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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 238 di lunedì 26 ottobre 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 16,35.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 19 ottobre 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Angeli, Antonione, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Bucchino, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Fedi, Fitto, Anna Teresa Formisano, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maran, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Moffa, Narducci, Leoluca Orlando, Pianetta, Porta, Prestigiacomo, Ravetto, Razzi, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Soro, Stefani, Togni, Tremonti, Urso, Valducci, Vegas, Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 1773 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 settembre 2009, n. 131, recante ulteriore rinvio delle consultazioni elettorali amministrative nella provincia di L'Aquila (Approvato dal Senato) (2775-A) (ore 16,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 settembre 2009, n. 131, recante ulteriore rinvio delle consultazioni elettorali amministrative nella provincia di L'Aquila.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2775-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Lorenzin, ha facoltà di svolgere la relazione.

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Signor Presidente, il decreto-legge del quale l'Assemblea inizia oggi la discussione è stato adottato dal Governo al fine di disporre l'ulteriore rinvio delle consultazioni elettorali amministrative nella provincia di L'Aquila.
L'intervento si è reso necessario a causa delle difficoltà dovute al terremoto che ha colpito i comuni dell'aquilano il 6 aprile scorso, difficoltà che continuano ad impedire, come ricordato nella relazione illustrativa in Commissione, sia la necessaria Pag. 2tempestività dell'attivazione del procedimento amministrativo elettorale (e cioè la presentazione e ammissione delle liste e l'affissione dei manifesti ufficiali), sia lo svolgimento delle consuete attività delle forze politiche in occasione delle consultazioni elettorali (quindi la scelta delle candidature, come lo svolgimento della campagna elettorale stessa).
Nel testo del Governo il provvedimento constava di due soli articoli. Il Senato, che ha già esaminato il disegno di legge di conversione, si è limitato ad aggiungere opportunamente la rubrica dell'articolo 1 del decreto-legge. Infatti, nel testo trasmesso dal Governo al Parlamento solamente l'articolo 2 era provvisto di rubrica, il che contravveniva al criterio di uniformità previsto dalle regole tecniche per la redazione dei testi normativi.
La Commissione affari costituzionali della Camera ha invece introdotto un nuovo articolo dopo l'articolo 1. Infatti, l'articolo 1 già presentato nel testo del Governo dispone un ulteriore rinvio delle elezioni del presidente e del consiglio provinciale della provincia di L'Aquila e quelle dei sindaci e dei consigli comunali nella medesima provincia, già rinviate all'autunno 2009 con il decreto-legge 28 aprile 2009 n. 39.
Le elezioni amministrative, in particolare, vengono rinviate al turno ordinario annuale del 2010. Conseguentemente, il mandato dei relativi organi è prorogato sino alle nuove elezioni. Ricordo che le elezioni amministrative del turno ordinario del 2009 erano previste e si sono tenute il 6 e 7 giugno, quindi appena due mesi dopo il terremoto.
La consultazione interessava anche gli elettori della provincia di L'Aquila che sono chiamati a rinnovare il presidente e i componenti del consiglio provinciale. In diversi comuni della provincia, inoltre, avrebbero dovuto svolgersi le elezioni del sindaco e dei consigli comunali.
Come detto, subito dopo il sisma, il decreto-legge 28 aprile 2009 n. 39 ha disposto il rinvio delle elezioni amministrative in tutta la provincia di L'Aquila in una data compresa tra il 1o novembre e il 15 dicembre da fissarsi con decreto del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 6, comma 3 del medesimo decreto.
L'eventualità di un ulteriore rinvio era stata presa in considerazione già al momento dell'approvazione qui alla Camera del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 39 del 2009, quando il Governo aveva accolto un ordine del giorno dell'onorevole Fontanelli ed altri che raccomandava per l'appunto di valutare l'eventualità di un rinvio delle elezioni al 2010.
L'articolo 1-bis è stato introdotto dalla Commissione affari costituzionali nel corso dell'esame in sede referente con l'approvazione di un emendamento della relatrice sul quale sia il Governo, sia tutti i gruppi hanno convenuto.
Il nuovo articolo reca disposizioni finalizzate a permettere per il solo 2010 l'abbinamento delle elezioni amministrative con le elezioni regionali previste per il prossimo anno nelle regioni a Statuto ordinario le quali, secondo quanto preannunciato dal Ministro dell'interno, potrebbero tenersi il 28 e il 29 marzo.
La finalità dell'abbinamento è da una parte quella di ottenere un risparmio di spesa, come già fatto in altre occasioni, dall'altra quella di garantire una continuità didattica nelle scuole che sono sede dei seggi elettorali.
Per la precisione, l'articolo 1-bis è composto di due commi. Il primo prevede che l'elezione dei presidenti delle province e dei consigli provinciali, dei sindaci e dei consigli comunali si svolgano - limitatamente al turno ordinario annuale del 2010 - tra il 15 marzo e il 15 giugno. La disposizione serve a derogare per il 2010 al disposto di cui all'articolo 1 della legge n. 182 del 1991, recante norme per lo svolgimento delle elezioni dei consigli provinciali, comunali e circoscrizionali, ai sensi del quale l'elezione dei consigli comunali e provinciali si tengono tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Il comma 2, conseguentemente, anticipa di un mese per il solo 2010 il termine di cui all'articolo 2 della citata legge, portandolo così dal 24 febbraio al 24 Pag. 3gennaio. L'articolo 2 della legge n. 182 del 1991 stabilisce - lo ricordo - che l'elezione dei consigli comunali e provinciali che debbono essere rinnovati per motivi diversi dalla scadenza del mandato si svolgano nel turno dell'anno in corso, se le condizioni che rendono necessario il rinnovo si sono verificate entro il 24 febbraio di quell'anno, e nel turno dell'anno successivo se si sono verificate successivamente.
Il comma 2 dell'articolo 1-bis, sempre al fine di ridurre i termini in vista dell'anticipazione delle elezioni amministrative dispone a sua volta che le dimissioni del presidente della provincia e del sindaco presentate dal 1o al 21 gennaio 2010 diventino efficaci ed irrevocabili trascorso il termine di due giorni dalla loro presentazione al consiglio. La disposizione è volta a derogare a quanto previsto dall'articolo 53, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, il quale prevede che le dimissioni presentate dal sindaco e dal presidente della provincia diventino efficaci ed irrevocabili trascorso il termine di 20 giorni dalla loro presentazione al consiglio e che, in tal caso, si proceda allo scioglimento del relativo consiglio con contestuale nomina di un commissario.
L'articolo 2 del decreto-legge, infine, si limita a fissare la data di entrata in vigore del provvedimento nel giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

PRESIDENTE. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, è evidente che il rinvio delle elezioni sia la cosa più ovvia, la scelta più giusta e la cosa più saggia, perché altre erano e permangono le urgenze cui dare risposte a L'Aquila e dintorni, al suo territorio dopo il sisma. Sarebbe stato paradossale e quanto mai contraddittorio chiamare alle urne ben 300 mila elettori (poi vedremo se saranno ancora così tanti) ancora alle prese con le emergenze abitativa, occupazionale e socio-economica. Infatti, chi dall'esterno pensava e pensa che si fosse già nella seconda fase - quella della ricostruzione - si sbagliava e si sbaglia e anche di grosso. Si è fatto e si continua fare, ma non nella misura e nella qualità percepita dalla gente. Le risposte non sono direttamente proporzionali ai risultati raggiunti e soprattutto a quelli sbandierati. Lungi da me e da noi dell'Italia dei Valori la polemica sterile e odiosa, ma tant'è. Permangono molte ombre tra le luci dell'attività post sisma.
Lo stesso decreto-legge n. 131 del 2009 avente per oggetto l'ulteriore rinvio delle consultazioni elettorali amministrative nella provincia di L'Aquila motiva il rinvio ulteriore dal momento che «permane la straordinaria necessità ed urgenza a seguito degli eventi sismici». Ma lo stato dell'arte post sisma a L'Aquila è chiarito ancora meglio dal relatore del provvedimento al Senato, quando dice che «il decreto-legge n. 131 del 2009 dispone un'ulteriore proroga dello svolgimento delle elezioni amministrative nella provincia di L'Aquila, rinviandole al turno annuale ordinario della primavera del 2010. (...) Il Governo ha ritenuto di agire in tal senso a causa del permanere di una situazione emergenziale nel territorio colpito dal sisma».
Attraverso questo richiamo alla memoria recente di quanto detto e fatto al Senato dal Popolo della libertà si vogliono evidenziare alcune contraddizioni che sono stridenti. La prima: il richiamo del relatore alla situazione emergenziale significa che ancora non si esce da questa fase, ma ancor di più che non si è entrati di fatto e compiutamente nella seconda fase, quella della ricostruzione vera e propria, in termini organici e sistematici. La seconda: un altro senatore del Popolo della Libertà, peraltro anch'egli abruzzese, afferma che le elezioni avrebbero intralciato la gestione dell'emergenza in atto e ancora che le stesse sarebbero state alterate dalle Pag. 4tensioni sociali inevitabilmente presenti. Con questi richiami alla realtà delle cose voglio dimostrare che il rinvio è direttamente collegato ad uno stato di emergenza tuttora presente che attanaglia ancora la gran parte dei cittadini. Se per voi la gran parte dei cittadini sono ben poca cosa, per me 27.500 concittadini abruzzesi e diverse migliaia di studenti, nell'ordine dei 5-6 mila, che ancora devono superare la fase post sismica e quella emergenziale sono una cosa grandissima che non si può ricondurre ad un provvedimento legislativo.
Il rinvio era ed è talmente ovvio che bisognava provvedere a spostare direttamente a primavera 2010 le consultazioni senza questo inutile passaggio che tecnicamente viene chiamato ulteriore rinvio delle elezioni amministrative a L'Aquila. Infatti questo provvedimento evidentemente, qui siamo lapalissianamente d'accordo, contiene alcuni elementi che ci devono far riflettere e che non attengono solo alla sfera del tecnicismo costituzionale, ma investono la vita, la quotidianità, il rilancio socioeconomico, gli aspetti psicologici, sociali ed etici di un'intera popolazione che sicuramente in questa fase non è interessata assolutamente alle elezioni in queste condizioni.
Ma non solo. Siccome in Abruzzo, caro Presidente, caro Governo e cari colleghi, siamo in una fase in cui il modello di sviluppo economico si sta progressivamente e velocemente modificando dall'entroterra verso la costa, credo che quando ci troveremo a primavera 2010 non saranno 300 mila elettori a votare, ma saranno tantissimi di meno perché nel frattempo non avranno avuto risposte ai problemi che permangono, nonostante abbiamo fatto uno sforzo incredibile. Presidente, nella mozione dell'Italia dei valori con me primo firmatario, siamo arrivati a far condividere una posizione unitaria: abbiamo detto che permangono alcune situazioni che non ci consentiranno oltre il 31 dicembre 2009 di poter essere soddisfatti dell'andamento delle cose, perché crediamo che altre saranno le urgenze e le emergenze legate al post sisma che attanaglieranno quelle famiglie e gli universitari.
Voglio dire ancora che questi temi sono direttamente collegati ad un provvedimento di carattere elettorale e amministrativo; ciò sta a significare che noi andiamo a fare una serie di iniziative legate ad un dato costituzionale ed elettorale senza tener conto delle modificazioni che stanno avvenendo e della possibilità che vi siano dei cambiamenti strutturali all'interno di quella realtà che non consentiranno totalmente e compiutamente all'intero corpo elettorale di partecipare ad una elezione così importante che definisce i criteri all'interno dei quali gli abruzzesi, gli aquilani e le persone di quel territorio intendono scrivere da par loro il loro futuro, piuttosto che aspettare qualcuno che viene dall'esterno. Voglio richiamare questo dato che mi sembra un aspetto estremamente importante e direttamente collegato a questo provvedimento.
Voglio ricordare ad ognuno di noi e anche a voi, al Presidente e al Governo, che in Abruzzo, non è un'opinione, in realtà permangono gravissime difficoltà, ci sono piccole e grandi questioni che si sommano e ancora non trovano risposte. Credo che la maturità e la consapevolezza del Governo passerà attraverso quella mozione unitaria che ci impone, soprattutto al Governo, di dare risposte: si deve trovare una soluzione entro il 31 dicembre, anche all'interno della finanziaria con fondi veri.
Altrimenti, molto probabilmente, andare alle elezioni la prossima primavera a livello amministrativo provinciale, nei comuni, non servirà a nulla, perché non ritroveremo molta di questa gente in quelle realtà; saranno, infatti, sulla costa e molte di queste realtà e queste famiglie non andranno a votare perché non saranno state soddisfatte rispetto al loro calvario iniziale post sisma da tutta la procedura che si è avviata.
Credo che ci debba essere un'equità nella distribuzione delle opportunità, che passa anche attraverso il fatto di mettere in campo un semplicissimo percorso di Pag. 5soddisfazione: offrire un tetto a tutti, che è una cosa banale, ma che riguarda evidentemente 27.500 persone, che sono persone in carne ed ossa e che non sono inventate da chi vi parla.
Credo che tutto ciò abbia una fortissima attinenza e colleganza con le questioni di cui stiamo parlando, perché credo che, quando viene messa in campo la sbandierata volontà programmatrice e politicamente corretta da parte del Governo, si doveva fin da subito pensare che non vi erano le condizioni, dall'aprile all'autunno del 2009, per mettere in campo una strumentazione di bordo tecnica, solo ed esclusivamente tecnica, che tenesse conto di tutte le aspirazioni, i bisogni e i sogni infranti di queste popolazioni; essa andava, invece, trovata attraverso un provvedimento unitario e immediato che spostasse le elezioni alla primavera del 2010, perché quello era il tempo giusto e altre erano le preoccupazioni.
Credo che alcune delle questioni messe in campo sotto il profilo squisitamente tecnico dalla relatrice abbiano un valore, ma credo che, se fossero state agganciate ad elementi così importanti che partono dal quotidiano e dalle vite vere, che sono per la gran parte spezzate, avrebbero avuto ben altro tenore e ben altro esito valoriale.
Evidentemente, avremmo potuto anche chiudere la discussione in 30 secondi dicendo che siamo d'accordo, però alcune riflessioni ci devono far capire alcuni aspetti fondamentali. Lo dico al Governo: quando si fanno provvedimenti, fossero anche banali, come spostare, rinviare e quant'altro, andrebbero motivati con altri tipi di espressioni e andrebbe detto che forse, nella relazione iniziale, abbiamo sbagliato a valutare la prima possibilità di rinvio delle elezioni a novembre, e quindi le spostiamo ulteriormente. «Ulteriormente» sta a significare che abbiamo provato a fare questo, non ci siamo riusciti e spostiamo le elezioni di altri 6 mesi.
Credo che un atteggiamento serio e consapevole passi anche attraverso questo e il riconoscere che ad oggi in Abruzzo si è fatto, e nessuno può dubitarne, un buon lavoro, e in gran parte bisogna ringraziare la Protezione civile; credo, però, che la relazione che introduce il provvedimento dovesse contenere degli elementi di riflessione e anche qualche elemento di analisi critica, ammettendo che forse, da subito, le preoccupazioni erano mirate più alle popolazioni che agli elettori.
Guardate che la coincidenza vi è di fatto, perché in gran parte gli elettori sono quei 300 mila che hanno esigenze non come elettori, ma come persone umane, in carne e ossa. Hanno problemi legati alla loro socialità, alla soddisfazione delle relazioni, al dato economico.
La gran parte dell'economia locale è continuamente bruciata e azzerata, non è stata rimessa in piedi. Passa anche l'opportunità, che in quella mozione non è stata approvata, e che era proposta dall'Italia dei Valori, per il riconoscimento della seconda casa come valore all'interno del quale si sviluppava l'economia ed anche la capacità di essere presenti come corpo elettorale.
Si tratta di tutta una serie di elementi che ci consentivano di dire che avevamo ricompreso dentro questo provvedimento tutte le ulteriori difficoltà, nessuna esclusa, tenendo conto del fatto che, prima di pensare a questo aspetto meramente tecnico ed elettorale, forse deve essere soddisfatto l'aspetto di sopravvivenza umana e morale.
Credo che su questo, da parte del Governo, andava messa in campo qualche riflessione ulteriore, perché credo che la cifra della maturità di un Governo, e anche di una nazione, sia quella di saper riconoscere alcuni errori che vengono fatti per approssimazione e che poi possono essere meglio raddrizzati se vengono attivate procedure di confronto.
Dico sempre e ho sempre detto in quest'Aula che forse, se il Governo utilizzasse rispetto a queste situazioni così eccezionali, come il terremoto, non un confronto tra maggioranza e opposizione, ma una dialettica competitiva che ci consenta di rompere le barriere e di parlare di cose concrete, molto probabilmente avremmo fatto anche molto meglio il nostro Pag. 6lavoro di deputati e di Governo e avremmo colto anche più risultati rispetto ai bisogni dei cittadini.
Ribadisco quindi, ovviamente, la nostra disponibilità e la nostra posizione positiva rispetto al provvedimento, ma vi ricordo (esiste anche una memoria, che va usata) che, se si fossero attivate tutte le procedure con i tempi e i modi giusti, molto probabilmente l'avremmo o l'avreste fatto prima, rinviando subito alla primavera 2010.
I vostri senatori del PdL, i miei conterranei del PdL hanno proprio detto questo, che si trattava di situazioni rilevanti; ricordo anche quando il senatore, relatore del provvedimento al Senato, ha detto (testuali parole): il Governo ha ritenuto di agire in tal senso a causa del permanere di una situazione emergenziale. «Emergenziale» sta quindi a significare che non siamo completamente nella fase della ricostruzione; siamo ancora in una fase in cui siamo impegnati tra emergenza e ricostruzione e sul versante dell'emergenza vi è ancora tanto da fare, perché bisogna anche «ricostruire» le persone piuttosto che le case, anche se queste ultime sono oltremodo importanti; si è nella fase in cui la ricostruzione sta avvenendo solo per alcuni aspetti ed alcune realtà, piuttosto che compiutamente all'interno di un progetto organico e sistematico di risposte da dare al territorio.
Ribadisco dunque la nostra posizione positiva rispetto al rinvio delle elezioni. Ricordo però al Governo e ai nostri colleghi della maggioranza che permangono, sì, tali riflessioni, ma permangono anche i chiarimenti da dare, e permangono ancora molte risposte da fornire a beneficio di quelle popolazioni e di quel territorio (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanelli. Ne ha facoltà.

