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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 272 di lunedì 25 gennaio 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 11,40.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 22 gennaio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Barbi, Bergamini, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cesa, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Dozzo, Gianni Farina, Renato Farina, Fassino, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Nirenstein, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso, Vitali, Vito, Volontè e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 11,43).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge:
RAFFAELE LONGOBARDI, da Castellammare di Stabia (Napoli), chiede che una quota del 20 per cento delle entrate derivanti dalle lotterie nazionali sia destinata a finalità sociali, e in particolare a favore dei giovani che intendono formare una nuova famiglia (818) - alla VI Commissione (Finanze);
EMMA DANTE, da Palermo, e numerosi altri cittadini chiedono iniziative volte a verificare la correttezza della gestione dei contributi erogati al Teatro stabile Biondo di Palermo (819) - alla VII Commissione (Cultura);
VITTORIO GALATRO, da Nocera Inferiore (Salerno), chiede provvedimenti per un più razionale svolgimento dei controlli a campione sulle denunce dei redditi (820) - alla VI Commissione (Finanze);
AURELIO ROSINI, da Mariglianella (Napoli), chiede:
modifiche al codice della strada in materia di rallentatori di velocità, di notificazione delle violazioni e relative modalità di contestazione, di segnalazione visiva e illuminazione dei veicoli nonché di dispositivi riflettenti integrativi della segnaletica orizzontale (821) - alla IX Commissione (Trasporti);Pag. 2
modifiche alle norme concernenti l'assicurazione obbligatoria per responsabilità civile degli autoveicoli (822) - alla VI Commissione (Finanze);
provvedimenti legislativi per il riconoscimento dell'inno «Fratelli d'Italia» quale inno nazionale della Repubblica italiana (823) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
l'adozione di una nuova disciplina, uniforme sull'intero territorio nazionale, in materia di tassazione sui rifiuti solidi urbani (824) - alla VI Commissione (Finanze);
disposizioni volte a vietare o limitare la commercializzazione e il possesso di armi giocattolo o da collezione (825) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
GIANCARLO BUSIN, da Zané (Vicenza), e altri cittadini chiedono provvedimenti per consentire la permanenza dei Granatieri di Sardegna presso la propria sede di Roma, Caserma «Gandin» (826) - alla IV Commissione (Difesa);
MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede:
che tutte le funzioni relative alla gestione delle forze di polizia siano attribuite alla competenza del Ministero dell'interno (827) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
misure per il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo svolto dai cittadini che presentano petizioni (828) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Istituto comprensivo Antonio Rosmini di Roma e della Scuola elementare Nazario Sauro di Roma che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Discussione del disegno di legge: Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (1441-quater-C) (ore 11,46).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2010.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1441-quater-C)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito democratico ne ha chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che l'XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Cazzola, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, l'atto Camera 1441-quater-B ha avuto fino ad ora una vita difficile. La Camera lo ha approvato in prima lettura nell'ottobre del 2008. Dopo essere rimasto per più di un anno al Senato, è tornato alla Camera in terza lettura profondamente modificato. I ventotto articoli della Pag. 3prima lettura sono diventati cinquantadue. Non si è trattato solo di un raddoppio numerico, perché molte delle norme approvate in prima lettura sono state soppresse dal Senato, avendo nel frattempo trovato collocazione in altri provvedimenti.
Nel corso della discussione in Commissione in sede referente, al testo sono state apportate soppressioni e modifiche, spesso condivise e riguardanti aspetti non marginali. Voglio quindi ringraziare i rappresentanti dell'Udc, che si sono astenuti sul provvedimento nel suo complesso, ma anche i colleghi degli altri gruppi che hanno espresso voto contrario. In particolare, il capogruppo del Partito democratico, onorevole Cesare Damiano, in sede dichiarazione di voto, pur formulando, ovviamente, anche alcune critiche, ha voluto esprimere (si legga il resoconto) una certa soddisfazione per lo spirito di collaborazione registratosi nel corso del dibattito tra maggioranza ed opposizione, soprattutto con riferimento a taluni punti del provvedimento in esame.
Posso assicurare i colleghi che il Governo e la maggioranza, proprio perché sono sicuri dei loro buoni argomenti, presteranno attenzione in quest'Aula e in sede di Comitato dei nove alle ulteriori considerazioni che le opposizioni vorranno presentare allo scopo di migliorare il testo, senza stravolgerne, tuttavia, il senso politico.
Se il Presidente lo consente, consegnerò agli atti, per la pubblicazione, un allegato che dà puntualmente conto delle novità contenute nel testo approvato in sede referente nel corso dell'esame in terza lettura e delle considerazioni riguardanti i pareri espressi dalle altre Commissioni in sede consultiva. Mi limito solo a ricordare che il provvedimento contiene, tra gli altri, alcuni articoli di grande importanza: l'articolo 1 riguarda la riapertura dei termini della delega, che consentirà, finalmente, ai lavoratori adibiti a mansioni usuranti di fruire dei previsti benefici pensionistici. In proposito, sono stati introdotti (con voto unanime in Commissione) criteri di priorità nel caso in cui si verifichino scostamenti tra le domande presentate e le risorse stanziate; l'articolo 48 reca, anch'esso, una delega per la riforma degli ammortizzatori sociali. Ambedue queste misure ripropongono (salvo, nel caso dell'articolo 48, una necessaria messa a punto dei termini per l'esercizio) i medesimi contenuti della legge n. 247 del 2007, che ha dato attuazione, nella trascorsa legislatura, al Protocollo sul welfare del luglio di quello stesso anno.
Di grande importanza è anche, all'articolo 2, una modifica introdotta dal Senato che si iscrive nella prospettiva di creare un «polo della sicurezza e della salute» dei lavoratori, secondo quanto raccomandato nella passata legislatura dalla Commissione bicamerale di vigilanza sugli enti previdenziali e, nella legislatura attuale, da un ordine del giorno, presentato alla Camera e accolto dal Governo, alcuni mesi or sono.
Intendo, a questo punto, richiamare l'attenzione dei colleghi sulle norme che hanno fatto più discutere negli ultimi giorni e che saranno - presumo - al centro del dibattito in Aula.
Cominciamo dalla nuova disciplina della conciliazione e dell'arbitrato, di cui all'articolo 33. Il Governo e la maggioranza si propongono di potenziare ogni possibile modalità di risoluzione stragiudiziale delle controversie individuali di lavoro, superando i limiti che fino ad ora hanno praticamente impedito a questa esperienza di decollare.
Considerata l'inutilità del tentativo obbligatorio di conciliazione - sono, invero, pochissime le vertenze che vengono conciliate davanti alle direzioni provinciali del lavoro e per le quali la fase conciliativa assolve la funzione di filtro rispetto alla fase processuale - le disposizioni trasformano il tentativo di conciliazione, che diviene facoltativo per ambedue le parti rispetto alla vigente obbligatorietà, introducono una pluralità di mezzi di composizione alternativi al ricorso al giudice, rendono uniforme il sistema per il lavoro pubblico e privato e rafforzano le competenze delle commissioni di certificazione. Infatti, le controversie in materia di certificazione Pag. 4rappresentano il solo caso in cui il tentativo di conciliazione rimane obbligatorio.
A sua maggiore garanzia, durante il procedimento il lavoratore non può essere rappresentato, ma solo assistito, in quanto si richiede la sua presenza fisica davanti ai conciliatori ed eventualmente agli arbitri. In un eventuale giudizio il giudice deve tener conto - specialmente ai fini della decisione sulla condanna alle spese, non certo, evidentemente, sul merito della controversia - della linea di condotta delle parti durante la fase stragiudiziale.
Le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie che rinviino alle modalità di esecuzione dell'arbitrato, purché ciò sia previsto dalla contrattazione collettiva o sia certificato, a pena di nullità, da una commissione di certificazione dei contratti di lavoro chiamata ad accertare l'effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie che dovessero eventualmente insorgere tra di loro in relazione al rapporto di lavoro.
In questo ambito, un emendamento approvato in sede referente ha rivisto l'automatismo applicativo, introdotto dal Senato, in caso di inerzia delle parti sociali, le quali devono essere sentite anche nella fase conclusiva. Signor Presidente, sembra di poter concludere che il lavoratore sia adeguatamente tutelato e che possa liberamente scegliere un percorso giudiziale o uno stragiudiziale in piena consapevolezza e assunzione di responsabilità.
Concludendo su questo argomento, non è vero, quindi, che il progetto in esame consentirà di introdurre clausole compromissorie che obblighino le parti a devolvere il contenzioso ad un collegio arbitrale piuttosto che alla giurisdizione ordinaria.
Ciò potrà essere fatto - se leggiamo la norma - solo se questa possibilità è prevista dalla contrattazione collettiva, e non solo, giacché è previsto un doppio filtro. Oltre alla previsione generale del contratto collettivo, ci deve essere anche il vaglio di una commissione di certificazione (presso una direzione provinciale del lavoro o una commissione universitaria o presso gli enti bilaterali) che deve rendere edotte le parti di ciò che la clausola compromissoria comporta ed accertare che è loro effettiva volontà di devolvere le controversie che dovessero insorgere nel loro rapporto ad un arbitro piuttosto che al giudice.
Non esiste, poi, alcun attacco all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, perché, se investito del contenzioso, il collegio arbitrale deve decidere in base alla legge, dovendosi attenere sempre ai principi generali dell'ordinamento, e dunque alle regole previste dall'articolo 18 stesso.
L'articolo 34 razionalizza ed unifica le procedure per l'impugnazione dei licenziamenti individuali e per la risoluzione di ogni tipo di rapporto di lavoro - un emendamento ha completato, infatti, l'ambito delle tipologie - ed interviene sui criteri di determinazione della misura del risarcimento nei casi in cui è prevista la conversione di un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato.
La nuova disciplina interviene al fine di dare certezza alle sanzioni in tema di illegittimo utilizzo del contratto a termine, completando così quanto previsto dal decreto legislativo n. 368 del 2001, che, nulla prevedendo in maniera espressa sulle conseguenze dell'illegittima apposizione del termine, ha dato carta bianca all'interpretazione giurisprudenziale.
Il Senato ha dimezzato a 60 giorni il termine dell'impugnazione, ma ha reso molto più flessibili rispetto al testo approvato in prima lettura gli atti idonei a rendere nota la volontà del lavoratore, consentendo, cioè, l'impugnazione con qualunque mezzo, anche stragiudiziale, purché tale atto sia seguito poi dal deposito del ricorso entro i termini previsti, salva la possibilità di accedere in alternativa alle procedure arbitrali o conciliative.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, arriviamo così all'emendamento che è finito al centro del dibattito politico dopo la sua approvazione in sede referente.
Si tratta del comma 7 dell'articolo 50, il quale stabilisce che l'obbligo decennale di istruzione previsto dalla legge finanziaria del 2007 può essere assolto anche nei percorsi di apprendistato. L'argomento è Pag. 5sicuramente delicato, ma le critiche rivolte all'emendamento, a mio avviso, non sono giustificate, soprattutto perché non tengono conto del contesto normativo già vigente in cui la nuova disposizione viene a collocarsi. Non si tratta, infatti, di una norma frettolosa ed estemporanea, come è stato detto, o di un tentativo rozzo e brutale di riportare indietro l'obbligo d'istruzione. Il provvedimento è saldamente incardinato nel sistema previsto dall'articolo 48 del decreto legislativo attuativo della legge Biagi (decreto legislativo n. 276 del 2003), che disciplina proprio l'apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; il primo dei tre livelli previsti dalla legge n. 30 del 2003.
Non è, dunque, una novità che l'apprendistato riformato possa essere utilizzato dai ragazzi anche per adempiere al diritto-dovere di istruzione. Si tratta, infatti, di un rapporto a causa mista e ad alto contenuto formativo (che può accompagnare, nel suo sviluppo, il giovane fino al diploma e alla laurea, combinando i contenuti educativi e formativi con lo svolgimento di un'attività lavorativa), finalizzato, nell'arco di un triennio - è importante sottolineare questo aspetto del triennio - «al conseguimento di una qualifica professionale».
In sostanza, dunque, l'apprendistato è già adesso, secondo la legislazione vigente, un modo di assolvere il diritto-dovere di istruzione. L'emendamento si limita a raccordare questa norma con quella dell'elevazione a 16 anni dell'obbligo d'istruzione, colmando una discrepanza normativa del tutto evidente. E lo fa ribadendo tutte le garanzie previste dal citato articolo 48, dove, nel comma 4, è sancito che, leggo la disposizione: «la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano» per inciso, l'emendamento si ispira proprio alla positiva esperienza della Provincia di Bolzano, «d'intesa con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». Ciò, onorevoli colleghi, nel rispetto di alcuni criteri e principi direttivi precisi, qualificanti e posti a garanzia del giovane. Tra questi principi ricordo, tra gli altri, la definizione di un monte ore di formazione, interno ed esterno all'azienda, adeguato al conseguimento del diploma di qualifica (non si tratta, quindi, delle 120 ore attuali, ma di quanto sarà ritenuto necessario allo scopo, a livello di ciascuna regione). Ricordo, inoltre, la certificazione dei risultati, il libretto formativo, la presenza di un tutor.
Già oggi la legge stabilisce, inoltre, che l'obbligo d'istruzione possa essere assolto anche mediante la frequenza di percorsi organizzati dalle strutture, pubbliche e private, del sistema della formazione professionale regionale. Non vedo una sostanziale differenza tra questa facoltà riconosciuta al giovane e la possibilità di completare, se lo vuole, il biennio di obbligo dopo il diploma di scuola media mediante un rapporto di apprendistato che, lo ripeto, non è quello vigente, ma quello prefigurato nella legge Biagi, la cui concreta applicazione è affidata al percorso indicato con grande chiarezza nel comma 4 dell'articolo 48. In sede di Comitato dei nove sarà possibile precisare meglio questo coordinamento normativo, ma il Governo e la maggioranza non intendono rinunciare al senso dell'emendamento, perché sono convinti di offrire in tal modo un'opportunità in più a dei giovani che si trovano in un passaggio molto critico e difficile, destinato a condizionare il loro futuro.
Ciò premesso, l'accusa di voler riportare a 15 anni l'età minima per l'accesso al lavoro è respinta al mittente. Il Governo, infatti, non intende modificare la norma che ha elevato a 16 anni tale soglia. A nessuno sarà consentito di fare l'operaio o l'impiegato a 15 anni. Chi vuole potrà fare, a quell'età, l'apprendista solo perché si riconosce a tale rapporto, lo ripeto ancora una volta, se riformato secondo quanto previsto, nelle procedure, nei principi Pag. 6e criteri direttivi, dal citato articolo 48 del decreto legislativo n. 276 del 2003, un contenuto prevalente d'istruzione e formazione.
Per noi è inaccettabile il disconoscimento del grande valore culturale e formativo intrinseco all'esperienza lavorativa. Il lavoro non è solo fatica, sudore e alienazione, ma anche e nello stesso tempo compiacimento dell'opera, realizzazione ed autenticazione di sé e delle proprie capacità, occasione di coesione sociale e relazionale. Chi lavora non è necessariamente un giovane che ha fallito nello studio; la teoria non è incompatibile con la pratica, la scuola con l'impresa.
Le statistiche, onorevoli colleghi, signor Presidente - e signor sottosegretario, mi sono dimenticato di citarla, ma ella sa quanta è la mia stima nei suoi confronti - confermano l'esistenza di un passaggio critico nel biennio che segue la conclusione della scuola media di primo grado. Il 13,6 per cento degli studenti è bocciato nei cinque anni della scuola secondaria, ma con una percentuale doppia nei primi due anni, mentre in ciascuno dei primi due anni delle scuole secondarie resi obbligatori dalla legge Fioroni una percentuale superiore al 40 per cento è rimandato a settembre con debiti. Il fatto che tra i quattordici e i diciassette anni oltre il 70 per cento degli studenti abbia dei problemi deve indurci a chiedere se non siano quanto meno inadatti i modi con cui la scuola, oggi, pretende di istruire e formare le nuove generazioni.
Concludo, signor Presidente, onorevoli colleghi, con una considerazione amara, perché la verità di tutto questo dibattito è un'altra: contro lo spirito delle leggi Biagi e Moratti si è scatenata la più gigantesca opera d'interdizione e di ostracismo ideologico mai vista nei 150 anni della storia delle politiche formative dell'Italia unita. Non vorremmo averne un'ulteriore prova adesso (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Cazzola, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

PASQUALE VIESPOLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, intervengo - riservandomi di farlo ulteriormente in sede di replica - soltanto per ribadire l'impostazione dei lavori in Commissione, sottolineata dal relatore, perché credo anche da parte del Governo sia necessario evidenziare il clima di confronto che si è determinato in quella sede e che, per quanto riguarda il Governo, come già ha detto il relatore, continuerà anche rispetto ai lavori dell'Assemblea e del Comitato dei nove per trovare quei punti di convergenza possibili rispetto ad un provvedimento di rilievo e di una importanza significativa, seppur difficile nel suo iter parlamentare (ma forse la materia si presta ad un confronto e a un dibattito approfonditi).
Da ultimo, confermo il riferimento del relatore al tema che è diventato oggetto di grande discussione, di grande dibattito e di grande confronto, quello relativo alla norma sull'apprendistato. Bene ha fatto il relatore a ribadire l'inquadramento della norma stessa all'interno del sistema dell'apprendistato previsto dalla cosiddetta legge Biagi (legge n. 30 del 2003). Si tratta di una forma di apprendistato che - va sottolineato e ribadito - non è tra quelle attualmente vigenti e operative: è una norma sostanzialmente ancora non attuata proprio perché è indispensabile il raccordo di carattere istituzionale e sociale.
La sottolineatura del relatore del dato della triennalità è importante perché rappresenta una risposta alla polemica a proposito dell'abbassamento dell'età per l'inserimento nel mondo del lavoro, perché proprio il senso di quel percorso significa il tentativo di intervenire rispetto ad una delle questioni aperte in tema di abbandono o di dispersione scolastica, o comunque di difficoltà in una certa fascia di età, con l'ambizione di consentire un percorso Pag. 7alternativo che eviti l'abbandono definitivo del percorso di istruzione e di formazione.
Da questo punto di vista si pone, viceversa, l'obiettivo di un ingresso nel mondo del lavoro non solo più tardi dei sedici anni, ma più qualificato, se si determina quella triennalità di percorso, ossia quell'interscambio tra istruzione e sistema delle imprese, tra lavoro e istruzione, che completa la finalità educativa che scuola e lavoro, istruzione e lavoro, devono cercare di realizzare in un segmento generazionale che ha una significativa difficoltà, come ci dicono tutti i dati e tutte le statistiche.
Da questo punto di vista, anch'io a nome del Governo, ribadisco la volontà di portare avanti tale obiettivo con le puntualizzazioni che magari si renderanno necessarie per sottolineare l'organicità dell'intervento e ribadisco quindi che non si tratta della pretesa di fare a meno del dialogo che sarebbe normativamente non consentita da parte del Governo. Tutt'altro: si tratta di utilizzare l'occasione di questa circostanza per rinnovare un dialogo istituzionale e sociale che sinora non ha prodotto alcun risultato riguardo proprio all'apprendistato previsto dalla legge Biagi. Il Governo dunque intende portare avanti questo confronto e questo dibattito con lo spirito di cui parlavo all'inizio, vale a dire con un'apertura al dialogo e al confronto, nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a snodi fondamentali ed importanti che non appartengono soltanto alla responsabilità di un Governo.
Signor Presidente, mi permetterà di ringraziare sin da ora il relatore e il presidente della Commissione, la maggioranza, ma anche i parlamentari dell'opposizione, per l'importanza e la qualità del lavoro che si è sviluppato in sede di Commissione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Istituto comprensivo Vincenzo Solimene di Sparanise (Caserta), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, cercherò di inquadrare il provvedimento all'interno di una realtà che credo non sfugga ai più ma, purtroppo, a qualcun altro sfugge. Infatti, è difficile discutere e confrontarsi su temi e problemi di cui la gran parte degli italiani ha contezza nel modo e nella misura in cui lo fanno la maggioranza e il Governo.
Non ho intenzione di polemizzare e non sono tra quelle persone che chiedono necessariamente e a tutti i costi il dialogo (è di moda infatti nella politica attuale chiedere il dialogo). Chiedo al Governo un confronto parlamentare che tenga conto anche delle istanze dell'opposizione, ma non in questi termini: infatti, questi sono termini riduttivi, che non consentono in alcun modo di introdurre elementi, non necessariamente di novità, ma di stabilità all'interno di un contesto che, invece, richiede - perché lo richiede la realtà e ancor prima lo disciplina l'Europa - un intervento serio in materia di lavoro. Quindi, le deleghe chieste da parte del Governo rappresentano interventi a macchia di leopardo per i quali ci si può rallegrare per alcuni aspetti e si può essere d'accordo per alcuni titoli come la delega al Governo per lavori usuranti. Tuttavia, da qui ad essere d'accordo con l'intera manovra ce ne corre, perché altri sono i problemi e altre sono le profondità e la quantità delle problematiche messe in campo.
Vorrei anche ricordare ai colleghi della maggioranza, al Governo e ai colleghi dell'opposizione qual è lo stato dell'arte del mercato del lavoro. In Italia sommando, come fa la CGIL, ma anche il servizio studi della Banca d'Italia, i disoccupati veri e propri insieme ai cassaintegrati e addirittura ai cosiddetti scoraggiati, che voi non conteggiate nelle vostre analisi, il quadro sarebbe a dir poco drammatico, al di là della maggiore o minore correttezza scientifica dell'operazione di quantificazione che operano questi due istituti fondamentali per la nostra nazione.
Ci dice ancora quante poche speranze di utili interventi si possano nutrire nel Governo Berlusconi, da parte di tutti coloro Pag. 8che hanno perduto o rischiano di perdere il proprio posto di lavoro. A fronte di un Governo - che, peraltro, io definisco mediatico - che continua a privilegiare gli annunci a scapito del confronto con i problemi posti dalla realtà quotidiana, l'Italia è di fronte ad un dato incontrovertibile, ossia che la disoccupazione, quella vera e propria, ha superato l'8,3 per cento, come anche il servizio studi della Banca d'Italia ci conferma. Sempre il servizio studi della Banca d'Italia fa presente che, per avere un quadro della forza lavoro disponibile ma non utilizzato, occorre prendere in considerazione anche la massa dei cassintegrati e di coloro - gli scoraggiati, come dicevo prima - che hanno perso anche la voglia di cercare un posto di lavoro, per un totale di oltre 2 milioni e mezzo di persone, che porterebbero, così calcolato, il tasso di disoccupazione non all'8,3 per cento come voi fate, bensì a quello più realistico, più concreto e meno viziato dai dati mediatici del 10,2 per cento.
Quindi per l'Italia non bisogna parlare dell'8,3, bensì del 10,2 e quest'ultimo numero ci riallinea - mi dispiace per l'Italia, ma vi richiamo ad un dato di concretezza e di serietà - e vi riallinea, sotto il profilo della comunicazione e della serietà, alla media europea e fa perdere al Governo il suo argomento secondo cui l'autorità statistica certifica che nel nostro Paese la disoccupazione non è in linea con gli altri Paesi europei. Ciò credo che sia una cosa assolutamente inquietante sotto il profilo della serietà di un Governo che si dice disposto a cambiare le cose, pronto all'innovazione, pronto a dare risposte in termini di lavoro soprattutto alle nuove generazioni.
Quindi è un Governo impegnato solo a difendere la propria immagine, incurante di questo 10 per cento e del fatto che si riflette soltanto una parte della realtà e del dramma dell'occupazione. Fatti salvi i fondi stanziati per la cassa integrazione guadagni - e ci mancherebbe altro che voi non aveste stanziato questi fondi: è il minimo che si potesse fare, sia nella quantità sia nella qualità! -, questo Governo non ha alcuna idea e neppure intenzione di darsi da fare per affrontare i quesiti sociali che il nuovo anno sta portando alla ribalta, anche in maniera cruda e più estesa.
Lo dico perché alcuni elementi dovrebbero fare riflettere il Governo su una crisi che lascerà un'economia reale più povera ed anche più polarizzata. Vi sono anche le alternative, che il Governo non vede, ossia il fatto che vanno reinventate le politiche industriali e quelle per l'occupazione. Evidentemente da parte del Governo non vi è la voglia di quello che chiamavo un confronto parlamentare serio, profondo, utile al Paese; non c'è la volontà se non quella di passare attraverso gli schermi televisivi, come fa il Ministro Brunetta, che ormai è abituato agli scoop e non si rende conto del grave danno che crea soprattutto alle nuove generazioni e alla credibilità non solo del Governo, in questo caso, ma dell'intero sistema Paese. Toglie credibilità anche alla maggioranza e al Parlamento degli italiani e da questo noi vorremmo chiamarci fuori, perché non vogliamo entrare in questa ottica, né la vogliamo sostenere, né la vogliamo giustificare.
Ma voglio anche dire qualcosa in più: quando un noto «comunista» italiano, famoso anche a livello internazionale, che corrisponde al nome di Mario Draghi, dice che bisogna rafforzare il sistema degli ammortizzatori sociali, con benefici per l'efficienza produttiva a tutela dei lavoratori e dell'equità sociale, di questo il Governo non tiene conto. In Italia - lo ricordo - vi è un esercito di 1.200.000 lavoratori dipendenti che, se perdessero il lavoro, non avrebbero alcuna copertura. A questi vanno aggiunti i 450.000 parasubordinati, che pure sarebbero privi di sussidio, per un totale di un 1.650.000.
Se questi dati - che non sono solo numeri, perché dietro di essi vi sono persone in carne ed ossa, famiglie, storie personali, vite spezzate - non fanno tremare le vene nei polsi, evidentemente, siamo di fronte ad un Governo che ha perso il lume della ragione e non si rende conto di ciò che sta accadendo in Italia. Pag. 9
Credo che sia necessario iniziare a parlare anche di alcuni elementi fondamentali, come diceva il relatore, che è persona che apprezzo e stimo, perché non spreca mai le parole. Tuttavia, stiamo parlando di un provvedimento molto importante - che ha impiegato un anno di tempo per tornare, di nuovo, all'esame di questo ramo del Parlamento - che riguarda le deleghe al Governo.
Vorrei ricordarne alcune: la possibilità di accesso anticipato al trattamento pensionistico per i lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psicofisico (le cosiddette attività usuranti di cui ha parlato il relatore); la riorganizzazione di una serie di enti vigilati dal Ministero del lavoro e la ridefinizione del rapporto di vigilanza del medesimo Ministero sugli stessi enti; il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi, comunque denominati, fruibili dai dipendenti pubblici e privati.
Con il provvedimento in discussione, viene, inoltre, disposta la proroga dei termini per l'esercizio delle deleghe in materia di ammortizzatori sociali, servizi per l'impiego, incentivi all'occupazione, apprendistato e occupazione femminile, già conferite dalla legge n. 247 del 2007. Sono, altresì, previste misure per contrastare il lavoro sommerso. Sugli ultimi due punti relativi agli articoli 48 e 50 tornerò in seguito.
Il provvedimento prevede ulteriori misure che riguardano, in particolare, il contrasto del lavoro sommerso, la conciliazione e l'arbitrato nelle controversie di lavoro, l'agenzia del lavoro, il lavoro a termine, l'apprendistato, il lavoro a progetto, la somministrazione del lavoro, nonché il personale delle università, della sanità, della difesa e delle forze dell'ordine.
La novità concerne la previsione che il contratto di apprendistato possa assolvere all'obbligo scolastico. Nell'emendamento presentato, infatti, si legge che l'obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione. In altri termini, è stato abbassato il limite scolastico obbligatorio di sedici anni, consentendo, a chi lo volesse, di iniziare a lavorare come apprendista già a quindici anni, e questo varrà come se si fosse in classe.
Lo scopo della disposizione, secondo il Ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, non è di anticipare l'età del lavoro - sono parole testuali -, ma recuperare tutti coloro che non proseguono gli studi, inserendoli in una nuova modalità di apprendimento direttamente calata nel contesto lavorativo.
Ebbene, se i giovani sono il nostro futuro e se l'occupazione ed il superamento della crisi sono i principali obiettivi di questo Governo, è evidente che il citato emendamento va contro tutto e che siamo di fronte all'ennesima e sostanziale contraddizione. Non si può discutere di un disegno di legge collegato alla manovra finanziaria che riguarda il lavoro, se non siamo in grado di garantirlo nei giusti tempi, nei giusti modi e con le giuste risorse.
La grande sfida che oggi l'Italia deve raccogliere consiste nell'evitare che la disoccupazione aumenti, nel promuovere la creazione di posti di lavoro, nell'aprire la via al rinnovamento dell'economia, alla ripresa e alla crescita sostenibili. Questo sarà possibile soltanto se vi sarà una maggiore cooperazione fra tutte le parti in causa, un miglior coordinamento delle politiche e se ciascuno saprà imparare dagli altri: se vi sarà, cioè, un impegno comune per definire e mettere in atto le politiche e le iniziative adatte. È necessario conservare posti di lavoro duraturi in attività economiche sane e dare modo a tutti di accedere a impieghi produttivi, aiutare le persone più vulnerabili e preparare ai lavori e alle competenze del futuro.
Con la strategia di Lisbona, l'Unione europea ha messo in evidenza come la creazione di posti di lavoro debba basarsi su politiche attive del lavoro, su un quadro macroeconomico sano, su investimenti nelle competenze, nella ricerca e nelle Pag. 10infrastrutture, su una migliore regolamentazione e sulla promozione dell'imprenditoria e dell'innovazione.
L'istruzione e la formazione devono essere più in sintonia con i bisogni del mercato del lavoro. Anche nei settori tradizionali dell'economia, i giovani devono possedere le competenze specifiche per cogliere le attuali possibilità d'impiego e le competenze generali per adattarsi ad un mercato del lavoro in rapida evoluzione. Il mancato riconoscimento di competenze acquisite per mezzo di un apprendimento informale ostacola la possibilità di impiego.
Il dialogo sociale ha un ruolo importante nella definizione, nell'acquisizione e nel riconoscimento delle competenze, specie nei settori economici emergenti. Per sfruttare le opportunità di ripresa e promuovere l'innovazione sociale, è essenziale identificare le attuali e future necessità di competenze e, come previsto nell'iniziativa europea, nuove competenze per nuovi lavori. Infatti, credo che, forse, nella maggioranza, come anche nel Governo, qualcuno non ne faccia utilizzo.
In alcuni Stati membri organismi di settore sull'occupazione e sulle competenze già contribuiscono a riunire le imprese, le parti sociali e le autorità pubbliche, per identificare i futuri bisogni. Partenariati tra università e imprese mirano a migliorare lo sviluppo dei programmi di studio, l'imprenditorialità e il trasferimento delle conoscenze. Queste iniziative dovrebbero diventare una pratica generale e fornire la base per i piani di istruzione e formazione.
La necessità di modernizzare l'istruzione e la formazione non riguarda solo l'istruzione iniziale. È dimostrato che, per le imprese che non offrono una formazione ai lavoratori, la probabilità di finire fuori dal mercato è doppia rispetto alle imprese che la offrono. Soprattutto le piccole e medie imprese e le imprese innovative hanno spesso bisogno di aiuti mirati in quanto, più delle grandi aziende, hanno esigenze particolari in fatto di competenze e sono gravate da maggiori vincoli finanziari. Meccanismi comuni di finanziamento, partecipati da autorità pubbliche, aziende e parti sociali, potrebbero contribuire a sostenere e accrescere la partecipazione alla formazione.
Dato che, in conseguenza della crisi economica, le opportunità di lavoro si sono ridotte, chi conclude ora gli studi, rischia periodi di disoccupazione o inattività che possono compromettere le possibilità occupazionali anche dopo la ripresa. Senza competenze di base, che troppo spesso mancano, è anche più difficile trovare un lavoro. I giovani che cercano di entrare nel mercato del lavoro hanno bisogno dell'appoggio migliore possibile nella forma di stage aziendali, formazione pratica collegata al lavoro o accesso a ulteriori percorsi di studio, al fine di acquisire le competenze necessarie per accedere in futuro, con successo, al mercato del lavoro.
Questo aiuto può consistere nel mantenere e sviluppare, nonostante la crisi, possibilità di apprendistato in aziende private nel settore pubblico, nel quadro di obiettivi nazionali opportunamente definiti, maggiori possibilità di mobilità nei percorsi di apprendimento anche per gli apprendisti, per l'istruzione e la formazione professionale e i tirocinanti laureati: un'azione risoluta per ridurre il numero di giovani che lasciano prematuramente gli studi e con un livello insufficiente di competenze.
Questo è il Governo della flessibilità e, dunque, è necessario ed opportuno riportare il testo esatto della comunicazione della Commissione europea, in cui sono esposti i quattro princìpi della flessicurezza. La flessibilità, da un lato, ha che fare con momenti di passaggio - cosiddette transizioni - che contrassegnano la vita di un individuo, dal mondo della scuola a quello del lavoro, da un'occupazione all'altra, tra la disoccupazione o l'inattività, e dal lavoro al pensionamento. La flessibilità non comporta soltanto una maggiore libertà, per le imprese, di assumere o licenziare, e non implica che i contratti a tempo indeterminato siano un fenomeno obsoleto; essa significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la Pag. 11mobilità ascendente, lo sviluppo ottimale dei talenti; la flessibilità, infine, riguarda anche organizzazioni del lavoro flessibili, capaci di rispondere con efficacia ai nuovi bisogni e alle nuove competenze richieste dalla produzione; essa riguarda anche una migliore conciliazione tra lavoro e responsabilità private.
La sicurezza, dall'altro lato, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il posto di lavoro; essa ha anche a che fare con adeguate indennità di disoccupazione per agevolare le transizioni; comprende, inoltre, opportunità di formazione per tutti i lavoratori, soprattutto per quelli scarsamente qualificati e per i lavoratori anziani.
L'assemblea plenaria del Comitato economico e sociale europeo - il CESE - del 30 settembre e 1o ottobre del 2009, apertasi con un dibattito sull'occupazione e la formazione professionale nel contesto della crisi economica e con un discorso del Presidente Barroso, ha detto alcune cose importanti. Nel parere che ha emesso, ha sottolineato gli aspetti della flessicurezza da essa ritenuti, in questo periodo di crisi, particolarmente importanti per mantenere sul mercato del lavoro il maggior numero di persone e per offrire, a quelle che ne stanno fuori, il massimo di opportunità per trovare al più presto una nuova occupazione. Datori di lavoro e lavoratori devono collaborare nel quadro di un dialogo sociale - questo sì, di un dialogo sociale - per assicurare che il massimo numero possibile dei lavoratori resti sul mercato del lavoro.
In questo periodo di profonda crisi e di forte crescita della disoccupazione, è più che mai necessario che la flessicurezza non venga interpretata come un insieme di misure studiate per rendere più facile il licenziamento dei lavoratori attualmente attivi, né per mettere a rischio la protezione sociale in generale, e più specificamente quella a favore dei disoccupati.
Le misure intese a migliorare la componente sicurezza, nel senso più ampio della flessicurezza, sono in questo momento la priorità. Il CESE sottolinea, inoltre, che le riforme del mercato del lavoro negli Stati membri devono evitare il continuo aumento dei posti di lavoro precari. Il CESE sottolinea, altresì, che la stessa flessicurezza può funzionare soltanto se i lavoratori hanno una buona formazione professionale e che la creazione di nuovi posti di lavoro è strettamente legata alle nuove competenze.
L'attuale crisi ha evidenziato l'importanza delle misure relative alla flessicurezza interna, che consentono alle imprese di adattarsi al forte declino del volume degli ordinativi senza essere costrette a licenziare i dipendenti.
Le parti sociali devono promuovere dispositivi di recupero per la prestazione delle ore di lavoro e la gestione flessibile dell'orario lavorativo, strumenti che devono essere resi quanto più possibile attraenti per le imprese e i lavoratori.
La crisi evidenza, altresì, l'importanza del dialogo sociale. Gli ultimi mesi hanno mostrato il grande impegno delle parti sociali a trovare soluzioni congiunte a questo problema urgente. A livello europeo, le parti sociali stanno attualmente negoziando un accordo quadro sui mercati del lavoro inclusivi, un accordo futuro che possa avere valore aggiunto per aiutare le persone più vulnerabili che hanno perso lavoro durante la crisi a rientrare sul mercato del lavoro.
Tenuto conto delle specificità nazionali e regionali e delle differenze tra i settori industriali, secondo gli auspici del CESE, l'Unione europea dovrebbe proseguire i suoi lavori in una prospettiva europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà. È necessario delineare un processo post-Lisbona, Lisbona 2010 plus, per dare una risposta agli interrogativi irrisolti e a quelli che emergeranno durante la crisi.
A questo riguardo, la flessicurezza rivestirà certamente un ruolo importante. Occorre trovare, quindi, nell'applicazione della flessicurezza un punto di equilibrio tra le sue diverse dimensioni.
Oggi la preoccupazione principale di ciascuna impresa è quella di assicurarsi la sopravvivenza. Per i lavoratori interessati è essenziale rientrare sul mercato del lavoro non appena possibile. Il CESE sottolinea la Pag. 12necessità di offrire loro solo un'assistenza rapida e di qualità. Gli Stati membri, dal canto loro, dovrebbero seriamente pensare a migliorare la quantità e la qualità del personale delle agenzie di collocamento per aiutare le persone a rientrare quanto prima sul mercato del lavoro.
Con l'emendamento sull'apprendistato a partire da 15 anni si tende ad azzerare del tutto la possibilità di tenere dentro un percorso formativo esattamente quegli studenti che, più deboli culturalmente e socialmente, hanno bisogno di acquisire sapere e competenze per uscire dalla loro iniziale condizione di emarginazione. La scuola tornerebbe ad essere, così, quell'ospedale che cura i sani e respinge i malati, come Don Milani denunciò negli anni sessanta.
In Italia l'apprendistato è una modalità di accesso al lavoro che, purtroppo, ha incontrato finora enormi difficoltà nell'attuazione proprio di quella parte del contratto che impone, oltre al lavoro, la frequenza di ore di formazione. Di fatto, a trarre beneficio da questa tipologia contrattuale sono state finora prevalentemente le aziende, che risparmiano sia sul versante salariale - gli apprendisti sono inquadrati ad un livello inferiore rispetto agli altri lavoratori e ricevono comunque una retribuzione anche quando l'inquadramento è lo stesso - sia sul versante previdenziale, poiché è lo Stato a pagare i contributi obbligatori in luogo delle imprese. Decisamente pochi sono, invece, gli apprendisti che partecipano alle ore di formazione.
Non solo, i futuri quindicenni apprendisti rischiano, oltre al danno, anche la beffa, perché se l'apprendistato fra i 15 e i 16 anni fosse considerato una modalità formativa potrebbero vedersi negato il salario che spetta di diritto ai lavoratori e non agli studenti.
Non regge neppure il confronto con altri Paesi europei, come la Germania, la Svizzera, il Belgio e, in parte, anche la Francia. In quei Paesi, si parla di un apprendistato scolarizzato, metà scuola e metà lavoro, nel quale l'attività lavorativa vera e propria inizia solo dopo il sedicesimo anno di età e funziona soprattutto per garantire l'obbligo fino a 18 anni e non fino a 16 anni.
Stiamo parlando di diritti di minorenni che sarebbero, in questo modo, condannati a rimanere nelle stesse condizioni di marginalità sociale e culturale di partenza. Si realizzerebbe così un'operazione sociale e culturale che allontana le fasce più deboli dalla scuola per segmentare nuovamente non solo la scuola, ma anche la società. Lo stesso sistema democratico ne uscirebbe ulteriormente indebolito, perché la partecipazione attiva alla vita sociale in una società complessa come la nostra richiede sapere e competenze più forti e consolidati rispetto a quelli necessari in epoche a noi lontane.
I giovani devono essere posti al centro della strategia, considerato che gli strumenti più efficaci per raggiungerli sono l'animazione socio-educativa e la partecipazione alle strutture per la gioventù. Valutare e migliorare la qualità dell'animazione socio-educativa deve essere, quindi, la priorità.
Inoltre, bisogna adottare misure per aumentare le opportunità di lavoro e consentire ai giovani di conquistare la propria autonomia.
In conclusione, voglio anche soffermarmi sull'articolo 48 dove si parla degli ammortizzatori sociali, perché credo che rispetto a questo tema qualche riflessione dobbiamo farla.
Credo che passare da 12 a 36 mesi quando vi è l'urgenza che richiamavo all'inizio del mio intervento e, quindi, prendersi ancora tutto questo tempo per intervenire senza vere strategie significa portare avanti il calvario dei tanti che stanno uscendo dal mondo del lavoro e non creare le condizioni per quanti si stanno accingendo ad entrarvi.
Inoltre, credo che rispetto a questo provvedimento, nella parte relativa all'apprendistato, bisogna porre in essere un altro tipo di intervento. Ritengo che forse una legge-quadro sulle politiche attive del lavoro sarebbe stato il rimedio utile e necessario attraverso un confronto nella Pag. 13Commissione, nel Parlamento e anche con le forze sociali presenti nel nostro Paese.
Se ogni volta parliamo di argomenti così importanti e poi li disperdiamo attraverso i collegati o con emendamenti ai provvedimenti più strani evidentemente non abbiamo un'idea organica di ciò che si dovrebbe fare per questa Italia e per le politiche attive del lavoro. Dunque, occorrerebbe un intervento con una legge specifica o con una legge-quadro non polverizzata in tutte queste situazioni.
Voglio terminare il mio intervento affermando che questo provvedimento mi sembra collegato a tutto tranne che alla realtà. Non mi sembra affatto un provvedimento all'altezza delle ambizioni di questo Governo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedriga. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, ci troviamo nuovamente a discutere del collegato, relativo al lavoro, alla legge finanziaria dopo un periodo di tempo non indifferente, cioè da quando abbiamo esaminato tale provvedimento in prima lettura in questa Camera. Il Senato ha apportato, come ricordava il relatore, diverse modifiche importanti che, all'interno della Commissione, abbiamo analizzato e valutato con estrema attenzione.
Vorrei soltanto ribadire quanto già nella precedente discussione era stato sottolineato, vale a dire l'importanza della norma relativa ai lavori usuranti. Si tratta di un impegno che i Governi, anche di diverso colore politico, si sono assunti. Finalmente, in questa occasione questo Governo e questa maggioranza tentano di mettere in atto - anzi vogliono mettere in atto e ci riusciranno - tale impegno perché è un diritto che i lavoratori che svolgono attività particolarmente difficoltose hanno e che dobbiamo loro garantire. Tuttavia, non voglio soffermarmi troppo su questo argomento appunto perché già nella precedente discussione ne abbiamo parlato.
In questa introduzione al mio intervento vorrei ringraziare i colleghi, sia di maggioranza sia di opposizione. Questi ultimi in modo costruttivo - all'interno della Commissione e durante i lavori - hanno portato il loro contributo e credo - e lo riconosceranno anche loro - che la stessa maggioranza lo abbia apprezzato e ne abbia anche colto i risultati in alcune occasioni.
Signor Presidente, vorrei ricollegarmi al precedente intervento del collega Di Stanislao che ha trattato diversi punti, parlando in generale sui principi della formazione. Questi spunti sicuramente sono condivisibili forse anche per l'astrattezza del discorso, anche se credo che questa maggioranza sia entrata nella concretezza.
Infatti, mi sembra veramente particolare accusare, per quanto riguarda l'emendamento sull'apprendistato, di voler diminuire di un anno l'obbligo scolastico. Questa misura va proprio nella direzione opposta e intende ottimizzare le risorse e le peculiarità che ogni singolo studente e che ogni singolo giovane ha per dargli un futuro anche lavorativo. Credo che ciò costituisca un arricchimento per il giovane. Ricordo che stiamo parlando esclusivamente dell'ultimo anno dell'obbligo scolastico, cioè dai 15 ai 16 anni. In questo modo i giovani possono apprendere e, allo stesso tempo, continuare chiaramente il percorso di istruzione. Dunque, allo stesso tempo apprendere con un apprendistato all'interno dell'azienda e, cioè, da chi produce e realmente svolge quel lavoro, imparando le modalità con cui svolgere quella particolare attività.
In questo modo si riescono ad introdurre i giovani nel mercato del lavoro, facendoglielo conoscere, facendoli formare e facendo imparare loro una professione e, al contempo - chiaramente questo è un augurio - ritengo che i giovani più meritevoli, finito l'espletamento dell'obbligo scolastico e quindi dell'apprendistato, potranno anche rimanere nell'azienda che si è trovata bene con loro.
Quindi, non vedo perché attaccare a priori la maggioranza su questa norma che credo invece possa essere utile e vada proprio nella direzione di coniugare l'istruzione con il mondo dell'impresa, Pag. 14esattamente la stessa cosa che il collega Di Stanislao ha affermato e che però, dal mio punto di vista, ha successivamente contraddetto schierandosi contro questa norma.
Noi, invece, vogliamo andare nel senso giusto, ossia quello dettato dalla ragione di chi vuole un tessuto sociale giovanile che continui il percorso di studi, ovviamente secondo le proprie volontà e le proprie inclinazioni, ma che al contempo abbia l'opportunità di scegliere una via alternativa, che non vuol dire una diminuzione delle possibilità di istruzione per i nostri giovani.
Oltre a questo, e concludo nel ricollegarmi all'intervento del collega che mi ha preceduto, vorrei rassicurarlo - e mi dispiace che non l'abbia ancora colto - che il Governo e la maggioranza hanno assolutamente accolto le istanze e le esigenze delle opposizioni, per quanto chiaramente lo ritenevano opportuno, e sicuramente hanno ascoltato in toto e dimostrato in toto una grande disponibilità al confronto e al dialogo.
Dispiace anche, dopo aver sentito le parole del Governo nella persona del sottosegretario Viespoli che ha nuovamente rimarcato questa disponibilità, che il primo intervento in quest'Aula in discussione generale abbia accusato dell'esatto opposto. Dispiace, a questo punto, confrontarsi e dire una cosa e poi dopo volerla per forza strumentalmente contraddire quando non ve ne è alcun tipo di bisogno.
Questo lo dico anche perché spero che nella discussione in Aula e all'interno del Comitato dei nove invece i lavori possano andare bene, esattamente come avvenuto in Commissione, e mi auguro che non ci troveremo di fronte a posizioni dettate esclusivamente dall'opportunità di visibilità politica e non invece da un'opportunità di legiferare bene per i nostri cittadini e per il Paese.
Mi ricollego invece adesso, signor Presidente, alle modifiche apportate al Senato, probabilmente anche anticipando delle osservazioni che arriveranno dall'opposizione, considerato anche il dibattito in Commissione, e in particolar modo le opinioni espresse dal gruppo della Lega. Si tratta di modifiche che ovviamente condivido e che ritengo possano essere utili anche per definire un percorso nei futuri provvedimenti riguardo al mondo del lavoro e della rappresentatività sindacale.
Intanto, come premessa, vorrei sottolineare che la Lega Nord ritiene sia fondamentale una riforma complessiva e generale della rappresentanza sindacale. Bisogna andare veramente a vedere quali sono i sindacati rappresentativi, chi rappresenta realmente i lavoratori e se ha il consenso dei lavoratori per poter svolgere questo lavoro.
Bisogna finirla con dichiarazioni più che approssimative - non utilizzo altri aggettivi che sarebbero molto più drastici - che vanno ad individuare la rappresentatività dei diversi sindacati e delle diverse sigle sindacali. Credo che riguardo a questa tematica bisogna apportare delle modifiche e su questo, chiaramente in piccola parte, ma secondo me in modo importante, è già stato fatto qualcosa attraverso le modifiche apportate al Senato quando si parla anche di sindacato territoriale.
Parliamo di rappresentatività territoriale - mi rivolgo, in particolar modo, al collega Damiano del quale rispetto moltissimo le posizioni anche se molte volte non ci troviamo con lo stesso pensiero - perché credo che dobbiamo dare rappresentatività e forza ai sindacati che sono rappresentativi dei veri lavoratori, e non di numeri su un pezzo di carta, e che sono rappresentativi della loro volontà.
Riteniamo che questo debba partire proprio dal basso e dal territorio, anche per quanto riguarda - come la politica della Lega ha più volte rimarcato in passato - il sindacato.
Su questo, se ci sono delle perplessità per l'autonomia che possono avere questi sindacati, propongo di andare ad intervenire sulla maggiore autonomia dalla controparte all'interno della contrattazione sindacale, ma non diciamo che non debbono esistere oppure che è necessario depotenziare e rendere innocui quei sindacati che possono avere una rappresentatività Pag. 15territoriale semplicemente per queste paure. Altrimenti facciamo un lavoro che va a danno di chi realmente è a contatto ogni giorno col collega che rappresenta, perché non è vero che esistono solo le sigle che tutti conosciamo della triplice o dell'UGL, ma ce ne sono molte che debbono, anche nella riforma della rappresentatività sindacale, essere valorizzate. Occorre dare loro tutti gli strumenti perché possano lavorare al meglio per i nostri lavoratori.
Oltretutto, signor Presidente, cambiando discorso, vi è un altro emendamento che riteniamo particolarmente importante. Lo dico in questa fase di discussione sulle linee generali perché vorrei rimarcarlo anche al Governo per il lavoro che verrà svolto in Assemblea. L'emendamento in questione riporta la possibilità di destinare il 2 per cento degli stanziamenti che gli enti locali destinano per i progetti. Tale quota può essere utilizzata per incentivare l'utilizzo di risorse umane interne agli enti locali. Si tratta di un emendamento che ha presentato la Lega per stabilire questo principio. Riteniamo che sia particolarmente importante e siamo sicuri che questo Governo e questa maggioranza lo riterranno tale anche in Assemblea, in questa terza lettura del provvedimento.
Infine, signor Presidente, vorrei anche ricordare gli emendamenti che la Lega ha presentato e che sono stati approvati nella XI Commissione (lavoro). Quello che riteniamo più importante riguarda una equiparazione del trattamento previdenziale tra vigili del fuoco volontari e in servizio permanente. Tale operazione ha due principali obiettivi: equiparare la pensione per i familiari dei volontari deceduti per cause di servizio tra volontari e personale permanente e, allo stesso tempo, equiparare il trattamento di infortunio invalidante e grave malattia tra queste due categorie di vigili del fuoco. È chiaro che questo è un criterio di giustizia: persone che volontariamente si mettono a disposizione della collettività riteniamo che debbano avere, soprattutto chiaramente in questi casi di avvenimenti tragici, la stessa dignità e gli stessi diritti che ha il personale permanente.
È stato approvato anche un altro emendamento, invece, che può sembrare - ed è probabilmente così - meno importante dal punto di vista sociale, ma sicuramente può aiutare molto nell'espletamento in questo caso delle funzioni dell'INAIL. A questo proposito, ricordo brevemente la situazione allo stato attuale dei fatti. Chiediamo il riordino del casellario centrale infortuni, dal momento che è stata attribuita alla struttura la gestione delle banche dati degli infortuni con danni alla persona. L'emendamento, invece, intende ottimizzare l'organizzazione del casellario con una miglior snellezza operativa e autonomia funzionale. Questo perché noi riteniamo che anche questi emendamenti, che chiaramente entrano nel merito molto specifico, possano, come la Lega e il Ministro Calderoli (per quanto riguarda le sue competenze) stanno facendo, andare a migliorare l'efficacia dell'azione degli enti pubblici e, al contempo, snellire delle pratiche che evidentemente solo per problemi burocratici e di una mancata organizzazione strutturale vanno a rallentare e a costare di più al pubblico e alle casse pubbliche, chiaramente con l'impiego di più personale e di più uffici che contemporaneamente lavorano sulla stessa materia.
Signor Presidente, vorrei concludere l'intervento rimarcando due questioni che all'interno della Commissione sono rimaste irrisolte e che sicuramente tratterremo nel Comitato dei nove sperando di trovare una soluzione. Mi riferisco all'articolo 45, sul quale tra l'altro il relatore ha già dato la sua disponibilità per rivedere il limite d'inoppugnabilità all'INPS da due a tre anni. Faccio una premessa. C'era già un emendamento soppressivo della Lega Nord che è stato ritirato, ma riteniamo comunque che l'impegno ad aumentare i termini possa coniugare le due esigenze, quella che viene fuori dal testo uscito dal Senato di agevolare l'INPS senza creare dei costi aggiuntivi, e al contempo quella di tutelare il lavoratore. Pag. 16
Infine, Presidente, c'è un altro emendamento che era stato dichiarato inammissibile al vaglio degli emendamenti in Commissione; adesso mi auguro che, viste anche le modifiche avvenute all'interno del testo dopo il mandato dato al relatore dalla Commissione, possa essere invece dichiarato ammissibile: riguarda il personale marittimo - vedo che il sottosegretario conosce bene l'argomento - che ha avuto contatto con l'amianto. Si tratta di capire chi ha diritto di avere i benefici previdenziali. Cosa succede attualmente, Presidente? Esiste già una normativa, esistono dei regolamenti che però purtroppo non possono essere applicati, malgrado la buona volontà di tutti, prima di tutto del Governo; ne ho prova perché proprio in questi giorni ho colloquiato con i rappresentanti del Governo e degli uffici dei Ministeri che si rendono conto e condividono il problema. Attualmente succede che il personale marittimo, per avere i benefici previdenziali, deve presentare un curriculum lavorativo affinché gli vengano riconosciuti. Nel caso in cui la società per cui lavorava il lavoratore, l'armatore, non sia più attiva, il curriculum lavorativo viene ricostruito dall'ispettorato del lavoro e dunque la procedura va avanti come previsto dalla legge. Il fatto grave è quando l'armatore è ancora attivo, perché le società, dal loro punto di vista comprensibilmente, non procedono alla ricostruzione di un curriculum che nella sostanza ammetterebbe la loro responsabilità nell'aver fatto lavorare il proprio personale a contatto con l'amianto, con il rischio di cause conseguenti. Quindi il lavoratore non ha la possibilità di dimostrare che ha lavorato a contatto con l'amianto.
Il nostro emendamento, e di questo ne prendo atto vista la mia poca competenza in materia di bilancio e di copertura, ci dicono che ha bisogno di una copertura. Esso infatti prevede che al posto del curriculum lavorativo possa essere presentato il libretto di navigazione che certifica le navi e il periodo in cui si è lavorato. Su questo gli uffici ci dicono che c'è bisogno di una copertura in quanto si amplierebbe la platea di beneficiari, perché si renderebbero più facili le procedure. Io dico che si tratta di un diritto soggettivo del lavoratore che ha messo a rischio la propria salute, ci sono dei casi di persone decedute o con gravi malattie per il lavoro che hanno svolto. Dunque penso che ci sia bisogno di un impegno comune, e sono convinto che avremo l'appoggio dei gruppi dell'opposizione oltre che di quelli di maggioranza, per risolvere questa annosa questione che ormai da troppi anni si porta avanti. Credo che sia meglio una norma in meno e rinviarla agli anni successivi quando c'è la garanzia di copertura, piuttosto che, com'è stato fatto purtroppo in passato, dare una copertura che in realtà non garantisce realmente i diritti che ogni singolo lavoratore ha maturato e deve avere (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, come è stato detto giustamente dall'onorevole Cazzola, accanto al giudizio negativo che noi abbiamo espresso su questo provvedimento, c'è stato anche un apprezzamento del lavoro svolto in Commissione, che va ben collocato ed interpretato, un apprezzamento che, diciamo così, avviene in tempi nei quali il «normale» diventa straordinario. Come opposizione, infatti, ci sembra straordinario che ogni tanto si possa svolgere una buona discussione, che si possano produrre anche modesti risultati. Di solito ciò non avviene perché il dibattito è molto strozzato, impedito dal ritmo con il quale a colpi di fiducia si porta avanti l'azione politica da parte del Governo. Quindi, abbiamo apprezzato la possibilità di fare qualche modifica, per noi positiva, ma in un quadro di giudizio negativo per quanto riguarda l'azione del Governo sui temi del lavoro.
Il provvedimento in esame, l'A.C. n. 1441-quater-C, dal nostro punto di vista rappresenta, per il momento, l'ultimo anello di una lunga catena di diminuzione delle tutele del lavoro che inizia dal momento dell'insediamento del Governo, con Pag. 17i primi decreti-legge del 2008: dal primo decreto sull'emergenza rifiuti in Campania del maggio 2008, a quello sul potere d'acquisto delle famiglie sempre dello stesso mese, alla proroga dei termini delle norme relative alla sicurezza sul lavoro del giugno di quell'anno, alla manovra finanziaria sempre del 2008. Quindi, noi non vogliamo leggere questo provvedimento come un fatto a sé, ma come il risultato di un disegno che lentamente si compie, un disegno organico, logico nel quale si persegue l'obiettivo dell'abbassamento delle tutele.
Questo Governo non sceglie più l'attacco frontale, l'abbiamo visto nel primo Governo Berlusconi del 1994 sulle pensioni oppure nel 2002 contro l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Si è visto come quelle strade siano state perdenti, si è fatto tesoro di un intervento frontale che non portava a risultati; adesso non siamo più allo scontro frontale, ma siamo di fronte ad interventi chirurgici complessivi, che in qualche modo vengono conditi anche da scelte ed atteggiamenti demagogici o populistici da parte di alcuni Ministri. Si pensi all'ultima sortita del Ministro Brunetta sui giovani a proposito dei 500 euro al mese che dovremmo ricavare dalla diminuzione delle pensioni di anzianità.
Un Governo che sostituisce... Chiederei all'onorevole Giachetti di abbassare il tono della voce, se possibile, ma non mi ascolta... Giachetti scusa... È un dissidio interno all'opposizione!

