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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 247 di lunedì 16 novembre 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 14,10.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 9 novembre 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Renato Farina, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Malfa, La Russa, Leone, Mantovano, Maroni, Martini, Menia, Miccichè, Migliavacca, Milanato, Leoluca Orlando, Arturo Mario Luigi Parisi, Pianetta, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas, Vitali e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge:
UGO QUINZI, da Roma, chiede:
nuove norme in materia di pubblicità del prezzo praticato dai gestori di distributori di carburante per autotrazione (778) - alla X Commissione (Attività produttive);
l'abolizione del canone di abbonamento alla radiotelevisione e l'istituzione della tassa per il servizio radiotelevisivo pubblico (779) - alle Commissioni riunite VI (Finanze) e IX (Trasporti);
LUIGI RAPISARDA, da Tremestieri Etneo (Catania), e numerosi altri cittadini chiedono norme per l'utilizzazione delle informazioni genetiche nei procedimenti di riconoscimento e disconoscimento della paternità (780) - alla II Commissione (Giustizia);
BARBARA BUCCI, da Giuliano Teatino (Chieti), e numerosi altri cittadini chiedono l'equiparazione della pensione di invalidità e dell'indennità di accompagnamento degli invalidi civili a quelle dei ciechi civili (781) - alla XII Commissione (Affari sociali);
DANIELA LONARDI, da Minerbe (Verona), chiede:
provvedimenti volti a impedire che gli appartenenti alla criminalità organizzata possano trarre vantaggio dalle misure recentemente approvate per il rientro dei capitali illecitamente detenuti all'estero (782) - alla VI Commissione (Finanze); Pag. 2
che le Forze di polizia vengano dotate di dispositivi a scariche elettriche per contrastare la criminalità di strada (783) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MARCO PREIONI, da Domodossola (Verbano-Cusio-Ossola), chiede che le norme speciali in materia di reati ministeriali non siano estese ai reati commessi dai Ministri al di fuori dell'esercizio delle proprie funzioni (784) - alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
VINCENZO CANNAVALE, da Roma, e numerosissimi altri cittadini chiedono il tempestivo esame della proposta di legge atto Camera n. 313, recante disposizioni per la prevenzione e la cura del morbo di Alzheimer e delle patologie correlate (785) - alla XII Commissione (Affari sociali);
LUCIANO DE GIORGIO, da Vicenza, chiede disposizioni volte a migliorare l'organizzazione e l'offerta formativa del liceo delle scienze umane (786) - alla VII Commissione (Cultura);
FRANCESCO PREVITE, da Castiglione di Sicilia (Catania), chiede interventi per garantire la prestazione delle cure sanitarie a tutti i pazienti, anche in età avanzata o disabili, indipendentemente da ogni considerazione finanziaria (787) - alla XII Commissione (Affari sociali);
VIGO PAOLO EUGENIO, da Genova, chiede un provvedimento legislativo volto a riaffermare l'obbligo di esporre il Crocifisso negli edifici pubblici (788) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