ORIANO GIOVANELLI. Signor Presidente, noi tutti credo avremmo voluto non rinviare ulteriormente le elezioni amministrative in Abruzzo: la normalità democratica è un bene al quale tutti quanti dobbiamo volgere la massima attenzione, e se non riusciamo ad esercitarla è del tutto evidente che ciò significa che siamo ancora in uno stato di sostanziale emergenza.
Lo ricordava il collega che mi ha preceduto, ma in modo molto puntuale l'aveva sollevato il collega Fontanelli in relazione all'ordine del giorno, presentato il 23 giugno del 2009 in Aula, nel quale si evidenziavano ragioni di opportunità «stagionale» rispetto all'eventualità di votare per la provincia de L'Aquila nei mesi autunnali, e anche altre ragioni legate al potenziale risparmio, accorpando queste elezioni al turno delle amministrative previsto per il 2010; ma sostanzialmente evidenziando che la previsione che il Governo aveva più volte manifestato, di un ritorno alla normalità entro l'autunno, era un'aspirazione, per quanto legittima e anzi benaugurante, sostanzialmente priva di reale consistenza.
Siamo quindi sostanzialmente all'attuazione di quell'ordine del giorno, e prevediamo l'accorpamento delle elezioni amministrative in provincia de L'Aquila con il turno delle amministrative della primavera 2010. Ciò significa che sostanzialmente l'emergenza è ancora molto alta, e anche su questo punto era in Aula emersa nel dibattito attorno ad una mozione unitaria, che abbiamo discusso il 13 ottobre 2009, la sostanza di questa emergenza.
La verità è che stiamo assistendo - e questo ovviamente ci fa piacere - alla consegna di alcune centinaia di appartamenti alle famiglie che sono state così profondamente colpite dal sisma ma vi sono migliaia di domande di aiuto che non vengono evase, rispetto alle quali evidenziamo un grave ritardo (lo ricordava un collega del mio gruppo, l'onorevole Lolli), anche con riferimento a quelle iniziative che dovrebbero aiutare l'economia della provincia de L'Aquila a riprendere il proprio, non dico normale, ma fiducioso cammino.
Abbiamo bisogno che venga dilazionato il rientro dal mancato pagamento delle imposte per i cittadini e le imprese di quell'area, così come si è fatto per l'Umbria Pag. 7e le Marche; abbiamo bisogno di dare sostanza alla zona franca che è stata prevista in quell'area, di prorogare l'aiuto verso i dipendenti e i titolari di imprese di commercio che oggi si trovano chiuse, di prorogare gli interventi a favore delle piccole imprese artigiane che hanno visto bloccata la propria attività economica.
Credo sia giusto, proprio perché vi è un rapporto tra la normalità democratica e quella sociale e civile, richiamare questi punti programmatici proprio nel momento in cui facciamo riferimento al fatto che convocheremo comunque la popolazione di quella provincia ad esprimersi dal punto di vista elettorale nella prossima primavera, nel 2010. Abbiamo quindi pochi mesi per far coincidere la normalità sociale ed economica con la normalità democratica; dobbiamo accelerare il passo e concentrare l'attenzione sulle questioni che sono già state poste sotto le lente di ingrandimento e messe a fuoco nel dibattito di quest'Aula con il contributo di tutti gruppi e anche, ovviamente, del mio; dobbiamo farlo, affrontando la questione delle questioni che interessano la realtà de L'Aquila e della sua provincia.
Se guardiamo i servizi televisivi, vediamo le case nuove, la gioia - e la condividiamo con commozione - che si legge negli occhi delle famiglie che si trovano a prendere possesso di questi immobili ma non possiamo scordare il fatto che, ancora, nel centro storico de L'Aquila non si è mosso un mattone e non possiamo non ricordare a noi stessi che gli aquilani vogliano L'Aquila come era e dove era. Vi è quindi una forte necessità di accelerare il passo nella direzione del recupero di uno dei più bei centri storici del nostro Paese e vi è anche da recuperare un ritardo rispetto al coinvolgimento delle amministrazioni locali: anche questo sarà uno dei temi che necessariamente sarà affrontato durante il dibattito alle prossime elezioni amministrative in quella provincia.
Questo Governo e soprattutto questo Presidente del Consiglio spesso è preso dalla tendenza a dire: «penso, progetto, faccio», che sostanzialmente poi non funziona.
Uno dei punti più deboli dell'azione del Governo nella zona terremotata è stata proprio la capacità di coinvolgere fino in fondo le istituzioni locali, i comuni a partire da quello de L'Aquila e la provincia. Questo è un problema e, poiché siamo in presenza di un decreto-legge che è stato vagliato dalla Commissione affari costituzionali di cui faccio parte, mi permetto di aggiungere a questa un'ulteriore considerazione, che non vale soltanto in questa occasione, ma che dovrebbe far riflettere il Parlamento e le Commissioni su una tendenza in atto e che, a mio avviso, desta qualche profilo di preoccupazione.
Mi riferisco al fatto che nel nostro Paese - lo abbiamo denunciato con grande chiarezza - si assiste ad un sostanziale svuotamento del percorso democratico e dell'equilibrio tra i poteri. Vi è infatti la tendenza ad agire per decreti-legge ed a modificare in corso d'opera i decreti medesimi, «rimpinzandoli» di argomenti e di questioni diverse rispetto a quelle contenute nel testo originariamente sottoposto alla firma del Presidente della Repubblica. Vi è poi la tendenza a stroncare la discussione attraverso la posizione della questione di fiducia (siamo arrivati a quota 25, se non ricordo male), ma ve ne è un'altra ancora che non è stata sufficientemente messa sotto la lente di ingrandimento di chi ha a cuore la trasparenza, l'efficacia delle istituzioni democratiche ed il loro ruolo: mi riferisco al fatto che vi è un'altra normativa che sfugge a qualsiasi controllo in questo Paese, quella rappresentata dal ricorso continuo alle ordinanze di Protezione civile.
Questo è un punto sul quale credo si debba in qualche modo accendere una qualche lampadina. Non dico un riflettore, perché qualcuno potrebbe pensare che intendo ora criticare l'operato del sottosegretario Bertolaso piuttosto che quello della Protezione civile nel caso specifico de L'Aquila, mentre è vero tutto il contrario: nei diversi dibattiti che hanno avuto luogo è stato detto da tutti i parlamentari - ed Pag. 8io non ho nulla da aggiungere - che la Protezione civile nel caso specifico ho agito tempestivamente ed efficacemente.
Il punto è però un altro, cioè quello per cui in un Paese spesso sottoposto a vicende che richiamano la necessità dell'intervento da parte della Protezione civile ci si ritrova ad avere strumenti, quali appunto le ordinanze di Protezione civile, che sostanzialmente svuotano o cambiano le regole del gioco, sia in termini degli iter democratici relativi all'approvazione di provvedimenti che poi hanno una incidenza sulle persone, sui territori e sulle imprese, sia in termini di iter attraverso cui si affidano lavori per milioni e milioni di euro fuori e al di là delle regole con le quali normalmente si fa ricorso alle procedure ordinarie.
Vengono chiamate ordinanze di Protezione civile proprio perché sono e devono essere motivate dall'eccezionalità, ma ciò che intendo sottolineare con questo intervento è che, a mio giudizio, troppo spesso esse stanno diventando un ulteriore strumento normativo, quasi uno strumento ordinario, e noi abbiamo il dovere di essere preoccupati e di mantenere vigile l'attenzione su questo punto.
Infine, il decreto-legge al nostro esame prevede l'election day, ossia l'accorpamento del turno amministrativo con le elezioni regionali (ovvero il contrario, l'accorpamento alle elezioni regionali del turno amministrativo previsto per la primavera del 2010, che viene anticipato): pure su tale punto siamo d'accordo, sebbene in passato su questa materia si fosse intervenuti con provvedimenti appositi e non modificando un decreto-legge in itinere (ricordo ciò solo per una questione di principio, perché in questo caso, forse più che in altre occasioni, si registra anche una affinità di materia).
Mi permetto di osservare che noi condividiamo questa scelta e che, sebbene il risparmio che ne deriverà per le casse pubbliche non sarà tantissimo, visto che la coincidenza tra il turno delle elezioni regionali e quello delle amministrative è di poco rilievo, essa rappresenta un segnale di razionalità, di attenzione e di scrupolo che viene inviato ai nostri concittadini (sempre più sensibili, in un periodo di crisi, all'uso corretto e disciplinato del denaro pubblico).
L'iniziativa contenuta nel provvedimento in discussione poteva essere adottata anche in altre occasioni, e ricordo che, proprio lo scorso anno, vi è stato il diniego ad unificare il turno delle elezioni amministrative con il referendum (circostanza questa che avrebbe prodotto ben altri risparmi per le casse pubbliche).
Infine credo - e concludo - che tutte le volte che si presenta l'occasione per discutere di amministrazioni locali (in questo caso di un turno amministrativo, se non importante come quello che abbiamo avuto ultimamente, comunque significativo dal punto di vista del numero delle città coinvolte) sia giusto richiamare l'attenzione del Parlamento e del Governo sulle richieste pressanti che, dal mondo delle amministrazioni locali, provengono al Parlamento stesso e al Governo (e, tra l'altro, in fase di discussione del disegno di legge finanziaria, oggi all'esame del Senato).
In primo luogo, ricordo a me stesso, e a tutti voi, che vi è una richiesta pressante perché venga sospeso il Patto di stabilità, che vi sia una moratoria del Patto di stabilità, per consentire alle amministrazioni locali di pagare i crediti vantati dalle piccole imprese, che spesso consistono in poche migliaia di euro, che però possono significare molto per piccole attività artigiane che lavorano con le amministrazioni locali. Si tratta di consentire a quelle imprese, che ne hanno la disponibilità, di poter utilizzare le risorse per mandare avanti opere già cantierate od opere pubbliche previste nei programmi triennali. Questo sarebbe un volano straordinario per l'economia, e per le piccole imprese. Non ci dobbiamo meravigliare se viene richiamato - tutti ne parlano, e il giorno dopo se ne scordano - il fatto che nel nostro Paese vi è un milione di piccole imprese in una situazione precaria, con rischio di chiusura.
Vi è poi la grande questione sociale: la povertà, ovvero la disoccupazione che si scaricherà sulle realtà locali, la domanda Pag. 9di aiuto e di assistenza che crescerà per pagare le bollette, per far fronte all'affitto, per riuscire a mantenere i propri figli nei servizi educativi o gli anziani nei servizi sociali. Tutto questo comporta la necessità di un forte investimento sul fondo sociale e di un'azione d'aiuto verso quelle realtà del volontariato che sono le prime che stanno cercando di tamponare le difficoltà che la questione sociale sta scaricando sulle realtà locali.
Ritengo, infine, che vada sottolineato positivamente il fatto che, dopo mesi di trattativa, finalmente, sembra si sia sbloccata una questione importante come quella del Patto della salute. Si è arrivati alla sottoscrizione di un accordo tra regioni ed enti locali, anche se a margine - lo ricordo - le regioni hanno rivendicato il rilancio del Fondo per la non autosufficienza, e proprio un forte rifinanziamento di quel fondo sociale a cui facevo riferimento poc'anzi.
Come una sorta di goccia che batte sopra la pietra, nella convinzione che piano piano la scava, bisogna rompere quel muro di gomma che si è creato tra le richieste e i bisogni rappresentati dalle amministrazioni locali. Bisogna insistere affinché, da parte di questo Governo, di questa maggioranza che guida la Camera e il Senato della Repubblica, di fronte alla crisi, e alle esigenze che ci vengono sollecitate, vi sia una risposta concreta e positiva, anche a partire dalla prossima legge finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2775-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice e il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato dei progetti di legge Ascierto e Bertolini: Istituzione del «Giorno della memoria delle vittime di Nassiriya e di tutti i militari e civili italiani caduti in missioni internazionali» (A.C. 139-549-2799-A) (ore 17,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato dei progetti di legge Ascierto e Bertolini: Istituzione del «Giorno della memoria delle vittime di Nassiriya e di tutti i militari e civili italiani caduti in missioni internazionali»
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 ottobre 2009.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 139-549-2799-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Laffranco, ha facoltà di svolgere la relazione.

