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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 291 di lunedì 1 marzo 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 15.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'8 febbraio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Antonione, Barbi, Barbieri, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, De Biasi, Donadi, Fassino, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Milanato, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti l'onorevole Susanna Cenni in sostituzione dell'onorevole Mario Cavallaro, dimissionario.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (A.C. 3146-A) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3146-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) si intendono autorizzate a riferire oralmente. Pag. 2
Il relatore per la I Commissione, onorevole Calderisi, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, premetto che la mia relazione si riferirà agli articoli 1, 2 e 3 del decreto-legge, relativi a materie di più diretta competenza della I Commissione.
L'articolo 1 modifica e integra alcune delle norme in materia di contenimento delle spese degli enti locali contenute nella legge finanziaria per il 2010.
Questa, ai commi da 183 a 187 dell'articolo 2, ha previsto, da una parte, una riduzione del contributo ordinario per gli enti locali nel triennio 2010-2012 e, dall'altra parte, a fronte di questo, una serie di misure di risparmio, tra cui una diminuzione del numero dei componenti degli organi rappresentativi ed esecutivi degli enti locali e una razionalizzazione di altri organismi dei medesimi enti.
Ricordo che, solo per quanto riguarda gli 8.104 comuni, vi sono oggi - complessivamente - più di 120 mila consiglieri e 35 mila assessori. Le riduzioni disposte dalla legge finanziaria e dal presente provvedimento sono pertanto significative: complessivamente si tratta di una riduzione del personale politico-amministrativo superiore a 35 mila unità (anzi, includendo le circoscrizioni credo si vada ben oltre le 40 mila unità).
Ferma restando l'entità complessiva della riduzione del contributo - per le cifre rinvio al testo integrale della mia relazione che, signor Presidente, chiederò di allegare al resoconto dal momento che la sua lettura richiederebbe più dei dieci minuti che mi sono attribuiti dal Regolamento - l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge in esame provvede a rimodulare la ripartizione della riduzione tra ciascun ente e a precisare in modo univoco la decorrenza dell'efficacia delle disposizioni relative alle misure di risparmio. Si tratta di un intervento che si è reso necessario in quanto l'anticipazione del turno di elezioni amministrative del 2010 dal periodo 15 aprile-15 giugno al 28 marzo, insieme alle elezioni regionali, avrebbe comportato problemi applicativi delle disposizioni contenute nella legge finanziaria per il 2010.
Il testo originario del comma 183 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2010 prevedeva, infatti, che il Ministro dell'interno provvedesse con proprio decreto, per ciascun anno, alla riduzione, in proporzione alla popolazione residente, del contributo ordinario spettante ai singoli enti per i quali, nel corso dell'anno, avesse luogo il rinnovo dei consigli.
La disposizione in esame prevede invece che per il 2010 la riduzione del contributo si applica a tutti gli enti locali, a prescindere quindi dallo svolgimento di elezioni amministrative, sempre in proporzione alla popolazione residente.
Per il 2011 viene invece mantenuto il criterio indicato dalla legge finanziaria, per cui la riduzione viene operata per gli enti locali per i quali ha luogo il rinnovo dei consigli.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato altresì precisato che la riduzione per l'anno 2012 interessa non solo gli enti che si sono rinnovati in corso d'anno, ma anche quelli che si sono rinnovati nell'anno precedente.
Sempre a seguito di una modifica operata in sede referente, al fine di evitare che i tagli interessino solo gli enti che si rinnoveranno nel 2011 e nel 2012, è stato previsto che con legge saranno determinate le riduzioni del contributo per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, che si applicheranno, progressivamente, a tutti gli enti locali, via via che questi rinnoveranno i propri organi.
L'articolo 1, comma 1, estende altresì ai consigli provinciali la riduzione del 20 per cento del numero dei componenti già prevista dalla legge finanziaria per i consigli comunali. Nel corso dell'esame in Commissione sono stati aggiunti, dopo il comma 1, una serie di commi che modificano ampiamente la disciplina della legge finanziaria per il 2010, volta a razionalizzare gli enti locali, e dispongono la soppressione di altri enti o apparati amministrativi. Pag. 3
Il comma 1-bis prevede che la riduzione degli assessori provinciali, disposta dalla legge finanziaria, sia uniformata a quella degli assessori comunali, cioè che il numero massimo degli stessi sia anch'esso determinato in misura pari ad un quarto, anziché un quinto, del numero dei consiglieri provinciali. Ricordo che la riduzione degli assessori si applica sin dal 2010 per gli enti per i quali ha luogo quest'anno il rinnovo dei rispettivi consigli.
Il comma 1-ter procede nell'opera di semplificazione degli apparati burocratici locali, disponendo l'abrogazione delle norme del testo unico sugli enti locali relative ai circondari provinciali.
Il comma 1-quater, lettera a), precisa che le misure di razionalizzazione che devono essere adottate dai comuni sono finalizzate al coordinamento della finanza pubblica e al contenimento della spesa.
La lettera b) prevede che le funzioni del difensore civico comunale, figura che i comuni sono tenuti a sopprimere sulla base delle disposizioni della legge finanziaria, possono essere attribuite, mediante apposita convenzione, al difensore civico provinciale, che assume in tal caso la denominazione di «difensore civico territoriale».
La lettera c) limita la soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale, prevista dalla legge finanziaria, ai comuni con popolazione non superiore a 250 mila abitanti.
La lettera d) limita la soppressione del direttore generale dei comuni, anch'essa prevista dalla legge finanziaria, ai comuni con popolazione non superiore a 100 mila abitanti.
La lettera e) infine esclude i bacini imbriferi montani (BIM) dalla soppressione dei consorzi degli enti locali.
Il comma 1-quinquies, aggiunto dalla Commissione in sede referente, prevede la soppressione delle Autorità d'ambito territoriale (i famosi ATO), previste dal codice ambientale, a decorrere dal 1o gennaio 2011; dopo tale data, ogni atto compiuto dalle predette Autorità è nullo. Entro il medesimo termine le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Il comma 1-sexies interviene sulla disposizione della legge finanziaria che ha soppresso il finanziamento statale alle comunità montane e ha disposto, fino all'attuazione del federalismo fiscale, l'assegnazione del 30 per cento di tali risorse ai comuni montani, disponendo che tali risorse siano ripartite non più tra i comuni montani individuati in base ad un criterio altimetrico, ma tra i comuni appartenenti alle comunità montane. Viene, inoltre, introdotta l'intesa in sede di Conferenza unificata sul decreto ministeriale di riparto; al riguardo, si ricorda che la Corte costituzionale, da ultimo e in particolare con la sentenza n. 27 del gennaio di quest'anno, ha riconosciuto che, nel vigore del nuovo Titolo V, la competenza sulle comunità montane è regionale e non più statale.
Il comma 2 dell'articolo 1 riguarda la decorrenza delle disposizioni di razionalizzazione degli apparati degli enti locali previste dalla legge finanziaria (su questo tralascio la specificazione delle norme che rinvio al testo scritto della relazione).
Ricordo che le misure di razionalizzazione degli enti locali contenute nella legge finanziaria e nel presente provvedimento hanno anticipato una serie di disposizioni contenute nel disegno di legge n. 3119, presentato dal Governo alla Camera, noto come la «Carta delle autonomie locali», accelerando indubbiamente il processo di riforma degli enti locali.
L'articolo 2 prevede poi la ridefinizione, entro il 30 novembre 2010, della tabella delle circoscrizioni dei collegi per le elezioni provinciali. Tale ridefinizione è conseguente alla riduzione del numero dei consiglieri provinciali disposta dall'articolo 1 e deve essere effettuata in tempo utile per lo svolgimento del turno elettorale del 2011, anno nel quale scatta, come già detto, la riduzione del numero dei consiglieri provinciali. È, comunque, previsto che questa riduzione è efficace anche in caso di mancata ridefinizione della tabella. In tale ipotesi, peraltro, il numero dei Pag. 4collegi elettorali risulterebbe superiore al numero dei consiglieri da eleggere. È stata, quindi, introdotta, nel corso dell'esame in sede referente, una disposizione che consente ai gruppi (cioè ai partiti) di presentare un numero di candidati non superiore al numero dei collegi, in deroga alla normativa vigente che prevede che il numero dei candidati non può essere superiore al numero dei consiglieri assegnati alla provincia.
Il comma 1-bis modifica la procedura per la determinazione del numero e dell'estensione dei collegi elettorali provinciali, che sono definiti in forma di tabella, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale.
Viene, in particolare, introdotto il previo parere della provincia interessata; la mancata espressione di tale parere, entro quindici giorni dalla richiesta, non preclude comunque l'adozione del decreto.
Venendo infine all'articolo 3, questo prevede che ciascuna regione definisce l'importo degli emolumenti e delle utilità, comunque denominati, percepiti dai consiglieri regionali, ivi compresi l'indennità di funzione, l'indennità di carica, la diaria ed il rimborso spese, in modo tale che questo ammontare non ecceda complessivamente e in alcun caso l'indennità spettante ai membri del Parlamento. La disposizione è finalizzata al coordinamento della finanza pubblica ed al contenimento della spesa pubblica. Le regioni provvedono a rivedere gli emolumenti a decorrere dal primo rinnovo del consiglio regionale successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge. Nel corso dell'esame in sede referente è stato precisato che il limite è costituito dall'indennità massima spettante ai parlamentari (in questo caso, quindi, quella del Senato, allo stato attuale).
Sottolineo, infine, che le modifiche apportate nel corso dell'esame in sede referente hanno recepito o tenuto conto in modo significativo di molte delle proposte emendative emerse dal dibattito, anche da parte delle opposizioni, e dalle audizioni informali dei rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell'ANCI, dell'UPI e della Lega delle autonomie locali; mi riferisco, ovviamente, a quelle proposte emendative volte a migliorare il testo del provvedimento e non a sopprimerlo o a modificarne radicalmente l'impostazione.
Quindi, in relazione al contenuto positivo di questo provvedimento (l'opera di razionalizzazione degli enti locali che esso introduce), mi auguro che lo stesso possa essere al più presto convertito in legge.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Calderisi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il relatore per la Commissione Bilancio, onorevole Bitonci, ha facoltà di svolgere la relazione.

MASSIMO BITONCI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, mi soffermerò principalmente sulla parte relativa alla V Commissione (Bilancio), quella riferita all'articolo 4 del decreto-legge. Vorrei segnalare che il comma 1 conferma per l'anno 2010 le procedure per lo scioglimento dei consigli comunali, nei casi nei quali non sia stato approvato il bilancio nei termini previsti, ovvero nei quali il consiglio non abbia votato le misure per riportare in equilibrio il bilancio, previste dall'articolo 193 del Testo unico sull'ordinamento degli enti locali, e l'attribuzione al prefetto dei relativi poteri.
In particolare, vorrei ricordare che l'articolo 1 del decreto - legge n. 13 del 2002, a seguito dell'abrogazione dell'articolo 130 della Costituzione, nell'ambito della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, attribuisce al prefetto i poteri prima spettanti alla Comitato regionale di controllo (CoReCo) relativi alla nomina del Commissario ad acta incaricato di predisporre lo schema di bilancio ovvero di provvedere all'approvazione del bilancio stesso. Pag. 5
Passando al comma 2, si provvede alla determinazione dei trasferimenti erariali spettanti agli enti locali per l'anno 2010, sulla base dei criteri che sono già stati adottati lo scorso anno con il decreto-legge n. 154 del 2008, che a sua volta richiama quanto disposto dalle precedenti leggi finanziarie.
Vorrei precisare inoltre che il comma 3 conferma per l'anno 2010 la compartecipazione delle province al gettito dell'IRPEF, disciplinata ai sensi dell'articolo 31, comma 8, della legge n. 289 del 2002 (la legge finanziaria per il 2003), ricordando che, ai sensi di quest'ultima disposizione, la compartecipazione provinciale al gettito dell'IRPEF è fissata nella misura dell'1 per cento del riscosso in conto competenza che affluisce al bilancio dello Stato con riferimento all'esercizio finanziario del 2002.
I commi 4 e 5, che erano volti inizialmente ad incentivare l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione per l'estinzione anticipata dei mutui e dei prestiti obbligazionari da parte delle province e dei comuni, sono stati interamente sostituiti da un emendamento firmato dai relatori che ha recepito, inoltre, alcune proposte migliorative da parte dell'opposizione (soprattutto nel campo dei comuni e degli enti locali).
Nel dettaglio, per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, a valere sul fondo ordinario di cui all'articolo 34, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sono disposti dal Ministero dell'interno, garantendo una riduzione progressiva degli stanziamenti pari a 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio, i seguenti interventi: il primo è un intervento per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, in cui fino ad un importo di 45 milioni di euro viene incrementato il fondo ordinario.
Viene incrementato, lo stesso, il contributo ordinario (di 81 milioni) per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti nei quali il rapporto tra popolazione residente di età inferiore a cinque anni e popolazione residente complessiva è superiore al 4,5 per cento (si tratta di un maggior contributo per la natalità nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti).
Invece, per i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti è concesso un ulteriore contributo e questo sino ad un importo complessivo di 42 milioni di euro, per le medesime finalità dei contributi a valere sul Fondo nazionale ordinario per gli investimenti.
La lettera d) inserita dal nostro emendamento va in favore dell'amministrazione provinciale de L'Aquila e dei comuni della regione: non solo dunque della città de L'Aquila e del cratere del terremoto, ma anche della provincia e della regione colpiti dal terremoto dello scorso anno, alle quali viene attribuita una maggiorazione sui contributi di carattere ordinario.
Vi sono state, inoltre, ulteriori modifiche, introdotte sempre con un emendamento dei relatori, in relazione alle somme versate a titolo di addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche, senza indicazione del codice catastale del comune beneficiario, sempre in relazione all'ICI degli immobili rurali e alcune misure volte a razionalizzare le norme relative alla certificazione degli introiti dell'ICI dei comuni con minor gettito accertato.
In relazione al Patto di stabilità degli enti locali, si è provveduto con un emendamento omnibus dei relatori ad effettuare alcune variazioni. La prima variazione è di carattere interpretativo del comma 10 dell'articolo 7-quater del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, nel senso che gli enti che abbiano operato nel 2009 l'esclusione ivi prevista sono tenuti ad operarla anche per gli anni 2010 e 2011. Parliamo quindi della base di calcolo dell'anno 2007 del patto di stabilità e delle risorse che sono originate più che altro da cessioni di azioni o quote di società operanti nei servizi pubblici locali.
Nel recepire gli emendamenti dei colleghi dell'opposizione - voglio ricordare infatti come nell'emendamento omnibus siano stati recepiti più emendamenti dei colleghi dell'opposizione - si è voluto estendere le disposizioni di cui al comma 1, Pag. 6 lettere a) e b), e al comma 3 dell'articolo 7-quater del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, anche per l'anno 2010, con una rimodulazione in base ad un rapporto tra numero di dipendenti e abitanti inferiore alla media nazionale, individuata per classe demografica, e per le province e i comuni che hanno registrato dall'anno 2009 impegni per spesa corrente, al netto delle spese per adeguamenti contrattuali del personale dipendente, compreso il segretario comunale e provinciale, di ammontare non superiore a quello medio corrispondente nel triennio 2006-2008.
È stata finalmente individuata, una soluzione al problema degli enti che nell'anno 2007 avevano percepito dividendi determinati da operazioni straordinarie poste in essere da società quotate sui mercati regolamentati operanti nel settore dei servizi pubblici locali, come anche per quanto riguarda le risorse provenienti direttamente o indirettamente dall'Unione europea.
Una risposta è stata anche data agli enti locali per gli interventi relativi allo svolgimento di grandi eventi, che vengono equiparati, ai fini del patto di stabilità interno, agli interventi di carattere eccezionale e straordinario.
Nell'elenco 1 allegato alla legge finanziaria, alla rubrica «Altri interventi finalizzati a misure di particolare valenza sociale e di riequilibrio socio-economico, nonché di garanzia della stabilità dell'equilibrio finanziario degli enti locali danneggiati dagli eventi del 6 aprile 2009, adempimenti comunitari per enti locali, funzionalità del sistema giustizia» è stato inserito il finanziamento del Fondo nazionale per la montagna. Anche tale modifica è frutto di un emendamento condiviso con l'opposizione.
Tornando al testo originario, i commi da 6 a 8 recano modifiche all'articolo 2, commi 194, 195, 196, della legge n. 191 del 2009 (la legge finanziaria 2010), con riferimento alle disposizioni relative all'attribuzione di un contributo di 600 milioni di euro per l'anno 2010 per il comune di Roma, finalizzato per la gran parte al ripiano di debiti compresi nel piano di rientro dall'indebitamento del comune, predisposto dal commissario straordinario del Governo.
Al commissario è stato attribuito il compito di provvedere alla ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate e predisporre ed attuare anche il piano di rientro.
Il comma 8 reca alcune modifiche al comma 196 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2010, anch'esse sostanzialmente dirette a precisare le competenze del commissario straordinario del Governo in luogo del comune di Roma, in merito all'anticipazione di tesoreria concessa per l'anno 2010 ai sensi del medesimo comma 196.