Discussione del disegno di legge: S. 1784 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (Approvato dal Senato) (A.C. 2897).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2897)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari Costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Bernini Bovicelli, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento che è oggi in discussione presso la nostra Assemblea è stato emanato il 25 settembre e pubblicato in Gazzetta Ufficiale nella stessa data. Esso è già stato esaminato e discusso molto ampiamente dalla Camera alta, dal Senato della Repubblica, nell'arco di quarantacinque giorni e ci è stato trasmesso recentemente, la settimana scorsa, per l'esame e la discussione prima in Commissione e ora in Assemblea.
Il provvedimento originariamente prevedeva venti articoli che nella discussione presso il Senato sono stati ampliati a trentuno, quindi con l'aggiunta di tredici nuovi articoli e di commi che mi riservo di indicare e di descrivere sinteticamente - ma non troppo - nel prosieguo, attraverso un'indicazione specifica articolo per articolo del corpus normativo di cui oggi si tratta.
Vorrei, però, preliminarmente ricordare - lo ha già fatto il Presidente facendo menzione del titolo, che reca in se stesso Pag. 3la motivazione di questo disegno di legge di conversione del decreto-legge - che si tratta di un provvedimento certamente multitematico, ma che ha come comune denominatore, come direttrice e come filo rosso quello di non volere, ma dovere adeguare la nostra normativa domestica, la normativa italiana, alle suggestioni normative, e non solo, dell'ordinamento comunitario, ovvero alle direttive scadute o in scadenza o alle direttive non immediatamente applicabili, in uno con le procedure di infrazione presso la Commissione europea e la Corte di giustizia dell'Unione europea e con le sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea stessa, che rappresentano normativa vincolante di riferimento per gli ordinamenti interni degli Stati membri.
Mi sia consentito, a questo punto, descrivere - come dicevo, sinteticamente quanto consente la necessità di descrivere il contenuto del testo in maniera chiara - ed esaminare articolo per articolo il corpo del disegno di legge di conversione.
L'articolo 1 apporta alcune modifiche al decreto legislativo n. 209 del 2003, che reca attuazione della direttiva 2000/53/CE sui veicoli fuori uso, al fine di superare alcuni rilievi mossi dalla Commissione europea in merito a un possibile restringimento del campo di applicazione della direttiva, con particolare riguardo allo smaltimento dei pezzi di vetture usate.
L'articolo 2 modifica le norme relative all'organismo di regolazione della concorrenza nei mercati dei servizi ferroviari, di cui all'articolo 37 del decreto legislativo n. 188 del 2003. Il primo comma sancisce l'indipendenza dell'organismo da qualsiasi autorità competente preposta all'aggiudicazione di un contratto di servizio pubblico, prevede l'assegnazione di risorse umane e finanziarie adeguate allo svolgimento dei compiti ad esso affidati e attribuisce all'organismo stesso specifici poteri sanzionatori. Il secondo comma prevede, invece, l'attribuzione al personale dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie del trattamento giuridico ed economico spettante al personale dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo. Il comma 2-bis, modificando l'articolo 4-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, sopprime il divieto di partecipare a medesime procedure di gara in ambiti territoriali diversi da quelli in cui svolgono servizio per le imprese cui le autorità competenti abbiano aggiudicato direttamente contratti di servizio pubblico di trasporto per ferrovia.
L'articolo 3 reca una serie di modifiche al codice dei contratti pubblici, il decreto legislativo n. 163 del 2006, volte ad abrogare le norme che prevedono l'esclusione automatica dalle gare delle offerte provenienti da concorrenti legati tra loro da rapporti di controllo, in quanto, afferma la Commissione dell'Unione europea, non permettendo alle imprese di dimostrare che le offerte non sono collegate tra di loro, tali norme contrastano con i principi del diritto comunitario ribaditi anche con la sentenza della Corte di giustizia europea del 19 maggio 2009.
L'articolo 3-bis dispone un ulteriore finanziamento del programma pluriennale di dotazione infrastrutturale del Corpo della guardia di finanza e della componente aeronavale dei sistemi di comunicazione del Corpo delle capitanerie di porto-guardia costiera.
L'articolo 3-ter introduce alcune modifiche al comma 289 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2008 in materia di realizzazione e gestione di infrastrutture autostradali.
Le modifiche sono volte a limitare la costituzione di società miste ANAS - regioni, da una parte, alla sola realizzazione di infrastrutture autostradali di esclusivo interesse regionale e interamente ricadenti nel territorio di competenza di una singola regione e, dall'altra, allo studio e funzione di concedente, escludendo quelle di concessionario. Sono fatti salvi i poteri e le funzioni conferiti ai soggetti pubblici già costituiti alla data di entrata in vigore della legge di conversione per i quali trova applicazione, invece, il testo previgente del citato comma 289.
L'articolo 3-quater fa venire meno la disciplina di cui alla legge finanziaria 2008 relativa al divieto di porre in commercio Pag. 4elettrodomestici, lampadine e motori elettrici privi di determinati requisiti di efficienza e rispetto dell'ambiente e si rifà integralmente alle prescrizioni fissate dai regolamenti comunitari di applicazione della direttiva 2005/32/CE che sono più dettagliati, quanto ai requisiti minimi, e più articolati, quanto alla tempistica applicativa.
L'articolo 3-quinquies reca disposizioni volte a garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell'Expo Milano 2015, sulla falsariga di quanto già previsto per la ricostruzione in Abruzzo. A tal fine, è affidato al prefetto della provincia di Milano il coordinamento delle attività finalizzate alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici, nonché nell'erogazione e concessione di provvidenze pubbliche. In tale attività, il prefetto è supportato dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, che è ammesso ad elaborare apposite linee guida. È, altresì, prevista la costituzione, sempre presso la prefettura di Milano, di elenchi di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (la cosiddetta white list).
L'articolo 4 prevede, ai commi 1 e 2, alcune misure urgenti volte a ridefinire la collocazione amministrativa e la governance del Comitato di gestione della direttiva 2003/87/CE dell'Unione europea e dell'attività di gestione del Protocollo di Kyoto, anche per consentire l'immediata applicazione della direttiva 2008/101/CE nelle more del suo ricevimento. I successivi commi 3, 3-bis, 4 e 5 prevedono, invece, l'emanazione di un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finalizzato alla promozione di investimenti per l'innovazione delle tecnologie ambientali e che, nel contempo, consenta un'accelerazione e uno snellimento delle procedure previste nel decreto legislativo n. 59 del 2005 per l'autorizzazione integrata ambientale.
Il comma 5-bis modifica il comma 11 dell'articolo 30 della legge n. 99 del 2009 sul regime di sostegno previsto per la cogenerazione ad alto rendimento al fine di prevedere, per il decreto del Ministro dello sviluppo economico che definisce criteri e modalità per il riconoscimento dei benefici di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 20 del 2007, la concertazione con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
L'articolo 4-bis riscrive l'articolo 5, comma 4, del decreto legislativo n. 82 del 2003, al fine di integrare le disposizioni per l'elaborazione dei piani per la raccolta nei porti dei rifiuti prodotti dalle navi e dai residui del carico, attraverso l'attribuzione alle regioni di una serie di compiti in tali materie per interrompere la procedura di infrazione a carico dell'Italia.
L'articolo 5 prevede, in capo ai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche, l'obbligo, da espletarsi entro il 31 dicembre 2009, di comunicazione al registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche dei dati relativi alle quantità e alle categorie immesse sul mercato negli anni 2007 e 2008. I produttori sono tenuti contestualmente a confermare o rettificare il dato relativo all'anno 2006. Il secondo comma introduce, per i sistemi collettivi di gestione, analoghi obblighi di comunicazione in merito ai dati relativi al peso delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate nel 2008.
L'articolo 5-bis reca, al primo comma, una serie di modifiche al cosiddetto codice dell'ambiente e, precisamente, alla parte VI, recante norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente.
L'articolo 6 opera alcune correzioni materiali alle norme che individuano alcune esclusioni dall'elenco degli ingredienti classificati come allergeni alimentari.
L'articolo 7, primo e secondo comma, risponde all'esigenza di porre rimedio ad alcune carenze del quadro normativo metrologico-legale italiano applicabile ai sistemi Pag. 5di misura installati nell'ambito delle reti di trasporto del gas naturale riscontrate dalla Commissione europea, la quale ha evidenziato come tali carenze costituiscano un ostacolo all'uso e alla commercializzazione di contatori del gas di tipo a lettura metrico a diaframma impiegati in campo industriale.
L'articolo 8 autorizza la spesa di 42 milioni di euro nel 2009 per interventi connessi all'implementazione del numero di emergenza unico europeo 112.
L'articolo 8-bis vincola, a favore del Centro nazionale trapianti, per un importo non inferiore a 2 milioni di euro annui, le risorse del fondo per la realizzazione di interventi nel settore sanitario di cui al decreto-legge n. 78 del 2009. La norma prevede, altresì, che le risorse vincolate debbano essere utilizzate per attuare la disciplina in materia di cellule riproduttive e di tessuti e cellule umani.
L'articolo 9 dispone in materia di controlli di sicurezza su forniture alimentari destinate ai contingenti militari impiegati nelle missioni all'estero, riconoscendo così la specialità della difesa in materia sanitaria.
L'articolo 10, al fine di sanare la procedura d'infrazione n. 2008/4421 in materia di assicurazioni, elimina l'obbligo delle imprese assicurative degli Stati membri di nominare un rappresentante fiscale residente in Italia ai fini del pagamento dell'imposta sui premi relativi ai contratti conclusi.
L'articolo 11 apporta modifiche alla disciplina dell'IVA con particolare riferimento ai soggetti non residenti con stabile organizzazione in Italia, in ossequio a quanto stabilito sul punto dalla Corte di Giustizia in esito a espressa procedura di infrazione.
L'articolo 12 estende alle organizzazioni stabili di società estere il regime fiscale relativo alle Società d'investimento immobiliare quotate. La norma è volta ad interrompere la procedura d'infrazione comunitaria 2008/4524.
L'articolo 13 intende a sua volta sanare l'infrazione contestata dalla Commissione europea nel giugno 2007 nei confronti dell'Italia, ritenuta responsabile di applicare un regime fiscale discriminatorio in materia di olii lubrificanti rigenerati a danno di altri Stati membri. L'articolo conseguentemente modifica il regime fiscale in materia.
L'articolo 14 è stato soppresso dal Senato.
L'articolo 15 modifica la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica al fine prioritario di adeguamento all'ordinamento comunitario e di favorire la liberalizzazione e la certezza del diritto. Nello specifico, il comma 1, modificato in più punti dal Senato, novella l'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito della legge n. 133 del 2008.
La nuova disciplina esclude la distribuzione di energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali dalla disciplina di carattere generale sull'affidamento dei servizi pubblici locali; prevede, quale ulteriore modalità ordinaria di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, l'affidamento a società «miste», purché il socio privato venga selezionato attraverso procedure pubbliche - cosiddette a «doppio oggetto» - e partecipi con non meno del 40 per cento del capitale sociale.
Introduce un meccanismo di silenzio-assenso per il parere che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato è chiamata a dare sulle ipotesi «straordinarie» di affidamento in house (ovvero in proprio, senza gara); detta direttamente il regime transitorio degli affidamenti non conformi, sopprimendo la previgente previsione che lo affidava ad un emanando regolamento governativo.
Il comma 1-bis consente la prosecuzione, oltre il termine del 31 dicembre 2010, dei contratti di trasporto pubblico locale su gomma non affidati tramite gara, in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge nelle regioni a Statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 1-ter stabilisce il principio della autonomia gestionale del soggetto gestore del servizio idrico integrato e della piena ed esclusiva proprietà pubblica delle Pag. 6risorse idriche, il cui governo è riservato esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e al prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal codice ambientale, e deve essere esercitato garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio stesso.
Il comma 2 elimina la competenza della Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche sul parere preventivo per la concessione di affidamenti in house.
Il comma 2-bis proroga di ulteriori sei mesi l'applicazione della tariffazione ai rifiuti assimilati per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani.
Il comma 2-ter proroga dal 31 dicembre 2009 al 31 dicembre 2010 il termine entro il quale non sono ammessi in discarica i rifiuti il cui potere calorifico inferiore sia superiore a 13.000 kj/kg.
Il comma 2-quater differisce il termine entro il quale deve essere fissato l'importo della quota di tariffa non dovuta riferita all'esercizio del servizio di depurazione da restituire da parte dei gestori del servizio idrico integrato. Tale termine è protratto da 120 a 210 giorni.
L'articolo 16 reca alcune disposizioni a tutela del made in Italy. In particolare, i commi da 1 a 4 introducono una regolamentazione dell'uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quali «100 per cento made in Italy», «100 per cento Italia», «tutto italiano» o simili, prevedendo una sanzione penale per l'uso indebito di tali indicazioni di vendita ovvero di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione.
I commi da 5 a 8 sanzionano la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l'origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani, a tal fine provvedendo a modificare la disciplina di cui al comma 49 dell'articolo 4 della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004), in modo da specificare la condotta sanzionata e da qualificare la violazione come illecito amministrativo.
Il comma 8-bis reca modifiche all'articolo 1 del decreto legislativo n. 297 del 2004, sulle produzioni DOP e IGP, consentendo, a seguito di autorizzazione del Consorzio e conformemente a specifiche norme regolamentari approvate dal Dicastero agricolo, l'immissione al consumo di tali produzioni dopo che siano state private del marchio in precedenza apposto.
L'articolo 17 autorizza, per far fronte all'obbligo comunitario di cui al regolamento (CE) n. 1166/2008 la spesa di euro 128.580.000 per l'anno 2010 in favore dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) per l'esecuzione del 6o Censimento generale agricolo, come richiesto dall'Europa.
L'articolo 17-bis integra le disposizioni relative al contenuto obbligatorio del fascicolo aziendale per le imprese di pesca.
L'articolo 18 introduce nuove disposizioni in merito alle trattenute ed ai successivi versamenti, che gli acquirenti di latte sono tenuti ad effettuare nei confronti dei produttori che eccedano la propria quota produttiva secondo le modalità attualmente previste dall'articolo 5 del decreto-legge n. 49 del 2003 in materia di prelievo supplementare in tema di quote latte.
L'articolo 19 interviene sulle modalità di recupero delle agevolazioni fiscali introdotte in favore delle cosiddette società ex-municipalizzate (considerati aiuti di Stato) risultanti dalla trasformazione in società per azioni a prevalente capitale pubblico delle municipalizzate stesse. Tutto ciò è in ossequio alla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE e per ovviare alla pendenza della procedura d'infrazione n. 2456/2006.
L'articolo 19-bis, comma 1, dispone, per l'attuazione del federalismo fiscale e per il coordinamento informativo e statistico dei dati di bilancio, che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettano, entro trenta giorni, alla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, i dati relativi ad entrate e spese risultanti dai rendiconti Pag. 7degli esercizi 2006, 2007 e 2008. Per i dati dei rendiconti degli anni 2009, 2010 e 2011, il termine è fissato al 30 giugno dell'anno successivo a quello di riferimento. I dati debbono essere trasmessi secondo uno schema allegato al decreto-legge.
Il comma 2 dispone in merito alle informazioni che gli enti locali devono presentare nell'ambito delle certificazioni concernenti il rendiconto, prevedendo, a decorrere dall'esercizio 2008 e fino a tutto il 2011, che vengano altresì certificati i dati relativi al ricalcolo delle spese per funzioni e alle esternalizzazioni dei servizi.
Il comma 3 modifica il terzo periodo del comma 6 dell'articolo 2 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, prevedendo che la relazione sul quadro generale di finanziamento degli enti territoriali sia trasmessa alle Camere entro il termine del 30 giugno 2010, anziché in allegato al primo schema di decreto legislativo per il quale il termine è il 21 maggio 2010.
L'articolo 19-ter determina il trasferimento gratuito dalla Tirrenia Spa alle regioni Campania, Sardegna e Toscana rispettivamente del 100 per cento del capitale della Caremar, della Saremar e della Toremar. Dispone, altresì, la cessione gratuita dalla Campania al Lazio del ramo d'azienda di Caremar relativo ai collegamenti con l'arcipelago pontino. L'articolo proroga, inoltre, le convenzioni del gruppo Tirrenia con lo Stato sino al 30 settembre 2010, data entro cui si prevede il completamento del processo di privatizzazione previa pubblicazione, entro il 31 dicembre 2009, del relativo bando di gara. L'articolo stabilisce, infine, la prosecuzione degli investimenti, per un importo pari a 184,94 milioni di euro, per un periodo fino ad otto anni per Tirrenia e fino a 12 anni per le società regionali Siremar, Caremar, Saremar e Toremar.
L'articolo 19-quater modifica l'articolo 47 della legge n. 428 del 1990 (legge comunitaria per il 1990) in materia di trasferimento d'azienda.
L'articolo 20 introduce una norma transitoria in relazione alla disciplina della compatibilità tra le attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali e quella di gestione di farmacie.
L'articolo 20-bis proroga sino al termine di sei mesi la possibilità per coloro che prima del 1o agosto 2005 avevano costituito banche dati sulla base di elenchi telefonici pubblici di utilizzare i dati personali contenuti nei medesimi elenchi per fini promozionali.
L'articolo 20-ter modifica la disciplina sui passaporti secondo il criterio «una testa, un passaporto», stabilendo inoltre delle eccezioni relativamente alla validità del passaporto dei minori e per coloro i quali non abbiamo potuto rilasciare impronte biometriche.
Concludo, Presidente, dicendo che il dibattito in Commissione (un dibattito necessariamente concentrato ma comunque completo) si è giovato della presenza dei Ministri Fitto e Ronchi e si è concentrato in particolare su quattro articoli: gli articoli 2, 3-ter, 15 e 16, grazie alla disponibilità, che vorrei sottolineare, dei gruppi di opposizione che hanno scelto di valorizzare gli aspetti più significativi dell'articolato del disegno di legge di conversione in oggetto (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, questo decreto-legge ha una storia un po' singolare, almeno qui alla Camera. Ora ci troviamo in sede di discussione sulle linee generali, ma prima, in Commissione, c'è stato uno «scampolo» di discussione, abbiamo proceduto a qualche votazione e sostanzialmente il decreto-legge Pag. 8è arrivato alla Camera con un destino segnato, con l'impossibilità di toccare alcunché.
Quando ci siamo resi conto di questo dato, sapendo che decreti-legge per l'adempimento di obblighi comunitari ne sono stati adottati anche in passato, abbiamo subito manifestato la disponibilità ad esaminare rapidamente questo decreto-legge, anche se contiene in varie parti aspetti che possono essere discussi, ma come Partito Democratico avremmo volentieri preferito convertirlo rapidamente, almeno in questo ramo del Parlamento, a condizione che fosse tolta una parte molto significativa del testo, quella relativa all'articolo 15 che disciplina i servizi pubblici locali.
Questo tipo di richiesta avrebbe consentito agevolmente di tornare al Senato e di procedere, poi, in tempi rapidi, all'esame della materia relativa ai servizi pubblici locali che noi consideriamo bisognosa di un intervento di riforma. Signor Presidente, può essere un dettaglio, ma noi riteniamo che questo tipo di riforme devono essere discusse in Parlamento, eventualmente valutando la possibilità di trovare dei punti d'incontro. Questa richiesta non è stata accolta e le motivazioni che il Ministro Fitto, non il Ministro Ronchi, ci ha portato in Commissione sinceramente appaiono deboli, e le riprenderò fra un attimo. Dico questo perché sostanzialmente il destino di questo decreto «blindato» e l'annunciata nuova ventiseiesima fiducia fanno capire come si lavora in quest'Aula e in questo Parlamento.
Fatemi fare un passo indietro. Noi parliamo di decreto-legge sugli obblighi comunitari. È un provvedimento che ha una sua tipicità, ne sono stati adottati altri.
Il Governo Berlusconi ha varato già un decreto-legge di questo tipo all'inizio della legislatura, anzi ha provveduto a sostenere la conversione del decreto-legge n. 59 del 2008 che proveniva dal Governo Prodi; però, non si è accontentato di sottoporlo all'esame parlamentare così com'era, ha preferito inserire una serie di disposizioni che riguardavano la televisione e che non c'entravano nulla, e che riguardavano anche in quel caso presunte infrazioni comunitarie. Quel decreto-legge ha avuto il suo iter, è stato convertito e, proprio per l'inserimento di una materia sostanzialmente eccentrica, ha avuto il nostro voto contrario.
Svolgo un'altra osservazione: questi decreti-legge in materia comunitaria che, come dicevo, sono già conosciuti nella nostra esperienza, sostanzialmente hanno una finalità che è diversa dalla legge comunitaria. La legge comunitaria, infatti, è una grande legge che si approva una volta all'anno e che serve per adempiere agli obblighi comunitari con procedure messe a punto e condivise da tutti, che prevedono in sostanza degli schemi di delega e dei principi che il Parlamento impartisce sulle materie in oggetto. Ricordo, perché forse qualcuno potrebbe non averlo presente, che con l'attuale Governo e in questa legislatura è già stata approvata la legge comunitaria per il 2008, ed è aperta («aperta» vuol dire pendente al Senato per la seconda lettura) la procedura di esame della legge comunitaria per il 2009. Quindi, pur in presenza dello strumento ordinario, ossia la legge comunitaria, nella quale potrebbe essere inserita una serie di adempimenti comunitari - ma è una legge, e quindi, come tale, presuppone un dibattito parlamentare e non ha una scadenza a sessanta giorni - va avanti l'esame di questo decreto-legge che mette insieme argomenti diversi.
Io non mi meraviglio della eterogeneità; alcuni colleghi hanno detto che si tratta di un decreto-legge eterogeneo, ma i decreti-legge che configurano l'adempimento di obblighi comunitari sono eterogenei nella struttura e sono funzionalmente collegati ad un fine. Dunque, da questo punto di vista, la eterogeneità è giustificata dal fine che allora, però, diventa molto importante, e qui cominciamo a toccare una materia che non riguarda solo il Parlamento, ma anche gli strumenti di controllo e di garanzia esterni al Parlamento. Tuttavia, non tutte le norme di questo decreto-legge che Pag. 9tende ad adempiere agli obblighi comunitari o alle sentenze della Corte di giustizia sono giustificate da questa finalità.