PIETRO LAFFRANCO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento di cui oggi l'Assemblea inizia la discussione è finalizzato a riconoscere il 12 novembre quale giorno della memoria delle vittime di Nassiriya e di tutti i militari e civili italiani caduti in missioni internazionali.
Il 12 novembre è l'anniversario della strage di Nassiriya. Il 12 novembre 2003 a Nassiriya, in Iraq, la base Maestrale del contingente italiano impegnato nella missione internazionale di pace Antica Babilonia, che venne decisa dall'allora Governo italiano per dare un contributo alla ricostruzione democratica di quella nazione, fu obiettivo di un vile ed ignobile attentato terroristico. Vi perirono dodici carabinieri, cinque militari dell'Esercito e due civili. I Pag. 10nostri diciannove connazionali, che - come ebbe modo di affermare il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - donarono il bene supremo della vita ispirandosi ad un nobile intento di pace e mirando a sostenere la rinascita e il progresso civile dello Stato iracheno, divennero così un esempio di mirabile dedizione al senso del dovere e dell'amor patrio.
L'esigenza di tener desta la memoria del sacrificio dei connazionali caduti in missioni finalizzate a garantire la pace e la sicurezza internazionale (un popolo senza memoria ha un presente incerto e difficilmente avrà speranza di un futuro migliore) è oggi resa ancor più forte a seguito della nuova strage che ha colpito di recente i nostri militari impegnati all'estero. È evidente il riferimento ai sei militari del centottantaseiesimo reggimento paracadutisti Folgore caduti il 17 settembre di quest'anno in Afghanistan per un altrettanto vile e ignobile attentato kamikaze che ha colpito due mezzi blindati italiani sulla strada che conduce dal centro cittadino all'aeroporto della capitale Kabul.
Queste di Nassiriya e di Kabul sono state certamente le stragi che hanno colpito più profondamente la nazione negli ultimi anni, ma molti altri, purtroppo, sono gli italiani caduti all'estero nell'ambito di missioni internazionali: dalla Somalia al Congo, dai Balcani al Libano, ancora all'Afghanistan e all'Iraq. Le proposte di legge intendono ricordarli tutti, celebrando così ogni anno la memoria di quegli italiani che, impegnati in diversi Paesi del mondo nelle missioni all'estero a sostegno della pace e della sicurezza internazionale, hanno perso la vita nell'adempimento del dovere, senza disperder dunque né vanificare l'esempio di tanto coraggio e di tanta abnegazione di nostri connazionali, ormai costantemente coinvolti in azioni sanguinose nei teatri operativi esteri mentre perseguono i progetti di peace making, di peace keeping, di peace enforcing in seno alle missioni internazionali.
L'iniziativa prende spunto da due proposte di legge firmate dagli onorevoli Ascierto e Bertolini, accorpate in I Commissione (Affari costituzionali) in un testo unificato, e dal disegno di legge governativo proposto dal Ministro della difesa, onorevole Ignazio La Russa, e licenziato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 9 ottobre. I provvedimenti sono pressoché identici nel contenuto e nelle finalità, pur recando in verità titoli diversi. Mentre la proposta parlamentare reca l'istituzione del Giorno della memoria delle vittime di Nassiriya e di tutti i militari e civili italiani caduti in missioni internazionali, il disegno di legge governativo - proprio perché successivo alla strage verificatasi in Afghanistan lo scorso settembre - prevede la celebrazione di un Giornata del ricordo dei caduti nelle missioni internazionale per la pace. L'istituzione di questa Giornata consentirà a tutti i cittadini italiani la possibilità di unirsi nel ricordo dei caduti tributando loro un doveroso omaggio, di sentirsi più vicini nel dolore che ha colpito le loro famiglie, ma anche nell'orgoglio di appartenere ad una Patria che è parte di una comunità internazionale, salda nei principi di libertà e di democrazia, e che si è dimostrata capace anche di pagare un forte tributo di sangue nel mondo con il suo impegno nella difesa degli ideali condivisi.
In ragione delle considerazioni che precedono è prevista, al comma 1 dell'articolo 1, l'istituzione della Giornata del ricordo dei caduti nelle missioni internazionali per la pace, da celebrare il 12 novembre di ogni anno, durante la quale si ricordano tutti i caduti civili e militari nelle missioni all'estero con la partecipazione dello Stato italiano a sostegno della pace. Lo stesso parere favorevole espresso dalla III Commissione (Affari esteri) ha voluto sottolineare il contributo che gli italiani assicurano nelle aree di crisi di tutto il mondo per l'affermazione della pace e la protezione dei diritti dell'uomo, in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione della Repubblica. Parere favorevole è stato altresì espresso dalla IV Commissione (Difesa) e nulla osta dalla V Commissione Pag. 11(Bilancio), mentre la VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) ha espresso parere favorevole con la condizione di tenere presente che la legge 4 maggio 2007, n. 56, prevede per la data del 9 maggio l'istituzione del Giorno della memoria di tutte le vittime del terrorismo. Il comma 2 di entrambi i provvedimenti dispone quindi che in occasione del 12 novembre le amministrazioni pubbliche possano organizzare cerimonie di commemorazione e di celebrazione dei caduti nelle missioni internazionali a sostegno della pace, e possano favorire lo svolgimento, in particolare nelle scuole di ogni ordine e in grado, di iniziative e incontri, momenti comuni di narrazione e di ricordo dei fatti nonché riflessioni e analisi storiche, affinché le nuove generazioni possano conoscere e conservare nella memoria il ricordo del valore del sacrificio dei caduti nelle missioni internazionali di pace.
Tuttavia i provvedimenti normativi, pur riconoscendo che tale ricorrenza è considerata solennità civile ai sensi dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260, escludono che questo debba avere riflessi sull'orario di lavoro degli uffici pubblici e che, qualora cada in giorni feriali, costituisca giorno di vacanza o comporti riduzioni di orario per le scuole di ogni ordine e grado ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n. 54 (articolo 1, comma 1, secondo periodo, della proposta governativa e articolo 1, comma 3, della proposta ad iniziativa parlamentare). Infine, sia il testo unificato elaborato dalla Commissione, derivante dai testi degli onorevoli Ascierto e Bertolini, sia il disegno di legge del Governo, rispettivamente al comma 4 dell'articolo 1 e al comma 3 dell'articolo 1, prevedono che dall'attuazione di questa iniziativa legislativa non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
In conclusione, mi permetto di esprimere l'auspicio che il provvedimento possa trovare ampia se non unanime condivisione da parte di tutti i colleghi e di tutti i gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, ritengo unitamente al gruppo dell'Italia dei Valori che queste iniziative legislative debbano essere utili non solo ad un richiamo rituale alla memoria, ma debbano anche servire a scrivere il futuro: un futuro di atti, fatti e comportamenti esemplari ed educativi da prendere ad esempio a livello individuale e collettivo, che dissodi e coltivi le coscienze sopite e spesso azzerate tanto degli adulti quanto soprattutto dei giovani, veri destinatari di questi messaggi identitari e valoriali. Bisogna tenere vivo il ricordo come ammonimento e come impegno a costruire un mondo e una realtà migliori, evitando che questa ed altre giornate così significative scadano nel puro e semplice anniversario, facendolo divenire vuota ritualità.
La politica e le istituzioni devono tenere alta la guardia, con un profilo da alimentare quotidianamente con esempi positivi dai quali i giovani e la comunità nazionale possano attingere per tenere acceso e vivo il senso di una memoria proiettata a costruire il nostro futuro su basi solide dal punto di vista etico e civile. Dunque, non serviranno né prediche né parole, bensì comportamenti nei quali riconoscersi e specchiarsi: allora sì che la Giornata del ricordo rappresenterà concretamente la sintesi di azioni quotidiane da cui attingere e alimentarsi senza retorica, sapendo che nessuno può e potrà sottrarsi dal fare la sua parte nella costruzione di un futuro condiviso nel quale la memoria e il ricordo di azioni positive sono le fondamenta su cui poggiare una vera e democratica convivenza civile.
Ritengo che la cifra di una nazione la si possa collocare attraverso due elementi fondamentali: lo dico spesso in Commissione difesa e lo ripeto qui in Aula, soprattutto in virtù di questo provvedimento che ritengo assolutamente necessario Pag. 12perché richiama profondamente le nostre radici democratiche e pacifiche come nazione e come Italia. Ritengo, dunque, che due siano gli elementi che danno la cifra della maturità e della consapevolezza di una nazione: il welfare e la difesa. Sono convinto inoltre che la nostra interpretazione del modello di difesa che poi cerchiamo di esportare fa rima con la cooperazione, con la pace, con la ricostruzione, anche con la vicinanza delle Forze armate a tante popolazioni che subiscono e hanno subito angherie. Pertanto ritengo che in questo contesto vadano inserite queste celebrazioni all'interno delle quali la nostra nazione, attraverso le Forze armate, rappresenta il meglio di se stessa, ovvero quando andiamo ad addestrare, ricostruire e ad offrire elementi che dal punto di vista sociale e culturale possono far progredire quelle realtà e soprattutto quelle persone che non hanno mai sperimentato la quotidianità e il vissuto di un Paese democratico e soprattutto non hanno sperimentato in maniera compiuta la pace.
Credo che l'Italia abbia vissuto e viva con grande intensità e partecipazione queste tragedie ed è giusto, cari colleghi, che le famiglie non rimangano sole a condividere questo dramma. Infatti questo è un dramma dell'Italia, che deve vedere nel dolore profondo di queste famiglie e di queste persone anche la partecipazione forte e convinta di tutta la nazione, a prescindere dagli schieramenti.
Ho la convinzione che tutto quello che vi è stato e tutto quello che vi sarà debba servire anche a creare i presupposti affinché si determinino alcune situazioni, le quali servono anche a noi per costruire (e lo dico anche ai colleghi della maggioranza ed al Governo, che ha riassunto in sé la proposta legislativa). Credo che noi dobbiamo fare anche uno sforzo in più rispetto ad una proposta legislativa: lo sforzo in più, colleghi, Presidente e Governo, è quello di mettere in campo la costruzione di una memoria progressiva, individuale e collettiva, perché al contrario in questi anni si è consolidata, purtroppo sbagliando, una memoria a scatti, richiamata solo dalle celebrazioni, dagli ennesimi lutti e dai riti spesso vuoti.
Credo che il provvedimento in esame, unito a tanti altri che si sono succeduti in questi anni, possa avere un grande e vero valore se noi lo mettiamo in campo con questa volontà e con questi presupposti. Voglio anche dire che dovremmo evitare che vi siano alcuni elementi che non ci fanno percepire fino in fondo la bontà e la profondità di queste missioni. Credo che, richiamando alcune riflessioni di qualche tempo fa, si possa anche dire che a sei anni di distanza da Nassiriya - per prendere lo spunto dal provvedimento che è nato proprio da quella barbarie che si è consumata a Nassiriya - ciò che resta oltre al ricordo ed al dolore sono il dovere e la responsabilità. Si tratta di un'eredità pesante e difficile, che però non ammette alcun alibi ed impone al Paese un profondo rispetto per il senso del dovere e la responsabilità di chi ha sacrificato la propria vita per adempiere fino in fondo al proprio compito, un compito difficile, che seppur nel caso iracheno ed in parte in quello afghano ci ha trovato in qualche occasione discordi nei principi e nelle modalità, riteniamo non possa meritare indifferenza o avversione nei confronti dei nostri soldati, che per chi vi parla e per il mio gruppo rappresentano un'icona importante e rappresentano per noi i nostri eroi moderni.
I soldati italiani caduti a Nassiriya sono morti nell'adempimento del proprio dovere, assumendosi fino in fondo le proprie responsabilità. È per questo che parlando di doveri e responsabilità non possiamo non pensare anche alle aspettative, ai sogni, agli affetti ed ai progetti di chi con coscienza e scrupolo ha perso la vita adempiendo al proprio compito e a chi in Italia ha perso i propri cari.
Tuttavia sarebbe solo retorica se ci fermassimo a queste parole. È di fondamentale importanza che le missioni internazionali rappresentino un valido strumento per la costruzione della pace e della sicurezza, garantendo lo sviluppo socioeconomico per le popolazioni interessate Pag. 13e più in generale per l'intera umanità. Per fare ciò serve un'adeguata politica di cooperazione e solidarietà internazionale, tesa a garantire diritti ed opportunità eque per tutte le popolazioni che ancora vivono in queste condizioni di povertà. Dopodiché potremo continuare anche a dividerci ed a confrontarci sulla legittimità dell'idea di esportare la democrazia, a discutere se si sia di fronte alla nascita di una nuova ondata di imperialismo occidentale oppure no: ci sarà tempo e modo di discutere di tutte queste cose. Ma di fronte ai soldati italiani morti, di fronte a lavoratori caduti nell'esercizio del loro dovere serve il rispetto nei fatti e nelle parole.
Colleghi, rispetto a questi dati voglio anche dire che da parte del gruppo dell'Italia dei Valori vi è stato e continua ad esservi uno sforzo importante, in termini propositivi e positivi e soprattutto in termini legislativi. Ricordo al Presidente, al Governo ed ai colleghi deputati che chi vi parla è primo firmatario di una proposta di legge che riguarda la disciplina concernente la partecipazione dell'Italia nelle missioni internazionali.
Proprio perché vi è uno sforzo in questi termini, piuttosto che consumarsi e lacerarsi nell'attesa di una serie di iniziative da parte del Governo - nella logica di un vecchio schema che non mi appartiene culturalmente e che deve essere allontanato da noi, come gruppo, dal punto di vista politico - credo che sia necessario fare uno sforzo importante. Credo che tutti quanti dovremmo riconoscerci in questi elementi su cui si basa non solo la convivenza civile e democratica italiana, ma le sue radici più profonde sotto il profilo culturale. Ciò attraverso uno sforzo che superi le barriere di maggioranza e opposizione, e che ci riconsegni ad un territorio nel quale è necessario che vi siano le migliori intenzioni da parte di ognuno di noi.
Noi stiamo facendo la nostra parte, in modo che vi possano essere le condizioni per iscrivere le missioni internazionali all'interno di una nuova interpretazione e di un nuovo modello di difesa di carattere nazionale ed europeo, per consentire, finalmente, di operare per la ricostruzione, la solidarietà e la pace. In questo scenario, vorrei aggiungere che l'Italia, in termini assoluti, è anche l'ottavo Paese fornitore di truppe all'ONU per operazioni di peace keeping. Questo è un valore importante: tale dispiegamento di uomini fa il paio con le diverse migliaia di nostri ragazzi che sono in giro per il mondo a dare un contributo importante per portare la pace e lo sviluppo. Credo che dovremmo riflettere anche su questo.
Vorrei ricordare ad ognuno di noi che vi è qualcosa di importante sotto il profilo dell'impegno, che porta uomini, persone in carne ed ossa, affetti e storie, ma anche prospettive, sogni e bisogni di cui è necessario tener conto. Ad essi dobbiamo anche dare una prospettiva più grande e un'assoluta sicurezza, affinché possano rimanere ad operare nei teatri, che non devono essere teatri di guerra, ma teatri di pace.
Desidero inoltre ricordare che l'Esercito italiano impegna oltre 1.900 soldati nei Balcani, oltre 2.100 nel Libano (che chiese l'intervento internazionale dopo la guerra di Israele); 3.200 si trovano in Afghanistan, in parte a Kabul, ma per la stragrande maggioranza nella provincia occidentale di Herat; soldati italiani sono al lavoro, tra l'altro, anche in Sudan, Malta e Marocco. A volte, si tratta di piccolissimi contingenti di sole cinque persone ma, in alcune missioni internazionali, i nostri soldati giocano spesso un ruolo chiave, come appunto in Libano. Ho la convinzione che, dietro questi numeri, vi sia tanta qualità, tanta umanità, tanta professionalità e tanta competenza: anche su questo dovremmo fermarci a riflettere tutti quanti, Governo e Parlamento.
È necessario riflettere, altresì, in quale modo e in quale misura oggi interpretiamo, ancora una volta, le missioni internazionali. Intorno a noi tutto cambia e ci ostiniamo ancora ad interpretare le missioni internazionali allo stesso modo: noi portiamo la pace e gli altri ci fanno la guerra. Dovremmo uscire da questa contraddizione, che non è una contraddizione in termini, ma è una contraddizione politica, Pag. 14che in Italia porta, purtroppo, molti morti e, soprattutto, molte giovani vittime.
A tale proposito, dovremmo anche capire in quale modo e in quale misura intendiamo dare un'idea di Paese, nella volontà di difendere, a livello europeo, i nostri territori e portare qualcosa in più che non sia la solidarietà, ma la costruzione della pace, anche attraverso il rilancio delle aspettative di vita e delle attività socioeconomiche. Ho la convinzione che si debba avere anche questo coraggio, ma non solo. Ritengo che sia necessario fare qualcosa in più.
Ho già affermato in Commissione difesa, in qualità di capogruppo, che dobbiamo avere non solo il coraggio di discutere di tutto ciò nella Commissione di merito, ma che dobbiamo anche avere il coraggio, ancora più grande, di svolgere, finalmente, all'interno di questo Parlamento, un dibattito sulla situazione afghana e sulle missioni internazionali. Proprio in queste settimane, stiamo discutendo nella Commissione di merito - la IV Commissione - tre proposte di legge sulle missioni internazionali, di cui una presentata dall'Italia dei Valori, attraverso chi vi parla come primo firmatario.
Non possiamo più rinviare, soprattutto sulla base e sulla scorta di queste proposte così importanti ed esemplari, che vanno sempre a solleticare la memoria, ma che incidono profondamente sul presente e sul nostro futuro. Dobbiamo tirare una linea e stabilire cosa vogliamo fare come Governo, come Parlamento e come Nazione, rispetto al nostro impegno fuori dall'Italia, considerando che vi è un modello di difesa, a livello europeo, che si sta affermando, e che, all'interno della situazione italiana, ancora non viene compiutamente definita una propria strategia.
Non possiamo pensare di limitarci ad alcune enunciazioni rispetto alle situazioni che man mano si verificano, ma bisogna stabilire, in termini politici e soprattutto strategici, cosa vogliamo fare della capacità delle nostre Forze armate all'estero e quali strategie mettere in campo. Occorre chiedersi se esista una vera e propria politica che proietta il nostro Paese all'esterno e se esista la possibilità, finalmente, di non aspettare oltre e di definire, non dentro una cornice, ma in una legge-quadro, la disciplina della partecipazione del nostro Paese alle missioni internazionali. Dobbiamo avere questo coraggio.
Questo provvedimento fa il paio con altri provvedimenti e con tante altre giornate della memoria che attualmente vengono celebrate in Italia: ne ho contate almeno una decina, se non una dozzina. Si tratta di giornate che, a diverso titolo, ricordano i nostri caduti per attività svolte fuori dall'Italia finalizzate a portare pace, ricostruzione, la solidarietà e quant'altro.
Non basta più questo elemento, cari colleghi, caro Governo; non basta più. Dobbiamo uscire finalmente dalle secche di questo dibattito e avere il coraggio di indirizzare la nostra azione nell'ambito delle missioni internazionali per dire finalmente cosa vogliamo fare. Dobbiamo trovare una linea di condotta univoca e sono convinto che il valore più importante oggi, piuttosto che fissare la data del 12 novembre (che coincide con quella dell'assalto a Nassiriya), sia fare in modo che in quella data ci si assuma un impegno solenne a svolgere un grande dibattito all'interno del Parlamento sulle missioni e sull'Afghanistan, affinché non oltre due mesi dal 12 novembre o non oltre la fine dell'anno, finalmente si metta in campo la legge-quadro sulle missioni internazionali. Infatti, non è possibile procedere con provvedimenti trimestrali o quadrimestrali, perché non stiamo a scuola e non siamo chiamati a dare dei voti ogni trimestre od ogni quadrimestre. Sono necessari interventi mirati che facciano capire anche agli altri Paesi che con noi svolgono attività di peace-keeping che abbiamo un'idea forte e importante di come inquadrare le missioni internazionali e che abbiamo la volontà di uscire dal pressappochismo e dall'ottica di chi non guarda oltre il proprio naso per adottare una grande strategia che ci armonizza con l'Unione europea, ma anche con gli altri Paesi amici, non ultimi (anzi, forse per primi) gli Stati Uniti. Pag. 15
Per queste ragioni, ritengo che questo provvedimento così importante, con il quale ci troviamo assolutamente d'accordo, poiché condividiamo totalmente la sua filosofia, debba sviluppare questo dibattito e chiuderlo entro la fine dell'anno, portando finalmente a compimento con successo una legge-quadro sulle missioni internazionali.
Tornando ai progetti di legge che stiamo qui discutendo, mi auguro che ci sia la volontà da parte del Governo e della maggioranza di alimentare la nuova giornata della memoria lungo i 365 giorni dell'anno, perché se ci ritroveremo solo a celebrarla ogni 12 novembre, avremo prestato un pessimo servizio a chi ha perso la vita per noi e per le popolazioni a cui hanno portato e stanno portando la pace, ma anche un pessimo servizio alle nuove generazioni italiane, ai nostri giovani, perché in questo modo dimostreremmo che, oltre alla vuota ritualità, non siamo in grado di produrre alcunché.
Se è tutto questo che si trova dentro questi progetti di legge e dentro le altre leggi che portano la memoria delle vite che si sono spezzate proprio per portare la pace e il cambiamento, penso che vadano anche stanziate delle risorse importanti. Le prime azioni vanno infatti realizzate con i giovani all'interno delle scuole, affinché vengano alimentati e tenuti vivi elementi così importanti come il sistema identitario e valoriale della nostra Nazione. È necessario che tali risorse siano stanziate a partire dalla prossima finanziaria, affinché in tutta Italia e in tutte le scuole si avviino dei processi volti ad evitare quella memoria «a scatti» di cui parlavo e che affermino finalmente, in termini culturali e di maturità, una memoria progressiva, individuale e collettiva, che ci concili con la nostra Nazione e che faccia capire che il Governo e Parlamento hanno la forza e hanno riassunto il dovere di guidare il Paese.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti della scuola primaria «Via Piave, I Circolo» di Foligno e dell'Istituto comprensivo «Domenico Tinozzi» di Alanno, in provincia di Pescara, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, oggi quest'Aula è chiamata a discutere dell'istituzione del Giorno della memoria delle vittime di Nassiriya e di tutti i militari e civili italiani caduti in missioni internazionali. È per me un onore parlare, a nome del mio gruppo, della memoria di quei caduti.
Il 12 novembre di sei anni fa - lo ha ricordato il relatore prima - nella città irachena di Nassiriya la base Maestrale del contingente italiano, impegnato nella missione di pace antica Babilonia, fu obiettivo di un attacco terroristico che portò alla morte diciannove italiani, di cui dodici carabinieri, cinque militari dell'Esercito e due civili. Fu un attacco di inaudita gravità e ferocia. Anche in quella circostanza, come accade quasi sempre, morirono civili iracheni di cui purtroppo si perde la memoria.
È ancora ben presente nella mente e nel cuore di ciascuno di noi il dolore di quella notizia, l'emozione delle immagini e poi, nei giorni successivi, la forza di reazione, la profonda coesione e unità con cui il popolo italiano e le istituzioni tutte si inchinarono dinanzi alle salme di quegli uomini, testimoniando, senza divisioni, l'amicizia, l'affetto e la solidarietà di ogni donna e di ogni uomo del nostro Paese alle famiglie dei caduti a Nassiriya.
Quei diciannove uomini non ci tenevano a diventare eroi e l'Italia non aveva, né ha, alcun bisogno di eroi. Personalmente ebbi il privilegio di conoscere uno dei caduti e di incontrare alcuni dei feriti dopo la tragedia, tutti uomini che svolgevano e svolgono il loro compito con sacrificio, serietà e professionalità e che volevano aiutare il popolo iracheno a ritrovare la pace, l'ordine e la sicurezza. Erano lì su mandato e per volontà del Parlamento. Quei militari, carabinieri e civili sono diventati il simbolo di una Pag. 16Nazione colpita al cuore nei suoi valori più profondi, ma che, proprio di fronte a quel vile attentato, ha saputo dare una straordinaria risposta di coesione e di maturità. Il loro sacrificio rappresenta uno straordinario esempio di fedeltà al dovere e ai valori fondanti della nostra Repubblica. L'Italia deve loro ammirazione, eterna gratitudine e profondo rispetto.
Eppure spesso, con un misto di retorica e di paternalismo forse fuori luogo, ci si ostina a definire «ragazzi» i nostri militari. Certo, alcuni dei caduti non hanno nemmeno vent'anni, ma hanno smesso di essere ragazzi nel momento in cui hanno messo la loro giovinezza e la loro vita a disposizione della nostra Repubblica e della nostra Patria, spesso lontano dalle loro famiglie, che trepidano a migliaia di chilometri di distanza (ma è come se fossero anch'esse in prima linea). Non sono, insomma, ragazzini di leva, forzati a partire come avvenne nelle prime missioni in Libano, ma militari professionisti e con elevate capacità, apprezzati e rispettati in tutto il mondo per la loro preparazione e le loro attitudini in operazioni di pace. Sono uomini e donne altamente specializzati per operare in teatri a rischio che, nel momento in cui scelgono liberamente di indossare una divisa, di appartenere a brigate e corpi come gli alpini, i paracadutisti, i bersaglieri, i granatieri e ai tanti corpi speciali, compresi quelli della marina e dell'aeronautica, che sono il vanto della nostra Forze armate, rispondono ad una vocazione consapevole e forte. Il loro - inutile nasconderlo - non è un mestiere come gli altri, perché nel loro lavoro si va fino in fondo e non ci si può tirare indietro, anche se la missione è difficile e pericolosa, anche se il prezzo da pagare è quello della vita. Se fossero manager, medici o avvocati, nessuno parlerebbe di ragazzi. E allora, per rispetto, non facciamolo neanche con loro.
Ai caduti di Nassiriya si è aggiunto, in questi anni e purtroppo anche nelle ultime settimane, un grande numero di soldati valorosi che hanno perso la vita in quelle terre lontane, italiani che hanno sacrificato se stessi per garantire sicurezza a noi tutti e per difendere libertà e democrazia combattendo il terrorismo per tenerlo lontano dalle nostre case, per spostare i confini del terrore lontano dai nostri confini.
Altri militari e civili negli anni successivi ci sono stati strappati dalla stessa, assurda furia omicida. Erano e sono lì, sempre su mandato del Parlamento (anche di questa Aula), delle organizzazioni internazionali e dell'ONU, per garantire a noi tutti uno sviluppo di pace e cooperazione civile fra i popoli del mondo.
Riguardo al nostro passato usiamo spesso l'espressione «necessità di una memoria condivisa».
Ebbene, questa Giornata della memoria potrà essere di aiuto a definire la prospettiva di un'identità condivisa che si fonda sul presupposto che militari e civili, quando sono impegnati nel mondo in missioni internazionali per difendere la popolazione di quei Paesi, per costruire strade, ponti, scuole ospedali o per aiutare lo sviluppo con progetti di cooperazione, rappresentano l'Italia unita. Non sono lì su mandato di una parte politica, ma sono lì a testimoniare che l'Italia sa adempiere al suo dovere di grande Nazione di favorire la pace fra i popoli e l'integrazione fra culture con le migliori energie di cui essa dispone, e che l'Italia non rifugge l'impegno e il sacrificio aspettando che altri si facciano carico di risolvere i problemi, ma è in prima linea con uomini e mezzi.
Si parla spesso dei diritti che conferisce il fatto di essere una grande Nazione; dopo Nassiriya l'Italia comprese che non esistono diritti senza doveri e che il prezzo di questi ultimi può essere alto. Lo comprese l'Italia e, soprattutto, lo compresero gli italiani.
Oggi, il Parlamento, attraverso una data simbolica, vuole ricordare negli anni a venire quel sacrificio e quella splendida occasione di unità con cui l'Italia seppe reagire alla barbarie terroristica. Questo, a nostro giudizio, deve essere il senso di questa Giornata e lo spirito che deve caratterizzare le iniziative previste dai progetti di legge. Se sapremo celebrarla con questo spirito, risponderemo positivamente Pag. 17anche all'osservazione di chi ha ricordato che esistono altre giornate di commemorazione militare, come il 4 novembre, o di ricordo delle vittime del terrorismo, come il 9 maggio.
Questa Giornata, però, deve differenziarsi dalle altre già istituite: deve rappresentare un omaggio ed un tributo a uomini e donne coraggiosi, a chi ha lasciato e lascerà le proprie famiglie, la propria terra, per contribuire a costruire un futuro di pace in una terra lontana e meno fortunata della nostra per riaccendere la luce della democrazia e della libertà e deve essere anche un monito ed un insegnamento per ricordarci che la conquista della democrazia è un bene da custodire e da rinnovare e che il cammino della pace è sempre impervio.
Signor Presidente, nei giorni che seguirono l'eccidio di Nassiriya la mia generazione, forse per la prima volta, si è sentita orgogliosa di sventolare un tricolore non solo dopo una vittoria sportiva, e di questo dobbiamo dire «grazie» anche al Presidente della Repubblica di allora, Carlo Azeglio Ciampi. Per troppo tempo avevamo tenuto nascosto quello che avevano fatto anche negli anni precedenti i nostri militari in missione di pace nel mondo: mai ne eravamo stati così orgogliosi.
Questa settimana il nostro gruppo voterà insieme, spero, a tutti gli altri gruppi la proposta di legge per l'istituzione di un Giorno della memoria a loro dedicato e questo dovrà servire a due scopi. In primo luogo, dovrà servire a trarre tutti gli insegnamenti possibili da quello che è accaduto e far sì che i nostri uomini non si trovino mai più in tali situazioni; in secondo luogo, a onorare il sacrificio dei figli del nostro Paese caduti in terre lontane e restare al fianco e non dimenticare mai le loro famiglie. Rinnovare loro ogni anno la nostra gratitudine ci aiuterà a ricordare quello che hanno fatto, a spiegarlo alle nuove generazioni e ad essere sempre più fieri di essere italiani come loro (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, il collega Laffranco, relatore di questo provvedimento, ha ricordato in maniera sintetica, ma molto precisa e corretta, un iter che è iniziato molti mesi fa, esattamente il 22 luglio 2008: una discussione che avveniva all'indomani della tragedia che aveva colpito i nostri militari a Nassiriya e che guardava all'istituzione di quella Giornata (poi modificata, anche grazie all'intervento del Governo, nell'istituzione del Giornata del ricordo dei caduti delle missioni internazionali per la pace), nell'ambito di un evento che si era rappresentato in maniera drammatica e che aveva dato al Paese la sensazione esatta che anche quando si è impegnati in una missione internazionale per la pace vi è il rischio del sacrificio, della caduta di vite umane di giovani, di tragedie che coinvolgono intere famiglie, e ciò aveva colpito profondamente l'intera nazione.
Credo che a questo elemento dobbiamo ancora attenerci, perché stiamo discutendo oggi l'istituzione di una Giornata del ricordo che è molto importante, soprattutto se la si intende come elemento per vivificare la memoria di una Nazione. Le nazioni e lo Stato si formano anche attraverso un concetto di identità di popolo e la memoria, anche quando parla di cose così profondamente intense, come il dolore, la morte, il sacrificio, è un elemento costitutivo di quell'identità di un popolo. A maggior ragione, questa identità è tanto più forte se la leghiamo al filo dei nostri principi costituzionali.
Credo che non sia sbagliato, anche in questa sede, ricordare che abbiamo un articolo straordinario della nostra Costituzione, che impegna la nostra Nazione al ripudio della guerra e ad attivare tutte le forme diplomatiche proprio per evitare i conflitti.
All'interno di quel principio costituzionale, la formazione, la decisione e la volontà espresse in politica di azioni che promuovano la pace non sono semplicemente un richiamo retorico e non è un Pag. 18caso che dal secondo dopoguerra ad oggi l'Italia abbia partecipato a ben 114 missioni militari fuori dai confini nazionali. Di queste, 31 sono tutt'ora in corso e due missioni sono state autorizzate dal Parlamento, ma non hanno ancora avuto inizio. È a partire proprio dagli ultimi anni, nel decennio che abbiamo appena alle spalle, che queste missioni sono via via aumentate. Siamo arrivati esattamente ormai a 30 missioni. Le Forze armate italiane si sono dimostrate quindi nei fatti uno strumento significativo per consentire alla politica estera italiana di avere credibilità e di assumere le proprie responsabilità nell'ambito delle organizzazioni internazionali di cui fa parte.
La loro attività - lo ricordava lo stesso collega Laffranco - ormai è capace di realizzarsi intorno a quattro differenti tipologie: la formazione della pace e la prevenzione dei conflitti, operazioni militari volte a prevenirle, l'imposizione della pace con un'accentuazione di iniziative militari ed operazioni di assistenza internazionale che si sviluppano gradualmente in una sostituzione della presenza militare.
Di queste 114 missioni a cui l'Italia ha preso parte, 83 sono state condotte dalle organizzazioni internazionali di cui facciamo parte; nove in attuazione di risoluzioni dell'ONU e le altre sulla base di accordi diretti. Questa assunzione di responsabilità ha comportato un impegno di uomini e di mezzi e si è caratterizzata in molte occasioni per la generosità e il rapporto di fiducia che siamo riusciti a costruire con le popolazioni locali.
Agiamo in un quadro internazionale dove i conflitti e le sofferenze delle popolazioni locali impongono alle nostre Forze armate e alla nostra politica estera di mantenere quel filo sempre aperto con i nostri principi costituzionali. Perché allora l'idea dell'istituzione di una Giornata della memoria?
Non è solo per vivificare un ricordo da trasmettere alle generazioni future: è semplicemente la determinazione con cui questo Paese dà un messaggio positivo ai militari ancora oggi impegnati, coloro che sono lì in funzione di un mandato preciso della Nazione italiana. Credo che l'elemento di essere rappresentanti di un popolo e di uno Stato sia ciò su cui dobbiamo ancora riflettere per dare sostanza e rendere queste giornate non semplicemente di ricordo, ma anche di capacità di ragionamento intorno alla costituzione e all'idealità di uno Stato.
Tanti secoli fa un illustre filosofo, Immanuel Kant, scriveva un bellissimo saggio, La pace perpetua. Non era la fase dell'idealismo; era l'idea che in quella pace perpetua non c'era soltanto l'assenza di guerra, ma la necessità che lo Stato con le politiche attive rendesse quell'ideale qualcosa di più concreto e di più vicino.
Non basta semplicemente ricordare. Non si lenisce il dolore delle famiglie a cui rimane un solo ricordo delle proprie perdite, ma si chiede proprio per questo che a quella giornata venga dato significato, concretezza e sostanza. Noi, come Partito Democratico, riteniamo che in tale questione il riferimento (così come eravamo arrivati al testo unificato della proposta Ascierto-Bertolini) oltre che ai caduti militari, anche ai civili fosse un richiamo fortissimo. Infatti, nel ricordo di quella memoria non deve sfuggire che tanti civili, oltre alle Forze armate, hanno perso la vita, a partire dagli operatori della Croce rossa, giornalisti, uomini impegnati in operazioni difficilissime di intelligence. Credo che un nome valga per tutti, quello di Nicola Calipari. Allora però, se questo deve essere, abbiamo dentro questa definizione - lo dico al sottosegretario Cossiga - mantenuto una serie di perplessità sull'istituzione di queste giornate. Si modificano le solennità civili, che sono un fatto importante, ma se le vogliamo rendere significative, dobbiamo dare a queste giornate la giusta dimensione ed anche la giusta efficacia politica, altrimenti il rischio è che vi siano tante giornate (troppe forse) che la legge n. 260 del 1949 ha messo insieme (si tratta di decine di giornate) per celebrare qualcosa.
Noi non dobbiamo celebrare, ma rendere più forte questo legame tra lo Stato e i suoi cittadini, ma anche la forza di Pag. 19trasmettere alle generazioni future un messaggio di coesione, unità e valori condivisi.
Proprio per questo, nel corso della discussione, noi avanzeremo degli emendamenti che diano concretezza a questo ragionamento: da un lato l'inserimento di quel testo unificato a cui eravamo giunti e aggiungere dopo la giornata in ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali. Un secondo emendamento è quello di permettere di dare al Ministero dell'istruzione la possibilità che intorno a quella giornata nelle scuole si possano attivare ragionamenti di promozione alla pace e alla cooperazione attraverso proprio questo legame: si difende la Nazione, si difende la sicurezza, si combatte il terrorismo, ma si costruiscono anche le condizioni per avere un valore condiviso per le generazioni future.
Vorremmo, inoltre, che quella giornata sia legata ad un impegno perché vengano premiati ragionamenti, tesi, elaborati degli studenti di tutte le regioni italiane. Abbiamo cioè la necessità che proprio perché la solennità civile non rappresenta un giorno festivo (così, infatti, abbiamo stabilito) rappresenti però per il mondo della scuola (soprattutto quel mondo dei giovani cui vogliamo trasmettere valori condivisi) una giornata di impegno concreto, riflessione, ricordo, ma anche e soprattutto di prospettiva e di impegno per il futuro (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 139-549-2799-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, la comunanza dei valori, come è stato detto in quest'aula oggi, è emersa ed in effetti è alla base del rinnovarsi continuo di quel patto fra tutti noi cittadini, che chiamiamo Comunità nazionale e patria. I valori di cui parliamo oggi sono sicuramente caratterizzanti della scelta dei nostri concittadini che hanno deciso di servire in armi la patria. È vero: sono valori che accomunano questi cittadini e anche molti altri impegnati a vario titolo nel servizio dei cittadini, perché ricordiamo che la scelta di servire la patria in armi e di arrivare, ove necessario, anche al supremo sacrificio è una scelta di servizio. Questa condivisione di valori ha necessità di essere alimentata e lo è anche da gesti, da forme, proprio da quei momenti di vita repubblicana e democratica che chiamiamo solennità o celebrazioni. È vero: tali celebrazioni debbono essere mantenute vive e significative attraverso l'opera di ciascuno di noi e ciascuno di coloro che in tali celebrazioni si deve impegnare.
Il Governo si è totalmente identificato con il Parlamento e con i presentatori di queste proposte di legge in relazione agli scopi e al significato, a tal punto che ha voluto presentare un suo testo di legge completamente omologo a quello che la Commissione e il Parlamento avevano già discusso e che tra l'altro è già operativo anche nell'altro ramo del Parlamento. Io sono certo che tutti i nostri concittadini apprezzeranno il fatto che, al di là dell'asprezza del dibattito politico, oggi i nostri rappresentanti, il Parlamento ed il Governo, abbiano saputo trovare un momento di condivisione per rendere omaggio a chi con la sua scelta al servizio del Paese sino all'estremo sacrificio. Ciò ha consentito addirittura di porsi in condizione di poter approvare il testo definitivo, che il Parlamento riterrà di approvare, in tempo utile per ricordare questa data importante che è stata scelta e alla vigilia anche di quel 4 novembre, festa dell'unità nazionale, e di ricordo dei caduti di tutte le guerre che hanno creato la nostra Italia.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Pag. 20

