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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 234 di lunedì 19 ottobre 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 16,05.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 12 ottobre 2009.

Sul processo verbale (ore 16,07).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei solo che rimanesse agli atti quanto sto per dire perché, come talvolta capita con l'onorevole Capitanio Santolini, o io non mi spiego bene oppure lei non riesce a capire bene quello che dico.
Come risulta dal resoconto della seduta di mercoledì scorso, dopo il mio intervento al termine della seduta per spiegare le ragioni per le quali, nel rispetto del lavoro svolto dal gruppo, io aderivo alla decisione di votare a favore dell'autorizzazione a procedere in favore del Ministro Ronchi, ho lasciato agli atti, e vorrei che questo fosse chiaro, che ho votato seguendo le indicazioni del mio gruppo non per disciplina, come sostiene la collega Capitanio Santolini, ma per rispetto del lavoro fatto. Ciò anche se personalmente ritenevo quella decisione inadeguata.
Poiché l'onorevole Capitanio Santolini ha affermato che era molto grave che io votassi secondo la disciplina di gruppo volevo precisare che non entra in discussione la disciplina di gruppo, piuttosto credo che di tanto in tanto sia utile rispettare il lavoro che svolgono i colleghi nelle Commissioni e quindi, quando arrivano i provvedimenti in Aula, adeguarsi, anche se nella fattispecie si hanno delle perplessità sulla scelta che si fa.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti prendo atto di tale chiarimento che figurerà nel resoconto della seduta odierna. Se non vi sono osservazioni il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

PRESIDENTE. Saluto il Presidente del Parlamento croato, Lukabebic, ed una delegazione di colleghi parlamentari che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bocci, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Casini, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Desiderati, Donadi, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Mantovano, Maroni, Martini, Antonio Martino, Meloni, Menia, Miccichè, Misiti, Angela Napoli, Prestigiacomo, Razzi, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Valducci e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Pag. 2Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134, recante disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l'anno 2009-2010. (2724-A) (ore 16,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134, recante disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l'anno 2009-2010.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2724-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Prima di dare la parola alla relatrice saluto gli insegnanti e gli studenti della scuola «Venticinque aprile» di Piombino, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
La relatrice, onorevole Pelino, ha facoltà di svolgere la relazione.