PRESIDENTE. È una novità, la ringrazio onorevole Damiano. La Presidenza coglie con attenzione questa novità. Prego, onorevole Damiano.

CESARE DAMIANO. Quindi, siamo dinanzi ad un Governo che in sostanza sostituisce la concertazione con la complicità, come invoca spesso il Ministro Sacconi, che sostituisce alla ricerca dell'unità e della convergenza con le parti sociali la ricerca delle divisioni come strumento di controllo dei processi economici e sociali in atto.
Credo che tutto questo vada considerato perché siamo di fronte, nel complesso, ad una profonda manomissione di quello che è stato, ad esempio, un punto fondamentale del passato Governo, il Protocollo del 2007. Vorrei ricordare che nell'azione di questo Governo, con grande ostinazione, abbiamo cancellato le norme relative alla protezione delle lavoratrici dalle dimissioni in bianco, abbiamo cancellato la responsabilità solidale in capo ai committenti per quanto riguarda gli appalti che porta alla trasparenza contributiva, il cartellino di riconoscimento nei cantieri, la cui sanzione rimane solo per i lavoratori ed è cancellata per le imprese. Si è cancellato il libro paga, il libro matricole, il libro presenze e con il libro unico del lavoro si rendono più difficili le ispezioni. Addirittura, vi è stato un tentativo da parte dei deputati della Lega di cancellare la comunicazione preventiva dell'assunzione dei lavoratori che è una norma che difende dalla regolarizzazione post mortem.
Sono cambiati i contratti a termine, in quanto il loro uso diventa normale per le attività dell'azienda e ci sono deroghe per i contratti a termine che avvengono a livello nazionale e territoriale aziendale, insieme ai 36 mesi massimi che prevedeva la normativa precedente. Vi è una deroga al diritto di precedenza per l'assunzione a tempo indeterminato per chi ha un contratto a termine e quando quel contratto a tempo indeterminato riguarda la stessa mansione. C'è il ripristino del lavoro a chiamata (noi lo avevamo tenuto per il turismo e lo spettacolo); l'apprendistato professionalizzante è stato rinormato escludendo le regioni perché c'è solo la formazione in azienda; si elimina la durata minima di due anni di quella modalità di lavoro. L'orario di lavoro ha un diritto al riposo settimanale che viene portato ad una media quindicinale, così come la diminuzione del salario di produttività nel pubblico impiego comprende anche i casi di assenza per l'assistenza di un familiare con gravi handicap; c'è stata la revisione del cosiddetto Testo unico sulla sicurezza.
Quindi, come si vede, si tratta di un complesso di iniziative (queste sono quelle Pag. 18del 2008) che sono proseguite poi nel 2009. Non si dica, infatti, che con la conversione in legge del decreto-legge n. 78 del 2009 sui provvedimenti anticrisi il Governo abbia dato buona prova di sé con misure di sussidio ai lavoratori a progetto al 20 per cento godute nel corso del 2009 da 1.800 lavoratori e poi innalzate al 30 per cento dell'attribuzione dell'anno precedente. Oppure, non si dica che l'idea della corresponsione della cassa integrazione in un'unica soluzione per la preattività autonoma, nel momento in cui si chiudono le attività autonome e dilaga la disoccupazione, sia stata una misura che in qualche modo aveva a che fare con la realtà. Ciò avviene dimenticando le tabelle della Banca d'Italia sui dati ISTAT, secondo le quali tra chi perde il lavoro e non ha nessun sostegno ci 800 mila lavoratori autonomi parasubordinati diversi dai collaboratori, con la maggioranza dei 400 mila collaboratori e 700 mila lavoratori a termine e interinali.
Ricordo, infine, il decreto Brunetta sul pubblico impiego che amplia l'intervento della legge a scapito della contrattazione e territorializza su base regionale l'accesso ai pubblici concorsi. Nel disegno di legge c'è un recupero dell'inflazione effettiva nel triennio successivo che crea una disparità con i settori privati. Inoltre, c'è la questione dei precari della scuola del decreto-legge n. 134 del 25 settembre 2009 che prevede tagli immediati: 42 mila posti di personale docente, più 15 mila di personale ATA, come anticipo di 130 mila persone che verranno espulse complessivamente dal mondo della scuola. Per fortuna, in quell'occasione - che qui rappresenta un piccolo passo avanti - abbiamo cambiato una norma giudicata da tutti anticostituzionale e che pretendeva il Governo, nella quale si diceva che non possono trasformarsi a tempo indeterminato i rapporti di lavoro a tempo determinato. Almeno abbiamo saputo evitare quell'obbrobrio. Inoltre, vorrei ricordare che nella legge finanziaria per l'anno 2010, nella Tabella 4 ci sono risorse ridotte nello stato di previsione del Ministero del lavoro che ammontano a 2 miliardi e 89 milioni di euro: 456 in meno per le politiche per il lavoro; 128 in meno per la regolamentazione e vigilanza del lavoro (ovvero la lotta al lavoro nero); 47 in meno per i servizi e per lo sviluppo del mercato del lavoro; 726 in meno per il reinserimento lavorativo a sostegno dell'occupazione e del reddito; 707 in meno per il fondo per l'occupazione (Tabella F); 25 in meno per la promozione di diritti e pari opportunità. In quella legge finanziaria, come tutti sanno, c'è inoltre un insufficiente stanziamento di risorse per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici, per il quale occorrerebbero 11 miliardi di euro. C'è anche l'esclusione dell'applicazione della disciplina del documento unico di regolarità contributiva, il cosiddetto DURC, agli esercenti di attività di commercio al dettaglio ambulante. Ciò la dice lunga sulla possibilità di avere, anche in questo caso, il lavoro grigio, il lavoro nero e l'aggiramento delle leggi.
Quindi, il lavoro ottenuto dal complesso delle iniziative svolte in modo progressivo e chirurgico - come ha affermato il Governo - ha prodotto tutta una serie di interventi che chiaramente vanno in una direzione complessivamente negativa, che tutti abbiamo il dovere di acquisire agli atti e di vedere nella sua dimensione, nella sua prospettiva e nella direzione di marcia che il Governo ha impresso al tema delle tutele e delle protezioni del lavoro, al di là di tutte le parole che si spendono. Adesso dobbiamo affrontare il provvedimento 1441-quater-C in terza lettura. Il cerchio si chiude o, meglio, la catena si allunga. Vorrei anche qui svolgere alcune osservazioni sul disegno di legge in esame, traendo spunto anche dagli interventi che mi hanno preceduto. Come sappiamo, si tratta di un disegno di legge già approvato dalla Camera il 28 ottobre 2009. Vale la pena ricordare che esso arriva in una versione, quella attuale, di cinquantadue articoli: eravamo partiti da nove articoli, poi diventati ventotto in prima lettura e via via il provvedimento si è arricchito di molti altri interventi, in alcuni casi assolutamente di carattere estemporaneo. Pag. 19
Come ho detto, si è sicuramente sviluppata una discussione utile. Io rinnovo questo concetto, che però «impallidisce» di fronte al significato complessivo dell'azione di Governo sui temi del lavoro e, come ho già ribadito all'inizio, diventa un apprezzamento nel quale la normalità diventa straordinarietà. Questo dovrebbe preoccuparci, perché ciò che abbiamo fatto dovrebbe essere la norma e non l'eccezione.
Riguardo ai risultati ottenuti, sicuramente un tema al quale sono particolarmente legato è quello dei lavori usuranti. Nel provvedimento è contenuta un'ulteriore delega: mi auguro che, dopo numerosi rinvii, questa sia la volta buona, anche perché i lavoratori che svolgono lavori particolarmente pericolosi e faticosi hanno il diritto di poter andare prima in pensione. Si tratta di applicare una delega approvata dal Governo Prodi, che avevo formulato in quanto Ministro del lavoro: potremmo anche trovare utili convergenze per le modifiche che si rendono necessarie. Tale delega attende la sua applicazione dal 2008 (siamo già in un robusto ritardo) e conteneva già le sue coperture finanziarie. L'onorevole Fedriga diceva di non intendersi di coperture. Io me ne intendo, perché avere a che fare con la Ragioneria dello Stato è un'impresa estremamente ardimentosa - come saprà bene il sottosegretario Viespoli -, perché le coperture delle leggi sono necessarie. Questa delega ha le coperture, quantificabili nel decennio 2008-2017 in 3 miliardi di euro: si tratta, quindi, di una copertura rilevante. Avevamo quantificato in prima approssimazione la possibilità per almeno 5 mila lavoratori su base annua di accedere al pensionamento anticipato. Abbiamo chiarito in Commissione che i criteri di priorità di accesso, ovviamente, in caso di scostamento di copertura su base annua, si basano soprattutto sulla contabilizzazione di periodi di durata della prestazione di lavoro usurante. Devo anche precisare che, partendo con almeno due anni di ritardo, abbiamo risparmiato almeno 600 milioni di euro, che potrebbero essere spalmati utilmente per distribuire meglio la capacità di spesa.
La seconda questione importante è sicuramente la cancellazione dell'articolo 25 relativo al riscatto di periodi di congedo per maternità o parentale fuori dal rapporto di lavoro, perché la pretesa che soprattutto le lavoratrici, in costanza di rapporto di lavoro, potessero riscattare questi periodi se avessero presentato la loro domanda in quella circostanza poteva «cozzare» con la realtà, soprattutto nel momento in cui questo Governo ha cancellato la tutela dalle dimissioni in bianco, che ha precisamente come obiettivo fondamentale la maternità delle giovani lavoratrici.
Con riferimento all'articolo 34-bis, si chiarisce la questione della gratuità del processo del lavoro: bisognerà anche a tal proposito svolgere una discussione più precisa, con riferimento ai costi dei processi dinanzi alla Corte di cassazione (ciò non va dimenticato).
Ci sono però delle parti negative. Anche qui vado, per il tempo che mi rimane, assolutamente a volo d'uccello, perché poi i miei colleghi interverranno su alcuni punti in modo più specifico. Insisto su un tema che ha ripreso adesso l'onorevole Fedriga, che riguarda l'articolo 8, relativo alle deroghe sull'orario di lavoro del solo comparto dei marittimi. Trovo questa norma estremamente negativa. Ho sentito tutte le argomentazioni e voglio ancora una volta spiegare, se sarà necessario, che qui non si tratta da parte nostra né da parte mia, anche per la cultura sindacale trentennale che ho alle spalle, di negare la possibilità, che la Costituzione consente, di formare dei nuovi sindacati territoriali. Ci mancherebbe! La libera associazione sindacale è un punto fondamentale di difesa che - lo vedo dagli interventi - ci unisce tutti.
Il problema è la certificazione della rappresentatività dei sindacati e su questo, se troveremo convergenze, mi batterò perché finalmente ci sia una legge condivisa dai sindacati che porti ad una certificazione di rappresentatività, attraverso il Pag. 20numero dei voti riportati nelle elezioni e una certificazione con istituto terzo delle deleghe effettivamente sottoscritte dai lavoratori. Però, il punto dell'articolo 8, secondo cui si può derogare ad una normativa nazionale che disciplina l'orario di lavoro, anche da parte di un sindacato rappresentativo a livello territoriale, apre uno spiraglio enorme alla costituzione di sindacati di comodo, che sfuggono a certificazione, che avranno l'unico scopo di fare contratti al ribasso rispetto ai contratti nazionali e di praticare la logica del dumping sociale.
Non va confusa la questione della liceità della crescita, della nascita e della costituzione di un libero sindacato di livello aziendale o territoriale, dal problema della rappresentatività e della derogabilità dei contratti nazionali. È un precedente molto pericoloso.
Posso citare poi la questione dell'articolo 23, relativa all'età pensionabile dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, che pencola sempre tra contributi versati e anni di servizio, il tema della conciliazione ed arbitrato degli articoli 32 e 33, di cui parlerà sicuramente l'onorevole Berretta, la questione dell'articolo 21 - qui citato - del naviglio militare, le implicazioni dell'amianto anche per quanto riguarda quella particolare prestazione di lavoro, l'articolo 50 che reintroduce lo staff leasing, cancellato anche questo - lo voglio ricordare - dal precedente Governo sulla base di un accordo con tutte le parti sociali, dalla Confindustria alla CGIL, CISL, UIL e UGL, infine la questione dell'apprendistato, di cui al comma 7 dell'articolo 50, sul quale poi più diffusamente interverrà l'onorevole Coscia.
Sulla questione dell'apprendistato dico solo che secondo me è grave - pensiamoci - il fatto che si utilizzi un contratto di lavoro come quello dell'apprendistato per consentire la conclusione del cosiddetto periodo di istruzione obbligatoria. Trovo questa norma potenzialmente distruttiva, perché non c'è dubbio che un conto è, al limite, arrivare alla formazione professionalizzante a livello regionale, che ha delle prestazioni anche di mille ore, una certificazione anche per quanto riguarda la capacità di apprendimento e di standard formativi, per quanto riguarda la lingua, la scienza e la logica matematica; un altro conto è una formazione che parte da centoventi ore e, sulla base di una decisione del Governo e del Ministro Sacconi, è stata preceduta dall'intendimento di applicare questa formazione esclusivamente in azienda. Credo che tutto questo sia distorsivo.
Concludo, naturalmente confermando il giudizio complessivamente negativo anche su questo disegno di legge n. 1441-quater, che completa un disegno del Governo di abbassamento delle tutele. Mi auguro che naturalmente, come sempre, l'Aula e il Comitato dei nove possano recuperare alcuni limiti, vale a dire diminuire i danni che si possono produrre, concentrando l'attenzione su alcuni articoli che ho voluto richiamare, che a nostro avviso sono degni di maggiore considerazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli alunni delle Direzione didattica «Mazzini» e «Forlì», Isola del Liri (Frosinone), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ricordo agli alunni e agli insegnanti, che ringrazio sin d'ora, che siamo nella fase della discussione sulle linee generali del disegno di legge sul lavoro pubblico, collegato alla manovra di finanza pubblica e che il relatore è l'onorevole Cazzola. Sono presenti solamente i deputati che hanno chiesto di intervenire in sede di discussione sulle linee generali, concludendo gli interventi previsti dal calendario, mentre domani vi sarà l'Assemblea in seduta plenaria.
È iscritto a parlare l'onorevole Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor relatore, signor rappresentante del Governo, sin dal suo nascere abbiamo seguito con molta attenzione questo provvedimento. Nel corso della prima lettura, qui alla Camera, abbiamo Pag. 21portato argomenti, proposte e indicazioni, che avevano trovato anche una reale attenzione della maggioranza e del Governo, e abbiamo avuto lo stesso tipo di atteggiamento nel corso dell'esame al Senato.
Riteniamo oggi, quindi, di dover esprimere una valutazione complessiva sul testo al nostro esame che parta dalle considerazioni espresse dal relatore, ovvero dal fatto che, ancora una volta, un provvedimento ha subito un largo rimaneggiamento sia per accogliere parti di normative previste in altri provvedimenti, sia per la «capacità innovativa» del Senato.
Ci troviamo, quindi, davanti ad un provvedimento che tocca materie di competenza esclusiva dello Stato, come la difesa, le Forze armate, l'ordinamento e l'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, come le norme sulla giurisdizione processuale del lavoro e quelle relative alla previdenza sociale. È un provvedimento che contiene materie di competenza concorrente tra Stato e regioni, tra cui la tutela della sicurezza sul lavoro, della salute, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, l'istruzione e la formazione professionale.
Devo, quindi, ribadire che questa modalità di procedere in questa legislatura, affrontando temi estremamente importanti e delicati in modo da mettere tutto insieme, non ci ha mai convinto e lo vogliamo ribadire anche in questa occasione. Non di meno, abbiamo un atteggiamento né pregiudiziale, né ideologico, né strumentale sui temi oggetto di questo provvedimento.
Quindi, riteniamo di poter condividere lo sforzo che la maggioranza, anche in questo passaggio alla Camera in terza lettura, ha prodotto creando un clima di collaborazione e di discussione, rendendo possibile un confronto chiaro, capace di eliminare almeno gli elementi più dissonanti rispetto alle varie posizioni delle forze parlamentari, e nello stesso tempo con la possibilità dell'accoglimento di alcune proposte - delle opposizioni o della maggioranza - dirette a rendere il provvedimento capace di dare delle risposte concrete.
È indubbio - lo voglio ancora ricordare nella premessa - che, sul tema più generale dei provvedimenti che il Governo ha assunto in questa legislatura in materia di lavoro e mercato del lavoro, abbiamo delle visioni profondamente contrastanti. Voglio solo ricordare una battaglia per tutte, quella che riguarda il fenomeno dei precari, la realtà umana vera del precariato nella pubblica amministrazione e non solo, e riteniamo che le risposte che sono state date in quella direzione siano sbagliate. Ma noi abbiamo anche sempre sostenuto la necessità di una visione coesa del Parlamento rispetto al grande tema - il tema vero - di questa crisi che, al di là della possibilità di un'uscita, di una ripresa del PIL e di una crescita della nostra economia, sarà una realtà drammatica ancora nel corso del 2010.
Mi riferisco al tema dell'occupazione (della disoccupazione crescente) e a quello degli ammortizzatori sociali, a proposito dei quali certamente abbiamo valutato positivamente l'accoglimento da parte della maggioranza e del Governo in altro provvedimento sia della proposta di estendere a nuove categorie questa tutela e questa copertura, sia di quella di allungare per un altro anno la copertura della cassa integrazione straordinaria. Riteniamo però che i passi che sono stati fatti in questa direzione siano inadeguati.
Assistiamo continuamente, in queste settimane, in questi giorni, a continue difficoltà di imprese e di aziende. Ciò è collegato anche alla crisi economica e all'insufficiente disponibilità di credito per le imprese in difficoltà da parte degli istituti di credito, che non prestano quell'attenzione che invece questa crisi e questo momento difficile richiederebbero.
Quindi, se dovessimo qui oggi valutare complessivamente tutta la politica economica sul lavoro, sul lavoro dipendente, sul mercato del lavoro, certamente non potremmo esprimere un voto ed un atteggiamento positivi, ma soltanto negativi. Però credo che oggi siamo chiamati in Pag. 22questa sede ad esaminare un provvedimento rispetto al quale proprio il confronto parlamentare ci ha consentito di esprimere una valutazione di astensione in Commissione - che è stata ricordata, e ringrazio il relatore, onorevole Cazzola -, perché confidiamo che su un tema così importante, come quello del lavoro e della tutela dei lavoratori, ci debba essere uno sforzo comune da parte della maggioranza, del Governo e di tutto il Parlamento. Infatti, si tratta di risposte ineludibili, di esigenze e di richieste che diventano ogni giorno più drammatiche.
Pertanto, vogliamo sottolineare nel corso di questa discussione sulle linee generali che nel provvedimento approvato in Commissione vi sono alcuni miglioramenti che noi condividiamo e con i quali è possibile raccogliere istanze estremamente presenti nel mondo del lavoro e delle categorie. Ripristinare la gratuità per i processi sul lavoro (è un emendamento proposto dal PD) è una proposta sulla quale siamo assolutamente favorevoli.
Allo stesso modo aver accolto un'altra proposta di un gruppo di maggioranza riguardante la possibilità per i Vigili del fuoco di vedere riconosciuta la specificità della loro professione nonché una possibilità di riforma complessiva nell'ambito delle Forze armate e delle forze dell'ordine, ritengo che sia un elemento che non possiamo non valutare anche in questo caso con grande attenzione.
Partendo dal dato fondamentale di questo provvedimento, per quanto concerne l'articolo 1 in cui vi è il richiamo ulteriore alla delega per le agevolazioni per i lavoratori impegnati in lavori usuranti, ritengo che la modifica apportata nel corso della discussione in sede di Commissione sia positiva. Quello che noi vorremmo veramente che vi fosse da parte del Governo, dopo diciotto mesi di incarico, è la possibilità di una risposta efficace nell'attuazione di questa delega.
Certamente non abbiamo apprezzato - lo dobbiamo dire - la norma di salvaguardia che rischia di determinare una sperequazione tra lavoratori aventi gli stessi requisiti. È indubbio che, dovendo operare una scelta davanti ad una norma quale quella del limite della disponibilità di risorse finanziarie per l'attuazione di questa delega, noi siamo molto favorevoli all'elemento introdotto secondo cui, a parità di condizioni, chi ha un più lungo periodo di lavoro nel settore usurante possa avere la priorità. Ma questo non toglie la riflessione forte che noi vogliamo rassegnare a questo dibattito: a parità di requisiti non capiamo perché i lavoratori debbano subire un diverso trattamento. È un elemento che ci lascia perplessi, ma riteniamo comunque che sia tempo di procedere decisamente in avanti su questa delega.
Riteniamo inoltre importante, riguardo alle questioni emerse, sottolineare alcune criticità concernenti l'articolo 4 dove è contenuta la riformulazione della composizione della commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive. Ritengo che su questo articolo introdotto dal Senato sia giusto compiere una riflessione cercando un ulteriore approfondimento, che colga le osservazioni emerse in sede di Commissione lavoro, soprattutto al fine di salvaguardare l'esigenza di garantire la sussistenza degli opportuni profili di competenza professionale per la designazione dei componenti della commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive.
Un'altra criticità che abbiamo condiviso nel dibattito in Commissione riguarda l'articolo 5 circa le disposizioni in materia di sanzioni relative all'utilizzo di lavoro irregolare. Ritengo che su questa materia, signor sottosegretario, il Governo abbia adottato, nel corso di questi diciotto mesi, una serie di procedure di semplificazione che in linea generale possono anche trovare una loro giustificazione ma sappiamo che le istituzioni pubbliche incontrano sul lavoro nero una difficoltà complessiva, che vi sono responsabilità circa gli adempimenti di controllo e così via.
Avendo ancora indagini parlamentari in corso - e quelle già espletate lo testimoniano - ed essendovi ancora vaste aree di sfruttamento e di lavoro nero, credo che Pag. 23su questa materia un richiamo in occasione del provvedimento in esame e la possibilità di rendere da un lato semplificato, ma dall'altro altrettanto rigoroso il controllo su questa partita sia un'esigenza duplice, che va mediata e affrontata in termini più alti, migliori di quanto è previsto nella norma.
Un'importante considerazione su questo tema va fatta indubbiamente sulla manodopera straniera, partendo proprio dai fatti di Rosarno. Con l'ufficio di presidenza del Comitato parlamentare di controllo su Schengen ho avuto modo di essere presente nella zona e, senza voler entrare nella vasta problematica di questi episodi di contestazione, di sollevazione, di moti e di proteste che si sono verificati, devo dire che ho constatato ed ho quindi preso piena consapevolezza della difficoltà di gestione di un'immigrazione che non trova una regolare possibilità di lavoro.
Credo che su questo dobbiamo assumere una posizione di grande intransigenza. Non sono sufficienti le azioni di polizia e di sicurezza in generale: qui vi è prima di tutto la necessità di garantire un lavoro soprattutto perché abbiamo visto che oltre il 65 per cento dei lavoratori poi impiegati in quel contesto era costituito da operatori immigrati con regolare permesso di soggiorno.
Quindi, credo che affrontando un tema come quello che oggi discutiamo sarebbe importante un'iniziativa del relatore o del Governo, affinché si faccia sì che, in questo ambito, al contratto regolare e all'assunzione regolare si riconoscano un'efficacia per stroncare lo sfruttamento che abbiamo constatato in quel sopralluogo.
Passando invece all'articolo 6, vi è un problema di comunicazione in tempi certi di determinati obblighi. Lo voglio soltanto citare, perché credo che o vi è una fiducia complessiva da parte dell'istituzione e della pubblica amministrazione rispetto alle altre amministrazioni, o noi legifichiamo su questioni che, a mio giudizio, risiedono in un altro elemento di potestà regolamentare. Quindi credo che in quell'articolo vi sia un «di più» che potrebbe essere tranquillamente soppresso.
In Commissione poi sull'articolo 8, l'articolo recante modifiche alla disciplina sull'orario di lavoro, abbiamo svolto una discussione molto ampia e approfondita. Credo che all'interno dell'articolo 8 vi sia un principio potenzialmente pericoloso rispetto all'esigenza della salvaguardia dell'integrità e del valore della contrattazione nazionale. Quindi su questo, pur senza voler mettere in alcun dubbio la possibilità di sviluppare realtà sindacali nuove e capaci di rappresentare in termini efficaci il mondo del lavoro, credo che assolutamente non si possa non avere sensibilità per mantenere un forte riferimento ad un sindacato nazionale per alcuni istituti di competenza nazionale. Infatti, altrimenti si rischia di infrangere e di modificare una situazione della contrattazione nazionale che invece ad oggi è un elemento di coesione nazionale, è un elemento di certezza: i lavoratori, a qualunque latitudine siano collocati nel nostro Paese, sanno di avere alcune tutele ed alcuni elementi di unità e di unitarietà complessiva.
Sollecitiamo, pertanto su questo articolo - lo abbiamo detto anche in Commissione - un'ulteriore riflessione.
Dobbiamo dare atto al sottosegretario Viespoli di aver sviluppato, nel corso del dibattito su questo tema, anche alcune interessanti valutazioni rispetto all'iter svoltosi al Senato, sia in Commissione che in Assemblea, ma ciò non toglie, a nostro giudizio, una valutazione. Su questo tema, cioè sul valore della rappresentanza nazionale di alcuni interessi e di alcuni istituti contrattuali, normativi ed economici, non vi può essere una sorta di indebolimento, perché si finisce per indebolire il mondo del lavoro. Credo, invece, che il mondo del lavoro, in una situazione di crisi come quella odierna, abbia necessità di maggiori tutele.
Con riferimento agli articoli 10 e 11, che stabiliscono una serie di norme sul reclutamento dei ricercatori, non voglio ripetere tutte le discussioni che sono state svolte. Anche questo è un tema che ri Pag. 24chiamo solo per memoria, ma ritengo che su di esso una discussione vada assolutamente affrontata.
In ordine all'articolo 21 del provvedimento in discussione, recante disposizioni in materia di infortuni e di igiene del lavoro, vorrei ribadire che, rispetto ad una norma che esclude dall'applicazione della normativa in materia di igiene del lavoro anche il naviglio di Stato, la discussione emersa in Commissione ha portato ad introdurre la modifica per cui sono inclusi solo i comandanti. Credo che in relazione a questo tema - come hanno detto altri colleghi sia qui in Aula che in Commissione - dobbiamo avere un primario e fondamentale interesse: quello di tutelare la salute dei lavoratori.
Vorrei ribadire che la sede più adeguata per l'argomento trattato dall'articolo 23 del provvedimento in discussione sia quella della Commissione affari sociali. Pur nella consapevolezza che le norme previste si limitano ad introdurre la possibilità di prolungare la permanenza in orario senza prevedere alcun obbligo o altro meccanismo coatto, lamentiamo l'eccessiva confusione e non omogeneità di interventi da parte del Governo in materia previdenziale, sin dall'inizio della legislatura. Infatti, i quarant'anni effettivi sono stati cambiati in quarant'anni attraverso il recupero del periodo di studio e, oggi, un'altro intervento modifica tale previsione. Credo che tutto ciò non sia il segnale di un positivo - vorrei dire coerente - modo di legiferare.
Sottolineiamo, ovviamente, come positiva la soppressione dell'articolo 25 del provvedimento in oggetto.
Riteniamo, invece - come ha già detto all'inizio del mio intervento - di dare una piena adesione all'introduzione dell'articolo 29, che si propone di armonizzare il sistema di tutela previdenziale ed assistenziale applicato al personale permanente in servizio del Corpo dei vigili del fuoco e al personale volontario presso il medesimo Corpo nazionale.
Le altre grandi questioni sono affrontate dagli articoli 33 e 34. Pur non essendo pienamente soddisfatti, riteniamo di dover esprimere apprezzamento per l'approvazione di alcuni nostri emendamenti, che sono stati assorbiti dagli emendamenti presentati dal relatore. Riteniamo che la conciliazione rappresenti un istituto, tradizionalmente, finalizzato alla deflazione del contenzioso e alla rapida ed efficace risoluzione delle controversie. Non potevano essere escluse da tale ruolo categorie importanti come quella dei consulenti del lavoro. Pertanto, con riferimento a questo aspetto, esprimiamo un giudizio positivo.
In ordine all'articolo 34 del provvedimento, riteniamo che le discussioni fatte abbiano portato, oggettivamente, all'esigenza di ulteriori modifiche, che non sono state accolte da parte del relatore.
Nello specifico, riteniamo che il comma 5 - di cui ribadiamo qui, in Aula, la richiesta di soppressione - miri a disciplinare in modo differenziato fattispecie contrattuali in realtà uguali, risultando, pertanto, suscettibile di disapplicazione in sede giurisdizionale.
Vorrei, infine, arrivare alla norma che ha fatto molto discutere in Commissione, ma che, soprattutto, ha aperto un largo dibattito nel Paese: ossia, la norma prevista nell'articolo 50, in base alla quale l'obbligo d'istruzione si assolve anche nei percorsi di apprendistato, vale a dire che si potrà andare a lavorare a 15 anni ed utilizzare l'apprendistato per coprire l'ultimo anno obbligatorio di scuola.
Noi abbiamo riletto con attenzione la norma che il relatore ha riproposto, ossia il richiamo all'articolo 48 del decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003. La nostra considerazione è la seguente: dentro quell'articolo, al comma 3, già si prevedeva che il contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione è disciplinato in base a taluni principi. Di conseguenza, riteniamo superfluo questo tipo di previsione normativa, in quanto è chiaro che poi, nel decreto legislativo n. 276 del 2003, sono previste modalità, princìpi e criteri estremamente puntuali, per far sì che la formazione, il lavoro e l'istruzione vengano coniugati in termini complessivi, al fine di evitare - come giustamente ha Pag. 25detto il relatore - la dispersione scolastica. Tuttavia, avremmo preferito una norma rafforzativa, con carattere anche più vincolante del concerto con il Ministero dell'istruzione, e con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, insieme ovviamente alle regioni e alle province autonome, al fine di declinare positivamente questa proposta.
Io non so, e pongo tale quesito al relatore e al Governo: se questo comma 2-bis dell'articolo 48 del decreto legislativo n.276 del 2003 costituisse fattispecie diversa rispetto alla norma, così come previsto dal decreto legislativo n. 276 del 2003, allora è chiaro che noi, anche per le ragioni esposte in precedenza dal collega Damiano e che saranno avanzate da altri colleghi dell'opposizione, saremmo contrari. Se, invece, è soltanto il richiamo del rafforzamento di una previsione normativa, che noi avevamo - lo dico con forza - condiviso nel corso dell'approvazione sia della legge Biagi, sia dei decreti legislativi, in tal caso ritengo che la nostra valutazione sarebbe diversa.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