Su questo aspetto consiglierei la lettura del parere del Comitato per la legislazione, che la relatrice conosce perfettamente perché fa parte del Comitato, nel quale sono indicate in maniera molto puntuale le disposizioni che non appaiono connesse ad obblighi comunitari. Sia ben chiaro: nel titolo del provvedimento c'è scritto «obblighi comunitari», ma per alcuni casi non si rintraccia nella lettura all'interno del testo un riferimento ad una direttiva o ad una sentenza della Corte. Questo riferimento, invece, è essenziale affinché una norma possa essere contenuta in questo decreto-legge, è una condizione assoluta di legittimità costituzionale.
Tra le disposizioni che non hanno questo collegamento vi sono quelle sulle concessioni autostradali (articolo 3-ter) e sugli interventi legati allo svolgimento dell'Expo 2015 di Milano, questioni anche importanti in sé, ma se si ritiene che vi siano i presupposti di straordinaria necessità e di urgenza si adotta un altro decreto-legge, non le si inserisce nel provvedimento oggi in discussione perché non c'è il collegamento con gli obblighi comunitari. Anche la norma dell'articolo 16 sull'etichettatura dei prodotti made in Italy non ha queste caratteristiche, così come ne sono privi sia l'articolo 19-bis sul coordinamento informativo, statistico, informatico dei dati concernenti i bilanci delle amministrazioni regionali e locali, sia l'articolo 20 sul commercio di medicinali.
Questi riferimenti che ho fatto - poi parlerò separatamente dell'articolo 15 - già confermano che il decreto-legge va al di là delle possibilità ad esso conferite. Dico ciò perché, sapendo che il provvedimento in esame non sarà modificato e che tale è il suo destino, svolgiamo questi interventi in qualche modo anche di collaborazione. Il Ministro, il presidente della Commissione, tutti lo sanno: ormai la Corte costituzionale ha affermato chiaramente che quando un decreto-legge ha certe caratteristiche, il sindacato può essere riservato alla Corte stessa. Quindi, magari tra un anno o due anni, la Corte interverrà perché il decreto-legge, in sé giustificato, non lo è in queste parti. Quindi, credo che dobbiamo stare attenti a fare cose di questo genere, così come dobbiamo stare attenti a guardare con attenzione quella parte di norme del decreto-legge i cui effetti finali appaiono destinati a prodursi in un momento significativamente distanziato rispetto alla loro entrata in vigore.
Perché si adotta un decreto-legge? Perché bisogna intervenire con norma immediatamente operativa in un certo settore. Tuttavia, qui ci sono disposizioni come l'articolo 3-quater che fissa una decorrenza di un divieto al 2011; l'articolo 7, comma 2-bis, che proroga un termine dal 2011 al 2012; l'articolo 16 che fissa una nuova disciplina sanzionatoria destinata ad entrare in vigore quarantacinque giorni dopo l'entrata in vigore del decreto-legge stesso. L'articolo 15 della legge n. 400 del 1988, praticamente norma di stretta attuazione costituzionale, richiede l'immediata applicabilità delle misure disposte dal decreto-legge e ciò rappresenta un altro punto sul quale non si può transigere perché naturalmente, in questi casi, non si giustifica non l'impalcatura completa, ma il decreto-legge stesso.
In ordine all'articolo 15, ho detto prima che se il Governo avesse deciso di togliere l'articolo e ci avesse chiesto di intervenire con un provvedimento parlamentare a data concordata, noi avremmo certamente aderito a questa proposta. Erano necessari tre o quattro mesi per esaminare il provvedimento nei due rami del Parlamento, ma lo avremmo certamente potuto fare. Tuttavia, mi chiedo come si possa dare ad una norma come l'articolo 15 la possibilità di «viaggiare» con lo strumento del decreto-legge sugli obblighi comunitari, quando questa disposizione non risponde all'adempimento di specifici obblighi comunitari. Non è, infatti, menzionata una direttiva, ovvero non c'è alcuna direttiva rispetto a cui il nostro Paese sia inadempiente e, quindi, si possa giustificare un intervento (del resto lo si poteva prevedere nella legge comunitaria ma non è stato Pag. 10fatto). Non c'è, inoltre, una sentenza che in qualche modo possa stabilire un principio cogente, ma ci sono delle infrazioni comunitarie su cui le sentenze della Corte di giustizia sono intervenute e hanno detto che, se non si rimedia entro un certo termine, lo Stato italiano deve pagare.
Non so se lei, Ministro Ronchi, ci proporrà la stessa motivazione, ma il Ministro Fitto, per dare una giustificazione ad un intervento collegato agli obblighi comunitari, ci ha citato una sentenza del 15 ottobre. Qui siamo in un caso davvero particolare, perché voi sapete che in ordine agli obblighi comunitari si può intervenire: l'articolo 10 della legge n. 11 del 2005, infatti, stabilisce che si possono adottare provvedimenti anche urgenti solo qualora la scadenza di questi adempimenti risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all'anno in corso. Qui certamente ci può essere il gioco cosiddetto delle tre carte perché questa sentenza, se non sbaglio, è del 15 ottobre, mentre il decreto-legge è del 25 settembre. Si compie un'opera di preveggenza, in quanto si è adottato un decreto-legge per adempiere ad una sentenza che sarà emanata soltanto un mese dopo.
Allora questa è una giustificazione che non regge certo rispetto alla legge comunitaria che è parcheggiata al Senato; può darsi che questo tipo di concatenazione funzioni, però adesso io non voglio, e poi magari i miei colleghi ne parleranno, ma, a una prima lettura, la sentenza alla quale qui ci si riferisce a livello comunitario non ha niente a che fare con la materia che stiamo trattando, riguarda le modalità di una gara particolare che si era svolta con un solo concorrente. Quindi voglio dire, non è che si mette in discussione il principio della gestione in house o meno, è un altra cosa, questo tipo di vincolo non c'è; quindi abbiamo a che fare con un elemento di debolezza, il tallone d'Achille di questo provvedimento.
Ad ogni modo, anche un altro aspetto è debole, signor Ministro; il ministro Fitto ha effettuato una ricostruzione molto elaborata dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, quello che già disciplinava questa materia e che è stato convertito dalla legge n. 133 del 2008. Il Ministro critica questa legge perché sostiene abbia peggiorato le cose; può anche darsi che sia così, però poi in via successiva egli ha anche sostenuto che intervenire con decreto era diventato necessario - di conseguenza senza esame del provvedimento da parte di questo ramo del Parlamento, «esame zero» - perché, sostanzialmente, attraverso di esso si stabiliva al 31 dicembre 2010, quindi tra 14 mesi, la cessazione delle gestioni dirette da parte dei comuni, termine che poi è stato spostato, per l'appunto di un anno, al 2011. Allora, io credo che se questa è la motivazione collegata alla necessità ed urgenza, cioè rispettare un termine che dichiaratamente scade nel dicembre 2010 e che viene prorogato al 2011, allora non c'è il vincolo agli obblighi comunitari e neppure il requisito di straordinaria necessità ed urgenza che giustifica una sorta di avocazione della decisione da parte del Governo con pregiudizio totale della discussione parlamentare. Poi i miei colleghi nei loro interventi tratteranno del merito del provvedimento ed illustreranno le ragioni per cui siamo contrari ad una tale soluzione. Ad ogni modo, queste motivazioni, chiamiamole sommessamente di natura costituzionale, sono importanti perché ancora una volta si verte in materie che toccano i diritti soggettivi degli individui, cioè si pregiudicano con queste norme possibili situazioni soggettive; il ricorso da parte dei controinteressati può portare facilmente alla dichiarazione di incostituzionalità di un testo così fatto. Io non parlo neanche del rispetto dell'articolo 72, ma dell'articolo 77.
Chiudo, signor Presidente, con una considerazione che lei vorrà certamente, spero, apprezzare. Lei, a volte seduto anche su questi banchi, si è trovato a stigmatizzare il fatto che noi ci troviamo a lavorare, come dire, a giornate alterne, a settimane alterne. Abbiamo settimane nelle quali addirittura non lavoriamo, chiudiamo le porte di Montecitorio, altre settimane in cui lavoriamo un giorno, altre Pag. 11settimane in cui lavoriamo un giorno e mezzo e poi abbiamo delle settimane, come questa in cui, come dire, siamo come quelle stazioni dove passano gli Eurostar ma non si fermano. A Modena qualche volta mi capita di vedere gli Eurostar che vanno a Milano e che passano velocissimi. Ecco noi siamo la stazione di Modena. Stiamo vedendo un Eurostar che passa ma che non si ferma, però su questo Eurostar ci sono tante cose. Ho ripetutamente sostenuto - continuerò a farlo anche domani quando parleremo della questione pregiudiziale di costituzionalità - come non sia tanto il fenomeno del numero dei decreti-legge a preoccupare. Il numero dei decreti-legge è sostanzialmente quello delle scorse legislature, il fatto veramente nuovo in questa legislatura è dato dal «peso» di tali provvedimenti. Il fenomeno è stato analizzato anche dal rapporto del Comitato per la legislazione presentato dal presidente Duilio e contenente dati molto interessanti da questo punto di vista. Se noi «pesiamo» i decreti-legge vediamo che l'80-85 per cento della materia normativa è nei decreti-legge; cioè noi chiudiamo la Camera, sospendiamo alcune settimane i nostri lavori perché vogliamo tenere in questi Eurostar, che sono i decreti-legge di questa natura, delle materie che, se fossero tolte, consentirebbero agevolmente, senza spendere un giorno di più di calendario parlamentare, l'esame di certi provvedimenti.
Chiedo a voi ed a Lei, signor Presidente, di tenere presente questa anomalia grave, che non è data, come dicono alcuni, dai decreti-legge, ma dalla quantità di materia normativa che, senza possibilità di valutazione parlamentare, transita in questi provvedimenti. Il caso dell'articolo 15 è un esempio di scuola. Vorrei che potessimo farlo perché, nello stesso tempo in cui stiamo discutendo inutilmente, potremmo discutere e collaborare magari con voi per fare un buon testo di riforma, che invece voi, volontariamente o meno, ci «scippate» di dosso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, come al solito, ascolto con molta attenzione il relatore onorevole Bernini Bovicelli, perché è impiegata - non so usare altro termine - nelle vicende più difficili e complesse, quando i temi e la situazione presentano connotazioni di indecifrabilità. Lei ha fatto una relazione - mi compiaccio - tentando di dare a questo provvedimento una motivazione, una giustificazione e una certa dignità. Mi rifaccio, in parte, anche a ciò che ha detto poc'anzi il collega Zaccaria. Intanto, abbiamo avuto poco tempo per colpa del Senato, perché ha trattenuto questo provvedimento per quarantacinque giorni, ed a noi rimane uno scampolo temporale. Non c'è dubbio che non è responsabilità della Commissione né tanto meno del suo presidente, però c'è un'oggettiva anomalia. Ciò che più affligge e mortifica ogni parlamentare è quando si impegna o tenta di impegnarsi su un provvedimento sapendo ormai che il percorso è segnato.
In questo momento, stiamo parlando, come si suol dire, per onore di firma, per rispetto del Parlamento, per cogliere l'occasione di questa seduta, che consente di esprimere le nostre visioni e le nostre opinioni, ma non c'è dubbio che c'è una situazione di compressione, che ricade sul Parlamento e su ogni parlamentare.
Il provvedimento oggettivamente è blindato. Ci è stato detto fin dall'inizio che non c'erano possibilità di modifiche né di altro tipo. I tempi sono quelli e anche le proposte che sono emerse fuori, come quella di sospendere l'esame dell'articolo 15, come veniva ricordato da Zaccaria, per fare oggetto questa materia di un'apposita proposta legislativa, di Governo o parlamentare, non hanno avuto successo. Le motivazioni di reiezione di tale proposta da parte della maggioranza sono state ovviamente legate ai tempi e, quindi, al pericolo della decadenza del provvedimento stesso. Signor Presidente, voglio ricordare che abbiamo votato una legge Pag. 12comunitaria e dovremmo votarne un'altra. Questo provvedimento d'urgenza cosa è? Un decreto-legge si fa quando sono in corso procedure di infrazione, quando c'è una necessità di un adeguamento ad una disciplina comunitaria o a principi comunitari.
Allora si fa un decreto-legge proprio per evitare di trovarci in una situazione di inadempienza nei confronti di direttive o di altri atti a livello comunitario. Ricordo la legge che lei, signor Presidente, in un'altra veste, come Ministro per le politiche comunitarie, ha fatto (mi sembra di ricordare nel 2005), che nasceva da una sua filosofia e da una sua articolazione; fu, quello, un approccio forte del Parlamento rispetto all'Europa, nel tentativo di fare entrare l'Europa e quello che è un dibattito a livello europeo nell'azione di gestione e anche di ottemperanza normativa e legislativa del nostro Paese.
La cosa che più balza agli occhi è che questo provvedimento prende a pretesto la normativa comunitaria; si fa della materia comunitaria uno scudo per traghettare altri tipi di provvedimenti, che non hanno nulla a che fare con l'ottemperanza alle direttive comunitarie, ma introducono fatti, questioni, temi e argomenti che dovrebbero essere oggetto di valutazioni complessive sul piano legislativo e del dibattito parlamentare, che, purtroppo, non possono trovare cittadinanza in un decreto-legge come questo.
Perché si fa un decreto-legge? Adesso veniva ricordata la legge n. 400 del 1988: come si può pensare e immaginare di adottare un decreto-legge, rinviando l'ottemperanza di alcune norme di due anni, di un anno? Vi è una norma che prevede un certo tipo di adempimento nel 2011: perché allora si fa un decreto-legge? Qui vi è certamente una violazione chiara della legge n. 400 del 1988!
Ritengo che, se vi è un'urgenza, il provvedimento deve entrare in vigore subito, immediatamente; non vi può essere un provvedimento che, attraverso un decreto-legge, rinvia a due o a tre anni l'applicazione di talune norme. Qual è allora l'urgenza? Credo che questa sia una contraddizione, una discrasia che balza alla nostra attenzione in tutta la sua preoccupante gravità, perché è certamente preoccupante anche la vicenda che stiamo trattando in questo momento.
Non voglio entrare nel merito di tante questioni che sono state illustrate, come dicevo poc'anzi, da parte del relatore, ma vi sono temi e argomenti che non c'entrano assolutamente con questo provvedimento.
Che c'entra l'inserimento dell'articolo 3-ter in materia di società miste dell'ANAS, se non perché si pensa di risolvere i problemi dell'ANAS, problemi incompiuti, che avrebbero dovuto essere oggetto di discussione, dibattito e confronto anche a livello parlamentare?
Cosa c'entra l'articolo 3-quinquies, cosa c'entra l'Expo di Milano? Non si è trovato alcun tipo di provvedimento più consono ad un confronto, con tutte le difficoltà e le polemiche che vi sono a Milano sull'Expo, e allora si prende subito questo treno, questo convoglio veloce rappresentato dal decreto-legge e si ficca lì questo tema, perché così ci si mette al riparo dal dibattito, dal confronto e da un'attività emendativa che poteva venir fuori non soltanto da parte dell'opposizione, ma anche da parte della maggioranza. Questo è un altro aspetto importante.
Cosa c'entra la destinazione di risorse al Centro nazionale trapianti? Certo, sono argomenti importanti e fondamentali, ma è urgente un decreto-legge di ottemperanza alle direttive comunitarie? Qual è la procedura di infrazione su questo tema o su quello di prima? Dell'articolo 15 ne abbiamo parlato. Non è che questa non sia una materia importante e su alcune linee possiamo anche trovarci d'accordo, ma questo è un tema e un argomento che avrebbe dovuto avere possibilità di ulteriori riscontri e confronti.
Quante volte noi abbiamo inseguito un dibattito per un approfondimento, sin dalla passata legislatura! Dicevo l'altro giorno anche in Commissione affari costituzionali che manca un quadro di riferimento per quanto riguarda le politiche delle autonomie locali su tali argomenti. Pag. 13La materia va affrontata in termini complessivi, non attraverso un tecnicismo, che certamente può avere una sua valenza, ma è un tecnicismo in astratto.
Vediamo poi che, per quanto riguarda i servizi pubblici locali, l'energia, il trasporto ferroviario regionale e le farmacie comunali sono esclusi dalla disciplina in esame: perché? C'è qualcuno che mi spiega il perché dell'energia? Quando parliamo di servizi economici, perché l'energia viene esclusa? Il trasporto ferroviario regionale, che è un settore fondamentale?
Vi è poi l'articolo 16, relativo all'etichettatura dei prodotti made in Italy: era urgente? Lo inseriamo in un decreto-legge? Signor Ministro, lei sa quanto la rispetti, da moltissimi anni, ma perché queste cose? Non si potevano evitare queste brutture sul piano della dignità e dei rapporti tra Governo e Parlamento?
E poi ancora l'articolo 20, sul commercio dei medicinali, o prima ancora l'articolo 3: vi sono una serie di questioni che ci lasciano perplessi, e in questo momento, non riuscendo a capire quale può essere la profondità della ratio (se vi è una profondità dalla ratio che sottostà al provvedimento in esame), vi è un forte dissenso.
Ma vi è un altro aspetto, vi sono tanti aspetti, signor Presidente: rimane ad esempio il problema della rete idrica. Capisco perché tale argomento è stato ricompreso, la distribuzione, la differenza della proprietà rispetto alla distribuzione, chi gestisce la fontanella, se l'amministrazione o altri, questi temi li abbiamo visti; ma sappiamo, signor Ministro, di star perdendo il 40 per cento delle risorse idriche. Vi è in assoluto un problema: queste cose non possono essere risolte attraverso il provvedimento in esame, con un'ottemperanza in astratto alle direttive comunitarie, laddove su molte di queste, lo ripeto per la terza volta, non vi è nessuna procedura di infrazione. Se vi fossero state su questi temi procedure di infrazione, avremmo emanato subito un decreto-legge e ci saremmo messi in regola: questo sarebbe stato un comportamento da condividere, da seguire, da accettare con molta responsabilità; ma non è questo il caso.
Vi è poi il problema delle quote latte. La relatrice l'ha ricordato con grande parsimonia; ci ha fatto però ricordare quanto abbiamo fatto, il provvedimento che abbiamo discusso e approvato, anche se il mio gruppo ha votato contro; e vi è in corso una polemica, perché secondo alcuni il CIPE avrebbe approvato un provvedimento di dilazione del pagamento di quanto dovuto da pochissimi agricoltori, facendo leva sui fondi FAS. Se vi è un dibattito parlamentare qualcuno ci potrà dire di sì o ci potrà dire di no, ma se non ne abbiamo neppure il tempo! Tutto è affrontato in fretta, tutto è sacrificato all'appuntamento rappresentato dalla scadenza del decreto, ma non vi è dubbio che sono problemi che rimangono profondamente in piedi.
Vorrei, poi, rivolgermi alla mia amica relatrice: la Caremar, la Saremar e la Toremar vanno alle rispettive regioni. Si parla da tanto tempo della privatizzazione della Tirrenia, e io ho avuto la ventura o la sventura - non dico il privilegio - di interessarmi di questi temi quando ricoprivo una posizione di responsabilità in seno al Governo. Mi domando: ma perché alle regioni? Perché affidarle a queste regioni, come la Campania e così via? È una questione regionale? Si pubblicizza attraverso le regioni e non si privatizza? Queste sono un peso? Quale politica bisogna realizzare per il collegamento con le piccole isole? Questo era il discorso forte da affrontare. Voi pensate di risolvere i problemi sul piano tecnico superando quello che è un dibattito di fondo ovvero la privatizzazione della Tirrenia e l'assicurazione del collegamento con le isole. Perché affidiamo queste società alle regioni? A quale titolo? Si faranno azioni per l'ammodernamento della flotta, rimarrà così, o bisogna intervenire economicamente? Queste cose le dobbiamo sapere. Bisogna intervenire economicamente attraverso le regioni.
Vi sono, signor Presidente, altri aspetti che vorrei sottolineare. Per esempio, sono Pag. 14d'accordo in ordine alle Capitanerie di porto. Non si farà mai molto per quello che fanno le Capitanerie di porto, per il ruolo che svolgono, in silenzio, molte volte non fortemente attenzionate e valutate dal Paese. Si è deciso di liberare dei fondi pregressi in questo modo, ma perché non si sono liberati prima questi fondi? Vi era bisogno di un decreto-legge? Perché non definiamo quale deve essere l'azione, il ruolo, e il compito, sempre più da evidenziare, da sottolineare e da espandere, delle Capitanerie di porto-Guardia costiere?
Signor Presidente, signor Ministro, vi è una serie di vicende e di questioni che ci lasciano, quantomeno, perplessi. Vi è l'esigenza - certo - di andare avanti e di stare nell'Europa, ma c'è ancora una giustificazione in ordine al tipo di appalti e degli affidamenti in house (un'altra proiezione dell'appalto pubblico); è un dato d'urgenza anche questo. Sono argomenti, temi, che avrebbero dovuto avere un qualche riscontro all'interno di questo Parlamento, ma non ce l'hanno. Nessuno può pensare che il nostro dissenso, soprattutto le nostre preoccupazioni, sono preconcette. Quando parliamo di Europa avremmo pensato ad un percorso molto più lineare. L'Europa, anche dopo l'approvazione del Trattato di Lisbona, non è nei cuori e nei pensieri delle persone. Vi sono tanti temi, tanti problemi, forse ancora di identità, che lasciano delle zone d'ombra e di grande perplessità. Questo non è, certamente, il modo consono di rispondere a questi interrogativi e preoccupazioni. La maggior parte del popolo italiano non crede nell'Europa, e anche questo Governo - non ce l'abbia con me Signor Ministro - con il provvedimento in esame dimostra di non credere all'Europa. L'Europa è la scusa per varare dei vostri provvedimenti che non hanno trovato cittadinanza nella legge finanziaria. Siccome è stata modificata la finanziaria, e non si è trovato "cittadinanza" a queste tematiche, si è colto questo provvedimento d'urgenza per inserire tali misure all'interno del decreto-legge. Questo non significa esaltare l'Europa, ma il contrario.
Questa è una posizione che va contro a quello che dovrebbe essere l'impegno e l'accordo fra la legislazione del nostro Paese rispetto agli indirizzi ed alle normative europee.
Signor Presidente, questo volevo dire, con un ringraziamento che certamente rinnovo nei confronti dei colleghi e della relatrice soprattutto. Inoltre, vorrei comprendere, anche dalle altre parti politiche - perché prima ha parlato la relatrice e poi è intervenuto Zaccaria, che fa parte dell'opposizione - se vi sia uno straccio di giustificazione circa il motivo per cui noi dovremmo accettare questo provvedimento di urgenza. Io ed i colleghi non abbiamo deciso se dobbiamo votare a favore, contro o astenerci, ma vi è una giustificazione sul piano politico? La relatrice ha svolto la sua relazione, ma vi è una giustificazione sul piano politico?
Signor Ministro, attendo da lei, nella sua replica, una giustificazione. Voglio che lei mi convinca, che convinca il Parlamento sull'urgenza del provvedimento in esame, dopodiché noi ovviamente saremo consequenziali. Ma se questo è un dato, che è un passacarte almeno per un ramo del Parlamento, visto e considerato che la Camera alta ha inserito altri 13, fra articoli e commi, non vi è dubbio che questa situazione non possa essere accettata.
Per questi motivi, signor Presidente, sono in attesa di comprendere, altrimenti vedo certamente una negatività, ma la negatività che più risalta e balza agli occhi di tutti è questa cattiva, pessima utilizzazione dell'Europa per altre cose. Soprattutto - e peggio ancora - queste altre cose dovrebbero essere oggetto di valutazione complessiva da parte del Parlamento e non indicate semplicemente in un decreto-legge per piccole o grandi manovre. Saranno piccole o grandi, ma sempre manovre, che non hanno fatto mai la storia e certamente non la faranno nemmeno in questa occasione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mariani. Ne ha facoltà.

RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, parlerò soprattutto in riferimento Pag. 15all'articolo 15 del presente provvedimento, che dal nostro punto di vista non richiedeva alcuna straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti da atti normativi comunitari o da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee o da procedure di infrazione comunitaria prendenti nei confronti dello Stato italiano. Piuttosto vi sarebbe da dire che in molte altre situazioni vi sono procedure di infrazione comunitaria che stanno incombendo sul nostro Stato senza ricevere risposta, senza trovare soluzioni e rispetto alle quali vi sarà un costo altissimo per il nostro Paese.
Signor Ministro, solo per quello che riguarda il tema ambientale - cito dati riportati al Parlamento nella relazione semestrale sulle procedure di infrazione del Ministro dell'economia, aggiornata al 31 dicembre 2008 -, su un totale di procedure di infrazione che si aggira intorno alle 159 per il nostro Paese, solo per le tematiche ambientali 43 sono le procedure di infrazione, circa il 30 per cento, e tutte si richiamano a temi come rifiuti, discariche, VIA, qualità dell'aria, inquinamento, trattamento delle acque reflue in riferimento alla questione della depurazione; non vi è tra tutti questi - anzi invito anche la relatrice a citarlo se vi è - una procedura di infrazione o un riferimento alla Corte di giustizia sul tema dei servizi pubblici locali, che possa richiamare in questo senso la necessità e l'urgenza di inserire un tema così delicato nel provvedimento in oggetto. L'articolo 15 citato richiama un tema che, occorre precisare, è rimasto quasi esclusivo nella discussione sui servizi pubblici locali. Infatti, sono stati stralciati il tema della distribuzione del gas, il tema della distribuzione dell'energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale, e la gestione delle farmacie comunali. Tutto questo è stato stralciato dalla disciplina di carattere generale sull'affidamento dei servizi pubblici locali di carattere economico.
In pratica è avvenuto un meccanismo inverso a quello che noi auspicavamo. Anche nella discussione del passato Governo si era poi giunti, sul tema dei servizi pubblici locali, alla decisione di provvedere per il tema delle risorse idriche ad una riflessione ben più ampia che tenesse conto di molti altri fattori, e quindi di stralciare tale questione dal tema dei servizi pubblici locali. Invece in questo provvedimento si richiama prevalentemente quell'argomento come discussione di un unico articolo con una implicazione molto forte sia sul piano economico-finanziario sia sul tema della gestione complessiva della materia della risorsa idrica.
La modifica dell'articolo 23-bis del decreto legge n. 112 del giugno 2008, sulla quale il gruppo del Partito Democratico - intendo ribadirlo - si era espresso contrariamente (come è verificabile dai resoconti), doveva avvenire poi attraverso anche la scrittura di regolamenti dei quali non abbiamo avuto più notizie. Come fa osservare infatti l'ottimo Servizio studi della Camera resta inalterata la parte del testo dell'articolo 23-bis che circoscrive il quadro di riferimento costituzionale. In particolare, voglio richiamare il riferimento al diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali e al livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, seconda comma, lettere e) ed m) della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti secondo i principio di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione.
È utile ricordare anche che, a parte i profili di competenza statale che giustificano interventi di una legge di tale rango per servizi locali di rilevanza economica, la materia dei servizi locali è stata riferita alle competenze legislative residuali delle regioni, e in questo senso vi sono sentenze della Corte costituzionale del 2004, 2006 e 2009. Fatta la cornice di riferimento costituzionale, è già evidente la difficile collocazione della materia che l'articolo 15 vuole normare in un provvedimento che doveva adeguarsi agli obblighi comunitari.
Mancano infatti ragioni di urgenza, il riferimento ad infrazioni nei confronti delle direttive comunitari, obblighi comunitari di altro tipo che vadano a giustificare Pag. 16un così superficiale e miope - diciamo noi - inserimento della materia acqua e servizi relativi nel contesto del decreto. Riguardo alla tutela ed all'uso delle risorse idriche in generale il decreto legislativo n. 152 del 2006 stabiliva per la materia di acque superficiali e sotterranee precise norme in riferimento alla proprietà da parte dello Stato, e richiamava, senza indicazioni complete, il valore della risorsa da tutelare e da utilizzare con criteri di solidarietà, anche salvaguardando aspettative e diritti delle generazioni future, anche facendo riferimento all'integro patrimonio ambientale.
Quel decreto n. 152 - che si definisce meglio codice ambientale - inserisce nelle proprietà demaniali dello Stato le infrastrutture idriche (acquedotti, fognature, impianti di depurazione) e all'articolo 150 disciplina la scelta delle forme di gestione del servizio idrico integrato, e negli articoli successivi si disciplinano le autorità di ambito, forme di convenzione per la gestione dei servizi, concessioni, tariffe, modalità di investimento. Insomma, stante la normativa vigente (il decreto n. 152 del 2006, rispetto al quale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - intendo ribadire anche questo aspetto - ha chiesto al Parlamento delega per modifiche e correzioni entro il giugno del 2010), non è giustificato il contributo aggiuntivo della disposizione in esame. Questa disposizione non permette di far riferimento ad un quadro organico, chiaro ed esaustivo della materia che concerne il tema delle risorse idriche. Nel pasticcio costruito si trascura poi di far riferimento ad una delle questioni che sta alla base della chiara, giusta (e sottolineo «giusta») e trasparente regolazione di qualsiasi settore vada incontro alla definizione degli interessi dei cittadini, dei lavoratori, delle imprese, cioè quella di un'autorità indipendente come garante dei diritti e degli interessi in gioco.
Guardate, questo tema è molto sentito in questo periodo, ma se facciamo mente locale a quelli che sono i servizi pubblici locali ai quali ancora manca un ente di regolazione (penso all'acqua, penso anche ai trasporti locali e ai rifiuti) possiamo dedurne che sono i servizi che hanno costituito i maggiori motivi di scontento sia da parte dei cittadini sia da parte delle imprese. Questo vorrà pur dire qualcosa. Anzi, si elimina la competenza al comma 2 dell'articolo 15, della Commissione nazionale per la vigilanza delle risorse idriche sul parere preventivo per le concessioni e gli affidamenti in house, senza sostituirla, magari ampliandone i poteri ed affidando risorse ed autonomia, ma anzi si negano le competenze, e riducendo il tema ad un mero confronto di carattere economico e concorrenziale, di fatto si affida la questione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Noi contestiamo in radice questo modus operandi. Non è giustificabile un legislatore che, di volta in volta, sottragga alla chiarezza, alle regole comuni e alle competenze istituzionali - mi riferisco anche ai rapporti tra Stato e regioni - la definizione di norme così delicate.
Parlare di acqua e fare riferimento al complesso contesto che nel nostro Paese si è organizzato attorno all'infrastrutturazione idrica e all'erogazione di servizi strategici ed essenziali come quelli ricompresi nell'espressione servizi idrici integrati, significa, dal nostro punto di vista, precisare una volta per tutte quale deve essere il ruolo pubblico. È senz'altro irresponsabile non definire un quadro organico normativo in un approccio che guarda ai mutamenti climatici con una certa preoccupazione, alla tutela delle risorse naturali con maggiore consapevolezza, al loro risparmio e valorizzazione come una nuova forma di economia.
Ancora una volta, supplicando il Governo di tenere conto del nostro punto di vista, chiediamo al Ministro dell'ambiente un sussulto di responsabilità e un'alleanza per far sì che l'articolo 15 venga stralciato da questo decreto-legge.
A circa quindici anni dalla sua emanazione vorremmo poter fare un bilancio della cosiddetta «legge Galli», la legge n. 36 del 1994, e andare a verificare (ma, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti) se sono ancora valide le ragioni per cui Pag. 17quella legge era stata varata, cioè soprattutto per uniformare nel nostro Paese la realizzazione di essenziali infrastrutture idriche (acquedotti, fognature e impianti di depurazione) e quali correttivi introdurre. È logico, è produttivo, è utile agire così? Siamo assolutamente convinti che non lo sia e che non sia opportuno che il Parlamento affronti la complessa materia della tutela e valorizzazione e della distribuzione delle risorse idriche riducendola a un problema esclusivamente organizzativo. E non è opportuno che lo faccia con il livello di pressappochismo e di scarsa chiarezza dimostrata nell'articolo 15.
Rimanendo all'analisi di questo articolo, inserito in questo provvedimento senza alcuna evidente motivazione d'urgenza, dobbiamo insistere ad affermare che anche se fosse stato necessario completare un quadro giuridico avviato, purtroppo, con l'approvazione dell'articolo 23-bis, in questo modo non è stato possibile definire lo stesso quadro giuridico. Vorremmo avere visto un quadro giuridico compiuto; infatti, manca l'analisi approfondita del sistema di regolazione che deve assolutamente fare il paio con l'idea di liberalizzazione che vorreste affermare.
Devo sottolineare che nell'esame che si è svolto in Commissione alla Camera non abbiamo avuto neanche la possibilità di svolgere delle audizioni, ma leggendo attentamente le audizioni che si sono svolte al Senato è molto evidente la critica, da parte di tutte le categorie audite, industriali, economiche e sociali, circa il fatto che non si tratta di una liberalizzazione, ma esclusivamente di una privatizzazione. Da queste categorie è venuto un richiamo fortissimo all'esigenza di un meccanismo di regole chiare e certe, di un sistema di regolazione che è dato in tutti i Paesi occidentali.
La questione dell'Autorità di regolazione indipendente appare prioritaria rispetto a qualsiasi destino si voglia definitivamente prospettare per il servizio idrico integrato. Secondo quanto affermava il Ministro Fitto pochi giorni fa, quando ha risposto alle nostre obiezioni in Commissione, questo avverrà entro un mese per mezzo di un regolamento, come se si possa istituire un'Autorità di regolazione con regolamento, senza il confronto con il Parlamento e con gli altri Ministeri. Fra due o tre mesi saremo in grado di chiudere questa partita, tutta sottratta alla discussione e alla verifica degli organismi competenti.
Non vogliamo essere beffati su argomenti di importanza fondamentale; vorremmo che si facesse chiarezza a priori, in prima istanza sul servizio che viene offerto, rispetto agli standard di qualità prefissati e se lo stesso servizio, ricevuto e pagato appropriatamente, si collochi nella media del nostro Paese e nella media europea.
I dati che ci vengono offerti dal bilancio dell'Autorità per la vigilanza dei servizi idrici alla fine dello scorso anno denotano una differenza abissale tra le diverse regioni del nostro Paese, in termini di tariffe e di qualità dei servizi offerti. Più della metà dei cittadini italiani non ha ancora a disposizione servizi di depurazione adeguati. Stiamo parlando della salute dei cittadini italiani, stiamo parlando di servizi essenziali che avranno un costo notevole, e ciò prima ancora di stabilire di che natura, pubblica o privata, deve essere l'origine di chi offre il servizio.
Non è cosa poco, signor Ministro, lo testimoniano le esperienze in altri servizi meno strategici rispetto a quello di cui stiamo discutendo: mi riferisco ai servizi di erogazione di gas ed energia in senso positivo, ma anche a società autostradali e aeroportuali in senso negativo.
In questi casi tariffe, investimenti e servizi sono oggetto di continui contenziosi tra Governo e concessionari, con risultati che quasi mai - direi mai - sono andati a favore dei cittadini italiani. In queste ore, come già citato in Commissione affari costituzionali in questi giorni, in un braccio di ferro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e quello dell'economia e delle finanze si sta giudicando se sia opportuno aumentare le tariffe delle concessionarie aeroportuali. In questo momento, il Ministro dell'economia chiede, prima di dare l'avallo ad una delibera del Pag. 18CIPE, la dimostrazione che gli investimenti promessi siano stati fatti - e si faranno - a dimostrazione che il rincaro di quelle tariffe non comporti solo un aiuto per le aziende private e nessun sostegno per la qualità del servizio ai cittadini.
L'esternalizzazione dei servizi e il miglioramento delle attività, attraverso la costituzione e la partecipazione di organismi terzi rispetto agli enti, spesso non rispondono a ponderate esigenze come diceva la Corte dei conti in una relazione definitiva in materia di servizi pubblici locali, alla fine dell'anno scorso. La Corte dei conti ribadiva che questa definizione non risponde, appunto, a ponderate esigenze di definizione di nuovi assetti organizzativi e gestionali, né di revisione degli indirizzi strategici e degli obiettivi istituzionali (quello che vorremmo noi, in questo caso, prima di iniziare una partita così delicata). Talvolta, questa esternalizzazione costituisce solo una risposta spontanea ad estemporanea a necessità derivanti da criticità di bilancio e, soprattutto, a difficoltà nel rispetto degli obblighi comunitari in tema di finanza pubblica (mi riferisco, appunto, ai temi di finanza pubblica). Tutto questo ha a che vedere con la creazione di quei nuovi modelli gestionali depurati dai criteri di efficacia, di efficienza e di economicità. Insomma, ci sembra che ve ne sia abbastanza per dire che la prudenza e anche la necessità di una maggiore riflessione fossero attinenti al buon senso e anche al desiderio di condividere un percorso che sicuramente non trovava ostacoli ideologici, ma cercava soltanto di voler discutere con pacatezza di un argomento così prezioso.
Poi è necessario andare a vedere bene, come dicevo prima, anche i giudizi delle associazioni di categoria. In quel caso, molti degli approfondimenti che sono stati fatti eccepiscono modalità di gara e la capacità di potersi adeguare in un tempo così breve. Tenete presente che le associazioni di categoria riguardo agli ambiti territoriali ottimali nel campo delle risorse idriche fanno notare che il 51 per cento della gestione dei servizi idrici fa capo a società in house, cioè al sistema pubblico. In quel caso, già più di 23 ATO hanno avuto segnalazione dalla BEI dello stop dei finanziamenti necessari rispetto agli investimenti previsti e rispetto, in alcuni casi, anche alla manutenzione ordinaria. Ci domandiamo come sarà possibile, nei prossimi due o tre anni, che quei sistemi pubblici, quelle imprese, quei lavoratori e quei cittadini, che dovranno usufruire del miglioramento della qualità dei servizi, ma anche di investimenti e, quindi, anche di lavoro, potranno supplire allo stop dei finanziamenti. Siamo, perciò, tutti convinti, in questo caso, della necessità di un'autorità di regolazione di settore in grado di disciplinare gli investimenti, come stavo dicendo, ma anche le tariffe.
Proprio oggi, su uno dei principali giornali italiani, si parla di un business per i servizi pubblici locali che fa riferimento, credo, a circa 3 miliardi di euro. Ma anche in questo caso, laddove si muovano i soliti tre o quattro grandi gruppi economici del nostro Paese, si fa riferimento a un quasi certo aumento delle tariffe per i cittadini italiani. Questi, naturalmente, vedranno sottratta ad un'equilibrata discussione e anche ad un equilibrato bilanciamento delle forze in campo una discussione che chiede solo un quadro organico e regole certe. Vi deve essere coerenza con il funzionamento dei mercati azionari e, nel caso delle liberalizzazioni, servono anche meccanismi che possano coinvolgere società senza obblighi e, in questo caso, ci permettiamo di far rilevare che sembra dubbia anche l'ingerenza dello Stato in meccanismi societari che, in qualche modo, non hanno ancora prospettive industriali chiare, ma che vengono coinvolti in gare in maniera obbligatoria dalla legge, così come viene appunto indicato.
Pensiamo che questo meccanismo comporterà dei ricorsi e che comunque nei prossimi due o tre anni complicherà la vita a un sistema pubblico che già ha già grandissime difficoltà ad evolversi e ad adeguarsi anche ad un sistema più evoluto di servizi locali. Certo è che con questo meccanismo si è voluta assolutamente eliminare la possibilità di fare chiarezza. Pag. 19
Si è anche sottolineato più volte che questo è un modo molto frazionato di procedere. Faccio l'esempio del tema dell'acqua, una materia che doveva essere normata nel Codice ambientale. Il Ministro ha chiesto una delega però, nel frattempo, nel "decreto Abruzzo" è stato modificato il nome dell'Autorità di vigilanza per le risorse idriche che adesso si chiama «Commissione di vigilanza per le risorse idriche». È stato cambiato il nome e sono cambiati i membri della Commissione, ma tutto è servito probabilmente solo a quello, perché le competenze dell'autorità rimangono quelle di verificare e di relazionare sui servizi idrici nel nostro Paese. Si è naturalmente cercato di evitare che ciò potesse avvenire e, nello stesso tempo, ci si è avventurati nella scrittura dell'articolo 15.
Nel frattempo, le valutazioni che sono state fatte in altri campi - anche attraverso nuove competenze in riferimento all'organizzazione dei contratti, alla presenza di scarsa chiarezza rispetto alle modalità di società miste che dovranno gestire questi servizi - non trovano risposte, ma soltanto materia per contenziosi e probabilmente anche per il dispendio di risorse non indirizzate sicuramente al miglioramento della qualità dei servizi.
In questo senso, vogliamo sottolineare ancora una volta quanto siano gravi questo meccanismo e questo modo di legiferare che, secondo noi, nasceva già con una premessa sbagliata anche nell'articolo 3 che fa riferimento alle concessionarie autostradali. Infatti, fa sempre tutto parte della medesima filosofia: anche in quel caso non c'erano riferimenti ad obblighi comunitari, ma si è dovuto rispondere probabilmente ad una chiamata che, con un certo fastidio delle società concessionarie private, vedeva in questo caso il conflitto di competenze tra ANAS, controllore e controllato e le regioni coinvolte nelle concessionarie autostradali.
Questo è vero, ma è vero sempre, e non solo nel caso in cui il danno riguardi le società private concessionarie di società autostradali. Sarebbe stato giusto dirimere tale situazione ed un Governo avrebbe potuto occuparsi anche di questo, visto si sono tenute in considerazione soltanto le società CAV e CAL, le due società concessionarie autostradali delle regioni Lombardia e Veneto.
Si è cercato soltanto di limitare il danno e di evitare che altre regioni abbiano la possibilità invece di organizzarsi riguardo ai concessionari autostradali senza cercare di mettere in chiaro le competenze dell'ente regolatore, ossia di quell'ente che dà la concessione e di quello che invece ha l'affidamento delle concessioni autostradali.
Insomma, in tutto questo vediamo un disegno molto lucido, che è quello non certo di chiarire e creare regole, dando un quadro organico dei settori, ma, semmai, quello di favorire alcuni gruppi (sempre gli stessi, tra l'altro, perché è facile anche riportare interessi di gruppi nei settori economici strategici del nostro Paese).
Da questo punto di vista, è inaccettabile che si voglia anche paludare un argomento che non ha niente a che vedere con l'urgenza e con gli obblighi comunitari, all'interno di un calderone che dimostra che anche questo è un decreto omnibus, che non vi sono necessità di altro tipo, ma che risponde soltanto, in maniera molto superficiale, ad un'esigenza che non è quella di tutti i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, il disegno di legge al nostro esame converte in legge, con modificazioni, il decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Le numerose disposizioni di vario contenuto previste dal testo sono accomunate da una medesima finalità, che è quella di adeguare l'ordinamento italiano a direttive comunitarie, anche alla luce di sentenze della Corte di giustizia o di procedure di Pag. 20infrazione avviate dalla Commissione europea contro l'Italia.
Fra le misure contenute nel provvedimento, è di particolare rilevanza quella contenuta nell'articolo 15 del decreto-legge, relativa alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali: si tratta di una riforma più volte tentata nel passato e che, grazie a questo provvedimento, raggiunge un traguardo significativo, rendendo maggiormente competitivo tale settore, con benefici per i cittadini nonché per le municipalità e gli altri enti territoriali. Non è un caso che il presidente dell'ANCI, in sede di assemblea nazionale dell'associazione, abbia espresso un giudizio positivo sulla riforma al nostro esame.
Inoltre, nei diversi articoli del provvedimento vengono toccati altri punti nevralgici della vita produttiva del Paese, a partire da quello ambientale, con le misure relative allo smaltimento di materiali derivanti da veicoli fuori uso, all'innovazione tecnologica per la riduzione delle emissioni da parte delle imprese, alla creazione del nuovo modello unico per dichiarazione ambientale dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Di rilievo sono anche le norme relative all'etichettatura, alla presentazione e alla pubblicità dei prodotti alimentari, ai controlli di sicurezza alimentare e alla difesa del made in Italy contro un utilizzo facile della denominazione. Significativa e importante è anche una nuova normativa del telemarketing e del teleselling, che offre agli utenti la possibilità concreta - e non meramente teorica - di evitare comunicazioni indesiderate, senza intenti punitivi nei confronti del mercato e degli operatori corretti.
Viene superata, infatti, l'attuale disciplina del consenso basato sul criterio cosiddetto dell'opting in, una disciplina inapplicabile e sistematicamente elusa che ha determinato una sorta di far west telefonico, che il legislatore nel febbraio scorso, ha dovuto riconoscere e, in qualche modo, legalizzare estendendo - in deroga al codice della privacy - il libero utilizzo delle banche dati costituite utilizzando gli elenchi telefonici pubblicati prima del 1o agosto 2005. Si tratta di una deroga che però viola la normativa comunitaria: ecco le ragioni di una riforma che passa al criterio dell'opting out, mutuata dall'esperienza inglese, che rende difendibile ed esercitabile il diritto alla privacy. È una riforma che riprende in larga parte la proposta bipartisan presentata qui alla Camera dagli onorevoli Della Vedova e Gozi.
Non mi dilungo oltre nell'elencare le diverse misure contenute nel provvedimento: la relatrice e il dibattito hanno già trattato nel merito tutte le misure al nostro esame. Rispetto all'utilizzo della decretazione d'urgenza da parte del Governo, voglio sottolineare con forza che è proprio l'articolo 10 della legge n. 11 del 2005, la «legge Buttiglione», relativa alla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea (le procedure di esecuzione degli obblighi comunitari) a prevedere la possibilità del ricorso a misure urgenti, quindi alla decretazione d'urgenza, come del resto è già avvenuto non solo nel 2008, onorevole Zaccaria, ma anche nel 2007 da parte del Governo Prodi, non solo per rispondere a procedure di infrazione comunitaria in corso, ma anche per adeguare le materie considerate prioritarie non ricomprese nella legge comunitaria annuale.
La disciplina dei servizi pubblici locali - lo sottolineo con ancora più forza - è considerata un obiettivo prioritario dalle direttive e dai regolamenti comunitari e dallo stesso Trattato di Lisbona.
Al di là di queste ragioni che attengono alle direttive, ai regolamenti e al Trattato di Lisbona, vorrei che venisse anche considerata una necessità, che è quella di dare risposte a una duplice esigenza: una risposta al mercato che chiede alle istituzioni un pronto recepimento delle norme comunitarie, ormai parte integrante della vita di tutti giorni e parte essenziale della vita del mondo produttivo; e la risposta alle istituzioni comunitarie che ci impongono con ferma determinazione un adeguamento corretto e nei termini, al fine di Pag. 21permettere quell'integrazione fra ordinamenti che è la base stessa della costruzione europea.
L'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in base alla nuova riforma, dovrà basarsi su procedure ad evidenza pubblica, mentre l'affidamento senza gara, cosiddetto in house, rimane un'opzione residuale nei casi che non permettano un ricorso efficace al mercato, previo parere non vincolante dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Si tratta di un progresso nella direzione più volte auspicata: limitare i monopoli comunali e, quindi, la gestione diretta dei servizi pubblici locali, e favorire una maggiore concorrenza.
L'impostazione della riforma è basata su un dibattito che ormai dura da molti anni e che però finora non ha portato a nulla solo perché sono mancate sotto gli altri Governi le condizioni politiche per realizzare questa riforma. La riforma prevede un passaggio graduale, ma inesorabile, alle gare ad evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi pubblici locali che sperimenteranno una effettiva concorrenza con effetti benefici per gli utenti.
La nuova disciplina esclude, oltre alla distribuzione del gas come previsto dalla normativa previgente, anche la distribuzione di energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali dalla disciplina di carattere generale sull'affidamento dei servizi pubblici locali di carattere economico; tali settori sono esclusi perché sono già regolamentati in linea con le direttive comunitarie, che tengono già conto dei principi di universalità, accessibilità e tutela del consumatore quanto a prezzo e qualità dei servizi. Questo credo che vada sottolineato.
Alcuni aspetti della normativa prevista dalla legge n. 133 del 2008, la normativa previgente, hanno suscitato dubbi interpretativi e applicativi ed è proprio questa una delle ragioni di fondo che ha indotto il Governo ad intervenire con urgenza per correggerla, come ha ricordato il Ministro Fitto nella discussione presso la Commissione affari costituzionali della Camera rispondendo a quanti hanno messo in dubbio l'esistenza di presupposti di necessità e urgenza del decreto-legge. Lo cito tra virgolette: «il Governo ha incontrato, infatti, forti difficoltà nella predisposizione dei regolamenti attuativi dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, il cui testo, prima che il presente decreto-legge lo modificasse, non era quello voluto dal Consiglio dei ministri, bensì quello significativamente diverso risultante dall'esame parlamentare della legge di conversione. Se non si fosse modificata la base legislativa di riferimento i regolamenti attuativi avrebbero rischiato di essere travolti da ricorsi amministrativi». Questa è una delle ragioni che ha portato il Governo ad adottare questo decreto-legge inserendo questa norma. «Per queste ragioni - concludeva Fitto - considerando che il termine per la cessazione delle gestioni dirette da parte dei comuni era fissata al 31 dicembre 2010 e che il tempo a disposizione rischiava di non essere sufficiente per modificare la legge con un provvedimento ordinario, il Governo ha ritenuto necessario intervenire con urgenza».
L'opposizione contesta questa affermazione di Fitto, ma vorrei far loro presente che questa al nostro esame è una normativa cornice, poi esistono anche le competenze regionali. Non è possibile che noi dobbiamo sempre essere presi con l'acqua alla gola dall'Unione europea e arrivare sempre a tempo già scaduto o che sta per scadere entro pochissimi giorni. Dobbiamo adeguare la nostra normativa con tempestività.
Qui vengo ad una questione ulteriore, signor Presidente, che riguarda il nostro Parlamento. Il collega Zaccaria ha detto che avrebbero dato il loro consenso se si fosse proceduto con un disegno di legge ordinario a data concordata. Onorevole Zaccaria, ma per far questo bisogna cambiare i Regolamenti parlamentari! Il nostro gruppo, il gruppo di maggioranza relativa, all'inizio della legislatura, avendone addirittura discusso con una proposta in campagna elettorale, ha presentato Pag. 22con le prime firme dell'onorevole Cicchitto e dell'onorevole Bocchino una riforma dei Regolamenti parlamentari.
Circa il dibattito sulla fiducia, personalmente ho affrontato questo tema in particolare con l'esigenza di introdurre -, udite, udite! - la corsia preferenziale di spadoliniana memoria, cosa che ancora non c'è nei nostri Regolamenti. La corsia preferenziale si potrebbe utilizzare, per esempio, in modo particolare per la questione degli adempimenti comunitari, quando non si procede con legge comunitaria annuale per esigenze urgenti, ove non ci sia necessità dell'immediata entrata in vigore della norma, ma solo quella di avere una data certa di esame e conclusione del provvedimento. Si potrebbe procedere con la corsia preferenziale, ma si dovrebbe prevedere lo stesso tempo della decretazione d'urgenza. Certo, ovviamente con la flessibilità che una norma di questo tipo potrebbe avere, perché una corsia preferenziale che dura 60 giorni può avere l'eccezione di durare 60 giorni e una settimana, o dieci giorni o quindici giorni in più, se necessario; cosa che non è possibile per i decreti-legge che hanno la spada di Damocle dei sessanta giorni.
Se ci si oppone ad introdurre queste modifiche nel Regolamento, perché poi ci si lamenta che questo Governo torna a fare ciò che hanno fatto anche i Governi di centrosinistra. Non voglio fare la contabilità di chi ha utilizzato di più il decreto-legge, se l'uno o l'altro Governo.
C'è una tendenza oggettiva e dobbiamo capire che in un sistema parlamentare, Presidente Buttiglione - io sono un cultore del sistema parlamentare, sono anche un grande ammiratore del sistema presidenziale americano, ma lo ritengo difficilmente importabile - se vogliamo difendere le prerogative del Parlamento, dobbiamo riflettere sul modo in cui perseguire tale obiettivo, perché abbiamo un'esigenza che deriva dalla necessità di competere a livello internazionale, di assumere in una democrazia governante un Parlamento decidente, che deve decidere in tempi rapidi e certi. Questo può avvenire senza urtare le prerogative del Parlamento, ma esaltando il ruolo del Parlamento, se si prevedono procedure ad hoc che evitino il fenomeno che i costituzionalisti dipingono ormai come la cosiddetta fuga del Governo dal Parlamento, cioè la tendenza, non di questo Governo, ma dei Governi in generale, di tutto il mondo, di assumere decisioni fuori dal Parlamento. In Italia, infatti, abbiamo i decreti-legge, le deleghe, il CIPE, il sistema delle Conferenze Stato-regioni ed unificata, i maxiemendamenti e le questioni di fiducia.
Se vogliamo rispondere a tutto ciò che, lo ripeto, non è un capriccio, ma è un'esigenza del nostro Paese che deve competere anche a livello internazionale, dobbiamo disciplinare le procedure in modo tale che si abbia un Parlamento decidente. In un sistema parlamentare, onorevole Buttiglione, il motore del procedimento legislativo è il Governo; nel sistema presidenziale, invece, è il Congresso. In tutti i sistemi parlamentari il motore è il Governo; bisogna riconoscerlo e portare il Governo in Parlamento con procedure che disciplinino le decisioni, sia quelle legislative, sia quelle non legislative, perché vi è anche la crisi della legge e molte decisioni non vengono più assunte attraverso la legge. Anche questo, però, si può mutare perché con atti di indirizzo possiamo portare in Parlamento anche decisioni non legislative; tuttavia, a tal fine, lo ripeto, è necessario mutare radicalmente i regolamenti parlamentari e fare del Governo il soggetto principale del Regolamento della Camera.
Nei nostri regolamenti, in base ad una teoria assemblearista della prima Repubblica, c'era e c'è ancora, purtroppo, il complesso del tiranno che ci impedisce di varare una riforma del sistema parlamentare che esalti le prerogative e le possibilità di intervento del Parlamento. Allora, rimuoviamo gli ostacoli alla discussione della riforma del Regolamento perché, anche se certamente attraverso la riforma costituzionale si può fare ancora di più, già molto, anzi moltissimo si può fare attraverso la via regolamentare. Facciamolo subito, perché aspettiamo? Prevediamo, codifichiamo le procedure di decisione Pag. 23atte a far sì che il Governo e il Parlamento possano decidere in tempi celeri, rapidi, ma dando al Parlamento la possibilità di intervenire.
Su questo decreto-legge il Senato è intervenuto; del resto, sappiamo che quando si discute un decreto-legge il primo ramo del Parlamento ha una possibilità di intervento che, invece, difficilmente ha il secondo ramo. È ovvio: è difficile fare tre o quattro letture di un decreto-legge che ha una scadenza di sessanta giorni; pertanto, vogliamo prevedere corsie preferenziali che esaltino il ruolo del Parlamento. Certamente si tratta di concentrare le discussioni sugli argomenti più importanti, di non disperdersi in mille rivoli, considerato che attualmente, credo, dedichiamo un terzo del tempo agli ordini del giorno: è una cosa assurda, concentriamo il tempo parlamentare per decidere le grandi questioni. Diamo al Governo le procedure atte a decidere in Parlamento, perché altrimenti la fuga del Governo dal Parlamento sarà inevitabile, come è una tendenza in tutti i Parlamenti.
Voglio svolgere questo ragionamento, signor Presidente, perché in molti sedicenti cultori del sistema parlamentare vedo una difesa di un veteroparlamentarismo che non ci porta da nessuna parte. Ho ascoltato delle affermazioni che mi lasciano veramente sconcertato, come quella che il Governo dovrebbe fornire le coperture finanziarie alle leggi di spesa di iniziativa parlamentare, ma è una concezione del Governo come bancomat del Parlamento, non è una concezione parlamentare, è una concezione antiparlamentare! In tal senso, abbiamo considerato l'emendamento presentato alla riforma della legge n. 468 sulle norme di contabilità che voleva riservare al Parlamento il 30 per cento dei fondi dedicati alle leggi di spesa da realizzare.
Una concezione più antiparlamentare di questa non esiste, in quanto il Parlamento è dominus al 100 per cento. Cosa vogliamo fare, la riserva indiana del 30 per cento per le leggi del Parlamento? È una concezione che non sta né in cielo, né in terra e non è così che si difendono le prerogative del Parlamento. Se vogliamo, dobbiamo modernizzare le nostre istituzioni e solo modernizzandole, arriveremo ad una vera difesa delle prerogative parlamentari. Allora, si abbandonino le logiche veteroparlamentari e veteroassembleariste, ragionando al riguardo e assumendo come modello il sistema parlamentare inglese e gli altri sistemi parlamentari. Volete sapere in Francia cosa c'è? Non lo dico, perché voglio che si introduca questa norma in Italia; voglio, tuttavia, ricordare che le proposte e gli emendamenti formulati dai membri del Parlamento francese non sono ammissibili quando la loro adozione abbia per conseguenza sia una riduzione delle entrate, sia la creazione o l'aggravamento di un onere pubblico. Addirittura, in Francia i parlamentari non possono presentare leggi di spesa: addirittura presentarle! Io non sto dicendo ciò e me ne guardo bene. Tuttavia, da qui alla situazione che abbiamo ce ne vuole; credo che dovremmo porre in essere una profonda riforma del nostro Parlamento modernizzandolo, prevedendo procedure finalizzate ad avere un Parlamento decidente, una democrazia governante in cui si porta il Governo a decidere in Parlamento, assicurando tempi certi di decisione per quanto riguarda determinate esigenze che derivano da una situazione, anche di competitività internazionale, che non possiamo assolutamente ignorare (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, sul settore dei servizi pubblici locali, ovvero più esattamente dei servizi di interesse generale che hanno rilevanza economica, la discussione nel nostro Paese è aperta da anni. Tanti sono stati i tentativi di riforma, molti sono abortiti e credo che il nostro dovere principale, sia in sede legislativa, sia in sede di indirizzo politico per questo Paese, è cercare di capire perché questo settore è così difficile da riformare e anche da far funzionare bene, almeno farlo funzionare bene in modo omogeneo Pag. 24in tutte le parti d'Italia. Infatti, non è vero neanche che in tutta Italia questi servizi siano sempre un disastro.
In Parlamento, abbiamo svolto un dibattito interessante, approfondito, tranquillo e sereno tra il 21 e il 23 settembre in occasione di alcune mozioni parlamentari. Vorrei cercare, assieme ai colleghi che mi hanno preceduto, di usare anche questo spazio per affrontare un dibattito sereno. Il Partito democratico e le opposizioni sono convinti che sull'articolo 15 inserito nel decreto-legge il Governo e la maggioranza stiano compiendo uno sbaglio, come dicevo fin dall'inizio. Tuttavia, usiamo questo spazio per cercare non solo di convincerli, ma anche di svolgere con tutto il Parlamento una riflessione su questo settore. Negli ultimi anni, il principio guida di tutti i tentativi di riforma è stato di tipo proconcorrenziale. La mia opinione che vorrebbe anche essere un suggerimento, in questa riflessione che spero possa essere il più possibile serena e comune, è che questo è stato un errore. Infatti, nel settore dei servizi di interesse economico generale non vale soltanto l'interesse di tipo proconcorrenziale, ma esistono altri interessi pubblici che sono perlomeno equiordinati dal punto di vista della priorità politica, se non del rango costituzionale. C'è un interesse pubblico per garantire l'universalità del servizio, la trasparenza e l'equità delle tariffe; c'è un interesse pubblico altrettanto rilevante affinché gli amministratori locali (sindaci e presidenti di provincia e regione) minimizzino i rischi di interruzione e di discontinuità nell'erogazione di servizi che tanto rilievo hanno nella vita quotidiana delle città e dei territori e di cui, alla fine, è sempre responsabile per la comunità amministrata il politico eletto e non l'Authority, o l'ATO, o il consorzio, o l'azienda concessionaria.
Quindi, è interesse pubblico che sindaci e presidenti di provincia e rappresentanti locali democraticamente eletti possano minimizzare i rischi di interruzione, di discontinuità di questi servizi. È poi c'è un interesse per un'evoluzione industriale e tecnologica del comparto, perché in questo comparto l'evoluzione industriale e tecnologica ha grandissimo rilievo; questo è il comparto da cui dipende l'ecosostenibilità delle nostre città, da cui dipende un buon andamento degli investimenti di manutenzione delle infrastrutture esistenti e di costruzione di nuove infrastrutture da cui dipende infine la qualità, per esempio, del servizio idrico, la qualità dell'acqua, la qualità della depurazione idrica, la qualità dei servizi ambientali e quindi una qualità dei servizi che ha impatto rilevante sulla qualità di risorse comuni fondamentali per la vita delle nostre comunità.
Tutti questi interessi, signor Presidente, li ritengo legittimi almeno quanto quello proconcorrenziale. Essi richiedono di tener conto, quando si affronta il settore dei servizi di interesse economico generale, innanzitutto delle norme settoriali, perché, al loro interno, questo comparto è molto eterogeneo sia dal punto di vista dei processi produttivi sia dal punto di vista delle tecnologie industriali e dei prodotti; è completamente diverso, ad esempio, il trasporto su gomma da un acquedotto piuttosto che una ferrovia regionale o una metropolitana urbana da un servizio di raccolta e smaltimento rifiuti e quindi occorrono norme settoriali ed è per questo che le norme di tipo puramente proconcorrenziale, come di nuovo questa dell'articolo 15 e come altre precedenti che nelle passate legislature si è cercato di fare, hanno un limite, si scontrano contro la durezza delle questioni settoriali.
Bisogna, inoltre, tener conto di adeguate norme di regolazione dei mercati; al riguardo, solo uno scolastico libro di testo potrebbe pensare che basti enunciare la parola liberalizzazione per avere più efficienza su questi mercati. Questi sono mercati non di concorrenza ma mercati in cui prevalgono posizioni di monopolio naturale ovvero beni di merito ovvero asimmetrie informative, e quindi, qualsiasi sia l'assetto dei mercati, al centro di questo assetto ci vuole una buona regolazione dei mercati stessi.
Una vera politica di liberalizzazione, di modernizzazione di questo comparto non può procedere senza un'avanzata politica Pag. 25di regolazione degli stessi. E su questo, signor Presidente, dobbiamo ammettere, come legislatori, che il Parlamento dovrebbe davvero rimboccarsi le maniche; quello che manca in Italia non è solo e non tanto una politica proconcorrenziale ma una manutenzione normativa di norme fondamentali che regolano questo settore e non mancano gli esempi. L'onorevole Mariani ne ha citati tanti prima di me, ma ne vorrei aggiungere altri rispetto a quelli portati dall'onorevole Mariani che sono rilevanti, perché relativi al settore dell'ambiente, quindi all'impatto che i servizi ambientali hanno anche sul rispetto da parte dell'Italia delle normative comunitarie in tema di inquinamento, di uso del territorio, di discariche, di trattamento di rifiuti e via seguitando; vi sono anche molti esempi tariffari che potrei fare; per esempio la tariffa d'igiene ambientale, quella che abbiamo introdotto se non mi sbaglio con il decreto Ronchi del 1997 ormai a dieci anni di distanza, sappiamo che non funziona.

