trenta anni, impegnati, dopo una selezione, in stage nelle nostre caserme e si dice che tutto questo servirà per avvicinare i giovani ai valori e allo spirito delle Forze armate.
È da sottolineare che questi ragazzi mentre porteranno avanti il loro stage, cosiddetto formativo, avranno lo status di soldati a tutti gli effetti. È un fatto molto discutibile, che vede la nostra contrarietà, non soltanto nel metodo, ma anche nel merito. Siamo assolutamente contrari ma non - come è stato detto dal Governo - per furore ideologico o perché non vogliamo permettere la trasmissione ai giovani dei valori e dello spirito delle Forze armate. Siamo contrari per questioni molto più concrete.
Pensiamo che la copertura finanziaria, prevista per realizzare questa mini-naja (una cifra di circa 21 milioni di euro in tre anni), sarebbe più giustificata e più utile se messa a disposizione, ad esempio, del mantenimento in servizio dei militari in ferma breve che, sì, hanno conosciuto le Forze armate, si sono spesi in delicate missioni internazionali, sono stati mandati lì dal Parlamento della Repubblica, e rischiano Pag. 44il mantenimento nell'Esercito dopo aver sviluppato una grande professionalità, dopo aver dimostrato grandi capacità e dopo aver realizzato un addestramento anche molto impegnativo e molto costoso per lo Stato.
Noi riterremmo più utile spendere questi soldi (non pochi, 21 milioni di euro) per cercare di impedire che venga realizzato un ulteriore precariato nelle Forze armate tra i volontari in ferma breve e quelli in ferma prolungata. Il Ministro La Russa ci ha spiegato che soltanto uno su cinque di questi ragazzi può rimanere in servizio. Se noi, invece di destinare questi 21 milioni di euro per uno spot propagandistico come quello della mini-naja, li mettessimo a disposizione per lottare contro il precariato nelle Forze armate potremmo sistemare definitivamente 800-1000 soldati che hanno già svolto compiti operativi. Quindi è molto meglio destinare lì queste risorse, e mantenere le risorse originariamente previste per la missione in Afghanistan,
Signor Presidente, vorrei intervenire in merito a questo ennesimo provvedimento sulle missioni internazionali facendo presente come non sia più sostenibile procedere in questo modo. Il decreto-legge in materia di missioni ormai è diventato una sorta di treno a cui si aggiunge di volta in volta un vagone prima che arrivi a destinazione. Per mesi in Commissione difesa siamo stati impegnati in discussioni molto animate che non hanno prodotto nulla; discussioni che riguardavano l'ordinamento della difesa, la promozione e le carriere dei militari, con emendamenti presentati dalla maggioranza, dal Governo, da noi stessi, successivamente dichiarati inammissibili.
Abbiamo discusso, in sede di esame di questo disegno di legge di conversione di questioni che non c'entrano nulla, come la riforma dei codici militari. Insomma vi è l'esigenza di arrivare finalmente ad una legge-quadro sulle missioni internazionali, che ci faccia discutere nello specifico dei risultati che si debbono ottenere attraverso le missioni che il nostro Paese ha autorizzato, che ci faccia discutere in maniera precisa delle oltre trenta missioni che vedono impegnati i nostri soldati nelle diverse situazioni internazionali.
Occorre un provvedimento quadro, non è più possibile procedere con decreti-legge in cui di tutto si parla meno che dell'argomento specifico. Per questo riteniamo necessario arrivare ad una discussione molto più concreta, e affrontare in maniera organica le tematiche che riguardano la difesa.
Questo vale per i temi che abbiamo affrontato - mi avvio alla conclusione - con la conversione di questo decreto-legge. Questo vale per le carriere dei militari: c'è un provvedimento che deve essere calendarizzato per il riordino delle carriere. Questo vale per la riforma dei codici. C'è un provvedimento che deve essere calendarizzato e discusso in maniera omogenea e soprattutto c'è da discutere il modello difesa che non può essere materia da affidare agli specialisti come ha fatto il Governo con la Commissione di alto profilo.
Il nostro, dunque, sarà un voto favorevole ma con tutte le critiche che ho rappresentato e con l'esigenza che avvertiamo di arrivare ad una discussione su questi temi molto più specifica, ampia ed approfondita, che ci permetta di sostenere lo sforzo che i nostri militari stanno facendo, senza approvare provvedimenti che parlano di tutto e che distolgono l'attenzione principale dallo scopo, cioè dalla scelta di sostenere le missioni internazionali, dalla scelta di dover verificare cosa viene prodotto con le missioni internazionali dai nostri uomini che sono impegnati in diverse realtà; missioni, la cui partecipazione è decisa dal Parlamento e dal Governo del Paese.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Porcino. Ne ha facoltà.

GAETANO PORCINO. Signor Presidente, è da tempo che l'Italia partecipa ad importanti missioni a carattere multinazionale, che vedono impegnate le Forze armate a prestare servizio fuori dai confini del nostro Paese. L'Italia dei Valori riconosce Pag. 45pienamente l'importanza della partecipazione dell'Italia a queste missioni. Siamo, infatti, convinti che non si possa prescindere da esse se si vuole perseguire una politica concreta di cooperazione in materia di affari esteri e difesa e, più in generale, di sicurezza per il nostro Paese.
Non vi è quindi alcun dubbio che le Forze armate rappresentino un elemento indispensabile per consentire al nostro Paese di assumere i propri impegni nell'ambito delle organizzazioni internazionali di cui è membro. Quello che contestiamo, tuttavia, è il fatto che queste missioni vengono di volta in volta prorogate, senza mai avviare una riflessione sui mutamenti del contesto locale e della visione internazionale relativa alle situazioni esistenti nelle varie regioni dove l'Italia impegna i propri militari. Quello che non ci piace è il metodo della decretazione semestrale per consentire la proroga della partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali; metodo che al massimo può, di volta in volta, stabilire quali e per quanti periodi noi dobbiamo intervenire in queste missioni.
In più è ancora più grave se la cooperazione allo sviluppo cui l'Italia partecipa prevede un intervento pluriennale. Ci domandiamo come tale sviluppo possa essere raggiunto in un numero di giorni che varia da decreto-legge a decreto-legge, quando sappiamo bene che per gli interventi di cooperazione servono programmazione e metodo, proprio perché questa si articola su progetti pluriennali di sviluppo.
Per quanto riguarda la proroga alla nostra attenzione, va segnalato che oltre agli interventi già autorizzati nel testo originario del decreto-legge non modificato su questo punto dalla Camera, con una modifica introdotta al Senato è stata inserita un'autorizzazione di spesa relativa alla partecipazione di personale dell'Arma dei carabinieri alla missione ONU: la missione denominata United Nation stabilization mission in Haiti, partecipazione decisa in seguito al terremoto dello scorso gennaio. Questa è una modifica che prevede un impegno di spesa sino al 30 giugno di quest'anno pari a 2 milioni 679 mila euro. Questa somma che deve essere destinata a questo tipo di intervento viene sottratta per compensazione alla parte di impegno civile in Afghanistan che passa quindi da 6,9 milioni a 4 milioni 220 mila euro, riducendo quindi la dotazione per le esigenze di prima necessità della popolazione locale afgana.
Il nostro impegno nelle varie missioni di peacekeeping rappresenta un tassello importante nell'azione internazionale dell'Italia qualificando significativamente la nostra politica estera e di difesa. Ma oggi la situazione determinatasi in Afghanistan è a dir poco delicata e complessa.
Noi dell'Italia dei Valori riteniamo che sia ormai difficile parlare di missione di pace essendo quella regione, in cui il nostro Paese impegna il maggior numero dei suoi soldati, un luogo dove il numero di vittime, la modalità dello scontro e le dimensioni dei contingenti militari impiegati dà una configurazione tale da far pensare a un vero e proprio teatro di guerra. Altri 30 mila se ne aggiungeranno, di cui mille italiani.
Negli ultimi 8 anni, da quando ha avuto inizio la missione in Afghanistan, è sotto gli occhi di tutti che l'obiettivo di consolidare le fragili istituzioni e di renderle capaci di dare sicurezza, stabilità e democrazia al proprio popolo non è certo stato raggiunto. Infatti, se è vero che si è trattato di una guerra-lampo, è altrettanto vero che ne è poi seguita una lenta e perdurante sconfitta, con la costante riconquista da parte dei talebani di sempre più consistenti fette di territorio. Forse qualche dato ci può aiutare a comprendere meglio lo stato dell'arte: dopo 8 anni di presenza di Forze internazionali guidate dagli Stati Uniti, i talebani, che si dovevano sconfiggere, sono presenti sul 98 per cento del territorio. Secondo dati di fonte internazionale facilmente reperibili su Internet a settembre di quest'anno i civili uccisi in Afghanistan risultavano essere circa 7.600, i soldati afgani morti in combattimento circa 11 mila, 6 mila i soldati e gli agenti di polizia, 25 mila i guerriglieri, Pag. 461.400 i soldati USA e NATO, 21 purtroppo i soldati italiani ed oltre 53 mila i feriti, fra militari e civili.
L'impegno profuso da tutti, nonostante l'ingente quantità di forze e di investimenti economici - oltre 100 mila militari dispiegati, 38 miliardi di dollari solo dal Congresso USA ed il sacrificio di migliaia di civili - non ha portato i risultati sperati e non crediamo che il dispiegamento di altri 30 mila soldati, di cui 1.000 italiani, potrà significativamente incidere sull'esito finale. Su questo va detto che la Germania aveva espresso una posizione attendista, mentre da Parigi era giunto un deciso «no» alla richiesta americana relativa all'invio di ulteriori 1.500 uomini. In Gran Bretagna il Premier Gordon Brown aveva suggerito l'esigenza di definire una exit strategy che si doveva tenere entro la fine di quest'anno, il 2010, mentre la Polonia aveva votato una mozione di ritiro delle truppe entro l'agosto del 2010. Da noi naturalmente è arrivato un pronto ed ubbidiente «sì», senza un dibattito che abbia visto coinvolti sia deputati sia senatori e senza una riflessione sulle modalità di rilancio civile della nostra presenza in quella regione. Per la verità anche da Obama è arrivata una qualche delusione rispetto alle aspettative che si erano create intorno alla sua figura e soprattutto con il suo dietrofront, se si pensa che solo pochi mesi fa aveva dichiarato di voler procedere al graduale ritiro delle truppe dall'Afghanistan, salvo poi dover accettare le pressanti quando non perentorie richieste del generale McCrystal.
Dunque è proprio per questo, signor Presidente, che esprimiamo l'esigenza di una ridefinizione dell'intervento militare dell'Italia in Afghanistan, degli esiti dell'intervento militare e delle regole d'ingaggio. Questa nostra richiesta si pone nella prospettiva di un progressivo disimpegno dei nostri ragazzi nella regione, coerentemente con una exit strategy già sollecitata dall'Italia dei Valori anche con la mozione a firma Di Pietro, discussa non molto tempo fa. È evidente che non è in alcun modo possibile procedere a stabilizzare l'Afghanistan solo dal suo interno, perché la dimensione diplomatica regionale, pur con tutte le sue difficoltà, risulta indispensabile. Senza un approccio regionale e senza coinvolgere responsabilmente i Paesi circostanti, comprese Cina ed India, da questo pantano non si verrà probabilmente fuori.
Per concludere, riteniamo che questo finanziamento del nostro impegno internazionale non possa e non debba essere ricondotto ad un semplice passaggio parlamentare. Noi crediamo invece che vada assicurata una dotazione finanziaria strutturale rispetto all'impegno italiano nelle missioni di pace e non estemporanea come si sta facendo, che negli ultimi anni ha visto spaziare in maniera irrazionale da un anno a due mesi, come in questo caso, il rifinanziamento stesso, con il rischio di far gravare sui nostri militari impegnati nei diversi teatri operativi il peso dell'incertezza e della provvisorietà della politica di questo Governo, così appiattito nelle proprie scelte a quelle americane. Stiamo parlando di scelte strategiche per il Paese e di valutazioni politiche che non possono essere ricondotte solo ad esigenze di cassa (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Forgia. Ne ha facoltà.

