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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 230 di lunedì 12 ottobre 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 14,35.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 5 ottobre 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Fava, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lo Presti, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Leoluca Orlando, Arturo Mario Luigi Parisi, Pecorella, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Soro, Stefani, Tremaglia, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 14,37).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge:
ALESSANDRO ROCCHI, da Roma, chiede:
nuove norme per contrastare il fenomeno della droga (718) - alla II Commissione (Giustizia);
norme a tutela dei cittadini nei rapporti con l'Agenzia delle entrate (719) - alla VI Commissione (Finanze);
ARMANDO PUPELLA, da Palermo, chiede la modifica dell'articolo 6 della Costituzione, ai fini del riconoscimento dell'italiano come lingua ufficiale della Repubblica (720) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
DANIELA LONARDI, da Minerbe (Verona), chiede:
la revisione delle modalità di calcolo dei prezzi al consumo, anche su base regionale (721) - alla X Commissione (Attività produttive);
una più equa distribuzione del montepremi dei giochi e delle lotterie tra le diverse categorie di risultati vincenti (722) - alla VI Commissione (Finanze);
FRANCESCO DI PASQUALE, da Cancello ed Arnone (Caserta), chiede:
il rafforzamento delle misure volte a reprimere la guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza di stupefacenti (723) - alla II Commissione (Giustizia); Pag. 2
che i costi per il ripristino dei luoghi teatro di incidenti stradali siano posti a carico dei responsabili (724) - alla VIII Commissione (Ambiente);
l'ampliamento della rete delle strutture ove è possibile effettuare versamenti e pagamenti (725) - alla VI Commissione (Finanze);
la regolamentazione dei prezzi dei prodotti di prima necessità (726) - alla X Commissione (Attività produttive);
interventi per l'ammodernamento degli impianti idrici (727) - alla VIII Commissione (Ambiente);
l'istituzione di strutture sanitarie e psicologiche nelle scuole per prevenire la diffusione dell'alcolismo e della tossicodipendenza (728) - alla VII Commissione (Cultura);
misure per tutelare gli allevamenti bufalini e promuovere la partecipazione degli allevatori ai consorzi di tutela dei prodotti tipici italiani (729) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
interventi per la promozione del turismo in Campania e la valorizzazione dell'area del Basso Volturno (730) - alla X Commissione (Attività produttive);
misure per la prevenzione e la repressione del traffico di stupefacenti (731) - alla II Commissione (Giustizia);
provvedimenti per contrastare l'immigrazione clandestina nel territorio costiero della provincia di Caserta (732) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
l'istituzione di un premio nazionale a favore di quanti si sono distinti nella vita pubblica (733) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
misure per favorire la partecipazione dei cittadini alla vita istituzionale, a livello nazionale e locale (734) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
interventi a tutela delle api (735) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
l'istituzione della Giornata della pacificazione nazionale (736) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
interventi per contrastare il fenomeno delle cartelle esattoriali inesatte o irregolari (737) - alla VI Commissione (Finanze);
provvedimenti volti ad assicurare l'approvazione dei prescritti strumenti urbanistici da parte di tutti i comuni (738) - alla VIII Commissione (Ambiente);
l'attivazione di politiche sociali volte a contrastare i fenomeni di povertà (739) - alla XII Commissione (Affari sociali);
l'introduzione della possibilità di pensionamento anticipato per i liberi professionisti (740) - alla XI Commissione (Lavoro);
la realizzazione di un censimento nazionale dei terreni demaniali (741) - alla VI Commissione (Finanze);
l'istituzione della Giornata nazionale della storia d'Italia (742) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
nuove norme in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, con riferimento alle loro caratteristiche nutrizionali e alla loro provenienza (743) - alle Commissioni riunite XII Commissione (Affari sociali) e XIII (Agricoltura);
provvedimenti per favorire il riutilizzo dei materiali edilizi non deperibili (744) - alla VIII Commissione (Ambiente).

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Concia ed altri; Di Pietro e Palomba: Modifica all'articolo 61 del codice penale, concernente l'introduzione della circostanza aggravante relativa all'orientamento o alla discriminazione sessuale (A.C. 1658-1882-A) (ore 14,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Concia ed altri; Di Pietro e Palomba: Pag. 3Modifica all'articolo 61 del codice penale, concernente l'introduzione della circostanza aggravante relativa all'orientamento o alla discriminazione sessuale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1658-1882-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Unione di Centro e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Concia, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANNA PAOLA CONCIA, Relatore. Signor Presidente, preannuncio fin da adesso l'intenzione di chiedere alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di parte del testo della mia relazione, perché adesso non riuscirò sicuramente a parlare di tutto e in considerazione del fatto che l'argomento è talmente importante ed è la prima volta che arriva in Aula.
Signor Presidente, care colleghe e cari colleghi, nei giorni scorsi ho incontrato tanti ragazzi e ragazze omosessuali e transessuali, che con occhi pieni di speranza mi hanno chiesto di percorrere la strada di una legge contro l'omofobia, che potesse almeno in parte cancellare dai loro sguardi la paura. Quegli sguardi li porto dentro di me, e vorrei condividere con voi questa responsabilità: la responsabilità di chi come noi deve costruire un mondo migliore per tutti, nessuno escluso. Dopo questa premessa, vado alla relazione.
Il provvedimento in esame è volto ad introdurre nel codice penale una circostanza aggravante da applicare nel caso in cui i reati contro la persona, salvo quelli contro l'onore, siano stati commessi in ragione dell'orientamento sessuale della vittima, ovvero al fine di discriminazione sessuale. L'esame in sede referente, avviato lo scorso 30 settembre 2008, si è concentrato principalmente, anzi, direi unicamente, sulle questioni relative all'orientamento sessuale e all'identità di genere, considerato che il punto di partenza è stata la proposta di legge da me presentata volta ad ampliare il reato di discriminazione previsto dalla cosiddetta «legge Mancino» ai casi in cui la discriminazione sia stata dettata da motivazioni inerenti all'orientamento sessuale o all'identità di genere della vittima. A questo proposito è stata poi abbinata una proposta di identico tenore presentata dall'onorevole Di Pietro.
La questione della discriminazione sessuale da inserire nel testo unificato è stata sollevata lo scorso 2 ottobre dal gruppo della Lega, in occasione dell'adozione del testo unificato. Come detto, l'esame in Commissione è ruotato intorno alle nozioni di orientamento sessuale e di identità di genere, ed in particolare sulla scelta del tipo di tutela penale da introdurre nell'ordinamento per contrastare l'omofobia e la transfobia.
Tali questioni sono oggetto di dibattito parlamentare oramai dal 1999. Sono dieci anni infatti che il Parlamento italiano discute di omofobia e transfobia: credo che potrebbe essere un tempo sufficiente per l'approvazione di una legge. Tuttavia, oggi è la prima volta che l'Assemblea della Camera esamina un testo approvato in Commissione senza scontri e contrapposizioni aspre e ideologiche tra maggioranza e opposizione, diretto a tutelare chi sia vittima di reati in ragione del suo orientamento sessuale. Il testo in esame oggi infatti non è altro che il testo unificato adottato dalla Commissione giustizia il 2 ottobre scorso con il voto favorevole di tutti i gruppi, salvo, per ragioni diametralmente opposte, dei gruppi dell'UdC e Pag. 4dell'Italia dei Valori. Quest'ultimo gruppo ha poi trasformato in favorevole la sua posizione contraria, dettata dalla preferenza per la scelta originaria dei testi Concia e Di Pietro, cioè l'estensione della cosiddetta «legge Mancino» rispetto a quella compiuta con il testo unificato; ma una volta compreso che quell'opzione, peraltro la medesima da me scelta presentando nel 2008 la proposta di legge sull'omofobia e transfobia, non aveva alcuna possibilità di successo a causa della netta contrarietà della maggioranza della Commissione, il gruppo dell'Italia dei Valori ha annunciato il proprio sostegno all'approvazione definitiva del testo unificato.
Per quanto il testo unificato non sia stato modificato nella fase emendativa, i gruppi del Popolo della Libertà e della Lega si sono astenuti nel momento in cui si è conferito al relatore il mandato di riferire favorevolmente in Aula sul testo: ciò è stato determinato dal parere che la I Commissione ha espresso sul testo, evidenziando la scarsa determinatezza della nozione di «orientamento sessuale» quale termine utilizzato in ambito penalistico. È bene sottolineare che l'astensione non ha voluto significare una contrarietà di merito al testo unificato, quanto piuttosto segnalare l'esigenza che sia adeguatamente approfondita la questione indicata dalla I Commissione. Come vedremo, le preoccupazioni di costituzionalità in realtà sono superabili senza dover ricorrere ad alcuna modifica del testo, per cui ritengo che vi siano tutte le condizioni a che, la pressoché unanimità raggiunta in Commissione sul testo unificato, possa confermarsi anche in Assemblea.
Prima di esaminare il contenuto del provvedimento approvato dalla Commissione giustizia, ritengo opportuno soffermarmi sulle ragioni che rendono ormai improcrastinabile una risposta, che naturalmente non potrà mai essere esaustiva da parte del Parlamento, alla recrudescenza del fenomeno dell'omofobia e della transfobia. In primo luogo ci dobbiamo soffermare sulla nozione di omofobia, considerato che l'obiettivo primario della legge è proprio quello di arginarne l'espansione. È bene chiarire, come si vedrà meglio più avanti, che si tratta di un termine che non ha alcuna valenza che si esaurisca in una dimensione meramente sociologica, essendo stato utilizzato anche in atti con natura giuridica, come le risoluzioni del Parlamento europeo.
Il termine omofobia, con cui si intende oggi comunemente «paura dell'omosessuale», è stato coniato dallo psicologo clinico George Weinberg nel 1971.
Il Parlamento europeo, nella risoluzione sull'omofobia in Europa del gennaio 2006, la definisce come «una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo». La risoluzione definisce l'omofobia «un pregiudizio», cioè un giudizio precostituito, un giudizio dato a priori. Nel caso in esame è un atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso una persona appartenente ad un gruppo, semplicemente in quanto appartenente a quel gruppo.
È da chiedersi perché gli individui sono permeabili al pregiudizio. Gli psicologi e i sociologi insegnano che soprattutto quando l'interpretazione della realtà è resa difficile dalla complessità, si tende a preservare le proprie sicurezze attraverso processi di semplificazione. Sono processi riduttivi della complessità, che enfatizzano la differenza tra noi e gli altri, l'immagine positiva di sé e quella negativa degli altri. Gli altri sono così cancellati come individui, come persone uniche e singolari.
La risoluzione europea rileva infatti che l'omofobia «si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse quali discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidi, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza».
L'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali inoltre vieta «qualsiasi Pag. 5forma di discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle, l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione, le convinzioni personali, le opinioni politiche di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o l'orientamento sessuale».
La citata risoluzione chiede agli Stati membri di assicurare che le persone GLBT (gay, lesbiche, bisessuali e transessuali) vengano protette, tra l'altro, da atti di violenza omofobi e invita con insistenza gli Stati membri e la Commissione a condannare con fermezza tra le altre manifestazioni la violenza e a garantire l'effettivo rispetto della libertà di manifestazione garantita da tutte le convenzioni.
La stessa risoluzione del Parlamento europeo dimostra che anche negli altri Paesi dell'Unione esiste un'emergenza omofobia: il dato è confermato dall'Eurobarometer, una pubblicazione della Commissione europea che nel numero di luglio 2008 esamina le discriminazioni nell'Unione europea. Lo studio è stato condotto tra febbraio e marzo 2008 e rileva che la discriminazione per orientamento sessuale è al secondo posto dopo quella per origine etnica. I tre Paesi dell'Unione europea, ahimè, dove le discriminazioni per orientamento sessuale sono più diffuse sono Cipro e la Grecia con il 73 per cento e l'Italia con il 72 per cento. Questo è il dato oggettivo che deve spingere questo Parlamento ad approvare la proposta di legge in questione.
Ricordo che l'Assemblea dell'Organizzazione mondiale della sanità, nel lontano 1990, ha cancellato dall'elenco delle malattie mentali l'omosessualità, definendola «una variante non patologica del comportamento umano». Possiamo dire con certezza, oggi, finalmente che è scientificamente provato e accettato che l'omosessualità è una condizione umana. Nonostante il Parlamento europeo abbia espressamente invitato gli Stati membri ad intervenire nei rispettivi ordinamenti interni per contrastare questi fenomeni, in Italia non è stato fatto alcun passo in tal senso.
Il presente testo mira proprio a iniziare a colmare questa lacuna, avendo come obiettivo quello di dare una risposta ai drammatici fenomeni dell'omofobia e della transfobia, che in Italia hanno ormai da tempo superato i livelli di guardia. Che il fenomeno esista e sia in costante ascesa è purtroppo un dato di cronaca difficilmente controvertibile. L'omofobia non è iniziata questa estate con i ripetuti fenomeni di violenza che ci hanno accompagnato fino a ieri, 11 ottobre, nel centro di Roma, in pieno giorno, compiuti da due giovanissimi contro altri giovani omosessuali. Ha radici antiche ed è in crescente aumento da anni.
Per quanto vi sia la consapevolezza che per contrastare alla radice l'omofobia e la transfobia occorrano interventi che abbiano anche una valenza socioculturale, la situazione di emergenza che ormai si è creata è tale, nel nostro Paese, da rendere non opportuno bensì indispensabile un intervento del legislatore che assicuri alle vittime del fenomeno una tutela penale adeguata. Questo perché? Perché il Parlamento ha il dovere di punire questi comportamenti.
A mio avviso, come secondo i gruppi del PD e dell'Italia dei Valori, si dovrebbe estendere la legge Mancino alle forme di discriminazione basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere. Tuttavia, sin dalle prime battute dell'esame in sede referente è risultato ben evidente che la maggioranza non avrebbe in alcun modo consentito di percorrere questa strada.
In considerazione dell'atteggiamento di netta chiusura manifestato dai gruppi di maggioranza circa la possibilità di intervenire sulla legge Mancino, ho ritenuto quindi di sottoporre alla Commissione un'ulteriore ipotesi di intervento normativo di natura penale in materia di omofobia e transfobia che potesse concretamente avere successo, cioè che potesse essere votato anche dai gruppi di maggioranza. Pag. 6
Come ho più volte ribadito nel corso dei lavori in Commissione, sono convinta che sia arrivato il momento nel 2009 che il Parlamento trovi il coraggio di affrontare in modo nuovo la tematica legata all'omofobia e alla transfobia in modo sopratutto non ideologico, andando al cuore del problema, cercando soluzioni davvero rispettose della vita e della dignità di cittadini italiani che ancora oggi non si vedono compresi nell'articolo 3 della Costituzione, e cercando di mettere insieme tutto il Parlamento per stabilire un principio nel quale necessariamente devono riconoscersi tutti, perché è uno di quei principi che tengono insieme un Paese, chiunque lo governi: vale a dire il rispetto della vita e della dignità dei nostri concittadini.
Per queste ragioni, quale relatrice, vorrei fare una precisazione. Il fatto che abbia proposto alla Commissione un testo unificato il cui contenuto non corrisponde alle proposte di legge abbinate, le quali erano volte alla modifica della legge Mancino, non significa assolutamente che personalmente io condivida le critiche relative all'ampliamento della legge Mancino, quanto piuttosto, come spiegato prima, ho cercato in tal modo di tenere viva ogni possibilità di intervenire in questa legislatura in una materia tanto delicata, importante ed urgente quale è quella della lotta all'omofobia e alla transfobia.
Non solo la scelta dello strumento della circostanza aggravante in luogo del reato è stato il risultato di una sintesi tra posizioni contrapposte, ma anche la portata applicativa della nuova aggravante è stato il risultato di un confronto lungo ed approfondito che, per evitare che si bloccasse l'iter legislativo, ha visto da parte mia molte e alcune dolorose rinunce.
Inizialmente avevo presentato una proposta di testo unificato che vedeva l'introduzione di una circostanza aggravante da applicare quando il fatto è stato commesso per finalità di discriminazione inerente all'orientamento sessuale o all'identità di genere della persona offesa. Inoltre, si stabiliva che le circostanze attenuanti diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con la nuova aggravante, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e che le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante. I gruppi di maggioranza non si sono dimostrati contrari a questa soluzione ma hanno posto alcuni paletti che, a loro parere, sono insuperabili.
Il primo atteneva alla determinatezza della nozione di identità di genere, mentre nulla è stato detto sulla determinatezza della nozione di orientamento sessuale, essendo essa ormai acquisita come nozione di contenuto certo. In particolare, è stato obiettato che la nozione di identità di genere non può essere utilizzata nella formulazione di una fattispecie penale, in quanto il suo significato non sarebbe sufficientemente certo e determinato. Tale obiezione non tiene conto che si tratta di una terminologia che trova ampia diffusione sia a livello di normative internazionali, sia a livello scientifico.
Tuttavia, per eliminare ogni confusione tra orientamento sessuale e identità di genere riterrei opportuno precisare le due definizioni. Si tratta di nozioni che attengono a situazioni diverse, entrambe meritevoli di tutela penale. L'orientamento sessuale è la condizione di chi prova attrazione sessuale e affettiva verso persone dello stesso sesso (omosessualità) o del sesso opposto (eterosessualità).
Ciò che comunemente si intende con identità di genere riguarda invece il senso soggettivo di appartenenza alle categorie di maschio o di femmina (in altri termini, la percezione di sé come maschio o femmina).
Per evitare che il termine di identità di genere possa essere oggetto di diverse interpretazioni, si potrebbe sostituire con il termine «transessualismo», facendo riferimento alla condizione di chi ha il corpo di un genere (ad esempio, maschile) e il senso della propria identità dell'altro genere (nel nostro esempio, quello femminile) e che non si riconosce nel proprio sesso biologico. Pag. 7
Queste persone vivono una situazione che non è difficile definire drammatica e negare loro qualsiasi tutela penale sarebbe veramente inspiegabile se non con pregiudizi ideologici, perché sono le più esposte alle violenze.
Pensate che purtroppo il nostro Paese ha un triste primato: il maggior numero di omicidi per transfobia nel mondo. Non si può fare una legge antidiscriminatoria che contiene una discriminazione in sé. Voglio ricordare inoltre all'Assemblea che esiste una legge dello Stato (la n. 164 addirittura del 1982) che stabilisce la possibilità del cambio di sesso e che quindi nel nostro ordinamento i soggetti trans sono già riconosciuti.
Dunque, la diversità delle due condizioni, omosessualità e transessualismo, rende necessaria la precisa indicazione delle due diverse fattispecie cui si vuole offrire tutela penale.
Un altro punto di divergenza è stato l'ambito applicativo della circostanza che, secondo la maggioranza, dovrebbe applicarsi solamente nei reati contro la persona, con l'esclusione dei reati contro l'onore e il patrimonio. A mio parere e a parere della stessa Commissione affari costituzionali, queste esclusioni suscitano una serie di perplessità sotto il profilo della ragionevolezza.
Un'altra obiezione della maggioranza è stata quella sulla deroga del principio di bilanciamento delle circostanze per la contrarietà a creare, per particolari reati, regole eccezionali. L'obiezione lascia perplessi se si prende in considerazione l'ampia platea di deroghe a tale principio ed, in particolare, il fatto che molte di queste deroghe sono state inserite ultimamente nell'ordinamento dalla legge n. 94 del 15 luglio scorso (meglio conosciuta come «pacchetto sicurezza»). Coerenza vorrebbe che si prevedesse una deroga anche per l'aggravante legata all'omofobia. Tuttavia, anche in considerazione della mia sensibilità garantista, ho accolto la richiesta di eliminare dal testo la deroga al principio di bilanciamento delle circostanze.
Infine, è stato inserito nel testo il riferimento alla discriminazione sessuale. La Lega ha chiesto come condizione per dare il proprio assenso al testo che in esso fosse previsto la possibilità dell'aggravante anche nel caso in cui il reato sia stato posto in essere per il fatto che la vittima appartenga ad un determinato sesso. In tal modo, la norma sarebbe applicabile ai casi in cui gli atti di violenza sono posti in essere proprio in considerazione del fatto che la vittima è una donna, e come tale dovrebbe sottostare a determinate regole che non trovano alcuna legittimazione nel nostro ordinamento.
Secondo la Lega, qualora il testo unificato non fosse stato modificato in tal senso, si sarebbe determinata un'incongruenza giuridica, in quanto non vi sarebbe alcuna giustificazione nel prevedere l'aggravante solo nel caso in cui la vittima si trovi in una determinata condizione quale può essere l'omosessualità e non anche in altri casi, come quelli in cui il reato è stato posto in essere per il fatto che la vittima è donna. È stato pertanto approvato un testo con i voti favorevoli dei gruppi di maggioranza, in base al quale la circostanza si applica nel caso di avere commesso il fatto, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e morale, per finalità inerenti all'orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato.
A questo testo non sono state apportate modificazioni in sede emendativa, in quanto esso, come ha espressamente dichiarato l'onorevole Costa a nome del PdL, corrispondeva pienamente alle scelte compiute dalla maggioranza. Vorrei ricordare che i deputati del PdL non hanno votato l'emendamento dell'UdC diretto a sopprimere il riferimento all'orientamento sessuale, e che la Lega invece si è astenuta. Sul testo ha espresso il parere di competenza la I Commissione, la quale ha evidenziato principalmente due punti. Il primo si riferisce alla nozione di orientamento sessuale. Nel parere si legge che, pur prendendo atto che la locuzione Pag. 8«orientamento sessuale», ricorre in fonti di diritto internazionale e comunitario, nonché di ordinamenti stranieri, si ritiene che, nel momento in cui tale nozione è immessa nella legislazione penale italiana, essa debba essere adeguatamente definita anche al fine di garantire il rispetto del principio costituzionale di determinatezza della fattispecie penale. Ciò si è tradotto in una condizione, che non può esser condivisa per due ordini di ragioni. La prima si evince dalla stessa motivazione laddove si prenda atto che il termine trova ormai diffusione in fonti di diritto internazionale e comunitario, nonché di ordinamenti stranieri (sul punto rinvio alla documentazione di diritto comunitario preparata dagli Uffici). Se vi è diffusione tra gli ordinamenti di questo termine, non possiamo che desumere che si tratta di un termine con contenuto certo e condiviso. L'altra ragione si basa sull'inesattezza del presupposto del ragionamento, cioè che la nozione di orientamento sessuale è estranea alla legislazione penale italiana. Non è così. Dal combinato disposto degli articoli 10 e 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e dall'articolo 38 dello Statuto dei lavoratori risulta una fattispecie penale tra i cui elementi vi è proprio l'orientamento sessuale.

PRESIDENTE. Deve concludere.

ANNA PAOLA CONCIA. Relatore. Signor Presidente, le chiedo qualche minuto in più. Secondo tale fattispecie costituisce reato la violazione in ambito lavorativo del divieto di svolgere indagini in relazione all'orientamento sessuale - si tratta delle testuali parole previste nella legge - del dipendente o del soggetto da assumere. Con il testo unificato in esame, quindi, non si introduce una nuova nozione nell'ordinamento penale, ma si prevede un'applicazione di tale nozione in maniera più generalizzata. Vi sono, quindi, tutte le condizioni per superare le obiezioni della I Commissione. A tale proposito, vorrei ribadire che è priva di qualsiasi fondamento giuridico, oltre ad essere offensiva, la tesi avanzata dal gruppo dell'UdC nel corso dell'esame in Commissione, secondo cui nella nozione di orientamento sessuale sarebbe compresa l'omosessualità, quanto l'incesto, la pedofilia, la zoofilia, il sadismo e tutta una serie di tendenze sessuali che in realtà non hanno nulla a che vedere con l'orientamento sessuale.
È patrimonio di tutti, a livello internazionale ed a livello nazionale, sia sul piano scientifico sia sul piano giuridico, che la nozione di orientamento sessuale si riferisca unicamente alla circostanza che un soggetto abbia rapporti sessuali con persone del proprio o dell'altro sesso. Se la preoccupazione dell'Unione di Centro è unicamente quella, peraltro infondata, di non inserire nell'ordinamento nozioni non sufficientemente determinate o di contenuto eccessivamente ampio, si potrebbe comunque porre rimedio facilmente, sostituendo il termine «orientamento sessuale» con i termini di «eterosessualità» e «omosessualità». A questi si potrebbe poi anche aggiungere quello della «transessualità». Vorrei sottolineare a proposito della posizione dell'Unione di Centro che tale gruppo, ancora con minore valenza giuridica, ha sollevato più volte, nel corso dell'esame referente, il fatto che la circostanza sarebbe applicata indipendentemente dall'accertamento in concreto del movente che spinge alla violenza. Ciò è del tutto infondato. È infondato il presupposto dal quale parte questa tesi...

PRESIDENTE. Onorevole Concia, abbia pazienza, se vuole posso autorizzarla a depositare la parte restante della sua relazione, ma lei ha superato abbondantemente il suo tempo.

ANNA PAOLA CONCIA. Concludo, Presidente, con l'auspicio che quel clima di leale confronto che vi è stato in Commissione possa riscontrarsi anche in Assemblea, senza lasciare il posto a pregiudizi ideologici che, in realtà, finirebbero per contrastare proprio quei valori che vogliamo qui affermare. So bene che il momento politico non è dei migliori, che l'aspra contrapposizione in Parlamento rischia di ostacolare una legge bipartisan, Pag. 9una legge di tutti, ma è proprio oggi, in questo clima, che vi chiedo di fare un gesto pacificatore in nome di ciò che ci tiene insieme, perché ciò che oggi ci apprestiamo ad approvare non toglie niente a nessuno, anzi aggiunge civiltà al nostro Paese. Fa bene a tutti, anche a chi non è d'accordo. Allora rompere muri e steccati può essere un gesto piccolo ma apre nuovi orizzonti. Verso quegli orizzonti di rispetto reciproco vorrei che andasse il mio Paese, ma vorrei che ci andassimo tutti insieme.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Concia, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MARIA ROSARIA CARFAGNA, Ministro per le pari opportunità. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, non possiamo negare che il provvedimento che stiamo affrontando e che sarà oggetto del dibattito in Aula nei prossimi giorni sia di estrema delicatezza e di estrema importanza, sia per l'argomento in oggetto sia perché sono molti anni - come è stato ricordato - che si tenta di dare rilevanza normativa al tema della omofobia.
D'altro canto, il dibattito filosofico intorno all'omosessualità è molto complesso e si è dipanato nel corso degli ultimi decenni, coinvolgendo concetti come identità di genere e orientamento sessuale, e arrivando all'elaborazione di teorie di genere, secondo le quali si nasce femmine o maschi, ma si diventa uomini e donne, ossia si acquisisce un'identità di genere maschile o femminile mediante la socializzazione e l'introiezione interiore; va dunque distinta la differenza biologica uomo-donna dalla identità psicologica sociale e culturale di genere maschile e femminile; identità di genere, dunque, come il prodotto di uno schema sociale e che deve avere, secondo queste teorie, una priorità rispetto all'identità sessuale in caso di non coincidenza tra i due aspetti biologico e psicosociale.
In forza dell'adeguamento della dimensione fisica alla dimensione psichica, sono ritenute legittime anche la transessualità e l'intersessualità. In altre parole, il sesso non è un destino biologico, ma una condizione da cui ci si può affrancare, grazie al genere costruito o decostruito su basi sociali o culturali o psicologiche.
L'autodeterminazione individuale diventa decisiva ed, in questo modo, si passa da una visione che pone al centro la natura ad una visione che ritiene irrilevante la natura stessa, irrilevanti le differenze sessuali, irrilevanti le scelte sessuali rispetto agli altri. È indifferente la scelta di genere ed è indifferente l'orientamento sessuale.
Seguendo queste logiche, le teorie del genere si oppongono alla centralità della famiglia quale luogo del processo di identificazione sessuale, per cui il termine di parentalità si sostituisce alle parole maternità e paternità, ritenendo che ciò che è importante per l'identificazione del bambino sia il rapporto affettivo, a prescindere dall'appartenenza sessuale. Questo discorso è stato superato durante la discussione in Commissione e infatti abbiamo apprezzato che sia stato possibile, grazie anche all'impegno del relatore, superare il discorso della tendenza all'identità di genere e che sia stata aperta la strada ad un dibattito sereno, rinunciando in effetti al riferimento all'identità di genere.
Questo breve richiamo alle teorie di genere mi sembra essenziale per inquadrare il problema e affrontare con serietà il dibattito in aula e le votazioni che avranno luogo. Da quanto esposto, risulta evidente che, nella misura in cui la differenza sessuale viene considerata irrilevante nelle unioni sessuali e nella vita Pag. 10sociale e nella misura in cui si ritiene che la scelta sessuale dipenda dall'orientamento dell'individuo, ne risulta che siano equivalenti non solo omosessualità ed eterosessualità, ma anche tutte quelle forme richiamate dal relatore in cui si parla di incesto, di pedofilia, di poligamia, di poliandria, perché sono tutti orientamenti sessuali e quindi non si può distinguere e non si può dare per scontato il fatto che l'orientamento sessuale sia solo di un tipo e non di altro. Pertanto, in questa nozione si possono inserire tranquillamente tutte queste altre indicazioni che riguardano proprio l'orientamento sessuale.
L'orientamento sessuale in realtà - e questo lo dicono studiosi di varie discipline - indica oscillazioni individuali che possono verificarsi più volte nel corso della vita e situazioni esistenziali le più diverse, sia in senso qualitativo sia quantitativo. Queste oscillazioni sfuggono a qualsiasi categorizzazione naturale e prefigurano la possibilità di essere qualunque cosa, eliminando non solo il dato di natura, ma qualsiasi forma di diversità, che potrebbe anche essere percepita come anormale. Il genere e l'orientamento sessuale caratterizzano una soggettività fluida, complessa, mobile e di per sé indefinibile, sottratta a qualsiasi definizione e, uso le virgolette perché non l'ho detto io, «soffocante fissazione».
Se le scelte individuali inoltre sono tutte equivalenti - e questa è ampiamente diffusa come idea che proprio sottende il discorso delle teorie di genere, dal momento che non esiste un criterio oggettivo per stabilire cosa sia bene e cosa sia male, cosa sia meglio o semplicemente cosa sia peggio, per questa ragione le scelte individuali diventano insindacabili e dunque devono essere tollerate se non protette tutte in egual misura. Questa non mi sembra una situazione auspicabile, proprio per il richiamo che ho fatto prima ai vari tipi di orientamento sessuale che si possono elencare.
Da qui la posizione critica dell'UdC, che non vuole essere assolutamente offensiva nei confronti di nessuno e non lo è, perché porta dati ed argomentazioni che sono avallati anche da ampi dibattiti a livello scientifico e culturale, che avvengono da anni in tutto il mondo. Questa posizione critica deve essere in qualche modo tenuta in considerazione per quanto riguarda esclusivamente il discorso dell'orientamento sessuale.
Vale la pena ricordare che se, da un lato, da molti anni numerosi documenti internazionali hanno introdotto riferimenti al genere, così come è stato ricordato, all'identità sessuale e all'orientamento sessuale, lo statuto di Roma della Corte penale internazionale recita: ai fini del presente statuto è evidente che il termine gender si riferisce ai due sessi, maschile e femminile, nel contesto della società. Il termine gender non indica alcun significato diverso da quello di cui sopra.
Il fatto che allora si avvertì la necessità di chiarire i termini della questione indica quanto sia equivoco il termine e, in ogni caso, dimostra quanto sia controverso tutto quanto discende dalle gender theories. Questo è un argomento estremamente importante - lo ribadisco - a cui abbiamo prestato, e prestiamo, estrema attenzione.
Siamo assolutamente convinti che la dignità della persona umana debba essere salvaguardata con tutti i mezzi leciti possibili, che i diritti fondamentali siano alla base di ogni ordinamento giuridico e che rappresentino la cifra di una civiltà, che la non discriminazione debba essere ribadita in ogni sede e in ogni occasione, e questo vale per le persone eterosessuali, così come per le persone omosessuali. Siamo assolutamente convinti che l'omofobia vada combattuta senza riserve e che non siano tollerabili episodi di violenze e di discriminazioni in funzione delle proprie scelte sessuali.
Siamo convinti che siamo tutti chiamati a costruire una cultura fondata sul rispetto degli stili di vita delle persone e su questo occorre essere chiari ed espliciti. Siamo altrettanto convinti (e avremo modo di ribadirlo anche in sede di esame degli emendamenti) che tali violenze - che, a quanto si dice, e non ho motivo di dubitarne, sono in aumento - vadano combattute non inserendo delle aggravanti di Pag. 11pena nel codice penale - stiamo discutendo di questo e siamo pronti al confronto - ma con azioni di difesa e di repressione nei confronti delle persone che sono esposte a questo tipo di rischi.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Diverso, però - e concludo, signor Presidente - è trovare opportuno l'inserimento dell'orientamento sessuale in un provvedimento che prevede l'introduzione nel codice penale di tali aggravanti. Abbiamo presentato una questione pregiudiziale di costituzionalità - che verrà, poi, discussa al momento opportuno - in cui abbiamo ripresentato, in maniera più esplicita, quanto ho rapidamente esposto.
In conclusione, vorrei sottolineare che le nostre riserve non ci impediscono di apprezzare il lavoro che è stato svolto in Commissione, né di ringraziare il relatore per il lavoro svolto e per aver cercato di trovare un accordo più ampio possibile. Le nostre riserve non ci impediscono di auspicare che questa proposta sia approvata con il massimo consenso dell'Assemblea. Vorremmo, davvero, anche noi unirci a questo consenso.