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. L'altro! Precisiamo sempre!

MARCO CAUSI. L'altro Ronchi, l'altro Ronchi! Il decreto Edo Ronchi del 1997. Sappiamo, a dieci anni di distanza, che non funziona. C'è stata una recente sentenza della Corte costituzionale in materia di IVA sulla tariffa di igiene ambientale, vi sono nuove norme ambientali maturate durante la legislatura 2001-2006, e che quindi il ministro Ronchi, il ministro Andrea Ronchi, conosce bene, una serie di normative ambientali europee che impattano sulla tariffa per quanto riguarda il costo del conferimento in discarica, per quanto riguarda il cosiddetto post mortem sulle discariche, tutti questi costi tariffari mettono in grandissima difficoltà tanti comuni.
Signor ministro, rappresentante del Governo, relatrice, sappiamo bene per esempio che uno dei temi dell'attuale emergenza rifiuti in tanti comuni della provincia di Palermo deriva dal fatto che quei comuni non hanno fatto ed hanno difficoltà a fare gli adeguamenti tariffari necessari poi a pagare la discarica peraltro pubblica, in cui conferiscono i rifiuti perché non hanno i soldi o non hanno fatto gli adeguamenti tariffari.
Quindi, accanto al tema della tariffa ambientale, del rapporto tra tariffa ambientale, ciclo dei rifiuti e sostenibilità del servizio, vi è un tema che credo altrettanto importante, quello della promozione della concorrenza in questo settore. Infine, per chiudere il capitolo regolazione, molti di questi settori sono ancora senza autorità di controllo: acqua, servizi ambientali e trasporto pubblico non hanno un'authority. Voglio raccomandare a tutti voi: basta con i demagogismi contro le autorità di controllo perché costano. Ma chi garantisce i cittadini di fronte ai monopoli, siano essi pubblici o privati? Ci importa qualcosa di questo tema? Non ci importa di stabilire organismi di garanzia della qualità del servizio, delle carte dei servizi e dei sistemi tariffari che siano terzi e indipendenti, sia rispetto all'autorità pubblica, appaltante, sia rispetto al fornitore, sia esso pubblico o privato, chiunque esso sia? Ci dovrebbe importare, anche perché, come è stato giustamente detto prima di me, proprio sulle tariffe idriche e ambientali, esistono in questa fase dinamiche di costo e, quindi, di incremento tariffario molto rilevanti e non tutte - badate - derivanti da inefficienze gestionali. Alcune sono derivanti, per esempio, da norme comunitarie oppure da inefficienze infrastrutturali, più che gestionali, quindi da mancanza di infrastrutture e di investimenti, vedi il ciclo dei rifiuti, ma anche il ciclo dell'acqua. Quindi, per esempio, sfruttare una discussione serena e vera - non questa, con la posizione di una questione di fiducia domani - per modernizzare il comparto dei servizi pubblici locali potrebbe anche essere un'occasione per cogliere un'opportunità, quella di ragionare intorno a forme di autorità che, in questi settori, cioè acqua, ambiente, trasporto pubblico locale, non possono che essere genuinamente federali. Infatti, è certo che, visto che siamo in materia di Pag. 26legislazione concorrente - lo ricordava l'onorevole Calderisi prima di me - non possiamo avere venti authority, una per ogni regione d'Italia. Sarebbe molto più sensato pensare a forme di authority, di agenzia, che abbiano una governance mista fra Stato e regioni e che possano, quindi, dare qualche elemento di garanzia e di trasparenza ai cittadini per quanto riguarda le tariffe idriche e ambientali e il trasporto pubblico locale, con condizioni di uniformità, con livelli essenziali delle prestazioni - prendo a prestito un termine dal federalismo fiscale - garantite in modo uniforme e omogeneo dal nord al sud, da Torino fino a Trapani.
Signor Presidente, a dimostrazione del fatto che la mera normativa proconcorrenziale ha difficoltà ad aderire alle tante eterogeneità di questo settore, prendo come esempio, che mi sembra dimostri il mio assunto, il fatto che, ogni volta che si fa un provvedimento in questa materia, si deve fare qualche deroga. Non esiste alcun provvedimento che non abbia previsto qualche deroga settoriale. Credo che per questo sia difficile far aderire una norma di principio generale ad un comparto così differenziato e delicato - permettetemi di dire - soprattutto nel caso di alcuni servizi pubblici più indispensabili, come quello dell'acqua. Occorrerebbe meno ideologismo da parte di tutti e più intelligenza politica, più intelligenza delle cose. Sapete che poche settimane fa il premio Nobel per l'economia è stato, per la prima volta nella storia, conferito a una donna, oltre che a Williamson. La donna si chiama Elinor Ostrom ed è il libro del 1990 che l'ha portata al premio Nobel. Leggo la citazione dal libro della Ostrom, che è proprio un'esperta e ha lavorato per trent'anni sulla questione - diremmo noi in Italia - dei servizi pubblici locali. La Ostrom scrive che né lo Stato né il mercato sono in grado di garantire sempre lo sfruttamento produttivo nel lungo periodo delle risorse naturali. Non meno importante deve essere la consapevolezza dell'esistenza di istituzioni, non identificabili in modo netto in base alla dicotomia Stato-mercato, che sono state in grado di amministrare a livello locale dei sistemi di risorse naturali, conseguendo successi significativi per lunghi periodi di tempo.
In sostanza, qualche settimana fa, l'Accademia delle scienze di Stoccolma ha conferito il premio Nobel alla teorica, secondo la quale nei servizi pubblici locali è dominante ed è più efficiente la forma di autorganizzazione delle collettività locali, nelle varie forme che conosciamo in tutto il mondo, affermando che sia lo Stato, centralistico, sia il mercato, mercatistico, direbbe qualcuno, non raggiungono in questo settore soluzioni efficienti e le configurazioni più efficienti sono quelle localmente generate.
Se volete, è chiaro, si tratta di una studiosa americana collegata al filone storico del federalismo comunitaristico di quel Paese. Proprio in questo momento, invece, continuiamo ad andare dietro a ideologismi.
Voglio darne atto, lo dico pubblicamente e lo lascio agli atti: ritengo (e non lo dico perché in questo momento presiede la nostra seduta) che il cosiddetto lodo Buttiglione del 2003, da questo punto di vista, conteneva in sé una notevole intelligenza pratica e operativa, perché dava alle collettività locali e ai loro organismi democraticamente eletti la libertà di scegliere, volta per volta e caso per caso, quale potesse essere il migliore modello di organizzazione dei servizi pubblici locali.
L'articolo 15 del decreto-legge sugli obblighi comunitari è un nuovo tentativo e, come i precedenti - non dico sia peggiore dei precedenti - incontra numerosi problemi sia di metodo sia di merito, che hanno origine in tutte le considerazioni che finora ho svolto in premessa.
Dal punto di vista del metodo, lo diceva prima di me l'onorevole Zaccaria, è una forzatura. Diciamolo: non vi è alcuna direttiva comunitaria a cui corrispondere, non c'è alcuna infrazione aperta.
Il Ministro Fitto ha citato in Commissione la necessità di adeguarsi a una sentenza del 15 ottobre. Premesso che gli ordinamenti giuridici degli Stati comunitari non si adeguano alle sentenze, ma alle direttive, devo dire, riferito al Ministro Pag. 27Fitto, che, purtroppo, questo riferimento non è congruo, non c'entra. Infatti, tale sentenza del 15 ottobre afferma - leggo - che è legittimo "l'affidamento diretto di un servizio pubblico che preveda l'esecuzione preventiva di determinati lavori (...) ad una società a capitale misto, (...) costituita specificatamente al fine della fornitura di detto servizio e con oggetto sociale esclusivo".
In sostanza, questa sentenza fa un passo avanti nel liberare la forma società mista, se ha oggetto sociale esclusivo e se costituita specificatamente al fine della fornitura del servizio. Questa è una sentenza che stabilizza il modello, ma non dice nulla sull'in house. Non è che questa sentenza dica che è obbligatorio chiudere tutte le società in house che vi sono in giro per l'Europa; affatto, per nulla!
Riferirsi a questa sentenza non ha senso oppure è un riferimento che tende a confondere i cittadini e chi di queste cose non sa, perché si tratta di argomenti molto tecnici.
Tra l'altro, se fosse vero quello che ci dite, e cioè che questa sentenza obbliga a chiudere le società in house (cosa che non è vera, poiché questa sentenza rende più facile, soprattutto dal punto di vista della nostra normativa amministrativa, gli affidamenti diretti alle società miste, e non dice nulla sull'in house), dovremmo vedere in questi giorni gli altri Paesi europei, che sono pieni di società in house providing, fare la stessa corsa che ci propone di fare il Governo italiano.
Molti di voi, sicuramente, saranno andati, per esempio, a Parigi o a Berlino nel corso della propria vita. Avrete preso la metropolitana a Parigi, avrete preso la metropolitana di Berlino, che è molto bella e, tra l'altro, è stata anche rinnovata recentemente: sono aziende di trasporto pubblico locale pubbliche, di proprietà dei comuni o, nel caso di Berlino, del Land, quindi della regione di Berlino, e hanno l'affidamento dei servizi con il modello dell'in house providing.
Ho anche chiamato in questi giorni alcuni colleghi universitari in Francia e in Germania per sapere se in quei paesi vi sia questa corsa e tutti sono caduti dalle nuvole. In Francia e in Germania non vi è alcuna corsa per fare entrare soci privati nelle metropolitane di Parigi e di Berlino. Non vi è, quindi, proprio alcun motivo di urgenza per fare questa corsa in Italia.
Ribadisco qui la proposta del Partito Democratico: vi è necessità, anche in breve tempo, in due o tre mesi, di costruire un testo unico per i servizi di interesse generale di rilevanza economica con un approccio che tenga conto della differenziazione merceologica fra i vari settori e della necessità di nuovi apparati di regolazione, per esempio l'agenzia.
La nostra proposta è molto semplice: stralciare l'articolo 15. In tal caso, vi sarà la disponibilità a far passare il decreto-legge in esame in ventiquattr'ore e la disponibilità poi a metterci a lavorare insieme per varare il testo unico in breve tempo.
Le cose che poco fa l'onorevole Calderisi diceva, credo le dicesse al Presidente Fini, non a me; sarà quindi il Presidente Fini, se riterrà, a rispondere, perché è il Presidente Fini, caro onorevole Calderisi, che ha sollevato il problema della possibilità di avere forme di copertura finanziaria per le leggi di iniziativa parlamentare.
Vorrei, invece, ricordare a tutti noi che non più tardi di qualche giorno fa, martedì, è stato presentato in Parlamento un documento a nome di tutte le componenti politiche della Commissione bilancio della Camera, documento presentato dal presidente Giancarlo Giorgetti, che chiede proprio questo: riformiamo i Regolamenti, in modo da stabilire date certe per i provvedimenti che hanno motivazioni strutturali; e quello in esame evidentemente le avrebbe.
Nel merito, nella proposta del Governo (vado avanti velocemente) sono incomprensibili i criteri delle deroghe: si deroga sulla distribuzione del gas, si deroga sul trasporto regionale, ma non si deroga sull'acqua, sull'ambiente e sul trasporto pubblico locale.
In primo luogo, Ministro, la logica è evidente: il Governo salva le aziende pubbliche Pag. 28statali, il Governo salva ENI, Italgas e Trenitalia, e chiede la liberalizzazione soltanto ai comuni; questa è l'unica logica.
In secondo luogo, ci si risponde in Commissione che le società pubbliche sono sicuramente inefficienti, le società a gestione pubblica sono il male del mondo, e quindi è evidente che, evitando l'in house, obbligando i comuni a non avere più società pubbliche, a non avere più società in house, vi sarà un guadagno di efficienza.
Può ben darsi che una gestione pubblica sia ritenuta inefficiente, e che quindi l'ingresso di un socio privato possa essere la molla per migliorarla; ritengo però che le norme in merito di partnership pubblico-privato siano positive, e che il modello delle società miste può essere bene utilizzato. Abbiamo un caso importante, quello di Genova: la gara dell'allora sindaco Pericu, e la trasformazione dell'azienda comunale trasporti di Genova in società mista con un socio industriale privato.
È successo anche in tanti casi nel settore idrico: oggi le ATO italiane sono divise metà e metà: il 51 per cento hanno gestioni industriali pubbliche, e il 49 per cento (sostanzialmente la metà) hanno gestioni industriali o a gara o con socio privato. Abbiamo, quindi, molti casi operanti di società miste in Italia, sia nel settore idrico che nei trasporti.
Può ben darsi il caso, Ministro, che una gestione pubblica sia altrettanto efficiente, e che le comunità locali non la vogliano modificare: nel caso dell'acqua, vi sono 38 gestioni pubbliche industriali nel nord. Tra l'altro, le gestioni pubbliche industriali dell'acqua sono più diffuse del nord che nel centro-sud: ve ne sono 38 al nord, 19 nel centro-sud. Inoltre, dalla valanga di e-mail che tutti i deputati stanno ricevendo in questi giorni e dalle interviste che leggiamo di tanti sindaci, soprattutto del nord, può ben esserci il caso di acquedotti gestiti con gestioni industriali pubbliche, in particolare nel nord del Paese, dove le collettività locali non vogliono essere obbligate a trovarsi soci privati, ma sono contente con la loro gestione pubblica. Perché, quindi, non dar loro libertà di scelta, come chiederebbe anche il Premio Nobel Elinor Ostrom?
D'altra parte, Ministro, non si può neanche pensare che le gestioni miste siano la panacea di ogni male contro l'inefficienza pubblica! Vi sono recentissimi casi di cronaca, che vengono dal settore rifiuti della Campania, che pur dovrebbero dirci qualcosa, perché le società di raccolta e di smaltimento dei rifiuti oggi sotto indagine per le questioni ben note - l'abbiamo letto sui giornali - in realtà sono società miste.
Dobbiamo, quindi, distinguere fra questioni etiche e questioni di ingegneria societaria: nessun obbligo di ingegneria societaria può eliminare automaticamente il problema di avere una classe dirigente politica moralmente ed eticamente irreprensibile e adeguatamente competente quando opera scelte collettive. Vi può essere corruzione ed inefficienza nell'in house come nelle società miste e dovunque non vi siano adeguati sistemi ex ante ed ex post di controllo; lo stesso dicasi, naturalmente, per i monopoli naturali privatizzati.
Il caso di Aeroporti di Roma (lo cito perché molti di noi usano Aeroporti di Roma come gestore del servizio dell'aeroporto di Fiumicino e sanno quanto è complicato utilizzare quelle infrastrutture), che è stata privatizzata nel 1998, e dove ancora non è stato fatto, dopo undici anni, l'investimento per realizzare il nuovo nastro trasportatore dei bagagli, è esemplare.
Personalmente sono convinto che se quell'infrastruttura fosse gestita da una società pubblica, il terzo nastro trasportatore sarebbe stato realizzato, perché qualcuno, il sindaco o il presidente della regione, ad un certo punto, si sarebbero rivolti alla società, invitandola a realizzare questo terzo nastro. Invece, il monopolio privato, senza controllo e senza autorità di regolazione, rischia di essere ancora peggio del monopolio pubblico e potenzialmente inefficiente.
Quindi, la nostra posizione non è contro ogni riforma, ma è per una vera Pag. 29riforma che metta insieme tutte le questioni: la concorrenza, la regolazione, la garanzia della qualità del servizio e dell'equità delle tariffe, le carte dei servizi, la trasparenza, il problema di evitare i rischi di interruzione e del decadimento per i servizi basilari, la garanzia di adeguati flussi di investimenti con valutazione indipendente dei piani tariffari.
Preoccupa molto la dichiarazione rilasciata oggi sui giornali dal presidente di Federutility secondo la quale, se non si aumentano le tariffe, non si riescono ad attrarre i privati, dando, quindi, ragione a chi dice, come noi, che bisogna stare attenti ad una privatizzazione che sembra avere un potenziale soltanto per i privati che prenderanno questi servizi a carico dei cittadini che pagheranno più tariffe.
Se voi ci voleste proporre in un tavolo più generale una discussione su tariffe e tasse, che si occupasse di diminuire le tasse e di garantire tariffe sempre più trasparenti, con cui gli utenti pagano i servizi offerti ed erogati dentro un sistema di regolazione pubblica, noi saremmo anche disposti ad accettarlo; ma occorre un tavolo complessivo.
Altrimenti, dovremmo dire, non tanto polemicamente, che non è vero che questo è un Governo che non mette le mani nelle tasche degli italiani; questo è un Governo che sta mettendo le mani nelle tasche degli italiani tramite aumenti delle tariffe che possono essere incontrollati in settori basilari come ambiente ed acqua.
Infine, il decreto-legge prevede la possibilità di privatizzare le società quotate, derogando all'obbligo di gara. Questo è il peggiore dei mondi possibili: la privatizzazione senza una liberalizzazione. Ricordiamoci che oggi nulla impedisce ai comuni di vendere quote delle aziende quotate per fare investimenti. Se leggiamo bene questa norma, in realtà, l'incentivo non è per i comuni a vendere, ma per i privati a comprare, perché i privati acquisteranno la gestione di società che hanno in «pancia» concessioni che non verranno per lungo tempo sottoposte a procedure competitive. Se i privati acquistano, e il comune privatizza, allora non si svolge più la gara per l'acqua; la privatizzazione senza liberalizzazione e senza autorità di garanzia per i cittadini è veramente il peggiore dei mondi possibili.
Ho letto con attenzione i documenti che l'ANCI ha lasciato nelle audizioni al Senato e anche la relazione di Chiamparino a Torino. Non è vero che l'ANCI ha dato il via libera a questa riforma; anzi, l'ANCI ha lasciato agli atti la ferma convinzione che i servizi pubblici locali vadano liberalizzati con una logica di mercato, ma non abbandonati allo stesso. Il diritto comunitario su questo è molto chiaro: le ragioni della concorrenza non possono sopravanzare la garanzia dei diritti di cittadinanza, vanno rese reali e rafforzate le funzioni di programmatore, organizzatore e tutore dei comuni del settore, e le eventuale scelte di autoproduzione di local utility.
L'ANCI ha una posizione molto più vicina - come ovvio che sia per quel tipo di rappresentanza - alla posizione della professoressa Ostrom, dell'Indiana University, che non alle posizioni ideologicamente proconcorrenziali.
Inoltre, scandalo nello scandalo, a mio modo di vedere, i privati potranno acquistare le azioni delle società quotate in borsa con forme di collocamento privato, perché la norma non obbliga il venditore all'evidenza pubblica. La norma, quindi, non è congegnata come un incentivo a vendere, ma come incentivo a comprare, perché il privato acquista la rendita di posizione della concessione che resta in «pancia». Ad esempio, nel caso della concessione idrica di Roma, che è la più grande d'Europa con un servizio che serve tre milioni e mezzo di abitanti (Roma e l'intera provincia), la data di scadenza della concessione è nel 2029. Chi comprerà le quote di ACEA che il comune di Roma volesse, un domani, vendere in base a questa norma, non sarà sottoposto ad una gara: chi compra quella concessione la compra fino al 2029, acquista, quindi, una rendita monopolistica che non sarà mai assoggettata a procedure di valutazione competitiva. Pag. 30
In più, se la compra con forme di collocamento privato, neanche con asta pubblica.
Signor Ministro, pensiamoci con grande attenzione ad andare avanti su questa strada. Noi riteniamo che il Governo stia facendo uno sbaglio a forzare una norma così manifestamente eterogenea rispetto alle finalità del provvedimento in esame, perché non vi è alcun obbligo comunitario, ma anche così chiaramente inadeguata nel merito.
Il nostro auspicio è che lo stesso Governo e la maggioranza si convincano ad intraprendere la strada da noi indicata, a stralciare questa norma e ad avviare immediatamente un lavoro comune per un vero testo unico.
Speriamo che il Parlamento si esprima su questa norma, così importante per la vita delle comunità locali italiane, con spirito libero e indipendente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'istituto comprensivo statale «Dante Alighieri» di Roccadaspide (Sa), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune ed hanno eroicamente seguito il nostro dibattito nell'ultima mezz'ora (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, verrebbe da dire ai nostri ospiti «pochi ma buoni», speriamo senza offesa per nessuno ovviamente.