ANTONIO LA FORGIA. Signora Presidente, non ho difficoltà a riconoscere che, anche io, chiedendo di intervenire in questo dibattito, come altri colleghi hanno dichiarato - penso da ultimo al collega Pistelli - ero mosso da un senso di disagio. Ero mosso, cioè, dalla sensazione di una sproporzione tra la sostanza delle questioni che sono evocate, e alle quali si riferisce il provvedimento in esame - concernente la conversione in legge del decreto-legge del Governo riguardante il finanziamento delle nostre missioni internazionali - ed il corpo delle questioni che ad esso si riferiscono.
È possibile - anche questo è già stato ipotizzato dal collega Pistelli - che tale distanza sia imputabile ad una più forte e più estesa convergenza in quest'Aula intorno Pag. 47alle opzioni che giustificano, e che ci guidano, nel sostenere le azioni alle quali le Forze armate del nostro Paese partecipano nel mondo. Tuttavia, credo che valga la pena cogliere anche questa occasione per ricordare a noi stessi - ed ogni caso, a me stesso - che la decisione attorno cui stiamo ragionando è, in assoluto, tra le più rilevanti tra quelle che vengono esaminate ed adottate in quest'Aula.
L'oggetto della decisione che stiamo prendendo riguarda la sicurezza nazionale, l'intenzione e la valutazione della necessità di tutelare la sicurezza nazionale, ricorrendo all'uso delle Forze armate in territori lontani e distanti dal nostro Paese.
La considerazione alla quale ci siamo, via via, convintamente abituati, nel corso degli ultimi decenni, circa l'interdipendenza stretta che lega le diverse realtà del pianeta, non toglie nulla - questa, almeno, è la mia convinzione - alla responsabilità che ci assumiamo nel momento in cui decidiamo di intervenire in territori di altre nazioni, con l'ambizione dichiarata, e dichiaratamente perseguita, di sostenere lo sviluppo, la sicurezza ed il futuro di queste stesse nazioni e di queste stesse popolazioni.
Abbiamo compiuto un gesto molto forte di assunzione di responsabilità, decidendo di intervenire e di partecipare agli interventi nelle diverse realtà mondiali. È particolarmente significativa, evidente, palpabile e toccabile con mano, la responsabilità che ci siamo assunti, da ormai da nove anni, partecipando all'intervento in Afghanistan.
È esattamente su questo, sulla situazione afgana, che desidero svolgere due osservazioni molto rapidamente. Tuttavia, proprio per la natura del disegno di legge di conversione che stiamo discutendo e del merito del contenuto del decreto-legge, vorrei svolgere una considerazione preliminare, che non vorrei definire di natura più generale ma che in qualche modo, però, si colloca come una sorta di riflessione relativa allo strumento che in generale utilizziamo.
In particolare, credo di essere già stato esplicito riferendomi al contenuto concreto di questo decreto-legge, ossia al tema delle risorse che il nostro Paese impegna, impiega e mette a disposizione a favore della struttura della difesa per agire nel mondo. A rischio di stupire qualche collega della maggioranza che casualmente mi stesse ascoltando, mi spingo a dire che, tutto sommato, ho visto persino una certa ragionevolezza nelle argomentazioni svolte dal Ministro Tremonti nella sua prima legge finanziaria di questa legislatura, quando argomentando a sostegno dei cosiddetti tagli lineari che hanno colpito linearmente, appunto, tutti i settori della pubblica amministrazione implicitamente - ed anche in parte esplicitamente - sosteneva che questa fosse la via maestra, prima di tutto, per tenere sotto controllo i conti del nostro Stato ma anche per mettere alla frusta la pubblica amministrazione nel nostro Paese e costringerla, sotto la pressione dei tagli, ad assumere quelle decisioni che potessero essere funzionali ad un incremento e ad un elevamento dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione amministrativa e, soprattutto, dell'efficacia nella utilizzazione delle risorse.
A sostegno di questo argomento molti commentatori hanno spesso osservato come effettivamente si debba ammettere o si debba quanto meno ipotizzare che vi siano ampie sacche di inefficienza distribuite nel corpo e nella macchina della nostra amministrazione pubblica. Molti commentatori hanno anche argomentato che la ragione di queste sacche di inefficienza distribuita va probabilmente ricercata - o può essere utilmente ricercata - nel fatto che la pubblica amministrazione del nostro Paese, come ogni pubblica amministrazione, è sostanzialmente sottratta, a differenza della gran parte dei settori privati, al vincolo e alla sfida della concorrenza internazionale.
Questo argomento ha ovviamente una sua consistente validità. È pur vero che i fatti recenti che hanno riempito le pagine dei nostri giornali spingerebbero a considerare che accanto alle sacche di inefficienza che indubbiamente vi sono - più o Pag. 48meno consistenti e più o meno diffuse - nel corpo dell'amministrazione vi sono anche dilaganti fenomeni di corruzione che indubbiamente pesano, forse ancora di più, sui conti della nostra pubblica amministrazione.
Tuttavia, lasciando da parte questo argomento, ciò che mi sta a cuore affermare in questo contesto è che il ragionamento secondo cui le sacche di inefficienza della pubblica amministrazione si sarebbero formate e consolidate per un'assenza di competizione e di confronto internazionale non è applicabile all'amministrazione della difesa. Non è applicabile perché se vi è un settore della nostra pubblica amministrazione che sicuramente è sottoposto al vincolo e alla sfida di standard internazionali, quel settore è proprio quello della difesa.
Dunque, semmai si dovesse riconoscere un qualche senso all'approccio molto rude - passatemi il gioco di parole - molto tranchant dei tagli lineari introdotti da Tremonti, questo non avrebbe dovuto essere applicato e non è in ogni caso particolarmente condivisibile per ciò che riguarda il settore della difesa.
Molte volte, intervenendo a nome del nostro gruppo, altri colleghi del Partito Democratico hanno sostenuto la necessità - uso le parole di Pistelli - di sostituire o quanto meno di affiancare alla retorica degli interventi e delle operazioni anche militari sul terreno internazionale con una rigorosa capacità di mantenere davvero il nostro strumento militare e le Forze armate italiane nella condizione di allinearsi agli standard internazionali e quindi di poter intervenire nel mondo non solo efficacemente, ma come più volte abbiamo altrettanto sottolineato, con la dovuta tutela nei confronti degli uomini e delle donne del nostro Paese impegnati in divisa nelle diverse realtà mondiali. Questa è l'osservazione che attiene allo strumento di cui stiamo discutendo e che volevo formulare.
Faccio due osservazioni più ravvicinate per ciò che riguarda in particolare la situazione afgana. Non c'è dubbio che da alcuni mesi, per ciò che riguarda l'Afghanistan, il nostro Paese ha in qualche modo anche partecipato ad una riflessione circa una difficoltà e anche una registrazione di impotenza nel perseguire efficacemente gli obiettivi che hanno motivato la missione ISAF e anche, a partire da questa riflessione, alla delineazione di un cambio di strategia che ha avuto indubbiamente nel generale McCrystal, che unisce in sé il comando della missione Enduring freedom con il comando della missione ISAF, uno speaker molto eloquente e anche - per ciò che riguarda la mia personale convinzione - molto efficace.
Il cambio di strategia suggerito, illustrato e argomentato dal generale McCrystal, - per stare all'essenziale e secondo la mia opinione e la capacità di comprenderlo - è stato fondamentalmente e sostanzialmente riconducibile alla indicazione della necessità assoluta di spostare il peso dalla efficacia dell'azione militare alla efficacia, invece, della costruzione politica e sociale e al perseguimento sul terreno politico e sociale di una relazione di confidenza delle popolazioni afgane nei confronti dell'intervento militare, dell'intervento ISAF ed anche del processo di institutional building in atto, in particolare nei confronti del Governo.
Secondo questa impostazione, parte significativa dell'impotenza, dell'impaccio, del fallimento della strategia perseguita sino a questo momento andava e va individuato - di questo sono convinto - nella debolezza delle istituzioni di Governo e di sicurezza in via di costruzione in Afghanistan, nella loro debolezza e nella loro incapacità di assicurare credibilmente un riferimento alle popolazioni afgane.
Ridotta all'osso, la svolta proposta da McCrystal propone un minor peso all'azione militare e un maggior peso al rapporto con le popolazioni: più attenzione al mantenimento e al controllo del territorio, più attenzione all'implementazione delle strutture politiche, civili e di Governo nei diversi territori.
Le conseguenze di questa impostazione, stando sempre al suo speaker, cioè al generale McCrystal, sarebbero state nella Pag. 49necessità di un rafforzamento del numero dei militari presenti sul territorio afgano. Si tratta di un rafforzamento dei contingenti che è stato, in parte significativo rispetto alle richieste di McCrystal, soddisfatto prima di tutto naturalmente dall'amministrazione americana, ma anche da altri Paesi tra i quali il nostro, almeno negli impegni che abbiamo assunto e dichiarato.
L'altra conseguenza crudamente dichiarata dal generale McCrystal si sarebbe manifestata in un elevamento delle condizioni di rischio cui sarebbero stati esposti i militari della coalizione. Infatti, riducendo l'impatto dell'operazione militare e andando alla ricerca di un rapporto ravvicinato e permanente con le popolazioni, inevitabilmente si sarebbe accresciuto il livello di rischio. Queste le intenzioni.

PRESIDENTE. Onorevole La Forgia, la prego di concludere.

ANTONIO LA FORGIA. Ho concluso, signora Presidente. Le conseguenze e i fatti - per questo dico che siamo in una fase delicatissima - sono purtroppo verificati dal punto di vista dei caduti, delle perdite e delle vittime, che hanno avuto un'impennata nel corso di questi ultimi mesi. Sono meno verificati, anzi molto in dubbio, per quanto riguarda la crescita della confidenza fra le popolazioni afgane.
Dunque, concludo, come lei signora Presidente mi chiede, con due raccomandazioni caldissime ai rappresentanti del Governo. La prima è di riflettere sulle esigenze di garantire le risorse alla difesa. La seconda è riflettere e tenere informato il Parlamento circa gli effetti prodotti dai cambi di strategia in corso di esecuzione in Afghanistan (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Corsini. Ne ha facoltà.