PRESIDENTE. Deve concludere.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Quindi, siamo disposti, fino al voto finale, ad accogliere eventuali correzioni ed indicazioni e a discutere della questione, altrimenti, se non dovessimo metterci d'accordo, proprio per ottenere un consenso più diffuso possibile, dovremmo immaginare un rinvio del provvedimento in Commissione.

PRESIDENTE. Grazie.
È iscritto a parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, cari colleghi e colleghe, in premessa, vorrei sottolineare come la discussione sul provvedimento in esame parta da una specifica esigenza che si presenta nella realtà di tutti i giorni.
Nel nostro Paese, a fronte di una maggiore coscienza diffusa nei confronti dell'universo omo e transessuale, sono andati, via via, crescendo episodi di intolleranza nei confronti di persone che hanno diverso orientamento sessuale. In tal senso, l'Arcigay ha contato, nel solo periodo 2006-2007, più di 42 delitti a danno di omo e transessuali. Tali dati sono andati crescendo nel 2008 e nel 2009: è sufficiente, signor Presidente, leggere tutti i giorni la cronaca per trovare nuovi episodi di violenza, non ultimi, i fatti verificatisi a Roma ieri sera.
Se da un lato, occorre continuare incessantemente l'opera di sensibilizzazione culturale, dall'altro lato, occorre muoversi anche sotto il profilo penale per reprimere, in maniera più pregnante, i comportamenti volti a discriminare le persone sulla base dell'orientamento sessuale.
Prima di entrare nell'analisi del provvedimento posto all'attenzione dell'Assemblea, consentitemi di aggiungere alcune considerazioni generali che incrociano un'analisi costituzionale del tema.
La nostra Carta costituzionale, signor Presidente, non ha valore solo perché rappresenta l'architettura fondamentale della nostra convivenza civile e democratica, ma anche perché interpreta in senso progressivo il tema dei diritti umani e di cittadinanza. Non è un caso che in questi anni la sua centralità non sia stata solo celebrativa, ma anche fortemente innovativa per la sua capacità di rispondere ad una società in trasformazione.
Questa prerogativa la rende non solo una delle migliori Costituzioni, ma anche uno strumento per rendere esigibili i nuovi diritti, dal piano individuale a quello sociale. Rifarsi, quindi, alla Costituzione non è un esercizio teorico quando parliamo di diritto al lavoro, di sostegno alla scuola pubblica, di libertà di stampa e di ripudio della guerra ed è sempre tra quegli articoli che troviamo le ragioni che riguardano un principio inderogabile come quello della dignità e dell'uguaglianza di tutti i cittadini, Pag. 12appunto, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali e - qualcuno aggiungerebbe - di orientamento sessuale.
In questo quadro va iscritta l'urgenza di una legge che difenda quei cittadini vittime di violenza perché omosessuali, lesbiche e transessuali. Su questi cittadini, oltre al mancato riconoscimento di diritti fondamentali, come quello di un'unione affettiva riconosciuta dinanzi alla legge, si abbatte l'ignoranza di un Paese che, oltre alla discriminazione culturale e alla derisione pubblica, arriva all'aggressione fisica. Ecco perché, al di là dall'essere un testo dettato dall'emergenza di questi mesi e di questi giorni, la proposta di legge sull'omofobia risponde a un'urgenza culturale e civile che il nostro Paese deve considerare prioritaria. Colpire penalmente chi insulta e chi aggredisce non risponde solo alla necessità di dotarsi di strumenti repressivi, ma apre la strada a una diversa visione dei diritti umani e del riconoscimento di quelli che riguardano minoranze di cittadini giuridicamente e culturalmente discriminati.
Entrando nel merito della discussione sulle linee generali del testo di legge in esame, in premessa vorrei ringraziare l'onorevole Concia per la sensibilità e l'intelligenza con cui ha svolto il ruolo di relatrice del provvedimento in Commissione. Proprio partendo dall'originaria proposta di legge dell'onorevole Concia, non posso sottrarmi dal dire che il testo sarebbe stato ancora più utile se avessimo configurato una specifica ipotesi di reato volta a colpire delitti commessi per finalità di discriminazione o di odio, fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
Nel dibattito in Commissione da più parti è stata messa in luce una presunta contraddittorietà del termine orientamento sessuale. Sul punto mi preme sottolineare che in più legislazioni europee l'uso del concetto di orientamento sessuale appare del tutto univoco e non discrezionale nella sua stretta interpretazione; citando i classici si potrebbe dire in claris non fit interpretatio.
È chiaro che chi vuole comunque interpretare diversamente un concetto è libero di farlo, ma non possiamo mettere in discussione quello che appare essere un concetto che possiamo ascrivere a una sorta di diritto comunitario materiale. In tal senso, è sufficiente ricordare la risoluzione del Parlamento europeo sull'omofobia del 18 gennaio 2006, già ricordata dall'onorevole Concia, che definisce l'omofobia come una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali basata sul pregiudizio analogo al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo. È importante sottolineare come culturalmente sono messi insieme per la prima volta - e anche nel nostro Paese deve passare questo concetto - il legame che c'è tra razzismo e omofobia.
Il nostro gruppo, signor Presidente, ha presentato pochi e specifici emendamenti, proprio per salvaguardare il punto di equilibrio raggiunto in Commissione. È chiaro, però, che fino all'ultimo il nostro sforzo sarà quello di allargare il più possibile la capacità della norma in discussione di prevenire e colpire duramente i comportamenti di chi discrimina le persone sulla base dell'orientamento sessuale.
Ecco perché registriamo con soddisfazione l'apertura degli altri gruppi sperando, signor Presidente e cari colleghi, che la discussione e il voto finale possano dare al nostro Paese uno strumento di civiltà adeguato ai nostri tempi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante ROBERTO RAO. Signor Presidente, mi limiterò a una parte del dibattito che la collega Santolini ha svolto in maniera molto articolata e molto competente. Si tratta di un dibattito filosofico, culturale e attraversa profondamente nell'animo di ognuno di noi l'approccio a questa legge. Pag. 13Valuteremo inoltre, in sede di riunione del gruppo, significative (non posso che definirle così) aperture che la relatrice ha fatto oggi in aula, aperture che seguono un atteggiamento che la relatrice ha sempre tenuto nel corso della discussione in Commissione - una discussione complessa durata oltre un anno - di grande apertura e di grande realismo. Dovremo approfondirne sicuramente la portata e la realizzabilità, ma ancora una volta non possiamo non riconoscere all'onorevole Concia la competenza, l'onestà intellettuale e la serietà che hanno connotato questo provvedimento di cui è relatrice con le mille difficoltà che tutti noi riconosciamo.
Abbiamo delle posizioni diverse, ci siamo confrontati a lungo, siano stati inizialmente gli unici a votare contro questo provvedimento in Commissione.
Penso che i recenti gravi episodi di cronaca rappresentino sicuramente un segnale d'allarme, di grave allarme sociale, ma il legislatore, e l'ho detto anche in altre circostanze, deve essere lungimirante e cercare quindi di non farsi condizionare da eventi che possano essere anche enfatizzati o nella peggiore delle ipotesi strumentalizzati, come quelli ad esempio della violenza verso gli omosessuali accaduti a Roma anche nei giorni scorsi.
Il nostro obiettivo deve essere quello, è questa la base di partenza comune, di garantire a tutti cittadini indiscriminatamente i diritti fondamentali e siamo anche convinti della necessità non di stigmatizzare, ma di impedire che sul piano sociale vi sia il rigurgito di questo fenomeno grave e odioso che è e resta l'omofobia.
Devo anche dire che l'Unione di Centro manifesta una posizione fortemente critica per il riferimento all'orientamento sessuale contenuto nel testo all'esame dell'Assemblea. Pensiamo che ogni violenza contro un essere umano debba essere condannata con il massimo rigore e riconosciamo alla relatrice ancora una volta il merito di aver portato all'attenzione del Parlamento alcune gravissime forme di aggressione e di intolleranza verso scelte individuali come è appunto l'omosessualità.
Siamo però anche convinti, l'ha detto prima di me l'onorevole Santolini, che la delinquenza e la violenza si combattano potenziando il controllo del territorio, sostenendo l'azione delle forze dell'ordine, educando al rispetto e alla tolleranza e non introducendo categorie e sottocategorie di vittime di reati che finiscono col creare nuove ed inedite disparità di trattamento rispetto a chi in queste categorie non rientra. Così secondo noi non si risolve il problema.
Ad esempio proprio oggi su «Il Corriere della Sera» vengono segnalati fenomeni di vero e proprio razzismo contro gli anziani: tre su dieci vivono nella solitudine e vengono spesso colpiti dalla sindrome del «cuore spezzato». Vi sarebbe un atteggiamento diffuso secondo il quale gli anziani non avrebbero diritto ad un ruolo attivo, atteggiamento che considera inutile la loro esperienza e li condanna di fatto all'emarginazione e spesso si arriva, anche nei loro confronti, ad episodi di violenza perché ritenuti soggetti più deboli.
Dovremmo includere allora anche loro, prima o poi, tra le categorie da tutelare. Che senso ha allora legiferare solo per includere nuove categorie da tutelare sopratutto quando non è sempre agevole la loro identificazione e si rischia di lasciare fuori più categorie da proteggere rispetto a quelle, anche in buona fede, che si intendono proteggere e che pertanto risultano di fatto discriminate?
Questo è il fondamento della nostra questione pregiudiziale di costituzionalità che presenteremo sulla base dell'articolo 3 della Costituzione.
Riteniamo, quindi, al contrario di quanto affermato dall'onorevole Franceschini in questi giorni, che il testo - attraverso la soppressione del riferimento anche all'identità di genere - sia stato notevolmente migliorato e questo è il frutto di un lavoro serio fatto in Commissione che ha visto, grazie all'impegno della relatrice, la quasi unanimità dei suoi componenti.
Infatti, il nostro gruppo intende lavorare per una norma che garantisca la massima tutela a favore della dignità della Pag. 14persona, ma di tutte le persone, contro ogni forma di discriminazione. Non intendiamo discostarci, come dicevo prima, dal dettato dell'articolo 3 della nostra Carta costituzionale.
Ritenere che l'identità di genere possa essere inclusa - rispondo all'onorevole Franceschini - nella nozione di distinzione di sesso equivale, a nostro giudizio, a porsi al di fuori della norma suddetta. In altri termini, la differenza sessuale - ed è questo il senso dell'emendamento dell'UdC che parla di discriminazione sessuale, togliendo l'orientamento - è biologicamente riconducibile, senza margini per discussioni, all'incontestabile dato biologico della distinzione tra uomo e donna.
Viceversa, l'orientamento sessuale aprirebbe il campo ad una spirale che porterebbe all'ammissione che la differenza sessuale sarebbe dovuta alle influenze culturali o a un orientamento, cioè ad un'interpretazione soggettiva del desiderio sessuale, e pertanto potrebbe cambiare nella stessa persona e nei diversi periodi della vita nell'ambito della stessa persona.
Il concetto di genere riferisce della differenza tra un uomo e una donna; l'identità di genere, che molti esponenti del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori vorrebbero reintrodurre, si caratterizza invece come una autovalutazione individuale sulla propria sessualità. Fare propri i contenuti dell'ideologia di genere, come ha già detto l'onorevole Santolini, avrebbe finito per contrastare inesorabilmente con i concetti più ampi, ma evidentemente correlati, della famiglia e la generale visione naturale della effettività e della sessualità.
Tuttavia, nonostante la mancanza del riferimento all'identità di genere nel testo base, riteniamo che il testo, nella sua attuale formulazione, non possa ancora raccogliere il consenso del nostro gruppo che, allo stato, esprimerà voto contrario.
Alla luce del complesso dibattito e della non consolidata determinazione giuridica dell'espressione «orientamento sessuale» l'Unione di Centro non reputa opportuna l'introduzione di tale riferimento in ambito legislativo per diverse motivazioni che ho già illustrato in Commissione.
Ho avuto modo di ribadire, infatti, la gravità della non determinazione concettuale chiara del significato dell'espressione, ma su questo - tema affrontato nella parte della relazione che la collega Concia ha dovuto leggere velocemente per poi consegnarla agli atti - ci riserviamo di leggere le sue valutazioni e le sue proposte per esplicitare e chiarire questa determinazione concettuale.
Se si intende indicare, infatti, la discriminazione di omosessuali, orientamento sessuale andrebbe allora sostituito con omosessualità ed è questo il senso anche (credo) delle condizioni poste dal parere della I Commissione che noi condividiamo, in quanto orientamento sessuale indica ogni tendenza sessuale, e dunque anche la tendenza eterosessuale, ma anche la poligamia, per esempio, e se non viene chiarito c'è il rischio che qualsiasi altro genere di scelta sessuale possa rientrare in questa dizione.
Quindi, alla luce di questo, appare assolutamente irragionevole equiparare sotto il profilo penale, applicando quindi la medesima circostanza aggravante, colui che commette un'azione violenta o una minaccia nei confronti di un omosessuale a colui che lo commette nei confronti di un poligamo o di un pedofilo.
In secondo luogo, vi è il rischio che tale norma possa, vietando la discriminazione genericamente di orientamento sessuale, se con tale espressione si intende l'omosessualità, portare all'intolleranza nei confronti di chi, su basi etiche o religiose, ritiene doveroso difendere la complementarietà eterosessuale rispetto ad altre scelte sessuali quali, ad esempio, condizioni indispensabili della identità antropologica e della socialità.
Inoltre, ed è un dato abbastanza oggettivo, non essendo possibile accertare nell'interiorità dell'animo l'autentico movente che spinge alla violenza, ne conseguirebbe che chi subisce violenza presumibilmente per le ragioni di orientamento sessuale riceverebbe una protezione privilegiata Pag. 15rispetto a chi subisce «semplicemente» violenza, con la negazione del principio di uguaglianza che prima ho ricordato.
Chi subisce violenza a causa del suo orientamento sessuale - ma come verificare se davvero la violenza e la minaccia sono causate dal suo orientamento sessuale da parte di un giudice, visto che spesso si tratta di una scelta intima e interiore? - verrebbe protetto in modo maggiore rispetto a chi subisce violenza per ragioni diverse.
La norma, come anche opportunamente rilevato dal parere della I Commissione, non garantisce il pieno rispetto dell'articolo 25 della Costituzione dal momento che, in assenza di una nozione di orientamento sessuale, la nuova circostanza aggravante violerebbe il principio di determinatezza.
ROBERTO RAO. Signor Presidente, mi limiterò a una parte del dibattito che la collega Santolini ha svolto in maniera molto articolata e molto competente. Si tratta di un dibattito filosofico, culturale e attraversa profondamente nell'animo di ognuno di noi l'approccio a questa legge. Pag. 13Valuteremo inoltre, in sede di riunione del gruppo, significative (non posso che definirle così) aperture che la relatrice ha fatto oggi in aula, aperture che seguono un atteggiamento che la relatrice ha sempre tenuto nel corso della discussione in Commissione - una discussione complessa durata oltre un anno - di grande apertura e di grande realismo. Dovremo approfondirne sicuramente la portata e la realizzabilità, ma ancora una volta non possiamo non riconoscere all'onorevole Concia la competenza, l'onestà intellettuale e la serietà che hanno connotato questo provvedimento di cui è relatrice con le mille difficoltà che tutti noi riconosciamo.
Abbiamo delle posizioni diverse, ci siamo confrontati a lungo, siamo stati inizialmente gli unici a votare contro questo provvedimento in Commissione.
Penso che i recenti gravi episodi di cronaca rappresentino sicuramente un segnale d'allarme, di grave allarme sociale, ma il legislatore, e l'ho detto anche in altre circostanze, deve essere lungimirante e cercare quindi di non farsi condizionare da eventi che possano essere anche enfatizzati o nella peggiore delle ipotesi strumentalizzati, come quelli ad esempio della violenza verso gli omosessuali accaduti a Roma anche nei giorni scorsi.
Il nostro obiettivo deve essere quello, è questa la base di partenza comune, di garantire a tutti cittadini indiscriminatamente i diritti fondamentali e siamo anche convinti della necessità non di stigmatizzare, ma di impedire che sul piano sociale vi sia il rigurgito di questo fenomeno grave e odioso che è e resta l'omofobia.
Devo anche dire che l'Unione di Centro manifesta una posizione fortemente critica per il riferimento all'orientamento sessuale contenuto nel testo all'esame dell'Assemblea. Pensiamo che ogni violenza contro un essere umano debba essere condannata con il massimo rigore e riconosciamo alla relatrice ancora una volta il merito di aver portato all'attenzione del Parlamento alcune gravissime forme di aggressione e di intolleranza verso scelte individuali come è appunto l'omosessualità.
Siamo però anche convinti, l'ha detto prima di me l'onorevole Santolini, che la delinquenza e la violenza si combattano potenziando il controllo del territorio, sostenendo l'azione delle forze dell'ordine, educando al rispetto e alla tolleranza e non introducendo categorie e sottocategorie di vittime di reati che finiscono col creare nuove ed inedite disparità di trattamento rispetto a chi in queste categorie non rientra. Così secondo noi non si risolve il problema.
Ad esempio proprio oggi su «Il Corriere della Sera» vengono segnalati fenomeni di vero e proprio razzismo contro gli anziani: tre su dieci vivono nella solitudine e vengono spesso colpiti dalla sindrome del «cuore spezzato». Vi sarebbe un atteggiamento diffuso secondo il quale gli anziani non avrebbero diritto ad un ruolo attivo, atteggiamento che considera inutile la loro esperienza e li condanna di fatto all'emarginazione e spesso si arriva, anche nei loro confronti, ad episodi di violenza perché ritenuti soggetti più deboli.
Dovremmo includere allora anche loro, prima o poi, tra le categorie da tutelare. Che senso ha allora legiferare solo per includere nuove categorie da tutelare sopratutto quando non è sempre agevole la loro identificazione e si rischia di lasciare fuori più categorie da proteggere rispetto a quelle, anche in buona fede, che si intendono proteggere e che pertanto risultano di fatto discriminate?
Questo è il fondamento della nostra questione pregiudiziale di costituzionalità che presenteremo sulla base dell'articolo 3 della Costituzione.
Riteniamo, quindi, al contrario di quanto affermato dall'onorevole Franceschini in questi giorni, che il testo - attraverso la soppressione del riferimento anche all'identità di genere - sia stato notevolmente migliorato e questo è il frutto di un lavoro serio fatto in Commissione che ha visto, grazie all'impegno della relatrice, la quasi unanimità dei suoi componenti.
Infatti, il nostro gruppo intende lavorare per una norma che garantisca la massima tutela a favore della dignità della Pag. 14persona, ma di tutte le persone, contro ogni forma di discriminazione. Non intendiamo discostarci, come dicevo prima, dal dettato dell'articolo 3 della nostra Carta costituzionale.
Ritenere che l'identità di genere possa essere inclusa - rispondo all'onorevole Franceschini - nella nozione di distinzione di sesso equivale, a nostro giudizio, a porsi al di fuori della norma suddetta. In altri termini, la differenza sessuale - ed è questo il senso dell'emendamento dell'UdC che parla di discriminazione sessuale, togliendo l'orientamento - è biologicamente riconducibile, senza margini per discussioni, all'incontestabile dato biologico della distinzione tra uomo e donna.
Viceversa, l'orientamento sessuale aprirebbe il campo ad una spirale che porterebbe all'ammissione che la differenza sessuale sarebbe dovuta alle influenze culturali o a un orientamento, cioè ad un'interpretazione soggettiva del desiderio sessuale, e pertanto potrebbe cambiare nella stessa persona e nei diversi periodi della vita nell'ambito della stessa persona.
Il concetto di genere riferisce della differenza tra un uomo e una donna; l'identità di genere, che molti esponenti del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori vorrebbero reintrodurre, si caratterizza invece come una autovalutazione individuale sulla propria sessualità. Fare propri i contenuti dell'ideologia di genere, come ha già detto l'onorevole Santolini, avrebbe finito per contrastare inesorabilmente con i concetti più ampi, ma evidentemente correlati, della famiglia e la generale visione naturale della effettività e della sessualità.
Tuttavia, nonostante la mancanza del riferimento all'identità di genere nel testo base, riteniamo che il testo, nella sua attuale formulazione, non possa ancora raccogliere il consenso del nostro gruppo che, allo stato, esprimerà voto contrario.
Alla luce del complesso dibattito e della non consolidata determinazione giuridica dell'espressione «orientamento sessuale» l'Unione di Centro non reputa opportuna l'introduzione di tale riferimento in ambito legislativo per diverse motivazioni che ho già illustrato in Commissione.
Ho avuto modo di ribadire, infatti, la gravità della non determinazione concettuale chiara del significato dell'espressione, ma su questo - tema affrontato nella parte della relazione che la collega Concia ha dovuto leggere velocemente per poi consegnarla agli atti - ci riserviamo di leggere le sue valutazioni e le sue proposte per esplicitare e chiarire questa determinazione concettuale.
Se si intende indicare, infatti, la discriminazione di omosessuali, orientamento sessuale andrebbe allora sostituito con omosessualità ed è questo il senso anche (credo) delle condizioni poste dal parere della I Commissione che noi condividiamo, in quanto orientamento sessuale indica ogni tendenza sessuale, e dunque anche la tendenza eterosessuale, ma anche la poligamia, per esempio, e se non viene chiarito c'è il rischio che qualsiasi altro genere di scelta sessuale possa rientrare in questa dizione.
Quindi, alla luce di questo, appare assolutamente irragionevole equiparare sotto il profilo penale, applicando quindi la medesima circostanza aggravante, colui che commette un'azione violenta o una minaccia nei confronti di un omosessuale a colui che lo commette nei confronti di un poligamo o di un pedofilo.
In secondo luogo, vi è il rischio che tale norma possa, vietando la discriminazione genericamente di orientamento sessuale, se con tale espressione si intende l'omosessualità, portare all'intolleranza nei confronti di chi, su basi etiche o religiose, ritiene doveroso difendere la complementarietà eterosessuale rispetto ad altre scelte sessuali quali, ad esempio, condizioni indispensabili della identità antropologica e della socialità.
Inoltre, ed è un dato abbastanza oggettivo, non essendo possibile accertare nell'interiorità dell'animo l'autentico movente che spinge alla violenza, ne conseguirebbe che chi subisce violenza presumibilmente per le ragioni di orientamento sessuale riceverebbe una protezione privilegiata Pag. 15rispetto a chi subisce «semplicemente» violenza, con la negazione del principio di uguaglianza che prima ho ricordato.
Chi subisce violenza a causa del suo orientamento sessuale - ma come verificare se davvero la violenza e la minaccia sono causate dal suo orientamento sessuale da parte di un giudice, visto che spesso si tratta di una scelta intima e interiore? - verrebbe protetto in modo maggiore rispetto a chi subisce violenza per ragioni diverse.
La norma, come anche opportunamente rilevato dal parere della I Commissione, non garantisce il pieno rispetto dell'articolo 25 della Costituzione dal momento che, in assenza di una nozione di orientamento sessuale, la nuova circostanza aggravante violerebbe il principio di determinatezza.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO RAO. Su questo ribadisco che aspetto anche le proposte dell'onorevole Concia.
Concludo, signor Presidente. Alla luce di queste considerazioni ci auguriamo che, così com'è avvenuto per lo stalking e per la violenza sessuale, possa ancora svilupparsi in Aula un confronto bipartisan dove non devono entrare, come ha detto giustamente l'onorevole Concia, i pregiudizi che esistono tra i diversi schieramenti. Un costruttivo confronto, dicevo, deve essere finalizzato alla stesura di un testo che possa superare i gravi limiti suddetti e, se necessario, ravvisiamo l'opportunità di un rinvio del testo in Commissione per un ulteriore approfondimento (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, posso sapere quanto tempo ho a disposizione?

PRESIDENTE. Il suo gruppo le ha assegnato 8 minuti.

RITA BERNARDINI. Onorevoli colleghi, anch'io, come altri hanno già fatto in questa discussione, voglio dare atto all'onorevole Concia di un impegno sicuramente molto intenso su questo fronte, sul fronte dei diritti delle persone lesbiche, gay, transessuali, transgender e bisessuali. Credo che sia molto importante e gliene diamo atto anche perché la sua proposta originale partiva proprio dalla legge Mancino che peraltro, come delegazione radicale, possiamo dire di non condividere nel suo spirito, proprio perché in alcuni tratti di questa legge è possibile sicuramente rintracciare degli effetti liberticidi. Ma, detto questo, era importante partire da una legge che si riferisce alle discriminazioni e che ha recepito in un certo senso la Convenzione ONU contro il razzismo. Era importante rifarsi a questa legge anche perché non si basa esclusivamente sulla punizione del carcere, così come è previsto nella nostra legislazione, ma punta direttamente alla possibilità di applicare forme di pena alternative.
In questo momento sicuramente ci stanno seguendo moltissime associazioni che nel tempo e da anni si battono per i diritti delle persone omosessuali, transessuali, bisessuali e transgender. Credo che a loro dobbiamo pensare ed è per questo che io, insieme alla mia delegazione e a tutti quelli che vorranno aggiungersi, depositerò gli emendamenti che avevamo già presentato in Commissione affinché rimanga agli atti di questo dibattito almeno qualcosa in positivo. Me lo auguro ed ho fiducia soprattutto nel dialogo che potrà svolgersi in quest'Aula, ma anche nel Ministro Mara Carfagna che oggi è presente qui in Aula e che alcuni giorni fa ha incontrato queste associazioni dimostrando, almeno da quello che abbiamo letto sulla stampa e da quello che mi hanno riferito direttamente, di avere molta sensibilità per esempio nei confronti della salvaguardia dei diritti che purtroppo in questa legge non sono garantiti per le persone transessuali, infatti non è prevista una loro particolare tutela.
Ma perché dico che voglio che rimangano agli atti di questo dibattito gli emendamenti? Pag. 16Perché purtroppo, questo voglio dirlo, in questa legislatura (faccio riferimento al periodo che ho potuto vivere direttamente da deputata) si è legiferato solamente in negativo.
Quando ci si riferisce alla sessualità, si parla semplicemente di pene, di nuove fattispecie di reato, non si parla mai in positivo della tutela dei diritti di queste persone. Questo fa un po' tristezza, perché sembra che la vita di queste persone debba essere esclusivamente contrassegnata da episodi negativi. In realtà, noi impediamo a molte, a centinaia di migliaia di queste persone di godere dei diritti che hanno altri soggetti che, per esempio, decidono di costruire insieme un progetto di vita, di essere insieme per una vita e quindi di sposarsi, di avere tutte le garanzie che sono previste dalla legge per gli uomini e le donne di questo Paese che decidono di costituire una famiglia. Non ci si è resi conto, o non ci si vuole rendere conto, che il mondo è cambiato e che le famiglie oggi sono diverse.
Ho avuto la possibilità di conoscere, ad esempio, una persona gay che ha avuto la fortuna di non nascere in Italia, ma in Brasile, dove ha potuto, da single e da gay, adottare un bambino che altrimenti sarebbe stato destinato o alla morte per denutrizione, perché proveniva da zone poverissime di quel Paese, oppure ad essere affidato a qualche istituto che poteva occuparsi della sua vita. Ora questo bambino, che ho conosciuto, è un bambino felice, che è stato affidato a questo ragazzo gay, omosessuale. Purtroppo di queste cose non si può parlare in Italia, si preferisce relegare negli istituti queste persone, ci sono notevoli difficoltà già per la semplice adozione di queste persone sfortunate che non hanno la possibilità di avere l'affetto di una persona adulta che si assuma la responsabilità di essere padre o madre di questo ragazzo, di questo bambino. È questo ciò che voglio sottolineare: il legiferare in questa legislatura sempre in negativo. C'è un emendamento, e lo dedico veramente alle associazioni che si occupano di diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, che è l'ultimo, l'ottavo, che noi della delegazione radicale depositeremo, ed è l'emendamento in positivo ...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Bernardini.

RITA BERNARDINI. Sto concludendo, sto anche controllando il tempo.
Stavo parlando dell'emendamento in positivo, cioè quello che prevede che si costituisca un ente di vigilanza che sia autonomo e che possa controllare, che sia dotato di mezzi ...

PRESIDENTE. Ha controllato?

RITA BERNARDINI. Ho ancora otto secondi. Lei mi sta interrompendo in modo che io non possa concludere tranquillamente il mio intervento...

PRESIDENTE. No, no, siccome pensavo che non si fidasse di me, ma il suo tempo è terminato.