PAOLA PELINO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi la XI Commissione (lavoro) dopo un approfondito ed articolato lavoro istruttorio mi ha conferito il mandato a riferire favorevolmente all'Assemblea sul provvedimento in discussione come risultante dagli emendamenti approvati nel corso dell'esame in sede referente.
Voglio subito precisare che il testo, per il momento, non ha incontrato il voto favorevole dei gruppi di opposizione che tuttavia, con senso di responsabilità, hanno affrontato in termini costruttivi il lavoro in Commissione e hanno manifestato, alla fine dell'esame in sede referente, una disponibilità all'ulteriore confronto sulle questioni ancora aperte.
D'altronde, se mi è consentito ripercorrere anche alcuni passaggi della mia relazione introduttiva in Commissione, ricordo che il fenomeno del precariato nella scuola rappresenta uno dei principali problemi che da diversi decenni le istituzioni rappresentative si sono trovate a fronteggiare con l'adozione di misure che, almeno negli anni passati, non hanno prodotto i frutti sperati.
Il Governo in carica sin dall'inizio della legislatura ha adottato una serie di misure per la razionalizzazione dell'ordinamento scolastico e il contenimento della spesa che hanno portato ad una situazione complessiva del corpo docente che per l'anno scolastico 2009-2010 presenta i seguenti dati.
Degli oltre 857.000 docenti impiegati nell'anno scolastico 2008-2009 (dei quali circa 715.000 di ruolo), è stato previsto un taglio di circa 42.000 posti. Poiché dal 1o settembre 2009 circa 32.000 docenti hanno avuto accesso alla pensione, all'incirca 10.000 posti non hanno potuto essere coperti con personale supplente con incarico annuale o, comunque, fino al 30 giugno 2010.
Considerato inoltre che - per varie ragioni (tra le quali il fenomeno dei cosiddetti spezzoni di orario) - il numero complessivo di personale interessato va valutato in eccesso, si stima in circa 18.000 unità il numero di insegnanti che non avranno, nel corso dell'anno, né un incarico annuale né un incarico fino al termine delle lezioni.
Per tali ragioni, anche al fine di assicurare una adeguata continuità lavorativa al personale precario (docente e ATA) Pag. 3della scuola, il Governo è prontamente intervenuto, nella fase di avvio dell'anno scolastico 2009-2010, con il decreto-legge in esame, che si propone di completare il quadro degli strumenti normativi ed amministrativi già adottati sinora dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per assicurare la migliore continuità lavorativa per gli insegnanti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento ed al personale ATA iscritto nelle graduatorie permanenti, già titolari di un incarico annuale nel precedente anno scolastico 2008-2009.
Il decreto-legge n. 134 del 2009, peraltro, si affianca alla convenzione stipulata con l'INPS per la gestione dell'attivazione e della cessazione dell'indennità di disoccupazione attraverso una procedura informatica che mette in collegamento tutte le scuole con la banca dati dell'INPS.
Per tali ragioni, il provvedimento presentato alla Camera (costituito da due articoli, di cui uno recante la consueta clausola di entrata in vigore) ha introdotto - con riferimento alla platea dei precari già titolari di incarico annuale (o sino al termine della attività didattiche) nel precedente anno scolastico - specifici benefici economici e di carriera.
In base al comma 2 dell'articolo 1 del provvedimento, ai lavoratori precari in questione viene infatti riconosciuta, in deroga alla normativa vigente, precedenza assoluta nel conferimento delle supplenze per l'anno scolastico 2009-2010 nel caso in cui, per carenza di posti disponibili, non abbiano potuto ottenere il rinnovo dell'incarico annuale.
Inoltre si introduce la facoltà per l'amministrazione scolastica di promuovere (comma 3 dell'articolo 1), in collaborazione con le regioni e a valere su risorse finanziarie messe a disposizione dalle regioni medesime, specifici progetti per attività di carattere straordinario, di durata variabile da tre a otto mesi, da realizzare prioritariamente mediante l'utilizzo dei suddetti lavoratori precari, percettori di indennità di disoccupazione, ai quali può anche essere corrisposto un compenso di partecipazione.
Ai fini dell'attribuzione del punteggio nelle graduatorie, infine, ai suddetti lavoratori precari viene riconosciuta, indipendentemente dall'effettiva durata dell'impiego nel corso dell'anno scolastico, la valutazione dell'intero anno di servizio (comma 4 dell'articolo 1).
Con le disposizioni introdotte trovano una sostanziale ratifica quegli accordi già conclusi tra il Ministero e le regioni Sardegna, Sicilia, Campania, Lombardia, Molise, Veneto e Puglia che, per talune di queste regioni, contengono inoltre una virtuosa combinazione tra risorse di programmazione ordinaria a titolarità regionale e risorse di programmazione ordinaria a titolarità ministeriale.
Inoltre, le misure originariamente previste dal decreto-legge si muovono nel solco delle politiche anti-crisi assunte nei mesi scorsi dal Governo, mirate a trasformare politiche di carattere assistenziale in politiche attive, realizzando una opportuna politica attiva nell'organizzazione scolastica, in quanto diretta a destinare agli insegnanti precari, abilitati, iscritti nelle graduatorie ad esaurimento e che abbiano avuto solo supplenze annuali nello scorso anno scolastico, tutte le occasioni di supplenze temporanee.
Rilevo inoltre che il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 134 del 2009 contiene un'ulteriore disposizione che, novellando l'articolo 4 della legge n. 124 del 1999, prevede che i contratti a tempo determinato non possano in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato e consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima della immissione in ruolo.
Per tale secondo aspetto, la norma è volta (a fronte delle incertezze interpretative emerse a seguito di alcune recenti pronunce giurisprudenziali) a dare piena copertura legislativa alla prassi applicativa in atto, che esclude avanzamenti stipendiali a beneficio dei docenti (con l'eccezione dei docenti precari di religione) con contratti a tempo determinato, già previsti, per le supplenze annuali, dall'articolo 53, comma 3, della legge n. 312 del 1980. Pag. 4
Al contempo, si intende escludere che, una volta entrati in ruolo, i docenti possano beneficiare di una ricostruzione di carriera incoerente rispetto al fatto di avere in precedenza instaurato esclusivamente rapporti di lavoro a tempo determinato. Prima di illustrare all'Assemblea le modifiche che, rispetto al testo originario del decreto-legge che ho appena descritto, sono state introdotte dalla Commissione, vorrei soffermarmi proprio sul citato comma 1 dell'articolo 1, per segnalare che il Comitato per la legislazione, che ha espresso il parere di competenza sul provvedimento, ha invitato la Commissione a valutare l'opportunità di abrogare esplicitamente la disposizione contenuta nell'articolo 53 della legge n. 312 del 1980, peraltro di dubbia vigenza nell'attuale quadro normativo, che appare invece riconoscere al personale docente non di ruolo la maturazione dell'anzianità a fini retributivi.
In proposito, la Commissione ha a lungo approfondito tale questione, anche con il contributo del Governo per comprendere quale possa essere la soluzione più idonea ad assicurare un'efficace applicazione delle disposizioni contenute nel testo. In tal senso, vi è un impegno politico del Governo a fornire ogni utile elemento di aiuto all'Assemblea che consenta di definire nel miglior modo possibile l'intervento normativo appena descritto.
Passando poi alle modifiche introdotte nel corso dell'esame in Commissione, ricordo che sono stati aggiunti nuovi commi all'articolo 1 del provvedimento, rispettivamente finalizzati a promuovere i seguenti interventi: la previsione che la convocazione dei supplenti ai fini del conferimento delle supplenze avvenga anche attraverso la casella di posta elettronica certificata (comma 1-bis); la conferma della validità dell'abilitazione all'insegnamento dei docenti ammessi con riserva ai corsi speciali indetti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 21 del 2005 (comma 4-quinquies); la previsione che l'abilitazione all'insegnamento conseguita dai docenti con contratto a tempo indeterminato in servizio presso la scuola pubblica, ammessi con riserva ai corsi speciali indetti con decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 21 del 2005 e n. 85 del 2005 costituisca titolo valido per la partecipazione a tutte le procedure di mobilità professionale previste dalla normativa vigente (comma 4-sexies); una norma interpretativa che ai fini delle operazioni di integrazione ed aggiornamento delle graduatorie permanenti di cui all'articolo 1 del decreto-legge 7 aprile 2004, n. 97, convertito con modificazioni nella legge 4 giugno 2004, n. 143, consente ai docenti che ne fanno esplicita richiesta, oltre che la permanenza nella provincia prescelta in occasione dell'aggiornamento delle suddette graduatorie per il biennio 2007-2008 e 2008-2009, anche l'inserimento nelle graduatorie di altre province, ma anche dopo l'ultima posizione di terza fascia nelle graduatorie medesime (commi da 4-bis a 4-quater).
A prescindere da quest'ultima previsione, sulla quale peraltro il Comitato dei nove sarà impegnato a ragionare per individuare eventuali soluzioni migliorative, vorrei sottolineare che gli interventi aggiuntivi e modificativi testè illustrati sono frutto di emendamenti approvati con la collaborazione dei gruppi di opposizione, con cui sono sicura sia possibile mantenere un rapporto costruttivo.
Ricordo infatti che, oltre alle modifiche appena illustrate, la Commissione ha anche approvato un emendamento del relatore che ha assorbito lo spirito di diverse proposte emendative presentate dai gruppi della Lega Nord, del Partito Democratico e dell'Unione di Centro, finalizzato ad estendere i benefici di cui al comma 2, che ho evidenziato in precedenza, anche ai docenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento che nell'anno scolastico 2008-2009 abbiano conseguito attraverso graduatorie di istituto una supplenza temporanea di almeno centottanta giorni. Si tratta, anche in questo caso, di un intervento che amplia il già significativo ambito di applicazione delle norme volute dal Ministro Gelmini alla quale va riconosciuto il merito di essersi fatta carico di un problema reale. Pag. 5Vorrei peraltro sottolineare che la norma introdotta, pur potendo rischiare di snaturare in qualche misura il principio dell'annualità della supplenza contenuto nel comma 2 che è stato pensato in vista della progressiva immissione in ruolo del personale interessato, ha il merito di farsi carico di un problema che anche sotto il profilo economico-finanziario non va trascurato.
Il riferimento ai profili economici mi consente peraltro di concentrarmi sui pareri resi dalle altre Commissioni per dire anzitutto che il parere della V Commissione (Bilancio) sarà reso direttamente all'Assemblea, mentre le Commissioni I, VII, XIV e per le questioni regionali hanno espresso parere favorevole sia pure con dei rilievi rispetto ad alcune parti del provvedimento. La Commissione lavoro tuttavia ha ritenuto opportuno non apportare modifiche al testo risultante al termine dell'esame degli emendamenti riservando alla fase di discussione in Assemblea, e dunque al Comitato dei nove, il compito di valutare possibili ulteriori modifiche al testo.
In questo senso desidero concludere la mia relazione introduttiva con una considerazione di natura più specificatamente politica, ricordando che al termine dell'esame in Commissione sono rimaste ancora aperte alcune questioni problematiche. Poiché su tali questioni abbiamo colto la positiva disponibilità del Governo non posso che preannunciare che la Commissione è pronta a svolgere con serenità e determinazione il suo ruolo in Aula. Vorrei peraltro che vi fosse in tutti la consapevolezza che il decreto-legge al nostro esame è già un ottimo punto di equilibrio, fortemente voluto dal Ministro Gelmini per intervenire con determinazione sul fenomeno del precariato e che ha dato una prima importante risposta ad un numero significativo di pubblici dipendenti con contratti di lavoro a tempo determinato. Sono certa quindi che con un confronto aperto tra i rappresentanti di tutti i gruppi si possa giungere alla definitiva conversione in legge di un decreto-legge molto atteso dal personale scolastico e particolarmente importante per gli operatori del settore (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Pizza, ci troviamo purtroppo ad esaminare l'ennesimo decreto-legge che non mette in grado il Parlamento di affrontare seriamente i problemi del Paese e in particolare i temi della crisi economica e dell'istruzione. Il provvedimento che stiamo esaminando fa emergere drammaticamente gli effetti negativi delle scelte che il Governo ha imposto al Parlamento con il decreto-legge n. 112 del giugno dello scorso anno, decreto convertito dalla legge n. 133 con diversi voti di fiducia.
La cosiddetta legge finanziaria da questo anno scolastico purtroppo ha già iniziato ad operare pesantemente con un taglio indiscriminato (il famoso taglio triennale) alla spesa per la scuola pubblica del nostro Paese di circa 8 miliardi di euro e di circa 132 mila posti di lavoro. Tanti sono purtroppo i posti che vengono tagliati agli organici delle scuole: oltre 87.300 posti di insegnante e 44.500 posti di personale tecnico amministrativo e ausiliario, i cosiddetti bidelli che non bisogna mai sottovalutare perché questo vuol dire che molte scuole del nostro Paese rischiano di non poter garantire neanche la continuità della semplice apertura. Si tratta di un taglio voluto dal Ministro Tremonti, inizialmente subito dal Ministro Gelmini e poi attivamente difeso.
Tale politica dei tagli lineari indiscriminati, attuata dall'Esecutivo nell'ultimo anno, ha provocato una situazione di autentica destrutturazione dell'assetto funzionale Pag. 6delle nostre scuole pubbliche di ogni ordine e grado ed un grave impoverimento dell'insieme del sistema dell'istruzione alla quale sono venute a mancare le risorse indispensabili per lo sviluppo dell'azione didattica, educativa, di istruzione e ricerca, smantellandone così punti essenziali di qualità.
Gli effetti sull'occupazione già da quest'anno sono stati particolarmente drammatici il Presidente del Consiglio e il Ministro Gelmini per un anno intero si sono affannati a rassicurare l'opinione pubblica che i tagli lineari alla spesa per l'istruzione non avrebbero comportato licenziamenti di insegnanti e del personale tecnico, amministrativo ed ausiliario. Con l'avvio dell'anno scolastico in corso, purtroppo, sono emerse le conseguenze reali delle scelte effettuate dal Governo, cioè il licenziamento di oltre 18 mila docenti e di oltre 8 mila tecnici, amministrativi ed ausiliari, che da anni svolgono la propria mansione con incarichi annuali costantemente rinnovati su posti vacanti disponibili non coperti da nomine a tempo indeterminato, cioè da personale di ruolo, per una scelta, in realtà, di risparmio da parte dello Stato.
Di fronte alla protesta diffusa in tutto il Paese dei lavoratori precari della scuola che ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica il tema drammatico della loro disoccupazione, il Governo ha tentato, ancora una volta, di mettere in sordina i problemi. Con questo decreto-legge il Governo smentisce se stesso chiamandolo, con un'operazione di marketing pubblicitario a beneficio della stampa, «decreto salva precari»; in realtà si tratta, purtroppo, di un decreto che non salva proprio nessuno. In verità, con questo decreto denominato più realisticamente: «Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l'anno 2009-2010» vi è un'ammissione degli effetti reali, ossia della possibilità che sia messo in discussione il normale funzionamento dell'anno scolastico.
Il Governo con questo decreto prevede di attivare alcune misure tampone nel tentativo di tacitare le decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori precari che già da quest'anno si trovano senza lavoro, e ai quali se ne aggiungeranno altre decine di migliaia nel prossimo biennio, con effetti molto gravi sulla quantità dell'offerta e sulla qualità del funzionamento delle nostre scuole di ogni ordine e grado. L'espulsione dal lavoro di questi docenti ha privato la scuola di risorse professionali che hanno sostenuto ed arricchito la scuola pubblica nel nostro Paese, oltre che determinare un gravissimo problema sociale, che priva decine di migliaia di docenti a tempo determinato e di personale ATA di una legittima aspettativa di lavoro, che li ha visti, nonostante la disponibilità in organico di posti vacanti, rimanere per anni lavoratori precari.
Il Governo continua a giustificare i tagli sostenendo che la spesa per l'istruzione nel nostro Paese è eccessiva e non in linea con gli altri Paesi europei. In realtà non è così: la spesa pubblica per la scuola nel nostro Paese è nella media dei Paesi dell'OCSE e così anche la spesa per il personale, che, in modo particolare, viene messa sotto accusa. Secondo l'OCSE, in base ad una pubblicazione del 2007, l'Italia destina al personale l'80 per cento dei finanziamenti, come la Francia e meno della Germania che destina al personale oltre l'85 per cento della spesa per l'istruzione. Pertanto, i problemi del nostro sistema dell'istruzione non sono riconducibili ad una spesa eccessiva, semmai alla necessità di maggiore efficienza ed efficacia e di maggiori investimenti in alcuni settori critici per migliorarne la quantità ed adeguarlo alle nuove sfide che il Paese deve affrontare.
La scuola dovrebbe essere considerata una leva e un punto di forza per superare la crisi economica e promuovere una nuova prospettiva di crescita per l'Italia. Il precedente Governo Prodi aveva avviato un percorso serio di analisi di proposte di innovazione del nostro sistema di istruzione. Il Quaderno bianco, oltre a contenere una diagnosi e una comparazione con il quadro europeo, contiene una proposta rigorosa di riqualificazione della spesa, da riorientare verso le aree di criticità del Pag. 7nostro sistema: livello di apprendimento di base, emergenza sud, meccanismi di reclutamento e valorizzazione della professionalità docente, incentivazione dell'autonomia scolastica e delle verifiche dei risultati, sistemi locali di governance virtuosa tra regioni, enti locali e istituzioni scolastiche.
Il Governo, invece, ha voluto procedere con tagli lineari che stanno producendo gravi danni alla qualità della scuola e ai livelli di apprendimento dei nostri studenti, e dunque al futuro del nostro Paese.
Queste scelte sono state sbagliate anche con riferimento al contesto internazionale che stiamo vivendo. Il nostro Governo, infatti, ha dimostrato di essere poco lungimirante, tanto più nella situazione di crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro Paese e tutti i Paesi del mondo occidentale. In altri Paesi, in particolare negli Stati Uniti con il Presidente Obama e nella Francia del Presidente Sarkozy, per uscire dalla crisi e promuovere un nuovo e più equilibrato sviluppo i Governi hanno puntato sull'istruzione, la formazione e la ricerca. Tra l'altro, la decisione del nostro Governo di decurtare pesantemente gli organici della scuola contribuisce ad alimentare la crisi economica e il disagio sociale, con l'incremento della già enorme platea di chi ha perso il lavoro di ulteriori 26 mila persone quest'anno e tante altre migliaia nei prossimi due anni. Si tratta prevalentemente di donne, perché l'occupazione nella scuola ha una maggioranza femminile e colpisce in modo particolare regioni già in gravissime difficoltà, come quelle del sud.
In particolare, il provvedimento in esame è inadeguato in quanto non prevede alcun intervento per affrontare in modo strutturale la questione del precariato della scuola, a differenza di quanto, invece, aveva previsto il precedente Governo Prodi. Quest'ultimo aveva approvato con la sua prima legge finanziaria un ampio e avveduto progetto di riforma del sistema scolastico, trasformando le graduatorie in permanenti e ad esaurimento e avviando un piano straordinario di immissioni a ruolo di 150 mila docenti e di 20 mila unità di personale tecnico ausiliare per il triennio 2007-2009. Inoltre, con la successiva legge n. 244 del 2007 (ovvero la legge finanziaria per l'anno 2008) aveva previsto la stabilizzazione di circa 17 mila insegnanti di sostegno e di ulteriori 10 mila unità di personale tecnico e ausiliario per il triennio 2008-2010. È un piano in parte, ma in gran misura attuato dallo stesso Governo Prodi, che ha immesso in ruolo 50 mila insegnanti e più di 10 mila ATA. Questo Governo, invece, che dovrà completare l'attuazione del piano, con l'assunzione delle altre 120 mila immissioni in ruolo, lo scorso anno si è limitato a immettere in ruolo 25 mila docenti e quest'anno 16 mila docenti e 8 mila ATA.
Questo Governo, come sua abitudine, ha annunciato un provvedimento per la definizione di nuove norme di reclutamento per il personale, ma non ve ne è traccia in Parlamento. Dunque, il tema del precariato non viene in alcun modo affrontato in modo rigoroso, serio e strutturale.
Ci troviamo di fonte ad un provvedimento tampone, del tutto inadeguato e insufficiente e che non destina neanche un euro a carico dello Stato per finanziare le misure previste. Infatti, le spese per finanziare questi progetti previsti (peraltro non chiaramente definiti) sui quali utilizzare con contratti di disponibilità i lavoratori precari, sono a totale carico dei bilanci delle regioni e degli enti locali. Inoltre, si attiva una sorta di guerra tra poveri, prevedendo che i lavoratori precari cui non è stato rinnovato il contratto a tempo determinato siano utilizzati prioritariamente per supplenze attivate direttamente dalle scuole a danno di altri precari, che ogni anno avevano almeno la possibilità di avere un lavoro ancora più precario.
Da un esame di merito del provvedimento emergono poi molti problemi. In particolare, la norma di cui al comma 1 dell'articolo 1, con la quale si stabilisce l'impossibilità in qualsiasi caso di trasformazione dei contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze in contratti a tempo indeterminato, contiene un'evidente discriminazione tra le Pag. 8diverse tipologie di insegnanti non di ruolo, in palese contraddizione con le recenti sentenze adottate in ambito comunitario.
Inoltre, si esclude ogni possibile professione ai fini retributivi e ogni possibile ricostruzione di carriera, in contrasto con l'articolo 53 della legge n. 312 del 1980, usando una condizione di disparità con i docenti precari e di religione che giustamente già ne godono. Tale palese contraddizione nega alla gran parte dei docenti precari, che spesso purtroppo entrano in ruolo in età già adulta sia in termini di servizio, ma anche di età anagrafica, un diritto fondamentale. Poiché tale diritto viene garantito per una sola categoria di precari, ciò è in palese contrasto con la Costituzione e con le sentenze europee e rischia di trasformare in privilegio ciò che, invece, deve essere riconosciuto e garantito come diritto a tutti.
Il comma 2 del provvedimento prevede poi un meccanismo di tutela nei confronti di una sola parte dei precari, poiché esclude di fatto tutti coloro che da anni insegnano con supplenze temporanee e che non sono inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. Il provvedimento, ancorché modificato con una norma che estende la platea dei beneficiari, crea comunque una netta disparità di trattamento tra i docenti iscritti nelle graduatorie di istituto e che da tempo sono in attesa di una soluzione.
Il provvedimento, tra l'altro, prevede un uso non appropriato degli ammortizzatori sociali, perché non consentirà né di mantenere inalterato il livello occupazionale, né di accompagnare il personale interessato verso altre forme di impiego. Infatti, risulta assente un intervento che estenda quantitativamente e temporalmente un'indennità di disoccupazione ai precari della scuola e che ne garantisca, almeno per due anni, la maturazione del punteggio di servizio nelle graduatorie ad esaurimento.
Inoltre, vorrei puntualizzare che le norme attuali prevedono che l'indennità di disoccupazione possa essere goduta solo da chi abbia lavorato nell'anno precedente per cinquantadue settimane, senza tenere conto della normativa vigente per il personale scolastico che assume l'attività per centottanta giorni come servizio prestato per l'intero anno scolastico.
Il provvedimento in esame è poi lacunoso anche per quanto riguarda la tipologia dei progetti da realizzare a carico delle regioni, in quanto sono assenti importanti e possibili progetti volti a prevedere l'utilizzo straordinario e provvisorio del personale che ha perduto l'incarico o la supplenza annuale, finalizzati, ad esempio, alla qualificazione dei piani dell'offerta formativa, prioritariamente riferiti all'innovazione didattica, all'aggiornamento e alla formazione degli insegnanti, ad un efficace rapporto tra docente e alunni che tenga conto delle garanzie degli alunni diversamente abili e dell'incremento del tempo scuola individuale, ad una corretta attuazione dell'accordo concordatario di avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, prevedendo attività didattiche e formative alternative al detto insegnamento, a prevenire con interventi specifici le situazioni di disagio sociale e contrastare l'abbandono scolastico.
Che dire poi del comma 3, che, come ho già accennato prima, prevede per le regioni e le autonomie locali l'onere di finanziare progetti dal contenuto non ben definito, su cui utilizzare, con contratti di disponibilità, i lavoratori precari? In sintesi, la previsione del comma 3 citato scarica sulle regioni e le scuole le conseguenze delle scelte sbagliate del Governo sull'occupazione, senza tra l'altro prevedere un accordo quadro con la Conferenza unificata Stato-regioni, al fine di regolare le procedure e le modalità di intervento e di garantire l'omogeneità degli accordi regionali.
Vorrei, infine, porre all'attenzione dell'Aula l'emendamento approvato dalla maggioranza in sede di discussione in Commissione lavoro, che impedisce per legge l'inserimento a pettine degli aspiranti docenti nelle tre province aggiuntive, che vorrebbe definire - almeno questo è l'intendimento - una linea di interpretazione autentica, che tuttavia tradisce lo spirito Pag. 9originario del legislatore, che, a fronte di una massiccia immissione in ruolo del personale precario, ha previsto la trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento e l'inserimento in una sola di esse. Devo dare atto allo stesso presidente della Commissione lavoro, onorevole Moffa, che ha sottolineato l'opportunità di una riformulazione del suddetto emendamento, che consenta, nel contempo, di ottemperare alle indicazioni della Corte costituzionale e di determinare le condizioni per evitare ulteriori ricorsi e, quindi, l'ingovernabilità di tutto il sistema di reclutamento del personale della scuola.
Signor Presidente, pure in un quadro di giudizio nettamente negativo sul provvedimento, durante la fase di esame da parte delle Commissioni cultura e lavoro, abbiamo portato un contributo fattivo, come ha dato conto poco fa nel suo intervento la relatrice, onorevole Pelino, proponendo una serie di emendamenti finalizzati a migliorare il provvedimento, che non sono stati recepiti dalla maggioranza perché non accolti dal Governo. Sono emendamenti che ripresenteremo in Aula, con la speranza di poter avere un confronto serio e attento per il bene dei nostri studenti, della nostra scuola pubblica e per dare una risposta più adeguata alle attese di decine di migliaia di lavoratrici e di lavoratori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, rappresentante del Governo, com'è emerso con chiarezza ed onestà dalla relazione dell'onorevole Pelino, nessuno ha la pretesa di sostenere in quest'Aula che il decreto-legge sottoposto a conversione rappresenti qualcosa di più di un provvedimento parziale.
Anzi, se la parola piace all'opposizione, non ho alcuna difficoltà ad usare anche il termine «tampone» e a parlare di «provvedimento tampone», ossia un provvedimento volto ad affrontare una situazione di emergenza creatasi nella scuola nel corso di molti decenni a causa di tante responsabilità e di troppe irresponsabilità, fino a formare un esercito di 260 mila persone che operano nel limbo della precarietà, dopo essere stati illusi a lungo che prima o poi sarebbero riusciti ad ottenere un posto stabile.
Tuttavia, questo decreto-legge, migliorato in sede referente, ha sicuramente dei meriti. In primo luogo, si iscrive coerentemente in una politica del personale che il Governo ha impostato e porta avanti in tutta la pubblica amministrazione, ma soprattutto nella scuola, dove per anni l'occupazione è stata una sorta di variabile indipendente che spesso orientava, come nel caso della modifica del modulo nelle elementari all'inizio degli anni Novanta, le scelte di ordinamento e prescindeva dall'andamento della popolazione scolastica, dall'uso efficiente ed efficace delle risorse pubbliche e dall'esigenza di investire di più e meglio nella modernizzazione delle strutture dei cicli.
Inoltre, se da ora le assunzioni avverranno solo con modalità trasparenti e con l'obiettivo di soddisfare effettive necessità di organico mediante una radicale modifica dei criteri di reclutamento, con questo decreto-legge il Governo assicura l'introduzione di primi ammortizzatori sociali nella scuola attraverso quella stessa indennità di disoccupazione che viene erogata ai lavoratori dipendenti privati.
In Commissione lavoro vi è stata una discussione importante, alla quale hanno dato contributi positivi i colleghi della Commissione cultura. Come sempre e come ha ricordato, giustamente, il relatore, anche i colleghi dell'opposizione hanno fornito un contributo di conoscenze e di esperienze.
Lo hanno fatto così bene da indurmi alla rilettura del Quaderno Bianco sulla scuola, presentato nel settembre 2007 dai Ministri del Governo Prodi Padoa Schioppa e Fioroni e ricordato qui, pochi minuti fa, dall'onorevole Coscia.
Attingerò, quindi, al contenuto di quel pregevole documento per svolgere le mie considerazioni, dopo aver ricordato, per Pag. 10inciso, che anche la finanziaria del 2007 tagliava ben 47 mila posti nella scuola, con un risparmio a regime di 1,4 miliardi (finanziaria del 2007 predisposta dall'allora Governo Prodi).
Ebbene, onorevoli colleghi, qual è lo stato della scuola pubblica in Italia? Il 21 per cento dei ragazzi fra i 18 e i 25 anni esce dalla scuola senza un diploma o una qualifica professionale, il 41 per cento viene promosso con debiti formativi e solo uno su quattro riesce a colmarli.
Il livello di apprendimento degli studenti è inferiore a quello di altri Paesi industrializzati e non perché gli studenti italiani abbiano un tasso di intelligenza e di comprendonio più basso. Il gap nell'apprendimento delle lingue straniere, in particolare dell'inglese, è drammatico e io ritengo che l'inglese sia più utile del dialetto.
Le retribuzioni sono basse e meno premiali di quelle degli insegnanti di altri Paesi: per la scuola superiore lo scarto arriva a 10 mila euro all'anno. La spesa per studente, tuttavia, è più elevata e supera di oltre mille euro quella della media OCSE.
Ma quanto spende una scuola pubblica così combinata, con risultati oggettivamente deludenti? Onorevoli colleghi, a pagina 37 del Quaderno bianco si trova la risposta: in rapporto al PIL l'Italia spende quanto la media OCSE; addirittura, in rapporto al PIL, più della Germania e del Giappone. Eppure, le ore di insegnamento nette sono in generale inferiori a quelle della media OCSE: segnatamente, nella scuola primaria sono 726 contro 805, nella scuola secondaria inferiore 594 contro 704, nella scuola secondaria superiore 594 contro 663.
Quanto alla popolazione scolastica, con 7,7 milioni di studenti siamo ritornati al livello del 1995-1996 dopo che il numero era diminuito fino al 2001: c'è un bellissimo grafico nel Quaderno Bianco che dà un'idea plastica di tale andamento. Anzi, tra il 1978 e l'inizio del nuovo secolo la popolazione scolastica è calata del 25 per cento, mentre gli insegnanti sono passati da 732 mila nel 1978 a 900 mila all'inizio degli anni Novanta, fino agli attuali 850 mila.
Ma fa più impressione, signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, considerare il numero attuale degli insegnanti ogni 100 studenti: in totale sono 10,4 insegnanti, nella primaria 10,3, nella secondaria di primo grado 11, nella secondaria di secondo grado 10. Se questa è la situazione, onorevoli colleghi (lo dico perché siete persone preparate, siete persone intelligenti, siete persone oneste), esiste o non esiste, tra i tanti mali della scuola pubblica, anche un problema del personale? Un problema di eccesso del personale docente, di eccesso del personale scolastico, in rapporto alla popolazione scolastica? Noi rispondiamo di «sì», soprattutto quando è la voce «personale» ad assorbire oltre il 90 per cento delle risorse.
E la situazione non è destinata a cambiare nemmeno nel periodo medio-lungo: ad osservare infatti, sempre nel Quaderno Bianco, i futuri scenari di domanda scolastica per macroaree, nord, centro e sud, si nota che, pure nell'ipotesi demografica alta, le variazioni sono piuttosto modeste tanto in crescita quanto in diminuzione, il che vale naturalmente anche per il fabbisogno degli insegnanti. E come è possibile allora stabilizzare altro personale, addirittura i 150 mila che avevate promesso, in un arco di tempo breve, prescindendo da ogni esigenza di razionalizzazione e persino dall'andamento del turnover?
Signor Presidente, signor sottosegretario, noi intendiamo metterci dalla parte degli studenti. La scuola ha bisogno di nuove e maggiori risorse, ma deve trovarne una parte importante al proprio interno: ecco perché, d'ora in poi, a determinare le assunzioni saranno le esigenze reali della scuola, non le facili promesse agli insegnanti precari, ai quali saranno riservati interventi di protezione sociale come a tutti gli altri lavoratori.
Concludendo, richiamo l'attenzione dei colleghi su quanto di nuovo il Governo sta portando avanti nella scuola. Cito per esempio (ne parlava Il Corriere della seraPag. 11alcuni giorni or sono in un'intera pagina) il Progetto classi 2.0, che prevede la presenza di un personal computer ogni 11 studenti (nell'Unione europea ve n'è uno ogni 11,3); si tratta cioè di 614 mila personal computer in 10 mila e 400 scuole, e di 30 mila euro per ciascuna scuola per l'acquisto di metodi didattici innovativi. Spesso, nel dibattito viene rappresentata una scuola dove gli alunni portano da casa i gessi, le penne, la carta igienica, anziché la classica mela rossa di Pinocchio: come si vede, la realtà a cui lavoriamo è ben diversa e migliore (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, affrontare una discussione sul fenomeno del precariato prevede a monte un'analisi della riforma messa in atto dal Ministro Gelmini. La scuola italiana è al centro di molti dibattiti, che coinvolgono sia la politica che la società: esiste sicuramente una crisi che colpisce l'istituzione scolastica, nonostante la scuola stessa sia stata oggetto per molti anni di riforme.
La scuola non è un settore qualsiasi della spesa dello Stato. Di certo non può essere considerata una baracca inefficiente: è un investimento fondamentale, senza il quale l'economia del Paese non ha prospettive di crescita. Pertanto, senza un sistema educativo adeguato il Paese non ha prospettive future: per questo bisogna investire nell'istruzione.
Non si fa altro che ripetere che la società ha bisogno di cittadini professionalmente preparati, consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, in grado di leggere e di interpretare soprattutto i cambiamenti che si verificano nel mondo che li circondano. Siamo tutti d'accordo su questo ruolo formativo ed educativo della scuola; eppure, a nostro parere, questo Governo pone l'attenzione sulla scuola in maniera sbagliata ed inadeguata. Il Governo dovrebbe innanzitutto garantire le risorse necessarie a migliorare il livello di istruzione del Paese, invece oggi la scuola si trova a vivere un momento molto difficile proprio per i tagli prodotti dal Ministro Tremonti. Si tratta di otto 8 miliardi di euro che hanno intaccato la qualità della scuola e hanno creato disoccupazione: per questo oggi siamo arrivati a questo decreto. Sono stati previsti tagli agli organici che produrranno 150 mila posti di lavoro in meno con un esubero non indifferente di insegnanti. Perché accade questo? Nella scuola primaria ciò accade a causa della scelta del maestro unico, mentre nella scuola secondaria vi è un esubero di insegnanti di lettere e di tecnologia e più alunni per classi. Con l'aumento degli alunni per classe e la riduzione del tempo scuola difficilmente i docenti potranno affrontare i problemi dei nostri ragazzi: niente più compresenza nella scuola primaria, meno flessibilità didattica ed organizzativa, meno recuperi dei ragazzi in difficoltà ma anche meno lavoro di potenziamento e meno integrazione degli alunni stranieri. Insomma, sono state soppresse le attività pedagogiche e didattiche migliori, proprio i moduli, il lavoro in team e un'attività di programmazione soprattutto condivisa tra i docenti. Vi sono stati anche tagli agli organici ATA, il che significa meno sicurezza e sorveglianza sugli alunni con un'offerta formativa che in questo modo è sicuramente penalizzata perché, signor sottosegretario, i collaboratori scolastici migliorano anch'essi, con il loro lavoro, la qualità della scuola e di questo dovremmo prendere tutti atto. Tutto questo fa prevedere meno qualità nella didattica e meno qualità nell'istruzione e nella formazione, per non parlare poi del dimensionamento della rete scolastica.
Con il piano di dimensionamento messo in atto dal Ministro, hanno chiuso i battenti molti piccoli plessi, con la conseguente formazione di classi più numerose mentre docenti e personale ATA hanno perso il posto di lavoro: uno stravolgimento della rete scolastica che ha prodotto la chiusura di molti punti di erogazione del servizio, con conseguenti Pag. 12ricadute negative anche sull'occupazione ma soprattutto sull'organizzazione scolastica stessa. A qualcuno che non vive il mondo della scuola o che, magari, lo vive marginalmente può apparire giusto un dimensionamento scolastico per evitare uno spreco di risorse e riqualificare la spesa. Tuttavia, signor sottosegretario, quando si tratta di scuola non si può parlare di spreco di risorse perché si investe nella formazione dei nostri giovani e si svolge una giusta azione di orientamento e di prevenzione dell'abbandono scolastico: si tratta di argomenti importanti che sono da approfondire. Non dimentichiamo che le difficoltà che si riscontrano nelle scuole derivano anche da problemi connessi all'edilizia scolastica, alla mancanza di laboratori, al rapporto tra le attese delle famiglie e il territorio stesso, questioni che chiamano in campo direttamente le responsabilità del Governo e del ministero e che richiedono investimenti e interventi adeguati. La riorganizzazione di un sistema tanto complesso e tanto delicato quale quello scolastico ha bisogno di risorse e di progetti che valorizzino l'esistente e cioè anche il personale precario.
I vari Stati del mondo incrementano le risorse per la formazione ed l'istruzione mentre nel nostro Paese si producono tagli proprio in questo settore: 8 miliardi di euro non rappresentano un taglio di poco conto. C'è poi la revisione del quadro orario nei diversi ordini di scuola, una riduzione dovuta esclusivamente al risparmio come ormai stiamo facendo notare da tempo, proprio per far cassa: si tratta della previsione, nella scuola primaria, del maestro unico, con conseguente diminuzione di personale e, nella scuola secondaria di primo grado, della previsione di 29 ore settimanali, con le materie di lettere ed educazione tecnica che perdono un'ora di insegnamento.
È stata offerta inoltre la possibilità di chiedere altre ore di inglese, con il rischio di avere quasi le stesse ore di italiano e di inglese (abbiamo preso comunque atto che per voi è più importante il dialetto che la lingua italiana).
Le classi di continuità devono avere, sempre nella scuola secondaria di primo grado, minimo 20 alunni per poter proseguire e le prime classi dovranno essere formate in base al divisore 27: è tutto molto matematico, anzi eccessivamente matematico, ma quando si tratta di scuola non si può procedere a colpi di «più» o di «meno».
Nei licei e negli istituti tecnici diverse discipline saranno in difficoltà proprio per la riduzione oraria, e si avrà il 25 per cento di attività di laboratorio in meno: insomma, tutto è all'insegna della minore qualità e della disoccupazione. E poi si fa sempre più fondato il sospetto che il Governo voglia favorire le scuole private. Il nostro Presidente della Repubblica ha valutato la nostra istruzione non ancora abbastanza efficiente, sostenendo anche che un'istruzione migliore non significa un'istruzione che produca sole eccellenze e non significa, di certo, neppure un'istruzione d'élite: queste sono parole sagge, dettate anche dalla profonda cultura personale del nostro Presidente della Repubblica.
Noi dell'Italia dei Valori siamo - e non finiremo mai di ripeterlo - per un'istruzione rivolta a tutti e di qualità; ci pare logico, quindi, che lo Stato debba mirare a questo obiettivo, investendo soprattutto nella scuola pubblica.
Veniamo ora al contenuto del decreto-legge in esame: è evidente che gli 8 miliardi di euro tagliati alla scuola e tutte le argomentazioni che ho poc'anzi addotto hanno tarpato le ali ai precari, che si vedranno esclusi dall'insegnamento (tagli che hanno dato loro un colpo di grazia).
Questo provvedimento si rivela parziale, è vero: non aggiunge alcuna risorsa né posti e definisce semplicemente una priorità nel conferimento delle supplenze temporanee ai precari licenziati.
Nell'articolo 1 si stabilisce che i contratti a tempo determinato non potranno in alcun modo trasformarsi in rapporti a tempo indeterminato e quindi consentire la maturazione di anzianità utile ai fini Pag. 13retributivi prima dell'immissione in ruolo: perciò ai precari, oltre al danno, è riservata anche la beffa!
A nostro avviso, questo articolo viola gli indirizzi comunitari in materia di rapporti di lavoro e non rispetta la sentenza della Corte di giustizia europea che rimarca la parità di trattamento nel pubblico impiego. La clausola 4, al punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del giugno del 1999, impedisce proprio la disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ma pare che vi sia da parte vostra un'evidente ostilità verso il personale precario della scuola, sia docente sia ATA.
Ci sembra davvero esagerato negare anche il diritto di maturare l'anzianità utile ai fini retributivi, oltre al diritto di trasformazione dell'incarico da tempo determinato a tempo indeterminato. I precari della scuola stanno vivendo un momento veramente difficile, sia per il mancato riconoscimento delle loro capacità e del loro impegno, sia per l'insicurezza del posto di lavoro.
Si percepisce poi in questo provvedimento una certa indifferenza verso questi lavoratori che da tempo hanno messo la propria preparazione al servizio di una scuola che è sempre più in difficoltà, e si evidenzia anche una disparità di trattamento tra insegnanti ordinari e docenti di religione non di ruolo, ai quali viene riconosciuta la maturazione di scatti stipendiali biennali.
Sono persone davvero speciali quindi, i precari della scuola: non hanno diritto neanche agli aumenti stipendiali! Vi è da rilevare poi che un intervento legislativo di questo genere si intromette impropriamente in quello che è il trattamento economico dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (in questo caso, dei dipendenti del comparto scuola), dimenticando che la definizione del trattamento economico è materia di contrattazione collettiva di lavoro: è la contrattazione nazionale decentrata che consente al sindacato di difendere quelli che sono gli interessi dei lavoratori. Concertare significa quindi confrontarsi, accordarsi, condividere con gli altri, e di solito poi dal confronto si ottengono risultati positivi per tutti.
Ma quando si evita il dialogo, il confronto, come fate voi, signor sottosegretario, vuol dire che non si vuole raggiungere l'obiettivo comune che è quello di ottenere il benessere sociale (perché in fondo di benessere sociale si tratta). Abbiamo presentato un emendamento che prevede la stabilizzazione e l'assunzione a tempo indeterminato, con un piano straordinario adottato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri entro il 30 aprile 2010, del personale docente ed ATA già destinatario di contratto a tempo determinato da almeno tre anni non consecutivi, o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore all'entrata in vigore di questo decreto-legge, purché inserito nelle graduatorie provinciali ad esaurimento.
Voglio ricordare, signor sottosegretario, che la legge n. 296 del 2006, che avete citato spesso nel provvedimento in esame, prevedeva la definizione di un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per gli anni 2007-2009 per complessive 150 mila unità, al fine di dare un'adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico, di stabilizzare e rendere più funzionali gli aspetti scolastici, e di attivare azioni tese ad abbassare l'età media del personale docente. È questo il problema: vi sono precari cinquantenni, se non più anziani. Lo stesso piano di assunzioni a tempo indeterminato era previsto per il personale amministrativo tecnico ed ausiliario (i cosiddetti ATA) per complessive 20 mila unità. Si tratta di una legge predisposta veramente per dare la possibilità ai precari di essere assunti a tempo indeterminato, che intendeva, quindi, frenare questo fenomeno del precariato. Essere precari non significa essere degli insegnanti o dei collaboratori di serie B. I precari hanno svolto un lavoro seriamente e devono essere premiati il loro impegno, la loro esperienza, la capacità che hanno messo sempre a disposizione dei nostri ragazzi. Pag. 14
Con l'intervento al comma 3 abbiamo chiesto di dare la possibilità anche a chi ha conseguito una supplenza nell'anno scolastico 2007-2008, e non l'ha riottenuta nell'anno successivo, di usufruire di questo provvedimento ed ottenere, quindi, un'indennità di disoccupazione. Purtroppo, la realtà è che, con questo decreto-legge, si mette in piedi una nuova graduatoria da utilizzare prima delle graduatorie di istituto. Pertanto, si tratta di una diversa modalità di conferimento delle supplenze brevi che le scuole avrebbero dovuto assegnare agli aspiranti delle graduatorie di istituto. Che cosa significa questo? Significa lasciare in asso gli aspiranti alle supplenze delle graduatorie di istituto; il problema, quindi, si è spostato.
Comunque, oltre al resto, e poiché non ci convince molto il fatto di corrispondere un'indennità di partecipazione per le prestazioni nelle attività progettuali previste nel comma 3 del provvedimento, abbiamo anche proposto di modificare il testo, specificando che ai lavoratori precari coinvolti nei progetti venga corrisposto un trattamento economico in base al contratto collettivo vigente del comparto scuola, per qualificare l'attività lavorativa svolta come lavoro dipendente.
Per quanto concerne i fondi per le supplenze, non vi sono risorse aggiuntive da parte del Governo. Viene tutto demandato alle regioni. Le supplenze brevi saranno pagate con i fondi degli istituti. Su questo voglio ricordare che il MIUR, ad oggi, è debitore delle scuole di oltre un miliardo di euro (scuole che non dispongono di molto per effetto dei tagli). Lo Stato chiede alle regioni di supportare questo meccanismo con risorse proprie per potenziare l'offerta formativa. Tuttavia, la maggior parte degli assessori regionali all'istruzione si è dichiarata contraria al provvedimento stesso e chiede che l'intera faccenda venga discussa nella conferenza Stato-regioni. Si sono certo favoriti gli accordi bilaterali tra il Ministero dell'istruzione e le singole regioni, ma si sono creati inevitabili disparità per quanto riguarda le risorse messe in campo per risolvere il problema dei precari della scuola. I primi protocolli di intesa con il Ministero rivelano, infatti, delle differenze di trattamento. Le regioni hanno proceduto liberamente: infatti, la Lombardia ha destinato 15 milioni di euro a sostegno dei suoi precari, la Campania interverrà con 20 milioni di euro, e così via.
A nostro avviso occorre un contributo dello Stato che abbiamo quantificato nella cifra di 700 milioni di euro. La ripartizione del contributo statale tra le regioni sarà poi disposta in proporzione al numero di precari di ogni singola regione. L'unico nostro emendamento accolto in Commissione è quello relativo alla convocazione dei supplenti attraverso la casella di posta elettronica. Lo abbiamo proposto nella convinzione che una gestione informatizzata delle graduatorie da parte delle segreterie scolastiche crei le condizioni migliori per governare adeguatamente le graduatorie e renda la fruibilità delle graduatorie stesse più rapida.
Per questa ragione anche gli atti di convocazione dei supplenti per il conferimento delle supplenze stesse dovrebbero avvenire attraverso la casella di posta elettronica, e il vantaggio sicuramente sarebbe evidente.
Durante l'esame in Commissione è stato approvato un emendamento a firma del relatore che estende la portata della norma di cui al comma 2 anche ai docenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento che nell'anno scolastico 2008-2009 hanno conseguito attraverso graduatorie d'istituto una supplenza temporanea di almeno centottanta giorni.
La norma rimane restrittiva lo stesso ed esclude molti precari anche se avete esteso la sua fruibilità.
Il gruppo dell'Italia dei Valori riproporrà in Aula gli stessi emendamenti sperando in una profonda riflessione da parte del Governo, perché quella dei precari della scuola è sempre stata una condizione molto difficile, tanto difficile e mai risolta. Hanno dovuto fare il diavolo a quattro per poter ottenere un contratto di disponibilità, ma voi sapete che non saranno di certo i contratti di disponibilità a risolvere il fenomeno del precariato. Pag. 15
Desidero terminare il mio intervento ricordando al Governo che con i criteri messi in atto 150 mila famiglie di precari non avranno vita molto facile. Il problema occupazionale, che riguarda quest'anno 18 mila precari (forse due o tremila in meno, i numeri non sono poi tanto certi) e che coinvolgerà nei prossimi due anni migliaia di lavoratori, è comunque legato alla qualità della scuola pubblica (questo non finiremo mai di dirlo).
Allora occorre una politica volta al reclutamento di personale competente ed i lavoratori precari della scuola sono qualificati. Chi vive all'interno della scuola sa ed è convinto di questo punto. I precari possono garantire ai nostri giovani una scuola di qualità e, come continuiamo a chiamarla noi dell'Italia dei Valori, una scuola che sia soprattutto attraente per i giovani e soprattutto per tutti (questa è la cosa fondamentale).
È chiaro che non potete fingere di ignorare una questione che conoscete bene. La situazione non può rimanere così come si presenta.
È necessario, quindi, trovare le risorse per un piano triennale di assunzioni di tutto il personale precario presente nella scuola, come stava cercando di fare il Governo Prodi. È questo il vostro dovere: garantire lavoro e non creare disoccupazione. Dovete farlo aprendovi al confronto e al dialogo.
Avete accontentato con lo scudo fiscale i disonesti, ora accontentate i precari onesti, i lavoratori della scuola. I precari non sono il lupo cattivo, sono cittadini che difendono il loro diritto al lavoro.
Ho sentito dire che il Ministro Gelmini abbia voluto fortemente questo provvedimento. Il fatto è che questo decreto-legge sfiora marginalmente il problema del precariato. Poi è anche vietato protestare, altrimenti i bidelli vengono rimproverati perché non puliscono le scuole, i docenti vengono denigrati perché non hanno le competenze. Quindi, siano tutti ubbidienti.
Ma - sottosegretario, me lo lasci dire - veramente il Ministro crede che dirigenti, docenti e collaboratori siano al suo servizio? È tempo che il Governo inizi a pensare al bene comune. Sicuramente nessuno si lamenterà più, sottosegretario (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedriga. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, mi ero preparato un intervento scritto, ma avendo ascoltato gli interventi dei colleghi dell'opposizione varierò un po' l'ordine dei temi che voglio trattare.
Signor Presidente, varierò tali temi perché ritengo che su questo Parlamento gravi una responsabilità che non permette a membri istituzionali che rappresentano i cittadini di continuare a fare terrorismo psicologico nei confronti degli insegnanti rispetto a posizioni legittimamente diverse. Stiamo valutando la situazione e non possiamo accettare che si continui a dire che vi sono licenziamenti dal momento che non è così. Infatti, in tutti i settori lavorativi, sia privati sia pubblici, chi non ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato e non gli viene rinnovato il contratto o non viene chiamato nuovamente a svolgere quel lavoro, non è licenziato. È molto semplice: non è licenziato. Parlare di licenziamenti è perlomeno scorretto.
Penso che anche i colleghi della Commissione lavoro del Partito Democratico, che si dimostrano sempre molto preparati su diversi argomenti, ne siano a conoscenza e per tale motivo li invito ad utilizzare altri termini perlomeno perché, come giustamente voi ripetete più volte, i termini utilizzati sono fondamentali per lanciare il messaggio al Paese.
Dopo tale premessa, signor Presidente, vorrei soltanto ricordare quanto è stato detto dall'OCSE. Quest'ultima afferma chiaramente che gli standard italiani nella scuola e nell'istruzione sono carenti, sono più bassi dei Paesi europei. Allo stesso modo l'OCSE, come è stato ricordato da alcuni colleghi in precedenza, afferma che i soldi investiti dallo Stato sono pressoché gli stessi in Italia e negli altri Paesi europei. Tuttavia, l'OCSE sottolinea un aspetto importantissimo sul quale è basata la Pag. 16politica della scuola e degli arruolamenti per quanto riguarda il comparto degli insegnanti nel nostro Paese. L'OCSE afferma che i dati degli insegnanti per numero di alunni in Italia sono sproporzionati. Infatti, portando soltanto qualche esempio, in Italia, nella scuola primaria, vi sono 10,7 alunni per ogni insegnante contro una media europea di 14,5 alunni per insegnante e contro una media dei Paesi OCSE extra-europei di 16,2 alunni per insegnante. Per non parlare degli altri Paesi europei come Francia e Germania che in quest'Aula ho sentito sempre richiamare più volte quando è utile e quando porta acqua al proprio mulino. Ricordo che in Francia vi sono 19,3 alunni per ogni insegnante e in Germania 18,7 alunni contro una popolazione diplomata e laureata più alta rispetto a quella del nostro Paese.
Mi domando dunque perché non ci si pone questo problema: per quale motivo si continua ad interpretare la scuola come ammortizzatore sociale. Su questo siamo profondamente contrari. Riteniamo che la scuola debba servire a dare un'istruzione adeguata ai nostri giovani perché entrino nel mondo del lavoro, non soltanto quello del nostro Paese ma il mondo del lavoro internazionale, preparati e in grado di competere con i loro colleghi stranieri.
Signor Presidente, vorrei soltanto citare una relazione di un profondo conoscitore della scuola del nostro Paese, un ex preside, il professor Cremaschi, il quale in soli due punti offre un quadro molto preciso della scuola italiana. Infatti questi dice che gli stipendi - su questo dobbiamo lavorare e si può fare un'opera bipartisan - sono mediamente tra il 40 e l'80 per cento inferiori rispetto a quelli degli altri paesi dell'OCSE. Mentre, come ho detto, la spesa della scuola è pressoché identica. Dunque lo stesso professore dice che - ripeto le parole testuali che mi sembrano molto esplicative - per anni la politica del gonfiamento degli organici e dell'abbassamento del numero degli alunni per classe ha lavorato contro l'aumento del miglioramento della qualità della scuola: e lo dice un professore.
Quanto ho sentito oggi è l'esatto opposto: continuate a dire che servono ancora più professori malgrado nel nostro Paese - tranne questa breve parentesi degli ultimi anni poco significativa - sia continuato a diminuire il numero degli studenti ed è continuato ad aumentare il numero degli insegnanti.
Ritengo che dobbiamo confrontarci su questo dato. Se ci confrontiamo affermando che dobbiamo aumentare la qualità dell'istruzione del nostro Paese, garantendo ai nostri insegnanti stipendi più dignitosi e una maggiore formazione, possiamo venirci incontro e possiamo incamminarci su una strada comune.
Ma se pensiamo di continuare a fare propaganda politica dicendo «la maggioranza vi fa perdere il posto di lavoro! La maggioranza non vi dà un futuro!», siamo sulla strada sbagliata. Io sono sempre stato disposto - e credo che me ne dia atto anche chi la pensa in modo diverso - ad ascoltare le motivazioni della parte politica avversa all'interno della Commissione, anche dando ragione su temi che ritenevo condivisibili. Su questo, però, è chiaro che è in atto una strumentalizzazione che non possiamo accettare, perché proprio questo Governo proprio nel settore dell'istruzione ha preso una posizione di responsabilità.
Per convalidare ciò che dicevo prima, signor Presidente, dal 1951 al 1978 è triplicato il numero degli insegnanti, passando da 240.000 a 732.000; in seguito, nonostante la contrazione della popolazione studentesca, gli insegnanti hanno continuato a crescere, arrivando a sfiorare le 900.000 unità all'inizio degli anni Novanta ed attestandosi poi negli ultimi anni ad 850.000. Dunque, la scuola italiana continua ad assumere personale indipendentemente dal numero degli studenti e dal diminuire o dal crescere del numero degli studenti.
Signor Presidente, oltretutto ci domandiamo - ed è vero - se vi siano particolari insegnamenti, soprattutto quelli scientifici, per cui in alcune zone del nostro Paese manchino insegnanti. È vero, ma ciò accade per due principali motivi: in primo Pag. 17luogo, perché un laureato in materie scientifiche, se decide di intraprendere la strada dell'insegnamento, guadagna circa 500 euro in meno rispetto ad un collega che ha scelto di intraprendere un'altra professione. Dunque, è chiaro che bisogna lavorare sull'aumento degli stipendi e non sul numero degli insegnanti. Non solo: questo problema è ancora maggiormente accentuato dalle continue richieste di trasferimento che vengono presentate dopo pochi anni, se non pochi mesi, dalla presa in ruolo da parte di un insegnante. Perfino il rapporto sulla scuola del 2009 della fondazione Agnelli afferma che quasi il 20 per cento degli intervistati, che è entrato in ruolo in una regione diversa da quella di residenza, chiederà il trasferimento nel prossimo triennio.
Dico ciò per avvalorare quanto contenuto nel provvedimento in esame. Infatti, malgrado quanto continua a sostenere l'opposizione, la Lega con forza ha difeso e difenderà il principio di garantire almeno una priorità a chi è già in lista in una determinata graduatoria provinciale. Questo principio, che deve essere garantito, ci porta di conseguenza ad essere fortemente contrari alle cosiddette graduatorie a pettine. Ciò perché si inseriscono nelle graduatorie persone con punteggi più alti (adesso non voglio entrare nel merito del motivo per cui vi siano punteggi così alti, magari nel prosieguo del mio intervento vi farò un breve accenno) e chi fino all'anno prima era convinto di avere qualche speranza di entrare, ritrovandosi molto in basso nelle graduatorie stesse, non ha alcuna speranza di poter insegnare nella propria terra.
Inoltre, secondo i dati che ho citato prima, non solo non potrà insegnare, ma colui che ha preso il suo posto dopo poco tempo chiederà il trasferimento nella regione di origine. Quindi, ciò significa che i nostri insegnanti rimarranno a casa e che i nostri studenti non avranno l'insegnante su cui appoggiarsi per le normali lezioni.
Dunque, è un fatto grave a cui la Lega si oppone e sono convinto che anche la maggior parte del comparto degli insegnanti responsabili sarà dalla nostra parte.
Parlo di insegnanti (o di persone che ambiscono a diventare tali) responsabili perché proprio pochi minuti fa ho saputo che alcuni colleghi hanno ricevuto molte proteste su un emendamento della Lega Nord, che verrà presentato in Aula, nel quale semplicemente si dice che se un insegnante chiede il trasferimento in altra provincia, la provincia nella quale è trasferito deve fare accertamenti nel caso in cui questa persona si avvalga della cosiddetta legge n. 104 del 1992, cioè la legge relativa a chi assiste portatori di handicap.
Chiediamo semplicemente che ci sia una verifica affinché dei falsi invalidi non occupino il posto di chi realmente ne ha di diritto. Eppure abbiamo decine e decine, spero non migliaia, di proteste proprio perché la Lega chiede di rispettare un principio sacrosanto.
Mi auguro che i colleghi del gruppo dell'Italia dei Valori, che più volte hanno portato la bandiera della legalità, voteranno questa proposta emendativa con convinzione. Mi auguro che ciò avvenga perché altrimenti sarebbe una contraddizione. Infatti, quando c'è da parlare dei membri del Governo sono tutti pronti a difendere la legalità, quando invece si parla di persone che sfruttano le legge e che sfruttano i veri disabili si pensa in altro modo. Pertanto, mi auguro ancora che il gruppo Italia dei Valori concordi con questa proposta emendativa presentata dalla Lega.
Signor Presidente, è chiaro che, come è già stato giustamente affermato dall'onorevole Cazzola, si tratta di un provvedimento che serve ad arginare una situazione temporanea mentre noi vediamo una strada per risolverla. Tale strada è quella di puntare sulla reale meritocrazia e quindi accertare la reale preparazione degli insegnanti tramite concorsi meritocratici nei quali non venga premiato chi si è laureato in «esamifici» con un 110 e lode che magari non vale un 90 di un'altra università, ma basandosi su quello che realmente sa.
Dobbiamo superare - e penso che ciò valga per tutto il comparto lavorativo del nostro Paese, in particolare nel pubblico Pag. 18impiego - il concetto per il quale i nostri studenti studiano per avere un voto di laurea invece che per avere una preparazione. Pertanto noi diciamo: studiate per avere una preparazione e dunque fare bene i test meritocratici e dunque essere assunti.
Non vedo perché quando avevo proposto un emendamento simile per il pubblico impiego in generale una parte dell'opposizione lo aveva definito «norma salva asini», mentre in realtà essa diceva l'esatto contrario. Essa diceva: testiamo quanto realmente sapete, non guardiamo se avete avuto un professore amico o l'università o il corpo docente compiacente che vi hanno dato facilmente dei voti molto alti.
La gente del nord che la Lega difende con convinzione, si accorge di ciò e per questo continuiamo a crescere anche nei sondaggi, signor Presidente.
Concludo citando nuovamente le parole del professor Cremaschi, mi scuso se l'ho menzionato più volte, anche pubblicamente, ma credo che siano molto puntuali. Leggo testualmente: «Se qualcuno crede davvero che la qualità della scuola sia garantita da qualche alunno in meno e da qualche insegnante in più è inutile discutere. Se invece si pensa che la scuola deve essere una tale risorsa del Paese da attirare le intelligenze e le capacità migliori, allora bisogna poter proporre un lavoro serio e impegnativo con un riconoscimento economico serio». Verrebbe spontaneo rispondere con un'altra domanda: la scuola ha la funzione di garantire lo stipendio al personale o la formazione dei futuri cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà)?

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Miglioli. Ne ha facoltà.