PAOLO CORSINI. Signora Presidente, vorrei prendere le mosse per il mio intervento associandomi alle espressioni di cordoglio che i colleghi hanno voluto pronunciare per la morte del funzionario italiano Pietro Antonio Colazzo ucciso a Kabul nel corso di un attentato, nel quale peraltro hanno incontrato la morte numerosi civili.
Peraltro, il fatto ci turba e ci coinvolge a maggior ragione perché gli organi di informazione hanno dato conto di come il dottor Colazzo, nelle drammatiche circostanze del suo decesso, sia riuscito a salvare la vita di almeno quattro altri nostri connazionali presenti al momento dell'attentato nell'edificio più volte colpito dalle granate di quanti hanno portato il tragico attacco.
A maggior ragione non possiamo non riconoscerci nelle parole del Capo dello Stato, il quale opportunamente con l'autorevolezza che gli è consueta ha voluto ribadire la necessità di un impegno risoluto per sconfiggere il terrorismo.
Credo che le parole pronunciate dal Presidente Napolitano possano trovare un riscontro di consenso a larghissimo raggio e interpretino il sentimento diffuso nel nostro Paese.
Peraltro, il nostro concittadino, che ha messo a repentaglio la propria vita, ha certamente contribuito con rigoroso senso dello Stato allo sforzo che accomuna sul terreno dell'Afghanistan quanti offrono il loro contributo e il loro apporto - militari, diplomatici, cooperanti, funzionari dei servizi - in vista del raggiungimento di un obiettivo comune e condiviso: l'obiettivo prioritario della lotta contro il terrorismo internazionale a tutela e a garanzia della nostra sicurezza.
E qui vorrei toccare il primo punto che è il cuore della riflessione che vorrei proporre alla considerazione di quest'Aula. In ragione della rilevanza del tragico episodio e della circostanza che vede modificato lo stanziamento relativo alla missione italiana in Afghanistan non possiamo che auspicare un impegno da parte del Governo a fornire ulteriori elementi in ordine alle circostanze dell'attentato e a offrire una chiave di lettura che consenta la definizione di una strategia politica, soprattutto nel quadro del delicato Pag. 50contesto politico regionale che costituisce l'orizzonte non solo territoriale ma strategico dentro il quale va collocato anche il nostro impegno.
Tornerò poi sugli aspetti più strettamente tecnici dell'emendamento che abbiamo proposto all'articolo 5, comma 17, perché al di là delle argomentazioni che si possono utilizzare per contestare la scelta operata in sede di Commissione bilancio, la bocciatura dell'emendamento che abbiamo proposto solleva interrogativi radicali circa la strategia politica e gli orientamenti che intendiamo assumere rispetto alla crisi afgana.
Ribadisco anche in questa sede che vogliamo confermare una linea che abbiamo promosso e perseguito con indubbia coerenza. Non v'è dubbio che le missioni internazionali rappresentano oggi un irrinunciabile strumento di solidarietà a livello globale, oltre che una misura di politica estera; siamo impegnati a ricorrere a tali missioni internazionali anche nel caso in cui le situazioni di crisi non abbiano le proprie motivazioni e il proprio fondamento nelle responsabilità della politica o nelle scelte degli Stati.
In effetti, l'autorizzazione di spesa che viene disposta con il nuovo comma 15-bis dell'articolo 5 del decreto-legge - per l'invio fino al 30 giugno del 2010 di personale dell'Arma dei carabinieri nell'ambito della missione delle Nazione Unite ad Haiti in relazione alla grave situazione interna determinatasi dopo il sisma del 12 gennaio scorso - costituisce una misura che ha nei fatti un proprio fondamento.
L'interrogativo che solleviamo non riguarda la legittimità di questa iniziativa e la sua ragione ma la correlazione che viene istituita con la sottrazione di una parte consistente del fondo di finanziamento delle missioni in Afghanistan.
Non c'è dubbio che la missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti costituisce una missione di peace-keeping, stabilita peraltro dal Consiglio di sicurezza il 30 aprile 2004 con la risoluzione 1542. Si tratta di un'iniziativa che si è resa necessaria nella fase di transizione per garantire uno sviluppo democratico alla vita pubblica del Paese, con il mandato di aiutare il Governo di transizione nazionale nel mantenere l'ordine e nell'instaurare la legge nel Paese, nel garantire libere e democratiche elezioni, con l'intento altresì di proteggere il personale delle Nazioni Unite impegnato in progetti umanitari.
Tuttavia, quel che costituisce un problema, quel che suscita un interrogativo rispetto al quale non abbiamo avuto, ancora oggi, una risposta soddisfacente, ma soprattutto un correlato impegno politico, riguarda l'invio di un contingente autorizzato per la spesa di 2 milioni 679 mila euro, finanziata mediante corrispondente riduzione delle risorse stanziate dall'articolo 5, comma 17, del provvedimento in esame per interventi urgenti o acquisti e lavori da eseguire in economia disposti nei casi di necessità e d'urgenza dai comandanti dei contingenti militari in Afghanistan.
Orbene, l'emendamento che noi abbiamo presentato suggerisce di recuperare queste risorse mediante una corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa attraverso il ricorso al Fondo di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, contenente misure di contabilità e di finanza pubblica e definito «per interventi strutturali» di natura assolutamente generica.
Quindi, siamo profondamente insoddisfatti di non aver avuto ancora un'adeguata risposta in ordine ai chiarimenti che abbiamo richiesto, relativi alle modalità attraverso le quali si può far fronte a questa riduzione di risorse che vedono depotenziato il nostro intervento in Afghanistan, peraltro in relazione ad una serie di problemi che già alcuni colleghi, da ultimo il collega La Forgia, nei loro interventi hanno opportunamente sollevato.
Innanzitutto, vi è il problema del potenziamento dell'impegno militare di fronte alla complessiva manifestazione di nuove insorgenze.
Inoltre, ci si interroga sul modo in cui valorizzare, anche alla luce della torsione strategica che il generale McCrystal ha Pag. 51definito ed imposto nell'ambito della missione afgana, il contributo allo sviluppo della vita civile, al processo di institution building, nonché sul modo in cui valorizzare i meccanismi di cooperazione con le popolazioni locali e la presenza territoriale che contrassegna le finalità dell'impegno della nostra missione. Questo rappresenta un problema dell'Afghanistan che si è ulteriormente reso complesso in ragione di una presenza talebana riguardo alla quale la possibilità di una diplomatizzazione del rapporto costituisce un interrogativo, per quanto concerne le differenze, che vanno indubbiamente colte e sottolineate, rispetto alla presenza di Al Qaeda, pur al cospetto di un processo di ulteriore islamizzazione della dimensione che i talebani intendono assegnare al proprio ruolo e alla propria presenza.
Se valgono queste considerazioni, se cioè la realtà afgana vive di questa complessità, a maggior ragione a noi sembra incomprensibile il fatto che il Governo non dia una risposta adeguata non tanto in ordine alla destinazione di finanziamenti che possono sorreggere la situazione di Haiti, quanto in relazione alla complessità dell'impegno e alla sottolineatura della strategia che anche noi, in qualche misura, abbiamo contribuito a definire.
Per tornare invece alla situazione di Haiti - nel frattempo, voglio qui esprimere solidarietà e preoccupazione per quanto sta avvenendo in questo momento in Cile, un Paese che è stato colpito da una catastrofe, da un terremoto, e che è sottoposto ad un crescente susseguirsi di calamità naturali che sono portatrici di sofferenze, di disperazione - non c'è dubbio che il tema di fondo è l'estrema povertà di questo Paese che vive una condizione di privazione e di indigenza, che è densamente popolato e che vede oggi i quattro quinti della propria popolazione condurre una vita di stenti al di sotto della soglia della povertà e oltre la metà del Paese in una condizione di estrema indigenza.
Va considerato, inoltre, che circa il 45 per cento della popolazione è costituita da adolescenti e da ragazzi, e che i due terzi rimane dipendente da un'agricoltura di sussistenza esposta ai danni causati da frequenti disastri naturali che la cronica devastazione del Paese non fa che aggravare. È un fenomeno, peraltro, aggravato da un Governo che non fornisce garanzie e che in larga misura è emblematico della condizione di rappresentanza politica propria di taluni Paesi dell'America centrale o dell'America latina.
Peraltro, il bilancio non ancora definitivo del sisma, che è di almeno 200 mila morti, di 300 mila feriti, con oltre un milione di senza tetto e con 1 milione e 800 mila bambini nelle zone coinvolte dal disastro, depone per una chiara consapevolezza della gravità drammatica e tragica della situazione.
In effetti, dopo la fase dell'emergenza focalizzata sul salvataggio dei superstiti e sull'allestimento di ulteriori infrastrutture di rifugio, la comunità internazionale sta fronteggiando la gestione degli enormi bisogni di un'immensa popolazione rimasta priva di tutto e completamente dipendente dagli aiuti internazionali.
Non vi è dubbio che il presupposto affinché ad Haiti possa avere avvio la ricostruzione è garantire un flusso costante di risorse economiche e di aiuti dall'estero.
Non c'è dubbio che, sin dalle prime ore, la diplomazia italiana si è attivata per acquisire informazioni e per organizzare le prime operazioni di soccorso, mantenendo uno stretto coordinamento con le Nazioni Unite e con le agenzie umanitarie dei principali Paesi occidentali, in particolar modo quelli dell'Unione europea, al fine di garantire una risposta coerente e unitaria.
Qui, tuttavia, si pone un problema, in quanto noi non possiamo limitarci alle considerazioni pur condivisibili che il sottosegretario Scotti ha svolto durante la sua audizione alla Commissione esteri lo scorso 10 febbraio quanto alle iniziative di soccorso. Noi, da un lato, abbiamo discusso affermazioni dilettantesche ed improvvide che anche autorevoli esponenti del nostro Governo hanno reso pubbliche, Pag. 52suscitando preoccupazioni e difficoltà, in modo particolare nel rapporto con l'amministrazione americana.
Quello che soprattutto vogliamo conoscere è quali procedure il Governo intenda attuare per mantenere fede all'impegno annunciato (impegno del tutto meritorio) di azzerare il debito complessivo residuo di Haiti pari a 40,43 milioni di euro. È stata addirittura annunciata la sigla di un accordo bilaterale finalizzato al raggiungimento di questo scopo.
Ebbene, non possiamo che auspicare una rapida iniziativa del Governo perché acceleri l'iter del disegno di legge che speriamo possa essere rapidamente sottoposto alla valutazione della Commissione esteri e del Parlamento.
In conclusione, non possiamo che dare proseguo e continuità all'impegno assunto nel corso di questa legislatura di sostenere le missioni internazionali.
Chiediamo, tuttavia, una risposta inequivoca, lineare e coerente rispetto alle contraddizioni da noi sottolineate e colte in modo che la strategia complessiva del Governo italiano sia riconoscibile e sia allineata alle scelte compiute in sede internazionale non sotto la forma di una subalternità passiva, ma sotto il segno di una responsabilità condivisa che anche il nostro Paese deve assumere nel segno di quella disposizione cooperativa e solidaristica che ha sempre contrassegnato le linee di fondo della nostra politica estera (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Recchia. Ne ha facoltà.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, siamo chiamati qui oggi a ripetere il nostro voto sul decreto-legge concernente il rifinanziamento delle missioni internazionali.
È un voto che sarà favorevole come in prima lettura e come sempre negli ultimi anni, in cui il Parlamento - ed è anche un segno positivo - si è espresso con una stragrande maggioranza o anche all'unanimità per sostenere il lavoro dei nostri militari impegnati in vari teatri nel mondo. Questo nel rispetto degli impegni internazionali che ci vedono partecipi ad operazioni sotto il comando ONU, sotto il comando NATO e anche sotto il comando dell'Unione europea. Non entro nel merito delle singole missioni, perché oggi sarebbe in qualche modo fuori tema. Il decreto-legge, come dicevo, torna all'esame della Camera infatti dopo che il Senato ha introdotto un comma aggiuntivo all'articolo 5, con il quale viene autorizzata fino al 30 giugno di quest'anno la spesa di 2 milioni 600 mila euro circa per la partecipazione dei militari dell'Arma dei carabinieri alla missione delle Nazione Unite ad Haiti, a seguito del terribile terremoto che ha colpito recentemente il Paese.
Quindi parto da qui, perché questo è l'unico punto di novità del decreto-legge rispetto a quello che abbiamo già votato. Poi tornerò sull'Afghanistan, che rimane il teatro più complesso e impegnativo per il contingente NATO. Noi, signor Presidente, condividiamo pienamente la partecipazione italiana alla missione delle Nazioni Unite ad Haiti, anche se avremmo compreso di più se la partecipazione fosse stata allargata maggiormente al contributo della cooperazione civile, evitando confusione tra Presidenza del Consiglio, Ministero della difesa, Ministero degli affari esteri e Protezione civile.