RITA BERNARDINI. ...a meno che non metta in dubbio l'iPhone che è perfetto. Mi ha rubato qualche secondo, però credo che quello che sto dicendo in queste ultime parole sia molto importante. Legiferare in positivo, legiferare per i diritti e per dare una speranza di vita sociale integrata anche alle persone che hanno diverso orientamento sessuale e che vivono la loro sessualità in un modo diverso da quello che è ritenuto normale, purtroppo, da molti in questa società (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, stiamo discutendo con estrema pacatezza, adeguata alla straordinaria delicatezza del tema, di una proposta di testo unificato che proviene dalla Commissione e per la quale si è spesa, molto e proficuamente, la relatrice Paola Concia. Il tema che stiamo affrontando è di estrema delicatezza perché Pag. 17attiene al modo di essere di una società civile e al rispetto che deve connotare ogni democrazia nei confronti della diversità e di ognuno come persona. Come diceva la relatrice, l'Italia dei Valori ha una particolare sensibilità per questo come per altri aspetti dei diritti della persona come entità originaria e non ripetibile.
Per questa ragione abbiamo presentato una proposta di legge che potrà essere sembrata anche severa, ma che secondo noi è adeguata alla necessità impellente che questa società ritrovi dei fili conduttori nel rispetto della persona e sanzioni in maniera forte e adeguata i comportamenti contrari al vivere civile. Avevamo presentato, dunque, una proposta di legge che prevedeva l'estensione dei reati che reprimono i comportamenti contraddistinti da odio razziale, ovvero l'estensione della categoria dell'ipotesi di reato anche ai comportamenti dettati da discriminazione rispetto all'orientamento sessuale. Ciò perché pensavamo che fosse necessario prevedere un'ipotesi specifica di reato che sanzionasse e reprimesse con adeguatezza comportamenti contrari al rispetto della persona.
In questo spirito costruttivo abbiamo accettato la proposta, senza rinunciare a presentare diciassette emendamenti (credo che siano i più numerosi presentati da un gruppo parlamentare). Tuttavia, non abbiamo respinto l'ipotesi di dare un sostegno a quello che nell'Aula sarà ritenuto oggi compatibile con la tutela di questi interessi di straordinaria importanza, ovvero gli interessi delle persone ad essere rispettate per quello che sono e per come sono.
Siamo partiti dal rispetto della Costituzione, e per questa ragione ci domandiamo come sia possibile fondare un'eccezione di incostituzionalità basata sull'articolo 3, ovvero proprio sulla norma che noi mettiamo a fondamento della nostra esigenza di tutela. Siamo curiosi, quindi, di capire, percepire e conoscere come l'UdC motiverà la propria questione pregiudiziale di costituzionalità, perché alcuni esempi ci sembrano non corrispondere alla realtà dei fatti stessi. La situazione degli anziani è già tutelata dal codice penale e c'è una specifica aggravante contenuta nell'articolo 61, numero 5, che consiste nell'aggravamento della condotta per il fatto di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.
Questa è una situazione che è già tutelata dalla nostra legge, mentre non esiste nessuna ipotesi di tutela della diversità per ragioni sessuali. Allora, noi siamo partiti da un testo fondamentale della Costituzione, quello dell'articolo 3: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali o sociali. Questa elencazione comincia con le distinzioni di sesso, che non possono essere discriminanti secondo la nostra Costituzione, per chiudere con le condizioni personali, che sono certamente quelle attinenti al modo di espressione della sessualità, che è proprio di ciascuna persona.
Abbiamo ragionato in questo modo e abbiamo pensato che ci sono sostanzialmente due categorie generali di modalità di espressione della propria sessualità: una è l'omosessualità, che consiste nel fatto di intrattenere relazioni sessuali con persone dello stesso sesso; esiste poi la categoria della transessualità, quindi la transfobia è il contrasto e l'opposizione a quest'orientamento sessuale, che è connotato da tante diversità, che sono ben descritte nei libri di sociologia e anche di medicina. Noi vorremmo sostanzialmente che ad entrambe queste categorie fosse garantito il diritto alla libera espressione della propria sessualità. In questa legge, che stiamo per approvare, non stiamo dicendo se è bene, male, giusto o non giusto, essere omosessuali, eterosessuali o transessuali. Non stiamo esprimendo nessun giudizio di valore e nessuno può arrogarsi il potere di esprimere giudizi di valore. L'unico giudizio di valore che stiamo esprimendo è quello del rispetto della persona umana, per quello che è. Pag. 18
Ecco perché noi avremmo voluto una tutela più forte ed ecco perché non abbiamo rinunciato a presentare degli emendamenti, perché, se ci sarà il consenso dell'Aula, essi andranno nel senso di una tutela più forte, se invece non ci sarà il consenso dell'Aula, noi daremo comunque il nostro voto favorevole a quello che sarà l'orientamento dell'Aula, anche sotto il profilo del minimo comune multiplo: meglio tutelare in maniera meno rafforzata, piuttosto che non tutelare affatto.
L'Italia dei Valori è molto preoccupata della situazione attuale, quindi ad un ragionamento di ordine filosofico e sociale e, per quanto mi riguarda, essendo io credente, anche di ordine religioso, nella tutela della diversità, aggiungiamo però delle preoccupazioni che ci competono come legislatori, cioè le preoccupazioni per una continua e pericolosa escalation nella nostra società, che tende a riversare concetti e atteggiamenti di odio sociale ed a canalizzarli nei confronti della diversità sessuale. Ne ricordo alcuni (l'intolleranza e la violenza omofobica e transfobica sembrano non arrestarsi in Italia). L'8 settembre 2009, su un muro di via Cavour a Roma, campeggiava un grosso manifesto con la scritta (scritto in inglese, chissà perché): «io ho un sogno - uso una parola dispregiativa, ma questo c'era scritto, e me ne dispiace - "froci al Colosseo con i leoni". Nella stessa città, il 18 maggio scorso, accanto all'ingresso di un locale gay, è comparsa la scritta: "froci malati". A Pisa, il 5 agosto, dinanzi alla sede di un'impresa di servizi per la comunità omosessuale, è stato scritto: "gay morirete oggi, i vostri uffici bruceranno, abbasso i gay, morirete froci, gay Muftì"».
Potrei continuare ad elencare comportamenti che sono estremamente pericolosi e ai quali dobbiamo dare uno stop forte, fermo e deciso, perché, se al posto di sostantivi ingiustamente dispregiativi come quelli citati ne mettiamo altri, vediamo che, comunque, il comportamento è dettato da odio sociale e razziale. Se li sostituiamo con negri, ebrei o altri nomi che un tempo od oggi sono stati oggetto dell'odio razziale, abbiamo lo stesso risultato. Ecco perché è necessario e importantissimo, in questa fase di sviluppo di un'antisocialità caratterizzata anche da odio per ragioni sociali, che il Parlamento italiano approvi delle disposizioni sanzionatorie - quelle che saranno, quelle sulle quali si riuscirà a raggiungere un consenso - del comportamento dettato da odio, in questo caso per diversità sessuale.
È una cosa essenziale: il Parlamento non può rifiutarsi di assumere questo comportamento di responsabilità, altrimenti noi legittimeremo l'avanzare progressivo di forme di odio sociale e di odio razziale che non sappiamo dove ci potranno condurre, se consideriamo anche un contesto di carattere più generale. Vorremmo che il Parlamento adottasse delle disposizioni sanzionatorie molto più nette e decise, ma, lo dicevo prima, stiamo assumendo un comportamento di rispetto nei confronti delle persone che vivono, da una parte, la paura di dover esprimere liberamente il proprio orientamento e, dall'altra, la paura della vergogna verso cui la società, con le sue modalità di respingere la diversità, le può condurre.
Ieri vi è stata una manifestazione dei parenti e dei genitori degli omosessuali e dei transessuali. Come non immedesimarsi nella condizione di persone che vivono accanto a individui che già vivono la difficoltà di essere discriminati e di essere respinti a cagione del loro orientamento sessuale? Come non preoccuparsi e non immedesimarsi in questa sofferenza? Il Parlamento deve dare un segnale forte, lo deve dare subito, possibilmente all'unanimità, perché è una questione di civiltà.
Noi dell'Italia dei Valori avremmo preferito una disposizione sanzionatoria più forte. Non abbiamo difficoltà ad esprimere i punti di criticità che vediamo in questo provvedimento: avremmo ritenuto preferibile estendere la legge Mancino con due tipologie di reati che puniscano fino a tre o quattro anni i comportamenti legati alla discriminazione e all'odio per ragioni di orientamento sessuale. Non condividiamo la scelta di escludere dal testo Pag. 19specificamente i comportamenti motivati dalla finalità di discriminare quell'identità di genere.
Sembrerebbe che si possa o si debba parlare solo di omosessualità: noi riteniamo che anche i transessuali, che sono categorie possibilmente ancora più esposte al rifiuto sociale, debbano essere adeguatamente protetti e tutelati nella loro libera scelta di esprimersi come ritengono opportuno.
Vi sono delle obiezioni di carattere formale dell'UdC, il quale afferma che l'orientamento sessuale può essere confuso con altre situazioni che a nostro giudizio non c'entrano, perché sono diverse, dalla poligamia all'incesto e alla pedofilia; sono ipotesi che sono già sanzionate penalmente, oppure che la Corte costituzionale ha spazzato via eliminando il reato di adulterio, affermando sostanzialmente che l'espressione della sessualità all'interno o all'esterno alla coppia è lasciata alle determinazioni della coppia stessa. Allora per superare l'obiezione di genericità del concetto di orientamento sessuale, abbiamo presentato un emendamento alla rubrica come disposizioni di repressione dell'omofobia e della transfobia. Si modifichi la rubrica, si modifichi il testo della norma e dell'aggravante, e tutto è fatto, perché è chiaro a che cosa ci riferiamo: non ci possono essere obiezioni di nessun altro genere.
Non riteniamo comprensibile inoltre la limitazione dell'aggravante ad alcuni reati contro la persona, escludendone altri, per esempio i reati contro l'onore: spesso l'ingiuria e la diffamazione possono essere determinate da comportamenti omofobici o transfobici; così come i reati anche contro il patrimonio: taluni di questi, dalla rapina all'estorsione, potrebbero essere anche determinati da queste ragioni e da questi motivi.
Non siamo neppure d'accordo con l'eliminazione della disposizione che prevedeva che l'aggravante fosse esclusa dal bilanciamento con le circostanze attenuanti, in modo che possa teoricamente essere spazzata via, essere dichiarata compensata o che, addirittura, le attenuanti possano essere dichiarate prevalenti sulle aggravanti: a noi sarebbe sembrato un segnale più forte, molto più forte, quello di escludere questa circostanza aggravante dal computo del bilanciamento con le circostanze attenuanti.
Così come avremmo preferito anche la procedibilità d'ufficio dei reati commessi per ragioni omofobiche o transfobiche, mentre condividiamo l'ipotesi di un programma di educazione al rispetto e siamo d'accordo anche con la possibilità di applicare ai reati di omofobia o transfobia le pene alternative e, probabilmente, anche le pene accessorie, in modo che all'apparato sanzionatorio si accompagni anche un'adeguata possibilità di risocializzazione.
L'Italia dei Valori ritiene che su questi temi non possano esserci pregiudiziali di nessun genere e che non ci possano essere neanche pregiudiziali di carattere religioso e confessionale. Crediamo che l'articolo 3 della Costituzione sia una disposizione di carattere universale, che si possa perfettamente conciliare anche con il credo religioso. Personalmente - lo ripeto - sono credente praticante e ritengo di potermi riconoscere nell'articolo 3 come una disposizione che in qualche modo esalta la legge dell'amore.
Credo dunque che il Parlamento debba dare un segnale molto forte, nel senso che vi è un fenomeno sociale che bisogna reprimere, ma vi è anche un aspetto della solidarietà e di rispetto tra le persone, che sostanzialmente significa anche una tutela della legge dell'amore.
In tempi in cui il tessuto sociale e comunitario sembra meno forte e in qualche modo vulnerato da un individualismo esasperato, dai principi del potere, del piacere e della supremazia o superiorità del singolo o di gruppi sociali su altri gruppi sociali, crediamo che questo Parlamento, a cominciare da quest'Aula, dalla Camera dei deputati, debba mandare un segnale di straordinaria forza, ovvero che la comunità si basa innanzitutto sul rispetto, sulla solidarietà e sull'amore tra i suoi componenti (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, credo che in una democrazia moderna esistano momenti nei quali le differenza politiche tra opposti schieramenti non trovino più ragion d'essere, soprattutto quando si perseguono obiettivi che mirano alla tutela della dignità della persona e a salvaguardare i diritti civili ovvero quando ci si trova a legiferare sugli assunti fondanti della nostra Costituzione. Con la difesa dei diritti non ci può essere né destra né sinistra, ma ciò rientra in un onere costituzionale del quale tutti noi parlamentari dobbiamo essere orgogliosi e instancabili fautori.
Con il presente provvedimento chiediamo di integrare, come è a tutti noto, la legge 25 giugno 1993, n. 205, meglio nota come «legge Mancino», estendendo i reati motivati da discriminazione e odio razziale ai fatti compiuti ai danni di persone omosessuali. Si tratta dunque di integrare le disposizioni della legge Mancino aggiungendo ai motivi razziali etnici, nazionali e religiosi anche quelli fondati sull'orientamento sessuale. Addirittura, noi avevamo inizialmente proposto di aggiungere anche quelli fondati sull'identità di genere, ma poi, con senso di responsabilità, abbiamo rinunciato anche per ottenere quella giusta e necessaria unanimità che vorremmo si registrasse attorno a questo importante provvedimento.
Conosco perfettamente le perplessità e le obiezioni sollevate in sede di Commissione dai colleghi di centrodestra in merito alla corretta interpretazione, anche costituzionale, da attribuire alle diciture «orientamento sessuale» e «identità di genere». Si è obiettato, infatti, che la discriminazione legata agli orientamenti sessuali può rientrare in una discutibile, ma comunque riconosciuta osservanza, dell'articolo 21 della Costituzione, quindi nel rispetto della libertà di opinione e che, pertanto, un'integrazione, come da noi proposto, della legge Mancino, potrebbe produrre un vulnus che la renderebbe incostituzionale. Ritengo, tuttavia, che tale obiezione, pur sensata - dobbiamo riconoscerlo - risulti comunque debole e difficilmente sostenibile soprattutto perché - ammesso anche il discutibile riconoscimento di una libertà di opinione nella discriminazione sessuale - si violerebbe in partenza un articolo prioritario della Costituzione che a mio avviso esclude qualunque obiezione o dubbio interpretativo, vale a dire l'articolo 3 laddove i nostri padri costituenti hanno sottolineato che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, di lingua e religione.
Quali sono, entrando nel merito, le urgenze di questa modifica della legge? Ritengo che gli allarmanti fatti di cronaca, che ormai sempre più frequentemente si verificano in merito a violenze commesse a danno di persone omosessuali, abbiano segnato un livello di guardia che non si può più sottovalutare, né arginare, ma servono seri strumenti legislativi.
Tutti sappiamo che soprattutto a Roma, dove la comunità omosessuale è più numerosa e cerca con maggior fiducia e consapevolezza di rivendicare la propria condizione sociale, essa è vittima da alcuni mesi di attentati e intimidazioni nei suoi abituali luoghi di ritrovo, attentati che si stanno ripetendo con una periodicità davvero preoccupante. Da febbraio ad oggi oltre ai tre attentati presso il locale Qube, si sono registrati otto atti di violenza omofobici e transfobici, tra i quali un omicidio. Tra il 2006 e il 2007 in Italia si sono verificati 42 delitti contro omo e transessuali, 11 omicidi, 23 violenze e 8 atti vandalici. Sono atti - è vero - riferiti da Arcigay e che qualcuno potrebbe giudicare non imparziali, ma sono gli unici che oggi abbiamo a disposizione perché in Italia allo stato attuale dobbiamo dire che non esistono dati ufficiali di fonte governativa sulla violenze commesse a danno delle persone omosessuali.
Questo è un fatto che dimostra la lacuna da colmare in termini di reale salvaguardia da parte dello Stato e di iniziative in favore dell'inclusione sociale e della tutela giuridica nei confronti del Pag. 21mondo gay, lesbo o transessuale. È un impegno, che anzi ritengo giusto definire un dovere, che ci viene richiamato da due importanti organismi internazionali: l'ONU, da una parte, e la Comunità europea, dall'altra. È stata, infatti, l'Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite a promulgare nel lontano 1965 la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, una Carta che l'Italia ha sottoscritto successivamente, nel 1976, e su cui però, nel caso della discriminazione razziale per motivazioni sessuali, siamo in colpevole ritardo per quanto riguarda la sua piena e completa attuazione.
Porta, invece, la data del 18 gennaio 2006 la risoluzione del Parlamento europeo che assegna alla Comunità il potere di adottare misure finalizzate alla lotta alle discriminazioni basate, tra l'altro, sull'orientamento sessuale e di promuovere il principio dell'uguaglianza, richiamando inoltre gli Stati membri a precisi impegni.
La risoluzione - che, tengo a ricordare, fu votata a suo tempo anche dal gruppo euro-parlamentare del Partito Popolare - chiede infatti loro di assicurare che le persone gay, lesbo e transessuali vengano protette da discorsi omofobici intrisi d'odio e da atti di violenza omofobici e, soprattutto, di intensificare la lotta all'omofobia mediante un'azione pedagogica e per via amministrativa, giudiziaria e legislativa.
Ecco, dunque, che l'integrazione della legge Mancino che proponiamo trova piena legittimazione negli impegni sottoscritti dall'Italia a livello internazionale e mira ad allineare il nostro Paese a quelli con democrazie evolute come la nostra, che nel campo della lotta alla discriminazione sessuale hanno già provveduto ad attuare le disposizioni e gli impegni sottoscritti con l'ONU e l'Unione europea.
Signor Presidente, onorevole colleghi, concludo richiamando la vostra attenzione solo su una brevissima riflessione. In tempi in cui la mancanza di attenzione civile, politica e morale, oltre che l'assenza di validi strumenti legislativi, ha prodotto degenerazione e crimini aberranti in termini di discriminazione dell'uomo e che tutti noi impulsivamente associamo all'Olocausto (quando l'umanità ha dovuto soccombere anche davanti allo sterminio di circa 30 mila omosessuali all'interno dei lager e dei campi di concentramento nazisti), ancora oggi in tutto il mondo ogni anno, ogni mese, ogni giorno, migliaia e migliaia di persone omosessuali vittime di discriminazione e persecuzioni, se anche sopravvivono alla violenza fisica (che in taluni Stati si traduce addirittura nella pena capitale), proseguono la loro esistenza dilaniati da drammi interiori e psicologici devastanti, che minano per sempre la possibilità di condurre una vita felice.
Questo, come sappiamo bene, accade anche in Italia, dove il dramma personale che vivono migliaia di persone omosessuali e che conduce a devastazioni interiori ed esistenze compromesse per l'isolamento cui sono costrette e per i pregiudizi di cui sono vittime, si verifica anche per mancanza di una reale tutela giuridica e legislativa.
In conclusione, ritengo che come parlamentari della nostra Repubblica abbiamo il dovere di contrastare con tutte le forze e con tutti gli strumenti a disposizione questo dramma, affinché non colpisca altre persone, e che l'integrazione di legge che proponiamo possa rappresentare un significativo passo in avanti per riuscirci finalmente.
L'invito che rivolgo ai colleghi di centrodestra è dunque quello di contribuire in modo unitario e condiviso ad una legge che può senz'altro elevare la civiltà dell'Italia e delle istituzioni che con orgoglio rappresentiamo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, molto è già stato detto e dunque nel mio intervento cercherò di tracciare un percorso che sia razionale, obiettivo, se possibile scevro da condizionamenti e che, a mio avviso, dovrebbe essere d'aiuto o Pag. 22comunque supportarci ed accompagnarci nell'approvazione di questo testo.
Il provvedimento in esame, come è già stato detto, è volto ad introdurre nel codice penale tra le circostanze aggravanti cosiddette comuni una circostanza che si applica appunto ai reati contro la persona, in particolare ai reati che siano stati commessi in ragione dell'orientamento sessuale della vittima o al fine di discriminazione sessuale.
È un testo che può sembrare poca cosa, ma che in realtà costituisce il frutto di un lungo dibattito iniziato già nella precedente legislatura e che, come è stato affermato in Commissione nella seduta del 2 ottobre scorso dal mio collega capogruppo del PdL, l'onorevole Costa, è il frutto di una sintesi tra diverse sensibilità.
Di più, il testo costituisce un primo passo concreto per l'attuazione delle direttive europee che con sempre maggiore forza, condannando ogni forma di omofobia, chiedono agli Stati membri di assicurare, con i vari strumenti a disposizione, l'effettiva tutela delle persone da ogni forma di violenza omofobica - che è stata definita nella risoluzione del 2006 (già ricordata dalla relatrice, onorevole Concia) come paura, avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità, dei gay, delle lesbiche, dei bisessuali e dei transessuali, estrinsecazione di un grave pregiudizio - e di lesione dei diritti inviolabili dell'uomo garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla nostra Carta costituzionale.
Non c'è bisogno in quest'Aula che ricordi l'articolo 2 e l'articolo 3, primo e secondo comma, della nostra Costituzione. Questo testo di legge si pone in questa linea, costituisce l'attuazione del diritto sostanziale di uguaglianza, senza discriminazione legata al sesso o all'orientamento sessuale, e realizza il dovere della Repubblica italiana, attraverso il Parlamento, di rimuovere quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. È un compito che lo Stato italiano e i suoi esponenti di Governo non possono confinare nell'ambito di mere affermazioni di principio, sia pure di solidarietà, espresse di solito all'indomani dell'ennesimo episodio di violenza (come quello accaduto ieri a Roma, in via del Corso, dove una coppia di gay che passeggiava è stata aggredita senza alcun motivo) o all'esito di incontri (come quello avvenuto pochi giorni tra il Ministra Carfagna e le associazione di riferimento di omosessuali e transessuali, o quelli precedenti con donne e minori, vittime di violenza e discriminazioni). Sempre all'indomani di questi incontri vi sono grandi affermazioni e grandi promesse. Da oggi in poi vedremo quali saranno gli interventi e le posizioni concrete. Bisogna uscire dall'ambiguità, dalle assicurazioni generiche di intervento e approvare questo testo, magari migliorandolo, ma occorre finalmente dare un segnale concreto.
D'altro canto, il diritto penale trova nella morale una delle più attive e potenti forze del suo dinamismo evolutivo. Da un lato, quindi, il diritto, via via, si spoglia di quei precetti, di quelle sanzioni che il progresso etico individuale e sociale rende inutili, non indispensabili al mantenimento della moralità dominante; dall'altro - e questo il caso dei comportamenti omofobici in genere e di quelli legati alla discriminazione sessuale - ne acquista di nuovi, che corrispondono alle nuove esigenze di civiltà che non possono essere trascurate o relegate in un limbo.
Inoltre, se è vero che non bisogna imitare con smania le legislazioni straniere, l'esame critico della legislazione comparata serve a rendere universali i fondamentali del diritto penale obiettivo, perché i denominatori comuni che uniscono le legislazioni straniere, in realtà, sono l'espressione formale di bisogni collettivi.
Mi rivolgo dunque ai colleghi con i quali ho condiviso dei momenti di discussione in Commissione, in particolare ai colleghi dell'UdC: se tutte le legislazioni straniere che abbiamo valutato (in particolare, la Francia, la Gran Bretagna, il Portogallo e il Belgio) si riferiscono alla circostanza aggravante per alcuni reati o delitti commessi in ragione dell'orientamento sessuale della vittima, una ragione ci sarà. Ci sarà un comune denominatore, Pag. 23ormai arrivato ad essere forza di coscienza collettiva, che impedisce di insinuare il dubbio che ci stiamo avventurando su un testo di legge in sé pericoloso o dannoso per le coscienze collettive.
In realtà, da un'analisi molto accurata che è stata effettuata e documentata in Commissione, risulta che l'esistenza di un'aggravante penale per motivi omofobici, e che fa propria questa nostra stessa espressione letterale, è riconosciuta da dieci Paesi membri.
D'altro canto, ritengo che il legislatore debba essere mosso possibilmente da principi di coerenza.
Allora, se valutiamo il pacchetto sicurezza (mi rivolgo in particolare al Governo) di recente approvazione, verifichiamo come la linea guida che ha ispirato una rilevante porzione degli interventi realizzati sul codice penale è quella di rafforzare la tutela offerta a categorie di soggetti cosiddetti deboli vittime del reato. Mi riferisco agli anziani, ai minori, attraverso le specifiche aggravanti contenute appunto nel pacchetto sicurezza. Un'aggravante che, tra l'altro, in qualche modo si avvicina proprio al nostro testo, è prevista proprio all'articolo 61, numero 11-ter del codice penale che dispone: l'aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all'interno e nelle adiacenze di istituti di istruzione e di formazione è punito più gravemente.
Per questi fatti è stata coniata un'aggravante perché si è ritenuto che occorresse dare - questo è l'obiettivo del legislatore - una tutela maggiore al minore nel momento in cui frequenta l'istituto scolastico.
Nonostante la genericità e la non univocità della formulazione normativa - credo che sia lapalissiano già dalla mera lettura della norma - nessuno si è posto il problema della determinatezza ai fini del rispetto dell'articolo 25 della Costituzione in quanto, a prescindere dal lato letterale che può sembrare sfumato e generico, in realtà è chiaro l'obiettivo del legislatore e la previsione normativa va letta dall'interprete alla luce della ratio che la informa.
In questo contesto, quindi, penso che siano necessari un ripensamento e una rilettura di quel parere della I Commissione che ha previsto quale condizione addirittura la definizione della nozione di «orientamento sessuale», allorché venga immessa per la prima volta nella legislazione penale.
In realtà, non è così: non solo quella nozione ha un significato univoco, che si ricava dalle fonti di diritto internazionale e comunitario, ma in realtà è già presenta da tempo nel nostro tessuto normativo. Vi è, infatti, una legislazione precisa (è stata emanata nel 2003) che riguarda proprio il divieto di indagini su opinioni e trattamenti discriminatori. Anche qui mi rivolgo ancora, con amicizia e stima, ai colleghi dell'Unione di Centro per un loro ripensamento: infatti, con il decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276, è fatto divieto ai datori di lavoro, alle agenzie di lavoro e a tutti soggetti pubblici e privati di effettuare qualsiasi indagine o comunque trattamento di dati o preselezione di lavoratori, anche con loro consenso, in base alle convinzioni personali, all'affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso e all'orientamento sessuale.
Questa precisa condotta di discriminazione nel trattamento dei dati e nell'avvio al lavoro è punita da una sanzione penale che è prevista dall'articolo 30 della legge in questione.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI. Concludo, signor Presidente. Non creiamo, anzi non ci facciamo - perché il termine creare può sembrare strumentale - dei falsi problemi. Cerchiamo di avere il coraggio di realizzare in maniera attuativa ed effettiva quel principio costituzionale che vieta le discriminazioni.
In realtà, questo nuovo testo, con tutte le evoluzioni sofferte di cui ha parlato la relatrice, che vi sono state in Commissione non introduce un nuovo reato di opinione, ma prevede un'aggravante penale in cui si dà rilievo soltanto a motivi discriminatori rispondenti al dettato costituzionale, a Pag. 24quell'articolo 3 della Costituzione che in sé ha la forza di orientare gli indirizzi del legislatore, di sostanziarne di contenuto interpretativo le clausole generali al fine di realizzare la promozione effettiva dei valori di uguaglianza all'interno della collettività (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, a me pare che stiamo discutendo un provvedimento di straordinaria importanza, perché iscrivere nel diritto italiano il reato di omofobia è davvero una svolta in termini di civiltà. Penso che non si possa considerare l'omofobia la manifestazione di una forma di pensiero: è di per sé una modalità e una modalità simbolica di ordinare gerarchicamente un controllo sociale, di una parte che decide di essere superiore all'altra al punto da poterla offendere, picchiare, umiliare e talvolta uccidere.
Mi pare, dunque, estranea tutta la tematica relativa ai reati di opinione, poiché mi sembra che sia ben altro rispetto ad un reato di opinione. Si tratta di operare la tutela delle persone che subiscono un pregiudizio antichissimo, anche se mi chiedo se sia solo la tutela di una minoranza indistinta e se non dobbiamo maggiormente cominciare a considerare persone, non categorie, persone che sono sottoposte ad una delle discriminazioni più odiose.
Siamo, di fatto, di fronte ad un paradosso, perché indubitabilmente sorgono le seguenti domande: «Ma lo Stato deve entrare nel campo degli orientamenti sessuali dei suoi cittadini? La legge deve parlare con i valori di una parte o deve essere una legge che parla con una pluralità di valori?»
Io credo che oggi trattiamo una questione di cittadinanza, quindi non una questione privata, ma una questione pubblica, sebbene sia paradossale anche questa affermazione, perché non possiamo che considerare tale questione nella sua transitorietà. Infatti, dovremmo tendere ad una società in cui la discriminazione in base ad orientamenti sessuali possa non esserci più. Però, è appunto una grave questione pubblica e non una questione privata.
Non si può, come succede nel diritto anglosassone o in alcuni atteggiamenti della cultura anglosassone, privatizzare la questione al punto da dire: «Se tu non mi chiedi, io non dico», c'è una manifestazione sociale. Non stiamo parlando di un soggetto debole, stiamo parlando di una discriminazione ed è una cosa molto diversa. Questo è il motivo per cui il Consiglio d'Europa può parlare di orientamento sessuale e può sanzionare l'omofobia. È per questo che è una cosa assai diversa dalla pur odiosissima violenza contro gli anziani.
Noi qui non stiamo parlando di un soggetto necessariamente debole, ma di un soggetto discriminato, che di per sé potrebbe anche essere socialmente forte, ma che non ha una cittadinanza tale e un diritto tale da poter avere non solo la contrattualità sociale, ma anche la possibilità di esistere liberamente.
Per quanto riguarda l'articolo 3 della Costituzione, penso che l'uguaglianza non sia violata: abbiamo approvato una legge contro la violenza sessuale e una contro la pedofilia e vorrei dire che il reato di pedofilia è assai diverso dal reato di omofobia; non vorrei che confondessimo, come si suol dire, le pere con le mele in questo caso. Infatti, lì certamente parliamo di un soggetto debole e assolutamente privo di qualunque capacità di contrattualità sociale e giuridica: parliamo dei bambini, di una situazione molto specifica, vi sono i trattamenti in carcere, ne abbiamo discusso a lungo.
È cosa diversa l'omofobia rispetto alla violenza contro le donne, irriducibile nella sua arcaicità e nella sua definitività.
Invece, noi qui stiamo parlando di un altro problema, che è quello dell'omofobia e di quello ad esso legato della tolleranza. Deve, però, essere chiaro che, se continuiamo a pensare che tanto tutto è uguale e che - dov'è il problema? - una violenza vale Pag. 25l'altra e tutte vanno sanzionate allo stesso modo, noi siamo su quella che si chiama tutela repressiva, cioè che né condanna né tutela, cioè all'indifferenza dello Stato.
Io penso che lo Stato non possa essere indifferente a questo problema, non solo per le cose che succedono, per gli avvenimenti e per gli accadimenti, ma anche perché penso che uno Stato abbia il dovere, nella sua legislazione, di far fare passi in avanti al diritto e al riconoscimento delle differenti modalità di esistenza dei suoi cittadini.
Allora, serve certamente la prevenzione, che va oltre la legge: servono azioni pedagogiche, culturali, serve un ruolo diverso della scuola, un ruolo diverso dell'informazione, altrimenti sappiamo bene che la norma è insufficiente.
Infatti, se vogliamo combattere l'omofobia, abbiamo bisogno di costruire un terreno, un humus, più fertile alla reciprocità del riconoscimento dell'altra persona e non abbiamo, certo, bisogno di incrementare la palude nella quale può crescere l'omofobia.
Oggi, siamo di fronte ad una combinazione certamente unica nella storia dell'umanità: una combinazione di orientamento sessuale, identità sociale e movimento politico. In questo senso, richiamo la parola-chiave «rispetto», inteso come riconoscimento dei diritti umani.
Per ragionare di diversità e di normalità, a Milano, nella mia città, si svolge una rassegna teatrale molto interessante, non a caso, presso l'ex manicomio «Paolo Pini», che si intitola «Da vicino nessuno è normale». Penso che il titolo sia abbastanza vero, perché ormai, l'omosessualità appare essere - nella modalità sociale che la disprezza - un'etichetta legata al peccato, alla malattia, alla stranezza, ad una sorta di sessuofobia.
Pertanto, credo che passare da un problema sociale ad un problema psicologico interessi il dibattito culturale di questo Paese. Sappiamo, infatti, che vi sono aspetti e motivi più che razionali, che vi è una portata aggressiva dell'omofobia e che dietro l'omofobia esiste una concezione del sé e della propria personalità, che tende ad una difesa di un'identità rassicurante. Al contrario, abbiamo bisogno di persone, di uomini e di donne liberi nei propri stili di vita e liberi nella responsabilità di condurre la propria esistenza e di progettarla insieme agli altri.
In conclusione del mio intervento, vorrei ringraziare, in modo particolare, non soltanto Paola Concia e le persone che hanno lavorato nella Commissione giustizia, come Donatella Ferranti, ma anche una persona esterna a questo Parlamento, il cui pensiero e i cui scritti hanno informato davvero il dibattito: il professor Lingiardi. Mi preme molto ringraziarlo per l'acume, la gentilezza e la capacità di porre problemi molto complicati in modo molto semplice. Un uomo, un professore, che ci ha aiutato - almeno, ha aiutato me - a capire davvero moltissime sfumature di un mondo che siamo abituati a considerare come altro da noi. Viviamo, infatti, in una condizione, che ricorda una sorta di monade, in cui ciascuno tiene ferma la propria identità e non cerca mai di guardare oltre.
Il professor Lingiardi, in un suo testo molto importante, cita un brano della poetessa Emily Dickinson, e dice: «Non c'è bisogno di essere una camera per essere infestati dai fantasmi». Ebbene, penso che il problema sia proprio questo: il fantasma è l'altro, il fantasma è la paura, il fantasma è il nostro lato oscuro. Ai fantasmi si risponde con il coraggio di una sfida di civiltà e di rispetto, che penso, tutti insieme, dovremmo lanciare con il provvedimento in discussione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallaro. Ne ha facoltà.

MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, dopo i numerosi ed autorevoli interventi dei colleghi che, per il mio gruppo, in particolare, ma anche per gli altri, hanno illustrato le finalità del provvedimento in oggetto, credo che spetti a me, nel tempo consentito, svolgere un'ulteriore breve riflessione di natura eminentemente politica. Pag. 26
Occorre preliminarmente far presente che è certamente una scelta sbagliata, tra le tante possibili, quella di cercare una visibilità ed un consenso personale o politico su un tema tanto complesso e delicato, come quello che oggi stiamo trattando in Aula.
Si tratta, infatti, di un tema che riguarda la sensibilità e la vita delle persone e di cui, a lungo, il Parlamento si è già occupato con approfondita serietà. Quindi, occorre sgombrare il campo da alcuni equivoci che, mi auguro, non artatamente, sono stati introdotti in questa materia.
È stato già dimostrato - ed è quindi superfluo discuterne - che la definizione di orientamento, con particolare riferimento all'orientamento sessuale, non è affatto estranea all'ordinamento comunitario, come testimoniano le stesse schede del nostro servizio studi. Addirittura, corrisponde alla finalità generale della lotta all'omofobia che questa definizione venga utilizzata formalmente in alcuni provvedimenti e in alcuni indirizzi di carattere legislativo.
Ma come è già stato ampiamente dimostrato - quindi non mi soffermo neanche su questo - tale definizione appartiene anche all'ordinamento interno, pertanto direi che il desiderio, il tentativo di ulteriori specificazioni non è sinceramente utile, anche perché, come è ovvio, in ogni attuazione pratica delle disposizioni penalistiche vi è poi uno spazio per l'interprete e per l'operatore, in quanto non rassegniamo le nostre norme all'autonoma giuridico che poi astrattamente le applica, ma le consegniamo sempre a una attività interpretativa.
Possiamo comunque affermare, in linea generale, che l'orientamento è proprio quella somma di dati esistenziali, fisici, umani e morali che afferisce alla persona; non a caso, si è costruita un'ipotesi di ulteriore aggravante, ai sensi dell'articolo 61 del codice penale, rispetto ad atti che violano la dignità e la fisicità della persona, quindi quel valore che lo Stato deve proteggere nel momento in cui esso è più debole. Per questo motivo, in tutte le condizioni in cui si rileva una oggettiva debolezza che dipenda da eventi naturalistici tipici delle aggravanti interviene lo Stato per porre una specifica e ulteriore sanzione e per dare un senso e un indirizzo a una prospettiva punitiva.
Come si vede, ci troviamo già all'interno del diritto penale e non facciamo affermazioni né di merito, né di evoluzione. Certamente, una parte cospicua dell'opinione pubblica può interpretare (direi persino utilmente) un provvedimento normativo di questa consistenza come un provvedimento che mostra attenzione e sensibilità, ma in realtà il punto fondamentale è che l'attenzione e la sensibilità vengono apprestate, così come accade in molte altre norme, per esempio in quelle contenute nel pacchetto sicurezza, a quella condizione di alterità o diversità che merita una protezione dello Stato.
Tra l'altro, in qualità di cristiano, mi permetterei di aggiungere che quella situazione merita comunque una comprensione e un aiuto, quindi in questo caso, semmai, una norma meramente negativa che consenta semplicemente di intervenire attraverso un segnale di punibilità rafforzata rispetto ai crimini che fossero commessi.
Sono state sollevate alcune ipotesi francamente pretestuose. L'ipotesi che, non si capisce per quale salto interpretativo, un'omelia che censuri delle condotte ritenute moralmente riprovevoli, possa diventare un delitto non colposo che possa essere punito attraverso questa norma, come oggi ipotizza un nostro collega in un quotidiano, mi sembra francamente fantasiosa.
Non riesco a comprendere come da questa aggravante e da questa introduzione possa essere tratto un salto logico di questa natura, poiché, lo ripeto, si tratta di prendere gli eventi e i fatti che sono il presupposto dell'applicazione dell'aggravante come fatto naturalistico, come fatto che accade e che, come è stato ricordato in quest'Aula, continua purtroppo ad accadere; vale a dire che certamente coloro che vogliamo punire - mi auguro, in questo caso, unanimemente e concordemente - sovente agiscono proprio con questa specifica finalità. Pag. 27
Riguardo all'esigenza di definire la finalità, credo di poter affermare che, anche in questo caso, la scienza penalistica ci soccorre in maniera adeguata. Infatti, altro è lo scopo tipico della norma, la punizione e la fattispecie astratta (che in questo caso non comprende l'aggravante, ma è quella di una condotta che deve avere una consistenza criminosa) e altro è stabilire che questa condotta venga finalizzata a una certa motivazione, perché appunto la finalità è tipicamente indagata nella sua concretezza quando il fatto viene esaminato da una corte giudicante.
Pertanto non è possibile definire altrimenti la finalità se non attraverso un'indagine della concreta dimostrazione che la condotta di un soggetto agente venga finalizzata a svolgere un certo tipo di azioni.
Mi pare del resto di poter dire anche a livello pratico che questo può ampiamente essere provato e documentato nel momento in cui, per le dichiarazioni o per le modalità in cui il fatto avviene o per la stessa consistenza del fatto, questo diventerà una finalità del reato. Quest'ultimo, lo ripeto, è diversamente atteggiato nella sua esistenza perché parliamo sempre di delitti non colposi e quindi tra l'altro contro la persona fisica, contro la morale e via dicendo, di conseguenza parliamo di reati già sicuramente molto gravi e in questa sede vogliamo dare un suggello ulteriore a questa indicazione.
Desidero concludere queste mie riflessioni proprio dicendo che viviamo in un momento e in una condizione della società italiana nella quale mi sembra purtroppo che non solo le questioni di genere, che addirittura sono complesse e difficili, ma persino le questioni di sesso sono, ogni volta che vengono enunciate nella scena pubblica, oggetto di grande difficoltà e di comportamenti che ci allontanano, bisogna pur ammetterlo, da una condizione di sviluppo e di dignità complessiva del nostro Paese.
Infatti non c'è dubbio che ad esempio vada espresso un apprezzamento serio per la sensibilità del Ministro Carfagna che ha dimostrato competenza e soprattutto impegno oltre che disponibilità nei confronti del Parlamento. Mi pare di poter dire che sarebbe pretestuoso ed assurdo sostenere che debba o possa essere fischiata perché di avvenente aspetto così come ritengo che altrettanto dobbiamo respingere l'ipotesi che si possa censurare una donna perché la si ritiene brutta o di cattivo aspetto.
Credo che dobbiamo cominciare a sgombrare il campo dai nostri comportamenti collettivi e da questa attività che fa deragliare la nostra condotta, il nostro stile, il nostro reciproco essere da quello che è il miglior modo per rapportarci con la società italiana. In quest'ultima dobbiamo insegnare che esistono gli esseri umani ed i diritti e dobbiamo insegnare a difendere i diritti e a tutelare le persone. Dobbiamo inoltre insegnare che esistono anche doveri, che questi sono uguali per tutti e che tutti i cittadini, come ci insegna la nostra Costituzione, secondo me scolpita, sono uguali senza alcuna distinzione.
Non è certo un caso che tra le altre distinzioni ormai introdotte nel nostro ordinamento, alle distinzioni tradizionali, quelle che parlano del sesso della razza o della religione, si aggiunga ormai correntemente anche la distinzione sull'orientamento sessuale, e perché no, anche sugli orientamenti culturali.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO CAVALLARO. Quindi ritengo che questa sia una norma puntuale e specifica che non fa altro che introdurre e garantire ulteriori diritti ed anche sancire doveri e per questo credo che vada approvata da questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, credo che oggi, come diceva già qualche collega che mi ha preceduto, siamo di fronte ad un bivio. Si può aprire una nuova pagina, una pagina importante, sulla questione dei diritti soprattutto perché si può individuare, Pag. 28attraverso l'approvazione di questa proposta di legge, un elemento di risposta vera e concreta ad una complessità che attiene alle nuove forme in cui si esplicitano e si esplicano i diritti.
Può succedere, però anche il contrario: si può invece decidere in modo opportunistico di chiudere questa pagina, di renderla non agibile per una questione di paura, perché ancora una volta la complessità che abbiamo di fronte determina più gli elementi di certezza, di tranquillità piuttosto che lo sforzo e la responsabilità di esplicitare e di leggere attentamente in quella complessità le nuove funzioni che spettano anche a chi si assume l'onere del Governo.
Questo scenario che abbiamo di fronte è talmente vero che credo sia del tutto evidente come la discussione che stiamo affrontando afferisca non semplicemente ad un elemento che adegua una parte della legge cosiddetta Mancino, ma mette in moto un meccanismo esattamente corrispondente a ciò che si è verificato con la nascita del Parlamento europeo. Mi riferisco alla fine degli Stati nazionali, alla fine della loro supremazia di dare risposte solo nell'ambito nazionale, mentre si inseriscono tutti gli aspetti dei diritti e soprattutto questa nuova idea della cittadinanza facendoci confrontare con un mondo che va al di là degli Stati nazionali.
Non è un caso che questo testo e gran parte degli interventi che le colleghe e i colleghi hanno svolto si richiamino ad alcune direttive e proposte del Parlamento europeo. La questione della lotta all'omofobia era affrontata addirittura nella parte finale del Trattato di Lisbona in corso di approvazione che conteneva l'invito agli Stati nazionali non solo a fare una lotta contro l'omofobia, ma ad individuare nelle proprie leggi nazionali tutte le forme affinché venisse predisposto un nuovo quadro normativo rivolto a tale obiettivo.
È esattamente quanto il testo di legge che ci viene presentato oggi in Aula ha avuto l'ambizione, ma anche il senso della responsabilità, di affrontare in questo modo. Credo vada dato atto alla relatrice Paola Concia e al lavoro della Commissione giustizia di aver fatto uno sforzo, che è lo sforzo tipico di chi in una simile complessità non vuole mettere su una bandierina, ma intende costruire sul serio le condizioni per un'approvazione ed aprire una stagione completamente diversa.
Siamo in un terreno sul quale troppo spesso, nella incertezza del diritto, avvengono le forme più discriminanti ed anche più odiose, quelle che danno semplicemente la sensazione di un Paese che, non riconoscendone l'elemento del diritto, guarda quei fatti semplicemente e se ne accorge quando vengono prodotti in chiave di violenze e di omicidi.
Credo sia proprio questo il tema che abbiamo di fronte. So che anche i colleghi dell'opposizione hanno atteggiamenti diversi ed hanno annunciato una pregiudiziale di costituzionalità sulla base di una serie di elementi; essi sono tutti legittimi, ma credo che debbano rispondere esattamente a quello che oggi il diritto, soprattutto penale, ci chiede.
Lo voglio ricordare a me stessa e ai colleghi: siamo di fronte, con un'aggravante maggiore, esattamente allo stesso argomento che abbiamo avuto durante la vicenda dello stalking, quando si pensava che affrontare questioni completamente nuove mettesse in discussione la tranquillità del codice penale.
Il codice penale, lo ricordava con un'espressione molto significativa la collega Donatella Ferranti, ha una sua evoluzione ed è tanto più vero e tanto più cogente quando fa i conti con quanto si manifesta nella realtà vera. Se non assumessimo quanto viene fuori dalla realtà e al diritto si chiedesse di trovare la forza non solo di sanzionare, ma anche evidentemente di reprimere, quel diritto sarebbe semplicemente un insieme di norme che valgono una volta date per sempre. Non è così, non è nella concezione giuridica dello stesso diritto.
Il diritto, soprattutto penale, ha risentito nel corso degli anni di questa sua capacità di evoluzione e di adattamento alle condizioni che si determinano al di fuori. Al diritto penale oggi cosa stiamo chiedendo? Chiediamo semplicemente di Pag. 29assumere l'aggravante rispetto alla questione dell'omofobia sulla base di quello che è l'orientamento sessuale.
La I Commissione ha espresso un parere, lo ha fatto apponendo una condizione, ma attenzione a fare di quel parere un dato strumentale di battaglia politica. Si dica con chiarezza se si è d'accordo o meno, perché altrimenti vi è anche il rischio di entrare in una discussione sulla nozione esatta di orientamento sessuale, quando è dimostrabile (sul terreno della legislazione del lavoro) che si tratta di un'espressione usata e lo stesso Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti dell'uomo cambiano la parola tendenza sessuale con la parola orientamento sessuale. È del tutto evidente che in tale nozione c'è la storia, ossia il profilo di che cosa si debba intendere.
Forse si vuole assumere un atteggiamento per una paura recondita, che è tipica della società italiana, ossia quella di avere un po' di timore (e a volte anche l'insofferenza) di riconoscere che c'è qualcosa che non si può definire normale e che nella questione che riguarda gli orientamenti sessuali non esiste una normalità data per sempre. Non si riconosce una diversità perché se ne ha paura.
Guai se il legislatore si facesse prendere da queste paure: verrebbe meno al suo ruolo, alla sua funzione e non darebbe risposta ad una comunità, che oggi ha forza sociale e chiede semplicemente che l'idea della sua diversità non solo non venga usata in termini di discriminazione, ma diventi addirittura un'aggravante quando si compiono atti di violenza inaudita.
So che dentro questa discussione avremo momenti anche di conflitto, di orientamenti diversi, ma su questo l'appello che va fatto è che l'insieme di questa questione venga vissuto con grande serietà e grande serenità, perché non riconoscere quello che oggi c'è in Europa, nel mondo e in Italia sarebbe un atto di assoluta irresponsabilità politica; continueremmo con questa sorta di conformismo per cui dopo un delitto si piange, tutti sono pronti a dire che è grave e che il tema va affrontato, ma poi non si ha il coraggio, quando si offre una possibilità di soluzione di questo tipo, di assumerne sul serio l'orientamento.
Credo che i colleghi sono entrati molto nel merito, alcune questioni sono già state dette, avremo la forza e la capacità di intervenire nel corso del dibattito su questa proposta di legge. Al Ministro Carfagna voglio dire che abbiamo dimostrato che su alcune grandi battaglie di civiltà è possibile fare sinergia per dare una risposta concreta, penso soprattutto a quando abbiamo acceduto all'idea dello stralcio sulla violenza sulle donne nel pacchetto sicurezza: non era solo sul dato dell'emergenza, ma era sul serio dare una risposta seria e concreta in quel momento. Chiedo lo stesso impegno, la stessa coerenza per una questione che oggi è in campo in tutta la sua drammaticità e a cui non può essere data semplicemente una risposta di comodo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, colleghi, signora relatrice, signor Ministro, faccio innanzitutto alcune premesse necessarie che danno una risposta, mi auguro, chiara alla domanda formulata qualche minuto fa dalla collega Amici. Nella discussione che stiamo per fare non c'è nulla di strumentale, credo che anche la relatrice abbia riconosciuto che in tutti i lavori della Commissione c'è stata una proficua collaborazione per arrivare ad un testo condiviso. Non è un caso, infatti, che in questa legislatura riesca ad arrivare in Aula una proposta di legge che in altre legislature si era arenata. Per andare avanti nelle premesse, condivido assolutamente l'impostazione che ha dato prima la collega De Biase, in questo è ben diversa la situazione che stiamo affrontando da quella che prima i colleghi dell'Unione di Centro definivano come una violazione del principio di uguaglianza verso altre categorie: un conto è essere anziani, un conto è essere minori, un conto è essere disabili, che significa una diversità in senso di minorata Pag. 30difesa; altro conto è essere diversi in altro senso, ma un senso che non interessa alla pubblica opinione perché è relativo esclusivamente ad una circostanza privata del soggetto.
Pertanto condividiamo in pieno la finalità di una legge che debba in qualche modo tutelare esclusivamente la dignità e mi permetterei di dire soprattutto la libertà della persona di espressione nella sua vita più privata e che maggiormente deve essere difesa da quello che può essere un comune giudizio pubblico: non è questo il punto.
Arriviamo al punto invece che invece può interessare in termini più prettamente giuridici. Si tratta dei punti rilevati dalla Commissione Affari costituzionali e sui quali chiedere ai colleghi di riflettere insieme, perché proprio quando si tocca la parte generale del codice penale, soprattutto per le circostanze generali, bisogna essere particolarmente attenti. La prima delle condizioni previste dal parere della I Commissione è una definizione di orientamento sessuale. Ho ascoltato molti colleghi che si sono succeduti e che hanno fatto riferimento a normative comunitarie, ad altre normative. Mi chiedo: è abbastanza? È sufficiente?
Mi consento e vi rivolgo una domanda che, però, deve essere, mi auguro, recepita senza alcuna possibilità di equivoco e di ambiguità: se dopo che ha scontato la sua pena un pedofilo viene picchiato, lo ripeto, dopo che ha scontato la sua pena, tale caso rientra nell'aggravante? Anche in tale ipotesi, infatti, stiamo parlando di orientamento sessuale, sebbene quello costituisca reato. Quindi, lo ripeto, non voglio fare in alcun caso un accostamento di situazioni, sto chiedendo esclusivamente se in quel caso, quello che può essere definito un orientamento sessuale, dopo che si è scontata una pena e dopo che il fatto ha costituito reato, possa rientrare in tale concetto? La domanda è plausibile visto che l'interpretazione del concetto è data esclusivamente da quella che sarà l'interpretazione dei giudici, visto che il Parlamento utilizza un'espressione generale senza specificare diversamente. Se si prevedesse il termine «omofobico» non solleverei alcun tipo di problema.
Inoltre, se consideriamo la dizione stessa della norma, così come è formulata, possiamo dire che c'è stata una svista da parte della Commissione giustizia, perché abbiamo un riferimento alla parola «orientamento» e alla parola «discriminazione» accompagnata dal termine «sessuale» al singolare, quindi leggendo la norma in sé avremmo una finalità nei confronti dell'orientamento. In lingua italiana non abbiamo, però, un orientamento sessuale specificato e questo può essere considerato un errore da correggere in sede di esame dell'Assemblea.
Aggiungo un'ulteriore perplessità. Quando nell'ambito di diritto penale viene utilizzato il termine «finalità» generalmente lo si fa in altro senso: finalità è, ad esempio, raggiungere l'altrui profitto; qui, invece, stiamo parlando di un'altra cosa, di una motivazione che sta alla base di una condotta che già di per sé costituisce reato e che viene aggravata non perché l'artefice della condotta non sappia e solo per una maggiore tutela nei confronti del soggetto che è vittima, ma proprio in ragione di quel comportamento, di quell'essere. Quindi, probabilmente più che di «finalità» dovremmo parlare di «motivazione determinata da», di una «situazione determinata da» o «in funzione dell'essere...».
Mi auguro che questa discussione venga assunta nella sua reale consistenza semplicemente di preoccupazione. Le scelte per l'Assemblea, che sarà libera di adottare quella che riterrà migliore, possono essere due: andare avanti in Aula per l'esame degli emendamenti, con ciò però rischiando quello che generalmente accade quando vi sono delle discussioni che necessariamente affrontano un tema giuridico in maniera più decisa o, vista la generale disponibilità di tutti i gruppi a riformulare questa norma, ritornare in Commissione affinché in tempi rapidi possa venire posto rilievo a quelli che, pur potendo essere considerati dubbi eccessivi, sempre dubbi sono. Pag. 31
Concludendo, proprio per fugare qualsiasi sospetto di strumentalità, aggiungo che a mio avviso la sconfitta non è tanto quella di non riuscire a fare una legge, ma la sconfitta di una società è esattamente quella di dover fare una legge, cioè il fatto che stiamo legiferando perché c'è una recrudescenza di situazioni che sembravano in qualche modo definite e che, invece, ritornano di attualità. Questa è la sconfitta della società: il Parlamento insegue per dare un disvalore a qualcosa che il disvalore ha già in sé.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1658-1882-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Concia.

ANNA PAOLA CONCIA, Relatore. Signor Presidente, volevo ringraziare il Ministro per essere qui, perché non l'avevo ringraziata prima, e tutti i colleghi intervenuti. Mi dispiace, tuttavia, che oggi al dibattito non abbiano partecipato i miei colleghi della Commissione giustizia, in quanto si è trattato di un dibattito importante. Era la prima volta che il tema dell'omofobia e della transfobia giungeva in Aula a Montecitorio ed è stato un dibattito interessante, con molti spunti importanti. Mi dispiace, quindi, che i miei colleghi della Lega e del PdL, che hanno lavorato con tutti noi in quest'anno in Commissione giustizia, non abbiano partecipato a questa importante discussione. Mi auguro che nei giorni successivi si possa superare questo problema.
Volevo dire brevemente una parola definitiva su cosa si intende per orientamento sessuale, e ribadirlo per correttezza, anche perché volevo ricordare all'onorevole Santelli che l'espressione «orientamento sessuale» è contenuta nel decreto legislativo n. 276 del 2003, come abbiamo ricordato io e l'onorevole Ferrante. Quindi, l'espressione «orientamento sessuale» si trova non solo nella legislazione comunitaria, ma anche in una legge penale dello Stato italiano. Voglio dire con grande pacatezza, ma anche in modo definitivo in quest'Aula, che di orientamenti sessuali ce ne sono solamente due nel genere umano: l'orientamento sessuale omosessuale e quello eterosessuale. Per orientamento sessuale, quindi, si intendono assolutamente, solo ed esclusivamente queste due cose. Le altre cose - lo dico pacatamente, perché quelle altre cose non solo creano confusione ma sono anche offensive per la dignità umana - ritengo che debbano stare fuori da questo dibattito.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MARIA ROSARIA CARFAGNA, Ministro per le pari opportunità. Signor Presidente, vorrei ringraziare l'onorevole Concia per il lavoro svolto con grande sensibilità e competenza nel portare avanti, da relatrice, questo testo di legge di cui è iniziata la discussione quest'oggi in Aula. Ho ascoltato con grande interesse tutti i colleghi intervenuti e, se possibile, sono ancora più convinta della necessità di introdurre nel nostro ordinamento una norma che preveda un'aggravante qualora un atto di violenza sia commesso con finalità di discriminazione. Credo che tutte le discriminazioni vadano contrastate, a partire da una norma che preveda un'aggravante nel caso in cui l'unico movente sia stato proprio quello di discriminare un individuo in ragione del suo orientamento sessuale, ma io aggiungerei anche in ragione dell'età, del sesso, dell'etnia o della religione. Sono questi i fattori discriminanti che il Trattato di Lisbona prevede all'articolo 19, alcuni dei quali sono già stati recepiti dal nostro ordinamento che prevede delle aggravanti nel caso in cui, ad esempio, i reati siano stati commessi per finalità di discriminazione a causa della razza o dell'origine etnica o della religione della vittima di violenza (mi riferisco alla cosiddetta legge Mancino).
Credo che nel momento stesso in cui il Parlamento si appresta a varare una normativa Pag. 32che ha come obiettivo quello di contrastare le discriminazioni, forse sia il caso che si predisponga una normativa più ampia in tema di aggravanti per reati commessi per finalità di discriminazione, recependo quanto stabilito dal Trattato di Lisbona all'articolo 19. Credo che la via maestra debba essere quella indicata dal Trattato di Lisbona, e forse varrebbe la pena prevedere e aggiungere in questo testo quei fattori normati dal Trattato di Lisbona e non previsti dal nostro ordinamento come circostanza aggravante.
Questo lo dico perché, ascoltando la discussione sulle linee generali che si è appena conclusa, prendendo atto di alcuni distinguo, che sono stati fatti da alcuni gruppi parlamentari, ho paura che una norma importante di civiltà come questa rischi di non passare. Allora, forse, facendo riferimento al Trattato di Lisbona, credo sia difficile per questo Parlamento, che ha già votato per la ratifica del Trattato di Lisbona, non recepire quanto questo Trattato ha previsto in riferimento alle azioni che i Governi che hanno ratificato il Trattato stesso devono predisporre per contrastare le discriminazioni, sulla base dei fattori discriminanti cui ho fatto riferimento prima.
Quindi, credo, e l'ho anche riferito al presidente della Commissione giustizia, l'onorevole Giulia Bongiorno, in una lettera che le ho inviato oggi, che sia opportuno un ritorno in Commissione per approfondire il testo presentato dall'onorevole Concia, alla luce di questa riflessione, che invito a fare, sull'allargamento a quei fattori discriminanti che ancora non abbiamo previsto come possibili aggravanti.
Concludo con un'ulteriore riflessione, perché, nel momento stesso in cui ci apprestiamo a varare questa normativa per contrastare le discriminazioni, mi chiedo se sia opportuno escludere quelle persone che più di ogni altre sono esposte a discriminazioni e a violenze per il loro essere più visibilmente esposte ad atti di violenza e di discriminazione: mi riferisco ai transessuali. Credo che i transessuali, più di ogni altra categoria, siano esposti ad atti di violenza e che una riflessione vada fatta sullo strumento normativo da utilizzare e da confezionare per prevedere una tutela normativa per queste persone, che - lo ripeto - proprio in virtù del loro essere più visibili e più esposti sono soggetti più degli omosessuali ad atti di offesa, di insulto e di discriminazione.

(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 1658-1882-A)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Vietti ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 1658-1882-A).

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge costituzionale: Donadi ed altri: Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province (1990); e delle abbinate proposte di legge: Casini ed altri; Pisicchio (1989-2264) (ore 17,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale d'iniziativa dei deputati Donadi ed altri: Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati Casini ed altri; Pisicchio.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1990)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Pag. 33
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Unione di Centro, Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Bruno, ha facoltà di svolgere la relazione.