TERESIO DELFINO. Chiedo scusa se mi sono dilungato su questo. A fronte del richiamo del Presidente, vorrei sapere se ho ancora qualche minuto.

PRESIDENTE. È quasi arrivato alla fine: ha a disposizione circa un minuto.

TERESIO DELFINO. Circa due minuti e concludo, signor Presidente.
Pertanto, il provvedimento per noi presenta luci ed ombre. Credo che sia un po' lontano, anzi non un po', ma molto lontano da quella forte attenzione che vorremmo da parte del Governo, per tutelare le questioni della disoccupazione e del precariato, a cui in qualche misura non si è data una risposta.
È pur vero che l'articolo 48, con le deleghe sugli ammortizzatori sociali, rende questa dichiarazione «attenuata» dalla possibilità che, in quella sede, il Governo esprima una tutela forte a tutti i lavoratori, come dice la Banca d'Italia, ancora oggi sprovvisti di tutele.
Allo stesso tempo, voglio dire che alcune delle modifiche che sono state introdotte e, soprattutto, la nostra sollecitazione rispetto all'esigenza di prestare una forte attenzione ai problemi della sicurezza, della formazione e dell'istruzione, così come al problema di un'attenzione adeguata alle disuguaglianze nel mercato del lavoro, sono tutte questioni che ci lasciano delle perplessità.
Ho già detto quali sono, invece, gli aspetti positivi. Poiché la nostra volontà è quella di incentivare l'azione del Governo rispetto ai grandi temi dell'economia, del lavoro e della disoccupazione, se - come mi auguro e secondo l'impegno assunto anche dal relatore e dal Governo - durante l'esame in Commissione emergeranno ulteriori elementi di miglioramento del provvedimento, saremo attenti a calibrare il nostro voto finale che, come ho già detto, in sede di Commissione ci ha portato, fino ad oggi, all'astensione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Viespoli, intervengo nella discussione su questo disegno di legge per richiamare l'attenzione dell'Assemblea sulla questione dell'assorbimento dell'obbligo di istruzione nei percorsi di apprendistato, di cui ha già parlato anche il collega che mi ha preceduto.
Si tratta di un punto particolarmente delicato, inserito nel provvedimento con un emendamento proposto dal relatore, l'onorevole Cazzola, su sollecitazione del Ministro Sacconi e approvato a maggioranza in Commissione lavoro.
Non so se l'onorevole Cazzola, che mi sembra sia un collega molto serio e rigoroso, sia pienamente consapevole della gravità di una simile proposta, poiché con questa norma si afferma nei fatti il principio di abbassare di nuovo l'obbligo di istruzione a quindici anni e magari, poi, a quattordici, facendo tornare clamorosamente Pag. 26indietro nel tempo il nostro Paese, dopo che il Governo Prodi, con la legge finanziaria per il 2007, al comma 622, elevava l'obbligo a sedici anni e che con il decreto ministeriale n. 139 del 22 agosto 2007 allineava il nostro Paese all'Europa.
La proposta - ha dichiarato il Ministro Sacconi e poco fa il sottosegretario Viespoli - nasce da un problema reale: tanti giovani interrompono gli studi prima dei sedici anni e cadono nell'inattività o nel lavoro nero.
Il problema esiste ed è molto grave per il nostro Paese, che registra un indice di abbandono dell'istruzione scolastica tra i più alti, circa il 22 per cento, che lo colloca, purtroppo, tra gli ultimi posti in Europa e lo allontana sempre di più dagli obiettivi di Lisbona che devono essere raggiunti entro quest'anno. Affrontarlo in questo modo, però, è una sconfitta clamorosa per il nostro Paese, che disperde risorse e intelligenze fondamentali per il proprio futuro continuando ad assecondare una realtà ingiusta che colpisce questi ragazzi, cristallizzandoli nella situazione di svantaggio sociale ed economico di partenza delle loro famiglie e senza che siano per loro attivate azioni concrete per determinare le necessarie condizioni di pari opportunità: altro che mettere in movimento un ascensore sociale capace di determinare una maggiore equità sociale e di valorizzare il merito.
Con questa risposta si prende atto di una sconfitta di tutti, di un fallimento e dell'incapacità del Governo di mettere in campo una strategia e un piano capaci di coinvolgere tutte le istituzioni - dallo Stato alle istituzioni scolastiche, dalle regioni agli enti locali - con interventi e misure efficaci per stimolare e incentivare la frequenza scolastica di questi ragazzi.
Certo, sappiamo anche che per affrontare questo tema alla radice occorre una scuola più attrattiva per questi ragazzi e, più in generale, per tutti gli studenti, e per questo pensiamo che sia necessario avviare nel nostro Paese una riforma organica del sistema dell'istruzione nel suo complesso e, in particolare, dell'istruzione superiore e della formazione professionale. Non basta una non-riforma, come quella voluta dal Ministro Tremonti e dal Ministro Gelmini, che hanno solo fatto propaganda per occultare la sostanza vera dei provvedimenti fin qui adottati, come i regolamenti sulla scuola superiore di cui stiamo discutendo in questi giorni in VII Commissione. Si tratta di rendere operatività agli indiscriminati della scuola pubblica, rendendola sempre più povera e precaria e non affrontando i nodi veri per migliorare il nostro sistema dell'istruzione e metterlo in grado di affrontare in modo efficace le sfide di questo nuovo millennio; un millennio, il nostro, contrassegnato dallo sviluppo esponenziale della società della conoscenza, delle nuove tecnologie e del sapere come fattore fondamentale di sviluppo della persona e dell'intera società.
L'acquisizione dei saperi, infatti, è diventata sempre più decisiva per l'esercizio dei diritti di cittadinanza, la costruzione del futuro delle persone e della società, lo sviluppo della democrazia ed anche per il futuro lavorativo dei nostri giovani, in un mondo e in un mercato del lavoro sempre più flessibilizzato. Infatti, la globalizzazione dell'economia e dei sistemi produttivi, profondamente innovati dalle nuove tecnologie, hanno modificato il mercato del lavoro anche nel nostro Paese. Il mercato del lavoro è sempre più flessibile e richiede profili professionali in continua evoluzione. Perciò, è illusorio pensare che si possano affrontare i problemi delle imprese italiane, che non trovano sul mercato i profili professionali a loro funzionali, con ragazzi quindicenni da inserire in percorsi di apprendistato e con un limitato bagaglio di conoscenze e di competenze.
Inoltre, si tratta di una norma anche inapplicabile, perché comunque le imprese non sono in grado di assicurare le attività didattiche che dovrebbero essere contestualmente assicurate, secondo quanto prevede la normativa sull'obbligo di istruzione ancora in vigore nonostante i tentativi di svuotarla nei suoi contenuti fondamentali.
Viviamo, come è noto, ancora in una situazione di crisi finanziaria ed economica che richiederebbe di essere affrontata Pag. 27con una visione strategica e con nuove politiche di sviluppo sostenibile. Ci troviamo, invece, anche in questo caso di fronte a messaggi ahimè propagandistici, che invece di affrontare con serietà i problemi giocano sulla pelle dei ragazzi più in difficoltà e che rischiano di non avere futuro per le scarse conoscenze e competenze che il nostro Paese è stato in grado di offrire loro.
In questo nuovo scenario economico e sociale un Governo lungimirante dovrebbe sapere che ai ragazzi quattordicenni e quindicenni non serve, come nel passato, una specifica formazione settoriale o specialistica, che caratterizzava i profili professionali rigidi progettati per durare tutto il periodo della vita lavorativa e che oggi non sono più riproponibili. A questa età, inoltre, non ci sono presunte vocazioni o attitudini tali da separare nettamente i diversi saperi dal saper fare. L'intelligenza non è un dato stabile ma un elemento composito, su cui costruire lo sviluppo di conoscenze e di competenze. L'intelligenza di ciascuno è ricca di tante intelligenze e tutta da espandere e lo sviluppo di aspetti intellettivi non può avvenire abbandonando i campi in cui si rilevano difficoltà. Non ci sono, dunque, ragazzi portati solo per il lavoro - magari manuale - e altri per lo studio, ragazzi che sanno utilizzare solo la mente e altri solo il corpo. A questa età è molto importante uno sviluppo armonico dell'intelligenza e a tal fine è determinante la formazione culturale che la scuola è capace di dare, innovando i metodi di insegnamento e integrando il sapere ed il fare, la teoria e la pratica e promuovendo, anche al momento opportuno e all'età giusta, l'alternanza scuola lavoro.
Per tali ragioni è decisivo ripensare al sistema dell'istruzione e della formazione e del rapporto che questo deve avere con il mondo del lavoro. Viviamo in un'epoca in cui si è rovesciato il rapporto tra istruzione formale e istruzione informale. Prima della rivoluzione della società della conoscenza il sapere e le informazioni venivano quasi tutte conseguite a scuola. Ora si calcola che solo il 30 per cento venga acquisito durante il periodo scolastico. Sono il contesto sociale, territoriale, mediatico e la multimedialità ad egemonizzare il campo della conoscenza. I tempi e i cambiamenti sono rapidissimi e la vecchia struttura educativa non riesce a stare dietro al fenomeno rischiando di essere sopraffatta. Si tratta di una visione minimalista del cambiamento epocale in corso e vi è la necessità di attivare un profondo processo riformatore del sistema dell'istruzione e della formazione, anche in rapporto al mondo del lavoro. Se ciò non avviene, siamo di fronte ad un esito negativo.
In questo quadro, affinché la scuola possa svolgere in modo adeguato la sua funzione, occorre superare l'impianto enciclopedico-nozionistico e affermare un nuovo impianto critico-metodologico. Le stesse acquisizioni scientifiche e neurologiche hanno messo sempre più in discussione un'idea di scuola rigida e solo trasmissiva di saperi e hanno evidenziato come sia sempre più artificiosa una visione dei saperi e di separazione netta tra saperi e fare e, quindi, anche di rapporto con il mondo del lavoro e sempre più affermato la centralità dell'apprendimento attraverso il coinvolgimento e il protagonismo dell'alunno e delle sue potenzialità di apprendimento, come sintesi tra corpo e mente, tra dimensione cognitiva ed emotiva.
Nel processo riformatore del nostro sistema di istruzione è prioritario, quindi, attuare correttamente l'elevamento dell'obbligo di istruzione a 16 anni.
Ciò comporta che i primi due anni dell'istruzione superiore devono prevedere una formazione di base di ampio respiro, come prevede il decreto ministeriale n. 139 del 2007, basata cioè sui quattro assi culturali fondamentali: l'asse dei linguaggi matematico, scientifico, tecnologico e storico-sociale. Il Governo dovrebbe avere cognizione del fatto che anche il sistema produttivo e il mercato del lavoro richiedono lavoratori con più conoscenze e più competenze.
Proprio la nuova tipologia della specializzazione, legata alle nuove tecnologie, e il Pag. 28suo bisogno di flessibilità e di professionalità sono compatibili unicamente con una base di formazione di ampio e consolidato respiro culturale che solo ad un certo punto e ad un certo momento si è opportunamente orientato e piegato verso lo specifico settore professionale.
Per questo è fondamentale nel biennio dell'obbligo dotare i ragazzi e le ragazze di un solido, alto e versatile bagaglio formativo, in modo da prepararli a scegliere ed eventualmente cambiare il successivo percorso scolastico e la loro futura professione in un mondo del lavoro che richiede e sempre più richiederà flessibilità.
Per questo colleghi, signor Presidente, sottosegretario Viespoli, mi appello a tutti voi affinché possa essere avviata in quest'Aula una riflessione attenta su questo tema e si giunga a condividere l'opportunità di un ripensamento e di ritirare una norma così ingiusta e inefficace (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Santagata. Ne ha facoltà per cinque minuti.

GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, mi faccio forza degli interventi che mi hanno preceduto per cavarmela per l'appunto nei cinque minuti. Dico subito che, nell'esaminare questo provvedimento (come altri, per la verità), mi sono sentito come se fossi chiamato da membro di una ipotetica Assemblea nazionale francese a discutere della ghigliottina e della sua introduzione, cioè a discutere dell'umanità e della riduzione del danno nell'applicare la pena di morte.
Non mi sarei sottratto a quel dibattito, pur essendo convintamente contro la pena di morte, così come credo non ci siamo sottratti a un dibattito e a un lavoro di miglioramento punto per punto di questo provvedimento e credo lo continueremo a fare in quest'Aula nella discussione dei singoli articoli e dei singoli emendamenti.
In sede di discussione generale, però, credo non possiamo non parlare dell'eventuale pena di morte (continuando con questa metafora un po' macabra), e seguo passo passo l'onorevole Damiano ed, anzi, ne approfitto per accorciare il mio intervento su questo. In prima lettura siamo partiti con un disegno di legge collegato alla legge finanziaria, con una forma, quindi, che dava un'enfasi particolare a questo provvedimento che veniva presentato quasi come una riforma organica composta di nove articoli sui quali abbiamo potuto lavorare in Commissione in termini molto positivi.
Esprimemmo in quella sede anche giudizi ampiamente positivi del lavoro svolto, sennonché questa volontà riformatrice si è rapidamente trasformata nella solita modalità. Ci sono tornati dal Senato 52 articoli e un guazzabuglio di norme, e uno si chiede sempre come mai un guazzabuglio di norme prenda il posto di una chiara struttura di riforma, fra l'altro in gran parte legata a deleghe, come anche è giusto data la complessità tecnica di alcuni argomenti.
Come faceva l'onorevole Damiano, basta leggerlo insieme agli altri provvedimenti che riguardano il lavoro che sono stati alla nostra attenzione in questi due anni per ritrovare il filo (fatico a chiamare rosso quel filo) che collega e tiene insieme questa miriade di interventi. Si tratta di un filo che parla, per l'appunto, di un sistematico attacco al sistema e al governo del mercato del lavoro, alle forme di contrattazione e, in generale, ai diritti e alle tutele dei lavoratori.
L'elenco esaustivo lo ha già fatto il collega Damiano e non lo ripeto, ma anche in questo provvedimento si continua a perseguire l'obiettivo di isolare il lavoratore, di renderlo autonomo o, io continuo a dire solo, nel suo rapporto contrattuale con il datore di lavoro, sia esso pubblico o privato.
Leggo in questi termini i reiterati attacchi alla contrattazione nazionale, che anche in questo provvedimento troviamo. Non sono più solo le tutele sindacali e le norme contrattuali, ma ci occupiamo, fra l'altro senza far intervenire le commissioni di merito, di norme che riguardano il Pag. 29processo in materia di lavoro e di tutte le forme di soluzione del contenzioso in questo campo.
Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, qui per la prima volta davvero vediamo applicata l'idea che invece abbiamo visto faticosa da digerire da parte del Ministro Brunetta, ovvero che il contratto della pubblica amministrazione è ormai totalmente privatizzato e che deve godere degli stessi diritti e degli stessi doveri.

PRESIDENTE. Onorevole Santagata, la prego di concludere.

GIULIO SANTAGATA. La pubblica amministrazione in questo provvedimento diventa l'avanguardia di questo smantellamento. Non dico nulla, perché sono già intervenuti sulla questione, del contratto di apprendistato.
Per quanto riguarda i lavori usuranti, è chiaro che i rinvii della delega stanno chiudendo finestre e, quindi, per decine di migliaia di lavoratori si chiudono opportunità e possibilità. Credo sia giusto anche sapere dove e come intendiamo utilizzare gli eventuali risparmi.
Signor Presidente, sto concludendo, vorrei dire ancora due cose. Credo che sarebbe bene che il Governo e la maggioranza dichiarassero esplicitamente il proprio disegno in termini di mercato del lavoro o di tutela. Credo che questi temi meritino una maggiore chiarezza. Non nascondiamoci dietro l'opacità e la difficoltà di una miriade di interventi.
Da ultimo, vorrei dire una sola cosa di merito specifico con riferimento all'articolo 2 e la riorganizzazione degli enti e degli istituti vigilati dai ministeri del lavoro e della salute. Dico ancora una volta al sottosegretario Viespoli, che segue da sempre con attenzione i nostri lavori, che va bene, ovviamente con le cautele che abbiamo sottolineato. Vorrei ricordare che noi abbiamo gli enti previdenziali commissariati da quasi due anni in attesa di sapere che cosa succede della loro riorganizzazione fissata dalla legge finanziaria di due anni fa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berretta. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE BERRETTA. Signor Presidente, il mio compito è ovviamente facilitato dagli interventi dei colleghi Damiano, Coscia e Santagata. Tuttavia, tengo a dare un mio piccolo contributo nella misura dei pochi minuti che mi sono stati concessi. Ritengo doveroso sottolineare un fatto: durante l'iter di questo provvedimento così importante sembra quasi che non sia accaduto nulla in Italia.
Così non è: è subentrata una crisi economica molto pesante, che si è risolta in una gravissima perdita di occupazione nel nostro Paese e, nella crisi che si è creata, una falla si è manifestata nella sua enormità. È la falla che attiene alla tutela dei lavoratori precari, dei tanti, tantissimi lavoratori precari privi di tutele, abbandonati alla loro solitudine, privi di un'adeguata rappresentanza e che, in questa vicenda, rimangono del tutto estranei. Anzi, paradossalmente, sono coloro i quali vengono ancora una volta penalizzati attraverso delle norme che li colpiscono pesantemente nei pochi diritti di cui a tutt'oggi dispongono.
Quindi, il mio intervento si limiterà ad alcune brevissime considerazioni in ordine a tre articoli e in questo senso mi consenta di fare un po' una profezia. Gli articoli 32, 33 e 34, nelle parti naturalmente che brevemente cercherò di indicare, saranno sottoposti al vaglio della Corte costituzionale e, come spesso capita per la protervia di questa maggioranza, verranno giudicati illegittimi perché in contrasto con principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico e della nostra Carta costituzionale.
L'articolo 32 tenta di limitare pesantemente il ruolo del giudice e la possibilità che ha il giudice di interpretare la volontà delle parti nel negozio contrattuale di lavoro subordinato. In più, signor Presidente, introduce una precisazione; si dice, e mi rivolgo a lei, sapendolo attento giurista: «nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto, oltre che delle fondamentali regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse Pag. 30dell'organizzazione, delle tipizzazioni di giusta causa (...) presenti nei contratti collettivi (...)». Chiedo a lei di qualificare meglio cosa si intenda per «fondamentali regole del vivere civile» e «oggettivo interesse dell'organizzazione».
L'articolo 33 poi interviene in una materia molto delicata, perché i diritti possono essere ridotti, incidendo direttamente sulle norme sostanziali che li accordano ovvero rendendo sempre più complessa la tutela in via giudiziaria. In questo senso, signor Presidente, abbiamo l'introduzione per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico di un arbitrato obbligatorio secondo equità e quindi in palese contrasto con il diritto fondamentale dei lavoratori alla tutela di diritti riconosciuti dalle norme di legge e di contratto collettivo, sancito nella nostra Costituzione e nelle norme fondamentali del nostro ordinamento giuridico; infine, si tratta di un arbitrato a pagamento, contro il principio generale della gratuità dell'accesso alla giustizia civile e alla giustizia in materia di lavoro che questa maggioranza ha tentato già di aggredire in sede di finanziaria attraverso una norma che riguarda esclusivamente la Cassazione.
Infine, l'articolo 34 introduce una differenziazione con riferimento all'azione ordinaria che un lavoratore potrà esercitare; un lavoratore che ha diritto ad una differenza retributiva potrà esercitare l'azione nell'ambito di termini di prescrizione ordinaria (prescrizione quinquennale). Questa norma prevede un termine breve per l'esercizio dell'azione, non per avere riconosciuti i propri diritti. Questo termine, brevissimo, è chiaramente un termine rivolto a tutelare un presunto interesse dell'impresa ad una pronuncia celere. Ebbene, l'interesse ad una pronuncia celere lo hanno tutte e due le parti; il problema è che introdurre un termine così breve di decadenza per l'esercizio dell'azione è chiaramente espressione di una volontà di ridurre le possibilità di tutela dei diritti dei lavoratori. Ciò specie se questa norma la leggiamo in combinato disposto con un'altra disposizione dello stesso articolo 34 nella quale si reintroduce una norma già giudicata illegittima dalla Corte costituzionale che attiene ai diritti dei lavoratori a termine illegittimamente utilizzati dal datore di lavoro, i quali non potranno più vedersi riconosciuta la conversione del contratto - da contratto a tempo determinato a contratto a tempo indeterminato - ma potranno al più ottenere dal giudice un risarcimento del danno nella misura irrisoria di alcune mensilità di retribuzione. Tale norma, che peraltro viene estesa ad una pletora di fattispecie di utilizzo illegittimo del lavoro flessibile, è evidentemente una norma manifesto che dice ancora una volta che i lavoratori precari non hanno diritti, che i lavoratori precari non possono accedere a forme di tutela, che questa parte cospicua del mercato del lavoro è totalmente estranea agli interessi del Governo che si preoccupa solo ed esclusivamente di tutelare quella parte di imprenditori che non rispettano le regole e vogliono tuttavia che le regole vengano piegate ai loro interessi a scapito delle persone più deboli.
Credo che questo atteggiamento, questo modo di legiferare, siano assolutamente inaccettabili. Proseguiremo nella nostra battaglia emendativa del testo e proseguiremo nell'azione di lotta all'interno del nostro Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, esaminiamo in quest'Aula, in terza lettura, il disegno di legge collegato alla manovra finanziaria in materia di lavoro (A.C. 1441-quater-C) che è stato affrontato dalla Camera per la prima volta nell'ottobre 2008 ed ha avuto un percorso assai lungo che ha portato sostanzialmente quasi al raddoppio degli articoli rispetto al testo iniziale.
Su tale provvedimento vi è stato un passaggio importante qui alla Camera, un passaggio ulteriore al Senato e di nuovo in quest'Aula; come ha ricordato lo stesso Damiano nel corso dell'odierna discussione sulle linee generali, si è svolto un Pag. 31esame approfondito in Commissione con un confronto sereno e leale tra maggioranza e opposizione, pur nella diversità delle posizioni. Il confronto ha registrato anche delle convergenze importanti su alcuni aspetti, su alcune proposte dell'opposizione, che, peraltro, sono state accompagnate da emendamenti analoghi del relatore Cazzola, cui va il merito, fino a questa fase (ma non abbiamo motivo di dubitare che continuerà a profondere il suo impegno) di aver cercato elementi di convergenza, di dialogo e di soluzioni positive del contenzioso politico sul provvedimento in questione.
Il disegno di legge, infatti, è complesso, interviene su una notevole quantità di aspetti del mondo del lavoro, sia pubblico sia privato, come i pensionamenti e la dirigenza sanitaria nazionale. Affronta tanti aspetti, alcuni anche parziali, se si vuole minimali, ma altri molto importanti per le categorie interessate (pensiamo ai vigili del fuoco) o in quanto si tratta di deleghe rilevanti, centrali, come quella sui lavori usuranti. Tale delega, in questo passaggio alla Camera è ancora oggetto di un'altra modifica, seppure marginale, dei criteri di accesso, compatibilmente con i fondi stanziati e con il numero di coloro che vi ricorreranno; quindi, con il disegno di legge in esame si introduce un ulteriore elemento di precisazione nel criterio di accesso al beneficio dell'anticipo previdenziale per i cosiddetti lavoratori usuranti.
Inoltre, ancora una volta, il provvedimento affronta la delega, anch'essa centrale, relativa alla annosa questione degli ammortizzatori sociali, che è una questione cruciale per il Paese, che, aperta dagli anni Novanta, ancora non trova soluzione; probabilmente la troverà in un momento forse più sereno, una volta superata la fase di crisi. Il fatto di tarare - questa è una mia considerazione personale - il sistema degli ammortizzatori sociali in un mercato che vive una condizione di crisi rischia di non essere adeguato ad un sistema di sviluppo, il quale, invece, dovrebbe essere caratterizzato da un meccanismo di ammortizzatori sociali tarato su un percorso di normalità o di sviluppo e non di crisi; in questo caso, infatti, prevale una logica assolutamente straordinaria, così come quella che il Governo ha messo in campo in questa fase di ammortizzatori sociali.
Vi sono quindi tanti aspetti, dai congedi al rafforzamento della borsa lavoro, dai meccanismi di conciliazione, al potenziamento della risoluzione extragiudiziale delle controversie di lavoro individuali; tanti aspetti che sono intervenuti, tra cui la gratuità del processo del lavoro, e che sono stati oggetto di questo provvedimento che ha visto alcune norme modificate, alcune soppresse, altre norme invece sono pervenute inalterate dalle precedenti letture e su di esse ovviamente la Commissione non è intervenuta, quindi non sono oggetto ora del nostro esame.
All'interno di questo quadro vi sono stati anche elementi di scontro, di polemica politica: l'elemento forse centrale in questo quadro, che ha assorbito di più l'attenzione dell'opinione pubblica e dei mass media è stato certamente quello della norma sull'apprendistato, oggetto in particolare di uno degli interventi dell'opposizione, quello dell'onorevole Coscia, ma che è stato affrontato a vario titolo da altri colleghi di opposizione e che credo meriti una riflessione particolare e specifica. Noi abbiamo un dato di fatto su cui c'è poco da contestare: vi sono 126 mila giovani tra i 14 e i 17 anni che in questo Paese, per un motivo o per l'altro, abbandonano il percorso degli studi e rimangono senza conseguire un titolo di formazione, un titolo di istruzione e ciò accade con la normativa in vigore, cioè quella dell'obbligo di istruzione al sedicesimo anno di età.
A fronte di ciò e con ciò tutti noi oggi abbiamo il dovere di confrontarci. Al riguardo, su questo dato ci si può confrontare, utilizzando due approcci sostanziali: quello ideologico e pregiudiziale e quello concreto. L'approccio ideologico e pregiudiziale ci suggerisce alcuni punti di principio su cui in linea teorica, proprio perché è un approccio ideologico e pregiudiziale, è facile essere d'accordo. Secondo il primo, prima si studia e poi si lavora, e ciò Pag. 32è entrato nella mentalità comune della nostra società: prima lo studio e la formazione, poi il lavoro. Il secondo è quello del percorso nobile ed elitario alla formazione, che prevede la formazione liceale, la quale sembrava una conquista inaccessibile socialmente ed economicamente al proletariato e che, invece, è diventata una grande conquista di massa. Quindi, il percorso nobile di massa (quello liceale) e un percorso universitario, anch'esso preferibilmente umanistico e di massa, con il conseguimento del cosiddetto pezzo di carta (titolo di studio) della laurea, anch'essa traguardo socialmente lontano e distante per i ceti sociali più deboli. Si tratta di un percorso di massa, privilegiato e specifico, a prescindere dalla vocazione culturale e professionale del soggetto che lo persegue, ovvero dello studente. La somma di questi due approcci (ideologico e pregiudiziale) dà come risultato, da un lato, la dispersione e, dall'altro, il disagio scolastico e in qualche modo anche il precariato. Quindi, una quantità x di laureati, ad esempio in scienze delle comunicazioni, rischia di trasformarsi in una quantità x di disoccupati e di disagiati. Ciò accade mentre noi nella nostra società, ad esempio, avremmo bisogno di laureati in matematica, in fisica, in chimica e in ingegneria.
L'altro approccio è quello più concreto che ci impone di verificare di cosa vi sia bisogno nel mercato del lavoro. Questo approccio ci impone di capire, inoltre, che possiamo recuperare i giovani, senza prenderli per un orecchio e portarli per forza a scuola. Chi, infatti, frequenta il primo anno e ha un fallimento scolastico, o non manifesta la volontà di affrontare il percorso formativo scolastico classico, rischia di rimanere nel limbo in cui non fa nulla e perde due anni, perché non può lavorare, ma non ha voglia di studiare e di conseguire un titolo. Allora, cosa fare all'interno di questo quadro? Da questa domanda nasce l'emendamento del relatore, onorevole Cazzola. È un emendamento che non nasce dal nulla, ma è una proposta emendativa - che credo sia ancora migliorabile in questa fase - che si inquadra in un contesto più ampio. Mi riferisco all'articolo 48 del decreto legislativo attuativo della legge Biagi, che prevede tre forme di apprendistato, tra cui quella, peraltro sostanzialmente inapplicata, del diritto-dovere alla formazione e all'istruzione. È una forma di apprendistato tarata e immaginata per queste esigenze, che non è mai stata applicata e che la stessa legge Biagi e lo stesso decreto legislativo applicativo, all'articolo 48, prevedono debba essere messa in campo, concepita e attuata con delle regole precise dalle regioni, le quali chiaramente sono soggetti protagonisti di questa fase. Io aggiungo che ciò debba avvenire anche nell'ottica di una collaborazione, visto che sono previste strutture ed elementi come il monte ore e il tutor, e che si possa utilizzare il know how di coloro che già oggi si impegnano nella formazione. Mi riferisco ai tanti istituti professionali che si impegnano nella certificazione di qualità e nell'assistenza del tutor. Considerando, inoltre, che questo specifico contratto di apprendistato serve a ciò e a dare a coloro che abbandonano il percorso di studi un percorso alternativo, nella consapevolezza - come ricordava il relatore Cazzola - che esiste e deve esistere la cultura del lavoro e quella formativa del lavoro.
Deve esistere la possibilità di imparare facendo, anche perché questo tipo di contratto prevede una formazione interna all'azienda, perché è un contratto di lavoro, ma anche una formazione esterna all'azienda, che è puramente formativa. Quindi, credo che ci sia la possibilità di fare una riflessione e una discussione libera e serena su questo aspetto se davvero si abbandonano alcune incrostazioni ideologiche, pregiudiziali e anche culturali. Per quanto ci riguarda, ci sono degli elementi di attenzione importanti. Peraltro, perché considerare i corsi di formazione organizzati dalle regioni, in tanti casi oggetto anche di vicende di dubbio gusto, qualcosa che ottempera al diritto all'istruzione, mentre quest'altro percorso no. È una norma che già esiste. È una norma, quella inserita dal relatore, che in qualche modo raccorda l'esistente, da un lato, Pag. 33con l'obbligo formativo e l'obbligo di istruzione e, dall'altro, con questa norma che esiste, che è in vigore e vede come unica eccezione alla sua applicazione la provincia di Bolzano, che già adesso, non contravvenendo a nessuna legge dello Stato italiano, né a quella sulla formazione, sull'obbligo formativo di 10 anni fino al sedicesimo anno di età, ma applicando la legge Biagi nella sua interezza, quindi anche con questa tipologia di contratto, dà attuazione a questo meccanismo di formazione con contratto di apprendistato nelle aziende. Quindi, esiste già. Questa norma lo rafforza, allora noi diamo attenzione a questi giovani. Esistono 350 mila lavoratori che hanno esclusivamente il titolo della terza media, non hanno altri titoli di formazione. A questi lavoratori noi dobbiamo dare attenzione. Dobbiamo recuperare queste competenze e cercare di qualificarle. I 350 mila lavoratori con la terza media, che non hanno più possibilità di conseguire altri titoli, vengono in qualche modo abbandonati dal punto di vista formativo. Noi siamo interessati a questi lavoratori, ai lavoratori a zero titoli, come direbbe qualcuno. Ecco, questi lavoratori devono avere una chance. Credo che questa chance possa essere data attraverso una soluzione, che è quella offerta dal relatore, che è certamente una soluzione perfettibile e migliorabile, ma è uno spunto sul quale l'auspicio è quello di poter portare avanti, a differenza di quanto abbiamo in qualche modo visto sui giornali di questi giorni, una discussione più serena. Credo che complessivamente questa terza lettura possa essere un'occasione importante per dare un segnale al mondo del lavoro, al mondo dell'impresa e soprattutto al mondo, che in questo momento è ancora fuori dal lavoro e dalle imprese e che magari vorrebbe entrarci presto e bene (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1441-quater-C)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Cazzola.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, quanto tempo ho a disposizione?

PRESIDENTE. Onorevole Cazzola, lei ha a disposizione quattro minuti.