Tuttavia, quello che ci appare il punto critico è la copertura prevista per la missione stessa. Intendo dire che l'invio di centotrenta carabinieri viene finanziato facendo riferimento a risorse destinate al nostro contingente impegnato proprio sul teatro afgano, in particolare gravando su quelle risorse che sono a disposizione dei comandanti operanti nel teatro di guerra per sopperire alle esigenze di prima necessità della popolazione afgana, compreso il ripristino dei servizi essenziali. Insomma, a me pare che si tratti di un intervento che mette da subito in discussione, venendo meno un presupposto, quella nuova strategia da applicare in Afghanistan, finalizzata tra le altre cose alla ricostruzione di un rapporto di fiducia tra la coalizione internazionale, il Governo Pag. 53afgano e la popolazione. È la ricostruzione, cioè, di un clima favorevole di consenso nei confronti delle forze della NATO, per farle sentire vicine e impegnate nel lavoro di ricostruzione e stabilizzazione del Paese. Ci sembra insomma che si voglia da subito tradire quella nuova sensibilità acquisita dopo l'esperienza di nove anni di presenza sul territorio, che faceva e fa dire ormai a tutti gli attori, analisti, generali e governanti, che accanto all'azione militare dovesse farsi strada una più intensa cooperazione politico-diplomatica. È a partire da questa considerazione che abbiamo presentato in Commissione, a prima firma del collega Tempestini, un emendamento, che credo trasformeremo in un ordine del giorno, con il quale abbiamo chiesto che venissero garantite tutte le risorse necessarie ai nostri comandanti sul campo al fine di soddisfare le esigenze di prima necessità della popolazione afgana, compreso l'eventuale ripristino dei servizi essenziali e, inoltre, al fine di mettere in campo più risorse, che ancora oggi ci appaiono limitate, per la cooperazione, sia per quanto riguarda il settore sanitario sia per il rafforzamento e il consolidamento delle istituzioni locali. Signor Presidente, il punto che ho toccato ci colpisce particolarmente proprio perché parliamo dell'Afghanistan, cioè del teatro più complesso e più rischioso del panorama internazionale, dove si misura la capacità stessa della NATO e si dà senso alla sua missione, quella di riuscire a ricostruire le istituzioni ed a restituire stabilità ad un Paese martoriato, come quello afgano.
L'ISAF è il principale impegno della NATO per l'entità delle forze schierate, per risorse e per difficoltà della sfida. È qui che la NATO si gioca la sua capacità di essere organizzazione di sicurezza globale, operando anche al di fuori della tradizionale area euro-atlantica, in un luogo dove si configurano minacce alla sicurezza internazionale ed indirettamente anche, quindi, ai Paesi membri.
Le risorse per Haiti, quindi, debbono essere trovate dappertutto tranne che qui. Inoltre, il tutto avviene a pochi mesi dalla messa in campo della cosiddetta new strategy, per la quale il Governo italiano ha accolto subito l'invito degli Stati Uniti e della NATO di contribuire con più uomini, per accelerare un'operazione più intensa e veloce che fosse in grado di ottenere in tempi rapidi gli obiettivi prefissati, per passare poi ad una exit strategy a partire addirittura dal 2011.
Anche noi abbiamo accolto, devo dire positivamente, la nuova linea, convinti che l'affiancamento di una strategia politica a quella militare e il coinvolgimento diretto degli afgani nell'operazione di stabilizzazione potessero dare un segno di svolta ad un processo che oramai appariva entrato in una crisi irreversibile.
Ma cosa vediamo oggi? Come si presenta sul terreno questa nuova strategia? Per quel poco che apprendiamo dalla stampa e dal lavoro parlamentare delle commissioni competenti, il segno della svolta appare tutt'altro che evidente. Non mi pare che vi sia traccia dello svolgimento di una linea politica che affianchi quella militare, quella linea capace di responsabilizzare il Governo afgano per lasciargli, piano piano, la guida del Paese e costruire un clima di consenso intorno alla coalizione.
Al contrario, vi è un inasprimento dell'intervento militare con un aumento di vittime e quel che è peggio e che risulta in modo evidente dalle statistiche è che l'aumento è dovuto a un incremento di vittime civili, fatto quest'ultimo che non solo non dovrebbe accadere per evidenti ragioni umanitarie, ma, anche tatticamente, produce esattamente l'effetto opposto a quello auspicato nella cosiddetta «strategia McCrystal».
Sono vittime civili, dunque, che dobbiamo mettere nel bilancio della missione come se fossero nostre vittime, tra le nostre perdite. Signor Presidente, ora dobbiamo dedicare il tempo necessario per una riflessione, che deve essere profonda soprattutto sull'Afghanistan, ma in generale anche sulla nostra partecipazione alle operazioni militari all'estero.
Certo che siamo nell'alleanza e che confermiamo il nostro stare nell'alleanza, Pag. 54ma dobbiamo starci in piedi, partecipando alla definizione di come si sta nel teatro. Non basta dire «si parte, non si parte» e qui sta anche il disagio per l'insufficienza dello strumento legislativo.
Non possiamo affidare una così importante discussione sulla politica estera e di difesa ad un decreto-legge che ha come unico scopo quello di allocare le risorse necessarie a sostenere gli impegni dei contingenti. Vi è una sproporzione troppo grande tra lo strumento e il corpo delle questioni: serve avanzare sul piano della legge delega sulle missioni per costruire uno strumento adeguato al livello della discussione e serve avanzare velocemente, ma in assenza di questo strumento penso che sia urgente, forse utilizzando lo stesso format che dedicheremo la prossima settimana al tema della crisi, impegnare il Parlamento sui temi della politica estera e di difesa, concentrandoci, in particolare, sulla questione dell'Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Strizzolo. Ne ha facoltà.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, come hanno già sottolineato diversi colleghi che sono intervenuti prima di me, stiamo esaminando il disegno di conversione in legge di un decreto-legge che era già stato esaminato qui alla Camera, ma poi, come sappiamo, in virtù della modifica introdotta al Senato per consentire al nostro Paese di intervenire in soccorso e in aiuto delle popolazioni haitiane colpite dal recente terremoto, il provvedimento è tornato all'esame di quest'Aula.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario Cossiga, volevo ribadire ancora una volta, come Partito Democratico, l'importanza che i temi legati alla politica estera del nostro Paese possano avere la più ampia condivisione possibile e possano e debbano essere soprattutto discussi in quest'Aula, quanto meno per quanto riguarda gli indirizzi e le strategie di carattere generale.
Infatti un Paese, soprattutto nel caso dell'Italia, che giustamente e legittimamente aspira ad essere ancora una potenza sullo scacchiere internazionale nell'ambito e nel quadro dell'attività dell'Unione europea, della NATO e dell'ONU, non può mancare di avere e non può non impostare una sua forte politica estera, in raccordo, come dicevo un attimo fa, con le istituzioni internazionali cui il nostro Paese ha dato liberamente la sua adesione.
A questo proposito, sottolineo ancora una volta l'importanza che la stessa Unione europea rafforzi il grado di collaborazione e di definizione in sede comune di una Politica estera e di difesa; anche se, lo sappiamo, non sempre è facile individuare queste linee strategiche, queste linee di indirizzo, così complesse, così importanti, così articolate, con una condivisione abbastanza ampia: anzi, in sede comunitaria, sappiamo che dev'essere una condivisione unanime.
E qui ritorna, se mi è consentito, un inciso di carattere storico, l'intuizione di grandi esponenti del passato, quando era stata proposta l'istituzione della CED, la Comunità europea di difesa, una scelta che non passò in particolare per l'opposizione, allora, del Governo francese. Forse se quella scelta lungimirante, di grande valore strategico, portata avanti in particolare da Schuman e da De Gasperi, avesse trovato attuazione, l'Europa avrebbe avuto la possibilità di incidere di più in questi decenni sullo scacchiere internazionale, intervenendo anche per evitare, prevenire o limitare i danni di conflitti sanguinosi che si sono consumati, non solo in Europa, anche recentemente: basta pensare alla vicenda del Balcani, ma anche a livello mediterraneo, a livello più ampio. Credo che la ricerca di una politica europea sempre più integrata e sempre più rafforzata sul piano internazionale debba essere comunque un faro, un riferimento; e da questo punto di vista sicuramente è importante che, tra le altre cose, il Trattato di Lisbona abbia previsto la costituzione del Servizio europeo per l'azione esterna, che può essere un primo segnale di rafforzamento di un'azione comune su teatri in giro per il mondo. Pag. 55
E così è altrettanto importante la presenza, il ruolo dell'Italia all'interno della NATO, che per decenni è stata uno strumento di difesa della libertà e della democrazia, non solo in Europa ma nel mondo, e che oggi, in questi anni, dopo la caduta del muro di Berlino, ha modificato la propria linea, la propria strategia, ponendosi l'obiettivo di essere a supporto di un processo di democratizzazione di aree del nostro pianeta che avevano vissuto forme istituzionali sicuramente non democratiche e non pacifiche. Anche in questo caso, chiaramente, noi non possiamo rivendicare il nostro ruolo all'interno della NATO, senza poi assumerci le responsabilità in maniera equa e condivisa con gli altri Paesi aderenti.
Se tali sottolineature di carattere generale non solo sono importanti, ma sono condivise ampiamente all'interno dell'Aula, all'interno del Parlamento italiano, certamente vi è necessità, come diversi colleghi hanno sottolineato, che il nostro Paese si doti di uno strumento legislativo adeguato per gli interventi sul piano internazionale: non è più pensabile andare avanti a suon di decreti-legge. Credo inoltre che la definizione di nuove norme, di una legislazione più chiara, più trasparente, più condivisa in riferimento alle missioni internazionali, possa essere raggiunta nel giro di pochissimo tempo, se vi è una volontà condivisa. Al proposito ricordo che tra le altre proposte di legge ve n'è una, di cui è primo firmatario l'onorevole Garofani assieme agli onorevoli Villecco Calipari e Rosato, che presenta un'opportunità in termini di confronto, di dialettica e di approfondimento alle altre parti politiche presenti in Parlamento, presenti in Aula, per andare avanti sulla definizione di tale nuovo strumento legislativo, per evitare che ogni volta vi sia l'affanno di rincorrere con decreti-legge i tempi di conversione; aggiungendo poi magari elementi che mettono in discussione il già stabilito. Come in questo caso: pur condividendo ovviamente la finalità umanitaria, benefica dell'intervento ad Haiti, come altri colleghi hanno sottolineato, la copertura di quell'intervento non può essere risolta dal punto di vista finanziario limitando le risorse stanziate in favore della missione in Afghanistan.
Mi auguro dunque che anche rispetto a tale punto si possa trovare una condivisione, magari attraverso l'accettazione e il sostegno delle proposte emendative presentate da alcuni colleghi del Partito Democratico (mi riferisco, nello specifico, agli emendamenti Tempestini 5.1 e Recchia 9.1).
Vi è infatti l'intenzione di fare in modo che il nostro Paese - il Governo - si assuma coerentemente le proprie responsabilità anche nei teatri internazionali più complessi e più difficili come quello dell'Afghanistan, dove purtroppo il nostro Paese ha pagato ancora una volta, con il sangue dell'agente Colazzo, una presenza che è comunque importante e significativa.
È interesse strategico anche per il nostro Paese, all'interno dell'Unione europea e dell'Alleanza Atlantica, che in quell'area si possa pervenire ad una stabilizzazione democratica del Governo ed alla sconfitta definitiva dei talebani. Altrimenti il rischio risiede proprio in questo, cioè in un'instabilità persistente o, peggio ancora, nella eventualità che il Governo Karzai - pur tra le difficoltà e le ombre che, insieme alle luci, lo caratterizzano - non venga comunque sostenuto, perché in questo momento esso rappresenta l'unica istituzione che può reggere l'urto con il sostegno dell'Occidente, in particolare con il sostegno della missione NATO cui partecipa anche l'Italia.
Se siamo lì, non possiamo quindi privare il nostro Esercito e i nostri rappresentanti, in un teatro così difficile e così delicato, delle risorse necessarie.
Pertanto occorre compiere uno sforzo, bisogna che il Governo faccia uno sforzo per individuare altre modalità - come qualcuno ha già suggerito, se non ricordo male lo stesso collega Tempestini - cercando di recuperare i fondi legati alla proposta della cosiddetta mini-naja.
Quel teatro - quello dell'Afghanistan con vicino anche il Pakistan - costituisce infatti una zona nevralgica; tra l'altro, non dimentichiamo che il Pakistan è una potenza Pag. 56nucleare, per cui anche la stabilità del Governo di quel Paese - pur con le sue contraddizioni e le sue difficoltà - rappresenta un interesse prioritario per l'Italia, per l'Europa, per l'Occidente.
Diversamente, se non vi fosse un nostro interesse, una nostra grande attenzione a quel teatro, a quello scenario, potemmo in futuro dover pagare conseguenze drammatiche, dal momento che proprio in quelle zone e in quell'area dell'Asia certamente si gioca - in parte, se non del tutto - il futuro di pace, di libertà e di sicurezza pure dell'Europa.
Sul provvedimento al nostro esame quindi, come hanno già ricordato i colleghi, il Partito Democratico ha già assicurato il suo voto favorevole nelle precedenti letture ed altrettanto farà anche questa volta, tuttavia si richiede questo tipo di impegno.
Vi è poi un altro punto rispetto al quale da parte del Governo deve esservi uno sforzo per evitare che si registri, come dicevo prima, un affanno dovuto alla emanazione di decreti-legge: riguardo infatti al finanziamento delle circa trenta missioni internazionali cui l'Italia partecipa con la NATO, l'Unione europea e l'ONU (ma si conta anche qualche nostra iniziativa bilaterale), nel provvedimento in esame notiamo un limite, ossia il fatto che il rifinanziamento per quasi tutte le missioni, salvo qualcuna, è limitato al 30 giugno.
A tale proposito è possibile aprire una parentesi in merito a qualche altra riflessione legata alla gestione degli equilibri finanziari del bilancio dello Stato.
Non è pensabile che missioni così importanti come quelle relative agli scenari internazionali abbiano un respiro così corto. Per questo è importante - come dicevo prima e come hanno ribadito diversi colleghi - fare in modo che si giunga al più presto ad una legge quadro che disciplini le missioni internazionali e che stabilisca anche le fonti di finanziamento con una certa garanzia.
Capisco che vi sono anche problemi di liquidità spicciola nell'ambito delle partite che sono legate ai fondi presenti presso il Ministero dell'economia e delle finanze, ma pensiamo - mi sia consentito, signor Presidente e colleghi - al fatto che questa maggioranza ha letteralmente sprecato (il termine non è troppo forte) più di sette miliardi di euro solo con l'obiettivo di rispondere a promesse demagogiche, come quella legata all'abbattimento totale dell'ICI indistintamente per tutti i cittadini proprietari della prima casa, quando invece era più giusto limitare (come già aveva fatto in precedenza il Governo Prodi) tale abbattimento solo alle categorie sociali meno abbienti.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