Discussione della mozione Realacci, Granata, Misiti ed altri n. 1-00252 concernente iniziative relative alla presenza di navi con carichi di rifiuti tossici affondate in prossimità delle coste italiane (ore 18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Realacci, Granata, Misiti ed altri n. 1-00252 concernente iniziative relative alla presenza di navi con carichi di rifiuti tossici affondate in prossimità delle coste italiane (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 ottobre 2009.
Avverto che in data odierna è stata presentata la mozione Ghiglia, Belcastro ed altri, n. 1-00258, che vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Bratti, che illustrerà anche la mozione Realacci, Granata, Misiti ed altri n. 1-00252, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente, da quasi due mesi con il ritrovamento del relitto di un mercantile carico di fusti sospetti al largo di Cetraro (Cosenza) è tornata di attualità la vicenda delle cosiddette «navi dei veleni» che sarebbero state affondate nel Mediterraneo e soprattutto al largo delle coste italiane. Il relitto individuato potrebbe essere una delle navi che, secondo le inchieste della magistratura e le testimonianze raccolte dalle Commissioni parlamentari di inchiesta in questi ultimi anni sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, sarebbero state inabissate dai trafficanti internazionali di rifiuti tossici tra gli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta. Era noto che in quegli anni lo smaltimento di questi rifiuti, oltre che tossici radioattivi, vedeva nel mare la destinazione finale sia attraverso sversamenti diretti che tramite l'affondamento delle navi. Molte di queste vicende, che compaiono nelle inchieste svolte dalle procure interessate, sono ben descritte all'interno della mozione.
Di questi traffici si sono occupati nel tempo molti uffici giudiziari che hanno individuato diversi filoni di indagine tutti riconducibili ad un network criminale dedito professionalmente allo smaltimento illegale di rifiuti tossici e radioattivi in mare, lungo le coste di Paesi africani e nelle montagne dell'Aspromonte e della Basilicata. Tutte le indagini portano alle stesse persone e vedono il coinvolgimento di soggetti appartenenti al mondo imprenditoriale e delle professioni, armatori, esponenti di spicco di organizzazioni criminali di stampo mafioso, faccendieri e soggetti legati ai servizi segreti deviati e rappresentanti di Governi di diversi Paesi. I procedimenti giudiziari avviati non hanno mai fatto piena chiarezza su una vicenda che in alcuni momenti ha avuto anche risvolti drammatici. Basti citare la misteriosa morte del capitano di corvetta Natale De Grazia e l'omicidio nel marzo del 1994 in Somalia dei giornalisti Rai Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Le vicende che ruotano attorno alla storia delle «navi dei veleni» sono inquietanti e necessitano di risposte esaurienti sia perché le scorie nucleari o chimiche che siano in esse contenute rappresentano tuttora una grave minaccia per l'ambiente e per la salute, sia perché l'idea che vi sia stato e ancora permanga un epicentro in Italia della malavita organizzata dedita allo smaltimento illegale di rifiuti e al traffico di armi suscita grande preoccupazione fra la popolazione italiana. La sensazione che si ha, però, è che più si cercano risposte e più aumentano gli interrogativi. Pag. 21
La stessa recente richiesta di archiviazione da parte di Francesco Basentini della Direzione distrettuale antimafia di Potenza che indagava ormai da circa trent'anni su due presunti traffici illeciti (uno dall'Italia verso i Paesi del Medio Oriente di armi e materiali strategici, l'altro dall'Italia verso la Somalia di rifiuti radioattivi, con protagonisti agenti segreti di mezzo mondo ed esponenti della criminalità organizzata) ha una motivazione che lascia molto perplessi. Si parla nella richiesta di difficoltà a ricostruire fatti accaduti molto tempo fa, ma non si esclude di fatto che vi siano stati presunti illeciti. Sono coinvolti in questa storia otto ex dirigenti del centro ENEA della Trisaia e tre esponenti del clan Musitano della 'ndrangheta. Non si esclude inoltre un presunto traffico di rifiuti radioattivi con destinazione Somalia e in parte inabissati in mare a bordo di imbarcazioni fatte affondare. A tutte quelle domande relative a questo caso ad oggi non abbiamo avuto risposte esaurienti.
Ad oggi, e la manifestazione svoltasi sabato 24 ottobre in Calabria ne è una palese dimostrazione, aumentano le preoccupazioni del popolo calabrese che vede una minaccia ambientale, sanitaria ed economica incombente se al più presto non verranno date risposte immediate. Come gruppo del Partito Democratico fin dall'inizio abbiamo chiesto di mettere in moto tutte le operazioni per identificare il relitto e il suo contenuto e al tempo stesso accertare che non vi fosse un inquinamento esterno sui fondali e in base agli esiti poi agire di conseguenza, sia che le risultanze fossero positive che negative; saremmo stati ovviamente soddisfatti se quei risultati avessero portato all'identificazione di una nave con un carico non pericoloso.
Rispetto a queste azioni, che pensiamo fossero da attivare immediatamente, dobbiamo sottolineare che il Governo ha operato con un certo ritardo e un po' di confusione; solo recentemente sono arrivate indicazioni più precise, tramite il sottosegretario Menia, sulle modalità con cui si intendono eseguire tali operazioni di riconoscimento e accertamento.
Tale comportamento un po' altalenante ha però indotto la Commissione bicamerale sulle cosiddette ecomafie collegate al traffico di rifiuti a licenziare due decreti di sequestro riguardanti il recupero di un fusto nei pressi del relitto della nave affondata a Cetraro e di un campione di sedimenti marini nelle vicinanze del relitto, proprio per garantire una maggiore trasparenza nell'inchiesta, viste tutte le questioni che vi ruotano intorno, e per dare velocità a operazioni che avrebbero già dovuto essere svolte.
La Commissione, nei primi mesi di lavoro, ha messo in luce, se mai non fosse già noto, che il tema della gestione dei rifiuti e i traffici illeciti ad essa collegati sono sicuramente tra le attività più interessanti per la malavita organizzata, e quindi una piaga profonda che il Paese deve risanare.
Vi sono poi altre questioni, che, pur non essendoci una dimostrazione certa che siano collegate con le navi a perdere, preoccupano per l'impatto sanitario e ambientale che hanno determinato in Calabria.
Queste riguardano la presenza di discariche abusive contenenti materiale altamente pericoloso o, addirittura, radioattivo. In località Serra d'Aiello e Aiello Calabro è necessario intervenire al più presto, ma anche situazioni come quella determinatasi a Crotone devono essere affrontate con celerità ed efficacia.
Altre aree contaminate presenti in Italia, in maniera particolare in Campania, in Sicilia e anche in tante regioni del nord, rappresentano una seria minaccia per l'ambiente e la salute. È necessario un impegno importante delle istituzioni per individuare i siti e procedere alla bonifica, dove sia possibile, o comunque alla messa in sicurezza di questi.
Purtroppo, la scarsità di fondi a disposizione e l'avere svuotato i capitoli dedicati alle bonifiche indicano una scarsa consapevolezza della gravità di questa situazione. È necessaria, a nostro parere, Pag. 22un'operazione congiunta tra Governo, regioni e sistema degli enti locali in collaborazione con enti tecnici preposti, al fine di censire tutte queste situazioni e, successivamente, intervenire per il loro ripristino ambientale.
Non basta una modifica legislativa al codice ambientale, che è in discussione in questo periodo, né la pur necessaria introduzione dei reati ambientali nella riforma del codice penale; è fondamentale anche agire sul versante gestionale.
Nondimeno, riteniamo indispensabile, così come riportato nella mozione, che il Governo si faccia carico di sollecitare gli organismi internazionali per attivare una ricerca sulla verifica sullo stato di inquinamento del mare e delle coste del Mediterraneo.
Già qualcosa è stato approvato recentemente dal Parlamento europeo a questo riguardo, che prevede uno stanziamento di fondi per i primi monitoraggi. Grande preoccupazione emerge, poi, da recenti episodi verificatisi al largo dell'Isola d'Elba, dove sarebbe stata individuata una nave che scaricava rifiuti in mare, il che indica che il sistema del controllo del mare e del territorio va allertato e, dove necessario, potenziato.
A conclusione di questo intervento, signor Presidente, riteniamo che il Governo si debba impegnare, da un lato, a dare risposte immediate alle preoccupazioni non solo ambientali, sanitarie ed economiche, ma anche a quelle di carattere giudiziario che pone questa vicenda, dall'altro, a riconsiderare il sistema del controllo ambientale di questo Paese.
Forse, ad esempio, avere un unico ente che si occupi di ricerca e di controllo dell'habitat costiero e marino, dotato della strumentazione necessaria, consentirebbe di agire in maniera più efficace ed efficiente di fronte al verificarsi di fenomeni di inquinamento importanti.
Infine, e concludo, al di là dei giudizi diversi che come forze politiche abbiamo sulle azioni messe in atto da questo Esecutivo, riteniamo di grande importanza che questa mozione sia firmata da tutti i partiti, con l'obiettivo non tanto di fare polemiche o di sottolineare le evidenti manchevolezze, quanto di sollecitare ulteriormente il Governo, in un'ottica di leale collaborazione, a dare risposte concrete ad una vicenda che riguarda l'intero Paese e che permane infarcita di risvolti inquietanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tortoli, che illustrerà anche la mozione Ghiglia, Belcastro ed altri n. 1-00258, di cui è cofirmatario.