Passando al comma 9, si interviene in merito al fondo di sviluppo delle isole minori, prevedendo l'adozione degli interventi per lo sviluppo per l'anno 2008, come indicati nel Documento unico di programmazione isole minori. Vorrei ricordare altresì che, a seguito delle riduzioni di autorizzazioni legislative di spesa, la dotazione del fondo per lo sviluppo delle isole minori per gli anni 2010 e successivi è stata annullata.
Infine, ricordo che è stato approvato ed inserito nel testo l'emendamento dell'onorevole Pini in tema di determinazione dei trasferimenti erariali alle amministrazioni provinciali per gli anni 2010 e seguenti, nel caso di modificazioni delle circoscrizioni territoriali degli enti locali dovute a distacchi.

PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, intervengo per dire, in via preliminare, che il gruppo dell'Italia dei Valori e, quindi, chi vi parla è assolutamente d'accordo con il provvedimento in esame, in quanto lo ritiene necessario, anche se insufficiente. Pag. 7
È insufficiente perché credo che sia giusto razionalizzare ed ottimizzare la spesa negli enti locali, nelle province e nelle regioni, ma non lo possiamo fare depotenziando e quasi azzerando la loro autonomia gestionale, finanziaria e la loro presenza così forte e capillare sul territorio. Da parte dei due relatori - che hanno svolto in maniera egregia il loro compito e pertanto non tornerò su quello che hanno detto - si ricordava che siamo in presenza di 8.104 comuni e che il 70 per cento dell'Italia è fatta di piccoli comuni; ciò significa, evidentemente, che dovremmo, o meglio voi dovreste avere più coraggio nel mettere in campo una serie di provvedimenti che abbiano la consistenza e la forza di rispondere finalmente e compiutamente ad una serie di esigenze che sono sul tappeto ormai da tantissimi, forse troppi anni.
Mi limito a segnalare alcuni aspetti messi in campo dai relatori. Faccio riferimento, in particolare, all'articolo 2 commi da 183 a 187 della finanziaria per il 2010.
Se prendiamo in considerazione, ad esempio, il comma 183, in cui si parla di trasferimenti erariali spettanti a comuni e province iscritti sul Fondo ordinario per il finanziamento del bilancio degli enti locali per complessivi 13 milioni di euro per il 2010, 91 milioni per il 2011, 125 milioni per il 2012, mi sorge qualche perplessità sulla razionalizzazione. Condivido e sono convinto che bisogna progressivamente razionalizzare il dato delle province; pertanto passare da un milione di euro per il 2010, 5 milioni per il 2011, 7 milioni per 2012 ci può anche stare, ma io sarei stato anche più forte e più incisivo, così come voi avete fatto in questi anni. Pertanto io, avendo fatto il sindaco di campagna - e sono orgoglioso di questa esperienza - ed avendo fatto anche il presidente di un'Unione di comuni, avendola impostata e costruita nella mia realtà, avrei voluto una forza vera rispetto alla presenza delle province. Bisognava avere molto più coraggio nel dire che oggi, nella prospettiva dell'innovazione e dell'ottimizzazione della messa in campo di risorse sempre minori e sempre più importanti, esse sarebbero una presenza totalmente inutile ed inadeguata dal mio punto di vista. Infatti in questa Italia vi sono realtà tali per cui abbiamo regioni «micro» come la mia, l'Abruzzo, dove vi sono 1.200.000 abitanti (ma come la mia sono anche le Marche, la Sardegna, la Basilicata e così via) che non possono evidentemente avere quattro o sei province, perché veramente siamo nel campo del risibile.
Pertanto, con riferimento a quell'aspetto era necessario non razionalizzare progressivamente le risorse, ma porre un tempo limite per abrogare le province, perché oggi non sono più in grado di fornire quei servizi e quella presenza ottimale che si aspettano, invece, non solo i cittadini, ma anche i mondi vitali dell'economia, che rappresentano la forza della nostra Italia ed anche la sua spina dorsale. Credo, quindi, che fosse necessario avere questo coraggio in modo molto forte.
Non parlo delle altre iniziative, che riducono la presenza dei rappresentanti negli esecutivi, nei consigli; non parlo della ridefinizione dei circondari, del difensore civico comunale, né di quello territoriale; non parlo delle circoscrizioni, né del decentramento. Avrei qualcosa da dire sui bacini imbriferi montani (BIM). Veramente, nella vostra esperienza, li ritenete utili? Per l'esperienza che ho avuto in Abruzzo, li ritengo totalmente inutili. I bacini imbriferi montani hanno un costo solo per le spese di gestione, per i gettoni di presenza per i membri del consiglio di amministrazione e per i vari orpelli. Dei soldi, resta solo un 10 per cento di risorse per la progettazione che, spesso, non viene affidata ai tecnici interni, ma a quelli esterni. Pertanto, si «mangiano» totalmente i soldi per gli investimenti e agli enti locali non resta più nulla. Partecipare ai bacini imbriferi montani, spesso, significa partecipare - e credo che l'Italia, in questo senso, sia unica - con qualche migliaio di euro, distribuiti a qualche assessore presente in essi, che li restituisce poi ai comuni per realizzare qualche iniziativa o qualche festicciola sul territorio. Tuttavia, questa non è la missione che si Pag. 8voleva dare, né l'intendimento che volevate inserire nel provvedimento in discussione.
Pertanto, saluto in maniera positiva questo dato, perché guardo il bicchiere mezzo pieno, tuttavia, ritengo che bisognasse avere più coraggio rispetto agli ATO e mettere in campo delle precondizioni utili affinché - quando nel provvedimento si parla di rinviare tutto in attesa dell'attuazione del federalismo fiscale - alcuni paletti fossero messi da subito. Ciò avrebbe rappresentato un segnale molto forte in ordine ad alcune acquisizioni che, peraltro, oggi, hanno non solo la gran parte dei cittadini, ma anche la gran parte dei rappresentanti politici sul territorio. Essi, infatti, hanno capito che non si può andare avanti in questo modo e che, forse, era già arrivato il tempo di dire basta ad alcune superfetazioni che sono presenti sul territorio e che, oggi, non hanno più niente a che fare, né con l'economia reale, né con la risposta ai bisogni reali dei cittadini.
Saluto con grande soddisfazione ciò che si prevede all'articolo 4 del provvedimento in discussione, che destina un contributo - ritengo che sia un atto dovuto anche nei confronti degli enti locali - alla provincia de L'Aquila e ai comuni della regione Abruzzo, perché mi sembra che ciò sia nell'ordine naturale delle cose.
Non riesco, invece, a capire, quando si parla della riduzione del fondo, pari a dieci milioni di euro, per il finanziamento dei comuni e delle province, la previsione di un contributo in favore degli enti locali. Rispetto a questi dati, ritengo che ci sarebbe voluta, oggi più che mai, la forza di essere conseguenti ad alcune impostazioni, che oggi, dal punto di vista culturale e della prassi, non appartengono più solo alla Lega in quanto tale, ma appartengono, ormai, alla cultura diffusa dei cittadini, anche all'interno delle istituzioni, perché evidentemente così non si può più andare avanti.
Credo che vi sia un ulteriore aspetto che ci debba riguardare, che investe direttamente alcune situazioni di cui, magari, il Ministro è molto più a conoscenza di me. Credo che siamo in presenza di una volontà - che condivido - di ottimizzare e razionalizzare la spesa, di mettere in campo una serie di opzioni importanti, che ci collegano molto più all'Europa che ad altre realtà, da cui dovremmo discostarci. Tuttavia, ritengo che il Governo debba dare l'esempio, partendo non solo dai tagli alle consulenze d'oro della Presidenza del Consiglio e dei vari Ministeri, ma anche da qualcosa di più banale - che potrebbe sembrare anche più scenografico - come il taglio delle cosiddette auto blu. Se i Ministri, e i loro collaboratori, utilizzassero il car sharing, verrebbe dato un segnale molto forte anche all'Europa, non solo in ordine al dato e alla cifra ambientale, ma anche per significare che questo Governo è attento e dà il buon esempio, piuttosto che richiederlo sempre agli altri. Ho la convinzione che, in questo senso, si potesse e si dovesse fare di più.
Al contrario, a mio avviso oggi siamo in presenza di una legislazione occasionale, casuale e scoordinata, pur apprezzandone l'impostazione iniziale (chi vi parla non lo dimentica): temo, infatti, che tutte queste contraddizioni si possano scaricare sui comuni, o meglio sui piccoli comuni - e questo è il taglio del mio intervento -, i quali, come dicevo, rappresentano il 70 per cento e sono il primo tassello dello Stato, anche di uno Stato moderno, che si vuole affacciare alla ribalta europea, anche per avere la capacità di drenare un po' di risorse utili per il territorio senza passare sempre attraverso lo Stato che dev'essere, come una mucca, munto costantemente.
Rispetto a questo dato, da parte vostra ci voleva quel coraggio che avete avuto in altre occasioni e che ho apprezzato. In questo provvedimento, invece, mancano - e ce n'era bisogno - una serie di indicazioni concrete e di sistema, per affrontare in modo coerente i temi degli enti minori, al fine di ridisegnare anche una proposta diversa di Paese a partire dagli enti locali e dai comuni più piccoli.
Vi segnalo, inoltre, alcuni aspetti che non sfuggiranno alla vostra realtà e alla vostra esperienza, anche se spesso, qui dentro, siamo quasi «mummificati»: invece Pag. 9di prendere il toro per le corna, qui facciamo spesso molta retorica e, soprattutto, attività culturale. Tuttavia, vi è un dato: i piccoli comuni non ce la fanno più ad essere oggetto di una legislazione, come dicevo, in qualche modo scoordinata e occasionale. Nel provvedimento all'esame del Parlamento, infatti, si presenta o viene percepita una norma che taglia, o semplicemente dimezza, la rappresentanza politica all'interno tanto degli esecutivi, quanto dei consigli comunali e provinciali.
Al contrario, noi abbiamo bisogno di dare risposte concrete ai servizi pubblici locali; abbiamo la necessità di dare una risposta concreta alla sopravvivenza di molti comuni, che sono il cuore e il motore dell'economia nazionale; abbiamo bisogno anche di una riforma organica, di qualcosa di coerente e serio, che risponda alle esigenze di autonomia dei piccoli comuni e dia forza all'associazionismo, attraverso le unioni di comuni, e che, soprattutto, risponda seriamente alle esigenze dei cittadini e della nostra comunità.
Ritengo che vi fosse bisogno - e ancora adesso ce n'è - di una piattaforma che venga recepita dal Governo, in modo che si possa dare concretezza a quanto si diceva prima (mi sembra si parlasse di codice delle autonomie). In qualche modo bisogna avviare questo percorso, che non è fatto solo di chiamate a responsabilità degli enti locali e delle loro rappresentanze: dev'essere una chiamata a partire dalla prima fase, ossia relativa alla costruzione di un percorso, piuttosto che alla fine di esso.
È necessario che sia così ed è importante che, all'interno della norma, vi sia anche la riforma organica per quanto riguarda i segretari comunali; su ciò sono assolutamente d'accordo. Ma c'è un grande tema (e mi rivolgo al Ministro e ai relatori): il ruolo delle scuole dei piccoli comuni. In tali sedi passa la nostra cultura, il dato più forte e importante. L'espropriazione e l'azzeramento del dato dell'istruzione dei piccoli comuni significa far venire meno la loro salvaguardia, ma significa anche depotenziare, nella vita quotidiana, le piccole comunità.
Vi sono, poi, temi e criticità che i comuni si vedono costretti ad affrontare nella fase di predisposizione dei bilanci e che ritengo non siano stati presi nella giusta considerazione. Infatti, se in questo provvedimento (il quale ha la volontà di mettere insieme una serie di elementi che si ritiene, a torto o a ragione, di dover affrontare immediatamente) vi fosse stata una risposta in ordine alle problematiche di carattere economico e sociale, molto probabilmente dentro questo provvedimento, sin da subito, gli enti locali si sarebbero in qualche modo anche riconosciuti.
Infatti, restano al momento senza soluzione anche i problemi legati al Patto di stabilità interno: credo che l'ANCI ve lo abbia segnalato più volte, chiedendo una revisione affinché vi fosse un allentamento dei vincoli, ormai insopportabili, per i comuni, soprattutto per quelli più virtuosi. Va sottolineato un aspetto: in questi anni si è prodotta una progressiva e costante riduzione dell'autonomia finanziaria degli enti locali; insistono ancora criticità sul fronte di alcune compensazioni, come nel caso dell'ICI o del reintegro del taglio di una serie di trasferimenti erariali.
Per quanto riguarda il patto di stabilità, oltre all'auspicabile riduzione dell'obiettivo assegnato ai comuni, l'ANCI ha chiesto (e credo che lo abbia anche notificato in qualche modo) lo sblocco limitato dell'utilizzo dei residui passivi, per consentire ai comuni di fare almeno qualche investimento importante e mirato all'interno delle proprie realtà.
Queste considerazioni ci fanno dire e ribadire, almeno da parte di chi vi parla e del gruppo dell'Italia dei Valori, che si è di fronte ad una «legislazione random», dove si cerca di cogliere degli obiettivi limitati all'ordinario senza garantire alcuna certezza in termini complessivi.
Penso che su questo tema, per il quale il Governo, ancora una volta, ha puntualmente riproposto una serie di norme che hanno a che fare solo con tagli e ridimensionamenti, Pag. 10togliendo sempre più potere e autonomia agli enti locali, una riflessione vada fatta a più voci e anche a più volti. Occorre riformare il nostro Paese ripartendo dai comuni; occorre una riforma non che metta insieme una serie di emendamenti, come si è fatto in questo caso, anche con il grande e importante contributo delle opposizioni, ma tale da fornire una risposta in termini organici ad una serie di problematiche che sono state poste dagli enti locali e, soprattutto, dai cittadini agli enti locali.
Siamo oggi di fronte ad una serie di provvedimenti vertenti sulla medesima materia, ma che recano, contestualmente, disposizioni tra loro in gran parte disomogenee e divergenti. Ritengo che sia da stigmatizzare il metodo utilizzato dal Governo che, per l'ennesima volta, si concretizza in una disciplina frammentata e in una procedura priva di un preliminare confronto con le autonomie locali, che io considero il sale delle cose, soprattutto per orientare le scelte e per non avanzare sempre ulteriori recriminazioni lungo il percorso successivo alle leggi approvate.
Tutto ciò evidenzia anche che sarebbe opportuno definire una disciplina organica e coerente della materia, trasferendo il contenuto del decreto-legge in esame nell'ambito del disegno di legge di riforma delle autonomie locali, il n. 3118, che già reca disposizioni analoghe. Si ricordi, in particolare, che nella legge finanziaria per il 2010, all'articolo 2, commi dal 183 al 186, è stata prevista una riduzione del contributo ordinario agli enti locali e, in relazione ad essa, una serie di misure per farvi fronte. Tra queste, in particolare è stata prevista una diminuzione del numero dei consiglieri comunali e degli assessori comunali e provinciali, nonché la soppressione del difensore civico, delle circoscrizioni comunali, del direttore generale e dei consorzi di funzione per enti locali.
Pochi giorni dopo l'approvazione della legge finanziaria è stato presentato alla Camera il disegno di legge n. 3118 di riforma delle autonomie locali che ho citato poc'anzi, che reca disposizioni in materia contrastanti con quelle testé richiamate della legge finanziaria per il 2010. Oggi, infine, si esamina un decreto-legge che interviene sulle medesime questioni con previsioni ancora differenti.
Sul merito del provvedimento si rileva come le disposizioni recate dai commi dal 183 al 186 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2010, che erano state accompagnate da una dichiarazione di particolare urgenza da parte della maggioranza, si siano poi rivelate incomplete e indeterminate, a dimostrazione della estemporaneità e della demagogia con cui troppo spesso si procede. Sarebbe, in ogni caso, necessario programmare in maniera organica le diminuzioni di spese da prevedere.
Inoltre, la riduzione del numero dei componenti degli organi di rappresentanza locale è stata una delle ragioni per cui si è deciso di ridurre l'entità dei trasferimenti in favore degli enti locali. Tuttavia, mentre la riduzione della spesa si applica ora al solo triennio di riferimento, il decremento del numero dei componenti dei suddetti organi costituisce una misura a carattere permanente. È quindi opportuno comprendere dal Governo come intenda procedere su questo punto.
Si rileva anche che il decreto-legge in esame stabilisce una riduzione delle risorse per il 2010 a prescindere dal decremento del numero dei componenti degli organi in questione, aggiungendo un'ulteriore riduzione per i comuni e le province in cui sono previste elezioni negli anni 2011 e 2012, dando luogo ad una evidente disparità di trattamento tra enti locali.
Si ritiene, in conclusione, che sul provvedimento in esame sarebbe stato opportuno valutare preliminarmente le interazioni esistenti con le altre disposizioni normative, a partire dal disegno di legge n. 3118, e consultare preventivamente gli enti locali. Ciò avrebbe consentito di intervenire in maniera più organica e corretta sotto il profilo giuridico, ponendo tutti nella condizione di svolgere approfondite riflessioni.