IVANO STRIZZOLO. Inoltre - concludo, Presidente - si è fatta l'operazione dell'Alitalia e, guarda caso, sappiamo tutti come funzionano le cose: 7,2 miliardi buttati via che potevano essere utilizzati per dare un sostegno alle attività economiche e produttive, alle piccole e medie aziende. Questi soldi potevano essere dirottati su un finanziamento stabile, certo e sicuro anche delle missioni internazionali.
Signor Presidente, noi non ci sottrarremo, neanche questa volta (perché dalla politica internazionale si vede il livello di affidabilità di un Paese) ad un voto responsabile, però si tenga conto della necessità di modificare il finanziamento previsto per gli aiuti umanitari ad Haiti, che sono legittimi, che sono doverosi, ma non è possibile reperire tali fondi togliendo le risorse alla nostra missione in Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Samperi. Ne ha facoltà.

MARILENA SAMPERI. Signora Presidente, al Ministero della giustizia è in atto una protesta degli operatori del settore. Alcuni rappresentanti sindacali si sono legati alle sbarre davanti al Ministero, si sono incatenati, esibendo uno striscione che reca la scritta: lavoratori in lotta contro lo sfascio della giustizia. Pag. 57
La protesta è contro la firma, da parte dell'amministrazione, di un accordo che prevede un ordinamento professionale che mortifica il personale e che porterà ad un suo demansionamento. Questo accordo è stato sottoscritto con alcuni sindacati non rappresentativi dell'intera categoria, mentre i sindacati più importanti (che invece rappresentano maggiormente la categoria) hanno chiesto un incontro con il Ministro della giustizia; incontro che è stato negato. Nessuna riforma della giustizia appare possibile senza il coinvolgimento e la valorizzazione del personale che lavora all'interno del relativo settore. Eppure, forse mai come in questi mesi, le televisioni e i giornali riportano proclami, impegni e promesse finalizzati a migliorare lo stato di salute del comparto. Come dimostra anche la protesta di questi minuti, di queste ore, la realtà è ben diversa. Noi invitiamo il Ministro Alfano a ricevere tutti i sindacati, ad affrontare le difficoltà nelle quali versano gli uffici giudiziari per inadeguatezza delle strutture, delle dotazioni organiche e dei mezzi strumentali, in modo che la giustizia possa rispondere veramente ai bisogni e alle esigenze dei cittadini.
Invitiamo il Ministro Alfano, invitiamo qui il rappresentante del Governo a sensibilizzare il Ministro, affinché si adoperi per la ripresa delle trattative del contratto integrativo proprio per consentire a tutte le sigle sindacali, che sono rappresentative di tutti i comparti e di tutte le categorie, di poter rappresentare adeguatamente il personale giudiziario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, il momento della discussione dei decreti-legge e dei provvedimenti che prorogano le missioni internazionali dovrebbe essere, in un Parlamento di un Paese democratico, anche un momento di confronto sulla politica estera tra le forze politiche rappresentate in Parlamento. Purtroppo da noi questo è divenuto - lo hanno ricordato anche altri colleghi - uno stanco rituale che si ripete a scadenze sempre più brevi e che non vede confrontarsi chi, nei rispettivi gruppi e partiti politici, ha il compito di definire le linee di politica estera.
Ritengo sia un dato di fatto difficilmente contestabile di cui prendere atto e, conseguentemente, occorre provvedere. Le missioni di pace internazionali sono infatti divenute nel corso dell'ultimo quindicennio lo strumento principale di attuazione della politica estera dei Paesi, e per il nostro Paese lo sono indubbiamente perché con le missioni internazionali l'Italia mette nella politica estera il maggior numero di persone e di risorse economiche al servizio di obiettivi che la comunità internazionale definisce come la promozione della pace e della sicurezza internazionale.
Sappiamo benissimo come questo tipo di dibattito a livello internazionale ha fatto evolvere il diritto internazionale, il diritto umanitario, facendo emergere concetti come quello della responsabilità di proteggere che mettono in capo agli Stati la responsabilità di difendere i civili, i cittadini dai conflitti, dalle crisi umanitarie e da tutto ciò che ne può mettere a rischio la vita.
Quindi in questo Parlamento, nel corso degli ultimi mesi, sembra che un dibattito in tema di politica estera non sia necessario perché siamo tutti d'accordo. Tutti votano i decreti-legge sul rinnovo delle missioni. Non c'è un'opposizione che a questo si oppone e neanche nel Paese si sentono voci contrarie a questo tipo di politica estera. Se questo può valere per quanto riguarda le missioni internazionali, noi Radicali tuttavia riteniamo che non sia vero per quanto riguarda la politica estera del nostro Paese.
Per restare ad un tema, che è oggetto anche di questo decreto-legge, noi non siamo d'accordo con la politica proibizionista che continua sulle coltivazioni di oppio in Afghanistan. È ormai dimostrato, in modo inconfutabile e certificato dalle stesse Nazioni Unite e da tutte le agenzie internazionali, come vi sia una connessione Pag. 58diretta tra le attività economiche legate al commercio internazionale di droga e le attività militari che sono dirette anche contro i nostri soldati in quel Paese, oltre che naturalmente contro il Governo afgano e i civili che in questo Paese si trovano. I civili si trovano spesso ad essere colpiti anche dagli interventi militari portati avanti dalla NATO e dagli altri Paesi con i quali siamo alleati in Afghanistan. Tale problematica non potrà essere risolta sino a quando la comunità internazionale non deciderà di affrontare in modo pragmatico la questione, tenendo conto anche di proposte che sono sul tavolo e che sono state presentate da organizzazioni come ad esempio il Senlis Council e da altri che hanno il sostegno, a livello internazionale, di personalità che, pur non essendo antiproibizioniste a livello ideologico, si rendono conto del fallimento delle politiche proibizioniste a partire da casi concreti. È il caso della Colombia: un Paese che è in mano alle narcomafie e che mette in discussione la stessa agibilità democratica di quel Paese perché vi è un mercato nero incontrollabile che finanzia i gruppi armati.
In Afghanistan siamo di fronte alla stessa situazione: il commercio della droga è conosciuto, sappiamo quali sono le rotte attraverso le quali - Asia centrale e anche la Cina - poi l'oppio raggiunge i nostri Paesi e nessuno fa niente: si chiudono gli occhi, si aumentano le truppe e si aumentano gli interventi militari pensando di poter così risolvere la situazione. Noi su questo non siamo d'accordo.
Se è vero che per il nostro Paese, ed è bene che sia così, vi è un impegno importante in tutte le missioni di peace-keeping internazionale, che vedono appunto il nostro Paese schierato sui vari quadranti più importanti della politica estera, altrettanto vero è che la politica estera di un Paese non è fatta solo delle missioni internazionali ma anche di rapporti bilaterali, di come ci si confronta con la comunità internazionale.
Sulla politica estera del Governo italiano nei confronti della Russia non siamo d'accordo e forse questo Parlamento potrebbe trovare l'occasione per discuterne; per discutere ad esempio di un appello di intellettuali come Vladimir Bukowski, Elena Bonner, Leonid Plioutsch, ed altri dissidenti intellettuali russi che pochi giorni fa hanno pubblicato su le Monde (ed è stato ripreso anche da la Repubblica nel nostro Paese) un appello ai governanti dei Paesi europei, in particolare ai governanti di Francia, Germania e Italia.
Cosa si chiede in questo appello? Si chiede che questi Governi non continuino nella politica che chiude gli occhi nei confronti del Governo russo di fronte a continue violazioni delle libertà fondamentali che avvengono in quel Paese, alle chiusure di organi di stampa indipendenti, di giornali, di televisioni, alla messa a morte, che avviene ormai ogni mese, di giornalisti indipendenti nella completa impunità; cose queste che continuano ad accadere in Russia. E cosa fanno Francia, Germania ed Italia? Aumentano i rapporti politici, economici e militari con la Federazione Russa. Questo è un tema di politica estera sul quale forse un confronto e - vivaddio! - magari anche uno scontro in Parlamento non dovrebbe essere visto come un indebolimento della credibilità internazionale dell'Italia, anzi ne sarebbe un rafforzamento, perché farebbe emergere forse - ma forse non è così o forse invece è così nella maggioranza dei cittadini italiani - che non si è tutti d'accordo nel difendere le posizioni della Russia per quello che ha fatto nel Caucaso, in Cecenia e per quello che sta facendo ancora oggi in quel Paese.
Non siamo d'accordo per i rapporti bilaterali del nostro Paese con la Bielorussia, Paese retto da quello che è definito l'ultimo autocrate e l'ultimo dittatore d'Europa e che ha visto il nostro Paese ancora una volta in prima fila nello sdoganare politicamente questo dittatore, con il nostro Presidente del Consiglio che si è recato per primo tra i leader occidentali in quel Paese e che nel giorno stesso in cui si svolgeva ad Atene il Consiglio dei ministri degli affari esteri dell'OSCE (Organizzazione che si occupa del monitoraggio dei sistemi elettorali e che aveva constatato Pag. 59pochi anni prima come in Bielorussia non vi fosse il minimo rispetto delle regole democratiche) ha detto che Lukashenko è un uomo amato dal popolo e, quindi, deve poter governare. Noi su questo non siamo d'accordo, però a questo Parlamento evidentemente poco interessa perché si discute di altro.
Non siamo d'accordo anche su altro nella politica estera di questo Governo. Per esempio noi non riteniamo che sia possibile definirsi nel giro di pochi mesi o di poche settimane o di pochi giorni, a volte anche di poche ore, il miglior amico di Israele e il migliore amico di Gheddafi. Non è possibile.
Quando Gheddafi, dopo che ne abbiamo discusso in questo Parlamento - e lo ha fatto quando, in quest'Aula, si discuteva proprio il Trattato di amicizia con la Libia - proclama delle guerre sante per la distruzione prima di Israele e, adesso, della Svizzera, che sarebbe il nuovo nemico dell'Islam, come si fa, da Paese fondatore dell'Unione europea, membro del G8 e della NATO, a definirsi il migliore amico in Europa di Gheddafi?
Il motivo è chiaro: perché Gheddafi aveva bisogno, all'interno dell'Europa, di un portavoce, di un avvocato, che ne difendesse gli interessi. Infatti, Gheddafi non è tanto interessato all'amicizia dell'Italia o alle riparazioni per l'occupazione e la colonizzazione che gli italiani hanno compiuto: quella è propaganda politica. Ciò che interessa Gheddafi è poter adottare nei confronti di tutta l'Europa regole come quelle che è riuscito a strappare all'Italia, che mettono in discussione i trattati internazionali in materia di diritti umani e che tolgono ogni possibilità di monitoraggio su quanto avviene in Libia. Ciò è parte di una politica estera e si unisce alle missioni internazionali, ribadendo come sia importante che alcuni principi fondanti le Nazioni Unite - la responsabilità di proteggere e la protezione dei civili - debbano essere fondamentali per un Paese come il nostro.
Se siamo tra i Paesi che contribuiscono di più alle missioni di peacekeeping internazionali, come si fa a pronunciare dichiarazioni come quelle pronunciate nei mesi e nelle settimane scorse, ad esempio, dal Ministro della difesa nei confronti dell'Alto commissario ONU per i diritti umani? In quell'occasione, l'ONU è stata definita un'organizzazione irresponsabile, semplicemente perché chiedeva al nostro Paese di rispettare la legalità internazionale in tema di non respingimento. Tra l'altro, non ho sentito nessuno dei miei colleghi, in quest'Aula, pronunciare grandi parole di fronte ai respingimenti di italiani in Libia che sono avvenuti pochi giorni fa, in seguito alla decisione assunta dalla Libia di sospendere l'Accordo di Schengen.
Quindi, non siamo tutti d'accordo sulla politica estera del nostro Paese. Non siamo tutti d'accordo nemmeno sul continuare ad inserire all'interno del decreto-legge concernente le missioni internazionali norme che non hanno niente a che vedere con esse, come quelle che incidono sull'ordinamento e sulle carriere militari, sull'ordinamento giudiziario e quant'altro.
Pertanto, pur condividendo la necessità e l'importanza che l'Italia sia presente con le proprie Forze armate, e nel modo, molto spesso, onorevole con cui ciò accade in tante parti del mondo, la delegazione radicale si asterrà nell'esprimere il voto finale sul provvedimento in oggetto. Ciò nel tentativo di far comprendere, attraverso un segnale anche politico, che forse, sulla politica estera dell'Italia occorre che, prima o poi, si apra un dibattito anche all'interno di questo Parlamento (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rigoni. Ne ha facoltà.

ANDREA RIGONI. Signor Presidente, il decreto-legge in oggetto tratta diversi temi in connessione fra loro, ma anche molti argomenti che, fra loro, hanno poca attinenza: la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo, il sostegno ai processi di pace, la proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna. Pag. 60
Nel mio intervento, tratterò esclusivamente della proroga delle missioni internazionali e, in particolare, di due missioni specifiche. Come si evince anche dal decreto-legge in esame, sappiamo che le missioni internazionali a cui partecipa il nostro Paese si avvalgono del contributo della NATO, nell'ambito delle Nazioni Unite o delle coalizioni di volenterosi, ed inoltre, di quello dell'Unione europea.
Cercherò di puntualizzare quelli che mi sembrano i nostri contributi all'interno delle operazioni e delle missione militari dell'Unione europea rispetto proprio alla presenza del nostro Paese nell'ambito della politica estera e, segnatamente, di politica europea e difesa. Mi soffermerò, in particolare, su quella prevista all'articolo 5, comma 4, e cioè la missione ALTHEA, che si svolge nei Balcani e in Bosnia-Erzegovina. Mi soffermo su questa perché, a mio parere, tale missione è la più importante tra quelle in cui l'Unione europea, in termini di politica europea e di difesa, è impegnata. Si tratta di una missione assai importante perché si svolge all'interno dell'Europa e ai confini dell'Unione europea. La presenza dell'Italia, anche per il ruolo che svolge rispetto all'area dei Balcani e a quel pezzo d'Europa, è un punto nodale di questa importante missione.
Voglio ricordare che questa missione rappresenta la più importante e la più grande anche e soprattutto per il numero di truppe impiegate, per la qualità dei materiali e per i costi, ma anche per le ragioni umanitarie che questa missione svolge in quel Paese e in quell'area del mondo. Si tratta, infatti, di una missione avanzata dall'Unione europea e che è scaturita nell'ambito del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. È una missione che ha visto inizialmente presenti 6.300 uomini di 33 nazionalità diverse, di cui 22 dell'Unione europea. La missione ALTHEA ha avuto nel tempo - dal 2004, vale a dire da quando è cominciata - tutta una serie di evoluzioni, sia dal punto di vista tattico sia e soprattutto da quello relativo al compito sul terreno.
Come altre missioni europee, i costi di ALTHEA sono finanziati dal meccanismo di Athena. Questo meccanismo consente, a seguito dell'approvazione del Trattato sull'Unione europea, soltanto il finanziamento delle spese comuni che coprono, con questo meccanismo, solo un quarto dei costi totali. Infatti, la gran parte dei costi - quelli rimanenti - è a carico dei Paesi contributori, ossia di quelli che partecipano alle missioni di pace.
Gli obiettivi di ALTHEA si sono scaglionati nel tempo. Innanzitutto, essa ha dovuto succedere alla missione SFOR della NATO, ossia la missione che ha dovuto fermare la guerra, il conflitto in Bosnia-Erzegovina, e che ha dovuto dare stabilità, al fine di permettere un'adesione dell'Unione europea a questa operazione militare. Da allora gli uomini sono sempre più diminuiti. Dal 2007, infatti, non superano i 2.200 cui, però, bisogna aggiungere 250 uomini della NATO, che sono rimasti a supporto della cattura dei criminali di guerra.
La situazione oggi presente in quell'area sembra di relativa sicurezza e rasserenata. Tuttavia, vediamo che gli antagonismi etnici e religiosi continuano a insidiare una situazione di sicurezza e di pace in quel Paese. Gli accordi di Dayton, firmati nel 1995, sono ancora lontani dall'essere applicati. Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sull'accordo di stabilizzazione e associazione, il cosiddetto ASA, tra l'Unione europea e il Parlamento della Bosnia-Erzegovina.
In questa direzione la politica dell'Unione europea è cercare di avvicinare questo Paese all'adesione all'Unione europea. Certamente è ancora una prospettiva, forse anche lontana, ma è l'unica prospettiva che consente alla Bosnia-Erzegovina di continuare a essere uno Stato unitario e di evitare quelle velleità secessionistiche che ancora oggi sono fomentate dalle forze indipendentiste presenti in Bosnia-Erzegovina. Tali forze sono sempre all'ordine del giorno e vengano alimentate quotidianamente dalle vicende interne e anche da quelle internazionali. A tale proposito, basti pensare all'indipendenza del Montenegro Pag. 61rispetto alla precedente federazione con la Serbia e, soprattutto, alla proclamazione dell'indipendenza del Kosovo, effettuata sempre rispetto alla Repubblica di Serbia.
Tuttavia, la situazione nel Paese rimane precaria, anche e soprattutto dal punto di vista economico. Infatti, si deve ricordare la persistenza delle divisioni etniche presenti in quel Paese, segno che la situazione può degenerare in qualsiasi momento.
In questa direzione la presenza di questa missione è un fatto determinante da molti punti di vista. Vi è la presenza di grandi problemi in quell'area. Ricordiamo anche la cattura recente di Karadzic, l'ex leader dei serbi di Bosnia che è sopraggiunta l'anno passato dopo una caccia di più di tredici anni che è stata accolta dalla comunità internazionale positivamente, ma che nella comunità serba della Bosnia ha creato e continua a creare allarme e diffidenza nei confronti dell'Europa.
L'Europa in questa direzione ha varato recentemente un programma di partenariato orientale che ambisce ad allineare le economie e i sistemi politici regionali agli standard dell'Unione europea. Se è vero, come è vero, che a seguito del conflitto russo-georgiano del 2008 gli elementi chiave relativi alla sicurezza sembrano essersi spostati dal Kosovo alla Georgia - poi dirò qualcosa anche rispetto alla seconda missione, quella dell'Unione europea presente proprio in Georgia - si dimostra come il continente europeo non goda di stabilità e che la gestione conseguente allo smembramento dell'Unione sovietica resti una situazione di sicurezza rilevante per gli europei, per il nostro Paese, ma anche e soprattutto per l'Europa.
La strategia dell'Unione europea in politica estera si basa sul principio di integrare per stabilizzare, avvicinare per rendere più stabile, associare all'Europa perché i conflitti e le tensioni possano spegnersi rispetto a quella che è un'adesione più generale ai valori e alle regole dell'Unione europea. Ma l'Unione europea, altresì, intende proteggere i propri interessi. È necessario che li protegga e, soprattutto, stante la situazione economica attuale, deve continuare a rimanere in Bosnia perché rispetto a quel Paese, dilaniato dai conflitti etnici, da una guerra che ha lasciato un segno profondo e che continuerà a lasciarlo, è necessario che l'Unione europea, attraverso la conferma di questa missione, continui ad essere presente e a dare il proprio contributo.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANDREA RIGONI. Signor Presidente, se ho finito il tempo a mia disposizione, voglio però ricordare anche l'altra, a mio parere significativa, missione che è compresa in questo decreto-legge, ricordata al comma 12 dell'articolo 5, ossia la partecipazione del personale militare alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia.
Come ricordava il collega che ha parlato prima di me, da questo punto di vista questo rappresenta per il nostro Paese, ma soprattutto per l'Europa, un punto nero, uno di quei conflitti congelati che erano presenti e che tuttora continuano ad essere presenti nel territorio della grande Europa. Non c'è soltanto quello relativo alla guerra fra la Federazione russa e la Georgia per la Ossezia del sud, ma voglio ricordare anche l'altro conflitto congelato, quello del Nagorno-Karabakh fra l'Azerbaijian e l'Armenia.
Questi rappresentano focolai di tensione e di instabilità che, magari dimenticati dall'opinione pubblica generale, invece costituiscono fonte di instabilità e danno linfa al terrorismo fondamentalista e creano le condizioni per continuare a dividere la cosiddetta grande Europa, quella che va da Vladivostok a Reykjavik, consentendo di alimentare le ragioni del disagio sociale ed economico da cui prende la linfa il terrorismo di varia natura. Da questo punto di vista non solo è necessario continuare ad essere presenti in quel Paese, ma è anche necessario che l'Unione europea e l'Italia prendano coscienza della decisione di avere un ruolo più attivo nei confronti della soluzione di questi problemi e di associare, in particolare, Pag. 62la Federazione russa a una politica estera che veda l'Unione europea insieme alla Russia all'interno di un disegno comune di stabilità in questo grande continente che è il continente europeo.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANDREA RIGONI. Se non prendiamo atto che la nuova Russia di Putin e Medvedev vuole giocare un ruolo strategico importante nella stabilità dell'Europa (ma anche come grande player all'interno della politica più vasta internazionale); se non prendiamo atto che con la Federazione russa dobbiamo giocare un ruolo positivo (non di acquiescenza e neanche di subalternità); se l'Unione europea non prende atto che oggi anche la Russia può essere un fattore determinante e fondamentale nella stabilità della politica, di difesa e di sicurezza, noi perderemo ancora un'occasione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bucchino. Ne ha facoltà.