ROBERTO TORTOLI. Signor Presidente, è opportuno ricordare che la questione che oggi stiamo discutendo non dovrebbe porre l'una contro l'altra le forze politiche, né un'opposizione virtuosa contro la maggioranza bieca, quanto, piuttosto, la società civile contro la società criminale, le decisioni comuni e consapevoli contro il sopruso perpetrato nell'ombra.
È da oltre vent'anni che si parla della sparizione nei nostri mari, e in particolare nei nostri mari più profondi, quelli intorno alla Calabria, di carrette dei mari, stivate quanto più possibile di carichi misteriosi, e fatte affondare da esponenti della criminalità organizzata. Pure da oltre vent'anni, parlamentari coraggiosi di tutti gli schieramenti presentano atti di sindacato ispettivo per chiedere conto di traffici misteriosi e di misteriose sparizioni: vorrei ricordare, per quel che riguarda la destra, i documenti presentati già negli anni Ottanta e Novanta da Matteoli, Valensise, Parlato. Allo stesso modo, sin dagli inizi degli anni Novanta, le Commissioni parlamentari sulla mafia e sul ciclo dei rifiuti affrontano periodicamente il problema, sulla base di informative della magistratura locale e dei documenti raccolti dalle associazioni ambientaliste. Vorrei anche ricordare che le risposte fornite dai Governi nazionali e locali, calabrese innanzitutto, sono sempre state interlocutorie, in attesa degli accertamenti della magistratura e dei risultati delle analisi. Non voglio fare polemiche dicendo che la gran parte di quei Governi era di centro Pag. 23sinistra: si tratta di un atteggiamento prudenziale, che francamente avrei condiviso, avrei risposto probabilmente allo stesso modo.
Ma ora finalmente un relitto è stato trovato, e la sua descrizione coincide con le affermazioni di un pentito: il sospetto ha preso corpo. A questo evento occorre dare un merito, di avere riportato la questione dei rifiuti industriali e nucleari al centro dell'attenzione, dopo anni nei quali lo sguardo dell'opinione pubblica è stato concentrato sui rifiuti solidi urbani, come se le altre tipologie, estremamente più pericolose e devastanti, fossero all'improvviso scomparse; come se, dopo essere stati assillati per tutti gli anni Ottanta dal problema delle scorte industriali italiane esportate in tutto il mondo, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, Eritrea, Somalia, Nigeria, Libano, Venezuela, il problema fosse stato definitivamente risolto.
Sarà opportuno ricostruire il clima della fine degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta. Per quel che riguarda per esempio le scorie nucleari, ancora nel 1986 taluni studi, ritenuti allora della massima serietà, prevedevano di sparare tali materiali sui fondali marini argillosi. Dopo la caduta del muro di Berlino, la stampa russa, ma anche quelle inglese e americana e le associazioni ambientaliste come Greenpeace, denunziarono che nei mari del nord dell'Unione Sovietica, essa aveva inabissato almeno 15 reattori nucleari obsoleti, e che per tre decenni navi a propulsione nucleare e rompighiaccio sovietici avevano scaricato scorie nucleari nell'Artico: lo scrisse The New York Times citando le stesse autorità russe. Nel 1992 la Russia impedì agli scienziati norvegesi di compiere misurazioni della radioattività nell'Artico; per Greenpeace nel 1992 la marina russa continuava a scaricare scorie nucleari in mare, al punto che i Paesi rivieraschi del Mare del Nord, all'inizio degli anni Novanta, presero una decisione comune di monitoraggio.
Nel 1988 scoppia uno scandalo sulle scorie radioattive in Belgio e in Germania, e nello stesso periodo il Fronte Popolare di Liberazione dell'Eritrea denunzia il progetto di talune compagnie italiane di scaricare e sotterrare rifiuti nucleari nelle coste eritree. La commissione CEE apre un'inchiesta sulla corruzione dell'industria nucleare in Europa, e scopre gravi lacune nella registrazione degli spostamenti delle scorie radioattive. Nell'ambito di questo scandalo, che riguardava il Belgio e la Germania, vi fu in quel periodo una dichiarazione alla televisione tedesca di Francesco Neri, procuratore generale a Reggio Calabria, che dichiarava: «lo scenario è chiaro: oggigiorno - e ci sono prove inconfutabili - la mafia e la criminalità organizzata hanno trasferito parte della loro attività nello smaltimento illegale dei rifiuti tossici e dei rifiuti nucleari. Il metodo adoperato è molto semplice, e consiste nel caricare di scorie una nave che poi viene affondata». Le indagini avrebbero interessato diverse procure italiane, Vibo, Matera, Napoli, Catanzaro, Reggio Calabria, Padova, alle quali negli anni si sono aggiunte quelle di Asti, Paola, Potenza, Padova, La Spezia e Bari.
Alla capitaneria di porto di Vibo Valentia, in Calabria, gli inquirenti avrebbero sequestrato i libri di bordo di diverse navi affondate negli anni scorsi al largo delle coste italiane in circostanze mai chiarite. Nell'estate del 1995, Legambiente diffuse un dossier nel quale addirittura venivano citate testimonianze del rischio radioattivo. Prontamente interpellato l'allora Governo di centrosinistra rispose che stava provvedendo agli opportuni accertamenti e non se ne seppe più nulla. Chiudo sulle scorie nucleari, ricordando che la nave Korabi, fermata nel 1994 nel porto di Palermo e allontanata perché carica di scorie nucleari non autorizzate, fu ricontrollata a Crotone e infine localizzata con le stive vuote al largo di Reggio Calabria, il che solleva tante perplessità.
Le acque del Tirreno sono tra le più profonde del Mediterraneo. Oltre alla trentina di «carrette del mare» fatte affondare, quante migliaia di fusti sono stati gettati fuori bordo in luoghi dove le acque sono profonde tremila metri? Conosciamo i nomi e le date di affondamento di molte di queste navi a cominciare dal 1979; Pag. 24abbiamo gli atti delle Commissioni d'inchiesta parlamentari. Già nel 1995 numerose procure indagavano sui fatti senza giungere, peraltro, a conclusioni definitive. Pure in questo caso, occorrerà chiedere un qualche conto. Disponiamo di normative avanzate, internazionali, comunitarie e nazionali: la legge recante interventi per la difesa del mare del 28 febbraio 1992, n. 220, la legge per la tutela delle acque del 10 maggio 1976, n. 319, i protocolli internazionali sulle immissioni dei rifiuti in mare che, anche se non sembrano non aver dato risultati, sono ugualmente a disposizione per inquirenti di buona volontà.
Il nostro Ministero dell'ambiente, impropriamente messo sotto accusa per la sua presunta inattività, ha invece risposto adeguatamente, inviando una task force per seguire da vicino i rilievi ed eventualmente i recuperi, esattamente e più dei governi precedenti. Abbiamo, insomma, tutti gli elementi per avere un quadro preciso e per procedere all'individuazione di quanti più siti possibili. Poi si potrà stabilire quali siano i termini per il recupero, le tecnologie adatte e la messa in sicurezza e si potranno assumere decisioni definitive. Esprimo la mia perplessità a questo proposito per il fatto che si sono tenute in questi giorni, in Calabria, manifestazioni di critica al Governo quando invece ci troviamo di fronte alla materializzazione di un fantasma che è lontano nel tempo e che è interesse di tutti debellare. È opportuno che il Parlamento, riguardo a questo problema, svolga collegialmente il suo compito di indirizzo e di indicazione di proprietà, per mettere il Governo nelle condizioni di operare nella maniera migliore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, ritengo che su questo argomento sia giusto non aprire polemiche perché il Parlamento si dovrebbe concentrare a sostegno di tutti quegli organismi che lavorano nella direzione di risolvere questo grosso problema. Il problema che oggi abbiamo davanti non è una cosa generica né è soltanto quella di verificare se il pentito Fonti abbia detto la verità sulle 39 o 40 navi sommerse del Mediterraneo ma si tratta di un fatto concreto e preciso che dobbiamo affrontare, quello di dare risposte precise e semplici a una domanda cui, per la prima volta, si può rispondere. Infatti, l'Arpacal, in Calabria, spinta e sostenuta dalla procura di Paola, ha individuato il relitto di una delle navi indicate dal pentito Fonti.
Il problema è che in questo momento in quel territorio, cioè in quella parte della Calabria, vi sono 40-41 comuni interessati da una crisi profonda (perché di crisi si tratta) che si è sviluppata dal momento in cui è stato individuato il relitto, e per tale motivo il Governo è stato chiamato in causa e deve immediatamente dare risposte.
Quindi, è necessario sapere cosa vi sia nel relitto di questa nave affondata non a 3.000-3.500 metri (come sembrerebbe essere accaduto per altre navi affondate nel centro del Tirreno, nello Ionio o anche, qualcuno dice, nell'alto Tirreno verso la Toscana), bensì a 500 metri di profondità, di cui è stato visto e fotografato il contenuto.
Tra questo contenuto sono presenti anche dei fusti che certamente corrispondono a quanto ha dichiarato il pentito Fonti: dobbiamo sapere cosa c'è in questi fusti (e non in un uno solo di essi) e dobbiamo avere la certezza che tutti i fusti che si trovano dentro quella nave vengano estratti ed esaminati in modo tale da dare certezze ai pescatori, perché si tratta di una zona molto pescosa che è alla base dell'economia di tutto quel territorio.
È per questo motivo che ha avuto luogo anche la manifestazione di Amantea, che è stata una grande manifestazione di popolo e non contro questo o quell'altro o contro il Governo: è stata una manifestazione per avere la possibilità di essere ascoltati e finalmente ricevere risposte non interlocutorie (a questo punto abbiamo infatti qualcosa di concreto e non più qualcosa che, per così dire, potremmo solo immaginare). Pag. 25Ricordo poi la manifestazione dei sindaci davanti a Palazzo Chigi e la precedente diffida degli stessi sindaci e degli altri organismi democratici della Calabria.
È quindi necessario, in questo momento, non soltanto studiare qualcosa per verificare poi in un tempo successivo, magari tra qualche anno, cosa si può fare, quali tecnologie inventare o adoperare: abbiamo le tecnologie e quindi la possibilità di estrarre i fusti e di esaminarli, questo è il problema che abbiamo di fronte!
Il Governo, la regione, i comuni debbono impegnarsi tutti insieme - e questo Parlamento deve spronare il Governo in tale direzione - affinché questo relitto concreto, che sappiamo dove si trova, venga tirato fuori e ne vengano estratti i fusti da esaminare.
In più, sappiamo che negli anni Ottanta e Novanta (quando - se volete - eravamo anche a corto di una legislazione moderna in materia di rifiuti tossici e nocivi e il nostro Parlamento ed il nostro Governo non avevano ancora preso in considerazione le direttive) molte imprese e molti industriali del Nord hanno portato le scorie industriali nei mari del sud d'Italia, nei mari del sud del mondo e nel Mezzogiorno d'Italia con la complicità di assassini, di mafiosi e di speculatori nazionali e internazionali (e spero che non fossero scorie radioattive, perché in Italia allora non esistevano le condizioni per avere scorie radioattive da nascondere sotto i mari, o le scorie norvegesi di cui si parla) ed hanno affondato queste navi per ottenere un risparmio nello smaltimento dei rifiuti, che altrimenti avrebbe richiesto un investimento molto maggiore.
Se questa è la verità e se ciò è vero, allora dobbiamo finalizzare la nostra attività per scoprire cosa c'è a Cetraro.
Nello stesso tempo, dobbiamo fornire delle indicazioni al nostro Governo affinché si impegni negli organismi internazionali a verificare se nelle acque internazionali vi sono altri relitti. A questo proposito, il pentito Fonti ha indicato sostanzialmente, anche se non ne ha potuto precisare le coordinate, come nel Mediterraneo siano state affondate circa 39 «carrette del mare». Ecco perché ritengo che il Parlamento abbia fatto bene a presentare quest'ulteriore sollecitazione.
La relazione che ha svolto in Aula il sottosegretario Menia non è stata soddisfacente. In quella relazione si prevedeva che la nave Mare Oceano sarà avvicinata - ancora non è accaduto - da un ROV, che è un apparecchio che vede, fotografa e che è in grado di prelevare anche degli oggetti, dei materiali. Il ROV prenderà delle incrostazioni e possibilmente anche qualche residuo esterno alla nave, per poterli esaminare, e per poi vedere che cosa si deve fare con la nave stessa. Questo è un errore. Sicuramente si tratta di un'operazione che si può realizzare facilmente, con pochi soldi, ma ciò significa che non si vuole intervenire seriamente, in quanto si dovrebbe dichiarare lo stato di emergenza profonda, perché esiste una crisi enorme delle attività economiche in tutto il territorio. Non posso non pensare al futuro, ovvero a ciò che succederà in quel territorio quest'anno, soprattutto per la stagione estiva, se non riusciremo a risolvere il problema in tempi brevi.
Non solo queste imprese si sono avventurate a smaltire i rifiuti tossici e nocivi in questa maniera, ma li hanno smaltiti anche in un altro modo. Anche di questo abbiamo cognizione: vi sono le esternazioni, le dichiarazioni del pentito Fonti e di altri, che ci dicono che, in quella stessa zona, è ammarata un'altra nave - la famosa Jolly Rosso - che conteneva residui nocivi (è stato verificato un aumento di radioattività molto forte sotto il letto del torrente Oliva). Vi è stato uno smaltimento, sotto terra, di rifiuti tossici e nocivi in quattro zone diverse della falda dello stesso torrente. È una cosa veramente da criminali. Non solo dovrebbero essere arrestati coloro che, sul luogo, hanno favorito questo scempio, ma dovrebbe essere subito individuati ed arrestati coloro che hanno creduto di poter smaltire queste scorie radioattive, tossiche e nocive nel torrente Oliva, nei dintorni della città di Amantea e nella zona di Cetraro. Pag. 26
Pertanto, credo che abbia fatto bene la Commissione bicamerale a svolgere un sopralluogo, ma ciò che si aspettano i cittadini meridionali, i cittadini calabresi, non è il solito discorso in base al quale, essendoci la malavita, si possono portare le scorie. Evidentemente, non è questo il problema. Non bisogna solo sconfiggere la malavita, ma anche quelli che adoperano la malavita, che stanno dietro una scrivania, che hanno incassato i soldi, e che non so se abbiano finito di fare questo mestiere. Anche oggi bisogna stare molto attenti in quanto lo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi fino a qualche anno fa era in uso soprattutto nelle regioni meridionali (in particolare nella Campania). Su questo si hanno testimonianze ed è bene che il Parlamento sfrutti questa occasione per rilanciare il tema e per evitare che, dopo un mese o due, non se ne parli più. Questo è un momento che ci deve vedere tutti uniti contro questi mascalzoni. Bisogna cercare, in tutti i modi, di risolvere definitivamente questo problema.
Certamente, esiste anche un problema economico e di sopravvivenza di quelle popolazioni e di quelle aziende; bisogna intervenire anche su questo aspetto, per favorire, e rilanciare, le attività economiche nelle zone colpite. Mi riferisco alle zone calabresi, ma credo che, se andiamo a scavare, vi sono anche altre zone meridionali che soffrono dello stesso problema (basti pensare alla questione delle mozzarelle campane e dell'economia di quel territorio dove sappiamo, con certezza, che sono stati sotterrati rifiuti tossici e nocivi).
L'augurio mio è che si voti questa mozione, firmata da moltissimi deputati di quasi tutti gli schieramenti politici, e che il Governo sia conseguente a quello che è affermato in tale documento prendendo in tal modo immediati provvedimenti (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Margiotta. Ne ha facoltà.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, colleghi deputati, è stato già detto dal collega Bratti, nell'illustrazione iniziale di questa mozione, che gli uffici giudiziari di tutta Italia da circa vent'anni si occupano del traffico illecito di rifiuti tossici e radioattivi lungo le coste italiane, lungo le coste dei Paesi africani (la Somalia, la Libia, altri) e anche nelle montagne dell'Aspromonte e della Basilicata. Vengono fuori intrecci inquietanti in cui sono coinvolti servizi deviati, potenze straniere e soprattutto la 'ndrangheta. Anche le istituzioni parlamentari se ne sono occupate. Nel 2001 la relazione finale della Commissione bicamerale sul traffico dei rifiuti ha individuato l'eventualità che ben 39 navi siano state affondate in questi anni lungo le coste di ben sette regioni, non solo meridionali.
Sullo sfondo appaiono circostanze oscure: ad esempio la morte del capitano di corvetta Natale De Grazia del 13 dicembre 1995, e la morte dei giornalisti RAI Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. A distanza di venti anni però due fatti nuovi e concreti danno all'intera vicenda un altro connotato. Infatti, l'ARPA di Calabria il 12 settembre individua una relitto al largo di Cetraro, a 11,8 miglia dalla costa e a 283 metri di profondità, esattamente nel punto in cui un pentito di 'ndrangheta, Francesco Fonti, ha detto essere stata affondata la nave Cunsky. E a terra, in Calabria - lo ha affermato il sottosegretario Menia nel corso dell'informativa del Governo a questa Camera la scorsa settimana - in un luogo tra Aiello Calabro e Serra d'Aiello, lungo il greto del fiume Oliva, sono stati individuati valori di radioattività da tre a sei volte superiori alla norma, ed è stato individuato soprattutto l'elemento cesio 137 assolutamente incompatibile con le attività di tipo industriale. Sembra sufficientemente provato e probabile che si tratti della presenza di fusti radioattivi arrivati in quelle località tramite la nave Jolly Rosso arenatasi sulla spiaggia di Formiciche il 14 dicembre 1990.
Rispetto a questi due fatti nuovi ci pare che la risposta del Governo sia stata fin qui timida e lenta (il collega Realacci la settimana scorsa, nel corso dell'informativa che prima ho citato, l'ha anche definita Pag. 27testualmente: superficiale e sciatta). Io lo dico per due motivi. Il primo è perché a 45 giorni di distanza ancora non sappiamo se il relitto sia davvero della nave Cunsky e soprattutto che cosa esso contenga, se fusti di rifiuti tossici o addirittura radioattivi; e poi perché manca - e questa mozione lodevolmente bipartisan lo richiede - il necessario coinvolgimento di tutta una serie di Ministeri. Non basta il Ministro dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare al riguardo. È necessario che si impegni il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali per gli effetti sui cittadini; quelli dell'interno e della giustizia per gli ovvi motivi connessi alla criminalità; quelli degli affari esteri e della difesa per la cointeressenza di potenze straniere, servizi deviati e sicurezza interna del Paese; infine mi riferisco ai Ministeri competenti per l'agricoltura e per il turismo, per i danni che all'economia della pesca e del turismo stesso possono derivare da questi ritrovamenti.
Il Governo inoltre, dal mio punto di vista di parlamentare lucano, è reticente, assente e inadempiente in relazione a quello che sta accadendo a Maratea, una delle più belle località del Mar Mediterraneo. Lo stesso pentito Fonti ha detto di aver partecipato all'affondamento della nave Yvonne A, contenente centocinquanta fusti di fanghi radioattivi, proprio al largo di Maratea.
La procura di Lagonegro, con l'ausilio della nave Astrea dell'ISPRA, ha individuato un relitto a 13 miglia dal largo, a 800 metri di profondità. L'Astrea non ha la tecnologia adatta per poter investigare sul contenuto del relitto. Si era ipotizzato in un primo momento l'utilizzo di una nave dell'ENI; in seguito si è cambiata ipotesi e si è cambiata strada: il procuratore di Lagonegro, Francesco Greco, ha richiesto ufficialmente al Ministero di poter utilizzare la nave Mare Oceano anche al largo di Maratea; sin qui nessuna risposta. Il vicepresidente della regione Basilicata, l'assessore all'ambiente Santochirico, ha detto che la regione sarebbe disponibile a far fronte con propri fondi ai costi di tali operazioni. Tuttavia sarebbe un segnale negativo di disinteresse da parte dello Stato se dovesse essere la regione ad accollarsi tali oneri.
Il tutto mentre - lo diceva bene Bratti - la DDA di Potenza ha archiviato un'indagine che durava da oltre trent'anni, anche qui con sfumature e aspetti inquietanti, con la presenza provata sul territorio lucano dei servizi segreti, con la presenza di stagisti pakistani e iracheni presso il centro Trisaia di Rotondella. Si ipotizza che non fossero solo stagisti ma fossero persone venute lì a prendere il materiale presente nel centro Trisaia di Rotondella, dove per alcuni anni è stato praticato il riprocessamento del combustibile nucleare nell'ambito del ciclo uranio-torio e dove sono ancora presenti sessantaquattro elementi di combustibile irraggiato proveniente dal reattore nucleare americano di Elk River.
Insomma, la Basilicata indicata più volte in varie indagini quale ricettore finale di rifiuti tossici o radioattivi, nelle montagne interne, in particolare nelle zone calanchive, ed oggi anche nei fondali marini tirrenico e ionico, sembra essere stata crocevia di attività internazionali illecite connesse al traffico delle scorie. È necessario che si faccia luce al più presto su tutti gli aspetti della vicenda. Noi del Partito Democratico non ci stancheremo di chiedere, come facciamo anche attraverso questa mozione, da parte del Governo un impegno adeguato alla gravità della questione in tal senso. Non ci sembra che sino ad oggi esso ci sia stato ma vigileremo affinché esso sia assunto.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, colleghi, non ripeterò quanto è stato già detto. Peraltro abbiamo più volte parlato della presente questione: ne abbiamo parlato in precedenza come gruppo del Partito Democratico, ma ne hanno parlato anche gli altri gruppi dell'opposizione. Oggi la novità è che ne parliamo insieme e siamo di fronte a due mozioni ma, in Pag. 28particolare, alla mozione illustrata dal mio collega a nome del Partito Democratico sulla quale vi è un consenso trasversale, e questa è una novità.
L'altra novità è che tale mozione viene discussa dopo che la Commissione parlamentare sulle ecomafie ha disposto un doppio sequestro, in particolare su uno dei fusti e anche su un pezzo di terriccio che potrà essere prelevato dal fondo del mare per capire di cosa si tratta. La terza novità è che questa volta c'è una nave a Cetraro. Ne siamo a conoscenza, e sappiamo anche che le condizioni atmosferiche avverse non gli hanno consentito di essere tempestiva nell'azione, altrimenti probabilmente saremmo già oggi davanti al risultato.
L'ultima novità cui voglio fare espresso riferimento è la grande manifestazione popolare del 24 ottobre. Voglio soffermarmi su questa manifestazione perché ritengo di voler testimoniarne - lo faccio a nome dei gruppi parlamentari ma anche per il Governo e, in particolare, per il Ministro dell'ambiente - la natura popolare, per dire e per testimoniare - avendo io stesso partecipato con un'associazione a cui aderisco e di cui faccio parte - che in quella manifestazione non vi è stata alcuna speculazione politica ma, anzi, non sarebbe stato possibile in alcun modo speculare da parte dei politici presenti, che pure erano numerosi (molti calabresi, ma vi era anche qualcuno che veniva da fuori della Calabria). Non sarebbe stato possibile perché non ce lo avrebbe consentito nessuno. Infatti, se vogliamo essere sinceri sino in fondo, in questa manifestazione vi è stato un messaggio contro la politica, contro i Governi e contro il Governo: infatti è il Governo l'interlocutore.
Anche chi prima diceva che non era stato corretto attaccare il Governo ha ammesso che il Governo oggi è l'interlocutore. Quindi è chiaro: una manifestazione popolare con centinaia di associazioni, comitati, sindacati, persone giovanissime, bambini, famiglie e anziani, con chi può interloquire, se non con le istituzioni direttamente interessate e coinvolte?
A dire la verità io ero lì come parlamentare e mi sono guardata bene dall'esibire questa qualifica, che pure era nota essendo io calabrese, perché era chiaro a tutti in questa manifestazione che chi l'ha organizzata, in particolare il comitato intitolato al capitano De Grazia, aveva voglia di avere accanto a sé i politici, i politici di tutti gli schieramenti, ma non voleva assolutamente che alcun politico intervenisse per mettere il cappello e per intestarsi quella manifestazione. Quindi la manifestazione è stata, per chi non vi ha partecipato e per i colleghi del centrodestra (mi riferisco ai colleghi calabresi, che hanno dichiarato di non voler partecipare) un'occasione persa. Probabilmente è stata anche un'occasione persa per stare tutti insieme in Calabria, per testimoniare la capacità di parlare insieme alla Calabria. Infatti a volte, come in questo caso, capita che le vicende ci costringano ad interloquire su cose che non sono diretta responsabilità di un Governo ben identificabile, se non ovviamente per l'azione che si porta avanti per il futuro.
Quella manifestazione chiede una risposta che non può essere di parte. Io oggi intervengo volentieri, era previsto, ma intervengo volentieri dopo la manifestazione di Amantea perché sento ancora di più la responsabilità di interloquire con i colleghi e con l'intero Parlamento per ottenere un voto unanime su una mozione il più possibile unitaria (lo è fin dall'origine, proprio nella sua formulazione), che dia il senso alla Calabria, in questo caso, e anche a tutti i territori che sono coinvolti in vicende di questo genere, del fatto che quando le cose sono serie si agisce insieme e che soprattutto la verità è una verità che vogliamo tutti.
Poco fa i colleghi hanno ricostruito le vicende, ma su alcuni punti bisognerebbe essere tutti onesti. Le responsabilità per le omissioni di tutti questi anni sicuramente saranno di tante classi dirigenti del nostro Paese e della mia regione che si sono susseguite: non sono qui ad identificarle e a dire che questo pezzetto di classe dirigente è responsabile e quest'altro non lo è, perché non avrei argomenti per sostenere una cosa di questo genere. Però vi è un fatto: gli unici soggetti che sono rimasti Pag. 29vigili e che oggi manifestano la loro rabbia, proprio perché la loro attenzione è un'attenzione antica, sono proprio questi comitati popolari. Quello che rivendicano i comitati, come giustamente lo può rivendicare e lo rivendica anche Legambiente, è di avere per primi non solo capito la serietà del problema, ma deciso che non era il caso di abbassare la guardia. Un rappresentante del comitato De Grazia, nell'ambito della manifestazione, ha testimoniato questo sentimento di rabbia dicendo: nel passato noi volevamo la verità, abbiamo indetto manifestazioni, vi è stato un po' di seguito (non vi è stato tanto seguito) e poi tutto è passato, anche il nostro entusiasmo è caduto, perché nessuna istituzione ci ha capito fino in fondo.
Quello che è successo adesso è che vi erano 20 mila o 30 mila persone - tra l'altro sotto una pioggia che veramente rendeva tutto difficile e complicato, anche essere lì presenti, perché eravamo tutti con gli ombrelli e pioveva abbondantemente - animate da un sentimento comune: pretendere che non si torni indietro nella consapevolezza. Qui non si può tornare indietro nella consapevolezza della situazione, quale che sia la risposta sul relitto. È importante che la risposta vi sia e che vi sia subito. Ammettiamo che non sia il relitto Cunsky (in un'altra occasione in cui sono intervenuta ho manifestato la mia personale convinzione che lo sia, ma non ho elementi per dire se lo è o non lo è, bisognerà fare una verifica): nulla avremmo sprecato di queste nostre discussioni, perché comunque nella terraferma tracce di radioattività sono state trovate, e già quello costituisce un problema. Quindi non bisogna dire che si sta creando allarmismo e che dovremmo essere più tranquilli.
Le indagini giudiziarie e il lavoro portato avanti dalla procura di Paola hanno trovato, fino a questo momento, due riscontri: da un lato, il relitto e i fusti, e dall'altro lato, la radioattività sulla terraferma. Già la questione della radioattività sulla terraferma dovrebbe interrogarci tutti: quella questione pretende risposte che non sono rinviabili oltre. Comunque, il fenomeno delle cosiddette navi dei veleni esiste, e su di esso bisognerà svolgere un'operazione di verità che tutti pretendono.
Mi avvio alla conclusione, proprio perché, volutamente, non voglio ritornare su cose già dette. L'occasione della discussione, ma soprattutto, dell'approvazione della mozione in oggetto - che potrebbe essere, addirittura, successiva ai risultati che sono previsti (è previsto, infatti, che la citata nave faccia dei prelievi, che possono dare un risultato anche immediato) - deve rappresentare una presa di coscienza e di consapevolezza collettiva.
Sappiamo tutti, infatti, che, quando la consapevolezza di una popolazione è alta e quando l'ambiente e lo smaltimento dei rifiuti secondo le regole diventano un valore, non vi è nessuno che possa dimenticarlo. Oggi i sindaci, come espressione di quelle popolazioni, protestano con la loro gente, ma gli stessi sindaci sanno che domani potrebbe non essere consentito a nessuno, per esempio, mantenere le discariche sul territorio (e vi sono tante discariche abusive sul territorio calabrese, e non solo).
Pertanto, dobbiamo avere tutti la consapevolezza che, in questo momento, in Italia, noi come Parlamento, e il Governo italiano, abbiamo l'occasione veramente imprevista, e non certo gradita, di trasformare un evento assolutamente tragico e negativo in un fattore di consapevolezza e di crescita collettiva, così come il comitato De Grazia e tutti i numerosissimi partecipanti a quella manifestazione hanno dimostrato.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DORIS LO MORO. Non nascondiamo la verità, arriviamo finalmente a capire quale sia la verità e quale sia lo stato di salute di quel territorio e del nostro mare; non torniamo indietro su questa consapevolezza, non creiamo steccati, né divisioni che non esistono. Ognuno di noi si assuma le proprie responsabilità, come oggi il Governo, in ritardo, deve assumersi le proprie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 30

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Soro ed altri n. 1-00256 concernente iniziative per la verifica dei presupposti per l'impugnazione della legge approvata dalla regione Sardegna in materia di sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e interventi per lo sviluppo (ore 18,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Soro ed altri n. 1-00256 concernente iniziative per la verifica dei presupposti per l'impugnazione della legge approvata dalla regione Sardegna in materia di sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e interventi per lo sviluppo (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 ottobre 2009.
Avverto che in data odierna è stata presentata la mozione Borghesi ed altri n. 1-00259 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritta a parlare l'onorevole Pes, che illustrerà anche la mozione Soro ed altri n. 1-00256, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