In conclusione, credo che non si possa non essere d'accordo sul tema dei tagli e della ottimizzazione delle risorse, ma Pag. 11chiedo che essi abbiano un senso e un respiro politico, economico e istituzionale teso a valorizzare e non a deprimere le istituzioni territoriali, a partire dai comuni e soprattutto da quelli più piccoli.
Manca - ed è del tutto evidente - un provvedimento organico e il tutto viene rinviato, come dicevo, all'attuazione del federalismo fiscale, quasi che questa fosse la panacea di tutti i mali.
Comunque, ho la convinzione che questo possa essere un momento attraverso cui sviluppare grandi iniziative, di concerto con tutta l'Assemblea e con tutti i partiti, a prescindere dalla loro rappresentanze e dalle loro posizioni. Mi auguro che in questo caso e in questa sede il Ministro Calderoli voglia spiegare finalmente un aspetto importante relativo al rapporto con le istituzioni locali. Mi chiedo se il Ministro Calderoli intenda finalmente dare una risposta alla presenza delle province nella nostra realtà e se ritenga che queste abbiano ancora, politicamente, istituzionalmente e, soprattutto, economicamente, un ruolo in questa nostra Italia che cerchiamo di modernizzare o se abbiano fatto il tempo loro e se non debbano essere riproposte ulteriormente nel futuro.
Credo che a partire da questo strumento, in cui riteniamo vi siano luci ed ombre, dovremmo cogliere un insegnamento: dobbiamo chiederci, infatti, se intendiamo porre delle basi importanti - come lei sostiene da rinviare in attesa del federalismo fiscale - e se si vogliono porre dei paletti e prendere degli impegni importanti su alcuni temi che hanno contraddistinto la vostra mission e la vostra vocazione. Su questi temi credo che, dal punto di vista culturale e politico, la gran parte di noi sia d'accordo. Ritengo che insieme si possa modernizzare finalmente l'Italia, cercando di non fare finta di nulla. Forse si può anche cominciare a dire che nella collegialità delle responsabilità parlamentari si può finalmente cogliere un impegno complessivo e un obiettivo importante in questa Italia.
Infine, per quanto riguarda i numeri, credo che se si procederà con coraggio verso la soppressione delle province avremo fatto un grandissimo lavoro, utile e funzionale soprattutto agli assetti democratici e istituzionali. Inoltre, daremo un colpo importante alla volontà di modernizzare l'Italia, agganciandola sempre di più all'Europa e, soprattutto, facendo capire ai cittadini che siamo in linea e in sintonia con loro. Dovremo far capire che molto probabilmente abbiamo bisogno di snellire l'ordinamento degli organismi presenti sul territorio perché solo così saremo in grado di dare risposte finalmente compiute e che abbiano un valore di innovazione e di modernizzazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marsilio. Ne ha facoltà.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, con questo decreto-legge il Governo e la maggioranza intendono intervenire per garantire un assetto organizzativo delle amministrazioni più efficace. Inoltre, si mira al contenimento delle spese nelle amministrazioni regionali e locali, introducendo anche delle misure coraggiose di contenimento della spesa pubblica ma soprattutto di contenimento di quelli che sono percepiti dai cittadini, ormai da tempo, come organi spesso pletorici e che appesantiscono la pubblica amministrazione e il suo carico. Mi riferisco, in particolare, agli organi politici delle istituzioni che poi gravano sulla loro funzionalità e, soprattutto, sui loro costi.
È la prima volta che un Governo si presenta al Parlamento con una proposta organica di riduzione del numero dei componenti dei consigli comunali e provinciali e con una proposta chiara anche nei riguardi delle regioni che fino ad oggi sono rimaste sempre troppo immuni da questi provvedimenti. Esse, infatti, si ritengono, almeno su questo aspetto, una sorta di repubbliche indipendenti rispetto alle quali lo Stato non riesce nemmeno a formulare degli indirizzi.
Siamo, quindi, in presenza di una prima misura che il Ministro Calderoli aveva già proposto senza efficacia in un precedente provvedimento per intervenire Pag. 12anche nelle regioni e nei consigli regionali. Quella prima iniziativa era stata respinta per problemi di costituzionalità o di dubbia costituzionalità. Oggi questa misura viene ripresentata con i dovuti accorgimenti, fornendo delle indicazioni di cornice a cui penso e spero - visto che siamo anche nel pieno di una campagna elettorale per le elezioni regionali - che tutti i prossimi futuri presidenti, che verranno eletti nelle varie regioni, vorranno impegnarsi per il rispetto rigoroso di un provvedimento che ci accingiamo ad approvare, che è già in vigore - poiché si tratta di un decreto-legge - e che impone ai consigli regionali di intervenire sugli emolumenti spettanti ai loro membri, perché la loro entità non superi, comunque, quella - che pensiamo sia assolutamente congrua - dei parlamentari nazionali.
Infatti, oggi siamo alla situazione paradossale nella quale vi sono molti consiglieri regionali che tra indennità, diaria, rimborsi, rimborsi spese e altri benefit di vario tipo, per non parlare del trattamento previdenziale, hanno trattamenti molto più onerosi per le casse pubbliche dei deputati o dei senatori. Pensiamo che sia stato giusto, corretto e sintomo di una volontà di trasparenza e di contenimento dei costi e di un nuovo patto civile tra la classe politica, le istituzioni e i cittadini aver voluto insistere su questo tema e riproporre questo argomento.
Lo ripeto, è un fatto che appartiene alla storia del centrodestra e di questa maggioranza quello di proporre al Parlamento norme che producano la diminuzione del numero complessivo dei componenti. Si parte con questo provvedimento dai comuni, dalle province, dalle giunte comunali e provinciali. Ricordo che nel passato un'ancora più coraggiosa proposta in questo campo era stata sostenuta con un disegno di legge di modifica della Costituzione addirittura per la Camera e il Senato. Continua a far parte del programma di Governo questo obiettivo di riduzione del numero complessivo dei parlamentari per rispondere ad una esigenza molto sentita da parte della popolazione e ad un reale e vero obiettivo di contenimento dei costi.
In relazione a questo, i tagli che vengono annunciati nei trasferimenti erariali verso i comuni sono tutti coperti principalmente da questo tipo di misure: la riduzione del numero dei componenti dei consigli, delle giunte, l'abolizione di alcune figure e qui, anche con buonsenso, il Governo ha accolto anche nel lavoro di Commissione la proposta di estrapolare da questa misura i grandi comuni e le grandi metropoli italiane. Si tratta di poche città che si contano sulle dita di una mano. Sto parlando delle città sopra i 250 mila abitanti, per le quali rimangono alcune figure, a cominciare dalle circoscrizioni di decentramento amministrativo, che, in una prima versione di questa norma inserita nella legge finanziaria e anche presente nel decreto-legge, in maniera un po' draconiana vi era la volontà di eliminare.
Per l'Assemblea e a futura memoria, sottolineo un aspetto, qualora si volesse mai tornare su questo argomento, con riferimento almeno alla realtà dalla quale provengo e che conosco meglio, ma credo che non sia molto diverso anche per Milano, Napoli, Torino, città che hanno o superano 1-2 milioni di abitanti. La città di Roma ha delle circoscrizioni, oggi denominate municipi all'interno dello statuto comunale, che hanno una estensione territoriale pari a quella di intere province. Penso a Ostia, XIII municipio, grande come la provincia di Mantova, e anche con qualche abitante in più. È difficile pensare che un comune possa governare 19 realtà simili (anche le altre hanno situazioni simili, il XX municipio è grande come tutta Milano, anche se non ha gli stessi abitanti, ma l'estensione del territorio è pari a tutto il comune di Milano). Quindi, è del tutto evidente che grandi metropoli come Roma, Milano, Napoli e Palermo hanno delle necessità di organizzazione e credo che la valorizzazione di queste realtà decentrate di governo territoriale sposi pienamente anche i principi del Pag. 13federalismo e del federalismo locale che noi stiamo perseguendo con l'azione di questo Governo.
Quindi, ritengo che sia stata una grande ulteriore dimostrazione di buonsenso, di ragionevolezza e di apertura al confronto da parte del Governo aver accolto in Commissione la misura che limita ai comuni inferiori ai 250 mila abitanti la totale abolizione delle circoscrizioni amministrative con i relativi organi, magari anche con le difficoltà e l'appesantimento burocratico nell'azione amministrativa, e dei difensori civici, ricondotti all'azione del difensore civico della provincia e non più di ogni singolo microcomune. Per quanto riguarda i direttori generali dei piccoli comuni, non si capisce cosa debbano fare di diverso e di più rispetto ai direttori del dipartimento o al segretario generale del comune.
Quindi vi è una serie di misure che da questo punto di vista semplificano l'azione dei comuni e soprattutto ne contengono i costi.
Tra le misure che vengono indicate c'è da aggiungere la questione che è rimasta ancora in piedi e sulla quale all'interno dell'associazione dei comuni italiani c'è un dibattito ancora aperto. È bene che la maggioranza e il Governo si confrontino su questo tema: quello del patto di stabilità. Soprattutto in un periodo di crisi economica noi siamo schiacciati, da un lato, dalla pressione del rigore di bilancio che tende, per ovvie e comprensibili ragioni, a far tenere un occhio molto attento e vigile su qualunque forma di spesa, soprattutto se aggiuntiva, che possano fare le pubbliche amministrazioni; dall'altro lato, sappiamo che, laddove le risorse ci sono, tenerle ferme o accantonate significa anche bloccare lo sviluppo e la crescita di un territorio e magari impedire l'innesco di un processo virtuoso, di un volano economico che può agevolare la fuoriuscita da una situazione di crisi.
Nei comuni, in particolare, il comparto degli investimenti (nel 90 per cento dei casi parliamo di opere pubbliche e di lavori pubblici) può produrre - in presenza beninteso di parametri positivi rispetto al debito e alla conduzione di bilancio dell'amministrazione comunale in oggetto - effetti molto positivi sull'economia locale e sul rilancio, attraverso gli investimenti, dell'economia, delle imprese, del lavoro e della dinamica occupazionale. Noi pensiamo che occorra affrontare con meno rigidità la questione del patto di stabilità, soprattutto quando parliamo di investimenti e non di spesa corrente, che quasi sempre rischia di essere improduttiva con soldi che escono senza produrre un incremento di patrimonio per l'amministrazione né investimenti che generano altra economia e quindi muovono anche la classifica, come si direbbe in gergo sportivo, facendo in tal modo crescere complessivamente il Paese.
Quanto al resto c'è una vicenda molto importante in questo decreto, per la quale personalmente ringrazio tanti altri colleghi deputati per il lavoro che insieme abbiamo svolto, e riguarda Roma capitale. Questo decreto già conteneva alcune norme che specificavano meglio, rispetto a quanto era stato indicato nella legge finanziaria, quale dovesse essere la precisa destinazione dei fondi che vengono destinati alla capitale attraverso il conferimento dei fondi immobiliari dei beni patrimoniali della difesa. In realtà c'è da completare questo percorso che abbiamo aperto all'inizio della legislatura, con riferimento alle condizioni disastrose di bilancio ereditate dalla nuova amministrazione nella capitale della Repubblica.
Pensiamo che da questo punto di vista si debba fare uno sforzo per definire alcuni punti una volta per tutte, senza doverci tornare ed evitando che questo divenga oggetto di un dibattito a volte anche strumentale, ma che sicuramente provoca tensioni politiche, sociali e territoriali. La versione che è stata approvata con l'emendamento dei relatori (che ringrazio perché hanno saputo cogliere l'importanza del tema e, quindi, lo hanno sottoposto all'attenzione dell'Aula ottenendo il parere favorevole del Governo) ha intanto sciolto un nodo, quello della separazione tra le due gestioni: la gestione straordinaria, che riguarda il debito pregresso, Pag. 14e la gestione ordinaria. Senza questa separazione, senza indicare con chiarezza quale fosse il debitore ultimo rispetto al debito pregresso noi oggi saremmo (e siamo) nella situazione paradossale che ci è stata descritta dall'amministrazione comunale di Roma, che con il bilancio ordinario attuale sta continuando a pagare i fornitori e i creditori relativi al debito precedente accumulato.
Questo crea uno «sbilancio» di cassa, che è l'antefatto che porta al dissesto: quando un soggetto deve pagare i debiti del passato con la cassa corrente e non ha un reintegro certo e garantito nel tempo di questi fondi, e quindi non può nemmeno cautelarsi rispetto ad istituti di credito, piuttosto che alla Cassa depositi e prestiti, per reggere questa architettura del debito, naturalmente la struttura poi cade. Arriva il momento in cui magari una causa in più persa in tribunale o una scadenza di credito molto importante e pesante associata ad una momentanea mancanza di fluidità, di liquidità in cassa, può provocare un disastro ed è quello che si rischia.
Quindi, la norma attuale ha sciolto, e scioglie, questo nodo: oggi viene detto con chiarezza che c'è un debito pregresso che appartiene ad una gestione straordinaria che verrà affidata ad un commissario che non è il sindaco. Non è giusto, infatti, che sia il sindaco attuale ad occuparsi di questo; un commissario deve essere un soggetto terzo che si occupa del passato, mentre il sindaco si occupa del presente e del futuro di una città, soprattutto quando non ha responsabilità per ciò che è accaduto nelle precedenti amministrazioni.
Ciononostante, vi è ancora da sciogliere un nodo e spero che ci siano ancora il tempo e la possibilità da parte del Governo di inserire un aspetto ulteriore in queste norme che consenta alla capitale di uscire da una situazione di incertezza rispetto al futuro e rispetto alla copertura pluriennale del debito, che stiamo prevedendo limitatamente, anno per anno, e ciò, lo ripeto, non consente di definire compiutamente un processo di fuoriuscita dalla situazione emergenziale.
Quando domani o dopodomani ci ritroveremo in Aula per l'esame degli emendamenti, naturalmente potrà esserci di nuovo l'occasione di affrontare questo tema; se sarà necessario lo affronteremo, ma io spero e sono convinto che con la stessa ragionevolezza, lo stesso buonsenso, spirito di collaborazione, e soprattutto con la stessa volontà fattiva di risolvere i problemi che ci ha contraddistinto, che contraddistingue il Governo e la maggioranza, in questa come nelle precedenti occasioni, sapremo trovare anche una misura opportuna e adeguata per risolvere questo problema e procedere anche qui sulla strada del risanamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, relatori, rappresentanti del Governo, questo decreto-legge contiene due grandi parti: una ordinamentale ed una finanziaria. Concentrandomi innanzitutto sulla parte ordinamentale, lasciatemi ricordare che negli ultimi mesi il Governo ha affrontato la questione dell'ordinamento degli enti locali in quattro diversi modi: con alcune norme della legge finanziaria; con altre disposizioni, quelle complessive, contenute nella proposta sulla Carta delle autonomie; con altre norme previste nella versione iniziale di questo provvedimento urgente, ed altre ancora nella sua versione finale perché, come è stato detto prima, in sede referente è stato svolto un lavoro correttivo importante sulla versione iniziale. Quindi, nell'arco di pochi mesi vi sono stati quattro diversi pacchetti di intervento che spesso si sono sovrapposti fra di loro, che sono andati a strappi, a singhiozzo, qualche volta in modo davvero schizofrenico.
Noi dell'opposizione abbiamo la netta sensazione che in alcuni di questi passaggi il Governo abbia pensato solo all'impatto comunicativo dei suoi provvedimenti, usando in modo distorto il circuito politica-informazione. Si va sui giornali con la notizia di decine di migliaia di consiglieri comunali in meno, ma senza mai dimostrare Pag. 15davvero la volontà di affrontare i problemi di fondo, che pure ci sono, ma che vanno affrontati con serietà e con metodo.
È stato un po' così anche in tutta la prima fase di discussione sul federalismo fiscale.
Si faceva credere che la legge sul federalismo fiscale avrebbe avuto un impatto redistributivo sui territori e avrebbe attribuito più risorse al nord e meno risorse al sud. Alla fine, quando si è affrontato seriamente il tema del federalismo, tutti si sono accorti che questa legge non avrà questo tipo di impatto perché è di tipo allocativo. Con il federalismo fiscale, infatti, tutti dovranno spendere bene e dappertutto le risorse pubbliche comunque esse siano ottenute (compartecipazioni, tributi propri o perequazione). Il fatto che alcune regioni del nord abbiano una maggiore capacità di autofinanziamento dei loro servizi di prossimità sul territorio non esclude dal dovere di rimanere entro i costi standard. Infatti, vendere servizi a costi efficienti e costi standard non dipende dalla modalità di finanziamento, ma dall'efficienza di erogazione.
In sede di discussione della legge n. 42 del 2009, il Partito Democratico disse che non si poteva approvare tale provvedimento senza porre in essere contemporaneamente il codice delle autonomie. Adesso il Governo, pur in ritardo, ha presentato una proposta di codice delle autonomie; la nostra proposta è molto semplice: concentriamoci su quella, non inseguiamo provvedimenti spot, spesso utili solo alla propaganda, anzi portatori di uno spirito neocentralistico contrario a quello della riforma costituzionale del 2001. Non cavalchiamo l'ondata populistica e demagogica contro la politica, mettendola tutta a carico degli enti locali. Non vi è dubbio che bisogna razionalizzare e ridurre i costi di autoamministrazione e quelli degli apparati di indirizzo politico degli enti locali e regionali. Tuttavia, signori del Governo e della maggioranza, i recenti eventi sulla Protezione civile mostrano in modo lampante che sprechi e corruzione possono ben annidarsi anche negli organismi centrali e nazionali. Quindi, cavalcare un'ondata, tutta contro gli enti locali, ci sembra andare contro lo spirito della riforma del 2001, ovvero la manifestazione di uno spirito davvero neocentralistico.