GINO BUCCHINO. Signor Presidente, la drammatica vicenda del dottor Pietro Antonio Colazzo, sulla quale giustamente molti colleghi prima in Commissione e poi oggi in Assemblea si sono soffermati, conferisce alla nostra discussione un carattere di drammaticità non nuovo purtroppo in questo campo, ma sempre doloroso da affrontare per le implicazioni umane e per le preoccupazioni che desta sui livelli di sicurezza del personale impegnato in questo campo.
Intanto, sento il dovere di aggiungere l'espressione del mio personale turbamento per la fine cui è andato incontro questo coraggioso servitore dello Stato e della causa della pace e le sincere condoglianze per i familiari così duramente colpiti. In fasi di forte conflittualità politica come quelle che attraversiamo, a queste figure che cadono nello scenario internazionale nell'adempimento del loro dovere noi dobbiamo un duplice ringraziamento, sia per l'esempio di fedeltà allo Stato e al vincolo di servizio che hanno volontariamente accettato, sia per il fatto di consentire alle forze politiche e all'opinione pubblica di raccogliersi unitariamente intorno a valori condivisi e ad esempi di alto profilo professionale e morale.
Si tratta, comunque, di un ulteriore esempio dei rischi e delle crescenti difficoltà che ruotano intorno all'impegno del personale adibito alle situazioni più esposte in ambito globale e alle stesse missioni internazionali. In Afghanistan, in particolare, da gennaio ad oggi sono oltre 100 i caduti tra le forze dell'ISAF. In altra occasione, ci sarà modo di approfondire la specifica situazione che si è venuta a creare in quello scenario così complesso e drammatico, ma intanto ci pare che nessuno possa sfuggire ad una onesta e realistica riflessione sulla congruità dell'azione militare in atto e sulla necessità di arrivare ad una stabilizzazione della regione mediante il coinvolgimento degli altri Paesi dell'area.
Certamente desidero sottolineare l'importanza di assicurare la prosecuzione delle iniziative in favore dei processi di pace e di stabilizzazione nei paesi coinvolti negli eventi bellici, mantenendo alto l'impegno dell'Italia, da sempre protagonista in tale campo. È bene ricordare che le missioni internazionali rappresentano oggi un fondamentale strumento di solidarietà internazionale, oltre che di politica estera. Quindi, ritengo indispensabile che a tali missioni internazionali sia assicurato, oltre che il sostegno politico (che mi sembra sia bipartisan), anche quello finanziario. Osservo che la sicurezza del personale militare e civile impegnato nei vari territori non può essere subordinata a mere questioni di natura finanziaria.
A questo proposito non posso non fare riferimento al terremoto di Haiti, che è stata una tragedia di dimensioni così vaste che ancora oggi, ad oltre un mese dall'evento, nessuno è ancora in grado di stilare un bilancio, sia pure approssimativo, dei danni che si sono verificati e delle conseguenze che ne sono derivate, sia di quelle già evidenti ai nostri occhi, che di Pag. 63quelle destinate a manifestarsi nel tempo. È concreto il rischio che, una volta attenuatasi a livello mondiale l'attenzione mediatica che si sta riversando e si è riversata sull'evento nei momenti più drammatici e scemata l'ondata emozionale che con essa si è intrecciata, gli haitiani siano lasciati, nonostante le dichiarazioni diverse che si susseguono, al loro carico di dolore e di problemi, senza che le strutture di quello Stato abbiano, per antiche e nuove ragioni, la possibilità di fronteggiare una situazione tanto complessa e difficile. È giusto, quindi, prodigarsi e cercare fondi anche per sostenere questo tipo di missioni.
Tuttavia, bisogna anche dire che il giro tortuoso - occorre denunciarlo con forza - compiuto per assicurare la missione umanitaria ad Haiti non giova né alla chiarezza di quel doveroso intervento, né alla sicurezza necessaria per proseguire nelle condizioni migliori la missione in Afghanistan.
Come è noto la missione ad Haiti è stata finanziata con l'ordinanza n. 3844 che ha disposto lo stanziamento di 2 milioni e 650 mila euro per finanziare l'intervento e la dislocazione di 530 militari a bordo della portaerei Cavour, tra i quali molti addetti al servizio civile. La cosa che lascia interdetti è che la Presidenza del Consiglio abbia affidato al responsabile della Protezione civile la missione (il quale, peraltro, si è lasciato andare ad improvvide acrobazie dialettiche) e che i fondi necessari siano stati distolti proprio dalla delicata missione in Afghanistan.
Tutti sanno che le missioni nelle quali sono impegnati i militari sono di competenza del Ministero della difesa e necessitano dell'approvazione parlamentare. Ma con l'aria di onnipotenza che si respira a certi livelli istituzionali pare che tutto sia possibile, anche la forzatura e l'ignoranza delle regole.
Ora la modifica introdotta sembra mettere le cose a posto, almeno dal punto di vista formale e normativo, superando la forzatura che era stata introdotta. Resta però il problema di recuperare da altre fonti, come è stato ripetutamente detto da altri colleghi, i fondi distolti dall'impegno in Afghanistan. La disponibilità manifestata, sia pure in modo informale, dal Governo attenua le nostre preoccupazioni, lo riconosciamo, ma solo di fronte ad atti concreti potremo dire che la disattenzione in cui si è incorsi è stata realmente superata.
Ecco, quindi, che l'eccezionale impegno dell'Italia nelle missioni di pace ed umanitarie internazionali si traduce oggi in un alto profilo dell'azione italiana sui principali teatri di crisi. Esso rappresenta una delle più significative manifestazioni del complessivo impegno italiano verso le Nazioni Unite, oltre ad essere il sesto contributore al bilancio del peace-keeping ONU con un esborso stimato intorno ai 140 milioni di dollari per il 2004 ed una quota di circa il 5 per cento sulla spesa totale.
Sono molte le missioni sparse per il mondo che ci vedono coinvolti. Accanto alle proprie forze militari le varie organizzazioni internazionali ricorrono anche al personale civile per un amplissimo ventaglio di funzioni e settori: monitoraggio elettorale, aiuti di emergenza, trasporti, logistica, gestione di risorse umane e materiali, affari legali e politici, amministrazione, assistenza umanitaria, informazione e comunicazione, elaborazione elettronica dei dati, diritti umani.
Noi del Partito Democratico, tuttavia, abbiamo sempre stigmatizzato la frammentarietà degli interventi con cui il Governo ha provveduto nella corrente legislatura al rifinanziamento di tali missioni. Pur nella consapevolezza della necessità di adottare misure idonee a superare gli aspetti problematici non ancora superati, faccio presente che il mio gruppo non può tuttavia che continuare nella responsabile linea di sostegno alle attività di affiancamento ai processi di pace e di stabilizzazione a livello mondiale sinora seguite assicurando un orientamento favorevole sul provvedimento in esame.
Come ha più volte ribadito il nostro Presidente della Repubblica, le missioni militari all'estero hanno fatto guadagnare prestigio al nostro Paese, si sono rivelate Pag. 64uno strumento straordinario per tenere alto il nome dell'Italia sulla scena internazionale. Anch'io sono convinto che non possiamo deludere questa fiducia e nemmeno possiamo buttare via tutta la stima conquistata grazie alle prove date con la partecipazione alle missioni di peacekeeping.
Perciò bisogna riflettere bene prima di prendere in considerazione ogni eventuale ipotesi di pur parziale disimpegno di forze italiane da ciascuna delle missioni in corso. E affinché gli uomini in divisa siano ben tutelati condivido la recente richiesta del nostro Presidente di garantire un adeguato supporto finanziario, normativo e giuridico ai nostri reparti.
Al di là dei benefici di immagine che l'Italia ne può ricavare, l'impegno italiano nelle missioni internazionali di stabilizzazione, pacificazione, ricostruzione, come quelle che operano in Afghanistan, nel Libano e nei Balcani, serve a fronteggiare la minaccia devastante del fanatismo, di un terrorismo che non conosce frontiere. Ho constatato che la partecipazione alle missioni internazionali di pace raccoglie un ampio consenso parlamentare ed è vista con favore anche dall'opinione pubblica. Ciò dimostra, come è stato osservato, che oggi l'unità nazionale si manifesta in terreni nuovi. All'estero i nostri militari sono molto apprezzati perché hanno dimostrato che esiste un italian way, un modo tutto italiano di condurre le missioni di pace che prevede il ricorso alla forza giusta quando ci vuole, ma soprattutto si basa su una grande attenzione al contatto con le popolazioni civili.
Auspico che il Governo italiano si pronuncerà sempre in favore delle soluzioni politiche, dei negoziati pacifici, delle mediazioni internazionali e si impegnerà solo in missioni di pace: è una linea che si contrappone alle dottrine delle soluzioni militari che in ogni caso non potrebbero vedere impegnato il nostro Paese.
L'Italia dovrà sempre impegnarsi contro la legge della forza, la violazione dei diritti dei popoli, le pretese e le imprese di egemonia e di sopraffazione; l'Italia deve continuare ad esercitare tutta la sua migliore influenza per ridurre le tensioni e per aiutare la ricerca di soluzioni pacifiche e negoziate rispettose dei diritti dei popoli e delle nazioni.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente, credo che sia importante sottolineare come gli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché le missioni internazionali delle nostre Forze armate e delle nostre forze di polizia nel mondo, rappresentino un impegno comune del nostro Paese, del nostro Parlamento e, al contempo, un modello del modo in cui tra le due Camere si realizza una convergenza su obiettivi e finalità. Vi è, però, il rischio di una sottovalutazione degli interventi rispetto al quadro generale di riferimento con riguardo alle risorse e agli strumenti per la realizzazione degli obiettivi stessi.
Signor Presidente, come è già stato detto da altri colleghi del Partito Democratico, il nostro sostegno al provvedimento, sia nelle Commissioni competenti di Camera e Senato, sia in Assemblea, non verrà meno, ma davvero occorre evitare il rischio di una generale sottovalutazione delle nostre scelte, degli scenari internazionali che ne conseguono, dei risvolti strategici delle decisioni adottate dal nostro Parlamento.
Vi è, inoltre, un secondo rischio: quello che il Paese sia disattento, distratto, che non segua questo dibattito con la dovuta attenzione.
Ci accingiamo a trasferire impegni militari ed organizzativi dal teatro libanese e da quello balcanico verso quello afgano; siamo impegnati in un teatro di guerra che in questo momento è più impegnativo e strategico a livello internazionale, l'abbiamo fatto su richiesta dell'amministrazione americana ed il nostro Governo ha accettato questo rafforzamento. Il Partito Democratico ha condiviso questa scelta, ma chiediamo un approfondimento politico sia delle strategie che ogni giorno adottiamo nel teatro afgano, sia, più in Pag. 65generale, nel quadro internazionale in cui queste scelte vengono operate.
Anch'io desidero ricordare il sacrificio di Pietro Antonio Colazzo, ucciso a Kabul in un attentato in cui hanno trovato la morte numerosi civili, un vile atto terroristico a cui si è opposto un atto di coraggioso altruismo. Analogamente la lotta al terrorismo internazionale, sia quando avviene nei nostri Paesi, sia nelle zone a rischio del mondo, nelle aree in cui sono presenti i nostri militari con le missioni internazionali, deve essere combattuta e portata avanti con coraggioso altruismo e le missioni di cooperazione internazionale attraverso uomini e donne che ne fanno parte, signor Presidente, ne sono il migliore esempio.
Questo provvedimento include anche gli interventi di solidarietà internazionale verso Haiti con la partecipazione italiana alla United nations stabilization mission, anche in relazione alla grave situazione determinatasi dopo il sisma del 12 gennaio scorso. È un aspetto qualificante di questo provvedimento, dobbiamo riconoscerlo, che produce la necessaria attenzione alle aree del mondo dove il bisogno di sicurezza e di cooperazione è forte, ma che appare largamente insufficiente sotto il profilo delle risorse. La norma necessaria per questa importante iniziativa è rientrata ora, fortunatamente, nella sua sede naturale: un provvedimento del Parlamento, superando il meccanismo dell'ordinanza.
Questo provvedimento è accompagnato da altre positive misure nei confronti di Haiti ed in quest'Aula è stato già ricordato, in particolare, il dramma dei bambini, sia nel programma delle adozioni internazionali, alla cui attenzione è stato richiamato il Governo con l'interpellanza urgente del collega Bucchino, sia con il progetto Save the children ed in relazione ad altri impegni che il nostro Paese sta assumendo.
La nostra presenza nel mondo, Presidente, che è una presenza di peacekeeping, di lotta al terrorismo, di cooperazione allo sviluppo deve avere un forte senso di prospettiva politica.
L'azione di peacekeeping (in altre parole l'azione militare) deve essere misurata sia con i successi nella lotta al terrorismo e i successi sul terreno pratico nel controllo del territorio, sia con la capacità di favorire i processi di stabilizzazione politica in grado di coinvolgere i Paesi limitrofi. Ciò vale in Afghanistan come in altre aree di tensione internazionale e di nostra presenza militare nel mondo.
Accanto alla strategia politica, occorre avere una strategia di forte rapporto con le popolazioni civili e per questa ragione sottrarre risorse alla cooperazione militare rischia di compromettere le iniziative a sostegno dell'azione complessiva di stabilizzazione, la quale deve passare inevitabilmente anche attraverso il rapporto con le popolazioni e con la gente.
Questo provvedimento è, quindi, particolarmente importante in un momento in cui lo scenario internazionale è caratterizzato dalla ripresa della minaccia terroristica e dall'accendersi di nuovi focolai di tensione nel mondo, dallo Yemen al Maghreb.
Le misure contenute in questo provvedimento di cooperazione sono fondamentali per consentire al nostro Paese di mantenere una capacità di iniziativa e di dialogo sia per la stabilizzazione nei Balcani, sia per continuare a sostenere la comunità internazionale nella sua azione pacificatrice nelle varie aree di crisi, non ultima quella africana come ho già ricordato.
L'integrazione di risorse, Presidente, è indispensabile per consentire interventi di cooperazione in Afghanistan e nelle aree di nostra presenza militare nel mondo. La scelta fondamentale del multilateralismo non può che essere accompagnata da strumenti di sostegno alle iniziative di peace-keeping con l'estensione del negoziato civile come alternativa al conflitto armato, con le iniziative di assistenza alle popolazioni civili e con l'aiuto umanitario.
Il finanziamento per gli interventi di cooperazione allo sviluppo in Iraq, Pakistan, Libano, Sudan e Somalia, gli interventi di sminamento, le iniziative umanitarie a sostegno dei processi di pace e di Pag. 66stabilizzazione in alcuni Paesi, sia in sede bilaterale che multilaterale, vedono oggi protagonista l'Italia e tanti nostri militari e civili, italiani che lavorano ogni giorno per la pace e la stabilizzazione. A loro va ancora il nostro ringraziamento, ma dovrebbe andare, anche perché lo meritano, la nostra autentica attenzione con il recupero delle risorse necessarie alla cooperazione e allo sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gianni Farina. Ne ha facoltà.