Testo sostituito con errata corrige volante GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, voglio replicare - lo ha già fatto bene per la mia parte politica l'onorevole Baldelli, che mi ha alleggerito molto il lavoro - e rispondere alle domande che mi sono state rivolte direttamente, dicendo agli onorevoli Damiano e Santagata, che hanno fatto una requisitoria molto dura nei confronti della politica del lavoro del Governo, che il Governo risponderà per suo conto. In questo periodo ha affrontato un'emergenza molto difficile e grave. Credo che l'abbia fatto bene e che metterà le carte in tavola presto con lo Statuto dei lavoratori e la riforma degli ammortizzatori sociali.
Sono solo relatore di questo provvedimento, lo sono stato e ho avuto l'onore di esserlo alla Camera.
Prendo atto che il lavoro del relatore, della Commissione lavoro, del Comitato dei nove, ha avuto un apprezzamento sia nella prima che nella terza lettura. Su questa materia non vi sono stati voti di fiducia, vi sono state delle intese che si sono realizzate sia nella prima che nella terza lettura. Per quanto mi riguarda, quindi, visto che la responsabilità politica in qualche modo è personale, come quella penale, mi dichiaro abbastanza soddisfatto.
All'onorevole Berretta voglio dire che quell'inciso che è contenuto nelle norme che riguardano il processo del lavoro, ovvero che il giudice deve tener conto dell'organizzazione del lavoro e del vivere civile, è frutto di un testo approvato in prima e in seconda lettura nel medesimo contenuto, quindi da noi non modificabile; Pag. 34in buona sostanza è andata così, poi la vita sostanzialmente, per fortuna, ha sempre un domani. All'onorevole Coscia voglio dire che, proprio perché non credo che vi siano ragazzi che sono portati solo per lo studio, ed altri portati solo per il lavoro, credo che l'emendamento sia corretto, me ne sono convinto strada facendo, in quanto non si riferisce all'apprendistato così com'è oggi, disciplinato dalla cosiddetta legge Treu, ma si riferisce - l'ha ripetuto bene l'onorevole Baldelli - a quanto previsto dall'articolo 48 e dal decreto legislativo n. 276 del 2003 nel suo insieme. Voglio assicurare all'onorevole Delfino che non si tratta di una nuova disposizione, di una nuova fattispecie e in sede di coordinamento questa mia affermazione può essere meglio chiarita anche nel contesto normativo. Voglio ricordare il comma 4, e i criteri molto precisi che l'intesa Governo-regioni deve seguire per rendere possibile questo tipo di apprendistato, che non è un apprendistato qualsiasi, ma un apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, per il quale esiste un problema di coordinamento tra l'età di accesso prevista da questo apprendistato e quella prevista dalla cosiddetta riforma Fioroni.
Signor Presidente, questi sono gli aspetti che volevo sottolineare. Rimando alla lettura dell'articolo 48 nel suo insieme che credo dà a noi tutti le garanzie che cerchiamo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, voglio replicare - lo ha già fatto bene per la mia parte politica l'onorevole Baldelli, che mi ha alleggerito molto il lavoro - e rispondere alle domande che mi sono state rivolte direttamente, dicendo agli onorevoli Damiano e Santagata, che hanno fatto una requisitoria molto dura nei confronti della politica del lavoro del Governo, che il Governo risponderà per suo conto. In questo periodo ha affrontato un'emergenza molto difficile e grave. Credo che l'abbia fatto bene e che metterà le carte in tavola presto con lo statuto dei lavori e la riforma degli ammortizzatori sociali.
Sono solo relatore di questo provvedimento, lo sono stato e ho avuto l'onore di esserlo alla Camera.
Prendo atto che il lavoro del relatore, della Commissione lavoro, del Comitato dei nove, ha avuto un apprezzamento sia nella prima che nella terza lettura. Su questa materia non vi sono stati voti di fiducia, vi sono state delle intese che si sono realizzate sia nella prima che nella terza lettura. Per quanto mi riguarda, quindi, visto che la responsabilità politica in qualche modo è personale, come quella penale, mi dichiaro abbastanza soddisfatto.
All'onorevole Berretta voglio dire che quell'inciso che è contenuto nelle norme che riguardano il processo del lavoro, ovvero che il giudice deve tener conto dell'organizzazione del lavoro e del vivere civile, è frutto di un testo approvato in prima e in seconda lettura nel medesimo contenuto, quindi da noi non modificabile; Pag. 34in buona sostanza è andata così, poi la vita sostanzialmente, per fortuna, ha sempre un domani. All'onorevole Coscia voglio dire che, proprio perché non credo che vi siano ragazzi che sono portati solo per lo studio, ed altri portati solo per il lavoro, credo che l'emendamento sia corretto, me ne sono convinto strada facendo, in quanto non si riferisce all'apprendistato così com'è oggi, disciplinato dalla cosiddetta legge Treu, ma si riferisce - l'ha ripetuto bene l'onorevole Baldelli - a quanto previsto dall'articolo 48 e dal decreto legislativo n. 276 del 2003 nel suo insieme. Voglio assicurare all'onorevole Delfino che non si tratta di una nuova disposizione, di una nuova fattispecie e in sede di coordinamento questa mia affermazione può essere meglio chiarita anche nel contesto normativo. Voglio ricordare il comma 4, e i criteri molto precisi che l'intesa Governo-regioni deve seguire per rendere possibile questo tipo di apprendistato, che non è un apprendistato qualsiasi, ma un apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, per il quale esiste un problema di coordinamento tra l'età di accesso prevista da questo apprendistato e quella prevista dalla cosiddetta riforma Fioroni.
Signor Presidente, questi sono gli aspetti che volevo sottolineare. Rimando alla lettura dell'articolo 48 nel suo insieme che credo dà a noi tutti le garanzie che cerchiamo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in una fase successiva.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non so quanto rimarrà in piedi questa legislatura (spero per le istituzioni fino alla fine), però ho pensato che sia utile che in ogni occasione torni a sottoporre lo stesso problema. Potrebbe gentilmente indicarmi qual è l'articolo del Regolamento nel quale si prevede che il Governo si riserva di intervenire in sede di replica in un'altra fase della seduta? Sappiamo che al comma 3 dell'articolo 83 del Regolamento si dice che il Governo ha la possibilità di replicare al termine della discussione sulle linee generali, ovvero in questa fase. Poi quello che il Governo farà in un'altra fase attiene ad un'altra fase procedurale, che non è quella della discussione sulle linee generali. La discussione sulle linee generali si chiude con la disponibilità del Governo ad intervenire, o con la scelta di non intervenire, ed è una scelta che è nella sua assoluta e autonoma disponibilità, ma non esiste una fase sussidiaria della discussione sulle linee generali. La fase si chiude qui, e il Governo decide - è bene che lo sappiano coloro che sono presenti e coloro che ci ascoltano da fuori - che al termine della discussione sulle linee generali, dopo un dibattito così ricco, non intende replicare. Poi, domani, come si dice, è un altro giorno e si vedrà.

PASQUALE VIESPOLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASQUALE VIESPOLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Giachetti, che ha sottolineato questo dato di carattere regolamentare, ma il Governo è intervenuto in sede di apertura della discussione e non intende sottrarsi al confronto e al dibattito. È altrettanto evidente che il Governo può intervenire in qualsiasi circostanza ed occasione, riaprendo la discussione e il confronto.

ROBERTO GIACHETTI. Questa è una novità interessante, se la può formalizzare...

PASQUALE VIESPOLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Comunque in sede di discussione generale Pag. 35- che oggi si conclude - il Governo replica in maniera estremamente sintetica perché si riconosce in particolare nel combinato disposto delle riflessioni dell'onorevole Baldelli e di quelle quelle del relatore; ritiene altresì che il dibattito in Commissione sia stato utile, positivo, e resterà tale, anzi sarà valorizzato ulteriormente dalla discussione in Aula. Il Governo valuta le riflessioni dell'onorevole Damiano sull'attività del medesimo Esecutivo - riflessioni che sono state riprese anche da altri esponenti del Partito Democratico - non un processo breve, ma un processo sommario e superficiale rispetto ad un presunto disegno che in realtà il Governo non ha.
Il Governo ha il disegno di «sbottigliare» quanto più possibile le condizioni e le situazioni di crisi al fine di spalmare quanto più possibile in questa condizione le potenzialità di carattere occupazionale, e cercando di modernizzare il mercato del lavoro senza perdere la sensibilità e l'anima di carattere sociale che contraddistingue la maggioranza. Anzi, la stessa maggioranza recupera il tema della centralità del lavoro e lo fa a tal punto da considerare il fattore educativo del lavoro e da introdurre questo elemento culturale, questo approccio che dovrebbe far riflettere quelli che di lavoro discutono, di socialità parlano, e che ritengono di avere una sorta di esclusività rispetto a questi temi e a queste questioni. Inoltre si recupera la centralità del lavoro anche in funzione educativa e si determina non un abbassamento degli obblighi relativi all'istruzione e alla formazione, ma la possibilità di individuare un'alternativa con il seguente duplice obiettivo (nel confronto che si deve inevitabilmente articolare con le regioni e con le parti sociali): da un lato, consentire dai quindici ai sedici anni un'alternativa per chiudere il ciclo del diritto-dovere; dall'altro, aprire una fase ulteriore verso la triennalità dell'utilizzo del contratto di apprendistato previsto dalla legge Biagi, perché questo contratto ha bisogno di tale dimensione temporale per poter funzionare, così come sanno tutti coloro i quali sono attenti a questa dinamica, a questa problematica e a questo raccordo con le parti sociali, soprattutto quelle rappresentative delle realtà piccole. È evidente che ci troviamo di fronte ad una formula e ad una forma che non è quella - come ha ribadito il relatore - che abbiamo già conosciuto e sperimentato. Anzi, dobbiamo aprire una nuova strada per vedere se e in che misura, anche attraverso questa iniziativa, riusciamo a dare una risposta vera a quel fenomeno della dispersione che, non a caso e non solo per ragioni di sviluppo, ma probabilmente anche per ragioni di carattere culturale e di approccio a queste tematiche, trova cifre sempre più drammatiche soprattutto nelle regioni meridionali, cioè in quelle regioni che sono governate con un approccio che non sempre utilizza questa leva rispetto ad un reale e realistico inserimento nel mondo del lavoro, ovverosia quelle regioni con tassi di dispersione scolastica che preoccupano e che debbono preoccuparci tutti quanti al di là delle appartenenze e degli schieramenti.
Ritengo quindi di poter concludere in questo modo. Sono convinto che il dibattito ulteriore arricchirà il provvedimento, che vi saranno occasioni per le ulteriori puntualizzazioni e le ulteriori chiarificazioni, con l'auspicio che la lettura da parte della Camera dei deputati coincida con alcuni punti di miglioramento di un provvedimento che - lo voglio ricordare a conclusione della discussione sulle linee generali - è un provvedimento articolato, non sempre organico ma sicuramente tale da affrontare alcuni nodi importanti sul terreno delle deleghe, com'è stato ricordato, sul terreno del processo del lavoro, come è stato ribadito e sottolineato, sulla possibilità di riordinare gli enti vigilati dal Ministero recuperando la funzione importante soprattutto di alcuni tra questi per migliorarne e valorizzarne la specificità. D'altra parte, il provvedimento in esame introduce il grande dibattito sulla costruzione, nel nostro Paese, finalmente, di una filiera dell'istruzione, della formazione e del lavoro che è il vero punto debole che tutti dobbiamo cercare di fronteggiare se Pag. 36davvero vogliamo recuperare un dibattito sul welfare che si identifichi anche come elemento di un nuovo patto che è necessario costruire, vale a dire un patto tra generazioni per recuperare un welfare che è troppo finalizzato alle vecchie tutele e che lascia scoperti giovani inoccupati i quali, invece, attraverso un moderno riequilibrio del welfare, possono trovare la capacità di guardare alla modernizzazione e al futuro del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il Governo ha replicato alla discussione sulle linee generali. Per quanto riguarda il puntuale intervento dell'onorevole Giachetti, al di là di una imprecisione del Presidente, è evidente che nella discussione sulle linee generali la replica avviene al momento della conclusione della discussione stessa e, qualora il Governo intenda non replicare, è implicito che rinunzia al suo intervento. È altrettanto evidente, come ha richiamato il sottosegretario, che in fase di espressione dei pareri sugli emendamenti, dopo l'intervento del relatore oppure nell'ambito dell'esame degli emendamenti, il Governo ha la totale facoltà di poter intervenire per esprimere le proprie motivazioni o per apportare il suo contributo alla discussione. Considerato il grande confronto che abbiamo effettuato, alle ore 14,35 ringrazio gli intervenuti e il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15,30 per lo svolgimento degli altri argomenti all'ordine del giorno.

La seduta, sospesa alle 14,35, è ripresa alle 15,35.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Buonfiglio e Mogherini Rebesani sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Consolo; Biancofiore e Bertolini; La Loggia; Costa e Brigandì; Vietti; Palomba; Paniz: Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza (A.C. 889-2964-2982-3005-3013-3028-3029-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Consolo; Biancofiore e Bertolini; La Loggia; Costa e Brigandì; Vietti; Palomba; Paniz: Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2010.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 889-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Costa, ha facoltà di svolgere la relazione.

ENRICO COSTA, Relatore. Signor Presidente, signor sottosegretario e onorevoli colleghi, il provvedimento all'ordine del giorno introduce un'ipotesi di impedimento a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, identificando normativamente una serie di attività e di soggetti a cui sia applicabile la relativa disciplina. Occorre innanzitutto premettere che il Pag. 37lavoro svolto in Commissione è stato molto proficuo ed ha prodotto un risultato particolarmente significativo, consistente nella predisposizione e nell'approvazione di un testo che ha ricompreso punti significativi delle numerose proposte di legge in materia. Il testo approvato dalla Commissione giustizia è un articolato che tiene conto non solo delle proposte abbinate dei gruppi di maggioranza, ma anche di una proposta di legge presentata da un gruppo di opposizione - mi riferisco all'UdC - anzi la struttura del testo si basa proprio su quella presentata dall'onorevole Vietti. Su questa si è innestata quella presentata dal sottoscritto e dall'onorevole Brigandì, tenendo conto anche delle altre proposte presentate dagli onorevoli La Loggia, Biancofiore e Paniz.
Non si deve poi dimenticare che un altro gruppo di opposizione, l'Italia dei Valori, ha presentato una proposta sul tema del legittimo impedimento, individuando però soluzioni non coerenti con la ratio dell'istituto.
Come si è detto, la struttura è quella proposta dal gruppo dell'UdC: secondo questa proposta, l'intervento sul legittimo impedimento a comparire del Presidente del Consiglio deve essere fatto attraverso una norma che sia un ponte verso riforme costituzionali che regolino nuovi rapporti fra politica e magistratura, con particolare riferimento al Governo (da ciò la natura transitoria della nuova disposizione processuale). Tutte le proposte all'esame della Commissione miravano a garantire una civile convivenza fra funzioni tutelate dalla Costituzione: quella dell'esercizio della giurisdizione e quelle relative all'azione degli organi costituzionali, legislativo ed esecutivo.
Compete al legislatore fissare normativamente i confini ed i relativi margini d'azione, affinché non si realizzino interferenze ed invasioni di campo, ma si concreti al contrario un puntuale bilanciamento tra situazioni garantite dalla Carta costituzionale. Riservare alla libera interpretazione del giudice la validità, la forza e la concretezza di un impegno istituzionale o politico di un componente di un organo costituzionale costituisce un serio squilibrio tra l'azione di chi esercita funzioni giurisdizionali - meritevoli certamente di puntuale assolvimento - e quella di altri organi costituzionali, che finirebbero per vedersi imposta dall'esterno un'agenda di attività. Il che, oltre a creare un continuo stato di tensione e conflitto, andrebbe a realizzare una compenetrazione ed una confusione fra attività che la Costituzione ha separato in modo netto, con ciò compromettendo altresì il ruolo delle istituzioni.
È pertanto essenziale, al fine di sottrarre ad un'interpretazione soggettiva il giudizio sul merito e sulla concretezza delle attività istituzionali e politiche correlate alla carica, un intervento del legislatore che ponga le funzioni esercitate al centro dell'indagine sul legittimo impedimento, non certo per prevederne ipotesi di presunzione assoluta di sussistenza, bensì per cogliervi i connotati eventualmente di puntuale continuatività.
Il testo all'esame del Parlamento si caratterizza per l'indicazione di un arco temporale massimo di vigenza, durante il quale dovrà essere approvata una legge costituzionale avente ad oggetto una disciplina organica delle prerogative dei membri del Governo e della partecipazione degli stessi ai processi penali. Si tratta pertanto di una «legge ponte», avente una durata limitata finalizzata a colmare una lacuna dell'ordinamento ed a consentire al legislatore di predisporre un'organica disciplina della materia.
È evidente a tutti che si tratta di una materia che presenta la necessità di un intervento normativo. Infatti, il semplice rischio che la partecipazione ad udienze che li riguardino da parte di soggetti istituzionali comprometta il regolare svolgimento delle alte funzioni loro attribuite, costituisce un vulnus cui occorre porre rimedio attraverso soluzioni che garantiscano un equo contemperamento degli interessi in campo.
Sotto questo profilo, va respinta con forza la tesi - che è già stata affermata da alcuni esponenti dei partiti dell'opposizione - secondo cui il provvedimento in Pag. 38discussione costituisce una forma di immunità. Al contrario, esso interviene su un istituto già previsto dall'ordinamento, quello dell'impedimento a comparire, per riaffermare alcune situazioni meritevoli di tutela.
L'articolo 420-ter del codice di procedura penale già prevede che il giudice, in determinate situazioni, sia tenuto a rinviare l'udienza. È del tutto naturale, che il legislatore possa intervenire su tale impianto, senza per questo determinare un'immunità. Anzi, il legislatore, ribadisce semplicemente il concetto secondo il quale tutte le attività di Governo vanno ricomprese nella portata dell'istituto di cui al suddetto articolo 420-ter.
Se la disciplina dell'impedimento a comparire oggi in vigore venisse correttamente interpretata ed applicata, questi principi sarebbero già affermati chiaramente, ma il solo dubbio che le attività di chi esercita il potere esecutivo possano essere sindacate nella loro portata da appartenenti ad un diverso potere, non sarebbe costituzionalmente corretto.
Pertanto, il legislatore è chiamato a specificare e chiarire che la valutazione del merito e dei tempi dell'attività di Governo non compete al potere giudiziario. È compito del legislatore procedere ad un bilanciamento, attraverso percorsi che escludano scelte discrezionali, e per quanto possibile, siano ancorati a criteri oggettivi, a procedure automatiche e ad ipotesi tipizzate.
Proprio la tipizzazione delle cause costituenti il legittimo impedimento a comparire caratterizza il comma 2 dell'articolo 1 del provvedimento oggi in discussione. Infatti, nello stesso, andranno indicate tutte le fonti normative che disciplinano l'attività del Presidente del Consiglio dei ministri e che individuano quelle ipotesi - unitamente alle attività preparatorie e consequenziali ed a quelle connesse alle funzioni di Governo - che dovranno automaticamente determinare il rinvio dell'udienza.
Nel testo si afferma che per il Presidente del Consiglio dei ministri costituisce legittimo impedimento a comparire nell'udienza dei procedimenti penali, quale imputato o parte offesa, ai sensi dell'articolo 420-ter del codice di procedura penale, il concomitante esercizio di uno o più delle attribuzioni previste da particolari e specificamente richiamati articoli di legge. Opportunamente e logicamente, a queste attività sono ricondotte quelle preparatorie e conseguenziali, nonché ogni attività, comunque, connessa alle funzioni di Governo. Diversamente, la norma sarebbe carente di contenuto e sostanzialmente inutile.
L'opportunità di applicare la norma anche al caso in cui il Presidente del Consiglio sia parte offesa dovrà essere oggetto di riflessione, con riferimento alla coerenza, con la ratio del provvedimento. Per i Ministri viene fatto, più genericamente, riferimento all'esercizio delle attività previste dalle leggi e dai regolamenti che disciplinano le loro attribuzioni.
Sempre nell'ottica di un'oggettivizzazione della procedura, rientra la previsione di un'ipotesi di continuatività dell'impegno che, attestata dagli uffici di appartenenza, comporterà l'automatico rinvio ad udienza successiva al periodo indicato. Si tratta di un'ipotesi - giova ripeterlo - non certo di presunzione assoluta di sussistenza del legittimo impedimento, bensì, di puntuale continuatività dello stesso, ancorata alle disposizioni normative che regolano le attribuzioni di soggetti destinatari della legge. Il testo fissa, tuttavia, un termine di sei mesi per ciascun rinvio dell'udienza, determinato dall'attestazione di un impedimento continuativo. Il corso della prescrizione rimane sospeso per l'intera durata del rinvio.
Il dibattito su un tema tanto rilevante potrà e dovrà costituire un'occasione per far ripartire il dialogo tra forze politiche responsabili, a partire da quelle che, con un approccio costruttivo alla materia, si sono impegnate a predisporre una proposta. È fondamentale partire dalla consapevolezza che una seria e concreta apertura al confronto consentirà di approvare Pag. 39una legge che costituisca una tregua istituzionale solida, seria e giuridicamente consistente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà, per sedici minuti.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, impiegherò solo dieci minuti, mentre lascerò i restanti sei al collega Palomba.

PRESIDENTE. Sta bene.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, il processo breve rappresenta il ventesimo provvedimento approvato in Parlamento nell'interesse del Capo del Governo, da una maggioranza formata da Lega nord e Popolo della Libertà.
Ancora una volta, è un provvedimento «salva Silvio», se così possiamo intenderlo, perché ormai conosciamo bene la persona e non abbiamo modo di utilizzare altri segnali di distinzione.
Qualcuno tra gli effetti che tale provvedimento porrà nel dato immediato e in prospettiva, però, vorrei segnalarlo, non solo perché resti a futura memoria, ma anche per far capire che da oggi in avanti qualcosa succederà. Tale provvedimento sfascia la già malmessa macchina giudiziaria. Non vi è, infatti, alcun contemporaneo provvedimento che «asciughi» le procedure, che depenalizzati i reati, che renda più efficiente l'organizzazione giudiziaria, che qualifichi le risorse umane o che incrementi gli strumenti materiali.
Il processo breve impoverisce anche le casse dello Stato, perché si creano condizioni favorevoli alla «casta» per non risarcire il danno di sperperi e distrazioni; allontana dalla condanna le società che ricoprono la responsabilità amministrativa dei reati commessi dal management nell'interesse dell'azienda e, soprattutto, prepara un processo ingiusto e diseguale. Lasciati immutati oltre ogni ragionevolezza i reati, le procedure e le garanzie processuali, il processo non potrà che avere tempi lunghi.
Passiamo ad analizzare gli effetti a lungo termine. Si tratta di un processo nato per essere da un lato dilatato nei tempi e, dall'altro, strozzato nella durata. È uno strumento destinato a diventare superfluo, inutilizzabile, ma soprattutto inutile; uno strumento che non potrà mai essere giusto, nonostante le belle parole che vengono pronunciate dai diversi esponenti della maggioranza di Governo. Esso, infatti, fa dannare i poveri che sono senza risorse e premia chi ha il denaro per pagarsi grandi competenze nell'esplorare i labirinti delle procedure, così come fa bene il nostro Premier.
In conclusione, il Paese sarà più fragile, insicuro e criminofilo, con giubilo dei delinquenti con e senza colletto bianco. Vi è finalmente il modo legale per arraffare, arricchirsi e farsi prepotente senza danno, mal vivere senza pagare dazio né allo Stato, né alle innocenti vittime di tanti soprusi.
Il processo breve è anche il frutto avvelenato di un'arrogante pretesa immunitaria. È un atto quasi intimidatorio al Parlamento e allo Stato. È già accaduto qualche tempo fa, nel 2008, quando, con un emendamento al decreto-legge in materia di sicurezza, il Capo del Governo si fa approvare la sospensione per un anno dei processi per fatti commessi prima del 1o luglio 2002, la cui pena non eccede i 10 anni (è questo il suo caso). La norma manda all'aria 100 mila processi in Italia. Berlusconi agita tutto questo per rendere accettabile come danno minore un provvedimento che lo rende immune fino al termine del mandato. Il lodo Alfano sarà poi approvato l'11 luglio 2008 e bocciato dalla Consulta perché incostituzionale - come questo provvedimento - il 7 ottobre 2009. Pag. 40
Si ripete puntualmente lo stesso quadro tattico. Distruttivo dell'intero sistema giudiziario, il processo breve è un mostro che dovrebbe convincerci ad accogliere come riduttivo di un rovinoso danno un altro provvedimento che, senza umiliare l'interesse collettivo, può ottenere lo stesso risultato, ossia il congelamento dei processi del «Cavaliere». Il male minore per i cittadini e per lo Stato, che dovrebbe salvare Berlusconi dalle sue «rogne» giudiziarie, è costituito dal provvedimento sul legittimo impedimento; la riformulazione - ancora per via ordinaria e quindi incostituzionale - del lodo Alfano. La definiscono: disposizione temporanea in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio a comparire nelle udienze penali; e si prevede che costituiscano motivo di rinvio delle udienze gli impegni istituzionali del Capo del Governo. La norma sarà valida per tutti processi in corso in ogni fase, stato o grado, solo per 18 mesi, in attesa di una riforma costituzionale che reintroduca, purtroppo, l'immunità parlamentare. È naturale che Berlusconi non si fidi dell'escamotage o della solidità di questo ponte, perché dovrebbe vedere garantita la sua salvezza in una legge, quella sul legittimo impedimento.
Credo che su questo dato dovremmo riflettere, perché esso dovrebbe allarmare l'opposizione e anche segmenti di una magistratura che è stressata da questa guerra continua contro il Premier. È strano che essi non si accorgano che la revisione dell'immunità - che il «Cavaliere» deve far approvare anche dall'opposizione - è il grimaldello attraverso cui far passare la costituzionalizzazione di se stesso e l'anomalia dei suoi interessi, confusi, sovrapposti e complessi.
Si tratta di un congegno per potenziare un potere che si immagina limitato da troppi contrappesi. I contrappesi - e mi rivolgo ai colleghi - sono il Parlamento, l'ordine giudiziario, il Capo dello Stato, la Corte costituzionale. È evidente che Berlusconi chieda che la Costituzione diventi strumento di chi governa, ossia un dispositivo per esercitare solo il potere.
Ci si sarebbe aspettato - e non solo dall'Italia dei Valori - che si levasse più di una voce autorevole che ricordasse che la Carta fondamentale della Repubblica è figlia di un costituzionalismo che non l'ha immaginata strumento di governo, ma di garanzia contro gli abusi di potere. Quello che si sta tentando, invece, è l'ennesima strada affinché si renda immunizzato il Premier e che lo si possa sdoganare per sempre all'interno della nostra Costituzione. Credo che questo debba allarmare non solo i deputati dell'opposizione ma anche i parlamentari della maggioranza, perché oltre a togliere la possibilità di esprimere una propria posizione, viene tolta loro la completa dignità personale, politica e istituzionale.
Ma voglio tornare al provvedimento. Il legittimo impedimento dell'imputato, come causa di rinvio dell'udienza nel processo penale, è istituito ed è già stato previsto nel nostro ordinamento processuale a tutela del diritto di difesa (si veda l'articolo 420-ter del codice di procedura penale). Ebbene, a questo dato non vi è nulla da aggiungere con un ulteriore provvedimento visto che già ci sono tutte le leggi e le circostanze che ne prevedono la possibilità o meno di metterlo in pratica. La proposta di testo unificato ignora completamente le indicazioni della Corte costituzionale, riproducendo in modo amplificato gli errori che viziavano il lodo Alfano. Come chiaramente affermato da illustri giuristi auditi in Commissione, la linea portante dovrebbe essere, invece, quella del bilanciamento tra interessi e funzioni di pari rango costituzionale.
Voglio ora analizzare l'articolo 1 del provvedimento, in cui si afferma che in attesa di una legge costituzionale, recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri nonché le modalità di partecipazione degli stessi ai processi penali, questi necessitano di un «sereno svolgimento delle loro funzioni». Esprimo delle forti perplessità - insieme a tanti altri, non solo insigni giuristi - perché credo che la configurazione del diritto del Presidente del Consiglio dei ministri e dei suoi Ministri Pag. 41al sereno svolgimento delle funzioni non solo lasci delle perplessità e dei grandi punti interrogativi ma anche dei vuoti di carattere giuridico. La nostra Costituzione non prevede un «diritto alla serenità» negli stessi termini in cui esso è riconosciuto, ad esempio, dalla Costituzione degli Stati Uniti d'America, perché ci sono modi e tempi per agire con le proprie capacità e le proprie prerogative. Inoltre, non si può immaginare che con un provvedimento di tale portata si voglia tutelare il Presidente del Consiglio che si trovi in situazioni di fragilità emotiva, dal momento che una simile predisposizione all'emotività sconsiglierebbe di assumere, di fatto, le cariche di Governo.
Detto questo, credo che l'impedimento legittimo sia, di fatto e per sua natura, qualcosa di puntuale e di concretamente localizzato nel tempo. Una presunzione assoluta ex lege di impedimento continuativo per un lungo periodo di tempo equivarrebbe a una norma di status derogatoria, cioè a una prerogativa. Il testo in esame risulta, dunque, incostituzionale, ad personam e volto a istituire una prerogativa inaccettabile se non prevista con legge costituzionale.
Infine, il testo nuoce anche all'immagine dell'Italia, che appare come un Paese teso unicamente a risolvere problematiche di carattere secondario, nell'interesse di pochi soggetti se non addirittura di uno solo, per di più con strumenti impropri, allo scopo di introdurre nell'ordinamento una vera e propria prerogativa con l'affermazione dell'assoluto primato della funzione politica su quella giurisdizionale.
Credo che questi pochi elementi di riflessione debbano far capire che da parte dell'Italia dei Valori non vi sia ostracismo rispetto al provvedimento, ma che ci si debba rendere conto che vi è un tempo per ogni cosa e vi è una Costituzione per tutti i tempi, che non va modificata o piegata agli interessi di parte o solo di qualcuno. Credo che su questi temi ci dovremmo misurare e confrontare, piuttosto che andare avanti a colpi di maggioranza.
Si sta facendo un danno enorme a questo Paese, si sta facendo un danno enorme alla democrazia, si sta facendo un danno irreversibile a questo Parlamento.
Mi auguro che si possano sviluppare, all'interno del Parlamento, quel dibattito (che è mancato) e quel confronto forte e importante che possa anche rimettere insieme tutto lo schieramento dell'opposizione per far capire che altri sono i problemi di questo Paese, che altre sono le urgenze a cui dare risposta e che altri sono i provvedimenti di cui si dovrebbe far carico il Paese.
Sembra quasi che dopo il danno vi sia la beffa: stamattina abbiamo parlato di un disegno di legge collegato alla legge finanziaria in materia di lavoro (che peraltro è scollegato da ogni tipo di realtà, di urgenza e di emergenza che attanaglia soprattutto i nostri giovani in questa realtà); adesso paradossalmente parliamo di un provvedimento talmente urgente che deve passare prima di tutti perché prima bisogna tutelare e salvaguardare il nostro Premier, e poi vengono, forse, i problemi del lavoro, del precariato e delle famiglie che non arrivano la fine del mese.
Credo che su questo tema dovremmo interrogarci per capire in che modo e in che misura questo Parlamento è ancora vicino ai problemi della gente e in che modo e in che misura il Governo rappresenti fino in fondo le istanze di cambiamento, di innovazione, di capacità di stare dentro le cose di questa nostra realtà italiana che sempre più si va sganciando, per colpa di questo Governo, dai temi e dai dettati europei in ogni tipo di legge che viene approvata da questo Parlamento e che viene proposta dal Governo.
Credo che su questi temi ci sia molto da dibattere e che sul tema che stiamo affrontando oggi l'opposizione debba battere un colpo, tutta insieme, perché non è pensabile che questo provvedimento possa passare e, se non ci riuscirà l'Aula - ma mi auguro che lo faccia - con un confronto serrato e forte, lo farà sicuramente la Corte costituzionale, facendo ciò che ha fatto con il «lodo Alfano»: lo dichiarerà incostituzionale, perché non vi è nessun tipo Pag. 42di elemento che possa far pensare che una simile legge possa essere strumento di lavoro del Parlamento di uno Stato civile, e soprattutto di uno Stato moderno, che cerca di sviluppare azioni di emancipazione, piuttosto che azioni legate alle sorti di una singola persona, fosse anche essa il Capo dello Stato (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, chiedo fin d'ora, se dovesse finire il tempo a mia disposizione, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Senz'altro, onorevole Ferranti. La avviserò quando sta per terminare il suo tempo.
Mi permetta di salutare gli studenti e gli insegnanti dell'istituto comprensivo Marco Polo di Cardito, della provincia di Napoli, che stanno assistendo dalle tribune ai nostri lavori della giornata di oggi, che vedono in corso la discussione sulle linee generali delle proposte di legge riguardanti il legittimo impedimento.

DONATELLA FERRANTI. Credo sia utile rammentare quale sia la disciplina attuale del legittimo impedimento a comparire, una norma che, per l'appunto, riguarda e garantisce la partecipazione dell'imputato al suo processo.
In realtà, già oggi la disciplina che è stata introdotta con il nuovo codice di procedura penale del 1989 prevede che il giudice, anche d'ufficio, sospende o rinvia il dibattimento quando risulta che l'assenza sia dovuta o quando appare probabile che sia dovuta a caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento.
La novità del 1988 fu proprio quella della non necessità di prova assoluta di esistenza: è sufficiente la semplice probabilità dell'impedimento, ove questo sia assoluto. Con la proposta in esame come si vuole stravolgere questo sistema, che è già un sistema di ampia e sufficiente garanzia dell'imputato a partecipare giustamente al suo processo? Individuando ipotesi astratte di legittimo impedimento legate all'assolvimento concomitante di funzioni istituzionali quale Presidente del Consiglio o Ministro che, per la loro genericità e il riferimento all'attività politica, preparatoria, di Governo, conseguente, o comunque connessa, fanno sì che in realtà vi sia un automatismo rispetto alla deduzione del legittimo impedimento, ossia dell'impedimento, rispetto all'andamento del processo.
In realtà, questa materia non è nuova: è già stata valutata dalla Corte costituzionale, che, nel risolvere dei conflitti di attribuzione, si è già espressa nell'individuare quali sono i limiti per il legislatore. I limiti sono proprio quelli - disse la Corte costituzionale in quelle sentenze del 2001 e del 2003 - che non si può individuare una soluzione automatica che fa poi derivare come un automatismo necessario il legittimo impedimento e, quindi, sospende il processo penale.
Proprio la giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, ha valorizzato un altro elemento critico che si cercò all'epoca di individuare proprio con riferimento al legittimo impedimento governativo e parlamentare. Nella sentenza del 2001, infatti, proprio in relazione alla regola che suggeriva la Camera dei deputati all'epoca - mi pare che si riferisse al caso Previti - di configurare come legittimo impedimento la partecipazione del parlamentare alle sole votazioni in Assemblea, la Corte affermò che tale regola acquisirebbe sempre una impropria valenza derogatoria del diritto comune.
Il punto è che l'introduzione di una norma astratta, generalmente derogatoria delle regole processuali comuni che valgono per tutti i cittadini, rischia di creare una ingiustificata disparità di trattamento tra imputati titolari di cariche istituzionali e imputati che non lo siano. Nell'assetto costituzionale vigente non ci possono essere garanzie che differenzino la posizione degli imputati tra di loro a seconda che siano o meno titolari di cariche costituzionali Pag. 43se non attraverso il riferimento al testo costituzionale che oggi è costituito dal nostro articolo 68, reduce tra l'altro da una modifica e da un referendum su questo punto che ha ridotto o comunque individuato quali sono le prerogative costituzionali dei parlamentari e, quindi, anche degli uomini di Governo. Per questi ultimi, poi, esiste una particolare disciplina che riguarda i reati funzionali, ovvero commessi nell'esercizio delle loro funzioni, per cui esiste la giurisdizione del tribunale dei ministri.
Quindi, qualsiasi deroga alla regola di comune rispetto della giurisdizione andrebbe perlomeno prevista con legge costituzionale e tra l'altro senza andare a ricercare lontano nel tempo l'individuazione di quelle sentenze che stabilirono i conflitti abbiamo avuto una sentenza recente, quella che ha dichiarato incostituzionale il lodo Alfano - la n. 262 del 2009 -, che ha ribadito gli stessi concetti.
Questo testo di legge - sul quale, qualora non venga modificato, possiamo sin da ora annunciare il nostro voto contrario - sostanzialmente crea quell'automatismo che non può essere accolto in un principio di compatibilità del sistema. Diverso è se la qualificazione dell'azione governativa come legittimo impedimento processuale venga a sottostare ad una valutazione nel caso concreto del giudice che ha il governo e la responsabilità del processo.
Infatti, se in altri procedimenti legislativi (che, come abbiamo visto, hanno avuto un iter abbastanza travagliato, ma comunque concluso nell'ambito del Senato, il cosiddetto provvedimento riconducibile alla nozione di processo breve, o comunque processo di ragionevole durata) vediamo come venga valorizzata la responsabilità del giudice nella conduzione del processo e, quindi, anche nell'assicurare dei tempi alla giustizia, in questo caso si deroga incoerentemente a tutto quello che di là è stato detto. Infatti, in questo caso il giudice è soltanto passivamente un notaio di avvenimenti che riguardano e si formano fuori dal processo. Possono addirittura derivare da comportamenti unilaterali di chi è titolare della funzione pubblica, che governa i tempi dei suoi impegni molte volte e che, quindi, determinerebbe immediatamente il governo anche dei tempi processuali, anzi della sospensione automatica e senza contraddittorio alcuno dell'attività processuale.
Quindi non si può ricorrere, come accade nella proposta concreta, a formule vaghe e onnicomprensive in cui si parla anche per i ministri di attività inerenti alle funzioni istituzionali o politiche comunque regolate o facenti riferimento a delle norme generali che non tipizzano, perché non può essere tipizzata l'attività di Governo. L'attività di Governo può essere tipizzata in alcune sue forme, ad esempio nel caso della riunione di un Consiglio dei ministri, ma in tante altre diventa qualcosa che non può essere stretto entro dei paletti così stringenti, ma deve essere qualcosa che si adatta e si conforma alle esigenze dell'amministrazione. Quindi, in quanto tale non può essere tipizzata in maniera generale e astratta e deve essere valutata in concreto dal giudice nel contraddittorio delle parti, perché un processo ha delle parti: oltre all'imputato c'è il pubblico ministero e la parte civile.
Se lo scopo fosse quello di assicurare la possibilità di difendersi personalmente nel processo, senza pregiudicare il compimento di attività connesse all'ufficio, nella legge si dovrebbe trovare un adeguato contemperamento di queste esigenze. Se invece, come viene anche ammesso e sbandierato, si intende tutelare la funzione istituzionale evitando la necessità di difendersi nel processo, perché esso può turbare - come si dice nella relazione e nella premessa - lo svolgimento dell'attività connessa alla carica, allora la strada non è quella della modifica della norma processuale del codice di procedura penale. Ciò vuol dire ammettere che l'impedimento deve valere a tempo indeterminato, cosa che in realtà provoca una sospensione del processo e quindi la via non può essere quella della modifica della legge ordinaria, ma deve essere necessariamente quella della legge costituzionale. Il tutto, come dicevo, sempre attraverso un contraddittorio con le altre parti. Pag. 44
Questa legge è talmente fatta su misura di due processi, dove non mi risulta che si siano costituite delle parti civili, che in realtà non si prova nemmeno a pensarci. Si formula una norma generale e astratta, sia pure con una premessa che la riconduce ad una specifica esigenza quasi palesata, e poi d'altro canto si introduce un mostro giuridico che fa venir meno qualsiasi principio del contraddittorio. Il principio del contraddittorio è tanto richiamato da tutti, sia al Governo che nel Parlamento, come un principio basilare che deve essere effettivamente garantito, ma poi non si tengono in nessun conto i costi materiali e umani che derivano dalle udienze che dovrebbero perciò essere limitate allo stretto indispensabile: è il giudice che ne dovrebbe tener conto nella valutazione concreta. Non si tiene conto del sacrificio dei diritti delle altre parti, anche della parte pubblica che rappresenta lo Stato nell'esercizio della sua potestà punitiva.
In conclusione, ritengo che l'esigenza di permettere l'esercizio di funzioni pubbliche da parte di un componente di un organo costituzionale, delle Camere parlamentari o di una carica pubblica o governativa che sia imputato in un processo, consentendo il regolare e integro svolgimento delle stesse funzioni - mi permetto di rappresentarlo a tutti, ma credo che tutti quanti voi già lo sappiate - è già pacificamente considerata come causa di possibile legittimo impedimento, valutata nel caso concreto dal giudice, che dà luogo al rinvio dell'udienza. In tal senso è dominante la prassi giudiziaria, la giurisprudenza dei giudici comuni e della Corte costituzionale. Quindi l'affermazione contenuta nelle premesse del testo della legge appare inutile e demagogica, ed è volta in realtà a giustificare all'opinione pubblica un'inutile legge ad personam.
Il principio base da seguire, infatti, se si vuole assolvere al ruolo di legislatore e se questo legislatore non deve solo e soltanto perseguire gli interessi di un singolo, è sempre quello del bilanciamento tra contrapposte esigenze: da un lato, vi è l'interesse all'effettivo esercizio della funzione giurisdizionale attraverso la celebrazione del processo, dall'altro, vi è l'interesse al continuativo e regolare svolgimento delle funzioni pubbliche, specie se facenti capo ad organi costituzionali.
Questa disciplina che si vuole introdurre è l'ennesimo tentativo di piegare le regole del sistema alle esigenze processuali di una sola persona, poiché stabilisce a priori e in modo vincolante che la titolarità e l'esercizio di funzioni costituiscono sempre legittimo impedimento per tutta la durata della carica pubblica, per lunghi periodi di tempo predeterminati, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto, prescindendo dall'effettiva connessione di quell'impedimento, di quell'impegno all'esercizio della funzione di Governo. Si traduce in una vera e propria prerogativa di titolari di cariche pubbliche, diretta a proteggerne lo status e la funzione, realizza una deroga al normale esercizio della funzione giurisdizionale che solo il legislatore costituzionale può eventualmente stabilire. Tutto questo mentre il Paese attraversa una crisi difficilissima e nessun progetto organico di riforma per la giustizia è stato di fatto elaborato né sottoposto all'esame parlamentare.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI. Mi avvio a concludere, Presidente. Un'altra riflessione mi è d'obbligo perché siamo all'ennesimo provvedimento ad personam che si colloca in una gincana di provvedimenti sapientemente dosati nei tempi e nei percorsi di discussione in Commissione e in Assemblea, tra Camera e Senato, ora accelerati, ora rallentati, con uno spreco di tempo, di energie, di risorse pubbliche in Parlamento e con l'unico, ossessivo scopo di sospendere i processi in corso di cui abbiamo parlato tante volte.
Lascia perplessi, e devo dire personalmente sconcertati, il fatto che molte intelligenze politiche si sforzino di trovare comunque una giustificazione alla reintroduzione di una immunità parlamentare che, partendo dalle contingenti pendenze penali del Presidente del Consiglio, viene Pag. 45individuata come la condizione necessaria per restituire alla politica la forza e la capacità decisionale perduta.
Credo, però, che noi tutti dobbiamo stare attenti a ciò che agli occhi di molti cittadini si pone come un ulteriore privilegio per la classe politica, un venir meno del principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge in nome di una funzionalità di Governo, quasi che il voto popolare sia una sorta di purificazione da tutti i peccati, anche di natura penale, e come se, una volta eletti, rendesse il rappresentante del popolo una sorta di princeps legibus solutus.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti del terzo circolo di Maddaloni plesso «Lambruschini» (Caserta), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Papa. Ne ha facoltà.