Se esaminiamo i dati aggregati, ci accorgiamo che, anche nel deterioramento ciclico della finanza pubblica, non sono le amministrazioni locali le principali responsabili, anzi queste riportano in alto l'asticella di indebitamento netto che, invece, è portata in basso soprattutto dalle amministrazioni centrali anche per motivi strutturali. Questi dati ci dicono che i consumi intermedi delle amministrazioni centrali continuano a correre, quindi, al di là dei fatti di cronaca più recenti, emerge che bisogna lottare con tutti i mezzi contro sprechi e corruzione. Tuttavia, questa è una lotta che non va delimitata ai soli comuni, province e regioni, ma è una lotta che deve comprendere appieno tutte le amministrazioni centrali. Al contrario, il Governo e la maggioranza fanno molta propaganda sugli enti locali in modo neocentralistico e si dimenticano troppo spesso lo Stato. Se si vuole davvero razionalizzare e risparmiare, la strada maestra è fatta solo da quattro corsie che stanno nel combinato disposto della legge n. 42 e del codice delle autonomie. Prima di tutto i costi standard ed è grave e colpevole il ritardo nell'attuazione della legge n. 42, in quanto ancora aspettiamo i primi decreti attuativi e la piena entrata in funzione della Commissione bicamerale. In secondo luogo, bisogna stabilire chi fa cosa nel sistema multilivello della Repubblica, superando duplicazioni, specializzando ciascun ente sulle funzioni che può esercitare con maggiore efficienza ed efficacia, riducendo al minimo le gestioni dirette da parte delle regioni e le gestioni separate e parallele. In terzo luogo, esercizio delle funzioni in forma associata per i comuni, anche con elementi di obbligatorietà; in quarto luogo, una vera e nuova etica pubblica.
Non credo che una nuova etica pubblica possa derivare solo da norme penali o da norme di ingegneria giuridico-amministrativa: questa non può Pag. 16che nascere da un rinnovamento profondo della politica. Negli ultimi anni vedo una grave responsabilità del centrodestra per aver liberato pubblicamente comportamenti scarsamente etici e anche la mia parte politica, il centrosinistra, deve riconoscere sottovalutazioni in merito. È, quindi, ora che tutti assumano la questione etica come questione fondante per la ricostruzione del rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini, al di là di facili propagande e di facili provvedimenti demagogici.
Sono d'accordo, per quanto riguarda l'adeguamento dei compensi dei consiglieri regionali, con quanto affermato dall'onorevole Marsilio prima di me, anche con riferimento ai candidati presidenti del centrosinistra, che hanno tutti assunto quell'impegno, ma mi domando e vi domando se non si sarebbe potuto e non potremmo fare di meglio rispetto alla norma inserita in questo decreto-legge. Questa norma prevede un tetto massimo per tutti, uguale agli stipendi dei parlamentari, ma, dato che vi sono differenze demografiche e di bilancio molto rilevanti fra le regioni (non sono la stessa cosa la Lombardia e il Lazio o il Molise e la Basilicata), non potremmo fare di meglio, dicendo che quello è un tetto massimo, ma all'interno di quel tetto valgono parametri da riportare alla dimensione della popolazione e dei bilanci? Insomma, ritengo che, anche sull'ordinamento, resti confusione in questo decreto-legge, nonostante le modifiche apportate in Commissione. Le confusioni principali si rinvengono in tre esempi. Il primo è relativo alla soppressione del direttore generale: vi è ancora una discrasia tra il limite demografico contenuto in questo decreto-legge e quello previsto nell'atto Camera 3118 (Codice delle autonomie). Vi è incertezza su chi comanda all'interno delle macrostrutture comunali: comanda il direttore generale o il segretario generale? Perché restano i direttori generali nelle province, che in genere hanno bilanci più piccoli di quelli di tanti comuni? Poi vi è la questione del difensore civico, un organo provinciale che controlla il comune: pensiamo almeno a correggere le modalità di nomina del nuovo difensore civico territoriale. Infine, vi è la questione delle ATO: non la vorrei affrontare in questa sede, ma non si può trattare in modo demagogico. Le funzioni dei comuni in materia di servizi pubblici locali sono ampie e devono essere esercitate in forma associata per ottenere economie di scala. Occorre riflettere sul nesso tra comuni e province: la questione delle ATO non può essere affrontata in modo demagogico, ma sciogliendo il tema del rapporto tra comuni e province. Se attribuiamo alle province le funzioni in materia di servizi pubblici locali - in fondo credo sia l'obiettivo dei presentatori di questo emendamento - stiamo di fatto espropriando i comuni. Quindi, dobbiamo capire come raggiungere un equilibrio sostenibile tra comuni e province nel nostro territorio nazionale nella gestione associata dei servizi pubblici locali. Concludo sulla parte ordinamentale, ribadendo che questo testo richiede un'urgente riapertura della discussione sul Codice delle autonomie e chiedo che questa discussione venga fatta con la piena partecipazione dell'intera Conferenza unificata, perché, a differenza di quanto ha detto il Ministro Calderoli in Commissione, il parere della Conferenza unificata sulla Carta delle autonomie ancora non è stato dato.
Passiamo alla questione finanziaria: ho già detto che i comuni e le province sono gli unici che stanno contribuendo al risanamento della finanza pubblica. Nel 2008 hanno ridotto il loro indebitamento netto di 1,2 miliardi di euro, nel 2009 di ulteriori 300 milioni. La questione finanziaria per comuni e province sta diventando drammatica e questo non è bene dentro la crisi, perché - questo è il punto politico che voglio trasmettervi - i comuni potrebbero essere le sentinelle più sensibili di una vera politica anticrisi in questo Paese, tramite, da un lato, i loro investimenti di piccola entità e di immediata fattibilità, a partire dalle manutenzioni straordinarie (verde, scuola, periferie e beni culturali), e, dall'altro, tramite gli interventi di ultima istanza sulle sofferenze sociali, comprese forme di reddito di ultima istanza, che Pag. 17possono essere gestite in modo efficiente, senza disperderle in modo assistenzialistico, solo se monitorate dagli uffici di assistenza sociale dei comuni.
Si vede bene allora lo sbaglio che il Governo e la maggioranza hanno fatto sull'ICI. Adesso stiamo rincorrendo aumenti della spesa statale per rimborsare la mancata ICI ai Comuni: i trasferimenti ordinari ai comuni sono aumentati da 4,7 miliardi nel 2008 a 8 miliardi nel 2009 per contenere la spesa corrente incomprimibile dei comuni. Così i tagli si stanno tutti abbattendo sulla spesa per investimenti, diminuita del 4,2 per cento nel 2008.
Ancora non abbiamo i consuntivi del 2009, ma basti pensare che i contributi statali agli investimenti a comuni e province si sono ridotti da 3,3 miliardi nel 2008 a 1,7 nell'assestato per il 2009 e a 1,5 nel bilancio per il 2010.
Vanno bene allora alcuni correttivi apportati in Commissione (come le misure relative ai piccoli comuni, alle operazioni straordinarie, ad alcune rimodulazioni del patto di stabilità per taluni comuni virtuosi, ai dividendi, alla montagna, alle categorie D, all'esclusione dai fondi europei), così come va bene anche la modifica del Patto di stabilità per le regioni, che è poi il frutto di un emendamento presentato dal Partito Democratico e recepito dal maxiemendamento dei relatori.
Con la modifica del Patto di stabilità per le regioni verranno infatti liberate risorse per il pagamento dei fornitori delle regioni sia nel comparto sanitario sia in quello non sanitario; si tratta di diverse centinaia di milioni di euro che si libereranno a partire da giugno sotto il monitoraggio del Ministero dell'economia e delle finanze, e che saranno ossigeno per le imprese fornitrici della pubblica amministrazione.
Altre modifiche non vanno però bene, come ad esempio quanto previsto con riferimento al comune di L'Aquila, il quale vive una crisi particolare dovuta anche al terremoto (e su questo dovremo perderci ancora un po' di tempo), né va bene la modifica relativa alla città di Roma, su cui tornerò in seguito.
Con questo decreto-legge non è stato comunque risolto il problema di fondo: vogliamo o non vogliamo utilizzare la finanza comunale in senso anticiclico, lungo le direttrici che prima ricordavo? A ciò non bastano i grandi eventi: escludere i grandi eventi dal Patto di stabilità non risolve il tema della possibile funzione anticrisi della finanza comunale, anche perché non viene affrontata la sostenibilità delle regole del Patto di stabilità.
Su tale aspetto bisognerà ritornarci, ci vorranno nuovi provvedimenti, ma questo non è un modo buono di legiferare, soprattutto in tempo di crisi. Noi parlamentari abbiamo tutti appena ricevuto - a dimostrazione di ciò - una lettera del presidente dell'ANCI che ci ricorda che esistono ancora quattro questioni aperte (l'ICI del 2008, le compensazioni per gli immobili di categoria D, la questione della TARSU e della TIA, la questione dello sblocco dei residui passivi).
Signor Presidente, concludo il mio intervento affrontando la questione di Roma: lo faccio con qualche difficoltà e facendomi qualche violenza perché voglio assumere, nel parlare della questione del comune di Roma, una visione istituzionale e non politica.
Sarebbe facile per noi politicamente dire oggi: vedete, avevamo visto bene noi, l'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008 non funziona, quel piano di rientro non funziona!
Certo non funziona perché non sono stati mai erogati i soldi necessari a farlo funzionare in quello schema (e questa è un'inadempienza del Governo nei confronti del comune e del commissario straordinario), ma comunque non funzionavano la logica e le motivazioni di quel piano. Se volessimo buttarla in politica sarebbe facile per noi dire: ma vi ricordate i manifesti che hanno ricoperto qualche mese fa Roma con la questione dei 600 milioni? Siamo invece ancora a zero!
Riteniamo inoltre che anche quest'ultimo emendamento che è stato inserito nel testo del decreto-legge ulteriormente non funziona e non risolverà il problema del bilancio del comune di Roma. Due anni fa Pag. 18eravamo contrari perché ritenevamo non solo che il comune di Roma non fosse in dissesto (come oggi voi ammettete, dicendo che due anni fa non era in dissesto, mentre oggi potrebbe esserlo se la gestione straordinaria aggredisce quella ordinaria), ma anche che avesse problemi di finanza strutturale che devono essere risolti con un contributo per i servizi e gli investimenti della città nel quadro della legge per Roma capitale e non con un contributo di tipo straordinario.
Ma non useremo qui tutti questi argomenti, ne discuteremo piuttosto in altre sedi. Dal punto di vista istituzionale, oggi vale il fatto che un Paese non si può permettere una città capitale in uno stato così forte e perdurante di difficoltà finanziaria (lo ha detto il Ministro Tremonti due anni fa e lo ripeto qua oggi): la questione di Roma è una questione nazionale, non locale.
Da questo punto di vista, fatemi dire che ritengo che la stessa concezione di quel piano di rientro dentro cui si colloca ancora il provvedimento al nostro esame, cioè la separazione della gestione straordinaria da quella ordinaria, è all'origine di questo errore.
Non voglio discutere su come sia stata perimetrata la gestione straordinaria, ma è ovvio che quando vi è la possibilità di perimetrare una gestione straordinaria in modo abbastanza discrezionale si cerca di mettere tutto dentro la gestione straordinaria.
Richiamo un solo caso: se prendete le entrate e le spese ordinarie del bilancio del comune del 2008, vedrete che alla gestione straordinaria sono state accollate tutte le spese correnti dei primi quattro mesi dell'anno, mentre la gestione ordinaria prendeva tutti i 12 mesi delle entrate correnti del comune. Per quanto riguarda il bilancio del 2008 del comune di Roma: la spesa straordinaria si è presa praticamente quattro mesi di spese comunali, senza prendersi quattro mesi di entrate. Oggi, con questo emendamento si compie un nuovo errore, si realizza l'ulteriore separazione tra gestione straordinaria e ordinaria, la separazione fra patrimonio dell'ente e piano di rientro e, soprattutto, la sospensione delle delegazioni di pagamento. Voglio invitare tutti ad una riflessione: le delegazioni di pagamento sono lo strumento tecnico-giuridico tramite cui chi compra un titolo pubblico (in questo caso parliamo di un bond trentacinquennale emesso dal comune di Roma che serve a finanziare, fra l'altro, le metropolitane oggi in costruzione) riduce il rischio di insolvenza del debitore pubblico. La Repubblica italiana, oggi, ritiene utile e sensato introdurre una normativa grazie alla quale, ex post, si potrebbe dire che alcune delegazioni di pagamento rilasciate in passato vengono cancellate? Ci rendiamo conto del segnale negativo che questo potrebbe dare. Su questo rivolgo un pressante appello. A parte la necessità di tornare sulle ragioni strutturali del deficit del comune di Roma come la questione del trasporto pubblico, del contenzioso urbanistico (l'onorevole Marsilio ne ha sottolineato alcuni aspetti poco fa), della crisi finanziaria della regione Lazio (la goccia che ha fatto traboccare il vaso della crisi sono stati i mancati pagamenti, per oltre due anni, della regione Lazio a sua volta in crisi con il bilancio sanitario), e a parte il fatto che il debito comunale per abitante a Roma è inferiore a quello di Milano e di Torino, non è assolutamente sensato che il comune di Roma, sia nella gestione straordinaria, sia in quella ordinaria, dica ad esempio: voglio continuare a costruire la metropolitana, ma contemporaneamente blocco in qualche modo la possibilità di pagare i mutui grazie ai quali i cantieri della metropolitana sono stati aperti. Credo che questa non sia una strada possibile, forse è una strada che si può prendere qualche settimana, ma la strada dovrebbe essere diversa.
In prospettiva, vi è la normativa su Roma capitale (l'abbiamo approvata in Aula all'unanimità), ma nell'immediato, come ponte verso Roma capitale, dovremmo prevedere un vero piano di rientro come quelli che si realizzano nei confronti delle regioni che «deviano» rispetto alla questione della sanità. In un nostro emendamento che sottoporremo all'Aula, Pag. 19vi proponiamo di riorganizzare il piano di rientro del comune di Roma, applicando esattamente la normativa che si applica per i piani di rientro sanitari delle regioni. Questo è stato l'errore di due anni fa: non si poteva usare la norma del dissesto; allora, si è inventata una norma che oggi non funziona. Perché non riflettiamo sulla possibilità di applicare un apparato normativo che esiste nel nostro ordinamento e che, peraltro, sta anche funzionando bene sia nella gestione dei governi di centrosinistra sia nella gestione di quelli di centrodestra, ovvero l'apparato dei piani di rientro sanitari? Si realizzerebbe una cogestione Stato-comune, un monitoraggio dei fondi da parte di adeguate commissioni tecniche, con la partecipazione anche della Conferenza unificata, così come avviene nelle regioni. Anche perché, lo dico alle colleghe e ai colleghi rappresentanti di Roma, nel momento in cui Roma chiede dei soldi, un aiuto allo Stato, quindi a tutti gli altri, deve anche essere disponibile a mettere sul tavolo un monitoraggio condiviso di come quei soldi sono spesi. Vi proponiamo, quindi, di riflettere su questo aspetto. Forse con questo emendamento il comune si prende qualche settimana di tempo, ma il problema non sarebbe ancora risolto. Il problema è nazionale, non locale. In Commissione, alcuni deputati eletti a Roma hanno espresso voto favorevole su quell'emendamento per evidenziare la disponibilità a collaborare e a risolvere il problema. Preannuncio subito che in Aula voteremo contro l'articolo 4; cercheremo di convincervi, innanzitutto, ad eliminare il blocco delle delegazioni di pagamento, e in secondo luogo cercheremo di ragionare e discutere la nostra proposta di rimettere il piano di rientro del comune di Roma nella carreggiata definita dai piani di rientro delle sanità regionali.
Noi speriamo, così, di dare un contributo che possa aiutare tutti a guardare con lucidità ad un problema che non è più locale ma nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pastore. Ne ha facoltà.

MARIA PIERA PASTORE. Signora Presidente, stiamo discutendo di un decreto-legge recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, urgenti in quanto il provvedimento interviene su commi da 183 a 187 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2010, e, visto l'avvicinarsi delle elezioni amministrative che si svolgeranno il 28 e 29 marzo prossimi, è necessario dare certezza agli enti che andranno ad elezione, sia per quanto riguarda la parte cosiddetta ordinamentale, sia per quanto riguarda le disposizioni relative alla formazione del bilancio di previsione 2010. Si tratta di disposizioni che hanno per oggetto la funzionalità degli enti locali e il contenimento della spesa pubblica all'insegna del coordinamento della finanza pubblica. Questo decreto-legge si inserisce in quel più ampio quadro di riforme, che in parte sono state già prodotte da questo Parlamento con l'approvazione proprio del federalismo fiscale, che costituiscono l'obiettivo primario di questa maggioranza e di questo Governo. Mi riferisco al cambiamento dello Stato in senso federale che si accompagna ad una futura riforma costituzionale, rispetto alla quale ricordo come già in altri tempi l'attuale maggioranza avesse provveduto con una legge approvata dal Parlamento dopo quattro passaggi, legge poi bocciata da un referendum. Si tratta di un obiettivo più ampio sul quale si inserisce anche una riforma relativa a tutta la parte ordinamentale delle autonomie locali.