GIANNI FARINA. Signor Presidente, non vorrei iniziare questo mio intervento senza rendere omaggio a tutti i caduti nella lotta al terrorismo in ogni intervento in cui i nostri militari e gli uomini della Protezione civile hanno svolto un ruolo fondamentale che fa onore a tutti noi e alla Repubblica. Lo affermo con particolare commozione, da uomo che ha vissuto il mondo, che è andato ovunque e che ha lavorato, vissuto e si è impegnato per affermare i diritti di tanti milioni di nostri cittadini.
Ovunque è stato necessario e impellente, la nostra Repubblica ha risposto «sì», accompagnata quasi sempre dal consenso popolare. Ha risposto «sì», al di là e al di sopra del Governo al momento in carica, in quanto sulla politica estera non sono possibili divisioni e furberie.
Ciò che divide un piccolo da un grande Paese non è solo ed unicamente la sua forza economica, politica e sociale: ciò che divide un piccolo da un grande Paese è il suo protagonismo nella politica estera nel contesto planetario mondiale, ovvero il suo ruolo a difesa della pace, della dignità e dei diritti umani di ognuno.
L'Italia, l'Europa e il mondo non si riassumono, né ieri né oggi, in un mercato. È l'universo dei cittadini, dei loro valori. Un avvenire pacifico, d'altronde, fu il primo intento della costruzione europea. Anche per quanto riguarda le missioni internazionali, una più stretta unione tra i popoli d'Europa è necessaria e fondamentale per l'oggi e per il domani. È necessaria per dare all'Europa quel ruolo cui è chiamata dalla sua storia. Non è pensabile che le missioni internazionali di grande portata non possano essere decise a livello europeo. Oggi non avviene così. Non è pensabile che i finanziamenti previsti, oltre che il risultato di una programmazione nazionale, non vedano una programmazione di più alto livello, una strategia europea. Una strategia di sicurezza e di difesa comune europea non può che prescindere dal coordinamento e dalla collaborazione in ogni campo.
Tengo a sottolineare che, per quanto mi riguarda, è estremamente importante che l'Italia operi all'interno dell'Unione europea perché vi sia sempre il massimo di cooperazione e di concertazione. A mio modo di vedere, è un punto essenziale che mi pare debba essere trattato dall'insieme dei responsabili civili e di governo europeo. Che possibilità avranno mai l'Italia e l'Europa se non avremo il coraggio di affermare quali sono i nostri limiti e quali le nostre capacità. Nel mentre ci accingiamo a dire «sì» ad un documento, ad un disegno di legge, ci conviene riaffermare che l'Europa non sarà all'altezza di elaborare una strategia di difesa e di interventi comuni senza addivenire alla nozione di cooperazione strutturale, senza dare concretezza agli impegni fissati dal Trattato di Lisbona. Al di là di alcuni particolari momenti, la reazione per esempio di fronte ai caduti nelle missioni, la partecipazione emotiva e appassionata è mancata nei popoli d'Europa. Ho l'impressione che l'opinione pubblica, di fronte alle missioni internazionali, abbia delle reazioni alquanto mitigate, spesso reazioni di fastidio e di incomprensione. Sta qui il ruolo nostro, il ruolo dei Parlamenti nazionali, della politica e dei Governi, partendo dall'Europa, un ruolo per far crescere la consapevolezza di un destino che è comune. Occorre costruire una condivisa cultura europea di difesa, attraverso una più grande interoperabilità di uomini e di mezzi.
Occorre creare comandanti, ufficiali e truppe d'intervento autenticamente europei, a mio modo di vedere, un vero e Pag. 67proprio Erasmus militare e di intervento. L'Unione europea dispone oggi di strutture istituzionali che, se utilizzate appieno, le permettono di rispondere veramente appieno alle missioni interne ed esterne cui è chiamata.
Nel corso degli ultimi decenni, i Paesi dell'Unione europea hanno spesso dimostrato la capacità di gestire operazioni militari e umanitarie di alto livello, dalla Macedonia, alla Bosnia, al Congo, al Ciad e, per ultimo, in Afghanistan e in Iran, per non dimenticare Haiti. Sono interventi, tuttavia, ancora mancanti di un effettivo coordinamento. Quale deve essere in definitiva il nostro obiettivo? È una politica di intervento dell'Unione europea, a difesa della pace e della libertà dei popoli, per un rapporto nuovo con le popolazioni civili, per il rispetto della loro storia e della loro cultura, che sono garanzie per ogni ulteriore successo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, dovremmo cogliere, come fanno tutti i Parlamenti europei, questa occasione per un grande dibattito parlamentare e nazionale sulla politica estera in generale. Infatti, come hanno detto altri colleghi, le missioni militari non sono fini a se stesse; sono uno strumento che permette al nostro Paese di adempiere ad obblighi internazionali liberamente sottoscritti in ambito multilaterale e in ambito ONU, ma sono, soprattutto, uno strumento importante di politica estera, che non è altro che la proiezione esterna del nostro Paese nei grandi scacchieri dove si decidono i destini del mondo.
Questo provvedimento, così rinnovato a scadenza semestrale, sta diventando per il nostro Parlamento un'occasione mancata di dibattere di politica estera e di dare al Governo quelle linee guida della proiezione esterna della nostra influenza nel mondo e del nostro esserci collettivo nel mondo, che sta sempre più diventando un pezzo importante della politica delle grandi potenze in un momento di grande ricomposizione geopolitica e di grande ricomposizione della mappa del potere, con l'arrivo di nuovi soggetti strategici sullo scacchiere internazionale.
Siamo presenti - è stato detto - su vari fronti con i nostri soldati, molto apprezzati non solo per le loro capacità tecnico-militari, ma anche per l'approccio con le popolazioni e, soprattutto, per l'azione civile di ricostruzione e per il tentativo di normalizzazione di questo territorio che accompagna sempre la nostra presenza militare. Le missioni di pace, quindi, oltre che essere operazioni militari condotte secondo regole di ingaggio chiare, in grado di mantenere e garantire la sicurezza delle popolazioni civili, devono anche avviare quella normalizzazione e quei processi di nation building che spesso, in territori di guerra, possono essere favoriti solo da una presenza di truppe esterne che aiutino il martoriato Paese in questione ad uscire dal pantano della guerra e ad avviare una normalità.
Queste missioni sono anche un'occasione per il nostro Paese di avviare quell'altra gamba della nostra presenza che è la cooperazione internazionale, ancorché qui sia molto discussa la questione se mettere insieme e collegare direttamente presenza militare e cooperazione internazionale e civile, perché molte delle volte le logiche dell'una e dell'altra non coincidono e si rischia alla fine di non fare bene né l'una né l'altra.
Però il nostro Paese deve, secondo me, superare, com'è nella sua vocazione e com'è anche nel suo dettato costituzionale, all'articolo 11, l'approccio strettamente militaristico per accompagnare sempre la sua presenza con un approccio multidisciplinare, che comprenda la presenza militare, ma solo come uno strumento per favorire a largo raggio la diplomazia. Dicevo all'inizio di questo discorso che manca una riflessione geo-strategica su quali siano le proiezioni e le linee di fondo della nostra politica estera; occorre individuare, cioè, delle finalità chiare e, se possibile, degli obiettivi da raggiungere a breve, media e lunga scadenza. Pag. 68
Vorrei solo, visto che nel decreto-legge in esame si parla molto anche di alcuni teatri di guerra in Africa, ricordare l'importanza per il nostro Paese della missione in Somalia: una terra martoriata, verso la quale noi abbiamo delle responsabilità storiche precise in quanto Stato mandatario, e che è stato presente in quel Paese, con il quale abbiamo dei legami molteplici. Penso che non possiamo limitarci semplicemente ad un sostegno all'azione della comunità internazionale in Somalia, ma abbiamo il dovere di avere un'iniziativa, di avere una soggettività diplomatica si potrebbe dire, che sia da pungolo per l'Europa, ma anche per le Nazioni Unite, per la comunità internazionale tutta. Noi dobbiamo sostenere l'azione delle truppe dell'Unione Africana che sono presenti in quel Paese, e soprattutto aiutarlo, attraverso una cooperazione finanziata con fondi adeguati. Lì sì che si tratta di aiutare una normalizzazione che tarda a venire, che i somali aspettano da tantissimi anni, ed un processo di nation building, in un territorio dove gli esperti hanno coniato il termine di «somalizzazione», intendendo con questo un territorio che non ha più un centro nevralgico, un Governo centrale in grado di controllare il resto del territorio. Somalizzazione oggi vuol dire il caos, vuol dire l'anarchia, vuol dire un Governo non solo che non è più in grado di esercitare la sovranità, ma che non è nemmeno più in grado di far fronte ai doveri elementari di uno Stato così come lo intendiamo.
La stessa cosa si può dire della nostra azione nell'altro scenario del Darfur, dove la nostra cooperazione è presente, e anche di molti organismi di volontariato italiani: anche qui ci vuole uno sforzo in più della nostra diplomazia, per aiutare il processo di pace in generale nel Sudan, ma soprattutto accrescere lo sforzo umanitario che è stato avviato nei confronti delle popolazioni civili, che, come tutti sanno, stanno subendo un vero e proprio genocidio; che non dice il suo nome, e che la comunità internazionale non osa pronunciare, perché dovrebbero scattare tutti i meccanismi automatici di difesa che in caso di genocidio devono scattare.
Un'ultima parola la vorrei riservare all'area della Repubblica Democratica del Congo: anche lì vi è una missione ONU di 17 mila persone. Questo Parlamento ha votato alcuni giorni fa una mozione importante sul Congo, che impegna il Governo a rilanciare l'azione dell'Unione europea e della comunità internazionale, che impegna il Governo a ridefinire il mandato della forza ONU, la MONUC, in modo da metterla nelle condizioni di proteggere realmente le popolazioni civili e di avviare un processo negoziale non solo intercongolese, ma che abbracci in qualche modo tutti i vicini di quel martoriato Paese, in un approccio regionale, seguendo le indicazioni della Conferenza di Dar es Salaam del 2004. Abbiamo detto in quella mozione che dovremo avviare, anche per il Congo, una missione uguale a quella che abbiamo avviato per il Darfur, per soccorrere le popolazioni civili; ed infine, estendere ai prodotti del Congo, al diamante, al coltan, alla cassiterite, quel processo di Kimberley, di certificazione dei prodotti, in modo che non possano essere in circolazione a livello mondiale prodotti che provengono dalle rapine e dai massacri dei civili.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