ALFONSO PAPA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, ho ascoltato con attenzione gli interventi che sono stati svolti dai rappresentanti dell'opposizione, tenuto conto che oggi ci troviamo ad affrontare una normativa che disciplina il legittimo impedimento a comparire in udienze processuali per cariche dello Stato e membri del Governo.
In via preliminare, devo dire che questo tema evoca sicuramente una forte pregnanza politica, sia in relazione a quello che è stato, e che è, il dibattito di questi anni sui rapporti tra giustizia, potere esecutivo, cariche istituzionali e magistratura, sia in relazione alla struttura della materia e all'evoluzione che ha avuto nel tempo, essendovi stata una serie di interventi che ha toccato anche la Costituzione e che a vario titolo e in vario modo ha modificato e disciplinato tale materia.
È una materia che attiene all'esercizio dell'azione dell'Esecutivo, ovvero all'esercizio di quella funzione di indirizzo politico che nel sistema democratico valorizza l'attività amministrativa, adeguandola alle indicazioni popolari espresse attraverso le elezioni e che si tramutano in maggioranze, Governi e rapporti fiduciari con le maggioranze parlamentari che li sostengono. Se così stanno le cose, dobbiamo ricordare, innanzitutto, che non vi è Paese occidentale, Paese democratico, Paese a struttura camerale, comunque liberale o che, comunque, viva un sistema paragonabile al nostro quanto a democrazia compiuta, che non affronti questa materia e che non la disciplini.
Sarebbe estremamente noioso (o forse interessante a seconda dei punti di vista) affrontare questa disciplina per quel che riguarda i Paesi a noi vicini. Potremmo farlo e siamo pronti a farlo per scoprire che, ad oggi, il Paese che ha una lacuna normativa in questa materia di fatto è l'Italia. Potremmo ricordare che l'ultimo Paese europeo ad avere disciplinato in maniera compiuta questa materia è stato recentemente la Francia, per la verità in pendenza di procedimenti nei confronti del Presidente della Repubblica, Paese presidenziale, per consentire il corretto e sereno svolgimento delle sue funzioni. Francamente, non riusciamo a comprendere cosa in questo termine abbia potuto turbare il collega dell'opposizione intervenuto prima, atteso che la serenità, come egli ricordava, è evocata in quella che è la più antica delle Costituzioni che i Paesi democratici conoscono. È stato fatto ciò per garantire in quel Paese e in quella Repubblica presidenziale il sereno svolgimento delle attività presidenziali del Presidente della Repubblica. Dunque, la Francia è stato il Paese dove, da ultimo, si è disciplinato un sostanziale congelamento delle attività processuali nei confronti del Presidente della Repubblica. Attività che, come è noto a coloro i quali seguono le vicende giornalistiche di cronaca d'oltralpe, cessato il mandato, sono riprese regolarmente. Oggi, la persona fisica che all'epoca rappresentava la Repubblica francese nella qualità di Presidente della Repubblica, sta affrontando regolarmente i processi per i fatti che, all'epoca, gli sono stati addebitati.
Dobbiamo, tra l'altro, ricordare ai colleghi dell'opposizione, i quali hanno affrontato Pag. 46con dovizia di dettaglio e in maniera assolutamente approfondita questi aspetti, che, in questa discussione, vi è un convitato di pietra che la politica porta sulla sua coscienza, ovvero la Costituzione. Per chi ama ergersi a difensore dell'ultima ora della magistratura e dei valori di autonomia e di indipendenza della giurisdizione, dobbiamo ricordare che non una sola parola è stata spesa prima del 1993 dalla magistratura (nelle forme associate o istituzionali) contro l'istituto della cosiddetta immunità, all'epoca disciplinata dall'articolo 68 della Costituzione. Non una sola parola, inoltre, a favore di quella soppressione o, invocando che non fosse reintrodotta, è stata spesa sempre dalla magistratura successivamente alla soppressione. Tutto ciò non stupisce perché il magistrato, soggetto alla legge e solo alla legge, evidentemente e correttamente ritiene fatto estraneo all'esercizio della giurisdizione l'esistenza o meno di una norma che disciplini la materia dell'immunità a vari livelli, graduandola per il parlamentare o il rappresentante del Governo.
Non deve stupire, quindi, che oggi, a fronte di atteggiamenti più realisti del re sulla materia, che vengono avanzati da frange importanti dell'opposizione, la magistratura abbia evidenziato un sostanziale agnosticismo corretto rispetto a questi temi, osservando, come si osserva da tempo, che questa materia deve essere rimessa alla politica, come alla politica venne rimessa la scelta di sopprimere una norma che era prevista nella Costituzione, dall'articolo 68, che disciplinava un bilanciamento di poteri. Quali poteri bilanciava quella norma? Basta leggere i lavori preparatori della Costituzione per rendersi conto che l'Italia, nel momento in cui si muniva di un sistema di perfetta autonomia e indipendenza dell'organo requirente, assoggettando tale organo allo stesso autogoverno previsto per l'organo giudicante, nella sua Costituzione rigida, fonte di tutte le fonti di legge, prevedeva anche un sistema di guarentigia, uguale e contrario, che potremmo dire speculare a quello previsto per una magistratura, il cui organo requirente veniva giustamente munito, in quella prospettiva e in quella visione, di un'autonomia e indipendenza totale, fatto anomalo rispetto a quanto poi accaduto in tutti i Paesi occidentali avanzati e democratici del mondo.
Si prevedeva all'articolo 68 l'istituto dell'immunità parlamentare, venuto poi a cadere per scelta della politica, in una fase, quella di tangentopoli, che - lo dobbiamo dire - sicuramente ha cambiato l'Italia, ma non era una sorpresa per quello che è il dato storico e per quello che è stato il dibattito nella politica e anche nella magistratura, che certamente poi, quanto a rese processuali, ha manifestato anche dei profili spesso particolarmente deludenti e ha aperto delle contraddizioni sulle quali ancora oggi stiamo ragionando.
Allora, questa norma sarebbe ipocritamente definibile una norma ad personam per il Presidente del Consiglio o peggio ancora potremmo dire volgarmente per la persona fisica del Presidente del Consiglio, a difesa delle sue prerogative di uomo o se vogliamo delle sue debolezze, della sua mancanza di volontà di presentarsi a rispondere di determinati addebiti.
La verità è che questa norma mira ad assicurare, questa volta attraverso un procedimento e in maniera articolata, la gestione normativa di fenomeni processuali che incidono sul regolare, corretto e diciamo pure sereno esercizio di attività e prerogative, per le quali un soggetto è stato chiamato a svolgere questa attività da elettori consapevoli e consci dei rapporti tra politica e magistratura, delle polemiche che si agitavano e delle questioni sospese che si articolavano sulla singola persona fisica o su ciò che quella persona rappresentava.
Oggi quella persona rappresenta il potere esecutivo, ossia il Presidente del Consiglio. Questa normativa mira a consentire un esercizio sereno di attività giurisdizionale per gli addebiti che sono stati presentati, successivamente ad un esercizio sereno, con i pregi e i difetti, ma comunque articolato, di un mandato al quale questo Governo e questo Presidente del Consiglio è stato chiamato. Tutto ciò, senza alcuna ve Pag. 47natura polemica, che non vi può essere: tenendo presente che questa norma finisce per divenire essa stessa una norma ponte, partendo dalle considerazioni svolte a più riprese dalla Corte costituzionale, nonché dalla volontà di non affrontare, in termini polemici, i precetti provenienti dalla stessa nel pronunciarsi su norme che sostanzialmente miravano a definire la sospensione dei processi per queste cariche, tenendo presente, inoltre, che questa materia ha avuto e ha una soluzione positiva in termini costituzionali per il solo fatto di essere stata disciplinata per quarant'anni nella Costituzione e senza critiche...

PRESIDENTE. Onorevole Papa, la prego di concludere.

ALFONSO PAPA. ...oggi diventa l'inizio di un processo che - è inutile dirlo - dovrà necessariamente portare ad un confronto destinato a sfociare proprio in grandi riforme costituzionali in tale direzione, e in grandi riforme ordinamentali che sono esattamente quelle delle quali da tempo si parla in Aula. Esse hanno visto importanti aperture e interesse da parte del mondo della magistratura, hanno visto momenti di grande responsabilità in parti moderate e consapevoli dell'opposizione, come è accaduto anche recentemente con partiti quali l'UdC, o anche il Partito Democratico su singoli aspetti; e che consentono oggi in uno spirito rinnovato di affrontare in tempi politici un problema che, ipocritamente trascinato in termini paragiuridici, è divenuto sostanzialmente un vicolo cieco nel quale qualcuno vorrebbe imbrigliare il Presidente del Consiglio, senza rendersi conto che sta imbrigliando l'intera politica italiana (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, l'atto che abbiamo oggi all'esame, e a cui l'UdC con il progetto di legge cosiddetto Vietti ha dato un impulso significativo, se non determinante (sarebbe ipocrita a questo punto non affermarlo), trae la sua origine, e indirettamente la sua necessità dalla dichiarata illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della legge n. 124 del 2008, il cosiddetto lodo Alfano, che poi altro non era che «Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato», e poi dai fatti successivamente intervenuti. Si è quindi evidenziata la necessità di intraprendere un percorso che, tenendo nella massima considerazione gli esiti della pronunzia della Corte costituzionale, consentisse l'introduzione di un sistema di prerogative per le alte cariche dello Stato; con specifico riferimento, almeno dal nostro punto di vista, al Presidente del Consiglio dei ministri, perché secondo noi quello è il problema, il macigno, l'inciampo più che la pietra d'inciampo sulla strada delle riforme: le riforme vere, ampie, importanti per i cittadini in materia di giustizia, che aspettiamo almeno dal 1994.
Il rapporto fra politica e magistratura dagli anni Novanta in poi, soprattutto dopo la modifica dell'articolo 68 della Costituzione, quello sulla cosiddetta immunità parlamentare, ad opera della legge costituzionale n. 3 del 1993, vive uno stato di perenne conflittualità, è inutile far finta di non vederlo. Oggi sono in molti a dire dopo 17 anni che, in quell'occasione, il Parlamento legiferò sotto l'onda emotiva delle piazze, e anche la pressione delle procure. Non possiamo tuttavia neanche non ricordare, per amore di verità ed onestà intellettuale, che il sistema di garanzie previsto dai nostri costituenti aveva subito negli ultimi anni un'applicazione pratica da parte della politica più ampia, per certi versi esorbitante e, oserei dire, perfino distorta, rispetto allo spirito iniziale del dettato costituzionale; ed era sempre più avvertita fin dall'inizio degli anni Novanta non come una difesa delle istituzioni, ma come un'impunità per pochi, in una sorta di processo autoassolutivo di quella che i media chiamano spesso «la casta della politica». Pag. 48
È altresì innegabile, a nostro avviso, e lo ha ribadito anche recentemente il Presidente Casini in un'intervista, che in questi anni l'azione concreta della magistratura, in particolare verso la persona dell'attuale Presidente del Consiglio, possa essere vista, soprattutto da parte dei cittadini, come una sorta di accanimento giudiziario. Ciò, si badi bene, al di là della stessa volontà dei magistrati, che altro non fanno che applicare la legge, come d'obbligo; anche se proprio sull'obbligatorietà dell'azione penale andrebbe aperto, anzi chiuso probabilmente, un dibattito che dura ormai da molti anni, ed è una delle tante cose che non portiamo a compimento perché ci fermiamo sempre sulla prima pietra d'inciampo, e cioè sui problemi giudiziari del Premier.
È compito delle norme della Costituzione, e quindi del legislatore, definire meccanismi tali da evitare il corto circuito istituzionale, in mancanza dei quali il magistrato non può che seguire ed applicare la legge. Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricordato nel 2008 al CSM e ai magistrati i loro limiti con una lettera, scrivendo tra l'altro: «È intercorsa una stagione in cui il potere giudiziario ha talora invaso l'autonomia della politica e viceversa».
Il punto è questo: esiste tale questione? Se esiste, come noi riteniamo, non è più rinviabile una complessiva e coordinata soluzione costituzionale che ripristini un generale equilibrio fra poteri e istituzioni. Nel frattempo, riteniamo però opportuno operare con una logica che possiamo forse definire della riduzione del danno. Mi spiego: quando nel luglio del 2008 ci astenemmo sul lodo Alfano, avanzando alcune delle argomentazioni con cui poi la Corte costituzionale lo ha bocciato nei mesi scorsi (e che più avanti proporrò alla vostra riflessione), ci astenemmo - dicevo - anche come contributo alla serenità dei rapporti tra partiti e istituzioni ed anche per ottenere che, in cambio, fosse eliminata dal decreto-legge sulla sicurezza la norma «bloccaprocessi».
Per risolvere la questione dei processi del Premier (sempre quelli!), non si potevano mettere a repentaglio - fu il nostro ragionamento - 100 mila processi che sarebbero saltati a seguito dell'approvazione del disegno di legge sulla sicurezza: questo abbiamo fatto a tutela dei cittadini vittime dei reati, alcuni dei quali realmente infamanti, che avrebbero visto cancellati i processi in corso.
È stato uno scambio? Sì, lo ammettiamo: è stata un'assunzione di responsabilità nell'ottica della riduzione del danno, perché è più nobile ed è meglio lavorare in quest'Aula - secondo noi - per evitare di bloccare 100 mila processi (o, come nel caso del «processo breve», così come è stato licenziato dal Senato, cancellarli del tutto), piuttosto che gridare allo scandalo senza proporre una soluzione concreta, dal momento che la maggioranza ha i suoi numeri e poi quelli in quest'Aula si fanno sentire.
Signor Presidente, ci rivolgiamo anche ai colleghi delle altre opposizioni: può essere più facile e meno impegnativo gridare oggi all'ennesima legge ad personam - e probabilmente nessuna più di questa lo è mai stata ormai per ammissione unanime, di maggioranza e opposizione - ma è l'unico mezzo utile per dare il tempo al Parlamento di ripristinare un equilibrio rispettoso delle istituzioni senza approvare leggi che, per portata di impatto, gravità di soluzione e ricadute sociali, sarebbero secondo noi ben peggiori.
Dalla lettura della sentenza della Corte è emerso come, sebbene in astratto non sia irragionevole introdurre alcune prerogative a favore delle alte cariche dello Stato, queste debbano essere logicamente e coerentemente legate al sistema politico-costituzionale vigente (vi risparmio alcune parti della lettura della sentenza perché sicuramente i colleghi che sono qui presenti in Aula la conoscono meglio di me, quindi non le riassumo e vado al dunque).
In sintesi, al fine di non compromettere la funzionalità dell'azione dell'Esecutivo per fatti estranei all'iniziativa parlamentare - così come è stato recentemente e autorevolmente affermato dal Presidente della Repubblica - abbiamo ritenuto necessario introdurre un sistema di prerogative Pag. 49che consenta di garantire il sereno svolgimento delle funzioni del Presidente del Consiglio dei ministri. Grazie alla proposta di legge presentata dal collega Vietti si è inteso disciplinare, in via temporanea e transitoria (attraverso la cosiddetta norma-ponte) sino all'approvazione della correlata norma costituzionale, l'istituto del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri a comparire nelle udienze dei processi penali che lo vedono imputato, parte lesa o testimone.
La chiara indicazione circa la transitorietà della norma, valida fino all'approvazione di una organica disciplina delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri attraverso legge costituzionale e comunque non oltre dodici o diciotto mesi dall'entrata in vigore della presente proposta di legge, permette di superare l'eventuale eccezione di violazione dell'articolo 138 della Costituzione.
Molti hanno sottolineato questo aspetto in termini negativi, ma la stessa Corte costituzionale ha più volte ritenuto indenne da censure di incostituzionalità l'introduzione di una normativa anticipatrice degli effetti di una norma già sottoposta all'esame del Parlamento, statuendo il principio in forza del quale risulta ammissibile la previsione di una disciplina transitoria e limitata nel tempo destinata ad essere sostituita in tempi brevi dalla legge che regolerà in via definitiva l'istituto che la norma temporanea anticipa.
Riteniamo dunque che l'introduzione con norma temporanea e transitoria di una disciplina che consenta il rinvio del processo penale nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in vista della prossima approvazione della disposizione di riforma costituzionale, restando intatto il corretto esercizio dell'azione penale, garantita l'attività di indagine e inalterati i termini prescrizionali, sia una soluzione idonea a tutelare il buon andamento dell'amministrazione e del Governo (questo è un interesse del nostro Parlamento e dovrebbe essere anche un interesse bipartisan, perché il Presidente rappresenta tutti gli italiani).
Si tratta di un'iniziativa legislativa chiaramente alternativa - lo ribadiamo oggi - alla proposta di legge sul cosiddetto «processo breve». Alternativa in particolare, poiché sul processo breve non possiamo non essere d'accordo sul principio, alla norma transitoria sui processi in corso, proprio al fine di prevenire effetti destabilizzanti sull'intero sistema giudiziario attraverso la creazione di una vera propria amnistia mascherata - in questo concordo con gli altri esponenti dell'opposizione - per troppi reati le cui vittime attendono giustizia.
Ancora una volta, in materia di giustizia sono stati anteposti alcuni interessi particolari all'interesse generale ad una giustizia giusta, certa ed efficiente. Ciò che si sta facendo è profondamente ingiusto, perché non ci si può sempre fare scudo dei principi, di norme costituzionali, di convenzioni internazionali da tutti condivise per risolvere alcune poche pendenze giudiziarie (mi riferisco chiaramente al processo breve). Si può affermare che il primato della politica sulla giurisdizione, in uno Stato di diritto, può essere accettato a condizione, però, che non si traduca in un'ingiustificata impunità, dato che il voto dei cittadini non è, come vorrebbero alcune forze politiche in quest'Aula, un mandato in bianco all'esercizio del potere, ma impegna a governare nel rispetto delle regole. In questa prospettiva, tra controllo di legalità e legittimazione popolare, non dovrebbe esservi contrapposizione, perché chi è eletto governa, essendo stato legittimato dal popolo a farlo, e se infrange la legge deve essere, tuttavia, sanzionato come ogni altro cittadino. Eppure, rispetto a tale ragionevole soluzione, vi è chi oggi si ribella, sostenendo che non è tollerabile che la magistratura, tramite le sue indagini, i suoi processi nei confronti di politici, possa interferire sulle gestioni pubbliche, rischiando di inceppare l'attività di Governo e di danneggiare pertanto gli interessi del Paese. Non ci sembra opportuna la decisione di non rendere effettiva una recente sentenza della Corte costituzionale solo perché il giudizio nel quale deve trovare attuazione riguarda il capo Pag. 50dell'Esecutivo. Ma neanche si può sottoporre quest'ultimo ad un continuo peregrinare per tribunali e procure in tutta Italia, precludendogli la possibilità di svolgere la sua delicata funzione di Governo. Un'opposizione responsabile, secondo noi, deve farsi carico di questo problema anche per rimuovere quel macigno, di cui parlavo prima, che dal 1994 ad oggi rende spesse volte insopportabile la politica italiana prigioniera di un rapporto controverso e conflittuale con la magistratura, e soprattutto perché una forza politica di opposizione deve pretendere che il Governo risponda delle cose che fa e, soprattutto, di quelle che non fa per il Paese. Noi, signor sottosegretario, vogliamo sgombrare il campo dal conflitto con la magistratura per costringervi a parlare dei problemi veri del Paese, di ciò che non si sta facendo, ad esempio, per le famiglie, per l'occupazione, per le piccole e medie imprese. Non è con la ragionevole durata dei processi che si garantisce al Presidente del Consiglio di esercitare appieno il mandato elettorale. Lo strumento non è questo, e a furia di piegarlo a queste esigenze è stato reso inutile allo scopo per il quale è previsto, ovvero garantire agli italiani una giustizia civile, penale e amministrativa dai tempi certi. La sede propria, secondo noi, e lo strumento corretto l'abbiamo indicato, è la proposta sul legittimo impedimento. A quanto pare, la bocciatura del lodo Schifani prima, del lodo Alfano poi, non ha fatto riflettere la maggioranza sugli errori commessi in questo campo. Non voglio citare tutte quelle leggi che nel corso degli anni sono state approvate nel tentativo di evitare il conflitto tra il Premier e la magistratura, praticamente tutte censurate dalla Corte costituzionale. Se sommiamo il tempo impiegato a discutere e ad approvare queste leggi, che si sono rivelate inutili per il Presidente del Consiglio e dannose per tutto il sistema giustizia, ci rendiamo conto del tempo perduto; tempo che se usato correttamente avrebbe dato all'Italia riforme vere e durature. Non può essere questa una seria e responsabile politica della giustizia. Una politica della giustizia ha bisogno di tanta politica del «giorno per giorno», di tanta buona amministrazione, del riordino e della razionalizzazione delle circoscrizioni (tema che non si affronta perché si ha timore delle conseguenze elettorali e delle proteste di coloro che ne saranno colpiti e abbiamo stigmatizzato questo comportamento del Ministro Alfano anche nella sua recente relazione discussa la settimana scorsa in quest'Aula), dell'aumento drastico delle risorse finanziarie (altro tema che non si affronta perché sul bilancio dello Stato grava l'ipoteca del ministro Tremonti e dei suoi tagli lineari, e non si ha il coraggio di decidere dove sia opportuno tagliare e dove invece sia opportuno aumentare i finanziamenti). La giustizia, onorevoli colleghi, ha bisogno di interventi puntuali sulle carriere e, certamente, anche di più valutazione di maggiore criterio meritocratico - lo speriamo vivamente -, di una buona formazione dei giovani, di un aggiornamento continuo di magistrati già in servizio, di una incisiva riforma dell'avvocatura e del processo penale, di una razionale distribuzione delle risorse umane sul territorio, di mezzi, di personale, di una maggiore modernizzazione degli uffici giudiziari.
Tutto ciò - mi avvio alla conclusione - in un clima di collaborazione e non di conflitto permanente tra politica e magistratura, nell'intento comune della classe politica e dei magistrati di servire il cittadino che ha diritto - sacrosanto diritto - ad avere una giustizia rapida, efficiente e severa quando deve esserlo, senza corsie preferenziali, uguale per tutti e soprattutto giusta. Come ho già ricordato nel mio intervento sulle comunicazioni del Ministro Alfano, ci siamo troppe volte divisi sulle norme, a nostro giudizio contraddittorie e confuse (inutilmente le abbiamo definite ad personam), ma sicuramente non si può imputare al nostro partito di non avere un atteggiamento più che costruttivo, teso nel settore giustizia ad una profonda azione riformatrice. La citata soluzione ponte indicata dal nostro rappresentante di gruppo in Commissione giustizia, l'onorevole Vietti, la proposta di legge costituzionale avanzata dal collega Ria Pag. 51sulla tutela delle alte cariche dello Stato (la cosiddetta costituzionalizzazione del lodo che porta il nome del Ministro Alfano), e da ultimo anche l'emendamento dell'Unione di Centro sulle sedi disagiate, che ha posto le basi per una soluzione di un problema molto sentito dai magistrati, costituiscono un esempio di questa disponibilità del mio partito. Lo abbiamo fatto non con un approccio ideologico di facciata, ma con uno spirito repubblicano proprio di chi è capace di non dire soltanto un «no», in ossequio al ruolo di opposizione che pure rappresentiamo in questa Assemblea. Lo abbiamo fatto - lo ripeto ancora una volta - per rimuovere dalla strada delle riforme il problema dei processi del Premier ed il conseguente rapporto di questo Governo con i magistrati e con il sistema giustizia. Dopo le norme sulle rogatorie, falso in bilancio, Cirielli, Cirami, Pecorella, Schifani, Alfano, verrà il giorno in cui questa Assemblea affronterà il tema della giustizia, a partire dalle sofferenze e dalle esigenze dei cittadini, e non si inseguiranno solo le vicende giudiziarie di qualcuno, sia esso il Capo dello Stato, il Capo del Governo, i Presidenti di Camera e Senato o ciascuno di noi.
Noi siamo pronti e la nostra disponibilità su questo provvedimento è un segnale preciso nella direzione di una maggiore serenità, ma anche un'assunzione di responsabilità perché questo appuntamento sulla riforma della giustizia non può essere rinviato oltre. L'Unione di Centro - concludo - lavorerà, come ha sempre fatto, in questa direzione senza pregiudizio, auspicando che si possa finalmente instaurare quel clima di collaborazione indispensabile per la costruzione di un consenso generale, anche reale e non solo a parole, intorno a riforme condivise che servano al rilancio e allo sviluppo del Paese e nell'interesse esclusivo degli italiani che reclamano una giustizia molto più attenta alle loro esigenze.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciriello. Ne ha facoltà per dieci minuti.

PASQUALE CIRIELLO. Signor Presidente, vorrei iniziare questo mio intervento riprendendo un'osservazione già svolta in sede di discussione in Commissione giustizia, giacché davvero io considero il fatto stesso che questo provvedimento sia stato portato all'attenzione del Parlamento fra i primissimi del nuovo anno come un esempio, peraltro assai ben riuscito, di umorismo involontario. Infatti, tutti abbiamo ascoltato il Presidente del Consiglio, durante l'intero arco della sua degenza dopo l'aggressione, proclamare ai quattro venti che il 2010 sarebbe stato l'anno delle riforme tanto attese da tutti gli italiani, ed ora puntualmente ci troviamo ad esaminare un provvedimento che non è atteso da altri che dall'onorevole Silvio Berlusconi, il che è un'evidente presa in giro di questa Assemblea, ma prima ancora dei cittadini italiani. Infatti, che il Premier goda del consenso di una larga fetta degli italiani è un dato di fatto, ma che questi stessi italiani pongano in cima alle loro priorità il varo di una legge che sottragga il Presidente del Consiglio ai suoi processi è fieramente dubitabile.
Mi si lasci dire che cercare di negare, come ancora fanno molti colleghi di maggioranza, che si tratta di una legge ad personam è, oltre che ipocrita, addirittura puerile. Due sole considerazioni al riguardo: primo, nella foga di coprire la posizione del Presidente del Consiglio ci si è totalmente dimenticati di disciplinare la sorte degli eventuali coimputati o parti lese dal reato, tanto perché apparisse più chiaro qual è l'unico obiettivo che questa proposta di legge si prefigge di conseguire; secondo, quando al comma settimo dell'articolo 1 si prevede che le disposizioni proposte si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado alla data di entrata in vigore della legge, è chiaro che qui non si hanno in mente accadimenti futuri ed eventuali, ma fattispecie ben concrete e già in essere, e ciascuno ne può trarre le conseguenze.
Ciò detto ed entrando nel merito del provvedimento, vorrei censurare l'utilizzo distorto che è stato fatto, fuori e dentro di queste Aule, da parte di esponenti di Pag. 52maggioranza, della copiosa giurisprudenza costituzionale esistente al riguardo e anche di quanto esposto dal Presidente emerito della Corte costituzionale, Valerio Onida, in sede di audizione, ricordando che bisogna avere la pazienza di leggere le sentenze per intero e l'onestà intellettuale di citarle in modo da non alterarne l'autentico significato. In realtà, la Consulta è ripetutamente intervenuta sul punto, a partire dalla sentenza n. 225 del 2001 via via sino alla sentenza n. 262 del 2009 sulla quale tornerò specificamente più avanti ed è intervenuta sempre per ribadire il medesimo principio: il bilanciamento tra i due interessi chiamati in causa in circostanze come quelle disciplinate dalla proposta in esame, interesse a che si esplichi il processo e interesse all'esercizio del diritto di difesa, impone l'individuazione di un ragionevole punto di intersezione tra queste due esigenze contrapposte senza che l'una debba pregiudizialmente cedere all'altra. Ora è evidente che se, invece, il contemperamento viene trovato sacrificando integralmente in via preventiva l'un interesse all'altro si va pacificamente incontro a seri problemi di costituzionalità. Eppure è proprio questo che la proposta fa e lo fa fingendo di mirare ad una tipizzazione delle attività in cui si sostanzierebbe la funzione di Presidente del Consiglio e che, come tale, costituirebbe legittimo impedimento a comparire in udienza, per poi aggiungere, quasi a mo' di obiter dictum, che è motivo di legittimo impedimento anche l'esercizio di ogni attività comunque connessa alle funzioni di Governo: una maniera elegante per dire che il Presidente del Consiglio è esonerato dal comparire in udienza con obbligo per il giudice di disporre il rinvio qualunque cosa egli faccia. Vorrei altresì far notare che presentare una proposta di legge così concepita significa non tenere in alcun conto la recente sentenza sul cosiddetto lodo Alfano, la già citata sentenza della Corte costituzionale n. 262 del 2009.
Quest'ultima ha infatti ribadito che il parametro di costituzionalità che in questa materia va essenzialmente considerato è quello rappresentato dal principio di eguaglianza. Ma dell'eguaglianza è corollario ineliminabile il criterio di ragionevolezza, altrimenti detto: possono apportarsi anche per via di leggi ordinarie deroghe al principio di uguaglianza, a condizione che queste si ispirino e siano anzi applicazione del criterio di ragionevolezza. Ma, come ha osservato Valerio Onida in sede di audizione, una disciplina che stabilisse a priori e in modo vincolante che la titolarità e l'esercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre legittimo impedimento si tradurrebbe nella statuizione di una vera e propria prerogativa. Non si tratterebbe più di una legittima disciplina del processo rimessa al legislatore ordinario, ma di una forma di deroga al normale esercizio della funzione giurisdizionale che solo il legislatore costituzionale potrebbe eventualmente stabilire.
In sintesi, si può circoscrivere l'ambito di discrezionalità affidato al giudice dettando coordinate entro cui deve collocarsi la sua decisione in ogni caso sottoponibile agli ordinari rimedi giurisdizionali, ma non la si può interamente cancellare senza incorrere nel rischio di snaturare l'istituto che si va a disciplinare. Lo si denomina come se si trattasse di un normale passaggio processuale ma lo si disciplina, in realtà, sostanziandolo alla stregua di un'inaccettabile prerogativa di status. Se questi sono i profili di legittimità costituzionale da cui la proposta risulta inequivocabilmente segnata, inviterei i colleghi di maggioranza a riflettere bene adesso sul punto, quantomeno al fine di evitare poi le stucchevoli geremiadi sulle presunte appartenenze politiche dei giudici della Consulta cui fatalmente ci toccherebbe di assistere all'esito del vaglio di costituzionalità operato dalla Corte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossomando. Ne ha facoltà.

ANNA ROSSOMANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, ancora una volta, ad un anno ed otto mesi dall'inizio della legislatura, siamo impegnati a discutere di Pag. 53necessità contingenti riferite a singoli casi giudiziari e non a discutere della necessità dell'intero sistema giustizia. Oggi qui alla Camera discutiamo di legittimo impedimento, ieri al Senato è stata approvata la norma sul cosiddetto processo breve. Non è casuale che questioni che dichiaratamente sono di natura squisitamente politica, così come è stato illustrato dai colleghi esponenti della maggioranza, si affrontano e si risolvono, o meglio si aggirano, intervenendo in entrambi i casi su due istituti di natura squisitamente processuale.
Infatti, come è stato detto, la disciplina del legittimo impedimento già esiste e già da sola assume ed affronta anche le questioni che eventualmente possano riguardare rappresentanti del Governo o parlamentari. Vi è una cospicua giurisprudenza che ha preso in esame il contemperamento tra l'esigenza giurisdizionale e l'esercizio delle funzioni parlamentari o di Governo.
Ma l'espressione usata - su cui qualcuno ha anche ironizzato - nel testo del provvedimento fa riferimento al fatto che si vuole assicurare non la funzione di Governo o il mandato parlamentare, ma il sereno svolgimento della funzione. Qui sta già tutto il nodo della faccenda, perché evidentemente già da questo vocabolo si evince il fatto che si vuole introdurre una prerogativa. Non è una questione di forma, ma è una questione di sostanza e di merito assolutamente ineludibile. Infatti, si usa uno strumento processuale che è finalizzato a consentire l'esercizio pieno del diritto di difesa ed in relazione a questo si vuole garantire che l'imputato possa partecipare al processo, non che possa sottrarsi al processo e pretenderne la sospensione per non esserne turbato nelle funzioni di Governo o nelle funzioni parlamentari. Questo non è indifferente. Infatti io non mi aspettavo che la maggioranza così apertamente avrebbe denunciato qual è il fine, che non si capisce quale sia o meglio si capisce fin troppo bene, perché si percorre questa strada della norma ordinaria, piegando uno strumento processuale finalizzato ad altro ad un'esigenza che ci propagandate e ci proponete come un'esigenza di natura politica, ma che invece è un'esigenza di una singola persona. Qui è il nodo.
Ma quand'anche volessimo stare sull'esigenza politica, tema rispetto al quale non voglio sottrarmi, voi dovete avere il coraggio di affrontare un percorso per il quale voi rispondete al Paese, di volere reintrodurre una prerogativa su cui il Paese si è espresso ed è fortemente contrario. Questo è il punto. Dovete avere il coraggio di affrontare questo tema e dovete avere il coraggio di chiarire cosa intendete per rapporto non fra la politica e la magistratura, ma tra politica e controllo di legalità.
Abbiamo la possibilità di stabilire che la politica non può sottrarsi al controllo di legalità? Questo è un presupposto per noi irrinunciabile. È inutile che parliamo di dialogo: così come le presentate voi, queste norme mettono in dubbio tale principio assolutamente irrinunciabile. Ecco perché poi le questioni tecniche sono nel senso che non si può prescindere dalla valutazione in concreto; la transitorietà non supera l'argomento che si vuole introdurre una prerogativa con una legge ordinaria; ecco perché non vi interessa assolutamente - infatti non avete accettato - la proposta che, nel nome del patto di lealtà tra giudicante ed imputato, venga stabilito un calendario in comune.
Colleghi della maggioranza, quello che non può essere accettato è che parlate di riforme ogni volta che si presenta una scadenza giudiziaria riferita ad un singolo processo, in modo punitivo. Parlate di questioni che riguardano il Consiglio superiore della magistratura o l'obbligatorietà dell'azione penale, minacciosamente, ad ogni scadenza giudiziaria. Non ci sottraiamo assolutamente a discutere di ciò, ma non può essere una ritorsione o un regolamento di conti.
Tutto questo, ovviamente, non ha nulla a che fare con le riforme necessarie per far funzionare la giustizia, evocate anche dal collega Rao, al quale vorrei dire che il processo breve non è stato assolutamente Pag. 54accantonato e che, quindi, la condizione che avevano posto, per il momento, non si è realizzata.
Cari colleghi della maggioranza, le riforme sono una cosa seria e - attenzione - una riforma seria fa passare alla storia una legislatura. Voi non state seguendo questa strada, perché costringete noi che discutiamo in Parlamento e il Paese che aspetta provvedimenti concreti all'inseguimento di una cronaca giudiziaria, di una sequenza di processi che riguardano un singolo caso.
Vorrei ancora dire - e concludo - che siamo sconcertati: a quasi due anni di legislatura, non sappiamo, e non capiamo, se il creare continuamente un conflitto (che si sa, dall'inizio, che esiste) tra il Parlamento, nel momento in cui legifera, e la Corte costituzionale, sia frutto di irresponsabilità, o se, a questo punto, sia voluto. Vi state assumendo una gravissima responsabilità, creando un conflitto continuo tra poteri e organi di controllo, che fanno sì che una Repubblica possa dirsi democratica e liberale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, non vorrei entrare in un'analisi tecnica e giuridica del provvedimento in oggetto, come bene ha già fatto il mio collega Di Stanislao e tanti altri colleghi che sono intervenuti in precedenza. Vorrei, però, utilizzare questo tempo per evidenziare alcuni aspetti.
Il comma 1 dell'articolo 1 del provvedimento che ci accingiamo ad approvare inizia con le seguenti parole: «In attesa della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri (...)». Sembra quasi che la Costituzione non vi sia. Ho sentito il collega di maggioranza del Popolo della Libertà dire che in tutti gli Stati europei e in tutto il mondo occidentale l'aspetto di cui stiamo discutendo è già presente nelle varie Costituzioni. Al contrario, nella nostra normativa e nella nostra Costituzione esso non è presente.
Poiché siamo così deficitari e così carenti, il Parlamento, in nome del popolo, approva una legge ordinaria, che consente al Presidente del Consiglio e ai Ministri «il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione» - in questo caso viene ripresa ed evidenziata - «e dalla legge si applicano le disposizioni di cui ai seguenti commi».
Cerchiamo di andare incontro al sereno e tranquillo svolgimento della vita di tutti i giorni di sessanta milioni di italiani (parlo di milioni e non di alcune migliaia), che perdono il lavoro e che, in questo momento, portano, tutti i giorni, la crisi sulle proprie spalle, modificando la Costituzione e prevedendo delle leggi? È alquanto strano.
Vorrei ricordare che, in realtà, questa tutela già è sancita dall'ordinamento italiano.
Infatti, l'articolo 420-ter del codice di procedura penale recita così: «(...) l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento (...)». Si dice ancora che, allo stesso modo, il giudice provvede quando appare probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore. Più volte questo articolo del codice di procedura penale richiama tale aspetto.
Certo, c'è anche qualcun altro che è chiamato a valutare, non solo il popolo italiano. In questo caso, sono quanto meno i giudici, ma essi sono un'entità oscura, avversa, un'entità che deve stare al di fuori dall'ambito di alcuni cittadini italiani, se ricoprono delle cariche così importanti. Abbiamo tutti ben presente come funzionano i processi e quanti giorni al mese portano via: uno o due. Credo che si possa trovare la combinazione per poter anche affrontare un sereno giudizio, ma questo non si vuole fare.
Vorrei richiamare un'occasione in cui è stato tentato l'utilizzo del legittimo impedimento. Era venerdì 4 dicembre 2009, Pag. 55quando nel comune di Seminara si inaugurava, con una cerimonia in pompa magna (poiché coincideva con la celebrazione di Santa Barbara, che per i minatori è una festa prioritaria rispetto a tante altre feste, quali quella del patrono), l'abbattimento dell'ultimo diaframma della galleria Barrittieri, una delle oltre 40 gallerie sulle quali si sta ancora lavorando nella Salerno-Reggio Calabria. Credo che in quelle gallerie e in quei cantieri il problema sia un altro. Abbiamo sentito anche da alcuni Ministri e da fonti del Governo che 40, 50 attentati all'anno da parte della 'ndrangheta e della malavita rendono impossibile il lavoro delle imprese e dei lavoratori italiani in quei cantieri. Forse utilizzare le strutture dello Stato per garantire un po' di più la possibilità di lavorare in modo onesto e corretto sul territorio sarebbe stato più importante dell'aspetto celebrativo. Eppure, i lavoratori, l'ANAS e i cittadini di quel luogo hanno aspettato per due ore l'arrivo dell'aereo che portava il Presidente del Consiglio per quella inaugurazione. Lo stesso vescovo, abbandonato a sé per un'ora e mezza o due sulla propria sedia, ha deciso di benedire il cantiere e i lavori e di salutare i lavoratori che erano presenti, non sapendo se aspettare la nuova legge sul legittimo impedimento per procedere all'inaugurazione. Qualche ora dopo è arrivato il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e quindi si è proceduto all'inaugurazione.
Non credo che sarebbe stato possibile utilizzare quell'occasione come legittimo impedimento, perché in realtà, si trattava di interrompere i lavori del Consiglio dei ministri, di andare alla cerimonia e di tornare indietro. Certo, fa parte delle attività del Presidente del Consiglio dei ministri anche inaugurare cantieri e presenziare alle cerimonie, però, bisogna anche considerare una scaletta di priorità che comprende anche andare a relazionare al Parlamento e presentare leggi e decreti-legge, non credo di averlo visto in queste occasioni. Sono un po' accecato, magari è per quello che non l'ho visto; in questo momento, infatti, sono oggetto di cure agli occhi, ma non ho visto tante volte in Parlamento il Presidente del Consiglio per presentare le proprie leggi, assistere ai lavori o quant'altro. Certo, fa tante altre cose a livello internazionale e nazionale. Siamo stati interessati da eventi disastrosi e quindi la sua presenza è stata necessaria per tranquillizzare le vecchiette o i bambini in Abruzzo e per tante altre belle cose. Sicuramente anche in questi casi abbiamo bisogno di altre azioni, più incisive e più concrete, da parte del Governo, ma il legittimo impedimento ha anche questi aspetti più folcloristici.
Non vorrei richiamare altre attività mondane del Presidente del Consiglio, di cui abbiamo letto sui giornali, come uno svolgimento sereno della sua attività di Premier.
Questo è un aspetto che tenevo ad evidenziare, ma ne ho ancora uno, signor Presidente. Si tratta di un aspetto un po' strano perché vi è il Presidente del Consiglio dei ministri ma vi sono anche tante altre figure importanti sul territorio italiano, che amministrano il bene di tutti noi. Mi riferisco, ad esempio, ai presidenti delle regioni, a partire dalla mia regione, la Lombardia, con il presidente Formigoni; ma potrei parlare dell'Emilia-Romagna, con Errani, o del Veneto, con Galan. Vi sono dei presidenti che si avviano ormai a completare, come ha scritto qualche giornalista, un mandato che solo Benito Mussolini ha avuto la possibilità di espletare, vale a dire 20 anni di Governo. Dico questo perché è in discussione - e lo leggiamo in questi giorni sui giornali - se sia rispettoso della legge o no il fatto che si possa espletare un quarto mandato in funzione dell'interpretazione, anche qui, di una legge del 2000, poi del 2005 e altro ancora. Leggo una dichiarazione del presidente Formigoni apparsa sulla stampa.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Sto per terminare, signor Presidente. Formigoni, dunque, afferma questo: «Premesso che sto svolgendo il mio terzo mandato e intendo presentarmi ai cittadini il prossimo marzo per un quarto mandato e Pag. 56premesso che nessuna legge» - è questo ciò che vorrei evidenziare - « in Italia può essere retroattiva (...)».
Stiamo per approvare il provvedimento sul legittimo impedimento - o lo approveremo - anche con la retroattività e, quindi, includendo anche i processi già in corso.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, il provvedimento al nostro esame ha già registrato un giudizio nel merito molto negativo da parte dei miei colleghi che prima di me sono intervenuti su questo argomento. Siamo oggettivamente di fronte a uno dei tre pilastri attraverso i quali l'attuale maggioranza intende svolgere la sua azione di riforma sulla giustizia: il processo breve, la costituzionalizzazione del lodo Alfano e il provvedimento al nostro esame.
Ciò sta a significare che nei fatti che essa si configura non tanto come una vera riforma della giustizia ma, con un atteggiamento poco nobile e molto contingente, come funzionale ad un interesse particolare che attiene ad un solo soggetto. Sta qui, onorevoli colleghi, l'anomalia, il sospetto legittimo per cui si è voluto accelerare attraverso queste tre imposizioni, di cui di fatto una avvenuta già al Senato e con l'apertura di questa discussione, un esame sulla riforma della giustizia completamente astratto.
Pochi minuti fa, nel corso della presentazione di un libro, il Ministro della giustizia, Alfano, ha formulato due concetti che qui vorrei riprendere perché questa Assemblea, a nemmeno tre giorni di distanza, ha avuto l'occasione di discutere della relazione annuale del Ministro della giustizia, il quale ha citato una serie di numeri. A quei numeri va, in maniera consequenziale, posta la questione relativa agli argomenti e al modo con cui si intende affrontarli. Il Ministro Alfano ci ha detto che in Italia sono pendenti oltre tre milioni di processi penali. Ci ha spiegato come il 12 per cento di questi processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica e che lo stesso processo penale brucia, in media, 80 milioni di euro ogni anno per dichiarare prescritti 170 mila processi, cioè 465 al giorno, festivi compresi.
Si tratta di dati drammatici, che testimoniano la gravità del problema che riguarda l'insieme della giustizia e che richiederebbe, proprio per questo, alla politica e alla sua responsabilità di affrontare la riforma della giustizia dentro un quadro d'insieme di riforme strutturali e non di volta in volta, con procedimenti parziali che presentano anche questo legittimo sospetto che in queste ore stiamo cercando di denunciare.
Dicevo che poc'anzi il Ministro Alfano ha riproposto un altro tema, che credo sia il tema che ricorre nei nostri ragionamenti. Da troppo tempo in questo Paese il rapporto fra politica e magistratura, fra l'uso di una giustizia che a volte ha interferito e ha negato l'autonomia della politica e viceversa, si pone come un tema decisivo. Questo riguarda non solo due pilastri costituzionali di cui il primo è l'indipendenza della magistratura; quella stessa magistratura che deve rispondere solo ad un principio, vale a dire il rispetto e la soggezione solo alla legge.
Il Ministro Alfano, pochi minuti fa, ha detto che se questa è la questione, la legge la fa il Parlamento e che i giudici devono rispondere a tale soggezione, nonostante che la legge che fa il Parlamento abbia anche degli elementi non del tutto precisi e costituzionali.
È per questo che credo ci sia un velo di ipocrisia in questa discussione. Non stiamo discutendo di un provvedimento che non poteva essere regolamentato all'interno della stessa procedura già prevista dal codice di procedura penale. Il legittimo impedimento fa parte del processo e dentro quel processo era possibile; e quelle sentenze della Corte, che sono intervenute, testimoniano come si potesse ancora razionalizzare, migliorare e renderlo più esplicito.
Voi siete andati ben oltre, ed è questo «ben oltre» che dovremmo indagare. Dico Pag. 57ciò perché per le cariche di Presidente del Consiglio e di Ministro, in ordine alla possibilità che il giusto impedimento a comparire in udienza sia collegato non solo alla regolamentazione della Presidenza del Consiglio (legge n. 400 del 1988) ma anche agli atti preparatori, testimonia un punto che credo non possiamo più tacere.
Infatti, il bilanciamento che stiamo chiedendo è dato dalla necessità del processo e dalla possibilità da parte del giudice di guardare in concreto quell'impedimento. Il rapporto di questo giusto bilanciamento è una questione che attiene all'equilibrio dei poteri. Quando si vuole invece intervenire, ed interviene la politica non per l'equilibrio dei poteri, ma per determinare la prevalenza di un dato su un altro, si compie uno degli atti più odiosi che rimanda ad una vecchia questione.
L'autonomia della politica è un'autonomia data dalle regole, è la capacità di condividere percorsi, di discutere, di confrontarsi, ma mai di prevalere, perché altrimenti non è l'autonomia della politica, ma l'arroganza di una maggioranza. Questo è il terreno sul quale, ancora una volta, vi incamminate. Ve lo avevamo detto con pacatezza al momento della deliberazione da parte di quest'Aula del lodo Alfano: ne avevamo denunciato l'incostituzionalità e il rischio di immettere dentro questo procedimento elementi che forzavano proprio il tipo di giurisdizione.
Siete andati avanti e la Corte costituzionale vi ha ribadito non solo la illegittimità costituzionale, ma suggerito anche, all'interno di quella stessa sentenza, che il bilanciamento andava riproposto in termini di autonomia dei due poteri. Invece qui oggi siamo di fronte ad un atto, lo ricordavano i colleghi, dove non c'è il bilanciamento, ma la prevalenza di un dato su un altro e c'è ancora qualcosa che va ben oltre.
Infatti, nel testo che ci state preparando ci dite che questo è un atto transitorio in attesa della legge costituzionale. Non solo: ci dite che le attività del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri devono essere svolte nel «sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione». La Costituzione è una cosa seria, va maneggiata con cura, con rispetto, e proprio la Costituzione non parla mai di sereno svolgimento di una funzione. La funzione è data dalle regole e dalle leggi; la serenità è un fatto del tutto soggettivo e a quella serenità e a quella discrezionalità, invece, volete affidare il valore di una legge assoluta.
Ecco che si ripete quello che storicamente è sempre stato il rapporto tra magistratura e politica: l'assolutezza delle proprie posizioni. Non è perché un Presidente del Consiglio ritiene di non poter svolgere le proprie funzioni in maniera serena che a quelle funzioni si dà un'assolutezza tale per cui si prevarica la possibilità per lo stesso giudice, che pure ammette il legittimo impedimento, di avere, nella concretezza del caso per caso, la possibilità di verificare la chiusura del procedimento stesso.
Qui non siamo più di fronte a un legittimo impedimento - lo hanno detto in audizione autorevoli esponenti ai quali non vogliamo tirare la giacca in alcun modo - ma riteniamo che la capacità intellettuale di ragionare intorno a quelle audizioni sia il dato dal quale non si possa prescindere. Infatti, quando a quelle funzioni si vuole attribuire questa assolutezza della serenità del loro svolgimento, non si sta più privilegiando la funzione che ha una sua temporalità e che proprio nella sua temporalità di volta in volta può testimoniare la possibilità di essere impedito ad essere in udienza.
Invece, pensate che vada difeso lo status della funzione, e lo status della funzione non è più un legittimo impedimento, ma una prerogativa (molto semplicemente); e la prerogativa per come si configura anche in questo testo, testimonia l'impossibilità concreta di essere posta attraverso una legge ordinaria.
Occorre anche qui la capacità di immettere l'equilibrio costituzionale e vi dovete assumere la responsabilità, di fronte a tale questione, di guardare con serenità le cose che scrivete. Pag. 58
Del resto lo ha fatto il collega Pecorella, vostro collega di maggioranza, in I Commissione, quando ha rilevato, nell'esprimere il proprio parere, che ad esempio nel testo troppo affrettato per voler mettere tutto insieme, vi siete dimenticati di un paio di cose: non c'è solo l'imputato Presidente del Consiglio o Ministro, ma ci sono anche quando quella funzione viene chiamata parte offesa (si pensi a un processo per terrorismo internazionale). Allora, quando si è offesi si può chiedere immediatamente il rinvio di un processo. Perché questo? Dove è differente la posizione tra l'essere imputato e rispondere come parte offesa? O ancora: in un procedimento penale non ci sono solo gli imputati, ma anche i coimputati, cioè l'esigenza di un diritto che non è solo soggettivo, ma di molti. Privilegiare un diritto di uno solo a fronte di molti altri è un cattivo esempio di giustizia e di certezza del diritto.
Vogliamo ribadire in questa sede che, anche su questo provvedimento, il ruolo del Partito Democratico, della sua capacità di ragionamento, non è quello di impedire la questione del legittimo impedimento, che si poteva anche regolamentare ed ampliare. Averlo fatto con questa sordità, con questa voglia di dare uno scudo a questioni personali, ancora una volta, ci tiene lontano da quel dato drammatico della giustizia italiana.
Voi non volete affrontare la riforma della giustizia, non volete dare risposte ai cittadini: forse nella loro testa non c'è la priorità semplicemente dei processi, ma la certezza dal lato del diritto, e anche quella di pensare ad un'Italia governata nel migliore modo da una politica che affronta i problemi reali, la propria capacità di fornire risposte concrete. Ma tutto questo a voi non interessa: il 2010 non è l'anno della giustizia. È l'anno per salvare qualcuno. Si tratta di un errore drammatico per voi stessi, ma soprattutto per un'idea della politica e della democrazia in questo Paese.
Ecco, credo che, di fronte a questo, dobbiamo mantenere con serenità non solo i punti di vista dell'opposizione, ma anche cercare di dare senso ad un'espressione di opposizione che parli al Paese. Vorremmo che l'agenda di questo Paese non fosse più investita di queste questioni, ma affrontasse una volta per tutte gli interessi veri dei cittadini italiani. Voi lo rinviate ogni giorno e ogni giorno queste aule parlamentari sono chiamate a guardare le cose che scrivete, a volte anche pasticciate e sbagliate, come vi suggeriscono anche all'interno della vostra maggioranza. La fretta di trovare una soluzione vi porta a compiere anche degli errori drammatici. Noi di quegli errori non vogliamo essere responsabili e per questo la nostra opposizione a questo provvedimento è determinata e decisa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.

MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, vorrei partire da una riflessione estremamente banale rivolta ai banchi dell'opposizione. Quello che in realtà non capisco è per quale ragione se vi è da parte dei colleghi dell'opposizione l'interesse a discutere dei problemi fondamentali di questo Paese non ci danno una mano a rendere più celere non solo il provvedimento in esame, ma anche quello che - in ossequio alla Corte costituzionale - prevede la possibilità di sospendere i procedimenti a carico delle alte cariche dello Stato.
Infatti, se in effetti questo elemento fosse risolto ho l'impressione che verrebbero tolti due alibi che vengono utilizzati polemicamente e politicamente dall'opposizione. Il primo è quello di rivolgersi alle forze di maggioranza dicendo che l'unica cosa di cui ci stiamo occupando è la sorte del Presidente del Consiglio, quando in realtà sono decine, se non centinaia, i provvedimenti che riguardano il nostro Paese e sono addirittura migliaia gli articoli di legge intervenuti su questioni fondamentali: dalla disoccupazione (attraverso gli ammortizzatori sociali), alla giustizia (è dell'altro giorno da parte del Pag. 59Consiglio dei ministri il provvedimento che consente le procedure d'urgenza per la realizzazione delle carceri) e potrei continuare.
La seconda questione è probabilmente dovuta al fatto che soltanto in forza di questa scusa politica che utilizzate nei confronti della maggioranza siete voi ad avere tutto l'interesse che questo provvedimento, come molti altri, non venga sostanzialmente a risolvere una questione che a vostro giudizio vi rende politicamente più forti.
Qui c'è l'errore non in termini giuridici - arriverò anche a questo - ma l'errore politico che l'opposizione fa, perché non si accorge che, nel preciso istante in cui accusa le forze di maggioranza di occuparsi esclusivamente delle vicende di Berlusconi, quando finirà il mandato parlamentare i suoi elettori chiederanno loro: ma in cinque anni di che cosa vi siete occupati, soltanto di impedire che il problema di Berlusconi venisse portato a una qualche soluzione? La questione di fondo non è l'argomento politico utilizzato pro e contro il Presidente del Consiglio: è ormai una situazione che a nostro giudizio - anche a mio giudizio personale - deve trovare una soluzione per permettere che il confronto politico, come così bene è stato detto in quest'Aula dal collega Rao, riallacci i fili e consenta quindi effettivamente di discutere di cose sicuramente importanti che sono, queste sì, nell'interesse non soltanto della maggioranza ma anche delle forze di opposizione.
Nascondersi dietro argomenti giuridici che potrebbero tenerci qui all'infinito è secondo me un'arma a doppio taglio. Anche perché le argomentazioni della Corte costituzionale, viste in controluce, possono lasciare di tanto in tanto qualche perplessità, e credo che quest'Assemblea sia deputata a confrontarsi anche con le pronunce di quella suprema Corte. Una di queste è la sentenza che è stata prima assunta nei confronti del lodo Schifani e poi su quella base assunta una seconda volta nei confronti del lodo Alfano. Ci sono in quella sentenza delle incongruenze, come anche nei protagonisti di quella seconda decisione se è vero, come è innegabilmente vero, che uno dei giudici costituzionali, che all'epoca del lodo Schifani era semplicemente un illustre giurista, ebbe a dire in quell'occasione che la sentenza sul lodo Schifani non pretendeva che si agisse attraverso una legge costituzionale, per poi smentire se stesso - stando a indiscrezioni di voto - quando ha assunto un voto in modo esattamente contrario alle argomentazioni che giuridicamente aveva sostenuto.
Potrei continuare con altri esempi che lasciano, se mi consentite, un margine di perplessità.
Vorrei parlare proprio di questo per spiegare le ragioni in forza delle quali si torna su argomenti come questi, perché quando il Parlamento ha votato, recentemente, il lodo Alfano non lo ha fatto perché si era svegliato la mattina e considerava che fosse possibile intervenire attraverso una legge ordinaria. Lo fece perché dalla lettura di quella prima decisione della Corte costituzionale resa sul lodo Schifani interpretò la possibilità di poter agire in via ordinaria e lo fece alla luce del sole, sperando che quelle indicazioni e quella interpretazione fossero assunte anche alla base del ragionamento di fronte ad una eventuale nuova questione di legittimità costituzionale qualora fosse stata sollevata.
Così non è stato e non è vero, per essere chiari fino in fondo, che in occasione del lodo Schifani i giudici remittenti non avessero sollevato la questione dell'articolo 138 della Carta costituzionale, perché chi ha letto la sentenza della Corte sa che quella questione era stata sollevata ed è stata anche riassunta dalla Corte costituzionale come elemento sottoposto al suo esame. Tant'è che la seconda pronuncia è costretta in termini giuridici a dire: spetta alla Corte costituzionale, quando le questioni sollevate non sono connesse da un rapporto di pregiudizialità, decidere quale giudicare e quindi abbandonare le altre.
E no, cari amici, mi dispiace ma non sono d'accordo, perché in genere le decisioni della Corte costituzionale sono indirizzate Pag. 60al Parlamento per consentire allo stesso, ove lo ritenga (lo dice la Carta costituzionale), di assumere le proprie determinazioni. Cari colleghi, quando la Corte costituzionale di fronte ad una questione di legittimità costituzionale che riguarda il procedimento, cioè le modalità con cui si deve assumere un determinato provvedimento legislativo, ritiene che questa non sia una questione pregiudiziale, sotto il profilo di principio della leale collaborazione dei poteri rende un servizio al Parlamento o non rischia invece di ingannarlo? Così com'è accaduto, consentendo di assumere un provvedimento con la legge ordinaria quando in realtà si voleva, o si poteva, o si doveva, meglio ancora, dire che era indispensabile una legge costituzionale.
Allora occorre fare attenzione, perché le questioni non riguardano soltanto la Corte costituzionale, ma riguardano, come abbiamo visto recentemente, situazioni che mettono al centro lo scontro tra politica e magistratura. Una di queste vicende si è conclusa, proprio qualche giorno fa, ed è stata ricordata giustamente in quest'Aula: mi riferisco al caso di Calogero Mannino, tanto per fare un esempio banale che abbiamo tutti davanti agli occhi.
A voi sembra normale che, a fronte di una carica di governo rivestita, un uomo possa essere costretto a dimettersi, magari sulla base dei propri principi etici, per poi ricevere giustizia dopo che è stata preclusa la sua carriera, anche come uomo politico, e io sono tra quelli che non ritengono disdicevoli le carriere come uomini politici per chi le onora con capacità, con intelligenza e con onestà? Vi sembra giusto che vi sia una magistratura che solo dopo diciassette anni si pronuncia in forma definitiva, a proposito di ragionevole o meno durata dei procedimenti penali?
Vi sembra normale che, dopo aver messo alla gogna, anche ad opera degli organi di informazione, un presidente di regione come Del Turco, additato al pubblico ludibrio sulle prime pagine dei giornali, ci siano sostanzialmente vicende che non vengono portate avanti per decidere se questi uomini siano responsabili o meno? Vi sembra normale che ci siano pubblici accusatori che contestano l'esistenza del reato di associazione per delinquere quando poi, puntualmente, i giudici per le indagini preliminari smentiscono quelle accuse, che intanto, però, sono state utilizzate come elemento dirompente per svolgere indagini e magari per ricorrere a costosissime intercettazioni di carattere telefonico?
Ebbene, credo che questi elementi possano indurre qualcuno a riflettere sul fatto che, forse, se ad essere giudicato oggi è un uomo politico, altro che la serenità della carica rivestita, la serenità in ambito processuale non è poi così assicurata, visti i precedenti. Altrettanto vorrei dire nei confronti del Presidente del Consiglio, ma siccome mi si dice che, in realtà, i nostri provvedimenti non sono a tutela dell'istituzione Presidente del Consiglio, ma a tutela di Silvio Berlusconi, non mi sottraggo a questo riferimento. Pertanto, non ho paura di dire che voterò questo provvedimento, come ho già detto in Commissione, come altri, a favore di Silvio Berlusconi, casualmente Presidente del Consiglio, per le ragioni che ho illustrato in termini politici di sgombrare il campo da questo scontro che si trascina da troppo tempo, perché voglio parlare di questioni politiche, se mi permettete, anche di maggiore interesse e perché voglio sottolineare che se oggi qualcuno teme, anche quando riveste una carica politica, l'operato della magistratura, lo fa a ragion veduta.
Non cito qui le migliaia di udienze, le centinaia di giudici, i milioni di testimoni impiegati, perché non è questo il punto. Cito gli atteggiamenti perché quando un articolo a firma Bruno Vespa, apparso su Panorama, stende le date di udienza del famoso calendario dei procedimenti e ci dice che - leggo testualmente - «nei prossimi 72 giorni il tribunale di Milano ha fissato 22 udienze per i due processi a carico di Silvio Berlusconi, in media una ogni tre giorni calcolando le domeniche» e si chiede se sia normale, mi permetterete di rivolgervi la stessa domanda, anche come operatore del diritto, dal momento che, invece, ci sono 170 mila procedimenti l'anno Pag. 61che si prescrivono e ci sono spazi di rinvii di udienze che non sono a tre giorni, bensì a sei mesi, a otto mesi, a un anno!
Allora, altro che legittimo impedimento, qui c'è il legittimo sospetto che ci siano pesi e misure differenti a seconda di chi si presenta davanti ai magistrati! Credo che sia legittimo sostenere questo e che sia legittimo sgombrare il campo da questi sospetti e tanto più in fretta lo faremo, tanto prima eviteremo che questo scontro trascini con sé anche la magistratura, cosa che sta già avvenendo. Quanti sono, ormai, i riferimenti che vengono fatti a magistrati che militano in una parte o nell'altra dello schieramento? Quante sono le interviste rilasciate, anche sulla televisione di Stato che dovrebbe forse evitare queste situazioni, di magistrati in servizio permanente ed effettivo che non hanno alcun ritegno a rendere esplicite le loro posizioni, anche di carattere politico, nascondendosi dietro al loro potere, dovere o diritto di criticare, magari in forza della libertà di pensiero?
Quale deve essere, allora, serenamente il ragionamento di chi si affida, o si trova subordinato nel contesto di un'azione processuale penale, a persone che svolgono questa attività, ripeto, in servizio permanente effettivo? Se ciò continuerà, non escludo che si arrivi a dire: «io non mi faccio giudicare da un magistrato che ha preso delle posizioni pubblicamente in termini politici, perché, essendo un uomo di destra, non voglio essere sottoposto al giudizio di uno che si è espresso apertamente contro le forze politiche, tra cui la mia, che sostengono il Governo». Vogliamo continuare lungo questa strada? Vogliamo trascinare, ripeto, nell'agone televisivo i processi penali, senza distinguere più le persone che valgono da quelle che non valgono, cosa che a me interessa maggiormente anche a proposito di giustizia? Credo che l'essenza di questo provvedimento non sia soltanto quella giuridica. Può darsi che questo provvedimento possa essere scritto meglio, infatti ho sentito da parte di una collega ritenere che il comma 1 dell'articolo 1 sia stato scritto male. Non lo escludo e vorrei che il ragionamento da parte dell'opposizione fosse questo, cioè indicarci quali sono le parti che, a suo giudizio, dovrebbero essere limate, corrette e meglio espresse.
È vero che anche in termini giuridici questo provvedimento ha, comunque, una finalità e risponde ad una ragione, ovvero evitare che lo scontro sul legittimo impedimento - è vero che esiste già una norma processuale - passi attraverso la libera interpretazione. Rappresenta lo scudo - altro che scudo fiscale - dietro cui si nasconde ogni possibilità di arbitrio. Parlando come giudice, la mia interpretazione non può che essere indiscutibile, ovvero non può essere messa in discussione da alcuno e, quindi, se il Presidente del Consiglio è impegnato a causa del vertice della FAO a Roma, sono io che devo decidere a che ora si deve presentare. Poiché il vertice dura tre giorni, io giudice dico che il Presidente del Consiglio può benissimo venire qui il pomeriggio, o il giorno dopo, e andare al vertice soltanto per un paio d'ore. Ma ci rendiamo conto che in questi ragionamenti c'è ancora l'essenza di questo scontro? Ci rendiamo conto che qui il problema non è soltanto Silvio Berlusconi, ma l'istituzione, la Presidenza del Consiglio, il Governo del Paese? Ma potrebbero essere anche la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Quante sono, cari colleghi parlamentari, le decisioni sui conflitti di attribuzione? E perché avvengono i conflitti di attribuzione, se non perché ci sono dei giudici che danno la loro interpretazione di quando sussiste o non sussiste il legittimo impedimento? Cosa fa questa norma, anche discutibile? Cosa fa questa proposta di legge, magari rimettibile alla Corte costituzionale? Cosa fa questo provvedimento che verrà sicuramente, perché no, bocciato dalla Corte costituzionale? Forse ci darà la possibilità di definire una volte per tutte, attraverso un lodo costituzionale, questo problema.
Ecco la ragione per cui, senza preoccupazione, voterò il provvedimento tranquillamente e serenamente. Oppure vogliamo che domani il Presidente del Consiglio in una di queste udienze sostenga Pag. 62che non può partecipare perché impegnato in un vertice internazionale e ci sia il pubblico ministero che dice: «ma non è sufficientemente motivato; ma questo documento non è arrivato subito, è arrivato all'ultimo momento. Quindi, secondo me, non ci sono le ragioni per consentire il legittimo impedimento»? Vogliamo, dunque, affidare l'autonomia e l'indipendenza delle istituzioni e il concetto di divisione dei poteri alle valutazioni esclusive della magistratura? Io ritengo di no e appartengo a chi sostiene il contrario.
Quindi, quando questa proposta di legge non fa altro che definire il legittimo impedimento e ritenerlo ricorrente, consentendo così l'interpretazione letterale in tutti i casi in cui ricorrano le questioni richiamate dalle norme di legge a cui rinvia, non fa altro che indicare al giudice se e come si deve comportare di fronte all'esistenza di una di quelle condizioni. Il giudice non potrà discutere se rientra o meno nella fattispecie, ma dovrà applicare la legge. Inoltre, se l'impedimento fa parte di quella lunga tipologia prevista dai provvedimenti richiamati dalla normativa che stiamo per varare, in tutti quei casi non si discute, c'è un legittimo impedimento. Riteniamo che ciò serva ad entrambi, anche alla magistratura per evitare di essere strumentalizzata, perché potremmo strumentalizzarla anche noi come forza di maggioranza. Potremmo dire, ad esempio, che il fatto di non avere riconosciuto ad un parlamentare come il Presidente del Consiglio il legittimo impedimento, dovuto ad una seduta della Camera, o magari al fatto che in quelle sedute non si sono svolte votazioni, possa essere effettivamente un attacco al Presidente del Consiglio e a un membro del Parlamento sul piano personale.
Siccome non desidero che vengano rivolte queste accuse, è molto meglio evitare fin dal principio che vi siano interpretazioni che possano andare in questa direzione. Credo quindi che lo spirito con cui dovremmo affrontare l'esame, anche il passaggio parlamentare in Aula, del legittimo impedimento vada tolto da questo scontro e collocato in una posizione diversa.
È un provvedimento che serve ad evitare che questo confronto continui quotidianamente, settimanalmente, sui mezzi di comunicazione, sulla stampa e sui giornali. È un metodo per tentare di evitare che le contraddizioni - perché no, anche del sistema - possano aumentare la conflittualità tra la politica e la magistratura, ma anche all'interno della politica e della magistratura. Questo provvedimento è un sistema che cerca di costruire un ponte, come bene è stato detto, in vista della soluzione definitiva e perfettamente coerente con l'ordinamento, per permettere che la politica riallacci i termini di un dialogo, ma è anche un'occasione per l'opposizione. Infatti, se questo provvedimento consentirà di arrivare ad un incontro delle volontà - lo ripeto - non con il voto favorevole dell'opposizione, ma con la possibilità di costruire questo ponte di cui ho detto, penso che anche il confronto sugli altri temi possa trarne giovamento. Sono convinto di questo. Ecco perché ritengo che questo sforzo, così come è richiesto alle forze di maggioranza con assunzione di responsabilità, come ho già avuto modo di dire, debba essere richiesto anche alle forze dell'opposizione in termini di intervento diretto.
Non si tratta di mettersi d'accordo. Abbiamo capito il vostro punto di vista, non ne siamo convinti, ma lo rispettiamo. Si tratta di chiedersi se effettivamente, attraverso un'assunzione di responsabilità di tutti, quindi di forze di opposizione e di maggioranza, non si possa arrivare a dare una soluzione a questo grave problema, che oggi pesa - ha detto bene qualcuno - come un macigno nel dialogo tra le forze politiche. Siccome questa legislatura potrebbe essere una legislatura costituente, siccome questa legislatura potrebbe aprire le porte a soluzioni che mi auguro siano condivise, siccome questa legislatura, per la mancanza anche di quelle forme di rappresentazione estrema che ci sono state in epoche passate, a mio giudizio favorisce un dialogo della stragrande maggioranza Pag. 63del Paese, che si può e si sente rappresentata all'interno delle istituzioni, ritengo che sarebbe un errore gettare completamente al vento questa possibilità. Mi auguro che nel secondo passaggio, quello dell'eventuale legge costituzionale, che darà definitivamente sistemazione a questo problema, vi sia la stessa responsabilità, lo stesso senso del dovere che accompagna, almeno mi auguro, molte occasioni, che anche recentemente ci ha visti uniti in più di qualche votazione, quando i problemi della giustizia erano affrontati con serenità da entrambe le parti.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Villecco Calipari. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, non si sono ancora spenti in quest'Aula gli echi del dibattito che si è tenuto la scorsa settimana sulla relazione annuale del Ministro Alfano e questa Camera si trova di nuovo a dover discutere, non senza affanno, un'ennesima norma di riforma della procedura penale. È una norma che dovrebbe essere generale e astratta, ma che riguarda in realtà una sola persona. Per di più si tratta di una norma transitoria. Il Ministro della giustizia, la settimana scorsa, è venuto a riferire in quest'Aula circa i grandi passi in avanti in termini di efficienza che starebbe compiendo l'amministrazione da lui diretta. Noi non possiamo che rallegrarcene, incoraggiando anche a proseguire su questa linea, ma allo stesso tempo non possiamo non rilevare che l'efficienza della giustizia non è ciò che più sta a cuore a questo Governo e a questa maggioranza, sia per quanto attiene alla giustizia civile, sia per quanto riguarda quella penale.
Dico questo, sottolineando che non si tratta di efficienza della giustizia, perché, se così fosse, non staremmo a discutere oggi il provvedimento in esame: è una norma che complica la procedura invece di semplificarla, che appesantisce invece di snellire, che allunga i tempi invece di ridurli. Altro che competitività del nostro sistema-Paese, cui pure concorre in misura rilevante, come lo stesso Ministro ha sottolineato in Aula, il settore della giustizia, e ovviamente noi siamo d'accordo.
La competitività del sistema-Paese la fanno, però, la certezza del diritto e la certezza della procedura, condizioni dell'effettiva imparzialità del magistrato. Ma in un Paese dove il Presidente del Consiglio per primo scappa dai processi che lo riguardano, scommettendo sulla loro prescrizione, quale investitore straniero, animato da intenzioni serie e non speculative, vorrà più investire? Ve lo chiediamo, onorevoli colleghi, perché spesso è proprio la testimonianza delle classi dirigenti quella che fa più di ogni altra cosa la credibilità, l'affidabilità e la competitività di un Paese.
Qui sta il punto. Ci vuole buonsenso e ragionevolezza per riformare l'ordinamento giudiziario; il disegno di legge in esame non è invece frutto della ragionevolezza, ma è frutto del pregiudizio. Un pregiudizio che lascia tutti nelle rispettive posizioni, che lascia tutto così com'è; un pregiudizio che conserva invece di innovare, un pregiudizio che non è di alcun servizio a tutto il Paese. E così nuovamente il Parlamento, per un altro buon numero di settimane, è ostaggio degli affari del Presidente del Consiglio, delle sue urgenze, che non sono - lo diciamo, lo ribadiamo con la massima chiarezza - le urgenze dei cittadini di questo paese.
Veniamo al merito dunque di questa legge. Ancora una volta una legge provvisoria, una legge-ponte, composta praticamente da un solo articolo: indice della fretta e della faciloneria con cui ci si accosta a queste tematiche. Con una battuta verrebbe da dire che, in attesa del Ponte sullo Stretto, ci costringete nelle strettoie di una legge-ponte; che poi a ben vedere si dimostra sostanzialmente un testo inutile, e probabilmente incostituzionale. Inutile, perché l'ordinamento italiano già riconosce come legittimo e suscettibile di piena tutela l'interesse al regolare svolgimento delle funzioni pubbliche da parte dei membri del Governo; e lo ha dimostrato oggi, mi pare, il legittimo impedimento che è stato concesso dai magistrati di Milano proprio al Presidente del Consiglio. Pag. 64Ma tale interesse si deve contemperare anche con l'effettivo esercizio della funzione giurisdizionale, ovvero attraverso la celebrazione del processo. Ed è vero che il caso Mannino ha sollevato in tutti noi il bisogno e l'esigenza di tutelare un cittadino come Mannino, ma come tutti gli altri cittadini, da 16 anni di un lungo processo, di estenuante sofferenza della persona; però ricordiamo che l'onorevole Mannino al processo si è sottoposto come qualunque altro cittadino.
L'ordinamento già riconosce infatti, ritornando al problema e alla questione del merito, l'impedimento legittimo; ma lo inquadra come un momento puntuale, legato ad un fatto contingente, non ad uno status permanente, individuabile pertanto con i criteri di ragionevolezza. Al contrario, una presunzione assoluta, e per di più ex lege, di impedimento continuativo, prefigura una prerogativa, ovvero una norma di status derogatoria, che è incoerente con l'ordinamento vigente. Tale prerogativa non è incostituzionale di per sé, ma richiede, com'era peraltro ammesso anche dallo stesso primo comma della legge in oggetto, una corrispondente legge costituzionale. Sta qui, per noi, la manifesta incostituzionalità di tale norma, che vorrebbe implicitamente sospendere il valore e la validità dell'articolo 138 della Costituzione, che appunto disciplina l'iter di revisione costituzionale. A voi, che tanto sembrate avere a cuore l'efficienza dello Stato, domandiamo: perché allora far lavorare inutilmente ancora una volta il Parlamento e la Corte costituzionale?
La dialettica tra potere esecutivo e potere giudiziario non si risolve in un succedersi compulsivo, farraginoso e disordinato di leggi e leggine, provvisorie e brevissime: occorre incontrarsi, non scappare. È così impossibile concordare un calendario di udienze? A tanto arriva il pregiudizio?
Ma se arriva a tanto, signori della maggioranza, allora non ci potete chiedere di assecondare il Presidente del Consiglio nella sua matta e disperatissima fuga dal processo. No, non ci siamo lasciati indietro l'assolutismo del XVII secolo - il sovrano legibus solutus - per approdare nel XXI secolo al sovrano processibus solutus. Una democrazia non sopravvive nel logoramento reciproco, nella negazione reciproca tra principio democratico e principio di legalità. Il legittimo impedimento non è e non potrebbe essere materia di legge generale ed astratta; è materia di buonsenso (anche qui, è materia di ragionevolezza).
Fin quando sarà il pregiudizio ad ispirare i rapporti tra Esecutivo e giudici, vi sarà un'instabilità permanente del sistema che non potrà non incidere e non avere esternalità negative sull'immagine di affidabilità dell'intero nostro Paese.
Vi è poi una contraddizione di fondo tra il testo che oggi andiamo ad esaminare, quello appunto sul legittimo impedimento, e quello sul processo breve appena approvato dal Senato.
Delle due l'una: o si combatte con tutte le forze e le energie, legislative e procedurali, la lentezza e l'inefficienza dell'amministrazione della giustizia o ci si inventa di tutto, dalla legittima suspicione al legittimo impedimento pur di allungare interminabilmente la durata dei processi fino alla loro estinzione per prescrizione.
È una contraddizione tutta interna a questa vostra politica, onorevoli colleghi di maggioranza, che mostra più di ogni altra cosa quanto gli interessi di tutela del Premier non corrispondano però alla domanda di giustizia da parte della maggioranza dei cittadini italiani. Insomma, nonostante la brillante esposizione del Ministro Alfano a noi consta che il centro dell'iniziativa legislativa del Governo in tema di giustizia non riguarda la lentezza dei processi, il sovraffollamento carcerario, gli abusi che subiscono cittadini comuni durante la detenzione, come dimostra la tragica vicenda di Stefano Cucchi, cui nella sua relazione il Ministro Alfano non ha ritenuto di fare il benché minimo cenno. Sì, perché anche quella è giustizia negata: dov'è su quel fatto la vostra sensibilità o il vostro garantismo? Oppure dobbiamo pensare che la vostra sensibilità e il vostro garantismo si rivolgono soltanto alle urgenze di qualcuno e non invece alle Pag. 65migliaia di nostri concittadini privi della libertà personale perché ancora in attesa di giudizio, oppure alle migliaia di imprese e di famiglie che attendono giustizia?
Noi del Partito Democratico siamo i primi a riconoscere i problemi, le inefficienze, le inadeguatezze del sistema giudiziario italiano. Un conto però è operare con tempestività e serietà, coraggio e determinazione in vista dello scioglimento di questi nodi per il bene di tutti i cittadini; altro conto è impantanare la discussione parlamentare e politica per anni, se non per lustri, in un'opera che non è di riforma, ma di delegittimazione del sistema giudiziario nazionale.
Se infatti avessimo dedicato alla riforma generale del sistema giudiziario il tempo che abbiamo dedicato negli ultimi dieci anni a trovare norme che salvassero o che evitassero i processi al Premier, a quest'ora avremmo il sistema di amministrazione della giustizia più efficiente, più economico, più giusto del mondo.
Dobbiamo fare in modo che la giustizia venga amministrata in nome del popolo italiano, non dobbiamo mettere il popolo italiano contro la giustizia e la magistratura; per avere una giustizia migliore occorre superare - sono d'accordo con chi lo dice - l'ideologismo e il corporativismo, purché si eviti però lo scontro che è in atto tra poteri dello Stato (Esecutivo e giudiziario).
Siamo disposti a collaborare di fronte ad un progetto di legge che intenda riformare e migliorare il sistema dell'amministrazione della giustizia nel nostro Paese. Nessuno di noi vuole passare da una Repubblica parlamentare ad una giurisdizionale: noi democratici vogliamo custodire e salvaguardare le conquiste del costituzionalismo liberale che si fondano sul bilanciamento dei poteri, sull'equilibrio tra principio di democraticità e di legalità.
Questo, e solo questo, ricordatevelo signori colleghi di maggioranza, sarà il principio guida cui si atterrà, nell'esame di questo provvedimento, il gruppo del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà per sedici minuti.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signora sottosegretario, onorevoli colleghi, dico subito che dovrò dare un dispiacere al collega Contento, che pure stimo, e che devo anche esprimergli un po' di stupore per il fatto che possa aver pensato che noi dell'l'Italia dei Valori possiamo trovare un accomodamento su un testo, su una soluzione, che consideriamo del tutto illegittima e abnorme. Questo testo sul legittimo impedimento ha tutto e solo dell'impedimento, ma non ha niente di legittimo. È un impedimento all'esercizio di una funzione sovrana, quella della giustizia, che trae legittimazione dal popolo.
L'articolo 101 della Costituzione, richiamando l'articolo 1 per lo cui la sovranità appartiene al popolo, dice che la giustizia è amministrata in nome del popolo italiano. Se la sua giustizia è esercitata nel nome del popolo italiano, ciò vuol dire che è una funzione sovrana. Questo testo costituisce un impedimento totale e assoluto all'esercizio della funzione sovrana della giustizia sia pure nei confronti di una sola persona (anche se, oltre al Presidente del Consiglio dei ministri, è stata estesa ai Ministri). Si tratta di un impedimento assoluto, totale, tombale per 18 mesi. Per 18 mesi la funzione sovrana della giustizia viene paralizzata totalmente; viene totalmente bloccata. In questo senso, questo testo è un impedimento, ma non dell'imputato, della funzione giudiziaria. È un impedimento che, così congegnato, presenta requisiti evidenti di illegittimità come si evince dall'incipit del testo. Tutte le dichiarazioni delle persone oneste della maggioranza, lo stesso collega Contento poco fa, riconoscono che questo è un testo incostituzionale e che se dovesse venire portato all'esame della Consulta, e venisse deciso dalla Consulta, non potrebbe che essere deciso nello stesso modo in cui la Corte costituzionale ha sempre deciso. Una prerogativa a favore di una persona, in violazione dell'articolo 3 della Pag. 66Costituzione, può essere introdotta esclusivamente con legge costituzionale. Ve lo hanno detto in tutti i modi, onorevoli colleghi della maggioranza, ma voi insistete pervicacemente, e un po' cinicamente. Avete fatto un calcolo. Prima avevate previsto un termine di un anno, poi i vostre alleati temporanei dell'UdC - speriamo soltanto in questo - vi hanno detto di portare il termine a 18 mesi, perché il periodo di 18 mesi rappresenta il tempo prima del quale la Corte costituzionale verosimilmente non farebbe in tempo a pronunciarsi, spazzando via questo testo che certamente è anticostituzionale per vostra confessione. È il tempo sufficiente perché il Parlamento approvi il vostro disegno di concedere, comunque, l'immunità al Presidente del Consiglio o attraverso un lodo Alfano costituzionalizzato, ovvero attraverso la reintroduzione dell'immunità parlamentare prevista nel testo antecedente a quello vigente dell'articolo 68 della Costituzione, la cui modifica è stata richiesta ed approvata a furor di popolo in seguito all'uso assolutamente distorto e «castale» che la Camera aveva fatto di questa norma che doveva essere una prerogativa, mentre è stata fatta diventare un privilegio.
Ora vedete, è singolare il ragionamento del collega Contento: siccome c'è questo problema, e questo problema va risolto, aiutateci a risolverlo nel senso che noi impediamo o consentiamo che il Presidente del Consiglio non si presenti alle udienze come fanno tutti gli altri. Ebbene, mi sembra un po' troppo realpolitico questo modo di ragionare. Noi dell'Italia dei Valori vi abbiamo proposto un'altra cosa. Vi abbiamo detto: la funzione giudiziaria è una funzione sovrana, quindi indefettibile, e non può essere eliminata, tanto meno da una legge ordinaria, ma siccome riconosciamo che esistono delle funzioni di governo - pur non discendendo direttamente dal popolo perché il Capo del Governo è nominato dal Presidente della Repubblica ed ha la fiducia delle Camere, mentre le funzioni delle Camere, le funzioni parlamentari, sono funzioni sovrane perché traggono la loro legittimazione direttamente dal popolo - e che comunque esistono esigenze di governabilità e di esplicazione delle funzioni di governo, non diciamo che la funzione giudiziaria è di rango sovraordinato rispetto a quella del Governo, ma voi non venite a dirci che la funzione di governo è sovraordinata a quella giudiziaria, perché non vi crederebbe nessuno, e anzitutto non vi darebbe spazio la Costituzione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 18)