Questo decreto-legge pone degli obiettivi e dei principi; anzitutto vi è quello della semplificazione (non per nulla viene presentato dal nostro Ministro Calderoli) che si manifesta ad esempio con la soppressione dei circondari nelle province. Si tratta, di fatto, di un istituto poco usato che complica e appesantisce il momento di confronto che può attuarsi tra province ed enti come i comuni che ne fanno parte. La semplificazione riguarda anche la figura del difensore civico che viene soppressa per quanto riguarda i comuni, e mantenuta Pag. 20a livello provinciale con la possibilità che i comuni attraverso una convenzione facciano riferimento al difensore civico stesso, che diventerà il difensore civico territoriale. Figura questa che nel corso degli anni, pur se deputata a garantire il funzionamento e l'imparzialità dell'amministrazione, non ha avuto quei grandi risultati che ci si aspettava, anche perché di fatto poi nella pratica il difensore civico si limita a chiedere all'ente di rivedere l'atto adottato, ma non può in alcun modo modificarlo. La semplificazione poi riguarda le circoscrizioni comunali. Sulle circoscrizioni nel corso degli anni si è intervenuti con vari provvedimenti anche per eliminare una prassi che in certe aree si era consolidata, che consentiva ai presidenti delle circoscrizioni o ai consiglieri delle stesse circoscrizioni di percepire delle indennità estremamente elevate a fronte di una attività che forse poteva essere indirizzata ad altri obiettivi. Un altro dei principi su cui si basa questo decreto-legge è appunto la riduzione della spesa, in particolare per quanto riguarda gli enti locali.
Per questo motivo si interviene sulla figura del direttore generale, consentendolo soltanto nei comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti. Tali direttori generali spesso vengono preferiti dagli amministratori locali perché permettono una gestione più snella e più veloce della macchina dell'ente. La figura del direttore generale dovrebbe coordinarsi meglio anche con quella del segretario comunale e provinciale per evitare sovrapposizioni e magari per individuare veramente una persona di riferimento per l'amministrazione.
La riduzione delle spese riguarda inoltre i consiglieri e gli assessori provinciali e, a tale proposito, vorrei rimarcare come questa riduzione non andrà a penalizzare in alcun modo la partecipazione democratica degli elettori, anzi in qualche modo andrà a semplificare la funzionalità dell'ente, soprattutto quando pensiamo che nel nostro Paese vi sono più di 8 mila comuni spesso piccolissimi in cui di frequente si incontrano difficoltà nel predisporre le liste per le elezioni e nel trovare candidati che abbiano la voglia e l'opportunità di mettersi in gioco per il bene del proprio territorio.
La riduzione della spesa riguarda anche le comunità montane. Per queste ultime cessano i finanziamenti dello Stato anche se non cessano in qualche modo i finanziamenti diretti ai comuni facenti parte delle comunità montane. Di fatto la tutela della montagna e dei comuni montani è svincolata dall'ente comunità montana e, rispetto ai vari provvedimenti, mi sembra di poter affermare che rimane una delle priorità che si inseriscono nella linea della tutela e della difesa del proprio territorio per lo più disagiato.
Un altro degli obiettivi contenuti nel decreto-legge in esame, a mio parere, è dato dal fatto di riportare agli organi elettivi le competenze e le funzioni che loro competono. D'altra parte questa è una richiesta che da tempo arriva dalle associazioni degli enti locali, ad esempio ANCI ed UPI che molto spesso hanno chiesto proprio al legislatore di eliminare tutti gli organi intermedi tra gli enti riconosciuti dall'articolo 114 della Costituzione, tra comuni e provincia, per riportare all'organo democraticamente eletto l'esercizio di funzioni e competenze.
Negli ultimi anni i consigli comunali e provinciali ma anche i sindaci e i presidenti di provincia sono stati in qualche modo espropriati. È necessario, quindi, - questo decreto-legge va in questa direzione - riportare alla democrazia e alla politica l'esercizio di determinate funzioni, facendo sì che per davvero il sindaco e il presidente della provincia, che già sono il riferimento diretto dei cittadini, siano responsabili anche della gestione di funzioni che adesso sono delegate ad altri.
Riguardo a questo tema vorrei soffermarmi in particolare sulla disposizione che prevede la soppressione degli ATO previsti dal codice ambientale per la gestione delle risorse idriche e l'ATO per la gestione dei rifiuti. Tutti coloro che hanno esperienza amministrativa e vivono le difficoltà dei comuni sanno come spesso questa gestione almeno in certe parti del Pag. 21nostro Paese deresponsabilizza necessariamente l'amministratore locale ma nello stesso tempo non attribuisce maggiori responsabilità a coloro che, spesso su indicazione politica o partitica, gestiscono funzioni così importanti come quella delle acque e dei rifiuti. Non per nulla la risoluzione dei problemi relativi ai rifiuti e alla gestione delle acque si trascina da anni e in molte parti del nostro Paese - oserei dire quasi tutte - non ha ancora trovato una felice soluzione.
Sempre per ritornare alla competenza degli organi democraticamente eletti si interviene anche sulla soppressione dei consorzi di funzione tra gli enti locali.
È vero che il provvedimento in esame è uno di quei provvedimenti che intervengono sulla parte ordinamentale degli enti locali, sui quali appunto si è già intervenuti, in parte con la legge che ha approvato il federalismo fiscale, in parte con la legge finanziaria, in parte tale intervento sarà poi completato con la discussione e l'approvazione della cosiddetta Carta delle autonomie.
È anche vero però che occorre procedere con celerità, perché se aspettiamo che la Carta delle autonomie, che non è ancora giunta in discussione alla I Commissione affari costituzionali, sia definitivamente approvata, allora non vi sarà alcun passo in avanti ed alcun miglioramento proprio nella gestione degli enti, a tutto svantaggio della funzionalità e del buon andamento dell'attività amministrativa.
Vorrei soffermarmi brevemente su tre interventi contenuti nel decreto-legge in esame e che secondo me sono assolutamente importanti, perché a mio parere particolari rispetto comunque ad un impianto che non può che essere considerato felice da tutti coloro che fanno amministrazione ed hanno a cuore davvero la funzionalità degli enti, ma anche il proprio territorio ed i propri cittadini. Mi riferisco all'articolo 3, che pone un tetto agli emolumenti ed ai compensi dei consiglieri regionali. Nel corso degli anni la mancanza di un tetto e di un limite - pur se si è cercato, senza riuscire ad arrivare a buon fine, di intervenire ponendo un freno a questi compensi - ha provocato distorsioni ed esagerazioni. A mio parere è venuto il momento - ed è su questa linea che si muove il provvedimento in esame - di chiedere alle regioni anche una correttezza istituzionale dal punto di vista finanziario. D'altra parte consentire alle regioni di rivedere gli emolumenti ed i compensi dei propri consiglieri regionali è un invito ad eliminare sprechi di denaro pubblico, senza in qualche modo responsabilizzare le regioni, dando a loro l'iniziativa. D'altra parte, a chi può obiettare che questo Parlamento interviene sui consiglieri regionali ma non su coloro che lo compongono, cioè sui parlamentari, vorrei ricordare che la Lega Nord per prima ha già depositato un disegno di legge per la diminuzione del numero dei parlamentari. Quindi non stiamo ponendo l'attenzione sugli eletti nelle regioni, dimenticandoci invece dei risparmi che potrebbero esser ottenuti anche con una riduzione dei componenti del Parlamento.
Un altro tema che mi sembra importante e che è ripreso nell'emendamento dei relatori, ma è stato proposto da componenti dell'opposizione, riguarda l'esclusione delle risorse provenienti direttamente o indirettamente dall'Unione europea dal patto di stabilità (questo vale sia per la parte corrente sia per la parte degli investimenti). Credo che questo sia davvero un punto importante, perché tutti noi siamo consapevoli - il Governo per primo - di quanto il patto di stabilità metta in difficoltà gli enti locali ma non solo: mette in difficoltà tantissime piccole imprese che lavorano per gli enti locali e che non riescono ad ottenere i pagamenti. Credo che tutti noi siamo spesso fermati da persone e da imprenditori che evidenziano come il patto di stabilità danneggi non solo l'ente locale, che spesso non può fornire maggiori servizi o effettuare maggiori investimenti, ma danneggia tutto un tessuto sociale (ma di questo mi rendo conto che siamo tutti consapevoli, il Governo in primo luogo).
Altri interventi che mi sembrano significativi e si pongono proprio sulla linea di attenzione che questo Governo ha sempre Pag. 22dimostrato sono quelli che riguardano le maggiori risorse che vanno ai comuni dell'Abruzzo ed alla provincia ed al comune de L'Aquila.
Si tratta di un evento che ha colpito tutti noi, che non è stato isolato, perché il nostro Paese, come tanti, in questa fase, è colpito da emergenze e calamità (non da ultimo, quanto si è verificato nel fiume Lambro). Si tratta, ancora una volta, di dimostrare attenzione verso altri cittadini meno fortunati, che hanno vissuto davvero una grande tragedia.
Per concludere, vorrei ricordare che il Testo unico degli enti locali, cioè il decreto legislativo n. 267 del 2000, rappresenta, da allora, la disciplina fondamentale in materia di enti locali. Più volte, il testo è stato modificato: ad esempio, per quanto riguarda le circoscrizioni, il numero degli assessori comunali e provinciali, e i servizi pubblici. Sono innumerevoli le modifiche che lo hanno interessato. A breve, sarà in discussione, presso le Commissioni, anche l'atto Camera n. 3118, concernente la Carta delle autonomie. Ci aspettiamo molto anche da questo provvedimento, che andrà a ridisegnare le funzioni degli enti locali, dando davvero un'accelerazione a quel cambiamento dello Stato, che rappresenta una priorità di questa maggioranza e di questo Governo. Ci aspettiamo molto, ma sappiamo anche che il Governo sta facendo molto.
In conclusione, vorrei davvero ringraziare per la consueta disponibilità ed attenzione, non solo il Ministro Calderoli, ma anche il Viceministro Vegas, che hanno sempre ascoltato e si sono confrontati, dimostrando, in modo evidente, che al di là del contenimento della spesa, quel che conta è agire bene per il benessere di tutto il nostro territorio (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, Ministro Calderoli, nonostante il tentativo dei relatori, ed anche dei colleghi della maggioranza, di mettere in evidenza gli aspetti costruttivi delle proposte che sono state oggetto anche di profonde discussioni in Commissione, questa discussione sulle linee generali mette, ancora una volta, in evidenza uno degli aspetti controversi che il Partito Democratico, e un po' tutta l'opposizione, hanno messo in risalto in questi giorni.
L'aspetto più contraddittorio, che anche lei, signor Ministro, è costretto a sottolineare, consiste nella non urgenza di alcuni interventi. Avremmo sostenuto molto volentieri interventi urgenti per enti locali e regioni all'interno di un quadro generale che consentisse a noi tutti di condividere un percorso comprensibile.
Il collega Causi, prima di me, ha ricordato come il provvedimento in oggetto si divida in due parti: quella ordinamentale e quella finanziaria. Vorrei richiamare l'attenzione del Governo su alcune contraddizioni che rischiano di vanificare non solo gli sforzi comuni che abbiamo fatto nei mesi che abbiamo alle spalle, ma anche gli sforzi comuni costruttivi che abbiamo fatto con riferimento alla delega relativa al federalismo fiscale. Anche la collega della Lega Nord, onorevole Pastore, ha richiamato il Testo unico del 2000.
Tuttavia, quel testo unico, reso in qualche modo non più attuabile da gran parte della riforma costituzionale del Titolo V, è ormai superato da dieci anni, e lo si tiene ancora in vita con una serie di rattoppi normativi; inoltre, rispetto al testo unico precedente, ha avuto una vita autonoma brevissima, perché è stato già messo fuori gioco nel 2001 dalla riforma del Titolo V della Costituzione e, aspettando sine die, dovremmo dire, la Carta delle autonomie, non ha mai, ripeto, mai fatto chiarezza sui ruoli, sulle funzioni e sulle caratteristiche di funzionamento delle autonomie locali.
Vorrei farle alcuni esempi, Ministro Calderoli, poiché penso che essi possano aiutarci a comprendere anche gli spazi di convergenza che vi possono essere su alcuni temi. Intanto, sgombriamo il campo da equivoci sul Patto di stabilità interno: non possiamo continuare ad andare avanti con un Patto di stabilità à la carte, rispetto Pag. 23al quale c'è il tema Brescia e poi c'è quello di Reggio Emilia; c'è Brescia con alcune caratteristiche simili a Cremona, ma Cremona si «becca» le sanzioni; poi abbiamo il solito tema Roma, che torna sistematicamente.
Su Roma bisogna avere il coraggio di dire che - e noi non siamo d'accordo, perché lo abbiamo detto più volte in contesti diversi e lo abbiamo anche ribadito - se vi sono, per una città, le condizioni per dichiarare un dissesto, si dichiara il dissesto. Se non vi sono quelle condizioni, allora si affrontano i temi con cognizione di causa e si costruisce esattamente - come richiamava Causi in precedenza - un eventuale piano di rientro, se la strutturalità dei trasferimenti dallo Stato è cambiata. Infatti, è inutile prendersi in giro: per quanto riguarda Roma, dal 2006 ad oggi le risorse strutturali trasferite dallo Stato centrale a Roma capitale sono diminuite, e sono diminuite per contingenze, per la congiuntura e per scelte - anche politiche - diverse, fatte da questo Governo, ma sono diminuite.
Il problema più generale del rapporto tra Stato centrale e Roma capitale sta nel fatto di non aver reso strutturali e pluriennali alcune risorse che la città di Roma ha sempre ottenuto, anno per anno, attraverso la legge finanziaria. Quella stagione forse è finita. Tuttavia, inevitabilmente non si poteva non dare alle cose - e cioè, alla necessità di costruire un piano di rientro straordinario - il giusto nome. Questo non è stato fatto. Sono passati due anni e ora stiamo discutendo di un piano di rientro. Su questo tornerò dopo, perché, e mi rivolgo al Ministro Calderoli, quella di vanificare all'improvviso, così come è stato previsto in una vostra proposta emendativa, le delegazioni di pagamento, è un'idea pericolosissima per il rapporto con i mercati finanziari e per la credibilità del nostro Paese, rispetto al valore che i mercati e le banche danno alle delegazioni di pagamento. Noi proporremo in Aula la soppressione di quella parte della proposta emendativa, e di contro proporremo altro, ma stiamo attenti, perché in quel caso la responsabilità è collettiva: non è del Governo o dell'opposizione, è collettiva.
Se noi raccontiamo ai mercati che vi sono mutui in circolazione o prestiti obbligazionari, per i quali sono state rilasciate delegazioni di pagamento che hanno alcune caratteristiche e sono, come dire, le ipoteche reali che vengono rilasciate ai creditori, e poi raccontiamo che, con una legge, dopo dieci anni, in maniera retroattiva, per un periodo di 18, 12 o 24 mesi, come proponete in questa norma, all'improvviso quei crediti vengono congelati, stiamo dando un segnale pericolosissimo ai mercati finanziari. Infatti, circolano in giro per l'Italia e per il mondo decine e decine di miliardi di euro di debiti delle pubbliche amministrazioni, garantiti e in qualche modo scontati attraverso veicoli vari finanziari, compresi i mutui di Roma.
Su tale questione torneremo sicuramente, in Aula, e sono convinto che questa proposta non sia nata nel Ministero per la semplificazione normativa, tuttavia, avendo lei, Ministro, una responsabilità non marginale nel rapporto tra Governo, enti locali e regioni, è chiamato ad un supplemento di indagine da questo punto di vista.
Come dicevo, la contraddizione di questo provvedimento sta nella estemporaneità di alcune scelte.
Ministro Calderoli, avrebbe avuto più senso parlare di un provvedimento omnibus legato ad alcune proroghe e ad alcune deroghe per evitare che tutto questo - mi permetto di dirglielo con grande franchezza - minasse il buon lavoro che sta svolgendo il suo Dipartimento.
Mescolare nel nostro dibattito - e anche nel rapporto più generale tra Governo e opposizione - contraddizioni legate alla gestione della finanza pubblica e l'utilizzo del principio, anche un po' spregiudicato, al quale spesso fa riferimento il Ministro Tremonti (l'unico al quale egli può far riferimento), di coordinamento di finanza pubblica che costituzionalmente consente al Governo centrale di intervenire anche sulla finanza regionale e locale, con il complesso tentativo che lei sta compiendo Pag. 24con i gruppi parlamentari di costruire un lavoro molto più articolato che ha come punto di approdo l'attuazione del disegno di legge sul federalismo, ho la sensazione che ci faccia fare dei grandi passi indietro rispetto al lavoro svolto in questi diciotto mesi.