DONATO BRUNO, Relatore. Signor Presidente, la proposta di legge costituzionale che giunge oggi all'attenzione dell'Assemblea, a prima firma del presidente Donadi e sottoscritta da tutti i deputati del gruppo dell'Italia dei Valori, tende ad abolire l'ente provincia, modificando in tal senso la Costituzione. Sulla proposta di legge la Commissione affari costituzionali, all'esito dell'esame in sede referente, mi ha conferito il mandato a riferire in senso contrario, per le ragioni che esporrò tra poco, dopo avere illustrato il contenuto della proposta di legge. Questa si compone di nove articoli: i primi sei sopprimono il riferimento alle province in tutti gli articoli della Costituzione in cui esso è presente, a cominciare dall'articolo 114, in base al quale la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato. In particolare, gli articoli da 1 a 6 intervengono sugli articoli 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e sulla rubrica del Titolo V della Parte seconda.
L'articolo 7, poi, abroga il secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione, che disciplina il distacco non solo delle province, ma anche dei comuni, da una regione e la loro aggregazione ad altra regione. Il comma prevede, infatti, che si possa, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della provincia o delle province interessate e del comune o dei comuni interessati, espressa mediante referendum, e con legge della Repubblica, sentiti i consigli regionali, consentire che province e comuni che ne facciano richiesta siano staccati da una regione e aggregati ad un'altra. Al riguardo è forse opportuno ricordare che sulla modifica del secondo comma dell'articolo 132 della Costituzione la Commissione affari costituzionali sta riflettendo anche nell'ambito dell'esame di un distinto provvedimento, la proposta di legge costituzionale n. 1221.
Tornando alla proposta di legge oggi in discussione, l'articolo 8 abroga il primo comma dell'articolo 133, che disciplina il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province e prevede, in particolare, che il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province nell'ambito di una regione sono stabiliti con legge della Repubblica su iniziativa dei comuni, sentita la stessa regione.
L'articolo 9, infine, prevede che, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale, si provvede, con legge dello Stato, a regolare il passaggio delle funzioni delle province alle regioni e ai comuni, nonché quello dei beni di proprietà e del personale dipendente delle province medesime ai citati enti.
L'iscrizione della proposta legge n. 1990 all'ordine del giorno della Commissione affari costituzionali non è avvenuta su autonoma iniziativa di quest'ultima, bensì a seguito dell'inserimento della proposta di legge stessa prima nel programma e poi nel calendario dei lavori dell'Assemblea per il mese di giugno; questo su richiesta del gruppo dell'Italia dei Valori nell'ambito della quota di provvedimenti riservati ai gruppi di opposizione ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del Regolamento.
Alla proposta di legge sono state abbinate in Commissione, fin dall'inizio e via via che venivano assegnate, le altre proposte di legge costituzionale vertenti su identica materia. Si tratta, in particolare, delle proposte di legge Nucara n. 1694, Scandroglio n. 1836, Casini n. 1989, Versace n. 2010 e Pisicchio n. 2264.
Dalla discussione di carattere generale in Commissione e fin da subito è emerso che, pur nella diversità delle motivazioni e delle sfumature di posizioni interne ai singoli gruppi, la maggior parte degli altri Pag. 34gruppi non condivideva la scelta dell'Italia dei Valori di chiedere in questa fase la calendarizzazione in Aula del provvedimento. In particolare, è emerso che, oltre al gruppo dell'Italia dei Valori, soltanto il gruppo dell'Unione di Centro era favorevole a portare il provvedimento all'attenzione dell'Assemblea in questo momento.
Gli altri gruppi, con l'eccezione del gruppo Misto, che non ha partecipato ai lavori, ritenevano e ritengono tuttora prioritaria una riflessione sul sistema complessivo delle autonomie territoriali che permetta di verificare la possibilità di perseguire due obiettivi sottesi alla proposta di soppressione delle province: ridurre i costi della politica e semplificare e razionalizzare il sistema istituzionale dei livelli di governo attraverso un intervento legislativo ordinario di riforma dell'ordinamento degli enti locali.
In particolare, nel corso del dibattito, è emerso che da parte dei gruppi che ritengono prioritaria una riflessione sul sistema delle autonomie si ritiene necessario intervenire innanzitutto sugli innumerevoli enti minori non previsti dalla Costituzione ma proliferati negli anni accanto agli enti locali in modo caotico, in alcuni casi poco trasparente (ad esempio, le società a prevalente o totale partecipazione pubblica, le comunità montane, i difensori civici, le circoscrizioni di decentramento comunale, i consorzi e bacini imbriferi montani, gli ATO sui rifiuti e sull'acqua, i consorzi di bonifica e gli altri enti consimili).
Il gruppo del Popolo della Libertà, in particolare, non ha escluso che al termine della riflessione sul sistema delle autonomie territoriali si possa optare anche per un intervento di revisione costituzionale, non necessariamente nel senso della soppressione delle province.
I gruppi contrari a portare avanti il provvedimento in questo momento, Popolo della Libertà, Partito Democratico e Lega Nord Padania, si sono trovati d'accordo sul fatto che l'occasione per avviare questa riflessione debba essere l'esame del disegno di legge ordinario recante il cosiddetto codice delle autonomie, del quale il Governo ha preannunziato la presentazione al Parlamento.
Nonostante la chiara volontà contraria della gran parte dei gruppi in Commissione a portare fin da subito il tema della soppressione delle province all'attenzione dell'Assemblea, la Commissione ha condotto un'istruttoria approfondita della materia. Si è svolto un ampio dibattito, articolato in numerose sedute, al quale sono intervenuti numerosi deputati; si è svolta anche un'indagine conoscitiva nel corso della quale sono stati auditi rappresentanti dell'UPI, dell'ANCI e della Lega delle autonomie locali, nonché sei docenti universitari esperti della materia. È stato inoltre audito, su sua richiesta, il Coordinamento nazionale nuove province, organismo che promuove l'istituzione di alcune nuove province, e la Conferenza delle Regioni, invitata all'audizione, non ha inviato propri rappresentanti.
Dall'indagine conoscitiva in particolare è emerso che UPI, ANCI e Lega delle autonomie locali sono contrari alla soppressione delle province. Questo era naturalmente prevedibile, ma sono comunque interessanti gli spunti di riflessione portati dai tre enti al dibattito. Si è sottolineato che i territori hanno bisogno di governi di ambito sovracomunale, ma più circoscritto di quello regionale. A riprova è stato fatto osservare a questo punto - è stato sottolineato anche da alcuni professori universitari - che l'esperienza dei grandi Paesi a struttura federale è di avere un livello di governo intermedio tra il livello comunale, che è un livello di amministrazione ed erogazione dei servizi, e quello regionale, che dovrebbe essere un livello non di amministrazione ma di alta programmazione e di legiferazione. Si è riconosciuta la necessità di una razionalizzazione del sistema e di una riduzione dei costi della politica, ma si è fatto presente che questi obiettivi sarebbero meglio perseguiti attraverso un riordino dei vari enti non elettivi generati dagli enti locali negli anni, nonché attraverso un intervento di soppressione selettiva di alcune province particolarmente piccole. In Pag. 35merito alla spesa, è stato evidenziato che le province incidono sulla spesa pubblica per appena il 2 per cento, e che in caso di soppressione i costi del personale non verrebbero comunque eliminati perché il personale transiterebbe nei ruoli degli enti che erediterebbero le funzioni tolte alle province.
Quanto agli esperti della materia, le loro posizioni sono state diverse. Alcuni (De Martin) ritengono che le province siano un elemento ineludibile dell'architettura della Repubblica delle autonomie e che, alla luce della riforma del Titolo V, siano essenziali proprio in vista della semplificazione del quadro istituzionale e della riduzione dei suoi costi. Altri (Groppi) viceversa ritengono che le province siano un retaggio del passato, di origine estranea alla tradizione italiana, e comunque non più in linea con l'architettura costituzionale. I più (Frosini, Loiodice, Pajno, Zanon) hanno espresso posizioni più sfumate, insistendo comunque sulla necessità di una riflessione più ampia sul sistema delle autonomie, anche in vista dell'eventuale soppressione delle province e della riassegnazione delle loro funzioni ad altri enti.
Merita accennare ad un tema cui hanno fatto riferimento in particolare i professori Frosini e Zanon, quello della possibile trasformazione delle province in enti di secondo grado, ossia non più eletti direttamente dai cittadini ma espressione dei comuni. Si tratta di un'ipotesi che è emersa anche nei dibattiti in Commissione, prospettata dall'onorevole Vassallo, il quale ha anche presentato una proposta di legge costituzionale in tal senso, la n. 2579. Un'altra proposta di legge costituzionale che si prefigge la trasformazione delle province in enti di secondo grado è la proposta Vietti n. 2761: si tratta di una proposta interessante, sulla quale non è escluso che si possa ritornare alla luce di una riflessione più matura su questi temi.
All'esito del dibattito di carattere generale in Commissione, riepilogando, in qualità di relatore di orientamenti emersi ho fatto presente che non sussistevano le condizioni politiche perché in questo momento la Commissione riferisse all'Aula favorevolmente sulla soppressione delle province. Poiché tuttavia il gruppo dell'Italia dei Valori aveva mantenuto ferma la richiesta di caratterizzazione del provvedimento in Aula, e la Commissione era pertanto chiamata a concludere i propri lavori in tempo utile per consentire all'Assemblea di iniziare la discussione oggi, ho ritenuto come presidente della Commissione di dover procedere, ai sensi di quanto previsto dalla lettera del Presidente della Camera ai presidenti delle Commissioni permanenti del 10 febbraio 2000.
Su richiesta del gruppo dell'Italia dei Valori la proposta di legge costituzionale n. 1990 è stata pertanto disabbinata dalle altre e adottata come testo base per il seguito dell'esame. Sono stati parimenti disabbinati su richiesta dei presentatori sia la proposta di legge costituzionale del gruppo dell'Unione di Centro, dell'onorevole Casini, sia quella dell'onorevole Pisicchio, che pertanto giungono anch'esse in Aula oggi come proposte abbinate a quella del gruppo dell'Italia dei Valori.
Gli emendamenti presentati al testo base in sede di Commissione tendevano per lo più alla soppressione dell'articolato. Come relatore ho ritenuto di invitare i presentatori a ritirare gli emendamenti per ripresentarli in Assemblea. L'invito è stato accolto e il testo della proposta di legge A.C. 1990 è stato quindi trasmesso alle Commissioni competenti in sede consultiva. Di queste, soltanto la Commissione parlamentare per le questioni regionali si è pronunziata esprimendo parere contrario. Nella seduta di giovedì scorso la Commissione affari costituzionali mi ha quindi conferito il mandato a riferire in senso contrario sul testo che giunge oggi in Aula.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ALDO BRANCHER, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stracquadanio. Ne ha facoltà.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, volevo innanzitutto ringraziare il relatore, ovvero il presidente Bruno, per la completezza e la compiutezza dalla sua relazione, che ha riassunto in pochi minuti un ragionamento che in sede di Commissione è durato parecchie settimane e sul quale abbiamo lavorato intensamente. Ciò mi evita pertanto di dover fare premesse di qualunque tipo.
Sono un abolizionista delle province e la mia convinzione è che abbia un senso abolirle per numerose ragioni di efficienza democratica e organizzativa dello Stato, nonché di semplificazione dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione. Penso, però, che il testo che ci troviamo di fronte non abbia nulla a che vedere con la soppressione delle province, perché l'articolato alla nostra attenzione si limita a cancellare con puntualità la tematica e la parola «provincia» ogni volta che esse appaiono nella Costituzione, compiendo un'operazione di decostituzionalizzazione e rinviando ad una legge dello Stato la riattribuzione di funzioni, compiti, personale e patrimoni entro un anno dall'entrata in vigore della legge costituzionale.
I colleghi che hanno operato su questo provvedimento, a mio avviso, lo hanno elaborato secondo una logica che è esattamente rovesciata rispetto a quella che dovremmo seguire se vogliamo occuparci di questioni così delicate come la ristrutturazione e la riorganizzazione dei nostri enti locali. Tale logica assomiglia molto a quella che ha guidato la malcerta riformulazione del Titolo V della Costituzione, che non ha dato certo - questo direi sia una convinzione unanime - più efficienza e più sovranità al cittadino, secondo il principio di sussidiarietà, ma ha creato una montagna di contenzioso costituzionale tra regioni e Stato, prevedendo cose bizzarre come il fatto che l'energia è funzione regionale e non argomento su cui le politiche nazionali possano incidere. Tanto è vero ciò che dobbiamo procedere, per emanare leggi in campo energetico - che rappresenta ormai un problema addirittura sovranazionale - attraverso pronunce della Corte costituzionale che hanno ridotto l'impatto di quel Titolo V.
Un vero abolizionista delle province lo fa per una ragione molto semplice: se è vero che c'è un costo e un gravame aggiuntivo di efficienza pari a 16 miliardi di euro, è perché non esiste un disegno ordinato di organizzazione e ristrutturazione dei servizi a rete sovracomunali. Questo è il punto chiave. Ho in mente uno studio molto approfondito di questo problema, preparato e distribuito a tutti i deputati dall'Istituto Bruno Leoni e curato da Silvio Boccalatte, che spiega con molta dovizia di dati, grafici e tabelle perché l'abolizione delle province, e non la loro semplice decostituzionalizzazione, consentirebbe, modificando le competenze e riattribuendole in maniera ordinata secondo una logica di efficienza, un risparmio per la finanza pubblica pari a 16 miliardi di euro.
La proposta di legge in discussione fa esattamente il contrario: si dimentica di indicare la direzione verso cui dobbiamo andare e - per ragioni credo, a questo punto, di pura propaganda - agita il tema senza affrontarlo né risolverlo. Mi sarei atteso che dopo la riflessione che abbiamo svolto in Commissione anche i colleghi dell'Italia dei Valori si fossero convinti a darci argomenti che non fossero quelli della mera propaganda, per sostenere questa loro proposta di legge, e così anche gli altri colleghi dei gruppi di opposizione, i quali, invece, sono presenti in tutti i collegi provinciali, fanno campagne dove sostengono a livello locale la fondamentale funzione della provincia, quando essi devono candidarsi, ma non ci hanno fornito un elemento di valutazione, un criterio o una guida entro cui collocare il tema dell'abolizione delle province. Non è un tema nominalistico, così come viene trattato nella proposta di legge, ma è un profondo tema di riordinamento e di riorganizzazione del «chi fa cosa», che poi costituisce il tema fondamentale che abbiamo trattato nel formulare la legge sul federalismo fiscale. Pag. 37
Signor Presidente, non possiamo procedere con schizofrenia istituzionale e politica affrontando i temi uno per uno, come se fossero le partite de Il processo del lunedì, perché anche le partite che discutiamo a Il processo del lunedì hanno un filo conduttore che si chiama campionato, al termine del quale qualcuno arriva primo, qualcuno arriva in fondo e qualcuno cambia girone in cui giocare.
Invece, su questi temi fondamentali stiamo procedendo creando un vestito di Arlecchino di norme o di contronorme che, qualora paradossalmente questa proposta di legge fosse approvata, creerebbe maggiori gravami e costi per il contribuente di quanto non accadrebbe se la stessa non fosse approvata.
Qualcuno dovrebbe infatti spiegarci come si riorganizzano tutti gli enti intermedi che fanno capo alle province ed in cui esistono espressioni della provincia e come opererebbero quotidianamente tutte le strutture che offrono i servizi a rete da qui alla legge costituzionale di riattribuzione delle competenze. Infine, se la dimensione che dico - 16 miliardi di euro - è vera, essa non può essere generata semplicemente dai gettoni di presenza o dai costi istituzionali di presidenti, giunte e consiglieri provinciali.
Signor Presidente, allora, o parliamo di cose serie e facciamo una seria legislazione in ordine al problema principale del nostro Paese, quello cioè di ridurre in modo efficace ed efficiente la spesa pubblica, offrendo ai cittadini servizi che siano svolti come essi li richiedono ed in base alle tasse che vengono pagate, oppure facciamo cattiva propaganda e pessima demagogia.
È per questo che ho sottoscritto - non so se l'abbiamo già depositata o siamo in procinto di farlo - una questione sospensiva che cerchi almeno di far riflettere il Parlamento sul fatto che questo modo di legiferare non serve altro che a creare confusione, a ingenerare maggiore spesa pubblica e - mi consenta la parola - a prendere in giro i cittadini che si sono espressi in modo molto chiaro ed hanno chiesto in gran numero l'abolizione delle province non per non leggere più la parola «provincia» nella Costituzione, ma per pagare meno tasse: questo era e rimane il nostro obiettivo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, vorrei dare atto al relatore nonché presidente della Commissione affari costituzionali del suo impegno e della sua tenacia, che è stata variamente valutata anche nel corso dei lavori della Commissione stessa.
Vorrei dire al collega Stracquadanio che dobbiamo cercare di essere aderenti alla realtà di come si sono svolti i lavori della Commissione. Siamo partiti con una serie di proposte di legge, tra cui anche alcune del Popolo della Libertà e del Partito Democratico, e il nostro impegno parlamentare è iniziato con la volontà di sopprimere le province. Oggi abbiamo alla nostra attenzione il testo Donadi - lo ha spiegato con estrema correttezza il presidente Bruno - al quale noi abbiamo aderito (anche se abbiamo mantenuto la nostra proposta e la proposta di legge Donadi è il testo base), e vi sarebbe stato tutto il tempo per operare una rivalutazione ed apportare un contributo molto ampio, visto e considerato che nella campagna elettorale sia il PdL che il PD avevano dichiarato con forza l'esigenza di sopprimere le province.
Si diceva: sarà una legislatura costituente; è una riforma non più rinviabile; faremo le riforme, come quella della soppressione delle province, anche da soli. Invece, il PdL e il PD si sono trovati d'accordo, anche su questo, per mantenere le province e per rinviare il provvedimento, senza capire né comprendere il motivo.
Il nodo centrale è questo: se si vogliono mantenere le province, lo si dica con estrema chiarezza, senza dire che si sarebbe stati d'accordo se ci fosse stata una rivisitazione diversa e più ampia. Nulla impediva che gli stessi presentatori e gli stessi partiti facessero uno sforzo in più sul piano emendativo o per riaprire la Pag. 38discussione nella Commissione stessa. Avremmo potuto discutere anche delle comunità montane, degli ATO, dei bacini imbriferi, delle comunità montane, ossia delle istituzioni cui faceva riferimento l'onorevole Donato Bruno. Tutto questo non si è verificato. Si diceva chiaramente in campagna elettorale che bisognava abbattere i costi della politica, razionalizzare e semplificare tutto, ma il segnale che abbiamo avuto quando vi è stata la discussione sul federalismo fiscale andava nel senso contrario. È lì che abbiamo denunciato la sostanziale retromarcia - lo dico senza polemica - dei due gruppi maggiori, che si ritrovano d'accordo nel disegnare un percorso, anche istituzionale, sul quale noi non siamo d'accordo e al quale ci opponiamo con forza e tenacia, perché questa visione non ci soddisfa.
Vi è stato in tutta questa discussione qualcosa di ambiguo e di confuso. I due gruppi parlamentari si sono trovati d'accordo con questo rinvio al Codice delle autonomie, di cui non abbiamo traccia in questo Parlamento, ma solo qualche notizia. Il Codice delle autonomie non fa riferimento alle province. Per quello che ne sappiamo oggi, il Codice delle autonomie mantiene le province e fa riferimento alle associazioni dei comuni. Certamente, i comuni devono essere valorizzati: abbiamo una storia e una cultura che puntano sui comuni e sulla valorizzazione delle autonomie locali, ma vi è un altra questione grossa, che riguarda il ruolo delle regioni, le deleghe alle regioni e le autonomie regionali, come è emerso costantemente anche nella discussione in quest'Aula.
Non c'è dubbio, allora, che la nostra posizione è molto precisa e ferma. Se ci fosse stato un contributo diverso, e non un annullamento sic et simpliciter dello sforzo che era stato fatto da tutti noi, anche attraverso la proposta di cui l'onorevole Casini è il primo firmatario, avremmo tentato di farvi capire che il percorso deve essere estremamente chiaro nel momento in cui si vuole mettere ordine su questa materia.
Il dibattito si è svolto già nel 1970, quando sono state attuate le regioni e il Partito Repubblicano (allora nella persona di La Malfa) discusse moltissimo in Parlamento e fuori dal Parlamento sull'utilità o meno delle province. Si discusse sull'utilità degli enti intermedi e abbiamo adottato una serie di provvedimenti legislativi che puntavano sull'associazionismo dei comuni. Ma tutto ciò certamente non appare chiaramente né nella volontà del gruppo del Partito Democratico né di quello del Popolo della Libertà.
Allora, dinanzi a tutta questa conclamazione continua di abbattere i costi continua (e al fatto che poi giustifichiamo che questa proposta ovviamente espanda e dilati i costi stessi), noi ovviamente non abbiamo la possibilità di comprendere quali siano le proposte alternative. Se avessimo partecipato tutti insieme al miglioramento dei testi e a far funzionare il Comitato ristretto (che pure si era costituito), e quindi a lavorare su un testo base per migliorare anche tutto ciò che scaturiva dal contributo dei vari gruppi parlamentari, certamente avremmo seguito un percorso molto serio e molto utile al Paese.
Il fatto vero, signor Presidente, è che qui c'è un aspetto molto importante. Qui viviamo in una situazione politica e istituzionale estremamente difficile. Questo Paese si dimena e si dibatte (certamente oggi sul tema «province sì - province no») su questioni grosse, fondamentali, sul contrasto che esiste tra Costituzione materiale e Costituzione formale, sul ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri (che viene indicato, ma che nessuno ha eletto) e sul fatto che c'è una Costituzione che detta determinati principi e vi sono riforme elettorali che si sovrappongono, manovrano e soprattutto alterano la Costituzione. C'è una confusione molto forte e mi meraviglia il fatto che il Partito Democratico non abbia colto questo aspetto.
Questa forse era l'occasione, attraverso il riordino delle realtà locali e attraverso la loro semplificazione e valorizzazione, per fare un passo in avanti. Noi abbiamo il disegno di superare questo bipolarismo, che certamente vede forze politiche alleate nel dare uno sbocco presidenziale e verticistico, Pag. 39rispetto alle esigenze di dare contenuti e forza alla realtà locali, alla partecipazione, alle peculiarità dei territori con uno sforzo diverso e particolare. Questa fase è estremamente delicata.
Poi abbiamo una serie di problemi. L'altro giorno in Commissione abbiamo discusso se mantenere o meno la «e» alla provincia di Massa-Carrara (si tratta di togliere il trattino e mettere un «e»). Inoltre, stiamo discutendo un progetto di legge Calderoli per quanto riguarda le regioni, dove si stabilisce il tetto del 4 per cento per avere cittadinanza nel consiglio regionale. Si tratta di una proposta di legge un po' assurda, perché non avevamo mai visto una proposta di riforma elettorale finalizzata semplicemente alle elezioni regionali. Viviamo dunque una fase estremamente delicata e difficile e ritengo (anche per rivolgermi al collega presidente della Commissione, che stimo moltissimo) che in questo modo non daremo nessun contributo. La vicenda delle province, oltre ad essere confusa e ambigua, offre il senso dell'inanità dell'impegno parlamentare, ma anche il senso, estremamente grave, delle promesse fatte e conclamate di moralizzazione al Paese, di risparmi al Paese, di contenimento al Paese, e invece tutto questo viene smentito, come succederà anche tra qualche giorno con l'ampliamento del numero dei membri del Governo. A tale proposito, abbiamo detto fortemente che si trattava di un limite invalicabile e invece si amplifica e si gestisce questo aspetto senza avere contezza di ciò che abbiamo dichiarato e sopratutto dei contenuti di carattere politico.
Signor Presidente, ritengo che queste siano le nostre valutazioni, che abbiamo svolto e che svolgiamo anche in questa sede. Noi abbiamo anche dato un contributo attraverso una proposta di legge Vietti, ma tutto ciò presuppone oggi la vecchia questione se anche queste leggi possano avere un percorso di modifica attraverso la legge ordinaria oppure, siccome vanno a modificare profondamente un articolo della Costituzione (è appena intervenuta nel 2001 la riforma del Titolo V della Costituzione), se non vi sia bisogno, anche per quanto riguarda il passaggio dal voto diretto per il presidente al voto di secondo grado, di una riforma di carattere costituzionale. Questi credo che siano aspetti importanti, fondamentali e credo che avremmo potuto fare uno sforzo in più.
Signor Presidente, in conclusione dico che soprattutto oggi vi è l'esigenza di creare un'armonia nelle elezioni: fra elezioni per il Parlamento, elezioni regionali, elezioni provinciali, elezioni comunali (le aree metropolitane ancora sono de iure condendo, non ne sono definiti gli ambiti e i percorsi) abbiamo asimmetria, confusione, vi sono un distacco e una sfiducia sempre maggiori da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Ciò pesa grandemente, perché passeranno anche questi momenti di abbandono o di euforia, a seconda del punto di vista da cui vediamo i problemi e i temi che ci possono ricordare, ma vi è sostanzialmente una sfiducia nei confronti dello Stato e un affidamento a quelli che possono essere salvatori del Paese e che possono comparire in una stagione politica. Ma noi dobbiamo guardare avanti, alla storia di questo Paese.
Lo sforzo che facevamo, che facciamo e che continueremo a fare per quanto riguarda l'abolizione delle province non riguarda l'abolizione delle province in quanto tali, ma i tentativi di riqualificare anche queste nostre istituzioni, di riqualificare questo nostro Paese.
Il Ministro Calderoli con la semplificazione legislativa afferma di aver abbattuto migliaia e migliaia di vecchi provvedimenti obsoleti, ormai superati e quello che si era promesso continuamente, anche da parte dello stesso Governo, e cioè di semplificare, di razionalizzare e di moralizzare la vita politica e burocratica con la riforma della burocrazia, credo che tutte queste buone intenzioni si infrangano con le resistenze.
Perché vi sono tali resistenze? Perché vi sono queste alleanze di fatto? Sulle cose grosse, nel momento in cui vi è configurazione di questo Paese sul piano ordinamentale vi sono le grandi alleanze: vi sono state le grandi alleanze di fatto alla vigilia delle elezioni politiche del 2008, nelle Pag. 40grandi occasioni continuano, vi è stata la grande alleanza per quanto riguarda il federalismo fiscale, laddove vengono mantenute le province fra i due grossi blocchi presenti in questo Parlamento e vi sono queste alleanze di fatto, vi sono questi sostegni di fatto.
Voglio ricordare che noi siamo stati i soli a votare contro il federalismo fiscale per tutto quello che può conseguire e per quello che consegue: infatti, queste sono scorciatoie che lasciano in ombra i grandi problemi, le grandi questioni, i grandi temi delle aree del nostro Paese, dal nord al sud, in una visione settoriale e particolareggiata, quando invece i temi e i problemi dovrebbero essere assunti e risolti in un contesto nazionale e che si allarga anche al di fuori dei confini nazionali. Credo che sia questo il dato, signor Presidente.
Altri colleghi del mio gruppo parleranno dopo di me e daranno questo contributo, che non è una testimonianza, o meglio sarà anche una testimonianza, ma è un impegno che noi rinnoviamo nelle aule parlamentari rispetto ad un Paese e rispetto ad esigenze avvertite che sono quelle di dare contenuti e contezza alle attese più vere e più reali dei cittadini e della comunità nazionale tutta (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fontanelli. Ne ha facoltà.

PAOLO FONTANELLI. Signor Presidente e colleghi, svolgerò una serie di considerazioni partendo dalla corretta relazione che il presidente Bruno ha svolto, riportando in modo esatto e credo con ottima sintesi anche il livello del confronto che vi è stato nell'ambito della I Commissione su questo tema.
Fin dall'inizio di questa discussione noi abbiamo considerato questo percorso - cioè quello di mettere all'ordine del giorno una discussione sulla soppressione delle province - un fatto oggi inutile, improprio e anche foriero di tanta confusione.
Lo abbiamo detto ripetutamente, perché pensiamo che questo tema debba essere affrontato e non che sia un problema che non si debba discutere. Tuttavia, se si deve discutere, deve essere fatto nell'ambito di una visione complessiva che riguarda l'insieme del funzionamento degli enti locali, anzi, potremmo dire più correttamente, nell'ambito di una piena, efficace e corretta attuazione del Titolo V della Costituzione, così com'è stato scritto. Poiché tale attuazione, per come è stato scritto, ancora non vi è stata, ci sembra improprio partire dall'esigenza di modificare ancora la Costituzione.
Vorremmo ragionare nel merito e, quindi, sulle funzioni e su come le istituzioni, anche quelle locali (siano le province, i comuni o le regioni) rispondono alle esigenze del Paese e dei cittadini italiani. Pensiamo - perché, così lo abbiamo giudicato - che il Titolo V della Costituzione costruisca un quadro serio, innovativo ed importante, affinché le istituzioni possano dare risposte più efficaci, più efficienti e più rispondenti ai bisogni della società italiana.
È proprio partendo da qui che avevamo posto, fin dall'inizio anche della discussione sul federalismo fiscale, l'esigenza di far marciare parallelamente - anzi, dicevamo preliminarmente - la discussione sulla riforma del sistema delle autonomie, quello che chiamiamo il codice delle autonomie. Partire, cioè, dalle funzioni, per vedere, poi, attraverso quale modo trovare le risorse e definire i contesti e i costi attraverso cui tali funzioni si esercitano.
Questo non è stato fatto, abbiamo insistito a ripetizione. Anzi, vorrei ricordare - mi spiace che il collega Tassone sia uscito dall'Aula - che, dall'inizio di questa legislatura, abbiamo presentato, sia alla Camera che al Senato, due provvedimenti quasi identici, sulla scia - aggiornandola - del disegno di legge che aveva presentato, nella legislatura precedente, il Governo Prodi, nella figura dell'allora Ministro Lanzillotta. Tale provvedimento poneva proprio il problema del codice delle autonomie e, quindi, dell'avvio di un processo di riforma in attuazione del Titolo V della Costituzione. Questo abbiamo fatto. Volevo dire al collega Tassone che non abbiamo presentato alcun provvedimento Pag. 41sull'abolizione delle province e che, quindi, da questo punto di vista, spara cartucce a salve, in una direzione sbagliata che non ha senso.
Riteniamo, infatti, che sia essenziale proprio partire dalle funzioni, che definiscono il fabbisogno di risorse ed anche i costi. A tale proposito, vi è un ritardo grave del Governo e della maggioranza, perché questa situazione di confusione si determina anche da qui. Se il Governo e la maggioranza avessero posto immediatamente all'ordine del giorno il tema del codice delle autonomie, non ci troveremmo a svolgere questa curiosa discussione. Avremmo, invece, imboccato un percorso in cui si poteva affrontare anche il problema delle funzioni delle province, con un ragionamento complessivo per rendere le nostre istituzioni più efficaci, più efficienti e più funzionali alle esigenze.
In questo senso, non convince, e non ha ragione, il Ministro Maroni, quando si è lamentato, qualche giorno fa al congresso dell'ANCI, del fatto che il Governo, il 15 luglio scorso, abbia approvato un disegno di legge sul codice delle autonomie, che - egli sostiene - oggi è fermo per colpa delle regioni. Ciò perché non si riunisce la Conferenza delle regioni e delle province autonome, in quanto vi è un conflitto sulle questioni che riguardano la sanità, e via dicendo, e quindi il tavolo è fermo. Il Ministro Maroni ha torto, perché questo argomento doveva affrontarlo prima o, quanto meno doveva camminare insieme al federalismo fiscale. Questa era la logica.
Da questo punto di vista, il Governo non può non avvertire oggi una responsabilità su questa situazione. Anzi, mentre si ritarda la discussione sulla riforma del sistema delle autonomie, assistiamo alla creazione di un'infinità di norme nuove, che vengono inserite in provvedimenti diversi, che vanno tutte ad intaccare le materie che sono di competenza e che riguardano le funzioni del sistema delle autonomie locali.
Come si affronta oggi la questione? Si torna a parlare dei servizi pubblici locali in un provvedimento che riguarda l'adeguamento alla normativa europea, in maniera del tutto sconnessa da un ragionamento sulle autonomie. Perché non lo si considera nell'insieme, quando si affrontano le questioni relative alla sicurezza e ai poteri dei sindaci, oppure quando si parla di Protezione civile? Oggi stiamo assistendo all'inserimento di una serie di normative sulla base dell'emergenza dettata dalla Protezione civile che va a modificare, spesso in modo sensibile, le funzioni e i ruoli delle autonomie locali, a partire da quelle dei sindaci.
Noi pensiamo che, invece, ci sia bisogno di essere un po' meno schizofrenici e di ricondurre il ragionamento complessivo al tema della riforma del sistema d'insieme che abbiamo davanti. Ecco perché pensiamo che proporre oggi di partire dalla soppressione delle province sia un'idea sbagliata: significherebbe avere un approccio parziale e approssimativo alle questioni che abbiamo davanti e direi anche un po' subalterno a una certa campagna propagandistica e non a una discussione nel merito dei problemi. Lo dico perché non si può discutere di un'ipotesi di soppressione sull'onda di una spinta propagandistica e non abbiamo alcun imbarazzo ad affermarlo.
Rivolgendomi ai colleghi Stracquadanio e Tassone, credo di non avere letto integralmente il programma elettorale dell'Unione di Centro, quindi non interferisco nel merito, ma ricordo quel che era scritto nel programma elettorale del Popolo della Libertà, che era molto abolizionista su questo piano. Se, però, leggete il programma elettorale del Partito Democratico non trovate le parole superamento o abolizione delle province; trovate, invece, con chiarezza un capitoletto in cui si afferma che siamo favorevoli all'attuazione del Titolo V della Costituzione, all'istituzione delle città metropolitane e al superamento delle province laddove vengano istituite le città metropolitane. Agli elettori e ai cittadini italiani abbiamo indicato una posizione chiara e su questa restiamo.

MARIO TASSONE. Avete presentato delle proposte di legge.

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PRESIDENTE. Se volete scrivervi anche una cartolina, fate pure.