FEDERICO PALOMBA. Allora, partiamo dal presupposto che entrambe le funzioni sono equiordinate e consentiamo che entrambe si esplichino. Per quanto riguarda la funzione di governo - benissimo - possiamo ritenere che la giurisdizione possa rispettare tale funzione, e quindi non esercitare un sindacato sulle situazioni nelle quali il Presidente del Consiglio ritiene di trovarsi nella necessità di esercitare in quel modo o in altri modi - nel suo modo - appunto la funzione di governo, però bisogna consentire che la funzione giudiziaria comunque continui. Allora, sia il Presidente del Consiglio a dire quali sono i giorni in un mese nei quali egli è pronto ad andare in udienza e quindi a rendere possibile l'esercizio della funzione sovrana rappresentata dalla giurisdizione. Ecco, voi fate una forzatura. Fate una forzatura politica perché volete comunque togliere dalle peste il Presidente del Consiglio, e fate una forzatura costituzionale, e la cosa più singolare è che lo sapete, e la cosa che dispiace di più in colleghi avvertiti, colleghi consapevoli, colleghi onesti della maggioranza, è che, pur riconoscendo questo, perseverino in questa condotta. Vedete, il Presidente del Consiglio, tira fuori una motivazione politica: io ho avuto il consenso dai cittadini (non è vero, perché il consenso dei cittadini lo hanno avuto i parlamentari; il Presidente della Repubblica lo ha nominato ed il Parlamento gli ha dato la fiducia); ma lui dice: io ho avuto il consenso e il consenso mi reca un salvacondotto per fare quello Pag. 67che voglio, compreso l'impedimento all'esercizio della funzione giurisdizionale, che è una funzione sovrana. Ma io vi dico una cosa e vi contrappongo una cosa. Non è forse più sovrana la funzione giurisdizionale che trae legittimazione e fondamento dal popolo? Allora, qual è il popolo al quale il Presidente del Consiglio si appella? Quello che lui ritiene che gli abbia dato un salvacondotto, o quello che vorrebbe vederlo di fronte ai suoi giudici, ai giudici della Repubblica che esercitano la giustizia in suo nome.
Quel popolo che vorrebbe ciascun cittadino e quindi anche lui assoggettato a giudizi. Credo che il Presidente del Consiglio sbagli molto nel ritenere che il voto possa avergli dato il potere di fare tutto. Gli conviene dirlo, gli conviene sostenerlo, ma è una pretesa infondata politicamente e costituzionalmente. Il principio giusto è soltanto questo: lui deve consentire alla giurisdizione di esercitare la sua funzione perché è quello stesso popolo che legittima i giudici ad esercitarla. Credo che il popolo, se interpellato, si pronuncerebbe nel senso di dire che non ha dato salvacondotti a nessuno e che non vuole immunità a favore di nessuno. I sondaggi ripetuti che sono stati effettuati sulla reintroduzione dell'immunità parlamentare, su salvataggi, su scudi, su prerogative, su privilegi a favore di singole persone dicono all'80 per cento che il popolo è contrario ai privilegi! Dunque il Presidente del Consiglio non citi i sondaggi: è libero di farlo, sono suoi, noi li conosciamo, è libero di affermare il consenso che ha, ma i consensi a governare, non a costituirsi prerogative, non a costruirsi impunità. In questo senso il consenso dei cittadini negli altri sondaggi, per quattro quinti dell'elettorato, dice che anche lui, come gli altri, deve assoggettarsi al giudizio dei giudici. Questo è il punto: non ci potete chiedere quindi di fare una ragione di Stato di una battaglia che è squisitamente personale, di una battaglia che vede paralizzato il Parlamento e la giustizia se passasse quell'incredibile e inaccettabile testo sulla morte anticipata dei processi: farne morire centomila per farne morire due che ti interessano.
Dunque non venite a chiederci di dare salvacondotti: non siamo qui per dare salvacondotti; siamo garantisti e riteniamo che non ci sia nessuno che sia colpevole sino alla sentenza definitiva. Tuttavia siamo anche garantisti delle regole secondo le quali ognuno deve sottoporsi al giudizio della giurisdizione. L'avete fatta un po' grossa insomma. Nell'incipit c'è una confessione, nelle vostre dichiarazioni di colleghi onesti c'è la stessa dichiarazione: sappiamo che è una legge incostituzionale, creiamo uno scudo per diciotto mesi per consentire che il Presidente del Consiglio non vada a giudizio. Ma l'avete fatta un po' grossa perché questo testo, così come l'avete congegnato, non dà un minimo di discrezionalità al dominus del processo, che è il giudice: quest'ultimo deve prendere semplice atto non di quello che l'imputato Presidente del Consiglio gli dice, ma di quello che gli dice un funzionario dipendente dall'Esecutivo, il quale non può che dire che ogni giorno, ogni ora di ogni giorno il Presidente del Consiglio ha qualcosa di governativo da fare.
Non solo: voi considerate le funzioni tipiche previste dalla legge ma insieme prevedete l'eccezione che riconduce all'arbitrio i casi di esercizio delle funzioni di governo perché parlate di funzioni, di attività preparatorie e consequenziali e parlate anche di ogni attività connessa. In questo senso, colleghi, voi dite che basta che ci sia uno scritto di un funzionario della Presidenza del Consiglio perché un'attività possa essere considerata preparatoria, consequenziale, comunque connessa, anche se fuori, e il giudice non può valutare? Il giudice, che è il dominus del processo, non può entrare nel merito dell'impedimento senza che l'imputato senta il bisogno, la necessità di rispettare un altro potere dello Stato dicendo: «Io mi presento in questi giorni»? Anche in questo voi la fate troppo grossa.
Infatti esagerate e dite che praticamente per 18 mesi il Presidente del Consiglio fa quello che vuole ed i giudici sono paralizzati. Quindi coimputati, parti civili, pubblico ministero non sono neanche chiamati ad interloquire sulla cosa, niente, Pag. 68tutto è soltanto sbilanciato in favore di una persona, in favore di una istituzione. Non vi è neanche un lontano tentativo di rispetto e di riconoscimento per la funzione giudiziaria che, come ripeto, nella Costituzione è considerata una funzione sovrana.
Concludo con una risposta al collega Contento e mi perdonerà se l'ho citato molte volte, ma siccome lo stimo sento il bisogno di rispondere - mi avvio alla conclusione, signor Presidente, me lo consenta -, il suo ragionamento punta troppo in là e pretende troppo. Dice che vi sono state sentenze che nei confronti di determinate persone si sono pronunciate in un modo poi, a distanza di tempo, si sono pronunciate diversamente. Intanto sono giudici che l'hanno assolto definitivamente, ma io vi voglio chiedere a cosa porterebbe questa idea che la giustizia non funziona: al fatto che vi sia poi qualcuno sopra i giudici che fa la giustizia al posto del giudice? Collega Contento, non credo che lei voglia questo e comunque, se anche qualcuno della sua maggioranza lo volesse, finché ci sarà questa nostra Costituzione che ci difende tutti e che ci porta fuori dal medioevo per introdurci nella modernità, nessuno potrà sperare che un risultato di questo genere possa ottenersi, cioè che qualcuno si sostituisca alla magistratura nell'esercizio della giurisdizione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 889-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Costa.

ENRICO COSTA, Relatore. Signor Presidente, intervengo semplicemente per ringraziare gli oratori per il costruttivo contributo che è stato offerto al dibattito, un contributo che ha rispecchiato le linee che sono emerse nel proficuo lavoro in Commissione. La Commissione giustizia si è distinta per un animato dibattito sui singoli emendamenti e, ancor prima dell'approfondimento degli emendamenti, sui numerosi testi che affrontavano la materia. Auspichiamo veramente che il successivo lavoro dell'Aula serva ancor di più ad avvicinare le posizioni, in una costruttiva analisi dei provvedimenti che toccano la materia in discussione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente e onorevoli deputati, è all'esame di quest'Aula una proposta legislativa frutto di un lavoro parlamentare attento, profondo e competente svolto nella Commissione giustizia. Il testo origina - questo è noto - da numerose iniziative, in gran parte convergenti ma non certo identiche, legittimamente diverse per aspetti anche sostanziali, che provengono da forze politiche che esprimono un arco più ampio di quello espresso dalla maggioranza. Si tratta di iniziative che sono state presentate in tempi diversi, anche se perlopiù si sono concentrate in queste ultime settimane, segnate da una recrudescenza delle tensioni tra potere giudiziario e politica. Questi testi sono stati esaminati e portati ad unità in un egregio lavoro, per il quale esprimo il sincero ringraziamento del Governo, che non ha mancato di manifestare concretamente la sua convinta adesione in tutte le fasi dell'esame. Il testo potrà certamente essere migliorato e vi sono riflessioni importanti in questo senso, ma il lavoro che è stato fatto già costituisce un'eccellente testimonianza dell'efficace collaborazione politica fattiva, che punta al ripristino di rapporti di serenità tra e nelle istituzioni.
In effetti, la parola che meglio descrive il senso del lavoro parlamentare compiuto all'interno delle molte pagine che lo hanno preceduto, che lo hanno accompagnato e seguito in innumerevoli sentenze, in atti ufficiali, in dichiarazioni politiche e in Pag. 69interviste è, a mio avviso, principalmente una: serenità e, in particolare, serenità nello svolgimento, come ha sottolineato, più volte, nel suo intervento, anche l'onorevole Rao.
Sono parole che, come tutti sapete, si ritrovano in entrambe le sentenze della Corte costituzionale relative alle vicende del cosiddetto lodo Alfano, che individuano il valore e l'interesse da tutelare. Altro che conflitto con la Corte costituzionale, onorevole Rossomando, ma osservanza di un indirizzo consolidato.
Serenità - specifica anche la Corte - non soggettiva. Parlare di legge ad personam è un fuor d'opera, onorevoli Ciriello e Amici: è necessario parlare di serenità istituzionale. Il provvedimento che stiamo discutendo ha proprio questo principale e meritevole obiettivo: riportare serenità in un contesto istituzionale andato ben oltre la soglia della sopportabilità.
Quello di cui ci stiamo occupando non ha nulla a che fare con i privilegi - come ha detto, con forza, l'onorevole Papa - e non ha per oggetto le immunità. Ci stiamo occupando di dirigere la politica generale del Governo. Ciò non rappresenta un privilegio: è un onore certamente, un onere senza dubbio; non è un privilegio, semmai, è una funzione.
Il provvedimento non ha per oggetto le immunità, che pure, non sono uno scandalo, visto che esistono in tutto il mondo democratico e sono nate insieme alla democrazia per essere strumentali alla funzione. Un assetto equilibrato e funzionale delle immunità è, semmai, l'obiettivo finale e - spero - comune, rispetto al quale si pone strumentalmente il provvedimento in oggetto, per trovare un punto di nuovo, accettabile equilibrio.
Dunque, non privilegi, non immunità, ma una prospettiva di serenità per poter condurre una riforma di rango adeguato - quello costituzionale - a presidio della normalità nei rapporti tra politica e magistratura. Il Parlamento, che rappresenta il popolo - lo ricordo a me stessa, onorevole Palomba - sta svolgendo una funzione che gli è propria e di cui è titolare: trovare il punto di equilibrio tra due valori costituzionali, l'esercizio dell'attività giurisdizionale e lo svolgimento di doverose attività istituzionali e di governo. A me pare evidente che tali delicate e rilevanti circostanze non possano essere lasciate alla discrezionalità del giudice procedente. Definire un punto di equilibrio tra valori costituzionali potenzialmente confliggenti non è compito della magistratura, ma è una responsabilità propria del Parlamento.
Se riusciamo ad accantonare minacce, demonizzazioni e pregiudiziali ideologiche, credo vi siano ragioni fondate per riconoscere che il testo al nostro esame è conforme a Costituzione, ragionevole e utile per la collettività. Un provvedimento conforme a Costituzione, il cui limitato orizzonte temporale, che è funzionalmente collegato ad una prospettiva di riforma, sposa un criterio, più volte, confermato dalla giurisprudenza costituzionale. Quest'ultima, molte volte, si è riferita ad interventi normativi con contenuti di eccezione, sorretti dal carattere temporaneo della norma collegata all'emanazione di una nuova disciplina organica. E ancora: misure temporanee preordinate ad instaurare un regime transitorio in attesa dell'attuazione di una riforma o in vista di un riassetto generale del settore. Sto citando, testualmente, sentenze della Corte costituzionale.
Si tratta di un provvedimento del tutto ragionevole che incide su un meccanismo processuale già esistente, lo sappiamo, ma che viene oggi corredato dalla tipizzazione di circostanze esimenti per la temporanea assenza del titolare di carica istituzionale; assenza - dovrebbe essere ovvio, ma è bene ricordarlo - da quell'aula giudiziaria per essere presente nella cura degli interessi del Paese e dei cittadini attuati attraverso tutti quei numerosi provvedimenti che ha menzionato prima molto bene l'onorevole Contento e che vanno dalla sicurezza, dal lavoro al contrasto alla criminalità organizzata, alla giustizia civile e così via.
È un provvedimento, infine, che pur riguardando determinate cariche, è utile alla collettività: altro che salvacondotto, Pag. 70onorevole Palomba. Se il Presidente del Consiglio peregrina da un ufficio giudiziario all'altro è un problema di tutti gli italiani, è un macigno che grava sul nostro Paese da sedici anni e che va rimosso. Come sapete, non sono parole mie, ma parole sagge ed avvedute dell'autorevole leader di un gruppo che è all'opposizione rispetto a questa maggioranza e a questo Governo, ma che è convinto, come noi siamo convinti, della necessità di riportare serenità nell'ambito istituzionale di questo Paese, una responsabilità di tutti, un interesse generale. Per questo auspico con forza l'approvazione di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 889-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Franceschini ed altri n. 1 e Palomba ed altri n. 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 889-A ed abbinate).
Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.
Avverto in proposito che il seguito dell'esame del provvedimento non è stato contingentato nell'ambito del vigente calendario dei lavori, in quanto rientrante nell'ambito di applicazione dell'articolo 24, comma 12, primo periodo, del Regolamento.

Discussione delle mozioni Zamparutti ed altri n. 1-00263 e Piffari ed altri n. 1-00320, concernenti iniziative per la difesa del suolo e del paesaggio e per la riqualificazione del patrimonio urbanistico ed edilizio (ore 18,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Zamparutti ed altri n. 1-00263 e Piffari ed altri n. 1-00320, concernenti iniziative per la difesa del suolo e del paesaggio e per la riqualificazione del patrimonio urbanistico ed edilizio (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2010.
Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Libè ed altri n. 1-00322 e Ghiglia, Guido Dussin, Commercio, Sardelli ed altri n. 1-00323 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00263. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, ogni volta che mi trovo a discutere o a far discutere di politiche per il buon governo del territorio e del patrimonio edilizio che su di esso insiste, accade che il territorio e il patrimonio edilizio ci diano i segnali di una loro tragica insofferenza.
Questa mozione era stata, infatti, scritta all'indomani dell'alluvione che colpì Messina, dopo una riflessione che come Radicali avevamo avviato in seguito al terremoto avvenuto a L'Aquila, e vediamo che viene discussa a distanza di pochissimi giorni dalla tragedia che ha colpito Favara. Sono drammi diversi, certo, ma comunque espressione di una cattiva gestione del territorio, dell'assenza di un'efficace azione di sua tutela e delle gravissime carenze della politica urbanistica ed edilizia che ha connotato gli ultimi sessanta anni.
Bastano alcuni dati: se dall'unità d'Italia al 1945, cioè in 84 anni, il numero dei vani è raddoppiato, passando da circa 17 milioni a circa 34 milioni, a fronte di una crescita della popolazione di circa 20 milioni Pag. 71di persone, negli ultimi 64 anni l'esplosivo sviluppo edilizio ha travolto l'equilibrio prebellico con un aumento dei vani di ben 85 milioni, a fronte di una crescita della popolazione di soli 15 milioni.
Si tratta di un'aggressione al territorio che non conosce tregua e che, anzi, vede un'ulteriore e violenta accelerazione negli ultimi anni. Infatti, dal 2003 sono state circa un milione e seicentomila le abitazioni (di cui il 10 per cento è abusivo) costruite nonostante la popolazione in Italia non sia cresciuta ma, al contrario, sia diminuita sensibilmente e solo negli ultimi anni abbia dato segni di ripresa grazie al contributo degli immigrati.
Insomma, ci troviamo ad essere il Paese in Europa primo per disponibilità di abitazioni, con 26 milioni di abitazioni di cui il 20 per cento non occupate, corrispondenti a un valore medio di due vani a persona e, paradossalmente, l'emergenza abitativa non risulta risolta, come Favara tristemente testimonia, con le case e gli alloggi popolari realizzati e non assegnati, ma lasciati marcire nel degrado e oggetto di atti vandalici.
L'Agenzia del territorio, in un suo recente rapporto, ha scovato circa un milione e mezzo di fabbricati che non risultavano neanche in catasto, per un potenziale fiscale di oltre un miliardo di euro. Faccio presente, tuttavia, che è stato censito soltanto il 25 per cento della nostra penisola.
Cosa significhi questa sovraurbanizzazione in termini di impatto sul consumo di suolo lo hanno spiegato i rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo del Politecnico di Milano che, insieme all'Istituto nazionale di urbanistica e a Legambiente, nel corso di una recente audizione in Commissione ambiente, hanno documentato, ad esempio, che nella sola Lombardia, nel periodo dal 1999 al 2005, il territorio urbanizzato è cresciuto a ritmi di 10 ettari al giorno. È come, dunque, se ogni anno si fosse realizzata una città grande quasi come Brescia e sottratto un prato grande come Pavia.
Se pensiamo che larga parte di questo sovradimensionato patrimonio edilizio postbellico è privo di qualità e non antisismico - la tragedia de L'Aquila ci ha spiegato qualcosa anche a questo riguardo - e se pensiamo che questo sovradimensionato patrimonio edilizio, privo di qualità e non antisismico, è collocato su un territorio, quello italiano e quello meridionale in particolare, sofferente da un punto di vista sismico e idrogeologico con, ad esempio, ben 25 mila scuole sottoposte a elevato rischio sismico mentre altre circa 3.500 strutture scolastiche risultano costruite in zone ad alto rischio idrogeologico (e parliamo di strutture in cui gravitano oltre quattro milioni e mezzo di persone fra studenti, insegnanti e altri lavoratori), allora una considerazione va fatta: siamo di fronte ad un dissesto idrogeologico frutto, come ripete sempre Marco Pannella, di un dissesto ideologico, quello che segue principi di ragionamento e linee di comportamento diametralmente opposte a quelle proprie di uno Stato di diritto. Le conseguenze di questo dissesto ideologico ben le spiega il capo della protezione civile, Guido Bertolaso, quando dice che il rischio idrogeologico è uno dei rischi più gravi, insieme a quello sismico, ed è quello che incide di più sul numero delle vittime, a riprova che dove c'è strage di diritto lì c'è strage di vite umane.
Questa mozione, frutto di un lavoro congiunto che come Radicali abbiamo avviato con le associazioni ambientaliste, il WWF, Legambiente, il Comitato nazionale del paesaggio, il FAI e l'Istituto nazionale di urbanistica, chiede un'inversione di rotta sulle politiche per il governo del territorio e sull'edilizia, una politica che individui gli obiettivi da raggiungere, gli strumenti da utilizzare e le risorse da mobilitare e che abbia come sua stella polare l'uso parsimonioso delle risorse non riproducibili come il suolo, risorse che costituiscono un bene collettivo e che nell'esclusivo benessere dei cittadini devono essere governate. Una politica che, dunque, ponga come riferimento strategico Pag. 72per il settore edilizio la riqualificazione e la rottamazione delle abitazioni esistenti e non la costruzione di nuove.
L'ordine degli architetti della regione Sicilia ha messo a disposizione persone per collaborare con le autorità per la schedatura delle condizioni di stabilità degli edifici vicino a quello crollato a Favara. Favara non ci sarebbe stata se esistesse il fascicolo del fabbricato, perché dobbiamo capire che, come abbiamo cura del nostro corpo, facciamo il check-up, andiamo dal medico per vedere se godiamo di buona salute, anche gli edifici in cui trascorriamo la nostra esistenza hanno bisogno di un controllo, hanno bisogno di sapere e di far sapere ai cittadini qual è il loro stato di salute.
Allora la grande opera che serve al Paese è la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio. Occorre una riconversione delle risorse verso questa grande opera strategica; noi non lo quantifichiamo, crediamo non sia compito di una mozione parlamentare farlo e poi penso che bastino le parole e le cifre di Bertolaso, che sempre ce lo ricorda, ad indicare l'entità del necessario.
Ma quello che chiediamo è appunto un'inversione di rotta delle politiche sul governo del territorio, perché non si può ancora pensare di favorire la creazione di nuova edilizia residenziale con effetti come quelli della legge in Campania sul piano casa, che autorizza la trasformazione dei capannoni industriali, al di sotto di 15 mila metri quadrati, in abitazioni residenziali.
Quindicimila metri quadrati, per darvi un'idea delle dimensioni, equivalgono a un campo di calcio e mezzo, e questo accade nella regione dove c'è la città di Napoli a maggiore densità abitativa d'Italia, città collocata tra il Vesuvio e i Campi Flegrei, vulcano anch'esso. È da ormai un paio di decenni che Marco Pannella, Aldo Loris Rossi, il Partito Radicale hanno cercato in ogni modo di imporre all'agenda politica nazionale ed europea l'enorme rischio al quale si stanno esponendo gli abitanti di quest'area.
Questi sono i temi, secondo noi, che devono essere all'ordine del giorno non soltanto dell'Assemblea, dove mi auguro ci possa anche essere un'espressione congiunta su questo tema, ma devono essere all'ordine del giorno già del prossimo Consiglio dei Ministri. Solo in questa prospettiva i nuovi interventi edilizi ammessi dalla legislazione statale e regionale possono costituire un'opzione percorribile e tale da rilanciare l'edilizia, ma mettere al contempo in sicurezza il Paese ed i suoi abitanti.
Per questo riteniamo che le stesse misure di sostegno all'edilizia, come stabilite dall'intesa Stato-regioni dello scorso 1o aprile e dalle successive norme regionali, debbano essere corrette. Quell'intesa prevedeva, tra l'altro, che entro dieci giorni dalla sottoscrizione dell'accordo, il Governo emanasse un decreto-legge di semplificazione dei contenuti concordati con le regioni e le autonomie.
Quel decreto non è stato ancora emanato, a distanza di quasi un anno, ma può essere emanato e vogliamo che sia l'occasione per riavviare un'azione di recupero e di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, favorendo la rottamazione con eventuale delocalizzazione degli edifici pericolosi che sorgono in zone a rischio o che sono privi di qualità, riconoscendo priorità di intervento alle aree ad elevato rischio idrogeologico, a partire dall'area vesuviana e dei Campi Flegrei, così come di quegli edifici costruiti lungo le fasce fluviali; e questo per portare soltanto alcuni esempi.
Va detto a chiare lettere anche che i nuovi interventi edilizi devono essere l'occasione per prioritariamente sostenere il miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici e devono anche sentirsi parole chiare, vedere norme chiare per vincolare il gettito aggiuntivo dovuto alla realizzazione degli interventi ammessi dalle norme straordinarie di sostegno all'edilizia, affinché siano destinate al finanziamento di controprestazioni ecologiche appropriate alle diverse realtà locali sulla base delle esperienze di compensazione ecologica già sperimentate in Germania, in Olanda e Pag. 73negli Stati Uniti, nella prospettiva di una revisione in questo senso anche delle norme in materia di oneri concessori e, più in generale, dei rapporti convenzionali tra soggetti pubblici e privati.
Le stesse leve fiscali (penso all'ICI e all'IRPEF) dovrebbero essere riconcepite affinché, in un'ottica liberale, si usi soprattutto il sistema fiscale per dare un prezzo ai comportamenti insostenibili, favorendo tra l'altro l'uso parsimonioso del suolo, la riqualificazione energetica e l'allocazione residenziale degli immobili.
Va indubbiamente protetta l'integrità delle aree agricole, ma soprattutto pensiamo che sia importante rafforzare la capacità operativa dei soggetti preposti alla pianificazione paesaggistica ed urbanistica, alla tutela del patrimonio culturale e naturale e al contrasto degli abusi, invece che privilegiare misure straordinarie non coordinate ed estemporanee di sostegno all'edilizia.
Chi reclama, poi, giustamente un uso sostenibile e responsabile del suolo, nonché una riduzione del consumo dello stesso non riesce a basare le proprie istanze su informazioni adeguate e su dati confrontabili ed attendibili che evidenzino innanzitutto la dimensione quantitativa del problema e siano, quindi, capaci di fornire elementi per politiche adeguate alla messa in sicurezza del territorio e all'urbanistica.
Le fonti disponibili in materia di monitoraggio dell'uso del suolo sono lacunose, frammentate tra i diversi organismi amministrativi e non coordinate con definizioni di suolo sbagliate. Tale inadeguatezza nazionale alla conoscenza del fenomeno è di tutta evidenza funzionale all'incapacità di incidere con politiche territoriali ed ambientali di segno diverso rispetto alle attuali.
È per questo che chiediamo, con una serie di proposte contenute nella mozione in discussione, anche di mettere ordine in questa materia, nella consapevolezza che mettere ordine significa governare, perché governare è un termine di uso proprio del linguaggio domestico dove il buon governo delle cose proprie parte innanzitutto dalla capacità di mettere e tenere in ordine le cose.
Mi auguro che questa mozione possa avere il parere favorevole del Governo, mi auguro anche che sia possibile eventualmente addivenire alla definizione di un testo comune di tutte le forze rappresentate in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00320. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, se è vero che il consumo del territorio è una delle conseguenze dell'attività umana che riduce, in termini qualitativi e quantitativi, i suoli, le aree libere o naturali e le trasforma, è anche vero che il «benessere» umano può essere garantito solo se il «consumo del suolo» si mantiene entro certi limiti e se consente di mantenere ecosistemi vitali e funzionali per il benessere della popolazione e del pianeta, nella consapevolezza che il territorio è una risorsa limitata e, quindi, esauribile. Credo che su questo conveniamo tutti.
Un lavoro analitico avviato recentemente dal WWF Italia con l'Università de L'Aquila fa emergere dati che devono far riflettere: dal 1956 al 2001 (quindi in 45 anni) la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento. Si è valutato che dal 1990 al 2005 (quindi negli ultimi 15 anni) siamo stati capaci di trasformare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande, corrispondente a una volta e mezza la superficie della Lombardia ovvero a quella di mezza pianura Padana. Fra questi ci sono due milioni di terreno fertile, tolto all'agricoltura, che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade ed altro.
Ho presente le distese di capannoni nella pianura lombarda vuoti e inutili, realizzati sempre con l'intento di sostenere l'economia, realizzati con quei provvedimenti individuati dall'allora Ministro Tremonti, Pag. 74in un Governo precedente. Anche in questi ultimi giorni ho letto che il Ministro richiama invece l'ottimo risultato in termini di posti di lavoro e volume d'affari messo in campo. In realtà, oggi sono lì a gridare vendetta perché sono vuoti. Ma il concetto non è come utilizzare quelli vuoti, ma si continua invece a fabbricarne degli altri.
Ogni italiano vede oggi attribuirsi una media di 230 metri quadrati di urbanizzazione ed anche se le percentuali cambiano da regione a regione (dai 120 metri quadrati per abitante della Basilicata ai 400 del Friuli Venezia Giulia), l'insieme dà l'immagine di un territorio ormai completo, disordinato, come se ci fosse un'unica grande città diffusa.
Stando ai dati ISTAT nel 2005 si sono stimati in Italia circa 11 milioni di edifici ad uso abitativo e circa 2 milioni di edifici aventi altre funzioni, per un totale di quasi 13 milioni di edifici; non mi riferisco quindi a singole unità abitative o catastali. La suddivisione per unità abitative ha portato a stimare il patrimonio immobiliare in circa 27 milioni di abitazioni, ne abbiamo una ogni due abitanti.
Come riportato dal recente dossier del WWF sul consumo del suolo in Italia, sempre secondo i dati forniti dall'ISTAT, il 20 per cento circa risulta realizzato prima della grande guerra, il 12 per cento a cavallo delle due guerre mondiali, il 50 per cento tra il 1946 e il 1981, l'11,50 per cento tra il 1982 ed il 1991 e il 7 per cento dal 1992 al 2005. L'ENEA ha stimato che i quattro quinti del patrimonio edilizio italiano richiede interventi di riqualificazione energetica. La collega Zamparutti prima richiamava anche la necessità di una riqualificazione dal punto di vista della sicurezza, specialmente per quanto riguarda le norme antisismiche e per il rischio idrogeologico.
I forti interessi che sottendono spesso al comparto delle costruzioni si sommano agli storici interessi legati ai cambi di destinazione d'uso delle aree agricole e quindi all'edificabilità dei suoli. Noi sappiamo cosa comporta questo, perché il valore commerciale del terreno cambia completamente e quindi attrae fortemente chi ha voglia di speculare. Quando si entra troppo in conflitto con una seria e corretta programmazione e gestione del territorio, spesso questo accade. Non abbiamo ancora applicato, inoltre, normative di compensazione in modo che, di fatto, chi occupa terreni agricoli non si senta proprietario di terreni che non hanno valore, dato che, anzi, ne hanno più di altre aree. Solo attraverso queste politiche di compensazione possiamo frenare l'utilizzo di questo suolo.
Purtroppo i piani urbanistico-territoriali hanno frequentemente accompagnato ed assecondato questo orientamento. A ciò vanno aggiunti gli interessi dei grandi costruttori, molto spesso coincidenti con quelli fondiari: i costruttori da tempo comprano le terre su cui edificano e non sempre le comprano con l'edificabilità sancita nei piani regolatori. Poi quelle terre, per molti motivi, diventano edificabili. Il guadagno in questo caso si moltiplica di molto; non voglio citare imprenditori che in Lombardia hanno realizzato città attraverso questi strumenti, inventandosi le «new town», come qualcuno le ha presentate in televisione.
Ci si trova purtroppo di fronte a un territorio consumato e segnato profondamente, anche grazie al contributo nefasto del fenomeno dell'abusivismo, troppo spesso ignorato o tollerato, e anzi alimentato anche da quelli che, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono le deprecabili norme di condono edilizio approvate negli anni scorsi. I condoni edilizi hanno, infatti, contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione, anche senza avere l'autorizzazione di legge. È invece indispensabile sconfiggere questa cultura e riportare la necessaria trasparenza e il rigore su tutti gli interventi che trasformano il territorio ed il paesaggio.
La pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio sono inevitabilmente strettamente connessi. Il governo del territorio include, infatti, l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, il contrasto al Pag. 75dissesto idrogeologico, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio. Gli interventi per la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo vanno, quindi, necessariamente coordinati, se vogliono essere realmente efficaci, con le leggi urbanistiche e con i piani regolatori, soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali. Spesso, infatti, gli enti locali - per motivazioni politiche, a volte spinti dalle politiche del Governo, come negli ultimi anni, ad esempio, per l'approvazione dei piani urbanistici - non attuano il principio della prevenzione e a volte strutture pubbliche, quali scuole, caserme, ospedali, stazioni, vengono costruite in aree a rischio, quali, per esempio, quelle nelle prossime vicinanze dei fiumi. Spesso vengono realizzate in aree nuove e i vecchi ospedali, le vecchie caserme, le stazioni, le vecchie scuole, diventano oggetto di ulteriore speculazione per fare cassa, anziché essere valorizzate ed utilizzate ancora per gli scopi per cui si occupano altre aree.
A ciò si aggiunge il fatto che gli oneri di urbanizzazione vengono spesso usati per ripianare i bilanci dei comuni - la legge stessa l'ha permesso - e ciò spinge i comuni stessi a costruire per fare cassa, anche a scapito di una corretta gestione del territorio. Ormai molte opere pubbliche sono realizzate attraverso piani integrati di intervento che sono, in realtà, una mercificazione dell'uso del territorio.
È importante, quindi, portare a compimento quanto in materia di difesa del suolo ha previsto prima la legge n. 183 del 1989, che oggi è stata sostituita dal codice ambientale del 2006, che ha introdotto l'innovativo istituto dei distretti idrografici, prevedendo la soppressione delle vecchie autorità di bacino e le istituzioni di otto distretti idrografici, con le conseguenti otto autorità di bacino distrettuale a copertura dell'intero territorio nazionale.
In realtà, ancora oggi, ad esempio, la regione Sicilia non ha neanche recepito la citata legge n. 183 e noi siamo qui a stimolare l'approvazione dei provvedimenti di cui al codice ambientale del 2006, che recepiva comunque una direttiva europea. Tuttavia, chi perché deve difendere la poltroncina, chi perché ha iniziato una serie di controlli del territorio attraverso i vecchi bacini idrografici, di fatto, non si riesce a dare compimento a quella pianificazione di difesa idrologica del territorio. La Sicilia si è «incartata» sul modo in cui utilizzare le risorse che ha messo a disposizione anche dopo gli ultimi eventi disastrosi di Catania. Vi è stata la disponibilità dell'ordine degli architetti, dei geologi e degli ingegneri a lavorare anche gratuitamente; forse è bene che questi ordini sollevino un po' la testa e si facciano sentire presso le istituzioni, sicuramente presso lo Stato, affinché vengano recepite le normative, altrimenti queste disponibilità di volontariato servono a ben poco, se a monte non usiamo il criterio di una sana pianificazione, e quindi di rispetto e trasparenza nell'uso del suolo.
Gli aspetti negativi del consumo del suolo derivante dai processi di urbanizzazione consistono principalmente nella sottrazione di spazi alla natura ed all'agricoltura e nell'aumento dei consumi energetici. Tale fenomeno non è, però, solo legato all'aumento demografico, ma soprattutto al cambiamento di stili di vita e ad uno sviluppo troppo spesso incontrollato del mercato edilizio. È, quindi, compito specifico dello Stato quello di assumere come principio generale valido quello del risparmio della risorsa del territorio, mentre deve spettare alle regioni la specifica competenza di dare concreta attuazione a questo principio, definendone le modalità di applicazione e le procedure.
Sappiamo bene che in questa materia c'è concorrenza tra Stato e regioni, che quindi spesso le regioni rivendicano il proprio diritto a programmare l'utilizzo del territorio e che recentemente alcune sentenze della Corte costituzionale hanno dato ragione a tale assunto, ma il coordinamento fra le regioni e lo Stato attraverso la Conferenza Stato-regioni è assolutamente indispensabile. Questo coordinamento non deve dare come risultato quello che è accaduto con il «piano casa 2» dove, di fatto, le regioni hanno proceduto a macchia di leopardo introducendo Pag. 76normative con le quali si è aumentato il volume del 20 o del 30 per cento prima ancora che lo Stato varasse i provvedimenti di coordinamento di sua competenza.
L'ordine logico e cronologico doveva essere quello individuato in sede di Conferenza Stato-regioni del 31 marzo 2009. Il risultato è, purtroppo, un'assenza di regole chiare e soprattutto uniformi su tutto il territorio nazionale, nonché una procedura che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, appare di dubbia costituzionalità.
Il «cuore» di questo piano casa sta dimostrando nei fatti la possibilità di costruire in deroga ai piani regolatori. Di fatto si sta, quindi, assistendo a interventi delle singole regioni effettuati con modalità diverse. Secondo una stima del Cresme (l'istituto di ricerca economica per l'edilizia) il cosiddetto piano casa produrrà nel settore dell'edilizia abitativa investimenti aggiuntivi per 42 miliardi tra il 2009 e il 2012, equivalenti a circa 106 milioni di metri cubi di nuove stanze - lo ripeto - nuove stanze, con una crescita complessiva del settore dell'ulteriore 27 per cento.
Sono misure che si inseriscono all'interno di un quadro connotato da un cospicuo abusivismo, perché in questa ricerca si sostiene che ci siano circa 30 mila unità abitative abusive all'anno; quindi un incremento, nel 2007, del 33 per cento del cemento illegale nelle aree demaniali e un più 19 cento dei crimini, specialmente a danno dell'ecosistema marino. Questa è una stima dell'associazione nazionale costruttori edili, quindi credo attendibile e non sicuramente una stima fatta dai difensori del suolo, o da associazioni ambientaliste che potrebbero essere viste come di parte.
Oggi si registra, invece, un grande bisogno di riqualificare il patrimonio esistente, sia dal punto di vista strutturale che da quello dell'efficienza energetica, specialmente nella sua nuova ecosostenibilità, nonché di nuove norme che regolamentino le nuove edificazioni e che partano dal presupposto che il territorio è oggettivamente ormai saturo. Credo che abbiamo tutti i giorni esempi del degrado e del cattivo patrimonio edilizio, senza richiamare disgrazie che, purtroppo, capitano quasi a cadenza settimanale.
La mozione impegna il Governo ad assumere iniziative, nel rispetto del riparto di competenze costituzionalmente previsto, per la definizione di una normativa rigorosa in materia di pianificazione e di governo del territorio, che contengano principi chiari, irrinunciabili, fortemente omogenei e condivisi, in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le singole normative regionali e che individui alcuni punti qualificanti per una gestione rispettosa e sostenibile del paesaggio e del territorio, con particolare riferimento ai seguenti profili: a) riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata ed esauribile, quale presupposto irrinunciabile per una pianificazione urbanistica sostenibile; b) perseguire l'obiettivo di limitare il consumo del suolo anche attraverso il contenimento della diffusione urbana; c) consentire nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali, solo qualora non sussistano alternative per il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti; d) prevedere, sempre nell'ambito delle proprie prerogative, che sul territorio non urbanizzato e agricolo gli strumenti di pianificazione non consentano nuove edificazioni, se non strettamente funzionali all'esercizio delle attività agro-silvo-pastorali.
La mozione impegna, inoltre, il Governo ad assumere iniziative in relazione al patrimonio esistente per: realizzare nell'ambito delle proprie prerogative un'efficace e severa politica di contrasto alle violazioni in materia urbanistica e, quindi, all'abusivismo edilizio, soprattutto costiero, che deturpa il nostro territorio e che in alcune aree del Paese ha una concentrazione intollerabile e rappresenta una vera e propria offesa al nostro territorio; favorire una politica di riutilizzazione dell'attuale patrimonio, attraverso interventi per la sua messa in sicurezza e di adeguamento tecnologico, in coerenza con la necessità ineludibile di favorire un Pag. 77maggiore risparmio energetico; incentivare e promuovere l'efficienza energetica nel settore dell'edilizia, anche attraverso la previsione di un sistema di incentivazione stabile e certo nel medio-lungo periodo, prevedendo a tal fine di portare finalmente a regime le norme attualmente vigenti di agevolazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici; sottoporre a rigorosa tutela, all'interno di idonei strumenti di pianificazione e nell'ambito delle proprie competenze, i centri e gli insediamenti storici che rappresentano l'identità culturale del nostro Paese; prevedere, in stretto coordinamento con gli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, favorendone la loro eventuale delocalizzazione e prevedendo contestualmente il divieto di edificabilità, in dette aree, di nuovi insediamenti e infrastrutture.
La mozione impegna, quindi, a dare piena attuazione e a portare a compimento quanto in materia di difesa del suolo ha previsto da ultimo il decreto legislativo n. 152 del 2006, che ha introdotto l'istituto dei distretti idrografici e la soppressione (di fatto non ancora avvenuta) delle vecchie autorità di bacino; a prevedere il necessario e costante stretto coordinamento tra gli interventi per la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo e quanto previsto dalle leggi urbanistiche e dai piani regolatori degli enti locali.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà la mozione Ghiglia ed altri n. 1-00323, di cui è cofirmatario.
Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ci troviamo in quest'Aula a discutere le mozioni sul dissesto idrogeologico e sulla difesa del suolo in un momento particolare. Non oltre qualche giorno fa, la scorsa settimana, abbiamo assistito sempre in quest'Aula all'informativa del sottosegretario Bertolaso proprio su fatti e calamità alluvionali avvenuti nei territori di Liguria, Emilia-Romagna e Toscana.
È evidente che quello del dissesto idrogeologico e della difesa del suolo è un tema costante e ricorrente. Nell'illustrazione della mozione di maggioranza del Popolo della Libertà, della Lega, firmata anche dai colleghi del Movimento per le Autonomie, che reca la prima firma del collega Ghiglia, non mi attarderò in dettagli, ma mi limiterò per grandi linee a sottolineare come in effetti questa esigenza di difesa del suolo sia una costante e sia sempre più necessaria. Abbiamo visto che sostanzialmente questo dipende, in realtà, dalla conformazione del territorio, ma anche da altri elementi: le variazioni climatiche estreme di questi ultimi anni, la pressione antropica, l'intervento umano, le condizioni geologiche del territorio italiano, in particolare.
Questo problema ha una storia assai lunga, dagli anni Settanta, dalla Commissione De Marchi, che stabilì, a seguito della conclusione di un lavoro di indagine anche importante, presieduto appunto dal professor De Marchi, un piano triennale, che prevedeva circa 9 mila 700 miliardi di allora, una cifra rilevante, piano che non ebbe seguito se non venti anni dopo, nel 1989, con un intervento legislativo ed economico appropriato, il che ci dà la misura del ritardo con cui si è intervenuti in questi anni. Inoltre, vi sono gli eventi alluvionali: abbiamo avuto negli ultimi ottant'anni 5 mila 400 alluvioni e 11 mila frane. Vi sono poi i costi dei terremoti, che dal 1968 al 2000 in Italia sono stati pari a 120 miliardi di euro. Quindi, vi sono tanti elementi di valutazione anche politica, oltre che interventi del legislatore. In quest'Aula, sono state approvate delle mozioni riguardanti questo tema, che è tornato ad essere attuale negli ultimi anni.
Il dispositivo di questa mozione impegna il Governo propriamente a presentare e a dotare delle opportune risorse pluriennali il piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico secondo le indicazioni già comunicate alle Camere; ad attuare quanto previsto - qui si torna al discorso di prima - dalla risoluzione n.8-00040, presentata alla Camera dei deputati e approvata dalla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici Pag. 78il 21 aprile 2009, in particolare per quel che riguarda la sollecita attuazione della direttiva 2007/60/CE del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione della gestione dei rischi di alluvione.
Un altro punto del dispositivo impegna il Governo a promuovere iniziative normative di competenza che introducano norme a favore della difesa del suolo e della riduzione del rischio idrogeologico, tramite le quali, nell'assoluto rispetto delle competenze regionali, competenze importanti che vanno salvaguardate e rispettate, siano anche: dettate norme quadro sull'utilizzo dei suoli e sulla tutela delle aree di maggior pregio, con particolare riguardo alle aree a vocazione agricola e alle aree protette; previste misure dissuasive per le costruzioni di scarsa qualità e in aree di rischio (non so quanto spazio si possa trovare per la proposta della collega Zamparutti di rottamazione degli edifici in questo percorso, però credo che sia apprezzabile l'ipotesi di verificare una convergenza generale anche di sensibilità su questo tema, visto che proprio in Commissione ambiente pende un decreto legislativo del Governo su queste tematiche. Quindi, forse sarebbe opportuno che l'esame di questo percorso fosse accompagnato anche da un'intesa di massima, almeno su alcune linee guida relative alla prevenzione di questo fenomeno, che forse in qualche modo è auspicabile); introdotte disposizioni che obblighino al coordinamento dei diversi piani territoriali e consentano la rapida realizzazione delle opere pubbliche ed infrastrutturali, quindi al coordinamento dei diversi piani territoriali.
Un ulteriore punto del dispositivo impegna il Governo a promuovere, nell'ambito della propria competenza, la celere adozione di norme sulla qualità architettonica e sul sistema «casa qualità», valutando anche la possibilità di estendere il concetto di qualità alle tipologie costruttive degli immobili e prevedendo eventualmente incentivazioni fiscali per le opere realizzate secondo i citati criteri.
Questo, insomma, il senso del dispositivo con cui i gruppi di maggioranza hanno inteso offrire il loro contributo a questa discussione, su un argomento che - torno a dirlo - occupa spesso purtroppo le informative dell'Aula, le cronache dei telegiornali e dei giornali, perché si tratta di una vera e propria emergenza, ma permanente; e purtroppo le emergenze a carattere permanente sono una brutta abitudine del nostro Paese sulla quale, anche attraverso l'intervento del Governo, e con il contributo e il concorso delle forze politiche, speriamo si riesca a dare una risposta il più possibile concreta, efficiente e rapida.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, la mozione parlamentare che discutiamo solleva temi di estrema importanza e gravità per la vita nazionale. L'uso ed il consumo del territorio e più in generale delle risorse naturali rappresentano per una comunità quella parte della propria ricchezza apparentemente illimitata e non riproducibile, se non nell'arco di tante generazioni.
In Italia vi è un'emergenza del territorio che è, per grande parte, frutto di una latitanza legislativa, di un'assenza di politiche organiche di governo dei suoli e che oggi si manifesta in tante forme. Sono effetto di questa assenza i disastri naturali, per molti dei quali è ben difficile distinguere le cause tra la natura e l'uomo, come ad esempio nel caso di Messina o quello più recente di Ischia; la paralisi del sistema di produzione e modernizzazione del patrimonio di opere pubbliche e di infrastrutture, che oggi invecchia e deperisce in ogni segmento; la crescita senza ordine delle città, spinte nelle campagne da provvedimenti-tampone, e che invece alimentano l'espansione come i condoni edilizi; l'illegalità profonda che corrode molte amministrazioni locali, e che si produce quasi totalmente intorno al settore immobiliare ed edilizio, nel quale proliferano poteri occulti; l'esaurimento Pag. 79praticamente completo della produzione di edilizia pubblica residenziale in tutto il Paese, e che sta contribuendo più di ogni altra cosa al tracollo dei ceti medio-piccoli urbani e delle famiglie; il disastro ambientale dei rifiuti e della gestione delle acque, che ora il Governo vuole letteralmente regalare ai privati in pieno «stile putiniano»; l'assalto al sistema delle soprintendenze, viste con sempre maggiore fastidio dai poteri economici, spesso illegali, che stringono le amministrazioni locali.
L'Italia ha una legislazione urbanistica vecchia, disordinata ed obsoleta: la legge fondamentale nazionale che regola il governo dei suoli risale al 1942, e pur essendo stata per l'epoca una grande e moderna legge, oggi non è più che uno «straccio» di norme generali affiancate e a volte contraddette da tante leggi regionali di ispirazione e di modello diversi. Per questo motivo le aule giudiziarie e le sentenze amministrative e civili sono diventate a poco a poco i veri protagonisti della politica (se così si può chiamare, ma sarebbe meglio definirla tragedia) urbanistica italiana. I procedimenti amministrativi, le decisioni delle amministrazioni sono lunghissime e contraddittorie per la vetustà e la complessità delle leggi, e costantemente inficiate da ricorsi e sentenze. I tempi lunghi rendono le amministrazioni fragili ed alimentano l'illegalità, e spesso la corruzione delle amministrazioni della politica.
Occorre quanto prima affrontare con serietà, organicità e celerità il tema di una moderna legge di governo del territorio e di uso dei suoli, perché un Paese che non sa fare questo è a grave rischio, e perché senza indirizzi condivisi e validi per tutto il territorio nazionale l'unità del Paese rischia moltissimo.
Certo non è facile, e ce lo insegna la stessa storia italiana più recente. Nel 1964 il «tintinnar di sciabole» denunciato da Pietro Nenni in relazione alle supposte trame golpiste di apparati militari deviati aveva molto a che fare, tra le altre cose, con il tentativo dell'allora Ministro Sullo di dare alla legge urbanistica nazionale il supporto operativo dell'esproprio generalizzato dei suoli destinati ad uso pubblico, con minimi indennizzi al fine di riequilibrare i rapporti con la rendita.
Da quel passaggio traumatico si uscì con un compromesso e la legge, ritirata, fu corretta con una legge ponte che ne assumeva solo molto parzialmente i principi. Ma ancora oggi il problema di fondo resta quello di allora: come regolare i rapporti con la rendita, come garantire al pubblico strumenti efficaci - coercitivi o pattizi - per fare politiche pubbliche finalizzate ad una crescita sana del territorio? Negli ultimi anni - e in modo crescente nel corso degli anni Ottanta e Novanta - le sentenze accumulate dalla Corte di appello, da molti TAR, dal Consiglio di Stato hanno di fatto sterilizzato lo strumento espropriativo per acquisire i suoli necessari per realizzare opere pubbliche, edilizia popolare e in generale per le trasformazioni di utilità collettiva.
La stessa Corte europea nel 2006 ha definitivamente chiuso un'epoca, pronunciandosi, in sede di tutela dei diritti dell'uomo, per una valutazione molto onerosa per le amministrazioni pubbliche degli indennizzi espropriativi a favore dei privati e portando i costi per i bilanci pubblici a valori quasi di mercato.
Con il pronunciamento delle autorità europee si chiude un'epoca che ha segnato nel Novecento - anche nell'urbanistica - un'idea dirigistica e fortemente incentrata sul ruolo dello Stato nazionale nel rapporto tra pubblico e privato nell'economia (un'epoca che in Italia ha avuto la sua traduzione segnata, in campo urbanistico in particolare, dalle debolezze di uno Stato divenuto unitario solo alla fine dell'Ottocento).
Si è aperta una nuova era nella quale è fondamentale a questo punto definire regole di concertazione e di contrattazione tra pubblico e privato per la gestione del governo dei suoli, per la loro acquisizione gratuita da parte delle autorità, per le opere e per le esigenze pubbliche in cambio di diritti edificatori.
Questi meccanismi perequativi, che sono ormai largamente diffusi in Europa ed in tutto il mondo avanzato, sono in Pag. 80Italia ancora molto imperfetti ed applicati in maniera impropria e differenziata nel territorio nazionale (ed anche per questo si producono ricorsi e altra materia per i tribunali, e spesso distorsioni gravi in favore degli interessi privati).
Per questo serve una moderna legge del governo del territorio che fissi dei paletti chiari per l'applicazione corretta ed equilibrata di principi e strumenti che ormai sono alla base delle trasformazioni territoriali in tutto il continente.
Peraltro bisogna riflettere, anche rispetto alle decisioni europee, sulla congruità di un'impostazione che codifichi in questo campo i diritti dell'uomo a partire dall'inviolabilità di fatto della proprietà privata dei suoli e tenda a considerare l'intervento coercitivo delle autorità pubbliche, esercitato attraverso l'esproprio, come un elemento di alterazione e non di equilibrio del mercato (ma questa è materia da trattare in altre sedi).
L'anomalia italiana, che tratteggia un Paese arretrato in questo campo, ieri come oggi, è presente a tutti ogni volta che si affronta il tema del territorio. La mozione Zamparutti ed altri n. 1-00263 illustra in modo esteso e dettagliato le emergenze gravi che riguardano la tutela e la salvaguardia del paesaggio, che dovrebbe essere il principio fondamentale di una moderna legge. Ma l'emergenza investe il complesso delle trasformazioni del territorio, l'equilibrio tra crescita e tutela. In questi giorni, per esempio, si è dibattuto in Aula il tema delle carceri ed il Ministro Alfano ha espresso la necessità di dichiarare lo stato di emergenza nel settore delle carceri.
Realizzare nuovi complessi e moderni istituti penitenziari impone una dolorosa riflessione sul tema delle opere pubbliche in Italia, sull'approvvigionamento dei suoli indispensabili per realizzarle. Oltre alla vetustà delle nostre norme urbanistiche che rendono difficoltosa la reperibilità dei suoli, l'Italia è anche un Paese dove si disperdono ogni anno 160 miliardi di euro tra evasione fiscale e corruzione nella pubblica amministrazione (sono dati dell'ISTAT e della procura della Corte dei conti).
Tutto ciò rende lo Stato e i comuni nudi e senza armi di fronte alla rendita e pressoché inabili a realizzare direttamente, con normali appalti, grandi opere pubbliche come le carceri, gli ospedali, le infrastrutture, le metropolitane, le attrezzature universitarie, gli impianti sportivi, l'edilizia popolare.
Il risultato è che si sceglie sempre più inevitabilmente la strada del coinvolgimento dei soggetti imprenditoriali privati per realizzare quanto necessario alla collettività, ristorando questi ultimi con vigorose operazioni immobiliari.
Per le carceri, il business privato sarebbe rappresentato non certo dalla gestione di servizi, poco redditizi, ma dalla costruzione limitrofa di case, alberghi per il personale di servizio e per i familiari. Non siamo contrari a questo tipo di possibilità, ma il fatto è che questo sta diventando sempre più l'unico modo per tentare di fare opere pubbliche. Dico «tentare» perché le procedure necessarie a tal fine, il project financing o altro, sono talmente farraginose che alla fine le opere non si fanno quasi mai, ma si generano sempre progetti, aspettative illusorie, fidi bancari, senza mettere quasi mai un solo mattone e il ponte sullo Stretto ne è un esempio.
Peraltro, le modalità di scambio tra pubblico e privato non sono normate da nessuna parte, e ognuno in giro per lo stivale fa un po' come gli pare, generando ricorsi e contenziosi a danno di tutti. Ormai in Italia abbiamo un patrimonio pubblico sempre più fatiscente di carceri, di scuole, di ospedali, di università, di stadi. È un capitale fisso di infrastruttura, arretrato e costoso per i motivi suddetti. Le nostre città sono le più belle del mondo perché nei secoli le vecchie classi dominanti ne hanno curato, magari per esigenze di potere o di dominio, la parte pubblica, realizzando monumenti, edifici pubblici, chiese, piazze, ville storiche, e lo hanno fatto potendo gestire, senza ostacoli, il suolo anche per finalità collettive.
Oggi le nostre città stanno, invece, morendo nella loro dimensione pubblica. Per questo occorre un risveglio culturale che ponga Pag. 81al centro di un moderno riformismo una nuova legge del territorio e di uso del suolo, una legge che parta dal principio superiore della salvaguardia delle risorse naturali, che ridia pari opportunità alle esigenze pubbliche rispetto ai diritti privati, che restituisca la giusta praticabilità allo strumento espropriativo, e normi in modo rigoroso le forme di contrattazione tra pubblico e privato per realizzare le opere pubbliche. Questo vale anche per il tema della casa, del recupero edilizio, o della rottamazione, di cui si parla tanto, ma spesso fuori luogo.
Sulla casa in pochi mesi si è passato, con impressionante improvvisazione, dal cosiddetto piano casa Tremonti, contenuto all'articolo 11 del decreto-legge economico n. 112 del luglio 2008, al provvedimento per l'edilizia sui cosiddetti ampliamenti. Dell'edilizia popolare, in quei provvedimenti, si fa riferimento ad una cifra di circa 550 milioni di euro che potrebbero essere rivolti alla realizzazione di nuovi alloggi. Ma tutto ciò è miserevole, intanto perché chi sa di queste cose capisce che quella cifra, al netto delle urbanizzazioni e di altri costi fissi, non può produrre più di 4 mila alloggi in un Paese che, oggi, ha un fabbisogno almeno cinquanta volte superiore.
In secondo luogo, il Governo sa benissimo, o forse l'ha dimenticato, che quelle risorse, peraltro stanziate già dal Governo Prodi, sono forse la metà, perché circa 200 milioni di euro sono stati utilizzati alla fine del 2008 per misure di sostegno alle famiglie sotto sfratto sulla base di un emendamento dell'opposizione, del PD.
Il bilancio del Governo sul tema della casa è povero e colpevolmente latitante. La verità è che non si sa dove cominciare. L'edilizia popolare è al palo in Italia da quasi 15 anni. La produzione edilizia pubblica rispetto al totale è giunta a circa l'1 per cento e alla base di questa vera e propria paralisi vi è l'inefficacia, se non l'inutilità dei tradizionali strumenti operativi vigenti in Italia per fare le case popolari che sono previsti in una legge urbanistica vecchia di sessant'anni e in una legge per l'edilizia popolare (la cosiddetta 167) vecchia di oltre quarant'anni.
Per fare edilizia popolare, il presupposto essenziale è acquisire al pubblico suoli a basso prezzo o gratuitamente. Quindi, è da qui che bisogna partire: dalla concretezza di una riforma strutturale ormai urgentissima che affronti il problema di un nuovo regime dei suoli e che metta sullo stesso piano, nelle leggi urbanistiche, le opportunità per chi costruisce e realizza per diritti e profitti privati con la città pubblica, i servizi, l'edilizia residenziale, gli spazi pubblici.
In questi giorni, anche sulla spinta del sisma in Abruzzo, si è poi fatto un gran parlare di demolizione, di ricostruzione, di riqualificazione o addirittura, come si usa dire con un termine un po' discutibile, di rottamazione.
Il Presidente del Consiglio non ha mancato di mostrarsi convinto che con un po' di metri cubi si possa favorire una estesa politica di rinnovo edilizio. In Italia la virtù salvifica del metro cubo è un vecchio vizio di quella imprenditoria che, come Berlusconi, viene dall'edilizia, ma il tema del rinnovo edilizio è più complesso e le scorciatoie propagandistiche non bastano. Bisogna porsi il tema di rendere possibile la sostituzione edilizia dei grandi intensivi urbani, milioni di metri cubi di vecchio cemento armato di cui non conosciamo fattura e qualità, e che comunque hanno già percorso metà abbondante della vita media di questo materiale - calcolata in 70-80 anni - in tutti i quartieri urbani privi degli standard di legge e con densità abitative di 1.000-1.200 abitanti per chilometro quadrato. Questa è la vera Italia da recuperare, sofferente e debole, sempre più piena di immigrati, misti a coppie di anziani, dove cresce il germe dell'intolleranza.
Come fare? Favorendo politiche pubbliche che consentano ai comuni di dotarsi di riserve di aree demaniali per ricostruire quel che si demolisce, incentivando la formazione di consorzi e cooperative della proprietà immobiliare parcellizzata dei condomini. Ho concluso. Il Governo su questi temi ha fallito. Ha fallito sull'edilizia Pag. 82sanitaria, sugli istituti di pena, sugli stadi di calcio, sull'edilizia popolare. Senza mettere mano in modo serio al governo del suolo l'Italia andrà a rotoli e avremo tante L'Aquila, tante Messina, tante carceri stracolme, tanta gente senza casa, e città sempre più brutte. La mozione che presentiamo ha il senso di risollevare questo grande tema e di riproporlo all'attenzione del Parlamento perché si arrivi ad una riforma, urgente, urbanistica da troppo tempo attesa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ROBERTO MENIA, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, intervengo brevemente per precisare che ho ascoltato questo dibattito, peraltro interessante, e anche le mozioni sono tutte ricche di buoni spunti e di buoni propositi. Tuttavia vorrei rilanciare al Parlamento una sola considerazione. La discussione nasce da una prima mozione, la mozione Zamparutti ed altri n. 1-00263, il cui incipit fa riferimento alla tragedia di Messina e a tante altre, per poi finire - nella parte dispositiva - su tutta una serie di indirizzi che riguardano soprattutto la riqualificazione delle abitazioni e quant'altro. La domanda che pongo sostanzialmente è questa. È logico assumere e mettere nello stesso calderone la tragedia di Messina, la questione del dissesto idrogeologico e della protezione del suolo con le misure di efficientamento energetico nelle abitazioni? Credo che si tratti comunque di due capitoli differenti che riguardano comunque due tipi differenti di politica. In altre parole, se è sicuramente utile una sinergia tra l'efficienza energetica degli edifici e il riassetto del territorio (e questa è sicuramente possibile e auspicabile perché sono entrambi temi rilevanti), le politiche guida devono però rimanere distinte.
È questo un po' il senso della mozione presentata dalla maggioranza, che mi pare la più lineare sotto questo profilo, anche se - ripeto - in tutte e quattro le mozioni vi sono punti estremamente interessanti. Nel primo intervento, quello dell'onorevole Zamparutti, si faceva riferimento alla possibilità di giungere ad un testo comune, quindi la mia sollecitazione ai presentatori e ai presidenti di gruppo è diretta ad arrivare poi alla votazione in Aula - se è possibile - di un testo unificato che tenga anche conto delle riflessioni che vi ho posto in questo momento.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1755 - Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue (Approvato dal Senato) (A.C. 2966) (ore 19,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2010.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2966)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente. Pag. 83
Il relatore, onorevole Guido Dussin, ha facoltà di svolgere la relazione.