IVANO MIGLIOLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, nel ringraziare il sottosegretario che ha seguito con impegno e con costanza il provvedimento in Commissione mi sorge una prima domanda: perché il Ministro Gelmini non è presente oggi in Aula?
Stiamo discutendo di un provvedimento che riguarda la scuola e che porta la sua firma e non è la prima volta che questo accade. Il Ministro avrà certamente degli impegni inderogabili, ma viene da chiedersi: signor Ministro, se non qui dove, e se non ora quando? Tuttavia, credo che avremo l'opportunità di averla con noi nei prossimi giorni.
Signor Presidente, onorevoli colleghi ho sentito molti numeri e li riprenderò anch'io.
Vorrei partire dall'inizio dell'anno scolastico e quindi cercare di fare una fotografia di come si presenta oggi la scuola nel nostro Paese. Possiamo prendere e vedere questa fotografia in diversi scatti. Ad esempio si può partire dalla situazione degli edifici scolastici. Sappiamo che esiste un'emergenza storica, cronica, testimoniata purtroppo al degrado, dal deperimento, dalle condizioni di insicurezza e a volte di abbandono di un numero rilevante di edifici scolastici.
Si stima che oltre la metà degli edifici delle nostre scuole non siano in regola e periodicamente si ripropone l'attenzione dell'opinione pubblica su questo tema. Purtroppo devo dire che ciò avviene spesso all'indomani di eventi drammatici, calamitosi e tragici. Penso agli eventi sismici o alla tragedia di Rivoli risalente a poco tempo fa.
Allora venne in aula il dottor Bertolaso; egli aveva stimato che per mettere a norma gli edifici scolastici erano necessari circa 13 miliardi di euro. Da allora si è fatto poco o nulla. Si è destinato all'edilizia scolastica a rischio sismico un miliardo (stornato anche questo dai fondi FAS), ma ad oggi quelle risorse non sono state ripartite e in molte scuole - a proposito di realtà - siamo al fai da te, a genitori che imbiancano le pareti, riparano porte e finestre e sistemano bagni.
Si può fare un secondo scatto della nostra fotografia guardando al funzionamento delle scuole. È sufficiente leggere un po' di cronaca locale, o forse parlare con i nostri figli, con i colleghi e con gli insegnanti, e ne emerge un quadro a dir poco preoccupante. In molte scuole non si Pag. 19è in grado di far fronte alle esigenze di ogni giorno, al materiale didattico, al funzionamento delle palestre, delle biblioteche e dei bagni, al pagamento delle bollette del gas, della luce e dell'acqua. Anche qui si ricorre al fai da te e sovente sono i genitori che si organizzano con collette ed offerte per comprare il sapone e la carta igienica.
Terza fotografia: la scuola primaria. Quest'anno ci sono 6.900 alunni in più, ma sono state istituite 1.664 classi in meno (più alunni, meno classi). In un recente comunicato - lei sottosegretario lo ricorderà - il Miur dichiara che l'11 per cento delle classi prime è a 24-27 ore settimanali, il 58 per cento a 30 e il 31 per cento a 40 ore. Sono i vostri dati, forniti dal Ministero. E questo cosa significa? Che il modello delle 27 ore è stato scelto da una esigua minoranza delle famiglie italiane. Si può affermare, senza alcuna smentita, che il piano del Ministro è stato bocciato.
Siamo alla quarta fotografia: il personale, ossia l'argomento che interessa il provvedimento di oggi. Come è noto, la legge n. 133 del 2008 ha definito per la scuola statale un taglio triennale di migliaia di posti tra personale docente e personale ATA. Quest'anno (nell'anno appena iniziato, ossia il primo del triennio) sono stati tagliati - uso il termine tagliati - 42.104 docenti e 15.167 ATA per un totale di 57.271 unità. Posso fare l'elenco: 6.709 in Lombardia, 3.446 in Piemonte, 2.350 in Emilia Romagna e così di seguito. È un taglio di personale mai realizzato prima nella scuola italiana e questo, si badi, mentre aumentano gli studenti.
Riprenderò alcuni dati dell'onorevole Cazzola. Anche in questo caso ho i dati forniti dal Governo e dal Miur: il 29 settembre 2009 gli iscritti risultano essere 7 milioni 800 mila e, rispetto all'anno scorso, vi sono 37 mila alunni in più, un dato questo dell'aumento degli studenti - quel grafico che ricordava l'onorevole Cazzola - che tenderà a confermarsi anche nei prossimi anni. Dunque, aumenta la domanda di istruzione e si operano tagli. Il risultato è che vi sono meno classi, più numerose e con meno personale.
Questa fotografia potrebbe continuare con altri scatti: il primo dal titolo «alunni con disabilità»; un altro dal titolo «alunni con cittadinanza non italiana»; un altro ancora con il titolo «maestro unico». Questo album, tuttavia, appena abbozzato, ci dice che la scuola pubblica quest'anno è meno accogliente, inferiore a quella offerta lo scorso anno, dunque peggiore in termini qualitativi perché i tagli l'hanno cambiata e stravolta. L'azione educativa risulta frantumata, i contenuti disciplinari ridotti, la qualità delle relazioni educative meno efficace, dunque una scuola minima per una società invece più complessa e che richiederebbe più formazione. Perché tutto questo?
Ricordo anch'io qualche dato: lo Stato italiano spende il 7,4 per cento del bilancio pubblico per l'istruzione a fronte del 9 per cento dell'OCSE. Anche in questo caso, a proposito della pubblicazione dell'OCSE del 2008 «L'educazione sotto la lente», ci mostra l'Italia al ventisettesimo posto su 34 paesi analizzati per percentuale del PIL speso per la scuola: 4,7 mentre la media dell'Unione europea è il 5,5 e la media dell'OCSE è il 5,8 per cento.
L'onorevole Cazzola ha detto di aver letto il quaderno bianco del Governo Prodi. In quel quaderno le problematiche della scuola italiana sono vere, comprese quelle che riguardano i costi-risultati. Il quaderno non le nascondeva, le affrontava molto prima di questo Governo, ma guardava in faccia la realtà in modo più coraggioso e documentato. Quel quaderno riconosceva che il rapporto insegnanti/studenti era in Italia più alto che negli altri paesi, si analizzavano tutti i dati favorevoli, ma ciò non ha mai portato a decisioni, come state facendo voi, impulsive e autoritarie.
Sfogliando quel quaderno non si trova alcuna proposta drastica di tagli ai docenti, ma soluzioni diverse. Dunque, spendiamo meno che negli altri paesi, ma il Governo italiano ha invece ridotto questa spesa di 7 miliardi in tre anni su un budget annuale di 42 miliardi e questa riduzione si sta ripercuotendo, come era prevedibile, sul personale e sul funzionamento della Pag. 20scuola. Continuiamo a domandarci: ma è davvero così difficile capire che una scuola così impoverita rende il Paese tutto più povero? Perché non si comprende che la scuola, per essere motore sociale, ha bisogno di quelle risorse per educare, valorizzare e promuovere crescita, apprendimento e pari opportunità? So che questo appello rimarrà inascoltato, ma se la motivazione di tutto ciò sono le risorse e la spesa, se ancora una volta il Ministro dell'economia impone le sue scelte (oggi vedo che ha cambiato idea sulla teoria del lavoro e dei lavori flessibili), allora perché non utilizzate - lo ha detto una collega - le risorse dello scudo fiscale?
Avete approvato un provvedimento sbagliato e iniquo, che premia gli evasori e punisce gli onesti. State minando la coesione sociale, state avvelenando i pozzi della convivenza civile. Almeno quei soldi spendeteli bene e, dunque, utilizzateli per la nostra scuola, per i nostri figli, per il futuro di questo Paese. Lo ripetiamo, fermatevi, fermate i carri e discutiamo. Discutiamo senza i macigni dei decreti-legge e dei voti di fiducia. Discutiamo di come adeguare, cambiare e riformare il nostro sistema scolastico. Noi siano pronti a dare il nostro contributo, a partire da quel quaderno bianco e siamo per chiedere questo contributo all'intelligenza di questo Paese perché non può essere una buona riforma quella che si limita a ridurre le risorse e taglia classi e personale. Può forse essere utile a far tornare i conti al Ministro Tremonti, ma produce una scuola pubblica peggiore e, dunque, un Paese peggiore.
È partendo da queste valutazioni che nasce il nostro giudizio fortemente critico sul decreto-legge cosiddetto salva precari, che giunge oggi all'esame dell'Assemblea. Il giudizio è molto critico perché il provvedimento è - lo ha conosciuto il collega Cazzola e lo hanno riconosciuto i suoi colleghi in Commissione - limitato nel tempo (stiamo parlando di misure che riguardano l'anno scolastico 2009-2010) ed è limitato anche nel numero dei soggetti interessati (i precari coinvolti sono meno del 10 per cento dell'intera platea) e non a caso si è parlato di provvedimento «tampone». Non lo abbiamo detto noi, ma altri colleghi. È un provvedimento, inoltre, che divide, continuando in discriminazioni inaccettabili fra lavoratori.
Infine, è un provvedimento che ad oggi non sana e non risolve i problemi sollevati dalle sentenze dei TAR (oltre a Roma si sono pronunciate anche altre sezioni dei tribunali amministrativi).
Più che «salva precari» potremo chiamarlo «licenza precari» - riprenderò questo termine che ho capito indispettisce qualche collega - o «salva Gelmini» visto che il Ministro, come è noto, è stato commissariato.
Ma veniamo al merito. Nell'anno scolastico 2008-2009 risultavano occupati nelle 10.704 istituzioni scolastiche del nostro Paese 704.891 insegnanti e 167.123 personale ATA a tempo indeterminato, 200.828 a tempo determinato con incarico annuale fino al 30 giugno o fino al 31 agosto, non cito la differenza tra un personale e l'altro. A questo numero occorre aggiungere tutto il personale precario impegnato in supplenze temporanee per la sostituzione delle assenze, quantificabile in oltre 50 mila lavoratori. Dunque, colleghi, stiamo parlando di 250 mila precari. Il provvedimento che esaminiamo prevede 16 mila incarichi che rispetto ad una platea di 250 mila è dunque un numero assai limitato, abbondantemente al di sotto delle circa 60 mila assunzioni - ripeto, 60 mila assunzioni - che quel «quaderno bianco» e quegli atti che avevamo deliberato prevedevano nel processo di stabilizzazione che il Governo Prodi aveva previsto con la legge finanziaria 2007-2008, perché quel libro va letto tutto, anche nelle soluzioni che proponeva. Ricordo che proponeva appunto l'assunzione in tre anni di 150 mila docenti e 300 mila personale ATA.
Il Governo di centrodestra si è mosso nella direzione opposta: ha deciso di mandarli a casa. Dunque il provvedimento è una goccia nel mare del precariato: si limita a questo anno scolastico, non indica una strategia, non individua e non definisce le modalità del reclutamento e delle Pag. 21assunzioni. Il messaggio è chiaro: di doman non v'è certezza, cari precari, c'è la sicurezza dell'oggi che è quella dei tagli. Si tratta di lavoratori, uomini e donne, soprattutto donne, che negli anni hanno garantito il funzionamento della scuola, si tratta di lavoratori qualificati che hanno seguito corsi di aggiornamento e che hanno investito tempo, energie e denaro.
Il Presidente del Consiglio in più occasioni ha ripetuto che nella crisi nessuno sarà lasciato solo. Purtroppo, dico purtroppo, nei confronti dei precari della scuola non si può che parlare di licenziamento. Sì, perché la traduzione di parole come «tagli» o «esuberi» che si usano anche nel privato è appunto lasciati a casa, senza lavoro e dunque licenziati. Non si risolve il problema con i contratti di disponibilità e la disoccupazione. Anche qui, onorevole Cazzola, continuate a lasciarli soli perché, come emerge dalla circolare INPS pubblicata il 9 ottobre scorso (consiglio ai colleghi di leggerla), quella convenzione si applica solo a coloro che hanno i requisiti previsti dall'INPS per il sussidio di disoccupazione. Quindi nessuna risorsa aggiuntiva, né ampliamento della platea. Ripeto: nessuna risorsa aggiuntiva, né ampliamento della platea.
A proposto dei contratti di disponibilità e degli accordi tra Governo e regioni è palese il vostro tentativo di scaricare sulle stesse regioni le conseguenze della riduzione di organico che il Governo ha operato; fra l'altro con un problema che abbiamo sollevato che riguarda un accordo fra Stato e regioni che ancora non esiste per regolare le procedure e le modalità di intervento atte a garantire l'omogeneità degli accordi. Un rilievo questo tra l'altro contenuto come osservazione nel parere al nostro provvedimento espresso dalla Commissione per le questioni regionali e come condizione del parere della Commissione cultura. Li cito: «con riferimento all'articolo 1, comma 3, appare necessario inserire una disposizione volta a prevedere la possibilità di un coordinamento in sede di Conferenza unificata Stato-regioni allo scopo di armonizzare gli interventi posti in atto dalle regioni». Dunque due pareri della maggioranza che dicono in sostanza: così non va bene nemmeno per i contratti di disponibilità, bisogna cambiare; si usano solo termini un po' più dolci, come «armonizzare» e «coordinare».
Così non va bene nemmeno per l'emendamento del relatore, onorevole Pelino, successivo alla sentenza del TAR del Lazio che impone l'inserimento a pettine nelle graduatorie approvate. Non va bene perché la trasformazione in norma della direttiva non risolve né il problema né i contenziosi, anzi rischia di generare una nuova spirale di ricorsi e di arrecare un danno e un buco nei conti pubblici. Anche in questo caso mi avvalgo dell'opinione della maggioranza e cito: "Auspico che il rappresentante del Governo, durante l'esame del provvedimento in Assemblea, possa tenere in debita considerazione le questioni poste nella seduta odierna attraverso la presentazione di proposte di modifica al testo che siano adeguate a far fronte alle specifiche e variegate esigenze del settore scolastico.
Si tratta di individuare soluzioni normative che consentano di contemperare i rilievi di carattere costituzionale che sono stati sollevati, evitando di esporre l'Esecutivo al rischio di ulteriori contenziosi, ma nel contempo di assicurare lo svolgimento corretto dell'anno scolastico. Ho citato, rifacendomi ai resoconti, una parte dell'intervento conclusivo del presidente della Commissione lavoro, onorevole Moffa, che conclude auspicando, in ogni caso, un alto grado di condivisione ed invitando i membri della Commissione a rinviare all'esame in Assemblea l'ulteriore approfondimento della questione. Dunque così non va, siamo in attesa di un nuovo testo, onorevole Pelino.
Un ulteriore approfondimento in Aula merita poi il comma 1, dell'articolo 1, il quale prevede che «I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo Pag. 22indeterminato e consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima della immissione in ruolo». Su questo punto abbiamo a lungo discusso in Commissione e, come è noto, vi sono fondati motivi per ritenere che tale norma sia in contrasto non solo con la normativa europea, ma anche con quella italiana. Va ricordato, tra l'altro, o almeno sarebbe auspicabile, che nella genesi del provvedimento in esame questo comma era funzionale, lo sanno bene i colleghi del Governo e della maggioranza, all'inserimento di questa materia nel cosiddetto decreto Ronchi. Poi, come è noto, il Governo ha dovuto prendere atto dei rilievi relativi all'estraneità di materia e provvedere con un decreto apposito, ma questo comma è rimasto.
Siamo di fronte ad un parere del Comitato per la legislazione, l'onorevole Pelino l'ha ricordato, secondo cui è necessaria una riflessione. Ricordo queste valutazioni svolte dall'onorevole Pelino che sempre su tale questione, dopo un'ampia e approfondita discussione in Commissione lavoro, insieme con i colleghi della Commissione cultura ed anche con il presidente, su cui noi abbiamo convenuto, ha riflettuto sulla necessità di un ulteriore approfondimento impegnando il Governo a presentare per l'Aula una soluzione diversa da quella formulata nel testo. Ciò perché, come avremo modo di argomentare nel dettaglio, anche con l'esame dei nostri emendamenti, è evidente che siamo di fronte ad una doppia discriminazione: si stabilisce l'impossibilità del passaggio in qualsiasi caso dei contratti a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato - ciò, anche se Tremonti ci dice altre cose - e si esclude ogni possibile progressione ai fini retributivi, ogni possibile ricostruzione di carriera, fuorché per una parte degli insegnanti.
Colleghi, noi siamo per elevare i diritti, per estendere i diritti, e per questo abbiamo proposto l'estensione a tutti i lavoratori precari di un diritto, ma se ciò non avverrà ci troveremo di fronte ad una palese disparità che aprirà la strada anche qui ad ulteriori contenziosi. Anche in questo caso ci riserviamo di valutare il testo del Governo e della maggioranza.
Presidente - mi avvio a concludere -, in Commissione lavoro, ma di fatto abbiamo esaminato questo provvedimento congiuntamente insieme ai colleghi della VII Commissione, abbiamo svolto un lavoro che noi giudichiamo utile, sia attraverso una prima fase di audizioni, sia con un'ampia discussione generale, sia, infine, con un esame approfondito degli emendamenti. Questo modo di lavorare ha consentito un confronto di merito che ha portato anche a condividere, con l'approvazione unanime, emendamenti migliorativi che noi abbiamo presentato e che hanno presentato altre forze di opposizione e abbiamo migliorato il testo iniziale. Mi riferisco, in particolare, all'emendamento cosiddetto sui centottanta giorni che estende la platea dei beneficiari. Abbiamo apprezzato il modo con il quale il presidente ha condotto i lavori e condiviso il suo auspicio finale - anche qui cito - «che dall'esame dell'Assemblea possano appianarsi le questioni più controverse che ancora permangono».
Il gruppo del Partito Democratico ha dato il suo contributo: lo ha fatto partecipando attivamente ai lavori, evidenziando le critiche, la ferma contrarietà a parti significative del provvedimento, e presentando, attraverso gli emendamenti, proposte di modifica tese a migliorare il provvedimento e, qualche volta, a ridurre il danno. Siamo una forza di opposizione che si confronta nel merito dei problemi, l'abbiamo fatto anche in quest'Aula su questi temi della scuola con la mozione che abbiamo presentato, e lo faremo in Aula in questi giorni, a partire già, come stiamo facendo, da questa discussione sulle linee generali. Certamente per farlo abbiamo bisogno che, a partire dagli aspetti ancora più controversi che ho citato, il Governo e la maggioranza, formalizzino i nuovi testi, ci consentano di conoscerli, valutarli, approfondirli ed eventualmente emendarli.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, siamo dunque in Aula con un ennesimo decreto-legge di cui non ricordo Pag. 23il numero (45, 46, 50, 53...). Lo abbiamo detto in Commissione all'inizio e alla fine dei nostri lavori, lo abbiamo chiesto al Governo e al Presidente e lo voglio ripetere qui: sarebbe inaccettabile un ennesimo voto di fiducia; sarebbe un'offesa al lavoro che abbiamo svolto e che dimostra, invece, che il Parlamento (dunque anche i parlamentari) e il nostro lavoro sono utili. Sarebbe un'ennesima presa in giro prima di tutto dei soggetti del provvedimento, ovvero i precari della scuola che si aspettano da noi una soluzione ai loro problemi. Sarebbe uno schiaffo all'opposizione (a questo ci siamo abituati), ma in primo luogo lo schiaffo sarebbe per le forze di maggioranza. Mi auguro che ciò non accada, in quanto ci sono tutte le condizioni perché l'Assemblea esamini nel merito il provvedimento. Dico sommessamente che, se fosse posta la questione di fiducia, noi ne trarremmo le conseguenze in Aula, in sede di Comitato dei nove e in Commissione. Aggiungo, inoltre, che non potremmo essere i soli, perché la fiducia significherebbe sconfessare ciò che abbiamo fatto e gli impegni che ci siamo assunti tutti in Commissione e dunque, sarebbe inevitabile che anche altri ne traessero le conseguenze (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, ritorno ben volentieri in Aula per discutere sulla vexata quaestio che riguarda i precari della scuola. Noi parlamentari dell'Italia dei Valori, infatti, siamo abituati a stare a fianco dei cittadini, a seguire i loro problemi e le cose vere che interessano il nostro Paese. Per la verità, io l'ho fatto personalmente fuori dal Parlamento, dormendo all'addiaccio per due notti per stare a fianco dei precari della scuola di Benevento nella loro lotta. Mi riferisco a quei precari che occuparono il terrazzo del provveditorato degli studi di Benevento, diventando proprio il simbolo della lotta dei precari della scuola: le «leonesse del Sannio», così furono chiamate le precarie che occuparono e che rimasero lì per diversi giorni e diverse notti per difendere delle ragioni vere, serie e autentiche. Non mi riferisco solo alle loro ragioni, ovvero le ragioni dei lavoratori che vengono messi in discussione, ma soprattutto a quelle in difesa della scuola pubblica.
Voglio leggervi un documento dei precari di Benevento del 6 luglio 2009, inviato al sottosegretario al lavoro, il senatore Viespoli, e all'onorevole De Girolamo perché beneventani. I precari si rivolgevano a loro per evidenziare il disastro che il Governo di centrodestra berlusconiano sta facendo nella scuola. Con questo sciagurato provvedimento, infatti, in Italia perdono il posto di lavoro 42.368 persone e solo in Campania 5.645 persone non avranno più una cattedra, mentre nella sola provincia di Benevento la cifra ammonta a circa 400, per dare un po' la misura del disastro che si sta verificando.
È il più il grande licenziamento di massa che sia mai stato fatto nella storia della Repubblica italiana, che va ad incidere sull'industria del sapere. È davvero raccapricciante ciò che hanno fatto, con questo provvedimento, il Governo Berlusconi e la maggioranza parlamentare, che ha avallato vari provvedimenti, tra i quali quello che oggi è in discussione.
Specialmente quando sono stato a Benevento, mi hanno fatto notare l'importanza della scuola, soprattutto in quei comuni di montagna e dell'entroterra, dove la scuola rappresenta tutto, dove i bambini e gli studenti hanno bisogno della scuola perché è l'unico punto di riferimento, perché troppo spesso, anzi sempre, va addirittura a riempire delle carenze e dei vuoti dello Stato, della famiglia e della società. Infatti, la scuola è il punto di riferimento unico di un ragazzo, un giovane, uno studente, uno scolaro, in un piccolo paese di montagna o dell'entroterra.
Pensate anche alle grandi metropoli: immaginate a Napoli, dove anziché togliere i ragazzi dalla strada, quindi prolungando Pag. 24l'orario di scuola e aumentando il tempo prolungato, investendo in scuola, mettendoci più scuola, si gioca in retromarcia, consentendo ai ragazzi di andare per strada, per cattive strade. Infatti, immagino nei quartieri di Scampia e di Secondigliano che cosa significhi tenere i ragazzi per strada, a perdere tempo con cattive compagnie, quando invece sarebbe veramente salutare tenerli a scuola con un tempo prolungato, con ulteriori ore di insegnamento, con ulteriore impegno, formazione e istruzione.
Ebbene, con questo documento, le precarie della scuola di Benevento dicono che tale manovra impoverirà non solo la qualità dell'istruzione, ma causerà il mancato rinnovo di diversi contratti annuali ai docenti precari della scuola e del personale ATA. Insegnanti, vincitori di uno o più concorsi, abilitati, perfezionati e che da decenni lavorano con contratti a termine dal 1o settembre al 30 giugno dell'anno successivo, vedranno non sono svanire la possibilità di un'assunzione a tempo indeterminato, ma rischieranno seriamente la disoccupazione: anni di sacrifici spesi al servizio dello Stato verranno ricompensati con il licenziamento. Governo Berlusconi, grazie per aver licenziato tanti docenti, che per anni hanno servito lo Stato. Tutti questi precari vi ringraziano. Tutti i precari che finiranno per strada ringraziano questo Governo di centrodestra e Berlusconi.
Dunque, visto che si propongono grandi soluzioni, perché il nostro Premier Berlusconi-Mago Zurlì non pensa di inventarsi qualcosa anche per questi cassintegrati, per i precari futuri disoccupati, per questi nuovi licenziati? Che cosa si vogliono inventare? Vi pare possibile che ci sia qualche azienda che assuma personale della veranda età di quarantacinque o cinquant'anni? Questi precari della scuola non chiedono autocommiserazione, ma manovre alternative, vogliono alternative, non il lavoro nero, sottopagato e sfruttato. Questo è ciò che rimane dopo aver speso anni di servizio senza alcun demerito per uno Stato, per il Governo Berlusconi, che ora si dimentica dei precari della scuola. È da quindici anni che dura questa storia. Da quindici anni dovevate dire ai precari della scuola che per loro non c'era più speranza. Invece, è stata sempre garantita loro un'assunzione, anche se tardiva: un'assunzione tardiva, ma certa.
Si sta scherzando con la pelle dei lavoratori, ma non solo; si scherza anche con l'economia del nostro Paese, perché essa sarà resa ancora più fragile. Infatti, questi futuri ex lavoratori dello Stato non potranno permettersi di sopravvivere con uno stipendio, viene negato loro anche il futuro da precari.
Sapete cosa succederà? I genitori dei precari della scuola senza lavoro dovranno utilizzare le loro pensioni per aiutare i precari della scuola disoccupati e in difficoltà. Con questa manovra, quindi, si contribuirà ad aumentare lo stallo dell'economia.
Si parla tanto di aumentare i consumi e di incentivarli, ma i consumi si incentivano se nelle tasche di coloro che dovrebbero consumare si mette almeno uno stipendio, anche da precario, ma uno stipendio. Invece voi, con questa modalità, con questa grande invenzione, l'ultima, quella di tracimare il denaro della scuola, state togliendo anche quest'ultima possibilità, perché state sottraendo 8 miliardi di euro ai lavoratori della scuola, agli insegnanti e ai lavoratori ATA.
Quale sarà l'alternativa? Questi lavoratori dovranno lavorare gratis o per la sola copertura delle spese minime, pur di garantirsi 12 punti per le scuole private. Ormai è chiara la vostra tendenza, quella del duetto Gelmini-Berlusconi. È una situazione che acuisce solo il problema e che permette ai titolari degli istituti privati di usufruire di personale qualificato a costo zero.
Questa è l'altra gravissima speculazione politica, perché recentemente il Ministro Gelmini ha deciso di incrementare le risorse per le istituzioni private, mentre all'istruzione pubblica sono stati sottratti, come vi dicevo, 8 miliardi di euro.
Questo non avviene in nome della qualità, anzi, è a discapito della qualità della scuola. Ritenete che aumentare il numero Pag. 25degli alunni per classe sia indice di qualità e di sicurezza, considerando le dimensioni ristrette delle aule? Ritenete sia un'eccellenza diminuire il monte orario e l'offerta formativa? Non credete, invece, che sia necessario ampliarla, caso mai aumentando il tempo scuola e gli investimenti?
Ebbene no, perché il Governo Berlusconi ha deciso di tagliare 8 miliardi alla scuola; probabilmente, il Governo Berlusconi lo ha fatto perché, in parallelo, ha fatto un'altra operazione: ha finanziato per 5 miliardi di euro Gheddafi e la Libia. Probabilmente, Berlusconi vuole smantellare l'industria del sapere e vuole allestire un nuovo club, il club de «I dittatori al mondo». Ecco perché, probabilmente, ha tolto 8 miliardi alla scuola, all'insegnamento, alla formazione, agli insegnanti, ai precari, e, invece, li ha dati a Gheddafi, alla Libia, ai dittatori!
Noi, naturalmente, contestiamo dentro e fuori il Parlamento queste iniziative, perché con esse si toglie il futuro anche da precari ai precari della scuola, anche se sul settore dei precari il Governo Berlusconi ha le idee molto chiare, perché, mentre da un lato addirittura cancella i precari della scuola, dall'altro lato, nell'informazione, comincia a sollecitare, a far crescere, a far venir fuori il nuovo profilo del precario. È capitato infatti l'altro giorno con il caso del giudice Mesiano: il programma è stato realizzato per il Tg5 da una giovane precaria giornalista. Questa è la nuova tendenza e così si ha uno squarcio ben preciso di dove si vuole arrivare.
Berlusconi sta cercando di «smontare» i giornalisti effettivi, quelli che hanno più tutele, quelli che hanno più garanzie, e comincia probabilmente ad inquadrare anche la sua struttura, Mediaset e le sue televisioni, indirizzandole verso i precari. Li smonterà, li metterà in un angolo e infatti vi è un'iniziativa che tenta di creare una grande agenzia per le news sul digitale, che assorbirebbe tutto il personale giornalistico delle tre televisioni, TG5, TG4 e del telegiornale di Italia 1, con grandi ripercussioni negative anche per i cameraman e per i montatori. Perché? Perché sta cercando di ridimensionare e di piegare l'informazione, tanto è vero che Pier Silvio Berlusconi, in un'intervista a Milano Finanza, ha detto che vi sono esuberi e ridimensionamenti organici da fare nelle tre televisioni berlusconiane.
Si tratta di un modo di ragionare in cui da un lato si mandano a casa i precari senza futuro, da un altro si vuole ridimensionare, anche con questa modalità, l'informazione, i giornalisti, quelli effettivi e a tempo indeterminato, avviando quindi probabilmente un processo di pensionamenti o prepensionamenti, ed affidarsi ai precari giornalisti, come è capitato alla giornalista precaria che ha fatto il servizio sul giudice Mesiano. E si vede in questo caso come sono ricattabili, come sono condizionabili, come sono fragili i giornalisti precari; e nell'informazione si vogliono i giornalisti precari.

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, le ricordo che stiamo discutendo di un decreto-legge sui precari della scuola. Si attenga all'oggetto della discussione, la prego (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

FRANCESCO BARBATO. E infatti sto parlando dei precari ...

PRESIDENTE. Del mondo dell'informazione. Stiamo ascoltando tutti. È libero ovviamente di farlo, non voglio entrare nel merito; però il Regolamento è molto puntuale al riguardo. Siamo nel corso di una discussione sulle linee generali, dobbiamo discutere del decreto-legge sul servizio scolastico: ovviamente va bene un parallelo, però mi sembra che stia andando fuori tema. Comunque la prego di attenersi all'ordine del giorno. Prego, prosegua pure.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, capisco che il Parlamento non deve avere più un ruolo, perché dobbiamo semplicemente ratificare i decreti-legge che ci arrivano dall'inquilino qui a fianco di Palazzo Chigi, da Don Silvio; però, per la verità, se dobbiamo solo ratificare, quanto meno non proibiteci, ai sensi l'articolo 68 Pag. 26della Costituzione, almeno di esprimere il nostro pensiero. O volete fare anche questo? Potete farlo, ma modificate la Costituzione e toglierete la parola ai parlamentari, non li farete votare più, e farete quindi tutto quello che si fa in una dittatura; tanto, 5 miliardi sono stati dati a Gheddafi e 8 miliardi vengono tolti alla scuola: farete il club dei dittatori e va bene così.
Però, se vediamo all'ordine del giorno un provvedimento che riguarda i precari, allora di che cosa dobbiamo parlare? Dobbiamo parlare degli astronauti, o dobbiamo parlare del vino? Non lo so. Dobbiamo parlare di altre cose? Io voglio parlare dei precari, dell'occupazione, perché il provvedimento in esame, forse non ve ne siete ancora accorti, incide in modo gravissimo anche sull'economia del nostro Paese, avvia una distruzione di massa di lavoratori, è il più grande licenziamento di massa! Se precari vi sono in quel settore, vi sono oggi nuovi precari nell'informazione, rispetto cui è normale fare un minimo di parallelo; altrimenti ho l'impressione che qui non si voglia far sapere ai cittadini come stanno le cose, e quello che fa la maggioranza parlamentare di centrodestra!
E bene hanno fatto ad esprimersi in due comunicati i giornalisti del TG5, che non hanno condiviso questo modo di fare informazione, che hanno preso le distanze; specialmente nel secondo comunicato, dove una ventina di giornalisti di Mediaset prendono le distanze da questo modo di fare informazione: non ha senso voler piegare i giornalisti e il loro lavoro a logiche che non hanno a che fare con il loro mestiere, è una logica che a questa presa di posizione...
Rispetto a questa presa di posizione devo, tra l'altro, registrare anche in Italia una certa assenza. Infatti, di fronte a queste cose che dovrebbero immediatamente far venir fuori la sensibilità democratica, non ho visto manifestazioni di solidarietà né comunicati a favore di questi giornalisti che si stanno ribellando e il loro è un gesto coraggioso. Infatti, agire così in casa Mediaset, al TG5 o al TG4 o a Italia 1 è gravissimo e pericolosissimo per costoro. Per questa ragione noi dell'Italia dei valori cominciamo già da stasera a comunicare la nostra solidarietà a questi giornalisti per ciò che sta succedendo anche nell'informazione e staremo al loro fianco.
Ritornando invece in argomento, dopo aver fatto questo paragone (stiamo parlando sempre del mondo della cultura perché chi scrive, chi racconta, chi fa il giornalista ha bisogno di formazione e di cultura), si ha l'impressione - anzi non è un'impressione, ormai da un anno e mezzo è chiaro - che il disegno berlusconiano tenti di ridimensionare sempre più la scuola perché in essa si sviluppa il futuro dei giovani, la cultura e l'intelligenza. Si tratta di un modello che si chiude a morsa di tenaglia perché, in un certo qual modo, si sta mortificando, in un disegno complessivo, l'intellighentia italiana ovvero le persone che usano il cervello e la ragione. È per questo motivo che si sta cercando di smantellare la scuola pubblica, perché nel modello berlusconiano si pensa ad una società diversa, ad una società fatta di veline, ad una società di plastica, ad una società leggera, dove non c'è bisogno di insegnanti preparati e capaci che insegnino qualcosa ai ragazzi. In questo tipo di società che Berlusconi immagina e che sta propinando agli italiani si impara dalla televisione, guardando il Grande fratello, le trasmissioni che purtroppo siamo abituati a vedere, Amici, questa roba qui. Ma è mai possibile che si debba buttare così, in un pozzo, tanta formazione, tanta capacità, tanta competenza? È mai possibile che si debba cancellare una scuola pubblica? Perché non continuare invece ad investire nella scuola, in formazione, in ricerca come fanno tutte le grandi potenze europee occidentali democratiche. Il futuro di una società è nella scuola, nella formazione e nella ricerca. Allora è chiaro il disegno! Se, inoltre, il Parlamento approvasse il decreto-legge n. 134 del 2009 relativo ai precari della scuola, ciò significherebbe che davvero sta arrecando, in modo grave Pag. 27ed irreparabile, un danno ai tantissimi lavoratori italiani, ai precari della scuola.
Tale decreto non solo colpisce i lavoratori ma arreca un danno incommensurabile al tempio delle società moderne ed evolute che è la scuola. Ciò significa che il progetto berlusconiano che si sta posando sugli italiani mortificherà sempre di più l'intelligenza, la libertà, la cultura, la coscienza, la competenza, la professionalità e la meritocrazia che se ne vanno a finire a quel paese. Probabilmente, con il modello berlusconiano e con il tipo di società che ci si sta proponendo non ci sarà più bisogno di esami, non ci saranno più prove e l'unico provino che conterà è il provino della «gnocca».