PAOLO FONTANELLI. Non vi è nessuna proposta di legge del Partito Democratico al riguardo: la proposta di legge del Partito Democratico riguarda il codice delle autonomie. Se un parlamentare, di sua spontanea iniziativa, ha presentato una proposta di legge si tratta di una sua iniziativa individuale e fa fede il testo sul codice delle autonomie presentato e firmato da gran parte del gruppo del Partito Democratico.
La nostra posizione, quindi, è chiara; chi deve di ripensarci, semmai, sono gli abolizionisti della campagna elettorale, che oggi invece assumono posizioni opposte. Un problema di coerenza certamente non riguarda noi, perché abbiamo sempre insistito sulla necessità di mettere al primo posto, coerentemente con l'attuazione del Titolo V della Costituzione, la realizzazione del codice delle autonomie.
È, invece, proprio questo approccio un po' parziale e approssimativo che, a parer nostro, rischia di portarci su una strada senza sbocco, lunga e che non produce una riforma utile alle autonomie e ai cittadini italiani.
Una modifica costituzionale comporterebbe necessariamente non solo la soppressione di una parola, perché non sarebbe possibile, ma comporterebbe immediatamente l'esigenza di ridefinire e di ritornare sull'idea di federalismo così com'è oggi delineata nel Titolo V; significherebbe andare immediatamente a porsi il problema di una puntualizzazione diversa e migliore del ruolo delle città metropolitane e del modo in cui si realizzano e porterebbe alla necessità di definire in Costituzione qualcosa che riguardi l'ente intermedio che verrebbe meno, laddove, in tutti i Paesi europei, l'ente intermedio esiste, come giustamente veniva richiamato nella relazione del presidente Bruno. In tutti i Paesi europei, infatti, esiste il problema di un governo intermedio fra le funzioni dei comuni e quelle delle regioni e come è possibile esercitarlo al di fuori di un quadro di riferimento chiaro sulle funzioni? Sarebbe necessario rimettere mano anche su questo punto e ciò comporterebbe dei seri rischi di accentuazione del neocentralismo regionale.
Si noti che tra i consulenti che abbiamo ascoltato, persino la professoressa Groppi, quella che ha definito le province un retaggio del passato e che è favorevole al superamento delle province, poi dice che però, in questo caso, occorrerebbe ritoccare la Costituzione, perché verrebbe a mancare qualcosa.
Entreremmo, quindi, in un percorso di revisione del Titolo V, altro che riforma che metta gli enti locali in condizioni di affrontare le situazioni di oggi! Per di più, in un contesto in cui i comuni, le province e gli enti locali ci dicono che vi è una situazione di allarme serio rispetto alle loro funzioni perché mancano le risorse, c'è una crisi ideale dal punto di vista della fiscalità locale e non si riesce a far fronte ai problemi che ci sono davanti.
Ecco perché riteniamo che la strada della revisione costituzionale non potrebbe portare rapidamente ad una riforma, ma ostacolerebbe, allontanerebbe e complicherebbe ulteriormente quel processo di rilancio del sistema delle autonomie che oggi invece è la vera priorità, l'urgente priorità che abbiamo dinnanzi.
Auspichiamo, e lo chiediamo ripetutamente, che si avvii rapidamente la discussione sul codice delle autonomie e in proposito non c'è solo la proposta del Governo, ma ci sono anche i provvedimenti depositati in Parlamento da cui ovviamente si potrebbe partire.
Con il codice vengono individuati quegli obiettivi che, si dice, si raggiungerebbero con l'abolizione delle province. Infatti, la funzione essenziale del codice è quella di puntare a una semplificazione, ad una razionalizzazione del sistema e, quindi, anche ad una riduzione dei costi, obiettivi raggiungibili attraverso questo percorso probabilmente in misura molto superiore rispetto a quello volto all'eliminazione delle province. Infatti, se poi ci sarà necessità di un ente intermedio si avrà una stessa struttura che cambierà solamente nome. Pag. 43
Pensiamo che, invece, questo aspetto debba essere affrontato perché nel sistema dei costi c'è un problema di funzionalità complessiva che riguarda le province, ma in parte può riguardare anche i comuni e in parte riguarda anche le regioni e lo Stato.
Credo che dovremo affrontare tale aspetto in questo modo, anzi, per essere veramente efficaci dovremo affrontarlo con lo spirito del federalismo istituzionale ponendo cioè tale questione, quando si parla di costi, nel suo insieme. Quando parlo di insieme mi riferisco anche al superamento del bicameralismo, alla costituzione della Camera o del Senato delle autonomie, come vogliamo chiamarla, ossia alla riforma complessiva del sistema.
Pensiamo che si debba avere questa visione e da questa ci si debba muovere. Però, il primo tassello fondamentale è sicuramente quello del codice delle autonomie e per questo spingiamo fortemente in questa direzione e su questa esigenza. Infatti, con il codice si possono superare sovrapposizioni, doppioni di funzioni, si possono rafforzare le forme di organizzazione sulle funzioni sovracomunali di area vasta, costruire una regia sui servizi a rete, precisare e attuare le città metropolitane diminuendo quindi comuni e province.
Nel codice credo si possa anche ragionare sulla ridefinizione territoriale di una serie di province. Purtroppo, mentre si affrontava questo problema, nelle passate legislature ne abbiamo create di nuove e credo che la proliferazione delle province così come quella degli altri enti non vada bene. La provincia va recuperata in questo contesto, ma si recupera se si ragiona sull'ente intermedio, sulle sue funzioni e sulla sua riorganizzazione. Questa è per noi la strada maestra ed essa ci dice che c'è un serio, ampio e profondo spazio di riordino che consente anche di intervenire sui costi in modo sensibile.
Ciò anche perché si interviene sui costi in modo efficace se non si perde di vista un principio fondamentale non solo nell'ispirazione federalista, ma anche nell'ispirazione autonomista nostra cui fanno riferimento anche gli articoli della Costituzione. Mi riferisco al fatto che gli enti locali, le autonomie locali vanno valorizzate sulla base dei principi dell'autonomia e della responsabilità e il federalismo fiscale può introdurre un elemento e un passaggio importante su questo piano. Allora, anche la questione di una gestione migliore, più attenta e anche più qualificata della spesa diventa un elemento essenziale per poter gestire meglio le risorse in funzione degli obiettivi e dei programmi delle amministrazioni locali.
Invece, cosa accadrebbe se optassimo per una soppressione? Cosa accadrebbe oggi, ad esempio, a funzioni come la viabilità e i trasporti o lo sviluppo locale della gestione del mercato del lavoro o il servizio delle infrastrutture e di tutela ambientale che sono oggi competenze esercitate dalle province e su cui le province hanno radicato di più in questi anni, negli ultimi dieci, quindici, venti anni, il loro rapporto con il territorio?
Ci sono certamente spazi di semplificazione e razionalizzazione, ma non si può dire che le province in questi anni, esercitando queste funzioni e questi ruoli, non abbiano svolto un ruolo importante nel rapporto con i territori, con i cittadini, con la capacità di dare risposte a questo tipo di problematiche che sono essenziali nella vita delle comunità locali.
Questo lo dico non perché ci sia una difesa ideologica della parola provincia, ma perché comunque queste funzioni ci debbono essere e, se tutto ciò si riducesse a togliere una parola, ma lasciare in piedi la stessa architettura chiamata con un altro nome e questo dovesse comportare una revisione costituzionale, non credo avremmo fatto grossi passi in avanti.
Pensiamo, invece, che i passi avanti si possano fare e si debbano fare se davvero affrontiamo la questione del codice, perché anche sui costi - concludo - intanto bisognerebbe capire quali sono questi grandi risparmi. Ho letto cifre, sono stati presentati documenti, e sappiamo che il costo complessivo delle province in un bilancio annuale è di 14 miliardi, che l'incidenza del complesso del costo degli enti locali (province e comuni) tra il 2006 Pag. 44e il 2007 è diminuito del 2,5 mentre è aumentato del 4,11 quello dello Stato e dell'1,61 quello delle regioni.
Ciò significa, quindi, che c'è un processo di diminuzione. Sappiamo dalla relazione della Banca d'Italia che il saldo del comparto dei comuni del 2008 (degli enti locali complessivamente) è un saldo di forte miglioramento rispetto a quello dello Stato e delle regioni. Su questi 14 miliardi del costo delle province si dice che il costo delle indennità (cioè se si dovessero togliere soltanto i consigli e le giunte) è di 119 milioni.
Ora sono 119 milioni il problema di fondo? O è quello delle funzioni? È questo che non torna. Si agita in maniera un po' propagandistica e anche demagogica un problema che non è di una dimensione tale da avere questo risalto. In più, badate, - lo dico in questo caso ai colleghi e agli amici dell'Italia dei Valori - se rincorriamo una campagna demagogica su questa storia dei costi in questo modo alla fine apriamo una strada ad un'idea di riduzione dei costi che in realtà è riduzione di spazi della democrazia, di spazi di partecipazione della democrazia.
Penso che su questo una riflessione vada fatta perché, badate, ciò che sta venendo avanti sulla spinta di questo tipo di elementi demagogici è il fatto che si comincia a considerare un peso, un costo eccessivo, proprio il funzionamento delle istituzioni in quanto momenti di partecipazione democratica. Questa preoccupazione comincerei ad averla - mi rivolgo all'Italia dei Valori perché penso abbia una sensibilità maggiore su questo tema - ma credo sia un problema che meriti una riflessione.
Altrimenti, possiamo rischiare poi di accorgerci, quando i buoi sono scappati dalla stalla, che forse era meglio rifletterci un po' di più per salvaguardare spazi di partecipazione e di democrazia che sono fondamentali in un momento in cui cresce la sfiducia verso la politica e le istituzioni. Dobbiamo salvaguardare gli spazi di democrazia perché sono un baluardo rispetto ai fenomeni di disgregazione, di corporativismo e di sgretolamento dei pilastri fondamentali della vita democratica del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, il presidente Bruno ha ricostruito quanto è avvenuto in Commissione, però l'unico vero dato politico è che avete in tutti in modi cercato di lasciar marcire questo provvedimento in Commissione perché in Aula non lo volevate portare, perché non volete approvare una legge che abolisca uno dei nove livelli istituzionali che esistano in questo Paese.
I costi della democrazia sono una cosa, i costi della politica sono un'altra. Abbiamo una pletora di livelli istituzionali che servono soltanto ad alimentare la tassa della politica.
Si parla di 500 mila persone che vivono di politica...

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Te compreso!

ANTONIO BORGHESI. ...e non si faccia riferimento a ragionamenti sulle comunità montane e sugli altri livelli istituzionali possibili di cui parliamo, perché sia nell'altra legislatura che in questa noi dell'Italia dei Valori abbiamo presentato proposte emendative per abolire i consorzi di bonifica e ci avete detto di «no». Anche nell'attuale legislatura la maggioranza ci ha detto di «no» anche sull'abolizione delle comunità montane. Il Ministro Calderoli presenta un codice senza comunità montane, ma la Lega Nord in molte regioni, sicuramente nel Veneto, presenta proposte di legge per salvare tutte le comunità montane esistenti: questa la verità!
In altri Paesi ci sono altri livelli istituzionali, certo, ma non ce ne sono tanti quanti da noi. In Francia ci sono i dipartimenti, ma sopra c'è solo lo Stato. In Germania ci sono le circoscrizioni, i Kreis, che sono sostanzialmente unioni di comuni. In Gran Bretagna c'erano le contee, ma la Thatcher - che in fatto di costi della Pag. 45politica non ha guardato in faccia a nessuno - in un colpo solo ha eliminato le 44 contee metropolitane che c'erano, perché così si fa se si vuole realmente rispondere ai cittadini che chiedono una riduzione dei costi della politica.
La questione delle province è vecchia, Francesco Crispi già le definiva «un ente artificiale che può essere soppresso perché non ha una consistenza naturale come il comune», questo un secolo fa. Poco dopo, agli inizi del Novecento, l'onorevole Libertini formalizzava una proposta per l'abolizione delle province. Nella seconda sottocommissione dell'Assemblea costituente Luigi Einaudi e Costantino Mortati - personaggi di indubbio spessore, non solo politico - dissero che non ci poteva essere coesistenza fra regioni e province. Ho qui un saggio del professor Giardina «Finanza locale e rapporti intergovernativi nel pensiero di Luigi Einaudi». Einaudi giudicava la provincia un ente artificioso, antistorico, antieconomico e discutendo dell'istituzione delle regioni si espresse per l'abolizione delle province da lui considerate una negativo lascito napoleonico del Piemonte del tempo, senza legami con le tradizioni e le organizzazioni amministrative del territorio; aggiungendo le regioni si sarebbe prodotto una moltiplicazione di uffici e di gravami fiscali, ciò che è avvenuto.
Se è vero che i compensi degli amministratori provinciali possono essere di 120 milioni, non è vero che quello è il costo politico degli enti come le province. Lasciatevelo dire da uno che per un mandato ha fatto il presidente di una provincia, e non certo della più piccola d'Italia: c'è un apparato politico di supporto alle giunte e al consiglio, è quello che costa! Non saranno 14 miliardi, ma due o tre miliardi sì. Non vedo che cosa abbiano a che fare quei due o tre miliardi con i costi della democrazia, sono costi della politica e basta.
Per questo credo che questo sia un tema che deve essere portata in Aula, perché la gente deve capire chi vende fumo e chi invece realmente vuole arrivare ad un risultato finale. Concludo, Presidente. Il primo venditore di fumo è stato il Presidente del Consiglio Berlusconi che in campagna elettorale dichiarava di volerle abolire, invece siamo qui e vogliamo che i cittadini che ci ascoltano sappiano che c'è chi vende fumo e chi invece fa delle proposte concrete e vere per ridurre il disagio dei cittadini, mettendo quel denaro a vantaggio di chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bianconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BIANCONI. Signor Presidente, è indubbio che questo argomento della soppressione delle province sia particolarmente sentito dai cittadini, c'è stata una campagna mediatica notevole e di quanto sia sentito e di quanto ci si possa lavorare sopra ne abbiamo avuto giustappunto un esempio nell'intervento che mi ha preceduto. Questo argomento risponde a due domande o comunque tenta di dare una risposta a due domande, è stato detto e ridetto. In primo luogo si intende ridurre i costi della politica. Con la seconda domanda (alla quale si risponde meno perché forse ai cittadini interessa un po' meno, ma è altrettanto importante) si vuole semplificare e rendere efficiente il sistema. Queste sono le due domande: spendere meno e lavorare meglio.
La domanda che mi pongo, considerato quanto ho letto, le campagne di stampa e quanto ho sentito è se questo argomento sia realmente sentito sotto il profilo istituzionale o se, invece di essere votato e chiamato in causa da una sorta di volontà rigeneratrice delle istituzioni, sia chiamato in causa con tanta enfasi per mero spirito populistico e «accalappia consensi».
Abbiamo presentato tutti, meno il Partito Democratico, proposte sull'abolizione delle province, ma il nostro intento non era quello di portare in Aula provvedimenti inapplicabili nella pratica, ma di aprire una vasta discussione che sviscerasse questo argomento. Collega Fontanelli, non sono d'accordo sul fatto che il Titolo V della Costituzione riformato come è stato riformato, con quei voti e l'ultimo Pag. 46giorno di legislatura sia il massimo. È un tentativo che ha sicuramente le sue pecche e, siccome è vostro merito-demerito averlo fatto, lei lo ha difeso, ma sono ancor meno d'accordo sul fatto che i cosiddetti decreti Bassanini che hanno preceduto quella variazione abbiano risolto il problema del decentramento. Non si può approcciare questo argomento diventando per forza tutori o di una deriva populista o di provvedimenti che ci sono e che indubbiamente hanno mostrato la corda, perché è chiaro che quanto è emerso prima dai decreti Bassanini e poi dal Titolo V, secondo noi, non soddisfa appieno le esigenze di decentramento e di autonomia.
Trovo poi ingiusto voler scaricare - qui apro un inciso minimo - la responsabilità sul Governo per il fatto che la carta delle autonomie locali, meglio conosciuta come Codice delle autonomie, non è in sintonia con il progetto del federalismo che abbiamo approvato poco tempo fa, ma nelle sue linee generalissime, non certo nel suo specifico. Capisco che anche voi abbiate necessità di dire qualcosa, lei, collega Fontanelli, ha detto questa cosa, ma ne poteva dire una migliore perché questa non ha né capo né coda. Siamo all'interno di una legislatura, ci sono dei provvedimenti che hanno bisogno di lavorio, di coscienza e collaborazione reale e non è che siano poi così disarticolati; la carta delle autonomie locali sta per arrivare, il progetto del federalismo è appena partito, vedremo a fine legislatura se avremo realizzato l'uno e l'altro.
Quindi il rinvio che tutti i gruppi chiedevano, escluso l'UdC per i motivi che ha esposto il collega Tassone e l'IdV per i motivi rispettabili e legittimi, ma meno attendibili sotto il profilo istituzionale, che hanno detto i colleghi dell'Italia dei Valori, era basato su argomenti che avevano una loro pregnanza. Qui la questione è seria, complessa e non la si può risolvere con la semplice abolizione delle province perché è chiaro ed è semplicissimo - sembra una contraddizione, ma in realtà è tremendamente semplice - il motivo per cui la questione è complessa. Non è che abolendo le province si abolisce il personale delle province: chi ci lavora deve essere ricollocato, quindi dovremmo ragionare sui costi di tale modifica. Non è che abolendo le province si aboliscono le funzioni che esse svolgono, perché le province svolgono la funzione di ente intermedio: quanto siano complessi o meno questi enti e quanto le regioni li abbiano riempiti di deleghe, di funzioni, quanto esse svolgono sono funzioni che qualcuno comunque deve svolgere. Non è che abolendo le province e lasciando tutto così si risolve il problema, anzi, il problema si aggrava perché nell'ordinamento ci rimane un buco: c'è un ente intermedio che deve sicuramente rivolgersi verso la regione, che è ente di alta programmazione, e che deve fare sintesi territoriale.
Quindi, dire che i cittadini vogliono l'abolizione delle province perché l'abolizione delle province è l'abolizione dei costi della politica è una cosa demagogica e populista, che si può scrivere sui giornali o per la quale si possono raccogliere le firme, che può essere detta da qualche collega per prendere qualche consenso provvisorio, ma nel medio termine sicuramente non fa un piacere, un favore al Paese.
Così come ha detto il collega Fontanelli in un intervento bellissimo e ineccepibile e gliene do atto; tuttavia, non ci si può neanche mettere dietro ai provvedimenti esaminati fino adesso e difenderli per spirito patriottico in quanto quasi tutti vengono dalla vostra parte. Questi sono temi che vanno letti sicuramente sotto un altro profilo. Il problema vero è la riorganizzazione istituzionale e territoriale del nostro ordinamento in modo da ottenere efficienza, efficacia, semplificazione e costi compatibili.
Sono convinto che ciò si pone nell'interesse comune e voglio svolgere un ragionamento fuori da ogni polemica, perché la politica si muove mediante le azioni istituzioni. Se le istituzioni sono inefficienti, la politica sarà ancora più inefficiente; se all'inefficienza della politica fa riscontro l'anti politica populista e il prodotto dell'anti politica è la richiesta della semplificazione brutale dei processi, noi Pag. 47attraverso questa deriva rischiamo la tenuta democratica del Paese. È un nostro dovere fare una riforma istituzionale organica e non lasciare spazio alle improvvisazioni e alle intemerate populiste. Altrimenti, diamo il via ad una deriva populista, alla cosiddetta brutale semplificazione delle istituzioni - uso un termine non mio ma che avrete letto anche voi - che porta sicuramente a derive pericolosissime. Quindi, dire che non si è voluto portare in Aula il provvedimento e quant'altro non ha senso.
Tuttavia, questa può essere l'occasione per svolgere un discorso serio. Un comune cittadino, uno qualsiasi di noi, ha sopra di sé la circoscrizione o il municipio, il comune, la provincia, la città metropolitana, le associazioni intercomunali o i consorzi di comuni, le comunità montane, i consorzi di bonifica, gli enti parco regionali o statali, il lato dell'acqua e dei rifiuti, il distretto Asl, la regione, i distretti industriali o i settori economici locali, lo Stato e l'Unione europea. Come minimo rispondiamo a quindici ordinamenti costituzionali o meno: ciò non è possibile. Ci sono dai tredici ai quindici ordinamenti base, quindi c'è una superfetazione di enti e di consorzi che nessuno riesce ad enumerare. Qualcuno li ha contati e dice che sono 34 mila, però penso che abbia peccato di ottimismo perché non si possono contare. È di non molto tempo fa la dichiarazione di un presidente di un consiglio regionale non della mia parte politica - quindi delle regioni che per tradizione si dicono amministrate bene - che si arrese e disse: «Io non so quanti enti ha questa regione, forse 400». Neanche loro riescono a contarli, quindi dire 34 mila è peccare di ottimismo. Si può andare avanti di questo passo?
Il problema è che ogni ente non solo è centro di spesa, ma anche di potere. Ogni ente ha la sua normativa e il suo regolamento; ogni ente aggrava i processi; ogni ente ritiene sovrano il suo pari e si mette quasi sistematicamente in contraddizione con gli altri. Il problema è l'inefficienza creata da tutta questa superfetazione incredibile di enti deputati e non, di enti derivati e di enti costituzionali. Obiettivamente non si può andare avanti così, perché ne fa le spese la politica che, facendo azioni istituzionali, diventa inefficiente. Allora il ragionamento deve essere fatto, ma non con la demagogia dell'abolizione delle province in ordine alle quali anche io non sono favorevole a un mantenimento sic et simpliciter. Bisogna, dunque, fare un ragionamento più complesso.
Ritengo - perché voglio rimanere più equilibrato che posso su questo argomento, che non è di facile presa, ma sul quale certi ragionamenti vanno fatti - che tutta questa superfetazione non sia stata voluta dal destino cinico e baro, che ci siano stati sicuramente degli eccessi, che sicuramente il personale politico in via di collocazione sia stato ricollocato inventando enti e sottoenti, che la fine dei partiti come datori di lavoro abbia poi provveduto a creare l'istituzione come datore di lavoro e che, nel momento in cui il partito non dava più stipendi, si sia inventato un ente, ma il nocciolo di questa questione non è così pravo e negativo, perché in fondo noi stavamo costruendo un sistema che tentava di decentrarsi, di mantenere efficienza, di controllare le cose da vicino, di specializzare l'offerta rispetto alla domanda territoriale, e assicurare soprattutto organi di controllo e di garanzia per i cittadini. Poi, però, abbiamo messo in moto un mostro, che ha degenerato.
Diciamolo con tutta franchezza, perché non vale la pena negarlo: nella cosiddetta prima Repubblica tutto questo sistema si reggeva, da una parte perché la spesa pubblica era un optional, perché la prima Repubblica si è basata sulla costituzione del deficit e, dal punto di vista decisionale, perché i partiti, essendo forti, determinavano, attraverso la loro decisione politica, un'unitarietà di comportamenti, che non consentiva a tutti questi enti di essere centri di potere separato, in cui ognuno fa come crede, perché manca il partito che svolge questa funzione di raccordo istituzionale di questa rete assai numerosa. In fondo, ai suoi tempi e con i suoi costi, in qualche modo, il sistema funzionava. Oggi Pag. 48è sparito tutto, ognuno è centro di potere, ognuno contraddice l'altro, ogni presidente di ente si oppone a un sindaco, ogni presidente di regione fa del suo modo di essere presidente di regione il sistema di opporsi o di assecondare il Governo, a seconda delle volontà politiche e non a seconda delle necessità istituzionali. Si è perso, cioè, completamente il senso dell'istituzione. Allora, il groviglio, la matassa è diventata inestricabile.
Vi è un altro dato sul quale bisogna riflettere a fondo: quando il mondo era più piccolo e potevamo compensare le nostre inefficienze nel nostro territorio nazionale, il problema non era esploso così. Ma oggi il mondo è diventato grande: ci sono la globalizzazione, la modernizzazione, l'allargamento degli scenari, e la lentezza e i costi istituzionali sono un ulteriore motivo di grave ritardo di quello che andiamo facendo, anche in termini di competizione istituzionale, ma soprattutto in termini di competizione economica. Le nostre decisioni sono lente, non stanno al passo, non prendiamo provvedimenti tali per cui chi lavora nell'economia e nel mondo riesce ad essere competitivo con gli altri.
Ci sono questi due motivi che rendono urgente rimettere mano alla visione istituzionale di questo Paese. Ragionare anche sull'utilità delle province diventa un problema serio di efficienza e di efficacia, non solo di risparmio dei costi, ma più serio e profondo. Sarei disposto - dico un assurdo - anche a spendere di più, purché si guadagnasse in efficienza, ma purtroppo al costo si accompagna l'inefficienza. Bisogna anche qui partire da un discorso che un po' manca nel pur bell'intervento di Fontanelli, che è un grande intenditore di queste cose.
Se partiamo dal dato di fatto, riusciamo ad arrivare al dato istituzionale, ma se partiamo dalla teoria del dato istituzionale e non capiamo dove caliamo questa istituzione, rischiamo di fare dei danni: teoricamente è perfetto, ma poi la cura è sbagliata. Allora bisogna sapere oggi a cosa serve l'istituzione: serve a far funzionare il territorio. E il territorio che ci interessa, oggi, qual è? Oggi ormai è un dato comune, a destra e a sinistra, per tutti gli studiosi, che si ragiona nei territori in termini di sviluppo d'area: vi è un'area omogenea, comune per tradizioni, cultura, storia, economia, infrastrutture; si tratta di un'area che deve essere vasta in modo tale da avere un aspetto antropico impattante, cioè vi deve essere un numero notevole di persone, in modo che quello che quell'area produce e fa sia importante e significativo.
All'interno di quest'area omogenea si conta il suo sviluppo. E come si conta oggi lo sviluppo? Non si conta più con il PIL, ma si conta soprattutto per il suo bilancio sociale: quanta occupazione, quanta efficienza, quanti servizi, quanta e quale sanità, senso civico, qualità della vita, efficienza istituzionale, efficacia amministrativa. Il tutto, poi, si aggiunge alla ricchezza prodotta e al reddito pro capite: questo è. Bisogna trovare uno strumento istituzionale di base che si riconosca nell'area omogenea e che sia funzionale allo sviluppo d'area. Non è il comune e non è la provincia, questo è il dato vero di cui bisogna tenere conto. Il comune risponde alle tradizioni, alla cultura, alla continuità di una comunità; la provincia è spesso disconnessa, trattiene aree disomogenee, pretende di dare una politica comune ad aree che sono largamente diverse. Il comune è troppo piccolo perché, signor Presidente, lei lo sa come me, in Italia vi sono 8 mila comuni, ma mi pare che l'85 per cento abbia meno di 5 mila abitanti. Il comune è ormai diventato un'entità insufficiente allo sviluppo d'area e la provincia è un'entità superiore distonica rispetto allo sviluppo d'area.
Bisogna partire dal dato di fatto; oggi si studia, ma lo aveva già detto Tocqueville: più si allargano gli scenari e più il governo del territorio deve essere corrispondente a un territorio omogeneo. Lo traduco con parole moderne, ma, quando andò negli Stati Uniti, vide questo, e capì la necessità delle contee e degli Stati; capì tutto questo perché, più sono grandi e generali i problemi, più vi deve essere omogeneità nell'ente con cui si governa il territorio. Pag. 49
Bisogna ripensare la provincia, bisogna ripensare i comuni. Vogliamo fare macrocomuni e dare ai comuni il municipio in senso tradizionale? Potrebbe essere una soluzione. Vogliamo studiare un ente intermedio? Una cosa è sicura: quando andiamo a ricostruire questa cosa, e lo dobbiamo fare, se ne abbiamo voglia, bisogna fare una cosa seria, non politicamente rispondente a difese del passato, non corrispondente ad intese populiste e a volontà populiste. Se ci mettiamo di buona lena, possiamo arrivare e possiamo tagliare tutti gli enti. Anche qui ci vuole una volontà politica, ma non ci si accusi di non aver studiato questo problema, non ci si accusi di non aver parlato di questo problema, non ci si accusi di non avere la volontà per risolvere insieme questo problema (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la tematica affrontata dalle proposte di legge oggi al nostro esame investe questioni che meritano indubbiamente un particolare approfondimento, seguendo, a mio avviso, un'impostazione che possa tener conto di percorsi alternativi piuttosto che limitarsi alla sola ipotesi di soppressione dell'ente provincia. Occorre una visione, per così dire, coraggiosa e coerente con le esigenze del Paese e, soprattutto, ugualmente politicamente sostenibile.
Il tema delle innovazioni istituzionali è ormai da circa 25 anni all'attenzione di questo Parlamento: nel tempo, infatti, si sono succeduti vari tentativi di riforma, che hanno impegnato generazioni di costituzionalisti e dato vita ad un intenso confronto politico e dottrinale.
Qualsiasi ragionamento sul complessivo riassetto del sistema degli enti locali non può tuttavia prescindere da una considerazione preliminare: la sua urgenza è da un lato unanimemente condivisa ed oggettivamente giustificata per la necessità di un adeguamento al Titolo V della Parte seconda della Costituzione, e in essa dal richiamo ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che consentono di attrarre ai livelli superiori dell'amministrazione principalmente quelle funzioni che presentino esigenze di esercizio unitario; dall'altro, è grandemente complicata dalla compresenza di taluni fattori tra loro intimamente connessi. Tra questi, va indubbiamente menzionata la consolidata tendenza dei Governi centrali a recuperare risorse finanziarie attraverso la razionalizzazione del sistema dei soggetti che costituiscono il governo locale, nonché la riorganizzazione e l'evoluzione del regime di reperimento e ripartizione delle risorse pubbliche in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, soprattutto alla luce della recentissima legge n. 142 del 1990.
Da qualunque parte la si guardi, emerge dunque la necessità che la riforma generalmente invocata abbia carattere organico, investendo il sistema nel suo complesso ed ogni suo singolo componente. È bene, seppur brevemente, ricordare in questa sede che il ruolo degli enti locali nel corso degli anni Novanta è stato interessato da un processo riformatore di ampia portata, nel quale si sono sommati interventi di diverso oggetto e di varia natura. Le riforme istituzionali hanno attraversato e caratterizzato in particolare l'intero corso della XIV legislatura: ricordo dapprima la legge n. 131 del 2003, la cosiddetta legge La Loggia, la quale all'articolo 2 conteneva una delega al Governo per l'individuazione e l'allocazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, legge che, come ben ricorderete, fu approvata con un sostanziale consenso da parte dell'opposizione, ma la delega non fu esercitata entro il termine di scadenza della legislatura. Successivamente, il progetto di riforma del Governo di centrodestra che modificava interamente la Parte seconda della Costituzione, non trovando tuttavia conferma con il referendum del 25 e 26 giugno 2006. Non da ultimo, le più recenti riflessioni compiute relativamente al livello di amministrazione di area, che hanno proposto ripetutamente, così come Pag. 50testimonia la proposta di legge costituzionale oggi al nostro esame, ipotesi di semplificazione estrema del sistema delle istituzioni locali, caratterizzate soprattutto dal tentativo di superamento dell'ente provinciale.
A tali congetture sembra però possibile opporre una qualche considerazione che attiene alla necessità di mantenere (seppur attraverso un profondo processo di rinnovamento, sia in termini funzionali che sotto il profilo della rappresentatività, dell'ente come soggetto rappresentativo di secondo grado) il livello istituzionale intermedio di governo locale, operando una significativa riduzione dei costi della rappresentanza politica e incentivando parallelamente la responsabile cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, senza perdere un livello di governance a mio avviso necessario.
Un livello di amministrazione, dunque, quello provinciale, di cui è indubbio il riconoscimento della sua ragion d'essere e della sua valenza, sia in chiave storica sia in relazione alle numerose ed articolate funzioni progressivamente in esso radicate: funzioni che, a partire dalla legge n. 142 del 1990, che configura chiaramente un livello di area vasta dell'amministrazione locale in capo alla provincia, per proseguire con quelle conferite dalla legge n. 59 del 1997, configurano la provincia come soggetto di primo piano nell'assetto del modello amministrativo della Repubblica, generalmente riconosciuta nella sua valenza di ente di governo di area vasta.
In tale prospettiva, dunque, se il comune è destinato ad assumere la valenza di ente di amministrazione generale, salvo la verifica dell'adeguatezza degli enti di base, con la previsione di formule associative polifunzionali per i piccoli comuni, non meno significativo sembra essere il ruolo cui è destinata la provincia come necessario livello di completamento e soprattutto di coordinamento dell'amministrazione locale generale di area vasta.
In questo processo, infatti, la dimensione provinciale costituisce uno snodo importante per molteplici ragioni, sia perché essa rappresenta il livello di organizzazione nel quale operano molti dei soggetti coinvolti - associazioni di categoria, sindacati, forze politiche e imprenditoriali - sia perché la possibilità di aggregare aree più vaste non può che nascere, oggi, come integrazione di realtà già esistenti a livello delle attuali province, che divengono fondamentali interlocutori e costruttori di convergenze e di elaborazioni progettuali. Proprio questa articolazione su due livelli, di base e di area vasta, dell'amministrazione locale sembrerebbe essere in grado di garantire l'assunzione del maggior numero possibile delle funzioni di dimensione effettivamente locale per i comuni e, di converso, l'attribuzione della titolarità di funzioni che potremmo definire di coordinamento e pianificazione strategica finalizzate allo sviluppo socio-economico-territoriale all'ente provincia.
È sulla base di queste sintetiche ma profonde e significative motivazioni che ho presentato nel corso dell'attuale legislatura una proposta di legge che parte dall'ipotesi di trasformare, o meglio di ridefinire, le province in istituzioni di secondo grado - quindi, a Costituzione invariata - modificandone radicalmente il modulo organizzativo della rappresentatività, non più diretta espressione dell'elettorato quanto piuttosto delle amministrazioni comunali. In tal senso mi sembra si siano pronunciati alcuni dei costituzionalisti che sono stati auditi dalla I Commissione.
Non si comprende perché la legislazione statale, nel disciplinare gli organi di governo e la legislazione elettorale di comuni, province e città metropolitane, dovrebbe configurare non solo i comuni ma anche le province come enti direttamente rappresentativi delle proprie comunità di riferimento solo ed esclusivamente mediante l'elezione popolare e diretta dei loro consigli e dei loro presidenti. Non si ravvisa, in sostanza, il motivo per il quale non sarebbe auspicabile - operando, come dicevo, a Costituzione invariata, e quindi attraverso la legge ordinaria - concepire le province come enti rappresentativi di secondo Pag. 51grado, espressione cioè della rappresentatività diretta e di primo grado dei comuni.
In tal senso, la formulazione della mia proposta si muove nella direzione di ridurre significativamente il numero dei consiglieri e degli assessori provinciali e comunali sulla base della componente demografica dell'ente, limitando in tal modo le spese a quelle strettamente necessarie e rafforzando nel contempo il rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni. Solo così si potrebbe ottenere, a mio avviso, un concreto effettivo alleggerimento delle dotazioni amministrative e di personale delle province, una reale ed efficace riduzione e rimodulazione dei livelli di rappresentanza politica ma soprattutto un complessivo decremento dei costi politici, obiettivo ormai improcrastinabile se si vuole convergere nell'opera di risanamento dei conti pubblici come condizione necessaria per la ripresa economica del nostro Paese.
Per concludere, è questo, a mio modo di vedere, lo strumento per costruire una nuova e più funzionale collocazione delle province. Operando su una nuova individuazione delle loro funzioni si possono esaltare gli aspetti di coordinamento territoriale e le funzioni di coordinamento dei comuni, specie quelli piccoli e montani. Lavorando sul sistema elettorale e sugli organi di governo, alla luce delle considerazioni poc'anzi svolte, si potrebbero individuare quelle modalità organizzative atte ad impedire un'eccessiva politicizzazione del livello provinciale e una quanto mai smisurata proliferazione di personale politico.
L'occasione è dunque a portata di mano.