GUIDO DUSSIN, Relatore. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, l'esame in Commissione VIII del presente disegno di legge si è concluso senza modifiche, pertanto il testo arrivato in Assemblea è quello approvato dal Senato.
In Commissione è emersa una generale condivisione sul testo da parte di tutti i gruppi politici e tutte le altre Commissioni parlamentari che hanno esaminato il provvedimento in sede consultiva (I, II, X e Commissione per le questioni regionali) si sono espresse favorevolmente.
Il disegno di legge del Governo si compone di un articolo unico e contiene una modifica al comma 5 dell'articolo 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006, cosiddetto Codice ambientale, che prevede sanzioni penali in caso di violazione delle norme che regolano lo scarico delle acque reflue industriali.
Tale modifica intende chiarire l'ambito di applicazione della sanzione penale nel senso di circoscriverla esplicitamente alle ipotesi di violazione più gravi.
Pertanto, affinché ricorra la sanzione penale, si deve verificare il superamento tabellare dei valori limite, come stabiliti nelle tabelle 3 e 4 dell'allegato 5, per le 18 sostanze più pericolose fissate nella tabella 5, dello stesso allegato 5. Al contrario, il superamento dei limiti fissati nelle tabelle 3 e 4 per gli altri elementi comporta l'applicazione delle sole sanzioni amministrative previste dall'articolo 133 del Codice ambientale.
Il testo è stato modificato, formalmente, dalla XIII Commissione del Senato per rendere ancora più esplicita la norma ed evitare confusione. In pratica è stato definito, fin dall'inizio, che la norma tratta le sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5 alla parte terza del decreto.
Lo scopo del disegno di legge è quello di definire un quadro di maggiore certezza giuridica per i cittadini, chiarendo la natura e l'entità delle sanzioni per le diverse fattispecie di illecito relativo all'inquinamento da scarichi di acque reflue, di gravità sostanzialmente distinte: per scarichi reflui contenenti sostanze pericolose per la salute, o per scarichi reflui contenenti sostanze inquinanti ma meno pericolose.
L'attuale incertezza legislativa, relativamente alla disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue ha creato, infatti, problemi tra gli operatori e i gestori di impianti, sottoponendoli a sanzioni penali a causa di una cattiva interpretazione della norma.
La modifica in esame si è resa necessaria a seguito di alcune sentenze della suprema Corte di cassazione (che peraltro seguono un indirizzo minoritario) dalle quali sembra che il riferimento alle sostanze pericolose della tabella 5 riguardi solo i limiti più restrittivi fissati dalle regioni e dalle province autonome. Invece, l'intenzione del legislatore è quella di sottoporre, in linea generale, a sanzione penale il superamento dei limiti delle sostanze pericolose di cui alla tabella 5, come arsenico, cadmio, cromo esavalente, mercurio, rame, e così via, e a sanzioni amministrative il superamento dei limiti delle altre sostanze meno pericolose, come alluminio, bario, boro, ferro, manganese e così via in percentuali, ovviamente, entro i limiti delle tabelle 3 e 4.
Peraltro, le sanzioni amministrative, di cui all'articolo 133 del codice, sono comunque significative, pur non costituendo reato penale. Si tratta, infatti, di sanzioni che vanno dai 3.000 ai 30.000 euro, con un minimo di 20.000 euro in caso di inquinamento di risorse idriche destinate al consumo umano o situate in aree protette.
Mi auguro che, come è stato verificato nel corso dell'esame sia in Commissione sia al Senato, il provvedimento trovi anche nell'Assemblea della Camera la stessa condivisione da parte di tutte le forze politiche.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ROBERTO MENIA, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Pag. 84Signor Presidente, intervengo per ringraziare il relatore. Come egli ha detto si tratta, in realtà, di una norma molto semplice che tuttavia interviene su una situazione divenuta molto complessa e nasceva da un'interpretazione giurisprudenziale che diventava esageratamente punitiva e, dunque, il senso di questo articolo unico è quello di ricondurre nell'ambito dell'applicazione della sanzione penale le sole ipotesi di violazione più gravi. Su questo vi è stato accordo completo al Senato e immagino che alla Camera seguiremo la stessa strada.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, signor sottosegretario e colleghi, l'Italia dei Valori ha posto alla vostra attenzione alcuni emendamenti sul provvedimento in esame. Si tratta di un provvedimento semplice e va a spiegare o a meglio interpretare le sanzioni sulle violazioni al codice ambientale in materia di scarico fognario, in particolare in superficie o in corsi d'acqua o in fiumi. Considerato da questo punto di vista, si va a specificare quali sono le tabelle che quindi dovrebbero essere soggette all'ambito penale e quali solo a provvedimenti sanzionatori. Vi è però un aspetto che noi abbiamo evidenziato: se si possono interpretare in modo migliore queste tabelle e quindi come applicare questa norma. Noi evidenziamo comunque che alcune azioni di inquinamento ambientale compromettono non solo l'ambiente, ma anche la salute pubblica - mi riferisco all'utilizzo del cromo o di altre forme equivalenti o di altri minerali in produzioni industriali o altro - e di fatto hanno arrecato danni irreparabili, di dimensioni enormi, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello ambientale. Quindi in questo caso noi proponiamo addirittura un aggravamento, rispettando naturalmente le indicazioni di cui alla tabella 5. Mi auguro che il Parlamento colga l'occasione, nel momento in cui ci accingiamo ad una migliore definizione della norma, per far anche capire la gravità delle azioni di chi comunque va a violare queste norme.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, intervengo solo per dire che il provvedimento ha avuto un passaggio condiviso al Senato e nelle Commissioni di questa Camera e che quindi contiene elementi che consentono anche a noi del Partito Democratico di dare il nostro consenso e il nostro sostegno, salvo ulteriori modifiche e integrazioni che potranno essere fatte nel corso del dibattito in Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2966)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Guido Dussin.

GUIDO DUSSIN, Relatore. Signor Presidente, sicuramente mi pare che vi sia un'intesa e quindi probabilmente proseguiremo con l'approvazione di questo articolo unico.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia ad intervenire.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,27).

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 85

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, ho chiesto la parola per sollevare una questione che attiene alle modalità ed alla tempistica con le quali il Governo risponde alle interrogazioni ed alle interpellanze. Quindi ho chiesto la parola sull'ordine dei lavori, perché poi pongo questioni relative ad alcune risposte su atti di sindacato ispettivo che portano la mia prima firma, ma voglio anche porre una questione generale, di carattere regolamentare. Ormai è invalso l'uso, anzi è diventato una prassi, secondo cui oltre la metà delle interrogazioni a risposta scritta e delle interpellanze non ricadono nei casi che sono previsti dal Regolamento, dal punto di vista dell'impegno del Governo nei rapporti con il Parlamento. È una questione che dovremmo porre sia al Presidente della Camera, sia al Ministro per i rapporti col Parlamento.
Signor Presidente, da tempo ormai, dall'inizio della legislatura, il Governo non è in grado - o, comunque, non intende (ma se fosse così diventerebbe un problema politico ed istituzionale) - rispondere alle interrogazioni a risposta scritta, secondo quanto previsto dall'articolo 134, commi 1 e 2 del nostro Regolamento, e alle interpellanze, secondo quanto previsto dall'articolo 137, comma 2, del nostro Regolamento.
Il comma 1 dell'articolo 134 prevede - vorrei ricordarlo a noi tutti - che, nel caso in cui l'interrogante chiede di avere una risposta scritta da parte del Governo, entro venti giorni, il Governo deve dare la risposta e comunicarla al Presidente della Camera. Il comma 2 prevede che, se il Governo non fa pervenire la risposta, il Presidente della Camera, a richiesta dell'interrogante, pone l'interrogazione all'ordine del giorno della seduta successiva della Commissione competente.
Signor Presidente, molto spesso, anche nelle Commissioni, nel caso in cui si ponga la richiesta, di cui al comma 2 dell'articolo 134 del Regolamento, il Governo impiega mesi prima di rispondere e gli interroganti non vedono inserita nel calendario delle Commissioni competenti la risposta alle loro interrogazioni a risposta scritta (in seguito, farò degli esempi che riguardano il sottoscritto, perché non ho avuto modo di monitorare precisamente il comportamento del Governo rispetto la generalità dell'Assemblea).
Pertanto, si verifica una grave lesione delle competenze dei parlamentari in ordine al potere di sindacato ispettivo, che è proprio di ciascun parlamentare e di ciascun eletto. È una questione rispetto alla quale è bene che il Presidente e la Presidenza della Camera intraprendano un'iniziativa di chiarificazione nei confronti del Governo.
Quanto detto avviene anche per quanto riguarda le interpellanze, che, come è noto, non possono essere trasformate in interrogazioni nella Commissione competente. Infatti, al comma 2 dell'articolo 137 del Regolamento, riguardante le interpellanze, si dice letteralmente: «Trascorse due settimane dalla loro presentazione, le interpellanze sono poste senz'altro all'ordine del giorno della seduta del primo lunedì successivo».
Signor Presidente, come lei sa, in questo Parlamento - che, per l'80-90 per cento della propria attività, utilizza il proprio tempo e le sedute di Assemblea per convertire decreti-legge e votare questioni di fiducia - anche quando si tratta dell'esercizio del potere di sindacato ispettivo da parte dei singoli parlamentari, il Governo dimostra di zoppicare, e viene alla luce una certa indisponibilità a mantenere un rapporto corretto con l'Assemblea e con i rappresentanti eletti dal popolo.
Essi non pongono questioni relative alla capacità di legiferare del Parlamento - che pure dovrebbe essere garantita con riferimento alle proposte di legge di iniziativa parlamentare - ma pongono problemi legati all'iniziativa parlamentare. Essi sollecitano il Governo a rispondere in ordine a questioni che lo riguardano, in termini di iniziativa e di programma, attraverso le interpellanze, o pongono al Governo interrogazioni di varia natura, comprese quelle scritte, in ordine a questioni di una certa urgenza, che sono intervenute e intervengono nel Paese. Pag. 86
A questo punto, faccio un esempio in particolare - passando all'ordine dei lavori, dopo il richiamo al Regolamento - che riguarda le interrogazioni e le interpellanze a mia prima firma.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Quartiani.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, le richiamo semplicemente per dimostrare che non si tratta di un caso isolato.
C'è un'interrogazione a risposta scritta a mia prima firma datata 14 gennaio 2009, che riguardava la rottura delle condotte del gasdotto Transmed, proveniente dall'Algeria, per la quale non è pervenuta alcuna risposta da parte del Ministro per lo sviluppo economico. C'è poi l'interrogazione n. 4-00430, sempre a mia prima firma, rivolta al Ministro dell'economia e delle finanze e relativa alla società Sofid di Eni, che è datata 9 marzo 2009; altra interrogazione a risposta scritta (non pervenuta dal Governo) è relativa alle celebrazioni del 25 aprile ed è datata 23 aprile 2009, la n. 4-02865. Infine, un'altra interrogazione a risposta scritta per cui non è pervenuta risposta è quella del 21 settembre 2009, la n. 4-04244, riguardante la commissione censuaria centrale, rivolta al Ministro dell'economia e delle finanze.
Circa le interpellanze, c'è ad esempio l'interpellanza datata 14 settembre 2009, riguardante l'Agenzia delle entrate e sulla natura degli interpelli: non se ne è avuta risposta. Altra interpellanza è datata 9 novembre 2009, riguarda il sistema del trasporto locale ed è rivolta al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Signor Presidente, non solo le chiedo di intervenire relativamente alla fattispecie degli atti di sindacato ispettivo a mia prima firma, ma le chiedo anche di fare chiarezza sulle questioni regolamentari che ho posto.

PRESIDENTE. Onorevole Quartiani, la questione che lei pone è sicuramente di grande rilievo. Il sindacato ispettivo è parte essenziale delle prerogative parlamentari: il Parlamento esiste per fare le leggi, ma anche per controllare l'attività del Governo e per garantire il cittadino contro possibili danneggiamenti o abusi di tale attività, anche al di là di ciò che può essere tutelato da parte della magistratura ordinaria e delle altre magistrature.
Credo che ci troviamo davanti a un fenomeno di malcostume che va denunciato con energia e sono sicuro che il Presidente Fini non mancherà di farlo.
Devo aggiungere che, purtroppo, non è un malcostume limitato a questa legislatura, perché progressivamente nel tempo si è creata la pessima abitudine da parte dei Governi che hanno governato la Repubblica di considerare il sindacato ispettivo come una quantité négligeable, qualcosa che si può fare nei ritagli di tempo, e non come un elemento importante.
Questo credo che vada detto con forza particolare per quello che riguarda le interrogazioni a risposta scritta, perché queste non risentono dei limiti del tempo parlamentare che, invece, nel caso delle interpellanze e delle interrogazioni orali, offrono una buona giustificazione riguardo alla impossibilità per mancanza di tempo materiale di rispondere tempestivamente a tutti. Nel caso delle interrogazioni scritte, invece, questa giustificazione sicuramente non è valida.
Riferirò al Presidente Fini e sono sicuro che prenderà iniziative opportune per ridare al sindacato parlamentare il ruolo e il peso che gli toccano all'intero del nostro ordinamento democratico.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 26 gennaio 2010, alle 11:

1. - Svolgimento di interrogazioni.
(ore 15)

Pag. 87

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (1441-quater-C).
- Relatore: Cazzola.

3. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate):
CONSOLO; BIANCOFIORE e BERTOLINI; LA LOGGIA; COSTA e BRIGANDÌ; VIETTI; PALOMBA; PANIZ: Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza (889-2964-2982-3005-3013-3028-3029-A).
- Relatore: Costa.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Zamparutti ed altri n. 1-00263, Piffari ed altri n. 1-00320, Libè ed altri n. 1-00322 e Ghiglia, Guido Dussin, Commercio, Sardelli ed altri n. 1-00323 concernenti iniziative per la difesa del suolo e del paesaggio e per la riqualificazione del patrimonio urbanistico ed edilizio.

5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (3084-A).
- Relatore: Papa.

6. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1755 - Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue (Approvato dal Senato) (2966).
- Relatore: Guido Dussin.

La seduta termina alle 19,35.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIULIANO CAZZOLA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELL'A.C. 1441-QUATER-C.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Quanto al contenuto di dettaglio del provvedimento che viene oggi proposto all'Assemblea, ricordo che l'esame della XI Commissione ha avuto ad oggetto unicamente le parti del testo approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati che sono state modificate dal Senato, nonché le nuove parti inserite dall'altro ramo del Parlamento. Mi limito, infatti, a ricordare in questa sede che numerosi articoli del disegno di legge collegato sono stati approvati dal Senato nell'identico testo della Camera e non hanno costituito, quindi, oggetto di ulteriore esame parlamentare. Rammento, altresì, che il Senato ha anche soppresso alcuni degli articoli approvati dalla Camera, che si è opportunamente ritenuto - in Commissione - di non reinserire, essendo sostanzialmente ragionevoli le soppressioni stabilite dall'altro ramo del Parlamento.
Rispetto, invece, alle disposizioni del provvedimento che sono state modificate o integralmente introdotte dal Senato, mi rimetto all'ampia relazione già svolta in Commissione di merito all'inizio dell'esame in sede referente, per quanto concerne le parti che la Commissione stessa ha ritenuto di confermare e riporto, di seguito, le modifiche introdotte rispetto a quel testo, che la XI Commissione propone all'Aula ai fini della definitiva approvazione del disegno di legge.
Segnalo, in particolare, che nel corso dell'esame in Commissione sono state approvate varie proposte emendative, alcune Pag. 88delle quali hanno tenuto conto di istanze provenienti anche da deputati dei gruppi di opposizione.
Innanzitutto, al fine di adeguare il testo alle modifiche introdotte dalla legge n.172 del 2009, che ha istituito il Ministero delle salute scorporando le relative competenze in precedenza assegnate al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sono stati modificati gli articoli 2 e 4, riferendo le disposizioni ivi previste ad entrambi i dicasteri (Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero della salute) risultanti dal suddetto scorporo.
All'articolo 1, recante una delega al Governo per l'adozione di una disciplina sul pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti, è stata introdotta una norma volta a stabilire che il meccanismo di priorità su cui si fonda la clausola di salvaguardia ivi prevista ai fini del rispetto dei vincoli di bilancio debba basarsi sulla maturazione dei requisiti e, a parità di essi, sulla data di presentazione della domanda di collocamento a riposo.
All'articolo 2 la delega al Governo per la riorganizzazione degli enti, istituti e società vigilati dal Ministero del lavoro delle politiche sociali e dal Ministero della salute è stata estesa anche all'organizzazione del Casellario centrale infortuni.
L'articolo 3, introdotto al Senato, che innovava la disciplina del rapporto di lavoro dei Direttori scientifici degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, è stato soppresso.
All'articolo 6, recante disposizioni relative agli obblighi formali di informazione cui sono tenute le pubbliche amministrazioni al momento delle assunzioni, è stato introdotto l'obbligo per le P.A. di comunicazione per via telematica, secondo modalità da definire con successiva circolare ministeriale, anche al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio, ai fini della pubblicazione sul proprio sito istituzionale. La mancata comunicazione o aggiornamento dei dati rileva ai fini della misurazione e della valutazione della performance dirigenziale.
All'articolo 15 è stata aggiunta una norma volta a prevedere la trasmissione dei dati relativi all'anzianità contributiva dei dipendenti pubblici, da parte degli enti previdenziali, alle amministrazioni che ne facciano richiesta, ai fini delle determinazioni relative ai trattenimenti in servizio e alle risoluzioni dei rapporti di lavoro.
L'articolo 21, che reca una norma di interpretazione autentica in materia di igiene del lavoro sul naviglio di Stato, è stato oggetto di una riformulazione tecnica al fine di meglio precisare portata ed effetti dell'intervento normativo.
L'articolo 23 - che aveva introdotto al Senato un sostanziale innalzamento dell'età pensionabile per i dirigenti medici - è stato ulteriormente arricchito con due ulteriori disposizioni: la prima ha esteso la facoltà di prolungamento della permanenza in servizio anche ai dirigenti del ruolo sanitario; la seconda ha inciso sulla data di presentazione della domanda di pensionamento da parte dei dipendenti in aspettativa non retribuita, che ricoprono cariche elettive.
L'articolo 25, introdotto al Senato, il quale prevedeva che le norme concernenti, ai fini pensionistici, il beneficio dell'accredito figurativo o il diritto di riscatto per i periodi dei congedi di maternità o di paternità e dei congedi parentali, trovasse applicazione solo qualora le relative domande fossero presentate in costanza di rapporto di lavoro, è stato soppresso.
All'articolo 33, comma 9, relativo alle clausole compromissorie nelle controversie individuali di lavoro, è stato previsto che ai fini del rinvio alle disposizioni civilistiche che intervengono sulla materia, in assenza di specifiche previsioni negli accordi interconfederali e nei contratti collettivi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali possa intervenire con un proprio decreto di attuazione volto a consentire la concreta operatività delle nuove norme.
All'articolo 34, le disposizioni relative alle modalità e ai termini per l'impugnazione dei licenziamenti individuali sono state estese anche alla cessione del contratto di lavoro in caso di trasferimento d'azienda Pag. 89e ad ogni altro caso in cui si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.
Numerose modifiche hanno riguardato, poi, l'articolo 50.
Al comma 3 è stato introdotto l'obbligo per le università e le fondazioni universitarie autorizzate all'attività di intermediazione, di conferire alla borsa continua nazionale del lavoro, secondo modalità da definire con successivo decreto ministeriale, i curricula dei propri studenti, da rendere pubblici anche sui siti Internet dell'Ateneo per i dodici mesi successivi alla data di conseguimento del diploma di laurea.
Le modifiche ai commi 5 e 6 hanno riguardato, da un lato, i Fondi bilaterali per la formazione e l'integrazione del reddito, dall'altro, il conferimento da parte delle P.A. alla Borsa continua nazionale del lavoro delle informazioni relative alle procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione e alle procedure selettive per il reclutamento di personale.
Al comma 7 è stata introdotta la possibilità di assolvere l'obbligo di istruzione anche nei percorsi di apprendistato.
Infine, per ragioni di «pulizia normativa», il comma 9, introdotto al Senato, volto a reintrodurre la fattispecie del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (cosiddetto staff leasing), è stato soppresso, in quanto già inserito, con norma di analogo tenore, all'interno della legge finanziaria per il 2010.
All'articolo 51 è stata introdotta una disposizione volta modificare composizione e presidenza del Comitato amministratore della gestione speciale separata dei lavoratori autonomi.
Altre modifiche di limitata portata, nonché di carattere formale o volte ad assicurare l'invarianza degli oneri per il bilancio dello Stato, hanno avuto ad oggetto gli articoli 22, 23, 36, 44, 45, 46 e 50.
Con riferimento ai pareri acquisiti sul testo, ricordo anzitutto che la V Commissione (Bilancio) si pronuncerà direttamente per l'Assemblea. Per il resto, le Commissioni competenti in sede consultiva hanno espresso tutte un parere favorevole, in alcuni casi con osservazioni che sono state, in buona misura, recepite nel testo. L'unico parere condizionato è stato espresso dalla VII Commissione, con riferimento al nuovo comma 7 dell'articolo 50, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, ove si prevede che l'obbligo di istruzione possa essere assolto anche nei percorsi di apprendistato. Al riguardo, l'importanza della materia ha consigliato di mantenere fermo il testo ai fini di un approfondimento della questione nel corso dell'esame in Assemblea. Infine, rammento che è stata anche accolta una condizione del Comitato per la legislazione, mentre si è ritenuto opportuno non dare seguito ai restanti rilievi espressi nel parere di tale organo: il relatore si riserva, comunque, di svolgere una più approfondita istruttoria su tali questioni, verificando l'eventuale congruità delle indicazioni formulate.