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Centemero. Ne ha facoltà.

ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi richiamo all'intervento svolto in precedenza dall'onorevole Cazzola, che ha messo in luce, con una lucida analisi, quanto la barra della nostra azione politica debba essere, per quanto riguarda la scuola, riportata sul problema del personale della scuola stessa, il quale utilizza il 97 per cento delle risorse finanziarie a disposizione del MIUR. Voglio ricordare che la scuola non è composta solo da insegnanti: la scuola è una comunità educante, cioè una comunità formata da studenti, da docenti, dal personale amministrativo ed anche dalle famiglie, e quindi le risorse finanziarie - e le risorse in genere - devono essere impiegate per tutte queste componenti (e non solo per una di esse).
Il decreto-legge che stiamo esaminando e discutendo in quest'Aula - e che abbiamo discusso in Commissione nei precedenti giorni - costituisce una risposta d'urgenza ed una soluzione concreta e tempestiva alle criticità che all'inizio di quest'anno scolastico sono emerse in sede di supplenze e di riconferma degli incarichi assegnati nel precedente anno scolastico.
Il presente decreto-legge si rivolge proprio a quel personale che, l'anno scorso, era destinatario di un contratto a tempo determinato (voglio ribadire, a tempo determinato, e quindi proprio per questo non possiamo utilizzare, come ha ricordato l'onorevole Fedriga in precedenza, il termine «licenziamento»), con supplenze annuali al 31 agosto o al termine dell'anno scolastico, e quindi sostanzialmente al 30 giugno.
Grazie a questo decreto-legge, in via prioritaria questi precari potranno ottenere supplenze temporanee e, indipendentemente da quella che sarà la reale durata delle supplenze, l'attribuzione di un punteggio pari all'intero anno scolastico (e quindi un punteggio di 12 punti).
A questo personale si aggiunge inoltre anche quel personale che l'anno scorso era titolare di una supplenza di 180 giorni, nominato dalle graduatorie delle scuole.
All'interno di questo decreto-legge viene anche prevista la possibilità che il personale precario venga utilizzato da progetti messi in atto dalla regione, a partire chiaramente dagli accordi con il MIUR (all'interno della Commissione cultura si è indicata, come condizione di parere, la specificazione dei contenuti attivabili dalle amministrazioni scolastiche, nonché la previsione della possibilità di un coordinamento in sede di Conferenza unificata Stato-regioni, proprio allo scopo di armonizzare gli interventi posti in atto).
Voglio ricordare che questo provvedimento riguarderà tutti i 18 mila docenti che lo scorso anno erano titolari di una supplenza annuale e che, grazie proprio al provvedimento Gelmini (ossia al decreto-legge ora al nostro esame), verranno riconfermati con un contratto a tempo determinato. Voglio inoltre ricordare che ci troviamo di fronte ad un problema annoso e certo ad una soluzione d'urgenza, ma che per la prima volta la norma che stiamo esaminando si propone, in coerenza con gli indirizzi del Governo, di trasformare politiche passive di carattere assistenziale in politiche attive di lavoro.
Grazie anche ad un accordo tra INPS e MIUR, il personale interessato ha diritto ad un'indennità di disoccupazione mentre Pag. 28durante i periodi di supplenza ha diritto alla normale retribuzione prevista dal contratto per il comparto scuola.
Con questa scelta il Governo ha cercato di stabilizzare personale docente qualificato (perché in possesso di titoli e di esperienze pluriennali consolidate) che, nei prossimi anni, sarà destinatario di assunzioni a tempo indeterminato grazie al forte turnover dovuto appunto ai pensionamenti. Questa stabilizzazione viene però collegata all'esigenza di razionalizzazione e di riqualificazione della spesa pubblica, e quindi ad una logica.
Il Governo stesso, nella mozione che recava la mia firma ma che era stata presentata congiuntamente dal PdL e dalla Lega, ha recepito due indirizzi che appaiono prioritari per la definizione di una nuova politica per l'assunzione del personale della scuola.
Innanzitutto, si deve completare rapidamente l'iter di adozione del regolamento sulla formazione iniziale dei docenti, proprio con lo scopo di pianificare, attraverso la programmazione, il fabbisogno di docenti e, quindi, evitare l'insorgere di un nuovo precariato. Si tratta di una nuova visione della politica e del reclutamento nella scuola. Inoltre, si deve definire un piano di immissione in ruolo che, in relazione al blocco del nuovo precariato, esaurisca progressivamente le graduatorie, anche al fine di avviare un sistema di reclutamento regionale che privilegi il merito e la continuità didattica. Quest'ultimo aspetto è particolarmente interessante proprio perché risponde al principio di proporzionalità previsto nell'applicazione delle direttive europee che, dunque, non sono violate.
Inoltre, il principe del conferimento delle supplenze che viene poi espletato e declinato dal decreto ministeriale n. 82, prevede il principio della territorialità. È un principio importantissimo e innovativo. I docenti potranno scegliere un numero di distretti, da due a sei, a seconda della provincia, e solo nelle scuole di tali distretti potranno svolgere le loro supplenze; anche questo nell'ottica di un aspetto innovativo che è quello delle reti scolastiche. Si è cercato, in questo modo, essendo già iniziato l'anno scolastico, di garantire il regolare svolgimento delle lezioni, di rispettare il diritto alla continuità didattica e, al tempo stesso, si è introdotto un altro elemento innovativo: l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Il problema del precariato deriva proprio da questo mancato un incrocio tra domanda e offerta di lavoro nelle scuole che non ha comportato la programmazione del bisogno di docenti e di personale amministrativo da parte delle parti politiche e delle categorie sindacali. La mancata programmazione ha portato con sé la crescita indiscriminata della domanda rispetto al numero delle cattedre e dei posti realmente disponibili. A questo problema non si è mai voluto trovare una soluzione reale e concreta, anzi si è preferito e si scelto di perpetrare per anni un sistema caotico d'immissione in ruolo, creando e vanificando al tempo stesso prospettive di lavoro e, soprattutto, scelte professionali, di centinaia e di migliaia di giovani.
Il Governo Berlusconi si è, quindi, trovato, ad ereditare 270 mila precari inseriti in queste famose e fatidiche graduatorie ad esaurimento provinciale di tutti i gradi scolastici. È una situazione davvero paradossale, che per essere gestita richiede una riforma dell'intero sistema di reclutamento; una riforma seria e responsabile che non può non tener conto dell'attuazione del titolo V della Costituzione, dunque di una applicazione regionale.
Per quanto riguarda più specificamente la materia di diritto europeo, vorrei ricordare che nell'accordo quadro CES-UNICE-CEEP sul lavoro a tempo determinato, recepito nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, si afferma il principio di trattamento non meno favorevole dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato comparabili, a meno che - si dice testualmente - non sussistano ragioni oggettive. Vorrei ricordare che la Corte di giustizia delle Comunità europee, per quanto attiene alla nozione di ragioni oggettive, non precisa quali esse siano, anzi ne dà un'indicazione di carattere Pag. 29estremamente generale, dichiarando testualmente che la nozione di ragione oggettiva deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività, e tali da giustificare, in un contesto particolare, l'utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione; è esattamente quello che concerne la differenza tra cattedra di fatto e di diritto.
Il rapporto di lavoro che si instaura tra docente supplente e amministrazione scolastica ha dei caratteri del tutto peculiari, tali da giustificare un diverso trattamento, e, oltretutto, le supplenze nel settore della scuola sono caratterizzate da una disciplina speciale e separata. Le supplenze si hanno in assenza del titolare di cattedra, tant'è vero che si parla di cattedre di fatto, e i vari periodi di servizio sono attinenti a distinti contratti di lavoro.
La Corte di giustizia europea inoltre, nell'indicazione generica di ragione oggettiva, rimanda a ciascuno Stato membro e al Governo di quello Stato membro rimanda appunto l'onere della prova (ossia l'onere di indicare le ragioni per cui si parla di ragione oggettiva) e di provare la peculiarità del lavoro a tempo determinato, cosa che il nostro Governo e il nostro Ministro hanno fatto.
Per quanto riguarda l'applicazione della direttiva europea cui facciamo riferimento (la n. 1999/70/CE), essa va interpretata non in senso rigido e stringente ma secondo il principio di proporzionalità; gli strumenti e gli obblighi previsti in capo agli Stati membri devono essere proporzionati all'obiettivo che la direttiva si propone di raggiungere, dunque non si possono porre agli Stati membri obblighi che non siano strettamente giustificati e motivati dall'obiettivo da raggiungere. In questo caso, l'obiettivo è la parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato nella scuola, ma sussistono ragioni oggettive per cui i due tipi di contratti non sono comparabili. L'obbligo va dunque interpretato secondo il principio della proporzionalità. Vorrei ricordare inoltre qual è il nostro sistema di reclutamento. Diventare docente oggi in Italia presuppone un percorso universitario, un sistema di abilitazione all'insegnamento, un sistema di reclutamento basato su graduatorie provinciali ad esaurimento; una modalità di accesso che consiste in che cosa? In liste di attesa decennali, forse peggio, ventennali, che non valorizzano per niente il docente sul merito, le sue capacità didattiche e organizzative, ma che valorizzano solo l'anzianità di servizio, i punteggi, i titoli di specializzazione acquisiti magari con corsi on line. Ora rispetto al Paese noi abbiamo una grande responsabilità, ma l'abbiamo anche rispetto al sistema di formazione e d'istruzione.
Dobbiamo fare chiarezza su un tema molto importante: quali sono state le scelte politiche, le responsabilità politiche che ci hanno portato a questa situazione, ad istituire questo sistema di reclutamento, e soprattutto a perpetrarlo e a mantenerlo. Per anni i Governi di centro e di sinistra hanno visto la scuola semplicemente come un ammortizzatore sociale. Mi dispiace usare questo termine per la scuola, ma è quello che è stato fatto. È stato favorito a dismisura l'allargamento del personale nominato per supplenze, privo di titoli di abilitazione. Periodicamente, a partire dagli anni Settanta, mossi soprattutto dalla pressione esercitata dai precari, i Governi di centro e di sinistra hanno istituito corsi abilitanti speciali a prescindere da quello che era il reale bisogno di personale della scuola. Quindi, tutti potevano accedere indiscriminatamente, senza pensare a quella che era la reale domanda della scuola, dunque secondo una logica clientelare.
Queste scelte hanno avuto il solo esito di far lievitare i numeri del personale con l'aspirazione al cosiddetto ruolo, al posto fisso, giungendo addirittura ad un paradosso: quello di consentire l'iscrizione in graduatoria con riserva a tutti quelli che si erano iscritti al primo anno di percorsi universitari di scienze della formazione. Oggi noi cosa abbiamo? Abbiamo un sistema di reclutamento che prevede che i docenti possano accedere a cinque graduatorie: una ad esaurimento con il proprio Pag. 30punteggio; tre graduatorie ad esaurimento provinciale in coda; una graduatoria di istituto o di circolo, a seconda del punteggio dell'abilitazione. Abbiamo un sistema che non ha programmato l'ingresso nelle graduatorie. Abbiamo cristallizzato un sistema di accesso all'insegnamento tramite il doppio canale di reclutamento, con la copertura del 50 per cento dei posti mediante concorso (l'ultimo dei quali svoltosi nel 2000), e dell'altro 50 per cento attingendo dalle graduatorie provinciali; vi è la possibilità, dopo essere diventati di ruolo, di rimanere inseriti in altre graduatorie di concorso, quindi chi diventa di ruolo in una classe di concorso può continuare ad intasare le graduatorie di altre classi di concorso per tutti gli ordini di scuola.
Dopo la chiusura delle scuole di specializzazione per l'insegnamento (le SIS, anche queste istituite senza programmare il fabbisogno) il regolamento per la formazione iniziale è ora fermo.
Siamo di fronte ad un sistema estremamente complesso, caotico, dalle mille opzioni, dai mille rivoli, un sistema che soprattutto si è dimostrato inefficace e inefficiente e che non pone al centro né i nostri studenti e la loro formazione né i nostri docenti. Un sistema che per tutelare il diritto alla mobilità dei docenti prevede utilizzi di docenti su altre cattedre: l'immissione in ruolo su una cattedra e l'utilizzo e l'assegnazione provvisoria da altre parti. Questo non perché la cattedra di titolarità si trovi a mille chilometri di distanza, ma magari perché è nel paese vicino a quello dove si abita. Ciò ha creato soltanto mancanza di continuità didattica: ogni anno gli studenti sono costretti a cambiare insegnante. Il turnover dei supplenti annuali ha avuto lo stesso effetto.
Questo sistema, che la rappresentanza di parte sindacale e la sinistra sta difendendo ad oltranza, nasconde dietro la difesa del lavoro dei precari un'ottica estremamente conservatrice perché vuole mantenere e consolidare una modalità di assunzione che non risponde più né ai bisogni della società né ai bisogni della scuola. Quindi, tale sistema non garantisce una scuola pubblica, cioè una scuola di tutti e non dà pari opportunità a tutti.
Questo è un sistema che non permette soprattutto ai giovani preparati e formati di accedere alla professione dell'insegnamento. È un sistema che garantisce soltanto i diritti acquisiti ma tradisce vocazioni, talenti e futuro.
Noi abbiamo un'idea di scuola diversa. Non abbiamo la vostra idea di scuola. Abbiamo un'idea di scuola che non è quella del Quaderno bianco. È un'altra. Ci saranno degli utili suggerimenti, aspetti che si possono tenere in considerazione, ma noi vogliamo un altro tipo di scuola.
La nostra idea di scuola vuole proiettare i giovani verso il futuro perché li pone al centro delle scelte politiche per la scuola ed educative della scuola. Una scuola che fornisce competenze di base, ma che dia anche ai giovani senso critico, li apra all'Europa, al mondo, li orienti al ruolo che devono ricoprire nella società e nell'economia anche grazie al contatto diretto con l'impresa come ci suggerisce anche l'Unione europea, che insegni inoltre strumenti e categorie etiche per essere cittadini attivi e responsabili.
Ricordo che, nell'audizione presso la Commissione VII, il Ministro Gelmini ci ha detto di aver stanziato 2 milioni di euro per l'orientamento, un'attività importantissima per far sì che i nostri giovani sappiano scegliere quali percorsi formativi li portino alla definizione e determinazione del loro futuro. Una scuola che si faccia anche carico dei diversamente abili e che integri gli alunni migranti. Tant'è vero che il Ministro stesso, sempre nell'audizione di fronte alla Commissione VII, già in relazione agli insegnanti di sostegno ci ha comunicato che il rapporto di 2 a 1 tra docenti e alunni diversamente abili è perfettamente rispettato e, in particolare, è pari ad una percentuale di 1,97. Questo anno per insegnanti di sostegno sono state aggiunte 5 mila posizioni in organico di diritto.
Quest'idea di scuola esige un'organizzazione diversa e nuova e tale organizzazione per essere efficace deve partire dalla riqualificazione della spesa pubblica (gli Pag. 31sprechi non sono qualità, vorrei ricordarvelo) e questa organizzazione nuova deve anche valorizzare il personale preparato, formato ed aggiornato.

PRESIDENTE. Onorevole Centemero...

ELENA CENTEMERO. Bisogna pensare anche a stipendi più alti per i nostri docenti e anche ad una carriera, non all'appiattimento che abbiamo ora e che manda avanti i nostri docenti soltanto per anzianità. Bisogna pensare ad una scuola dove non ci si perda nei mille indirizzi che favoriscono la dispersione scolastica, ma che non perda la ricchezza dei progetti formativi che sono di qualità, non tutti. I progetti vanno valutati secondo i criteri che anche il sistema qualità ci definisce. Vanno valutati e valorizzati in base anche ai risultati. Vanno valorizzati i progetti in accordo con le regioni. Orazio diceva «est modus in rebus».

ROBERTO GIACHETTI. Ce lo traduci?

PRESIDENTE. Colleghi, per favore.

ELENA CENTEMERO. Credo che questa saggia espressione valga molto per la scuola.
Riqualificare la spesa pubblica è stata un'esigenza non solo del Ministro Gelmini, ma è stata anche una vostra esigenza: il Governo Prodi nella legge finanziaria per il 2007 ha previsto un taglio di 44.000 posti per la scuola. Il Ministro Fioroni ha previsto un piano di immissione triennale, però questo piano aveva una clausola di autorizzazione del Tesoro e vorrei ricordarvi che, se il primo anno le immissioni in ruolo sono state programmate e sono state effettuate, il secondo anno non sono state effettuate, se non per la metà di quelle previste, proprio perché vi era una clausola del Tesoro che faceva sì che parte di queste cattedre non avesse copertura finanziaria.
Attraverso l'articolo 64 della legge n. 133 del 2008 abbiamo cercato di razionalizzare il sistema scuola, di costruire faticosamente un piano per una migliore organizzazione del servizio, cercando di utilizzare finalmente meglio le risorse umane, dimensionando le scuole secondo i parametri indicati da una legge, la legge Bassanini; una riorganizzazione che producesse un significativo risparmio da utilizzare, almeno per il 30 per cento, per investire sugli stipendi dei docenti e del personale; un tentativo faticoso, ma doveroso e responsabile, che si è mosso anche dietro i pressanti inviti di tutte le organizzazioni internazionali, e per la prima volta il recente rapporto OCSE approva le iniziative intraprese dal nostro Governo.
La scelta del Governo è stata quella di continuare il processo di riforma dell'intero sistema scolastico, coniugando e prendendo in considerazione per la prima volta le scelte formative in linea con il sistema europeo di programmazione economica e finanziaria delle risorse. La prospettiva di lettura è una prospettiva complessiva, che ha richiesto riorganizzazione della scuola, riqualificazione della spesa pubblica, ma anche ridefinizione di un nuovo modello di scuola.
Per quanto riguarda il sistema di reclutamento in modo particolare, credo che i lunghi dibattiti avvenuti nelle Commissioni, innanzitutto nella Commissione in sede referente, ma anche all'interno delle altre Commissioni, ci abbiano fatto pervenire - spero - ad una comune necessità, che è quella di riformare nel complesso il sistema di reclutamento; occorre una riforma del sistema di reclutamento che preveda anche la valutazione delle scuole, dei risultati che queste scuole ottengono, magari attraverso l'Invalsi, una valutazione che permetta ai docenti di avere una vera e propria carriera e che garantisca anche il criterio della continuità didattica.
La prospettiva di lettura non è dunque quella di un breve termine, ma una prospettiva complessa, pluriennale. Questa è sicuramente una misura di correttivo volta a fronteggiare l'emergenza di questo momento, ma si inserisce in un progetto più complessivo e più ampio, un nuovo progetto di scuola, un progetto diverso di scuola, che ponga al centro i nostri studenti Pag. 32e la loro formazione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Pasquale. Ne ha facoltà.

ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, gentile sottosegretario e onorevoli colleghi, come è difficile apparentemente bucare il muro di gomma che ormai, come una cortina, ha respinto e respinge tutti i nostri tentativi di riuscire a sollecitare almeno la vostra onestà intellettuale, così da farci sentire che i nostri interlocutori sono vivi e non dei semplici automatici risponditori, una sorta di meccanico ripetitore avulso dalla realtà che lui stesso sta attivando, privo di comprensione, privo di profondità, di ampiezza e di altezza, tutte dimensioni necessarie per dire di avere una coscienza e la responsabilità per cui i cittadini - ripeto: i cittadini - nonostante questa legge elettorale ci hanno eletto.
Questo, d'altronde, è quello che abbiamo cercato di fare con tutti i colleghi della Commissione lavoro, in parte riuscendoci.
Utilizzo queste parole per cercare di richiamarvi alle vostre responsabilità davanti ai cittadini che rappresentate, affinché non continuiate a nascondervi dietro alla crisi economica.
Vi chiedo di evitare un'ulteriore discriminazione che con grande attenzione e rispetto delle migliaia di persone coinvolte cercherò qui di spiegarvi.
La politica dei tagli lineari indiscriminati attuata dal Governo nell'ultimo anno ha provocato una situazione di autentica destrutturazione dell'assetto funzionale e qualitativo delle scuole di ogni ordine e grado e un grave impoverimento della scuola pubblica alla quale sono venute a mancare le risorse indispensabili per lo sviluppo dell'autonomia, in particolare dell'azione didattica, educativa, d'istruzione e di ricerca e azione smantellandone i punti essenziali di qualità.
Con l'avvio dell'anno scolastico in corso sono emerse le conseguenze dell'approvazione dell'ormai noto decreto-legge n. 112 del 2008 e nel solo anno scolastico 2009-2010 sono stati tagliati oltre 42.000 posti di personale docente e più di quindicimila posti di personale ATA come anticipo dei complessivi 130.000 posti di lavoro che si prevede di eliminare entro il prossimo triennio, determinando così quest'anno l'espulsione dal mondo del lavoro di oltre diciottomila docenti e di oltre ottomila unità di personale tecnico, ausiliario ed amministrativo che da anni svolge la propria mansione con incarichi annuali costantemente rinnovati su posti vacanti e disponibili non coperti da nomine a tempo indeterminato per una scelta di risparmio da parte dello Stato.
I lavoratori precari della scuola, risorse professionali che hanno sostenuto ed arricchito la scuola stessa ed hanno garantito il suo funzionamento, sono personale qualificato che ha seguito corsi di formazione ed aggiornamento, che ha investito tempo, energie e denaro in scuole di specializzazione e master per vedersi ora espellere dal proprio settore professionale.
La citata massiccia riduzione di personale, che anticipa quella prevista per il prossimo biennio, avrà effetti molto gravi sulla quantità dell'offerta e sulla qualità del funzionamento delle scuole di ogni ordine e grado.
Contrariamente alle assicurazioni fornite nei mesi scorsi dal Presidente del Consiglio e dai suoi Ministri la decisione di decurtare pesantemente gli organici della scuola contribuisce ad alimentare la crisi economica che ha colpito il Paese e ad incrementare la già enorme platea di chi ha perso il lavoro di ulteriori ventiseimila persone, prevalentemente donne, perché l'occupazione nella scuola è in maggioranza femminile e residente nelle regioni meridionali, dove i tagli si sono abbattuti con maggior pesantezza.
Il provvedimento in esame, conseguenza reale delle scelte politiche sbagliate assunte dall'attuale Governo, risulta inadeguato in quanto non prevede alcun investimento atto ad affrontare la questione del precariato da un punto di vista organico e lungimirante, a differenza di quanto invece aveva previsto il precedente Pag. 33Governo Prodi approvando, con la legge finanziaria per l'anno 2007, un ampio e avveduto progetto di riforma del sistema scolastico mediante la trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento e l'avvio di un piano straordinario di immissione in ruolo di 150.000 docenti e di ventimila unità di personale tecnico, ausiliario ed amministrativo nel triennio 2007-2009.
Inoltre, con la successiva legge n. 244 del 2007, la finanziaria per il 2008, il Governo Prodi aveva previsto la stabilizzazione di circa 17 mila insegnanti di sostegno e di ulteriori 10 mila unità tra di personale tecnico, ausiliario ed amministrativo nel triennio 2008-2010.
Una politica che aveva fatto scelte diametralmente opposte a quelle operate dall'attuale Governo: prediligere la stabilità alla precarietà, investire in professionalità, in sviluppo ed evoluzione del sistema d'istruzione del Paese.
Solo una significativa inversione di rotta sul fronte delle politiche scolastiche potrebbe rappresentare un rimedio davvero efficace ad una situazione segnata da rischi di dequalificazione del servizio e di marcato disagio sociale.
La norma di cui al comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 134 del 2009, con il quale si stabilisce l'impossibilità, in qualsiasi caso, di trasformazione dei contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze in contratti a tempo indeterminato, risulta essere in palese contraddizione con recenti sentenze adottate in ambito comunitario.
A fronte delle argomentazioni della Corte di giustizia europea, nella relazione illustrativa del provvedimento, si osserva che il rapporto di lavoro che si instaura tra il docente supplente e l'amministrazione scolastica ha caratteristiche del tutto peculiari, tali da giustificare e rendere necessaria una diversità di trattamento poiché il regime specifico delle supplenze nel settore della scuola si caratterizza quale disciplina separata e speciale nell'ambito dei rapporti di lavoro a tempo determinato in ragione della necessità di garantire, attraverso la continuità didattica, il diritto costituzionale all'educazione, all'istruzione e allo studio (articoli 33 e 34 della Costituzione) e, quindi, la costante erogazione del servizio scolastico educativo.
A questo proposito, però, va ribadito quanto già sottolineato dal servizio studi della Camera: il comma 1 si configura come una disposizione a carattere generale riguardante tutto il personale a tempo determinato della scuola, ossia circa 250 mila lavoratori, mentre i commi 2, 3 e 4 riguardano esclusivamente il personale a tempo determinato della scuola titolare di incarico a tempo determinato annuale o fino al termine delle attività didattiche nell'anno scolastico 2008-2009, ossia circa 10-12 mila lavoratori.
Ma l'articolo 1 tratta anche una questione specifica del personale docente, ovvero il riconoscimento al personale precario degli scatti biennali di anzianità, riconoscimento peraltro previsto dall'articolo 53 della legge n. 312 del 1980, articolo tuttora interamente vigente in virtù della previsione dell'articolo 146 del contratto collettivo nazionale del comparto scuola siglato il 29 novembre 2007.
È ben noto che nel lavoro pubblico, come riformato dal decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modificazioni e riordinato dal decreto legislativo n. 165 del 2001, vengono meno i cardini della separatezza del pubblico impiego. La svolta consiste essenzialmente nella contrattualizzazione del rapporto di lavoro: i rapporti di lavoro sono regolati contrattualmente.
Ciò riduce la pubblica amministrazione alla veste paritaria di parte contrattuale e ne riqualifica in termini privatistici e quindi neutri rispetto all'interesse pubblico la posizione rispetto alle vicende del rapporto di lavoro. Da questo principio discende la norma che attribuisce, ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Testo unico sul pubblico impiego), al contratto collettivo forza di legge primaria che esclude, per le materie di competenza del contratto, la possibilità di essere diversamente normate da altre fonti del diritto che non sia il contratto collettivo Pag. 34stesso. In tal senso numerose sono le sentenze pronunciate in questi anni dalla Corte costituzionale.
Da quanto appena detto si può ben comprendere come il comma 1 del decreto-legge n. 134 del 2009 non possa andare a normare una materia di stretta competenza del contratto collettivo nazionale del comparto scuola che, peraltro, il contratto stesso ha già disciplinato, richiamando la disposizione dell'intero articolo 53 della legge n. 312 del 1980.
Pertanto, questa previsione del comma 1 è da considerarsi illegittima e priva di forza cogente tra le parti in quanto decisa unilateralmente.
Inoltre, sempre nel comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 134 del 2009, si esclude ogni possibile ricostruzione di carriera a livello economico per gli anni prestati prima dell'immissione in ruolo, e ciò sempre in contrasto con l'articolo 53, comma 6, della legge n. 312 del 1980, evidenziando una condizione di disparità con i docenti precari per l'insegnamento della religione cattolica che giustamente ne godono.
Tale palese contraddizione nega alla gran parte dei docenti precari, che spesso purtroppo entrano in ruolo anziani di servizio e anche di età, un diritto fondamentale e poiché tale diritto viene garantito solo per una categoria di precari, ciò è in palese contrasto con la Costituzione e con le sentenze europee e rischia di trasformare in privilegio quello che invece deve essere riconosciuto e garantito come diritto di tutti.
Altresì il provvedimento, al comma 2, prevede un meccanismo di tutela nei confronti di una sola parte di precari poiché esclude, di fatto, tutti coloro che da anni insegnano con supplenze temporanee e che non sono inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. Il provvedimento, ancorché modificato con un emendamento che estende la platea dei beneficiari anche a coloro che abbiano prestato nell'anno scolastico 2008-2009 almeno centottanta giorni di servizio, crea comunque una netta disparità di trattamento tra i docenti iscritti nelle graduatorie di istituto che non possono avvalersi del presente decreto-legge e che da tempo sono in attesa di assunzione.
Di fatto, i contratti di disponibilità previsti dal decreto-legge n. 134 del 2009 destrutturano il sistema scolastico pubblico e dividono i precari. Infatti, avendo pesantemente ridotto l'organico, il Governo ha tolto la possibilità di conferimento di contratti annuali e, quindi, ora consente ai docenti che avrebbero avuto diritto ai contratti annuali di accedere prioritariamente alle supplenze brevi, se ce ne saranno, se i titolari si ammaleranno o rimarranno a casa per maternità, lasciando senza lavoro i precari delle graduatorie di istituto.
La norma, in sostanza, introduce soltanto una nuova graduatoria da utilizzare prioritariamente prima delle graduatorie di istituto per tutti i contratti stipulati dalle scuole in sostituzione del personale assente. Non vi è nessuna risorsa aggiuntiva, ma semplicemente una diversa modalità di conferimento delle supplenze brevi che le scuole avrebbero comunque dovuto assegnare, ma ai docenti inseriti nelle graduatorie di istituto e che ora rimarranno totalmente esclusi.
Con questo decreto-legge il Governo non mette in campo ulteriori risorse per garantire il sostegno al reddito dei precari espulsi dal mondo del lavoro, non prevede di investire nemmeno un euro in più. Il tutto avviene a costo zero. Il provvedimento presuppone un utilizzo non appropriato degli ammortizzatori sociali che non consentirà né di mantenere inalterato il livello occupazionale, né di accompagnare il personale interessato verso altre forme di impiego. Infatti, risulta assente un intervento che estenda quantitativamente e temporalmente almeno per due anni un'indennità di disoccupazione ai precari della scuola e che garantisca la maturazione del punteggio di servizio nelle graduatorie ad esaurimento di istituto. Inoltre, il decreto-legge n. 134 del 2009 non va nemmeno a modificare le norme attuali, le quali prevedono che l'indennità Pag. 35di disoccupazione possa essere goduta solo da chi ha lavorato nell'anno precedente per 52 settimane.
Detta normativa, soprattutto in un momento di estrema necessità, che vede porre in essere da parte del Governo il più grande licenziamento di massa degli ultimi decenni, non è adeguata alle effettive necessità di coesione ed emergenza sociale. Infatti, non tiene conto che il personale scolastico che assume l'attività per centottanta giorni presta servizio di fatto per l'intero anno scolastico (servizio valido a tutti gli effetti economici e giuridici) non raggiungendo però le 52 settimane di servizio.
Altresì risulta necessario, ma nel provvedimento in esame è assente, un intervento volto a prevedere l'utilizzo straordinario e provvisorio del personale che ha perduto l'incarico o la supplenza annuale finalizzato alla qualificazione dei piani dell'offerta formativa. A questo proposito entra la nostra attenzione agli studenti, alla scuola, alla comunità educante, alla qualificazione dei piani di offerta formativa prioritariamente riferiti all'innovazione didattica, all'aggiornamento e alla formazione degli insegnanti, ad un efficace rapporto tra docenti e alunni che tenga conto delle garanzie per gli alunni diversamente abili e dell'incremento del tempo scuola individuale, ad una corretta attuazione dell'accordo concordatario di avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica (prevedendo attività didattiche e formative alternative al detto insegnamento), a prevenire con interventi specifici le situazioni di disagio sociale e contrastare l'abbandono scolastico.
Anche il comma 3 non prevede da parte dello Stato lo stanziamento di alcuna risorsa aggiuntiva, scaricando sulle regioni e le autonomie locali l'onere di finanziare eventuali progetti dal contenuto non ben definito, in cui utilizzare con contratti di disponibilità i lavoratori precari. In sintesi, la previsione del comma citato scarica sulle regioni e sulle scuole le conseguenze delle scelte sbagliate del Governo sull'occupazione, senza peraltro prevedere un accordo quadro con la Conferenza unificata Stato-regioni, al fine di regolare le procedure e le modalità di intervento e di garantire l'omogeneità degli accordi regionali. Corre l'obbligo di ribadire la pericolosità di un'articolazione dell'offerta formativa territoriale che dipenda dalle disponibilità economiche delle diverse regioni, che prelude ad interventi di sostegno al reddito per i precari della scuola in base alla provenienza territoriale.
Gli accordi Stato-regioni stipulati fino ad ora presentano impostazioni, procedure e modalità di intervento differenziati. Crediamo, invece, che tutti gli accordi debbano mantenere criteri di intervento unitari in applicazione di uno schema di convenzione concordato in Conferenza unificata Stato-regioni.
Gli accordi regionali devono comunque prevedere interventi a garanzia per tutto il personale precario, docente ed ATA, e per quanto attiene alla stipulazione dei contratti di lavoro deve valere il riferimento al contratto collettivo nazionale del comparto scuola e l'individuazione degli aventi diritto deve avvenire attraverso le graduatorie già in vigore.
Tutto ciò premesso non riusciamo comunque a comprendere perché le regioni e le autonomie locali debbano farsi carico anche di questa emergenza determinata da una dissennata scelta governativa che priva la scuola di risorse. Già numerose regioni sono dovute intervenire pagando, come ad esempio in Toscana, tutto quello che lo Stato pur di sua competenza non ha erogato, quali gli organici necessari per aprire nuove classi di materne non lasciando così fuori dalla scuola centinaia di bambini, o per consentire il funzionamento di classi in piccoli comuni per non far morire delle comunità. Naturalmente le risorse a disposizione delle regioni non sono infinite, quindi dovendo intervenire in materie non di propria competenza dovranno ridurre o tralasciare investimenti in servizi quali la sanità e il welfare, ambiti invece di propria competenza. Questo non ci sembra né costituzionalmente corretto né giusto per i cittadini che devono Pag. 36poter usufruire pienamente di tutti i servizi che si pagano mediante il versamento delle tasse.
Infine, l'emendamento approvato dalla maggioranza in sede di discussione in Commissione lavoro che impedisce per legge l'inserimento a pettine, ripeto per legge, degli aspiranti docenti delle tre province aggiuntive va nella linea di un'interpretazione autentica che tradisce lo spirito originario del legislatore che solo a fronte di una massiccia immissione in ruolo del personale del personale precario aveva previsto la trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie a esaurimento e l'inserimento in una sola di esse. Venuta meno questa essenziale previsione da parte del Governo Prodi di assunzione a tempo indeterminato del personale docente presente nelle graduatorie ad esaurimento, tutto il resto ha solo generato confusione, scelte discriminanti, contenzioso e una guerra tra poveri che ora difficilmente potrà essere sanata.
Non è corretto dare un'interpretazione autentica di una norma quando si è cambiato in corsa l'ordine degli addendi. Qui purtroppo non è come nella somma dove il risultato non cambia, poiché parliamo della vita delle persone e non di numeri il risultato cambia eccome. Per questo, come ha dichiarato il presidente della Commissione lavoro, onorevole Moffa, risulta necessario una riformulazione del suddetto emendamento che al contempo ottemperi alle indicazioni della giustizia amministrativa, ai principi della Carta costituzionale e che si adoperi ad evitare ulteriori ricorsi.
All'inizio del mio discorso ho parlato della difficoltà apparente di bucare il vostro essere muro di gomma. Ho scelto consapevolmente la parola «apparente» perché la consistenza del vostro muro è vuota, priva di contenuti e di valori, perché purtroppo queste apparenze basano la loro consistenza solo su valori numerici, giustificazioni non ve ne sono perché i numeri non possono sostituirsi alle persone e a loro valore, come ho anche sopra affermato. Ancor più grave poi diventa l'azione, come ho già posto in evidenza, quando per giustificare l'ingiustificabile si usano distorcendone il significato parole come «salva precari» o addirittura si mettendo gli uni contro gli altri in una guerra fra poveri con dati e illusioni di soluzioni non ai diretti interessati, che ne conoscono bene l'inganno e la sopraffazione subita, ma soprattutto alla maggioranza dei cittadini che vi hanno eletto, creando un'informazione distorta che va a modificare, anche attraverso queste scelte, la formazione di un'opinione pubblica sempre più disgregata.
L'inganno e la sopraffazione, infatti, favoriscono la frammentazione, inibiscono la coesione sociale, suscitano insicurezza e creano i presupposti per scenari non prevedibili. Ma la storia, per chi ha memoria, ha già decretato il suo giudizio e chi oggi voi ingannate e sopraffate domani diverrà il vostro severo giudice. Non lo dico io, in un impeto di messianicità che non mi appartiene, ma lo dice la storia che ha nel suo DNA un'unica spinta che non ha mai permesso all'uomo di fermarsi ma gli ha sempre fatto comprendere che il futuro è migliore di qualsiasi passato.
Anche se oggi voi siete il presente, in realtà, dimostrate nei fatti di essere il passato, ma non un passato migliore, che unico diviene vero futuro, ma un passato che ritorna ogni qual volta l'uomo perde la sua memoria. Le vostre apparenze, che oggi fanno soffrire e mettono in difficoltà migliaia di persone, vi saranno additate come una delle numerose pagine tristi che questo Governo sta scrivendo ed il risultato che oggi andate così superficialmente a riscuotere è un risultato veramente infimo che peserà, perché avrete lasciato, di fatto, incuranti, per strada, una moltitudine di persone che si trovano non per scelta in una terra di mezzo, persone tra le più qualificate del nostro Paese, appoggiandovi su di un nome che li ha sempre definiti e che ha già pesantemente influito su di loro, sulla loro vita, sull'insicurezza del loro posto di lavoro e che oggi influisce sulla loro possibilità di lavoro: il loro chiamarsi precari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario rappresentante del Governo, pochi mesi fa, in quest'Aula, quando si parlava della problematica della scuola e dei precari per altro provvedimento, il Governo e la maggioranza sostenevano che la minoranza facesse praticamente demagogia e il tema imperante era: nessuno verrà licenziato. Questo, basta guardare gli atti parlamentari, è quanto è stato detto dall'80 per cento dei parlamentari di maggioranza che sono intervenuti su questo tema e che avevano assicurato, insieme al Governo, che nessuno sarebbe stato licenziato. Tutti vogliamo una scuola migliore, credo tutti.
Il secondo punto era: ci saranno risorse aggiuntive. Colleghi, in quest'Aula si era detto che la scuola era il motore sociale, era una cosa che serve, e anche prima, parlando in quest'Assemblea, autorevoli colleghi hanno detto che la scuola non è fatta solo degli insegnanti, ma anche delle famiglie, degli alunni; però, vedete, questo provvedimento colpisce esclusivamente e solamente i precari della scuola, non le famiglie e gli alunni. Noi possiamo parlare oggi qui in qualsiasi lingua, ma si è di fronte ad un'unica considerazione, anzi ad una sola parola: licenziamento, tagli, e nessuna - lo ripeto - nessuna risorsa aggiuntiva. Il Parlamento, approvando questo provvedimento, crea un danno irreparabile ai precari, ai lavoratori e alla scuola. Si è sentito anche oggi parlare di insegnanti responsabili o insegnanti irresponsabili, ma chi sarebbero quelli responsabili e chi sarebbero gli irresponsabili?
Con una norma che è stata approvata poco tempo fa, la cosiddetta «norma salva asini», ci troviamo con più alunni per classe e con meno ore di insegnamento. Si parla di intelligenze e di capacità migliori, ma il provvedimento riguarderà solo il 10 per cento dei precari. Colleghi, il decreto interministeriale relativo agli organici dell'anno scolastico 2009-2010, trasmesso con la circolare ministeriale del 2 aprile 2009, ha previsto che le riduzioni stabilite dalla legge n. 133 del 2008 per l'anno scolastico 2009-2010 porterà ad un ammontare complessivo dei tagli di 42-43 mila unità sul personale docente e di 15 mila unità sul personale ATA.
La «norma salva precari» era inserita inizialmente nel cosiddetto decreto-legge Ronchi sulle infrazioni UE, ma il Governo, per superare la perplessità espressa dai tecnici del Quirinale, è stato costretto a procedere allo sdoppiamento del decreto Ronchi e così le disposizioni relative ai precari della scuola hanno assunto la forma di autonomo e distinto decreto-legge, il n. 134 che è al nostro esame in Assemblea.
In Commissione su questo provvedimento abbiamo presentato diciotto emendamenti migliorativi del testo, tra i quali uno è stato accolto e riguardava l'emendamento al comma 1 dell'articolo 1, ossia il comma 1-bis secondo il quale, in attuazione del codice dell'amministrazione, gli atti di convocazione dei supplenti, ai fini del conferimento delle supplenze stesse, avvengono anche attraverso la casella di posta elettronica certificata.
I vantaggi più rilevanti che derivano dalla gestione informatizzata rispetto alle altre sono quelli di una significativa riduzione dei costi e dei tempi di gestione degli archivi documentali, con un conseguente e generale miglioramento dell'efficienza e dell'organizzazione.
Sottolineo, inoltre, che la pubblicazione del decreto-legge è avvenuta ad anno scolastico già cominciato, aggiungendo confusione alla confusione. La consistente riduzione di organico del personale docente ATA nel corrente anno scolastico - riduzione conseguente all'applicazione dell'articolo 64 della legge n. 133 del 2008 che ha lasciato senza rapporti di lavoro a tempo determinato migliaia di docenti e ATA inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e in quelle permanenti - giustifica la portata limitata e derogatoria delle norme del decreto-legge limitata all'anno scolastico in corso. Tuttavia, nel testo del decreto-legge, all'articolo 1, comma 1, è presente anche una disposizione di carattere Pag. 38generale che non ha una connessione logica e funzionale con gli altri commi. Mentre si comprende la parte relativa al divieto di trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in quelli a tempo indeterminato, non si comprende e non si può condividere la parte relativa alla mancata maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima delle immissioni in ruolo.
Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa che accompagna il provvedimento, le richiamate modifiche si rendono necessarie a seguito della sentenza della Corte di giustizia europea del 13 settembre 2007, con la quale è stato confermato il principio del divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato, a meno che un trattamento differenziato non si giustifichi per ragioni oggettive. Sempre secondo la relazione introduttiva, il rapporto di lavoro che si istaura tra il docente-supplente e l'amministrazione scolastica ha caratteristiche del tutto peculiari e tali da giustificare e da rendere necessaria una diversità di trattamento. In realtà, in questo modo si mantiene una disparità di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato che non si giustifica, anche perché il ricorso alle supplenze nel sistema scolastico italiano è fisiologico non solo per garantire un servizio pubblico essenziale, ma anche per effetto della scelta di lasciare vacanti un numero rilevante di posti rispetto all'organico di diritto.
Inoltre, un simile intervento legislativo si intromette impropriamente sul trattamento economico dei dipendenti, delle amministrazioni pubbliche e in questo caso dei dipendenti del comparto scuola, dimenticando che la definizione del trattamento economico è materia di contrattazione collettiva di lavoro (articolo 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001). Nel comparto scuola da tempo immemorabile, sia prima che dopo la contrattualizzazione del rapporto di lavoro, i servizi pre-ruolo sono stati valutati dopo l'immissione in ruolo ai fini dell'inquadramento nelle posizioni stipendiali oggi disciplinate dai contratti collettivi nazionali di lavoro, sottoscritto il 29 novembre 2007 e aggiornato per il biennio economico 2008-2009 dai contratti collettivi nazionali di lavoro del 23 gennaio 2009. La norma contrattuale che consente il riconoscimento dei servizi pre-ruolo è contenuta nell'articolo 142 dei rispettivi contratti che mantiene in vita l'articolo 66, commi 6 e 7, degli stessi contratti e la norma è confermata dall'articolo 146.
È ovvio che la formulazione normativa contenuta nel decreto-legge n. 134 del 2009 potrebbe portare anche ad un azzeramento del riconoscimento dei servizi pre-ruolo, anche dopo l'immissione in ruolo con grave danno retributivo e previdenziale degli stessi lavoratori. I sindacati di categoria in sede di audizione hanno fornito, infine, dati preoccupanti sul fenomeno del precariato. Il problema occupazionale che riguarda quest'anno 18 mila docenti e 7 mila ATA, a causa dei 42 mila più 15 mila tagli previsti per il solo periodo 2009-2010 che coinvolgerà nei prossimi due anni altre decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori, è legato alla questione della salvaguardia della qualità della scuola pubblica.
Nell'anno scolastico 2008-2009, risultavano occupati, nelle 10.749 istituzioni scolastiche nel nostro Paese, 704.891 docenti e 167.123 ATA a tempo indeterminato, 208.987 a tempo determinato (130.835 docenti e 78.152 ATA) con incarico annuale al 30 giugno e al 31 agosto. A questo numero, occorre poi aggiungere tutto il personale precario impegnato in supplenze temporanee per la sostituzione dei colleghi assenti, quantificabili in circa 50 mila lavoratori.
Queste cifre danno la misura di una situazione grave, che non può essere affrontata con i tagli agli organici. Da anni, i precari hanno garantito il funzionamento delle scuole. Si tratta di lavoratori qualificati, che hanno seguito corsi di formazione e aggiornamento, che hanno investito tempo, energie e denaro in scuole di specializzazione e master, per trovarsi ora del tutto esclusi dal loro settore professionale. Pag. 39I contratti di disponibilità, in quanto funzionali al disegno di destrutturalizzazione del settore scolastico pubblico, di fatto dividono i precari in quanto la platea dei destinatari è alquanto limitata. Il meccanismo previsto dai contratti di disponibilità - norma salva precari - copre solo una parte dei precari. Si creeranno inevitabilmente delle anomalie nelle graduatorie, in quanto non si copre tutta un'altra area di precari che l'anno scorso non hanno avuto un incarico annuale, risultando fuori da ogni meccanismo. Secondo stime giornalistiche, i docenti precari della scuola ammontano complessivamente a circa 250 mila unità, mentre la platea dei beneficiari delle disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 sarebbe di circa 10 o 12 mila unità.
Il Governo, con i contratti di disponibilità, non mette in campo ulteriori risorse per garantire il sostegno al reddito dei precari licenziati, ma utilizza l'indennità di disoccupazione, che i lavoratori avrebbero comunque, con l'intermittenza dei contratti per le supplenze brevi, che comunque sono previsti, prevedendo il riconoscimento del punteggio ai soli fini delle graduatorie.
In definitiva, tale norma introduce soltanto una nuova graduatoria, da utilizzare prioritariamente, prima delle graduatorie di istituto, per tutti i contratti stipulati dalle scuole in sostituzione del personale assente: nessuna risposta aggiuntiva, ma semplicemente una diversa modalità di conferimento delle supplenze brevi, che le scuole avrebbero comunque dovuto assegnare probabilmente agli stessi aspiranti delle graduatorie di istituto. Questa nuova procedura comporterà, quindi, uno stravolgimento delle attuali regole, ulteriori adempimenti per i precari e le scuole e un sicuro contenzioso.
Sottolineo che, per quanto attiene ai fondi per le supplenze, non ci sono risorse aggiuntive da parte del Governo e tutto viene demandato alle regioni. Le supplenze brevi sono pagate con i fondi degli istituti, ma gli istituti non dispongono di molto per effetto dei tagli. Lo Stato chiede alle regioni di supportare questo meccanismo con risorse proprie, potenziando l'offerta formativa e, attraverso questa, creando nuove opportunità per i precari. A questo proposito, la maggioranza degli assessori regionali all'istruzione si è dichiarata contraria al provvedimento e chiede che l'intera faccenda venga discussa nella Conferenza Stato-regioni. Si sono favoriti, infatti, gli accordi bilaterali tra il Ministero dell'istruzione e le singole regioni, che hanno creato inevitabili disparità per quanto riguarda le risorse messe in campo per risolvere il problema dei precari della scuola. I primi protocolli di intesa con il Ministero rivelano, infatti, differenze di trattamento.
Segnalo poi la vaghezza, rilevata anche dalla I Commissione in sede di parere sul provvedimento al nostro al nostro esame, sul significato da dare alla definizione di progetto e su cosa si intenda, infatti, per progetti che prevedano attività di carattere straordinario anche ai fini dell'adempimento dell'obbligo di istruzione.
Sarebbe, inoltre, necessario il coordinamento con la Conferenza Stato-regioni e prevedere un accordo tra Stato e regioni al fine di regolare le procedure e le modalità di intervento e di garantire l'omogeneità degli accordi. Infatti, gli accordi tra Stato e regioni stipulati finora presentano impostazioni, procedure e modalità di intervento differenti tra loro.
Inoltre, gli accordi tra Governo e regioni dimostrano un aspetto esclusivamente assistenzialistico, poiché tendono solo a calmierare l'enorme disagio sociale provocato dai tagli. Infatti, la scelta di ricercare accordi con le regioni è un evidente tentativo di scaricare sulle stesse le conseguenze della pesante riduzione di organico imposta dal Governo. Da ultimo, segnalo il colpo di mano e la prepotenza nell'atteggiamento del Ministero nei confronti della vicenda del TAR.
Il Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 4796 del 29 settembre 2009, nonché con altre ordinanze di analogo tenore, ha respinto la richiesta di sospensiva presentata dal Ministero dell'ordinanza del TAR del Lazio n. 2573 del 4 giugno scorso, nonché delle analoghe ordinanze dello stesso TAR Pag. 40con cui quest'ultimo aveva invece accolto la richiesta di sospensiva del decreto ministeriale n. 42 relativamente alla disposizione dell'articolo 1, comma 11, che, come detto, prevede la possibilità di scegliere, senza cancellazione dalla graduatoria di appartenenza, ulteriori tre province in cui figurare in coda.
L'origine della questione si rinviene nel comma 605 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007, che ha trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento. In sede di attuazione di questa disposizione legislativa l'amministrazione aveva ritenuto che, stante la diversa natura giuridica delle nuove graduatorie provinciali a esaurimento, la possibilità di cambio di provincia in sede di aggiornamento delle graduatorie medesime poteva essere consentita esclusivamente in coda a tutte le fasce.
Invece il TAR Lazio, con i suddetti provvedimenti cautelari, aveva disposto l'annullamento del decreto ministeriale n. 42 nella parte contestata, previa sospensione dell'efficacia. In Commissione è passato un emendamento, presentato dalla relatrice, che, di fatto, ha l'effetto di disarmare il TAR, mettendo al riparo le graduatorie da modifiche da parte dei magistrati. La legge, infatti, è suscettibile del solo controllo di costituzionalità da parte della Consulta. Ancora una volta si interviene con palliativi che non risolvono i veri problemi che assillano il mondo della scuola e ancora una volta è applicata la deprecabile consuetudine di interventi tesi a tutelare circoscritti interessi.
È, invece, necessario sostenere una politica di più ampia ed efficace stabilizzazione del lavoro nella scuola, e quindi è più che mai urgente la definizione di un piano di immissione in ruolo che esaurisca le graduatorie e l'avvio di un sistema di reclutamento che privilegi il merito e la continuità didattica. Inoltre, la stabilizzazione dei precari dovrebbe rappresentare l'obiettivo di una proposta complessiva che, innanzitutto, offra la garanzia che alla fine del percorso della stabilizzazione non si sarà riformato lo stesso esercito di precari.
Dovrebbe essere disposta una rimodulazione dell'orario dei docenti che preveda, in modo meno episodico, anche il tempo per la sostituzione degli assenti. L'aspetto che merita attenzione è quello delle tensioni che inevitabilmente si creano quando è troppo estesa l'area del lavoro precario, e quindi gli interessi e le attese entrano pericolosamente in conflitto tra loro. Per questo si impongono scelte di chiarezza che siano in grado di prevenire le ragioni del contenzioso.
Non mi pare che questo provvedimento faccia questo, anzi, crea una disparità di trattamento tra precari, alimentando una sorta di guerra tra poveri. In sede di Commissione non si è voluto affrontare il delicato problema della mobilità e l'applicazione nei giusti modi dell'indennità di disoccupazione.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, credo sia doveroso intervenire con norme legislative puntuali, recuperando una visione completa e più responsabile nel governo dei processi delicati come quelli che regolano il mondo del lavoro e della scuola, per evitare di creare danni irreparabili. Per questo vi chiediamo di fermarvi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Madia. Ne ha facoltà.