L'onorevole Bitonci nella sua relazione parlava di procedure nuove e rinnovate per lo scioglimento dei consigli comunali. A questo riguardo parlo di toppe che non ci aiutano, ed ecco perché noi del Partito Democratico torniamo, rispetto alla parte ordinamentale, alla necessità di concentrare tutti i nostri comuni contributi, dell'opposizione e della maggioranza, sulla carta delle autonomie locali, altrimenti andremo avanti «a toppe», trasformando quel che resta di quel Testo unico pesantemente cambiato in un'arlecchinata che non va bene neanche al funzionamento degli enti locali.
All'interno delle procedure di cui parlava l'onorevole Bitonci mi sarei aspettato, ad esempio, più chiarezza circa le norme sui dissesti, invece su quelle norme non c'è nulla. Mi auguro che saranno oggetto non solo di analisi e di discussione in Aula già su questo provvedimento, ma che saranno oggetto di intervento anche nei lavori della Commissione bicamerale sul federalismo fiscale. Parlo delle norme sul dissesto perché ancora oggi la contraddizione tra il Testo unico, che è del 2000, e il Titolo V della Costituzione, che è del 2001, porta nel quadro normativo italiano una serie infinita di «buchi». I crack finanziari come quelli che si sono verificati a Taranto e a Catania (ma il comportamento del Governo Berlusconi è stato completamente diverso da quello del Governo Prodi, che aveva fatto dichiarare il dissesto della città di Taranto intervenendo con le stesse risorse, ma bloccando l'emorragia) rischiano di capitare in tutti i comuni che non sono stati virtuosi.
L'onorevole Bitonci ci ha ricordato le differenze sui trasferimenti erariali e il contributo, che anche noi in parte abbiamo condiviso, sul Fondo ordinario per i comuni più piccoli. Tuttavia, egli ricorda - ed era questo un altro dei temi sui quali non è stato possibile fornire un contributo ulteriore - che i parametri per incrementare quel fondo non possono essere esclusivamente quelli legati al numero degli abitanti (e stiamo parlando dei comuni fino a cinquemila abitanti), né possono essere solo ed esclusivamente quelli relativi al maggior contributo legato alla maggiore la natalità. Infatti, molti di quei comuni riscontrano un problema oggettivo nell'aumento dei servizi alla persona, quelli a domanda individuale e quelli collettivi per gli anziani. Gli anziani già ci sono, non devono nascere, ci sono già e aumentano; in molti comuni di montagna le risorse necessarie per il servizio a domanda individuale interessano gli anziani. Ci sarebbe, quindi, piaciuto avere tra i parametri anche l'aggancio rispetto all'età media della popolazione o alle differenze dimensionali. Molti comuni di montagna hanno territori vasti, e qui gli indicatori non sono legati al binomio - così come avevamo chiesto - tra caratteristiche demografiche e dimensioni.
Per quanto riguarda il Patto di stabilità interno, lo abbiamo già detto e la collega Pastore ha ricordato i cofinanziamenti comunitari. Rivendico in Aula il merito del Partito Democratico perché l'emendamento che avete accettato sul cofinanziamento comunitario è un emendamento del Partito Democratico. Questo ci fa dire che, in realtà, vi sono alcune parti di questo provvedimento che sono, di fatto, state oggetto di una discussione molto ampia in Commissione e su cui avete accettato anche le proposte dell'opposizione. Ma questo non può bastare, perché abbiamo tentato di fermare un meccanismo che porta continuamente il Governo a trasformare - esattamente come diceva l'onorevole Causi - alcuni pezzi di propaganda in politiche e questo non è accettabile per tutti coloro che, sia nell'opposizione sia nella maggioranza, tentano di fare ordine sul rapporto tra enti locali, regioni e Governo centrale.
Ci sono tre temi che in qualche modo, Ministro Calderoli, inevitabilmente ci porteranno, alla fine della discussione sulle linee generali e anche alla fine del dibattito sugli emendamenti, a prendere atto Pag. 25che non sono state fornite risposte. In primo luogo, i tempi di pagamento della pubblica amministrazione. Vi avevamo chiesto, a più riprese e in più fasi, l'abolizione del DURC per tutti i crediti al di sotto dei 10 mila euro, per consentire alle amministrazione locali - e, in particolar modo, ai piccoli e ai piccolissimi comuni - di pagare i piccolissimi fornitori in tempo reale. Per la terza volta consecutiva questa nostra proposta è stata cestinata, con la promessa che vi sarà il momento nel quale questi temi saranno affrontati in maniera più strutturale. Sono trascorsi 18 mesi e il tema inizia a diventare oggettivamente bizzarro. Intanto voi ogni volta richiamate i tempi di pagamento della pubblica amministrazione come un valore, ma, nel momento della prova, la risposta resta negativa.
È necessaria, inoltre, una maggiore elasticità dei bilanci. Residui attivi e residui passivi caratterizzano oggi, come il viceministro Vegas sa, una sorta di bilancio parallelo di ogni comune. Ogni comune ha il bilancio ordinario e quello dei residui attivi e dei residui passivi. Dobbiamo metterci una volta per tutte d'accordo sulla misura in cui il Governo centrale debba esercitare il principio di coordinamento generale di finanza pubblica e quanto debba rendere elastico l'utilizzo dei residui attivi e passivi.
Infine, se proprio dobbiamo farlo, utilizziamo il principio di coordinamento della finanza pubblica per dare un senso reale - e non di propaganda - alle battaglie di Brunetta. Il Ministro Brunetta anche qui lontano dai decreti professa alcune cose. Tuttavia, quando ci avviciniamo o nei momenti nei quali potremmo fare insieme alcune cose, il Ministro Brunetta scompare.
Ricordo, inoltre, lo spoils system, che nel nostro Paese è abusato. Nelle nostre amministrazioni pubbliche esiste solo in ingresso, perché ogni volta che arriva una coalizione, di qualsiasi colore politico, essa immette all'interno delle amministrazione locali, regionali e centrali un esercito di persone. Questa era l'occasione per dimostrare che così come entrano allo stesso modo quell'esercito di persone può uscire dalle amministrazioni pubbliche. Siamo l'unico Paese che ha preso in considerazione lo spoils system solo in ingresso, mentre in uscita non lo prende in considerazione nessuno. Chiunque può entrare nelle amministrazioni pubbliche aggirando i concorsi. In altri contesti e anche in Commissione qualcuno di noi ha usato parole forti, dicendo che nel nostro Paese, per quanto sia abusata questa tecnica, probabilmente aggirare un concorso pubblico equivale a prendere una tangente, se si stabilizzato centinaia o migliaia di persone a danno di giovani che studiano una vita per superare quel concorso. Probabilmente almeno il Parlamento potrebbe richiamare quel principio - che spesso anche Vegas richiama ma che sulla funzione pubblica andrebbe richiamato e questo non accade - a proposito degli enti locali e delle regioni ed esso potrebbe essere utilizzato per fissare i paletti ed evitare che questi fatti accadano.
Anche a questo proposito, il Partito Democratico ha fatto delle proposte di fatto cestinate. Vedremo che cosa succederà in Assemblea a partire da domani.
Concludo tornando alla parte finanziaria del provvedimento e preannunciando al Ministro Calderoli che sulla delegazione di pagamento noi, con chiarezza, ne chiederemo la soppressione. Vedo che il Ministro annuisce con la testa, quindi, ancora una volta, ci ritroviamo su aspetti che sono davvero di interesse collettivo e proporremo, anche con la speranza che venga preso in considerazione dal viceministro dell'economia, Vegas, un meccanismo che consenta anche agli enti locali di fare chiarezza nel momento nel quale si risolvono i contratti sui derivati.
C'è un problema molto serio che noi richiameremo domani con un emendamento del Partito Democratico sulla iscrizione contabile, signor viceministro, sulla contabilizzazione del cosiddetto mark to market che ancora oggi produce confusione ai bilanci degli enti locali. Con il vostro buonsenso e con l'attenzione del Governo forse insieme potremo, nella discussione e nella chiusura del dibattito su Pag. 26questo decreto-legge, risolvere problemi causati dalla finanza allegra di questi anni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, stavo per dire signor Ministro, ma il signor Ministro se n'è andato, quindi posso solo rivolgermi al signor viceministro e ai colleghi relatori.
Ad un decreto-legge, ad un provvedimento che va verso la riduzione dei costi della politica Italia dei Valori non dirà «no» semplicemente per un fatto di coerenza, avendo messo fin da sempre alle prime righe dei propri programmi il tema della riduzione dei costi della politica e avendo operato, durante il Governo Prodi, per una riduzione di una serie di enti, in particolare le comunità montane, i consorzi di bonifica e le stesse circoscrizioni. Voglio ricordare che, per effetto di una norma che noi chiedemmo di inserire nell'ultima legge finanziaria del Governo Prodi, le circoscrizioni si sono praticamente dimezzate, così come si sono più o meno dimezzate le comunità montane, per cui è evidente che dal nostro punto di vista questo intervento va nel senso di ridurre i costi della politica.
Ciò detto, però, noi non possiamo non rimarcare in questo decreto-legge alcune questioni. Una è quella del modo schizofrenico con il quale il Governo sta affrontando tali temi, per cui vengono posti in essere interventi addirittura incoerenti nel giro di qualche settimana. Ad esempio, è noto che tra il disegno di legge, il cosiddetto codice delle autonomie locali, depositato poco più di un mese fa e l'intervento proposto da questo decreto-legge ci sono delle significative differenze su aspetti non marginali, per cui non si capisce realmente lo stato di incoerenza.
Per quanto riguarda il numero dei consiglieri comunali segnalo che, rispetto a quelli attualmente previsti dall'articolo 37 del Testo unico degli enti locali, nella proposta del codice delle autonomie locali vi è la previsione di un numero diverso da quello individuato nella legge finanziaria e, quindi, non si capisce il motivo. Si tratta di un atteggiamento schizofrenico, così come rileviamo che anche in materia di enti locali ci sono sempre più, invece che interventi di portata generale validi per tutti, interventi validi solo per singole specificità. Potremo parlare di provvedimenti ad urbem o ad civitatem: non so come definirli meglio!
Così si interviene per Catania, poi per Palermo, più volte per Roma (dopo tornerò sulla questione di Roma), oggi si fa un provvedimento speciale per Brescia. Io credo che questa sia l'anti-legislazione, quando si governa non con interventi di portata universale che valgano per tutta l'Italia e per tutti i cittadini italiani, ma su singole fattispecie. Alcune situazioni vengono considerate urgenti, ma poi il comune vicino che si trova nella stessa situazione si sentirà inevitabilmente truffato perché al suo vicino hanno detto «sì» e a lui invece dicono «no». È evidente che siamo in presenza di un atteggiamento schizofrenico.
È un atteggiamento che ci rende critici su questo intervento (anche se come ho detto non diremo di no, per motivi di principio), perché abbiamo la consapevolezza che i costi della politica non partono dagli ultimi, non partono dagli enti locali. Dopo vi dirò, peraltro il Viceministro Vegas conosce bene i numeri, qual è il contributo che gli enti locali hanno dato in questi anni al patto di stabilità italiano, cosa che non hanno fatto i Governi, cosa che non sta facendo il resto della pubblica amministrazione, cosa che non stanno facendo i Ministeri. Allora noi abbiamo la consapevolezza che la riduzione dei costi della politica non deve partire da lì ma da qui, dal cuore della politica: dalle istituzioni dove sediamo noi, dove sembra sempre che tocchi agli altri fare qualche cosa.
Credo che le Camere non stiano facendo abbastanza, fosse anche in termini non risolutivi, ma almeno per dare la dimostrazione a tutto il Paese che si parte dalla testa nel fare i sacrifici e non dalla coda. Andrebbe fatto un intervento serio, Pag. 27per esempio, sulle cosiddette pensioni dei parlamentari che non sono un diritto acquisito. La Corte costituzionale ha sancito in modo chiaro che siamo in presenza di un'erogazione che non ha valore di pensione, come qualcuno dice. Quindi è un intervento che, così com'è stato dato, potrebbe essere modificato. E non solo per chi sta qui adesso: io trovo inaccettabile che ci siano tre signori che sono stati parlamentari per un giorno che oggi percepiscono 3 mila euro al mese ciascuno di cosiddetto emolumento, per citare uno dei tanti casi. Eppure su questo non ci sono interventi.
Da tempo noi diciamo che l'esempio parte da noi e inviteremo il Governo e il Parlamento a fare qualcosa. Ma quando vi portiamo in Aula un provvedimento che ha una sua portata generale, come quello dell'abolizione delle province, ci dite «no». Qualcuno ha azzardato dicendo che l'abolizione delle province porta a un risparmio di 15 miliardi di euro all'anno, cosa assolutamente non vera e non realistica; però fossero anche 3 i miliardi da risparmiare ogni anno, con i tempi che corrono sarebbe un bell'esempio di riduzione dei costi della politica. Eppure ci dite «no».
Poi fate un provvedimento come questo che, badate bene, soltanto al terzo anno, se ben ricordo, conduce ad un risparmio superiore ai 100 milioni di euro. Ma contemporaneamente mettete 140 milioni di euro sulla «legge mancia», che è fatta apposta per favorire il clientelismo dei singoli parlamentari, con l'indicazione di provvedimenti di piccolissima portata che non affrontano sicuramente i problemi.
Prego il Viceministro Vegas di andare a leggere le indicazioni, perché ve ne sono alcune così generiche che, in qualche caso, data anche l'entità dell'intervento, non so a quale scopo siano dirette. Ad esempio, è previsto uno stanziamento di poche migliaia di euro per interventi a favore dei prodotti locali: forse, con quel denaro qualcuno andrà a fare una cena o un pranzo per qualcuno, con la scusa di promuovere i prodotti locali. Insomma, si prevedono 140 milioni di euro di «legge mancia» e poi interveniamo qui per un importo che è sicuramente inferiore.
Allora qualcosa manca in questo modo di intervenire e l'intervento andrebbe ripensato nel suo complesso. Visto che è arrivato il Ministro Calderoli, ribadisco che noi non diremo «no» a questo intervento, perché è coerente con le cose che abbiamo sempre detto, ma sosteniamo che il Governo dovrebbe svolgere una riflessione molto più ampia perché, in definitiva, gli enti locali hanno contribuito al Patto di stabilità per un importo ben superiore, quasi pari al doppio del peso che hanno all'interno dei saldi della pubblica amministrazione.
Allora, forse sono altri che devono intervenire: sono i Ministeri, con una spesa pubblica che corre, una Presidenza del Consiglio che porta la segretaria del Premier a diventare dirigente senza bisogno di espletare un concorso, in un capitolo di spesa dove non ci sono limiti, non ci sono controlli, non ci sono riduzioni e persino dove rispetto al resto della pubblica amministrazione si è esentati dal sottoporre al controllo gli affitti. Infatti, quando oggi una pubblica amministrazione prende in affitto degli immobili, è necessaria una valutazione di congruità che vale per tutti tranne che per la Presidenza del Consiglio. Dunque, se dobbiamo parlare di riduzione dei costi della politica, facciamolo, ma facciamolo seriamente e in fretta prima che Sagunto bruci del tutto.
Tornando ai contenuti del decreto-legge, credo che il Governo potrebbe ancora fare qualcosa per renderlo quanto meno più aderente agli scopi per cui è stato varato. Ci sono alcune questioni che sono gravi, quale, ad esempio, quella della ridefinizione delle circoscrizioni provinciali ai fini delle elezioni. Si prevede che, se la ridefinizione non si riuscirà a fare, comunque si potranno tenere le elezioni e i partiti indicheranno un numero di candidati pari al numero dei consiglieri spettanti, il che vuol dire che i partiti dovranno optare e non presentarsi in alcune circoscrizioni. Credo che una soluzione di questo tipo sia gravissima: possiamo immaginare Pag. 28di non presentarci in una circoscrizione e quindi di non prendere i voti in quella circoscrizione? Qualcuno obietterà che ciò vale anche per gli altri partiti, ma a me sembra che sia veramente una soluzione ridicola! Ad essa si può porre rimedio stabilendo semplicemente che, ove non si ottenesse l'accordo con la provincia, sia il Governo a definire le circoscrizioni e che le definisca tutte, non con l'idea che in talune circoscrizioni qualche partito non deve presentarsi rinunciando, dunque, al proprio simbolo e a raccogliere i voti degli elettori.
Vorrei sollevare altre questioni. Noi proponiamo una serie di emendamenti, che ci auguriamo siano valutati positivamente dal Governo, per essere un po' più rigorosi, perché non si capisce come mai, improvvisamente, il numero degli assessori passa da un quinto a un quarto. Noi proponiamo che il numero resti ad un quinto: può andare sicuramente bene ed è migliorativo ai fini degli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Poi c'è la questione delle unioni tra comuni. In questi giorni l'ANCI ha inviato a noi, come a tutti del resto, le proposte emendative con le quali chiede al Governo anche un intervento finanziario per favorire l'istituzione delle unioni tra i comuni per la gestione delle attività, dei servizi comunali. Credo che il Governo farebbe bene a prendere in considerazione questo fatto però, al tempo stesso, a vincolarlo alla dimensione: dunque è bene procedere in tal senso - per carità, credo che anche il mio gruppo abbia fatto propria la proposta come è stata avanzata dall'ANCI - ma leghiamola alla dimensione.