PRESIDENTE. Onorevole Favia, scusi se la interrompo in modo irrituale, ma è solo per dire ai nostri ospiti che se vedete pochi parlamentari in Aula non è perché i deputati sono vagabondi: questa è una discussione generale in cui intervengono i deputati interessati a questa particolare materia, che sono talvolta anche esperti di settore. Quando poi si tratterà di votare e di decidere effettivamente, vedrete - anche se non lo vedrete, perché non sarete qui - che l'Aula sarà gremita. Buona visita (Applausi).
Prego, onorevole Favia.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, non so se dire che purtroppo o per fortuna ci ritroviamo ad espletare un rito in un'Aula vuota. Per fortuna, perché è l'ultimo spazio di discussione e di libertà di discussione che ormai da un anno e mezzo troppo di sovente ci viene dato. Purtroppo, per lo stesso motivo: proprio perché non vi è più possibilità di dibattito e di discussione né in Commissione né in Aula.
Siamo abituati ad una legislazione per decreti-legge e per fiducia, e già sappiamo che la questione di fiducia verrà posta domani. Il decreto-legge in esame è arrivato in Commissione quasi come un fulmine a ciel sereno, ci siamo trovati addirittura a svolgere la discussione generale dopo la scadenza del termine per la presentazione degli emendamenti, quindi direi che siamo proprio quasi alla farsa.
È un decreto-legge che non ha nessuna delle sue caratteristiche, in quanto vi sono norme che non sono assolutamente urgenti.
È vero quanto diceva il collega Calderisi, che per quanto riguarda questo tipo di normativa che attiene alla fase discendente del diritto comunitario può usarsi lo strumento del decreto-legge, ma in questo provvedimento poco vi è di discendente dall'Unione europea.
Quindi, siamo davanti ad una vera problematica costituzionale, che non credo possa concludersi, così come proponeva il collega Calderisi, semplicemente con una riforma regolamentare.
Di quello che diceva il collega Calderisi - che mi spiace non sia in Aula - non condivido neanche la sua critica circa la necessità e la bontà del fatto che l'attività legislativa in pratica (è quanto dice) debba appartenere all'Esecutivo, con buona pace della tripartizione dei poteri, essendo noi ora quasi in fase di abolizione di questa tripartizione in quanto quasi ci sembra che il potere legislativo ed il potere esecutivo stiano coincidendo non per i vuoti riti, anzi (non voglio dire vuoti) per i riti che esplichiamo in questa Aula che, non ci consentono di esprimere al massimo il ruolo del Parlamento. Pag. 31
Calderisi faceva una battuta sulla questione del finanziamento delle leggi. Noi raccogliamo la sua sfida e, utilizzando quella piccola riserva di leggi che l'opposizione può portare in Aula, proporremo provvedimenti di legge con proposta di finanziamento di iniziativa parlamentare che saranno sicuramente bocciati. Ma io sfido la maggioranza a fare questo, a proporre una legge con una modifica del bilancio, così come il Governo vuole, per vedere se almeno la maggioranza è in grado di sostenere una sfida con il Governo. Infatti quando Calderisi parla di questa riforma, che dovrebbe dare una corsia di emergenza, rapida al Governo e di rimbalzo dovrebbe dare maggiori spazi, maggiori diritti e maggiore garanzia al Parlamento, io non credo che al dunque il Governo - questo Governo - sarà così disponibile a dare al Parlamento gli spazi di iniziativa e di controllo forte, come altri Parlamenti hanno sul Governo.
Detto questo, dal punto di vista politico devo lamentare, come hanno fatto i colleghi del Partito Democratico, che non c'è stata la volontà (e la proposta è stata ribadita adesso dal collega Causi) di stralciare l'articolo 15 che è veramente il simbolo della normativa che non c'entra niente con questo decreto-legge. Infatti non ci si venga a dire che il 31 dicembre 2010 per gli affidamenti fosse una scadenza che non ci consentiva di trattare e discutere una legge per via ordinaria e non per decreto-legge. La realtà è che c'è una volontà ferrea di imporre un certo tipo di dettato che - ci è stato detto - quasi come fosse un miracolo è stato modificato al Senato, ma francamente è stato modificato in maniera veramente esigua e non sufficiente.
Gli argomenti principali che tratta questo provvedimento sono senz'altro i servizi pubblici di cui all'articolo 15, il federalismo infrastrutturale, il made in Italy e l'Agenzia nazionale sulla sicurezza ferroviaria. Sicuramente l'argomento principale, l'argomento reale di questo provvedimento sono i servizi pubblici locali. C'è una chiara contrarietà all'affidamento in house che proprio viene cancellato se non per casi particolari. Non che noi dell'Italia dei Valori siamo contrari alla liberalizzazione del mercato, ma - come si diceva - non tutti i servizi in house vanno male. Una delle motivazioni di questo provvedimento è stata proprio quella di dire che i servizi pubblici gestiti in house vanno male, creano buchi di bilancio, meglio il privato, quindi cancelliamo quasi completamente il servizio in house. Forse sarebbe stato meglio fare un'analisi e dire che quelli che vanno bene restano e quelli che vanno male li facciamo risanare dal privato, anziché tentare di regalare al privato cose che già guadagnano e che vanno bene. Tra l'altro voglio pormi un quesito. Non vi è dubbio che le aziende pubbliche avranno la possibilità di avere come soci al loro interno, minimo al 40 per cento e se quotate in Borsa al 30, i privati, dando loro anche un ruolo di gestione, ma quelle che non accetteranno questa strada potranno senz'altro partecipare alla gara. Probabilmente molte vinceranno queste gare perché sono aziende ben strutturate e le masse critiche che servono alle grandi aziende private sulle microaree e sui microterritori non le troveranno. Ma nel caso in cui queste aziende pubbliche non vincessero le gare mi chiedo che cosa ne sarà dei livelli occupazionali, di quel personale che si troverà a lavorare in una azienda che non ha più lavoro, non più il suo scopo.
Spero che si pensi almeno di indurre le aziende che vincono le gare a rilevare, in tutto o in parte, questo personale.
A noi sembra che la normativa punti a una privatizzazione selvaggia, non a una liberalizzazione del mercato e un dato ci sembra illuminante in proposito: è stata rifiutata completamente l'istituzione di un'authority. Come si fa a regolamentare un servizio delicatissimo come il servizio pubblico privatizzato in assenza di un'autorità che regolamenti il settore? Questo è un vero problema.
Problema nel problema, per quanto ci riguarda, è quello dell'acqua. Noi pensiamo che questo primario bene, irripetibile per reale esigenza e per problematicità mondiale, non solo debba essere di Pag. 32proprietà pubblica nelle proprie infrastrutture (e, per fortuna, ciò è previsto dal disegno di legge che stiamo discutendo), ma che debba esserlo anche nella gestione, stante la particolarità e la delicatezza dell'argomento.
Per quanto riguarda il federalismo infrastrutturale, lamentiamo l'abbandono totale della normativa precedente, fatta salva la salvaguardia (che riguarda soprattutto la Lombardia e il Veneto) delle operazioni già in corso. Crediamo, infatti, che in tal modo si arrechi un danno alle comunità locali che non possono fruire di un introito finanziario per un servizio che, di fatto, viene reso sui propri territori. Ci sembra, quindi, una normativa sbagliata che, ancora una volta, va incontro a una filosofia di privatizzazione selvaggia.
Non ci sembra ben strutturata nemmeno l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, in quanto ancora troppo i fondi e il personale sono non svincolati dal Ministero delle infrastrutture; ci sembra, cioè, che ci sia ancora un controllo troppo elevato del controllato sul controllore e una potenziale incidenza del controllato sul controllore.
Ultima materia sulla quale voglio intrattenermi, che considero l'ultima questione molto importante di questo provvedimento legislativo, è quella del made in Italy. Da una parte salutiamo, finalmente, una normativa in materia, che soprattutto le piccole e medie imprese e le loro associazioni di categoria andavano richiedendo da tempo; d'altra parte, però, ci sembra che la normativa sia estremamente ambigua proprio sul punto più delicato e più importante, ove si afferma, al comma 1 dell'articolo 16, che «Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione e il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano».
Quello di lavorazione è un concetto che abbiamo chiesto di specificare meglio, anche con proposte emendative che non sono state accolte in Commissione, perché le fasi della lavorazione sono molteplici e non vorremmo ritrovarci di fronte ad una interpretazione estensiva di questa norma, per la quale per lavorazione s'intende soltanto l'assemblaggio di più pezzi prodotti all'estero, oppure l'assemblaggio fatto all'estero di più pezzi prodotti in Italia. Vorremmo che fosse reso assolutamente chiaro che tutti i passaggi debbono avvenire in Italia.
Pertanto, pur apprezzando che finalmente ci sia una regolamentazione della materia, crediamo che sarebbe stato più opportuno rendere questa regolamentazione ancora più stringente.
Per i motivi che ho illustrato, sia di metodo, sia di assenza di volontà politica nello stralcio dell'articolo 15, sia di merito, il mio gruppo voterà contro questo provvedimento.

PRESIDENTE. Saluto il Presidente del Parlamento di Panama, José Luis Varela, che è qui in visita accompagnato dal Presidente Fini. Signor Presidente, come dite in America latina, mi casa es su casa. Benvenuto (Applausi)!
È iscritto a parlare l'onorevole Farinone. Ne ha facoltà.

ENRICO FARINONE. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevole relatrice, voglio introdurre brevemente un ulteriore elemento oltre a quelli che i miei colleghi del Partito Democratico hanno già posto finora e lo introduco manifestando, signor Ministro, lo stupore - e direi quasi l'incredulità - di fronte al fatto che un provvedimento denominato attuazione di obblighi comunitari sia stato assegnato, in sede referente, alla sola I Commissione affari costituzionali e non anche alla XIV Commissione, quella delle politiche dell'Unione europea, della quale mi onoro di essere uno dei due vicepresidenti.
Non è questo il modo e lei, signor Ministro, lo sa bene perché conosce il modo con cui lavoriamo in quella Commissione, data la sua specificità. In quella Commissione maggioranza e opposizione si scontrano anche duramente quando ciò necessita, ma sempre si sforzano di operare Pag. 33in un positivo clima cooperativo e - penso - riuscendoci anche abbastanza spesso. Non è, quindi, una rivendicazione fatta tanto per avere un provvedimento in più in una Commissione piuttosto che in un'altra. Non si tratta di questo, né mi interessa, anzi direi che non ci interessa, perché questo stupore è stato espresso da tutti i gruppi politici in Commissione, compresi quelli della maggioranza. In tale sede, ho chiesto al presidente della Commissione, l'onorevole Pescante, di attivarsi al fine di chiedere alla Presidenza della Camera l'assegnazione del provvedimento in esame congiunto con la I Commissione. Era probabilmente troppo tardi e ne è, quindi, derivata una lettera che il presidente Pescante ha inviato al Presidente Fini con cui si auspica che per il futuro provvedimenti come quelli contenuti in questo decreto-legge, il n. 135 del 2009, che lei signor Ministro ha intestato, possano essere - si scrive nella lettera - assegnati in sede referente anche alla XIV Commissione, al fine di garantire un ordinato e coerente recepimento del diritto comunitario.
Tutto ciò è tanto più vero se si considera l'ormai prossima - finalmente dico - entrata in vigore del Trattato di Lisbona; un Trattato, come lei signor Ministro sa molto bene, che attribuisce accresciuti poteri ai Parlamenti nazionali. Rispetto a questo punto, come non vedere il ruolo fondamentale che la XIV Commissione sarà chiamata a svolgere?
La stessa Giunta per il Regolamento della Camera proprio recentissimamente ha affidato, in via sperimentale, alla XIV Commissione il delicato compito di effettuare il controllo sulla sussidiarietà degli atti normativi dell'Unione europea, a conferma di un ruolo che inevitabilmente sarà crescente e che dovrà - sia detto per inciso - saldarsi con l'esigenza di far conoscere meglio alla pubblica opinione - e ai giovani in particolare - lo spirito, oltre che le funzioni, dell'Unione. Ora, che in un simile contesto prospettico questo provvedimento sia considerato, con riferimento alla XIV Commissione, al pari di altri numerosissimi per il quale viene richiesto un mero parere consultivo appare davvero singolare, anzi mi sembra un errore grave.
Chi non la pensa così naturalmente ha una risposta, perché una risposta c'è. Il provvedimento non è stato assegnato in sede referente alla Commissione politiche dell'Unione europea perché in esso vi è una norma di grande rilevanza sui servizi pubblici locali, di cui non si poteva evidentemente espropriare la I Commissione. Questo è giusto ma il problema, signor Ministro, è che quella norma, come è già stato detto più volte in questo pomeriggio, non avrebbe proprio dovuto esservi in questo decreto-legge. Infatti, tale provvedimento si occupa dell'attuazione di adempimenti comunitari e quella norma non è attinente ad un'infrazione. Avendo inserito una norma eterogenea (questa sì eterogenea), cioè che non doveva essere in questo decreto-legge, si è evidentemente svuotata la Commissione competente del suo ruolo. L'articolo 15 di questo provvedimento - e nella relazione mi sembra che sia lo stesso Governo ad ammetterlo - ha il fine prioritario di adeguamento all'ordinamento comunitario e non il fine di introdurre sanzioni.
Anzi, sotto il profilo della compatibilità con l'ordinamento comunitario, si tratta di una norma non in linea - lo abbiamo scritto nella proposta di parere contrario che in Commissione il Partito Democratico ha presentato - con i criteri di delega stabiliti dall'articolo 41 della legge comunitaria 2008 (che ricordiamo perché non l'abbiamo votata tanto tempo fa) per l'attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa proprio ai servizi nel mercato interno.
In essa, infatti, l'articolo 17 esclude dalla libera prestazione dei servizi taluni servizi di interesse economico generale, fra i quali quelli di distribuzione e fornitura idrica, ferme restando le normative in materia di concorrenza e di aggiudicazione degli appalti pubblici in base alle direttive n. 17 e n. 18 del 2004. Lo hanno detto assai bene i colleghi che mi hanno preceduto e, in modo particolare, da ultimo l'onorevole Causi, ed io mi limito a ribadirlo. Pag. 34
Onestamente, signor Ministro, l'articolo 15 è particolarmente grave, è il vulnus maggiore, secondo me, di questo decreto-legge e non a caso la mobilitazione avversa adesso sta crescendo tra gli italiani. Non solo: quanto vi si dispone non è richiesto da alcuna imminente scadenza di obblighi comunitari, e dunque non è sorretto dai requisiti di necessità ed urgenza che, lo ricordiamo, dovrebbero sorreggere ogni decreto-legge, ma addirittura ridisciplina la normativa in un settore molto delicato come quello dei servizi pubblici locali senza alcun disegno organico, né un approfondito esame parlamentare e, per di più, senza il coinvolgimento dei soggetti interessati.
L'esistenza di proposte di iniziativa parlamentare in un argomento il cui esame è stato avviato, voglio ricordarlo, in questa legislatura presso il Senato e successivamente interrotto in attesa (per una sorta di cortesia parlamentare) di un disegno di legge del Governo in materia, avrebbe reso opportuno lo stralcio di questo articolo, come abbiamo detto un po' tutti questo pomeriggio. Credo che questo sia il punto più delicato di tutta la vicenda della quale parliamo questo pomeriggio.
Così, in luogo di un disegno di legge con la conseguente, opportuna e necessaria discussione con il mondo degli enti locali, con le province, con i comuni, con le regioni, ci ritroviamo con un articolo nell'ambito di un decreto-legge in materia comunitaria che con i servizi pubblici locali obiettivamente, signor Ministro, non c'entra nulla o quasi. Si realizza con un articolo in mezzo a tanti altri (i più eterogenei) una riforma dei servizi pubblici locali. A me pare, francamente, incredibile e questo è un ulteriore svilimento della Camera, del processo legislativo e di quanti negli anni abbiamo imparato ad essere gli atti di una democrazia rappresentativa.
È nostalgia di un passato che riteniamo minore, è romanticismo? Non credo, perché, per di più, in questo articolo si realizza, secondo il mio punto di vista, una presunta privatizzazione, creando società miste pubblico-private il cui risultato sarà, come spesso accade in questo Paese, la privatizzazione dei profitti e la pubblicizzazione delle perdite.
Ci sono argomenti sui quali non credo opportuno per nulla scherzare e questo dell'acqua è uno di quelli. L'acqua è un bene essenziale di tutti e non va trattata, secondo me, alla stregua di tanti altri ambiti. Quindi evitiamo - mi permetto di dirlo finché siamo ancora in tempo, signor Ministro, colleghi della maggioranza, onorevole relatrice - interventi che ne tolgano la sua disponibilità piena e libera ai cittadini.
Infatti, nel momento in cui con l'articolo 15 il servizio idrico potrà essere affidato a un privato tramite gara pubblica o in via straordinaria senza gara, ma con il parere dell'Antitrust, oltre ad una questione di fondo (l'acqua è un bene pubblico per eccellenza) da subito si intravedono i rischi, ad esempio, di ulteriori aumenti delle tariffe - ricordo che nell'ultimo quinquennio sono aumentate del 30 per cento - e del peggioramento dei servizi, e non è il caso di ricordare il calo in maniera esponenziale che negli ultimi dieci o quindici anni vi è stato in termini di investimento sulla rete idrica la cui efficienza nel nostro Paese, e in modo particolare nel Mezzogiorno, sappiamo a che livello basso sia.
L'acqua è un diritto di ogni essere umano e quindi credo che questo intervento meriterebbe davvero, come abbiamo detto, una riflessione assolutamente maggiore e fatta ad hoc. Mi limito a questa considerazione perché ne hanno parlato, lo ripeto, meglio e più diffusamente i miei colleghi e condivido assolutamente quanto è stato detto da loro. Avrei voluto che se ne parlasse anche domani ed, anzi, spero che se ne parli anche domani nella discussione degli emendamenti e quant'altro.
Sento dire che forse verrà posta la questione di fiducia, ma ciò aggraverebbe la situazione e le cose che ho detto sino ad ora perché stiamo parlando di un bene di importanza assoluta.
Tornando, invece, alle considerazioni iniziali, cioè ad un tema che attiene alla vita parlamentare e della nostra democrazia, Pag. 35cioè al ruolo della XIV Commissione e, quindi, tramite esso al corretto andamento dei lavori parlamentari, a maggior regione insisto nel sottolinearlo alla vigilia dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Mi sembra utile evidenziare come con l'etichetta «adeguamento all'ordinamento comunitario» si possa, volendo stravolgerne la ratio, inserire alla fine qualsiasi norma in un decreto-legge del genere.
Così facendo, si svuota - è un secondo elemento critico che sottopongo alla sua attenzione, signor Ministro - la legge comunitaria, che ha esattamente quel compito. La legge n. 11 del 2005, infatti, consente di adottare provvedimenti anche urgenti nei confronti di obblighi statali di adeguamento solo qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all'anno in corso. Il fatto è che questo decreto-legge contiene diverse disposizioni che non soddisfano affatto l'esigenza di adeguamento del nostro ordinamento agli obblighi comunitari di imminente scadenza.
I contenuti del decreto-legge sono tra i più vari e ci si può sbizzarrire nel fare esempi di quanto ho appena sostenuto. Qualche esempio è già stato fatto (dell'articolo 15 ho già detto), ma vogliamo ricordare (mi sembra non sia stato citato fin qui) l'articolo 3-quinquies in materia di disposizioni per garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell'Expo Milano 2015. Ne parlava la relatrice. Io sono di Milano e, quindi, se mi permettete, sto seguendo abbastanza bene la vicenda. Oppure vogliamo ricordare l'articolo 16 in materia di made in Italy e di sua tutela? O piuttosto, ancora, perché non parlare degli articoli 5 e 6 che sono di identico tenore rispettivamente gli articoli 14 e 15 del disegno di legge comunitaria 2009, già da noi in questa Camera approvato qualche tempo fa e attualmente all'esame del Senato?
Signor Ministro, con l'inserimento nel decreto-legge di misure che non rispondono direttamente ai criteri dell'urgenza e della necessità, già approvate da un ramo del Parlamento e in corso di esame presso l'altro, si opera un forte ridimensionamento della legge comunitaria annuale quale strumento ordinario di adeguamento dell'ordinamento italiano a quello comunitario e si infligge, altresì, una grave lesione alle prerogative parlamentari sia della Commissione, che dell'Assemblea, mediante un ulteriore atto di svuotamento della funzione legislativa del Parlamento.
In conclusione, abbiamo visto che questo decreto-legge diminuisce significativamente il ruolo e i contenuti della legge comunitaria. Prevede una serie di interventi - se ci mettessimo a leggere ora tutti i titoli, la faremmo lunga - che nulla hanno a che fare con specifiche procedure di infrazione. Si inserisce un provvedimento importantissimo come quello sui servizi pubblici locali, laddove esso necessiterebbe e meriterebbe un disegno di legge specifico da discutersi dopo. Prevede una serie di norme eterogenee tra loro, prive di qualsiasi reale requisito di necessità e l'urgenza. Potrebbero anche essere eterogenee - lo ricordava l'onorevole Zaccaria -, ma dovrebbero essere tutte dotate di quel requisito, che viceversa non c'è. Espropria la XIV Commissione, quella istituzionalmente dedicata alle questioni europee, delle proprie legittime competenze e magari domani concludiamo la nostra discussione con un bel voto di fiducia.
Dispiace dirlo, signor Presidente, ma io credo che senza un cambiamento sostanziale nell'atteggiamento del Governo, che io ritengo peraltro che i parlamentari più attenti della maggioranza dovrebbero richiedere per dare più forza e dignità al loro stesso lavoro, stiamo per scrivere un'altra brutta pagina dei lavori parlamentari. Quindi, mi permetto fino all'ultimo, signor Ministro, di confidare in un vostro ravvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, Pag. 36siamo di nuovo ad un ennesimo decreto-legge, che ha sicuramente delle esigenze di urgenza, dove si va ad attuare il recepimento di alcuni obblighi comunitari, anche per tutelare a questo punto le casse dell'Italia, che dovrebbero sopportare eventuali ulteriori sanzioni.
Tuttavia, su un decreto-legge composto di venti articoli ne compaiono altri tredici che sono bis, ter, quinquies e quant'altro: sono infatti aggiuntivi di argomenti che non c'entrano niente con l'urgenza di recepimento di obblighi comunitari, non c'entrano niente con una pianificazione del programma di Governo, del vostro e del nostro Governo, e che di fatto recepiscono interessi di alcune lobby, probabilmente legate alle singole materie.
Cercherò di non concentrarmi su tutti, andando magari con gradualità, anche per una questione di specificità dal punto di vista della competenze della Commissione.
L'articolo 3-ter riguarda la questione delle concessioni autostradali. Sembrerebbe qualcosa di semplificativo, perché si chiarisce che le competenze in materia di concessioni autostradali sono delle regioni qualora siano strettamente legate alle stesse. In realtà si va a stravolgere un provvedimento discusso e sostenuto nella precedente legislatura da parlamentari provenienti non solo dalla maggioranza, ma anche dall'opposizione, ovvero da chi oggi è maggioranza. Si tratta di un provvedimento voluto come prima applicazione di un federalismo, in questo caso definito autostradale. Tuttavia, non si ha il coraggio di dire che quel federalismo non andava bene e revocare quindi qualsiasi atto adottato in funzione di quello; non si non ha il coraggio di dire che le regioni non devono cominciare a sviluppare esperienze e capacità per rispondere alle esigenze del territorio, altrimenti ci si rende conto che bisogna rivedere le modalità di gestione e di realizzazione delle infrastrutture (in questo caso autostradali, ma un domani potrebbero essere quelle ferroviarie). Sulla questione ferroviaria mi riservo di intervenire più avanti.
Sulla questione delle autostrade salviamo la CAL, ovvero la Concessioni autostradali della Lombardia, e la CAV, la società che ha in concessione le autostrade del Veneto. Chi ha chiesto queste società? Chi accusava il Governo e le autorità centrali di frenare? Erano proprio i governatori delle regioni, gli amministratori del territorio, dei comuni e delle province, i quali rivendicavano anche un ruolo di partecipazione nell'approvare l'iter, nell'autorizzare e nel trovare le soluzioni ai problemi, non quindi per dire «no» ad un programma di Governo in termini di infrastrutturazione, in particolare in regioni governate comunque dal centrodestra (il Veneto e la Lombardia).
Nel Veneto gli effetti di questa norma erano già ben accetti dai governatori locali. Galan già accennava al primo rientro delle risorse, perché con questa modalità di concepire le autorizzazioni con la realizzazione di queste grandi infrastrutture, passava il principio che i soldi versati da chi varca i caselli servono sia ad ammortizzare l'investimento, sia a rendere remunerativo l'investimento stesso (quindi anche quello fatto dai privati); ma nello stesso tempo si prevedeva una indennità ambientale che tornasse al territorio - il 20 per cento -, che dava già dei benefici con delle ricadute sul singolo territorio che accettava o che comunque dava una maggiore impronta per la realizzazione di queste infrastrutture.
Per di più, come tutte le grandi riforme, in parte anche questa abbisogna di un po' di tempo per partire.
È altrettanto vero che, se l'esperienza dal punto di vista organizzativo di ANAS, in termini di infrastrutture autostradale, era ed è in capo a loro, ciò non vuol dire che nelle regioni non si sia in grado, nel giro di poco tempo, di attrezzare società capaci nella progettazione, capaci di dialogare con il territorio e, nello stesso tempo, quindi, di rispondere velocemente a queste esigenze.
Torniamo, ancora una volta, a quella voglia di tener concentrato tutto a Roma Pag. 37e, al contempo, al fatto di non essere in grado di dare risposte veloci al territorio. Ciò dispiace perché salviamo le due società laddove in Lombardia e in Veneto il territorio sicuramente si è fatto sentire in termini di imprenditori, di persone che si spostano da una parte all'altra del nord dell'Italia, ma anche da parte degli enti locali. Per quanto riguarda le altre regioni che ancora non sono riuscite a capire il valore di questo articolo del provvedimento, le defraudiamo di questa loro iniziativa improntata a un carattere, portando le competenze di nuovo in capo al Governo, peraltro, con un decreto-legge, dunque con un provvedimento d'urgenza, ma cosa ci sia di urgente nessuno l'ha capito.
È stato urgente individuare dieci o undici commissari straordinari per le grandi opere, laddove ci sono già infrastrutture del Ministero, delle regioni e degli enti locali, autorità preposte o comitati di sorveglianza, nonché accordi di programma con cui si dovrebbero svolgere quelle funzioni, e quindi accelerare le risposte. Tuttavia, lì si è veduta la necessità di avere qualcuno su cui concentrare le responsabilità e quindi la vigilanza; qui, invece, dove i veri vigilatori, i veri responsabili della risoluzione di questi problemi sono le regioni al 50 per cento con lo Stato (il che voleva dire che se non sono d'accordo, né l'uno né l'altro possono imporre la soluzione, ma è una garanzia sia per l'uno che per l'altro) non abbiamo avuto il coraggio di farlo. Questo sicuramente, specialmente da parte di una forza come la Lega, è l'abbandono di un primo esempio efficace di federalismo. Eppure, nei prossimi mesi e anni dovremo assistere al varo dei decreti attuativi di questo federalismo, che abbiamo voluto e che abbiamo votato, ma di cui non vorremmo però, con la scusa di aver fatto una bella cornice di un quadro, perdere i pezzi di un affresco che intanto cominciamo a realizzare (non vorrei ricordarvi quello che è già accaduto con la questione dell'ICI).
Sempre sul tema delle infrastrutture, vi è un'altra questione: si è aggiunto un altro articolo recente disposizioni antimafia per lo svolgimento dell'Expo Milano 2015, una grande iniziativa strategica per tutta l'Italia e, nel caso di Expo 2015, anche per l'Europa. Eppure, abbiamo ritenuto anche qui di centralizzare questo sistema di verifica e di controllo nella prefettura, ma mettendo in subordine, in realtà, quelle strutture che localmente si tentava di realizzare. Tali strutture avrebbero dovuto farsi carico dell'intervento senza essere vincolate ad una serie di disposizioni finanziarie dello Stato, e quindi alle risorse di personale e a quelle relative alla struttura di questa macchina, che serve a verificare l'efficacia dell'azione di controllo su investimenti enormi, che comprenderanno sicuramente azioni non solo della mafia, ma anche di associazioni criminali che vorranno controllare questi appalti.
Avremmo preferito che in una Lombardia considerata motore dell'Europa ci fosse stata un'azione volta a dare più coraggio al territorio, non un'esigenza di verifica attraverso le prefetture. Il Ministero delle infrastrutture può verificare attraverso la sua struttura cosa sta accadendo con riferimento alle grandi opere.
Demandare tale aspetto a un soggetto che, poi, al momento giusto si porterà via le colpe di inefficacia e inefficienza (ma giustificherà le varie situazioni), rappresenta un'altra delle questioni che consideriamo come un passo indietro.
L'altra questione che emerge con un grido d'allarme da parte di tutto il territorio, di tutti i cittadini e di tutti i consumatori è quella dell'acqua. Con uno colpo di mano noi oggi andiamo a privatizzare un servizio e un bene che deve appartenere assolutamente, solo ed esclusivamente alla collettività. Diciamo invece che lo salviamo perché la rete, i tubi, le prese, le vasche di accumulo e i depuratori rimarranno di proprietà pubblica. Ma come comportarsi con le tariffe e come agire nei confronti degli utenti? È sempre lo Stato o sono gli enti locali che adotteranno le relative norme di salvaguardia? Pag. 38Eppure mettiamo a capo di queste aziende esclusivamente il concetto di profitto. Con l'acqua non possiamo sfrattare dei cittadini che da qualche anno magari non pagano; non possiamo escludere qualsiasi categoria di cittadini ed utenti dall'uso dell'acqua. Ciò diventa molto pericoloso, in quanto l'uso dell'acqua può determinare un conflitto non solo come bene per la persona. Un mondo oggi avanzato, industrializzato e meccanizzato come il nostro vede aperti anche conflitti tra l'industria che vuole utilizzare l'acqua per i cicli lavorativi o per produrre energia e chi la vuole per irrigare i campi. La regolazione anche di questo aspetto non deve essere dettata da chi è in grado pagare di più o di meno l'uso dell'acqua, ma quando c'è di mezzo il profitto può succedere anche questo.
Al Senato si è cercato di ammorbidire la normativa lasciando qualche anno in più e la possibilità agli enti locali e alle società pubbliche di realizzare il passaggio per il controllo del settore da parte del privato. Comunque, si tratta di un'operazione gravissima, in quanto sappiamo che buona parte dei servizi idrici al nord sono efficienti e producono molte economie, mentre al sud hanno bisogno ancora di un sostegno perché le autorità locali hanno spesso fallito. Così rischiamo di lasciare, da una parte, gli utenti a pagare di più per far guadagnare le aziende e, dall'altra, di lasciare i cittadini senza servizi, perché daremo la colpa ai privati che non sono in grado di erogare ciò che giustamente spetta ai cittadini stessi.
La questione dell'acqua non può essere lasciata andare così. Spero che in Aula vengano recepite una serie di proposte emendative e spero che il Parlamento si ravveda. In caso contrario, sicuramente noi saremo i primi a scendere in piazza, se necessario, anche a raccogliere firme per abrogare una legge così vergognosa, per di più sempre decretata con la somma urgenza. Cosa troviamo di somma urgenza nell'acqua che è servita dal primo minuto di vita su questa terra e che servirà fino alla fine? Non credo che vi sia la necessità di somma urgenza su queste decisioni.
Ci sono altre previsioni sulle quali non si capisce bene il motivo per cui si debbano compiere dei passi indietro. C'è l'articolo che differisce ancora una volta il termine per l'impegno sull'efficienza e la qualità nei consumi e mi riferisco al frigorifero e alle lampade. Eravamo, infatti, tutti contenti che finalmente si arrivasse ad impedire che sul mercato continuassero ad arrivare ancora lampade non efficienti dal punto di vista energetico e, quindi, costose. Anche qui, invece, laddove l'industria italiana sarebbe in grado di produrre utensili molto più efficienti ed efficaci, noi apriamo a quelli che producono a basso costo lampade e attrezzature superate.
Ci perdiamo anche sulle cose più semplici: negli 8 mila comuni italiani facciamo pagare di più in termini di organizzazione della raccolta della tassa per il lumino al cimitero piuttosto che, concentrarci sull'efficienza anche solo di quei piccoli consumi.
Continuiamo a dire che si possono usare lampade a bassa efficienza energetica solo per una logica di mercato, perché costano magari un po' meno, ma poi si bruciano, si consumano molto più velocemente (lo sappiamo, questi dati ormai credo che non si possano assolutamente mettere in discussione). Così vale anche per i frigoriferi di classe A. Non diamo segnali ad un'industria che deve compiere il massimo sforzo per efficentare il suo sistema di produzione non solo nei confronti della stessa ma nei confronti dei cittadini; dobbiamo essere anche noi quelli che risparmiano, che imparano a non avere lampadine inutili accese in casa o ad aprire il rubinetto dell'acqua solo quando è necessario, senza lasciarlo aperto. Purtroppo, continuiamo ad intraprendere azioni nel contesto delle quali il decreto d'urgenza conta poco. Ma potrei dire anche di altre questioni, sempre legate a questa dell'acqua e non riusciamo a capire perché invece qualche altro settore non Pag. 39viene privatizzato, ad esempio il sistema delle farmacie o quello delle ferrovie regionali. Se in ordine ai trasporti dobbiamo procedere verso un sistema di concorrenza, attribuendo maggiore efficienza al servizio e rendendo più efficace anche la nostra rete ferroviaria, credo che anche in questo campo dovremmo avere il coraggio di affrontare le liberalizzazioni. Da un lato, ci chiudiamo a riccio, in questo caso le reti ferroviarie regionali non sono liberalizzate e, nello stesso tempo, con alcuni provvedimenti rendiamo meno efficace il controllo sulla sicurezza sulle reti ferroviarie ed andiamo a rendere meno efficace il lavoro compiuto da certe autorità; mi riferisco, in particolare ad alcune norme europee, a tre blocchi di provvedimenti dal 2001 al 2004, al 2007, che hanno cercato di uniformare, ma non solo per l'Italia naturalmente, la sicurezza, l'efficienza e la qualità dei servizi in tutta Europa per ottenere rispondenza fra la qualità e ciò che poi i cittadini pagano. Anche in questo caso, ci siamo un po' chiusi a riccio, ci siamo blindati per tutelare un monopolio, quello delle ferrovie italiane, che ancora purtroppo è un monopolio di Stato. Allora, facciamo fatica a capire, dopo tutti gli incidenti che si sono succeduti, l'ultimo è stato quello di Livorno, e mi riferisco ai segnali forti e chiari per quanto riguarda un'autorità esterna che sia in grado di garantire un efficiente uso dei sistemi rotabili, quindi dai treni ai motori, alle stesse rotaie; invece, continuiamo a fare in modo che chi dovrebbe compiere il massimo sforzo per risolvere questi problemi in realtà sia lo stesso che controlla, che, in qualche maniera, monitora. È vero che il Ministero delle infrastrutture e le ferrovie non sono la stessa cosa, ma le ferrovie sono controllate dal Ministero delle infrastrutture, vi sono gli accordi quadro di programma che vengono siglati in funzione delle risorse che lo Stato è grado di stanziare e, quindi, è solo in funzione di questo aspetto che vediamo continuamente legato questo monopolio di Stato, quindi vi è inefficienza anche su apparati dello Stato, sullo stesso Ministero delle infrastrutture, su RFI, e non abbiamo invece il coraggio di attribuire all'esterno, come l'Europa ci chiede, il controllo dell'efficienza di questi impianti.
Ripeto, lo dico non solo in termini di utenza ma anche di sicurezza sui luoghi di lavoro perché continuiamo un po' a svicolare su uno dei problemi che crea molte tragedie in Italia: spesso li trasformiamo in eroi, ma vorremmo molti meno eroi e più vite salvate anche sui luoghi di lavoro.
Sono sempre provvedimenti adottati con somma urgenza, vi è questa voglia di liberare chi magari esercita un'azione di monopolio, mentre si dovrebbe avere il coraggio di entrare sul mercato in concorrenza con altri liberamente, senza aver la paura di rimanerne fuori; se questo succedesse ci si dovrebbe attivare per far meglio la prossima volta.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2897)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Bernini Bovicelli.

ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI, Relatore. Signor Presidente, rinunzio alla replica, anche in considerazione del fatto che domani sarà discussa, sempre in Aula, una pregiudiziale di costituzionalità proprio sullo strumento del decreto-legge, che è stato il leitmotiv di buona parte degli interventi che hanno caratterizzato questa discussione, e del fatto che immagino che il Ministro vorrà approfondire nel merito i temi trattati dai singoli deputati che sono intervenuti. Quindi, mi riservo eventualmente di trattare per la mia parte i temi sul merito in sede di approfondimento sugli emendamenti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

Pag. 40

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Signor Presidente, innanzitutto ringrazio il presidente Bruno e la relatrice onorevole Bernini Bovicelli per l'importante lavoro svolto durante la trattazione di questo provvedimento in I Commissione. Voglio ringraziare anche tutti i colleghi per gli interventi che si sono svolti questo pomeriggio, oltre che ovviamente nei giorni scorsi in Commissione, tutti interventi che, al di là degli schieramenti politici e delle convinzioni di parte, sono stati centrati su ottime argomentazioni, anche dal punto di vista qualitativo, anche se su molte, ovviamente, il Governo non è d'accordo. Mi permetto di riprendere, in particolare, un'osservazione, che è venuta fuori da questo dibattito, sul tema delle infrazioni. L'Italia aveva certamente questo triste e brutto primato per quanto riguarda le infrazioni a livello europeo in un periodo precedente. Devo dire che, nel corso di questi ultimi mesi, abbiamo abbandonato, anche grazie al lavoro del Governo e del Parlamento, questo certamente non invidiabile primato. Riguardo poi agli interventi che sono stati svolti dagli onorevoli Zaccaria, Tassone ed altri, che mi invitavano a prendere spunto anche dalle loro riflessioni in merito alla complessità di questo provvedimento, devo dire che questo provvedimento, cosiddetto «salva infrazioni», inserisce non soltanto norme dirette a chiudere le infrazioni, ma una volta tanto invertiamo la tendenza. Cerchiamo di impedire che nel prossimo futuro possano esserci nuove infrazioni. Infatti, siamo qui ormai da anni a discutere su quando arriveranno le infrazioni, ma, in realtà, a livello legislativo, facciamo ben poco, anzi si è fatto ben poco, rivendico a questo Governo proprio l'inversione di tendenza. Diciamo di realizzare quelle norme al fine di evitare che l'Italia, anche a livello economico, possa essere colpita dalle infrazioni di natura europea. Ed in questa logica, proprio per entrare nel merito di molti interventi, si inserisce il contenuto dell'articolo 15. Infatti, è vero che la Commissione europea, ad oggi, non ci ha formulato una contestazione specifica rispetto all'assetto del settore, ma è anche vero che, sempre più spesso, come voi stessi avete potuto considerare, vengono all'attenzione dei giudici della Corte di giustizia singoli casi sugli affidamenti delle concessioni che non sono in regola proprio con i principi del dettato comunitario.
Ecco perché la norma contenuta nell'articolo 15, oltre ad inserire - lo hanno detto anche le associazioni di categoria, i lavoratori e gli operatori del settore - elementi fondamentali di mercato, i cui effetti si produrranno certamente sull'efficienza dei servizi, sulla qualità del prodotto, sulla riduzione dei costi per i singoli cittadini, rappresentando un adeguamento, cari colleghi, dell'ordinamento interno ai principi di concorrenza contenuti nel Trattato, impedirà - questo è chiaro - forme di affidamento che si possano prestare a censure comunitarie, che espongano lo Stato e le singole comunità locali.
Non si tratta, come è stato detto - mi permetto di osservare - un po' demagogicamente, di una privatizzazione selvaggia. Noi riteniamo che sia una progressiva e reale apertura della gestione ai privati, in un quadro di permanenza di potere di fissazione di priorità precise.
Ricordo in questo contesto e in questo quadro l'approvazione di un emendamento al Senato. Abbiamo lavorato tutti insieme con il capogruppo Gasparri, con la presidente Finocchiaro e con il Senatore Bubbico dell'opposizione proprio per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco rispetto al tema della privatizzazione delle risorse idriche. Su questo è bene essere chiari e sgombrare il campo da strumentalizzazioni e da false rappresentazioni della realtà.
L'esclusione di alcuni settori in un intervento orizzontale come quello che abbiamo deciso di attuare si giustifica sia perché questi settori erano già stati interessati da interventi precisi di riforma in linea con i principi della tutela della concorrenza, come nel caso del gas, sia Pag. 41perché, in altri casi, ci è sembrata necessaria un'ulteriore approfondita riflessione in attesa che possano maturare le condizioni per una piena apertura del mercato (vedi il caso del trasporto ferroviario regionale).
Veniamo ad un'altra norma di cui si sta parlando molto in questi giorni, contenuta nell'articolo 16, quella sul made in Italy. Essa scaturisce da una precisa esigenza di adeguamento al diritto comunitario: si trattava, infatti, di rimediare ad un intervento normativo dello scorso luglio, la famosa legge n. 99, che, pur partendo da giuste finalità di tutela, introduceva obblighi di etichettatura che non sono affatto compatibili, come ben sapete, con la regolamentazione europea.
L'urgenza scaturiva dal fatto che la norma era anche di difficile applicazione e poteva essere fonte di precise responsabilità nei confronti dei singoli, anche sul piano interno, per violazione del diritto comunitario.
Colleghi, ci è stato chiesto di eliminare questa norma da parte di 480 mila piccole e medie imprese, che, soprattutto in questo momento di crisi economica, sono la filiera, la linfa, la spina dorsale del nostro sistema produttivo industriale. Tale intervento è a fini di tutela per il consumatore e si traduce in una formulazione compatibile con le norme comunitarie, perché fondata sull'etichettatura facoltativa o sull'uso ingannevole del marchio.
È, come ho detto, una norma fortemente voluta, che in questo momento aiuterà la piccola e media impresa ed i suoi lavoratori, anche in un momento di crisi. Colleghi cari, al di là del centrodestra e del centrosinistra, di maggioranza e opposizione, possiamo dire che la contraffazione è veramente, soprattutto in un momento di crisi, una vera piaga etica, prima che politica ed economica. Ritengo che con la norma contenuta nell'articolo 16 abbiamo dato al sistema delle piccole e medie imprese italiane quella norma che da anni aspettavano con ansia.
Con questo credo di avere illustrato, oltre ovviamente alla relatrice, che ringrazio, e agli altri interventi, gli spiriti fondanti di questo nostro decreto.

(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 2897)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate, a norma dell'articolo 96-bis, comma 3 del Regolamento, le questioni pregiudiziali Vietti ed altri n. 1 e Zaccaria ed altri n. 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 2897).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Assegnazione alla V Commissione permanente (Bilancio) in sede referente del disegno di legge finanziaria e del disegno di legge di bilancio (ore 17,25).

PRESIDENTE. Avverto che, a norma del comma 1 degli articoli 72 e 120 del Regolamento, i seguenti disegni di legge sono assegnati alla V Commissione permanente (Bilancio), in sede referente, con il parere delle Commissioni I, II, III, IV, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali:
S. 1790. - «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)» (Approvato dal Senato) (2936);
S. 1791. - «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2010 e bilancio pluriennale per il triennio 2010-2012» (Approvato dal Senato) (2937) e relativa nota di variazioni (2937-bis).

Discussione del disegno di legge: Nuova disciplina del commercio interno del riso (A.C. 1991-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Nuova disciplina del commercio interno del riso. Pag. 42
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1991-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XIII Commissione (Agricoltura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Rosso, che proviene da una delle maggiori province risicole italiane, ha facoltà di svolgere la relazione.