JEAN LEONARD TOUADI. Ed infine, per avviarmi alla conclusione, vorrei solo attirare l'attenzione sull'articolo 9, comma 4, del provvedimento in esame, dove ancora una volta, nonostante un parere unanime espresso dalla Commissione giustizia, si ribadisce l'impunibilità per i reati commessi in teatri esteri per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di sicurezza dell'ambiente e per i lavoratori.
Tanto per intenderci, tutte quelle vittime dell'amianto nei teatri di guerra dei Balcani non avranno giustizia perché questo provvedimento, al comma 4 dell'articolo 9, prevede la non punibilità per gli ufficiali che si sarebbero o che si renderanno colpevoli di reati contro la sicurezza, l'ambiente e il territorio. Trovo questo un fatto di estrema gravità: chiedo quindi al Governo di ripensarci e di adempiere a quella indicazione della Commissione Pag. 69giustizia che chiedeva la soppressione del comma 4 dell'articolo 9 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, l'ultima volta che abbiamo affrontato in quest'Aula il tema delle missioni internazionali, esclusa naturalmente la discussione sulle linee generali di ieri, è stato poco meno di un mese fa, il 9 febbraio, e in quella circostanza la Camera votò - io personalmente non lo votai - il rifinanziamento delle missioni. All'epoca non lo votai per il motivo per cui tante altre volte non lo avevo votato, cioè per il fatto che si continua a mettere in uno stesso decreto-legge un titolo che promette bene ma che poi non mantiene nulla di quello che promette (si mette, cioè, nel titolo del decreto-legge la dicitura rifinanziamento della cooperazione internazionale e delle missioni di pace).
Quello che invece vediamo nella politica estera italiana - che è di fatto, alla fine, il punto di partenza di questo mio intervento - è uno sbilanciamento nettissimo tra l'azione militare e l'azione civile. Signor Presidente, come dico ora e ho detto più volte, sono obiettore di coscienza e quindi su questa materia magari ho un tarlo, una sensibilità un po' particolare, però ritengo che una missione internazionale possa definirsi riuscita quando la parte militare, partita da cento, arriva a zero e la parte civile, partita da zero, arriva a cento.
È chiaro che in un momento di crisi si interviene con i militari: non si va lì con i fiori, con i fogli di carta da far firmare, non si va lì a mettere mattoni se prima non si è tolta di mezzo tutta quella guerra che rende anche la costruzione e la ricostruzione impossibili.
Quello che però deve accadere nel corso degli anni è che a mano a mano - con una certa gradualità naturalmente, perché le cose non si fanno con la bacchetta magica - l'azione militare perda sempre più peso, venga inizialmente affiancata da un'azione civile e poi arrivi un bel giorno in cui il capo della missione militare saluta tutti, ammaina la bandiera e dice: signori, il nostro compito è finito, diamo spazio ai civili che resteranno qui a lungo e che daranno una mano alla popolazione. Un Paese serio, un Paese civile investe sulla cooperazione tutto quello che ha investito precedentemente nell'azione militare, anzi forse anche di più perché l'azione militare era limitata nel tempo, circoscritta ad una emergenza, mentre la ricostruzione e dunque l'azione civile devono durare un po' di più perché devono accompagnare la crescita di un Paese (e tornare alla normalità per un Paese devastato dalla guerra non è certamente facile).
Nessuno sta mettendo in dubbio l'importanza dell'azione militare occidentale in Afghanistan; certamente - me lo diceva poco fa anche la mia collega, l'onorevole Mogherini Rebesani, parlandomi informalmente - alcuni stessi parlamentari afgani sono attenti alla riuscita di questa azione militare perché non vedono altro futuro nel loro Paese in questo momento, però ciò che non è avvenuto in questi anni e che non sta avvenendo è che l'azione militare dia i suoi frutti e che piano piano si dia spazio alle organizzazioni civili e alla cooperazione. Questo, a mio avviso, è qualcosa che deve interrogarci tutti. Citavo quel 9 febbraio perché da quel 9 febbraio ad oggi sono successe tre cose: la prima sono alcune dichiarazioni del nostro Ministro della difesa, la seconda è la caduta di un Governo di un Paese a noi alleato e nostro partner europeo e nella NATO (l'Olanda), la terza, più volte richiamata oggi in quest'Aula, è la morte di un italiano, ucciso in questo attentato a Kabul.
Vorrei partire proprio dalle dichiarazioni del Ministro La Russa (credo che i colleghi radicali le abbiano ricordate più volte e lo hanno fatto anche in una interrogazione presentata lo scorso 17 febbraio). Quello che non si riesce a capire dalle parole del nostro Ministro della difesa è se l'Italia sia in guerra oppure no. Pag. 70L'articolo 11 della Costituzione parla infatti chiaro, però poi quello che il Ministro dice sembra un po' un bilanciamento, in questo senso: vorrei cioè dire che siamo in guerra, ma non posso dirlo perché altrimenti saremmo contro l'articolo 11 della Costituzione. Il Ministro La Russa utilizza cioè una terminologia che, onestamente, è prettamente bellica.
Parla di battaglie, parla di combattimenti, parla di nemici eliminati, parla di occupazione del territorio. Lo stesso Ministro Frattini si è quasi piccato, quando qualcuno ha detto che gli altri Paesi avevano delle perdite maggiori, rispondendo: non si dica mai che l'Italia è nelle retrovie. Ebbene, se l'Italia non è nelle retrovie, dov'è? È in guerra probabilmente.
Allora, approfitto di questo mio intervento in Aula per far sapere a chi ci sta guardando tramite la TV web della Camera e a chi ci ascolta tramite GR Parlamento e Radio radicale che sia ben chiaro che l'Italia probabilmente sta perdendo un po' di vista il senso della missione di pace che avevamo sognato, che un'altra legislatura aveva votato, e che noi stiamo continuando ad appoggiare.
Il mio primo invito a questo Governo è di non perdere mai l'obiettivo iniziale, che era quello di una missione di pace, e la missione di pace per essere tale - lo dicevo poco fa - deve contare sempre meno sull'azione militare e sempre più sull'azione civile.
Cosa accade invece in questo momento in Italia? Accade che la cooperazione è trattata neanche come Cenerentola, molto peggio, è trattata a livello residuale. Tutti gli spiccioli che ci avanzano li diamo in progetti di cooperazione. Al recente G8 in Abruzzo il Presidente del Consiglio ha ribadito gli impegni internazionali che l'Italia aveva preso in altre sedi e ha detto anzi che li rispetteremo tutti e addirittura li aumenteremo.
Quello che accade, invece, è che i Millennium Goals, gli obiettivi del millennio fissati anni fa dalle Nazioni unite, da noi vengono disattesi con una leggerezza e - direi - con una faccia tosta invidiabile, perché dovevamo essere allo 0,51 per cento del PIL nel 2010 (e non siamo neanche a un quarto probabilmente) e dovevamo arrivare allo 0,70 nel 2015, ma qui certamente non ci sarà nessuna possibilità di rispettare questi impegni.
Allora, se non c'è uno sforzo congruo nella cooperazione almeno parallelo a quello nell'ambito militare, poi non si pretenda di far credere agli italiani che noi stiamo facendo delle missioni di pace o almeno che stiamo facendo solo quello.
Il secondo punto sul quale vorrei soffermarmi è la caduta del Governo in Olanda. Si potranno usare tutte le interpretazioni politiche che si vogliono, si potrà dire che i laburisti avevano promesso che entro il 2010 si sarebbero ritirati dall'Afghanistan, che il 2010 è arrivato, che le elezioni sono alle porte e che, dunque, il ritiro è stato anche parte di una campagna elettorale. Però il dato di fatto è che l'Olanda c'era, e adesso non c'è più. Ho qui davanti dei dati che riguardano la partecipazione dell'Olanda: l'Olanda era stata tra i Paesi più decisi ad andare in Afghanistan, perché, a differenza nostra che ci eravamo posti dei problemi relativi all'articolo 11 della Costituzione, gli olandesi (insieme al Canada) non avevano posto vincoli all'azione militare, avevano accettato di combattere con l'artiglieria, con i jet, con gli elicotteri da attacco.
Poi che cosa hanno fatto dopo questi anni? Hanno visto che le perdite erano state molte, ma soprattutto - perché non è una questione di perdite, altrimenti cadiamo nell'ipocrisia di dire che le perdite degli altri vanno bene e le nostre no - hanno visto che il prezzo pagato (le perdite) era stato troppo alto rispetto ai risultati, perché questi ultimi erano stati troppo pochi. Allora hanno detto: torniamo indietro.
Questo stesso sentimento popolare - diceva Panorama in un sondaggio della settimana scorsa - è diffuso in tutta Europa. In Italia stessa, dopo questo attentato, ma ancora di più dopo quello precedente, un rapido sondaggio rileva che i cittadini favorevoli ad un ritiro dall'Afghanistan sarebbero più della metà (addirittura Pag. 71il 56 per cento). In Germania la percentuale è addirittura al 76 per cento, nel Regno Unito al 71 per cento, in Francia al 64 per cento, in Spagna al 51 per cento. Nei Paesi più grandi dell'Unione europea un referendum popolare sulla presenza in Afghanistan in questo momento avrebbe un destino segnato.
Ora non è il momento qui di decidere un ritiro, però probabilmente questo potrebbe essere il momento per riflettere sul senso della nostra presenza lì, perché - lo ripeto - dal 9 febbraio ad oggi nel frattempo è morto un altro italiano.
Allora, come dicevo un istante fa, non credo alla retorica per cui muore uno dei nostri, ebbene ce ne andiamo, uno dei nostri sopravvive e noi restiamo lì. Quello che chiedo a nome - credo - di tanti italiani è di considerare non quante persone muoiano, non quanti italiani muoiano in una missione di pace, ma di considerare seriamente - lo chiedo al Governo e lo lascio come ultimo appello - se queste persone stanno morendo davvero per un motivo, o stanno morendo invano, perché il dolore più grande non sarebbe quello di aver perso tanti italiani, ma di averli fatti morire senza senso, di averli fatti morire invano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore per la IV Commissione ad esprimere il parere delle Commissioni.

MARCELLO DE ANGELIS, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, le Commissioni formulano un invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario, sugli emendamenti Tempestini 5.1 e Recchia 9.1.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore per la IV Commissione, aggiungendo che l'emendamento Tempestini 5.1 potrebbe essere trasfuso in un ordine del giorno che, se ben strutturato, il Governo si impegna ad accettare.

PRESIDENTE. Secondo le intese intercorse tra i gruppi, il seguito dell'esame è rinviato alla seduta di domani.

Comunicazioni del Presidente ai sensi dell'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento, e assegnazione di un disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica.

PRESIDENTE. Comunico, ai sensi del comma 1 dell'articolo 123-bis del Regolamento, la decisione in merito al seguente disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica: «Disposizioni in materia di semplificazione dei rapporti della Pubblica Amministrazione con cittadini e imprese e delega al Governo per l'emanazione della Carta dei doveri della amministrazioni pubbliche per la codificazione in materia di pubblica amministrazione» (3209).
Alla luce del parere espresso in data odierna dalla V Commissione (Bilancio) ed esaminato il predetto disegno di legge, la Presidenza comunica che lo stesso non reca disposizioni estranee al suo oggetto, come definito dall'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento, ad eccezione degli articoli 14 (Istituto diplomatico), 25 (ordinamento della carriera diplomatica) e 27 (disposizioni relative agli uffici all'estero del Ministero degli affari esteri), che non risultano riconducibili alle materie che, secondo la risoluzione di approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2010-2013 dovrebbero formare oggetto dei disegni di legge collegati. Conseguentemente, tali disposizioni sono stralciate dal disegno di legge, ai sensi dell'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento e saranno oggetto di un autonomo Pag. 72disegno di legge che sarà assegnato alla competente Commissione.
A norma degli articoli 72, comma 1 e 123-bis, comma 1, del Regolamento, il disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica «Disposizioni in materia di semplificazione dei rapporti della Pubblica Amministrazione con cittadini e imprese e delega al Governo per l'emanazione della Carta dei doveri delle amministrazioni pubbliche e per la codificazione in materia di pubblica amministrazione» (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 14, 25 e 27 del disegno di legge n. 3209) (3209-bis) è assegnato, in sede referente, alla I Commissione (Affari costituzionali), con il parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Proposta di assegnazione a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge (ore 19,43).

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, della seguente proposta di legge, che il Presidente proporrà alla Camera a norma del comma 1 dell'articolo 92 del Regolamento: alla IV Commissione (Difesa): BOCCHINO ed altri: «Norme in materia di nomina del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza e di attività di concorso del medesimo Corpo alle operazioni militari in caso di guerra e alle missioni militari all'estero» (3244) - Parere delle Commissioni I, III, V, VI e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale).

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 3 marzo 2010, alle 9,30:

(ore 9,30 e ore 16)

1. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 3244.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (3097-B).
- Relatori: Stefani, per la III Commissione; De Angelis, per la IV Commissione.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (3146-A).
- Relatori: Calderisi, per la I Commissione; Bitonci, per la V Commissione.

(ore 15)

4. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

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PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla IV Commissione (Difesa):
BOCCHINO ed altri: «Norme in materia di nomina del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza e di attività di concorso del medesimo Corpo alle operazioni militari in caso di guerra e alle missioni militari all'estero» (3244) - Parere delle Commissioni I, III, V, VI e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale).

La seduta termina alle 19,45.