In altre occasioni ho già ricordato al Ministro Calderoli che anche nel disegno di legge sul codice delle autonomie sotto questo profilo c'è un errore. Premetto che il codice delle autonomie stabilisce come tutta la lunga lista dei servizi e delle funzioni svolte dai comuni deve essere effettuata in forma associata dai comuni con meno di tremila abitanti, ma non ne precisa il limite. A questo punto due comuni da mille abitanti possono fare un'unione tra comuni e rientrare nella previsione di quella norma, ma così non si ottiene il vero effetto.
Ribadisco che i calcoli e le simulazioni fatte da noi dicono che bisognerebbe arrivare a ventimila abitanti serviti per rendere la previsione realmente significativa e di impatto sulla finanza pubblica. La massa critica per dare determinati servizi ai cittadini, infatti, è ben più alta della soglia dei tremila. Se non si vuole prevedere il limite di tremila, allora lo si faccia di cinquemila, ma almeno lo si stabilisca come limite. Altrimenti, se si dice solo che chi è sotto a quella soglia deve fare l'unione, ma non si dice nemmeno che quella soglia deve essere raggiunta, evidentemente vuol dire fare finta ovvero dare un'indicazione che non avrà poi gli effetti voluti. Di conseguenza, proponiamo ancora la questione dei ventimila abitanti, ma saremmo lieti di vedere che ci sia un provvedimento serio per una dimensione adeguata e che si favorisca realmente la costituzione di unioni tra comuni, precisando magari che non ci devono essere prebende agli amministratori. Mi sembrerebbe un modo corretto di agire prevedere che la funzione già svolta di assessore o di consigliere comunale sia già onnicomprensiva anche dell'attività svolta all'interno dell'unione.
In ordine alla questione del comune di Roma, ho la sensazione che si stia arrivando ad una sorta di SCIP 3, visto che le SCIP (le cartolarizzazioni) sono state finora due. Come è noto, il Ministro Tremonti non ama farselo ricordare, ma ai contribuenti italiani a cose fatte le SCIP rischiano di costare qualche miliardo di euro. Noi andiamo a costituire un fondo che, né più, né meno, rappresenta una sorta di cartolarizzazione con i beni militari per il comune di Roma e forse anche per altri comuni. Anche su questo aspetto bisogna fare attenzione perché rischiamo di percorrere quella strada che fin qui è stata assolutamente negativa. Dunque, qualcuno rischierà poi di contrarre dei debiti a valere su quei fondi e, quando Pag. 29sarà il momento di andare a liquidarli, si scoprirà che c'è qualche buco, come è capitato nelle SCIP.
Credo che vada affrontato, inoltre, in modo serio il tema del Patto di stabilità per i comuni perché, come ho detto prima, in ordine a tale Patto i comuni hanno pagato più di tutti e molto di più di quanto non abbiano fatto i Ministeri. Credo, quindi, che un intervento per l'allentamento nei confronti dei comuni virtuosi sia indilazionabile per due motivi, uno dei quali è che anche oggi l'ISTAT ci ricorda come la crisi sull'economia reale, che qualcuno diceva passata, in realtà è in pieno sviluppo. Con questo trend e con le imprese che oggi hanno messo in cassa integrazione - e che quindi inevitabilmente tra qualche mese rischieranno di portare a nuova disoccupazione - credo che sia disastrosa l'idea di non aver permesso ai comuni virtuosi di andare avanti con quei piccoli investimenti che avevano già pronti e che avrebbero, comunque, permesso all'economia locale (in particolare agli artigiani e alle piccole imprese) di lavorare.
Un anno fa, quando non solo noi affermavamo questa necessità, sarebbe stato davvero un intervento a favore del sistema delle piccole e medie imprese che stanno soffrendo fortemente, ovviamente insieme ai lavoratori licenziati. Invece, sotto questo profilo, si aspetta e si immagina che siano il ponte sullo stretto di Messina o le grandi opere a risolvere i problemi, che quando partiranno non serviranno più ad affrontare la situazione che si è creata e la sua gravità.
L'altro punto è che si doveva permettere ai comuni di pagare i debiti ai fornitori, a quei fornitori che ne hanno tutto il diritto. Ancora una volta si tratta quasi sempre di piccole e medie imprese e di artigiani, imprese che in qualche caso sono già fallite a causa dell'incapacità di incassare i soldi da pubbliche amministrazioni che li avevano nelle loro casse e potevano darli, che erano virtuose. Eppure, per volontà del Governo si è costretti a restare fermi. Credo che sul tema del Patto di stabilità la situazione sia matura per permettere a questi comuni di riprendere ad erogare servizi ai cittadini ed anche a dare sollievo a molte imprese.
Quindi, per concludere riparto da ciò che ho detto all'inizio. Per coerenza con ciò che abbiamo sempre detto e fatto in quest'Aula, noi non diremo «no» a questo decreto-legge, diciamo però che il Governo sta partendo dal fondo, invece di partire dalla testa, e che abbiamo la consapevolezza che i costi della politica si combattono prima nelle istituzioni, nel Parlamento, alla Camera e al Senato, nelle pensioni inutili di cui qualcuno adesso sta parlando. Probabilmente, si dovrà intervenire sulle pensioni dei cittadini. Incominciamo ad intervenire su quelle dei parlamentari e facciamolo in fretta. Partiamo dalle istituzioni, partiamo dalla testa, perché i comuni e gli enti locali in genere hanno già pagato fortemente per dare un contributo al Patto di stabilità del Paese.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3146-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la Commissione affari costituzionali, onorevole Calderisi, e il relatore per la Commissione bilancio, onorevole Bitonci, rinunciano alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE VEGAS, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, svolgerò qualche breve considerazione, poi il Ministro Calderoli si intratterrà più ampiamente sull'argomento. Mi limito ad affrontare alcuni temi che sono stati trattati, con particolare riferimento all'articolo 4 e quindi alla questione del Patto di stabilità.
È stato detto che gli enti locali sostanzialmente hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica, il che è vero perché nella loro media, salvo qualche Pag. 30ovvia eccezione, gli enti locali hanno adempiuto ai precetti del Patto di stabilità interno. È anche vero, però, che il Patto di stabilità interno per qualche aspetto è una versione edulcorata del Patto di stabilità che riguarda il nostro Paese nei rapporti con l'Unione europea, per il semplice motivo che include esclusivamente le spese correnti e in conto capitale riferite all'anno, ma non si fa carico in qualche modo dello stock del debito pubblico che riguarda tutte le realtà e tutti i soggetti. Il fatto stesso di prevedere delle esclusioni di questo tipo di spesa in qualche modo agevola questo settore rispetto al resto. Se volessimo effettivamente dare un giudizio relativo alla partecipazione effettiva di ciascuno al risanamento del Paese, dovremmo distribuire anche su regioni ed enti territoriali il carico del debito pubblico complessivo che grava invece su un comparto.
Sotto questo profilo, credo che così come funziona il Patto, pur con le sue innegabili criticità - esistono e non è difficile riconoscerlo alcune logicità che sembrano come sfumare rispetto al Patto - è chiaro che non vi è una posizione equiordinata tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, perché la distribuzione di un carico che viene posto sulle spalle dello Stato non è egualmente distribuito anche sugli altri soggetti. Quindi, sotto questo profilo, esiste una sorta di asimmetria di cui non si può non tener conto. È vero, come diceva l'onorevole Boccia, che per certi aspetti il Patto è un po' à la carte, ma questo tiene conto del fatto che non tutte le realtà istituzionali sono omogenee.
In particolare, per quanto riguarda i comuni, di oltre 8 mila la gran parte di essi è costituita da piccoli e piccolissimi comuni, mentre poi esistono grandi realtà che assolutamente non sono omogenee.
La legge li tratta tutti allo stesso modo, ma forse - e credo che nel codice delle autonomie ci si potrà occupare di questo - non tutti presentano la stessa realtà. Si tratta cioè di considerare fenomeni piccoli e grandi, quindi non è detto che trattarli tutti allo stesso modo costituisca un principio di giustizia: come ricorda infatti il latinetto, unicuique suum tribuere, ossia dare a ciascuno il suo e non trattare tutti esattamente allo stesso modo.
Per concludere rapidamente, è stata sollevata dagli onorevoli Causi e Boccia la questione relativa alle delegazioni di pagamento. Ritengo che la parte concernente il rinvio del pagamento dei debiti di alcuni enti locali, con riguardo specificamente alla città di Roma, possa essere rivista, e credo che i relatori si faranno carico di una rivalutazione attraverso l'eventuale presentazione di un emendamento correttivo per quanto riguarda la questione di Roma.
Ritengo dunque che, nel testo che auspicabilmente sarà approvato da questo ramo del Parlamento, tale timore possa in qualche modo essere fugato.
Circa i rilievi avanzati da alcune parti dell'opposizione in merito alla riduzione della spesa pubblica non solo relativa ai cosiddetti costi della politica di regioni ed egli enti locali, ma anche del Parlamento, non posso non rifarmi al fatto che la riforma costituzionale del 2005, che mirava proprio a ridurre consistentemente anche il numero dei parlamentari, venne poi bocciata attraverso un referendum costituzionale ad opera delle istanze politiche di quelle stesse parti che adesso se ne lamentano.
L'auspicio è quindi che, se verrà nuovamente introdotta una norma del genere, le stesse parti non recitino poi due parti nella stessa commedia, lamentando qui un eccesso nel numero dei parlamentari ed andando poi a chiedere ai cittadini elettori di bocciare una proposta del genere.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Ministro per la semplificazione amministrativa, onorevole Calderoli.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Signor Presidente, riguardo ad un aspetto più volte contestato circa la schizofrenia nel procedere degli interventi legislativi in materia, da parte mia lamento una certa schizofrenia anche ambientale. È vero infatti che nella materia delle riforme vi è una grande Pag. 31incompiuta, che attendeva la realizzazione del federalismo fiscale e del codice delle autonomie. Però, tornando sul punto ricordo che quando due legislature fa presentai una riforma della Costituzione mi dissero che prima avrei dovuto fare il federalismo fiscale; quando poi ho fatto il federalismo fiscale, mi dissero che avrei dovuto fare il federalismo costituzionale e prima ancora il codice delle autonomie: non vorrei che a furia di discutere se è nato prima l'uovo o la gallina non nasca né l'uovo né la gallina.
Ho deciso quindi che, magari non per via eutocica ma comunque per via chirurgica, qualcosa prima o poi venga alla luce, perché diversamente mi troverei in difficoltà (la stessa difficoltà in cui mi sono trovato volendo seguire nel percorso una strada ortodossa).
Ricordo che nel mese di maggio dell'anno scorso abbiamo votato il federalismo fiscale, dopodiché solo nell'ottobre del medesimo anno ho avuto l'indicazione da parte dei territori su chi dovesse sedere in seno alla Commissione paritetica; alla stessa maniera, pur avendo approvato il primo dei decreti legislativi in tema di federalismo demaniale e fiscale (approvato nel corso del 2009), ancora siamo in attesa della riunione della Conferenza unificata che valuti i contenuti del decreto medesimo (così - e mi auguro che sia veramente così - solo mercoledì si riunirà la Commissione bicamerale per il federalismo!).
Temo che, se seguiamo i tempi che si sono seguiti fino ad oggi, passeranno ancora quattro o cinque legislature prima di realizzare le riforme, così com'è accaduto anche per il codice delle autonomie. Personalmente, ho preso in carico la materia l'estate dell'anno scorso e nel mese di novembre presentai una proposta al Consiglio dei Ministri, che approvò il codice delle autonomie (approvato il 12 novembre, viene firmato ed assegnato alle Commissioni parlamentari a metà gennaio del 2010!).
Credo che, se i tempi sono questi, non sarà possibile prevedere veramente di affrontare gli argomenti e di risolverli. Anche in questo caso non vi è ancora stata una Conferenza unificata. Sono più che legittime e riconoscibili le varie istanze dei vari soggetti che decidono di salire sull'Aventino e non partecipare alle sedute della Conferenza unificata, ma, nel contempo, il resto del mondo deve andare avanti. Utilizzando uno strumento improprio - lo riconosco - come quello della legge finanziaria, si è fatta una forzatura per iniziare ad anticipare una serie di temi che erano contenuti nel codice delle autonomie e senza i quali non saremmo qui oggi a discutere. Mi scuso per aver voluto fare questa forzatura, ma devo dire che le forzature, rispetto al numero dei consiglieri, degli stipendi, alle comunità montane, sono state già realizzate in tutte le leggi finanziarie precedenti. Ciò che abbiamo aggiunto rispetto a quell'intervento, che è stato obbligatoriamente e necessariamente grossolano (diversamente vi sarebbe stato il vincolo dell'inammissibilità per aver trattato materia ordinamentale), è un decreto-legge, di cui siamo responsabili, per affinare maggiormente la materia ed è quello che stiamo realizzando in questa sede.
Qualcuno dice che tagliamo troppo, qualcuno troppo poco, forse la strada giusta è a metà. Non credo che francamente si possa parlare di un vulnus della democrazia perché andiamo a incidere sulla rappresentatività democratica. Tutte le volte continuerò a sostenere i nostri circa 8.100 campanili nel Paese, però francamente non penso che un Paese possa essere una nazione di consiglieri: oltre 120 mila consiglieri nel Paese francamente mi sembrano un po' troppi, così come mi sembrano troppi i 35 mila assessori. Questo non vuol dire ridurre la qualità e la rappresentatività democratica; vuol dire ragionare con il buonsenso che mi fa ad esempio sostenere che non può esistere, come esiste oggi, un Paese di 32 abitanti, con 25 potenziali elettori, nel quale votano 15 persone, e in cui è costituito un consiglio comunale di 12 consiglieri e una giunta di 5 assessori (per cui ci sono 17 tra eletti e nominati con 15 votanti). Francamente, non credo che, andando a ridimensionare Pag. 32quel numero di consiglieri e di assessori, si danneggi la rappresentatività democratica; si va a correggere una realtà inverosimile che non stava in piedi prima. Così come credo che sia stato necessario incidere su una serie di istituzioni che francamente hanno un senso rispetto a realtà di una certa dimensione.
Credo che il direttore generale abbia senso al di sopra dei 100 mila abitanti, mentre non lo ha in realtà di 5 o 10 mila abitanti, nelle quali il segretario generale può sicuramente svolgere correttamente il proprio lavoro. Così come non credo abbia senso avere circoscrizioni con riferimento a realtà di 25 o 30 mila abitanti (credo sia stata corretta la previsione al di sopra dei 250 mila e non al di sotto). Credo inoltre che non si riducano gli strumenti di controllo se si sopprime il difensore civico in determinate realtà, in quanto il difensore civico era nominato da quell'amministrazione che avrebbe dovuto essere controllata. Preferisco avere un soggetto a livello provinciale che lo faccia per tutti e forse sarà una parte più «terza». Abbiamo affrontato finalmente, come ha ricordato anche qualche deputato nel corso del suo intervento, la questione degli enti intermedi.
La Costituzione afferma che la Repubblica è costituita da comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato, ma fingiamo che non è successo niente, continuiamo a lasciare la gestione di una serie di funzioni in mano a soggetti terzi che nulla hanno a che vedere con la Costituzione e dei quali contesto anche il costo. Ogni volta, tutto ciò comporta il raddoppio dei soggetti e allora sì che questo è un tipo di falso federalismo, perché il federalismo non vuol dire decentrare e poi mantenere anche a livello centrale.
Qui abbiamo moltiplicato i centri di spesa perché abbiamo individuato alcuni soggetti ma lasciamo svolgere le stesse cose ad altrettanti soggetti. Siamo intervenuti sui consorzi e sugli ATO, attraverso emendamenti parlamentari, e credo che tanti altri soggetti debbano finire nel mirino ma non per una soppressione tout court. Oltre ai costi, credo sia assolutamente disdicevole che funzioni, le quali dovrebbero essere in capo all'esecutivo e sotto il controllo del consiglio comunale o provinciale, sfuggano a tale controllo e vengano trattate come fossero degli affari, che probabilmente possono anche essere gestiti bene ma nel migliore dei casi costano solo di più. Ho colto anche l'appello proveniente dall'Italia dei Valori rispetto ad un ampliamento di queste possibilità. Credo che siano strade che possano essere assolutamente percorse.
Un altro problema da sempre preso in considerazione è quello del Patto, questione sulla quale ha risposto il Viceministro Vegas. Probabilmente tutti ci vorremmo augurare di non avere vincoli così stringenti, ma, come ho ricordato anche in Commissione, forse le vicende legate ad esperienze come quelle della Grecia o del Portogallo ci devono far riflettere rispetto al mantenimento di questi Patti, che oggi stanno evidenziando alla prova pratica l'aspetto più virtuoso del nostro Paese. Siamo anche venuti incontro rispetto a determinate questioni contingenti, legate a singoli aspetti, che per fortuna sono stati sistemati. Credo che la strada da percorrere finalmente sia quella della valutazione su una base quinquennale, ovverosia facendo riferimento ad una media che elimini i picchi, e in tal modo credo che possano essere di meno le realtà che vengono penalizzate.