ROBERTO ROSSO, Relatore. La più grande! Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo che la XIII Commissione (Agricoltura) sottopone all'approvazione dell'Assemblea, è finalizzato a prevedere una nuova disciplina del commercio interno del riso, intervenendo in favore di un settore importante per il Paese ma particolarmente colpito dalla negativa congiuntura internazionale. Il provvedimento si è reso in particolare necessario per rispondere alle esigenze della filiera interessata all'aggiornamento dei criteri di riconoscimento conseguenti alle forme di etichettatura delle molteplici varietà di riso coltivate in Italia.
Ricordo preliminarmente che la XIII Commissione (Agricoltura) ha avviato l'esame in sede referente del disegno di legge nella seduta del 28 aprile scorso, proseguendo nella discussione nelle sedute del 24 giugno, del 1o, dell'8 e del 29 luglio. Nell'ambito dell'istruttoria legislativa svolta sul provvedimento, il 6 maggio scorso la Commissione ha proceduto ad alcune audizioni informali che hanno consentito di acquisire le valutazioni dell'Ente nazionale risi, dell'Associazione industrie risiere italiane (AIRI) e delle organizzazioni professionali agricole Coldiretti, Confagricoltura, CIA e Copagri. Nelle sedute del 3 e del 12 novembre la Commissione ha quindi approvato taluni emendamenti, in alcuni casi di carattere tecnico ed in altri casi volti a recepire i pareri delle Commissioni in sede consultiva. Il tutto si è svolto nell'ambito di un confronto serio ed in un clima di collaborazione tra tutti i gruppi parlamentari.
Il disegno di legge Atto Camera 1991-A stabilisce una nuova disciplina per il commercio del riso sul territorio nazionale, modificando la classificazione e le denominazioni di vendita, ed abrogando la normativa in vigore, definita con la legge 18 marzo 1958, n. 325. Il disegno di legge, secondo quanto precisa la relazione illustrativa, si è reso necessario per rispondere alle pressanti esigenze della filiera interessata all'aggiornamento dei criteri di riconoscimento, conseguente alle forme di etichettatura delle molteplici varietà di riso coltivate in Italia. I nuovi criteri sono stati definiti dagli esperti del settore, e risultano ancorati a principi di trasparenza e di oggettività, nel rispetto dei parametri posti dalla normativa comunitaria di settore; ciò, sempre secondo la relazione del Governo, comporterà un positivo riscontro sia nella fase commerciale del prodotto sia nella fase di orientamento dei programmi di miglioramento genetico, che sono predisposti dalle autorità competenti, al fine di correlare le sempre più specifiche richieste del consumatore al mondo della produzione.
In particolare, con l'articolo 1 sono state stabilite le definizioni del prodotto riso, sulla base della lavorazione o del trattamento subito: riso greggio, integrale, il parboiled, il riso ceroso e quello aromatico, pigmentato od ostigliato.
L'articolo 2 definisce l'ambito di applicazione della legge, che riguarda le varie tipologie di riso confezionato, venduto, posto in vendita o comunque messo a consumo sul territorio nazionale.
L'articolo 3 disciplina in maniera dettagliata la classificazione del riso e la denominazione di vendita. Le varietà presenti Pag. 43sul mercato sono attualmente classificate ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 325 del 1958 in quattro tipologie: riso comune o originario (a grani piccoli e tondi) semifino (chicchi tondeggianti di media lunghezza), fino (a chicchi lunghi e affusolati) superfino (con chicchi grossi e molto lunghi).
L'articolo 3, al comma 1, riconduce invece la classificazione del riso ai seguenti tre gruppi, sulla base delle caratteristiche del grano: riso tondo, medio e lungo, sulla base dei parametri biometrici previsti dalle norme comunitarie; le denominazioni di vendita sono elencate nell'allegato 4, richiamato nell'articolo 3 al comma 3, riprendendo quelle storicamente presenti sul territorio nazionale e tradizionalmente note al consumatore interno. Tali denominazioni peraltro si applicano esclusivamente al riso, al riso integrale, a quello parboiled e all'integrale parboiled. In base al provvedimento, i risi cerosi, quelli aromatici, quelli pigmentati od ostigliati, nonché qualunque altra varietà, potranno invece essere classificati solo in base ai parametri biometrici come risi tondi, medi o lunghi. Il prodotto, per essere commercializzato con una delle denominazioni dell'allegato 4, deve in ogni caso presentare le caratteristiche qualitative stabilite con l'allegato 1.
L'articolo 4 definisce, attraverso il rinvio all'allegato 1, le caratteristiche qualitative per il riso, per il riso integrale, per il riso parboiled e per il riso integrale parboiled.
Il comma 1, in particolare, vieta di immettere al consumo per l'alimentazione umana, e con il nome di riso, un prodotto non rispondente alle caratteristiche qualitative di cui all'allegato 1. Alla definizione dei difetti individuati nell'allegato 1 provvede l'allegato 2, mentre l'allegato 3 individua i metodi di analisi ammessi.
Ai sensi dell'articolo 5, le denominazioni di vendita, di cui all'articolo 3, possono essere integrate, per il riso che utilizza marchi collettivi, con le indicazioni previste nei relativi regolamenti d'uso. Le sanzioni per la violazione della legge sono state definite in analogia a quanto previsto all'articolo 18 del decreto legislativo n. 109 del 1992, sull'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.
In base all'articolo 7, la revisione delle analisi, qualora sia necessario ripeterle nell'ambito di un procedimento giudiziario, deve essere eseguita su un campione minimo di 800 grammi di riso da determinati istituti.
L'articolo 8 detta disposizioni transitorie per consentire alle aziende produttrici l'adeguamento delle nuove disposizioni: per i 12 mesi successivi all'entrata in vigore della legge è consentito il confezionamento in conformità alla legge n. 325 del 1958, ed il riso così confezionato potrà essere venduto sino ad esaurimento delle scorte.
L'articolo 9 contiene, infine, le disposizioni finali.
Ricordo che la Conferenza Stato-regioni, nella seduta del 13 novembre 2008, ha espresso parere favorevole sullo schema del disegno di legge in esame.
Ricordo, inoltre, che nella seduta del 3 novembre scorso, sono stati approvati alcuni emendamenti modificativi del testo del disegno di legge in esame. Tale testo, così modificato, è stato inviato alle Commissioni competenti in sede consultiva le quali hanno tutte espresso parere favorevole, formulando, in alcuni casi, condizioni e osservazioni.
In particolare, la I Commissione ha formulato un'osservazione invitando la Commissione di merito a valutare la congruità dell'attuale formulazione del comma 3 dell'articolo 4 che, da una parte, disciplina in allegato una disposizione a garanzia del riso posto in vendita o immesso al consumo, dall'altro, rinvia ad un decreto ministeriale per le relative modifiche.
La II Commissione ha formulato una condizione chiedendo di riformulare l'articolo 6.
La V Commissione ha formulato una condizione, ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, per assicurare che non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Pag. 44La XIV Commissione ha formulato una osservazione, invitando la Commissione a valutare, con riferimento alle disposizioni recate dall'articolo 4, l'opportunità di attivare, tramite notifica preventiva alla Commissione dell'Unione europea, le specifiche procedure di verifica della compatibilità comunitaria.
La Commissione parlamentare per le questioni regionali ha formulato due condizioni volte a prevedere la previa consultazione delle regioni per la definizione della modalità di attuazione dell'articolo 3, in ordine alla classificazione del riso e alle denominazioni di vendita, nonché in relazione all'articolo 4, recante norme a garanzie della qualità del riso posto in vendita o immesso in consumo, nonché a prevedere che le regioni siano tenute, nell'ambito della loro competenza, ad emanare specifiche disposizioni in materia di produzione e di specificità territoriale dei prodotti alimentari richiamati dal provvedimento in esame.
Sulla base di tali indicazioni ho predisposto taluni emendamenti per recepire i rilievi posti dalle Commissioni nei loro pareri, con particolare riguardo a quelli espressi dalle Commissioni giustizia, bilancio e per le questioni regionali.
Gli ulteriori aspetti evidenziati dalle Commissioni saranno, comunque, oggetto di un attento esame nell'ambito del Comitato dei nove, così come le altre questioni su cui la Commissione riterrà opportuno svolge un ulteriore approfondimento. Alla luce della considerazioni testé espresse invito, quindi, l'Assemblea ad esprimersi favorevolmente sul testo al nostro esame.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANTONIO BUONFIGLIO, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zucchi. Ne ha facoltà.

ANGELO ZUCCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in apertura del mio intervento, vorrei svolgere un breve excursus sulle leggi che regolano il commercio in Italia del riso.
Attualmente, questo commercio è regolato da una legge del 1958 che dispone una classificazione che ognuno di noi, se avvezzo a frequentare qualche supermercato, può trovare sugli scaffali.
È una classificazione che in qualche modo suddivide il riso in quattro gruppi: comune, semifino, fino, superfino. Non solo, ma la legge n. 325 del 1958 prevede anche che le diverse varietà di riso greggio possono essere vendute con la denominazione fissata ogni anno da un apposito decreto del Ministero dell'agricoltura, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico. Nel corso degli anni questa legge è stata infatti modificata sia nel 1962 sia da ultimo nel 1992, con il decreto legislativo n. 109, che attua le direttive comunitarie in materia di etichettatura di prodotti alimentari.
In particolare quest'ultima modifica ha di fatto reso facoltativa l'indicazione del gruppo varietale, quello che comunemente vediamo sulle scatole del riso nei nostri supermercati, perché non più compatibile con la normativa comunitaria che nel frattempo è entrata in vigore, come previsto dal Regolamento CE 1234/2007, che classifica diversamente i risi in tondi, medi e lunghi, come diceva giustamente il relatore, ma abbiamo però mantenuto l'obbligo di indicare nella denominazione di vendita la varietà stabilita con un decreto annuale.
Di fronte a questo approccio legislativo e a questo modo di regolamentare un settore così importante per l'agroalimentare ci siamo posti e abbiamo tre obiettivi.
Il primo obiettivo è quello di adeguarci alla normativa comunitaria ed il provvedimento in esame cerca di rispondere a questa esigenza.
Il secondo è quello di promuovere una legge che sia stabile, trasparente, il più possibile oggettiva, che introduca cioè criteri Pag. 45definiti in uno dei comparti del settore agroalimentare nel quale storicamente l'Italia è leader a livello europeo in termini di superficie coltivata, qualità, ma anche specificità produttiva.
Il terzo obiettivo che abbiamo cercato di perseguire, che penso che il disegno di legge in esame persegua e che per noi è fondamentale, è quello di legiferare in modo da garantire, al di là della genericità della normativa europea, le nostre numerose varietà, per difendere e tutelare le caratteristiche della produzione italiana.
Per questa ragione si prevede che le denominazioni oggi maggiormente utilizzate e che sono un patrimonio della filiera risicola (parliamo del riso carnaroli, dell'arborio, del vialone nano e via dicendo, cioè dei risi più conosciuti) diventino vere e proprie denominazioni di vendita, rispondano cioè a precisi caratteri biometrici, garantiscano uniformità di comportamento alla cottura e garantiscano parametri di consistenza.
Si è cercato cioè di stabilizzare una vicenda che ogni anno rischiava di diventare, anche da un punto di vista del mercato e quindi commerciale, piuttosto precaria. Ci si è in sostanza sforzati di garantire al consumatore di disporre di risi di alta qualità, per i quali non sono ammesse miscele di varietà diverse né immissioni in commercio di sottotipi con caratteristiche qualitative inferiori, se non per quanto previsto al comma 8 dell'articolo 3.
Un modo di garantire produzioni e varietà entrate ormai di prepotenza nel consumo alimentare del nostro Paese, varietà appunto consolidate, ma anche un modo, quello di determinare parametri biometrici, che permetterà di orientare le attività di ricerca nel settore del miglioramento genetico, puntando ad avere una produzione realmente rispondente alle esigenze del mercato. Del resto, proprio il settore del riso è uno dei settori geneticamente più in movimento di tutto il comparto agricolo.
Voglio ricordare che l'Italia conta ben 145 varietà di riso iscritte al registro varietale e oltre 70 varietà effettivamente coltivate. Può un settore così esteso, una tradizione così diffusa, essere regolamentata di anno in anno attraverso l'emanazione di un decreto ministeriale? O piuttosto non è il caso di imboccare una volta per tutte la strada di una normativa che, partendo dalla necessità di adeguamento alle norme comunitarie, si proponga anche di costruire uno strumento a difesa della nostra produzione, avendo l'aspirazione anche di rendere un servizio ai consumatori, alla sempre più necessaria trasparenza di informazione, per facilitare un consumo consapevole?
Ecco, il disegno di legge in esame si sforza di contenere tutte queste ambizioni, pur legiferando per il solo settore del commercio nazionale ed escludendo le produzioni DOP e IGP, per le quali le modalità di etichettatura sono definite all'interno dei relativi disciplinari.
Nel corso delle audizioni che abbiamo effettuato in Commissione agricoltura l'intera filiera si è dichiarata favorevole a questa legge; la considerano una buona mediazione, forse la più avanzata possibile all'interno della filiera stessa, una mediazione che tiene insieme i diversi interessi (gli interessi dei produttori e quelli dei trasformatori), e che nasce anche dalla consapevolezza che la situazione attuale e le regole che attualmente governano l'intero settore non sono più sufficienti, sono superate, e comunque necessitano di una profonda revisione.
Abbiamo ascoltato i pareri dell'AIRI, dell'Associazione industrie risiere italiane, dell'Ente risi, delle diverse associazioni agricole, della Coldiretti, della Confagricoltura, della CIA, tutti concordi nell'esprimersi favorevolmente.
Naturalmente si possono comprendere le ragioni di quanti esprimono riserve e perplessità ma anche timori sull'applicazione di questo provvedimento, sulle ricadute che esso può provocare nel tessuto produttivo, un tessuto produttivo - come altri - esposto alla sempre più spietata concorrenza internazionale, in un mondo Pag. 46globalizzato, quello alimentare soprattutto, dove difendere i nostri marchi e le nostre produzioni è sempre più difficile.
Basti pensare quanto un settore risicolo possa essere esposto ad invasioni commerciali; basti citare qualche numero: in Italia coltiviamo circa 240 mila ettari, in Thailandia si coltivano 8 milioni di ettari, in Cina 28 milioni di ettari, in India 54 milioni di ettari. Sono numeri esorbitanti che ci incutono più di un timore, numeri che ci dicono che il rischio di una omogeneizzazione verso il basso del livello qualitativo del prodotto riso non può che avvantaggiare altri Paesi.
Tuttavia, io ritengo che queste preoccupazioni lecite e legittime, e anche comprensibili, certamente hanno trovato tribuna dentro il confronto della filiera in tutti questi anni. Basta ricordare che questo punto di mediazione all'interno della filiera ha visto un confronto e una discussione che si è protratta per dieci anni, quindi non stiamo parlando di un provvedimento che frettolosamente è arrivato nell'Aula della Camera.
Voglio ricordare che proprio per queste ragioni si è voluto conferire alla struttura della legge un carattere di sperimentazione. Il Ministero potrà intervenire con proprio decreto e modificare quell'Allegato 4 che definisce le denominazioni di vendita delle nostre varietà apportando eventuali necessarie modifiche, e lo potrà fare rapidamente. Questo può essere un elemento di garanzia anche verso i più perplessi e anche verso i più contrari al provvedimento.
In definitiva, penso che questo testo contenga risposte a una necessità evidente, risposte che si sforzano di tenere conto delle nostre specificità, che si sforzano di aiutare i produttori, i trasformatori, e anche ovviamente di dare segnali e informazioni adeguate ai nostri consumatori. Un provvedimento - penso - non più rinviabile che riteniamo possa aiutare complessivamente il sistema risicolo italiano, e verso il quale il nostro atteggiamento, l'atteggiamento del gruppo del Partito Democratico, è positivo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, l'importanza di questo disegno di legge è stata sottolineata anche nelle audizioni delle associazioni competenti, e quindi è ritenuto un provvedimento che anzitutto permette di affrontare la sfida dei mercati, e nello stesso tempo ha la finalità di rispondere a quella che è l'esigenza di un aggiornamento della filiera del riso, soprattutto in relazione ai criteri di riconoscimento che derivano proprio dalle forme di etichettatura e dalle molteplici varietà di riso che sono coltivate in Italia.
È da molti anni che la filiera del riso si batte per affrontare le problematiche che questo provvedimento affronta. Bisogna anche ricordare però che un primo testo fu presentato dal precedente Ministro delle politiche agricole, De Castro.
Oggi il risultato, ovvero il provvedimento che stiamo esaminando, è l'esito di un raffronto, di una condivisione tra produttori e industria di trasformazione.
L'esigenza primaria del disegno di legge è quella di superare la legge n. 325 del 1958, che non è più adeguata né alle esigenze del mercato, né alle normative comunitarie; l'articolo 9 di questo provvedimento dispone, pertanto, l'abrogazione della legge n. 325 del 18 marzo 1958.
Voglio ricordare che oggi i principali produttori di riso nel mondo sono Paesi dell'Asia, dell'America latina e dell'Africa, ma in Europa il primato spetta assolutamente all'Italia, alla nostra nazione, sia per la quantità prodotta, sia per la qualità del prodotto stesso. Oggi il nostro riso in fatto di qualità si colloca ai vertici mondiali e, come ho già detto, nell'ambito dell'Unione europea è di gran lunga il partner risicolo più importante; insomma, l'Italia in questo settore la fa da padrona.
Le aree più interessate dalla coltivazione del riso sono le province di Vercelli, Pavia e Novara, che poi sono le zone storiche. Ricordo che ai tempi della scuola, quando si studiava la geografia, si Pag. 47definiva la zona di Vercelli, Pavia e Novara come quella più importante e che si dedica maggiormente alla produzione di riso; infatti, è lì che si concentra il novanta per cento della superficie italiana coltivata a riso.
Bisogna però considerare che, per quanto riguarda il consumo, questo è in crescita soprattutto nel Centro-sud, ove il riso è molto presente, oltre che nel menù dei ristoranti, anche nelle mense scolastiche e nella ristorazione aziendale.
Per quanto riguarda in maniera specifica i consumi, il Nord-ovest oggi fa registrare un incremento, il Nord-est tiene bene e nel Meridione finalmente i consumi hanno raggiunto il volume delle altre regioni italiane. Per tali ragioni, si è sentita fortemente la necessità di rispondere, attraverso questo provvedimento, alla richiesta di trasparenza e garanzia per il consumatore, un consumatore che oggi è molto più attento alla qualità di tutti i prodotti agricoli, quindi anche del riso.
Ulteriore obiettivo è quello di tutelare e valorizzare la grande quantità del riso italiano, prestando attenzione alle varietà che la classificazione comunitaria non consentiva di definire in maniera specifica. Il dibattito nella filiera risicola si è comunque svolto e si sono presi in esame sia l'aspetto agronomico, sia l'aspetto commerciale.
Il disegno di legge risponde, pertanto, all'esigenza di mantenere e sviluppare l'accreditamento commerciale, quindi i nomi varietali, e per ciascuno di essi sono comprovate le caratteristiche biometriche e chimiche che distinguono i prodotti.
I parametri biometrici dividono in maniera precisa le caratteristiche dei risi greggi che possono essere utilizzati - assolutamente non miscelati - per potersi fregiare poi della denominazione di vendita. Assume molto valore anche la riconducibilità allo stesso nome varietale e a più varietà con le stesse caratteristiche.
Voglio ricordare che anche nelle audizioni svolte in Commissione agricoltura le associazioni appartenenti alla filiera risicola hanno sottolineato che questa innovazione favorirà sicuramente lo sviluppo della ricerca relativa al miglioramento genetico. Questo provvedimento, pertanto, stabilisce di mantenere i nomi varietali, attribuendo però a ciascuno di essi le caratteristiche fisiche e chimiche distintive che sono verificabili con metodi riconosciuti da chiunque e in qualunque luogo.
Ad ogni modo, così come è stato concepito il disegno di legge, se si dovesse presentare la necessità di apportare dei cambiamenti, si potrà intervenire prontamente apportando le dovute modifiche.
Sarà, inoltre, molto importante la valorizzazione del riso italiano per consentire al settore stesso di affrontare con maggiori possibilità e con maggiore forza la sfida del mercato globale.
Questo disegno di legge, che riguarda proprio la nuova disciplina del commercio interno del riso, è ritenuto dagli operatori della filiera abbastanza completo, perché definisce nel dettaglio numerose definizioni del prodotto «riso»; stabilisce il campo di applicazione della legge, prevedendo l'esclusione dei risi che hanno ottenuto l'indicazione geografica protetta o la denominazione di origine protetta, ai sensi del regolamento della Comunità europea, e di quelli destinati poi all'esportazione verso i Paesi terzi. Disciplina, anche, la classificazione del riso e la sua denominazione di vendita; disciplina l'utilizzo dei marchi collettivi; dispone anche le sanzioni in caso di violazione delle disposizioni contenute nel provvedimento stesso; disciplina la revisione delle analisi a seguito di procedimenti giudiziari e amministrativi.
Per tutti questi motivi questo provvedimento è ritenuto, nel complesso, abbastanza completo.
Nonostante tutto, però, il disegno di legge, a nostro avviso, è il primo momento e il primo passo per offrire stabilità al grande patrimonio risicolo italiano. Inoltre, dovrà essere ulteriormente arricchito dal rilancio del sistema delle DOP e delle Pag. 48IGP, vale a dire che sarà importante proprio l'indicazione obbligatoria in etichetta all'origine.
Ha ragione il relatore quando sostiene che in Commissione agricoltura vi è stata condivisione per questo provvedimento. Ha ragione perché è la stessa filiera a chiedere questo provvedimento. Comunque, riteniamo che per qualsiasi miglioria o correzione sarà importante ed opportuno sempre il confronto con la filiera, così come è stato fatto fino a questo momento. Addirittura, ancora domani vi saranno delle audizioni. Sarà importante ascoltare la voce della filiera risicola, perché questo è sicuramente un settore molto importante per l'economia italiana come d'altronde, sottosegretario, tutto il settore agricolo italiano è importante per l'economia del nostro Paese.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore del Governo - A.C. 1991-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Rosso.

ROBERTO ROSSO, Relatore. Signor Presidente, prendiamo atto del dibattito e ci rimettiamo al seguito dell'esame del provvedimento per svolgere un'ulteriore discussione in Aula.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ANTONIO BUONFIGLIO, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, il mio intervento sarà breve. Intervengo per ringraziare il relatore Rosso, il presidente della Commissione e tutti i gruppi rappresentati nella Commissione agricoltura per il lavoro importante svolto che risponde alle esigenze di un settore e che avrà risultati notevoli, come è stato ricordato e come emerso anche nella discussione sulle linee generali, soprattutto ai fini della commercializzazione, della tutela della denominazione italiane e anche del miglioramento genetico.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 17 novembre 2009, alle 15:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali presentate):
S. 1784 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (Approvato dal Senato) (2897).
- Relatore: Bernini Bovicelli.

2. - Seguito della discussione delle mozioni Soro ed altri n. 1-00260, Di Pietro ed altri n. 1-00230, Pezzotta ed altri n. 1-00266 e Cicchitto, Cota, Lo Monte ed altri n. 1-00275 concernenti iniziative in materia di contrasto dell'immigrazione clandestina e per assicurare il rispetto delle norme costituzionali e internazionali, con particolare riferimento alle operazioni di respingimento.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Ciocchetti ed altri n. 1-00222 e Zazzera ed altri n. 1-00274 concernenti iniziative a favore delle associazioni sportive che promuovono le formazioni giovanili e per la tutela dei cosiddetti vivai nazionali.

Pag. 49

4. - Seguito della discussione delle mozioni Donadi ed altri n. 1-00271, Moffa, Commercio ed altri n. 1-00279 e Pezzotta ed altri n. 1-00280 concernenti iniziative per il sostegno dei redditi da lavoro e da pensione.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00264, Ghiglia, Alessandri, Iannaccone ed altri n. 1-00270, Realacci ed altri n. 1-00272, Piffari ed altri n. 1-00273 e Zamparutti ed altri n. 1-00278 sui cambiamenti climatici e sulle connesse politiche pubbliche.

6. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Nuova disciplina del commercio interno del riso (1991-A).
- Relatore: Rosso.

La seduta termina alle 18.