MARIA ANNA MADIA. Signor Presidente, vorrei partire da una constatazione, proprio per iniziare questo dibattito, come anche sollecitavano i colleghi di maggioranza, in modo non ideologico e con un'onestà intellettuale che credo ci aiuterà molto anche nel suo seguito nei giorni successivi in Aula, quando discuteremo gli emendamenti.
In Italia con vi è dubbio che le retribuzioni dei docenti della scuola si caratterizzano per un livello basso rispetto agli altri Paesi europei. Ricordo anche le promesse del Ministro Gelmini all'inizio di questa legislatura: il Ministro disse subito «meno insegnanti», ma a questa promessa (poi mantenuta, in effetti, perché nel decreto-legge di oggi, discutiamo proprio il Pag. 41taglio degli insegnanti) se ne affiancava sempre un'altra, quella dell'aumento degli stipendi dei docenti nelle scuole. Approfitto anche della presenza del sottosegretario per chiedergli che fine ha fatto la seconda promessa del Ministro Gelmini per cui gli stipendi dei nostri docenti dovevano aumentare.
Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, non v'è dubbio che la professione dell'insegnante, alla quale tutti noi, maggioranza ed opposizione, riconosciamo un valore civile fondamentale, è sempre stata penalizzata nel nostro Paese dal punto di vista della retribuzione; però, è pur vero che negli anni vi è sempre stata una sua stabilità, anche retributiva, dovuta alla sicura progressione economica e ad una serie di determinate garanzie assistenziali e previdenziali, che facevano sì, che malgrado tutte le agitazioni (ricordo anche io negli anni Novanta le agitazioni nel comparto scuola quando si discuteva del contratto collettivo), il sistema avesse una sua coerenza di fondo, anche nelle forme di reclutamento.
Invece da circa un decennio non vi sono più concorsi ordinari per le chiamate in ruolo ed abbiamo assistito ad un fenomeno nuovo e devastante, purtroppo, che è stata la progressiva precarizzazione del ruolo dei docenti e del personale tecnico-amministrativo e - lo voglio dire proprio con l'onestà intellettuale richiesta dalla maggioranza - non è certo colpa di questo Governo: è stata una responsabilità di Governi di diverso colore politico, unita anche al fatto che vi è stata nell'ultimo decennio una progressiva introduzione dei contratti a termine in tutti i comparti del mercato del lavoro (nel comparto pubblico e nel privato, quindi anche nella scuola), che certamente non hanno facilitato tutto ciò.
Nella scuola soprattutto, lungo il passato decennio, il numero dei contratti a termine, e quindi il rischio di precarizzazione, ha raggiunto delle vette insostenibili; sulle cifre non riusciamo a metterci d'accordo, ma forse adesso non è neanche troppo importante. A tutto questo però nella scuola si aggiunge un tessuto normativo molto complicato e farraginoso. È inutile che stia qui a descriverlo: graduatorie differenti, contenziosi amministrativi che crescono e oggi addirittura un sostanziale blocco non solo del reclutamento, ma anche della possibilità di abilitarsi ad esercitare una professione. E qui mi rivolgo sempre al sottosegretario per indirizzare la seconda domanda al Ministro Gelmini. Mi pare che fu dal meeting di Rimini nell'agosto scorso che il Ministro ci parlò di una nuova forma di reclutamento: chiederei al sottosegretario se questa nuova forma reclutamento esiste davvero, oppure anche questa era una promessa morta nell'aria.
Volevo premettere tutto ciò perché non v'è dubbio che il decreto-legge di cui stiamo discutendo oggi è figlio dei tagli operati dal vostro Governo con la legge n. 133 del 2008, tagli che, come diceva la collega Coscia, sono stati lineari, non strategici e che credo che neanche il Ministro Gelmini possa avere il coraggio di dire che hanno migliorato il nostro sistema scolastico: non credo infatti che il Ministro pensi che il ridimensionamento dell'organico derivato dai tagli della legge n. 133 del 2008 abbia migliorato la qualità del nostro sistema scolastico.
Se non abbiamo paura di riconoscere che questo Governo non è la prima causa del processo di precarizzazione della scuola - mi rivolgo all'onorevole Pelino per dirle di stare tranquilla, perché non abbiamo paura di riconoscerlo - non abbiamo neanche paura di riconoscere il fatto che un Governo si valuta dalla sua visione complessiva. Il fatto che il Governo, oggi, con questo decreto-legge, ci presenti una misura tampone per ammissione degli stessi colleghi di maggioranza, è un dato a sfavore di questa manovra.
Onorevole Cazzola, è vero che nel Quaderno bianco c'erano tutti i punti che lei ha indicato, ricordato e argomentato, ma è vero anche che esso aveva un seguito in cui c'era la visione di un Governo ovvero l'indicazione, dati quei problemi della scuola, di come si intendeva risolverli. L'onorevole Centemero, poc'anzi, ci ha detto che l'idea di scuola di questa maggioranza Pag. 42è diversa rispetto a quella espressa nel Quaderno bianco: benissimo, ma aspettiamo ancora di capire quale sia. Per ora abbiamo un provvedimento che ha una natura tampone perché bisognava fare fronte ad alcuni tagli fatti dal vostro Governo che hanno impoverito la nostra scuola.
Questa manovra, quindi, proprio per la sua natura tampone, risulta essere - riprendo le parole della collega dell'onorevole Aprea, collega di maggioranza - «ambigua e complessa», ma non intendiamo sottrarci alla sua discussione perché, malgrado tutto, potrebbe diventare una soluzione - anche se molto «ambigua e complessa» e poi vorrò precisarne il motivo - per almeno una platea di 25 mila professionisti e forse ancora di più. Infatti, il lavoro in sede di Commissione ha permesso di allargare questa platea con l'approvazione, nella medesima sede, dell'emendamento relativo ai 180 giorni, inizialmente proposto dal Partito Democratico. Tale allargamento riguarda professionisti qualificati, tra i quali molte donne, com'è stato già ricordato. Vorrei anche ricordare che si tratta di persone che già non avevano una vita facile perché, nella maggior parte dei casi, lavoravano 10 mesi su 12, avevano dei contratti annuali che scadevano il 30 giugno e con stipendi che conosciamo.
Se i tagli del Governo hanno dato luogo, in prospettiva, a una riduzione di personale nelle scuole pari a 132 mila persone in tre anni (persone che rimarranno a casa), in questo caso ci terrei a usare la parola «licenziamento». Sono stati prima l'onorevole Cazzola poi l'onorevole Fedriga a dirci che sbagliamo l'utilizzo tecnico del termine, ma credo che nella sostanza sia giusto parlare di licenziamento e anche sottolineare che oggi la maggioranza nega ai precari il diritto al licenziamento. Di fatto si tratta di persone che rimangono a casa e che dopo diversi anni di lavoro non lavoreranno più. Credo che le persone ci capiscano molto bene se usiamo la parola «licenziamento». Nella sostanza non stiamo dietro ai cavilli tecnici, perché la parola è giusta.
Per tutto ciò nutriamo dei dubbi sullo spirito del provvedimento, ma - come dicevo prima - non ci siamo sottratti ad alcun confronto migliorativo e non abbiamo avuto un atteggiamento pregiudiziale in Commissione, e questo ha dato luogo anche ad alcuni risultati. Eppure, ad oggi, credo che ci siano ancora tre importanti problemi, tre forti discriminazioni che permangono nel testo in esame e che ci auguriamo possano essere ancora migliorati.
Si tratta, in primo luogo, di discriminazioni tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato. Esiste in merito una vasta normativa europea, dalla sentenza della Corte di giustizia del 13 settembre 2009 alla direttiva 1999/70/CE, ma in questo provvedimento non vi sono soltanto discriminazioni tra lavoratori con diverse tipologie contrattuali, ma anche discriminazioni tra precari e precarissimi, tra poveri e poverissimi, tra precari di serie B e precari di serie C. Addirittura, a seconda della graduatoria nella quale si sta, si gode o meno di alcuni diritti.
Credo, inoltre, che ci sia anche un rischio di discriminazione tra regioni: questo provvedimento crea un rischio effettivo che le regioni attive e ricche riescano a fare ciò che invece le regioni più povere e in difficoltà non riusciranno a fare.
In particolare, le discriminazioni le ritroviamo nel comma 1 (come dicevo, si tratta di discriminazioni tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato). Nel comma 1 - lo ricordava il collega Miglioli - troviamo infatti un impedimento tassativo, perentorio, tale per cui il contratto a tempo determinato non può in alcun caso essere trasformato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Penso che mai nel nostro ordinamento - ma credo in nessun ordinamento europeo - sia stata presente una norma espressa che, in modo così tassativo e perentorio, impedisse la trasformazione da un tipo di contratto a tempo determinato ad un tipo di contratto a tempo indeterminato. Pag. 43
Vorrei pure dire che neanche il Ministro Brunetta, che conosciamo per la sua violenza rispetto ai precari della pubblica amministrazione, è arrivato a tanto, a prevedere cioè una negazione perentoria della trasformazione di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato.
Peraltro, ho citato prima la normativa europea che stabilisce esplicitamente che non vi possono essere discriminazioni oggettive per lavoratori che poi di fatto svolgono lo stesso lavoro (e un supplente svolge esattamente lo stesso lavoro di un docente di ruolo); qui invece ci troviamo di fronte ad una discriminazione oggettiva, peraltro non per merito, ma direi per caso o forse a causa dei tagli (e cioè per sopperire ai tagli che sono stati operati).
Le differenze potrebbero essere giustificate - afferma sempre la normativa europea - da ragioni oggettive: noi contestiamo queste ragioni oggettive (anche leggendo attentamente l'analisi del Servizio Studi della Camera si ravvisa l'esistenza di perplessità rispetto a tali ragioni oggettive) e credo anche che sia molto paradossale che il Governo, per giustificare le disparità, si appelli anzitutto alla necessità della continuità del servizio. Mi rivolgo infatti agli onorevoli Cazzola e Fedriga: ma allora questi lavoratori precari servono alla scuola e la scuola non è un ammortizzatore sociale, perché se servono a garantire la necessità della continuità del servizio, siete voi stessi ad ammettere che servono!
Trovo poi paradossale che il Governo giustifichi le discriminazioni e le disparità, appellandosi alla peculiarità del sistema scolastico ed alle previsioni costituzionali in materia di istruzione. Noi invece di fatto ci troviamo dinanzi a lavoratori che, a fronte degli stessi obblighi svolti per la stessa quantità di tempo e quindi per la stessa funzione, si trovano, per una categoria, ad avere contratti utili ai fini della progressione retributiva e, per un'altra categoria, colpevole solo di non essere di ruolo perché da dieci anni - voglio sottolinearlo ancora - non si tengono concorsi, a non avere una progressione retributiva.
Addirittura, esiste un dubbio - e su questo punto chiediamo un'interpretazione autentica al Governo, signor sottosegretario - tale per cui questa discriminazione andrebbe anche oltre (ma il sottosegretario in Commissione non ci ha fornito una risposta esauriente). La discriminazione che andrebbe anche oltre sarebbe questa: si preclude o «no» la ricostruzione di carriera dopo l'immissione in ruolo? Già è grave una discriminazione che operasse nel corso e per la durata del tempo determinato, ma sarebbe ancor più grave se addirittura questa norma diventasse un azzeramento definitivo dell'attività pregressa dei precari.
Un'altra discriminazione - l'ultima di questo comma - di cui vorrei ora discutere con voi è quella che si ravvisa all'interno stesso del personale a tempo determinato (cioè all'interno stesso di quel personale che andrà a svolgere le supplenze) rispetto agli scatti retributivi.
Credo che, a tale proposito, il Governo sia incorso da solo in un controsenso. Mi spiego: il Governo fa valere il blocco della progressione retributiva previsto dal comma in esame, sostenendo che l'articolo 53 della legge n. 312 del 1980 è stato abrogato dal Testo unico del 1994 (il Governo sostiene in sostanza che non è questo comma a togliere gli scatti retributivi al personale non di ruolo, perché l'articolo 53 che prevede gli scatti retributivi è già stato abrogato).
In realtà non è così, e lo sappiamo tutti, perché l'articolo 53 è stato richiamato in vigenza del contratto collettivo nazionale del comparto scuola e perché sentenze di tribunali hanno condannato il MIUR a pagare gli scatti retributivi per i tempi determinati rispetto a cui era stato presentato ricorso e che non erano stati corrisposti.
Non è così perché il Governo stesso ci dice che, per il personale non di ruolo che insegna religione, gli scatti retributivi valgono in base allo stesso articolo che il Governo ci ha detto che era stato abrogato. Pag. 44Credo, allora, che su questo punto il Governo debba a noi e al Paese delle parole chiare: se, come anche chiede il Comitato per la legislazione, l'articolo 53 è stato abrogato, allora l'abrogazione deve essere espressa (a tale riguardo, la cosiddetta legge Calderoli, la n. 69 del 2009, quindi del vostro Governo, prevede esplicitamente che ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o ad abrogare norme vigenti, ovvero a stabilire deroghe, deve indicare espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate). A questo punto, anche in forza della legge Calderoli, dovreste dire o che vi è un'abrogazione espressa dell'articolo 53, oppure che quello che dovrebbe essere un diritto di tutti, oggi con questo decreto-legge decidete che diventi un diritto per alcuni; non vogliamo dire privilegio, perché non è un privilegio, ma diritto per alcuni. Per tutto ciò, richiamo di nuovo le parole dell'onorevole Aprea: la manovra è complessa ed è ancora, malgrado i miglioramenti ottenuti in Commissione, molto ambigua. Spero che, con gli emendamenti che discuteremo e approveremo, si possano limitare le ambiguità di questo provvedimento.
Do atto anch'io al presidente dell'XI Commissione, onorevole Moffa, di aver contribuito in modo costruttivo alla discussione, di aver ascoltato con attenzione tutte le annotazioni e gli interventi anche dell'opposizione. Spero che gli auspici e l'attenzione del presidente Moffa e del sottosegretario Pizza possano davvero diventare degli elementi concreti per limitare le ambiguità che ancora, purtroppo, vi sono in questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gatti. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA GATTI. Signor Presidente, dopo l'accorato intervento dell'onorevole Madia vorrei riflettere su alcune questioni un po' più generali. Sono passati appena quattro giorni dalla presentazione da parte della Banca d'Italia del bollettino sulla situazione economica relativo al terzo trimestre del 2009. Il documento in questione disegna un quadro che contiene dei dati assolutamente interessanti per la discussione che affrontiamo oggi sul provvedimento che, come ha sottolineato precedentemente l'onorevole Madia, reca disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l'anno 2009-2010 (disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio educativo, non per dare un contentino ai precari). Dal bollettino si evince che in Italia si stima che, nel trimestre estivo, il PIL sia tornato a crescere dopo cinque trimestri consecutivi di contrazione che avevano riportato la produzione ai livelli di quasi un decennio addietro. Questo è un elemento positivo che bisogna assolutamente assumere. L'incremento è stimabile nell'1 per cento sul periodo precedente, e vi contribuirebbe il deciso rialzo della produzione industriale (peraltro, bisogna stare attenti perché vi sono dei fattori stagionali nei mesi estivi di cui bisogna tenere conto). Si tratta, però, del primo rialzo dopo una contrazione osservata tra il secondo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del 2009. Parte di questo recupero è verosimilmente destinato alla ricostruzione di un adeguato livello di scorte (in effetti c'era stato in alcuni comparti un consumo molto alto delle scorte). Si sottolinea, inoltre, che ancora non si intravede una chiara inversione di tendenza né della domanda interna, né delle esportazioni. Si è consolidato, comunque, il miglioramento degli indicatori di fiducia delle famiglie in misura meno decisa delle imprese. Il bollettino, inoltre, ci dice una cosa fondamentale: continuano, tuttavia, a peggiorare gli indicatori relativi alle intenzioni di acquisto di beni durevoli e alle condizioni del mercato del lavoro. È su questo punto che mi vorrei soffermare. La propensione ad investire delle imprese rimane molto bassa e pesa verosimilmente sulle decisioni di spesa delle famiglie il calo dell'occupazione in atto dalla metà del 2008.
Nel secondo trimestre, la perdita è risultata di oltre mezzo milione di occupati Pag. 45rispetto ad un anno prima, ed è stata di circa 300 mila unità la flessione dei lavoratori comunemente definiti come precari, in maggioranza giovani (tra questi circa un quarto ha meno di 25 anni e circa il 60 per cento ha meno di 35 anni). L'offerta di lavoro è diminuita dell'1 per cento rispetto ad un anno prima ed il tasso di attività della popolazione in età lavorativa è sceso di 0,9 punti (siamo al 62,6 per cento), con un calo molto forte nel Mezzogiorno. Nel terzo trimestre, si è ancora intensificato il ricorso alla cassa integrazione guadagni: le ore complessivamente autorizzate sono aumentate di circa il 30 per cento rispetto al trimestre precedente. Ecco il quadro, ecco quello che ho provato a disegnare per meglio valutare il provvedimento di cui stiamo parlando.
Questo provvedimento arriva a valle di un taglio di circa otto miliardi. C'è stata la manovra triennale che ha tagliato otto miliardi sul capitolo della scuola e questa stessa manovra (questo taglio) ha determinato la soppressione in tre anni di 132 mila posti di organico, con 42 mila posti soppressi tra il 2009 e il 2010. L'onorevole Pelino ci ricordava, nella relazione che ha fatto, che questo ha significato la perdita di lavoro per 18 mila insegnanti e - aggiungo io - per circa 8 mila assistenti tecnico - amministrativi. Si tratta, com'è stato ripetuto più volte, di lavoratori precari iscritti alle graduatorie provinciali che erano stati impegnati con contratto a tempo determinato, annuale o fino al termine delle attività didattiche, nell'anno scolastico 2008-2009. Ecco, questi lavoratori si sarebbero aggiunti ai 300 mila precari che nell'ultimo anno hanno già perso il lavoro. C'è stata una grande mobilitazione e il Ministro ci propone oggi un meccanismo, che valuterò in seguito, di supplenze temporanee e di progetti a valenza regionale per il solo 2009-2010 per provare a dare una prospettiva a questi lavoratori. In questo provvedimento però scompaiono i precari che fino all'anno scorso erano chiamati a svolgere le supplenze temporanee. Si tratta di quei giovani appena laureati, non ancora abilitati o anche se abilitati che abbiano scelto di iscriversi, tra l'altro del tutto legittimamente rispetto alla legislazione, nelle graduatorie di istituto. Si tratta prevalentemente della parte più debole di questo mercato del lavoro, a cui non si propone nulla (semplicemente scompaiono). Allora, c'è da dire che questi sicuramente si aggiungeranno a quei 300 mila precari che si ritroveranno senza lavoro e che sono già ora senza lavoro e senza nessun sostegno da parte dello Stato. Si aggiungeranno a quelli che vengono lasciati completamente soli davanti alla crisi, checché ne dica il nostro Presidente del Consiglio.
Ora fatemi dire anche un'altra cosa però. Il problema del precariato nella scuola è un problema annoso. I precari sono una folla. Adoperava questa espressione la collega De Torre durante la discussione in quest'Aula della mozione presentata dal Partito Democratico (a prima firma Ghizzoni) sulla situazione della scuola italiana all'inizio dell'anno scolastico. Quello che è sicuro però è che sono il frutto di una cattiva politica della scuola che si è sviluppata per anni. Sto parlando quindi di una responsabilità diffusa, non soltanto della maggioranza di ora.
Però penso sia importante sottolineare almeno un paio di punti. Il primo, anche per sfatare una serie di leggende ingiuste e offensive verso questi lavoratori: questi sono lavoratori che educano, formano, oppure assistono e vigilano sulla sicurezza delle nuove generazioni, e questi lavoratori non hanno scelto il precariato. I precari della scuola sono il frutto di un sistema di reclutamento che li ha costretti al precariato. Sono persone che hanno vinto concorsi, hanno conseguito abilitazioni, hanno seguito tutte le regole e affrontato tutte le prove che la legge pone per poter insegnare nel nostro Paese. Si tratta di lavoratori che svolgono la propria mansione con incarichi annuali costantemente rinnovati su posti vacanti disponibili che il Governo non copre con nomine a tempo indeterminato per una scelta economica (per poter risparmiare).
Su questo richiamo tutto quello che l'onorevole Madia ha detto circa l'attitudine ad utilizzare contratti a termine per Pag. 46problemi di costo, con il tentativo, nel privato, di fare la competizione sui costi e abbiamo visto a che punto siamo arrivati.
Tra l'altro, vi è un altro punto che ritengo debba essere sottolineato: la percentuale di posti e la relativa sostituzione di personale in distacco sindacale o per incarichi di tipo politico è molto bassa e continua a diminuire. Nel Quaderno bianco, per evitare il riformarsi di sacche di precariato, il Governo Prodi prevedeva la programmazione del fabbisogno a breve, medio, lungo periodo con il coinvolgimento di enti locali, istituti scolastici, regioni e ipotizzava forme di flessibilità accompagnate da un adeguato sistema di formazione e di riqualificazione professionale. In caso di sovrastima e sottostima del fabbisogno, il Quaderno bianco ipotizzava modelli di flessibilità, una migliore carriera, forme di organizzazione diversa. Quindi, era delineata un'ipotesi, una visione su come uscire dal problema ed era prevista anche la disciplina di meccanismi, di modalità e di forme di intervento.
Vorrei rivolgere soltanto un'osservazione all'onorevole Cazzola ma anche all'onorevole Fedriga: che il rapporto tra docenti e studenti nel nostro Paese fosse alterato era chiarissimo anche nel Quaderno bianco. Tuttavia, in esso era scritta la procedura per riuscire a superarlo. C'erano state persino delle simulazioni che prospettavano la soluzione definitiva del problema per il 2015-2016. Inoltre, sui dati che ci sono stati riportati, bisognerebbe anche fare un minimo di attenzione. Nel numero degli insegnanti che noi valutiamo in Italia, contiamo anche gli insegnanti di religione e gli insegnanti di sostegno, mentre questi insegnanti non vengono conteggiati negli altri Paesi europei. Pertanto, il rapporto cambia notevolmente. Tuttavia, non voglio sfuggire al problema: il problema esiste e bisogna intervenire. L'unica cosa che sottolineo è che nel Quaderno bianco un'ipotesi c'era e che questo Governo ha deciso di non percorrerla. Infatti, l'altro punto che voglio sottolineare è il seguente: siamo assolutamente consapevoli che in questo Paese abbiamo bisogno di una scuola migliore e abbiamo bisogno di innalzare i livelli di apprendimento. È necessario aumentare le competenze scientifiche, matematiche e tecniche e da questo punto di vista le riduzioni di orario che sono state previste non mi sembra che vadano in questo senso. Dobbiamo accogliere meglio gli alunni stranieri, possibilmente senza fare le classi differenziali e investire di più nell'inserimento degli alunni disabili. Noi avevamo avviato questo processo: il Governo Prodi lo aveva fatto. È un processo lungo da verificare ma che ragionevolmente disegnava un'uscita dalla situazione gravissima in cui versavamo.
Abbiamo visto le scelte che ha fatto questo Governo e alla fine ci siamo trovati con questo provvedimento che la Ministra ha annunciato sulla stampa, utilizzando lo slogan pubblicitario del decreto-legge «salva-precari», dettando una modalità comunicativa consueta di questo Governo. Altro che salva-precari! Penso che agli italiani, invece di pubblicità, bisogna cominciare a dire la verità. Questo provvedimento è stato incardinato in Commissione, come l'onorevole Pelino ha ricordato in questa sede, affermando che il Governo ha previsto un taglio di 42 mila posti e poiché è previsto il pensionamento di 32 mila docenti dal 1o settembre, 18 mila unità di insegnanti rischiavano di non avere né un incarico annuale né un incarico fino al termine delle lezioni. Rivendicando il diritto al licenziamento anche per i precari, direi che si è trattato di fatto di un licenziamento immediato di 18 mila docenti e 8 mila unità di personale ATA.
Ciò ha generato una grande mobilitazione e, a questo punto, è stato proposto questo provvedimento che, tuttavia, è parziale perché dura soltanto per il 2009-2010. In Commissione abbiamo audito i sindacati. Penso, ad esempio, a quello che ha detto la UIL: loro speravano in un allungamento dei tempi perché avevano in mente un provvedimento che garantisse a questi lavoratori un percorso per il rientro al lavoro. Non è così. È soltanto per una platea ristretta di lavoratori. Fatemi qui richiamare l'incipit di una delle sette condizioni. Infatti, è così, signor Presidente, Pag. 47sono state dettate sette condizioni che la Commissione cultura ha posto come vincolo per il parere positivo al provvedimento.
«Si ritiene necessario definire un piano di immissione in ruolo che, in relazione al blocco del ruolo del nuovo precariato, esaurisca progressivamente le nuove graduatorie». Qui si sta rivendicando un provvedimento diverso, con un respiro diverso: si stanno rivendicando forse le nuove regole per il reclutamento, si stanno rivendicando tutte le regole necessarie per disegnare una nuova modalità della scuola in questo Paese.
Quello in discussione è un provvedimento insufficiente, perché si affidano le supplenze temporanee ad alcuni precari, innescando una divisione fra loro, generando una situazione in cui tutti perdono rispetto alla condizione precedente, ma i più deboli soccombono; si tratta dei precari delle graduatorie di istituto che l'anno precedente avevano fatto le supplenze temporanee: per questi non vi è nulla, nessuna possibilità, è come se non fossero mai esistiti.
Poi è un provvedimento confuso, che avrà effetti diversi regione per regione, perché non è stato frutto di un accordo quadro con la Conferenza Stato-regioni, ma solo di accordi bilaterali fra Governo e non tutte le regioni italiane. Secondo me, vi è qui una violazione palese delle prerogative regionali sull'istruzione e non si garantisce nessuna omogeneità di applicazione del provvedimento sul territorio nazionale.
A questo punto, permettetemi di ricordare anche qui la condizione che la Commissione parlamentare per le questioni regionali - ma la stessa Commissione cultura - ha indicato come vincolo per il parere favorevole sul provvedimento, una condizione in cui si richiede un coordinamento in sede di Conferenza unificata Stato-regioni per armonizzare gli interventi posti in atto dalle regioni.
Il provvedimento si compone solo di due articoli: il secondo fissa essenzialmente la clausola di entrata in vigore, mentre il primo consta di quattro commi. Lascerò alla competenza dei colleghi della Commissione cultura una serie di considerazioni più specifiche, però mi vorrei concentrare ancora su pochi punti relativi a diversi commi, in particolare sul comma 1.
Prima, però, lasciatemi esprimere apprezzamento per il clima della discussione che si è sviluppata in Commissione lavoro. Vorrei esprimere un ringraziamento non formale al presidente Moffa per il ruolo che ha esercitato in Commissione e che ha permesso, da una parte, uno svolgimento sereno dei lavori, dall'altra, ha tenuta aperta la strada al dialogo e al confronto sui punti più controversi.
In questa sede richiamo una dichiarazione che proprio in relazione al comma 1 dell'articolo 1 il presidente Moffa ha reso: Preso atto che i problemi sollevati rimangono aperti ancora dopo il chiarimento del Governo, la Commissione si aspetta che il Governo risponda alle questioni poste e trovi soluzioni definitive nella fase di discussione in Aula. Assicura pertanto che sarà suo compito verificare che il Governo tenga fermo un preciso impegno in tal senso.
Noi speriamo che tutto questa avvenga.
Vorrei intervenire sui due punti che mi sembrano molto delicati del comma 1. Il primo: si dice che non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato i contratti a tempo determinato stipulati rispetto ai commi 1, 2 e 3. Vi è già una violazione che viene rilevata nella relazione illustrativa: si dice che abbiamo bisogno di inserire questa norma perché dobbiamo in qualche modo rispondere ad una sentenza della Corte di giustizia europea del 13 settembre 2007. A parte il fatto che la sentenza a cui si fa riferimento riguarda una norma dell'ordinamento spagnolo e non interviene pertanto sulla disciplina italiana, non si capisce perché introdurre nel presente decreto-legge simili modifiche, che coinvolgono tutto il personale a tempo determinato della scuola e non solo la platea molto più ristretta a cui si fa riferimento nel provvedimento in esame. Pag. 48
L'affermazione secondo cui i contratti a tempo determinato non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato mi sembra meritevole, inoltre, di un altro approfondimento: in questo stesso provvedimento il comma 4 dice che è riconosciuta la valutazione dell'intero anno di servizio ai fini dell'attribuzione del punteggio delle graduatorie. Quindi, a questi lavoratori si riconosce un punteggio per l'inserimento nelle graduatorie che servono per accedere ad un posto di lavoro a tempo indeterminato e poi si dice che però il loro rapporto di lavoro non si trasformerà mai in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Domanda (questa domanda è stata posta dall'onorevole Madia in Commissione, ma nessuno vi ha dato risposta): se il lavoratore precario dovesse entrare in ruolo durante il periodo di supplenza, quale sarebbe l'impatto di una norma scritta in questo modo? Il docente non conseguirà più la cattedra? Questo dovremmo deciderlo prima di arrivare alla fine della discussione sul provvedimento in esame.
Inoltre, per quanto riguarda la parte finale del comma, ossia «i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, non possono (...) consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima della immissione in ruolo», ci sono una serie di valutazioni da fare.
Ci sono violazioni della direttiva 1999/70/CE che fissa il divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. Tra l'altro la direttiva ha avuto attuazione nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 368 del 2001.
Ritengo che non vi sia alcuna possibilità di riuscire a superare l'eventualità di un contenzioso nazionale perché anche in Italia una serie di contenziosi sono stati aperti ed i lavoratori hanno ottenuto una risposta positiva.
Per quel che riguarda, però, la sentenza della Corte europea si dice che la scuola è speciale perché i lavoratori sono chiamati a garantire, attraverso la continuità didattica, il diritto costituzionale all'educazione, all'istruzione e allo studio.
Vorrei riflettere soltanto un minuto sul fatto che la sentenza della Corte europea riguardava una controversia tra una lavoratrice ed un ospedale pubblico ed era relativa alla concessione di scatti di anzianità e, nonostante si trattasse di una lavoratrice che operava in ambito sanitario per garantire il diritto alla salute, la Corte si è espressa a favore della lavoratrice.
A questo proposito (d'ora in poi parlerò esplicitamente di scatti di anzianità, permettetemi di chiamarli così), va rilevato che gli scatti di anzianità sono riconosciuti ai solo insegnanti di religione, determinando di fatto una discriminazione ulteriore rispetto agli altri docenti precari.
Il punto sembra essere la vigenza dell'articolo 53 della legge n. 312 del 1980 in cui, al comma 3, si riconoscono gli scatti di anzianità per i docenti non di ruolo con incarichi annuali. A questo punto, basta leggere l'articolo 146 del contratto collettivo nazionale della scuola vigente in questo momento e, nell'elenco delle norme che continuano a trovare applicazione nel comparto scuola, si trova l'articolo 53.
Inoltre, ricordo le dichiarazioni della viceministro all'istruzione del precedente Governo, Mariangela Bastico, che in Aula dichiarava la piena vigenza della norma e diceva esplicitamente che il problema che impediva l'estensione degli scatti di anzianità era esclusivamente di bilancio.
Quindi, il problema di discriminazione esiste e va superato trovando le modalità adeguate magari con il confronto con le parti sociali; infatti, basterebbe dare seguito alla sequenza contrattuale del contratto collettivo nazionale corrente.
Tale sequenza contrattuale consiste nel confronto da attivare su una serie di istituti e al punto d) si dice esplicitamente che bisognerà incontrarsi per parlare di ridefinizione di modalità e criteri connessi Pag. 49al trattamento economico spettante al personale docente assunto con contratto a tempo determinato.
Questa, secondo me, signor sottosegretario, è la strada maestra per affrontare il problema, una strada fatta di confronto e di assunzione di responsabilità. La strada è tracciata: c'è il problema, c'è l'assunzione di responsabilità delle parti sociali e bisogna solo percorrerla.
Non mi sembra però che vadano in questa direzione le dichiarazioni fatte dall'onorevole Aprea in Commissione lavoro. Voglio citare solo il resoconto: il comma 1 prevede che d'ora in poi i precari ammessi in ruolo non abbiano più diritto, ai fini della determinazione della retribuzione spettante, alla ricostruzione di carriera.
Inoltre, l'onorevole Aprea rileva che il punto è che la ricostruzione della carriera determina per la finanza pubblica un costo aggiuntivo non più sostenibile atteso che vi sono docenti che vengono messi in ruolo dopo anni di precariato e quindi con stipendi, a carriera ricostruita, prossimi o uguali al massimo stipendio di un docente di ruolo.
Ecco, le affermazioni dell'onorevole Aprea portano a due conclusioni, la prima delle quali è che i docenti vengono assunti con contratto a termine per risparmiare, e si risparmia sugli scatti di anzianità. In secondo luogo, una dichiarazione del genere apre la porta ad una marea di ricorsi e di grandi conflitti con i lavoratori della scuola. Mi chiedo se abbiamo bisogno di una situazione del genere.
Qui non stiamo parlando degli scatti di anzianità durante il contratto a termine, stiamo dicendo che non si ha nessuna intenzione, neanche al momento del passaggio in ruolo, di fare la ricostruzione di carriera. Provate a dire una cosa del genere agli insegnanti in questo momento e vedete qual è la reazione.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione sulla questione relativa al comma 3, ossia ai progetti le cui caratteristiche ho tracciato prima e di cui ho sottolineato i limiti e i problemi che si pongono rispetto all'autonomia delle regioni. Voglio parlare dei lavoratori che si ritroveranno a fare supplenze temporanee (qualche mese all'anno, se sono molto fortunati).
Nel periodo in cui non hanno supplenze temporanee si vedranno riconosciuta l'indennità di disoccupazione. Cominciamo a parlare di cifre: se sono lavoratori che hanno diritto alla disoccupazione ordinaria, se cioè hanno lavorato 52 settimane nei due anni precedenti, hanno diritto al 40 per cento della retribuzione, altrimenti hanno diritto al 30-35-40 per cento in relazione all'età e ne hanno diritto però, se per caso hanno quella a requisiti ridotti, soltanto per il periodo corrispondente alle giornate lavorate.
Questo significa che vi sarà una situazione in cui non è garantito per tutti il fatto di avere una sorta di indennità di interregno e un'indennità di disoccupazione che, lo torno a dire, nella condizione migliore è del 40 per cento dello stipendio di questi lavoratori che abbiamo appena finito di definire molto basso.
Noi ci stiamo assumendo questo tipo di responsabilità, ma ce ne assumiamo anche un'altra - anzi, se l'assume la maggioranza a questo punto per quel che mi riguarda - ossia quella di dire che a questi lavoratori si può dare anche una indennità di partecipazione. Pertanto, vi saranno dei lavoratori iscritti a una graduatoria di docenti che saranno pagati con un'indennità di disoccupazione e con una indennità di partecipazione che può, per esempio, anche non esistere (perché le regioni possono eventualmente dare questa indennità) rispetto ad un contratto collettivo nazionale a cui loro hanno diritto.
Penso che questo sia un elemento di sconquasso grandissimo. Inoltre, si mette in discussione la dignità di questi lavoratori che sono insegnanti a tutti gli effetti o personale ATA a tutti gli effetti. Penso che questo genererà una serie di problemi e vi chiedo soltanto una cosa. Faccio anche in questo caso un esempio per chiudere.
Un docente è in questa condizione: fa la supplenza temporanea, la finisce e gli danno l'indennità di disoccupazione, comincia Pag. 50un progetto regionale con un'indennità che è molto parziale, quindi il complesso dell'indennità di disoccupazione più l'indennità di partecipazione non fa il salario del contratto collettivo nazionale. Arriva una nuova supplenza temporanea: questo lavoratore che fa? Resta nel progetto regionale (non può mica lasciare un lavoro di questo tipo), e ciò significa che rinuncia ad un salario pieno.
Questi, secondo me, sono problemi. Bisognerebbe riuscire a capire come si articolano, bisognerebbe vedere, e comunque torno a dire che c'è un problema di dignità e di applicazione contrattuale.
Fatemi soltanto dire un'ultima cosa: abbiamo presentato su questi punti, e su altri che non ho toccato, una serie di emendamenti per migliorare il provvedimento, anche se restiamo convinti della necessità di intervenire con un progetto più generale a partire dalla realizzazione dei passi successivi del progetto cominciato dal Governo precedente.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIA GRAZIA GATTI. Concludo, signor Presidente. Penso seriamente che non abbia senso ricominciare ogni volta da capo. Non è buono per la scuola e non è buono nemmeno per il nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, siamo ormai da molte ore qui nella fase della discussione sulle linee generali, quindi cercherò di svolgere un intervento il più succinto possibile nei limiti di un argomento così importante, e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento che non leggerò integralmente.

PRESIDENTE. Onorevole Capitanio Santolini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Dobbiamo riconoscere, prima di affrontare la questione che ci interessa su questo provvedimento, che tutti i Governi hanno in qualche modo contribuito alla situazione attuale. Dobbiamo anche riconoscere che andava fatta una programmazione di tendenziale riduzione della spesa pubblica con la relativa razionalizzazione del sistema anche prima di questi ultimi mesi.
Abbiamo sempre criticato un sistema nel quale una notevole percentuale di docenti ha conseguito l'immissione in ruolo ope legis, senza concorsi e senza un'accurata selezione sia sul piano della preparazione che sul piano delle capacità didattiche.
La conseguenza è un grande caos nelle graduatorie e a seguire una confusione strutturale nella gestione delle risorse, per cui ad un surplus di insegnanti in alcune zone corrispondono cattedre vacanti in altre.
Infine, sappiamo tutti che l'Italia è il Paese con il numero più basso di alunni in rapporto ai docenti. Era ed è necessario mettere ordine nella scuola evitando quella sorta di generica e generalizzata sanatoria che in passato ha fatto passare l'idea errata che la scuola sia diventata un ammortizzatore sociale con grave detrimento della scuola stessa e del suo prestigio.
Emerge chiaramente che però il problema della scuola va affrontato con una serie di interventi più organici da inquadrare in una visione di sistema delineata con maggiore chiarezza. È vero che ci sono molti sprechi e che andavano affrontati, ma l'OCSE ha evidenziato da anni il grave deficit italiano nel settore dell'educazione soprattutto in termini di quantificazione della spesa e mancata valorizzazione del capitale umano. Dunque, si trattava e si tratta di prendere decisioni coraggiose che vadano nella direzione di migliorare nel complesso e in ogni sua parte il mondo della scuola. In altre parole - vado rapidamente alla conclusione - speravamo che i problemi della scuola si affrontassero alla radice con vere riforme, senza Pag. 51le quali si fanno interventi solo dettati dall'emergenza e che non risolvono alla radice i problemi.
Parliamo ormai da tempo di vera autonomia della scuola, di reclutamento dei docenti, della carriera dei docenti, della valutazione seria delle scuole, della libertà di scelta educativa delle famiglie. Tutto questo non è nemmeno all'orizzonte di questo Governo.
Quindi, noi siamo sorpresi e amareggiati che si facciano interventi di emergenza per evitare non solo conflitti sociali, ma la messa sul lastrico di decine di migliaia di personale docente e non docente. È chiaro che c'è un'emergenza occupazionale, ma questo è il frutto di tagli lineari che sono stati fatti un anno fa con la legge finanziaria di questo Governo.
Il Governo ha attuato una politica scolastica che noi abbiamo definito miope senza tenere in considerazione la complessità del sistema e le profonde differenze che si registrano da una regione all'altra e da una città all'altra.
Allora auspichiamo che si abbandoni la logica dell'una tantum a favore di un ripensamento totale del sistema scolastico che finalmente faccia affidamento sulle tante risorse di cui la scuola dispone e che non sa probabilmente valorizzare appieno.
Visto che le riforme a costo zero non si possono fare, ci preoccupa che non ci siano finanziamenti adeguati come hanno fatto del resto la Francia e la Germania, malgrado la crisi, e quindi siamo in attesa di risorse nuove che arrivino alla scuola.
Visto che è stato approvato lo scudo fiscale, un provvedimento che abbiamo giudicato iniquo e certamente non di buon esempio per i nostri ragazzi, possiamo pensare di chiedere che una cospicua parte di questo scudo fiscale venga «girato» alla scuola, ai suoi problemi e alle famiglie?
Tra l'altro, a proposito di spese e di risparmi ci sono seri dubbi espressi da molte parti che si possa risparmiare davvero con questo provvedimento, perché probabilmente si farà gravare sugli enti locali e previdenziali il peso di determinati oneri risparmiati a livello nazionale. Quindi, è tutto da vedere il risparmio che riusciremo ad avere.
Abbiamo anche un'altra preoccupazione, oltre al mancato risparmio, il fatto che essendo questo un provvedimento tampone è possibile che si presentino gli stessi problemi all'inizio dell'anno prossimo, aggravati magari da contenziosi, così come sono stati prefigurati da molti, presso i vari tribunali amministrativi. Quali risposte ci dà la maggioranza e il Governo? Siamo in attesa che domani, magari sul filo di lana, qualcuno ascolti queste nostre domande e ci dia delle risposte convincenti.
Ribadiamo che non si può fare un intervento sulla scuola con una logica del tutto ragionieristica, incapace di offrire soluzioni organiche e definitive in una prospettiva di ampio respiro. È molto dirimente e grave che si diano alla luce provvedimenti spesso confusi e contraddittori che sono una via di mezzo tra le riforme e provvedimenti di corto respiro e di corto esito. È vero che è stata allargata la platea degli aventi diritto, ma va riconosciuto che questa proposta di legge non prevede alcuno stanziamento a favore dei precari, ma solo un mero meccanismo automatico che utilizza quei precari già in cattedra l'anno precedente con un incarico annuale, avviando disparità di trattamento di cui anche i colleghi hanno sottolineato la gravità. Per non parlare dell'inserimento a pettine o in coda alle graduatorie, cosa che ha creato anch'essa delle disparità di trattamento e notevoli problemi in giro per l'Italia, presso le scuole e presso i docenti.
Infine, e vado concludendo, la Commissione cultura si è dichiarata favorevole e la maggioranza ha preparato un documento con parere favorevole, ma in realtà ha posto una serie di condizioni e una serie di considerazioni che non possono non far riflettere su quanto sia parziale questo provvedimento. Il Governo, almeno a quanto mi consta, non ha raccolto molto di quanto è emerso in Commissione cultura. Pag. 52
Concludo. Siamo in attesa di riforme di ampio respiro e di criteri di reclutamento dei docenti, siamo in attesa della vera autonomia della scuola e della tanto sospirata libertà di scelta educativa delle famiglie. Per ora, tra parentesi, sappiamo solo che sono stati tagliati ulteriori fondi alle scuole materne e speriamo che anche questo si possa risolvere in breve tempo. Le misure in oggetto tuttavia offrono, sia pure in maniera limitata e parziale, alcune tutele di natura economica e giuridica che non possiamo ignorare o peggio cancellare. Rimaniamo insoddisfatti rispetto alle aspettative della scuola e rimaniamo in attesa di provvedimenti che abbiano come obiettivo il miglioramento complessivo dell'istruzione e il pieno soddisfacimento delle legittime aspettative degli studenti e delle loro famiglie. Tuttavia, malgrado le molte riserve avanzate, con senso di responsabilità esprimiamo una sospensione di giudizio che vorremmo quanto prima trasformare in un convinto assenso quando le nostre richieste verranno soddisfatte. Tutto questo però nella speranza che il Governo, come spesso fa, non si chiuda in modo autoreferenziale e non rifiuti quel dialogo che noi auspichiamo con l'opposizione. In questo deprecato caso è chiaro che noi ne trarremo le dovute conseguenze e ognuno si assumerà le proprie responsabilità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Santagata. Ne ha facoltà.

GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, il ministro Brunetta ci ha ricordato più volte che il nostro Stato, il nostro Governo e la pubblica amministrazione in genere dovrebbero assumere con più decisione il ruolo di datore di lavoro, un formula vaga ma comunque più o meno accettabile. Io lo voglio seguire su questo, ma allora fra gli obblighi che un datore di lavoro ha nei confronti dei propri lavoratori, ma anche nei confronti dei vari portatori di interessi che fanno riferimento alla sua impresa, il primo obbligo è quello della chiarezza, della verità e della trasparenza.
Qui siamo di fronte ad un provvedimento, per la verità, siamo di fronte al figlio di un provvedimento: il provvedimento madre è quello che mette mano ad una riorganizzazione della scuola la cui motivazione, non ben dichiarata, a me pare evidentemente che non sia tanto quella di migliorare la qualità, l'efficienza, la capacità formativa della nostra scuola, ma quella di fare cassa. Tra l'altro, segnalo al sottosegretario che siete rimasti praticamente soli a fare cassa in questo Governo, se la sono presa tutti con voi, ma va bene così.
È del tutto evidente che volete fare cassa perché per compiere questa operazione, che anche il Governo Prodi aveva avviato, ma con modi totalmente diversi, avete scelto modalità tutte muscolari che si spiegano solo con l'esigenza impellente di trovare i famosi 8 miliardi, altrimenti non si capisce perché 132 mila esuberi - non li volete chiamare licenziamenti, chiamateli come volete - 132 mila tagli in tre anni, cioè ad un ritmo che supera di almeno 20-25 mila unità il blocco del turn over. Questo è chiaro, però, agli azionisti, cioè agli italiani, dovete dire qual è la motivazione; non gli dovete «vendere» che state migliorando la scuola dei nostri figli perché state facendo cassa e avete talmente fretta di fare cassa che licenziate la gente. Dopo di che, e veniamo al merito, vi trovate in difficoltà perché scoprite che avete licenziato gente che, vivaddio, era lì da anni, svolgeva un certo mestiere, e diventa complicato.
Riguardo al merito di questo provvedimento, torniamo agli obblighi di trasparenza e di verità. Io comincerei dai dati: trovo scandaloso che per tutto il lavoro della Commissione non siamo riusciti ad avere un dato che assomigliasse a quell'altro e che ci dicesse quanti sono i precari a vario titolo e quanti sono quelli che usufruiranno di questo provvedimento tampone. Ma mi preme molto di più dei dati sottolineare che qui nessuno ha detto ai lavoratori chi di loro avrà un futuro nella scuola: esiste ancora per qualcuno un futuro nella scuola? Non parlo solo dei 16 mila, o quanti sono, a cui questo Pag. 53provvedimento si riferisce, parlo anche di quelli che quest'anno hanno riavuto l'incarico annuale, quelli che hanno sopperito ad una quota del part time, che l'hanno avuto quest'anno, ma se il prossimo anno dobbiamo tagliare altri 43 mila posti e il part time del prossimo anno è, secondo Cazzola, di 20 mila, secondo la Ministra Gelmini, di 30 mila, ma comunque ne ballano sempre 12-15 mila, anche quelli il prossimo anno non saranno più nel mondo della scuola.
Noi stiamo parcheggiando della gente perché torni a scuola o stiamo facendo un provvedimento per non avere la gente davanti al Ministero? Questo lo dobbiamo sapere, perché se io, lavoratore precario della scuola, devo fare il parcheggiato, dopo anni di insegnamento, per un anno devo fare i lavoretti delle regioni e prendere 350 euro di indennità di disoccupazione, preferisco saperlo prima. Quindi, chi può tornare a scuola e in quanti anni possono tornare a scuola? Io ho fatto due calcoli di pura matematica banale: i più fortunati potranno pensare, sperare di tornare a scuola fra tre anni scolastici, il quarto anno a partire da oggi; i meno fortunati fra i fortunati tra sette anni, ma con un ammortizzatore sociale che dura un anno solo e che prevede i lavoretti delle regioni? Li stiamo prendendo in giro.
E gli altri? Qualcuno ha il coraggio di andare a dire agli altri 180-200 mila che la scuola se la devono dimenticare perché per loro non ci sarà più, oppure ci sarà a partire dall'ottavo anno? Stiamo dicendo a gente che ha già trent'anni che deve aspettare i quarant'anni, perché al quarantesimo anno, forse, possono pensare di avere un posto a scuola. E a quelli che quest'anno si iscrivono alle facoltà umanistiche? A quelle facoltà che una volta formavano prioritariamente i nostri insegnanti, glielo vogliamo andare a dire o vogliamo continuare a tenere il numero chiuso per i medici e lasciare aperta questa valvola di sfogo per futuri precari che neanche più precari saranno?
Trasparenza e verità: è questo che il Governo, se è un datore di lavoro, deve ai propri lavoratori. Allora, il Governo deve questa trasparenza e verità prima di tutto al Parlamento e sul comma 1 in maniera inequivoca. Ci siamo sentiti dire che non si chiamano più insegnanti precari coloro che fanno le supplenze, cioè i 20 mila che hanno avuto la supplenza annuale in sostituzione di una quota del turnover si chiameranno garanti di continuità del servizio scolastico ed educativo. Questo potrebbe essere il nome, oppure: «tappa buchi». Chiamateli come volete, ma non sono insegnanti, salvo che poi, tre commi dopo, prendano il massimo del punteggio in quanto si va in cattedra e in ruolo con il punteggio. Allora, come fate a dirmi che i due lavori non sono tra loro collegati, anzi per motivi organizzativi e strategici non sono nemmeno tra di loro collegabili in termini logici? Rimango veramente in dubbio che questo possa essere in qualche modo creduto da qualcuno. Che l'insegnante di lettere di un ragazzino delle medie, che ha quell'insegnante dall'inizio alla fine dall'anno perché ha avuto un incarico annuale, non sia più un'insegnante, me lo dovete veramente spiegare. Altrimenti facevamo molto prima a prendere i netturbini in esubero e a mandarli a fare le supplenze annuali. Non c'era mica il problema di stare attorno ai laureati che hanno vinto il concorso e che hanno l'abilitazione: tanto non sono insegnati e quindi chi se ne frega.
A parte ciò, vorrei che si facesse chiarezza su due aspetti. Non si ricostruiscono più le carriere di queste persone tra sei, sette, tre anni (vedremo quando), o si ricostruiscono? Noi, infatti, siamo molto bravi in quanto siamo europeisti in maniera straordinaria quando fa comodo a questo Governo. Siamo diventati europeisti in difesa della pari opportunità per le donne per allungare loro l'età pensionabile e in questo caso siamo europeisti di nuovo per fare cassa. Fino a oggi nel bilancio a legislazione corrente i soldi per la ricostruzione delle carriere ci sono, perché il Ministero e i provveditorati ricostruiscono le carriere. Fino ad oggi i precari quando entrano in ruolo hanno la ricostruzione della carriera e, quindi, gli scatti di anzianità. Di conseguenza, ciò significa risparmiare, Pag. 54fare un ennesimo taglio sulla pelle di chi già si vede fottuto sul futuro posto di lavoro. In ordine alla trasparenza, stiamo abrogando l'articolo 53 della legge del 1980? Se la stiamo abrogando, lo stiamo facendo per tutti? Tradotto ciò vuol dire: questo Governo vuole dirci con chiarezza cosa intenda fare degli insegnanti di religione? Questi insegnanti, infatti, avevano un comma ad hoc che gli ricostruiva la carriera perché non avevano il ruolo. Ma noi abbiamo istituito il ruolo, quindi gli insegnanti di religione sono parificati agli altri in quanto hanno un momento della loro carriera in cui entrano in ruolo e sono del tutto uguali agli altri. Il comma 1 si applica anche agli insegnanti di religione? In Commissione abbiamo chiesto più volte di trattare tutti come gli insegnanti di religione, ovvero di mantenere questo diritto per tutti. Tuttavia, vogliamo sapere se c'è una discriminazione, perché siccome lo vuole sapere l'Europa, vorremmo anche sapere ci dobbiamo preparare ad un miliardo di contenziosi.
Concludo qui, anche se avrei altre questioni, ma credo che su un tema così complicato abbiamo l'obbligo di dire come stanno le cose. In Commissione abbiamo cercato, partendo dal presupposto che anche noi siamo convinti che la scuola abbia bisogno di migliorarsi, di trovare alcune soluzioni che migliorassero questo testo e che rendessero meno amara la pillola. Siamo disposti ancora a lavorare su questa strada, ma senza che dentro e nelle pieghe di un provvedimento così complicato e così poco digeribile vi siano anche pillole avvelenate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, oggi abbiamo ascoltato questa importante discussione sulle linee generali, che ha dato evidenza ad alcuni toni, ad alcuni rilievi e ad alcune osservazioni, che, a partire dal relatore e da molti colleghi delle Commissioni lavoro e cultura, sono stati espressi in quest'Aula. Ritengo che, sia pure nella sua specificità - questo va rilevato -, il comparto scuola e, in particolare, il problema che affrontiamo con questo decreto-legge, quello dei cosiddetti insegnanti precari, sia un problema molto serio, che, come ha ricordato il collega ed amico, professor Cazzola, ha radici antiche e vede stratificarsi una quantità di responsabilità e di irresponsabilità da parte di organismi politici, sindacali, datoriali, dei vari Governi e dei vari Ministri che si sono avvicendati almeno nel corso degli ultimi trent'anni alla pubblica istruzione, come si chiamava una volta, e che hanno visto accumularsi una vera e propria sacca di cosiddetto precariato, che in questo momento costituisce l'oggetto del nostro provvedimento. Evidentemente, non è un problema che si risolve con una bacchetta magica, a maggior ragione in una situazione di crisi e in una fase in cui, in qualche modo, grazie ad una politica di rigore del Governo, con cui si è cercato di garantire i saldi di finanza pubblica, evidentemente c'è la necessità di rivedere un approccio che, come sottolineava per altri aspetti il collega Fedriga, è stato in qualche misura assistenzialistico, per tanti versi. Tale approccio ha fatto immaginare la pubblica amministrazione in generale e con essa anche parte della scuola come un ammortizzatore sociale, ma - lo ripeto - con una specificità diversa, nel senso che per la scuola valgono chiaramente degli elementi di differenziazione. Infatti, nella scuola in gran parte si entra senza il concorso, che invece è previsto per tutte le categorie del pubblico impiego: esiste una stratificazione diversa e diversi meccanismi di reclutamento. Il collega Santagata ricordava prima quanto fosse difficile andare ad individuare il numero della platea dei beneficiari di questo o di altri provvedimenti o quanti soggetti costituiscano una categoria interessata da un determinato inquadramento, da un determinato inserimento, da una determinata graduatoria. Ciò proprio perché la giungla normativa diventa difficilmente districabile e leggibile, se non per un numero ristretto di addetti ai lavori, quali peraltro noi siamo Pag. 55o dobbiamo essere, in facoltà del mandato che ci viene conferito e delle competenze delle Commissioni alle quali apparteniamo.
Ritengo, tuttavia, che sia sbagliato il gioco di rinfacciarsi responsabilità o volontà che, peraltro, non si hanno e che, quindi, sia sbagliato dire che il Governo vuole licenziare. Infatti, evidentemente, se la finanziaria 2007 prevedeva, a regime, un risparmio di 1 miliardo e 400 milioni sul settore scuola, l'effetto di riduzione di questa sacca di precariato era previsto anche da parte dei Governi di centrosinistra, perché la legge Biagi non si applica al pubblico, perché il meccanismo di sanatorie non può essere una costante, perché bisogna individuare la riduzione delle sacche di precariato e commisurarla alle esigenze vere della scuola, una scuola al cui centro ci sono gli studenti, che non può guardare soltanto all'aspetto occupazionale, ma a quello funzionale.
Quindi, in considerazione di tanti elementi che intervengono in questo dibattito, credo che alcune osservazioni svolte dall'opposizione, la disponibilità manifestata dalla relatrice, onorevole Pelino, in apertura di questa seduta, l'equilibrio nella conduzione dei lavori della Commissione del presidente Moffa e la disponibilità, per altri aspetti, del Governo nel seguire da vicino, in particolare il sottosegretario Pizza, i lavori di questo provvedimento, sia in Commissione sia oggi qui in Aula, possano essere forieri di un tentativo di andare a trovare delle convergenze, compatibilmente con il rispetto delle reciproche posizioni, cercando di considerare sempre che stiamo parlando non di numeri, ma di persone, di lavoratori, di un settore che interessa il futuro dei nostri figli e delle nuove generazioni, sapendo che nessuno ha interesse a fare la parte del cattivo o del leone.
Stiamo parlando di persone, stiamo parlando di un comparto vitale. Formulo, quindi, l'auspicio che si riesca, per il maggior numero di occasioni possibili, che possono essere presentate dagli emendamenti o dal lavoro del Comitato dei nove, a trovare una convergenza su quelle che possono essere delle mediazioni e degli elementi di incontro che, per un verso il Governo, per altri aspetti la maggioranza, per altri la relatrice e il presidente di Commissione, proprio a fronte del clima positivo che si è instaurato su questo provvedimento, avranno la facoltà di individuare e speriamo anche a risolvere, nell'interesse generale di un confronto democratico, legittimo, sereno, e costruttivo tra maggioranza e opposizione, fermo restando che il decreto-legge è attualmente in vigore, il Governo si è impegnato su determinati punti e c'è una maggioranza che va avanti, ma consapevole che, ove sia possibile ricercare un'intesa, a quest'ultima, compatibilmente con le posizioni di tutti, si debba guardare con un certo favore (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2724-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Quartiani, Volontè, Evangelisti ed altri n. 1-00253 concernente iniziative in materia di cooperazione allo sviluppo (ore 20,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Quartiani, Volontè, Evangelisti ed altri n. 1-00253, Pag. 56concernente iniziative in materia di cooperazione allo sviluppo (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata in calce al resoconto della seduta del 15 ottobre 2009.
Avverto, altresì, che è stata presentata la mozione Boniver, Stefani, Iannaccone ed altri n. 1-00254 (Vedi l'allegato A - Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Quartiani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00253. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, illustrerò sicuramente la mozione a mia prima firma, che reca anche le firme di numerosi colleghi in rappresentanza dei gruppi di opposizione.
Sicuramente avremo modo, anche dopo aver sentito la collega Boniver ed altri colleghi della maggioranza che hanno presentato una mozione sullo stesso tema, di orientarci e di capire quale possa essere la conclusione di un dibattito che vede impegnato il Parlamento in una richiesta pressante nei confronti del Governo per il mantenimento degli impegni che lo stesso Presidente del Consiglio, per il Governo italiano che era leader del G8, ha assunto a L'Aquila in termini aggiuntivi rispetto a quelli che già erano precedentemente stati assunti in sede di G8 e di G20.
Credo, perché questo era il nostro obiettivo, che sussistano le condizioni per giungere a un orientamento e a un indirizzo comune che il Parlamento, nel suo insieme, può dare al Governo, con il Governo consenziente, affinché l'obiettivo di questa mozione possa determinare ciò che in realtà è nelle intenzioni dei firmatari della mozione stessa.
Non si tratta qui di mettere in discussione la riscrittura del sistema complessivo della cooperazione allo sviluppo, che va sicuramente adeguato alle condizioni del momento, all'evoluzione della situazione internazionale, della crisi economica, degli impegni dei Governi, degli impegni assunti in sede di G8 e di G20: si tratta sicuramente di una questione che il Parlamento deve affrontare, ma con tempi anche relativamente più lunghi rispetto all'obiettivo intrinseco ad una mozione parlamentare, che vuole raggiungere - lo ripeto - una condizione specifica nel momento breve.
La mozione n. 1-00253 è l'esito di una risposta che il Governo ha recato ad una interpellanza urgente, che io stesso ho avuto modo lo scorso mese di avanzare al Governo. Quest'ultimo ha risposto in modo parzialmente positivo, ma lasciando aperta una serie di questioni a proposito delle quali la nostra insoddisfazione ha determinato l'annuncio e poi la presentazione di una mozione, la quale non vuole avere alcuna criticità specifica nei confronti del Governo di oggi e dei Governi del passato: vuole solo assumere una condizione reale sulla quale occorre che Governo e Parlamento insieme operino per ristabilire le priorità interne alla nostra politica estera e quelle interne al nostro bilancio e alla nostra legge finanziaria.
È chiaro, signor Presidente, che quando il Governo del Paese, rappresentando i cittadini italiani e le istituzioni italiane, Parlamento compreso, assume in sede di G8 un impegno, credo che tale impegno come minimo debba essere letto all'interno dei numeri della legge finanziaria e del bilancio del 2010. Tutto ciò non è invece compreso. Se leggiamo la legge finanziaria e guardiamo al bilancio triennale (e credo che anche la mozione della maggioranza lo riconosca), non è previsto alcun impegno relativamente alla cooperazione e allo sviluppo: nessun impegno a raggiungere, anche se gradualmente, gli obiettivi ai quali noi abbiamo dato il nostro consenso e per i quali ci ripromettiamo di essere nel mondo propositori di una cooperazione allo sviluppo che impegni parti rilevanti del PIL dei Paesi avanzati, Pag. 57a cominciare dall'Italia, che dovrebbe nel 2010 (cioè fra un anno) stanziare lo 0,51 per cento del PIL.
Lo 0,51 del PIL, fatti i conti, sono più di 8 miliardi e mezzo di euro; oggi siamo fermi a meno di 3 miliardi di euro. Anzi, bisogna prendere atto che, a fronte di un leggero aumento nel corso del 2008 dovuto alla legge finanziaria che nel 2007 adottò il Governo di centrosinistra, che tese ad invertire, seppure di poco, la tendenza al taglio degli impegni dello Stato italiano nella cooperazione allo sviluppo, quando nel 2008 si arrivò allo 0,22 per cento del PIL, oggi, dopo i tagli che sono stati determinati dal Governo e da diverse manovre di carattere finanziario nei mesi scorsi, arriviamo ad una situazione nel 2009 per cui vi sono più di 522 milioni di euro di tagli su tale voce, e l'impegno dell'Italia dal punto di vista percentuale si riduce ulteriormente, fino a rappresentare solo lo 0,17 per cento del PIL.
È chiaro a tutti che dallo 0,17 allo 0,51 previsto per l'anno prossimo vi è almeno la necessità di accertare che effettivamente il Governo intenda realizzare un impegno finanziario e di bilancio superiore a quello che in realtà non è neppure previsto nella legge finanziaria. Questo è il punto.
Non credo nemmeno - non ho sentito nessuno dirlo ma l'ho sentito dire dal Ministro dell'economia e delle finanze quando gli è stato fatto un rilievo specifico ovvero che nella legge finanziaria non erano previsti nemmeno gli stanziamenti per il 5 per mille che, in realtà, sono soldi che gli italiani, in maniera specifica e volontaria, quando compilano il loro 730 o il modello unico, destinano alle Onlus e alle organizzazioni di volontariato che intervengono in determinati settori, compresa la cooperazione internazionale - che si possa assecondare l'idea di definire, magari con qualche altro decreto o decretino, una volta approvata questa finanziaria che non contiene alcun impegno in merito alla cooperazione allo sviluppo internazionale, dopo aver verificato quale possa essere l'ammontare delle risorse che derivano dallo scudo fiscale o da qualche azione sull'evasione fiscale, e magari una tantum, un qualche intervento in più o mettere qualche numero sul bilancio dello Stato.
Non credo questo faccia onore al nostro Paese, né al miglioramento degli elementi di governance internazionale in una fase di crisi né a un Paese che, benché sia un fanalino di coda in Europa dal punto di vista di vista della percentuale di PIL impegnata nella cooperazione allo sviluppo, comunque presenta una vastità di interventi per quanto riguarda le diverse organizzazioni che sono impegnate in questo settore, sia dal punto di vista dell'impegno volontario che della professionalità di coloro che vi operano che è riconosciuta a livello internazionale. Quindi, credo che, anche dal punto di vista del modo in cui si può illustrare il buon nome dell'Italia nel mondo e dal punto di vista ancor più importante di come si possano alleviare le sofferenze delle popolazioni meno sviluppate nel mondo che, nel contesto della crisi economica, tendono a crescere, l'Italia non possa venir meno, anche all'interno di impegni di bilancio, di legge finanziaria e di previsioni per gli anni a venire, ad un impegno solenne assunto anche dal nostro Paese a L'Aquila, nel corso del G8. Credo che da questo punto di vista rappresenti un imperativo categorico per tutti, per il Governo come per il Parlamento, quello di invertire la tendenza all'aggiustamento dei conti che pure so essere un problema all'interno di una crisi economica. Non si può dire, come qualcuno sostiene che, poiché si fanno dei tagli ovunque, dal momento che c'è scarsità di risorse di bilancio, allora anche la cooperazione allo sviluppo internazionale debba risentirne in modo tale che si diminuisca la posta di bilancio a favore di queste iniziative.
Non credo si possa fare così; possiamo concordarlo e il Governo può anche proporlo ma non l'ho sentito fare, anzi lo sollecito in questo senso: il Governo cioè dica dove si può risparmiare. Vi sono dei settori anche nella pubblica amministrazione centrale, nei ministeri, nei quali si possono operare dei tagli perché lì c'è soltanto riproduzione di sé della macchina Pag. 58burocratica e attraverso i quali è possibile ricavare risorse da destinarsi prioritariamente alla cooperazione allo sviluppo. Tale cooperazione non può essere il fanalino di coda di qualsiasi politica estera di una potenza mondiale come è, dal punto di vista economico e sociale, l'Italia. Non è possibile che noi ci impegniamo, da qui al 2010, a mettere in campo 8 miliardi e mezzo di euro all'anno e da qui al 2015 a metterne in campo 12 (perché questo vuol dire lo 0,51 del PIL e lo 0,70 del PIL) e, in realtà, scrivere un numero che è pari a zero nella legge finanziaria per il 2009. Non si possono nemmeno dare per scontati i tagli che sono stati realizzati nel 2009, pari a 500 milioni di euro, su quanto era già stato destinato alla cooperazione allo sviluppo, quindi risorse che già sono state impegnate dalle organizzazioni non governative nei confronti dell'Africa e di quelle popolazioni che hanno subito profondamente la crisi.
La Banca mondiale ci ha detto che quest'anno al mondo saranno 53 milioni in più i poveri a rischio e che nel 2010, a causa della crisi economica, diventeranno circa 90-100 milioni. Credo che non si possa discutere quanto ha detto, ad esempio, pochi giorni fa il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, in un discorso ad un summit a New York, quando letteralmente, lanciando l'allarme sulle conseguenze della crisi per i Paesi più deboli, ha ricordato che due drammatici shock in rapida successione, quello delle materie prime alimentari e petrolifere e quello della crisi globale, hanno capovolto le fortune. In molte aree del mondo - afferma Strauss-Kahn - la posta in gioco non è solo un'elevata disoccupazione o un ridotto potere d'acquisto, ma la vita o la morte.
Di fronte a questa opzione vi sono quindi 100 milioni in più di persone al mondo che rischiano di trovarsi al confine tra la vita e la morte e credo che noi - da questo punto di vista - abbiamo grandi responsabilità. La nostra mozione intende quindi rimettere in campo un impegno preciso del Governo, dal quale vorremmo capire se naturalmente sussistono le condizioni per una convergenza, ovviamente reciproca, sugli impegni contenuti nella nostra mozione sulla cooperazione allo sviluppo.
Però su un punto vorrei chiedere anche un chiarimento ed è la stessa questione sulla quale abbiamo chiesto un chiarimento quando il Governo ha risposto ad una interpellanza urgente un mese fa: è possibile che, a fronte di un disimpegno complessivo dal punto di vista del bilancio dello Stato, si voglia supplire computando come risorse disponibili per la cooperazione allo sviluppo quelle messe in campo da privati o dal terzo settore, quasi che gli obiettivi del nostro Paese in termini di impegno di bilancio pubblico, cioè dello Stato, possano essere computati ai fini degli impegni internazionali assunti sommando l'impegno dello Stato e l'impegno dei privati?
Questo è un punto che va chiarito perché vi sono passaggi rispetto ai quali anche le associazioni e le organizzazioni internazionali vogliono comprendere, dal momento che vi sono modi diversi di intervenire nonché ragioni sociali, obiettivi, modalità di intervento, di azione e d'iniziativa diverse tra chi opera in una ONG ed un privato che, anche facendo del bene, impegna le proprie risorse attraverso impegni eticamente sensibili ed importanti nei confronti dei Paesi e delle popolazioni meno sviluppate del mondo, ma che hanno pur sempre obiettivi di profitto diversi dagli interventi che sono invece definiti in ragione della lotta alle povertà, alle possibili malattie ed alla degenerazione dal punto di vista delle condizioni sanitarie delle popolazioni del mondo, in particolare dell'Africa (questo dell'Africa è un punto sul quale vi è un impegno specifico anche del nostro Paese e del G8).
Ciò chiarito, credo che possiamo ragionevolmente considerare gli impegni che chiediamo al Governo - compreso quello dell'informazione prima di procedere ad una lettura del disegno di legge finanziaria in maniera dettagliata circa gli impegni che il Governo va assumendo o intende assumere nel settore della cooperazione Pag. 59allo sviluppo - un terreno sul quale è possibile avere un'azione bipartisan e condivisa di tutte le parti, della maggioranza e dell'opposizione, presenti in questo Parlamento e in questo Paese, nella direzione di uno degli impegni fondamentali che devono rimanere in capo alle priorità della politica estera e dell'impegno della nostra nazione e dell'Italia, che è quello della cooperazione allo sviluppo e dell'impegno per far fronte alle gravi ulteriori difficoltà di un gran numero di Paesi e di popolazioni nel mondo all'interno di una crisi economica ed internazionale di proporzioni e di carattere anche devastante per alcune aree del pianeta (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marsilio. Ne ha facoltà.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Marsilio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà la mozione Boniver, Stefani, Iannaccone ed altri n. 1-00254, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, illustro la mozione della maggioranza, a prima firma Boniver, Stefani, Iannaccone, iniziando a svolgere una considerazione sull'intervento dell'onorevole Quartiani. Non so se si riuscirà a realizzare una convergenza bipartisan, come si augurava l'onorevole Quartiani, sull'argomento al centro di queste mozioni.
Certamente, ritengo di dover dare atto all'onorevole Quartiani di aver sollevato una questione importante con una serietà e con un tono tutt'altro che strumentale o pretestuoso; un tono differente rispetto ai toni che spesso ascoltiamo in quest'Aula, e fuori, da parte dell'opposizione. Gli do atto di aver posto all'attenzione dell'Assemblea un problema con un approccio costruttivo e per nulla strumentale.
Il tema della cooperazione presenta due grandi binari sui quali si incardina la cooperazione internazionale: quello solidaristico destinato a tutelare la vita e la dignità umana, e quello che riguarda le relazioni bilaterali e multilaterali tra Stati e Paesi.
Il tema della cooperazione è attuale e lo affrontiamo anche alla luce della situazione di quei Paesi africani che sono destinatari della politica di cooperazione, sapendo che presenta degli elementi di diversa natura come il ruolo delle ONG, il coinvolgimento nella cooperazione dei Paesi emergenti, il modo in cui alla cooperazione guardano le principali potenze del mondo (pensiamo ai Paesi del G8), e l'efficacia stessa della cooperazione allorché è necessario andare a controllare come i soldi della cooperazione vengono spesi (coinvolgendo evidentemente nel controllo e nella destinazione di questi fondi gli Stati destinatari dei fondi stessi affinché si lavori su dei progetti).
Tutto ciò rappresenta un cambio di rotta rispetto ad un passato in cui tanti soldi sono stati spesi con un meccanismo e dei controlli dubbi e fallaci che hanno rivelato delle inadempienze.
Bisogna affrontare delle emergenze come quella della lotta all'AIDS o per l'alfabetizzazione delle popolazioni in difficoltà. Vi è la necessità di interventi a trecentosessanta gradi nell'assistenza che impegnano risorse pubbliche e private. È necessario, quindi, anche il coinvolgimento attivo ed efficace di operatori economici privati all'interno di questo meccanismo e non solo delle tante ONG. Bisogna considerare, inoltre, anche il capitale umano che non è meno importante delle risorse economiche.
Bisogna registrare il fatto che nel 2008 vi è stato un incremento importante della destinazione dei fondi pubblici alla cooperazione che ha portato il nostro Paese a investire lo 0,22 del prodotto interno lordo, con un aumento di 850 milioni di euro per l'anno 2008 anche in un momento Pag. 60in cui esiste effettivamente un problema di saldi di finanza pubblica, in una situazione di crisi finanziaria internazionale che ha ricadute pesanti nell'economia reale dei Paesi più sviluppati come l'Inghilterra, gli Stati Uniti e l'Italia.
Quindi, si tratta di una fotografia che viene realizzata nelle premesse della mozione. Intendo illustrare il dispositivo della stessa mozione, leggendolo testualmente in questa Aula. Con la mozione s'intende impegnare il Governo a non interrompere, nell'esercizio finanziario in corso, il processo di graduale incremento del rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo registratosi nel 2008, anche mediante il versamento di contributi italiani pendenti, con particolare riferimento a 130 milioni di euro, dovuti al Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria (altrettanti saranno dovuti nel 2010), ai 30 milioni di dollari aggiuntivi per il Fondo stesso, su cui il Presidente del Consiglio dei ministri si è positivamente espresso in occasione del vertice G8 a L'Aquila, ad una prima quota di quanto l'Italia deve come adempimento degli obblighi assunti con la Convenzione di Londra sugli aiuti alimentari, e ad un primo versamento di contributi per banche e fondi di sviluppo multilaterali, cui l'Italia si è impegnata.
Si intende impegnare il Governo altresì a dare continuità a questo percorso anche nel triennio 2010-2012, verificando, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, la fattibilità di un piano di riallineamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo che, a partire dal triennio in questione, porti gradualmente l'Italia verso il raggiungimento degli obiettivi internazionalmente fissati, sia pure in un arco temporale più esteso, dando attuazione agli impegni in tal senso confermati dal Governo stesso e conferendo, in tal modo, alla cooperazione del nostro Paese quella prevedibilità che è unanimemente giudicata come uno dei canoni fondamentali dell'accountability sul piano internazionale.
Si intende inoltre impegnare il Governo a garantire tale continuità mediante l'integrazione, nell'ambito del citato piano di riallineamento, dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, anche con le risorse umane necessarie sul piano quantitativo e qualitativo. Infine, si intende impegnare il Governo, sempre nell'ambito di tale piano di riallineamento, a considerare anche la necessaria dotazione delle risorse indispensabili a far fronte agli impegni assunti nei confronti del fondo globale, che nel 2010 chiamerà i donatori ad impegnarsi per il suo rifinanziamento nel triennio 2011-2013.
Questo è il dispositivo della mozione Boniver ed altri n. 1-00254, e ci auguriamo che anche su questo tema, che non costituisce terreno di scontro politico nel dibattito tra maggioranza e opposizione e tanto meno credo in quello tra Parlamento e Governo, si riesca (faccio appello anche all'attenzione e alla sensibilità del Governo) a verificare la possibilità di una convergenza, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica presenti. Do atto al collega Quartiani di aver svolto il suo ruolo di opposizione con grande serietà e con grande serenità.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, vista l'ora tarda svolgerò anch'io un intervento breve, perché molte cose sono sta state già dette dal collega Quartiani e, quindi, non mi soffermerò sulle questioni che lui ha affrontato e che mi sembrano sottolineare l'importanza di questa mozione. Anche io mi auguro davvero che su questioni del genere non vi siano contrapposizioni in Aula, non vi siano guelfi e ghibellini ancora una volta, e si trovi il modo per avere una convergenza di idee, di opinioni e di prospettive davanti ad un tema così grave e così drammatico come quello della fame nel mondo. Per questo siamo attenti a come si svolgerà in Aula il dibattito tra maggioranza ed opposizione, perché vorremmo davvero che questa mozione, se fosse condivisa e fosse approvata all'unanimità, qualificasse ancora una volta - e ce n'è Pag. 61bisogno - il lavoro del Parlamento e desse anche una mano al Governo per impegnarsi in una direzione che noi riteniamo assolutamente prioritaria ed indispensabile.
Diceva il collega Quartiani che abbiamo davanti cifre spaventose: un incremento di 53 milioni di persone che sono sotto la soglia della povertà, ed un incremento di 90 milioni nel 2010. Sono cifre che non possono non risvegliare le coscienze e non solo l'attenzione.
Questo non è solo un problema politico. È un problema di più ampia portata su cui i Governi si sono cimentati per molti anni con esiti, purtroppo, ancora assolutamente insoddisfacenti. Quanto noi diamo ai Paesi del Terzo mondo e in via di sviluppo è ancora troppo poco, ed è scandaloso - d'accordo ci sono le crisi, ci sono i drammi, ci sono le difficoltà finanziarie: lo sappiamo tutti - che alla fine a pagare le conseguenze drammatiche della crisi (che nessuno nega) siano queste popolazioni con un incremento percentuale di persone che letteralmente muoiono di fame.
Dunque, ritengo che il ruolo della cooperazione internazionale allo sviluppo non possa diventare marginale e non possiamo relegare ai margini della politica scelte che possono qualificare il nostro Paese, la sua politica estera e questo Governo.
Non sì può - ritengo che siamo tutti d'accordo - dire che il G8 è andato molto bene (certamente è andato molto bene), non si possono sbandierare i successi ottenuti in campo internazionale (che saranno sicuramente veri), e poi quando si spengono i riflettori e cala il sipario tutto questo viene messo nel dimenticatoio e pensiamo alle nostre cose, ai nostri problemi in una visione - mi si consenta - un può gretta, un po' provinciale. Ci richiudiamo nei nostri confini, litighiamo su tutto, i toni di aggressione reciproca sono sempre più alti e mettiamo invece il silenziatore su questi problemi che sono stati enfatizzati durante l'incontro del G8 e del G20 a Pittsburgh.
Dunque, il Governo ha tolto alla cooperazione milioni di euro - lo avrà fatto per ragioni certamente valide ma non sufficientemente valide - ma il fatto di aver sottratto risorse malgrado le promesse fatte a livello internazionale non depone bene per una politica estera che vuole essere anche lungimirante.
Ragioniamo in termini anche un po' cinici (vogliamo fare così!): siamo in piena polemica per gli immigrati; continuano a dirci che arrivano e che sono troppi e che non riusciamo a integrarli e che è necessario respingerli e impedire assolutamente a questi immigrati di arrivare nel nostro Paese. Ma sorge una semplice domanda: quando queste persone dai Paesi di origine non hanno nulla ma proprio nulla da perdere, perché dovrebbero fermarsi e perché non dovrebbero continuare ad arrivare e a premere sui nostri confini non solo via mare, ma attraverso altre frontiere? Perché non dovrebbero arrivare nel nostro Paese e tentare il tutto per tutto (tanto - insisto - non hanno nulla da perdere)?
Pertanto, se facciamo un ragionamento semplicemente pragmatico o di opportunità politica, ritengo che investire sui Paesi in via di sviluppo, dare risorse alla cooperazione allo sviluppo internazionale sia un atteggiamento intelligente. Non si può parlare di obiettivi del millennio, di parole molto grandi di cui sono ricchi i nostri documenti internazionali, sottoscrivere documenti che sono enfatizzati - insisto - e portati sulle prime pagine dei giornali per dare visibilità a coloro che li sottoscrivono e poi non riuscire a mobilitare le risorse che sono state impegnate, anzi non solo non riuscire a mobilitarle, ma addirittura decurtare queste risorse.
Mi sembra che sia preciso compito del Parlamento e non una semplice operazione di tipo politico. È compito di questo Parlamento chiedere al Governo con estrema serietà e rigore che nella prossima legge finanziaria si trovino le risorse e in qualche modo si rivedano le previsioni di spesa per i due anni successivi in modo da invertire il trend che riduce l'aiuto pubblico e le risorse nei confronti della cooperazione allo sviluppo. Pag. 62
Si può discutere sull'entità della cifra, si può discutere come fare. Quello che vorremmo è che vi fosse anche una relazione che venisse presentata dal Governo sugli stanziamenti previsti, i centri di spesa, le rispettive specifiche destinazioni delle risorse necessarie, una sorta di trasparenza, ma in vista di una migliore collaborazione, in vista di una sorta di scambio di proposte e di idee proprio per rendere il nostro Paese al livello degli altri Paesi europei e di onorare gli impegni che sono stati presi in sede internazionale (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, il mio intervento sarà breve e poi vedremo anche in Aula, durante la discussione, di approfondire alcuni temi.
Credo che vi sia un dato politico importante che vada riconosciuto in questa occasione: è questa opportunità che abbiamo di discutere di una mozione sulla cooperazione allo sviluppo, grazie all'iniziativa del collega Quartiani e di altri deputati dell'opposizione, perché avviene alla vigilia della manovra finanziaria, dove i finanziamenti e le risorse necessarie per questo tipo di attività vengono decisi ed il Parlamento ha un ruolo da giocare.
Sono ormai molti anni che il Parlamento non incide come può, anche ai sensi della Costituzione, nell'indirizzare e nel controllare l'attività di Governo, tenendo conto che però in passato il Parlamento lo ha fatto e lo ha fatto nello specifico su questo tema.
Sono contento che sia in Aula il sottosegretario Scotti, che è un decano della politica italiana, perché proprio negli anni Ottanta vi furono iniziative parlamentari, a partire da una campagna che allora fu condotta dal Partito Radicale sullo sterminio per la fame nel mondo, che vide il Parlamento quasi all'unanimità appoggiare iniziative prima a livello parlamentare e poi l'approvazione della legge Piccoli, che nel 1984 decuplicò quello che era allora l'aiuto allo sviluppo, portandolo ai livelli dello 0,40 del PIL (livelli che ormai da più di 15 anni il nostro Paese non ha più raggiunto).
Quindi, in Italia purtroppo abbiamo assistito ad un regredire delle politiche di assistenza allo sviluppo, che appunto sono volte ad evitare la fame e la morte per povertà di decine e decine di milioni di persone.
Credo che il dato politico importante da sottolineare - lo hanno fatto anche il collega Quartiani e la collega Capitanio Santolini - è che questi 16 mesi di legislatura hanno caratterizzato politicamente questo Parlamento e l'hanno caratterizzato in particolare sulle politiche relative all'immigrazione e alla sicurezza, a partire dall'approvazione di provvedimenti che hanno visto restringere le possibilità di accesso legale nel nostro Paese per gli immigrati, a fronte di un fenomeno globale che - come è stato ricordato - vede l'aumento dell'immigrazione in questo senso.
Molti hanno detto che questo tipo di misure erano necessarie perché si doveva intervenire a monte con risorse necessarie per consentire a queste persone di non intraprendere viaggi che spesso purtroppo finiscono anche sul fondo del Mediterraneo, con tragedie che non sappiamo neanche quantificare, e quindi occorreva intervenire nei Paesi d'origine per evitare questi flussi migratori.
A fronte di questo tipo di intendimento in realtà si assiste continuamente ad una riduzione delle risorse e ad un'assenza di qualsiasi impegno politico. Credo che anche all'interno della maggioranza siano maturati in questi mesi convincimenti e convinzioni che occorra fare qualcosa di diverso sul tema dell'immigrazione. Per farlo occorre anche che il Governo si renda conto che le attività di cooperazione allo sviluppo e il mantenere le promesse a livello internazionale rispetto agli impegni che si prendono non riguardano solo la credibilità politica del nostro Paese, che ogni volta ne risente (infatti sono anni e anni che assistiamo a dichiarazioni che vengono fatte dai Primi Ministri nel corso Pag. 63dei vertici internazionali, dalle Nazioni Unite al G8, poi, quando si arriva al momento della legge finanziaria, il Ministero dell'economia e delle finanze taglia queste risorse). Quindi, vi è un costo politico che si paga come Paese, che non va sottovalutato, ma soprattutto vi è un costo umano che è destinato ad aumentare.
Credo che sia un dato positivo la presentazione di una mozione, quale quella della collega Boniver e altri, di tono diverso, anche sotto il profilo dell'impegno, rispetto al passato, però credo che occorra fare di più per ottenere, con una pronuncia il più possibile unitaria del Parlamento, che in occasione della legge finanziaria questa volta non solo si rispetti la parola data, ma si faccia qualcosa di concreto per ridurre appunto quei milioni di morti che ci vengono annunciati ogni anno dai rapporti delle organizzazioni internazionali e rispetto ai quali siamo troppo spesso impotenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Enzo Scotti.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intervengo per non ritornare sulla questione successivamente.
Ringrazio i presentatori delle mozioni perché consentono una presa di posizione del Parlamento su un tema di estrema delicatezza. Faccio presente che, in termini di consapevolezza della situazione globale, non c'è differenza di giudizio tra il Governo e coloro che hanno presentato le mozioni. Siamo di fronte ad una situazione drammatica; le conseguenze della crisi economica sui Paesi più poveri sono evidenti, ma è altrettanto evidente la debolezza della risposta complessiva a questa situazione.
Qui concentriamo la nostra attenzione esclusivamente sull'aiuto pubblico allo sviluppo e dico all'onorevole Quartiani che, quando parliamo di aiuto pubblico allo sviluppo, intendiamo riferirci alle classificazioni OCSE in materia, ossia quelle che passano aiuto pubblico dello Stato allo sviluppo. Ciò, anche se è importante avere il quadro complessivo degli aiuti che vanno sotto forme e rivoli diversi verso i Paesi in via di sviluppo.
Tra l'altro, siamo sotto osservazione da parte dell'OCSE e, nei prossimi giorni, avremo a Roma la delegazione OCSE per la verifica della situazione per l'aiuto allo sviluppo del nostro Paese. Quindi, tra pochi giorni disporremo di dati formali e ufficiali concordati tra il nostro Paese e l'organizzazione internazionale OCSE.
Ho detto che qui discutiamo e analizziamo solo un aspetto della cooperazione allo sviluppo mentre vorrei che ci abituassimo a guardare al problema della cooperazione allo sviluppo nella sua complessità e integrità. Infatti, molto spesso, con una mano diamo aiuti e con l'altra togliamo attraverso le politiche generali che i Paesi conducono e anche attraverso il modo con cui i Paesi affrontano questi problemi.
Ho sentito autorevoli esponenti di grandi organismi internazionali finanziari - citati anche in questa occasione - raccontare e descrivere la situazione mondiale senza minimamente far riferimento al volume degli aiuti che, all'interno dei Paesi industriali avanzati, si stanno utilizzando per uscire dalla crisi anche da parte di quegli organismi, senza alcun riferimento concreto a quelli che possono essere gli impegni di questi organismi nei confronti dei Paesi in via di sviluppo.
Voglio dire che al vertice G8 de L'Aquila abbiamo operato soprattutto con i vari dossier dello sviluppo per rilanciare la lotta alla fame e alla povertà estrema con nuovi strumenti e cioè in particolare con L'Aquila food security iniziative che, Pag. 64nel campo della sicurezza alimentare, è stato un punto fermo delle conclusioni del G8.
Intendiamo mantenere viva l'attenzione verso queste questioni. Facciamo presente, con molta chiarezza e senza nasconderci dietro un dito, le difficoltà di bilancio e le nostre esigenze di rigore finanziario, come ben sapete attentamente vigilate a Bruxelles, che ci impongono dei limiti e dei vincoli.
Ricordo che nel 2008 vi è stato un aumento del rapporto fra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo rispetto al 2007, raggiungendo lo 0,22 ma che, nel 2009, certamente si avrà una riduzione rispetto a questa percentuale raggiunta nel 2008. Quindi, abbiamo bisogno di affrontare questa situazione.
Penso che abbiamo due strade da seguire: una riguarda una riflessione anche di taglio operativo sull'ammodernamento degli strumenti della cooperazione italiana per meglio affrontare le sfide attuali dello scenario dello sviluppo che è stata avviata con risultati significativi.
Ricordo all'onorevole che è intervenuta prima che abbiamo messo a punto le linee guida triennali 2009-2011 della cooperazione e abbiamo fatto il primo piano programmatico nazionale per l'efficacia degli aiuti, ossia per valutare e monitorare costantemente l'efficacia degli aiuti che concediamo con molta trasparenza per rendere consapevole il Paese anche di come vengono utilizzati i fondi e quali risultati conseguiamo in concreto nelle diverse situazioni.
Pensiamo che sia necessaria un'approfondita riflessione anche in sede parlamentare su questo, una riflessione che dovremmo finalizzare in prospettiva anche ad un vero e proprio mirato lavoro di organico aggiornamento. Dico organico perché penso che, sebbene si debba concentrare l'attenzione verso specifiche modifiche - fattibili ed urgenti rispetto all'accelerazione impressa da tanti nostri partner al proprio rinnovato impegno per lo sviluppo - occorre che tali modifiche siano ispirate da una visione complessiva di quello che vogliamo che rimanga ed evolva di questo essenziale strumento di politica estera.
Proprio una settimana fa a Venezia vi è stato un incontro tra i Ministri DAC-OCSE sul tema della riforma dell'aiuto allo sviluppo e dell'inserimento dell'aiuto allo sviluppo nell'ambito della più generale politica di cooperazione. Vi assicuro che erano tutti animati da una considerazione: bisogna che l'aiuto allo sviluppo raggiunga obiettivi concreti e si elevi l'efficacia dei mezzi che abbiamo a disposizione.
Per quanto riguarda i fondi di cooperazione, è noto che il 2010 per l'Italia dovrebbe essere l'anno del raggiungimento della quota intermedia; lo avete detto voi: 0,51 per arrivare allo 0,7. Alla luce dei severi limiti posti dalle condizioni della finanza pubblica italiana, abbiamo in diverse sedi fatto presente, in un'ottica di maggiore trasparenza, che questo non sarà possibile.
Al tempo stesso, però, abbiamo in più occasioni ribadito, anche al più alto livello politico, che l'Italia intende onorare i propri impegni sebbene con una diversa gradualità.
Compatibilmente con le esigenze di rigore finanziario, il Governo intende quindi individuare un percorso di grande reintegro dell'aiuto pubblico allo sviluppo che consenta di riprendere l'avvicinamento all'obiettivo dello 0,7 fissato dalle Nazioni Unite e dall'Unione europea e sempre più insistentemente richiestoci in sede internazionale.
Concordo personalmente sul parere che è stato da alcuni espresso e cioè che sarebbe prezioso per l'immagine internazionale del Paese, e soprattutto al termine della nostra così apprezzata presidenza del G8, poter mandare fin da quest'anno un primo segnale di convergenza verso questi obiettivi.
Un voto il più possibile unanime del Parlamento in questa direzione aiuterebbe a raggiungere gli obiettivi che vogliamo ottenere.
Vorrei spendere, infine, qualche parola sugli impegni assunti dal nostro Paese in ambito internazionale. L'Italia ha assunto Pag. 65a L'Aquila, in qualità di Presidente del G8, un preciso impegno a promuovere un'intensa e incisiva azione in favore dello sviluppo agricolo e per il conseguimento di un'effettiva sicurezza alimentare. Tale impegno si è tradotto nel consolidamento di un vasto consenso tra i Paesi del G8 e quelli emergenti, i Paesi partner e gli organismi internazionali intorno ai principi basilari che dovrebbero guidare l'azione internazionale in questo campo.
Il vertice de L'Aquila ha, inoltre, definito un ammontare complessivo di circa 20 miliardi di dollari americani che dovranno essere canalizzati in iniziative efficaci sul terreno a partire dalle priorità formulate a livello regionale dei Paesi interessati.
È attualmente in corso un'intensa azione per una più precisa quantificazione degli impegni inclusi quelli a carico dell'Italia e per un più efficace coordinamento a livello internazionale. Parte di tale sforzo sarà evidentemente costituito dagli sviluppi in corso al Comitato per la sicurezza alimentare ed alla FAO in occasione del prossimo vertice sulla sicurezza alimentare a Roma che si terrà in novembre e il cui risultato più importante sarà probabilmente costituito dall'inaugurazione di una più efficace governance degli organismi internazionali.
Per quanto riguarda, infine, la partecipazione italiana ai fondi internazionali di cooperazione allo sviluppo, il Governo intende tener fede agli impegni assunti come quello rappresentato dal versamento dei contributi 2009-2010 al fondo globale per la lotta all'AIDS, tubercolosi e malaria, al cui rifinanziamento per il triennio 2011-2013 dovremmo anche partecipare.
In conclusione, il Governo mantiene alta l'attenzione sui grandi problemi dello sviluppo e della lotta contro la povertà. Lo fa innanzitutto con un contributo forte di idee e con una crescente attenzione alla qualità e all'efficacia degli aiuti, ma anche con uno sforzo genuino volto ad accrescere compatibilmente con la corretta gestione della finanza pubblica la quota di aiuto italiano allo sviluppo, mantenendo sempre come stella polare della nostra azione gli impegni internazionali che il nostro Paese ha assunto e ha contribuito al più alto livello politico a determinare.
Credo che una convergenza del Parlamento su questi obiettivi e un'indicazione anche in ordine agli impegni quantitativi siano importanti e positivi per un'azione congiunta e per sentirsi poi tutti corresponsabili nei momenti in cui si assumono le decisioni finanziarie a mantenere fede a quello che unanimemente spero il Parlamento voglia decidere.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 20 ottobre 2009, alle 11:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134, recante disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l'anno 2009-2010 (2724-A).
- Relatore: Pelino.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Quartiani, Volontè, Evangelisti ed altri n. 1-00253 e Boniver, Stefani, Iannaccone ed altri n. 1-00254 concernenti iniziative in materia di cooperazione allo sviluppo.