PRESIDENTE. Onorevole Ria, deve concludere.

LORENZO RIA. Concludo, signor Presidente. Il testo unico degli enti locali è oggi, dopo la riforma costituzionale del 2001, ormai desueto e vi è la comune consapevolezza che vada riscritto in versione aggiornata. Risulta quindi fondamentale intervenire affinché le province non subiscano, come auspicato da taluni, un mero ridimensionamento, effettuato esclusivamente sulla scorta di diagnosi e valutazioni affrettate e superficiali: questo è il compito cui sono chiamati Parlamento e Governo in questa legislatura.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, sono ben consapevole, soprattutto dopo l'intervento del collega Borghesi, che è assai difficile da parte di chi tenta di argomentare con termini istituzionali e costituzionali le ragioni per cui siamo contrari al provvedimento in esame, perché è troppo semplice pensare che chi realizza una modifica è il difensore della riduzione dei costi della politica, mentre chi argomenta in maniera diversa diventa il difensore di quella casta. Sarebbe come dire che io, per rispondere a tali argomentazioni, utilizzassi e annunziassi in quest'Aula che il Partito Democratico si prepara a chiedere l'abolizione delle regioni.
Credo che, quando si maneggia la Costituzione, bisogna mantenere la serietà, il rigore ma soprattutto l'argomentazione nel merito, in questo caso nel merito di una istituzione che ha una vita lunga e travagliata e rispetto alla quale ha ragione invece il collega Borghesi quando ricorda che il dibattito, a partire dalla Costituente, ha avuto momenti anche difficili e si sono confrontate opinioni che nel corso degli anni, storicamente, si sono ripetute circa il tema dell'abolizione e della necessità del ruolo delle province.
È una discussione non solo accademica e giuridica, ma anche molto politica. Lo voglio dire perché rispetto a quella proposta, come ha già ricordato con grande nettezza il collega Fontanelli, abbiamo assunto un atteggiamento di coerenza nei confronti dei nostri elettori e lo abbiamo fatto non solo citando le questioni relative al nostro programma con il quale ci siamo presentati all'ultima campagna elettorale: fanno fede infatti anche tutti gli atti a partire dal Governo Prodi contenuti nel programma dell'Unione per la XV legislatura, Pag. 52nel quale la parola «abolizione» delle province non viene mai menzionata.
Perché lo abbiamo fatto? Per un amore di casta? Perché siamo innamorati di un organismo intermedio di cui a tutti invece è chiara la necessità di una ridefinizione delle proprie funzioni o perché, invece, in questo intervento faceva da cornice un contesto istituzionale che era esattamente quello approvato con legge costituzionale e poi accolto dal referendum popolare confermativo del 2001, ossia l'attuazione del Titolo V?
Vorrei che i colleghi dell'Italia dei Valori ragionassero e provassero a ragionare insieme a noi intorno a tale questione, perché è troppo semplice dire che si chiede l'abolizione delle province.
L'articolo di riferimento non è solo il 114 della Costituzione, che voglio rileggere a memoria mia e di chi ci ascolta e che recita: «La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato». È prevista dunque l'equiparazione di questi enti; ma insieme all'articolo 114 bisogna leggere anche l'articolo 118 della Costituzione, secondo il quale «Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza».
Da ultimo, ricordo l'articolo 119, di cui abbiamo ampiamente discusso in quest'Aula in merito all'attuazione del federalismo fiscale, che al primo comma recita: «I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa».
Siamo di fronte, cioè, ad un contesto istituzionale dentro il quale alle province, che avevano già subito nel corso del tempo alcune modifiche con il testo unico degli enti locali, afferisce tutta una serie di competenze e di funzioni, fino ad arrivare all'elezione diretta dei propri presidenti.
Si tratta allora di ragionare nel merito e nel merito abbiamo sempre detto che il perimetro entro cui volevamo muoverci era il ragionamento relativo all'attuazione del Titolo V e soprattutto che di fronte ad una questione preminente, quella della ridefinizione delle funzioni delle province, eravamo disposti a ragionare, perché di questo oggi si tratta; e mi aiuta in questo la riflessione del collega Ria, dal momento che quanto alle funzioni viene messo al centro il ragionamento di quelle che già oggi le province svolgono in termini di operazioni politiche e di funzione amministrativa e di governo di area vasta.
Allora, si tratta di definire «chi fa che cosa», cosa fanno esattamente i comuni, cosa devono fare le province e cosa devono fare le regioni. All'interno di questa discussione lo stesso tema dei costi poteva e doveva avere una definizione molto concreta e precisa perché questo è esattamente il punto. Quando non sono chiare le funzioni, si realizza, attraverso la moltiplicazione degli enti intermedi, partecipati, non solo dai comuni, ma anche dalle province e dalle regioni, la moltiplicazione - per usare un'espressione che è una reminescenza liceale a me molto cara - dello «Stato gonfio» di Platone.
Il compito che sta di fronte a noi è esattamente questo: individuare una definizione esatta delle funzioni che permetta agli enti locali di governare in un rapporto diretto con i cittadini, che ne possano valutare l'efficienza e l'efficacia (che non sono garantiti semplicemente dall'azione dell'istituzione stessa, ma anche dalla possibilità che le proprie prerogative siano stabilite con chiarezza nell'ordinamento istituzionale e costituzionale).
È del tutto evidente in questa discussione che non abbiamo provato ad insabbiare il provvedimento. Nella I Commissione, dove svolgo le funzioni di capogruppo, il Partito Democratico è intervenuto in maniera massiccia nella discussione. Abbiamo svolto le audizioni consapevoli che il tema andava definito proprio alla luce di questo: non vi era bisogno di una modifica solamente abrogativa, ma bisognava mettere al centro della discussione politica e istituzionale l'obiettivo che l'equiparazione prevista dall'articolo 114 trovasse un fondamento e soprattutto attuazione. Lo abbiamo chiesto Pag. 53con pacatezza ai colleghi dell'Italia dei Valori e dell'UdC. Nessun parlamentare del Partito Democratico aveva presentato proposte di legge sul tema dell'abolizione delle province, ma tutti abbiamo espresso la necessità che questo ragionamento potesse avere un'altra cornice, quella dell'assetto delle funzioni determinate dal Codice delle autonomie.
In questo senso, abbiamo chiesto al presidente della Commissione, l'onorevole Donato Bruno, la calendarizzazione di una nostra proposta di legge sulla Carta delle autonomie, a prima firma del collega Giovannelli, analoga a quella presentata al Senato, che andava esattamente nella direzione che aveva contraddistinto il Governo Prodi e che era prevista nel programma con cui ci siamo presentati agli elettori.
Il tema è proprio questo: come dare senso e valore politico all'articolazione dello Stato e delle sue funzioni e, soprattutto, come evitare di sollevare, in una fase in cui si discute di funzioni non determinate, questioni che ripropongono - queste sì - vecchi temi, compreso un neocentralismo tipico delle regioni.
Credo che il collega Fontanelli su questo tema abbia delineato con grande precisione ciò che ci interessa in questo momento, ovvero garantire il senso di uno Stato che faccia i conti sul serio con la propria capacità di dare risposte concrete ai cittadini. Non sfugge a nessuno - né a me, né ai colleghi della maggioranza, né a quelli dell'Italia dei Valori - che l'ente più vicino ed immediato ai cittadini italiani, per tradizioni storiche e per come storicamente è avvenuta la formazione dello Stato unitario, è il comune. Però, molti degli oltre 8 mila comuni italiani vivono in una dimensione (al di sotto dei cinquemila abitanti) nella quale per realizzare i processi di competitività economica e dare risposte allo sviluppo economico dei propri ambiti territoriali con efficacia, devono avere una dimensione maggiore: quella dell'unione di comuni, con un governo di area vasta.
Proprio in questo senso diventa decisivo ripensare a cosa devono fare le province. Quindi, la nostra non è una difesa di una casta, ma è esattamente il contrario: dobbiamo capire che se questo ente deve restare all'interno della dinamica della discussione politica, istituzionale e giuridica. La necessità di chi oggi siede su questi banchi, aldilà del ruolo di maggioranza e opposizione, è di dare una risposta chiara in questo senso.
Questo ci chiedono i cittadini e lo chiedono in funzione dei loro problemi. Quando si tratta di rifiuti, quando si tratta dall'acqua, quando si tratta dei servizi pubblici locali, chiedono a tutti noi che ogni ente e istituzione sappia con certezza che cosa fa, ma soprattutto che dia ai cittadini delle risposte chiare, per fare in modo che, nell'eventualità di contenziosi, le persone, i cittadini, gli uomini e le donne sappiano contro chi prendersela.
Era per questo motivo - in questo ringrazio il presidente Bruno, che ha impostato una discussione molto serena - che avevamo chiesto non l'accantonamento, ma una riflessione che avesse al centro proprio tutti i ragionamenti che fin qui abbiamo svolto. Ciò avrebbe dato senso dando luogo anche ad una battaglia e ad un vigore più politico e anche più decisamente corretto sul piano istituzionale, offrendo risposte su quel tema che non è caro solo all'Italia dei Valori, ma anche a noi: la riduzione dei costi della politica non ha nulla a che vedere con la riduzione dei costi della democrazia. È esattamente vero il contrario: quando la democrazia richiede partecipazione, a quella partecipazione devono corrispondere il rigore e la serietà, valori condivisi.
Le proposte che riguardano anche una piccola modifica della Costituzione non possono essere fatte in assoluta solitudine, ma vanno condivise, perché questo è lo spirito con il quale noi abbiamo sempre guardato alla Carta costituzionale, poiché la consideriamo come un elemento da salvaguardare e sul quale fare un'accurata manutenzione, ma senza stravolgimenti. Quando si opera sulla Costituzione, bisogna sapere che la modifica di un solo articolo può aprire delle strade a noi sconosciute e a volte anche sbagliate. Pag. 54
Per questo motivo continuiamo a ritenere che il modo più corretto per affrontare la discussione sulle funzioni delle province e per dare risposte sia quello di inserire tale argomento in un quadro istituzionale più corretto e più determinato, quello della riattribuzione delle funzioni degli enti territoriali e soprattutto nel contesto del ruolo nuovo delle autonomie, che in questo momento vi chiedono maggiore soggettività politica e rispetto. E in questo rispetto vanno anche ridefiniti i nostri compiti e quelli che la Costituzione ha loro assegnato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, intervengo per sottolineare il paradosso che ci vede discutere di una proposta di legge che, secondo le aspettative e le dichiarazioni ufficiali fatte da vari leader politici, avrebbe dovuto trovare in quest'Aula ampie convergenze e un pletorico consenso (quasi l'unanimità dei consensi). Mi riferisco alla campagna elettorale nella quale l'allora Premier in pectore, Berlusconi, e il candidato antagonista, Veltroni, si sono impegnati (ciascuno nell'ambito delle sue proposte politiche) ad abolire le province. C'è una serie di interventi che potrei citare nei quali sia l'uno che l'altro si erano impegnati proprio su questo specifico fronte.
Oggi viceversa ci troviamo qui, noi dell'Italia dei Valori insieme all'Unione di Centro, in un'alleanza delle opposizioni un po' inedita, peraltro ad indicare in questa strada dell'abolizione delle province una risposta forte - se vogliamo anche simbolica - di un approccio teso a dare finalmente voce ad una reiterata discussione che da diversi decenni, magari ciclicamente, si ripresenta e si ripropone in merito appunto all'abolizione delle province.
In realtà dal dopoguerra in poi il numero delle province italiane è costantemente aumentato e nella creazione di nuove province non si è mai registrato alcun caso di accorpamento o di soppressione di enti precedenti. Potremmo dire che moltiplicare gli enti è molto facile, ridurli è arduo, sopprimerli è un'operazione titanica.
Anche questa esperienza di oggi lo dimostra, con una sorta di sclerotizzazione della politica, che vede nell'esistente status quo una sorta di garanzia di mantenimento del potere, di mantenimento degli asset organizzativi della burocrazia, nonostante che nella percezione del comune cittadino la provincia non si capisce a che cosa serva se non per alimentare la casta, i posti, i presidenti, i consiglieri, gli uffici e quant'altro, rispetto a competenze che sono assai modeste e spesso stratificate rispetto ai livelli di competenza della regione o del comune.
Parliamo di enti locali, quindi, che hanno la funzione di soddisfare, almeno sulla carta, le necessità del cittadino. Per questo lo Stato delega alle regioni, le regioni delegano alle province, queste ultime delegano ai comuni, che poi delegano alle comunità montane, che delegano ai consorzi, e via discorrendo. In questi passaggi, badate bene, non vi è mai una netta divaricazione e attribuzione di competenze: ciascuno si tiene un pezzo. Ad esempio, per quanto riguarda le strade, se ne occupano la regione, la provincia, ovviamente anche il comune, le comunità montane, con la conclusione che le risorse che dovrebbero essere finalizzate e destinate alle opere pubbliche rimangono invischiate e si attenuano nell'ambito dei vari passaggi burocratici che in qualche modo impediscono anche al cittadino di individuare il profilo di responsabilità dietro al quale la politica spesso si nasconde. «Non è di mia competenza», «la competenza è del comune», «la competenza è della provincia», l'organo deliberante spesso non è unitario ed in questa babele di profili e di attribuzioni alla fine anche la responsabilità dell'amministrazione va ad obnubilarsi e a confondersi.
Da questo punto di vista la nostra proposta è molto semplice: abolire tutte le Pag. 55province e dare un termine di un anno al Governo per legiferare in materia di trasferimento delle competenze.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Monai.

CARLO MONAI. Da questo punto di vista, voglio evidenziare l'esperienza che nel Friuli-Venezia Giulia abbiamo avuto nel 2004, quando la proposta di 38 sindaci di 43 comuni che erano interessati a scorporarsi dalla provincia di Udine, creando la provincia dell'Alto Friuli, chiesero alla regione Friuli-Venezia Giulia di poter creare la nuova provincia. Ebbene, nonostante 38 sindaci su 43 comuni avessero chiesto a gran voce, con i loro consigli comunali, questa istituzione, il referendum che interessò questi stessi 43 comuni diede esiti assolutamente contraddittori. Infatti, ben il 53 per cento della popolazione manifestò la sua contrarietà alla creazione di questo nuovo ente, perché lo vedeva come un ennesimo carrozzone della politica, autoreferenziale e non utile allo sviluppo della comunità.
Dico questo per dire che, rispetto all'esperienza statale, nella quale la nostra Costituzione attribuisce la creazione di nuove province alla legge dello Stato, sentita la regione, ma senza un coinvolgimento delle popolazioni interessate, nella mia regione la legge regionale relativa - abbiamo competenza esclusiva in materia di enti locali - prevedeva e prevede un referendum, lo abbiamo fatto e la dimostrazione è che questi istituti sono molto lontani dal comune sentire della popolazione.
Pertanto chiediamo anche al Parlamento un atto di coraggio e di coerenza e un'adesione a questa nostra proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, non mi scandalizzo tanto del fatto che l'abolizione delle province fosse una promessa elettorale sia del PD, sia della Lega, sia del PdL, e che oggi non venga mantenuta: sappiamo bene che le promesse elettorali hanno le gambe corte, un po' come le bugie.
Mi scandalizzo di più del fatto che non vi sia la consapevolezza dell'importanza oggi di fare quelle riforme strutturali a costo zero di cui questo Paese ha bisogno. Lo dico ad una maggioranza che per i numeri che ha potrebbe tranquillamente farlo. Se non lo fa, è per mancanza di coraggio, da una parte, e per mantenere lo status quo, dall'altra parte. Questo è un dato molto preoccupante.
In questi giorni nel nostro Paese si parla di riduzione del costo del lavoro, di riduzione della tassazione sulle imprese, noi diciamo che è ora di introdurre un quoziente familiare: tutte queste proposte, sacrosante in un momento di ripresa economica, si scontrano con un dato, che è una spesa pubblica fuori controllo. Infatti, anche quest'anno la spesa pubblica è aumentata rispetto all'anno scorso di oltre 5 per cento.
Pertanto, tutti questi discorsi si bloccano in una frase: non vi sono le risorse per fare tutto ciò. Le riforme strutturali produrrebbero le risorse necessarie. Mi rivolgo agli italiani: se non si realizzeranno le citate riforme, non vi saranno i soldi per il quoziente familiare, non vi saranno i soldi per ridurre il costo del lavoro e lasciare più soldi nelle vostre tasche e nei vostri stipendi, non vi saranno i soldi da dare agli imprenditori per la detassazione degli utili. Stiamo parlando di questo: se non si realizzerà tutto ciò, rischieremo di non agganciarci ad una ripresa economica che, non sappiamo quando, ma prima o poi, vi sarà. Quindi, il dato diventa ancora più preoccupante.
È preoccupante sentire la maggioranza bollare le proposte di soppressione delle province, semplicemente come proposte demagogiche, perché mi fa ancora più pensare che non vi sia la volontà di fare le riforme vere (in questo caso, la soppressione delle province). Scusate, ma che demagogia vi è nel fare una riforma costituzionale, Pag. 56in cui si sopprimono le province? È una cosa possibile, si può fare, non vi è nulla di demagogico.
Inoltre, esiste un ordine per fare le cose. Non ce l'abbiamo con le province: noi sosteniamo che, in questo Paese, i livelli di Governo sono troppi e che non ce li possiamo più permettere. Li ricordo: sono i quartieri, i comuni, le comunità montane, le unioni di comuni, le province, le regioni, lo Stato, l'Unione europea. Quando una famiglia non riesce più mantenere il proprio tenore di vita, inizia a ridurre le spese. Noi consideriamo questa ipotesi e individuiamo nella provincia un ente che può attribuire le proprie funzioni ad altri enti. Ad esempio - come sosteneva l'onorevole Ria poco fa - si potrebbe sostituire quell'ente con un ente di secondo grado con compiti di sola pianificazione.
Non è qualcosa di demagogico, si può fare, ma le cose si fanno con ordine, non si fanno nella confusione più totale. Noi stiamo dando un ordine, partendo dalla fonte gerarchicamente superiore: la proposta di legge presentata dall'onorevole Casini - in parte, ripresa anche dal provvedimento che oggi discutiamo, presentato dall'Italia dei Valori - riguarda la Costituzione ed è volta ad eliminare le province dal suo testo. Se si eliminano le province dalla Costituzione, poi si potrà lavorare su «chi fa cosa», sapendo, però, che in quel «chi fa cosa» - ed è giusto che sia fatto nel codice delle autonomie - le province non vi sono più.
Pertanto, le funzioni che oggi sono delle province dovranno essere riallocate ad altri enti: in parte, al citato ente di secondo grado che abbiamo individuato, ma ancora di più, ai comuni e alle regioni, che si troveranno a svolgere parte delle funzioni che oggi fanno capo alle province. Non si tratta tanto di costi della politica (vi sono anche quelli e riguardano, ad esempio, i consiglieri provinciali o i presidenti): un ente, per il solo fatto di esistere, spende, e spende perché esiste.
Quindi, la provincia non spende solo per i costi della politica o solo per le funzioni che svolge. Noi tutti, che abbiamo esperienza amministrativa in comuni, province e regioni, sappiamo che, spesso, questi enti vanno anche oltre alle proprie competenze: così, nei paesi di montagna la cultura è di competenza del comune, ma la funzione viene duplicata dalla provincia, come accade anche, in parte, per la sicurezza sociale. Vi è, quindi, una somma di spese che porta ad una lievitazione dei costi, che oggi non ci possiamo più permettere.
Dicevo prima che vi è un ordine nelle cose: si parte dalla Costituzione e si arriva al codice delle autonomie. Mi rivolgo al Partito Democratico, al Popolo della Libertà e alla Lega, se fosse interessata a questo dibattito, ma oggi non è in Aula e non vi sono neanche interventi da parte dei suoi componenti. Forse, danno già per scontato che questo provvedimento verrà affossato e loro, che sono i promotori di tale affossamento, neanche hanno bisogno di venire in Aula.
Se si segue la logica di cui ho parlato in precedenza, voi avete creato la confusione. Nel momento in cui avete votato a favore della legge sul federalismo fiscale, voi - mi rivolgo al Partito Democratico, al Popolo della Libertà, alla Lega, e in parte, anche all'Italia dei Valori, che hanno votato a favore, mentre noi abbiamo votato contro quel provvedimento - avete assicurato lunga vita alle province.
Con quel provvedimento, avete escluso di ridurre le funzioni alle province e avete, ancora di più, escluso di sopprimerle. Infatti, in quel provvedimento - se lo si legge con attenzione - già si dice che le province saranno destinatarie di alcune tasse, ad esempio, di quelle che riguardano le automobili (quindi, tasse di trasferimento di proprietà, bolli, e così via). Si tratta di un bel gruzzoletto, di una cifra importante.
Se prevedete che le province abbiano un'autonomia impositiva su una cifra importante, mi viene da dedurre, a logica, che volete ancora rafforzare il loro ruolo, non smantellarle. Quindi, la questione non è dire chi fa cosa, ma è una decisione già presa che i livelli di Governo debbano rimanere tutti quelli esistenti ad oggi. Pag. 57
Noi siamo contrari a questo e diciamo che occorre snellire, cominciando da qualcosa che abbiamo individuato. Guardate, lo facciamo con grande coraggio e con grande responsabilità, perché gli stessi problemi che incontrano la Lega Nord, il Popolo della Libertà o il Partito Democratico di andare a spiegare ai propri consiglieri provinciali che la prossima volta perderanno il posto li abbiamo anche noi - scusate, saremo un partito piccolo, ma neanche tanto - perché ne abbiamo anche noi di consiglieri e di presidenti provinciali, e non è mica facile. Non pensate che per noi sia una posizione politicamente facile quella che teniamo in quest'Aula, ma lo facciamo con responsabilità, perché ci rendiamo conto che ormai i tempi sono maturi e improcrastinabili.
Noi continueremo in questa battaglia, continueremo nelle sedi parlamentari e continueremo all'esterno e vi chiediamo di assumervi le vostre responsabilità e di dire con chiarezza che il problema non è chi fa cosa, ma è un problema politico di mantenimento di una classe politica sul territorio che vi sta a cuore, e forse con la trasparenza sarete anche più credibili verso gli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, mi ha stupito la ripetizione costante e continua del collega Bianconi; credo che, se dovessimo estrapolare dai minuti di durata del suo intervento le volte che egli ha usato i termini populismo e demagogia, esso si ridurrebbe a ben poca cosa.
Mi ha stupito, signor Presidente, data la fonte: non per quella personale o individuale, ma per la forza politica a cui l'onorevole Bianconi appartiene e a cui, peraltro, appartiene anche lei signor Presidente, del cui ruolo ho grande rispetto.
Se c'è una forza politica che in questi mesi e in questi anni ha usato e sta usando quotidianamente la demagogia e il populismo, credo che parli da solo il comportamento del suo presidente, che è anche il Presidente del Consiglio, fino a quello dell'ultimo esponente del comune più piccolo in cui è presente il Popolo della Libertà, perché questo è il vostro DNA, è la cifra che vi caratterizza.
Per queste ragioni, accusare una forza politica, come l'Italia dei Valori o come l'Unione di Centro, che si presenta con una proposta seria che era stata individuata da tutte le forze politiche presenti in questo contesto, tranne la Lega Nord, nei mesi e negli anni precedenti e anche durante la campagna elettorale, è davvero sorprendente.
Sorprende anche la guerra - perché di ciò si è trattato - che si è combattuta soprattutto attraverso i mezzi di informazione (che, come è ben noto, appartengono e sono controllate dal Presidente del Consiglio, direttamente o indirettamente) alla casta e ai costi della politica durante la XV legislatura. Io non ero presente in Parlamento, quindi posso dare una valutazione da cittadino, pur se impegnato, perché ho vissuto la vicenda dall'altra parte. Non c'era giorno e non c'era sera in cui i media non ci bombardassero sotto questo punto di vista, approfittando anche di un momento di difficoltà - ovviamente, ognuno fa le sue battaglia politiche - del Governo Prodi, delle sue divisioni interne e del numero delle forze presenti al suo interno. Sta di fatto che la guerra alla casta era all'ordine del giorno del Popolo della Libertà e della Lega Nord. Poi, guarda caso, durante la campagna elettorale si trovavano ancora a strumentalizzare la casta, con l'obiettivo di giungere a una distruzione per lo più generalizzata di coloro che vivono soltanto di presenza nelle istituzioni, senza porsi il problema se queste istituzioni fossero necessarie o no.
Io vengo da un'esperienza diretta, sia come sindaco di una città di circa trentamila abitanti, sia come consigliere e assessore provinciale.
Posso dare il mio contributo con questa mia esperienza personale mettendo a confronto due dati. Mentre la prima esperienza, quella di sindaco, mi ha messo in contatto costante, quotidiano e continuo Pag. 58con i problemi del vivere giorno per giorno dei miei concittadini, d'altro canto l'esperienza di consigliere provinciale prima e di assessore provinciale poi, hanno messo in evidenza la chiara inutilità di questa istituzione. Per essere coerente con me stesso - sto parlando della seconda metà degli anni Novanta - non più tardi di due anni dall'inizio dell'esperienza assessorile me ne sono andato, perché credo che bisogna anche essere coerenti con i comportamenti rispetto alle idee che si sostengono pubblicamente.
La domanda che mi pongo è la seguente: è questo il momento oppure bisogna attendere l'eternità quando saremo in grado di varare una riforma costituzionale complessiva che tocchi tutti i livelli istituzionali oggi presenti nel nostro ordinamento? Allora, credo che valga quella famosa regola che dice «piuttosto del tutto è meglio il piuttosto».
Il gruppo Italia dei Valori con questa proposta di legge vuole per l'appunto portare a casa il «piuttosto»: cominciamo ad abolire questo ente inutile che si chiama provincia.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