CATERINA PES. Signor Presidente, con questa mozione il Partito Democratico chiede al Governo di verificare le condizioni di legalità del provvedimento della regione autonoma della Sardegna, recante disposizioni ordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo. È un provvedimento del 16 ottobre 2009, che riteniamo violi palesemente le norme statali, comunitarie e costituzionali.
Con legge 9 gennaio 2006, n. 14, infatti, l'Italia ha assunto gli impegni della Convenzione europea del paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000. Si tratta di impegni internazionali di tutela dei beni paesistici, applicati dal cosiddetto codice Urbani, attraverso la disciplina uniforme in tutto il territorio nazionale, e in attuazione dell'articolo 9 della Costituzione che, come sappiamo, sancisce il seguente principio: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
In coerenza con le disposizioni contenute sia nel codice di tutela dei beni culturali e paesaggistici, sia nelle norme internazionali del settembre 2006 di cui parlavamo poc'anzi, la regione Sardegna ha approvato, proprio nel settembre 2006, il piano paesaggistico regionale, che ha sancito le norme di salvaguardia del paesaggio.
Veniamo ad oggi. In data 16 ottobre 2009, come abbiamo appena detto, la regione Sardegna ha approvato un provvedimento denominato «Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo». Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento dispone la soppressione delle norme di salvaguardia del piano paesaggistico in vigore con un processo di «depianificazione» in deroga che prevede un aumento di volumetrie sino al 40 per Pag. 31cento anche in aree sottoposte a regime di tutela integrale e a vincolo dal piano per l'assetto idrogeologico.
Riteniamo questo provvedimento illegittimo e sbagliato, innanzitutto perché una sentenza della Corte costituzionale, la n. 5 del 2006, afferma che è sempre «il legislatore statale a conservare il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della regione speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come riforme economico-sociali». Detto in altre parole, questo significa che neppure le regioni speciali hanno il potere di legiferare attraverso riforme economico-sociali. Considerato che allo stato attuale non risultano operanti indirizzi del legislatore statale in deroga a queste disposizioni e considerato che l'articolo 145 del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63, sancisce che «le previsioni dei piani paesaggistici non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico», qualsiasi applicazione della suddetta legge ci appare pertanto illegittima.
Vorrei aggiungere che questo provvedimento fa seguito all'accordo Stato-regioni del 1o aprile 2009 in materia di piano casa, senza che tuttavia ad oggi sia stato emanato il decreto di semplificazione amministrativa del Governo sulla base del quale la regione Sardegna avrebbe potuto poi eventualmente legiferare. In altre parole, l'applicazione del provvedimento appare illegittima, in primo luogo perché è in contrasto con le disposizioni del legislatore statale, ancora normate dal codice Urbani: infatti, secondo l'articolo 155 la pianificazione paesaggistica è materia delegata, dal codice dei beni culturali e del passaggio, dallo Stato alle regioni e lo Stato si riserva di vigilare sull'attività delle regioni. In secondo luogo, appare illegittima perché per legge dello Stato le previsioni dei piani paesaggistici sono sempre prevalenti su qualunque disposizione difforme settoriale, in particolar modo allo scopo di prevenire un danno ambientale e paesaggistico irreversibile e gravi ripercussioni sociali ed economiche in quanto in contrasto, appunto, con l'articolo 9 della Costituzione in materia di paesaggio.
Questa norma, inoltre, prevedendo la possibilità di un ampliamento fino al 10 per cento delle case nella fascia dei 300 metri dal mare, è un attacco senza precedenti al patrimonio ambientale di una regione le cui meraviglie sono conosciute in tutto il mondo. Spontanee ci vengono alcune domande: quali e quanti saranno i milioni di metri cubi che pioveranno sull'isola e sulle sue coste nei prossimi diciotto mesi? Quanti di questi milioni di metri cubi riguarderanno le prime case, quindi le necessità abitative, e quanti invece le seconde case e gli alberghi sul mare? La verità è che non ci sarà in Sardegna più un pezzo di terreno vergine, perché anche quello verrà sacrificato alla speculazione edilizia e al cemento.
In conclusione, lo scrittore inglese David Herbert Lawrence nel suo libro famosissimo, da noi, Mare e Sardegna, pubblicato nel 1924, scrisse: «Questa terra non assomiglia a nessun luogo. La Sardegna è un'altra cosa. Incantevole spazio intorno e distanze da viaggiare. Nulla di finito, nulla mai di definitivo. È come la libertà stessa». Vi chiediamo veramente di non toglierci, per favore, questa ricchezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la mozione Borghesi ed altri n. 1-00259, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, come ha già evidenziato e ricordato la collega che mi ha preceduto, nel mese di marzo di quest'anno, nel 2009, il Governo ha avviato o, meglio, ha annunciato alcune misure per il rilancio del settore edilizio, il cosiddetto «piano casa 2», che si sarebbe dovuto articolare in alcuni diversi momenti (tre in particolare) tra loro collegati: un'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni; un decreto-legge con l'obiettivo di semplificare alcune procedure di competenza esclusiva dello Stato, Pag. 32al fine di rendere più rapida ed efficace la disciplina delle attività edilizie; e un disegno di legge delega per un generale riordino della materia urbanistica.
L'ordine logico e cronologico doveva essere quello individuato in sede di Conferenza Stato-regioni il 31 marzo 2009. In primo luogo, pertanto, una sorta di legge quadro statale e, quindi, a seguire le leggi regionali di natura attuativa. In realtà, abbiamo assistito ad un'evidente e assurda inversione: il Governo non ha ancora emanato alcun provvedimento in materia, nonostante le tante promesse, e si trova paradossalmente ad attendere che tutte le regioni abbiano adottato una propria legge per poi adeguarsi con un provvedimento di carattere nazionale. In pratica, la leggi regionali, che si stanno approvando, trovano la loro legittimità non in una norma quadro nazionale, ma in una semplice intesa raggiunta tra lo Stato e le regioni.
Il cuore del cosiddetto «piano casa 2», il vostro piano casa - lo dico al rappresentante del Governo - è nei fatti la possibilità di costruire in deroga ai piani regolatori con l'obiettivo principale di rispondere alle necessità di sostenere il settore delle costruzioni e le imprese edili colpite dalla crisi. Insomma, siamo in presenza di interventi che, in realtà, dovrebbero soddisfare due caratteristiche, peraltro entrambe negative, proprie però della cultura edilizia italiana: in primo luogo, l'intervento cosiddetto «fai da te», che è tipico di tutti gli abusi che sono intervenuti in questi anni; il secondo è l'intervento fatto per investimento economico, per ottenere cioè una remunerazione del capitale e non per una vera ed effettiva esigenza abitativa. Inoltre, ciò avviene senza considerare che dal 1956 al 2001 è stato calcolato che la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento e si è valutato che dal 1990 al 2005 siamo stati capaci di trasformare oltre 3 milioni e mezzo di ettari, ovvero una superficie grande quasi quanto il Lazio e l'Abruzzo insieme.
Insomma, il piano casa del Governo, a prescindere da queste considerazioni che, invece, dovrebbero essere alla base di un ragionevole intervento normativo, si è tradotto in interventi delle singole regioni, effettuati con modalità del tutto diverse sulla base delle specifiche esigenze territoriali (ma, direi, anche politico-territoriali) e senza alcun coordinamento da parte dello Stato. Insomma, si tratta di una miriade di interventi che gonfiano le cubature esistenti fino al 20 e al 30 per cento, sopraelevano gli edifici e consentono di demolire e trasferire altrove. Eppure - e anche in questo caso vi sono dati alla mano - a Roma un alloggio su sette è vuoto e a Milano risultano deserti ben 900 mila metri cubi di uffici, che equivalgono, per avere un'idea, a trenta grattacieli Pirelli vuoti.
Insomma, il costruito nel nostro Paese è già enorme e, quindi, sarebbe stato più logico e saggio dare prioritariamente la spinta ad un grande piano di social housing, puntando contemporaneamente sull'esistente e sulla sua rivalutazione. Quello che manca del tutto, nella attuazione del piano casa, sono regole chiare e, soprattutto, uniformi su tutto il territorio nazionale.
Solo nella metà delle regioni, infatti, varranno degli standard energetici obbligatori; per l'altra metà si potrà continuare a costruire male, come troppo spesso si è fatto negli ultimi decenni. Così come vi sono norme diversissime per quanto concerne la tutela del territorio: alcune regioni non individuano alcuna area in cui è vietato realizzare gli interventi; altre regioni escludono, ad esempio, solo i centri storici, mentre lo consentono in aree vincolate, mentre con alcune leggi regionali gli edifici abusivi, anche se condonati, non potranno essere oggetto di intervento, mentre in altre regioni ciò sarà possibile.
Inoltre, nonostante che alcune leggi regionali escludano tassativamente la possibilità di intervenire su opere abusive, si potrà cercare un «effetto condono» dichiarato. Sarà certo facile, per esempio, avviare la procedura per avere un aumento di cubatura di un immobile per rifare una certa stanza, ma nella pratica non verrà mosso neanche un mattone, perché quella stanza era già stata realizzata Pag. 33abusivamente. Insomma, l'effetto finale sarà quello di una sanatoria: ogni abuso per questa strada sarà sanato. In sostanza, si tratta di una vera e propria Babele urbanistica e una giungla di regole conseguenti alle sensibili differenze di carattere sostanziale tra le norme regionali finora approvate.
Tutto ciò impone, o meglio imporrebbe, un particolare attento controllo e un monitoraggio da parte del Governo proprio per il ruolo primario che la Costituzione gli assegna in materia di governo del territorio. Voglio quindi ricordare che il governo del territorio, così come la materia urbanistica e quella edilizia, rientrano pienamente nella cosiddetta legislazione concorrente fra Stato e regioni, secondo quanto è sancito, appunto, dall'articolo 117 della nostra Costituzione. Si tratta, quindi, di una competenza e di una responsabilità condivise, nella quale entrambi i soggetti concorrono, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, per il raggiungimento di una finalità avente interesse pubblico.
La recente norma approvata dalla regione Sardegna, su cui si è diffusa la collega che mi ha preceduto, è paradigmatica da questo punto di vista, perché questo piano casa lì può avere davvero conseguenze nefaste per il territorio: una legge che prevede interventi edilizi che possono ricadere anche entro la fascia dei 300 metri dal mare e consente ampliamenti di cubatura in via definitiva, ossia attuabili indipendentemente da una scadenza temporale, mentre, in base all'intesa Stato-regione del 31 marzo che ho richiamato all'inizio, le leggi regionali avrebbero dovuto avere un carattere di straordinarietà, con un termine di efficacia non superiore ai diciotto mesi, salvo diverse determinazioni delle singole regioni: ciò però non può e non deve essere inteso come un «senza termine».
La medesima legge autorizza, inoltre, interventi di ampliamento degli immobili a finalità turistico-ricettiva, anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici vigenti. Così come si prevedono aumenti di volumetrie dal 10 al 45 per cento anche in aree sottoposte al regime di tutela integrale in base all'articolo 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e, quindi, in violazione del medesimo, nonché in aree sottoposte a vincolo per l'assetto idrogeologico.
È quindi evidente la violazione della normativa nazionale e comunitaria in materia; pertanto con questa nostra mozione, che speriamo possa raccogliere un vasto consenso, prima ancora che dare un indirizzo, vogliamo lanciare un allarme ed esprimere una preoccupazione. In questo senso il rappresentante del Governo, che oggi siede al banco e ascolta senza avere una competenza specifica e una responsabilità diretta, dovrebbe avere almeno una particolare sensibilità, visto che stiamo parlando della terra da cui ha preso le sue origini e i suoi natali (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Margiotta. Ne ha facoltà.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, colleghi deputati, l'Italia è un Paese bellissimo, fatto di coste incantevoli, di montagne, colline, campagne meravigliose, di paesaggi che non hanno uguali, di centri storici stupendi, ricchi di beni culturali, di reperti archeologici, di edifici storici di pregio.
L'Italia è bellissima e la sua bellezza è stata, è, e dovrebbe essere, molto di più nel futuro, la sua e la nostra ricchezza. L'Italia è, però, al contempo, il Paese delle contraddizioni, è il Paese dei tre condoni edilizi, di un abusivismo selvaggio e incontrollato.
È un Paese che masochisticamente deturpa la propria bellezza, la mutila e la cancella. Dal 1993 al 2004, ad esempio, secondo stime CRESME e Lega ambiente sono state costruite 402.676 costruzioni abusive, nel 70 per cento dei casi in aree a bassa densità abitativa, alimentando il mercato delle seconde case, anche di prestigio, con un marcato numero di trasformazioni pesanti (dalla stalla alla villa, per intenderci). Pag. 34
Il prezzo più alto lo hanno pagato le regioni a tradizionale presenza mafiosa: Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, dove si concentra il 70 per cento delle nuove costruzioni abusive. L'Italia è anche il Paese in cui l'uomo e l'antropizzazione non ha rispetto delle risorse naturali e del suolo; è il Paese in cui il dissesto idrogeologico determina frane che producono morti, come recentemente è accaduto a Capoterra, a Messina.
In Italia - sono parole del sottosegretario Bertolaso di questo Governo - la priorità è il riequilibrio naturale del territorio. Il Partito Democratico aggiunge altre priorità: un programma serio di adeguamento antisismico degli edifici pubblici, il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio, l'efficientamento energetico del costruito, la salvaguardia dell'integrità delle zone agricole e del patrimonio ad utilizzo rurale: insomma, abbandonare definitivamente il modello di sviluppo basato sull'industria e sul consumo incontrollato delle risorse naturali ed invertirne i connotati, affidandosi a modelli di sviluppo sostenibile.
È sulla base di queste valutazioni che il PD ha subito guardato con preoccupazione e diffidenza agli annunci di questa primavera del piano casa da parte di Berlusconi, intuendone immediatamente i rischi connessi. Infatti, pure in mancanza di un atto normativo da parte del Governo, sulla scorta dell'accordo Stato-regioni del 1o aprile 2009, dodici regioni hanno prodotto leggi, alcune delle quali inquietanti e dannose. Tra queste la più recente riguarda la regione Sardegna. Se l'Italia è bellissima, la Sardegna ne è la quintessenza e per certi aspetti l'apice. È una regione in cui l'economia deve naturalmente basarsi sulla valorizzazione del paesaggio, sulle vocazioni endogene, sulla storia e la cultura locali. Questo è il modello di sviluppo auspicabile.
La legge va in controtendenza. Ricordo che il 9 gennaio 2006 è stata ratificata la Convenzione europea sul paesaggio (legge n. 14 del 2006). In attuazione della stessa è stato emanato il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In attuazione di tali norme la regione Sardegna ha approvato in data 7 settembre 2006 il piano paesaggistico; il 16 ottobre 2009 (dieci giorni fa) sulla scorta dell'accordo Stato-regioni del 1o aprile 2009, la regione ha approvato una legge con la quale si prevede la soppressione di una serie di norme di salvaguardia del piano paesaggistico, con un processo di depianificazione in deroga.
La legge, purtroppo, prevede volumetrie aggiuntive, persino nelle zone di maggiore pregio paesaggistico, nella fascia dei 300 metri dalla costa e nei centri storici. È un errore, è un grave errore. Bisognerebbe, invece, mantenere fermo, correggendone le imperfezioni, il piano paesaggistico regionale, non derogare ai piani urbanistici comunali, ma rendere più agevole il loro adeguamento al piano paesaggistico regionale, vietare incrementi di volumetrie entro i 300 metri, salvaguardare i centri storici quali patrimonio identitario dell'isola.
Per questi motivi, considerato che la materia è delegata alle regioni dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma che ai sensi dell'articolo 9 della Costituzione e ai sensi del Codice medesimo lo Stato si riserva di vigilare, anche alla luce di una serie di sentenze della Corte costituzionale, chiediamo che il Governo impugni la legge sarda per le evidenti violazioni delle norme statali, costituzionali e comunitarie.
Il Ministro Bondi e il Ministro Prestigiacomo si scuotano dall'apatia e dall'afonia che sembra averli presi. La bellezza della Sardegna e dell'Italia è anche nelle loro mani. Facciano il loro dovere di italiani, prima ancora che di uomini delle istituzioni. Noi, in Parlamento e fuori, li incalzeremo: il nostro territorio è un bene troppo importante per ammettere distrazioni o sottovalutazioni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.

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SALVATORE CICU. Signor Presidente, nessuna delle contestazioni mosse in ordine alle violazioni presunte (costituzionali o comunitarie) da parte del legislatore regionale sussiste. Mi rendo conto che c'è una speculazione e una mistificazione di quello che sta avvenendo attraverso il governo del paesaggio oggi in Sardegna.
Cercherò anche tecnicamente di spiegarne il motivo. Quindi, rassicuro già da adesso il sottosegretario Cossiga, che credo che abbia a cuore quanto me - o per lo meno quanto gli altri - le sorti della destinazione urbanistica del nostro paesaggio e della salvaguardia del nostro ambiente. Credo che qui non ci siano primi, ma che tutti insieme stiamo cercando di capire di che cosa si sta parlando. Infatti, secondo me è stata fatta una grandissima confusione, soprattutto da parte dei colleghi che vengono da territori - loro stessi lo hanno ammesso - che sono oramai deturpati dal punto di vista ambientale e che hanno addirittura la presenza mafiosa che realizza quotidianamente qualcosa che va oltre il dettato normativo. Il collega della Basilicata, proprio in questo momento, ha infatti ammesso che in alcuni territori c'è una situazione ingestibile e certamente non sono i territori governati dal centrodestra.
Al di là di questo, vorrei affrontare la mozione punto per punto, soprattutto per quanto riguarda la prima questione, ossia la piena conformità al piano paesaggistico di cui all'articolo 143 del Codice dei beni culturali del decreto del presidente della giunta n. 82 del 7 settembre 2006, che dovrebbe soddisfare la condizione per cui un'intesa tra il Ministero e l'amministrazione regionale, per intenderci la giunta Soru, ne attesti appunto la conformità.
Bisogna dire che effettivamente è esistito tra la regione Sardegna e il Ministero per i beni culturali, in data 19 febbraio 2007, un protocollo di intesa, il cui contenuto peraltro era ben diverso da quello che nella mozione si intende sostenere e da quanto previsto dal Codice Urbani all'articolo 143. Si deve, infatti, rilevare che l'intesa in questione è stata sottoscritta solo nel febbraio 2007, cioè in epoca successiva all'approvazione definitiva del piano paesaggistico regionale. Quindi, non si capisce come e con quale conformità o con quale tutela preventiva ciò sia avvenuto, poiché il protocollo di intesa è stato stipulato solo successivamente al varo del piano paesaggistico regionale.
L'articolo 143 del Codice Urbani, nella versione al tempo vigente, prevedeva espressamente che le regioni e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio possono stipulare intese per l'elaborazione congiunta dei piani paesaggistici. Pertanto, sussiste già una prima discrasia rispetto alle previsioni del Codice del paesaggio: l'intesa non ha preceduto l'elaborazione del piano paesaggistico regionale, come era nella logica e nelle previsioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ma è successiva ad esso. Quindi, la ricostruzione che viene fatta non fa sussistere, come presupposto, alcun ragionamento giuridico-normativo, né tanto meno a questo si può abbinare alcun ragionamento politico.
La questione ha rilevanza non solo in ragione della collocazione temporale, ma ha inciso verosimilmente anche sui contenuti del piano, che, in caso di elaborazione congiunta preventivamente concordata tra le parti (se questo fosse stato vero), avrebbero certamente essere in tutto o in parte diversi.
Nel merito dall'esame del contenuto del protocollo di intesa non si rinviene quanto sostenuto dai proponenti la mozione riguardo ad una attestazione del Ministero sulla piena conformità del piano paesaggistico alla disciplina dell'articolo 143 del Codice. Infatti, non si rinviene nemmeno il più labile indizio che porti a ritenere sussistente tale attestazione. Al contrario, anche da una lettura superficiale, quindi comprensibile da tutti, non da esperti di normativa, appare immediatamente che l'attestazione costituisce ancora un obiettivo da conseguire. Ancora oggi non è stato conseguito: da tre anni cerchiamo di capire se questa conformità esiste e deve essere rilasciata. Ci stiamo lavorando noi.
Quindi, esposte tutte le premesse del caso, le parti hanno convenuto che il Ministero verifichi la conformità tra le Pag. 36disposizioni del piano paesaggistico regionale (primo ambito omogeneo) e le previsioni dell'articolo 143 del codice, anche sulla base dei contenuti dell'intesa di cui all'articolo 156, comma 2, del codice medesimo.
Da quanto detto credo che emerga in maniera inconfutabile che il protocollo di intesa impegna esclusivamente le parti ad un'attività di verifica futura. Non c'è nessuna attestazione di conformità del piano paesaggistico al codice Urbani rilasciata dal Ministero e, considerato che a distanza di quasi tre anni dalla sottoscrizione del medesimo l'attestazione non risulta ancora emessa, appare verosimile ritenere che quella conformità non potrà effettivamente, con i contenuti attuali del piano paesaggistico, essere attestata. Infatti, anche da un sommario esame del piano paesaggistico e dal suo confronto con l'articolo 143 del codice Urbani, non si potrà fare a meno di evidenziare che la pianificazione paesaggistica della regione Sardegna si presenta, per responsabilità del piano paesaggistico voluto dal Governo precedente, in più parti carente dei contenuti prescritti nel citato codice. Solo per citare qualche esempio basti richiamare il primo comma dell'articolo 143, lettera c): le delimitazioni delle aree di cui all'articolo 142, la loro delimitazione e la rappresentazione in scala idonea alla identificazione nonché determinazione di prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e compatibilmente con essi la valorizzazione. Appare alquanto difficile rinvenire nelle carte, nei documenti, nelle norme del piano paesaggistico regionale sardo questo tipo di contenuti.
Da quanto detto consegue che debba essere categoricamente escluso che la legge approvata lo scorso 16 ottobre 2009 dal Consiglio regionale della Sardegna abbia sostanzialmente attuato una soppressione delle norme di salvaguardia del piano paesaggistico, oggetto di una specifica intesa con il Ministero per i beni culturali attestante la piena conformità del piano approvato con la disciplina di cui all'articolo 143 del codice Urbani. È risultato fin troppo evidente che ben difficilmente la legge in questione avrebbe potuto sopprimere ciò che di fatto non è mai esistito.
Poi abbiamo visto che i proponenti, seguendo lo stesso schema e la stessa linea interpretativa, definiamola così per essere corretti, sostengono che in Sardegna sarebbe in atto un processo di depianificazione, laddove la legge regionale in particolare prevede aumenti volumetrici generalizzati fino al 40 per cento dei volumi esistenti anche in aree sottoposte al regime di tutela integrale differenziata in base all'articolo 142 del codice aree tutelate per legge e in aree sottoposte a vincolo dal piano per l'assetto idrogeologico.
Una preliminare considerazione: iniziamo dalle aree sottoposte a vincolo da parte del piano di assetto idrogeologico, perché poi bisognerebbe in questo momento che qualcuno si vada a prendere il testo e lo legga insieme a me. Il testo della legge licenziato dal Consiglio regionale prevede espressamente all'articolo 8, comma 2, che le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 relativi ai cosiddetti ampliamenti non si applicano in assoluto agli edifici collocati in aree dichiarate, ai sensi del piano stralcio per l'assetto idrogeologico di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183 (norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo e successive modifiche e integrazioni), di pericolosità idraulica o in aree di pericolosità relative a frane elevate o molto elevate. Non credo, peraltro, che ci debba essere necessità di soffermarsi oltre su questo punto.
Per quanto attiene invece alla prima parte delle osservazioni mosse, in cui si asserisce che nelle aree sottoposte a tutela ai sensi dell'articolo 142 del codice, aree tutelate per legge, sarebbero ammessi aumenti volumetrici generalizzati fino al 40 per cento, noi riteniamo che anche qui bisognerebbe andare a leggersi le norme. Deve infatti essere rilevato che la disposizione contestata non attribuisce incrementi generalizzati del 40 per cento in aree tutelate per legge, in violazione delle norme di tutela paesaggistica contenute Pag. 37nel codice Urbani, ma si tratta di una disposizione di segnale e di contenuto sostanzialmente opposto.
L'articolo 5, comma 3, in materia di demolizione e successiva ricostruzione con premio volumetrico, prevede infatti espressamente che, nel caso di immobili insistenti nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, ridotta a 150 metri nelle isole minori, ed in aree di particolare valore paesaggistico o in prossimità di emergenze ambientali, architettoniche, archeologiche o storico-artistiche, al fine di conseguire la riqualificazione del contesto - quindi è esattamente l'opposto rispetto a quello che sostenete nella mozione - è consentita, previa approvazione da parte del consiglio comunale e stipula di apposita convenzione, l'integrale demolizione degli stessi; non la realizzazione del 40 per cento in più, ma la demolizione degli stessi!
A che fine? Perché si trasferisca la volumetria preesistente e vada oltre i 300 e i 150 metri. State, quindi, mistificando e realizzando la condizione di trasferire un messaggio che non ha alcun fondamento. Su questo bisogna essere seri e trasparenti, soprattutto con i cittadini che, in questo momento, attendono un sostegno rispetto agli interventi edilizi in Sardegna, ma certamente non realizzando quello che il centrosinistra ha realizzato, ma cercando di salvaguardare sul serio, in maniera forte e vera, un discorso di valorizzazione del nostro ambiente, delle nostre coste, dei nostri centri storici, di tutti i nostri beni architettonici e culturali.
Signor Presidente, potrei continuare a leggere tutto l'impianto di questa norma («realizzare la condizione di smontare pezzo per pezzo...»), ma mi avvio alla conclusione. Le asserzioni dei proponenti, quindi, non possono trovare riscontro; è vero, invece, che le previsioni di quest'ultima costituiscono una puntuale applicazione.
Onorevole rappresentante del Governo, il punto è questo: vi è una puntuale applicazione delle disposizioni paesaggistiche del codice Urbani e si muove in un'ottica di tutela e di valorizzazione di valori paesaggistici che sono oggetto di protezione da parte dello Stato, ma anche e soprattutto da parte della regione. Poi - così, credo, lei abbia rilevato - nella mozione si sostiene, infine, che per altri svariati ulteriori motivi, non meglio precisati - quindi, qui ci troviamo un po' in difficoltà - la legge approvata dalla regione Sardegna sarebbe in contrasto con le disposizioni del legislatore statale che attuano il principio costituzionale della tutela del paesaggio.
Ci riserviamo di intervenire nel momento in cui questi ulteriori svariati motivi, non ancora precisati, saranno indicati, perché l'affermazione è talmente generica e superficiale da non meritare neanche una presa di posizione, se non per smentirla categoricamente per la sua sostanziale inconsistenza.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, abbiamo visto che le disposizioni della legge sono perfettamente coerenti sia con le previsioni del codice Urbani, che dà sostanziale attuazione al principio di tutela del paesaggio sancito a livello costituzionale nell'articolo 9, sia con la Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze nell'ottobre del 2000 e successivamente ratificata con la legge 9 gennaio 2006, n. 14.
Ma è anche chiaro, signor Presidente, che oggi il legislatore del governo regionale sardo non vuole assolutamente chiudersi ad alcun tipo di discorso in maniera aprioristica, ma vuole attuare un confronto con le comunità, con le popolazioni, con un'inversione di tendenza totale rispetto al precedente Governo, che solo dando cinque minuti ai sindaci delle nostre comunità pretendeva di ricevere il parere delle nostre popolazioni. Credo che la mozione vada integralmente rigettata (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