Per quanto riguarda le province, ho sempre sostenuto che, prima di affrontare cento realtà, bisognerebbe occuparsi dei 34 mila soggetti intermedi che svolgono in maniera inopportuna determinate funzioni e, dopo aver ripulito questo sottobosco non chiaro, allora si prenderà in considerazione le province, ma tali enti come soggetto intermedio credo debbano restare (ovviamente correttamente dimensionate, e non province di dimensioni poco compatibili anche rispetto ai comuni). Ma non si tratta di sopprimere qualcosa per crearne un'altra per lo svolgimento di una certa funzione. Bisogna far in modo che tutte quelle funzioni che oggi vengono svolte da altri siano riportate a chi può sviluppare Pag. 33un sistema di rete (e credo che la provincia corrisponda perfettamente a questa realtà).
Quindi non vi è alcuna marcia indietro rispetto alle province, perché ricordo a tutti che nel programma elettorale di questo Governo e di questa maggioranza era prevista la soppressione delle province inutili e non la soppressione delle inutili province (che è cosa completamente diversa). Sulle delegazioni di pagamento, più volte richiamate, anch'io concordo assolutamente che debbano sparire nella versione finale. Per quanto riguarda le circoscrizioni provinciali citate dall'onorevole Borghesi, in una versione avevamo detto che avremmo lasciato la possibilità comunque di ridurne il numero, ancorché non fosse definito il nuovo assetto delle circoscrizioni. Sono convinto che, entro novembre di quest'anno, il Ministero dell'interno definirà le circoscrizioni, quindi avremo le nuove circoscrizione per andare al voto, però vi è anche la possibilità di una impugnativa da parte di qualcuno, con la conseguente impossibilità di procedere alle elezioni. Quindi, l'utilizzo di un numero ridotto, mantenendo l'attuale assetto circoscrizionale, è legato ad un'evenienza che nessuno si augura ma ciò sempre al fine di consentire il voto. Fra l'altro - e non mi sembra sia stato sottolineato e percepito - con questo decreto si è intervenuti non solo spostando al 2011 il taglio dei consiglieri comunali (e non c'è stato alcun intervento o tentativo di volerlo procrastinare). È stato semplicemente dilazionato di un anno per il fatto che le elezioni amministrative, che sono state accorpate alle elezioni regionali, hanno avuto un'anticipazione rispetto ai normali tempi di svolgimento e, considerati anche i problemi che sono in corso rispetto alla presentazione delle liste, non avrei voluto avere una riduzione dei numeri nel mese di gennaio con la macchina elettorale che si sarebbe avviata a gennaio. Questo, tuttavia, ha fatto sì che si sia potuto estendere il taglio dei consiglieri anche ai consiglieri provinciali che credo fosse una disposizione auspicata da tutti. Sul punto vorrei dare una spiegazione anche rispetto alla riduzione ad un quinto e non ad un quarto degli assessori per quanto riguarda la provincia. È una spiegazione semplicissima: prima per la provincia non era stata prevista la riduzione del numero dei consiglieri e, quindi, avrebbe dovuto essere possibile la riduzione del numero degli assessori ad un quinto. Una volta che è stato ridotto il numero dei consiglieri, così come per quelli comunali il numero degli assessori può essere portato ad un quarto.
Sicuramente mancano ancora diversi provvedimenti ma mi è stato detto che avevo già inserito troppo all'interno di questo decreto-legge. Mi scuso di dover usare strumenti forse impropri ma sono convinto che potremo affrontare finalmente il codice delle autonomie proprio perché la parte più rognosa e meno facile è stata affrontata nella legge finanziaria e in un decreto-legge, dopodiché resteranno veramente le funzioni fondamentali e la delega per scrivere il codice che è la sintesi di tutto il lavoro svolto. Dunque ritengo che sarà veramente possibile affrontare tranquillamente il problema del codice che - ricordo - è sul tavolo dal 2001, da tre legislature, senza essere mai riusciti a dare una risposta. Lo abbiamo affrontato nel federalismo fiscale con funzioni ancorché transitorie. Credo che, alla fine, la proposta che noi abbiamo presentato, che è già stata condivisa dai vari livelli di Governo, possa essere vicina al punto di caduta finale e, quindi, ritengo che, per quanto in salita, la strada unica possibile è quella della legge finanziaria, del decreto-legge, del codice delle autonomie e, contemporaneamente, il completamento del primo dei decreti legislativi e l'emanazione di tutti quelli a seguire che completeranno il federalismo fiscale.
Mi auguro, come in tanti hanno già dichiarato, che dal mese di aprile si apra finalmente la stagione delle riforme perché non è soltanto la mancanza del codice o dell'attuazione dell'articolo 119 che difetta rispetto alla Costituzione. Ritengo che il federalismo fiscale, in assenza di una Camera che rappresenti il territorio, sia un istituto che zoppica molto e, quindi, Pag. 34se vogliamo dare un senso a questa legislatura, completiamo tutti questi tre grandi capitoli.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 2 marzo 2010, alle 10:

1. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (3097-B).
- Relatori: Stefani, per la III Commissione; De Angelis, per la IV Commissione.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 o gennaio 2010, n. 1, recante disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (3097-B).
- Relatori: Stefani, per la III Commissione; De Angelis, per la IV Commissione.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni (3146-A).
- Relatori: Calderisi, per la I Commissione; Bitonci, per la V Commissione.

La seduta termina alle 17,45.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIUSEPPE CALDERISI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3146-A.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore per la I Commissione. Premetto che la mia relazione si riferirà agli articoli 1, 2 e 3 del decreto-legge, relativi a materie di più diretta competenza della I Commissione.
L'articolo 1 modifica e integra alcune delle norme in materia di contenimento delle spese degli enti locali contenute nella legge finanziaria 2010.
Questa, ai commi da 183 a 187 dell'articolo 2, ha previsto da una parte una riduzione del contributo ordinario per gli enti locali nel triennio 2010-2012 e dall'altra, a fronte di questo, una serie di misure di risparmio, tra cui una diminuzione del numero dei componenti degli organi rappresentativi ed esecutivi degli enti locali e una razionalizzazione di altri organismi dei medesimi enti.
Ricordo che solo per quanto riguarda gli 8.104 comuni, vi sono oggi, complessivamente, più di 120 mila consiglieri e 35 mila assessori. Le riduzioni disposte dalla legge finanziaria e dal presente provvedimento sono pertanto significative, complessivamente Pag. 35si tratta di una riduzione del personale politico-amministrativo superiore a 35 mila.
In particolare, la riduzione del contributo ordinario ammonta, per le province, a 1 milione di euro per il 2010, a 5 milioni per il 2011 e a 7 milioni per il 2012, e, per i comuni, a 12 milioni di euro per il 2010, a 86 milioni per il 2011 e 118 milioni per il 2012.
Ferma restando l'entità complessiva della riduzione del contributo, l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge in esame provvede a rimodulare la ripartizione della riduzione tra ciascun ente e a precisare in modo univoco la decorrenza dell'efficacia delle disposizioni relative alle misure di risparmio. Un intervento che si è reso necessario in quanto l'anticipazione del turno di elezioni amministrative del 2010 dal periodo 15 aprile/15 giugno al 28 marzo, insieme alle elezioni regionali avrebbe comportato problemi applicativi delle disposizioni contenute nella legge finanziaria 2010. Il testo originario del comma 183 dell'articolo 2 della legge finanziaria prevedeva, infatti, che il Ministro dell'interno provvedesse con proprio decreto, per ciascun anno, alla riduzione, in proporzione alla popolazione residente, del contributo ordinario spettante ai singoli enti per i quali, nel corso dell'anno, avesse luogo il rinnovo dei consigli.
La disposizione in esame prevede invece che per il 2010 la riduzione del contributo si applica a tutti gli enti locali, a prescindere quindi dallo svolgimento di elezioni amministrative, sempre in proporzione alla popolazione residente. Per il 2011 viene invece mantenuto il criterio indicato dalla legge finanziaria, per cui la riduzione viene operata per gli enti per i quali ha luogo il rinnovo dei consigli. Nel corso dell'esame in sede referente è stato altresì precisato che la riduzione per l'anno 2012 interessa non solo gli enti che si sono rinnovati in corso d'anno ma anche quelli che si sono rinnovati nell'anno precedente. Sempre a seguito di una modifica operata in sede referente, al fine di evitare che i tagli interessino solo gli enti che si rinnoveranno nel 2011 e nel 2012, è stato previsto che con legge saranno determinate le riduzioni del contributo per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, che si applicheranno, progressivamente, a tutti gli enti locali, via via che questi rinnoveranno i propri organi. Lo strumento per l'applicazione delle riduzioni resta il decreto del Ministro dell'interno, in relazione al quale l'articolo in esame introduce il concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
L'articolo 1, comma 1, estende altresì ai consigli provinciali la riduzione del 20 per cento del numero dei componenti già prevista dalla legge finanziaria per i consigli comunali. Una modifica apportata in sede referente ha precisato che, ai fini del calcolo della predetta riduzione, il numero dei consiglieri comunali e provinciali non comprende il sindaco ed il presidente della provincia.
Nel corso dell'esame in Commissione sono stati aggiunti, dopo il comma 1, una serie di commi che modificano ampiamente la disciplina della legge finanziaria per il 2010 volta a razionalizzare gli enti locali e dispongono la soppressione di altri enti o apparati amministrativi.
Il comma 1-bis prevede che la riduzione degli assessori provinciali disposta dalla legge finanziaria sia uniformata a quella degli assessori comunali, cioè che il numero massimo degli stessi sia anch'esso determinato in misura pari ad un quarto, anziché un quinto, del numero dei consiglieri provinciali. Ricordo che la riduzione degli assessori si applica già dal 2010 per gli enti per i quali ha luogo quest'anno il rinnovo dei rispettivi consigli.
Il comma 1-ter procede nell'opera di semplificazione degli apparati burocratici locali, disponendo l'abrogazione delle norme del testo unico sugli enti locali relative ai circondari provinciali.
Il comma 1-quater, lettera a), precisa che le misure di razionalizzazione che devono essere adottate dai comuni sono finalizzate al coordinamento della finanza pubblica ed al contenimento della spesa.
La lettera b) prevede che le funzioni del difensore civico comunale - figura che i comuni sono tenuti a sopprimere sulla base Pag. 36delle disposizioni della legge finanziaria - possono essere attribuite, mediante apposita convenzione, al difensore civico provinciale, che assume in tal caso la denominazione di «difensore civico territoriale»; sono inoltre confermate le funzioni di garanzia del difensore civico già previste dal testo unico sugli enti locali.
La lettera c) limita la soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale, prevista dalla legge finanziaria, ai comuni con popolazione non superiore a 250.000 abitanti. Per i comuni che mantengono le circoscrizioni la popolazione media delle stesse non può essere inferiore a 30.000 abitanti. Viene inoltre mantenuta la facoltà dei comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti di prevedere particolari e più accentuate forme di decentramento di funzioni.
La lettera d) limita la soppressione del direttore generale dei comuni, anch'essa prevista dalla legge finanziaria, ai comuni con popolazione non superiore a 100.000 abitanti.
La lettera e) infine esclude i bacini imbriferi montani (BIM) dalla soppressione dei consorzi degli enti locali.
Il comma 1-quinquies prevede la soppressione delle Autorità d' ambito territoriale, previste dal codice ambientale, a decorrere dal 1o gennaio 2011; dopo tale data, ogni atto compiuto dalle predette Autorità è nullo. Entro il medesimo termine le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Il comma 1-sexies interviene sulla disposizione della legge finanziaria che ha soppresso il finanziamento statale alle comunità montane e ha disposto, fino all'attuazione del federalismo fiscale, l'assegnazione del 30 per cento di tali risorse ai comuni montani, disponendo che tali risorse siano ripartite non più tra i comuni montani, individuati in base ad un criterio altimetrico, ma tra i comuni appartenenti alle comunità montane; viene inoltre introdotta l' intesa in sede di Conferenza unificata sul decreto ministeriale di riparto; al riguardo si ricorda che la Corte costituzionale, da ultimo e in particolare con la sentenza n. 27 del gennaio di quest'anno, ha riconosciuto che, nel vigore del nuovo titolo V, la competenza sulle comunità montane è regionale.
Il comma 2 dell'articolo 1 riguarda la decorrenza delle disposizioni di razionalizzazione degli apparati degli enti locali previste dalla legge finanziaria. In particolare:
la riduzione dei consiglieri comunali e provinciali, la soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale, la facoltà per il sindaco dei comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti di delegare le proprie funzioni a due consiglieri (in luogo di nominare assessori) e la soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali si applicano dal 2011 ai singoli enti, man mano che procedono al rinnovo del consiglio;
la riduzione degli assessori comunali e provinciali si applica dal 2010 ai singoli enti, anche in tal caso man mano che procedono al rinnovo del consiglio; la soppressione dei difensori civici comunali e dei direttori generali si applica al momento della scadenza degli incarichi attualmente in essere.

Con riferimento al numero dei componenti dei consigli e delle giunte sia comunali che provinciali, da questo sistema deriva che agli enti che rinnovano i propri organi nel 2010 si applica solo la riduzione del numero degli assessori, mentre agli enti che rinnovano i propri organi dal 2011 si applica sia la riduzione del numero dei consiglieri che quella del numero degli assessori.
Ricordo che le misure di razionalizzazione degli enti locali contenute nella legge finanziaria e nel presente provvedimento hanno anticipato una serie di disposizioni contenute nel disegno di legge n. 3119 presentato dal Governo alla Camera, noto come la «Carta delle autonomie locali», accelerando indubbiamente il processo di riforma degli enti locali.
L'articolo 2 prevede poi la ridefinizione, entro il 30 novembre 2010, della Pag. 37tabella delle circoscrizioni dei collegi per le elezioni provinciali. Tale ridefinizione è conseguente alla riduzione del numero dei consiglieri provinciali disposta dall'articolo 1 e deve essere effettuata in tempo utile per lo svolgimento del turno elettorale del 2011, anno nel quale scatta, come già detto, la riduzione del numero dei consiglieri provinciali. È comunque previsto che questa riduzione è efficace anche in caso di mancata ridefinizione della tabella. Tale situazione non impedisce infatti il normale espletamento delle operazioni elettorali relative alla assegnazione dei seggi, in quanto l'elezione si svolge solo formalmente in collegi uninominali, nell'ambito dei quali si presentano le candidature, ma i seggi sono attribuiti in modo proporzionale sulla base della somma dei voti ottenuti in tutti i collegi nell'intero territorio provinciale. In tale ipotesi peraltro il numero dei collegi elettorali risulterebbe superiore al numero dei consiglieri da eleggere; è stata quindi introdotta nel corso dell'esame in sede referente una disposizione che consente ai gruppi (cioè ai partiti) di presentare un numero di candidati non superiore al numero dei collegi, in deroga alla normativa vigente che prevede che il numero dei candidati non può essere superiore al numero dei consiglieri assegnati alla provincia.
Il comma 1-bis modifica la procedura per la determinazione del numero e dell'estensione dei collegi elettorali provinciali, che sono definiti in forma di tabella, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale. Viene, in particolare, introdotto il previo parere della provincia interessata; la mancata espressione di tale parere, entro quindici giorni dalla richiesta, non preclude comunque l' adozione del decreto.
Venendo infine all'articolo 3, questo prevede che ciascuna regione definisce l'importo degli emolumenti e delle utilità, comunque denominati, percepiti dai consiglieri regionali, ivi compresi l'indennità di funzione, l'indennità di carica, la diaria ed il rimborso spese, in modo tale che non ecceda complessivamente e in alcun caso l'indennità spettante ai membri del Parlamento.
La disposizione è finalizzata al coordinamento della finanza pubblica ed al contenimento della spesa pubblica.
Le regioni provvedono a rivedere gli emolumenti a decorrere dal primo rinnovo del consiglio regionale successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge. Ricordo in proposito che il 28 e il 29 marzo 2010 avrà luogo lo svolgimento delle elezioni in tutte le regioni a statuto ordinario, con l'eccezione dell'Abruzzo e del Molise. Nel corso dell'esame in sede referente è stato precisato che il limite è costituito dall'indennità «massima» spettante ai parlamentari, che le regioni procedono alla rideterminazione degli emolumenti e delle altre utilità solo ove queste siano maggiori rispetto all'indennità parlamentare e che dalla disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Sottolineo, infine, che le modifiche apportate nel corso dell'esame in sede in sede referente hanno recepito o tenuto conto in modo significativo di molte delle proposte emendative emerse dal dibattito, anche da parte delle opposizioni, e dalle audizioni informali dei rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dell'ANCI, dell'UPI e della Lega delle Autonomie locali; mi riferisco, ovviamente, a quelle proposte emendative volte a migliorare il testo del provvedimento e non a sopprimerlo o a modificarne radicalmente l' impostazione.