La seduta termina alle 21,20.

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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO LUISA CAPITANIO SANTOLINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 2724-A

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Una doverosa premessa: dobbiamo riconoscere che tutti i Governi hanno contribuito alla situazione attuale e dobbiamo riconoscere che andava fatta una programmazione di tendenziale riduzione della spesa pubblica con la relativa razionalizzazione del sistema. Abbiamo sempre criticato un sistema in cui una notevole percentuale di docenti ha conseguito l'immissione in ruolo ope legis senza concorsi e senza una accurata selezione sia sul piano della preparazione che sul piano delle capacità didattiche. La conseguenza è un grande caos nelle graduatorie e a seguire una confusione strutturale nella gestione delle risorse per cui ad un surplus di insegnanti in alcun zone corrispondono cattedre vacanti in altre. Infine tutti sappiamo che l'Italia è il Paese con il numero più basso di alunni in rapporto ai docenti. Era ed è necessario mettere ordine nella scuola, evitando quella sorta di sanatoria generica e generalizzata che in passato ha fatto passare l'idea che la scuola sia diventata un ammortizzatore sociale con grave detrimento della scuola stessa e del suo prestigio.
Da quanto ho fin qui esposto emerge che il problema della scuola va affrontato con una serie di interventi più organici da inquadrare in una visione di sistema delineata con maggiore chiarezza: è vero che ci sono molti sprechi, ma è vero che l'OCSE ha evidenziato il grave deficit italiano nel settore dell'educazione soprattutto in termini di quantificazione della spesa e mancata valorizzazione del capitale umano. Dunque si trattava e si tratta di prendere decisioni coraggiose che vadano nella direzione di migliorare nel complesso ed in ogni sua parte il mondo della scuola. In altre parole ci aspettavamo un indirizzo politico che sapesse guardare in prospettiva i problemi della scuola e affrontasse alla radice le vere riforme senza le quali si fanno solo interventi dettati dalla emergenza che non risolvono alla radice i mali della scuola. Parliamo, come ormai da tempo facciamo, di vera autonomia delle scuole, di reclutamento formazione e carriera dei docenti, di valutazione seria del servizio erogato, di libertà di scelta educativa delle famiglie. Tutto questo non è nemmeno all'orizzonte e ci limitiamo ad un intervento di emergenza per evitare non solo conflitti sociali ma la messa sul lastrico di decine di migliaia di personale docente e non docente. Il provvedimento in esame mira a tamponare gli effetti deleteri prodotti dalla crisi del settore scuola, affrontando una emergenza occupazionale che è frutto dei tagli lineari che sono stati fatti un anno fa con la prima finanziaria di questo Governo. Il Governo attuale ha avviato una politica scolastica fondata esclusivamente sui tagli lineari delle risorse e del personale senza tenere in minima considerazione la complessità del sistema e le profonde differenze che si registrano da una Regione all'altra, mentre occorrerebbe abbandonare la logica dell'una tantum a favore di un ripensamento totale del sistema scolastico che finalmente faccia affidamento sulle tante risorse di cui la scuola dispone e che non sa valorizzare se è vero come è vero che gli stipendi degli insegnanti sono tra i più bassi d'Europa.
Come ho già ricordato in altre occasioni, le riforme a costo zero non si possono fare, la scuola richiede investimenti massicci e costanti (come del resto avviene in Germania o in Francia malgrado la crisi) ed in questo caso siamo addirittura alla riduzione lineare delle spese con evidenti conseguenze nel campo del personale e dei servizi. Visto che la maggioranza ha approvato lo scudo fiscale, sciagurata misura che certo non costituisce un buon esempio per i nostri ragazzi, è possibile pensare e chiedere che una cospicua parte di quel denaro sia riservato alla scuola e alle famiglie o ancora una volta dovremo attendere tempi biblici per vedere affrontati questi temi? Pag. 67
Va sottolineato inoltre che esiste da parte di molti il dubbio fondato che, alla fine, il progetto di riduzione delle classi, dei corsi e degli insegnanti non porterà a risparmi significativi, perché si faranno gravare sugli enti locali e previdenziali il peso di determinati oneri risparmiati a livello nazionale, connessi al riconoscimento delle indennità di disoccupazione (con procedure del tutto generiche e poco definite) e alla attivazione di progetti di carattere straordinario, anch'essi assai poco definiti e a totale discrezione degli enti locali. Non è venuto a nessuno il dubbio che si creeranno zone di serie A ed altre di serie B vista la grande diversità esistente in Itala tra regione e regione?
È chiaro che questo provvedimento tampona il problema, come è stato ammesso dallo stesso sottosegretario Pizza in Commissione, ma non lo risolve alla radice, e si ripresenterà l'anno prossimo, forse aggravato dal rischio concreto di dover affrontare un lungo e pesante contenzioso presso i vari tribunali amministrativi. Perfino a livello europeo sono state solevate riserve sulla discriminazione di trattamento dei docenti prevista dal comma 1 dell'articolo 1 e la risposta del Governo, secondo cui si tratta di lavoratori speciali con caratteristiche speciali, non convince più di tanto.
Questo dimostra le fretta con cui è stato varato questo decreto, che ha dato alla luce provvedimenti confusi e contraddittori rispetto all'ordinamento vigente oltre che poco chiari anche dal punto della tecnica legislativa. Un intervento in un settore così delicato avrebbe richiesto una analisi approfondita di tutto il corpo normativo italiano ed europeo e non una logica ragionieristica incapace di fornire soluzioni organiche e definitive in una prospettiva di più ampio respiro, una goccia nell'oceano che rischia di introdurre disparità di trattamento e conflitti di cui certo non si sente il bisogno. È vero che è stata allargata la platea degli aventi diritto ma va riconosciuto che questa proposta di legge non prevede alcuno stanziamento a favore dei precari, ma un mero meccanismo automatico che utilizza quei precari già in cattedra l'anno precedente con un incarico annuale avviando disparità di trattamento di cui non sì conoscono gli esiti, per non parlare della discussione sull'inserimento nelle graduatorie a pettine o in coda, criteri che entrambi non soddisfano e creano disparità di trattamento di cui ci dovremo occupare anche in futuro. Infine lo stampo assistenzialista rimane senza risolvere le situazioni di emergenza dei soggetti più deboli - i disabili in particolare - che soprattutto in certe zone vivono ore drammatiche.
Tutto queste nostre perplessità sono rese evidenti anche dalla relazione della Commissione cultura che si dichiara favorevole al provvedimento, ma che in realtà mette una serie di condizioni e fa una serie di considerazioni che non possono far riflettere prima di approvare questo testo. Condizioni, è bene sottolinearlo, non accolte dal Governo neanche in minima parte.
In conclusione siamo in attesa della riforma delle superiori, siamo in attesa del nuovo percorso formativo per coloro che intendono dedicarsi all'insegnamento, siamo in attesa dei criteri di reclutamento dei docenti e di quelli per risolvere in modo definitivo il problema del precariato. Siamo in attesa della vera autonomia delle scuole e della sospirata libertà di insegnamento delle famiglie. Per ora sappiamo solo che sono stati tagliati ulteriori fondi alle scuole materne non statali e alle scuole non statali in generale.
Le misure oggetto del presente dibattito offrono sia pure in maniera limitata e parziale alcune tutele di natura economica e giuridica che non possiamo ignorare o peggio cancellare. Rimaniamo insoddisfatti rispetto alle aspettative della scuola e rimaniamo in attesa di provvedimenti che abbiano come obiettivo il miglioramento complessivo della istruzione e il pieno soddisfacimento delle legittime aspettative degli studenti e delle loro famiglie. Tuttavia, malgrado le riserve avanzate, con senso di responsabilità, esprimiamo una sospensione di giudizio che vorremmo Pag. 68quanto prima trasformare in un convinto assenso quando le nostre richieste verranno soddisfatte.
Tutto questo nella speranza che il Governo come spesso fa non si chiuda in modo autoreferenziale e rifiuti ogni dialogo con l'opposizione. In questo deprecato caso è chiaro che noi ne trarremo le dovute conseguenze e ognuno si assumerà le proprie responsabilità.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARCO MARSILIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE N. 1-00253

MARCO MARSILIO. Onorevoli colleghi, la storia della cooperazione italiana nei decenni passati è caratterizzata da notevoli episodi di sperpero dei fondi. Il bisogno di razionalizzazione che oggi abbiamo nasce innanzi tutto da questa constatazione, e anche per questo motivo è da respingere l'argomentazione di chi ritiene che il tema della cooperazione allo sviluppo sia principalmente una questione «quantitativa» di fondi da stanziare. Più correttamente la mozione della maggioranza non si limita a impegnare il Governo a mantenere gli impegni assunti a livello internazionale, con il raggiungimento dell'obiettivo dello stanziamento dello 0,7 per cento del PIL entro il 2015, ma si pone il problema di individuare i soggetti destinatari delle risorse, investendo direttamente sui progetti e scavalcando governi e burocrazie corrotte: troppo spesso i fondi della cooperazione sono stati distratti a livello locale e reinvestiti in guerre tribali, traffici illeciti, arricchimenti personali, persino al finanziamento di attività terroristiche.
Anche tra i soggetti attuatori è necessario ampliare la platea: basta con la logica dei «soliti noti»: ci sono molte ONG capaci e meritevoli che, non appartenendo a nessuna delle tre principali federazioni, non riescono a ricevere i finanziamenti per la realizzazione dei progetti.
La politica che il Governo italiano vuole attuare è anche rivolta a rimuovere almeno una parte delle cause che stanno dietro l'immigrazione clandestina e l'immigrazione legale di manodopera non specializzata verso gli Stati Europei, che potrebbero essere fermate se si investisse seriamente in progetti di sviluppo sostenibile nelle aree povere e soprattutto in Africa.
Di conseguenza, diventa per noi un obbligo rispettare gli accordi presi a livello internazionale citati dalla mozione, ma instaurando dei meccanismi di monitoraggio sulla corretta gestione dei fondi pubblici stanziati per la cooperazione e gestiti dalle ONG.
La partecipazione dei privati ai processi di aiuto allo sviluppo - auspicata dalla mozione - è essenziale poiché darebbe, tramite l'apporto di know-how imprenditoriale, un valore aggiunto ai progetti che vengono realizzati e rafforzerebbe i processi di Capacity building (capacità di costruzione di uno stato, di una società, di un economia, sostanzialmente la capacità di autodeterminarsi dei Paesi in via di sviluppo e dei Paesi africani).
L'Italia in questo potrebbe effettivamente svolgere un ruolo chiave nei processi di costruzione di buoni modelli produttivi. Il concetto di piccole imprese e dei poli produttivi è ciò che più si addice ai paesi africani. La costruzione di un nuovo concetto di economia a livello mondiale parte proprio dall'instaurazione di modelli produttivi ed economici efficienti nei paesi poveri/in via di sviluppo. L'esportazione di tale modelli può essere possibile se la partecipazione dei fondi privati non sostituisce quelli pubblici ma va ad affiancarsi ad essi. Uno strumento efficace può essere quello del microcredito che dà la possibilità, soprattutto alle donne, di avviare attività produttive e generatrici di reddito tramite l'erogazione di prestiti con tassi di interesse irrisori attraverso un patto tra i membri della comunità beneficiaria sul controllo e l'aiuto reciproco per la restituzione del debito.
Nella mozione si fa anche ampio riferimento ai donatori ed alla loro responsabilizzazione. Pag. 69
L'Italia è uno dei Paesi con la minore percentuale di donatori privati. Questo è il gap più grande che abbiamo nella cooperazione internazionale allo sviluppo rispetto agli altri Stati.
In Italia una ONP o ONG che ha un fatturato di 10-15 milioni di euro è ritenuta un colosso, mentre in altri paesi europei è ritenuta una piccola organizzazione. Le poche indagini statistiche ci dicono che, oggi, in Italia, vi sono 25 milioni di donatori che ogni anno donano circa 1,3 miliardi di euro che comunque, rispetto al volume di entrate annuo del settore non profit rappresenta un misero 3,5 per cento. Le aziende, nonostante le tante forme di agevolazione fiscale, nel 2006 hanno donato solo 30 milioni di euro (2 milioni in meno rispetto al 2005).
Stimolare il Fund raising darebbe maggior respiro agli enti pubblici che potrebbero concentrarsi sui programmi internazionali tra Stati.