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ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo per un richiamo all'articolo 113 del Regolamento. Accade una cosa singolare: abbiamo un sottosegretario, che ringraziamo perché ci sta accompagnando dall'inizio della seduta, essendo presente a tutti i dibattiti, anche a quelli che non riguardano la sua competenza, e per questo lo ringraziamo.
Ovviamente, egli non può intervenire nel merito di alcune questioni, perché, semplicemente, non fanno parte della sua materia. Però, cosa accade? Che sulle mozioni il Governo dovrebbe normalmente esprimere, tramite anche un suo intervento alla fine della discussione, le proprie valutazioni attraverso il sottosegretario.
A causa di questo impedimento della mancanza del sottosegretario competente, abbiamo l'onorevole Cicu che esprime il parere sulle mozioni presentate dall'opposizione, intervenendo addirittura sulle premesse, sui dispositivi, spiegandoci cosa è accettabile e cosa non lo è: questo non è obiettivamente il compito che gli spetta. Chi vuole presenta la mozione, parla magari delle sue idee e delle sue proposte, e se ha qualcosa da dire su quelle degli altri sicuramente lo può fare con delle argomentazioni politiche e non di merito, come dovrebbe fare il Governo sulle mozioni.
A questo punto però, signor Presidente, a norma del comma 2 dell'articolo 113 del nostro Regolamento, che stabilisce che la discussione sulle linee generali si svolge con iscrizione a parlare a norma dell'articolo 36, il proponente di una mozione ha diritto alla replica. La pregherei quindi di dare la parola alla collega Pes per consentirle una replica, perché evidentemente se qualcuno interviene al posto del Governo per dare il parere su una mozione, è giusto anche che chi ha presentato la mozione possa svolgere una breve replica.
Sono convinto che l'onorevole Pes lo farà rapidamente. Tuttavia, se cerchiamo di stare nell'ambito di quanto previsto dal nostro Regolamento, è utile che lo si faccia fino in fondo.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, non è che non voglio dare la parola. Andrebbe capito meglio, però penso che il comma da lei citato si riferisca alla replica al parere del Governo: se non vi è stato... La replica, in questo caso, vorrebbe farla evidentemente al collega Cicu, ma lei sa anche...

ROBERTO GIACHETTI. Se il collega si sostituisce al Governo!

PRESIDENTE. Nessuno si sostituisce al Governo, però lei sa benissimo che accade normalmente che il rappresentante del Governo intervenga anche se la materia non è di sua competenza: non parlo di incompetenza, perché potrebbe benissimo essere competente anche il collega Cossiga. Il problema è legato al fatto che il Governo si può riservare di intervenire in una fase successiva, che è quella conclusiva, così come previsto per le mozioni, perché sa che le mozioni prevedono poi una fase unica con la dichiarazione di voto. È una sorta di «comodità» la discussione sulle linee generali, ma, in un certo senso, non esiste una differenza tra discussione sulle linee generali e il resto del dibattito: lei mi insegna queste cose. Non penso che si possa dare la parola alla collega Pes per replicare. Potrà intervenire domani, in quanto ha il tempo che non è stato utilizzato; alla fine chiederò al Governo se intende intervenire o se si riserva di farlo successivamente...

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non voglio creare un incidente procedurale: le dico francamente che il comma a cui ho fatto riferimento non cita minimamente il Governo, però diciamo che una replica si può fare anche nel corso della giornata di domani. Prendo quindi atto, senza creare problemi, della sua decisione, ma ho qualche dubbio sull'interpretazione Pag. 39che è stata data al comma 2 dell'articolo 113 del Regolamento.

PRESIDENTE. La ringrazio: approfondiremo entrambi la questione da lei posta.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Chiedo formalmente al Governo se intende intervenire o se si riserva di farlo successivamente.

GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica (ore 19,38).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 2552-A e 2765.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi di tali disegni di legge è pubblicato in calce al resoconto della seduta di giovedì 22 ottobre 2009.

Discussione del disegno di legge: S. 1500 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Emirati Arabi Uniti relativo alla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Dubai il 13 dicembre 2003 (Approvato dal Senato) (A.C. 2552-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Emirati Arabi Uniti relativo alla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Dubai il 13 dicembre 2003.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2552-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Malgieri ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore, onorevole Stefani, presidente della Commissione.

GENNARO MALGIERI, Relatore f.f.. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Accordo tra l'Italia e gli Emirati Arabi Uniti sulla cooperazione nel settore della difesa si inserisce nel quadro degli accordi di cooperazione in campo militare per favorire il processo di ammodernamento dello strumento militare, ed offrendo altresì un impulso allo sviluppo dell'industria della difesa.
A riprova di tutto ciò bisogna sottolineare come la conclusione di intese internazionali in questo settore particolare acquisti una speciale valenza politica considerando gli interessi di tipo strategico e gli obiettivi di stabilità perseguiti dal nostro Paese, soprattutto in alcune zone geopolitiche particolarmente nevralgiche come quella mediorientale, in cui sono situati gli Emirati Arabi.
Dal punto di vista strutturale l'Accordo - che è, dal punto di vista dello schema giuridico, un accordo classico - si compone di un preambolo e di 12 articoli. Mi limito all'esposizione delle norme di maggior rilievo, segnalando in particolare l'articolo 3, che elenca le questioni su cui le parti intendono attuare gli obiettivi stabiliti dall'Accordo stesso, e cioè l'attività di addestramento, l'esportazione e l'importazione di armamenti, l'industria della difesa, altri materiali e ricerca scientifica, la sanità militare, lo sport militare, le operazioni umanitarie e di peace keeping, le questioni ambientali in relazione alle attività militari e ogni altro settore che le parti vogliano successivamente concordare. Pag. 40
La cooperazione tra le parti si avvarrà di diversi strumenti tra i quali visite ufficiali e riunioni, scambi di visite a navi, aerei e unità militari delle due parti, corsi di addestramento e manovre militari, così come disposto dall'articolo 4.
Particolare rilievo in questo Accordo assume l'articolo 5, che disciplina la promozione degli scambi di materiali di armamento in un'ampia gamma di tipologie aeree e terrestri, inclusi i relativi munizionamenti nonché i sistemi tecnologici di comunicazione e per la guerra elettronica. Tali scambi potranno avvenire ad opera delle due amministrazioni statali competenti o anche attraverso privati debitamente autorizzati dagli Stati.
Segnalo che la Commissione ha provveduto ad apportare una modifica al testo del disegno di legge di ratifica introducendo un nuovo articolo 3 al fine di recepire un'osservazione apposta al parere favorevole espresso dalla Commissione difesa, conforme tra l'altro a un orientamento - come il sottosegretario sa bene - condiviso dai gruppi ed emerso nel corso del dibattito in sede di Commissione affari esteri. Il nuovo articolo 3 prevede che, al fine dell'esecuzione di quanto previsto dall'articolo 5 dell'Accordo di cui all'articolo 1 della legge, sono stipulate apposite intese intergovernative che indichino con precisione il contenuto delle relative operazioni di cui al citato articolo 5 dell'accordo stesso ai sensi dell'articolo 9, comma 4 della legge 9 luglio 1990, n. 185, e successive modificazioni, recante nuove norme sul controllo delle esportazioni, importazioni e transito dei materiali di armamento. In questo modo si è evitata la mera equiparazione dell'Accordo in titolo alle intese intergovernative di cui alla citata legge n. 185 del 1990.
Con riferimento poi all'articolo 7 si prevede che le violazioni della disciplina militare commesse sul territorio del Paese ospitante, sia da personale della parte invitante che da personale della stesse parte ospitante, saranno trattate da una commissione di inchiesta congiunta. Nel corso del dibattito la Commissione ha provveduto a dare rilievo all'impatto dell'articolo 7 sulla legge penale italiana - peraltro segnalato dall'analisi tecnico-normativa che accompagna il disegno di legge - facendo emerge la novità della norma rispetto alla prassi conosciuta in tema di Accordi in materia di difesa. Questo perché non vi è armonizzazione tra il sistema giudiziario dell'Italia e quello degli Emirati Arabi. Si può parlare quindi di una discrasia che, in qualche maniera, viene colmata dallo stesso Accordo e da qualche accorgimento che da qui a un attimo renderò noto. L'articolo 8....

PRESIDENTE. Onorevole Malgieri, la prego di concludere, il suo tempo è terminato...

GENNARO MALGIERI, Relatore f.f.. Signor Presidente, sono il relatore...

PRESIDENTE. Onorevole, lei ha a disposizione cinque minuti.

GENNARO MALGIERI, Relatore f.f.. Signor Presidente, al relatore potrebbe concedersi qualcosa di più di cinque minuti.
L'articolo 8 disciplina un altro profilo dedicato all'Accordo quale il trattamento di informazioni, documenti e materiali che le parti potranno scambiarsi nello svolgimento delle attività di cooperazione militare. Su queste norme è stato chiesto in Commissione un chiarimento al Governo per verificare la conformità con la normativa di cui alla citata legge n. 185 del 1990 ed al connesso regolamento di attuazione (considerato che l'articolo 8 sembra consentire di derogare, con mere intese tra le parti, al principio per cui non è possibile riesportare il materiale acquisito da paesi terzi senza il preventivo benestare del paese cedente).
Infine, nel corso dell'esame la Commissione ha provveduto a correggere un errore meramente formale riguardante la formulazione dell'articolo 10 che, limitatamente alla sua versione inglese in possesso della parte italiana, non includeva il comma c) riguardante il diritto di denuncia dell'Accordo (tale comma è invece regolarmente incluso nella versione originale Pag. 41in italiano ed in quella in possesso della parte emiratina). Conformemente all'articolo 79, lettera a), della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, il Ministero degli affari esteri ha già provveduto alla correzione dell'errore materiale in data 2 settembre 2009.
Mi preme fare presente, signor Presidente, che nel corso del dibattito in Commissione si è confermata la tendenza da parte dei colleghi commissari a valutare, tra le questioni rilevanti ai fini della ratifica di un accordo internazionale, quella dei diritti umani, ed è questo un aspetto particolarmente importante per cui le chiedo la tolleranza di qualche secondo ancora.
Si tratta di un approccio metodologico che condivido profondamente e che, tra l'altro, è conforme alla prassi dell'Unione europea; a mio giudizio, tale valutazione dovrebbe sempre guidare l'azione del Parlamento e del Governo nell'esercizio dei rispettivi ruoli in occasione della firma e ratifica di trattati internazionali.
In particolare, ritengo che il requisito del rispetto degli standard internazionali in tema di diritti umani debba rappresentare un passaggio obbligato nell'esame di disegni di legge di ratifica anche se l'oggetto dei singoli accordi possa non chiamare apertamente in causa il diritto internazionale umanitario.
Tenendo anche conto delle perplessità sollevate in Commissione dal collega onorevole Mecacci sull'articolo 7 dell'Accordo con particolare riferimento all'impatto della norma sulla legge penale italiana, esprimo il mio compiacimento per la disponibilità manifestata dal rappresentante del Governo nei confronti di simili riflessioni, segnalando la possibilità dell'avvio di un'azione negoziale nei confronti della parte emiratina - e a questo mi riferivo qualche istante fa - finalizzata ad adottare il testo dell'Accordo, una volta ratificato, alla luce delle innovazioni intervenute dalla firma del Trattato (stipulato nel 2003) alla sua ratifica nel panorama giuridico nazionale ed internazionale, tenuto conto delle formulazioni utilizzate in trattati medio tempore firmati dall'Italia su temi analoghi.
Preannunzio quindi la mia intenzione circa la presentazione di un ordine del giorno, auspicabilmente corroborato dalla firma di altri colleghi della Commissione, che promuova una simile iniziativa da parte del Governo italiano. Tutto ciò premesso, auspico una considerazione favorevole del provvedimento in esame da parte dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, l'Accordo con gli Emirati Arabi Uniti stipulato nel 2003 che ci apprestiamo a ratificare - si spera nel corso di questa settimana - riproduce i contenuti di un'analoga proposta legislativa che fu presentata nella precedente legislatura e di cui non fu possibile concludere l'esame per l'intervenuto scioglimento delle Camere (come è purtroppo capitato anche ad altri provvedimenti di varia natura, non soltanto a disegni di legge di ratifica).
L'Accordo in questione ha, come precipua finalità, lo sviluppo della cooperazione bilaterale tra le Forze armate dei due Paesi, Italia ed Emirati Arabi Uniti, nell'intento di consolidare le rispettive capacità difensive e si inquadra nell'ambito delle intese bilaterali finalizzate alla stabilizzazione di una regione geografica che si caratterizza per una peculiare connotazione, dal punto di vista sia politico sia strategico, rispetto agli interessi nazionali ed agli accordi sottoscritti in ambito internazionale.
Alcuni settori di cooperazione riguardano la sicurezza e la politica di difesa, le operazioni umanitarie e di mantenimento della pace, la formazione e l'addestramento del personale militare con frequenza di corsi, l'assistenza tecnica riguardo ai mezzi ed ai sistemi di difesa, Pag. 42l'esportazione, l'importazione e lo scambio di armamenti.
È proprio su quest'ultimo punto che vorrei focalizzare e richiamare l'attenzione del Presidente e del Governo. Questi tipi di armamenti sono elencati dettagliatamente nell'articolo 5, nel quale si legge che possono essere oggetto di scambi diretti tra i due Paesi contraenti o anche fra aziende private autorizzate, anche per quanto riguarda le mine e i loro dispositivi di controllo. Da ciò che si evince anche dal dibattito che si è svolto al Senato (dove, come ricordato in apertura della discussione, questo accordo è stato ratificato), questa disposizione costituisce un'apposita intesa intergovernativa ai sensi dell'articolo 9, comma 4, della legge n. 185 del 1990 sul controllo delle esportazioni, importazioni e transito di materiali d'armamento. In altri termini, significa che l'Accordo tra i due Governi in materia di scambio di armamenti è frutto di apposite trattative, previamente autorizzate (da parte italiana, dal Ministero degli affari esteri e da quello della difesa), e che le operazioni di interscambio tra i due Paesi comprese nell'Accordo possono avvenire secondo la procedura richiamata precedentemente, se pur semplificata, di intesa diretta fra Stati o società private autorizzate.
Nella seduta della Commissione esteri dello scorso 7 ottobre, però, la sottosegretaria per gli affari esteri, onorevole Stefania Craxi, ha precisato testualmente che: nelle ipotesi d'importazione, esportazione e transito di armi tra l'Italia gli Emirati Arabi, non è prevista alcuna procedura semplificata e che per ogni transazione, il Ministero per gli affari esteri esige la produzione della necessaria certificazione da parte delle autorità straniere. Questa dichiarazione ci rincuora e ci rassicura, vorremmo solo sapere, esattamente, come stanno le cose. Pongo, quindi, la questione al rappresentante del Governo.
Nel Paese arabo in questione, come abbiamo avuto modo di sottolineare in tanti, e in tante occasioni in quest'Aula, in sede di ratifica di trattati, vige la pena capitale. Al riguardo, in Commissione è sempre stato precisato dal rappresentante del Governo che, avendo gli Emirati Arabi Uniti già ratificato questo Accordo nel 2005, non è stato possibile riformularne il testo tenendo conto di questa delicata questione. Il Governo però - è stato assicurato in Commissione - si impegna a promuoverne un'immediata rinegoziazione una volta che l'Accordo sia stato ratificato da entrambe le parti; anche su questo vorremmo avere ulteriori notizie sui tempi e con quali modalità, insomma vorremmo essere rassicurati.
È possibile prevedere che nella stipula di prossimi futuri accordi vengano previsti in nuce, quando si tratta di Paesi ove vige con una certa ferocia la pena di morte, precise e vincolanti norme restrittive nell'applicazione dell'Accordo stesso? Abbiamo visto la scorsa settimana, allorché abbiamo presentato degli ordini del giorno che andavano in questa direzione, come questi sono stati dichiarati inammissibili.
Comunque, signor Presidente, anticipo fin da ora che, nonostante queste preoccupazioni, a questo provvedimento non mancherà certamente il contributo, e quindi il voto favorevole, da parte del gruppo dell'Italia dei Valori per la ratifica di questo importante Accordo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, l'Accordo con gli Emirati Arabi Uniti sulla cooperazione nel settore della difesa è stato oggetto di un esame in Commissione assai approfondito; il relatore né ha dato conto. L'onorevole Evangelisti ha ora riportato e riepilogato alcuni punti specifici, alcune domande che sono state rivolte in modo particolareggiato al Governo e sulle quali è stata fornita una risposta, che chiediamo al Governo di ripetere anche in Aula.
Non vi è dubbio che questa intesa è per il nostro Paese di grande importanza, il Governo l'ha sottolineato in modo particolare in Commissione e anche l'opposizione, Pag. 43per quanto riguarda il Partito Democratico, non ha difficoltà a riconoscerlo e si assocerà alla ratifica. Tale ratifica, peraltro, avviene a troppa distanza dalla firma, che risale al dicembre del 2003 e, quindi, rende l'Accordo già pronto per ritocchi ed aggiornamenti.
L'Accordo con gli Emirati Arabi Uniti è un accordo bilaterale con un Paese profondamente diverso dal nostro (anche questo è stato qui ora segnalato), un Paese collocato però in un'area di grandissima importanza strategica sia dal punto di vista delle risorse energetiche, sia dal punto di vista logistico. È, per esempio, uno scalo importantissimo anche per la nostra missione di pace in Afghanistan. Gli Emirati, in particolare Abu Dhabi e Dubai (i due maggiori dei sette Emirati che costituiscono la federazione), si stanno affermando come uno snodo di importanza fondamentale tra Europa ed Asia, come una piattaforma decisiva per il commercio e l'offerta di servizi nell'area del Golfo Persico, venendo a conquistare una posizione preminente nell'Asia meridionale nel suo complesso (mi pare che dovremmo avere presente questo quadro anche nella discussione dell'atto di ratifica dell'Accordo).
Dicevo poc'anzi della differenza del sistema politico degli Emirati, che sono una federazione di monarchi assoluti, di religione musulmana, che eleggono tra loro un Capo di Stato, in cui la Sharia è legge. Tuttavia, al di là di questa matrice tradizionalista e conservatrice, gli Emirati sono un'entità statale che intrattiene stretti rapporti con l'Occidente e che ha partecipato alla prima coalizione anti-Saddam, e che non manca di dinamismo e di apertura dal punto di vista economico e commerciale.
Vorrei ricordare che gli Emirati Arabi Uniti sono uno dei Paesi più prosperi del mondo e più ricchi, in cui l'economia del petrolio e l'export petrolifero restano certamente centrali, ma hanno un'importanza relativamente decrescente. Vi è uno sforzo di differenziazione dell'economia molto forte, accentuato, che vede la stipula di accordi per la costruzione di centrali nucleari ad uso civile, progetti faraonici, come la costruzione di una città ecologica non lontano da Abu Dhabi City, città che non dovrebbe produrre per nulla emissioni di carbonio e che dovrebbe essere alimentata al 100 per cento da energie rinnovabili, una città del futuro con bus solo elettrici, senza auto private, che funzionerà ad energia solare e che nel 2016 dovrebbe avere 50 mila abitanti, 1.500 uffici e costare 22 miliardi di dollari. Dunque questo è un esempio per riferirci ad un'economia che è piena di iniziative e di stimoli, un'economia che si regge peraltro su un'immigrazione fortissima: soltanto il 20 per cento dei 4,2 milioni di abitanti degli Emirati Arabi Uniti sono cittadini arabi degli stessi Emirati, il resto della popolazione è formato da lavoratori stranieri.
Ecco, è questo il contesto economico e commerciale in cui si colloca anche la presenza italiana e l'importante interscambio tra i due Paesi. Basti pensare che il valore delle nostre esportazioni negli Emirati è stato nel 2008 di oltre 5,2 miliardi di euro, a fronte di un import di 455 milioni. Si tratta di un attivo della bilancia commerciale italiana di 4,7 miliardi di euro.
L'Accordo di cooperazione nel campo della difesa si inserisce in questo contesto. L'esame approfondito in Commissione ha consentito di chiarire o di sollevare anche alcune questioni relative all'applicazione delle procedure previste dalla legge n. 185 del 1990 per l'esportazione di materiali di armamento, sia per quanto attiene alle necessarie intese ad hoc che vanno previste e che non sono invece necessarie per i Paesi della NATO e dell'Unione europea, sia anche per quanto attiene alla eventuale riesportazione a terzi di materiali o di progetti, che è esclusa dalla stessa legge n. 185, se non in caso di specifiche autorizzazioni a cui non si può derogare, come pareva invece da una prima formulazione dell'Accordo.
Vi è stata poi in Commissione un'approfondita discussione sull'applicazione delle leggi del Paese di provenienza ai militari degli Emirati ospiti in missioni in Pag. 44Italia e viceversa. L'applicazione della legge degli Emirati, nel caso di certi reati, ancorché limitatamente a reati commessi in violazione del codice militare, può prevedere la pena capitale. Questo è il tema sollevato e ricordato sia dal relatore sia dall'onorevole Evangelisti. La formulazione della disposizione, che non si applica ai reati comuni, per i quali vige la giurisdizione del Paese ospitante, ancorché non insolita nel caso di accordi di questo genere, avrebbe potuto essere diversa e formulata diversamente, in modo da prevenire anche in linea di principio che si presentasse un'eventualità che sarebbe in contrasto con i nostri principi fondamentali. Abbiamo sollevato tale questione e la raccomandazione che abbiamo rivolto al Governo è di riconsiderare tale norma in occasione della prima revisione dell'Accordo.
Il Governo si è mostrato favorevole e attendiamo precisazioni. Siamo favorevoli a un ordine del giorno che in questo senso sottolinei questa preoccupazione del Parlamento italiano. Il Partito Democratico si dichiara dunque favorevole alla ratifica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2552-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione del relatore, l'onorevole Malgieri: per un minuto glielo posso consentire!