RENATO CAMBURSANO. Concludo, signor Presidente. Quali sono le sue funzioni storiche? Sono quelle dell'edilizia scolastica, della viabilità e dell'assistenza; a queste si sono poi aggiunte quelle che eventualmente, per bontà di alcune regioni, sono state loro attribuite, per la verità molto poche.
Tutte queste funzioni sono state, e concludo, delegate dalle medesime province o a consorzi o ad agenzie. Da qui discende la vera ragione di procedere, una volta per tutte, alla soppressione delle province, se si vogliono far seguire anche dei fatti agli slogan, e mi stupisce che in questa partita non ci stia anche il gruppo del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, ben sappiamo che questo provvedimento probabilmente non arriverà neanche alla fase della votazione degli emendamenti perché sarà «ucciso» con qualche escamotage regolamentare domani pomeriggio, ma siamo comunque orgogliosi di averlo portato in Aula con la riserva legislativa della minoranza. Infatti, vogliamo mostrare al Paese chi è per la riduzione dei costi della politica e chi invece fa solo chiacchiere di campagna elettorale, come alcuni partiti e alcuni gruppi presenti in Parlamento che in campagna elettorale si sono detti favorevoli all'abolizione delle province e qui invece voteranno contro.
Attraverso il comportamento tenuto in quest'Aula ci possiamo rendere conto del fatto che sono arrivate delle indicazioni da parte dei tanti presidenti di provincia, vicepresidenti, assessori, presidenti di consigli provinciali ai propri partiti i quali hanno dato loro ascolto per bocciare la soppressione delle province.
Qual è la scusa? Quella che abbiamo sentito citare in quest'Aula è quella del «facciamo una riforma globale, c'è in gestazione la carta o il codice delle autonomie locali e vediamo di parlarne globalmente».
Ebbene, si tratta di un non senso perché essendo la provincia un ente istituzionale costituzionalizzato o si elimina dalla Costituzione o, se si approverà una legge ordinaria, si potrà solamente incidere sulla sua funzionalità. Ciò è assolutamente pacifico.
Allora credo che, come diceva prima il collega Cambursano, stiamo perdendo un'ottima occasione per dare un segnale chiaro al Paese. Intanto, togliamo la parola «provincia» o «province» dalla Costituzione italiana, poi, all'articolo 9 della proposta di legge a prima firma Donadi, come meglio dirà il nostro capogruppo è prevista anche una delega al Governo per defunzionalizzare le province nell'arco di un anno.
Quindi, ci sarebbero tutti i parametri, tutte le possibilità, per abolire le province Pag. 59le cui funzioni sono limitatissime e potrebbero essere tranquillamente suddivise tra i comuni, le città metropolitane, le regioni e le unioni dei comuni, questo sì strumento sul quale lavorare molto. Credo infatti che, al di là della storia importante dei nostri campanili e dei nostri comuni, sia un'indecenza che in Italia vi siano ancora comuni con 130 abitanti, anche meno. Quindi, ben venga l'accorpamento dei comuni.
Veramente le province sono una finzione per la creazione delle prefetture (perché storicamente questa è la genesi). Il sistema tripartito tra comuni, province e regioni è chiaramente pletorico, in cui l'anello debole è chiaramente la provincia, le cui funzioni potrebbero essere svolte tranquillamente dai comuni e dalle regioni. La provincia è un ente assolutamente inadeguato e che viene moltiplicato a dismisura. Negli ultimi anni sono sorte ulteriori quindici province con l'esempio della Sardegna, che ne ha partorite contestualmente quattro in un lampo, con la copertura di essere una regione a Statuto speciale. Vi è una situazione di disaffezione dell'elettorato perché, mentre la partecipazione media al voto comunale è del 74 per cento, quella alle provinciali è del 58 per cento, con picchi di riduzione anche quando si vota contemporaneamente per i comuni e per le province. È quindi un ente assolutamente non sentito.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DAVID FAVIA. È un ente che, peraltro, costa. Crediamo che questo sia solo il pagamento ad un sistema di potere che assolutamente non possiamo condividere. Ci dispiace che addirittura il Popolo della Libertà avesse presentato, nel senso da noi auspicato, una proposta di legge che si è rimangiato. Non crediamo che con il Codice delle autonomie si faccia giustizia dei costi di questo ente inutile. Chi ha cambiato idea è bene che ne risponda davanti al proprio elettorato (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, continuiamo a sentire ad ogni proposta dell'Italia dei Valori argomentazioni che evitano la discussione, come il fatto che siamo troppo leggeri nell'affrontare le questioni, facciamo troppa demagogia e quindi non vogliamo entrare nel merito delle questioni. Non è vero.
Con una proposta di legge così secca vogliamo assolutamente entrare nel merito delle questioni. Bisogna avere il coraggio, in momenti di difficoltà e di crisi e in cui la spesa pubblica continua ad aumentare oltre ogni limite di programmazione e di previsione dei Governi, di tagliare e di ridurre.
Invece cosa succede? Il Parlamento più volte ha provato a ridurre questi enti. Non dimentichiamo le comunità montane, laddove si è cercato di tagliare le risorse. Tuttavia, siccome la materia è di competenza delle regioni, le regioni cosa fanno? Riducono strettamente il necessario. Posso fare l'esempio della Lombardia, che è passata da 30 comunità montane a 24, però in cambio cosa abbiamo ottenuto? Nel frattempo si sono già costituite 60 unioni di comuni. Queste unioni di comuni si sovrappongono anche laddove ci sono già le comunità montane. Le unioni di comuni sono state un altro tentativo del Parlamento italiano di ridurre gli enti. In origine infatti avevano un obiettivo preciso, ossia quello, a conclusione di un percorso di nove o dieci anni, di fare una fusione tra i comuni che godevano di questi benefici in termini di risorse.
Invece i furbi della politica si organizzano per avere le risorse che arrivano dallo Stato e dalle regioni per fare questi nuovi enti, e per il resto cosa si fa? Degli enti per gestire dei campi di calcio e i cimiteri? Forse basterebbe una convenzione, ci sono strumenti molto più leggeri fra i comuni per gestire questi servizi. Eppure senza mettere un freno a questo saremo sovrastati da continue creazioni di nuovi enti. Le province continuano a fare questo, non voglio parlare di scuole e di strade, materie che sono sempre state di competenza delle province, ma vorrei parlare Pag. 60delle nuove materie delegate dal Governo, ad esempio in tema degli uffici del lavoro, il collocamento. Oggi la maggior parte di questi uffici sono gli uffici dei precari più precari che ci sono in Italia. Come facciamo ad avere uffici che devono indirizzare nuovi lavoratori a nuovi servizi, quando loro stessi non sono in condizioni di effettuare il loro lavoro in modo dignitoso? Potremmo parlare di altri servizi a rete, ma non dell'acqua, della depurazione e quant'altro che abbiamo subito sulla pelle con la creazione di nuovi consorzi e di nuove società che a loro volta fanno società senza più il controllo della politica e degli enti locali, vorrei parlare dei nuovi servizi innovativi. Ad esempio la questione della banda larga in Italia: già l'anno scorso abbiamo messo a disposizione di una lobby 900 milioni di euro affinché si sviluppi la banda larga sul sistema italiano. Siamo l'unico stato in Europa che non ha ancora questo servizio, neanche con l'ADSL, cioè la strada della comunicazione più semplice e con una bassa portata rispetto alla banda larga in fibra ottica, ma neanche in questo siamo riusciti, il disastro della Telecom lo dimostra.
Non riusciamo a fare progetti nazionali e regionali perché poi demandiamo alle province i progetti dei sottogruppi. Ci sono a macchia di leopardo dei progetti efficienti ma che non si collocano in un quadro più generale e strategico di tutta la nazione. Dobbiamo assolutamente avere il coraggio di dire basta a questi enti che generano dei mostri. Ci sono delle province che si sono messe a investire nel campo dell'energia, ma non a sostegno delle iniziative dei territori, delle comunità locali o quant'altro, ma volendo loro stessi produrre energia, come dovrebbero fare invece gli imprenditori in questo campo, peraltro ci sono già aziende dello Stato che producono energia.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Credo che continuando a mantenere con ambiguità questi enti, promettendo di intervenire sempre più in la, facciamo sempre solo del male agli italiani. Ecco perché noi abbiamo fatto questa proposta secca, ragionando sul fatto che le province non ci debbano essere più (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Donadi. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, l'Italia dei Valori si è fatta promotrice di questa iniziativa, con questa proposta di legge, perché per noi le cose sono semplici. In quest'Aula abbiamo sentito questa sera lunghissime e direi quasi incomprensibili dissertazioni sui massimi sistemi. Per noi le cose sono semplici e partono da una questione fondamentale: le campagne elettorali e quello che si dice da parte dei leader in campagna elettorale non sono parole vuote, non sono soltanto promesse da marinaio, sono patti importanti e seri sui quali si misura la serietà e la verità con la quale la politica si presenta ai cittadini italiani.
Ci siamo voluti annotare alcune parole, alcune frasi dette dai due leader che si sono confrontati nelle ultime elezioni politiche per il Governo del Paese. Passo a leggerne brevissimamente qualcuna. Febbraio 2008, trasmissione Matrix, il candidato Presidente Berlusconi dice: «è necessario eliminare le province». Non ci sono tanti fronzoli, tanti giri di parole: «ma bisogna distinguere le funzioni...», no: «è necessario eliminare le province». Ritorna sul concetto sempre a marzo 2008, a Porta a Porta: «Le province sono tutte inutili e fonte di costi per i cittadini. È pacifico che debbano essere abolite». Devo dire che poche volte il Presidente Berlusconi è stato così chiaro. Poche settimane dopo, durante un comizio elettorale le cui frasi vengono riportate da quasi tutti i principali quotidiani italiani, a partire da La Repubblica e Il Corriere della Sera, è sempre il candidato premier Berlusconi: «Delle province non chiedetemi, non ne parlo, perché tanto vanno abolite». Questo era un candidato.
Abbiamo l'altro candidato al quale, in un'intervista a Il Messaggero, il 22 marzo Pag. 612008, il giornalista chiede: «Ci dica due interventi, anche impopolari, per fronteggiare la crisi economica». Veltroni risponde: «Riduzione dei costi della politica e abolizione delle province».
Ecco, signor Presidente, noi pensiamo che le parole di un politico vadano davvero pesate con il metro della verità e questa verità si è tradotta nella nostra proposta di legge, che questa sera abbiamo sentito essere bollata come demagogica, strumentale, populistica, come pura propaganda. Tutti questi appellativi che sono stati rivolti nei nostri confronti, in realtà, sono soltanto gli appellativi di chi oggi non sa come giustificarsi davanti agli italiani per le bugie che ha raccontato loro in campagna elettorale e viene qui e copre quelle bugie con un'altra bugia. L'altra bugia è quella di dire, come si farà probabilmente domani in quest'Aula, che questo provvedimento non deve nemmeno essere approvato perché turba arrivare ad un voto nel quale ci si schiera da una parte o dall'altra perché tanto - questo ci viene detto - si provvederà sul merito con il codice delle autonomie.
Questa è la seconda bugia perché, come giustamente ricordava prima l'onorevole Favia, per abolire le province bisogna modificare la Costituzione; è possibile farlo solo con una legge costituzionale, il codice delle autonomie non è legge costituzionale, e dunque mai potrà abolirle (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Il punto è che la decisione è già stata presa, l'inganno è già stato perpetrato, le province resteranno, le province continueranno ad esistere e tutto si cambierà (se dobbiamo fare una citazione letterale) perché nulla cambi, perché quei posti servono, perché, come diceva un paio di anni fa poco prima dell'inizio della campagna elettorale, l'allora presidente degli industriali Montezemolo, e ci piacerebbe che questi concetti venissero ribaditi anche oggi: la politica è, in Italia, l'unica impresa che non conosce mai crisi.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Dà lavoro anche a te!

MASSIMO DONADI. Un'impresa di 300 mila dipendenti circa: tanti sono i posti di lavoro, tanti sono gli stipendi garantiti dalla politica che non ha mai una contrazione dei costi, non ha mai una diminuzione di personale.
Noi crediamo che oggi sia giunto il momento di andare, invece, verso l'abolizione delle province per una serie di ragioni che sono tutte di merito, tutte sostanziali, che attengono tutte all'ordinamento e al futuro di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Riteniamo che sia necessario abolire le province perché non è possibile che in Italia restino nove livelli di rappresentanza locali: dalle circoscrizioni al Governo nazionale ci sono nove livelli, non c'è altro Paese nell'occidente che ne conosca così tanti.
Stasera un collega del Partito Democratico ha detto che così lediamo la rappresentanza democratica. Presidente, due anni e mezzo fa eravamo al Governo, eravamo allora un piccolissimo partito, tutto quello che riuscimmo a realizzare fu di fare in modo che le circoscrizioni dei comuni, (ce ne erano quasi mille in tutta Italia, e a volte c'erano comuni con 80 mila abitanti che avevano 12-13 circoscrizioni) fossero un po' limitate: non si potevano creare circoscrizioni in comuni con meno di 100 mila abitanti e con meno di 30 mila abitanti ogni circoscrizione. Allora, gli stessi amici del PD di oggi e gli stessi amici del PdL di oggi, ci dissero: così violate, ledete un principio fondamentale, quello della rappresentanza democratica.
Oggi, grazie a quella legge che abbiamo fatto approvare, più di 600 circoscrizioni in Italia sono state abolite: sono soldi risparmiati che da parte degli enti locali possono essere stanziati per dare ai cittadini servizi, assistenza e tutto ciò di cui hanno bisogno. Credo che nessun cittadino italiano si sia lamentato in questi due anni e mezzo per un deficit di democrazia della rappresentanza.
Inoltre, vorrei ricordare che in questi mesi abbiamo approvato una legge quadro importante sul federalismo fiscale che ha visto l'Italia dei Valori prendersi le sue Pag. 62responsabilità e votarla; ebbene, il federalismo fiscale si basa su un principio: deve essere chiaro chi fa cosa in modo che poi il cittadino possa svolgere la sua funzione di controllo e questo chi fa cosa deve essere portato il più vicino possibile ai cittadini.
Allora, se vogliamo davvero realizzare il federalismo fiscale bisogna diminuire gli enti di rappresentanza territoriale perché oggi, e il codice delle autonomie ribadisce questo caos di fondo, otto su dodici delle funzioni delle province sono le stesse dei comuni, non hanno ragione di esistere. Oggi, e pensiamo ad altri esempi, le province immobilizzano miliardi di euro di patrimoni, tra immobili, partecipazioni in società che non hanno nulla a che vedere con le loro funzioni.
Questi soldi potrebbero essere utilizzati meglio per fare una spesa pubblica migliore, più di qualità e al servizio dei cittadini. Le province sono diventate soltanto uno strumento di gestione clientelare del potere, che moltiplica le imposte e le prebende, quindi vanno abolite - questa è la nostra proposta - per avere un Paese più efficiente. Quasi tutte queste funzioni - anzi il 100 per cento di queste funzioni - possono essere serenamente ripartito, a seconda di quelle più prossime, ai comuni o alle regioni. Ne guadagnerebbero l'efficienza dello Stato e la capacità dei cittadini di identificarsi in un organo amministrativo che effettivamente incide sulla loro vita quotidiana.
Oggi abbiamo province che hanno dieci, dodici e anche quattordici assessori, quando per le competenze e le funzioni in una provincia più di tre assessori non si giustificano. Quando, infatti, si tolgono un po' di competenze in materia di strade, di opere pubbliche, di edilizia scolastica e in materia di ambiente, le province non hanno altre competenze. Il resto è sovrastruttura, è soltanto struttura politica.
Sicuramente qui oggi in quest'Aula c'è chi ha fatto demagogia, chi ha fatto populismo e chi, invece, si impegna per dare a questo Paese delle istituzioni più democratiche e più rappresentative. Bisogna impegnarci soprattutto - come ricordava l'onorevole Galletti dell'UdC prima e ci tengo a fare mie queste parole - quando la crisi, come oggi, ci costringe a fare delle scelte, perché se vogliamo moltiplicare i centri di rappresentanza, potremmo anche fare duecento enti locali. Tuttavia, quando le risorse non sono sufficienti, quando ci sono milioni di persone che non hanno lavoro e che non hanno i soldi per arrivare alla fine del mese, forse la politica e chi ha responsabilità di Governo e di essere classe dirigente di questo Paese per primi devono dare l'esempio che si sa fare anche una cura dimagrante. E bisogna partire da quelle cose che, se non sono inutili, sono sicuramente le meno utili; quelle che, se anche le sopprimiamo domani mattina, nessuno se ne accorgerà, perché tutte quelle funzioni possono essere svolte da altri. Per questo motivo noi domani con convinzione difenderemo queste nostre idee e questi nostri valori anche da un Parlamento che cercherà di non farceli votare (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1990)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Bruno, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ALDO BRANCHER, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio intervento non ha la pretesa di rispondere ai tanti temi sollevati durante l'interessante discussione a cui abbiamo assistito questo pomeriggio, ma quello di dare un contributo affinché il Parlamento, a cui appartiene questa iniziativa, possa orientarsi meglio sulle decisioni che deve prendere. Pag. 63
Com'è noto, le province nascono formalmente con la Costituzione del 1948 e le disposizioni sono contenute nell'articolo 114 che recitava: «La Repubblica si riparte in regioni, province e comuni»; mentre l'articolo 128 le definisce, al pari dei comuni, enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica. Tali norme sono rimaste in vigore fino alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, che ha novellato l'articolo 114, conferendo piena dignità costituzionale all'autonomia di province e comuni. La riforma, inoltre, ha riformulato l'articolo 118, che contiene i principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione.
Le province sono diventate, pertanto, enti costitutivi della Repubblica così come le regioni, i comuni e le città metropolitane. La riflessione sull'opportunità di sopprimere le province, da effettuarsi necessariamente con legge costituzionale, è peraltro già stata avviata in occasione del disegno di legge sul federalismo fiscale, nel corso del quale sono emerse forti ragioni che hanno indotto a ritenere di non dover procedere in tal senso.
In primo luogo, perché le province sono titolari di funzioni e svolgono servizi di rete, che risultano essere più adeguati se resi da un ente intermedio tra la regione, che opera su una macroarea, ed il comune, che opera su una microarea. In secondo luogo, il livello di governo intermedio prevale ormai nel panorama europeo ed è presente in tutti gli Stati dell'Unione europea, sia nei Paesi come Francia, Germania e Regno Unito, dove vanta antiche tradizioni e mai è stato in discussione, sia in Stati dove, dopo essere stato contestato, è stato mantenuto.
Le province, nei principali Stati europei, presentano, inoltre, caratteristiche di uniformità rispetto alle funzioni esercitate, che attengono principalmente e in diversa misura ai settori del welfare, dell'istruzione, dello sviluppo economico, dell'ambiente, della viabilità, dell'urbanistica e della cultura.
Il dibattito parlamentare ha condotto all'approvazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale. La legge n. 42 del 2009 prevede due diversi sistemi di finanziamento delle funzioni dell'ente provincia. In primo luogo, per le spese riconducibili alle funzioni fondamentali, individuate provvisoriamente nell'articolo 21, comma 4, la legge prefigura un finanziamento integrale al fabbisogno standard; per le altre spese, la legge assicura, attraverso la perequazione, una semplice riduzione delle differenze fra le capacità fiscali per abitante. Rispetto a questi rilievi, appare molto più appropriato un altro tipo di intervento, quello di prevedere la soppressione di una pluralità di enti, di organi e di modalità organizzative degli enti, che costituiscono fattore notevole di spesa, non sempre rispondente a criteri di efficienza o necessità. Secondo alcune stime, si tratterebbe di un arcipelago, che prima l'onorevole Bianconi diceva essere sottostimato, di circa 34 mila enti, che spesso svolgono compiti che non spettano loro, anche di competenza provinciale. In questo senso, si muove lo schema di disegno di legge approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nella riunione del 15 luglio 2009, che si intitola: Disposizioni in materia di organi e funzioni degli enti locali, semplificazione e razionalizzazione dell'ordinamento e Carta delle autonomie locali.
A questo proposito, mi si permetta di osservare che questo schema di disegno di legge, che è stato approvato il 15 luglio, è assolutamente ufficiale, perché è stato trasmesso immediatamente alla Conferenza unificata ed è sul sito Internet del nostro Ministero delle riforme per il federalismo. Lo dico, perché più volte in Commissione e forse anche oggi, ho sentito qualche sollecitazione su una cosa che, all'evidenza di tutti, è già stata realizzata da più di due mesi.
Quindi, questo schema di disegno di legge, all'articolo 3, individua le funzioni fondamentali a regime, che sono un elemento fondamentale di collegamento con il federalismo fiscale e che sono assolutamente indispensabili per poter arrivare all'attuazione dei decreti attuativi. Pag. 64
L'articolo 6, al fine di evitare ogni sovrapposizione tra enti, prevede che le funzioni fondamentali non possano essere esercitate da enti o agenzie statali o regionali e non possono altresì essere esercitate da enti o agenzie di enti locali diversi da quelli cui sono attribuite le medesime funzioni fondamentali.
Ciò significa che non sarà possibile sottrarre alla provincia alcuna funzione fondamentale demandandola a strutture che gravitano in ambito regionale o statale. Ciò costituisce un'indubitabile garanzia per l'ente locale in attuazione dell'articolo 114 della Costituzione ed evita una duplicazione di costi.
Nella medesima linea, l'articolo 7, comma 5, prevede la possibilità per le province di esercitare una o più funzioni fondamentali in forma associata.
L'articolo 16 prevede la soppressione della figura del difensore civico, l'articolo 17 prevede la soppressione delle comunità montane, isolane e di arcipelago, l'articolo 18 la soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale nei comuni con popolazione inferiore a 250 mila abitanti, l'articolo 19 la soppressione dei consorzi tra gli enti locali per l'esercizio di funzioni, l'articolo 20 la razionalizzazione dei consorzi di bonifica, gli articoli 22 e 23 la significativa riduzione del numero dei componenti dei consigli e delle giunte comunali e provinciali.
Voglio sottolineare che le disposizioni sulle province, come tutte le altre norme appena citate, si collocano in un quadro di razionalizzazione e di snellimento, e dunque di contenimento dei costi attualmente sostenuti dalle amministrazioni.
Alle medesime finalità risponde l'articolo 14, che conferisce al Governo una delega ad emanare uno o più decreti legislativi per la razionalizzazione delle province e la riduzione del numero delle circoscrizioni provinciali, al fine di armonizzare gli assetti territoriali conseguenti alla definizione ed attribuzione delle funzioni alle province. Tali decreti dovranno prevedere che il territorio di ciascuna provincia abbia un'estensione che comprenda una popolazione tale da consentire l'ottimale esercizio delle funzioni previste per il livello di governo di area vasta; dovranno anche rivedere gli ambiti territoriali degli uffici decentrati dello Stato e prevedere, nell'ambito del procedimento di costituzione e modifica delle province, l'adesione della maggioranza dei comuni dell'area interessata che rappresentino comunque la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, nonché il parere della provincia o delle province interessate e della regione.
Dunque, l'eventuale soppressione di province dovrà avvenire in base all'entità della popolazione di riferimento, all'estensione del territorio di ciascuna provincia e al rapporto tra la popolazione e l'estensione del territorio.
Le relative funzioni e risorse saranno attribuite ad una o più province contigue nell'ambito della stessa regione; è assicurata, inoltre, mediante una disciplina transitoria, la continuità dell'azione amministrativa e dei servizi ai cittadini.
Dunque, la strada intrapresa dal Governo è quella di perseguire non tanto la soppressione dell'istituzione provincia, quanto, invece, la razionalizzazione di quelle esistenti e l'eventuale soppressione di quelle che non corrispondono a certi parametri di efficienza, che saranno individuati dallo stesso legislatore.
Parallelamente, l'articolo 15 dello schema di disegno di legge conferisce delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi recanti il riordino e la razionalizzazione degli uffici periferici dello Stato, individuando nelle prefetture-uffici territoriali del Governo, salvo eccezioni da individuare nei decreti delegati, l'unico centro di aggregazione di tutte le attribuzioni dell'amministrazione periferica dello Stato non espressamente conferite ad altri uffici.
Tanto ho inteso rappresentare, proprio per sottoporre all'attenzione dell'Assemblea quanto il Governo sta facendo in ordine agli enti locali, in particolare alle province: tutto quanto contenuto nello schema di disegno di legge del 15 luglio 2009, presentato alla Conferenza Unificata Pag. 65dalla quale il Governo attende risposta per quanto riguarda il testo che è stato sottoposto.
Il Governo esprime apprezzamento per gli obiettivi sottesi alle proposte di legge costituzionale in discussione, ed apprezza la qualità degli interventi svolti.
Peraltro, alla luce delle precedenti considerazioni e delle iniziative intraprese, preannuncia che il Governo si rimetterà all'Assemblea nelle ulteriori valutazioni che scaturiranno nel corso del dibattito.

(Annunzio di una questione sospensiva - A.C. 1990)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la questione sospensiva Bianconi ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 1990).

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Per fatto personale (ore 19,45).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, ho atteso ed ho ascoltato con grande attenzione e grande rispetto gli interventi che si sono susseguiti nella giornata di oggi; e parlo a titolo personale ma anche per fatto personale, perché a più riprese, da ultimo anche da parte del collega Donadi (e me ne dolgo, perché so che è una persona intellettualmente onesta), è stato ripetutamente, insieme agli altri colleghi, imputato alla mia parte, e quindi anche a me, di essere stati sostanzialmente disonesti nei confronti degli elettori e di avere detto delle bugie.
Vorrei semplicemente rilevare, signor Presidente, che dire una sciocchezza (o peggio una bugia, perché c'è dolo) ripetutamente non la fa diventare una verità.
Mi limito semplicemente, signor Presidente, a leggerle i punti 9 e 10 del programma che è stato presentato alle elezioni. Il punto 9 è il seguente: «Eliminazione entro un anno di tutti gli ambiti territoriali ottimali, settoriali e non, attribuendo le loro competenze alle province; eliminazione delle province laddove si costituiscano le città metropolitane». Punto 10: «Incentivazione dei processi di unione fino alla fusione dei comuni piccolissimi, salvaguardando le specifiche identità politico-culturali».
A proposito di bugie, signor Presidente, informi il collega Donadi che questo programma è stato firmato...

PRESIDENTE. Concluda. Non è propriamente per fatto personale...

ROBERTO GIACHETTI. Ho concluso. Dicevo che questo programma è stato firmato dall'Italia dei Valori, in base all'accordo con il quale si sono presentati alle elezioni con il Partito Democratico.
E insieme a questo, a proposito di bugie raccontate agli elettori, c'era un accordo a fare gruppo insieme alla Camera, sconfessato dopo due mesi dalla stessa Italia dei Valori. Vorrei che quei pochi che ancora ci ascoltano possano valutare chi rispetta gli impegni elettorali, compreso il programma sottoscritto: se conveniva sottoscriverlo per candidarsi insieme alle elezioni politiche, sarebbe stato utile leggerlo e poi rispettarlo, perché in questo momento il programma della coalizione che si è presentata alle elezioni lo sta tradendo l'Italia dei Valori.

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, prendo la parola solo per precisare che la comunicazione che ha fatto l'onorevole Donadi prima è tratta da un'intervista rilasciata a Il Messaggero al quale, il giorno dopo o nei periodi successivi...

ROBERTO GIACHETTI. C'è un programma!

Pag. 66

ANTONIO BORGHESI. Do atto che nel programma è riportato ciò che è stato letto dall'onorevole Giachetti, però resta il fatto che quell'intervista è stata data in quei termini e non è mai stata smentita.
Quanto alla questione relativa al fatto che i nostri gruppi parlamentari non hanno fatto un unico gruppo, non posso che rinviare alla conferenza stampa fatta dall'onorevole Di Pietro insieme all'onorevole Veltroni, allora segretario, e all'onorevole Franceschini, attuale segretario, che hanno spiegato bene come quello sia avvenuto a seguito di un accordo tra le parti (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

Sull'ordine dei lavori (ore 19,50).

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, ho atteso la fine della discussione per porre un problema che riguarda la rassegna stampa della Camera dei deputati di oggi. A pagina 73, signor Presidente, rubricato sotto il titolo «Attualità politica» c'è un articolo intitolato «Lavoro in cambio di sesso. Con Berlusconi sono tornate le contessine del Viminale». Nell'articolo si spiega che le contessine del Viminale di epoca fascista erano quelle ragazze che si presentavano a cercare lavoro sotto il regime offrendo in cambio favori sessuali. Ecco, con Berlusconi sarebbero sorte le nuove contessine.
Signor Presidente, questo articolo è stato pubblicato oggi da L'Unità. Non ho nessuna difficoltà a dire che L'Unità può pubblicare quello che meglio crede, può attingere alle fonti che meglio crede e scrivere quello che meglio crede: ognuno usa le fonti della materia prima che più gli aggradano.
Quello che trovo però sconcertante, signor Presidente, è che la rassegna stampa della Camera dei deputati, che non è a circolazione interna e che, attraverso il sito Internet, è sempre più consultata, possa inserire un articolo di questa fatta e con queste parole nel titolo sul sito Internet e che ciò possa essere considerato un elemento di attualità politica. Ho voluto attendere la fine della seduta proprio per evitare discussioni, contestazioni e risse tra colleghi, ma siamo in una situazione che credo richieda un intervento serio della Presidenza della Camera per accertare in primo luogo, chi ha ritenuto di inserire questo articolo nella rassegna stampa, visto che essa è una selezione e, in secondo luogo, per quali ragioni ha ritenuto di farlo, visto che non si tratta né di dichiarazioni di parlamentari (che potrebbero dare un aggancio al motivo per il quale lo stesso articolo è stato inserito), né di altre considerazioni di ordine culturale che abbiano un qualche fondamento.
Diversamente la rassegna stampa della Camera dei deputati potrebbe legittimare l'utilizzo di un linguaggio, certi atteggiamenti e considerazioni che dovrebbero essere estranei al nostro confronto politico parlamentare. Finché tali considerazioni si svolgono sui giornali, non c'è nulla di illegittimo, tutto è libero e ciascuno è nelle condizioni di utilizzare gli strumenti dell'ordinamento per avere ristoro del danno che eventualmente venga provocato, ma quando le istituzioni amplificano, in qualche misura, questo tipo di cose, allora devo dire che c'è un problema serio.

PRESIDENTE. Onorevole Stracquadanio, prendo atto delle sue considerazioni. Saranno acquisiti ulteriori elementi per approfondire la questione da lei posta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 13 ottobre 2009, alle 10,30:

1. - Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

Pag. 67

(ore 15)

2. - Seguito della discussione delle mozioni Lolli ed altri n. 1-00244, Mantini ed altri n. 1-00247, Pelino, Alessandri, Iannaccone ed altri n. 1-00249, Di Stanislao ed altri n. 1-00250 e Zamparutti ed altri n. 1-00251 concernenti misure a favore delle popolazioni colpite dal sisma in Abruzzo.

3. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata):
CONCIA ed altri; DI PIETRO e PALOMBA: Modifica all'articolo 61 del codice penale, concernente l'introduzione della circostanza aggravante relativa all'orientamento o alla discriminazione sessuale (1658-1882-A).
- Relatore: Concia.

4. - Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale (previo esame e votazione della questione sospensiva presentata):
DONADI ed altri: Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province (1990).
e delle abbinate proposte di legge: CASINI ed altri; PISICCHIO (1989-2264).
- Relatore: Bruno.

La seduta termina alle 19,55.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ANNA PAOLA CONCIA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE NN. 1658-1882-A

ANNA PAOLA CONCIA, Relatore. Vi sono quindi tutte le condizioni per superare le obiezioni della I Commissione. A tale proposito, vorrei ribadire che è priva di qualsiasi fondamento giuridico, oltre ad essere offensiva, la tesi avanzata dal gruppo dell'Unione di Centro nel corso dell'esame in Commissione, secondo cui nella nozione di orientamento sessuale sarebbero compresi l'omosessualità quanto l'incesto, la pedofilia, la zoofilia, il sadismo e tutta una serie di tendenze sessuali che in realtà nulla hanno a che vedere con l'orientamento sessuale. È patrimonio comune di tutti, a livello internazionale ed a livello nazionale sia sul piano scientifico che sul piano giuridico, che la nozione di orientamento sessuale si riferisce unicamente alla circostanza che un soggetto abbia rapporti sessuali con persone del proprio o dell'altro sesso. Se la preoccupazione dell'Unione di Centro è unicamente quella, peraltro infondata, di non inserire nell'ordinamento delle nozioni non sufficientemente determinate o di contenuto eccessivamente ampio, si potrebbe comunque porre rimedio facilmente sostituendo il termine orientamento sessuale con i termini di eterosessualità e di omosessualità. A questi si potrebbe poi anche aggiungere quello di transessualità per superare quelle che vedremo sono state le obiezioni che non hanno consentito di inserire nel testo il termine di identità di genere. A proposito della posizione dell'Unione di Centro vorrei sottolineare che ancora minore valenza giuridica ha l'obiezione più volte sollevata nel corso dell'esame referente secondo cui la nuova circostanza sarebbe applicata indipendentemente dall'accertamento in concreto del movente che spinge alla violenza, in quanto vi sarebbe una sorta di impossibilità nell'accertare ciò che muove nell'interiorità il reo. Tutto ciò secondo l'Unione di Centro determinerebbe una sorta di posizione di favore per gli omosessuali rispetto a chi subisce delle violenze indipendentemente dal proprio orientamento sessuale. Ciò è del tutto infondato in quanto è infondato il presupposto dal quale parte questa tesi: l'impossibilità di accertare in ambito processuale il movente che ha portato ad agire l'indagato o l'imputato. Se fosse vero tale presupposto nel nostro ordinamento non Pag. 68dovrebbero trovare accoglimento non soltanto tutte le aggravanti che si basano sul movente (si pensi ai motivi abbietti o futili) ma anche tutte quelle fattispecie il cui elemento soggettivo è strutturato secondo il modello del dolo specifico. Ricordo che questi reati sono caratterizzati proprio dal fine che persegue il reo.
Per tutto quanto detto, è evidente che occorre colmare la lacuna presente nel nostro sistema normativo. Quello che ci stiamo accingendo a fare è un intervento evidentemente parziale, rispetto a quello che richiede l'Europa e che hanno fatto molti governi di paesi europei, ma è un sensibile e importante passo in avanti verso la civiltà.
I diritti civili, il rispetto dei diritti umani, il senso di cittadinanza e di inclusione non sono e non possono essere oggetto di trattativa politica, perché non hanno bandiera politica. I diritti civili non sono di destra e neppure di sinistra: devono essere riconosciuti nel pantheon di tutte le forze politiche democratiche, in quanto patrimonio di un paese civile. E come non avrebbero senso barricate ideologiche tra destra e sinistra, neppure ne avrebbero con e nel mondo cattolico.
Purtroppo da parte di qualcuno si vuole dare l'impressione che il mondo cattolico sia distante da questo tema, ma il messaggio cristiano è un messaggio inclusivo, al quale i cattolici non possono sottrarsi. Mi appello quindi al senso di responsabilità dei deputati cattolici, perché abbraccino anche loro la causa di quella parte dei diritti umani che sono i diritti degli omosessuali e dei transessuali, i quali dovrebbero essere considerati uomini e donne, quindi, figli di Dio. Quello che noi vogliamo fare è creare dei deterrenti a che degli uomini o delle donne siano oggetto di violenza in ragione della loro condizione umana. Non capisco cosa ci sia contro il sentimento cristiano in tutto ciò. Non è forse l'accettazione dell'altro uno dei doveri principali di ogni buon cristiano? Per il vero cristiano ciò che conta è la persona, non certo il colore della sua pelle, dei suoi capelli o il suo orientamento sessuale.
Abbandonate pregiudizi che poco hanno a che vedere con i valori del cristianesimo, anzi che questi valori calpestano.
L'omofobia e la transfobia sono figli del pregiudizio, della paura del «diverso» non conosciuto e per questo destabilizzante: ma sappiamo bene che la paura si debella attraverso la conoscenza. E poi chi sono questi omosessuali o transessuali da discriminare? Sono il vicino di casa, il portiere, la donna politica o l'uomo politico, il giornalista, il medico, l'avvocato, il magistrato, il fratello, la sorella, il figlio, la figlia. Cittadini che hanno il diritto di restare se stessi senza cessare di essere «cittadini di serie A».
Nel concludere non mi rimane che auspicare che quel clima di leale confronto che vi è stato in Commissione possa riscontrasi anche in Assemblea, senza lasciare il posto a pregiudizi ideologici che in realtà finirebbero per contrastare proprio quei valori che oggi vogliamo qui affermare.
So bene che il momento politico non è dei migliori, che l' aspra contrapposizione in Parlamento rischia di ostacolare una legge bipartisan, una legge di tutti. Ma è proprio oggi, in questo clima che vi chiedo di fare un gesto pacificatore. In nome di ciò che ci tiene insieme. Perché ciò che oggi ci apprestiamo ad approvare non toglie niente a nessuno, anzi aggiunge civiltà al nostro paese. Fa bene a tutti, anche a chi non è d'accordo.
Rompere muri e steccati può essere un gesto piccolo ma apre a nuovi orizzonti. Verso quegli orizzonti di rispetto reciproco vorrei che andasse il mio paese, ma vorrei che ci andassimo tutti insieme.
E a questo proposito voglio leggervi una poesia attribuibile a Bertold Brecht del 1932: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Pag. 69Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare».

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 2 ottobre 2009, a pagina 49, seconda colonna, la trentesima riga si intende soppressa; a pagina 50, prima colonna, dalla dodicesima alla quattordicesima riga sopprimere le parole da «(Applausi» a «Popolari)».