GENNARO MALGIERI, Relatore f.f.. Lei è troppo generoso, signor Presidente, considerando il contesto!

PRESIDENTE. Prendo dunque atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge di ratifica: S. 1756 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Moldova sulla cooperazione nel campo della difesa, fatto a Roma il 6 dicembre 2006 (Approvato dal Senato) (A.C. 2765) (ore 19,50).

L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Moldova sulla cooperazione nel campo della difesa, fatto a Roma il 6 dicembre 2006.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2765)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Malgieri, ha facoltà di svolgere la relazione.

GENNARO MALGIERI, Relatore. Signor Presidente, colleghi, l'Accordo tra l'Italia e la Repubblica di Moldova sulla cooperazione nel campo della difesa, fatto a Roma il 6 dicembre 2006, si inserisce nel quadro degli accordi di cooperazione in campo militare che in tempi recenti il Ministero della difesa italiano ha sempre più frequentemente concluso su base sia bilaterale che multilaterale. In particolare, l'intesa con la Moldova, come si precisa nella relazione che accompagna il disegno di legge di ratifica, nel riaffermare l'adesione ai principi dettati dalla Carta delle Nazioni Unite e dall'Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, adottato ad Helsinki il 1o agosto 1975, ha lo scopo di sviluppare la cooperazione bilaterale tra le rispettive Forze armate per consolidarne le capacità difensive e contribuire al raggiungimento dello scopo comune di rafforzare la sicurezza e la stabilità in Europa. Pag. 45
La relazione sottolinea altresì che la conclusione di intese internazionali in questo particolare settore acquista una speciale valenza politica in considerazione degli interessi di tipo strategico e degli obiettivi di stabilità perseguiti dal nostro Paese, soprattutto in determinate aree geografiche come quelle europea orientale dove è situata la Moldova. Mi permetto di sottolineare l'importanza della cooperazione con questo Paese che, pur non facendo parte dell'Unione europea, ne costituisce un partner di prioritario interesse e richiamo in proposito l'esigenza di prevenire ai confini dell'Unione europea tutte le situazioni di minaccia della legalità democratica. Segnalo a questo riguardo la crisi della Transnistria che, a mio avviso, non sarebbe scoppiata se la Moldova fosse stata già inserita in un contesto istituzionale europeo.
Ritenendo l'Accordo in esame la componente di una più ampia azione europea volta a creare un più esteso sistema di legalità e legittimità democratica, credo che il Governo debba guardare con maggiore attenzione a quel Paese e a tutta la regione per la quale, com'è noto, lo scorso anno ebbe a manifestarsi la crisi russo-georgiana, i cui strascichi ancora sono sotto i nostri occhi e alla nostra preoccupata attenzione.
L'Accordo si compone di un breve preambolo e di 10 articoli. È un accordo classico del settore e prevede scambi tra i due Paesi, attività di consultazione tra le parti, cooperazione tra le Forze armate dei due Paesi da tenersi alternativamente sia a Roma sia nella capitale della Moldova, Chisinau. I campi della cooperazione individuati all'articolo 3 sono la sicurezza, la politica di difesa, il peace keeping, le operazioni umanitarie di vario genere, oltre naturalmente ad addestramenti congiunti, a cooperazione nella polizia militare, nelle questioni ambientali e nel controllo dell'inquinamento causato dalle strutture militari. Le forme della cooperazione possono svilupparsi in varie modalità, con visite ufficiali di rappresentanti delle parti e scambi di esperienze tra esperti, attività, corsi, esercitazioni, addestramenti, partecipazioni di osservatori e via dicendo.
L'articolo 8 è particolarmente importante perché disciplina il trattamento di informazioni, documenti e materiali classificati e scambiati sulla base dell'Accordo stesso secondo le norme previste dai due Paesi. La norma precisa che tali informazioni dovranno essere utilizzate esclusivamente per gli scopi contemplati dall'Accordo e non potranno essere trasferite a terzi senza l'assenso scritto della parte cedente né utilizzati a danno di una delle parti.
Ai sensi dell'articolo 9 eventuali divergenze sull'interpretazione o sull'applicazione dell'Accordo saranno risolte mediante le consultazioni o negoziati tra le parti.
L'articolo 10 regola poi l'entrata in vigore dell'Accordo e ne stabilisce la durata in cinque, anni automaticamente rinnovabili.
Passando ad esaminare molto brevemente il disegno di legge di ratifica, il cui esame peraltro ricordo che era già stato avviato nel corso della precedente legislatura, faccio presente che si compone di quattro articoli: i primi due recano rispettivamente l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione dell'Accordo, mentre l'articolo 3 disciplina la copertura degli oneri finanziari derivanti dall'attuazione del provvedimento.
La relazione tecnica allegata al disegno di legge precisa che le disposizioni dell'Accordo che incidono sul bilancio dello Stato sono contenute nell'articolo 2, ove previsto ad anni alterni l'invio di funzionari per la partecipazione alle riunioni di consultazione con la parte contraente per l'esame dei programmi operativi per il completamento dell'Accordo. Nell'ipotesi dell'invio di quattro funzionari in Moldova per quattro giorni le spese di missione e di viaggio ammontano a 7.615 euro ad anni alterni.
Alla copertura dell'onere finanziario si provvede, a decorrere dal 2009, mediante Pag. 46corrispondente riduzione delle autorizzazioni di spesa di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 4 giugno 1997, n. 163.
L'articolo 4, infine, dispone dell'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica per il giorno successivo, come è sempre accaduto, alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Mi permetta infine, signor Presidente, di richiamare in questa occasione la più viva preoccupazione per le condizioni della Transnistria. Lo faccio ora perché in questa Camera molto raramente, difficilmente e nella distrazione pressoché generale si parla di problemi e di questioni che sembrano lontani, ma che attengono alla nostra vita, alla nostra esistenza e alla nostra sicurezza: nella Transnistria i diritti umani sono sistematicamente violati, nonostante l'impegno della Moldova e delle organizzazioni internazionali. Rilevo come la Federazione russa mantenga invece una posizione non aliena dal sostegno all'attuale stato di fatto. Colgo quindi l'occasione per ribadire l'esigenza che l'Italia tenga conto del rispetto dei diritti umani in ogni accordo internazionale, profittando di ogni occasione per riaffermarli e per diffonderne la cultura. Auspico in particolare che se ne faccia menzione almeno nei preamboli degli accordi conclusi.
Ciò detto, chiedo all'Assemblea l'approvazione sollecita del provvedimento in esame.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il provvedimento di cui ci stiamo occupando concerne l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo tra Italia e Moldova sulla cooperazione nel campo della difesa, sottoscritto a Roma nel 2006 ed anche questo, come il precedente provvedimento che abbiamo appena discusso relativo gli Emirati Arabi Uniti, era già stato presentato dal Governo nel corso della passata legislatura, ma non ha potuto terminare l'iter a causa dell'anticipato scioglimento delle Camere.
L'Accordo in questione si muove naturalmente in un'ottica di sviluppo della cooperazione bilaterale tra le rispettive Forze armate per consolidare le rispettive capacità difensive e contribuire al raggiungimento dello scopo comune di rafforzare la sicurezza e la stabilità in Europa e riguarderà, tra le altre, le reciprocità su cui si baserà la cooperazione, con gli ambiti e le forme di cooperazione tra cui sicurezza e politica di difesa, peacekeeping, operazioni umanitarie, rispetto dei trattati internazionali sulla difesa, sicurezza e controllo degli armamenti, organizzazione delle Forze armate, formazione e addestramento del personale militare, industria della difesa e politica degli approvvigionamenti.
Nel ratificare un Accordo di tale portata, merita particolare attenzione il fatto che tra la Repubblica di Moldova e la Transnistria (parte della Repubblica Moldova autoproclamatasi indipendente ancorché non riconosciuta da alcuna altra nazione) è in corso dal 2005 un negoziato denominato 5 più 2 (ovvero Russia, Ucraina, OSCE, Moldova, Transnistria più Stati Uniti ed Unione europea come osservatori), che ha come oggetto il futuro status della Transnistria all'interno dello Stato moldavo unitario.
L'OSCE, merita ricordarlo, opera in Moldova dal 1993, con la finalità propria di creare le basi di un dialogo politico e favorire i colloqui tra le parti, oltre a fornire l'assistenza tecnica e finanziaria per la distruzione degli armamenti.
Né va dimenticata la delicatezza della situazione politica nella Repubblica di Moldova, anche dal punto di vista delle relazioni con i Paesi limitrofi e, in particolare, con la Romania, che è Stato membro dell'Unione europea, in quanto è presente una forte quota di possessori della doppia cittadinanza.
La ricerca di una soluzione politica e la ripresa di un negoziato stabile per la definizione dell'assetto dell'area della Transnistria, anche alla luce delle mutate condizioni politiche interne della Moldova - come Pag. 47abbiamo già avuto modo di sottolineare nel corso del dibattito su un'altra ratifica, qualche settimana fa -, vanno perseguite dal nostro Governo con determinazione e con la consapevolezza che ci troviamo in una complessa area geopolitica.
Dunque, affinché venga affrontata la questione della ripresa di un negoziato stabile, anche perché nell'attuazione dell'Accordo oggi alla nostra attenzione si possa vigilare sull'utilizzo di materiali di armamento da parte della Moldova e si impedisca l'utilizzo di materiali di armamento in quella regione ribelle, ho presentato, a nome del gruppo dell'Italia dei Valori, un ordine del giorno che, spero, venga tenuto adeguatamente in considerazione da parte del rappresentante del Governo. Il gruppo dell'Italia dei Valori, posso preannunciarlo fin d'ora, voterà a favore della ratifica dell'Accordo con la Moldova in oggetto, apprezzando il fatto che tale cooperazione sarà esclusivamente volta al mantenimento della pace in Europa e allo svolgimento di missioni umanitarie e di peace keeping.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, l'Accordo con la Repubblica di Moldova sulla cooperazione nel campo della difesa, come ha ricordato il relatore, si muove nel solco di accordi di questo genere firmati con molti altri Paesi per definire le modalità di cooperazione in campo militare e della difesa.
È vero, quindi, che l'Accordo in oggetto ha in comune con altri Accordi simili il fatto di promuovere scambi di esperienze nel campo militare e della difesa, e di contribuire così all'ammodernamento dello strumento militare della Moldova, dando luogo anche a possibili sbocchi industriali italiani. Tuttavia, è anche vero che l'Accordo con la Moldova ha una sua specificità, come si evince dal richiamo, nel preambolo, alla situazione delicatissima di quel Paese e dall'evocazione della particolare responsabilità dell'intera Europa verso un processo di stabilizzazione e soluzione dei conflitti di quel Paese in un quadro democratico e di consolidamento dello Stato di diritto.
Nel preambolo si fa, infatti, riferimento, oltre che alla Carta dell'ONU, agli storici cambiamenti intervenuti in Europa orientale dopo il 1989, a partire dalla cornice di cooperazione e sicurezza europea - che va dall'Atto di Helsinki del 1975, alla Carta di Parigi e ai Documenti di Vienna del 1994 - che si basa, tra l'altro, sul rispetto dell'integrità territoriale degli Stati parte del processo. Un processo il cui obiettivo è di rafforzare la sicurezza e la stabilità e, quindi, la pace nell'intera Europa.
L'Accordo che ci accingiamo a ratificare attira la nostra attenzione su un Paese collocato in un'area di frontiera che, faticosamente, cerca un assetto stabile e un futuro sicuro, da quando, il 27 agosto 1991, proclamò l'indipendenza lasciando l'Unione sovietica. Da allora, tra alterne vicende politiche interne, la Moldova guarda all'Europa occidentale ed all'Unione europea. Nel corso di questi quasi vent'anni ha introdotto enormi cambiamenti nel suo sistema istituzionale, economico e sociale, passando da un modello autoritario e socialista ad un sistema democratico, e da un'economia statalizzata ad un'economia di mercato. Questi cambiamenti non sono avvenuti senza scosse e contrasti, né la crescita economica, che pure vi è stata, ha potuto portare la Moldova al di sopra della parte più bassa della classifica del benessere e della ricchezza in Europa.
I rapporti con l'Unione europea, nel quadro della politica di vicinato e della facilitazione dei visti, grazie agli accordi di riammissione, hanno consentito un'emigrazione in gran parte legale di cittadini moldavi nei Paesi dell'Europa occidentale - anche in Italia - al punto che le rimesse degli emigranti costituiscono una delle principali voci del prodotto interno lordo moldavo, contribuendo ad esso nella misura pari al 38 per cento.
Ora più che mai la Moldova guarda all'Unione europea e aspira a entrarne a Pag. 48far parte a pieno titolo. La Moldova considera, infatti, il partenariato orientale inaugurato dall'Unione nei mesi scorsi, basato su accordi di associazione bilaterali e su una cooperazione multilaterale sempre più stretta con sei Paesi dell'ex Unione sovietica (oltre alla Moldova, l'Ucraina, la Bielorussia, la Georgia, l'Armenia e l'Azerbaigian), come una tappa verso la piena adesione. Forse la Moldova precorre un poco i tempi, ma certo l'aggancio all'Unione è fondamentale per un Paese che è stato scosso negli ultimi mesi da una crisi politica interna molto forte e solo parzialmente risolta e che continua ad avere nel separatismo di fatto della Transnistria (sono stati ricordati i difficili negoziati multilaterali, in particolare dell'OSCE, per definirne lo statuto) e nella difficile composizione del puzzle delle minoranze le due sfide maggiori, che non potranno essere composte in modo pacifico e democratico se non con l'aiuto di tutto il sistema europeo.
La Transnistria è una realtà assai scabrosa: ex militari ed ex arsenali sovietici sono la base di un despota arroccato su una striscia di territorio ad alto potenziale destabilizzante. Eppure la Moldova è un piccolo Paese (un decimo dell'Italia per superficie, circa 4 milioni di abitanti), ma è un Paese collocato tra la Romania e l'Ucraina che per secoli è stato al confine di tre imperi che si sono contesi quel territorio, che lo hanno reso meta di colonizzazioni e punto di partenza di grandi deportazioni. È così che una grande maggioranza di moldavi di lingua rumena, molti anche con la doppia cittadinanza in forza di una legislazione favorevole della Romania, si trova a convivere con significative minoranze (russa, ucraina e turcofona).
Lo sforzo di dar vita ad uno Stato di diritto funzionante con istituzioni democratiche che tuteli le minoranze ha fatto notevoli progressi, non da ultimo nella crisi della scorsa estate che ha visto la vittoria di misura di un'alleanza riformatrice filo-Unione europea, dopo una prima tornata elettorale contestata per le irregolarità e i brogli che avevano favorito il partito comunista, al governo con la maggioranza assoluta da circa un decennio.
La crisi, tuttavia, non può essere considerata ancora del tutto superata, perché nel Parlamento appena eletto e che dovrà eleggere il Capo dello Stato i partiti che hanno vinto le elezioni non hanno la maggioranza qualificata necessaria (al momento le funzioni di Capo dello Stato sono svolte dal presidente del Parlamento). Insomma, il quadro resta teso e l'attenzione e l'aiuto alla Moldova da parte dell'intera Europa restano quanto mai necessari.
L'Accordo che discutiamo oggi e che prevede, tra i campi di cooperazione, anche il rispetto dei trattati internazionali sulla difesa, la sicurezza e il controllo degli armamenti, si muove in questa direzione. Il Partito Democratico è favorevole alla ratifica, né potrebbe essere diversamente, considerato anche che l'Accordo è stato firmato nel dicembre 2006 all'epoca del Governo di centrosinistra presieduto da Romano Prodi e con Arturo Parisi quale Ministro della difesa.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2765)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Malgieri.

GENNARO MALGIERI, Relatore. Signor Presidente, non interverrò per replicare, ma sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GENNARO MALGIERI, Relatore. Signor Presidente, desidero innanzitutto dare atto della sua generosità nell'aver consentito la dilatazione dei tempi della mia precedente relazione, ma prendo la parola perché resti agli atti il mio disappunto per la scarsa importanza che almeno questo ramo del Parlamento conferisce alle questioni di politica internazionale. Pag. 49La prova provata è data dall'eccessiva limitazione dei tempi del dibattito perfino quando si discute di ratifiche di trattati internazionali.
Sollecito la Presidenza a rivedere i tempi, le modalità e tutto il complesso del dibattito intorno alla politica estera che dovrebbe essere molto di più all'attenzione di questo Parlamento, centrata com'è su questioni cruciali che attengono alla vita di ciascuno di noi. Considerarla figlia di un Dio minore, come mi pare che venga intesa generalmente la politica internazionale, è un errore dal punto di vista non soltanto politico e culturale, ma anche di strategia parlamentare.

PRESIDENTE. Onorevole Malgieri, la ringrazio per la riflessione che ha rappresentato alla Presidenza e ai colleghi che sono presenti in Aula. Le assicuro che sarà portata all'attenzione del Presidente della Camera che, se lo riterrà opportuno, la porterà, a sua volta, all'attenzione della Conferenza dei presidenti di gruppo.
Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Proposta di trasferimento a Commissioni in sede legislativa di proposte di legge (ore 20,12).

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, delle seguenti proposte di legge, delle quali le sotto indicate Commissioni, cui erano state assegnate in sede referente, hanno chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:
alla X Commissione (Attività produttive):
STEFANI ed altri: «Modifiche all'articolo 25 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251, concernente le sanzioni per la violazione della disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi» (326);
RAISI ed altri: «Nuova disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi» (1010);
MATTESINI ed altri: «Modifiche all'articolo 5 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251, in materia di marchi di responsabilità per gli oggetti in metallo prezioso, e all'articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, in materia di contraffazione di prodotti nazionali, ed altre disposizioni per la tutela del mercato dei prodotti di oreficeria, argenteria e gioielleria» (2032);
(La Commissione ha elaborato un testo unificato).

alla XI Commissione (Lavoro):
FEDI ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri» (717).
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

Sull'episodio verificatosi nel corso della seduta dell'Assemblea del 21 ottobre 2009, che ha visto coinvolto il deputato Tanoni.

PRESIDENTE. Faccio riferimento a quanto verificatosi nel corso della seduta dell'Assemblea del 21 ottobre 2009, allorché, come rilevato dal Presidente di turno, onorevole Buttiglione, e come confermato dall'onorevole Tanoni in una lettera successivamente inviata al Presidente della Camera, lo stesso onorevole Tanoni risulta aver espresso il voto anche in sostituzione dell'onorevole Ricardo Antonio Merlo.
Al riguardo, comunico che è stata inviata, da parte del Presidente della Camera, una lettera all'onorevole Tanoni con la quale si sottolinea che quanto Pag. 50avvenuto appare contrario ai principi costituzionali e regolamentari che disciplinano il corretto esercizio del mandato parlamentare, nonché fortemente lesivo della dignità dell'istituzione parlamentare nel suo complesso e, nell'esprimere la più viva deplorazione per tale comportamento, si auspica che esso non abbia più a ripetersi.

In morte dell'onorevole Francesco Malfatti.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Francesco Malfatti, già membro della Camera dei deputati nella IV e V legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 27 ottobre 2009, alle 11:

1. - Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

(ore 15)

2. - Assegnazione a Commissioni in sede legislativa delle proposte di legge nn. 326, 1010 e 2032 e della proposta di legge n. 717.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1773 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 settembre 2009, n. 131, recante ulteriore rinvio delle consultazioni elettorali amministrative nella provincia di L'Aquila (Approvato dal Senato) (2775-A).
- Relatore: Lorenzin.

4. - Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge:
ASCIERTO; BERTOLINI; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO: Istituzione del «Giorno della memoria delle vittime di Nassiriya e di tutti i militari e civili italiani caduti in missioni internazionali» (139-549-2799-A).
- Relatore: Laffranco.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Realacci, Granata, Misiti ed altri n. 1-00252 e Ghiglia, Belcastro ed altri n. 1-00258 concernenti iniziative relative alla presenza di navi con carichi di rifiuti tossici affondate in prossimità delle coste italiane.

6. - Seguito della discussione delle mozioni Soro ed altri n. 1-00256 e Borghesi ed altri n. 1-00259 concernenti iniziative per la verifica dei presupposti per l'impugnazione della legge approvata dalla regione Sardegna in materia di sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e interventi per lo sviluppo.

7. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
S. 1500 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Emirati Arabi Uniti relativo alla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Dubai il 13 dicembre 2003 (Approvato dal Senato) (2552-A).
- Relatore: Stefani.

S. 1756 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica Pag. 51italiana e il Governo della Repubblica di Moldova sulla cooperazione nel campo della difesa, fatto a Roma il 6 dicembre 2006 (Approvato dal Senato) (2765).
- Relatore: Malgieri.

PROPOSTE DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONI IN SEDE LEGISLATIVA

alla X Commissione (Attività produttive):
STEFANI ed altri: «Modifiche all'articolo 25 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251, concernente le sanzioni per la violazione della disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi» (326).
RAISI ed altri: «Nuova disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi» (1010).
MATTESINI ed altri: «Modifiche all'articolo 5 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 251, in materia di marchi di responsabilità per gli oggetti in metallo prezioso, e all'articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, in materia di contraffazione di prodotti nazionali, e altre disposizioni per la tutela del mercato dei prodotti di oreficeria, argenteria e gioielleria» (2032).

(La Commissione ha elaborato un testo unificato)

alla XI Commissione (Lavoro):
FEDI ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri» (717).

(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

La seduta termina alle 20,15.